All about them

di Daphne_07
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno a scuola ***
Capitolo 2: *** Maledetti calderoni... ***
Capitolo 3: *** Tutti contro Hermione ***
Capitolo 4: *** Montecarlo arrivo! ***
Capitolo 5: *** Italia ***
Capitolo 6: *** Segreti svelati ***
Capitolo 7: *** Mai fidarsi dei vasi ***
Capitolo 8: *** Bacche ***
Capitolo 9: *** Passo dopo passo... ***
Capitolo 10: *** Bando alle maschere, fuori i sentimenti! ***
Capitolo 11: *** Di una ragazza ottusa ***
Capitolo 12: *** Gelosia portami via ***



Capitolo 1
*** Ritorno a scuola ***


Hermione si passò un braccio sulla fronte sudata. Erano minuti che cercava di chiudere quel baule saltandoci sopra e togliendo tutti i vestiti superflui, eppure l’impresa le appariva ancora impossibile. -Hermione, muoviti!- cominciò a strepitare sua madre dal piano di sotto.
-Arrivo!- gridò di rimando la ragazzina. Trascinò il baule semiaperto e traboccante di libri, vestiti e scatolette di mangime per il gufo fino alle scale che conducevano in soggiorno. Lo poggiò proprio sul primo gradino e poi lo spinse giù, tappandosi le orecchie per non sentire il tonfo che il baule avrebbe fatto rotolando per le scale.
-Hermione! Ma cosa fai?!- strillò sua madre scansandosi prima che il baule le venisse addosso. Hermione si precipitò giù per le scale e si sedette al tavolo della cucina.
-Quanti minuti mi restano?- chiese, indaffarata a versarsi la spremuta d’arancia nel bicchiere e ad assaporare il porridge.
-Cinque! Forza, tesoro, muoviti, che il baule te lo sistemo io- Era l’ultimo giorno di vacanze estive, entro poco tempo Hermione si sarebbe ritrovata alla stazione di King’s Cross con i suoi amici. L’autunno stava avendo il sopravvento sull'estate, le foglie si tingevano di rosso ed il sole si impallidiva, lentamente, come soggiogato da una malattia. Nella casa regnava sempre un’atmosfera triste il giorno in cui Hermione partiva per Hogwarts. Anche la ragazzina sentiva uno strano nodo in gola, non solo perché avrebbe dovuto allontanarsi dai suoi genitori, ma anche per un altro motivo... un motivo che nemmeno lei riusciva ad individuare. Si era insinuato strisciando nei meandri più profondi del suo cuore e non aveva più accennato ad andarsene. Tutti ci sentiamo rattristati dalla fine dell’estate, ma per Hermione ricominciare era diverso... Non si trattava della scuola in sé, forse, si ripeteva la ragazzina, il problema era Hermione stessa. Il padre si sedette accanto a lei e le scompigliò affettuosamente i capelli.
-Buongiorno, papà-
-Buongiorno, piccola mia. Giorno della partenza, vero?-
-Esatto. Tu come stai?-
-C’è un bambino pestifero agli studi dentistici che si fa venire una carie tutti i mesi, io e tua madre ce lo ritroviamo sempre sulle croste-
-Beh, buona fortuna. Papà, attento, ti stai facendo andare il caffè nei baffi- Il signor Granger si mise a ridere e aprì il giornale, ma, non appena i suoi occhi si imbatterono in una particolare notizia, tutta la sua positività parve svanire. Hermione, incuriosita, lesse anche lei: un famoso attore di Broadway aveva adottato un bambino. Apparentemente quello poteva passare per un paragrafo insignificante, ma in realtà il cuore di Hermione perse un battito. Si riempì come una spugna di malinconia e riemerse traboccante di brutti ricordi. Maggie… Maggie… La ragazzina scosse la testa. No, non doveva pensarci.
Non appena ebbe ingoiato l’ultimo dei cereali mollicci, sua madre iniziò a trombettare con il clacson dalla macchina. Hermione e suo padre si fiondarono nella vecchia Punto rossa, la madre premette sull’acceleratore e la piccola famiglia partì alla volta di King’s  Cross.

-Harry! Ron!- Hermione era appena arrivata al binario 9 e ¾, e subito aveva individuato i suoi amici. Infondo, era impossibile non notare la spiccante chioma rosso fuoco di Ron. -In partenza!- urlò il capotreno. Il brusio di voci divenne ancora più alto, tutti i ragazzi diedero l’ultimo saluto ai genitori e si scapicollarono dentro al treno, nel tentativo di accaparrarsi uno scompartimento decente.
-Ciao mamma! Ciao papà!- Urlò Hermione sventolando una mano e reggendosi con l’altra al corrimano della scaletta. Prima che la sua testa scomparisse all’interno della locomotiva, però, la ragazzina notò una cosa alquanto curiosa. Scorse tre teste bionde in un angolo della stazione. Di sicuro una di quelle apparteneva a Malfoy, mentre gli altri due dovevano essere i suoi genitori. Draco Malfoy teneva il capo reclinato e i pugni strettissimi, intento a contenere la frustrazione: era evidente che il padre lo stesse sgridando. Ad un certo punto sembrò che il ragazzino si fosse stancato del cazziatone, infatti si allontanò bruscamente dai genitori, che lo guardavano con due occhi oltremodo severi, e si avviò verso la porta del treno. Il viso del padre si contorse in una smorfia di rabbia, l’uomo afferrò Draco per il braccio e gli diede uno schiaffo sulla guancia, a braccio rigido. Draco non diede segni di essersi fatto male, anche se, con tutte le probabilità, la guancia gli doleva molto. Hermione restò basita davanti a quella scena. Quel Serpeverde le era sempre parso un essere odioso, stronzo e spregevole, senza alcuna altra caratteristica. Il personaggio “Malfoy” si limitava a quello, ecco perché Hermione aveva costruito un'immagine di lui semplice e lineare: un ragazzo rispettato, omaggiato e viziato dalla sua famiglia, senza nessun problema, una persona intoccabile, insomma. Non le sembrava possibile che anche lui, il principe delle Serpi, fosse stato vittima di un comune scontro con il proprio genitore. Beh, il mito del figlio di papà era stato sfatato.
Nessuno sembrò accorgersi della cosa tranne Hermione, talmente tanta confusione c’era. Malfoy, dopo aver ricevuto lo schiaffo, marciò con la testa bassa e i pungi serrati verso l’entrata del treno. Il suo viso ora era totalmente rosso, non solo per lo schiaffo, ma anche per la rabbia. I suoi occhi di ghiaccio mandavano faville, sprizzavano lampi, infiammavano chiunque ostacolasse il suo percorso verso la locomotiva. Hermione era talmente imbambolata che non si accorse che il ragazzo stava venendo verso di lei. -Spostati, Mezzosangue- Le diede una spallata volutamente forte, scaricando su di lei un po’ del nervosismo accumulato. Dopo qualche secondo Hermione tornò alla realtà e si rese conto dell’offesa. Si girò nella direzione di Malfoy, lo rincorse per il corridoio del treno e lo superò dandogli una spallata altrettanto forte: -Spostati, stronzetto- e continuò a camminare, pronta alla reazione di lui.

