Di Baci & Di Abbracci & Di Molto Altro

di rosy03
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bacio per scommessa [Rufy/Nami] ***
Capitolo 2: *** Bacio senza motivazione + Abbraccio da dietro [Rufy/Nami] ***
Capitolo 3: *** Abbraccio scontroso [Sabo/Koala] ***
Capitolo 4: *** Bacio con dichiarazione [Zoro/Tashigi] ***
Capitolo 5: *** Bacio per amore [Rufy/Nami] ***
Capitolo 6: *** Abbraccio di conforto [Sabo/Koala] ***
Capitolo 7: *** Abbraccio d'addio [Roger/Rouge] ***
Capitolo 8: *** Abbraccio assonnato [Rufy/Nami] ***
Capitolo 9: *** Abbraccio di gruppo [Law/Ciurma] ***
Capitolo 10: *** Bacio sotto la pioggia [Zoro/Nami] ***
Capitolo 11: *** Bacio nella neve + Abbraccio sorpresa [Sanji/Pudding] ***
Capitolo 12: *** Bacio nella doccia [Law/Yuka] ***
Capitolo 13: *** #Retrouvailles [Rufy/Nami] ***
Capitolo 14: *** #Cafuné [Rufy/Nami] ***
Capitolo 15: *** #Cwtch [Sanji/Pudding] ***
Capitolo 16: *** #Ikigai [Sanji] ***
Capitolo 17: *** #Jijivisha [Nico Robin] ***
Capitolo 18: *** #Dapjeongneo [Katakuri/Pudding] ***
Capitolo 19: *** #Gigil [Sabo/Koala] ***
Capitolo 20: *** #Backpfeifengesicht [Zoro/Sanji] ***
Capitolo 21: *** #Hai shi shan meng [Oden/Toki] ***
Capitolo 22: *** #Cheiro no cangote [Sabo/Koala] ***



Capitolo 1
*** Bacio per scommessa [Rufy/Nami] ***



Bacio per scommessa




Lo aveva beccato con le mani nel sacco questa volta. Non che fosse difficile, Rufy era tremendamente rumoroso in qualsiasi impresa si cimentasse.
Quando aveva sentito il piccolo baule sotto il suo letto cadere con violenza a terra si era alzata dalla sdraio come una molla e aveva corso, rischiando di inciampare nelle gambe incrociate di Zoro, e aveva spalancato la porta.
Rufy quasi saltò per aria e si morse un labbro per evitare di urlare.
Lei lo guardò, furibonda – Sapevo che eri stato tu – sentenziò. Nico Robin, che passava di lì per caso, si fermò dietro la sua compagna a osservare il bizzarro comportamento del capitano. Aveva in viso l’espressione colpevole di chi sapeva di non poterla passare liscia, non questa volta, almeno.
– Ehm, Nami... ciao... posso spiegare.
La ragazza battè il piede a terra con stizza e alzò un sopracciglio, l’unica cosa che le premeva fare in quel momento era prenderlo a pugni tanto forte da fargli dimenticare il suo nome. – Non voglio sentire un bel niente.
Rufy sbuffò un imprecazione. Sapeva perfettamente cosa avrebbe dovuto fare, tuttavia la furia con cui lei lo stava incenerendo con lo sguardo era capace a farlo desistere.
Per un istante. Diamine, era il capitano! Avrebbe dovuto dare il buon esempio.
Una scommessa è una scommessa.



– Mh, vediamo un po’...
Rufy se ne stava lì seduto in mezzo all’erba a piedi uniti e ginocchia larghe ad attendere il verdetto, con un’espressione ebete stampata in faccia.
Il suo secondo ronfava alla sua destra, la piccola renna aveva seguito il suo esempio e sonnecchiava placidamente sulla spalla di Franky.
– Allora, Usop, ti vuoi muovere? – esclamò annoiato il capitano.
– Sì, accidenti, sto pensando...
Il suo sguardo cadde sulla porta socchiusa della cucina dove Sanji stava prababilmente finendo di lavare le stoviglie e dove Nico Robin stava sorseggiando in pace il suo tè della sera, prima di andare a dormire. Si chiese dove si fosse andata a cacciare Nami ma fu allora che gli venne un’ida.
Un’idea geniale.
– Ho trovato! – esclamò all’improvviso facendo spaventare il povero Chopper che si svegliò di soprassalto. – Scommetto che non riuscirai a rubare i soldi che Nami nasconde in camera sua! – disse tutto d’un fiato e abbassando notevolmente la voce.
Non voleva che nessuno, navigatrice in primis, lo sentisse.
– Eh?!
Franky guardò il cecchino come se fosse completamente impazzito – Fai sul serio? –
– Certo che sì – rispose, fiero di essersi fatto venire in mente il modo per vincere un bel gruzzoletto senza alzare un dito – Ci stai, Rufy? –
– Yohohoho!... è impossibile riuscirci, Usop... – cominciò a dire Brook
Il capitano stava ponderando seriamente l’idea di tentare, dopotutto non poteva tirarsi indietro dopo che tutti quella sera avevano vinto le loro scommesse. Persino lo scheletro ci era riuscito, benchè invece di rubare le mutandine era riuscito soltanto a sgraffignare un calzino ma era meglio di niente.
– Rendiamo la scommessa ancor più interessante – bofonchiò Zoro, risvegliatosi non si sa bene come e perché dal suo sonno profondo: – Rufy, se non riesci a rubare i soldi, allora dovrai baciare la navigatrice.
Franky sgranò gli occhi nello stesso momento in cui Brook cominciò a perdere misteriosamente sangue dal naso, intanto Usop ghignò ancora più convinto di poter vincere quella scommessa – Allora, capitano, accetti la sfida?
Rufy alzò lo sguardo verso i compagni e annuì.
– Vincerò la scommessa!




Vincerò un bel pugno, altroché.
Avrebbe dovuto saperlo che sperare di rubare a Nami equivaleva a tentare il suicidio, era praticamente impossibile vincere. Che fare, allora?
Rufy sapeva di avere un asso nella manica, anche se con la sua testa bacata ci era arrivato dopo anni di patemi d’animo. Solo lui poteva vincere quella scommesa!
– Ehi, Nami, posso dirti una cosa?
La navigatrice fece stridere i denti tra loro, brutto, bruttissimo segno e Usop già aveva in mente una maestosa lapide per il proprio capitano quando, improvvisamente, tutto tacque. Nel senso che Nami smise di battere furente il piede a terra.
Smise di respirare.
Franky chiuse gli occhi, Brook li spalancò ben bene anche se come poteva farlo rimaneva comunque un mistero e Chopper non capì immediatamente cos’era appena successo. Fu Sanji a dire al mondo intero cos’era accaduto, probabilmente la notizia arrivò fino a Fishman Island e dintorni: – Come hai osato?!! Brutto imbecille!!
Era tentato di saltargli addosso e strozzarlo con le sue stesse mani ma fu Robin a trattenerlo nascondendo un sorrisetto entusiasta.
– Co... Cosa...?
Il cervello di Nami smise di funzionare, aveva già smesso sette secondi prima per la verità e aveva il respiro pesante, neanche avesse corso la maratona da lì ad Alabasta.
Rufy sorrise ampiamente e poi fece la più grande stronzata del mese.
Urlò.
– Ho vinto!!
Usop si spalmò una mano sulla faccia scuotendo la testa, alché Zoro sospirò.
Il musicista era collassato qualche metro più in là e nessuno sapeva bene per quale motivo, Chopper gli stava prestando soccorso. Franky osservò tutta la scena, successe tutto troppo in fretta e troppo brutalmente per poterlo raccontare.
Sapeva soltanto una cosa: il suo capitano aveva ancora molto da imparare sulle dinamiche amorose e sul genere femminile. Prova di ciò? Gli occhi gonfi e viola, il bernoccolo piazzato in mezzo alla fronte, un dente spaccato a metà e il sangue che usciva a fiotti dalla narice destra.
– Però ho vinto – osservò fiero, alla fine.












#E olè! Prima Rufy/Nami!
Prima di una luuuunga serie... In questa mini One Shot i ragazzi hanno fatto una scommessa: sarebbe riuscito Rufy a rubare i soldi della bella navigatrice o, in alternativa, baciarla? Eh beh, congratulazione al futuro Re dei Pirati! ^^
Ho cercato di non stravolgere il nostro ingenuo capitano e spero tanto di esserci riuscita.
Alla prossima con il prossimo prompt...

rosy

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Capitolo 2
*** Bacio senza motivazione + Abbraccio da dietro [Rufy/Nami] ***



Bacio senza motivazione + Abbraccio da dietro




Era lì che ammirava l’alba, seduto a gambe incrociate sulla polena della Thousand Sunny. Non era raro che si svegliasse così presto, anche se normalmente preferiva dormire fino a che il sole non fosse già alto nel cielo o fino a che Sanji non lo chiamava per la colazione.
Quella mattina era diversa dalle altre. Aveva più fame del solito e si sentiva impaziente, c’era qualcosa che premeva infondo al suo stomaco. Chissà cos’era. Forse lo spezzatino della sera prima.
Intento com’era a godersi lo spettacolo che si accorse della presenza di Nami alle sue spalle soltanto dopo averla sentita attirare la sua attenzione.
– Buogiorno –
Lui le sorrise ampiamente, come al solito – Ciao! –
Era molto presto e lei indossava un golfino leggero, i lunghi capelli arancioni danzavano seguendo la piacevole brezza marina.
– Vieni a sederti qui – le suggerì, slegando le gambe e facendole intendere di sedersi davanti a lui cosicché potesse vedere anche lei l’alba.
Per la verità aveva tante cose da fare, Nami, per esempio doveva terminare di disegnare la cartina di Wa ma accettò comunque l’invito del capitano. Un poco per volta lo raggiuse, cercando di rimanere in equilibrio sulla testa di leone.
Si era sempre chiesta come facesse quello stupido a non avere paura di cadere.
Per lui, poi, era ancora più pericoloso poiché aveva mangiato un frutto del diavolo: se fosse caduto in mare sarebbe annegato in un batter d’occhio.
– Come mai sveglio a quest’ora? – gli chiese.
Rufy le sorrise e indicò l’orizzonte con un movimento del capo – Volevo vedere l’alba. Oggi è ancora più bella del solito – spiegò.
Lei non ne era affatto sorpresa, Sanji le aveva detto che qualche volta gli capitava di vedere il capitano seduto sulla polena o in cima all’albero maestro mentre si indaffarava a preparare la colazione. Non era un segreto. A volte anche Nico Robin l’aveva visto, mentre riportava in biblioteca il libro letto durante il turno di guardia.
E a proposito di turni di guardia... – Zoro è tornato in cabina? –
Il moro annuì.
Nami decise poi di concentrarsi sul sole che pian piano usciva dal mare. Il cielo era diventato di un rosa candido e le nuvole sembravano fatte di zucchero filato, come quello che Chopper tanto amava.
Rabbrividì a causa di una folata di vento un po’ più forte e fredda delle altre, niente di nuovo dato che si trovavano nel Nuovo Mondo, ma si ritrovò a strofinare le mani sulle braccia per tentare di scaldarsi. Rufy lo intuì e, senza avvertirla, allungò le braccia in avanti e l’abbracciò da dietro poggiando il mento sulla sua spalla.
Nami rimase immobile, percepiva il calore del suo petto e del suo respiro sul collo. Non si lamentò neanche del fatto che le stava involontariamente tirando qualche capello e lentamente si lasciò andare, aderendo la schiena ai suoi addominali scolpiti.
Schiuse le labbra e inspirò profondamente come per assaporare il momento.
Avvertì l’odore della salsedine pizzicarle il naso e sorrise involontariamente.
– Ehi Nami –
Lei si voltò per cercare di guardarlo e fu allora che le labbra del ragazzo catturarono le sue, all’improvviso. Con una naturalezza che la spiazzò, come se non avesse fatto altro nella sua vita se non baciarla.
Si ritrovò a chiudere gli occhi, lui li aveva già chiusi da un pezzo, e cercò di imprimere la sensazione di quel dolce bacio sulle labbra. Quando si staccarono, nello stesso esatto momento l’uno dall’altra, lei avvertì le guance colorarsi lievemente di rosso.
Non era imbarazzata per il bacio di per sè, ma perché Rufy la fissava totalmente rilassato.
– Perché...? – gli chiese, curiosa.
Lui alzò le spalle e le sorrise limpido – Non c’è un motivo. Volevo solo farlo –
Poteva dire di conoscerlo, Nami. Rufy era una persona parecchio istintiva e quando faceva una cosa spesso neanche lui sapeva il perché e questo la lusingò parecchio.
Si girò dall’altra parte, verso l’orizzonte, ormai il sole era perfettamente visibile, mentre un sorriso nasceva spontaneo sulle sue labbra. Ancora una volta.
Appoggiò nuovamente la schiena contro il suo petto e abbandonò la testa nell’incavo del collo, mentre lui strinse inavvertitamente le braccia attorno alla sua vita.
– Ti sei arrabbiata? – le chiese, temendo il peggio per un attimo.
Lei ridacchiò e scosse la testa, alché lui tornò a rilassarsi.
Sospirò mordendosi il labbro inferiore: Aspetterò...










# Questa è stata una giornata profiqua, già ben due OneShot! La seconda è decisamente più Fluff che altro... ^^ grazie per essere arrivati sin qui, è un piacere scrivere per questa Challenge!

rosy

 

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Capitolo 3
*** Abbraccio scontroso [Sabo/Koala] ***


Abbraccio scontroso




– Dai, non arrabbiarti così –
La ragazza sbuffò infastidita e voltò il viso dall’altra parte, mantenendo la sua postura rigida e le braccia incrociate sotto al seno. Gliel’aveva detto, gliel’aveva ripetuto mille volte di stare attento e di seguire gli ordini che gli erano stati affidati così da non correre inutili rischi.
Ma quando mai la stava a sentire! Quell’idiota, stupido,... idiota!
– Koala? –
Lei sbuffò ed evitò il suo sguardo quando Sabo le girò attorno con un’espressione supplichevole. Anche perché se l’avesse guardato il suo sguardo sarebbe caduto sulle fasciature lasciate in bella vista sul torace a causa della camicia sbottonata.
Non voleva e non poteva perdornarlo di nuovo a cuor leggero o non avrebbe imparato mai la lezione, quello stupido.
– È inutile che mi giri intorno, sono troppo arrabbiata. Mi hai anche attaccato il lumacofono in faccia. Di nuovo – spiegò con voce lenta e dura.
Sabo non sapeva più che fare per farsi perdonare.
A quel punto Koala prese e girò i tacchi, nel senso che se ne andò senza dire più neanche una parola e lasciando il biondo in mezzo al corridoio come un ebete.
Sospirò – E adesso cosa faccio? –
– Cosa succede, Sabo? –
Quando si voltò rimase sorpeso di vedere Hack camminare nella sua direzione nonostante fosse tornato soltanto il giorno prima da una missione nella quale era stato ferito. Deglutì e prese a massaggiarsi la nuca, visibilmente in difficoltà – Ehm, vedi, Koala è arrabbiata con me e... –
– Beh, ha ragione – lo interruppe l’uomo pesce.
– Lo so anche io questo! – ribattè offeso, per poi abbassare le spalle sconsolato – Ma non so come rimediare –
Hack aprì la bocca per parlare ma venne interrotto da una voce femminile alle sue spalle, la giovane Ahiru guardò Sabo come fosse un bambino al quale avrebbe cercato di spiegare l’origine del mondo o qualche altro mistero esistenziale – Potresti cominciare a fare attenzione a quello che fai quando sei in missione. A non trascurare gli ordini e di seguire il piano. Soprattutto potresti evitare situazioni spiacevoli dalle quali esci sempre con qualche osso rotto –
La pacatezza che usò nascose il suo reale stato d’animo: dentro di lei stentava davvero a credere che la sua amica si fosse presa una cotta per un cretino del genere, che non riusciva a non mettersi nei guai.
Sabo corrucciò le sopracciglia – Sì ma... stai dicendo che è arrabbiata perché mi sono fatto male? –
Ahiru sospirò e alzò gli occhi al cielo – Sto dicendo che sei uno stupido che si butta a capofitto senza riflette e che se ne frega di è preoccupato per lui! – esclamò, questa volta non riuscì a trattenersi del tutto.
Il biondo si prese del tempo per riflettere. Arricciò le labbra e piegò la testa di lato, intanto gli altri due rivoluzionari lo fissavano immobili.
Poi d’un tratto capì e un largo sorriso gli illuminò il viso.
– Ho capito! Grazie, ragazzi! – e corse via.
Ahiru portò la mano metallica sul fianco e lanciò un’occhiata ad Hack che sospirò.



