My Angel of Music

di KiarettaScrittrice92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il nuovo proprietario ***
Capitolo 3: *** Un complotto inaccettabile ***
Capitolo 4: *** L'unica stella ***
Capitolo 5: *** L'Angelo della Musica ***
Capitolo 6: *** Il Fantasma dell'Opera ***
Capitolo 7: *** La passione sfrenata ***
Capitolo 8: *** Dietro il mostro ***
Capitolo 9: *** Missive dal Fantasma ***
Capitolo 10: *** La tragedia ***
Capitolo 11: *** Lo sbocciare dell'amore ***
Capitolo 12: *** Ballo in maschera ***
Capitolo 13: *** Un oscuro passato ***
Capitolo 14: *** Duello al cimitero ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Il martelletto picchiò contro il banchetto, proprio nel momento in cui lui e la sua domestica entrarono nell’ormai decaduto Operà de Paris.
«Venduto! ­– gridò il banditore – A madame Bourgeois per venti franchi.»
Si voltò verso la donna, a cui venne porta la locandina appena acquistata, ammirandone la chioma color del miele. Incrociò il suo sguardo di ghiaccio, ma non si fece incantare da quei bellissimi occhi. Era lì per un motivo ben preciso.
Distolse lo sguardo, passandosi una mano tra i capelli scuri.
«Lotto sei sei cinque, un carillon a forma di organetto, con annessa figura di scimmietta in costume persiano che suona i cimbali, questo oggetto rinvenuto nel sotterraneo del teatro è ancora funzionante.» disse per poi caricare, attraverso la chiavetta, l’oggetto e mostrarlo.
Un senso di nostalgia strinse il suo cuore nel sentire quella melodia, riportandolo alla sua infanzia, quando sua madre cantava con la sua voce argentina proprio quelle stesse dolci note.
«Posso cominciare da... Quindici franchi?» domandò il banditore.
Alzò leggermente la mano.
«Sì, a lei signore, venti, grazie.»
Poco dopo alzò la mano anche la giovane donna bionda.
«Venticinque, grazie. Mi offrono venticinque, ho sentito trenta?» domandò ancora l’uomo e lui alzò la mano.
«Trenta... Vogliamo fare trentacinque?» chiese ancora, volgendosi nuovamente alla bionda, ma questa scosse la testa, in segno di negazione.
«Bene... Trenta e uno, trenta e due... Venduto! Aggiudicato a trenta franchi a monsieur Hugo Dupain.» concluse, battendo il martelletto.
Un altro uomo si avvicinò a lui, porgendogli l’oggetto del suo interesse. 
Non appena ebbe quella piccola scimmietta seduta a gambe incrociate sulla scatolina di legno, i suoi occhi verdi si velarono di quella che pareva quasi tristezza. Mentre il ricordo di una storia ormai dimenticata da tutti riaffiorava nella sua mente, nonostante non l’avesse mai vissuta in prima persona.
Il banditore riprese.
«Lotto sei sei sei... Un lampadario con parti mancanti. – fece una pausa, facendo in modo che una strana aria di tensione si espandesse in tutta l’enorme sala – Alcuni di voi, forse, ricorderanno la vicenda del Fantasma dell’Opera. Un mistero, mai del tutto chiarito... Ci dicono signore e signori, che questo sia l’autentico lampadario della famosa catastrofe.»

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Capitolo 2
*** Il nuovo proprietario ***


Il nuovo proprietario

Storse la bocca, osservando il suo riflesso nello specchio di fronte a lei, picchiando ancora un po’ il piumino della cipria sul viso. Il caos attorno a lei era pressoché il solito e, doveva ammetterlo, quell’atmosfera la eccitava e innervosiva allo stesso tempo, ma in fin dei conti era quella la vita in teatro.
«Qualcuno mi presta il pennello per gli occhi?» gridò qualcuno dall’altro lato della serie di specchi.
«Quanto manca?» domandò un’altra e lei percepì una leggera nota di ansia nella voce.
«Non lo so…» le rispose qualcun altro.
Lei intanto afferrò il lucido per le labbra, passandosi il pennellino intinto nel cosmetico, sulla bocca donandole quel leggero color corallo, non troppo lieve, ma neanche troppo acceso.
«Chi sarà la ragazza più incantevole del palco?» domandò la sua migliore amica alle sue spalle e lei alzò lo sguardo sul suo riflesso, sorridendole.
«Sicuramente non sarò la più aggraziata.» scherzò lei, con la sua voce argentina.
«Ah, sciocchezze Marinette! – fece l’altra muovendo la mano in un gesto di stizza – Certo forse non sei la più coordinata delle ballerine, ma la Bustier è una bravissima insegnate e tu un altrettanto brava allieva.»
«E tu sei sempre troppo gentile Alya.» ribatté lei, afferrando la spazzola e passandosela sui capelli corvini.
«Aspetta ti aiuto…» fece la ragazza alle sue spalle, prendendo la fascia di perle che avrebbe dovuto acconciare i capelli di tutte le ballerine e aiutandola a metterla e fissarla nei capelli.
«Com’è che tu sei già pronta?» domandò sbuffando, osservandola destreggiarsi con i suoi capelli.
«Perché sono più svelta, tesoro.» le sorrise lei.
«Ragazze, cinque minuti e dovete entrare in scena! Forza!» urlò una voce di donna.
Quasi tutte le ballerine, che si stavano finendo di sistemare davanti alla serie di specchi, si voltarono verso la loro coreografa, nonché insegnante di ballo.  Una donna seria e impettita, ma dal viso dolce, soprattutto grazie ai bellissimi occhi verde acqua, in perfetto contrasto con la rigida acconciatura, composta da una stretta crocchia, con cui teneva i suoi fiammanti capelli rossi.
«Charlotte, non dovresti bere prima della prova generale!» disse nuovamente la donna, strappando dalle mani di una ragazza una bottiglia di quello che sicuramente era liquore.
«Ma si può essere così in ansia per una prova generale?» si lamentò una di fianco a lei.
«Non me lo dire, ho il batticuore. Nemmeno fosse il nostro primo spettacolo.» commentò l’altra dall’altro lato.
«Forse è perché stasera ci sarà la prima.»
«Forza, sù, sù!» le incitò nuovamente l’insegnante battendo le mani.
Marinette si alzò dalla sedia, controllandosi un ultima volta allo specchio.
Dopodiché scesero tutte, una dietro l’altra, le scale a chiocciola di legno che portavano proprio dietro le quinte del palcoscenico. 
«Cadrò a terra, lo so già.» borbottò lei, pestando i piedi nel gesso in modo da coprire per bene la pianta e le punte.
Man mano uscirono tutte fuori, sbucando dalle quinte e cominciando a riscaldarsi al fondo del palco. Mentre in punta c’era ancora il numero della soprana.
«Guardala la piccola snob come se la tira!» le sussurrò Alya all’orecchio, mentre entrambe osservavano la ragazza cantare a gran voce l’atto.
Marinette scoppiò a ridere, ma fu subito rimproverata dall’insegnante e tacque di nuovo, allungando il piede in modo da creare una linea perfetta dall’attaccatura della gamba fino alla punta.
La ragazza nella parte davanti del palco, infilata in quell’ingombrante e sontuoso vestito di scena, emise il suo acuto e quasi tutti, sia sul palco che sotto, si portarono le mani alle orecchie.
«Mio dio, ma come si fa ad avere una voce così acuta? Romperebbe tutta la cristalleria potesse.» commentò di nuovo Alya, proprio mentre l’orchestra cominciava a suonare ed entravano altre donne in costume anche loro cantando e marciando e poco dopo a loro si unirono anche gli uomini.
«Signori per favore… State sbagliando i tempi… Fate attenzione vi prego!» si lamentò il direttore d’orchestra, battendo la bacchetta sul leggio.
«Ed ecco che tra poco al Maestro Damocles verrà un’altro attacco di panico…» disse Marinette, vedendolo agitarsi in quel modo.
Qualcosa però interruppe improvvisamente le prove.: un borbottio dal lato opposto del palco.
In mezzo a tutta la compagnia, rigorosamente in costume, si fecero strada due uomini e una donna, in abiti eleganti. Marinette riconobbe subito il primo come, monsieur Agreste, il proprietario del teatro e la donna come la sua segretaria Nathalie Sancoeur, mentre l’altro aveva un aria familiare, ma non sapeva con esattezza chi fosse.
Il direttore d’orchestra emise un verso esasperato.
«Monsieur Agreste, io sto lavorando…» si lamentò, asciugandosi il sudore dal viso paonazzo con un fazzoletto.
Ormai si erano fermati tutti, osservando ciò che stava accadendo al centro del palco.
«Vi ruberò solo un paio di minuti Maestro Damocles, si tratta di un affare importante. – rispose con tono risoluto e freddo il proprietario del teatro – Da un po’ di tempo nella compagnia girano delle voci riguardanti il mio ritiro, ebbene, quelle voci sono fondate.»
A quell’affermazione un borbottio si alzò per tutto il palco, mentre la giovane protagonista annunciava con fare superiore che lei l’aveva capito fin da subito.
«Ho il piacere di presentarvi, perciò, colui che prederà il mio posto e che ora possiede ufficialmente l’Operà Populaire de Paris, ossia Monsieur Andre Bourgeois.»
«Oh che gioia, finalmente un po’ di giustizia!» esclamò la prima donna.
«Perfetto, ci mancava solo che avesse il paparino a sostenere le spese del teatro. Adesso chi la sopporterà più coi suoi capricci.» si lamentò Marinette, osservando il tutto con una piccola fiamma d’odio nello sguardo azzurro.
«Oh stai pur tranquilla che conoscendo come funziona questo teatro il signor Bourgeois non sarà capace di gestire nulla.» la rassicurò Alya con un sussurro. La corvina, però, rispose solamente con un alzata di spalle, non ancora del tutto convinta se crederle.
«Ed io sono profondamente onorato di presentarvi il mio mecenate. – fece il nuovo proprietario, attirando nuovamente l’attenzione di tutti – Il visconte Kurtzberg.»
A quell’annuncio sul palco si levò un leggero applauso, mentre tutto trafelato entrava un giovane uomo dai rossi capelli a caschetto che gli coprivano parte del viso.
Nel sentire quel nome, Marinette alzò lo sguardo, notando la sua elegante e regale figura.
«Nathaniel…» sussurrò, la sua voce pareva quasi incantata, come d’altronde lo erano i suoi occhi.
Alya si voltò verso di lei, corrucciando le sopracciglia, non capendo.
«Chi?»
«Prima che mio padre mi portasse qui, lui veniva sempre a prendere il pane da noi… – il suo sguardo divenne quasi radioso e sognante – Si può dire che da piccoli fossimo fidanzatini. Non è mai stato un ragazzo molto coraggioso ma… Mi faceva sentire protetta… Da piccola mi chiamava dolce Marie.»
L’amica si portò una mano al cuore, commossa.
«Oh Marinette…» sospirò soltanto.
«I miei genitori ed io siamo onorati di promuovere tutte le arti – cominciò il visconte, dopo aver ringraziato del benvenuto – in particolar modo l’Operà Populaire, famosa in tutto il mondo.»
«Ah, Visconte, permettetemi di presentarvi mia figlia, nonché prima donna dell’Operà, Mademoiselle Chloé Bourgeois.» disse il nuovo proprietario, tendendo la mano alla figlia che, con un po’ di fatica per l’ingombrante vestito, si avvicinò a loro.
Subito dopo però, un altro giovane attirò l’attenzione facendo un leggero colpo di tosse.
«Lui invece, – intervenne Monsieur Agreste – è il tenore, Kim Lê Chiến.»
Si avvicinò pure lui e il Visconte, dopo aver fatto il baciamano alla protagonista donna, strinse quella del protagonista maschile.
«È davvero un onore, signori… Ma, a quanto vedo sto interrompendo la vostra prova generale, quindi vi lascio. Tornerò questa sera per assistere al vostro grande trionfo. Au revoir.» concluse, per poi andarsene, mentre già la giovane Bourgeois si vantava di quanto lui fosse rimasto incantato da lei.
Nell’uscire, il rosso passò proprio di fianco alle ballerine, ma proseguì dritto senza degnare di uno sguardo nessuna di loro.
«Non mi ha riconosciuta…» disse Marinette, un po’ affranta.
«Non ti ha vista, Marinette, stai tranquilla.» sussurrò l’amica, mettendole una mano sulla spalla e rassicurandola.
«Forza ragazze, è il vostro momento!» intervenne la voce di Madame Bustier, attirando l’attenzione di tutte.
Il gruppo cominciò a danzare, il tutto davanti agli occhi attenti del nuovo proprietario che, nonostante la figlia stesse tenendo la scena sul davanti del palco, aveva occhi solo per le danzatrici.
La scena si concluse, assieme alla canzone, con il solito fracasso.
«Maledizione Kim, riesci mai a farne una giusta? Mi stavi per strappare il vestito e poi tu dovresti stare a destra, non a sinistra, altrimenti copri il mio profilo migliore!» si lamentò.
Alya sbuffò.
«Ma quanto strilla?»
«È un soprano. Strilla finché ha voce per farlo.» ribatté Marinette ed entrambe scoppiarono a ridere.

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Capitolo 3
*** Un complotto inaccettabile ***


Un complotto inaccettabile

Con furia prese i lembi dell’ingombrante vestito e si avvicinò al padre, il tutto mentre Gabriel Agreste parlava con lui.
«Spero che il Visconte tenga allo spettacolo di stasera.» stava dicendo lui, con il suo solito fare freddo e risoluto.
«Beh, io spero… – intervenne lei – che il Visconte tenga abbastanza alle ballerine. Insomma papà, sono qui! Sono tua figlia!» strillò con la sua odiosa voce acuta.
«Andiamo Chloé era solo…» tentò di spiegare il signor Bourgeois.
«Era solo cosa? Cosa?! Sai che ti dico? Io stasera, non canto!» urlò, per poi girare i tacchi e andarsene, sotto gli occhi di tutti, continuando a blaterare il suo disappunto per quello che a lei appariva come un’oltraggio bello e buono.
«Chloé, principessina mia, aspetta! – la inseguì il padre, bloccandola – Tu sei l’unica che può farlo tesoro mio. L’unica stella.»
«Sì, lo so.» fece lei, riassumendo la sua aria altezzosa e compiaciuta.
«Maestro, – fece poi il nuovo proprietario, rivolgendosi a Monsieur Damocles – non c’è un bel brano che la mia splendida figlia può cantare per dimostrare la sua incredibile bravura?» domandò.
«Oh… S-sì… – rispose lui asciugandosi il sudore dalla fronte con un fazzoletto – Potremmo fare… L’area nel terzo atto…» propose.
«Oh certo, quella di cui quelle stupide sarte non mi hanno finito il vestito!» si lamentò nuovamente lei, furiosa.
«Oh sta tranquilla mio raggio di sole, vedrai che entro sta sera sarà tutto pronto e perfetto.» la rassicurò il padre, porgendole il palmo della mano.
Lei fece un sospiro.
«Beh… Se il mio… – fece una pausa, come fosse indecisa su che parola usare – impresario, lo comanda. Maestro?» concluse rivolgendosi a Monsieur Damocles.
«Se la mia diva lo comanda.» rispose lui.
«Sì, lo comando! – fece lei con tono autoritario, afferrando la mano del padre e facendosi scortare al centro del palco – Ed ora tacete tutti!» ordinò, mentre il teatro cadde nel più assoluto silenzio.
Il maestro picchiò la bacchetta sul leggio, per poi sollevarla, la giovane cantante si schiarì la voce e poi partì, coordinata da lui.
«Pensami, pensami mentre, sei lontano ormai. Rammentami, mi penserai, prometti proverai.»
Come al solito i suoi acuti erano fastidiosi e incredibili allo stesso tempo, soprattutto se, come in quel momento, cantava a cappella, nell’assoluto silenzio del teatro. Marinette giurò, addirittura, di aver visto due donne delle pulizie mettersi del cotone nelle orecchie per non cadere vittime di quella voce mostruosamente alta.

 

Non appena sentì quella voce, terribilmente odiosa, cantare a cappella uno dei suoi brani meglio riusciti, sentì la rabbia prendere possesso di ogni cellula del suo corpo.
Camminò lentamente sulle assi disposte nella parte superiore del palco, che servivano agli assistenti di scenografia per operare.
«Se vedrai il vuoto tra di noi, la libertà respirerà…»
Quell’oca che starnazzava avrebbe fatto il suo ultimo acuto. Sciolse la corda che teneva uno dei pannelli per lo sfondo, poi fuggì via velocemente, lasciando cadere la sua missiva per quel nuovo e incapace proprietario.