-Cos’hai detto, Mezzosangue?- iniziò a strepitare Malfoy. Tutti si voltarono nella loro direzione, alcuni uscirono anche dai loro scompartimenti per assistere all’evento epico. Quella sarebbe stata una rissa memorabile: il giovane Principe delle Serpi contro la giovane Principessa dei Grifoni, irascibilità contro sapienza, impulso contro pazienza, astio contro astio. Hermione si diede una leggera occhiata intorno e arrossì per la figura che stava facendo. Sembrava proprio la scena di un film western: lei e Malfoy si trovavano nello stretto corridoio del treno, distanziati da una decina di metri, ciascuno pronto a sfoderare la bacchetta. Mancava solo un cespuglio del deserto che rotolasse tra i due sfidanti.
-Hermione!- Harry e Ron fecero capolino da uno scompartimento.
-Portatela via prima che si faccia male- sogghignò Malfoy.
-Zitto, tu. Hermione, vieni- insistette Ron. Eppure Hermione non si mosse. Per un anno intero aveva già dovuto subire le prese in giro, gli insulti, le frecciatine e le umiliazioni di quell’arrogante, dicendo che tanto non valeva la pena di arrabbiarsi. Beh, il tempo della razionalità era finito. Hermione fece appello a tutto il suo coraggio, e, magicamente, provò una sensazione nuova. Si sentiva più potente delle altre volte, era come se avesse attinto da un pozzo tutta la sua rabbia e l’avesse convertita in desiderio di scontro. Doveva trovare un punto di sfogo, anche se non aveva idea del motivo per cui fosse frustrata. Non sapeva nemmeno perché di punto in bianco desiderasse battersi, dare un calcio alla vecchia Hermione, sfoderare gli artigli e liberarsi dal mai provato sentimento di oppressione.
-No, Ron. Non mi scollo da qui- Malfoy fece un fischio sfottente e Tiger e Goyle ridacchiarono. Ron e Harry si guardarono preoccupati, mentre l’eccitazione di tutti i presenti continuava a salire. Doveva essere più veloce... Più veloce... Era il momento, Hermione estrasse il braccio da sotto la felpa, puntò la bacchetta contro Malfoy ed urlò: -Expelliarmus!- Il ragazzino fece un incredibile volo all’indietro e sbatté la testa contro la porta scorrevole di uno scompartimento. I presenti erano attoniti e sconvolti.
-Ah! Stupida scema!- gemette Malfoy, massaggiandosi la testa. La signora dei dolciumi, che era appena entrata in quel vagone, vide la scena e si precipitò verso Malfoy.
-Oh! Ma cosa è successo?- chiese.
-Granger mi ha aggredito!- rispose lui, con voce sofferente. Un gruppo di curiosi formò un capannello attorno a Malfoy, e anche Hermione, che si sentì chiamata in causa, camminò tutta impettita verso il luogo dell’incidente. Si sentiva enormemente soddisfatta di quel testa a testa, e nemmeno il pensiero di una nota riuscì a scoraggiarla. Libera! Finalmente libera! Non aveva mai sentito il suo spirito più leggero. Si sistemò accanto alla signora dei dolciumi e guardò attentamente la testa di Malfoy. -Granger? Chi è Granger?- chiese la signora dei dolciumi. Hermione, a cui non era mai mancato il coraggio di prendersi le punizioni, rispose prontamente: -Sono io- -Ma, signorina, cos’è questa storia che usa la magia per aggredire? Venghi con me che la porto dal primo professore che troviamo. Eh no, tutta questa violenza già solo al secondo anno!- Hermione si accinse a seguire la signora, ma, ad un tratto, nel vagone risuonò una voce calma e ragionevole: -Beh, dai, Draco, non esageriamo, non ti ha fatto niente- Hermione si voltò nella direzione del ragazzino. Lo riconobbe subito, quello era Blaize Zabini, compagno fidato di Malfoy da quando lui si era stancato delle scemenze di Tiger e Goyle. Zabini aveva due occhi color dell'ebano, folti capelli neri e pelle abbronzata. Il suo volto era stranamente gentile. -Ma tu sta’ zitto, Blaize!- gli intimò Malfoy, incavolato nero. La signora dei dolci li guardò confusa.
-Beh, dite chi è stato!-
-Stia tranquilla, signora, è una cosa da niente. Un piccolo litigio- la rassicurò Zabini, con voce affabile. La donna restò colpita dai modi educati del ragazzo, lasciò perdere la questione e se ne andò. Il pubblico si diradò velocemente e tutti tornarono ai loro scompartimenti. Anche Hermione aveva una mezza idea di farlo, eppure sapeva che sarebbe stata buona educazione ringraziare Zabini. Gli si avvicinò titubante, storse un angolo della bocca e gli toccò lievemente la spalla. Zabini la guardò interrogativo, non seccato, ostentò verso la ragazza uno sguardo gentile e rassicurante.
-Beh, grazie per essere intervenuto, Zabini- gli disse spicciola.
-Non c’è di che, Draco fa sempre il bambino- e si mise a ridere.
-Ok, allora ci vediamo!- 
-D’accordo!- e ammiccò. Wow, allora non tutti i Serpeverde erano cattivi. Mentre si avviava verso Harry e Ron, Hermione riflesse sul fatto che Zabini non l’aveva mai infastidita, non l’aveva mai chiamata Mezzosangue e non l’aveva mai offesa né oltraggiata. Le sembrò inconcepibile che uno come lui potesse essere il miglior amico di Malfoy o di Pansy Parkinson. Cavolo, era anche simpatico! -Hermione, ma che hai fatto?- le chiese Ron.
-Oh, nulla- rispose Hermione, noncurante.
-Sembravi diversa…-
-Boh, mi sentivo più forte. Ribollivo dalla rabbia come un vulcano!-
-Comunque vorrei presentarti mia sorella, Ginny- Una ragazzina con lunghi capelli ramati sbucò dai posti tra Harry e Ron.
-Piacere, sono Hermione- Ginny ci mise un attimo prima di trovare il coraggio di parlare.
-Io Ginny. Ciao- e tornò al suo posto, arrossendo.
-E’ il suo primo anno- spiegò Ron.
-Bene, così adesso avrò qualcuno con cui chiacchierare!- esclamò Hermione, giuliva. Ginny abbozzò un debole sorriso. “Beh, almeno è una taciturna, semmai dovessi raccontarle un segreto lo manterrebbe!” pensò Hermione. Si accomodò sui sedili di fronte ai suoi amici.
-Hai parlato con Zabini. Perché?- chiese Harry.
-Per ringraziarlo. Lui è stato gentile, e poi non si è mai dimostrato cattivo con noi-
-Beh, e allora perché è il miglior amico di Malfoy?-
-Lo scoprirò- Hermione prese un libro dalla borsetta e si immerse nella lettura. Poco prima del loro arrivo ad Hogwarts gli amici indossarono le divise, Hermione aiutò un Ron imbarazzato a farsi il nodo alla cravatta.
Quando fu il turno del secondo anno i ragazzi scesero, salirono sulle barchette e si avviarono verso la scuola. Hermione, anche se per la seconda volta, rimase di nuovo impressionata da Hogwarts. Il castello all’orizzonte appariva come una massa scusa e indefinita, da cui emergevano solo le torrette e le torri. Le innumerevoli luci ne delineavano i contorni, dando l’impressione di voler spaccare le finestre per fuggire ad illuminare il cielo.
Presto i ragazzi, dopo aver oltrepassato il Lago Nero, si ritrovarono davanti al grande portone di quercia dell’ingresso, che si aprì per magia e li lasciò entrare. Eccola. Di nuovo. Quella sensazione strana, quel nodo in gola, quel morale che torna basso per chissà quale ragione. Ecco, era di nuovo al principio, ma il principio di cosa? Hermione si grattò la testa ed entrò insieme agli altri nella Sala Grande. Ah, quanti ricordi! Le candele sospese in aria, il soffitto stellato, i quattro lunghi tavoli, il cappello parlante! Hermione si accomodò con gli altri al tavolo dei Grifondoro, pronta a vedere a quale casa sarebbe stata assegnata Ginny. Che strano. Sentiva degli sguardi roventi trapassarle il capo, come se qualcuno la stesse guardando intensamente. Cercò di individuare con la coda dell’occhio chi fosse il misterioso osservatore, e si rese conto che un ragazzino del Tassorosso le stava lanciando occhiate a dir poco infuocate. Hermione si girò di scatto verso di lui, e il ragazzino, arrossendo, abbassò repentinamente il capo. “Chissà cosa voleva” si chiese la ragazzina.
-Gilbert Hashton: Corvonero- stava urlando il cappello parlante. Ecco, la G, da lì a poco sarebbe stato il turno di Ginny. Ron era evidentemente emozionato, continuava ad alzarsi dalla sedia per godersi meglio il momento. Di nuovo qualcuno che la guardava, di certo era quel ragazzo! Hermione si girò verso il suo tavolo, seccata, e lo guardò fisso. Lui avvampò e incollò gli occhi al piatto. Aspetta… ma Hermione quello lo conosceva. Era il ragazzo del secondo anno più carino della scuola, a quanto dicevano le sue ammiratrici. Campione di Quiddich, gentiluomo fino al midollo e affascinante rubacuori, ecco come poteva essere definito Charles Mitchell.
-Ehi- qualcuno si sporse da un altro tavolo e le toccò la spalla. Era una ragazza del Corvonero con lunghi capelli biondi arricciati e un viso quadrato pieno di lentiggini.
-Mi chiamo Madeline Ripley. Sei stata grande sul treno!- esclamò sorridendo.
-Oh… grazie…- rispose Hermione, impacciata.
-Frequento il secondo anno come te, infatti se non mi sbaglio ci siamo già incontrate a qualche lezione. Sei Jane Gamgee, vero?-
-Ehm… Hermione Granger-
-Cavolo! Ti ho confusa con una mia amica Babbana, sai, siete praticamente simili… lei si chiama Jane Gamgee. Beh, comunque complimenti per la cosa del treno, Jane! Quel Malfoy se lo meritava!-
-In realtà io mi chiamo Hermione… Però Jane è il mio secondo nome, se ti viene più facile chiamarmi così…-
-Ok, grazie, Jane! Mi hai facilitato la vita! Ci si vede!- e si girò verso il suo tavolo.
“Strana ma simpatica...” pensò Hermione. Ginny venne assegnata al Grifondoro come tutti i suoi fratelli, e, quando la cerimonia si concluse, sul tavolo comparirono delle pietanze squisite. Hermione, continuando a sentirsi osservata di sottecchi, perse l’appetito e finì per mangiare solo il dolce. Cercò di entrare nel discorso che stavano facendo Ron, Harry ed i gemelli Fred e George, ma appena aprì bocca la conversazione cessò di colpo.
“Che ho fatto?” si chiese Hermione, a disagio.
-Scusa, Hermione, ma noi stiamo parlando di… ehm…- e Ron fece una risata imbarazzata -scherzi… So che a te non piacciono…- No, lei non era quel tipo di ragazza. Lei non era adatta a quei discorsi, e lo sapeva. Impeccabile, impeccabile e impeccabile. Si era destinata da sola quel ruolo, doveva restare seria, altera e matura, non cadere in quei discorsi sciocchi e banali come... Lei no… Non anche lei… Non Lei. Non Hermione Granger.
-Ah… Non fate imprudenze o cretinate…- li rimproverò tornando a concentrarsi sul suo gelato. Lo mangiò tutto, forse per riempire il vuoto che si era creato dentro di lei.
Quando fu il momento di ritirarsi nei propri dormitori, i ragazzi si alzarono e seguirono i Prefetti fino alle proprie Sale Comuni. Le ragazze nella torre a destra, i ragazzi nella torre a sinistra. Hermione salì le scale e si gettò sul primo letto che trovò, decidendo che avrebbe dormito lì fino alla fine dell’anno scolastico. Il suo baule era già stato portato nella camera dagli elfi. Hermione passò i seguenti minuti  a riordinare camice, cravatte rosso e oro, mantelli e uniformi nell’armadio. Le sue compagne di stanza erano, tranne Ginny, le peggiori che potesse sperare: Lavanda Brown e Calì Patil, due idiote che passavano l’intera notte a chiacchierare di ragazzi, e Jessica Parker, conosciuta per il suo gran russare. Fu obbligata, per gentilezza, a passare qualche minuto con ciascuna di loro, e, quando si rese conto che il discorso verteva verso argomenti troppo frivoli per una come lei, Hermione se ne andò a dormire. Sognò la scena vista il giorno stesso, il padre di Malfoy che gli dava uno schiaffo e Zabini che diceva “Draco fa sempre il bambino”. Poi Hermione veniva catapultata nella Sala Grande, con quel tipo che la fissava e Madeline che cominciava a shipparli. Un casino di sogno, insomma. Ci sono giorni in cui sogniamo delle cose assurde, ma non possiamo sapere se quello che abbiamo visto durante il sonno sarà destinato a prendere un posto fondamentale nella nostra vita.