Lesse per la tredicesima volta la stessa riga di quel maledettissimo rapporto e, frustrata, battè la penna sulla scrivania con violenza.
Era davvero arrabbiata. E si sentiva in colpa per averlo trattato male.
Era ovviamente anche preoccupata per lui. Ma allo stesso tempo avrebbe voluto tirargli le guance fino a farlo lacrimare.
Poi la porta della sua camera si spalancò all’improvviso e lei sobbalzò sulla sedia quando niente di meno che Sabo fece la sua apparizione, estremamente serio in volto – Koala! – quasi urlò – Ti chiedo scusa! – e si inchinò dinanzi a lei.
Era... esterrefatta.
Stava per aprire bocca ma lui alzò il capo e la interruppe – Sono un irresponsabile e un egoista, lo ammetto! Me ne rendo conto, ma vorrei che tu mi perdonassi. Ti giuro che non lo farò mai più –
Koala restò ammutolita sulla sedia, gli occhi spalancati e la bocca socchiusa.
Cioè... sarebbe scoppiata a ridere per la sua faccia incredibilmente seria se fosse stato un altro momento – Ecco... tu... lo prometti? Che non farai più niente di stupido? –
Sabo annuì immediatamente.
Abbassò allora lo sguardo sulle sue mani poggiate sulle ginocchia, solo dopo interminabili secondi lo rialzò – Okay. Ti perdono –
Il sorriso raggiante del ragazzo la investì in pieno, non lasciandole scampo.
– Evviva! E ora non ci resta che sigillare la promessa! –
Koala perse un battito – C...Come scusa? –
Lui le si avvicinò tutto contento e, come reazione spontanea, la ragazza si alzò tentando di fare un passo indietro. Sabo allargò le braccia e le sorrise – Sigilliamo la nostra promessa con un abbraccio! –
Non ne era sicura ma aveva come la sensazione, lei, che la sua faccia si fosse scaldata a dismisura per quello che le stava dicendo.
– Non... Non ce n’è bisogno – tentò di dire ma Sabo non voleva proprio saperne di lasciare perdere. Sembrava stranamente determinato.
– Eddai, uno soltanto –
Gonfiò le guance e il sorriso di Sabo si allargò.
Non era soltanto imbarazzata ma le sembrava tanto una scusa per essere sicuro di farle dimenticare di essere arrabbiata con lui. Lo fissò per un tempo quasi infinito e alla fine dovette cedere.
Gli si avvicinò un passo per volta, lentamente, come se lo temesse. Allungò le braccia oltre il suo busto e le posò delicatamente sulla sua schiena per non fargli male.
Non osava guardarlo in faccia.
Lo sentì ridacchiare prima di stringerla in un abbraccio ben più caloroso del suo.
– Promessa sigillata! Ti prometto che non farò più niente di stupido! –
Koala sorrise, tanto non poteva vederla. Spinse leggermente il naso contro la sua spalla e chiuse gli occhi, sciogliendosi tra le sue braccia.
Sorrise, Koala, perché sapeva che quella promessa era già stata infranta nel momento in cui le aveva permesso di innamorarsi di lui.












# Io li adoro. Adoro Sabo e Koala. Basta.
Spero che vi sia piaciuta ^^ così com'è piaciuto a me scriverla...! Ciao!

rosy

 

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Capitolo 4
*** Bacio con dichiarazione [Zoro/Tashigi] ***


Dichiarazione con bacio




Mica poteva saperlo, Zoro, che una volta sbarcato su quell’isola avrebbe avuto tra i piedi quella marine occhialuta tutto il tempo!
All’inizio l’aveva beccata a seguirlo lungo il sentiero della foresta, credeva di averla seminata ma si rese conto di essersi perso e che quella dannata era ancora lì a spiarlo da dietro un albero. L’aveva richiamata, intimandole di smetterla di seguirlo.
Macchè! Era una gran testarda.
Intanto i suoi compagni erano finiti chissà dove e non trovava la giusta via d’uscita.
– Hai girato intodo tutto il tempo, Roronoa – gli disse quella decidendosi a uscire allo scoperto – Non hai proprio il senso dell’orientamento –
Zoro ingoiò un insulto e riprese a camminare, ovviamente nella direzione sbagliata.
– Fermo! L’uscita è di là – e indicò il sentiero sulla destra.
– Non te l’ho chiesto, mi pare –
Tashigi sospirò – Sei veramente un ottuso –
– Se non ti sto simpatico, allora vuoi dirmi perché mi hai pedinato fin qui?! – ribatté a muso duro.
La ragazza deglutì e per un attimo non rispose, Zoro pensò non l’avesse sentita e ripetè la domanda ma questa volte lei lo inidicò con un dito – Ti osservavo p-perchè ho intenzione di sconfiggerti e prendermi la Wado Ichimonji! –
Zoro roteò gli occhi al cielo – Ancora con questa storia? –
– Sta’ zitto! – gli urlò addosso, assumendo una strana colorazione rosea sulla guance.
Ma che le prende? È più strana del solito...
Il pirata sospirò, non nepoteva più di tutti quei problemi. Inizialmente il suo piano era quello di trovare un posticino tranquillo dove riposarsi, dato che sulla Sunny c’era il cuocastro che non lo lasciva dormiro a dovere.
E ora si ritrovava a dover assecondare un marine che l’aveva pedinato tutto il giorno e si era permessa di prenderlo in giro sul suo senso dell’orientamento.
– D’accordo – disse infine posando la mano sull’elsa di una delle sue spade – Ma se vinco mi lasci in pace, chiaro? –
Tashigi annuì, sguainò la Shigure e partì all’attacco.

 

– Ho vinto – la canzonò rinfoderando la spada – Addio –
La lasciò lì a terra, prima di imboccare il sentiero che gli aveva indicato poco prima.
Tashigi respirava affannosamente, era stata sconfitta in pochi attimi e, com’era successo anche ad Alabasta, non si era neanche degnato di fare sul serio con lei.
Si sentiva umiliata. Umiliata e triste, sì, perché quello spadaccino era un vero maleducato e le aveva detto addio come se nulla fosse.
Strinse i fili d’erba tra le dita e soffocò un grido di frustrazione.
Che tu sia dannato Zoro Roronoa!
Che poi, perchè si sentiva così male? Non era la prima volta che perdeva un incontro, si allenava ogni giorno per questo, per migliorare.
O forse erano state le sue parole? Addio, le aveva detto.
Si prese la testa tra le mani e cominciò a dimenare le gambe come un anguilla – Quello stupido! – ed era anche lei, una stupida.
Si fermò e fissò gli occhi sulle fronde degli alberi mossi dal vento. Piccole particelle di luce le colpivano il viso di tanto in tanto ma era sopportabile.
Sospirò e decise era era arrivato il momento di tornare alla base quando il rumore di un ramo spezzato la fece scattare in piedi. La sua mano corse all’elsa della spada ma la rinfoderò subito quando davanti ai suoi occhi riapparve il pirata.
– Non ci credo, ancora tu! Mi segui ancora?! – fece lui.
Tashigi non seppe se mettersi a ridere o a urlare – Io non mi sono mossa da qui, Roronoa. Sei tu che sei tornato indietro –
Zoro imprecò un paio di volte.
Stava per tentare un’altra volta quando la voce della ragazza lo fermò – Aspetta! – esclamò, abbassando lo sguardo sulla punta dei suoi stivali – Devo dirti una cosa –
Lui incrociò le braccia al petto voluminoso e attese, scocciato.
– Oggi non ti ho seguito soltanto perchè volevo sfidarti ma anche p-perché io... cioè a me... t-tu... – era diventata rossa fino alla punta dei capelli.
– Piantala di balbettare, non capisco niente così –
Gli lanciò un’occhiataccia ma riabbassò subito lo sguardo sul terreno. Cosa le stava succedendo? Se i suoi sottoposti l’avessero vista in quelle condizioni le avrebbero dato dell’impostora... dopo averle fatto sapere di essere coooosì tenera, ovviamente.
Prese un bel respiro e cercò di raccogliere tutto il coraggio insito dentro di lei e di colpo alzò gli occhi sul pirata, gli si avvicinò a grandi falcate.
Vai, Tashigi, ce la puoi fare!
Lo agguantò per i bordi del suo kimono verde e senza dargli il tempo di capire alcun che lo baciò, così, di getto. Era un semplicissimo bacio a stampo, Tashigi restò con le labbra incollata alle sue per qualche secondo e dovette racimolare tutta la sua forza di volontà per staccarsi. Lo guardò negli occhi, lui rosso in viso e con un’espressione a metà tra l’allibito e l’imbarazzato.
Cercò di ignorare lo sfarfallio nella sua pancia e parlò – Mi piaci! –
Zoro, se possibile, sgranò ancora di più gli occhi.
– Questa è una promessa, Roronoa, ti batterò, mi prenderò la tua spada e t-ti farò innamorare! – esclamò tutto d’un fiato.
Poi girò i tacchi e fuggì via.


 
Mentre Tashigi si ripeteva mille volte di essere stata una stupida dopo essere tornata dai suoi sottoposti che l’avevano attesa con gli occhi a cuoricino, Zoro era finalmente riuscito a uscire da quella dannata foresta.
Era quasi il tramondo, ci aveva impiegato ore, ma alla fine era tornato.
– Ehy, Zoro! Che fine avevi fatto? – gli chiese Rufy dondolando a gambe incrociate sul parapetto – Credevamo ti fossi perso –
– Si è perso – gli sussurrò Usop ridacchiando.
Nico Robin scambiò un’occhiata d’intesa con la navigatrice che ghignò – Come mai quel sorriso stampato sulla faccia? –
Gli altri membri della ciurma si voltarono a guardarlo contemporaneamente e benché fosse inquietante, lo spadaccino si limitò a una scrollata di spalle – Niente di che – disse soltanto.
Nami sbuffò imbronciata e tornò a concentrarsi su quel che stava facendo.
Una cosa era certa, pensò Zoro, la prossima volta non si sarebe fatto trovare impreparato da quell’imbranata di un marine.












# Salve! Devo ammettere che ero combattuta perché non sapevo quale coppia utilizzare per questo prompt, le alternative erano Rufy/Nami o Sabo/Koala, ma volevo provare a cimentarmi con questi due e devo dire che non mi dispiace com'è venuta fuori ^^ spero pensiate anche voi lo stesso...
Ho voluto mantenere apposta un finale 'aperto' e lasciare che fosse solo Tashigi a confessare i propri sentimenti, un po' contrastanti. Lei lo vede come un rivale, un pirata, la ragazza invece è un marine che non è ancora al livello di Zoro. Quindi sì, io li vedo così... almeno all'inizio.
Vi ho trattenuto anche troppo, ciao!

rosy



 

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Capitolo 5
*** Bacio per amore [Rufy/Nami] ***



Bacio per amore




Lo sentì chiaramente.
Sentì il suo cuore perdere un battito nel momento esatto in cui incontrò i suoi occhi e ripensò a tutti quei momenti, tutto quel tempo perso dietro alle sue paranoie.
Rufy la guardava, aveva il respiro affannato non solo per la paura che fino a poco tempo prima gli attanagliava il petto ma anche per la fatica.
– Nami! – pronunciò il suo nome come fosse un balsamo.
Le si avvicinò barcollando sulle gambe graffiate, le si avvicinò e Nami non perse tempo, gli avvolse le braccia attorno al collo e lo attirò a sè. Era stato istintivo, per lei, dopo giorni chiusa in una stanza senza poter vedere la luce o i suoi compagni, tenuta prigioniera da un pirata meschino e poco intelligente.
Gia. Poco intelligente perchè aveva deciso di mettersi contro la ciurma di Cappello di Paglia e soltanto nell’alto dei cieli sanno cosa comporti ciò, le conseguenze a cui chinque va incontro dopo aver fatto del male a un suo componente.
L’aveva capito non appena l’aveva visto, Rufy gliele aveva suonate di santa ragione e aveva vinto (ovvio che aveva vinto!) seppur portandosi a casa diverse ferite.
Nami ignorò l’odore pungente del sangue che le imbrattava i vestiti e la pelle, si concentrò unicamente sulle mani del capitano premute attorno alla sua vita. Era così felice di vederlo. Così felice che non ci pensò due volte.
Allontanò il viso dal suo petto e lo guardò nuovamente in quegli occhi fiammeggianti.
Quasi perse il respiro, ma la vera sorpresa fu che entrambi, contemporaneamente, annullarono la distanza che li separava.
Nami ignorò il sapore ferroso del sangue, Rufy ignorò il dolore che gli procurava il labbro spaccato.
Era un bacio dolce, soffice, ma carico di significato.
Si dissero tutto quello che c’era da dire.
Grazie per avermi salvata
Sono contento che stia bene
Sapevo che avresti vinto
Non permetterò a nessun’altro di portarti via da me
E poi, il messaggio più importante di tutti.
Quello che si lanciavano ogni volta che incrociavano lo sguardo, quello che li faceva sorridere in qualsiasi circostanza, quello che si imprimevano sulla pelle ogni qualvolta si sfioravano anche solo per sbaglio.
Nami si tirò indietro, era ferito e non voleva di certo farlo morire soffocato.
Lui la guardò ancora, era bellissima anche con il viso impolverato e i capelli in disordine. Se ne andarono da quel sotterraneo tenendosi per mano e con quella frase incisa sui loro cuori.
Ti amo









# Ebbene, rieccomi ^^ Di nuovo con questa bellissima coppia.
Questa Flashfic è un po' strana perché il contesto in cui si muovono i due personaggi è un po' vago, ma è intuibile da poche e semlici frasi. Comunque, ho immaginato una Nami in pericolo (non che non sappia difendersi, eh, ma anche per questo ho evitato di inserire troppi dettagli, per evitare di far deviare l'attenzione dal vero fulcro) e un Rufy che corre in suo aiuto.
Alla base della storia c'è un forte senso di fiducia: Nami, infatti, sapeva che il suo capitano avrebbe vinto la battaglia. Ma non solo.
Il prompt era 'bacio per amore' e ho voluto scegliere di rappresentare un tipo di amore per cui non sono necessarie le parole, basta un bacio. Un bacio ricolmo di amore... ma adesso basta che sto diventando troppo sdolcinata ^^ la prossima sarà un angst, quidi tenetevi forte!

rosy

 

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Capitolo 6
*** Abbraccio di conforto [Sabo/Koala] ***


Abbraccio di conforto




Quasi moriva di paura. Vederlo urlare in quel modo, ancora peggio vederlo cadere in quel modo, come se fosse morto... Koala scosse la testa cercando di rimuovere quelle terribili immagini dalla mente.
Sabo aveva solo avuto uno shock. Così aveva detto Joe.
Ma allora perché non si sveglia?, si chiese per la millesima volta.
Koala gli strinse la mano, gliel’accarezzò con il pollice disegnando dei cerchi immaginari sui suoi palmi e trattenne le lacrime. Era da tantissimo tempo che non piangeva, quasi si era dimenticata come si fa.
Lo guardò e percepì un leggero movimento delle palpebre, poi lo sentì sussurrare.
Era da giorni che sussurrava il nome del pirata morto durante la guerra di Marineford, un suono straziante che arrivò dritto alle orecchie della ragazza.
Senza pensarci strinse la presa sulla sua mano e Sabo si mosse.
Stava per chiamare Terry o qualsiasi altro rivoluzionario ma il biondo si alzò di soprassalto come risvegliatosi da un incubo terribile. Aveva il respiro affannato, gli occhi sgranati e stringeva il lenzuolo nella mano libera, le dita di Koala nell’altra.
Quasi non si accorse di lei.
Si voltò a guardarla come a voler parlare ma la voce gli morì in gola.
– Sabo? Stai bene? – gli chiese ma era una domanda inutile da fare.
Era ovvio che non stesse bene, si diede della stupida.
Intanto Sabo spostò gli occhi dal suo viso alla parete di fronte a lui senza smettere di tremare, continuanto per a stringere la sua mano. Stretta, per altro, ricambiata.
Sperava di potergli prestare la forza di parlare, di sfogarsi con lei in qualche modo.
Poi sussurrò nuovamente quel nome.
Ace...
E poi un altro ancora, quello di un altro pirata, Rufy.
– Perché? Perchè è dovuto succedere? – disse piegando la testa in avanti, verso le ginocchia piegate, come se non riuscisse a reggerla.
Koala non sapeva cosa dire, non sapeva che tipo di relazione legasse Sabo a quei due pirati. Non sapeva nulla.
– Sabo... cosa... cosa posso fare? –
Il biondo non sembrò sentirla. Koala represse il gemito il dolore quando la presa sulla sua mano divenne quasi impossibile da sopportare.
La porta si aprì e Hack entrò nella stanza del capo di stato maggiore – Si è svegliato? –
Koala annuì, le lacrime agli occhi che minacciavano di uscire – Sì ma... –
– Maledizione! – urlò Sabo mollando la presa sulla mano della ragazza – Perchè?! Perchè... è morto? Ace...! – continuò a ripetere quella stessa frase più e più volte stringendo le dita tra i capelli.
Hack stava per avvicinarsi ma arrestò il passo quando vide sgorgare tante, troppe lacrime dai grandi occhi del rivoluzionario.
– Sabo... spiegaci – si azzardò a dire l’uomo pesce.
Koala si morse il labbro inferiore.
Il biondo cercò di ripristinare il suo respiro, scosso dai singhiozzi, come quelli di un bambino ma non alzò lo sguardo – Ace... Ace è... – si fermò per altri interminabili secondi prima di continuare – era... mio fratello –
Hack sgranò gli occhi, mentre la ragazza lasciò finalmente che le lacrime le rigassero il volto. Poteva solo provare a immaginare quello che stava provando.
– Se io non avessi perso la memoria... se ci fossi stato anche io lì, a Marineford... – cominciò a dire, ma dovette fermarsi.
È anche colpa mia, questo sembrava gridare.
Koala scosse la testa. Come se potesse vederla.
Prima ancora che se ne rendesse conto si inginocchiò sul bordo del letto e gli gettò le braccia al collo.
 