 

La pesante asse del pannello precipitò sul palco, tra le urla di tutti, colpendo la ragazza, ma risparmiandola miracolosamente. Cadde solo a terra, mentre il suo ingombrante vestito attutì la caduta e il colpo.
«Oh mon dieu! – esclamò il maestro – Signorina!»
«Chloé, bambina mia, stai bene?» domandò Monsieur Bourgeois, mentre qualcuno l’aiutava ad alzarsi.
Alya e Marinette alzarono lo sguardo, spaventante come tutti.
«Credi che sia stato il Fantasma dell’Opera?» domandò la prima, afferrando le mani all’amica. Il suo tono di voce era un misto tra l’agitazione e l’eccitazione.
«Shhh! Alya smettila, non dire certe cose…»
«Ramier! – tuonò il signor Agreste – Cosa diavolo è successo?»
«Oh santo cielo! – squittì una voce dalle travi in alto, che apparteneva all’uomo che stava girando la manopola per sollevare nuovamente la scenografia – Non… Non sono stato io, non ero nemmeno al mio posto in quel momento. Forse… è stato il fantasma…» disse, con un timbro di voce leggermente spaventato.
In quello stesso momento Madame Bustier notò una lettera poggiata sulle assi del palco, proprio dietro le quinte. Si chinò a raccoglierla, ma non c’era mittente o destinatario. Non che a lei servisse capire chi la mandava. Il sigillo in ceralacca sulla busta era alquanto esplicito: il simbolo di un gatto, fatto con la cera nera come la pece.
Al centro del palco, invece, Andre Bourgeois stava ancora cercando di tranquillizzare la figlia.
«Bambina mia, queste sono cose che capitano…» disse, cercando di tirare un sorriso e prenderla sul ridere.
«Queste cose capitano da tre anni ormai! Il signor Agreste non ha mai fatto nulla e tu, papà, non farai mai nulla! – sbraitò lei, indicando prima il vecchio proprietario e poi il padre – Queste cose capitano… Beh, sia chiaro. Finché queste cose capitano, questa cosa, non capiterà più!» disse indicandosi e andandosene via.
«Chloé…»
«Addio dilettanti… Mi avete vista? Bene, perché non mi vedrete sta sera!» strillò lei, uscendo dal palco.
«Beh Monsier Bourgeois, buona fortuna.» disse risoluto il vecchio proprietario, per poi allontanarsi con la sua assistente.
«Oh mon dieu… Siamo finiti… Finiti…» biascicò il Maestro Damocles.
«Ma come faremo senza Chloé?» domandò l’uomo disperato.
«Monsieur, scusate se la disturbo, ma ho un messaggio per voi da parte del Fantasma dell’Opera.» intervenne Madame Bustier, mostrando la busta aperta.
«Oh santo cielo, siete tutti ossessionati!» protestò il proprietario.
«… Vi dà il benvenuto nel suo teatro dell’Operà…»
«Il suo teatro?» domandò l’uomo sgranando i piccoli occhietti azzurro chiaro.
«… e vi ordina di continuare a lasciare il palco numero cinque libero, per lui. – continuò la donna, completamente incurante delle sue proteste, mostrandogli con la mano il loggione indicato – Inoltre, vi rammenta che siete in arretrato col suo salario!» concluse, porgendo poi la lettera all’uomo.
«Vuole pure essere pagato?»
«Monsieur Agreste soleva dargli ventimila franchi al mese.» rispose lei gentilmente.
«È assurdo! – protestò, strappando poi la lettera in mille pezzi – Senza considerare che la nostra star ha dato forfait!»
La donna alzò le spalle.
«Forse potreste trovare una sostituta.» suggerì tranquillamente.
«Una sostituta?! – chiese Monsieur Damocles, sconvolto – Non si può sostituire la signorina Bourgeois!»
L’uomo si passò una mano sul viso, esasperato.
«Dovrò rimborsare un tutto esaurito…» biascicò.
«Marinette potrebbe cantare!» disse all’improvviso Alya, attirando l’attenzione di tutti.
«Alya, che dici?» sussurrò imbarazzata lei, guardandola sconvolta.
«Una ballerina che canta? Che sciocchezza!» fece l’uomo, agitando la mano, come volesse scacciare una mosca fastidiosa.
«Le assicuro che è bravissima! L’ho sentita cantare io stessa.» insistette la ragazza.
«Confermo… – le diede man forte la loro insegnante di danza, con un tono più gentile e meno irruento – Ha avuto lezioni da un grande maestro.»
«Davvero? Chi?» domandò Andre Bourgeois, improvvisamente interessato.
Marinette sentì le guance avvampare, ma fece due passi avanti e rispose.
«Mi spiace Monsieur, non conosco il suo nome…»
«Lasciatela provare! Non ve ne pentirete!» continuò Alya, spingendola in avanti.
L’uomo sospirò.
«Se non abbiamo alternative… Maestro, potrebbe…?» chiese.
«Oh, sì, sì. – fece lui, rimettendosi dietro al leggio – Allora Mademoiselle Dupain, da capo.»

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Capitolo 4
*** L'unica stella ***


L'unica stella
 

Pensami,
pensami mentre sei lontano ormai.
Rammentami,
mi penserai prometti proverai.
Se vedrai
il vuoto fra di noi
la libertà respirerai,
ma se sognerai d'amarmi
mi ritroverai.

Era meravigliosa e dominava il palco con una classe e un’eleganza che quasi stupiva anche lei stessa. Fino a quella stessa mattina non avrebbe mai creduto di poter essere la protagonista di uno spettacolo e invece adesso era lì, al centro del palco. Sentiva gli sguardi del pubblico davanti a lei e degli altri teatranti dietro le quinte addosso, mentre lei cantava, proprio in mezzo alla scena.
I capelli corti e neri erano perfettamente acconciati e decorati di stelle, mentre indossava uno splendido e sontuoso abito che quasi la faceva sembrare una sposa. La più bella delle spose.

L'amore cambia come un fiume che
scorre infinito dentro te,
ma per quello che c'è stato
fermati con me.
Sì, ti vedo in quei ricordi, sei
ad offuscare ancora i mali miei.

Sentiva la sua voce argentina e limpida emettere ogni gorgheggio con assoluta precisione. Altro che ballerina, quella ragazza era nata per cantare e lui lo sapeva bene.
Chiuse gli occhi assaporando ogni nota che usciva dalla sua meravigliosa bocca per poi propagarsi in tutto il teatro, arrivando così anche a lui che si trovava parecchi metri sotto al palco. Tirò il collo, come nel tentativo di tendere le orecchie e ascoltare meglio, mentre la sua gola si faceva secca.
In quel momento il suo unico desiderio era vederla e magari avvicinarsi a lei. Sfiorare quella sua pelle candida e percepire il suo profumo di biscotti appena sfornati, segno che, come tutte le mattine, era andata a trovare il padre alla boulangerie di famiglia.

Pensami
pensami mentre io non dormirò,
tu pensami
vorrei scordarti ma non potrò mai.
Rimpiangerai tutte le cose che
tu non hai fatto insieme a me
ogni ora che vivrò io penserò a te.

Il Visconte era comodamente seduto nel palco numero cinque, osservando lo spettacolo. Quella ragazza meravigliosa in abito bianco l’aveva colpito, non tanto per come cantasse, o meglio, sicuramente anche per quello, ma in particolar modo perché la conosceva bene. 
Come avrebbe potuto scordare la sua dolce Marie. Sì era vero, era passato un po’ di tempo dall’ultima volta che si erano visti e anche dal periodo in cui giocavano assieme, ma ricordava perfettamente ogni sguardo che si erano scambiati quando ogni mattina lui, assieme alla madre, andava alla boulangerie di suo padre per prendere il pane. Quei suoi occhi color del cielo erano davvero difficili da dimenticare.
Ed ora, rivederla lì in quegli splendidi abiti, mentre cantava con quella magnifica voce melodiosa che nemmeno poteva immaginare allora, gli faceva battere il cuore nel petto come non mai.

Come noi,
un fiore come noi
non sfiorirà dentro di te,
ma promettimi che un giorno
penserai...

In quel momento cominciò a gorgheggiare, proprio come l’opera richiedeva; concludendo poi con un’acuto finale.
Tutto il pubblico cominciò ad applaudire, alzandosi anche in piedi, mentre lei un po’ più rossa sulle gote, prese i lembi del suo vestito e fece un profondo inchino, ringraziando quell’ovazione. Qualche nobile nelle prime file si azzardò anche a lanciare alcune rose sul palco, il tutto mentre ancora gli applausi imperversavano.
Marinette si voltò sorridente e ancora imbarazzata verso le quinte vedendo Alya e le altre sue compagne ballerine, applaudirle anche loro, entusiaste.
Solo una persona, in un palco al fondo del teatro, nel suo elegante completo di velluto blu, non mostrava nessuna euforia per quello spettacolo. Quella ballerina le aveva rubato il posto e, come se non bastasse, adesso tutti la stavano elogiando come se fosse lei la star indiscussa.
«Quella sciaquetta non merita nessun applauso!» disse tra i denti.
«Beh, devi ammettere che è brava...» commentò una ragazza di fianco a lei, con un abito verde, che aveva appena finito di applaudire.
«Taci Sabrina!» le ordinò lei, continuando a puntare i suoi occhi di ghiaccio contro la moretta che se ne stava tutta compiaciuta in mezzo al suo palco.

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Capitolo 5
*** L'Angelo della Musica ***


LAngelo della Musica

Marinette si buttò sul divanetto del camerino che le avevano assegnato il giorno stesso, quando aveva accettato di fare la parte protagonista dello spettacolo. Chiuse gli occhi solo per un paio di secondi, come nel tentativo di riposarsi. Si sentiva provata dall’esibizione appena eseguita e percepiva distintamente il cuore martellarle ancora nel petto a un ritmo serrato.
Non appena lo fece, una voce, ormai inconfondibile, si complimentò con lei.
«Sei stata bravissima, my lady…»
Improvvisamente però, qualcun altro irruppe nel suo camerino, spalancando la porta e facendola sobbalzare.
«Ragazza mia, tu sei un talento nato!» si complimentò con lei Alya, rimanendo in piedi vicino all’ingresso e osservandola.
La corvina sorrise a quel complimento, senza però dire una parola. Un po’ le dispiaceva essere stata interrotta in quel magico momento.
«Dico sul serio Marinette, conoscevo il tuo talento nel canto, ma oggi hai superato te stessa. Mi spieghi come fai? Chi ti ha insegnato a cantare così?» insistette l’amica.
Lei ritirò le labbra, per poi mordersi quello inferiore. Era sempre stata restia a raccontare ciò che le accadeva, fin da quando era entrata a far parte della compagnia dell’Operà, e finora si era esposta solo con madame Bustier, ma in fin dei conti Alya era la sua migliore amica.
Emise un sospiro, cercando le parole adatte per cominciare quel racconto.
«Vedi… Quando mio padre mi mandò qui la prima volta, ero confusa. Lui sapeva, come sa tutt’ora, che il teatro è sempre stata la mia passione più grande, eppure io avevo paura. Insomma ero scoordinata nella danza, cantavo poco e a recitare non ero poi così brava. Ma quando arrivai qui, a teatro, ogni volta che mi ritrovavo da sola, in compagnia solo dei miei timori e delle mie paure, c’era una voce… E nei miei sogni, nella mia mente, la udivo sempre. – emise un altro sospiro, leccandosi le labbra e percependo il sapore del rossetto che aveva applicato prima dello spettacolo – Quando a suo tempo avevo esternato le mie paure ai miei genitori, loro mi dissero che sicuramente sarei riuscita nel mio intento, perché ognuno di noi ha un angelo, non un angelo qualsiasi, ma uno di quelli che ci guida in ogni nostra inclinazione, quasi come una musa. Mi rassicurarono che sicuramente qui, a teatro, avrei trovato il mio angelo, l’Angelo della Musica.» concluse, tirandosi su e iniziando a togliersi l’ingombrante vestito che ancora stava indossando.
Alya rimase in silenzio per tutto il racconto, ascoltando con attenzione, quasi spaventata all’idea di rovinare l’atmosfera che si era creata. Notava gli occhi sognanti di Marinette, mentre parlava di quegli eventi: avevano la stessa lucentezza di quando avevano visto il Visconte.
«Quindi, tu pensi che sia questo angelo a parlarti? Come fosse una specie di spirito?» domandò, aiutandola nell’intento di togliersi l’abito.
«Chi altri potrebbe essere?» domandò Marinette, quando fu finalmente libera.
«Ma…»
«Sento la sua presenza, la sua vicinanza, sempre. Anche adesso. Non mi lascia mai sola, non fino a quando sono qui in teatro.» spiegò Marinette, mentre s’infilava la vestaglia di seta bianca e legava la cinta intorno alla vita.
L’altra scosse la testa.
«Amica mia, sono solo sogni e fantasie. Qui ci sei solo tu, tu e il tuo infinito talento, non c’è nessun angelo.» insistette, sfiorandole la spalla.
All’improvviso, un brivido scosse l’intero corpo della corvina; un brivido talmente violento che dovette appoggiarsi con entrambe le mani alla toletta davanti alla specchiera, per reggersi in piedi.
«Marinette, ti senti bene?» domandò Alya, preoccupata.
Alzò gli occhi blu cielo verso lo specchio, osservando il suo riflesso. Il solito color pesca delle sue guance aveva lasciato il posto a un bianco latte, mentre la sua bocca, semi aperta emetteva sospiri affannati.
«Vuole me… Lo sento…» disse, a mezza voce.
«Sai cosa penso? Che hai solamente bisogno di riposarti. – disse l’amica, aiutandola a sedersi sulla sedia – Ora ti strucchi, ti dai una sistemata e poi vai a farti una bella dormita, va bene?»
Lei rispose con un cenno di testa, continuando ad osservare il suo stesso riflesso, mentre, per qualche strano motivo, sentiva addosso uno sguardo mai percepito. Uno sguardo famelico, morboso, languido e completamente perso. Sebbene non capisse a chi poteva appartenere, visto che nella stanza vi erano solo lei e Alya, era sicura che qualcuno la stesse osservando in quel modo.
L’amica le diede un ultimo abbraccio, stringendola da dietro, per poi uscire dal camerino, chiudendosi la porta alle spalle.
Il suo sguardo, proprio in quel momento, cadde sull’angolo del camerino in cui l’infinità di fiori ricevuti dagli ammiratori, facevamo bella mostra e davano all’intera stanza un intenso e quasi inebriante profumo. Non l’aveva notata fino a quel momento e in un attimo percepì nuovamente quel brivido, sebbene più debole rispetto a prima.
Si allungò, senza alzarsi dalla sedia e prese con le due dita lo stelo di quella singola rosa che si trovava sulla toletta, proprio in quell’angolo. Attorno ad esso un nastro nero come la notte, creava un elegante, ma allo stesso tempo macabro, fiocco.
Qualcosa dentro di lei sapeva bene chi le aveva mandato quella rosa, ma aveva paura anche solo di pensarlo ad alta voce.


