Prima del viaggio

di Darlene_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La scoperta ***
Capitolo 2: *** Heartbrek ***



Capitolo 1
*** La scoperta ***




Storia scritta per
l’Advent Calendar
gruppo hurt/comfort
 
Prompt 170:
arrivo del dottore
 

Genere: originale


 
La scoperta
 
 
 
“Sto bene!” Ribatté per l’ennesima volta Josh, tentando di fuggire dallo sguardo apprensivo del padre. John scosse la testa, visibilmente scoraggiato. Era stato chiamato dalla scuola del figlio dopo un suo svenimento e aveva deciso di portarlo in ospedale per degli accertamenti, ma quel sedicenne cocciuto stava facendo di tutto per fargli perdere le staffe. Si strofinò i palmi delle mani callose sui jeans sbiaditi su cui erano ancora presenti macchie di calce, quindi li passò sul viso, cercando di cancellare le tracce della sua preoccupazione.
“Ormai siamo qui, Joshua, e non ce ne andremo fino a che non sarà un medico a dirmi che stai effettivamente bene, chiaro?” Il suo tono era deciso, un’espressione burbera dipinta sul viso. Il ragazzo non si ricordava nemmeno quando lo aveva visto ridere l’ultima volta. Una ruga profonda segnava la fronte abbronzata e gli occhi stanchi erano cerchiati dalle occhiaie. Josh annuì, nemmeno lui aveva davvero voglia di discutere.
“Bene.” Affermò l’uomo, alzandosi dalla seggiola di plastica blu. Prese il portafoglio dalla tasca dei pantaloni e lo soppesò nella mano. “Ho bisogno di un caffè, vuoi qualcosa?” Gli domandò addolcendosi. Il figlio scosse la testa: avrebbe solo voluto tornare a casa. “Torno tra poco, faccio entrare tuo fratello, così non resti solo.”
L’adolescente sbuffò. “Non ho bisogno di qualcuno che mi controlli.”
John accennò ad un sorriso e gli arruffò i capelli, come non faceva da quando era solo un bambino, ma non appena si rese conto del gesto ritrasse la mano, imbarazzato, ed uscì a passo di marcia.
 