L’aveva sognato.
Lui, Ace e Rufy stavano come al solito giocando ai pirati e alla fine della giornata si erano ritrovati sull’alta scogliera del Monte Corbo.
Erano felici. I suoi fratelli litigavano per chi avesse steso quell’enorme cinghiale e le stelle brillavano sopra le loro teste, più luminose che mai.
Poi tutto scomparve. Il buio li inghiottì e lui si era ritrovato solo.
Aveva cominciato a urlare, a chiamare i suoi fratelli come un pazzo e solo dopo un tempo infinito li ritrovò... morti.
Un incubo.
Quando aveva aperto gli occhi l’immagine dell’annuncio erano ancora vivide nella sua mente, la foto del suo corpo a terra sporco di sangue e sentì il cuore spezzarsi.
Cominciò a mancargli il respiro.
Non si sentiva per niente bene e stava facendo preoccupare Koala e Hack.
Ace...
Sabo si sentì male dappertutto nel ripensare ai momenti felici vissuti insieme. Aveva come un enorme masso a schiacciargli il cuore, la gola, la testa, e l’unica cosa che riusciva a fare era piangere e urlare e chiedersi perchè.
Perché era dovuto morire?
Se io non avessi perso la memoria.
Perché proprio suo fratello?
Se ci fossi stati anche io lì, a Marineford.
– Perchè?! –
È anche colpa mia!
Poi la sentì.
Koala.
L’aveva abbracciato e percepì tutto il suo calore in un quell’abbraccio, a cui Sabo si aggrappò come se ne dipendesse la sua stessa vita. Si aggrappò disperatamente alle spalle della ragazza chiedendo perdono per essere così debole, chiedendo perdono a Ace e Rufy per non esserci stato nel momento del bisogno.
E si sentì un poco meglio.
Ma solo un po’.
 














# Mamma mia, che tristezza... T.T 
Alla prossima!

rosy

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Capitolo 7
*** Abbraccio d'addio [Roger/Rouge] ***


Abbraccio d'addio




Se c’era una cosa di cui era sicura, Rouge, era che presto o tardi qualcosa sarebbe accaduto. La sua era una sensazione che percepiva sotto la pelle.
Dietro le unghie, infondo alla lingue, in ogni cellula del suo corpo. E stava male.
Non perché presto sarebbe rimasta da sola ma perché sapeva che l’uomo che aveva tanto amato stava per intraprendere un viaggio da cui non avrebbe fatto più ritorno.
Lei sapeva della sua malattia, gliel’aveva confidato una notte.
Quella notte.
E mentre portava istintivamente la mano all’addome piatto, la sua mente percorreva i singoli momenti che aveva vissuto con quell’uomo.
Il primo incontro, la prima parola, il primo sorriso, il primo battito perso, il primo bacio rubato, il primo sussurro, la prima promessa... a breve ci sarebbe stato anche il primo (ed ultimo) addio.
Lo aspettò seduta sulla panchina, la luce del tramonto illuminava le sue iridi rossastre e le imporporava le guance. Forse era anche l’emozione.
Dopotutto stava per dirglielo.
Rouge si accorse della sua presenza quando sentì le foglie secche scricchiolare sotto il suolo delle sue scarpe. Lo vide, più bello che mai nonostante l’eccessivo pallore, e gli sorrise.
Si alzò e si guardarono negli occhi.
– Sono qui –
Lei ridacchiò – Già. Me ne sono accorta –
Roger allargò di più il suo sorriso. Lei non poteva sapere che nella sua mente, in quell’esatto momento, si stava tenendo una battaglia.
Quanto avrebbe voluto portarla con sè in viaggio, continuare a stare al suo fianco fino alla fine dei suoi giorni e ridere dei momenti imbarazzanti, di quelli felici e tristi passati insieme.
Quanto sarebe stato bello vederla invecchiare, punzecchiarlo e rimproverarlo per le azioni stupide che compiva. Roger era però consapevole del mondo e che la sua posizione non gli avrebbe permesso di farle vivere serenamente.
Tra l’altro sarebbe morto molto presto... era forse questo l’unico rimpianto che aveva.
Non avrebbe potuto morire insieme a lei.
– Devo dirti una cosa – cominciò Rouge, seria in volto, ma la luce d’eccitazione nei suoi meravigliosi occhi scarlatti la tradivano.
Roger si fece così curioso – Dimmi –
Lei abbassò per un attimo lo sguardo sulle punte delle loro scarpe, vicine, poi tornò a guardarlo e poggiò i palmi sulla propria pancia sperando che lui capisse al volo.
Roger arricciò il naso e lei scoppiò a ridere.
– Sono incinta, Roger –
Lui dapprima sbattè le palpebre un paio di volte, poi sgranò gli occhi e spalancò la bocca cominciando a balbettare cose senza senso e infine deglutì, facendole segno di rimanere in silenzio perché stava effettivamente metabolizzando l’informazione.
– Wow – disse, alla fine di tutto il teatrino.
Rouge trattenne una risata – Eh già –
Senza preavviso il pirata la prese in braccio e la fece volteggiare due o tre volte, ridendo come un pazzo – Avrò un figlio! Un figlio!! –
Anche lei rise, rise di felicità e per un attimo si dimenticò dell’imminente partenza.
Quando Roger la fece tornare con i piedi per terra, Rouge allungò le mani verso il collo della sua camicia e lo costrinse a guardarla – Con questo non intendo costringerti a rimanere. Staremo bene. Non preoccuparti –
Si era fatta seria all’improvviso.
– Certo che starete bene. Sei la mia donna e lui il nostro bambino –
Lei lo guardò di traverso – Stai parlando come se già sapessi che è un maschio –
Roger rise genuinamente.
– Beh, devo ammettere, però, che mi piacerebbe avere una femmina –
– Vorresti scegliere il suo nome? – gli chiese.
Lui volse lo sguardo verso l’orizzonte, il mare tinto del rosso del tramonto era bellissimo, ma mai più bello degli occhi della donna che amava – Che ne dici di Ann o Ace? –
Rouge finse di pensarci e subito dopo annuì.
– Mi piacerebbe che avesse le tue lentiggini – sussurrò facendo unire le loro fronti.
Lei sorrise ma non disse niente. Cominciava a sentire un pesante groppo in gola, tentò di ricacciarlo dentro ma era più difficile di quanto immaginasse.
Lo amava. Lo amava tantissimo. E presto se ne sarebbe andato.
– Mi mancherai, Rouge –
Una lacrima le sfuggì. Maledetto, stava resistendo così bene.
– Ti amo – gracchiò, la voce rotta dal pianto.
Roger ridacchiò – Cosa fai, piangi? – la vide sbuffare e distogliere lo sguardo, ma le prese il viso tra le mani e la fece voltare – Ti amo anch’io –
E l’abbracciò.
Era un abbraccio disperato.
Il loro modo per dirsi addio.
 











# Macciao! ^^ Adoro Roger, non c'è niente da fare... chi è in pari col manga capirà (spero).
Cooomunque, io spero sempre che ci venga detto qualcosa di più riguardo questa fantastica donna che è Rouge. Io me la immagino così, forte e determinata, ma anche dolce e spiritosa.
Eheh ^^ Ciao!

rosy

 

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Capitolo 8
*** Abbraccio assonnato [Rufy/Nami] ***


 
Abbraccio assonnato




– Che bello... – sbadigliò senza ritegno – ...il campeggio! –
Robin sorrise intenerita.
Dopo quasi sei ore di festa ininterrotta, alla fine, perfino il capitano dovette arrendersi alla stanchezza e cadde come un sacco di patate addosso a un Usop stremato. Accanto a lei Chopper si era accucciato e ogni tanto parlava nel sonno.
– Finalmente è crollato – sospirò Sanji, per poi spegnere la sigaretta su di una pietra.
Il cuoco si alzò dal tronco su cui era seduto, aveva in mente di condurre la bellissima navigatrice nella propria tenda in braccio come una sposa, dato che si era appisolata con la testa appoggiata alla spalla dello zuccone coi capelli d’alga.
Grugnì un insulto a mezza bocca e fece per avvicinarsi ma un calcio allo stinco lo fece cadere di faccia, di conseguenza Franky scoppiò a ridere e Chopper si svegliò di soprassalto, guardandosi attorno come un cucciolo spaventato.
Era stato Rufy a mollargli quel colpo mentre dormiva e farfugliando parole alle rinfusa e che insieme non sembravano avere un senso preciso.
– Sanji, che fai a terra? – gli chiese Nami, ormai sveglia anche lei mentre si stropicciava un occhio.
Il biondo ingoiò le imprecazioni e si tirò sù fingendo un sorriso e offrendosi di prepararle una tisana prima di andare a dormire, ma la ragazza rifiutò. Era talmente stanca che si sarebbe riaddormentata se non fosse subito tornata in tenda.
In meno di dieci minuti le ragazze si rintanarono nei propri sacchi a pelo, imitate dai restanti pirati ancora svegli.
 

Sarebbe potuta essere una nottata come le altre se non fosse stato per Nico Robin che si alzò per dare il cambio di guardia allo spadaccino, approfittandone anche per osservare la coltre di alberi immersi nel buio.
Le scappò un risolino quando adocchiò Usop mentre veniva stritolato dal suo capitano. Poco più in là Zoro aprì un occhio – Puoi anche tornare a dormire se vuoi –
– Non preoccuparti, resto io. E poi non ho tanto sonno –
Lo spadaccino alzò le spalle e subito dopo si addormentò profondamente.
Nico Robin andò a sedersi sul tronco e gettò l’ennesima occhiata verso il suo capitano.
Allosa si decise e attivò il Fior Fior facendo sbocciare un braccio accanto al viso del ragazzo, subito dopo gli mollò un ceffone.
– Eh? Che succede? – bofonchiò lui, la voce impastata.
Robin gli sorrise cordialmente – Perché non vai a dormire nella tenda? Starai più comodo nel sacco a pelo e non rischierai un raffreddore –
– Mh? Ma io sto bene anche qua – disse e sarebbe tornato a dormire se l’archeologa non gli avesse tirato la guancia fino all’inverosimile – Mmh... Robin, che c’è? Perché non vuoi farmi dormire? –
Il silenzio della notte era interrotto dalle sole lamentele del capitano e dal lieve russare di Usop che, nonostante il parlottare, non sembrava volersi svegliare.
– E se ti dicessi che Nami sta gelando da sola in quella tenda? –
Doveva essere più precisa, Robin, se voleva che il suo capitano capisse dove voleva andare a parare e infatti subito dopo lo vide ciondolare nella direzione giusta.
A quel punto l’archeologa poté tirare un sospiro di sollievo.


Rufy entrò nella tenda e quasi incespicò nei suoi stessi piedi. Nami era lì a pochi passi da lui profondamente addormentata, gli dava la schiena ed era avvolta nella coperta dalla testa ai piedi.
Il pensiero che fosse bella anche conciata in quel modo, come un fagotto, gli attraverò la mente come un flash e, troppo stanco per fare qualsiasi cosa, crollò al suo fianco.
Sbadigliò forse troppo forte perché Nami schiuse le palpebre e si leccò le labbra – Mh? Rufy, sei tu? – chiese alzando un poco la testa nella sua direzione per accertarsene.
Il capitano mugugnò un sì e la ragazza sentì il cuore esplodere nel suo petto.
Ma la stanchezza per aver passato la giornata a scappare da cinghiali inferociti era tanta, così Nami si girò e involontariamente, quasi come fosse un’azione abituale, allungò un braccio per allacciarlo attorno al suo busto. Rimase in silenzio.
Prima di cadere nuovamente tra le braccia di morfeo, sentì il peso di un altro braccio, quello di Rufy, stringerle le spalle.
Il suo naso sfiorò il petto del suo capitano e, forse, gli lasciò anche un piccolo bacio.
Chissà. Era troppo stanca per poterselo ricordare.











# Altro fluff... wow. Sono tornata con la coppia Rufy/Nami, la mia preferita.
Forse perché Rufy, di fatto, è il mio personaggio preferito...! Spero possa piacervi la storia ^^
Alla prossima con, forse, una nuova coppia ^^ Ciau

rosy


 

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Capitolo 9
*** Abbraccio di gruppo [Law/Ciurma] ***


 
Abbraccio di gruppo




La Polar Tang proseguiva il suo viaggio e da una settimana a quella parte Yuka aveva potuto constatare quanto la ciurma del Chirurgo della Morte fosse tutto fuorché sana di mente. Esempio di tale follia era il fatto che tutti, ma proprio tutti, avessero una vera e propria fissazione per il loro capitano.
Non ai livelli di un maniaco ossessivo complusivo ma quasi.
Penguin l’aveva redarguita quando l’aveva sentita prenderlo in giro riguardo alle sue letture poco serie: trattandosi di fumetti, poi, c’era da aspettarselo che la kunoichi si sarebbe messa a ridere non appena l’aveva visto stringere gli occhi alla comparsa del personaggio più odiato dal dottore.
Ikkaku, poi, aveva raggiunto più volte il punto di non ritorno e c’era voluto uno squadrone per riuscire a calmarla dall’attentare alla vita della povera Yuke che, poverina, la sua unica colpa era quella di venire amata dal capitano di cui sopra.
Amata in tutti i senti possibili e immaginabili e solo Shachi poteva sapere quanto avesse rosicato fuori la porta della cabina del Chirurgo la prima notte che aveva deciso di spiarli. Dopo sette giorni però le due erano diventate stranamente amiche.
Amiche inseparabili e c’era chi vedeva qualcosa di satanico in quel rapporto.
Law non aveva avuto voce in capitolo e al diavolo la gerarchia, quando Yuka era presente sulla Polar Tang, quasi passava in secondo piano se non fosse che lui era.. lui, solo un po’ meno figo perché la kunoichi lo sfanculava ogni volta che ne aveva l’occasione.
Tra parentesi, Yuka faceva parte della ciurma del Cappellaio, l'uomo che aveva ucciso e sotterrato il fascino da pazzoide che Trafalgar Law si era faticosamente costruito, grazie alle sue bravate.
Era questione di tempo. Purtroppo. E all'improvviso quel giornò, disgraziatamente, arrivò.
Era un giorno come un altro, il sole splendeva e i NewsCo volavano distribuendo notizie riguardandi un certo Reverie finito in tragedia. Ma questo, ovviamente, i pirati Heart non poteva di certo saperlo.
Loro erano chiusi in quel fottutto sottomarino da settimane e sapevano per certo che non sarebbero tornati in superficie tanto presto.
Yuka lo ignorava ma si presagiva una giornata di merda.
Si era svegliata di buon umore e aveva dato del filo da torcere a Seiuchi perché pretendeva di preparare dei pancakes quando il cuoco le aveva gridato più e più volte di non mettere piede nella sua cucina.
Subito dopo era andata in obitorio ma di Law nessuna traccia.
Questo è strano.
Adocchiò Bepo ma questo aveva un’aria stanca e la liquidò con un gesto della mano.
Questo è anche più strano.
Yuka decise quindi di andare a chiedere a Ikkaku cosa diavolo stesse succedendo in quel dannato sottomarino ma quest’ultima era scoppiata a piangere prima di poter aprire bocca. I pirati Heart sembravano essere stati colpiti da una violenta e improvvisa depressione e il capitano era come sparito.
La spiegazione a tutto le fu data da quell’anima pia di Jean Bart che senza troppe cerimonie le disse che:
– Oggi è l’anniversario della morte della sua famiglia –
Il disastro.