Il giovane nobiluomo si fece largo tra la folla che animava ancora il teatro dopo lo spettacolo.
«Oh, Visconte. Ha visto che giovane talento abbiamo trovato per lo spettacolo di questa sera?» fece monsieur Bourgeois che, nonostante gli fosse profondamente dispiaciuto non vedere la sua bambina in scena, era orgoglioso di come lo spettacolo fosse piaciuto a così tanta gente.
«Sì, davvero incantevole.» rispose lui, passandosi una mano tra i rossi capelli e togliendoli per un attimo da davanti la fronte.
«Forse gliela potrei presentare.» propose l’uomo.
«Ehm, no… – cominciò, mordendosi poi l’interno della guancia – Se non le dispiace, questa… questa visita la vorrei fare da solo…» concluse, mostrando il mazzo di fiori che aveva in mano. Dopodiché riprese la sua svelta camminata verso il camerino della protagonista.
Quando arrivò, aprì lentamente la porta e la ammirò per qualche secondo: era intenta ad osservare una rosa e a giocherellare col nastro nero che la decorava. Sorrise, nel vederla così presa dai suoi pensieri.
«La mia dolce Marie con la mente vagava… – cominciò chiudendosi la porta alle spalle e vedendola voltarsi verso di lui con quel radioso sorriso che lo imbarazzava sempre un po’ – La dolce Marie pensava: mi piacciono più le bambole, i biscotti di papà o le scarpette?»
«Nathaniel…» sospirò lei, guardandolo con una dolcezza infinita.
«… I suoi disegni o i vestitini?» continuò a recitare, poggiando il mazzo di fiori.
«I croissant appena sfornati…» aggiunse lei.
«…o i cioccolatini…»
«No… – rispose infine lei, alzandosi e avvicinandosi a lui – Quel che amo di più, disse Marie, è sentire l’Angelo della Musica mentre dormo.»
A quell’ultima frase lui sorrise, abbracciandola e stringendola forte a sé.
«Hai davvero cantato come un angelo stasera, Marinette.» disse in un sussurro.
Si staccarono, entrambi con due bei sorrisi da mostrare l’un l’altra.
«Come stai Nathaniel? È da anni che non ci vediamo!» cominciò entusiasta lei.
«Oh puoi ben dirlo, eppure sembra che non sia cambiato nulla, se non il tuo enorme talento.» si complimentò il giovane Visconte.
«Ricordi? Mio padre e mia madre ci parlavano sempre degli angeli e del mio Angelo della Musica. Da quando sono qui, quell’angelo è venuto da me.» disse sorridente, ripetendo lo stesso discorso che poco prima aveva detto ad Alya.
Sapeva bene che con Nathaniel poteva parlare di tutto, perché alla fine dei conti, lui sapeva tutto. Anche se l’ultima volta che si erano visti erano appena due bambini.
«Su questo non c’è alcun dubbio. – le disse dolcemente lui, allungando una mano verso di lei e spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio – Che ne dici? Vuoi venire a cena con me sta sera, dolce Marie?» domandò poi, regalandole un sorriso e una carezza, passandole le nocche sulla guancia.
«Va bene, mi preparo, mi vesto e sono pronta!» accettò subito lei.
«Allora vado a chiamare la mia carrozza, ci vediamo tra cinque minuti.» concluse lui, lasciandole un leggero bacio sulla guancia che poco prima aveva sfiorato, per poi allontanarsi di nuovo e uscire dal camerino.


Strinse i pugni avvolti nei guanti di pelle, artigliati. Quel damerino non si sarebbe preso ciò che era suo. Socchiuse gli occhi color smeraldo, mentre lo osservava allontanarsi, quasi come se sperasse che con il suo semplice sguardo potesse dargli fuoco.
Si leccò le labbra, quel poco che la sua maschera nera, che gli copriva metà viso, gli permetteva. Subito dopo, si avvicinò alla porta del camerino e con un tocco silenzioso e leggero, girò la chiave, che come d’abitudine nel teatro era posta dalla parte esterna della porta, nella serratura e la estrasse, portandosela via.

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Capitolo 6
*** Il Fantasma dell'Opera ***


Il Fantasma dellOpera

Pian piano il teatro si svuotò, sia degli spettatori che dei teatranti, ognuno diretto a casa propria.
Solo Marinette era rimasta lì, nel suo nuovo camerino, in vestaglia. Esattamente come il giovane Visconte Kurtzberg l’aveva lasciata.
Aveva preso di nuovo fra le dita la rosa. Nella sua mente rigiravano milioni di domande legate a quel fiore. Domande che avevano completamente scacciato la consapevolezza che, forse, doveva vestirsi per uscire a cena con Nathaniel.
Improvvisamente, una folata di aria gelida la colpì e tutte le candele che illuminavano il camerino si spensero, come fossero state anche loro colpite da quel vento.
Alzò lo sguardo cobalto dalla rosa, guardandosi attorno spaventata. 
«Nathaniel, sei tu?» disse quasi in un sussurro.
«No, my lady. – fece una voce e la ragazza continuò a guardarsi attorno, sempre più terrorizzata, mentre la voce continuava e si faceva quasi adirata – Quell’insolente damerino non ci disturberà più questa sera. Lui brama la tua gloria e la tua bellezza, ma tu, tu mia cara, sei solo mia! È solamente un ignorante adulatore che guasta la mia arte!»
«Angelo? Sei tu? Ti sento, sento la tua presenza… Io…» Marinette non sapeva che dire.
Nel suo cuore imperversavano paura e allo stesso tempo attrazione. La prima per il tono duro e adirato che aveva appena sentito nella voce solitamente sempre dolce e gentile del suo Angelo della Musica, la seconda perché mai si era azzardato a parlarle così a lungo. Spesso anzi, l’aveva solo sentito cantare, quando capitava che chiedeva il suo supporto per qualche nota che non le riusciva.
«Non devi mai allontanarti da me. Coloro che non comprendono la perfezione della musica non meritano di starti accanto.» disse di nuovo la voce, addolcendosi un po’.
Lei rispose solo con un cenno di testa, mentre percepiva il cuore cominciare a batterle forte in petto e le sue mani, ancora attorno alla rosa, tremare.
«Accetterò ogni tuo compromesso… Ma… ma ti prego… mostrati…» chiese, quasi pigolando, con voce tremante.
«Marinette, my lady, tu non mi conosci davvero. Io vivo nell’ombra di questo teatro, nell’oscurità più assoluta. Non sono l’Angelo in cui credi così ciecamente.» la sua voce era tornata completamente dolce e vellutata, tanto che la giovane ragazza si domandò com’era possibile che una voce così bella e melodiosa potesse appartenere a una persona terrena, a qualcuno che non fosse un angelo.
«Io ho bisogno…» cercò di dire.
«Guardati allo specchio. Sono proprio qui.»
Si voltò verso l’enorme specchio dalla cornice in oro che c’era al fondo della camera, attaccato al muro. All’inizio vide solo il suo riflesso: la vestaglia candida che le scivolava lungo il corpo, il volto pallido e leggermente impaurito, incorniciato dai capelli corvini, completamente sciolti.
Poi pian piano, comparve un altra figura, proprio al suo fianco, al bordo dello specchio. Era poco più alta di lei, che gli arrivava al petto, indossava un completo scuro, con tanto di mantello, mentre metà del suo viso era coperto da una maschera, anch’essa nera. Gli unici toni di colore in quella figura, escludendo la pallida carnagione, erano i capelli biondissimi e gli occhi dello stesso colore dello smeraldo, che la osservavano con bramosia.
Non l’aveva mai visto per davvero, ma qualcosa nella sua testa e nel suo cuore le suggeriva che fosse proprio lui. 
«Tu… Tu sei… il Fantasma dell’Opera…» sussurrò a fior di labbra.
«Lo sono, ma se tu vuoi posso anche essere il tuo Angelo e tu, mia cara, sarai la mia musa.»
Dopo aver detto ciò, la figura tese la mano nella sua direzione, come se nonostante lo vedesse di fianco a lei, fosse dietro lo specchio, specchio che si scostò leggermente, mostrandole un passaggio segreto.


Nathaniel bussò alla porta.
«Dolce Marie, sei pronta?» domandò ma senza ricevere risposta.
Ciò che sentì, invece, fu una voce maschile, non comprese esattamente le parole, ma sembrava parlare con tono suadente e quasi possessivo.
Tentò di aprire la porta, abbassando la maniglia, ma questa rimase chiusa. La scosse.
«Marinette! Chi c’è l’ha dentro?! Marinette! Marinette!»


La mano guantata, che all’estremità delle dita aveva quelli che parevano gli artigli di un felino, apparve anche nella fessura che si era creata tra il muro e lo specchio.
La giovane, quasi come incantata, si avvicinò lentamente a lui. Sembrava non sentire affatto la voce preoccupata del suo amore fanciullesco che la chiamava da dietro la porta. L’intero suo essere era attratto da quel giovane e aitante uomo, che con quella sua aria misteriosa l’attirava come se lei fosse un piccolo e insignificante pezzo di ferro e lui la sua unica calamita.
Allungò la mano anche lei, voleva seguirlo, ovunque l’avesse portata. Voleva conoscere il suo mondo. Glielo doveva, dopo tutto quello che aveva fatto per lei in quegli anni.
Non appena gli afferrò la mano il suo battito cominciò ad aumentare, come se al solo contatto con quella figura che fino a un momento prima credeva fosse eterea, avesse percepito una scossa di eccitazione vibrarle in tutto il corpo.
Lui la tirò leggermente all’interno dello specchio. Si ritrovarono in un corridoio lunghissimo, fatto di mattoni e illuminato dalla luce di infiniti candelabri in ottone che lo percorrevano interamente. Tutta la sua attenzione però era sulla sua figura, che finalmente vedeva nitida e perfetta.
Alzò la mano sinistra, quella che non teneva la sua, e le sfiorò la guancia.
«Canta per me, my lady.» le sussurrò, in quella leggera carezza.
Lei chiuse gli occhi e quasi le sembrò di sentire una musica prepotente e passionale, molto simile alla quinta Sinfonia di Beethoven.
Seguendo quella melodia nella sua testa, cominciò a intonare le prime parole che le vennero in mente, mentre lui la scortava nel profondo di quel corridoio.

Di notte venne a me, nel sogno mio
La voce dentro me, perduto oblio
Ma sto sognando o no, io vedo te
Fantasma dell'opera tu sei insieme a me.

Finito il corridoio, svoltarono a destra, scendendo delle scale in pietra, che giravano attorno a un pozzo profondo e oscuro. L’umidità in quel posto entrava fin dentro le ossa, ma nonostante fosse solamente con la leggera vestaglia bianca, Marinette non la percepiva affatto. Troppo intorpidita dal calore della fiaccola che lui teneva in mano, presa alla fine del corridoio, e dalla passione che bruciava in lei nello stare in sua compagnia.
Nel momento esatto in cui lei smise di cantare, attaccò lui, seguendo la stessa melodia, come se le loro menti andassero all’unisono, come se la sentissero entrambi nella testa.
Marinette si lasciò cullare da quella voce profonda e melodiosa che spesso sentiva nei suoi sogni e allo stesso tempo sentiva l’eccitazione pervaderle ogni singola cellula del suo corpo nell’ascoltare quelle parole che le stava dedicando.

Intonerai con me quell'aria che
tu mi ispirasti un dì perduto in te
Sei in mio potere ormai, non sfuggi più
Fantasma dell'opera è qui, insieme a te.

Il suo sguardo verde, emanava bagliori fiammeggianti, forse dovuti anche al fuoco della torcia, che le bruciavano la pelle. Sembrava quasi volerla divorare con lo sguardo, come se anche lui fosse eccitato all’idea di averla lì, al suo fianco, in carne ed ossa.
Mentre continuava a percorrere corridoi finemente decorati, quasi come se ci fosse un altro teatro al di sotto di quello conosciuto, Marinette si azzardò a parlare, voleva saperne di più, voleva capirne di più.

«Dicono… Dicono che chi ha visto il tuo volto, poi è impazzito.» disse, dando voce a quella diceria che girava su di lui tra i teatranti.
«Hai paura?» le chiese lui, con il suo solito tono profondo e pacato, ma allo stesso tempo sensuale.
Lei scosse la testa, con fare sicuro.
«Mi domandavo perché, dopo che ti sei avvicinato così tanto a me, continui a nasconderti dietro a quella maschera.» rispose, spiegando i suoi dubbi.
«Mi vedi qui, my lady, non ti basta?»
«Sì…» rispose appena lei, poi lui ricominciò a cantare e lei lo seguì subito dopo.

Mi prendo il canto tuo…
Ma prendi il canto mio, che suona in me.
Fantasma dell’Opera è qui…
Fantasma dell’Opera sei qui, insieme a me.

A quel punto Marinette cominciò a gorgheggiare, proprio come aveva fatto sul palco quella stessa sera. Facendosi trascinare dalla passione della musica che continuava ad avere in testa e dalla sensazione del suo sguardo che l’avvolgeva.
Intanto lui la fece salire su una barca e iniziò a remare in quello che sembrava un torrente sotterraneo che percorreva le fondamenta dell’Operà e che molto probabilmente sfociava nella Senna.
«Sì, canta my lady… Canta mia dolce musa… Canta per me.» diceva, anch’egli inebriato da quella stessa passione, come se riuscisse a eccitarsi solamente con il suono della voce della ragazza.
Marinette emise l’ultimo acuto, in qualcosa che sembrava quasi inumano, tanto che spaventò persino lei, che per qualche secondo dopo rimase senza fiato o voce. Quell’ultima nota riecheggiò per tutto il sotterrano tanto che sicuramente aveva fatto scappare anche i topi che si rifugiavano là sotto.
Il fantasma, però, sembrava non curarsene affatto, anzi rimase per qualche secondo fermo immobile con gli occhi chiusi, mentre si godeva la sensazione di perfezione che aveva appena ascoltato. Una perfezione che gli apparteneva. Sì perché Marinette Dupain apparteneva a lui, fin da quando aveva mosso i primi passi nel suo teatro.

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Capitolo 7
*** La passione sfrenata ***