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Capitolo 2
*** Maledetti calderoni... ***


Maledetti calderoni...

Hermione si svegliò alle prime luci dell’alba, non per un motivo preciso, come dover fare i compiti o ripassare qualcosa, ma semplicemente perché ci si era abituata. La sua maniacalità nello studio la spingeva ad addormentarsi tardi e a svegliarsi presto, cosa che le causava occhiaie da paura la mattina. Spesso tentava di riaddormentarsi, ma le era impossibile: Hermione Granger, seppur avesse solo 12 anni, non aveva mai sprecato un solo minuto in vita sua. Il suo corpo si rifiutava di oziare, e così la ragazzina correva a cercarsi un impiego, che fosse dai più utili, come aiutare Neville a fare i compiti, ai meno utili, come pulire maniacalmente il bagno pur sapendo che la stessa cosa l’avrebbero fatta gli elfi poche ore dopo. Aveva delle rigide tabelle di marcia che seguiva in modo ossessivo: ogni giorno si appuntava di quanto tempo fosse in anticipo rispetto agli orari predefiniti e poi modificava quello che aveva scritto, spingendosi a velocità disumane e perfezionando i suoi record: vestirsi in cinquanta secondi, lavarsi i denti in trenta secondi, non pettinarsi affatto, leggere dieci pagine di un saggio a caso in quattro minuti e rifarsi il letto in un minuto. Se qualcuno le diceva “Ma perché tanta fretta, hai ancora un sacco di tempo!” lei rispondeva: “Perché c’è altro da fare”, e se quello insisteva chiedendo cosa ci fosse di così importante da fare alle 6.00 di mattina, lei rispondeva piccata “Il tempo è denaro” e correva a pulire le finestre con uno straccio, cercando di non svegliare le compagne di stanza. Hermione non era un essere venale o tirchio, ossessionato dai soldi, come le sue manie nel risparmiar anche sul tempo facevano credere. Conosceva semplicemente l’importanza del denaro, il suo valore. Valore... Ma diamo tempo al tempo. Una volta vestitasi, Hermione corse a rammendare la manica dell’uniforme di Lavanda Brown, che, vedendola così attiva e instancabile, le aveva chiesto di svolgerle piccole faccende. Quella ragazzina non poteva stare un secondo senza affannarsi, avrebbe pagato per lavorare.
Non appena furono le 8.00, Hermione si fiondò in Sala Comune, dove i compagni sonnacchiosi rischiavano di riaddormentarsi sulle poltroncine rosse. Sentendolo come suo personale compito, Hermione non mancava mai di salutare Harry e Ron (dal secondo anno anche Ginny) urlando “BUONGIORNO!”, in modo che la sua voce squillante ridestasse tutti.
-Buongiorno a te, Hermione…- bofonchiò Ron.
-Sveglia! Oggi abbiamo un test di Pozioni! Ho ripassato per un’ora intera!- Per la sua prima lezione, Piton aveva programmato un test sugli intrugli dell’anno precedente: ne avrebbe sorteggiato uno a caso e si sarebbe limitato a scrivere gli ingredienti alla lavagna: toccava agli alunni ricordarsi i procedimenti di cottura e di preparazione.
-Oddio!- Harry e Ron si misero le mani dei capelli: si erano completamente scordati che Piton, alla fine dell’anno precedente, aveva programmato quella terribile verifica. La notizia del test si diffuse in poco tempo, e i Grifondoro del secondo anno convennero che era meglio non scendere per la colazione e fermarsi a ripassare.
-Siete tutti smemorati! Possibile che io sia stata l’unica a ricordarmene? Se vi foste svegliati prima, adesso avreste bell’e che ripassato! Chi dorme non piglia pesci!- li rimproverò Hermione, toccandosi il naso con aria saputa.
-Piglia che?- chiese Ron, che non conosceva tutte quelle espressioni Babbane.
-Niente, Ron, muoviti, che finiamo per beccarci un’insufficienza il primo giorno di scuola!- disse Harry, prima di correre in dormitorio a cercare il suo libro di Pozioni.
Hermione uscì dalla Sala Comune, scese fischiettando le scale e si sedette al suo tavolo nella Sala Grande.
-Ehi, ciao, Jane- Quella era indubbiamente Madeline.
-Ciao…- Hermione le fece posto e la lasciò sedere accanto a sé (per un solo Corvonero al tavolo sbagliato nessuno avrebbe fatto polemiche). Madeline fece un risolino e disse piano: -Lo sai che c’è Charles Mitchell che ti sta guardando?-
-Purtroppo lo so…- rispose seccata Hermione.
-Ma come? Lui è il ragazzo più bello e gentile della nostra età! Ha dei lineamenti perfetti! E poi guarda che capelli… Non sembrano oro fuso? E che occhi! Che occhi! Blu cobalto!-
-Mah… Quello non è oro fuso, è beige, e a me ricorda tanto il colore della diarrea-
-Non ha manco un’imperfezione! È un galantuomo che nemmeno nell’Ottocento ne trovavi uno così premuroso e raffinato!-
-Beh, riguardo alle imperfezioni, significa che passa un sacco di tempo a curare la propria bellezza, e a me non piacciono i ragazzi così vanitosi!-
-Ma è talmente elegante e di classe! Pensa che ha saputo elencare tutti i quadri di tre pittori scelti a caso dai compagni! Ed è un amore con le ragazze! Non mi sorprenderei se facesse il baciamano alla Sprite!-
-Che schifo!-
-Jane, quel tipo è ricco sfondato!-
-Questo vuol dire che è anche smorfioso!-
-Niente affatto! Te l’ho detto che è gentilissimo, non farebbe del male a una mosca!-
-Significa che ha un carattere debole e piatto- insisté Hermione.
-Jane, è un affarone-
-Ma perché cavolo mi parli di lui come se me lo stessi vendendo al mercato?- Come avrete ben capito, Hermione non era affatto empatica. Se c’era qualcosa in cui non era brava, quella cosa era comprendere i sentimenti altrui. Non avrebbe intuito niente da delle mezze occhiate, non ci avrebbe creduto nemmeno se glielo avessero raccontato: lei voleva sentirselo dire in faccia dal diretto interessato, altrimenti non avrebbe dato credito nemmeno agli sguardi più eloquenti e alle premure più esclusive.
-Lui ti guarda molto, Jane… Non credi che possa significare che si è infatuato di te?-
-Macché, Mad! Sono solo occhiate, non ha senso, non ci siamo mai parlati!-
-E chissenefrega! Lo sai quante qualità ha?-
-Da quello che ho capito, ha altrettanti difetti. A me piacciono i ragazzi un po’ più… vivaci, ecco, con un carattere ben delineato-
-E’ un modo per dire che ti piacciono i tipi stronzi?-
-Cosa dici! Mi basta che abbiano un po’ di milza! E non mi interessa che mi elenchi dei quadri, la mia cultura mi basta e avanza!-
-Ha una villa da re!-
-Ma non me ne importa un accidente! È la ragione più infima di un fidanzamento, poi tanto lui non mi piace, IO NON GLI PIACCIO, ficcatelo in testa, e bohm- Hermione sbattè il piatto di frittata sulla tavola (gli inglesi mangiano quello) e un uovo viscido scivolò sul pavimento.
-Cosa c’è tanto da urlare, eh, Granger?- Una voce perfida e pungente. Malfoy, di sicuro. Di nuovo Hermione ebbe l’impulso di ingaggiare un combattimento, ma si rese conto che non avrebbe potuto rischiare così tanto. Meglio il vecchio buonsenso, anche se non le piaceva stare quieta e lasciarsi sottomettere.
-Niente, perché diavolo mi infastidisci?-
-Fa’ attenzione a quello che dici. Blaize è un idiota, ma non sarà sempre lì a salvarti la pelle!-
-Merda, tremo dalla paura!-
-Te ne pentirai!- E Malfoy si girò dall’altra parte, scortato da Tiger e Goyle.
-Jane, non hai paura che ti giochi qualche brutto tiro?- chiese preoccupata Madeline.
-No, è un tale idiota! E poi è anche un codardo: se non te ne fossi mai accorta, infastidisce solo i professori deboli e di cui non ha paura, ma si astiene dal far baccano durante le lezioni di Trasfigurazione o di Pozioni!-
-Possibile… Ma sai che lui è imprevedibile, potrebbe lo stesso farti qualche scherzo-
-Non lo riterrò un degno avversario finché non mostrerà un po’ di coraggio e non tenterà di infastidire anche la McGranitt o Piton. Altrimenti resterà un smidollato! E ti assicuro che sarà così-
-Va bene, d’accordo- Suonò la campanella dell’inizio delle lezioni e gli studenti corsero nelle loro classi. Hermione, insieme a Harry e Ron, scese nei sotterranei e si fermò davanti alla porta scura dell’aula di Pozioni. Erano in anticipo di qualche minuto, ma Hermione aveva insistito perché arrivassero lì prima di tutti: non perdere mai un minuto, accanirsi sulle cose e, se possibile, battere gli avversari sul tempo. Le piaceva questa sfida ingaggiata silenziosamente tra lei e i suoi nemici, i Serpeverde. Era bello sentirsi più brava di loro, batterli a colpi di cultura e di puntigliosità. Queste erano le parole d’ordine: lavoro duro e competitività. Per Hermione era sempre stato così, il suo spirito battagliero le suggeriva di sconfiggere tutti a colpi di determinazione. Anche se senza alcuna cattiveria, aveva sottomesso anche Harry e Ron, intimorendoli con la sua intelligenza, e si percepiva che lei era un po’ come “l’albero Maestro” del gruppo. Non sapeva perché brillare più degli altri le desse così tanta soddisfazione, sapeva solo che così avrebbe eccelso e si sarebbe sentita potente. Perché lei, al contrario di ogni aspettativa, eccelleva in tutto, e non si sarebbe mai lasciata mettere i piedi in testa. Questa sua caratteristica aveva alimentato il desiderio di scontro sul treno, il tratto “combattivo” era cresciuto durante l’estate e aveva determinato quello sfogo eclatante di rabbia repressa. I lettori penseranno “Ma questo non è OOC!”, però visto che la storia è “What If” possiamo anche cercare di vedere come sarebbero andati i fatti se Hermione fosse stata così.