 
Lei aveva perso molte persone per cui poteva capire come si sentiva.
Aveva perso sua madre, i suoi migliori amici (uno di loro forse anche qualcosa di più all’epoca), la sua umanità... anche se grazie a Rufy l’aveva ritrovata.
Law era chiuso nella sua cabina da dodici ore e nessuno aveva il coraggio di andarlo a chiamare per il pranzo. Jugon aveva provato a dire che, forse, gli avvenimenti di Dressrosa gli avevano fatto tornare alla mente ricordi troppo dolorosi. Per cui l’anniversario di quel fatidico giorno gli era caduto addosso come un macigno.
Law era una persona estremamente orgogliosa e cinica ma nonostante questo era sempre riuscito a condividere con i suoi compagni gioie e dolori, come non faceva con nessun altro. Quella volta però sembrava diverso.
Mentre Ikkaku e Seiuchi si prodigavano in cucina, Shachi provò a bussare alla porta del capitano. Gli altri pirati attendevano il verdetto poco dietro di lui.
– Ehi, Law, il pranzo è pronto –
Nessuna risposta. O per lo meno per i primi due minuti, perché subito dopo la porta si aprì rivelando la figura slanciata di Trafalgar Law.
Gli occhi contornati di nero, segno che non aveva dormito neanche un’ora quella notte; il viso pallido e le labbra secche; i capelli scompigliati; addosso aveva una maglietta sgualcita e un paio di pantaloni; non portava le scarpe o il suo amato capello.
Penguin fu il primo a fare un passo in avanti, ma dovette fermarsi quando il suo capitano cominciò a parlare – Scusate, ragazzi, vi sto facendo preoccupare –
Yuka posò gli occhi sul suo viso, sulle sue mani che stringevano lo stipite della porta.
I pirati Heart sussultarono a quelle parole. Loro adoravano il Chirurgo, nonostante qualche volta si esibisse in stronzate degne del più grande folle in circolazione, rimaneva sempre il loro cocciuto e austero capitano.
Un uomo freddo all’apparenza ma che con la sua ciurma era tutto tranne che quello.
– Non ti devi scusare, captain – disse Kurione.
Shiachi intervenne a dargli man forte facendo sì con la testa – Se possiamo fare qualcosa, qualsiasi cosa, per aiutarti non esitare a dircelo –
– O se vuoi parlare – continuò Azarashi.
– Se hai bisogno di sentire delle cacchiate io e Kurione siamo sempre disponibili, lo sai – disse Jugon guadagnandosi un’occhiataccia dal suddetto, al quale rispose con un alzata di spalle.
Trafalgar Law esibì un mesto sorriso di gratitudine.
Ma no, non aveva bisogno di parlare, né di sfogarsi, né di qualsiasi altra stupidaggine.
No. E i primi ad averlo capito furono proprio Shachi e Penguin che, senza preavviso, si gettarono addosso al povero capitano e lo strinsero in un abbraccio spacca ossa al quale si aggiunsero prontamente anche Bepo e tutti i componenti della ciurma presenti nel corridoio.
Yuka si morse un labbro e sorrise teneramente dinanzi a quella scena.
Vide Law appoggiare delicatamente il mento sulla spalla del suo orso preferito e ignorare il senso di claustrofobia derivato da quell’abbraccio soffocante.
Ben diciotto persone gli si erano abbarbicate addosso.
– Ehi, ma... che succede?! Capitano? –
– Oh mio Dio! –
Seichu e Ikkaku, di ritorno dalla cucina, sgranarono gli occhi e subito dopo si lanciarono addosso a quell’agglomerato umano che ormai aveva bloccato intasato il corridoio.
Era fortunato, Law. Fortunato ad avere una ciurma che l’amava e l’avrebbe sempre amato incondizionatamente.
Pazzi, sì. Ma del loro capitano.











# Questa è un po' strana. Si apre come un mini racconto comico e termina come una sorta di fluff rivisitato...!
Che ne pensate di Law e della sua ciurma? Io li adoro ^^
Yuka, ovviamente, è un mio OC. Tempo fa scrissi una raccolta di FlashFic su loro due (Law e Yuka) dai temi più disparati: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3858625&i=1

Felici feste pasquali ^^

rosy

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Capitolo 10
*** Bacio sotto la pioggia [Zoro/Nami] ***



Bacio sotto la pioggia




Si erano fermati su un’isola tremenda: pioggia, pioggia ovunque. Non credeva fosse possibile una cosa del genere ma a quanto pare esisteva un posto dove la pioggia cadeva trecentosessantacinque giorni all’anno.
Dopotutto erano nel Nuovo Mondo, nulla avrebbe dovuto sorprenderla più di tanto.
Nami lanciò un’occhiata ai suoi tre compagni che avevano iniziato a giocare ad acchiapparella nella sala da pranzo, incuranti delle proteste del cuoco, indaffarato con i preparativi della cena.
– Ma io mi annoio – si lamentò Rufy, mettendo il muso.
Chopper andò a sedersi accanto alla navigatrice che intanto sorseggiava una tazza di tè caldo – Cosa c’è Nami? Sei silenziosa – domandò dolcemente la piccola renna.
Nami gli sorrise rassicurante – Tutto okay. È questo tempo che mette un po’ di malinconia –
Usop annuì e, ignorando il bernoccolo che sentiva gonfiarsi sul lato destro della fronte a causa di una pedata del cuoco, si sedette di fronte ai due con sguardo serio – Ti capisco. La pioggia mette tristezza –
– E perché? – fece Rufy, ingenuo come al solito.
Sanji inspirò e poi buttò fuori il fumo, tenendo la sigaretta tra due dita – Tu che sei un zuccone non potrai mai capire i sentimenti di una donna, capitano –
Rufy mise su un broncio da oscar.
La porta della sala da pranzo si aprì rivelando la figura longilinea di Nico Robin, seguita da un Franky notevolmente abbattuto – Ragazzi, abbiamo una brutta notizia –
I capelli azzurri del carpentiere erano fradici, segno che l’impermeabile non doveva essere servito a molto sotto quella pioggia torrenziale, mentre Robin era perfettamente asciutta e perfettamente in ordine.
– Abbiamo perso Zoro – disse Franky, sganciando la bomba.
Rufy scoppiò a ridere, a differenza sua Sanji grugnì un insulto in direzione di quella testa bacata di uno spadaccino domandandosi cosa gli fosse venuto in mente quando aveva deciso di accompagnare quei due alla biblioteca della città.
Usop sospirò – Dobbiamo andare a cercarlo? –
– Sono sicuro che riuscirà a trovare la via di ritorno. Non può essere così stupido – fece il cuoco, tornando a smanettare con le sue padelle.
Chopper non sembrava molto convinto e allo stesso modo anche Nami era preoccupata – Io propongo di andare – disse, infatti, la ragazza.
Sanji spalancò la bocca e per poco non gli cadde la sigaretta nella zuppa che stava preparando – Sei sicura, Nami? È buio ed è pericoloso con questa pioggia –
– Sono le sette di sera, non ci costa niente andare a cercarlo, no? Tu continua pure a cucinare. Robin, tu aspettaci qui, se dovette tornare contattaci –
La donna annuì e andò a sedersi al tavolo.
Il cecchino cominciò a lamentarsi ma Rufy lo convinse con i suoi soliti mega sorrisi, secondo la sua logica qualsiasi cosa era meglio che restare lì seduti a fare niente.
Indossarono tutti i propri impermeabili, Franky decise infine di andare con Rufy ed evitare che anche lui si perdesse (sarebbe stato un guaio).
Chopper e Usop cominciarono a camminare lungo la costa, Brook raggiunse gli altri due sulla montagna, mentre Nami imboccava la via d’ingresso alla cittadella.
Nonostante la pioggia c’erano comunque molte persone in giro, per loro era normale vivere lì e si erano abituati a quel clima fastidioso; lei faticava ancora a crederci.
Avanzò in silenzio lungo le strade e si guardò intorno. Neanche l’ombra di Zoro, stava quasi per tornare indietro e dare forfeit.
Si sentiva una stupida per aver suggerito di andarlo a cercare. Semmai l’avesse trovato lei cosa gli avrebbe detto? Non aveva il coraggio di guardarlo in faccia dopo... quello.
Lo ricordava. Era come avercelo ancora davanti, il suo viso, l’occhio scrutatore sulla sua figura arrossata e tremante.
Avvampò. Si era sentita così in imbarazzo, il che era strano perché solitamente non reagiva in quel modo. E poi era stato un incidente.
Uno stupido e banale incidente. Quante volte Rufy era entrato mentre lei si stava facendo la doccia? Quante volte aveva sorpreso Sanji o Brook spiarla mentre era completamente nuda?
Anzi, ne approfittava addirittura per guadagnarci qualcosa!
Ma no, il problema era un altro. Non solo lui l’aveva vista... ma anche lei lo aveva visto ed era così vicino, così vicino che quasi riusciva a sentire il suo respiro sulle labbra.
Gonfiò le guance e sbuffò, ne aveva abbastanza di quei pensieri. Arrestò il passo e fece per voltarsi, tornarsene alla nave perché si stava facendo tardi e sicuramente Zoro non poteva trovarsi in quella zona.
Ma ecco che la sfiga bussò alla sua porta.
– Nami? – e si bloccò.
Nel senso che il piede rimase per alcuni secondi sospeso, lei dovette sforzarsi per guardarlo nell’unico occhio buono. Quel maledetto occhio.
Finse. Nami scelse di fingere che nulla fosse successo e piantò i piedi a terra, poggiando le mani sui fianchi – Ti stavamo cercando –
– Non ce n’era bisogno, so dove si trova la Sunny –
Nami roteò gli occhi al cielo – Ma non sai la strada – cantilenò.
Lo spadaccino storse il naso e le si avvicinò per poi oltrepassarla come se niente fosse. Lei lo guardò, era inzuppato d’acqua dalla testa ai piedi e ciò le fece ricordare quello.
Arrossì e riprese a camminare, restando però alle sue spalle.
Spalle larghe, quelle di Zoro. Quando rischiò di sbagliare strada (di nuovo) lo rimbeccò ma tenendo comunque le distanze. A quel punto, lo spadaccino arrestò il passo e si voltò – Che hai? –
Nami sgranò gli occhi – Che? Non ho niente – rispose, troppo in fretta.
– Cammini a tre metri di distanza da me e non dici niente se non ‘vai a destra’ o ‘non di là’. Che ti prende? –
Nami ci aveva provato, davvero. Ci aveva provato a ignorare quello sfarfallio, quell fastidioso rumore che faceva il suo cuore non appena lo vedeva.
Dio solo sapeva quanto ci aveva provato.
Perché il punto non era che lui l’aveva vista nuda. O il contrario.
Il problema era che...
– Provo qualcosa per te –
Lo disse. Si liberò di un peso.
Finalmente riusciva a respirare.
– L’ho capito ieri. Per la verità, l’ho sempre saputo. Solo che... mi sforzavo di credere il contrario – il respiro si fece stranamente affannoso, d’un tratto l’emozione era tornata a riempirle il petto – E quando l’ho capito è scattato... qualcosa, cioè, mi sono sentita una... stupida ma... non so più neanche io cosa sto dicendo –
Emise una risata amara, Nami.
Non osava guardarlo, aveva puntato gli occhi sulla punta delle sue scarpe. Era vero.
Era tutto vero quel che stava dicendo, non era una bugia.
– Nami – lo sentì, il timbro rude della sua voce che accarezzava il suo nome – Guardami –
Sentì i suoi passi, gli stivali increspare l’acqua delle pozzanghere e la pioggia batteva.
Deglutì, provò ad alzare gli occhi sulla sua figura e lo spadaccino era già davanti a lei, a due metri di distanza. Un mentro. Mezzo metro. Pochi centimetri.
Pochissimi millimetri.
Un soffio.
– Dì qualcosa, non solo ‘Guardami’. Mi fai sentire un’idiot- – si era azzardata a dire, ma lui agì velocemente e catturò le sue labbra.
Un bacio particolare, un bacio appassionato, un bacio non descrivibile.
Sapeva di pioggia, sapeva di amore.
Nami sentì le mani di Zoro allacciarsi dietro la sua vita e stringerla a sé, facendo aderire il suo petto al seno caldo e soffice di lei.
Poi lo sentì, lo sfarfallio. Non nello stomaco, poco più giù.
E avvampò quando percepì che lo stesso stava accadendo allo spadaccino che, incurante della pioggia, fece scivolare un ginocchio tra le sue gambe.
A quel punto Nami si staccò, sopraffatta – Non mi pare... Non mi pare il luogo più adatto, no? – disse, ma in realtà ciò che voleva era sfiorare i suoi addominai scolpiti, riavere quelle labbra che sapevano di pioggia sulle sue e sentirlo ovunque.
Zoro sghignazzò – Volevo vedere fin dove ti saresti spinta –
Lo guardò male.
– Torniamo alla Sunny – disse e si staccò definitivamente.
Nami si dede del tempo per riprendersi, il cappuccio dell’impermeabile le era caduto sulle spalle e ora anche lei era tutta fradicia.
Gli si avvicinò e lo spinse amichevolmente nella direzione giusta senza dire una parola.
Da lontano, la voce di Sanji li richiamò e Zoro dovette trattenersi dallo spiattellargli in faccia tutto ciò che era successo.
Prima o poi gliel’avrebe detto per il solo gusto di vederlo afflosciarsi.
Ma intanto, si sarebbe concentrato su altro. Una donna, una ragazza dai capelli rossi e dal carattere suscettibile, una strega capace di fargli battere il cuore troppo forte.
Lei.










# Questa è la mia primissima storia Zoro/Nami per cui... è solo un esperimento.
Volevo vedere cosa usciva fuori e ta-dan! Come vi sembra?

Alla prossima!

rosy

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Capitolo 11
*** Bacio nella neve + Abbraccio sorpresa [Sanji/Pudding] ***



Bacio nella neve + Abbraccio sorpresa



Brook sgranò gli occhi, o così fece intendere, quando vide la sinuosa figura di Charlotte Pudding raggiungerli al porto innevato.
– M-Ma... – fece Chopper, incredulo.
I due pirati rimasero lì, affacciati al parapetto, raggiunti da Nami che fino a quel momento era stata impegnata nel suo studio a rifinire la nuova cartina.
– Che state facend- Oh cavolo! – la navigatrice sobbalzò – E lei che ci fa qui?! –
Il medico di bordo deglutì sonoramente – Non è che con lei c’è anche Big Mom? –
Nami rabbrividì e per un attimo si pentì di non essere scesa a terra con Rufy e rischiare di morire soffocata sotto una valanga. Perchè almeno lì c’era una possibilità di salvezza, con l’Imperatrice Linlin no.
– Non dirlo neanche per scherzo, Chopper! – ruggì ma la renna tremava per ben altro.
La giovane piratessa figlia di Big Mom si fermò e volse gli occhi sulla maestosa Thousand Sunny, indugiando poi sulle punte delle proprie scarpe.
Non voleva fare brutta figura. Non avrebbe neanche dovuto essere lì ma per una coincidenza si erano ritrovati sulla stessa isola invernale e...
– Yohoho... siamo spacciati... – mugugnò lo scheletro, abbattuto.
Nami strinse i denti – Dobbiamo avvertire gli altri e subito! –
Pudding alzò la testa di scatto e ai tre pirati quasi venne un colpo.
– Sono venuta qui da sola! – esclamò, rossa in viso, per poi cambiare repentinamente espressione e assumere un’aria derisoria – Per cui smettetela di farvela addosso, chiaro?! –
Brook inclinò la testa, sbigottito, nel momento in cui la piratessa aveva cominciato a confabulare tra sé e sé qualcosa che somigliava tanto a ‘dannazione, ho sbagliato’ e a ‘non doveva essere così’.
Anche la renna alzò un sopracciglio – Ma... sta bene? –
Nami sospirò – Ah già. Mi ero dimenticata che fosse un po’ strana –
 