Passione sfrenata

Attraccarono e Marinette rimase per svariati secondi a guardarsi attorno.
Si trovavano in una grotta sotterranea. Vicino alla piccola polla d’acqua stagnante in cui avevano attraccato, proprio di fianco alla barca, vi era una scala in pietra, che portava ad un ripiano rialzato. Quel luogo, completamente illuminato di torce e candele, pareva a tutti gli effetti lo studio di un compositore.
La giovane fanciulla arrivò quasi subito alla conclusione che doveva trattarsi del nascondiglio del Fantasma, il luogo dove lui componeva le sue meravigliose opere, che poi venivano recitate in teatro, di sopra.
Con un movimento virile e allo stesso tempo mostruosamente aggraziato, egli si tolse il mantello nero, lasciandolo su un grosso baule proprio in cima alle scale.
Le ridiscese, lentamente, accostandosi alla piccola imbarcazione, per poi porgerle la mano.
«Che ne pensi?» domandò, la sua voce era diventata più calda e se possibile ancora più suadente.
«È… È meraviglioso…» balbettò un po’ imbarazzata lei, ma comunque completamente ammirata da tutto ciò che la circondava.
Ogni elemento in quella grotta era curato nei minimi dettagli, in modo da farla sembrare tetra e passionale allo stesso tempo. Gli spartiti sparsi su uno dei tavolini, la bambola rappresentate proprio lei, nel suo abito di quella sera, messa al centro di una piccola riproduzione del palco scenico, su un altro tavolo, le tende di velluto rosso.
«Qui è dove nasce la musica, qui è dove la nostra arte prende vita.» disse lui, scortandola su per le scale, lentamente.
Non appena riprese a parlare, il suo sguardo, fu nuovamente catturato completamente da lui. Quel luogo meraviglioso improvvisamente non le importava più. C’era solo lui, lui e la sua incredibile essenza che riusciva ad emanare solamente con i gesti e la voce.
«Ti ho portata qui, perché credo sia il momento.» disse lui, continuando a tenerle la mano delicata e penetrando il suo sguardo coi suoi occhi smeraldini.
«Il… Il momento? Il mo-momento per cosa?» balbettò lei, non riuscendo più a controllare perfettamente la sua voce e soprattutto la sua lingua, contrariamente di come quando cantava.
«Vorrei che tu restassi qui, insieme a me.» spiegò meglio lui, avvicinandosi di più a lei.
«Qu-qui… Cosa… Ma…»
Improvvisamente una nota di terrore si fece strada nei suoi occhi color del cielo e con un movimento veloce tentò di allontanarsi da lui, che però le teneva ancora la mano stretta nella sua, ricoperta ancora dal guanto artigliato.
Con un gesto deciso e fulmineo, il Fantasma l’attirò nuovamente a sé, facendola scontrare contro il suo petto possente.
«Non temere my lady, nessuno potrà farti del male, con me.»
Marinette sentiva il cuore martellarle in petto furioso e il fiato quasi le si mozzava in gola. La sua mente le stava urlando di fuggire, svincolarsi da quell’abbraccio, correre verso la barca e tornare al suo camerino, ma il suo istinto glielo impediva.
Aveva sempre sognato di trovarsi lì, tra le sue braccia. Più di una volta fin da quando aveva iniziato a sentire la sua voce, aveva sentito quell’impellente bisogno di incontrarlo, quella voglia sfrenata di trovarsi anche solo vicino a lui. In qualche modo, solamente sentendo costantemente la sua voce, si era perdutamente innamorata di lui. Perciò come poteva negare quell’istinto irrefrenabile.
Lui la voltò, facendo in modo che fosse la sua schiena ad aderire ai pettorali possenti, che percepiva appena sotto la giacca nera e la camicia bianca.
«Chiudi gli occhi… – disse – Chiudi gli occhi, my lady e fidati del tuo Angelo della Musica.» le soffiò in un orecchio.
Decise di seguire i suoi puri istinti. D’altronde che altro poteva fare? Di certo lui non l’avrebbe lasciata fuggire via. Chiuse gli occhi, proprio come le era stato richiesto e nel momento esatto in cui divenne tutto buio, qualcosa nel suo essere si accese.
Le mani artigliate di lui cominciarono a percorrerle il corpo, proprio sopra la vestaglia. Nel momento in cui la seta veniva toccata da lui, questa le dava una sensazione di brividi sulla pelle. Le sue mani partirono dai fianchi, per poi risalire al centro sul basso ventre e percorrerle la pancia, fino ad arrivare ai seni, strappandole un leggero sospiro.
Riaprì gli occhi, ma era talmente inebriata da quelle sensazioni e presa dai suoi occhi verdi che non si accorse di dove egli la stava portando.
Ben presto si ritrovò in un letto di cuscini in velluto rosso, che riempivano un’enorme conchiglia in ebano.
Lui si tolse la giacca nera e si posizionò su di lei.
Sentiva il suo respiro addosso, anche lui pareva eccitato e teso. La osservò per un lungo lasso di tempo, talmente lungo che a Marinette parve infinito. Percepiva distintamente il suo sguardo bruciarle addosso.
Subito dopo si tuffò su di lei. Le sue labbra si posarono sul collo niveo, prima con un piccolo bacio casto, poi succhiando avidamente la pelle, continuando a strapparle sussurri eccitati.
Le sue mani non volevano fermarsi e ripresero a fare ciò che avevano fatto poco prima, quando si trovavano entrambi in piedi, solo con più foga e passione.
Lei non sapeva assolutamente cosa fare. Era ferma, inerme. L’unica cosa che sapeva e che, qualsiasi cosa stava succedendo avrebbe voluto durasse in eterno.
«Profumi ancora di biscotti…» soffiò lui sul suo collo, subito dopo aver assaporato il suo odore.
Finalmente anche lei decise di fare qualcosa, allungando la mano verso il suo viso e, ignorando completamente la maschera che gli copriva ancora gran parte del volto, portandola ai capelli biondi.
Si allungò verso di lui, voleva la sua bocca, voleva assaporare le sue labbra, ma per qualche motivo lui si scostò.
«No, my lady… Non oggi… Un tuo bacio è un fiore che coglierò solamente quando vorrai donarmelo davvero e non quando sei in preda alla lussuria.» sussurrò lui con quella voce suadente, che la eccitava solamente a sentirla.
Lei accettò quella richiesta senza protestare e tirò solamente il viso di lui a sé, facendo in modo che le loro fronti s’incontrassero. Il suo respiro si era fatto più pesante e le sue mani sempre più vogliose.
Con un gesto improvviso e quasi brutale, le aprì le gambe. Anche questa volta lei non fece assolutamente nulla per fermarlo, anzi emise solamente un altro sospiro, che però uscì fuori come un leggero gemito.
«Ora, mia musa, canta per me…» chiese.
Senza farselo ripetere, Marinette cominciò a gorgheggiare. Nessuna parola usciva dalla sua bocca, solo versi melodiosi e argentini, proprio come gli esercizi che lui stesso le aveva insegnato.
In quel lasso di tempo lui si era privato degli indumenti inferiori, o meglio li aveva semplicemente abbassati e in un attimo prese possesso di lei.
In quel preciso istante, la sua voce divenne un’attimo più acuta, per via della fitta di dolore che percepì quando si congiunse a lui. Il dolore, però, fu sostituito immediatamente dalla passione e dall’irrefrenabile voglia di volere di più. Si avvinghiò a lui serrando le dita sulla camicia bianca e stringendola proprio all’altezza delle sue spalle, il tutto continuando a gorgheggiare.
La sua voce, prese man mano un ritmo sempre più sfrenato, seguendo quasi i movimenti di lui che la possedeva.
Arrivarono al massimo della libido in contemporanea. Entrambi affannati si guardarono negli occhi ancora per qualche secondo.
«Chiudi gli occhi my lady, riposati…» le sussurrò lui e lei, senza un fiato, obbedì.
La stanchezza era talmente tanta, che il sonno la prese quasi subito.
Solo quando fu sicuro che si fu addormentata, il Fantasma si alzò dal giaciglio e si chinò a raccogliere la sua giacca là vicino, risistemandosi gli eleganti pantaloni neri.
Dopodiché tirò una corda e attorno alla conchiglia scese lentamente una tenda di pizzo nero, in modo che mascherasse il letto, rendendolo quasi a baldacchino e permettesse alla sua musa di riposare tranquilla.

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Capitolo 8
*** Dietro il mostro ***


Dietro al mostro

Alya infilò la chiave nella serratura della porta.
«Siete proprio sicuro che qualcuno l’abbia chiusa a chiave dentro il camerino?» domandò dubbiosa al Visconte, di fianco a lei.
«Posso assicurarvi che ho sentito la voce di un uomo provenire da qua dentro, sono sicuramente…» il giovane si bloccò, non appena la sua accompagnatrice aprì la porta.
Il camerino era completamente buio e soprattutto vuoto. Non un rumore, non un sussurro, non un movimento. Tutto era fermo immobile. L’aria odorava ancora del fumo delle candele spente e dell’inebriante profumo dei numerosi fiori che la giovane protagonista aveva ricevuto quella sera.
«Siete sicuro, piuttosto, che non abbia accettato il vostro invito ad uscire?» chiese nuovamente la ragazza, alzando un sopracciglio e scrutando il Visconte, che invece sembrava non considerarla più.
«No… Non è possibile. Io ero sicuro che…» si bloccò, notando qualcosa di strano nell’enorme specchio al fondo della stanza.
Tra la parte di vetro riflettente e la cornice, vi era una piccola striscia di luce, come se ci fosse qualcosa dietro e da lì provenisse della luce.
Si avvicinò ad esso e infilò la mano, spingendo poi il vetro e scoprendo che scorreva.
«Ma che cosa?!» scappò dalla bocca della giovane ballerina che, stupita, si avvicinò a lui.
Dall’altro lato dello specchio vi era un corridoio. Era sporco, umido, pieno di ragnatele. I candelabri che lo percorrevano per tutta la sua lunghezza erano spenti e impolverati.
«Allontanatevi da lì!» sentenziò una voce alle loro spalle.
Si voltarono entrambi.
«Madame Bustier!» esclamò Alya.
«Madame, credo che Marinette sia stata rapita, io devo…»
«Marinette sta benissimo. – disse lei, interrompendo il Visconte – L’ho scortata io stessa, qualche minuto fa, nella sua camera da letto. Si scusa per aver mancato il vostro appuntamento, ma aveva un forte mal di testa. Ora se non vi dispiace vi pregherei di uscire da questo camerino.» sentenziò, con tono autoritario, ma allo stesso tempo dolce, come era la sua indole.
I due, incassarono la testa tra le spalle e la raggiunsero. Quando la ragazza le passo davanti, questa le porse la mano aperta, come a chiedere qualcosa e lei, le riconsegnò le chiavi del camerino.
Caline Bustier fece un sospiro, rimanendo immobile all’ingresso della stanza e attendendo che i due giovani, fin troppo curiosi, si allontanassero. Dopodiché si avvicinò allo specchio e fece nuovamente scorrere il vetro, in modo che apparisse nuovamente tutto normale.
«Fate attenzione… – sussurrò, come parlasse a qualcuno al suo fianco – non tutti riusciranno a capire ciò che vi lega. Forse nemmeno voi.»


L’uomo lanciò un urlo improvviso e spaventoso, allargando le braccia, mentre teneva la coperta addosso le spalle come fosse un mantello, facendo così saltare in aria tutte le giovani ragazze che si erano radunate nel dormitorio del teatro.
«Dicono che il suo viso sia come cera… – cominciò a raccontare poi, con voce bassa e lugubre – completamente sfregiato e senza nemmeno il naso… – con un movimento di spalle si tolse la coperta di dosso – Dovrete stare attente fanciulle… tenere gli occhi aperti… Altrimenti vi prenderà tra le sue grinfie e se non sarete di suo gusto, finirete con il cappio al collo!» disse mostrando una corda, annodata proprio come il cappio di un impiccato.
Le ragazze lanciarono un’altro gridolino, proprio mentre Alya rientrava al dormitorio, seguita dall’insegnante di danza.
L’uomo allora avvolse la corda attorno alla vita della ragazza, sospingendola così verso di lui e facendo versi animaleschi, mentre lei, tra il divertito e l’infastidito cercava di scostarsi il più possibile.
Dovette intervenire la donna a separarli.
«Robert Roth… – lo chiamò, strattonando la corda e facendo cenno alla ragazza di andarsene – Non ti vergogni a spaventare così delle ragazzine?»
«Madame, ormai sono donne a tutti gli effetti. – rispose l’uomo, con un ghigno divertito, passandosi una mano sul capo stempiato – Lei non è la prima che tiene viva questa storia del Fanta…?»
Il ceffone arrivò forte, tanto che fece sobbalzare alcune ragazze.
L’uomo si portò una mano alla guancia lesa, guardando sconvolto la rossa, che si ergeva nuovamente in tutta la sua compostezza, come se non avesse fatto nulla di grave.
«Ricordati Robert, chi si impiccia di cose che non dovrebbe sapere, scopre che era meglio farsi i fatti suoi. Forse dovresti essere tu a rimanere in guardia, non loro. – fece, lanciandogli un ultima occhiata e allontanandosi – Ora forza, tutte a letto!» ordinò alle ragazze, uscendo dal dormitorio, seguita dall’uomo.
Alya si diresse verso il suo letto, sfilandosi il vestito e rimanendo in sottana, pronta a infilarsi sotto le lenzuola.
Si voltò con un sorriso verso il letto alla sua destra, sicura di vedere Marinette addormentata, con la con la coperta tirata fin quasi sopra la testa, ma ciò che vide la lasciò confusa. Il letto era intonso e la sua amica sembrava non averlo nemmeno sfiorato. Si voltò dall’altro lato.
«Ehi Rose, ma Marinette?» domandò.
«Non lo so… – rispose la ragazza dai corti capelli biondi che era già sdraiata a letto – È dalla fine dello spettacolo che non la vedo.»


Una dolce melodia le accarezzò l’udito, svegliandola dal suo sonno. Aprì lentamente gli occhi, notando di essere circondata da una tenda di pizzo nero. 
La musica continuava, sembrava quella di un carillon. Scostò la tenda, notando, in un piccolo mobiletto lì a fianco, una piccola scimmietta che batteva i cimbali, andando a ritmo della canzone.
Lentamente si alzò, iniziando a guardarsi intorno, leggermente confusa. Ricordava a tratti, ciò che era successo quella notte. O meglio, le appariva tutto annebbiato e confuso, perciò non riusciva a comprendere se fosse successo davvero o se lo avesse solo sognato.
Continuava ad osservare ciò che la circondava, sistemandosi meglio la camicia da notte che aveva addosso. Di certo non era nel dormitorio e, vista l’atmosfera strana e l’umidità, non si era sognata di essere scesa nei sotterranei. 
Ma il Fantasma esisteva veramente? Si era davvero conceduta per la prima volta a lui? Percepiva un leggero dolore alle sue intimità, ma poteva essere solo suggestione.
I suoi passi, nella grotta, rimbombavano, facendole battere il cuore a quel ritmo lento e quasi sospeso.
Poi, lo vide: se ne stava lì, davanti al piano, chino sugli spartiti, intento probabilmente a scrivere un’altro dei suoi capolavori. Si fermò e in quel momento lui si voltò verso di lei. Non appena vide il suo sguardo verde, comprese che era impossibile essersi immaginata tutto. No, tutto ciò che ricordava era accaduto realmente.
Anche lui fremette a quell’incrocio di sguardi, tanto che dovette voltarsi di nuovo, mentre cercava di riportare alla normalità il suo respiro che si era spezzato nel vederla. Come poteva essere così meravigliosa anche da appena sveglia?
«Non riesco a comprendere… – disse flebilmente la ragazza – Dici di essere un Fantasma, un Angelo eppure ti comporti da uomo… Un uomo passionale che cela il suo volto…»
Arrivò alle sue spalle e, con una delicatezza incredibile, gli prese il volto tra le mani, voltandolo verso di lei e carezzandolo. 
Lui chiuse gli occhi, godendosi il suo tocco leggero. Improvvisamente, però, sobbalzò. Lei gli aveva tolto la maschera che celava la parte destra del suo viso e lui si scostò improvvisamente coprendosi nuovamente la parte con la mano.
«Perché?! – gridò, l’unico occhio scoperto la guardava in un misto di odio e disperazione – Credevo fossi diversa, ma sei come tutte le altre donne! Vuoi solo vedere il mostro! Non t’importa nulla di me!»
La ragazza rimase paralizzata dal terrore, non sapeva che dire o fare. Non si aspettava quel gesto così folle e irascibile da parte sua. Come non si aspettava quella voce furiosa e quasi lugubre.
Lui però, le diede le spalle e, dopo aver fatto un lungo sospiro, tenendo sempre la mano a coprire il viso, parlò, con voce decisamente più calma e quasi triste.
«Perdonami. Non volevo spaventarti. Né col mio comportamento, né tantomeno con il mio aspetto. Se vuoi andar via ti capisco. Insomma, non posso pretendere che tu pensi a me in modo diverso che da quello di un mostro. L’unica cosa che ti chiedo è di ricordarti di questa notte, per sempre. Ricordati il fuoco tra noi; ricordati che nonostante la creatura informe che vedi all’esterno, dentro c’è un uomo che brama il cielo e la libertà, allo stesso modo di come brama te.»
Incrociò nuovamente i suoi occhi azzurri e la vide. Il suo sguardo era diventato triste e lucido, come se stesse per versare lacrime.
«Oh Marinette… – disse, avvicinandosi a lei e tentando di accarezzarle il volto con la mano libera, lei però si scostò, ancora spaventata – Trasforma la tua angoscia in affetto, my lady. Solo in questo modo vedrai quell’uomo dietro al mostro.»
Lei, con un po’ di riluttanza, si avvicinò nuovamente a lui, restituendogli la maschera. Il Fantasma la prese dalle sue mani tremanti e voltandosi, se la rimise.
Fece un’altro sospiro, per poi voltarsi verso di lei.
«Andiamo. Dobbiamo tornare. Quegli stolti che dirigono il mio teatro ti cercheranno come pazzi.»