Dopo un po’ arrivarono anche gli altri, e, non appena Hermione incrociò lo guardo di Malfoy, lui le lanciò un ghigno perfido e agghiacciante. No, doveva stare calma, non lasciarsi intimorire da quel codardo! Stavano per sostenere la prima lezione e il primo test dell’anno scolastico, Hermione doveva assolutamente concentrarsi ed ottenere il risultato più alto, come sempre.
-Venite- Piton comparve sulla soglia della porta e fece cenno agli alunni di entrare. Tutto era come l’anno precedente: un’aula scura e fredda, i banchi di noce, gli scaffali polverosi, la lavagna degli ingredienti e i calderoni. Hermione si sedette al solito posto, in prima fila, lontana da tutti, per evitare che qualcuno potesse copiarla.
-Silenzio!- intimò Piton, minacciosamente, e tutti si zittirono all’istante. Nell’aula era diffuso il malcontento e la paura per il test: evidentemente Hermione era l’unica, tra Grifondoro e Serpeverde, ad essersi ricordata della verifica. Si lanciò un’occhiata intorno, compiaciuta della sua memoria, e notò con felicità che tutti i Serpeverde avevano un’aria terribilmente preoccupata: di certo erano così impreparati che nemmeno la predilezione del professore nei loro confronti li avrebbe potuti salvare. Sul viso di Pansy Parkinson, una ragazza con la faccia da carlino, si poteva leggere il terrore puro. Tutti ritenevano che quel test fosse un’ingiustizia: i ragazzi erano divisi tra smarrimento e indignazione, un misto di panico e rabbia contro il professore. Nessuno, chiaramente, si era osato di contestare, non ci sarebbe stata una protesta neppure se gli alunni avessero espresso il loro parere in forma anonima: Piton era terribile con chi si opponeva alle sue decisioni, e anche i Serpeverde temevano la sua ira.
-Dovrete preparare la pozione del Fiorenero, su cui mi sono soffermato particolarmente l’anno scorso. Alla lavagna sono scritti gli ingredienti. Paciok, controlla quelle gambe!- Neville era stato assalito dalla tremarella, e naturalmente Piton non si era lasciato sfuggire l’opportunità di farlo vergognare. I Serpeverde esplosero in una risata finta ed isterica, mentre i Grifondoro, abituati a quei maltrattamenti, stettero muti. Però… mancava una voce al coro delle risate. Dov’era finito il sorriso cattivo di Malfoy? Lui e Zabini se ne rimasero zitti, Malfoy tenne il capo chino sul banco per tutto il tempo, finché quella risata oscena non si spense. Aveva uno sguardo annoiato, come se si fosse stancato di quelle puerilità, e osservava Piton con un’aria… non riprovevole… superiore, forse, come se anche lui avesse riconosciuto le bassezze di quell’uomo. Possibile?! Ma cosa era successo? C’entrava con la storia dello schiaffo? Naturalmente Malfoy aveva ancora un viso sprezzante e maligno, ma questa volta il destinatario di quelle occhiate arroganti non era Allock, bensì Piton, nientemeno che il professore più temuto della scuola.
-Iniziate- Qualcuno sbuffò, Piton lo fulminò con lo sguardo. La pozione del Fiorenero, eh? Abbastanza complicata, per fortuna che Hermione si era segnata le fasi di preparazione su un taccuino e aveva potuto ripassare a casa. Dalla punta della bacchetta di Hermione scaturì una fiamma bluastra, di cui la ragazza si servì per appiccare un fuoco magico sotto il calderone. Tagliò meticolosamente l’aglio a metà, poi schiacciò dei baccelli rossi sotto il mortaio e li versò nella pozione. Tutto (almeno per lei), sembrava andare a meraviglia, mentre lo stesso non si poteva dire degli altri. La pozione di Neville borbottava minacciosa, quella di Ron aveva assunto la consistenza del catrame, quella di Goyle puzzava di zolfo e in quella di Amanda Hill, una ragazza del Serpeverde, stava crescendo a velocità spaventosa un fiore carnivoro. Un paio di ragazze si misero a singhiozzare, altri iniziarono a respirare affannosamente e altri ancora assunsero la faccia di chi è condannato a morte. Piton, disgustato, guardò minacciosamente tutta la classe, ma i suoi occhi si posarono su un ragazzo in particolare: Malfoy. Non aveva neppure acceso il fuoco sotto il calderone, e ostentava uno sguardo di sfida verso il professore. Piton rimase sorpreso dallo stranissimo comportamento del suo allievo prediletto, quel fastidioso marmocchio che fino a pochi mesi prima sarebbe stato disposto a leccargli i piedi. Inizialmente fece finta di non aver visto, ma, appena si rese conto che la classe intera stava guardando la scena, decise di non fare la figura del debole e di contrattaccare.
-Malfoy, cosa stai aspettando? Muoviti e prepara quella pozione, o sarò costretto a punirti- Malfoy assottigliò gli occhi e fece una smorfia compiaciuta, come se non stesse aspettando altro che quelle parole.
-Con tutto il rispetto, signore, non mi sembra giusto- disse, senza scomporsi, quasi stesse intrattenendo una conversazione con un suo amico al bar.
-E cosa non ti sembra giusto?- chiese Piton, a denti stretti.
-Questo test, signore. L’ultima volta che ce ne ha parlato è stato tre mesi fa, e soprattutto noi non abbiamo avuto modo di ripassare: la pozione non si trova sul libro. Inoltre le fasi di preparazione sono molto complesse, e, credo di parlare a nome di tutti, è difficile ricordare i procedimenti dopo un’estate di inattività- dopodiché, nell’aula si creò un silenziò teso. Malfoy lasciò i compagni di stucco, non solo perché aveva contestato le decisioni del professore, ma anche perché aveva fatto la cosa tutto da solo, senza che nessuno lo sostenesse. Man mano che il ragazzo parlava, il viso di Piton si era arrossato sempre di più, passando da cereo a rosso mattone. “Ma io sto sognando!” si disse Hermione, sconvolta, e lanciando delle occhiate interrogative a Harry e a Zabini. Rimase talmente scioccata che smise di mescolare la pozione, cosa essenziale perché l’intruglio non si addensasse, e non si rese conto che da una fiala stava gocciolando del liquido altamente pericoloso. Quel liquido colò lentamente giù dal porta-provette fino al calderone, dove, goccia per goccia, si riversò tutto. Provocò una terribile reazione chimica con gli altri ingredienti: il calderone si squarciò in due, come se lo avessero tagliato a metà, e la pozione schizzò in faccia a tutti i presenti, ricoprendoli di una sostanza fredda, viscida e rosa. Come se non bastasse, dal punto dell’esplosione cominciò a scaturire un fumo denso e nero. I ragazzi colpiti dalla pozione iniziarono ad emettere dei piccoli strilletti scioccati, ma nulla si dimostrò più disastroso di Hermione, colpita per prima, e su cui si era riversata la maggior parte del liquido. Era ricoperta dalla testa ai piedi di quella strana sostanza. Lentamente, si passò la mano sugli occhi, liberandoli dalla sporcizia come un tergicristallo sopra un finestrino. Non appena si rese conto di quello che era successo, il suo viso avvampò. Attorno a lei si era creato un silenzio imbarazzante, rotto solo dalla tosse di chi respirava il fumo e dalle urla soffocate delle ragazze.
-GRANGER!- tuonò Piton. Sì, era nei guai. Decisamente nei guai, inelegantemente e spaventosamente nei guai. Proprio lei che aveva la fama di essere perfetta in tutto quello che faceva! Quel casino aveva distolto l’attenzione da Malfoy, che adesso sogghignava divertito, coprendosi la bocca con una mano. Se quel bastardo aveva guadagnato un po’ della sua stima, beh, l’aveva subito persa!
Ma vita è fatta così: ci sono giorni belli e ci sono giorni in cui vieni ricoperto da una strana poltiglia rosa, viscida e maleodorante.