– Ho detto che me ne torno alla nave! –
– E io ti ripeto che da solo non vai da nessuna parte, stupida testa d’alga! –
– E perché?! Sentiamo! –
A quel punto anche il cecchino volle dire la sua.
– Perché non abbiamo alcuna voglia di venire a cercarti dopo! – gridarono in simultanea i due.
Zoro sbuffò un mezzo insulto voltandosi di tre quarti dall’altra parte. Era molto più che propenso a iniziare una lite con quello stupido di un cuoco quando una palla di neve si abbattè sulla sua faccia – Eh? Ma che-? –
– Ehi, Zoro! Vieni a giocare con noi, dai! – gridò un Rufy estasiato su di una piccola collina immacolata – Giochiamo a palle di neve! –
Dopodicché, imitato dal carpentiere, preferì prendere di mira il povero Usop, stremato dopo aver rischiato la morte per mano di strane donnole di neve troppo cresciute e troppo irascibili.
– Grazie ma passo – asserì lo spadaccino alzando le spalle.
Sanji buttò fuori una nuvola di fumo e lanciò una breve occhiata a Franky che si era messo a lanciare palle di neve a raffica addosso al cecchino senza alcuno scrupolo, rischiando di sotterrarcelo; poi il suo sguardo calamitò su Nico Robin.
La bellissima Nico Robin. L’archeologa più colta, gentile, seducente, bella, intelligente, sexy, formosa, femminile, bellissima del mondo!
Si teneva a distanza dal campo di gioco di quei buzzurri dei suoi compagni e si guardava intorno incuriosita dai rumori della foresta, gli occhi azzurri riflettevano il colore del cielo sereno e un sorriso tranquillo le illuminava il viso.
Decise di raggiungerla mentre gli altri continuavano a giocare a palle di neve.
– Hai freddo? Vuoi che ti presti qualcosa? –
Robin scosse la testa continuando a guardare la vegetazione circostante – No, grazie. Sto bene così – soltanto dopo interminabili minuti la donna volse lo sguardo sul cuoco – A proposito, Sanji, vorrei chiederti una cosa –
Il biondo si mostrò dapprima perplesso, poi annuì con uno dei suoi soliti sorrisi ebeti stampati in faccia – Certo, Robin. Dimmi pure –
– Ecco, tu sei sempre galante con le donne e mi chiedevo se c’è mai stata qualcuna che abbia un posto speciale nel tuo cuore. Sì, insomma, una donna unica –
La mano di Sanji si fermò a mezz’aria, le dita stringevano con forza il filtro.
Rimase in silenzio, si sorprese di non avere un’idea precisa, di non potere rispondere alla semplice domanda dell’archeologa. Deglutì, la gola improvvisamente secca, poi si riscosse e aspirò dalla sigaretta, buttando fuori il fumo subito dopo.
– Ognuna di voi riempe un posto speciale nel mio cuore, cara Robin. Tu, Nami,Vivi, la principessa Shiraoshi, Viola, siete tutte importanti per me –
Non stava mentendo, la corvina lo sapeva bene, eppure c’era qualcosa che le interessava sapere. Un’informazione che gli avrebbe estorto con le pinze, lentamente.
– E poi ci sono la dolcissima Kaya, l’angelica Konis, la ragazza fantasma di Thriller Bark, l’Imperatrice pirata Boa Hancock, la bella Rebecca, Tashigi della Marina – e continuò ininterrottamente per interi minuti, tanto che la donna ebbe addirittura il tempo di andare a suggerire allo spadaccino la via giusta per tornare alla nave.
Quando i suoi occhi azzurrini tornarono a concentrarsi sul cuoco, lo trovò che balbettava frasi sconnesse – Dicevi, Sanji? –
– Beh... ecco... per la verità ero certo di ricordare una ragazza stupenda dai tratti delicati e le guance arrossate ma... forse l’ho solo sognata – rifletté, quasi tra sé e sé.
Nico Robin sorrise divertita – Ah sì? –
 


A pomeriggio inoltrato Sanji decise di tornare alla nave per cominciare a preparare la cena. Aveva già in mente di cucinare uno spezzatino di manzo, qualcosa di caldo dopo una giornata passata a respirare l’aria fredda di quell’isola invernale.
Non appena arrivò, contrariamente a quel che sperava, Nami non c’era. La Sunny era stata lasciata del tutto incustodita e ciò gli diede da pensare.
Fortuna che lesse il biglietto lasciatogli dalla navigatrice attaccato al frigo: ‘Accompagniamo Chopper in paese per degli acquisti’ recitava il messaggio.
Sanji allora si tolse prima il cappotto pesante poi la giacca, arrotolando le maniche della camicia sino ai gomiti. Cominciò ad armeggiare con pentole e padelle, la cucina presto si riempì dei dolci profumi degli aromi utilizzati dal biondo.
Aveva la mente sgombra dai pensieri, Sanji, cucinare gli aveva sempre permesso di lasciare da parte i problemi e rilassarsi mentre adoperava mani e cuore per preparare piatti che dessero forza e gioia ai suoi compagni. Sorrise sereno quando pensò a che faccia avrebbero fatto non appena le sue meravigliose dee l’avessero assaggiato.
A un certo punto, pero, udì un suono.
Un altro ancora, erano dei passi felpati e non poteva di certo ignorare la presenza di uno sconosciuto sulla nave. Chiuse per un attimo la fiamma sotto la grande pentola e posò il coltello, tornando a indossare il suo lungo cappotto.
Aperta la porta vide che sul ponte non c’era nessuno.
Corrucciò le sopracciglia, Sanji, ma si convinse di aver preso un granchio. Forse era stato semplicemente il vento che ululava o un suo nakama in vena di scherzi.
Tornò a occuparsi della cena, certo di poter creare un capolavoro di spezzatino.
 

 
– Alla fine siamo dovuto venire a cercarti, Zoro, la prossima volta aspettaci! – sbuffò contrariato il cecchino in direzione del compagno.
Quest’ultimo roteò l’occhio al cielo ignorando deliberatamente la critica. Se fosse stato Sanji a parlare non l’avrebbe presa con tanta filosofia, era certo.
– Ne abbiamo comunque approfittato per una passeggiata – disse Nico Robin, gustando quel magnifico spezzatino cucchiaio dopo cucchiaio.
Alla sinistra dello spadaccino, Rufy mangiava estasiato la pietanza mentre Nami cercava di impedirgli di allungare le mani verso il suo piatto piantando una forchetta tra i due.
Sanji le si avvicinò con un sorriso stampato in faccia – Ne gradisci ancora, mia amata Nami? –
La navigatrice alzò un sopracciglio, reazione strana, per poi scuotere la testa.
Nico Robin osservò l’amica per alcuni secondi finché Chopper non attirò la sua attenzione chiedendole di passargli l’insalata.
La cena terminò prima del solito, complice lo strano comportamento di Nami e Usop, i quali, mentre tutti gli altri si alzavano da tavola, si lanciarono un’occhiata complice.
A quel punto la ragazza lanciò un grido – Oddio! Il mio braccialetto! –
Rufy e gli altri si voltarono a guardarla straniti, Nico Robin lanciò uno sguardo al polso dell’amica – Hai perso il tuo bracciale? –
Nami annuì disperata – Me l’aveva regalato Nojiko! Ci ero così affezionata! –
– Non è che ti è caduto davanti l’ambulatorio del paese dove Chopper ha fatto provviste di farmaci? – continuò Usop, il discorso pareva fin troppo calcolato per esser nato in quel momento.
Al che Chopper annuì vigorosamente – Eh sì, mi sa che è così! –
Rufy alzò le spalle – E che problema c’è? Andiamo a cercarlo, no? –
Il cecchino, di contro, lo guardò male – No, tu non puoi. Non dovevamo giocare a carte stasera? Franky voleva la rivincita, no? –
Quest’ultimo arricciò il naso, grattandosi una guancia, indeciso sul da farsi – Sì ma il bracciale è più importante. Dopotutto è un ricordo! –
Usop trattenne a stento gli insulti.
Nico Robin ridacchiò silenziosamente per poi poggiare una mano sul braccio enorme del carpentiere – Credo che giocherò con voi questa sera. Ho proprio voglia di una partita a carte. Zoro, sei dei nostri? –
Quello alzò le spalle annuendo. Non ci stava capendo niente ma era meglio lasciar fare a chi aveva architettato quella buffonata.
Nami si voltò in direzione del cuoco, sbatté le ciglia un paio di volte e tirò fuori il labbro inferiore cercando di essere convincente – Non è che andresti a cercarlo tu, Sanji? Io ho davvero troppo freddo per uscire e poi sta nevicando –
Il cuoco prese immediatamente la palla al balzo, alzò una mano in aria e con un’espressione tanto seria quanto esilarante esclamo: – Certamente, Nami! Lascia fare a me, il tuo cavalier servente! –
I tre pirati ideatori del piano si guardarono, orgogliosi di esserci riusciti.
– Yohoho! Vengo con te, Sanji! In questo modo forse Nami mi farà vedere le sue mutandi- –
– Non ci pensare neanche, idiota di uno scheletro!! –
 


I piedi affondavano nella neve fresca a ogni passo e stava gelando.
Era giunto nei pressi dell’ambulatorio descritto da Usop ma del bracciale neanche l’ombra. Aveva perfino cercato nella neve mettendosi a scavare. Niente di niente.
Si chiese se Nami era davvero sicura di averlo perso in quel punto.
Fosse stato per lui si sarebbe messo a cercarlo per tutta la notte, questo ed altro per la sua amata navigatrice ma il freddo invernale stava cominciando a farsi sentire.
Cominciava a non sentirsi più le dita e la punta del naso.
Sospirò buttando fuori una nuvola di fumo, il lumino della sigaretta era l’unica fonte di luce in quel villaggio escludendo alcune lampade a olio lasciate bruciare fuori le abitazioni. Decise di controllare lungo la strada percorsa da Nami, magari non era proprio lì che l’aveva perso.
Puntò la luce della lanterna in avanti e fu allora che intravide una figura nel buio.
Una donna con un lungo cappotto azzurro e il viso chino, i lunghi capelli castani legati in due code laterali. Ne rimase incantato.
Decise di avvicinarsi – Ha bisogno di aiuto per tornare a casa, bella signorina? –
Questa però non rispose né si mosse, anzi, portò una mano alla bocca. In quel momento venne scossa da un singhiozzo.
Le spalle sussultarono e lei si ritrovò a stringere gli occhi. Non sapeva neanche lei cos’era quel sentimento che l’aveva pervasa non appena aveva sentito la sua voce dopo tanto tempo.
L’uomo che l’aveva vista in volto, che aveva visto il suo terzo occhio, la sua vera natura, la crudeltà con la quale stava per ucciderlo... si vergognava così tanto.
Avrebbe voluto essere diversa, migliore, avrebbe voluto poter amare un uomo dolce e gentile come lui. Se avesse aperto bocca avrebbe detto delle malignità, ne era certa.
E se l’avesse guardato negli occhi sarebbe svenuta.
E se l’avesse toccato sarebbe addirittura morta. Di gioia e di dolore. Perché era indubbiamente contenta di averlo lì davanti a lei ma la sua posizione le impediva di poter scegliere lui. Si morse le labbra forte, fortissimo, fino a farsi male.
– Signorina, perché...? Perché piange? –
Un altro singhiozzo.
– Signorina...? –
Assieme al singhiozzo, questa volta ci fu un pugno.
Un violento pugno si scontrò sulla guancia del cuoco facendolo cadere a terra, sorpreso dalla strana reazione della sconosciuta – È tutta colpa tua!! – urlò allora lei – Piango a causa tua, stupido mollusco! Idiota! Perché ti sei messo sulla mia strada? Sei fastidioso, sempre nella mia testa, sei insopportabile! –
Ecco. L’aveva fatto di nuovo. Dannazione.
Con le lacrime agli occhi Pudding strinse i pugni lungo i fianchi, avrebbe tanto voluto scappare, correre via da lui e lasciarsi morire in un angolo di quella fredda isola.
Nel mentre, Sanji sgranò gli occhi.
Dinanzi a lui non c’era soltanto una ragazza dalle guance arrossate, le labbra rosee e gli occhi umidi, ma una bellissima ragazza dall’aria familiare, tremante e angosciata.
Cos’era quel vuoto nel petto? Cos’era quella sensazione?
Senza neanche pensare a quel che stava facendo, il cuoco si alzò lasciando la lanterna sulla neve e annullò le distanze stringendola in un dolce, dolcissimo abbraccio come quando... come quando... non lo ricordava. Come poteva? Quella era la prima volta che vedeva quella ragazza.
Giusto?
Pudding trattenne il respiro. Per un attimo le sembrò di rischiare il soffocamento.
Le braccia di Sanji la stavano avvolgendo delicatamente, la stringevano al suo petto e lei era così felice che poteva sentire il suo cuore galoppare.
Era sorpresa, sì, ma felice.
Non si aspettava di venir stretta in quel modo da lui, non dopo quello che aveva fatto. Poi un pensiero le balenò nella mente. Lui non ricorda!
Lui non ricordava ciò che lei aveva fatto, del voltafaccia, del bacio, di nulla.
Quanto poteva essere stupida?
– Sto scomoda – disse e subito dopo si morse la lingua.
Stava così bene tra le sue braccia...
– Oh, sì. Scusami, non so... non so cosa mi sia preso –
Solo allora la guardò per bene, facendo un passo indietro (ma solo uno) e sciogliendo l’abbraccio, sorrise quando il sguardo catturò anche il terzo occhio seminascosto dalla frangetta spettinata – Sei bellissima – sussurrò.
Lei arrossì vistosamente e non seppe bene cosa dire.
– Io mi chiamo Sanji – cominciò a dire il cuoco – Posso avere il piacere di riaccompagnarti? –
Pudding avrebbe voluto dire mille e mille volte sì.
– Non ho bisogno che un citrullo come te mi riaccompagni alla nave! – esclamò, non riuscendosi a controllare, e maledicendosi subito dopo – Cioè... non voglio che tu... cioè... dannazione, non era questo che volevo...! –
Sanji sorrise – Lo faccio con piacere –
Non era cambiato affatto, lui continuava ad essere gentile con lei che non sapeva come comportarsi, finiva sempre per dire e fare qualcosa di sbagliato.
Fu così che i due si ritrovarono a camminare l’uno di fianco all’altra.
Pudding avrebbe voluto prendergli la mano, avrebbe voluto voltarsi a guardarlo un’altra volta e imprimere nella mente la sua immagine.
Il sapore delle sue labbra... era ancora così vivido nei suoi ricordi.
Al solo pensiero arrossì d’imbarazzo.
– Se non sono indiscreto, posso sapere come ti chiami? – chiese lui.
– P-Pudding –
Il biondo sorrise, quel nome, pensò, calzava a pennello su di lei anche se non si capacitava del perché – È davvero un bellissimo nome, carissima Pudding –
– Non ti prendere tante confidenze, stupido di un cuoco!! – esclamò, senza rendersene conto. Intanto arrossì ancora per il complimento ricevuto.
Sanji non sapeva più cosa pensare.
Comportarsi in quella maniera con quella ragazza gli era parso così naturale, come se per un certo periodo di tempo avesse avuto a che fare con lei. Come se l’avesse conosciuta.
Ma era impossibile. Non ricordava nessuna Pudding, nessuna.
Nessuna...
– Siamo arrivati – annunciò d’un tratto lei – Quindi ora puoi anche andartene! –
Sanji alzò lo sguardo, al porto era ormeggiata quella che sembrava un piccolissima imbarcazione, troppo piccola per riuscire a navigare in quei mari.
Fece per esternare i suoi dubbi al riguardo quando la ragazza si voltò interamente verso di lui, forse con l’intenzione di salutarlo – Beh, addio –
No, pensò. Non di già, non può andarsene adesso. Io...
Pudding prese a contemplarlo. Era così bello... con i capelli biondi, il pizzetto, le strane sopracciglia a ricciolo, il cipiglio serio, quando sorrideva era ancora più irresistibile. Avrebbe voluto abbracciarlo nuovamente.
Avrebbe voluto dirgli quanto le era mancato.
Avrebbe voluto fare e dire tante cose ma chiuse gli occhi per un attimo, raccogliendo le forze per un ultimo sguardo, pronta a salutarlo per sempre. Si rigirò il braccialetto dorato tra le mani prima di mostrarglielo – L’ho trovato più o meno dove ti ho incontrato, mi hai dato l’impressione di stare cercando qualcosa e così... – glielo porse, nel farlo, le loro dita si sfiorarono e lei venne percorsa dai brividi.
Gli stessi brividi che fecero sobbalzare il cuoco che alzò gli occhi inchiodandoli nei suoi – Tu sei... –
Cos’era, un sogno? Uno stupido sogno che non potrà mai essere realtà? Mi sto inventando tutto? Cos’è questa ragazza? Sanji sentì il cuore battere più forte.
Lei mostrò un sorriso triste prima di voltarsi e andarsene definitivamente.
Cosa stava facendo? Voglio davvero che finisca tutto così? Pudding arrestò il passo e repentinamente, senza uno scopo preciso o l’idea di cosa fare, si girò a guardarlo.
Doveva dirgli addio? Sì, forse era per quello.
Aprì la bocca per urlargli quell’odiosa parola per l’ultima volta ma ciò che accadde le fece esplodere il cuore nel petto. Di nuovo stava assaporando quelle labbra, quello stesso sapore di tabacco, di frutti rossi, il sapore di Sanji, quell’uomo che le aveva regalato per un attimo la reale felicità.
Non sentiva più il freddo ma soltanto il calore la mano libera del cuoco che la stringeva a sé, il cuore ebbe un sussulto.
Violento. Un battito, due battiti.
E poi... poi svenne.


 
Sospirò, Sanji.
Alla fine era tornato alla Sunny che tutti dormivano e aveva dovuto lasciare il braccialetto della sua adorata navigatrice sul tavolo della cucina con la promessa di ridarglielo il giorno dopo.
Era tornato con una strana sensazione, il cuore martellante nel petto e molti, troppi pensieri poco casti riguardo una giovane donna sconosciuta ma che sentiva di conoscere.
Pudding.Charlotte Pudding.
Mai più avrebbe dimenticato quel nome, quel viso, quelle labbra. Mai più.
 