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Capitolo 9
*** Missive dal Fantasma ***


Missive dal Fantasma

«È uno scandalo!» irruppe André Bourgeois entrando nel teatro e togliendosi il cappotto, che diede subito a uno dei valletti.
Le due inservienti, che stavano pulendo l’immenso pavimento in marmo del maestoso ingresso, proprio davanti all’elegante scalinata, alzarono la testa, incuriosite.
Sembrava stesse parlando da solo, come se pensasse a voce più che alta, a meno che non credeva davvero che ai dipendenti del teatro interessasse l’argomento. Forse sì, visto che alla fine dei conti anche il loro lavoro dipendeva dal successo del teatro.
«La mia povera bambina via dallo spettacolo! E come se non bastasse questo ridicolo Fantasma manda lettere minatorie, come se il teatro fosse davvero suo!» sbottò, prendendo nuovamente la busta ricevuta quella mattina, per poi aprirla e rileggerne ad alta voce il contenuto.
«Mio caro André, Marinette è già una star, ormai. Se quell’incapace di sua figlia rimane, sa bene che sarà un disastro, perciò spero nella sua obiettività. Post Scriptum, le ricordo che è in ritardo con il mio salario.»
L’uomo, adirato, strappò il foglio in tanti piccoli pezzi, gettandoseli poi alle spalle, mentre saliva le scale.
Una delle due donne, risalì velocemente i gradini, ripulendo subito.
«È inaudito! Questo buffone si crede spiritoso nel fingersi un fantasma. Vorrei proprio vederlo in faccia! Se pensa di potermi prendere in giro, può star certo che non ci riuscirà!» disse con aria di sufficienza.
«Lei dov’è?!» esclamò una voce alle sue spalle.
Si voltò, vedendo qualcun altro entrare nell’edificio. La sua acconciatura rossa, perfettamente curata, lo rendeva subito riconoscibile.
«Visconte Kuntzberg… Di chi parla?»
«Marinette Dupain, dov’è?» insistette lui.
«Non ne ho idea.» rispose l’uomo alzando le spalle confuso.
«Voglio sapere chi mi ha inviato questa lettera!» disse mostrando anch’egli una busta, per poi porgerla al proprietario.
Questi la prese e, per la seconda volta in pochi minuti lesse un nuovo scritto ad alta voce.
«Non temete per Marinette Dupain. L’Angelo della Musica la tiene sotto le sue ali. Non tentate mai più di rivederla.»
«Chi osa minacciarmi in questo modo? Come se non bastasse ieri sera dopo lo spettacolo sono accaduti fatti inspiegabili. Voglio sapere dov’è! Chi è questo Angelo della Musica?» il tono di voce del giovane nobile era sempre più preoccupato e ansioso e i suoi occhi dello stesso colore dei pini osservavano quasi supplichevoli il proprietario del teatro, come se lui potesse risolvere la situazione.
«È inaccettabile!» intervenne una terza voce e subito li raggiunse anche la giovane soprana, accompagnata come al solito dalla sua valletta personale e dal tenore, che stavano in silenzio al suo fianco.
«Oh, bambina mia!» esclamò il signor Bourgeois nel vederla.
«Voglio sapere chi ha scritto questa lettera!» gridò, con la sua voce acuta e odiosa.
«Un’altra lettera?!» domandò sconvolto l’uomo, prendendo il fazzoletto dal taschino e asciugandosi il sudore.
«È stato lei non è vero, Visconte?!» disse la bionda, puntando il dito contro il suo coetaneo.
«Io? – chiese quello, sgranando gli occhi dallo stupore – Non so nemmeno di cosa parlate.»
«A no? Allora leggete qua!» disse schiaffandogli il foglio sotto il naso.
Questa volta fu il turno del giovane Nathaniel leggere ad alta voce, in modo che tutti gli altri potessero sentire.
«I vostri giorni all’Operà Populaire sono contati ormai. Marinette Dupain canterà in vece vostra…»
«Quell’insulsa ballerina, vi rendete conto?» lo interruppe, ricevendo però una terribile occhiata proprio da lui, che poi riprese a leggere.
«Preparatevi a una grande disgrazia se proverete a cantare al suo posto…» concluse, abbassando il foglio sconvolto.
«Basta! Ne ho abbastanza di queste assurdità! – intervenne il proprietario, strappando la lettera dalle mani del Visconte e stracciando pure quella, per poi buttarla alle sue spalle – Bambina mia…» fece poi, prendendo entrambe le mani della figlia, con un sorriso accondiscendente.
«Che c’è…?» domandò lei un po’ scocciata.
«D’ora in poi sarai tu l’unica diva di questo teatro. Credo che si parli troppo di questa Marinette. Ha fatto uno spettacolo, nulla di più, ma sei tu la vera protagonista.» fece estendendo ancora di più il sorriso.
In quel momento intervenne un’altra voce.
«Madame, monsieur…»
«Se è un’altra lettera giuro che non vedrò più di me.» sbottò il signor Bourgeois.
«Volevo informarvi che Marinette è nei dormitori delle ballerine, proprio come ho detto ieri sera al Visconte.» disse madame Bustier con un inchino, ignorando di proposito il commento del proprietario.
«Bene, allora la porti qui. Bisogna parlare dello spettacolo!» ordinò l’uomo.
«Monsieur, è meglio che riposi. Non ha avuto una nottata tranquilla, forse dovuta alle forti emozioni di ieri sera.» spiegò la donna, sempre con quel suo tono educato e garbato.
«Potrei vederla almeno io?» domandò il Visconte.
«No, monsieur, per ora è meglio di no.» rispose nuovamente, ammonendo il ragazzo solamente con lo sguardo, mentre la voce rimaneva tranquilla.
«Beh, spero che non pretenda di cantare al mio posto.» disse stizzita la bionda, scostandosi con un gesto plateale i capelli, per poi stringere la sua elegante pelliccia gialla.
«Lei no, ma credo dovreste leggere questa.» disse porgendo l’ennesima missiva di quello che, ormai avevano compreso tutti, fosse il Fantasma, o comunque qualcuno che lo impersonava.
«Oh mon dieu.» sospirò l’uomo, impallidendo.
«La dia a me. – si offrì il Visconte, che era il più vicino alla donna, afferrando il foglietto – Miei cari signori avete ricevuto diverse note, in cui chiarivo come il mio teatro dev’essere gestito. Non avete seguito le mie istruzioni, vi darò solo un’ultima chance. La mia Marinette canterà nuovamente per me. Per questo motivo, l’allestimento dello spettacolo de Il Muto, subirà dei cambiamenti. Il ruolo del paggetto dovrà andare a Chloé e la contessa passa invece a Marinette. Quel ruolo comporta molto carisma e beltà, mentre il piccolo paggio che non parla sarà perfetto per l’ormai inutile vostra diva. Assisterò allo spettacolo dal mio solito posto nel palco cinque, che deve essere tenuto libero per me. Se questi ordini venissero disattesi si verificherà una catastrofe al di là della vostra immaginazione. Firmato, F.O.» concluse, la sua voce che si abbassava ad ogni frase, sempre più sconvolta.
«Marinette, Marinette, sempre lei! Io non ne posso più! – sbottò la soprana – E voi! – continuò puntando il dito contro il rosso – Non m’ingannate dolcezza. Questa è opera vostra! In fin dei conti non siete l’amante di quella ballerina sciatta?»
«Vi ho già detto che non sono stato io a scrivere queste lettere!» rispose a tono il ragazzo, tirando fuori un tono di voce, molto diverso da quello intimidito e indeciso che assumeva solitamente.
«Oh insomma, basta! Lo spettacolo de Il Muto si farà come abbiamo deciso. Con la mia piccola Chloé nella parte della contessa, mentre mademoiselle Dupain farà il paggetto. E ora, mio tesoro, vatti a preparare.» sentenziò il signor Bourgeois per poi congedare tutti.
«Sabrina, vieni!» ordinò allora lei, facendo in modo che la ragazza che era venuta con lei la seguisse, sgambettando.

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Capitolo 10
*** La tragedia ***


La tragedia

Arrivò il giorno della prima. Tutto era pronto per il grande spettacolo. Il palco era allestito, le ballerine si stavano riscaldando o truccando nel lungo corridoio delle quinte, i cantanti gorgheggiavano per riscaldare la voce.
Il tutto mentre dall’altro lato del teatro, quello adibito al pubblico, una fiumana di gente faceva il suo ingresso, prendendo posto sulle eleganti poltrone in velluto rosso. Il palco numero cinque, come deciso dal proprietario e dal Visconte era stato occupato proprio da quest’ultimo, che si era comodamente seduto su una delle poltrone.
Marinette si sistemò i corti capelli, osservandosi allo specchio. Qualcosa la agitava terribilmente, sentiva le mani sudate e il cuore che batteva a mille. Eppure non poteva certo essere dovuto al suo ruolo nello spettacolo, insomma doveva fare un paggio muto, era un ruolo alquanto semplice.
«Marinette, tutto bene? Sei pallida come un lenzuolo!» esclamò Alya, vedendola in quello stato.
«Sì, sì, sto bene…» disse lei dandosi un paio di schiaffetti sulle guance e scuotendo un po’ la testa, ma la sensazione sembrò comunque non andarsene.
Proprio in quel momento, alle loro spalle, passò Chloé, con il suo enorme e ingombrante costume di scena giallo canarino e l’altissima parrucca incipriata.
«Fate largo, sta passando la Prima Donna di questo teatro!» diceva la sua assistente, davanti a lei, facendo continui gesti con le mani come a voler scacciare delle mosche.
La bionda lanciò uno sguardo di sfida alla corvina, che però era troppo impegnata a preoccuparsi del suo insensato malessere, per curarsi davvero di lei.
«Quanto non la sopporto!» borbottò invece la castana al suo fianco.
«Lasciala stare Alya, non ne vale la pena.» disse allora lei.


Il sipario si aprì.
Mostrando tre attori vestiti con eccentrici indumenti da cortigiani, di sfavillanti colori accesi e a fianco a loro si aggiunse anche Alya, vestita come una domestica, ma anche lei con una camicetta a righe dai colori sgargianti.
I tre iniziarono a cantare un verso a testa, mentre Alya faceva semplicemente delle smorfie a seconda di cosa sentiva.

Se noi milady insieme al giovanotto troverem,
e per milord un colpo al cuor
sarebbe proprio un colpo al cuor,
se lui la scoprirà protegga il signor.

La rossa si avvicinò all’ingresso del palco, mettendo la boccetta, che solitamente Chloé usava per rischiararsi la voce, sul tavolino, proprio dietro le quinte, in modo che prima di entrare potesse usarlo.
«Sabrina!» sentì gridare poi alle sue spalle.
Si voltò, correndo verso di lei.
«Arrivò Chloé!» fece, con quella voce da ochetta.
In quel preciso istante lui si avvicinò al tavolino, afferrando il contenitore del liquido e sostituendolo con uno identico.
Li aveva avvisati che se non avessero seguito le sue direttive lo spettacolo sarebbe stato un disastro e così sarebbe andata. Non avrebbe permesso a nessuno di oscurare e lasciare muta la sua adorata.


Se lui lo scoprirà protegga il signor.

La seconda tenda del sipario si aprì, mostrando un grosso letto a baldacchino su cui, vi erano Marinette e Chloé dietro un ventaglio, che fingevano di baciarsi.
Se solo gli spettatori avessero potuto vedere dietro di esso, avrebbero notato che invece si stavano lanciando sguardi di odio, tanto da far sembrare reale l’elettricità tra di loro.
La giovane soprana spostò il ventaglio, mostrando il suo volto perfettamente truccato e subito dopo quello più naturale di Marinette, che faceva un’espressione stupita, come di qualcuno che era appena stato scoperto a fare qualcosa.
A quel punto la bionda cominciò a cantare.

Serafino il trucco tuo è perfetto!

Tre suoni interruppero il canto.

Chi mai qui busso?

Alya si avvicinò alla porta davanti alle quinte e fece finta di aprire, facendo entrare il giovane Kim, anch’egli truccato perfettamente come un uomo del settecento.

Cara sposa, tuo marito è quivi!

Tutti sul palco si agitarono un po’, mentre lui diede una finta manata sul sedere di Alya, che fece un mezzo verso.

Amor, io in Inghilterra e tu mi aspetti qui!
La servetta resta con te…
Anche se la porterei volentieri con me.

Disse osservando il sedere di Marinette, che fingeva di spolverare.
Tutto questo scatenava sempre di più l’ilarità del pubblico, che battuta dopo battuta, scena comica dopo scena comica, si stava sbellicando dalla risate.
Il signor Bourgeois guardava lo spettacolo da suo loggione, sorseggiando dell’ottimo champagne e godendosi non solo ciò che avveniva sul palco, ma anche in platea dove nobili e ricchi sembravano gradire. Questo sicuramente gli avrebbe portato molti guadagni extra.
Anche lui stava osservando la scena, dall’alto, nascosto nell’ombra del camminamento in legno che permetteva a coloro che lavoravano nel retroscena di gestire la scenografia. Lo sguardo tagliente sembrava quasi voler bruciare l’intero palco.
Solo un leggero sorriso riuscì a dipingersi per un attimo sul suo volto, quando dopo l’ennesimo verso cantato di Chloé, Marinette, con tutta la sua perfezione ed eleganza si tolse la gonna rimanendo in pantaloni. Era meravigliosa anche quando faceva una parte secondaria.

Serafino, orsù ritorna in te!
Non puoi parlar,
ma baciami il mio sposo non c’è.

Le due ragazze si nascosero nuovamente dietro il ventaglio, mentre Kim, faceva capolino da dietro la porta con un’aria adirata.
Il tutto accompagnato dall’ennesima risata del pubblico.
Scosse la testa, tornando col pensiero al suo piano e ricominciando a percorre uno dei corridoi che conosceva solo lui, il tutto mentre lo spettacolo continuava e Chloé gorgheggiava sul palco.
Arrivato nella parte più alta del teatro aprì una porta che si affacciava sull’affresco della cupola, trovandosi in un camminamento all’altezza dell’enorme lampadario completamente in cristallo.
Poggiò la mano sulla ringhiera e con voce perentoria, parlò, interrompendo lo spettacolo.
«Non avevo dato istruzioni che il palco numero cinque dovesse restare… vuoto?»
Tutti, sia in platea che sopra e dietro il palco si agitarono, guardandosi intorno e cercando di capire da dove provenisse la voce. La cosa però era impossibile e lui lo sapeva bene. Aveva scelto quel punto perché stava nascosto, coperto dell’enorme lampadario e perché l’acustica era perfetta, grazie alla cupola che permetteva alla sua voce di rimbalzare ovunque e dare l’impressione che provenisse da tutto il teatro.
«È qui! Il Fantasma dell’Opera!» esclamò a bassa voce Alya, con un leggero tono eccitato.
Marinette sollevò lo sguardo, cercando il viso coperto dalla maschera, ma non vedendo nulla. Il suo cuore aveva nuovamente cominciato a battere frenetico. Ecco la paura che la attanagliava, ecco quella sensazione di ansia che aveva provato fino a poco prima di salire sul palco.
Qualcosa nel suo cuore martellante stava pregando il suo Angelo della Musica, di non fare nulla. Di lasciar stare tutto così com’era. A lei andava bene, lei non voleva essere una stella, le bastava essere la solita semplice ballerina e cantare per lui.
«Sì… È lui…» confermò.
«Shh! La tua parte è muta, piccolo rospo!» disse Chloé con la sua voce acuta e insopportabile, per poi sorridere al pubblico.
«Un rospo, madame? – domandò allora lui, con un tono glaciale – Forse siete voi un rospo…»
La bionda non si curò di quell’insulto e si recò verso le quinte, facendo segno a Sabrina di passarle qualcosa. Lei allora prese la boccetta e gliela porse. La giovane soprana se ne spruzzò un’abbondante dose in bocca e uscì di nuovo, mostrandosi al pubblico.
«Eccomi qui! – esclamò con voce entusiasta e quasi smielata – Scusate tutti… Maestro da capo per favore…»
Lui si lecco le labbra, ghignando, dopodiché riaprì la porta e tornò all’interno del corridoio, proprio mentre la soprana riprendeva a cantare.
Ebbe appena il tempo di ritrovarsi nel camminamento in legno, dov’era all’inizio, che qualcosa lo fece sogghignare di nuovo.
La voce di Chloé, improvvisamente, da acuta e melodiosa che era, divenne grave e roca, facendo scoppiare l’ilarità del pubblico, ancor più dello spettacolo stesso. Persino l’orchestra non resistette e scoppiò a ridere.
La ragazza ritentò un paio di volte, ma sembrava che avesse perso in qualche modo la voce e più ci provava più sentiva la gola bruciare, mentre la voce usciva sempre più inquietante, facendo piegare dalle risate gli spettatori.
Battendo i piedi offesa la ragazza corse via dal palco, in lacrime.
A quell’ultimo disperato gesto il signor Bourgeois si alzò di corsa dal posto, uscendo dal palchetto, per raggiungere la zona degli attori e salvare lo spettacolo.
«Sipario, sipario!» chiamò uno dei commedianti, mentre il pubblico continuava a ridere.
Il tendone rosso calò, separando così gli attori dal resto del teatro.
«Papà!» piagnucolò la bionda, vedendo il padre raggiungerla di corsa, tutto trafelato.
«Lo so, bambina mia, lo so. Ma dobbiamo salvare lo spettacolo!» rispose velocemente lui, superandola e andando verso le quinte.
«Ma papà!» protestò lei battendo i piedi, ma il genitore era già quasi sul palco.
Uscì dalle tende rosse e cercò di attirare l’attenzione.
«Signori… Vi chiediamo immensamente scusa. La… rappresentazione… riprenderà… tra circa dieci minuti. – disse non trovando subito le parole, per poi sporgersi verso la parte interna del palco e afferrare Marinette per un braccio – E il ruolo della contessa sarà interpretato da mademoiselle Dupain!» proseguì, mostrandola al pubblico.
Subito si scatenò un fragoroso applauso, mentre dietro le quinte Chloé stava letteralmente mordendo il ventaglio che aveva in mano.
«Nel frattempo… vi presentiamo il balletto dell’atto terzo dell’opera di stasera…»
«Che cosa?» domandò sconvolto Monsieur Damocles.
«Maestro… il… il balletto, facciamolo adesso… Per cortesia…» balbettò il proprietario asciugandosi il sudore con il solito fazzoletto.
«Il balletto… Il balletto…» ripeté allora il conduttore dell’orchestra, sfogliando i fogli e ordinando ai musicisti di fare altrettanto.