“Come stai?” Domandò Chris facendo capolino nella stanzetta. Josh, perso ad osservare fuori dalla finestra, si voltò, fulminandolo con lo sguardo. “Prova a chiedermelo di nuovo e ti butto giù dalla finestra e no, non sto scherzando.” Il minore non si fece scoraggiare e si sistemò sul letto accanto al fratello. Si sedette sul bordo, le gambe grassocce che penzolavano nel vuoto. Restarono per un po’ in silenzio, non sapendo bene cosa si dovesse dire in una situazione del genere.
“Papà ha detto che sei svenuto nella palestra, è vero?” Chris non riuscì a trattenere la sua curiosità: aveva solo undici anni e non comprendeva che quella situazione avrebbe potuto essere molto grave, per lui si trattava semplicemente di un diversivo dalla quotidianità.
Josh puntò le iridi di smeraldo verso il soffitto, portando le mani dietro alla nuca. “Papà non ti ha detto che dovresti farti i fatti tuoi? E poi perché non sei a scuola?”
Chris fece spallucce, non aveva nessuna intenzione di raccontare delle rane che aveva liberato nel laboratorio di biologia, in fondo, a lui, continuava a sembrare un’idea brillante.
“Joshua Ryan Atwood?” Domandò un signore un po’ attempato bussando allo stipite della porta.
Il ragazzo di raddrizzò, appoggiando la schiena contro la testiera del letto. Chris scese dal materasso, mettendosi in un angolo, in soggezione. Il medico sorrise ai due fratelli, ma il minore rabbrividì nel vedere il suo camice bianco e lo stetoscopio che penzolava intorno al collo.
“Sono il dottor Jeffrey e tu devi essere Joshua Ryan, giusto?”
“Mi chiami Josh, nessuno usa mai il mio nome completo.” Per un attimo si chiese cosa stesse blaterando; cosa importava a quello come lo chiamavano gli altri? Si schiarì la voce e disse: “Mio padre ha voluto portarmi qui, ma io sto bene, davvero. Mi dia il permesso di uscire, sono a posto.” Il medico sorrise, consultando la cartella clinica. “A quanto c’è scritto qui sei svenuto durante lo svolgimento dell’attività fisica…”
Non lo lasciò nemmeno finire di parlare. “Sì, ma non è nulla, solo un calo di zuccheri, non avevo mangiato nulla per colazione.”
“Non è vero, papà ci ha preparato i pancakes, ricordi?” Intervenne Chris, che si beccò un’occhiataccia dal maggiore.
Jeffrey non si scompose per la menzogna: molto spesso i suoi giovani pazienti omettevano o modificavano la verità per timore di scoprire qualcosa di preoccupante.
“Probabilmente hai ragione tu, anzi, quasi sicuramente, ma è meglio accertarsene, non credi? Tranquillo, se è tutto a posto sarai a casa per pranzo.” Sorrise affabilmente. “Ti è mai successo prima un episodio simile?”
Josh scosse la testa.
“Bene.” Scarabocchiò qualcosa nella sua grafia incomprensibile. “Adesso ti visito, sarà veloce, non preoccuparti.”
“Infatti non lo sono.” Rispose bruscamente il paziente.
Il dottore gli puntò una luce negli occhi ed annottò sulla scheda clinica.
Poco per volta Chris uscì dal suo angolino per avvicinarsi al letto. Quando fu abbastanza vicino allungò una mano e strinse con forza quella di Josh: era il suo modo per dirgli che era lì, con lui, e che non lo avrebbe abbandonato.
“Potresti sollevare la maglietta?”
Il ragazzo ubbidì. Jeffrey posò lo stetoscopio sulla pelle candida del torace, teneva una mano sulla spalla del paziente, in quella che avrebbe dovuto rappresentare una stretta rassicurante. Josh strinse la mano del fratello: aveva paura, non poteva negarlo: non della visita in sé, sapeva che non avrebbe provato dolore, ma temeva che il medico gli diagnosticasse qualche malattia grave. Lo stetoscopio scorreva sulla pelle, mentre la faccia del dottor Jeffrey diveniva sempre più seria. Lo invitò a stendersi, auscultò ancora per qualche istante il cuore, quindi ripose lo strumento e scrisse la sua relazione sulla scheda clinica.
“Ti capita mai di faticare a respirare?”
“No.”
“Dolori al petto?”
Il ragazzo scrollò le spalle. “Non lo so, forse qualche volta.”
Jeffrey annuì. “Ti senti mai stanco, spossato?”
Il maggiore guardò Chris, avrebbe voluto risparmiargli quello stress, l’ansia di attendere un responso che avrebbe potuto essere anche negativo, ma il bambino non pareva particolarmente turbato (o almeno era ciò che voleva far intendere, in realtà era davvero preoccupato). 
“Nelle ultime settimane mi è successo, ma è un periodo difficile, sono molto sotto pressione per la fine del semestre…” Nemmeno Josh credeva nelle sue stesse parole.
Il dottore annuì. “Ho prescritto un elettrocardiogramma e un’ecografia, così potremo avere una diagnosi certa. Preferisco che tu stia qui per qualche giorno, almeno per il tempo degli accertamenti, nel frattempo non sottoporti a sforzi e riposati.” Ripose la penna nella tasca del camice facendo scattare la molla. “Vorrei parlare con i tuoi genitori, puoi dir loro di raggiungermi nell’ala est?”
“Mio padre.” Poi si sentì come in dovere di dare spiegazioni sull’assenza della madre: “C’è solo lui qui.”
Il medico annuì, non gli importava particolarmente a chi avrebbe dovuto fornire maggiori informazioni, dopo tanti anni di carriera si era abituato. Era già sulla porta quando la voce di Josh lo fermò.
“Crede, beh, è grave?” Domandò, gli occhi supplichevoli. Jeffrey accennò ad un sorriso e intorno al naso si formarono due rughe d’espressione. Pensò che forse, in fondo, non era poi così preparato a dare cattive notizie- Si avvicinò al paziente, scrutandolo con attenzione: era solo un ragazzo, ma pareva già così adulto!
“Dovrei comunicarlo prima ai tuoi genitori, ma tu sei già un giovanotto, perciò ti tratterò da adulto.” Si fissarono per qualche istante, forse entrambi alla ricerca di una via di fuga da quella situazione. “Presumo si tratti di una valvulopatia cardiaca.” Posò una mano sulla spalla di Josh, anche se sapeva che avrebbe dovuto mantenere un certo distacco, ma quel ragazzo gli ricordava suo figlio e provava un moto di simpatia per lui. “Tranquillo, di solito non è grave, si può risolvere con un intervento, ma prima dobbiamo capire se è congenita oppure no. Se non è presente dalla nascita dovrebbe svilupparsi nell’età adulta, nel tuo caso sarebbe precoce, ma non si può ancora escludere nulla.”
Josh abbassò gli occhi sul lenzuolo bianco, mentre Chris cercava di comprendere il significato di quei paroloni.
“Mi spiace, ma non preoccuparti, non fino a che non avremo certezze.” Salutò i fratelli e continuò il suo giro di visite. Il più piccolo salì sul letto ed abbracciò il maggiore, affondando il viso nella sua maglietta. Josh lo cinse con entrambe le braccia, cercando di reprimere le lacrime. Gli carezzò distrattamente i capelli castani, pensando all’ipotetico intervento.
“Jo?”
Lui tirò su con il naso. “Dimmi.”
Chris sollevò leggermente la testa e chiese: “Non ne andrai via anche tu, vero? Non puoi andare dalla mamma, io ho bisogno di te.”
Il sedicenne lo strinse maggiormente a sé e gli sussurrò: “Non ti lascerò solo, te lo prometto.”
 