 
 
# Lo so, la fine non è molto esaustiva ma lo è per un motivo.
Diciamo che è a libera interpretazione: potete pensare che Sanji si sia ricordato del tutto o no, a voi la scelta ^^ Ad ogni modo spero davvero di aver dato giustizia al mio cuoco preferito...! 
Io non lo vedo solo come un cascamorto che va dietro la prima donna che incontra, o meglio, non è soltanto questo.
Grazie per essere arrivati sin qui ^^ alla prossima


rosy

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Capitolo 12
*** Bacio nella doccia [Law/Yuka] ***


 
 
Bacio nella doccia




Ogni singola goccia che le lambiva la pelle era come una lacrima.
Ogni lacrima era accompagnata da un singhiozzo che la scuoteva da cima a fondo. Cos’era tutto quel dolore improvviso? Soltanto perché l’aveva sognato?
Soltanto perché quella notte aveva ricordato tutta la sua vita passata e della sofferenza, della rabbia che era stata costretta a sopportare?
Yuka avrebbe voluto soltanto dimenticare, consapevole che quello non sarebbe mai stato la soluzione ai suoi problemi. Il box doccia in cui si era chiusa venti minuti prima non era molto grande e il vapore ne aveva appannato le mattonelle azzurro cielo.
L’acqua scorreva sui suoi lunghi capelli rossi appiccicandoli alla schiena nuda.
Basta così, si disse, ho pianto abbastanza.
Si strofinò gli occhi con il corso di una mano e si sforzò di sorridere.
Un sorriso morto e tremendamente finto, si allenò a renderlo quantomeno decente come quando era piccola. La sola differenza era che a ventiquattro anno ci riusciva fin troppo bene, non aveva più bisogno dello specchio.
Era pronta per uscire ma ancor prima di voltarsi sentì la porta scorrevole aprirsi e una seconda persona entrare, senza chiedere il permesso o, almeno, annunciare la sua presenza. Yuka ridacchiò mordendosi il labbro – Non si bussa, Chirurgo? –
– Questa è la mia nave, sono io che comando –
Lei annuì e questa volta non ci fu bisogno di fingere, il sorriso che nacque sul suo viso era genuino e sinceramente divertito – Sarei uscita in cinque secondi, potevi aspettare –
– Non volevo aspettare – disse, per poi rimanere in silenzio.
Cosa si aspetta?, si chiese, perché è venuto qui ben sapendo a cosa, a chi, si corresse, stavo pensando?
Era convinta che Law avesse capito tutto, lui capiva sempre tutto, non era mica scemo.
L’aveva vista alzarsi dal letto e correre al bagno dove aveva vomitato anche l’anima, troppo presa dai ricordi e da quelle maledette immagini. Non era più uscita da quel bagno.
Il bagno privato di Trafalgar Law, dove era sicura che nessuno l’avrebbe disturbata.
– Beh, dov’è finita la mia privacy, eh? – chiese voltandosi, finalmente, e puntando gli occhi color carbone in quelli di lui.
Era così tenero quando assumeva quel cipiglio stranito.
– Non l’hai salutata quando hai messo piede nel mio sottomarino? –
– In effetti... ho potuto constatare quanto tu e i tuoi uomini siate ficcanaso – sospirò, con fare melodrammatico.
Intanto Law la osservava. In maniera metodica, come se ne stesse studiando i lineamenti e le reazioni, come se non volesse farsi sfuggire neanche un leggero movimento.
Yuka arricciò il naso – Non sono uno dei tuoi amati cadaveri, sai? Non fissarmi in quel modo –
– Hai pianto –
Se fosse stata un’altra persona avrebbe sobbalzato, ma non lei.
Non una combattente che era stata addestrata per anni a tenere nascoste le proprie emozioni, Law lo sapeva bene.
Tanto quando Yuka sapeva di non potergli nascondere il suo reale stato d’animo ancora a lungo per il semplice fatto che fosse un testardo! – Sì, ho pianto –
Anche Law era bravo a mascherare i suoi sentimenti.
Certo, se non si fosse trovato in un box doccia un tantinello stretto per due persone e con la persona amata a pochi centimetri di distanza, avrebbe anche potuto evitare quel lieve movimenti della mascella.
Non poteva immaginare, Yuka, quanto lo facesse incazzare.
Quanto avrebbe desiderato che quel tipo, quel ninja, non fosse mai esistito e non per mero egoismo, no, ma perché in quel modo la ragazza dinanzi a lui non avrebbe più avuto motivo di piangere.
– Mi manca, sai? – disse mogia, lo sguardo si abbassò sulle spalle in tensione del dottore –
Seguì il silenzio.
Cercò di sorridere, si sforzò di guardarlo negli occhi questa volta e lui rimase impassibile – Grazie, Law. Mi hai salvata. Due volte. Dal mare e da me stessa –
L’aveva ripescata dal mare in burrasca e le aveva salvato la vita, certo, e poi gliel’aveva incasinata salvandola una seconda volta.
Trafalgar Law, uno degli uomini più pericolosi del mondo l’aveva fatta innamorare di nuovo. Le aveva rapito il cuore senza chiedere il permesso, si era annunciato e aveva preso a dettar legge senza che lei potesse in qualche modo opporsi.
– Sei fastidiosamente sentimentale stamattina – le disse – Piantala –
Allora Yuka scoppiò a ridere e contemporaneamente alcune lacrime di sincera commozione fuoriuscirono mescolandosi con l’acqua che continuava imperterrita a scorrere dall’alto – E tu sei esilarante! –
Law avanzò di un passo e ghignando le cinse la vita con una mano – Non riderei tanto fossi in te –
La rossa si morse il labbro trattenendosi dal continuare a ridere e inclinò la testa, piccola gocce d’acqua scivolarono giù dalle sue ciglia nere – Intendi minacciarmi? Guai a te, se osi trattarmi male poi Rufy te la farà pagare cara –
Lo vide roteare gli occhi al cielo, esasperato – Posso sapere, di grazia, perché decidi di nominare quel matto di Mugiwara-ya nei momenti meno opportuni? –
– Perché è divertente vederti impallidire. Non te ne rendi conto ma hai paura che possa spuntare da qualche angolo del tuo sottomarino e tartassarti le orecchie con qualche strana richiest- –
La baciò all’improvviso e, senza darle il tempo di metabolizzare la cosa, la spinse. La sentì lamentarsi per via del contatto improvviso con la parete fredda della doccia per poi immergere le dita nei suoi capelli e stringere la presa.
Strinse forte, forse più del necessario, ma Law non se ne curò.
Yuka approfondì il bacio, cercò la sua lingua e quando l’ebbe trovata lo sentì emettere un suono gutturale che la fece fremere dalla punta dei piedi a quella dei capelli.
Schiuse gli occhi prima di staccarsi un attimo per respirare – Come sei impaziente –
Le labbra di Law corsero alla spalla, percorsero la clavicola con precisione millimetrica e si fermarono nel punto più sensibile, facendole emettere un gemito più acuto di quanto avrebbe voluto.
Non riusciva proprio a trattenersi quando lui la mordeva in quel punto preciso, l’incavo del collo, e ancor meno riusciva a trattenere delle vere e proprie grida quando i suoi polpastrelli stuzzicavano sagacemente l’entrata in basso dell’ombelico.
Era furbo, Trafalgar Law. Sapeva che non avrebbe resistito a quel tocco.
Ma ciò voleva dire far sì che tutto in lui reagisse. E Yuka sobbalzò quando lo sentì premere contro la parte bassa del ventre e arrossì e gemette e i suoi occhi divennero languidi.
– Non sarebbe... – il respiro le si mozzò in gola quando lui entrò con il primo dito – Non sarebbe meglio... rimandare... ci stanno aspettando per la colazione –
Law le catturò le labbra, una seconda volta e un’altra ancora – Non oseranno iniziare senza di me –
Yuka ridacchiò allancciando le gambe dietro la sua schiena e poggiando la fronte sulla sua – Così li farai morire di fame –
Gli occhi del Chirurgo brillarono di malizia – Per quanto mi riguarda, sapranno chi incolpare –
– Presuntuoso –


 




# Mamma mia che faticaccia ^^ Era da un po’ che non scrivevo robe zozze e infatti mi son dovuta fermare... ookay, la prossima volta andrà meglio ^^
A proposito, Yuka è un personaggio di mia invenzione (ma daaai!) e ho già dedicato a lei e al Chirurgo una raccolta di FlashFic: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3858625
Alla prossima ^^ !

rosy

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Capitolo 13
*** #Retrouvailles [Rufy/Nami] ***



# Retrouvailles
 



Lo vede da lontano e il cuore si ferma. Per un attimo.
Poi riprende a battere veloce, sempre più veloce e le guance si imporporano, per fortuna nessuno dei presenti ci fa attenzione se non Nico Robin.
A lei non sfugge nulla. La navigatrice non riesce a smettere di guardarlo, sembra sempre lo stesso ma lei sa per certo che non è vero. È cambiato.
Rufy non è più il buffo ragazzino col capello di paglia di due anni prima.
Accidenti, è diventato un vero uomo!
La camicia rossa lascia scoperti i muscoli e la cicatrice. Quella cicatrice, ricordo di un momento devastante ma che addosso a lui non è per niente orribile.
Quando inizia a sbracciare per salutarli, il suo cuore esulta come non mai.
Alza anche lei le braccia e sorride come non sorrideva da molto tempo, ha le lacrime agli occhi per la felicità.
Sente le loro grida, le risate ma non riesce a smettere di guardarlo.

 
La vede, lo sguardo è immediatamente catapultato sul suo viso.
È bella come la ricordava, anzi, di più. I lunghi capelli arancioni le ricadono sinuosi lungo la schiena e i suoi occhi, cavolo, i suoi occhi... possibile che siano più grandi e brillanti di quando l’aveva perduta?
È bellissima. Per certi versi sembra la stessa ragazza di due anni prima.
Non appena riesce a mettere piede sulla Sunny vorrebbe abbracciarla e sentire il suo profumo di mandarini fino a stordirsi, ma hanno una questione urgente da sbrigare: partire per Fishman Island e devono farlo subito, hanno già perso troppo tempo.
Ciò nonostante nulla gli vieta di regalarle un sorriso. Un sorriso carico di felicità, di gratitudine, di passione.
Un mix di sentimenti che non pensava avrebbe mai potuto provare.
Spende alcuni secondi per ringraziare la sua ciurma, i suoi occhi sono incollati su di lei. Come fosse una calamita, non riesce a spostare lo sguardo.
E la vede. La sua gioia, palpabile nell’aria.
E finalmente lo sa. Ne ha la certezza. Quel sentimento che lui ha provato finora e che gli ha allargato il petto nel momento in cui l’ha vista... lo prova anche lei.
E ne è felice. Estremamente felice.











# Lo so, è più forte di me: non posso iniziare una nuova challenge senza la mia coppietta preferita ^^ Li adoro.

Questo capitolo partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" di Soly Dea sul forum di EFP!

rosy

 

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Capitolo 14
*** #Cafuné [Rufy/Nami] ***



# Cafuné




Ciò che prova in quel momento è indescrivibile.
Si è svegliato per caso, udendo i passi malfermi di un Usop ubriaco mentre cerca di salire le scale e recarsi in cucina, forse a cercare un modo per far smettere alla sua testa di girare come un ago di bilancia impazzito.
Rufy sente un corpo relativamente pensate abbandonato sul suo.
Per la verità non è affatto pesante, è come sorreggere una piuma che profuma di mandarini. Il respiro caldo di Nami si infrange sulla sua pelle facendolo tremare, il naso sfiora il suo petto e sente persino le lunghe ciglia scure solleticargli la clavicola.
Trattiene il respiro, Rufy, ha qualcosa dentro che non riesce a descrivere.
In quel momento l’unica cosa che vorrebbe fare è abbracciarla ma ha paura che possa svegliarsi. Tutti dormono sul ponte della nave ma Nico Robin è l’unica ad avere addosso una coperta e ha appoggiato il capo sul grosso braccio meccanico del carpentiere. Hanno un’espressione così beata.
Si paralizza, Rufy, quando Nami muove leggermente gli occhi e le labbra, per un attimo allunga le gambe senza svegliarsi e si accoccola maggiormente sul suo petto.
Non vuole rompere la magia, non vuole che si svegli ma non riesce a rimanere immobile. Vuole toccarla. Vuole sentirla di più.
Allora alza una mano e le sfiora i capelli.
Sanno di mandarino, come la sua pelle. Dapprima saggia la morbidezza delle punte, poi solleva il braccio e le scosta il ciuffo dalla fronte.
È così bella quando dorme, pensa.
Non gli basta, decide, per cui l’accarezza. Lascia scorrere le dita tra i suoi capelli arancioni, lunghi, setosi e si sente al settimo cielo. Impacciato, ne segue le ondulature e respira piano, ha paura di svegliarla, che si arrabbi per averla accarezzata senza permesso. Non vuole ricevere un pugno, ma un bacio.
Gli viene da ridere, quante volte lo aveva picchiato? Mentre adesso dorme come un angelo appoggiata a lui, del tutto tranquilla e rilassata.
Si toglie il cappello di paglia dalla testa e lo appoggia sul grembo di Nami.
Sorride. Perché non può fare a meno di sorridere serenamente quando pensa a lei, quando ha tra le braccia lei e soltanto lei.
Sorride. Nami mugugna qualcosa che non capisce e sorride ancora.
Semplicemente sorride. E la mano torna tra i suoi capelli.
 










 


# Sì, due storie in meno di dieci minuti... ma erano già pronte e io non vedevo l'ora di poter aggiornare!
Anche perché dalla prossima settimana mi sarà un po' difficile scrivere per via di questi stramaledetti esami online T.T

Questa volta la parola utilizzata è:
Cafuné, ovvero
accarezzare la chioma della persona amata facendo scorrere le dita tra i capelli.
Alla prossima!

rosy

 

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Capitolo 15
*** #Cwtch [Sanji/Pudding] ***


 
# Cwtch
 


Ha ancora tanta strada da fare.
Non si può dimenticare, non si può far finta che nulla sia successo eppure Pudding non spera altro. Non può che sperare, Pudding, non può che aggrapparsi a un solo pensiero.
E intanto le lacrime cadono, sembrano volerla divorare così come sta venendo divorata dal dolore e dai sensi di colpa. Perché è dovuta accadere una cosa del genere? Perché non può essere una semplice pasticcera di un paese lontano anziché la trentacinquesima figlia di Charlotte Linlin?
Il solo sapere che lui si trova lì, a pochi passi da lei la fa battere forte il cuore.
Il solo sapere che lui è lì per lei le fa mancare il respiro.
Sta per sentirsi male, il petto le fa male e non crede sia possibile un simile sentimento: misto tra amore e dolore.
È normale che sia così?
Eppure non appena sente i suoi passi si volta. Non appena lo vede tutto sembra sparire di colpo. Il chiacchiericcio delle persone, il miagolio di mamma gatto che passa per casualmente di là, il rumore dei carri trainati e anche il suo stesso cuore che batte all’impazzata, tutto per un attimo sembra sparire.
Le labbra tremano appena e gli occhi si riempiono di lacrime, anche quello posto sulla fronte. Quell’orrendo e maledetto terzo occhio che le ha sempre procurato problemi.
Tutti lo trovano disgustoso. Tutti la fanno sentire un mostro.
Tutti... tranne lui. Lui non lo trova brutto, gli piace. Le ha detto che è bellissima.
Non le ha dato del mostro. Neanche una volta. Neanche quando l’ha tradito.
Neanche quando ha cercato di uccidere lui e la sua famiglia. L’ha sempre trovata bellissima... perché?
È questo che Pudding non riesce a spiegarsi.
Perché quell’uomo dalle strane sopracciglia si comporta in quel modo insolito? Perché la cerca e, quando la trova, puntualmente non fa altro che farle battere forte il cuore?
Perché non se ne torna da dove è venuto? Perché ogni volta che riappare davanti a lei è sempre un supplizio? Perché continua a essere il protagonista indiscusso dei suoi sogni? Perché... lo ama così tanto? Perché? Perché... dannazione...?!
E Sanji non se lo fa ripetere due volte, l’abbraccia in modo dolce ma al contempo facendole sentire chiaramente la sua presenza.
Reale. Lui è lì, vicino a lei e la sta abbracciando.
E Pudding... Pudding pensa che non ci sia cosa più bella.
Il dolore, la rabbia e tutti quei perché le scivolano addosso e si sente finalmente bene, tra le braccia dell’uomo che ama più della sua stessa vita. Pudding ricambia l’abbraccio con un sorriso dipinto in volto.
Non sa fin quanto potrà gioirne ma non le importa, non vuole pensarci ancora. Meglio non farlo, meglio restare stretta tra quelle braccia e pensare a quanto odorino di casa.
Una casa diversa dalla sua. Una casa dove non ha timore di mostrare il suo terzo occhio o la sua vera personalità.
Dove può essere se stessa.
Una pasticcera a cui è capitata la fortuna di potersi innamorare di un cuoco straordinario.
 