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Capitolo 3
*** Tutti contro Hermione ***


Tutti contro Hermione

Ciao a tutti! Sono in ritardo con i tempi di consegna, ma in compenso questo capitolo è più lungo del solito. Allora, per iniziare ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite, chi tra le ricordate e anche i cosiddetti "lettori del silenzio", ovvero chi legge senza lasciare tracce... Spero che riusciate a leggere la storia con tutte le righe a posto, sapete, non ho ancora capito bene come funzione il codice Html e ho paura di aver fatto qualche pasticcio!
(Avviso: mi sono sbagliata con gli occhi di Zabini, è Charles quello ad averli blu cobalto)
 

 
Hermione stava studiando come una pazza al suo solito tavolo della biblioteca, circondata da scaffali ripieni di vecchi tomi polverosi. Studiare serviva a svuotarle la mente, ma Hermione, intorpidita da burle e vergogne, era in preda alla distrazione. La storia della sostanza viscida era stata un disastro: Piton, inferocito, era uscito dall’aula sbattendosi la porta alle spalle, senza chiedere a nessuno come stesse o senza preoccuparsi che la soluzione ottenuta dalla sua alunna non fosse tossica. Hermione in quel momento avrebbe tanto voluto piangere, ma sapeva che se avesse ceduto anche a quella debolezza, allora sì che sarebbe stata seconda a tutti. E questo non doveva succedere. Vanto e baldanza erano il suo pane quotidiano, tanto che Hermione, famelica, non perdeva occasione di procacciarsene. Il disonore, l'imbarazzo di quel giorno, avevano minacciato di portarla alla crisi. La ragazzina, determinata e risoluta, si era impegnata al massimo pur di non crollare... E così, ferma e tenace, determinata a non piangere, aveva conservato parte del suo orgoglio. Il poter constatare di essere migliore dei Serpeverde, dei Grifondoro, dei Tassorosso o dei Corvonero le recava un appagamento incommensurato. Modesti... I suoi compagni non aspiravano a tanto, ed era proprio questo a renderli mediocri. Invidiosi... Appropriandosi di tanta gelosia, Hermione era spontaneamente abbacinante, sagace, sia limpida che enigmatica, ed era questo a risucchiare le anime altrui. Hermione non agiva per qualche bieco, infimo desiderio di attenzioni. Quello era il suo personaggio, e lei, come promesso, doveva onorarlo... Quegli sguardi, quelle considerazioni, quella fama, erano segni inconfutabili che Hermione stava adempiendo al suo compito. Conturbante, i suoi ideali erano perenne motivo di interesse, e ciò rappresentava un gran sollievo. Quel Charles Mitchell, dotato di una memoria sorprendente, l'aveva espropriata di boria e arditezza. No, lei non era peggiore di nessuno! Diamine, sarebbe andata dai Tassorosso e avrebbe chiesto conferma di tanta cultura! Forse, però, era il caso di aspettare un pochino: problemi più grossi le gravavano sulle spalle. Piton era andato dritto dal preside per comunicargli l’accaduto, poi era corso dalla McGranitt, rappresentante dei Grifondoro, per chiederle di dare una punizione spropositata a Hermione. Per fortuna almeno lei, considerando la fedina cangiante dell’alunna, si era dimostrata indulgente: Hermione avrebbe dovuto lucidare una quarantina di coppe nella Sala dei Trofei, sotto la supervisione di Gazza. Per lei quella era una passeggiata, memore delle ore trascorse a pulire il suo dormitorio. Inoltre la McGranitt aveva deciso di scrivere una lettera ai genitori della ragazzina, per avvisarli dell’accaduto e lasciare che fossero loro a scegliere punizioni più severe. Evidentemente non l’avevano ancora letta, perché non era arrivata nessuna risposta alla scuola. Hermione aveva tirato un sospiro di sollievo nel sapere che non avrebbe ricevuto castighi troppo umilianti, ma comunque l’aver fatto quella figura terribile davanti a tutti i compagni le rodeva enormemente. Doveva riacquistare tutta l’ammirazione perduta, tornare a brillare, ecco perché si era data allo studio matto. Però ancora un’altra questione le girava in testa, la tormentava riempiendola di domande senza risposta, le dava la caccia nel sonno e le faceva passare ore e ore a chiedersi solo “Perché?”. Questa cosa, o per meglio dire questa persona, era Malfoy. Aveva assunto un comportamento del tutto strabiliante nell’ultimo periodo: mancava del più totale timore degli insegnanti, sconvolgendo la classe con le sue affermazioni irrispettose in merito alle lezioni e dando filo da torcere perfino alla McGranitt e a Piton. Prima di allora si era atteggiato da arrogante solo con professori deboli come Allock o Vitious, ma dal primo giorno di scuola aveva destinato le sue insolenze anche agli insegnanti vertici del rispetto studentesco. Malfoy trattava tutti con irriverenza, a costo di prendersi punizioni. Anzi, sembrava quasi che ci trovasse gusto a rovinare le lezioni, come se sgridandolo i professori facessero il suo gioco. Malfoy si sedeva in modo scomposto sulla sua sedia e si rifiutava di aprire il libro, di eseguire gli esercizi o di fare i compiti, riservando a chiunque lo osservasse accigliato un ghigno sfottente e uno sguardo di sfida. Nessuno aveva idea del perché facesse così. Si isolava sempre di più dagli amici e dai compagni Serpeverde, che comunque, vedendolo così coraggioso, l’avevano iniziato ad omaggiare e a trattare come un capo. Però, benché trovassero il suo carattere tanto affascinante, nessuno si era sognato di seguirlo in battaglia e di cominciare anche lui a osteggiare il normale svolgimento delle lezioni. E allora Malfoy, lungi dal godere di quelle riverenze, lasciava che i compagni decantassero la sua audacia per conto loro, passando la maggior parte del tempo da solo e trattando a pesci in faccia chiunque osasse disturbarlo. Era nervosissimo, sempre spinoso, tanto che qualcuno iniziò davvero a temere la sua imprevedibilità. Considerava i suoi compagni come muli, buoni solo a lodare per qualcosa di negativo e a disprezzare per qualcosa di positivo. Queste parole, dette con naturalezza e disprezzo, avevano lasciato Hermione sbalordita: Draco Malfoy che ammetteva di star facendo la cosa sbagliata, che insultava i suoi stessi compagni di casa, che parlava in modo razionale e del tutto brillante… ma con un volto triste. Parlava con un volto triste. Queste erano le uniche cose che Hermione percepiva: maleducazione e tristezza, mentre nessun altro pareva aver intuito il suo vero umore, quello nascosto sotto strati e strati di insopportabilità.
Se qualcuno gli sorrideva dicendo “sei un grande!”, lui lo degnava di un’occhiata sprezzante e rispondeva: “parli come se ci fosse del divertente”. Hermione aveva chiesto spiegazioni a Zabini, l’unico che bene o male passava ancora del tempo con Malfoy, e lui le aveva risposto in modo gentile ma definitivo che non poteva dirle niente. Perché, tutt’a un tratto, Malfoy aveva dimostrato quell’ardimento? Perché accettava di buon grado punizioni e sgridate? Perché non si prendeva il “merito” dai compagni Serpeverde e, invece, si allontanava da loro, diventando ancora più scorbutico di quanto non fosse già? Ci sono giorni in cui anche il nostro peggior nemico si trasforma, mostra dei lati diversi e ci lascia di stucco. Ci sono giorni in cui tutti mostriamo delle debolezze, debolezze celate da un fitto strato di presunzione e insolenza.