Ho pensato molto se pubblicare o meno questa raccolta, ma amo troppo i fratelli Atwood e sentivo il desiderio di condividere con voi le loro tragedie. Spero che questi mocciosetti vi piacciano :) 
A presto!
 

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Capitolo 2
*** Heartbrek ***


Storia scritta per
l’Advent Calendar
 
Prompt 70:
stimolatore cardiaco
 

Genere: originale
 
 



Heartbreak




 
 
La faccia bruciava dove il ramo spoglio di un albero lo aveva graffiato, poteva sentire il sapore del sangue, caldo e viscoso che gli scivolava tra le labbra. Lontano, un lupo cominciò ad ululare. Sapeva che avrebbe dovuto scappare, ma sentiva le gambe pesanti e aveva solo voglia di riposare. I richiami dei cani selvatici diventavano sempre più vicini fino a che, aprendo gli occhi, si rese conto di essere stato accerchiato. Il capobranco, il più grande e maestoso esemplare che lui avesse mai visto, spiccò un balzo, ghermendolo alla spalla con i suoi artigli affilati, strappandogli la maglietta. I suoi occhi erano feroci, gialli come la luce della luna piena che splendeva in cielo. Osservandoli meglio sembravano non avere pupille, ma solo enormi iridi. Preso dal panico cominciò ad urlare, scalciando: non sarebbe diventato la preda di quel mostro senza prima combattere.
 