 
# Sì, son tornata ^^ l’ho scritta tutta di getto, questa volta non mi sono risparmiata.
Avevo voglia di scrivere un po’ su Sanji e ho trovato questa parola, ragion per cui ne ho approfittato ^^


Cwtch: non un semplice abbraccio, non un abbraccio qualsiasi, ma un abbraccio affettuoso che diventa un luogo sicuro, quel luogo in cui ci sentiamo veramente a casa, tra le braccia della persona amata.

Alla prossima!
 
rosy

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Capitolo 16
*** #Ikigai [Sanji] ***


# Ikigai
 



Chopper gli chiede come faccia a svegliarsi alle cinque tutte le mattine.
Infatti sostiene che l’essere umano deve dormire almeno otto ore per sentirsi sufficientemente riposato e in forze. Ma questo non vale per dei pirati che solcano i mari in cerca di avventure.
Rufy, ad esempio, dorme soltanto cinque ore a notte e si sveglia sempre in tempo per vedere l’alba.
È il suo istinto, dice Zoro, il suo essere pirata.
E Sanji non può che annuire e dare ragione allo spadaccino zoticone perché c’è sempre qualcosa che induce l’essere umano ad alzarsi ogni mattina, ad aprire gli occhi e a sorridere alle persona che incontrerà appena sveglio.
Nami e Robin sono mattiniere, entrambe si svegliano molto presto ma mentre la prima preferisce restare a crogiolarsi nel calore delle coperte per altri dieci minuti, la seconda esce sul ponte e inspira profondamente l’aria salmastra.
E dalla sua cucina, Sanji assiste ogni mattina allo stesso stupefacente miracolo.
Sente Brook intonare qualche bella canzone con il suo violino, i passi di un Usop ancora mezzo addormentato, l’acqua del bagno scorrere ed è segno che Chopper si sta dando una rinfrescata prima di uscire.
Vede Zoro profondamente addormentato sulla coffa e non osa disturbarlo, anche se vorrebbe tanto fargli prendere un colpo perché è divertente vederlo infuriarsi.
Quando sente il grido di Franky, l’ultimo effettivamente a dare segni di vita, è certo che è giunto il momento di aprire la porta e accoglierli con un sorriso che va da un orecchio all’altro. Il momento della colazione.
Rufy si scapicolla per arrivare primo e Usop è costretto a tenerlo fermo perché non vuole che spazzoli via tutto il cibo prima che loro mettano piede in sala da pranzo. Vede Robin sorridergli e Nami mordicchiarsi un labbro, immaginando già le delizie che mangerà da lì a breve.
E mentre lo spadaccino ridacchia per la solita e frustrante battuta del musicista, dopo che Franky si è seduto dall’altro capo del tavolo e prima di poter assaggiare finalmente quelle leccornie che emanano un profumino invitante... Sanji non può fare a meno di pensare che è felice di potersi svegliare alle cinque del mattino.
Perché se la ricompensa è il sorriso della sua ciurma, allora gli va bene così.
 






 



# E niente, gente, sono entrata in un loop.
Non riesco più a smettere di scrivere su Sanji, è più forte di me ^^ sto diventando pazza...!

Ad ogni modo la parola scelta questa volta è Ikigai
: la ragione di essere, la cosa che ci dà forza di svegliarci ogni mattina. E per Sanji la ragione che lo spinge a svegliarsi tutte le mattine è cucinare per la sua ciurma, ovviamente!
Comunque ho letto da qualche parte che Oda, in un intervista (o una SBS non ricordo) ha esplicitamente detto che: "Rufy suole addormentarsi quando si addormenta e svegliarsi quando si sveglia (illuminante davvero -.-) - solitamente dopo 5 ore; Zoro si addormenta verso le 4 e si sveglia alle 7 più i vari ed eventuali pisolini durane la giornata; Chopper è quello più tenero, dorme dalle 21 alle 7; Franky e Usop a quanto pare lavorano fino a tardi e infatti vanno a dormire all'1 ma mentre il primo si sveglia alle 9 (se la prende comoda, eh), il secondo si sveglia alle 8; Nami e Robin vanno a dormire alle 23 ma è Robin la più mattiniera perché si sveglia alle 6, mentre Nami alle 7; infine, ma non per importanza, Sanji e Brook condividono gli orari e infatti si addormentano a mezzanotte e si svegliano alle 5"

Ovviamente Sanji si sveglia presto perchè prepara la colazione. Provateci voi a preparare la colazione per uno come Rufy!
Dopo queste perle di saggezza, me ne vado.
Adieu ^^

rosy

 

 

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Capitolo 17
*** #Jijivisha [Nico Robin] ***


 
# Jijivisha
 



Non avrebbe mai immaginato di voler vivere.
Sarebbe dovuta morire assieme al professor Clover e a sua madre, assieme a tutti gli archeologi di Ohara che non cercavano altro che la verità.
La verità di un mondo corrotto che, ne è certa, nasconde tanta di quella sporcizia al di sotto del drappo immacolato che chiamano Giustizia, da far rabbrividire i morti.
Eppure Nico Robin è viva e adesso, più che mai, vuole vivere.
Perché?, si chiede. Perché dopo vent’anni di rassegnazione finalmente vuole vivere?
E la risposta la trova nel grido del suo capitano mentre scalcia, in attesa del pranzo. Oppure negli urletti eccitati di Chopper quando trova un nuovo libro di medicina. O, ancora, nelle matte risate dei suoi allegri compagni di ciurma.
È per loro che vuole vivere.
Vuole vedere realizzati i loro sogni, vuole vederli ridere, scherzare. Vuole sentirli litigare per delle sciocchezze, vuole assaporare i piatti ricchi di amore che prepara Sanji, vuole continuare a chiacchierare con Nami di cose da ragazze e vuole vivere mille avventure scoprendo posti nuovi.
Per Nico Robin è questo il reale significato di ‘vivere’.
E lo sarà per sempre, teme. Ragion per cui è meglio armarsi di pazienza, una buona dose di umorismo e tanta, tantissima forza.
Anche in quel momento che è a terra, Robin non desidera altro che rialzarsi.
Vuole ignorare il dolore, il sangue e le ossa che pungono i muscoli, vuole correre dai suoi compagni e vuole farlo subito. Vuole vivere per loro ma, soprattutto, con loro.
Per questo corre senza fiato, Nico Robin. Corre e non si ferma, corre e con il suo potere fa sbocciare mille mani che l’aiutano e la fanno andare avanti.
Non vuole morire. Deve andare da loro.
Dalle vere mani che, ne è sicura, la sosterranno nei momenti bui e tristi.
Vuole vivere e festeggiare assieme a loro.
Con i Mugiwara.
 







 
# Rieccomi, questa volta la nostra protagonista è niente di meno che Nico Robin!
Quant’è bellina Robin, eh? Ovviamente, appena ho letto il significato della parola ho subito pensato a lei.
Jijivisha:
il forte ed eterno desiderio di vivere e continuare a vivere. 
Chi non ha amato la scena strappalacrime del ‘voglio vivere’? Se non avete pianto siete dei mostri! ^^

Alla prossima

rosy

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Capitolo 18
*** #Dapjeongneo [Katakuri/Pudding] ***


# Dapjeongneo
 



Lo sa già.
Katakuri sa cosa sta per dire, eppure non ha la più pallida idea di come sentirsi a riguardo. È sua sorella, dovrebbe essere felice per lei. Ma d’altro canto non è questo che vuole Mama, anzi, accadrebbe una disgrazia se dovesse decidere di ignorare i suoi ordini.
Lui conosce già la risposta alla domanda, sa cosa dirà Pudding nel momento esatto in cui ha incrociato i suoi occhi colmi di lacrime. Non l’ha mai vista così.
Non l’ha mai vista così devastata, distrutta... confusa, in tutta la sua vita.
Pudding è la ragazza dai molti volti, tutti e nessuno conoscono la sua reale natura. E sospetta che neanche lui la conosca davvero.
Non centra l’Haki, è qualcosa che sente a priori. Lo capisce dallo sguardo, dalla frangetta disordinata che lascia intravedere il suo terzo occhio, dalle guance rigate di lacrime, dalle labbra tremanti e dalle mani stretti all’orlo della camicetta.
Sua sorella sta per crollare. E cosa può fare lui?
Cosa può fare il tanto decantato fratellone Katakuri quando non ha la benché minima idea di cosa vuol dire quella sua faccia?
Amore impossibile, certo.
Disillusione. Frustrazione. Pudding non è mai stata così poco attenta a mascherare le sue reali intenzioni eppure c’è qualcosa che non riesce a cogliere in quello sguardo.
La vede abbassare lo sguardo e correre via piangendo sbattendo la porta che da alla sua stanza ma la ferma appena in tempo, prima che faccia anche solo un passo.
La vede mordersi il labbro fino a farlo sanguinare e dopo pochi attimi la vede, effettivamente, passarci sopra la lingua, mandando giù quella goccia di liquido ferroso.
Sa già cosa sta per dire, come risponderà alla sua domanda. Lo sa.
E anche Pudding lo sa e questo gli strazia il cuore.
Il suo Haki avrebbe dovuto avvertirlo su come si consola una sorella ferita, qualcuno avrebbe dovuto spiegarglielo perché non sa cosa fare, cosa dire. I pirati di Cappello di Paglia se ne sono andati, hanno lasciato Tottland meno di tre ore prima e Mama è ancora infuriata.
Pudding, la sua sorellina, ha resistito fino a che non è arrivata davanti alla sua stanza, poi è scoppiata a piangere e neanche Brulee, Joscarpone o Galette sono riuscite a capirne il motivo. Hanno pensato di chiamare lui, lui che è perfetto avrebbe sicuramente trovato il modo di rincuorarla.
Ma Katakuri sa benissimo che nessuna sua parola sarebbe servita.
Lui l’ha vista. Con il suo Haki.
Ha visto Pudding abbozzare un sorriso e pronunciare poche, semplici parole.
E poi la vede rassegnata a quel sentimento, troppo forte da poter sopprimere.
Non ho potuto ucciderlo, dice singhiozzando, Non posso ucciderlo perché lui è l’uomo della mia vita.
E sa, Katakuri, che se è arrivata a dirlo a lui vuol dire che ormai c’è poco da fare.
Che si è perdutamente e follemente innamorata di un uomo che non potrà mai avere.
 
 









 
# E sono di nuovo qui con la nostra carissima Pudding.
Ma qui il vero protagonista è Katakuri... è la prima volta che scrivo di lui, spero vi sia piaciuto ^^ Piccola parentesi: ma quant’è carino quando fa la merenda?


La parola di oggi è Dapjeongneo: quando qualcuno fa una domanda ad un altro avendo già in mente una ben precisa risposta. Ovviamente Katakuri sa già la risposta perché lo vede con l’Haki ma, anche, perché lo legge negli occhi della sua sorellina.

Eh sì ^^ Katakuri è un tenerone

rosy
 

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Capitolo 19
*** #Gigil [Sabo/Koala] ***


# Gigil
 


Non è una cosa che può spiegare.
È più forte di lei, lo fa almeno un paio di volte al giorno. Gli pizzica forte le guance fino a farlo lacrimare ma non perché in realtà nasconde un lato sadico, semplicemente è confortante avere Sabo sempre vicino a sé.
La fa sentire bene, al sicuro, a casa. Quando torna da una missione in solitaria o quando è così arrabbiata da non riuscire a controllarsi, gli tira forte le guance.
Ciò la fa ridere, l’espressione che ha Sabo quando la prega di smetterla è davvero esilarante. È buffa. Anche quando sente l’impulso di afferrargli il braccio e stringerlo a sé, non lo fa per paura.
Le piace avere la sensazione di averlo lì, tra le sue braccia. Le piace toccarlo di tanto in tanto, punzecchiargli la schiena o il petto senza alcun secondo fine. Non è semplice tensione sessuale, è qualcosa di più intimo.
Koala ridacchia al solo pensiero che se Sabo dovesse venire a sapere di questa cosa, arrossirebbe come un pomodoro maturo.


 
Le sue guance diventano calde e rosse perché sa che non l’ha fatto apposta ma è stato più forte di lui. E Koala lo guarda confusa, come se si aspettasse almeno una parola da lui.
Le ha afferrato la mano senza pensarci e gliela sta stringendo delicatamente ma al tempo stesso con una tale forza da impedirle di andare via. Sabo è cotto, è quel che pensa Ivankov quando passa di lì e niente gli impedisce di andare a dirlo in giro.
Una pettegola di prima categoria, ma Sabo non riesce a lasciarla andare.
Pensa che sarebbe meraviglioso affondare un dito nella sua guancia e pizzicarla come lei fa spesso con lui. Pensa che sarebbe alquanto imbarazzante ma soddisfacente morderle, quelle guance.
E vuole stringerla a sé, sentire quel corpo tanto femminile stretto al suo perché lo riscaldi di un calore diverso da quello del Mera Mera. Poi irrompe Dragon e la magia si spezza, eppure quel pensiero non l’abbandona.
Prima o poi realizzerà quel suo sogno.
 













# Salve! Sono tornata con i miei piccioncini preferiti. Oddio, alcuni dei miei piccioncini preferiti. Non scrivevo di loro da tantissimo tempo, me ne rendo conto.
Questa volta la parola usata è Gigil: l’impulso irresistibile di pizzicare o stringere qualcuno a cui si vuole bene.

Alla prossima! Baci

rosy
 
 

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Capitolo 20
*** #Backpfeifengesicht [Zoro/Sanji] ***


*Storia partecipante al Contest “The first time we Slashed” di Soul_Shine sul forum Efp*


 
 
 
Quella Faccia ~
 


 
 
Lo dice spesso eppure questa volta gli sembra difficile trattenersi.
Osserva lo spadaccino alzare un sopracciglio, è abbastanza confuso e lo capisce: è da cinque minuti che lo sta guardando con un pensiero fisso in testa. Si sofferma sulla cicatrice che gli attraversa l’occhio e inevitabilmente si chiede, di nuovo, come se la sia fatta.
E Zoro ricambia lo sguardo in silenzio, i muscoli delle braccia tesi perché il cuocastro lo fissa in maniera strana e gli mette inquietudine. Che gli prende? È malato?
Sicuramente, pensa, assaggiare tutte quelle strane spezie deve avergli fatto male.
Allora Sanji smette di tagliare le carote, si volta del tutto verso di lui e glielo dice senza mezzi termini: – Quella tua brutta faccia da marimo ha davvero bisogno di essere presa a calci –
...eh?

 
 
Chopper infila un fazzoletto arrotolato nella narice destra dello spadaccino con, forse, troppa forza perché se ne lamenta.
– La prossima volta evitate di azzuffarvi in cucina, d’accordo? –
Ha un tono di voce palesemente annoiato, Chopper, e questo è strano. Il medico sospira e alza gli occhi al cielo come fa sempre quando vede i due suoi compagni litigare.
È una renna, è molto più giovane di loro ma ha capito perfettamente la situazione. Zoro si lascia osservare dai suoi occhietti clinici e, dopo aver constato che non ci sia niente di rotto, si chiede cosa stia pensando il dongiovanni dalle sopracciglia a ricciolo.
Intanto, però, il cuoco è appena andato a raccogliere i mandarini con un labbro spaccato e ciò lo rende quasi orgoglioso. Sorride quasi, nell’immaginare quella piccola goccia scarlatta colargli giù fino al mento.
Lascia Chopper nel suo studio e una volta sul ponte si stiracchia verso l’alto, ha proprio voglia di una bella dormita. Zoro è quasi arrivato sulla coffa quando la puzza di tabacco lo coglie del tutto impreparato e si ferma, in bilico sulla rete di corda e guarda in basso, seguendo la colonna di fumo al contrario; lo vede.
Ovviamente è il cuocastro biondo, è l’unico fumatore della ciurma.
Ha un cesto tra le mani e sta cogliendo i mandarini, è l’unico a poterlo fare. E ha una faccia serissima, sfiora delicatamente ogni singolo frutto per accertarsi che sia ben maturo prima di posarlo nella cesta.
Butta fuori il fumo e la puzza lo investe nuovamente; quello lì non sospetta neanche che dal basso lo sta affumicando.
Sicuramente, si dice, è l’unico al mondo a cui piace quella marca di sigarette.
Inspira profondamente e continua a salire. Ignora la sua vocetta fastidiosa adulare quella strega dai capelli rossi e decide che, anziché dormire, si allenerà fino a non sentire più le braccia.
 