Hermione chiuse il libro di scatto, si alzò dalla sedia e si avviò verso l’uscita. Aveva studiato tutto lo studiabile, adesso era il momento di trovarsi un’altra occupazione. Il suo orologio da polso segnava mezzogiorno, la ragazzina decise che sarebbe andata in Sala Grande a mangiare qualcosa, ma mentre camminava per i corridoi incontrò Tiger e Goyle. Quei due fecero una faccia dispettosa e dissero: “Con quella poltiglia addosso eri più bella, piccolo genio. Complimenti, Mezzosangue”. No. Lei non si lasciava mettere i piedi in testa da nessuno, né nel campo dello studio, né nel campo degli insulti! Nessuno poteva permettersi di maltrattarla, e soprattutto se l’insulto consisteva in una parola spregevole come “Mezzosangue”! Lei non era certo tipa da subire in silenzio, e di sicuro non aveva paura di quei due scimmioni! (in questa fanfiction Hermione è molto più combattiva, mentre nei libri di solito preferiva ignorare chi la insultava >.<)
-Complimenti per il QI, mono neuronici!- rispose piccata, con gli occhi ridotti a due fessure. Tiger e Goyle estrassero la bacchetta, più per intimorirla che per lanciare qualche incantesimo.
-Cosa pensate di fare, eh, babbuini? Non sapreste distinguere una bacchetta da un ramoscello! E se io sono Mezzosangue, voi allora siete Mezzocervello!- iniziò a strepitare la ragazzina, facendosi tutta rossa e agitando i lunghi capelli cespugliosi. Anche lei prese la bacchetta in mano, talmente furiosa da essere pronta a lanciare un incantesimo. Ma… cosa stavano guardando quei due?
-Draco!- urlarono ad un certo punto Tiger e Goyle, lasciando stare le bacchette e guardando qualcosa dietro la testa di Hermione. La Grifondoro si girò e vide Malfoy appoggiato con la schiena alla parete, il ginocchio sinistro leggermente sollevato. Teneva le braccia incrociate e osservava tutti con un’aria annoiata, come se non avesse per niente voglia di un battibecco.
-Lasciatela stare- sbuffò scocciato. Hermione rimise la bacchetta nella tasca, ma prima di andarsene si voltò verso Malfoy e gli disse in tono di rimprovero: -E togli quel piede dal muro, che gli elfi sono appena passati a pulire-
-Come osi?- urlarono all’unisono Tiger e Goyle, per niente abituati a sentire qualcuno che rimproverava il loro “capo”.
-Oso eccome!  Tutti hanno tanta paura di lui, voi pensate che sia una sorta di capo solo perché fa ammattire i professori più deboli e sclerare i professori più forti, ma io credo che una persona così sia solo estupida. E se avete tanta stima di lui, allora fate anche voi que hace ese tonto, ese diablo! (cosa fa quel pazzo, quel diavolo) - Hermione aveva assunto una faccia spaventosa, talmente rossa da sembrare un vulcano in eruzione, con le sopracciglia incrinate dall’alto verso il basso, i denti digrignati e gli occhi dardeggianti. Tiger e Goyle la guardavano inquietati, Malfoy invece aveva il capo reclinato verso il basso. Ci sono giorni in cui il silenzio di qualcuno può spaventare più di mille parole. La ragazzina si piegò leggermente per riuscire a scorgere l’espressione di quel volto misterioso, dove al posto della solita tracotanza e sfrontatezza trovò qualcosa di simile alla… tristezza. L’aveva offeso?! Lei, Hermione Granger, che da sempre era abituata a parlargli in quel modo, questa volta sembrava aver centrato il segno. Eppure quegli occhi infelici, velati della malinconia che solo lei aveva percepito, le trasmettevano avvilimento. Nonostante avesse per la prima volta offeso Malfoy, non si sentiva affatto soddisfatta, ma anzi, dispiaciuta per lui. Che era successo? Che problema aveva, quali pensieri turbinosi sconvolgevano la testa di quel ragazzo?
Di sicuro Malfoy non era uno da mostrare debolezza, e soprattutto con la sua peggior nemica e con i suoi tirapiedi. Si drizzò e si impettì, tramutando il suo viso in una smorfia incollerita. Aveva gli occhi iniettati di sangue, ad Hermione ricordò un lupo feroce pronto alla vendetta.
-Vattene- le sibilò. Hermione, scombussolata da quello che aveva visto, fece dietrofront. Prima di girare l’angolo sentì Tiger e Goyle che si chiedevano tra di loro “era spagnolo?”
Hermione iniziò a correre, con la testa appesantita da tutte quelle domande. Magari Malfoy si era reso conto che lei aveva visto le sue emozioni e, in uno scatto di orgoglio e umiliazione, non aveva potuto fare altro che cacciarla. Sembrava così triste… Come un lupo ferito e uggiolante, senza nessuno che si accorgesse del suo reale stato d’animo. Di sicuro nascondeva qualcosa, ed Hermione l’aveva capito. Sebbene fosse stata una frana nelle questioni amorose, era perfettamente empatica quando si trattava di capire se una persona stesse bene o meno. Sotto quella maschera di indifferenza si trovava un segreto, ed Hermione, da quella impicciona che era, sapeva di doverlo scoprire. Non solo per curiosità, per riuscire a scovare il punto debole del suo nemico, ma anche perché le sembrava che altrimenti il suo piccolo mondo sarebbe crollato. Quel piccolo mondo che si era costruita lei, quel piccolo mondo in cui aveva assegnato a tutti i suoi conoscenti un ruolo importante e definito. Se le cose fossero state scomposte, se Malfoy fosse rimasto un nemico con dei segreti, con delle sfaccettature caratteriali non visibili, allora la linearità dei personaggi sarebbe andata persa, lasciando Hermione in un baratro pieno di domande senza risposta. E il suo piccolo mondo doveva restare com’era, con lei secchiona e con un Malfoy senza segreti.
Si sedette al tavolo dei Grifondoro, assorta nei suoi pensieri. NO. NON DI NUOVO! Come faceva a concentrarsi se quell’idiota la fissava?! Non ce la faceva! Non ce la faceva proprio! Stava quasi per andargli a dire di fare il guardone da un’altra parte quando il suo gufo entrò da una finestra e planò leggero sul tavolo dei Grifondoro. Legata alla zampina artigliata teneva una lettera. Hermione la aprì, con il vago presentimento di quello che ci avrebbe trovato: veniva dai suoi genitori.
Cara Hermione,
Siamo stati avvisati dalla professoressa McGranitt di ciò che è successo. Ma come è potuta accadere una cosa simile? Hai causato un vero disastro, ci è stato raccontato che la classe è rimasta sconvolta e che hai distrutto mezza aula (già qui Hermione, incollerita per quella nozione spropositata e falsa, incominciò ad accartocciare la lettera tra le mani). Subito la cosa ci è sembrata strana, proprio tu che sei sempre stata così perfetta! Figliola, è da tanto che studi come un ossessa e che non ti concedi un secondo di pausa, forse eri solo stanca e hai perso la concentrazione. Io e tuo padre abbiamo deciso che, per punizione, dovrai passare un po’ di tempo a casa di tua nonna. Per noi è un peccato, dato che abbiamo poche occasioni di vederti, ma questo è l’unico modo per castigarti. E poi noi ti vediamo in tutte le altre festività, mentre tua nonna ha rare occasioni di passare un po’ di tempo con te. Cinque giorni dopo il Natale ti accompagneremo a casa sua. A presto,
Mamma e papà