“Christopher?”
La voce pareva lontanissima, eppure aveva l’impressione che qualcuno fosse vicino a lui.
“Christopher, mi senti?”
L’ululato era ancora udibile, ma non sembrava più quello dei lupi, bensì di una sirena.
“Christopher!”
Il ragazzo spalancò gli occhi, trovandosi di fronte un uomo; la sua mano guantata era posata sulla spalla del giovane, mentre con la destra impugnava una piccola torcia.
“Mi chiamo Robert e sono qui per aiutarti.” Continuò a parlare in modo pacato, con tono rassicurante, ma di tutto quel discorso il giovane comprese solo che c’era stato un incidente e che presto qualcuno li avrebbe liberati da quella prigione di lamiera. Li avrebbe liberati. Lui e chi? Fu solo a quel punto che la mente ricominciò a lavorare, connettendo tutti gli eventi che lo avevano portato alla festa di Suzie (senza che lui ne avesse davvero voglia) fino al momento in cui suo fratello lo aveva caricato in macchina, non del tutto sobrio, per riportarlo a casa. Suo fratello. Josh era lì con lui. Voltò la testa di scatto e provò un momentaneo mancamento, ma non era nulla in confronto a ciò che vide: il corpo del maggiore era abbandonato contro il sedile dell’auto, gli occhi chiusi e il petto che si alzava appena ad ogni irregolare respiro; i suoi vestiti erano imbrattati di sangue e Chris capì improvvisamente la provenienza di quell’odore ferroso nell’abitacolo. Restò per qualche secondo immobile, pietrificato, quindi cominciò ad urlare il nome di Josh, sempre più forte fino a che la sua voce non si trasformò in un grido disperato, ma non ottenne risposta.
I soccorsi lo estrassero a forza dall’auto, mentre lui ancora scalciava per raggiungere il corpo del fratello.
“Calmati, adesso sistemeremo tutto.”
Chris si accorse a mala pena della donna che si era avvicinata a lui con una tazza fumante in mano. Gli mise con dolcezza una coperta sulle spalle e lo condusse poco lontano. Avrebbe voluto portarlo in ospedale, ma il giovane si era rifiutato categoricamente, troppo spaventato per lasciare solo Josh.
“Posso chiamare qualcuno?” Domandò ancora quella che doveva essere un paramedico. Lui scosse la testa; per un istante pensò di telefonare al padre anche se sapeva che non lo avrebbe fatto: era troppo scosso per affrontare una discussione con John. In effetti, l’unico con cui avrebbe voluto confidarsi per scacciare la tensione era proprio suo fratello, l’unico su cui aveva sempre potuto fare affidamento nei casi di crisi.
Un botto ridestò la sua attenzione: i vigili del fuoco avevano divelto la portiera della vecchia Camaro e i paramedici si apprestavano ad estrarre con cautela Josh. Chris non riuscì a trattenersi e corse loro incontro, nella speranza di ricevere una parola, uno sguardo, qualcosa che gli permettesse di capire quali erano le condizioni del maggiore.
Prima ancora di riuscire a raggiungerlo Josh era stato sistemato su una barella rigida, attorniato da uomini in divisa che cercavano di stabilire le sue condizioni di salute.
“Pressione in calo… Battito debole…” Chris riuscì a cogliere solo alcuni stralci di informazioni, ma il tono di voce: preoccupato e serio, lo mise in allarme.
“Josh? Josh mi senti?” Gli sussurrò quando fu abbastanza vicino. “Josh, sono io, ti prego apri gli occhi!”
Le voci intorno a lui scomparvero, erano solo lui e suo fratello come sempre era stato negli ultimi sedici anni. Gli toccò un braccio, macchiandosi le dita di sangue, quindi percorse con i polpastrelli il viso, confortato dal tepore della sua pelle. Una lacrima gli scese sul viso, mentre il senso di colpa cominciava ad opprimerlo.
“Mi dispiace, Josh, non volevo… Ti prego, perdonami!” Qualcuno provò ad allontanarlo, invano.
Il maggiore aprì gli occhi per un istante, il tempo necessario per guardare l’altro e sussurrargli: “Non sei stato tu…” Le parole morirono in gola, le corde vocali troppo stanche per vibrare ancora.
Chris scosse energicamente la testa e rispose: “Se solo non fossi andato a quella festa…”
Non finì mai la frase perché Josh allungò le dita verso di lui, afferrandogli la mano. Non disse nulla, ma quella stretta bastò per sistemare tutto, perché un gesto, per loro, valeva più di mille parole.
Tutto sembrava essersi risolto per il meglio, ma proprio in quel momento accadde qualcosa: Josh chiuse gli occhi e la mano abbandonò la presa, cadendo nel vuoto.
Qualcuno urlò: “Ho perso il battito, stimolatore cardiaco!” Un altro disse: “Portate via il ragazzo!” Per Chris tutto diventò confuso: sentì delle mani possenti che gli afferravano le spalle e lo spostavano, vide un medico praticare un massaggio cardiaco e scuotere la testa, e poi la maglia di Josh fu strappata e sul torace pallido, illuminato dalla luce prodotta dai generatori, comparvero delle piastre. Il ragazzo riuscì a liberarsi dalla morsa di quelle braccia possenti che lo trattenevano; i medici continuavano a far ripartire il cuore di suo fratello.
“Riproviamo!”
“Libero!”
Le parole si sommavano le une sulle altre perdendo ogni senso logico.
“Josh? Joshua!” Chris era di nuovo accanto a lui, attendo a non intralciare le manovre dei soccorritori. Gli prese il volto tra le mani, gli occhi colmi di disperazione. “Svegliati, idiota!” Le lacrime gli rigavano il viso. Ripensò a quella volta in cui gli aveva insegnato da andare in bicicletta, alle storie che gli raccontava da bambino, agli scherzi giocosi, al suo sorriso. Come sarebbe sopravvissuto senza di lui?
E quando ormai sembrava non esserci più nulla da fare, l’ultima scarica di energia percorse il corpo del ferito, riportandolo alla vita.
“Va tutto bene.” Sussurrò al fratello.
Chris annuì. “Sì, va tutto bene.” Rispose tra le lacrime. “Ora che sei di nuovo qui andrà tutto bene.”








Qui siamo parecchi anni dopo la precedente storia, poco prima della scoperta del nuovo mondo. Presto arriveranno nuovi capitoli :)

 
 
 
 

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