 
La cena è squisita oltre ogni dire, com’è logico che sia.
Dopodiché Sanji si dedica alle stoviglie, non appena vede Nico Robin lasciare la sala da pranzo abbozzando un sorriso. Sa già che andrà in biblioteca a prendere un nuovo libro dalla biblioteca a poppa della nave, come sa già che Rufy si stenderà sull’erba a guardare le stelle dato che è una serata perfetta per farlo.
Dalla cucina sente Franky ritirarsi nel suo laboratorio per terminare un lavoro e Chopper augurare la buonanotte a tutti, poi la porta si apre e non ha neanche bisogno di girarsi a guardarlo. Sarà il suo Haki, saranno i passi inconfondibili, ma sa che è lui.
Zoro entra piantando i piedi a terra, prosegue fino al frigo da cui tira fuori la sua adorata bottiglia di sakè, è inutile persuaderlo a lasciar perdere convincendolo che per quella sera ha già bevuto abbastanza. È uno zoticone che sa fare soltanto tre cose: bere, dormire e allenarsi. E poi è una spugna, una botte in più di liquore non gli ha mai fatto male.
Si attacca alla bottiglia, lo spadaccino, e beve un lunghissimo sorso. Non sembra bruciargli in gola, non sembra sentirne l’effetto e poi sospira, soddisfatto.
Sicuramente, immagina, quella marca di sakè deve piacergli davvero un sacco.
Poi il marimo torna sul ponte lasciando la porta socchiusa e Sanji per poco non si ustiona l’incavo del braccio a causa della cenere che cade dalla sigaretta dopo che si è voltato. Dall’oblo non vede più l’ombra del marimo ed è lui, adesso, a sospirare.



Ha aspettato troppo a lungo, ne è consapevole.
Deve avercela solo con se stesso. E ora il cuocastro è chissà dove vestito di bianco, con, probabilmente, la ragazza dei suoi sogni dinanzi a lui e stanno giurandosi amore eterno con la benedizione di un parroco.
Di peggio c’è solo una cosa: immaginarsi la sua brutta faccia da pervertito eccitarsi per un visetto d’angelo. Cos’ha fatto per evitare questo?
Niente. Bravo Zoro. Assolutamente niente.
– Non gliel’hai detto –
Nico Robin appare al suo fianco come un fantasma, gli viene quasi un colpo. Si siede accanto a lui, sulla panca, accavallando le gambe lunghe e snelle e voltando il viso nella sua direzione. Quei suoi occhi così azzurri e così penetranti lo stanno mettendo a disagio.
E come se non bastasse gira il coltello nella piaga, quella maledetta: – Non gliel’hai detto ed è per questo che hai quella faccia –
– Quale faccia? –
Il suo è un ruggito. Un ruggito rabbioso e pieno di frustrazione.
L’archeologa ridacchia senza preoccuparsi di nasconderlo: – Se Rufy non riuscirà a riportarlo da noi... vivrai con il rimpianto di non averglielo mai detto, no? –
Già. Ha ragione. Ma non lo dirà, nossignore.
– Rufy è il nostro capitano. Ci riuscirà se è convinto di farcela –
E dentro, nello stomaco, nel petto, ovunque, Zoro ha i muscoli in tensione e in testa tanti, troppi interrogativi, troppi dubbi. Rufy ce la fa.
Ce la fa sempre. Non è questo il problema.
In quegli anni se è certo di una cosa è che il suo capitano riesce in tutto quello che si prefigge perché ha la determinazione e la forza necessarie. E questo lo sa anche Robin, ovviamente.
Ma se fosse Sanji non voler tornare?
Lei lo vede tendersi come una corda di violino, lo vede chiudere anche l’occhio buono e fingere di non sentire il baccano che proviene dalla grande piazza.
E sorride intenerita, perché l’archeologa ha capito. Nami ha capito. Persino Rufy ha capito e gli ha promesso di andare a riprendere quella testa bacata di un cuoco e riportarlo sulla Sunny dove potranno prendersi a testate e litigare a vita.
– Ti dirò un segreto – dice: – Non è troppo tardi per cambiare le cose –
Zoro, per un attimo, smette di respirare.
 

 
Lo guarda ma questa volta è più difficile.
È difficile perché per un attimo è stato sicuro di farcela, di riuscire a dimenticarli e vivere una vita felice assieme alla donna della sua vita. Invece no, perché la realtà ha bussato prepotentemente nel suo petto e ora vede lo spadaccino che fa finta di dormire con la schiena appoggiata a un albero.
Fa solamente finta perché anche lui non sa bene cosa dire.
Ha indosso un kimono, è ovvio che gli stia bene: è un samurai in fondo.
– Cuoco, la vuoi smettere di fissarmi a quel modo inquietante? Se hai qualcosa da dire dilla –
Sanji corruccia la fronte e stringe le dita attorno al filtro della sigaretta, prima di rispondergli a tono: – Ohi, marimo, non è che sei tu a dovermi dire qualcosa? –
L’ha detto senza pensare ma lo spadaccino sgrana l’unico occhio buono e, gli pare, arrossisce un poco sulle guance. Che gli prende? È impazzito?
Sicuramente, suppone, quelle schifezze che si è mangiato quando non c’ero devono avergli fatto male.
E allora Zoro getta una veloce occhiata alle sue tre spade che ha lasciato di fianco a lui come a poterne trarre la forza, lo guarda in faccia e glielo dice senza mezzi termini: – Quella tua brutta faccia da pirla ha davvero bisogno di essere presa a pugni –
...ah.















# Okay. Okay. Calmiamoci…
Non so cosa sia, non era programmata e, soprattutto, l’ho semplicemente scritta di getto per un Contest e non ho mai provato a creare una Slash, è la prima in assoluto!


Che poi, secondo voi, questa è degna di essere chiamata ‘storia Slash’? Boh ^^

Andiamo con ordine. La parola usata è Backpfeifengesicht: una persona la cui faccia sembra aver bisogno di essere presa a pugni o a schiaffi ^^.
Zoro e Sanji sono gli unici personaggi su cui sono riuscita a elaborare una cosa del genere, forse perché in fondo in fondo sono tenerini insieme *^* e poi ogni tanto mi piace leggere qualcosina su questi due... vabbè, come primo approccio che ne pensate?

Spero non mi linciate voi fan della coppia ^^


rosy

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Capitolo 21
*** #Hai shi shan meng [Oden/Toki] ***


 
Attenzione Spoiler! per chi non segue il manga!
 

 
# Hai shi shan meng
 



Il loro non è stato affatto un matrimonio come gli altri: hanno giurato di amarsi per l’eternità su di una nave pirata, al cospetto di un gigante dai baffi a mezzaluna. C’è stato un banchetto degno di un re, hanno ballato e cantato a squarciagola e qualcuno si è persino ubriacato tanto da non reggersi in piedi per i tre giorni successivi.
Oden non è una persona come gli altri, l’ha capito quando è apparso dalle acque del mare per salvarla. Era in condizioni pessime, lo ricorda ancora.
Oden ha il carisma e il fascino di un grande uomo. Ha la forza e la destrezza necessarie ad affrontare il terribile mondo, le sue false verità e i suoi segreti oscuri.
L’amore e l’ammirazione che prova per lui vanno oltre la semplice immaginazione.
E poi gliel’ha promesso. Ha promesso di restare sempre assieme a lei e ai suoi bambini. Ha promesso che li avrebbe amati sempre. Sempre.

Oltre la morte.

È più forte di lei, sorride e pensa che non ci sia niente di più bello della sua risata.
Barbabianca sogghigna e annuncia che anche quella festa è finita. Tutti, meno chi ha il turno di guarda, si recano alle rispettive cabine barcollando.
Non Oden. Non Toki. Loro mettono a nanna i bambini e poi si rifugiano sulla coffa della Moby Dick, osservano il mare illuminato dalle miriadi di stelle in cielo. È buio, non si vede un granché ma quei piccoli fiocchi di luce sono belli, bellissimi e sono testimoni della loro promessa.
Oden siede alle sue spalle ed è leggermente incurvato su di lei, il suo respiro si infrange dolce sul suo orecchio e arrossisce, Toki. È bellissimo stare lì in cima, al riparo da occhi indiscreti ed è immensamente felice che l’uomo della sua vita abbia voluto prenderla con sé.
Si è innamorata di lui e Oden si è lasciato amare a suo modo. È un pirata, un samurai.
È tantissime cose insieme.
Sa perfettamente che quella vita non durerà in eterno ma le va bene così. Sa benissimo che prima o poi Oden verrà richiamato a Wano dove, ne è sicura, saprà adempiere al suo ruolo di Shogun. È un grande uomo, è nato con qualcosa che altri uomini non hanno.
È buono, coraggioso. E lei è orgogliosa di lui, è fiera di essere diventata sua moglie.
– Non è meravigliosa? La notte che oscura il mare – sussurra a un certo punto, Oden.
Il sorriso nasce spontaneo sulle sue labbra e le viene naturale poggiare la testa sulla sua spalla, volgendo gli occhi all’immenso manto che li sovrasta. Avvolta nel suo kimono, Toki percepisce il calore del corpo del suo uomo, di suo marito ed è una gioia che non riesce a descrivere.
Schiude le labbra rosee e sorride: – Ci sono tantissime stelle.
Oden annuisce e ammira anche lui quei fuochi luminosi, tanto lontani quanto affascinanti. Piccole torce, scintille colorate. E pensa che non ci sia niente di più bello, niente di più appagante.
La vita in mare, l’allegria dei suoi compagni, l’amore di Toki, la risata dei bambini.
È tutto perfetto. O quasi. Mentirebbe se dicesse che non gli manca suo padre. E poi non vede l’ora di fare le dovute presentazioni, di poter dire con fierezza ai Foderi che quella straordinaria donna, Amatsuki Toki, Kozuki Toki... è sua moglie.
– Terminato il nostro viaggio, ti porterò a Wano – afferma sicuro, quasi gioioso.
Toki ridacchia e gli volge un’occhiata divertita. – C’è tutto il tempo. Te l’ho chiesto più di due anni fa, posso aspettare ancora un po’.
Ride, Oden. Ama la sua schiettezza, la sua genuinità, la sua bontà d’animo così come la sua forza di spirito.
– Ti amo.
La risata s’interrompe, strozzata. Non è stato lui a parlare, ma Toki.
Gli occhi colo acquamarina sono fissi nei suoi, c’è fermezza e dolcezza nel suo sguardo. Un perfetto equilibrio di forze, di sentimenti. Oden ne è sopraffatto.
Gli manca il respiro, come ogni volta che lei lo guarda. Poi sorride, il tempo è ancora loro amico e hanno promesso di non separarsi mai l’uno dall’altra. Hanno promesso di amarsi.
Lui ha giurato. Lei l’ha guardato e nei suoi occhi c’era tutto: risolutezza, amore...
Si sarebbero amati sempre.

Per sempre.

Oltre la morte.

Per l’eternità.

Il suo sorriso non si rompe, non trema, non accenna ad alcuna incertezza.
– Nuovamente. Ti amo. Ti amo ora, come ti amerò per sempre.
 
 











#Sì, lo so… non mi faccio vedere da quanto? Capitemi, domani ho un esame (l’ultimo della sessione estiva) ragion per cui mi farò vive più spesso ^^
Questa volta ho scelto la coppia Oden/Toki che io ammiro e rispetto. Un uomo e una donna come pochi, due persone splendide e ca**ute.
Davvero, al momento del flashback di Oden, ho avuto i brividi! e chi ha letto il manga come può confermarlo (se non è così siete delle persone cattivissime!)


La parola è Hai shi shan meng: la promessa di amore eterno. Avrei potuto scrivere su molte altre coppie, magari più conosciute, ma... avevo fisicamente bisogno di scrivere qualcosa su questi due.

Li adoro ^^ Alla prossima

rosy

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Capitolo 22
*** #Cheiro no cangote [Sabo/Koala] ***



# Cheiro no cangote
 



Gonfia le guance ed è tremendamente carina quando lo fa.
Lo sgrida perché è stato un incosciente ed è sempre più carina, anche quando gli tira le guance fino a farlo lacrimare, anche quando non gli parla o anche quando scoppia in lacrime ogni volta che lo rivede pesto e sanguinante.
Sabo sa tutte queste cose.
Sa che è un’assidua lettrice di romanzi d’amore, sa che prima di addormentarsi pensa allo zio Tiger, sa che il suo colore preferito è il blu.
Sa che lei è lì, ci sarà sempre per lui e sa che nel momento del bisogno gli tirerà tanti di quei ceffoni da farlo rinsavire, così da non lasciarsi abbattere dai sensi di colpa che gli attanagliano il cuore ogni dannatissima notte.
Sabo sa che Koala è bellissima.
Lo è mentre combatte, quando è concentrata a scrivere il rapporto, sempre.
Anche adesso che si è appena svegliata, Koala è bella perché ha le guance arrossate, gli occhi ancora pieni di sonno, i capelli in disordine, la camicia da notte spostata tutta su un lato e la spalla nuda. Si stropiccia gli occhioni come una bambina e si mette a sedere, le dà fastidio la luce della lampada ma non glielo dice apertamente.
«Sabo, che c’è?» chiede.
Sul comodino ci sono il suo libro, il bicchiere d’acqua e un foglio accuratamente ripiegato con sopra una penna.
«Sai, stavo pensando...» inizia a dire, ma lascia la frase in sospeso.
Koala attende un responso ma non riesce a tenere gli occhi aperti per via della luce, per questo gli si avvicina: «Cosa c’è, Sabo? Non riesci a dormire?»
No. Non è questo.
O meglio, non solo questo.
Sabo non sa proprio come articolare i suoi pensieri, si limita a posare gli occhi sulle lenzuola che ricoprono le gambe della rivoluzionaria, senza spiccicare parola.
La testa di Koala dondola in avanti un paio di volte, poi lei, sempre lei, posa una mano sulla sua guancia e la fronte si scontra inavvertitamente contro quella di Sabo.
Sobbalza. Lei ha ancora gli occhi chiusi, come se stesse dormendo.
«Se c’è qualcosa che non va, puoi dirmelo» dice.
Sono vicinissimi. Tanto che lui sente il respiro di Koala infrangersi sulle sue labbra e non può fare a meno di arrossire.
Non può rimanere in silenzio, non può, così fa per parlare: «Io...»
«Sai, Sabo, per tutto questo tempo non ho fatto altro che guardarti.»
Si ammutolisce di nuovo, il respiro si ferma e apre gli occhi di scatto.
La sorpresa? Incontra le iridi blu di Koala e ne rimane letteralmente incantato.
Sorride, la rivoluzionaria, sorride e arrossisce allo stesso tempo, la sua mano scende dalla guancia e fa per cadere sul letto ma finisce dritta in quella di Sabo.
La sua mano è grande e calda mentre la stringe, pensa.
Più lo guarda e più il cuore batte forte, Koala sa perfettamente cosa questo voglia dire. E quando i loro nasi si sfiorano sente uno sfarfallio nella pancia.
E quando sente il calore delle labbra di Sabo a un millimetro dalle sue, stringe le dita dei piedi e colma la distanza tra i due.
Lo bacia piano, lentamente, come a voler chiedere il permesso. E lui risponde.
Sembra che il cuore stia per scoppiargli dal petto e viene spinto sempre più in avanti, fino a farle ricadere la testa sul cuscino. Non è stato un movimento volontario, si è lasciato semplicemente condurre dall’istinto.
«Koala?»
Lei lo guarda, rossa in volto e con le mani strette alle sue spalle.
Sabo non sa proprio cosa fare, cosa dire ma il sorriso che spunta sul suo volto è genuino. In quel momento è felice.
Altroché se lo è!
«Anche io ti ho sempre guardata» confessa a un certo punto.
E lei ha paura che sia tutto un sogno, che tutto questo non sia vero. Ha una paura tremenda ma le labbra di Sabo le sfiorano piano la clavicola, strofina il naso contro il collo e rabbrividisce.
La pelle è calda, liscia, bellissima e profumata. Come lei.
Si morde l’interno della guancia, Koala, prima di chiedere: «Sei venuto qui nel mezzo della notte per...?»
È intenerita dal suo gesto.
Lui alza la testa per poterla guardare nuovamente negli occhi.
«Avevo voglia di stare con te» cerca di dire, imbarazzato.
Ha voglia di toccarla, di baciarla, di strofinare la punta del naso sul suo collo per poi lasciarvi dei piccoli baci. Ha voglia di sentire la sua pelle morbida e rosea sotto i polpastrelli, di sentire il suo respiro infrangersi contro il suo orecchio, di vederla arrossire e ridacchiare quando lui è troppo preso dalla sua bellezza per dire qualsiasi cosa.
Koala sorride emozionata.
Perché è chiaro come il sole che anche lei vuole le stesse identiche cose.







#Buongiorno! Sono finalmente tornata a scrivere di One Piece... mi mancava.
Ho già detto che adoro Sabo e Koala? *^* Tanti auguri a me! - sì, è il mio compleanno e volevo festeggiarlo scrivendo qualcosa di dolce *^*
La parola di oggi significa:
strofinare la punta del naso sul collo della persona amata.

rosy

 

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