Dalla parola “nonna” in poi Hermione aveva incominciato lentamente a fare a brandelli la lettera, e adesso tutto quello che ne restava erano righe illeggibili su un foglio accartocciato.
-Che succede, Hermione?- le chiese Harry.
-Come castigo devo passare un po’ di tempo con mia nonna- ringhiò lei a bassa voce.
-E questo lo chiami un castigo? Io passo tutte le vacanze estive con i miei zii, ritieniti fortunata se almeno il Natale e qualche altro giorno lo passi con i tuoi genitori!-
-Ma lei… Anzi non lei, perché con questo pronome si sottintende la presenza di qualcosa di umano, è terribile. T.E.R.R.I.B.I.L.E. Mi ricordo che quando avevo 4 anni ho passato un po’ di giorni con quella donna, e ti assicuro che non sono mai stata peggio. Per fortuna che c’era anche la domestica, altrimenti sarei morta di fame! Dato che mia madre l’ha sempre odiata, si rifiuta di occuparsene, lasciando il lavoro ad una badante. Ma mia nonna non la trovava abbastanza brava, quindi l’ha licenziata. Adesso che invecchia sempre di più ha bisogno di qualcun altro che si occupi lei, quindi, sapendomi a casa per le vacanze, mi ha destinato questo compito umiliante-
-E… cosa fa tua nonna di tanto brutto?- chiese Harry, che si stava immaginando un mostro terribile.
-Da un lato potresti dire che non fa niente: non si è mai preoccupata di mia madre, lasciando che fosse la bisnonna a seguirla in tutti i suoi primi anni. Non ha mai alzato un dito per gli altri, quell’inetta ipocrita, e ha passato tutta la vita ad occuparsi solo degli affari suoi. Quando sono nata non è venuta a vedermi perché altrimenti perdeva la sua vacanza alle Maldive. Perché sai, Harry, lei caga banconote. Ha un sacco di soldi, eppure non ha mai speso un centesimo per mia madre, neanche per pagarle il corso da dentista. Non mi ha mai fatto un regalo, né di Natale, né di compleanno, né di qualsiasi altra cosa. Si è totalmente disinteressata di me, si ricorda di avere una famiglia solo quando le serve. Un’altra volta, a Pasqua, è venuta a casa nostra perché non c’era nessuna crociera in ballo. Io avevo nove anni ed ero un po’ grassa, insomma, molto più brutta di adesso. Sai cosa mi ha detto? “Io che ho settant’anni non scambierei il mio corpo con te che nei hai dieci” Non sapeva nemmeno che età avessi! E allora io, che già a nove anni avevo un certo caratterino, non le ho più parlato per tutta la cena. Quando mi sono accorta che aveva problemi a camminare, ho cominciato a correre e a saltellare davanti ai suoi occhi. Allora lei si è vendicata sparlando di me con le sue amiche ultrasessantenni, proprio come se si fosse trattato di prendere in giro una persona della sua età e non sua nipote, per giunta di nove anni! Quella brutta pettegola! Brutta tirchia artritica non-sgancia-un-soldo muori male ma chi te l’ha fatto fare di nascere so io dove dovresti andare a prendere ‘sti soldi!- sbottò Hermione, recitando tutte quelle parole senza prendere un secondo fiato.
-Scommetto che sarà tutto il tempo una ripicca contro ripicca, non starò un attimo in pace!-
-Ma se tua madre sa che la odi, perché ti fa andare da lei?-
-Un po’ per castigarmi, ma soprattutto perché spera che mi lasci  l’eredità quando tira le cuoia! Vuole che io le lecchi il pelo e la imbonisca nei miei confronti, proprio come fa mio cugino Joy! Se io non iniziassi a fare come lui, tutti i soldi finirebbero da quella parte. Ma a me sta bene, io non ho intenzione di mordermi la lingua tutto il tempo! Non mi servono i suoi soldi adesso e mai mi serviranno! Già di mio ho abbastanza denaro da permettermi un futuro decente!- Ci sono giorni in cui ci pentiamo di non essere nati veggenti.
-Beh, Hermione, allora vai dai tuoi e dì loro che non ti serve la sua eredità, così eviteranno di mandarti da lei-
-No, è impossibile. I miei genitori sono irremovibili sulle punizioni, e inoltre credo che quella donna abbia davvero bisogno di me, è diventata talmente pigra da non cucinarsi o andare a letto da sola, e, visto che ha fatto licenziare tutte le sue “incapaci” badanti (o le badanti si sono licenziate da sole), le serve il mio appoggio. Mia madre mi dirà tipo: “ti chiedo questo favore, per una volta badale tu, che io ho del lavoro da sbrigare” Così mi farà sentire in colpa per non occuparmi mai delle cose di famiglia e io alla fine smetterò di oppormi-
-Mah, Hermione… pensala così… Se tua nonna vuole te al posto di qualsiasi altra, vuol dire che almeno ti considera migliore della sua badante…-
-Cacchio!- rispose Hermione, facendo scoppiare Harry in una risata divertita.