Mentre il caos regnava sul palco e Marinette era andata a prepararsi con Alya e Madame Bustier, lui era rimasto lì, ad osservare quello scempio, ridendo tra sé.
«Lo sapevo! Sa… Sapevo che c’e… c’eri tu dietro a tutto questo…» balbettò una voce alle sue spalle, facendolo voltare.
Era uno degli addetti a quella zona. Con passo svelto lo raggiunse, ma quello spaventatissimo tentò di scappare.
Cominciarono così un lungo inseguimento, percorrendo varie travi di legno che sovrastavano il palco, arrampicandosi sulle corde che reggevano le strutture e le scenografie, saltando da una parte all’altra.
Ciò che quell’idiota non capiva era che lui non era mai stato davvero malvagio. Tutto ciò che faceva era calcolato nei minimi dettagli in modo che non accadesse mai niente a nessuno.
Quella volta, quella volta però non ci riuscì.
Non appena lo raggiunse, quello per la paura, inciampò e precipitò verso il vuoto, nell’ultimo tentativo di salvarsi la vita, si aggrappò a una corda, ma questa per un terribile e sventurato caso gli si annodò al collo.
Il corpo, impiccato, di Ramier penzolò proprio al centro al palco, nel bel mezzo del balletto. Nello stesso istante in cui Marinette si era accostata alle quinte.
Incrociò il suo sguardo azzurro e spaventato solo un attimo, poi fuggì, nascondendosi nell’ombra.

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Capitolo 11
*** Lo sbocciare dell'amore ***


Lo sbocciare dellamore

Ebbe appena il tempo d’incrociare il suo sguardo, che lo vide sparire. In un attimo il terrore prese possesso di lei, attanagliandole il petto e mozzandole il fiato.
Tutto ciò che era successo nelle segrete la sera del suo grande debutto sembrava essere sparito nel vedere quella scena orripilante. In quel momento riusciva a vedere solo il mostro dietro la maschera e non l’uomo di cui lui le aveva parlato. Aveva ucciso una persona.
In un attimo un’altra enorme paura le inondò il cuore. Se era disposto a uccidere chi lo intralciava e allo stesso tempo la pretendeva come sua, allora voleva dire che c’era qualcun altro in pericolo.
Corse via, con una parte del vestito di scena che ancora stava indossando, afferrando al volo una cappa rossa a pois neri, da una schiera di abiti da scena che si trovavano lì vicino. Doveva trovare Nathaniel, doveva trovarlo prima che lo trovasse lui e lo uccidesse.
Per sua fortuna il rosso aveva avuto la sua stessa idea, abbandonando il palco numero cinque e raggiungendo i dietro le quinte, incrociandosi con lei all’ingresso dei camerini.
«Marinette... Per fortuna stai bene.» disse con un sospiro il ragazzo.
«Dobbiamo andare via Nathaniel, non sei al sicuro qui!» esclamò lei, afferrandogli la mano e cominciando a salire le scale a chiocciola che portavano ai piani superiori del teatro.
«Marinette dove stiamo andando?» domandò il ragazzo confuso, stando attento a non inciampare per le scale, mentre entrambi correvano sempre più in alto.
«In un posto che conosco solo io...» cominciò a dire, rendendosi conto subito dopo che non era affatto così. Quello dove lo stava portando era il luogo dove lei si esercitava nel canto, ciò voleva dire che lui conosceva bene quel posto: stava portando Nathaniel verso quello che probabilmente sarebbe stato il suo aguzzino. Eppure le sue gambe, sembravano non volerne sapere di fermarsi, per darle il tempo di ragionare; quasi come se il suo istinto le dicesse di andare comunque lì.
«Marinette per favore, fermati un attimo.» cercò di dirle lui.
«Ti ucciderà se non fuggiamo!» fece lei, finendo di salire e percorrendo una passerella in legno che portava a un’altra zona del teatro.
«Mi... Mi ucciderà?! Di chi stai parlando?» domandò il ragazzo, la sua voce ora appariva leggermente impaurita e confusa.
Lei però non sembrava ascoltarlo. Riusciva solo a percepire quella maledetta ansia che le attanagliava il petto. Ripensava alla notte passata nelle segrete, a come l’aveva ammaliata e l’aveva fatta sua e non riusciva più a comprendere cosa fosse vero e cosa no. Si rese conto che non stava cercando di salvare il suo amore d’infanzia, ma lei. La paura di essere braccata da lui, ora la spaventava; la spaventava l’idea che se l’avesse rivisto si sarebbe fatta nuovamente ingannare da quella passione morbosa che lui le provocava, facendola cadere in un baratro di oscurità da cui non sarebbe più risalita.
«Il Fantasma dell’Opera...» rispose con un soffio, prima di aprire la porta che dava sul tetto del maestoso edificio.
Leggera neve cadeva sulle strade di Parigi, già coperte da un leggero manto bianco, ma nemmeno quello spettacolo placido e rasserenante, riuscì a darle pace al cuore.
«Fan... Marinette, non c’è nessun fantasma...» cercò di dire il Visconte, avvicinandosi a lei e prendendola per le spalle.
«Nathaniel, io l’ho visto. – fece lei con una punta di terrore nella voce – Sono stata là sotto con lui, in quel mondo di tenebre e oscurità. Io sono...» non riuscì a dire altro, non voleva rivelare quello che era accaduto lì: né il fatto di essersi conceduta per la prima volta a lui, né quello di aver visto per un attimo ciò che celava la maschera.
Fu un attimo, una sensazione strana, come se tutto all’improvviso quell’ansia si fosse affievolita; come se si fosse ricordata di cosa era davvero accaduto quella notte, di quelle sue parole dolci e allo stesso tempo passionali, ma soprattutto di tutti quegli anni passati insieme, su quel tetto, nonostante lei non l’avesse mai visto prima di allora.
Improvvisamente una melodia sembrò suonare nel suo cuore e nella sua mente, una melodia dolce che le ispirava altrettante dolci parole e che non riuscì a trattenersi da esprimerle a voce.

Una voce, il mio spirito, quel dì incantò.
Dentro me dolci note udite mai,
dentro me la magia spiegar non so.
Sento che suona lieve qui per me.

 

La sentì cantare quelle parole, mentre si allontanava dal Visconte, rendendosi conto che erano dirette a lui, anche se non era a conoscenza del fatto che la stesse ascoltando. Percepì un tuffo al cuore nel sentire quella melodia: nonostante le sue parole fossero in qualche modo dolci e leggermente malinconiche, la sua voce invece era lieve e spaurita, come se fosse spaventata da quello che provava, come se il solo suo pensiero la terrorizzasse.
«Marinette, magari... Magari è stato solo un brutto sogno... – cercò di calmarla il rosso, riavvicinandosi a lei e accarezzandole le spalle – Non pensarci più, dolce Marie.» concluse, regalandole un sorriso dolce e rassicurante, un sorriso che lui non le avrebbe mai potuto donare.
Lei però continuò a cantare e lui si sentì quasi cullato da quelle parole, mai nessuno l’aveva compreso come aveva fatto lei.

Negli occhi suoi, la tristezza immensità.
Mi spaventai, ma nel cuore mio sarai.

Percepì un fremito nel sentire quelle ultime parole, nel comprendere che nonostante tutto, nonostante la paura che le provocava, lei era rimasta innocentemente e meravigliosamente innamorata di lui, o per lo meno del suo ricordo.
«Oh Marinette...» disse in un sussurro, da dietro la statua in cui di solito si nascondeva durante le loro lezioni di canto.

 

La bruna trattene per un attimo il respiro, giurando di aver sentito la sua voce sussurrare il suo nome, ma forse l’aveva immaginato. In fin dei conti in quel posto aveva avuto talmente tanti di quei momenti con il suo Angelo, che poteva anche essere stata colta dalla suggestione del momento. Nonostante tutto la paura l’attanagliò di nuovo, facendole percepire il suo cuore martellare frenetico nel petto.
Solamente quando Nathaniel la raggiunse, avvolgendola da dietro con le braccia e sussurrandole all’orecchio parole che non avrebbe mai scordato, riuscì pian piano a calmarsi.
«Marinette, so di non essere perfetto... Ma qualsiasi cosa ti spaventa, sappi che ti proteggerò.» disse con tono dolce.
La ragazza si voltò verso di lui, incrociando quegli occhi verde scuro, come i pini d’inverno, ben diversi dal verde intenso e sfavillante di quelli del Fantasma. Quegli occhi, leggermente nascosti dai capelli rossi, non le trasmettevano passione e forza, ma amore e protezione.
«Nathaniel tu...» non riusciva a parlare, ma non più per la paura, si sentiva quasi imbarazzata e forse onorata di quelle attenzioni, quelle attenzioni che aveva sempre ricevuto dal bambino dai capelli rossi che tutte le mattine si recava alla boulangerie di suo padre.
«Qualunque cosa accada, io ti proteggerò.» disse lui con un filo di voce.
«Come ho fatto a scordarmene.» sorrise lei, allungando una mano sui suoi capelli e spostando leggermente la frangia.
«Cosa?» chiese lui, leggermente confuso, ricambiando quel gesto con una carezza sulla sua guancia nivea.
«Che per me ci sei sempre stato tu. Cos’altro mai potrei chiedere?»
A quelle parole lui l’abbracciò, stringendola forte tra le sue braccia. Una stretta dolce, affettuosa, che lei ricambiò subito senza remore.
«Potrai sempre fidarti di me, dolce Marie.» le sussurrò ancora.
«Lo so.» rispose semplicemente lei allontanandosi un po’, in modo che potesse vederlo meglio in viso.
«Ti amo, Marinette.» il suo tono era dolce e leggermente imbarazzato, ma chiaramente sincero.
La corvina si avvicinò a lui, lentamente, fino a che le loro labbra non s’incrociarono in un meraviglioso bacio.

 

Percepì una fitta al cuore, come una stilettata in pieno petto, che sapeva sarebbe sparita difficilmente. Strinse con nervosismo le mani guantate di nero, mentre il dolore s’irradiava in ogni fibra del suo corpo. Quel bacio, il suo primo bacio, carico di amore e passione, l’aveva dato a quel maledetto nobile dai modi rozzi e impacciati. Si era perso per sempre il nettare migliore della sua adorata musa.
Li sentì allontanarsi e in un attimo cercò di riprendere il controllo di sé, sentendoli parlare di una carrozza con cui sarebbero scappati. Dopodiché abbandonarono il tetto, lasciandolo lì da solo.
Accecato dalla disperazione e dalla rabbia, uscì allo scoperto. No, non avrebbe permesso loro di scappare. Volevano il mostro? E allora avrebbero avuto il mostro! Avrebbe punito chiunque avesse ostacolato la sua arte e il suo amore. Aveva già sofferto abbastanza nel suo passato per patire ancora la tortura di un amore non corrisposto.

 

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Capitolo 12
*** Ballo in maschera ***


Ballo in maschera

L’intera Parigi, quel giorno, era in fermento: la voce che  l’Operà Populaire de Paris avesse organizzato un sontuoso ballo in maschera, per farsi perdonare di quell’agghiacciante tragedia che era finita nella copertina di ogni giornale, aveva fatto il giro di tutta la capitale francese.
Il proprietario, il signor Bourgeois, aveva organizzato tutto perfettamente ed era sicuro che quella sera niente sarebbe potuto andare storto. Avrebbe attirato nuovamente clientela per i prossimi spettacoli, ma soprattutto avrebbe messo in bella mostra la sua adorata principessa.
Quando il calesse si fermò davanti alla maestosa opera architettonica illuminata a festa, già i fuochi d’artificio scoppiavano nel cielo notturno, dando quell’aria magica e gioiosa. Scese prima lui, porgendo poi il braccio alla figlia, che con il suo solito fare elegante e altezzoso, poggiò appena la mano guantata sul suo avambraccio, scendendo i pochi gradini della carrozza. Indossava un elegante vestito nero e oro, che le dava un aria ancora più aristocratica e portava una maschera di pizzo legata dietro la nuca, il cui nastro s’intravedeva appena sotto l’acconciatura perfettamente curata. Il padre invece, era semplicemente vestito con un elegante completo scuro e una maschera molto particolare, con il becco e la cresta di un gallo che sporgevano in modo quasi imbarazzante da essa.
Una folla e un via vai infinito di gente vestita in maschera e col viso coperto girava per la piazza, salutandosi ed entrando dentro l’Operà; segno che l’evento aveva avuto l’effetto desiderato.
«Vedrai tesoro mio, questo sarà l’evento perfetto per mostrare il tuo talento.» disse tutto orgoglioso Andre Bourgeois alla figlia.
«Lo spero bene! Dopo la terribile figura dell’altra sera se questo spettacolo non andrà in porto la mia carriera sarà rovinata!» esclamò lei irritata, come se i tragici incidenti di quella sera fossero stati causa di suo padre.
Lui, però, la ignorò: continuando a descrivere come aveva organizzato il ballo e l’evento. Tutto quanto preparato da lui e senza l’aiuto di quel cialtrone che scriveva opere meravigliose, ma poi le rovinava con le sue stesse mani spacciandosi per il fantomatico fantasma.
«Ci sarà un magnifico prologo sulla scalinata all’ingresso, che dovrebbe iniziare tra poco, e poi avrai tutto il tuo spazio per cantare quel pezzo che ti piace tanto. Per concludere ci sarà un meraviglioso brindisi!»
La ragazza si impettì, tutta fiera, lanciando occhiate ai nobili che entravano nel teatro e sorridendo appena quando li sentiva bisbigliare nell’osservarla. Sapeva bene che sia stessero ammirando la sua persona e il suo abito, sia la stessero prendendo in giro per la figura miserabile dell’ultimo spettacolo, stavano comunque parlando di lei e presto avrebbe dimostrato a tutti di cosa era capace.
Entrarono proprio nel momento in cui il corpo di ballo dell’Operà aveva cominciato le danze, attirando l’attenzione del pubblico nella zona centrale del salone e sulle scale. Anche i ballerini e le ballerine erano in maschera, tutti rigorosamente in bianco e nero e danzavano all’unisono in una perfetta coreografia che stava lasciando a bocca aperta ogni nobile che si era recato a teatro quella sera.

Masquerade, mascheriamo la realtà
Masquerade, quante facce di te ci stai celando
Masquerade, per beffare la beltà
Masquerade, neanche tu lo saprai chi sei davvero!


Chiuse gli occhi e serrò la mascella, innervosito da quello scempio che stava ascoltando. Quella non era musica, non era arte, quello era un’accozzaglia di parole senza senso: un modo osceno e mondano per nascondere ciò che era accaduto qualche sera prima e prenderlo in giro.
Ovviamente quell’incompetente ingrato del proprietario aveva fatto di testa sua e stava rischiando di mandare a monte tutta la fatica che aveva fatto per mantenere un certo livello in quel teatro che era tutta la sua vita. Certo, sicuramente bisognava in qualche modo rimediare a quell’incidente, ma non in quel modo così ridicolo. Senza considerare il fatto che chiunque avesse ideato quell’aborto che definivano musica, in cui le strofe erano un ammasso di parole senza senso, stava evidentemente prendendo in giro proprio lui, puntando il dito sulla sua figura e facendolo apparire più come un pagliaccio che come il re indiscusso di quel teatro.
No, non poteva accettare quello scempio. Doveva intervenire, poco importava se avrebbe terrorizzato nuovamente gli avventori, poco importava se avrebbe dovuto farsi vedere da tutti per la prima volta dopo tanti anni nell’ombra. L’arte non poteva essere trattata in quel modo.

Masquerade, tra colori e vanità
Masquerade, la magia che ti avvolge col suo manto
Masquerade, folla di mondanità
Masquerade, un miraggio che appare per incanto


«Padre è stata davvero una grande trovata!» esclamò entusiasta Chloé, guardandosi attorno, con aria ammirata, magari sperando anche di trovare un ricco nobile da accalappiare, che non fosse ceco come quel Visconte che non era riuscito a vedere la sua bellezza, mettendosi a obbedire come un cagnolino a quella ballerina da quattro soldi.
«E soprattutto non c’è nemmeno l’ombra di chissà quale fantasma.» commentò lui tutto orgoglioso.

Masquerade, non sai chi ti mentirà
Masquerade, anche tu sei celato lì nell'ombra
Masquerade, puoi nasconderti di qua
Masquerade, ma qualcuno insiste nel fissarti.

 

«Nathaniel, davvero, non credo di poterlo accettare.» commentò titubante la giovane corvina, prendendo nuovamente tra le dita il costoso anello che aveva appeso al collo e guardandolo con aria leggermente triste.
«Prendilo come pegno della mia promessa. – rispose lui – E quando ti sentirai pronta, lo metterai al dito.»
Lei scosse la testa, indecisa su cosa rispondergli. Come poteva dirgli che, nonostante ciò che aveva pronunciato sul tetto del teatro, presa dall’emozione di quel momento, il suo cuore era ancora in tumulto. Come poteva spiegargli che il sentimento che provava verso di lui era nulla paragonabile alla passione sfrenata che scaturiva in lei cantare e stare con il Fantasma. Ora che era a mente lucida non era più sicura di amarlo, ma allo stesso tempo non era nemmeno sicura del contrario.
«Ti prego Nathaniel, per ora non devi dirlo ad anima viva. Questo fidanzamento, vero o no, deve rimanere un segreto.» sussurrò, prendendogli entrambe le mani.
«Ma perché un segreto? Che cos’abbiamo da nascondere? Anche se non è una promessa ufficiale… – il rosso abbassò gli occhi, leggermente imbarazzato – In fondo ci amiamo, no?» 
Si avvicinò lentamente a lei sfiorandole le labbra con le sue in un delicato e tenero bacio. Una cosa era certa, la dolcezza con cui Nathaniel si approcciava a lei, il Fantasma non l’aveva mai avuta. O forse sì? Ricordava qualcosa dei primi anni a teatro, di quando ancora non conosceva la vera identità del suo Angelo della Musica e si beava della sua voce dolce e gentile, mentre le insegnava a cantare. Era quasi assurdo pensare che quella voce così sublime e calda potesse appartenere a un uomo che solo qualche giorno prima aveva ucciso una persona solo perché la compagnia non aveva rispettato le sue regole.
«Dai, vieni a ballare.» sorrise Marinette, distogliendosi da quei pensieri e trascinando il rosso in mezzo al salone d’ingresso, a ballare insieme agli altri avventori in maschera.
La ragazza sapeva bene che in quel modo avrebbe comunque attirato l’attenzione di tutti: in fin dei conti non si era mai vista una ballerina della compagnia, nonostante i suoi ultimi ruoli da protagonista, che danzava insieme a colui che faceva da mecenate al teatro; ma in quel momento le importava poco. Mentre volteggiava con lui incrociò diversi sguardi, alcuni ammirati per il meraviglioso abito rosso che sulla gonna presentava dei pois neri e che aveva confezionato con fatica lei stessa, a cui aveva abbinato una semplice maschera con la stessa fantasia della gonna; altri ancora semplicemente incuriositi. Vide la sua amica Alya farle l’occhiolino, mentre danzava con un giovane in smoking con un paio di occhiali, anche lui leggermente scuro di pelle; ma vide anche la soprana della compagnia assottigliare lo sguardo, come volesse lanciarle fulmini e incenerirla.
Tutto ciò però non la toccava. In quel momento il suo unico pensiero era divertirsi, danzare, sentirsi parte di qualcosa, sentirsi libera con l’uomo che, in quel momento, avrebbe voluto amare per sempre. Si sentiva volteggiare su una nuvola, come se tutto il resto del mondo non esistesse e ci fossero solo loro due e la musica.

Masquerade, mascheriamo la realtà
Masquerade, quante facce di te ci stai celando?
Masquerade, per beffare la beltà
Masquerade, neanche tu lo saprai chi sei davvero!
Masquerade, tra colori e vanit
Masquerade, la magia che ti avvolge col suo manto
Masquerade, folla di mondanità
Masquerade, un miraggio che appare per incanto...

 

Fece il suo ingresso trionfale e in un attimo sia i cantanti che la folla si zittirono all’improvviso, indecisi se cominciare a scappare urlando o rimanere paralizzati lì dov’erano.
Lui dal canto suo, li osservava tutti con quell’aria di superiorità, gli occhi verdi nascosti dietro la maschera nera da felino, abbinata perfettamente al suo abito nero, come a rappresentare la sventura che si stava abbattendo sul suo teatro.
Era la prima volta che appariva in pubblico e doveva essere impeccabile, nell’abbigliamento come nelle movenze. Tutta quella gente mediocre e superficiale che si trovava lì non sapeva godere dell’arte se non festeggiando e ubriacandosi. Li osservò tutti con aria di sufficienza, che non aveva nulla a che vedere con lo sguardo di chi si crede superiore, no il suo era solamente disprezzo per quell’insulto a ciò che riteneva davvero bello.
Cominciò a scendere le scale, mentre la gente si scostava spaventata, lasciando passare.
«Amici miei, come mai questo silenzio? – domandò con tono quasi ironico – Mi sono reso conto che avevate bisogno di me, perciò sono qui per non lasciarvi mai più! Da quello che avete fatto stasera è chiaro che vi mancavo, visto lo spettacolo penoso e frivolo. Vi farà piacere sapere che io, mentre voi vi crogiolavate nel rammarico e negli alcolici, ho scritto un opera. Una mia rivisitazione di Don Juan, in cui la passione trionfa.»
Sollevò un’astuccio scuro, in cui aveva conservato lo spartito della sua ultima fatica a cui si era messo a lavorare non appena si fu ritirato nel suo antro dopo l’incidente, per poi gettarlo terra, ai piedi della prima scala, sparpagliandone tutti i fogli.
A quel punto il suo sguardo si posò su di lei, bella come un raggio di sole, in quell’incantevole vestito che in qualche modo le si addiceva. A rovinare l’armonia della sua immagine però c’era lui, che la stringeva tra le braccia, mentre il suo sguardo leggermente impaurito lo osservava. Lo vide ingoiare un grumo di saliva, per poi assottigliare leggermente lo sguardo, come nel tentativo di sfidarlo.
Distolse gli occhi, aveva altro da dire prima di occuparsi di lui.
«Vorrei ricordare un paio di punti che forse non sono stati ben afferrati da tutti voi e in particolare dal nuovo proprietario. – riprese, per poi avvicinarsi alla bionda che indietreggiò appena di qualche passo – Mademoiselle Bourgeois mi perdonerà, ma a me sembra di applaudire a un oca che starnazza!»
Qualcuno a quell’affermazione trattene il fiato, mentre la ragazza semplicemente si morse il labbro inferiore trattenendosi dal piangere o dall’urlare, o addirittura da ambedue.
«E tu, caro paparino. – proseguì nel silenzio assoluto, avvicinandosi questa volta al proprietario – Non compete a te, né l’arte né tantomeno l’assegnazione dei ruoli, perciò non azzardarti mai più a favorire la tua incompetente figlia. La star indiscussa della prossima opera sarà soltanto una.»
Si volse nuovamente a lei e per un attimo gli sembrò che i suoi occhi azzurri e dolci fossero contenti di quelle attenzioni, ma fu solo un attimo, perché subito dopo su di essi tornò quell’ombra di terrore e tristezza che la ragazza non riusciva in nessun modo a nascondergli. Nel vedere quegli occhi spaventati qualcosa nel suo cuore si mosse, più veloce della sua mente, mentre una melodia, suonava nella sua testa e lui semplicemente si fece guidare da essa: facendo sentire per la prima volta la sua voce a tutta Parigi. Sembrava quasi di sentire davvero il canto di un’angelo.

Saprà secondo me
cantare con virtù
se vuole trionfare, però,
deve fare di pi
se mai vorrà ritornare a me, sua guida,
sua guida...

Marinette si staccò dall’abbraccio protettivo di Nathaniel, attratta per l’ennesima volta dalla sua voce. Il ragazzo tentò di trattenerla, richiamandola, ma fu tutto inutile. Avanzava, incantata da quel suo portamento regale e da quei suoi occhi verdi come i più bei smeraldi. Anche lui si avvicinò lentamente a lei, nel silenzio assoluto della sala che sembrava osservarli con paura e allo stesso tempo emozione.
Tra tutti, madame Bustier si teneva una mano al petto, quasi commossa da quella scena che si stava creando davanti a lei e a tutto il teatro.
Erano l’uno di fronte all’altra, i loro sguardi s’incrociavano ed era ormai evidente a tutti che c’era qualcosa d’intenso e misterioso tra di loro: qualcosa che si vedeva, ma che allo stesso tempo era incomprensibile a chiunque altro. Tutto intorno a loro sembrava essersi fermato, come se un incantesimo li avesse colpiti.
Ma la magia in un attimo finì, quando lo sguardo del biondo si posò sul petto della ragazza, notando quell’anello.
Con la mano guantata e munita di artigli afferrò la collana, graffiando leggermente il petto di lei, per poi strappargliela di dosso.
«Arrenditi, ormai appartieni a me!» gridò, ma non ebbe il tempo di dire altro, perché in un attimo Nathaniel e la sua spada gli furono addosso e lui con uno spintone lo allontanò, per poi fuggire e calarsi in una botola vicino alle scale che si era aperta a un suo schiocco di dita, come una voragine.
Il rosso stava per seguirlo, quando una mano lo fermò, mentre il caos e le urla di spavento e terrore incominciavano a percorrere ogni angolo del teatro.
Il visconte si voltò, notando l’insegnante di danza tenere la mano di una terrorizzata Marinette.
«Forse è il momento che voi sappiate con chi avete a che fare…» disse la donna, per poi trascinarli via da quel caos.

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Capitolo 13
*** Un oscuro passato ***


Un oscuro passato

Madame Bustier scortò i due giovani nelle sue stanze private, mantenendo l’assoluto silenzio, mentre il resto del teatro era in fermento e in agitazione per ciò che era appena accaduto. Lo sguardo di entrambi era spaventato, ma allo stesso tempo carico di aspettative: come se non vedessero l’ora di poter conoscere quella storia e comprendere finalmente di chi, o cosa, avessero paura e se dovevano davvero averne.
Non appena entrarono nella camera dove, l’insegnante di danza, dormiva e si preparava, la donna chiuse la porta, in modo che nessuno li disturbasse. Dopodiché fece loro cenno di accomodarsi dove volevano.
I due si sistemarono sul letto, uno di fianco all’altra, i volti contriti e preoccupati, come fossero pronti a sentire una qualche storia di mostri, demoni o terribili omicidi. La donna si accomodò su una delle comode sedie, ricoperte di un velluto verdognolo che le dava in aria vecchia e logora, e prese un grosso respiro, prima di iniziare a parlare.
«Ero già qui all'Operà quando accadde, studiavo come ballerina, proprio come te Marinette, circa undici o dodici anni fa.» cominciò, con un tono di voce mesto e grave, come se stesse per raccontare una cosa terribile. «In quel periodo, il vecchio proprietario, il signor Agreste, viveva a Teatro come i commedianti, insieme alla sua famiglia.»
«Il signor Agreste ha famiglia?» domandò sbalordita la giovane ragazza. Ricordava perfettamente l'austero monsieur Gabriel Agreste e non avrebbe mai pensato che un uomo così freddo e pragmatico potesse avere rapporti più che professionali con le persone, forse solo con la sua segretaria Nathalie.
«Aveva. – la corresse la donna – Era molto diverso dall'uomo che hai conosciuto tu, Marinette. Era molto innamorato di sua moglie, Emilie, e avevano uno splendido figlio Adrien, un bambino bravo ed educato se devo dirla tutta, e anche molto, molto talentuoso. Aveva una dote speciale per il piano e per il canto, la sua voce era melodiosa e quasi angelica proprio come quella della madre e molti nel teatro si domandavano se pure crescendo avesse mantenuto quel talento.»
«Non capisco come questo possa riguardare quel maledetto Fantasma!?» sbottò il Visconte.
«Ci sto arrivando monsieur. – rispose con voce calma la donna, nonostante si stesse massaggiando  le mani in un gesto leggermente nervoso – Fu una tragedia paragonabile a quella di qualche giorno fa. Uno dei gatti di scena per il Macbeth, si era rifugiato su una delle travi del palco, per sfuggire al piccolo Adrien che stava giocando con lui. Questi per inseguirlo aveva preso una delle scale e ci si era arrampicato, nonostante i rimproveri della madre che gli diceva di scendere. Arrivato in cima il gatto, stizzito gli graffiò il viso sul lato destro, facendogli perdere l’equilibrio.»
A quel punto del racconto, Marinette, che stava cominciando a capire come sarebbe finita quella storia, si portò le mani alla bocca, mentre percepiva piccole e pungenti lacrime pizzicarle gli occhi per uscire. Il Visconte, invece, nonostante sembrasse scosso da quel racconto, aveva ancora il volto rigido e quasi irritato.
Madame Bustier, proseguì a raccontare.
«Non ricordo perfettamente cosa accadde, nonostante fossi lì in un angolo del palco a fare le prove di danza con il resto del corpo di ballo: forse la mia mente ha semplicemente cercato di rimuovere quell’infausto evento. Ma la scala s’inclinò con Adrien ancora in cima e quando lui perse la presa e veniva afferrato al volo da sua madre, questa colpì uno dei supporti che tenevano le funi della scenografia.» si fermò, come se quel ricordo le facesse troppo male, mentre Marinette non riuscì più a trattenere le lacrime.
Il silenzio durò almeno un minuto, interrotto solo dai singhiozzi della giovane ragazza.
«Emilie Agreste era la mia insegnante di danza e quel giorno la perdemmo per sempre. Il direttore non se lo perdonò mai, incolpò se stesso, ma soprattutto incolpò suo figlio. Col passare dei giorni e dei mesi l’odio del signor Agreste verso Adrien crebbe a dismisura, ogni volta che vedeva il volto sfregiato del figlio ricordava quel funesto incidente. Troppe volte, noi della compagnia, sentivamo quel bambino urlare per i soprusi che il padre frustrato gli inferiva, finché un giorno non fui io stessa a decretare un accordo e una tregua tra i due. Promisi al direttore di nascondere Adrien nel Teatro, lontano dai suoi occhi e dal suo cuore e lui lo avrebbe pagato come un qualsiasi dipendente, per la musica e le opere che avrebbe scritto di lì in avanti.»
«Adrien…» riuscì solo a sussurrare Marinette, mentre davanti a lei si definiva nitidamente l’immagine del suo Angelo della Musica. Ogni suo pensiero, però, fu interrotto dalla voce del suo amore d’infanzia, proprio di fianco a lei.
«Ha avuto un passato difficile, questo è certo. Ma ciò non giustifica quello che ha fatto in questi giorni. Se ama così tanto questo teatro, perché lo sta mandando in rovina, uccidendo persone davanti al pubblico o spaventando tutti a morte?» inveì il rosso, battendo un pugno contro la sua stessa gamba.
«Non credo che la morte di Ramiér sia stata davvero colpa sua, Adrien può aver perso il suo lato sociale, ma non quello umano. Per quanto invece riguarda questa sera, credo semplicemente che si sia sentito preso in causa: non può negare Visconte, che le parole del brano di oggi erano dirette a lui.»
«Sì, ma…»
«Basta! – lo interruppe Marinette, prima che potesse lui dire qualcos’altro – Ti prego Nathaniel, basta…» detto questo si alzò, ancora con le lacrime che le rigavano le guance nivee e gli occhi gonfi.
Uscì dalla stanza, senza dire nient’altro, senza dare una parola di dispiacere o di conforto a nessuno dei due interlocutori. Con passo svelto e deciso attraverso i corridoi in legno e i ponteggi che l’avrebbero portata di nuovo al tetto.
Solamente quando fu lassù, sfogò il suo pianto disperato, accasciandosi al suolo e portandosi le ginocchia al petto, in cui nascose il viso con le braccia.

 

Ebbe un brivido nel sentirla piangere, come se tutta la sua tristezza la stesse riversando su di lui. Non l’aveva mai sentita così disperata e qualcosa gli diceva che non era per quello che era accaduto poco prima all’ingresso del teatro. No, doveva essere successo qualcosa, qualcosa che l’aveva scossa a tal punto da farla piangere a quel mondo. Strinse i pugni, giurando che se quel maledetto damerino l’aveva fatta soffrire, l’avrebbe ucciso con le sue mani. 
Non parlò, non disse nulla, semplicemente rimase lì, con la testa appoggiata al muro e il volto stanco e triste, ascoltando la sua unica ragione di vita, piangere.

 

Nei giorni successivi, il famoso Teatro dell’Operà, sembrò cadere in uno stato di trance, come se nessuno avesse più voglia di ridere, divertirsi e far divertire. Il nuovo proprietario, monsieur Bourgeois, non si faceva più vedere, esattamente come la figlia: forse entrambi rintanati a casa loro nel tentativo di trovare una soluzione. Il resto della compagnia e dei teatranti, intanto rimanevano sospesi in quel limbo di paura e tristezza che ormai sembrava essere penetrato anche nella struttura, dando un’aria tetra all’Operà stesso.
Madame Bustier, come molti altri della sua età, ricordava perfettamente quella terribile sensazione di angoscia e macabra promessa, che avrebbe portato il futuro del teatro a un periodo oscuro e poco promettente, in cui nessuno avrebbe messo completa passione nel proprio lavoro.
Marinette, non andava più alla boulangerie dei suoi genitori, come faceva prima e tutto il suo tempo libero lo passava nel suo letto al dormitorio, dormendo o fingendo di farlo. Molte volte, la sua amica Alya, aveva provato a chiederle perché stesse così; se fosse spaventata per ciò che le aveva detto il Fantasma la sera del ballo in maschera, o per qualcos’altro. Ma lei si era sempre rifiutata di risponde, anzi: ogni volta che veniva nominato il Fantasma, s’incupiva ancora di più, chiudendosi in se stessa.
Il Visconte Kurtzberg, faceva la veglia su di lei ogni qual volta voleva rimanere da sola, mettendosi alla porta del dormitorio. Più di una volta si addormentò sulle dure scale di legno, con il capo poggiato allo stipite della porta: non si fidava a lasciare la sua amata sola in teatro, ora che sapeva che quel folle voleva effettivamente lei. Nonostante il suo carattere fosse parecchio timido e impacciato, avrebbe fatto di tutto per  difendere la sua dolce Marie dalle grinfie di quel malefico e oscuro gatto.
Del Fantasma, però, nessuno sapeva nulla. Anche lui sembrava essere rimasto ferito da quella sua prima, e forse ultima, apparizione. Le prove per il Don Juan che aveva scritto andavano a rilento, sospese in quello stesso limbo che avvolgeva tutto, e nessuno sapeva se lui stesse assistendo a quel lento declino, oppure no.

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Capitolo 14
*** Duello al cimitero ***


Duello al cimitero

Quella fredda mattina di Dicembre non sembrava affatto diversa dalle altre, eppure Marinette si svegliò presto per essere domenica. Quel giorno, come sempre, non vi sarebbero state prove per lo spettacolo e sia attori che ballerini avevano la giornata libera. 
In un periodo più tranquillo, un periodo che ormai le sembrava lontano anni, nonostante fossero passati appena un paio di mesi o poco più, si recava sempre alla boulangerie di suo padre, per andarlo a trovare. Poi il susseguirsi di eventi le avevano scombussolato la tranquilla routine: il suo primo ruolo da protagonista, il cambio di proprietario, l’arrivo di Nathaniel, gli incidenti con il Fantasma. Tutto nella sua vita era diventato frenetico e allo stesso tempo adrenalinico e la pace della panetteria sembrava essere un ricordo da bambina, un ricordo della piccola Marie, più che dell’ormai cresciuta Marinette.
Nell’alzarsi dal letto, però, si rese conto che non poteva rinunciare a quell’abitudine, non quel giorno. Era l’anniversario della morte di suo nonno Rolland e lei era solita andarlo a trovare al cimitero, dopo aver visitato la panetteria ed aver preso una forma di pane che l’uomo aveva insegnato a preparare al figlio. Sapeva che, visti i recenti avvenimenti, se Nathaniel avesse scoperto le sue intenzioni, non l’avrebbe lasciata andare. Per questo motivo si assicurò di svegliarsi presto e vestirsi velocemente.
Quando aprì la porta dell’alloggio in cui dormiva in teatro, vide il ragazzo seduto in cima alle scale, il capo rosso poggiato alla parete in legno, gli occhi chiusi e il volto stanco. Si vedeva che aveva tentato in tutti i modi di rimanere sveglio il più possibile, ma Morfeo sembrava averlo preso tra le sue spire e il suo respiro lento le diede la conferma che stava dormendo pesantemente.
Lo superò con passo leggero e, ridiscendendo le scale, uscì dal retro del teatro, dove solitamente passavano solo gli artisti. Si accostò nella piazzola in cui sostavano le calesse e si rivolse a un cocchiere seduto su uno sgabello in attesa di un qualche cliente.
«Monsieur…» lo chiamò lei con tono mesto.
«Dove la porto mademoiselle?» chiese con voce roca e impastata, come se si fosse appena svegliato.
«Alla Boulangerie Dupain e poi al cimitero.» rispose lei, porgendogli un sacchetto di monete.
Si allontanò nuovamente dall’uomo per prendere un mantello pesante e acquistare anche tre rose da un mercante lì a fianco, in modo da darne due ai suoi genitori, mentre l’altra l’avrebbe lasciata alla tomba del nonno assieme alla pagnotta. 
Non si accorse affatto che mentre il cocchiere contava le sue monete, qualcuno l’aveva aggredito alle spalle, tramortendolo e prendendo il suo posto. Quando Marinette tornò alla carrozza, il sostituto era già seduto nella parte anteriore del calesse, col frustino in una mano e le redini nell’altra.
La ragazza si accomodò nella carrozza, ribadendo la sua prima meta e l’uomo, col cappuccio calato sul capo, eseguì senza fiatare.

 

«Mi aspetti qui per favore.» chiese quando il veicolo si fermò davanti alla boulangerie di suo padre. Entrò, facendo tintinnare il campanello e subito l’odore del pane appena sfornato e dei croissant le inebriò i sensi. Chiuse gli occhi, quel profumo la faceva sentire a casa.
«Marinette, tesoro! – esclamò una voce e poco dopo si trovò avvolta in un abbraccio. Era una donna poco più bassa di lei, ma era chiaro che fosse sua madre perché le somigliava tantissimo – Caro, vieni! C’è Marinette!» disse poi, rivolgendosi a qualcuno sul retro del locale.
Dalla zona forno fece il suo ingresso un omone dall’aria alquanto bonaria, che si puliva le mani sporche di farina su un grembiule.
«Bambina mia! – sorrise lui – Come stai?» domandò, stringendola anch’egli in un caloroso abbraccio.
«Diciamo che… è un periodo un po’ difficile in teatro, ma…» cercò di dire la ragazza, ma non sapeva affatto da dove cominciare o se volesse raccontare davvero ai suoi genitori tutto quello che le stava accadendo in quell’ultimo periodo.
«Abbiamo sentito dell’incidente. Parlano di un fantasma. Tu stai bene?» chiese la madre, il suo tono sembrava preoccupato e apprensivo, ma anche rassicurante.
«Sì… sì… Tranquilli sto bene. Quando… Quando si calmerà la situazione vi racconterò tutto promesso.» cercò di liquidare lei, non volendo proseguire quel discorso. Il sol sentir parlare del fantasma la faceva tremare e non sapeva se fosse perché avrebbe voluto rivederlo o perché temeva di farlo.
«Tieni. Immagino tu sia venuta per questa.» le sorrise suo padre, muovendo leggermente i baffi cespugliosi, mentre le porgeva un sacchetto di carta con dentro la fantomatica pagnotta.
«Grazie papà.» sorrise lei, dopodiché diede un bacio a entrambi i genitori e uscì nuovamente dal negozio, facendo suonare di nuovo il campanello.
Il cocchiere si riscosse dal torpore, l’aveva attesa lì tutto il tempo, come lei aveva richiesto. La vide uscire dalla boulangerie, con un fagotto di carta tra le mani e quasi assaporò la sensazione meravigliosa di poter spizzicare la mollica del pane insieme a lei.
«Ora al cimitero, per favore.» chiese Marinette, non appena fu di nuovo a bordo, facendolo tornare con la mente alla realtà. Con uno schioccò fece saettare il frustino e i due cavalli che guidavano il calesse ripresero a muoversi.

 

Nathaniel mugugnò, riprendendosi lentamente dal torpore del sonno. Sentiva i muscoli rigidi per la scomoda posizione in cui si era addormentato e la testa gli doleva in maniera fastidiosa. 
Ci mise qualche minuto a sentirsi completamente sveglio e, soprattutto, rendersi conto che la stanza di Marinette era vuota. Subito il panico gli attanagliò il petto, possibile che le fosse successo qualcosa? Nella sua mente balenarono scenari orribili, di lei tra le braccia del Fantasma, costretta ad amare un uomo che invece non amava affatto. Lui e Marinette si appartenevano, sin da quando erano bambini, erano destinati a stare insieme e quell’uomo era solo un folle se pensava che quella meravigliosa creatura potesse anche solo provare affetto per un simile demonio.
Doveva salvarla, a qualunque costo. Esitò solo qualche secondo, il tempo che riuscisse a prendersi del coraggio necessario, dopodiché afferrò il fioretto che in quegli ultimi giorni si era sempre portato dietro e si precipitò giù per le scale, nel tentativo di cercarla.

 

Il cimitero era fuori città, oltre un lungo viale di campagna che passava in mezzo a una rada boscaglia.
Quando la carrozza si fermò davanti agli enormi cancelli in ferro nero, la ragazza scese con un peso sul cuore. Per qualche motivo, lungo tutto il silenzioso tragitto si era sentita osservata; eppure nessuno la stava osservando in quel momento, nemmeno il cocchiere che era di spalle avrebbe potuto farlo. Come se non bastasse, quella sensazione le ricordava irrimediabilmente ciò che provava quando si trovava tra le braccia del suo angelo della musica; un misto di eccitazione e paura, che la faceva sentire viva.
Si sentiva una persona orribile a pensare quelle cose in quel momento così importante. Suo nonno non meritava affatto quelle poche attenzioni, anche perché era stato lui a parlare degli angeli del talento al figlio e lui poi lo aveva raccontato a lei. Quindi in qualche modo, se lei credeva all’Angelo della Musica, se lei aveva conosciuto il Fantasma, o meglio Adrien, era anche un po’ merito suo.
Cominciò ad avanzare nel viale innevato, tra le statue grigie e i monumenti dedicati ai defunti, la rosa e l’involucro di carta contenente la pagnotta stretti tra le mani.
«La dolce Marie ha pensato a tutto e a niente… – cominciò a sussurrare tra se, come fosse una preghiera – Il padre e il nonno le avevano promesso che avrebbe incontrato l’Angelo della Musica… Glielo avevano promesso…»
Si inoltrò verso il centro del cimitero, dove il famedio Dupain si trovava. Nonostante suo padre avesse seguito le orme di Rolland, la famiglia Dupain era un’antica famiglia aristocratica e tutti i membri erano stati sepolti in quella cappella. Si fermò davanti alla breve scalinata che portava all’ingresso del piccolo edificio, sedendosi sul primo gradino innevato. Il pesante vestito e il mantello attutirono in parte il freddo della pietra coperta di cristalli bianchi.
«Vorrei che fossi qui con me nonno… Magari tu sapresti guidarmi…» disse in un sussurro, gli occhi arrossati da qualche lacrima che voleva uscire.
Nel silenzio di quel luogo austero una voce melodiosa le fece alzare il capo, qualcuno stava cantando e lei non poteva non bearsi di quel tono soave, nonostante sapesse a chi apparteneva.
«Bimba smarrita senza pace, cerchi la mia guida…»
Il suo istinto le stava gridando di fuggire, eppure il suo cuore, le sue labbra e le sue stesse corde vocali, decisero diversamente. Rispose a quel richiamo, quasi come fosse una supplica.
«Sei tu Fantasma, o sei Adrien, dimmi chi mi chiama?»
«Sono il tuo Angelo…»
«Angelo parla in un sussurro, la nostalgia trema…» si alzò, le sembrava quasi che la sua voce provenisse l’interno della cripta di famiglia, come se uscisse direttamente dall’Inferno o dal Paradiso.
«Troppo hai vagato nel vento, troppo lontana da me…»
«Quasi mi opprime il tuo sguardo…»
«Non hai scampo… e verrai con me.»
«…e verrò con te.» intonarono insieme quell’ultima frase, in quella melodia che li aveva sempre uniti, sin dal primo giorno.
Solo in quel momento, si mostrò a lei, era sul tetto della cripta, gli abiti scuri e la maschera al viso, proprio come l’aveva visto la prima volta. Con un balzo si getto sulla neve, in cima alla scalinata che lei, istintivamente, stava già salendo. Le loro voci continuavano a cantare all’unisono.
«Angelo, io ti ho rinnegato… Sempre avrò il tuo amore.» intonava lei.
«Angelo, tu mi hai rinnegato… Sempre avrai il mio amore.» diceva con la stessa sinfonia lui.
«Angelo, più non ti respingo… Aprimi il tuo mondo.»
«Angelo, più non mi respingi… Apro a te il mio mondo.»
In un attimo furono una tra le braccia dell’altro. Finalmente Marinette riusciva a vedere oltre quella voce, oltre quella maschera; forse in superficie aveva ancora paura e non comprendeva tutto ciò che quell’uomo aveva fatto nei panni del Fantasma, eppure in quei due occhi verdi come smeraldi che s’intravedevano dieto la maschera nera da gatto, riusciva a riconoscere un amore incondizionato nei suoi confronti.
«Sono il tuo Angelo, vieni… – le sussurrò lui, continuando a cantare e sfiorandole la guancia con la mano ricoperta dal guanto artigliato – Vieni, tu sei la mia musa…»
Marinette chiuse gli occhi, assecondando il movimento della sua mano che sembrava voler avvicinare i loro volti. Era sicura di essere a ormai pochi millimetri dalle sue labbra, quando la voce di Nathaniel ruppe la magia di quell’attimo riportandola alla realtà.
«Non farlo Marinette! Qualunque cosa tu possa credere, quest’uomo non è affatto un angelo, ormai è diventato ciò che lui stesso crede di essere, un mostro!» le disse, scendendo da cavallo ed estraendo la spada.
Il Fantasma fece altrettanto e non appena il rosso scostò Marinette, in modo da proteggerla, i due giovani ingaggiarono un duello all’ultimo sangue.
Le spade s’incrociavano, facendo riecheggiare i loro stridori nel silenzio del cimitero e Marinette sembrò quasi potessero unirsi al suono frenetico del suo cuore nel petto, creando una melodia alquanto mortale. Qualcosa le stava gridando che se non gli avesse fermati avrebbe perso uno dei due, ma purtroppo era impotente davanti alla loro furia; l’unica cosa che poteva fare era sperare che si fermassero prima che accadesse il peggio.
I due però non sembravano mollare, proseguivano il loro duello, rincorrendosi tra le tombe in pietra, nascondendosi dietro i cipressi spogli e innevati, tentando di sorprendere l’avversario. La loro tecnica era impeccabile: temprata dal rigido addestramento che doveva tenere un nobile per uno e dagli esercizi fatti all’ombra del suo teatro per l’altro.
Finalmente, dopo vari minuti, un colpo di spada del Fantasma andò a segno, ferendo di striscio il braccio del giovane Visconte. Questi crollò a terra con un urlo di dolore, ma non lasciò la presa sulla spada e si ritirò su prima che l’avversario potesse essergli addosso. Ci furono solo un’altro paio d’incroci delle lame, poi Nathaniel riuscì a mettere al tappeto Adrien, pestando con il piede la sua spada e scalciandola via nella neve.
Con un grido di rabbia era già pronto a colpire a morte l’incubo di tutto l’Operà de Paris, ma una voce disperata lo fermò.
«No Nathaniel, no… Ti prego… Non farlo…»
Il rosso si voltò verso Marinette, che li aveva seguiti per tutto il tempo. Stette davvero poco a pensare, poi rinfoderò la spada e raggiunse l’amata, scortandola al cavallo e aiutandola a salire. Non si accorse affatto dello guardo affranto che lei stava rivolgendo al Fantasma, ancora a terra, ma soprattutto non si curò di quello d’odio che gli rivolse lui.
«Ed ora… sarà la guerra, monsieur…» sibilò tra i denti l’uomo mascherato, vedendoli allontanarsi a cavallo.

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