Il tempo trascorse così, i giorni passavano avvolti da una coltre di nebbia fredda e dalle prime sferzate di gelo invernale. Il lago Nero divenne una lastra marmorea, i deboli raggi del sole filtravano attraverso le nuvole cupe e si infrangevano su quella superficie ghiacciata, facendola luccicare. Gli alberi si spogliavano dei loro abiti rossastri, e la foresta Proibita si addormentava, come acquietata dalla lieve neve che aveva iniziato a depositarsi sui prati umidi. I ragazzi, allietati dall’imminente periodo festoso, vivevano quella trasformazione climatica con gioia. Hermione, nonostante sapesse cosa l’attendeva, amava il Natale. Amava le caldarroste, amava gli alberi luminosi, amava la neve, esattamente come amava il gelato, la spiaggia ed il mare. Insomma, lei amava la vita. La considerava la sua personale chance di battere tutti e di farsi rispettare, di realizzare i suoi sogni a forza di determinazione. Si può dire che ciascuno di noi ha un obbiettivo, un motivo per amare la vita, e quello di Hermione era proprio il tempo a sua disposizione per far valere i “principi fondamentali”: non farsi mettere i piedi in testa, superare in bravura tutti a forza di studio ed essere la migliore. Cioè, sì, quello era il motivo principale. Le piacevano anche altre cose, le cose che le regalavano felicità. Questo era il senso della vita, per lei: vivere con serenità ogni giorno e costruirsi un percorso esistenziale pieno di tutte le cose che la facevano stare bene con se stessa, che l’appagavano. Ecco perché non si faceva scoraggiare dai pericoli ed aveva sempre il sorriso sulle labbra.
Malfoy, invece, era ancora più rabbuiato. Non aveva smesso un secondo di infastidire le lezioni, per le altre case era diventato uno show giornaliero quello di veder arrivare strillettere da casa durante la colazione. Quella che urlava era sempre sua madre, aveva la voce di un’aquila, mentre il padre non compariva mai. Possibile che fosse così freddo e assente da non preoccuparsi nemmeno della vita scolastica del figlio? I professori spedivano di continuo lettere a casa, minacciando la sospensione, e qualche volta la madre di Malfoy era venuta ad Hogworts per accertarsi della situazione. Suo figlio in quel momento si era dimostrato quasi compiaciuto, come un gatto che mostra la sua preda moribonda alla padrona. La signora Malfoy urlava e urlava, prendeva il ragazzino da parte e gli faceva delle strigliate di capo assurde. Hermione l’aveva sentita dire: “Dio, se tu non fossi un tale disastro! Anche con Piton fai il bullo, adesso! Selene non avrebbe fatto così, Selene non avrebbe rifiutato le sue origini e buttato tutto all’aria come te!”
Malfoy si isolava sempre di più, rifiutando di giocare con i compagni della sua età o di partecipare a qualsiasi altro divertimento adatto ai bambini. Passava il suo tempo libero da solo, facendo lunghe passeggiate pensose. Se qualche Serpeverde, cercando di stare un po’ con il suo “leader ammirevole”, gli chiedeva di unirsi al suo gruppo di amici, Malfoy rispondeva “Vattene, non vedi che sto pensando?”. Dopo un po’ la gente iniziò o ad odiarlo per i suoi modi e le sue stranezze, o a temerlo sul serio. Non aveva più nessuno, eppure pareva che la cosa non gli desse fastidio. Non mostrava altre emozioni se non rabbia impertinenza. Hermione aveva scorto anche dell’infelicità, forse l’unica causa di quell’apparentemente inspiegabile travaglio emotivo.
-E smettila di preoccuparti di lui!- le disse un giorno Madeline, con cui aveva stretto una salda amicizia.
-Jane, ma non lo vedi che è uno stronzo? E poi sei sempre stata tu quella che non voleva farsi mettere i piedi in testa, quel ragazzo ti ha maltrattata per un anno intero, e adesso tu sprechi il tuo tempo nel tentativo di comprenderlo?-
-Te l’ho detto, Madeline, sembrava triste-
-E vabbè, se lo merita, qualunque cosa sia- Eppure Hermione provava una certa benevolenza nei suoi confronti… Non compassione, disprezzava le persone per cui provava pena, ma verso Malfoy si sentiva più protettiva. Doveva sapere perché! Non ci capiva più niente, il suo piccolo mondo stava crollando!
Decise che avrebbe messo in stand-by quella situazione con le vacanze di Natale e che sarebbe tornata a preoccuparsene più tardi.
Il treno per riportarli a casa partì il 22 Dicembre. Hermione fu costretta a rifiutare l’invito alla Tana a causa degli altri impegni, ma promise ai suoi amici che avrebbe scritto loro un sacco di lettere. Lei e Madeline, salite sul treno, decisero di sedersi vicine. Madeline era una buona amica: le piaceva lo studio, anche se non ai punti di Hermione, e sapeva ascoltare. Era piacevole stare loro due sole, parlare un po’. Hermione stava alla larga da argomenti troppo banali, come il trucco o i ragazzi, e cercava invece di incoraggiare discorsi più costruttivi, come il racconto generale della propria vita.
-Hai dodici anni! Pensa anche a cose sceme, a volte- Madeline indirizzò la conversazione verso un compromesso: cose non troppo cretine ma comunque riguardanti argomenti femminili.
-Ah, sì, ho letto quel libro. Heric è carinissimo!-
-Vero, lui solo è destinato Sana!- disse Hermione, che per la prima volta stava iniziando a fangirlare.
NO. NON DI NUOVO. Qualcuno che la guardava. Dei pugnetti contro il vetro della porta scorrevole. Due ragazzi, uno visibilmente imbarazzato e l’altro con la faccia di chi se la sta spassando, si trovavano davanti al loro scompartimento. Hermione sarebbe stata felice condividere il viaggio con altre persone, ma se ce n’era una che proprio non avrebbe retto, quella era Charles Mitchell. Lo aveva trovato invadente senza nemmeno averci mai parlato. La seguiva dovunque andasse, spesso Hermione si era resa conto di essere sbirciata da lontano e l’aveva colto in flagrante. Madeline continuava ad insistere che di sicuro lui provava interesse, ed Hermione, anche se non accreditava totalmente quell’ipotesi, iniziava a credere che la cosa fosse possibile.
-Ce ne hai messo di tempo, eh! Diavolo, se non ci fossi io ad aiutarti, non capiresti mai che qualcuno ti ama- le aveva detto l’amica. Beh, in questo caso, Hermione sarebbe stata ancora più a disagio nell’averlo a fianco durante il viaggio. Non solo perché sapeva di piacergli, ma anche perché la cosa non era ricambiata. La sua timidezza, i suoi modi poco spavaldi, la sua cultura consistente e la sua invadenza le davano il prurito. Cioè, lei non lo conosceva bene, eppure si sentiva irritata quando gli stava vicino.
-Avanti, entrate- disse Madeline, dando delle gomitate ad un’Hermione scocciata.
I due ragazzi si fecero avanti. Mitchell era rossissimo in viso e si guardava le scarpe, imbarazzato, mentre il suo amico, il “complice in amore”, come l’avrebbe poi definito Madeline, sorrideva divertito.
-Ciao, sono Samuel. Lui è Charles. Possiamo sederci con voi? Non ci sono altri posti!- mentì.
-In realtà…- cominciò Hermione, prima di essere interrotta da Madeline.
-Sì, venite pure! Io sono Madeline e lei è Jane... cioè Hermione!- Madeline, sogghignando, le disse all’orecchio “Non c’è niente di più bello che assistere ad una scena di imbarazzo tra la tua migliore amica e il suo pretendente!” Hermione le diede una gomitata nelle costole, e Madeline, propensa a stuzzicarla, decise di cambiare sedile, in modo che almeno uno dei due ragazzi fosse costretto a mettersi vicino all’amica. Samuel lanciò uno sguardo eloquente a Mitchell e si sedette vicino a Madeline. Mitchell si avvicinò goffamente ad Hermione.
-Posso sed…- sussurrò.
-Sì- disse lei secca. Samuel gli fece un gesto con la mano, come per ricordargli di mettere in campo tutte le sue doti cavalleresche.
-Vedo che fa freddo… Hermione… non vorrei mai che ti prendessi un raffreddore… se vuoi posso darti la mia giacca…- Charles, in modo assolutamente impacciato, cominciò a sfilarsela, ma Hermione lo bloccò con un gesto brusco della mano.
-No grazie- disse meccanicamente, a denti stretti. Cavolo, era davvero un gentiluomo fino al midollo, eppure lei lo trovava ancora oltremodo seccante!
-Va… va bene…- e le si avvicinò leggermente. Hermione a questo punto incrociò le braccia e proruppe nello sbuffo nasale più lungo che qualcuno avesse mai emesso, costringendo un imbarazzatissimo Charles a fare dietro-front.
Il viaggio continuò così, Hermione vedeva Mitchell sempre più a disagio e sotto pressione. Anche il clima dentro lo scompartimento divenne teso e imbarazzato, e il silenzio non tardò ad arrivare. Ma Hermione aveva una domanda da fare a Charles, se non si fosse liberata di quel peso ci avrebbe continuato a rimuginare, e lei aveva già abbastanza pensieri. Insomma, era impossibile che avesse elencato quei quadri a memoria, quadri peraltro scelti a caso dai compagni. Lui sembrava un tale idiota, ma se la cosa fosse stata vera, allora la sua cultura e raffinatezza nelle arti più signorili avrebbe potuto eguagliare quella di Hermione, e la ragazza non voleva essere peggiore di nessuno! Forse sarebbe stata scortese, ma senza un po’ di sfacciataggine non si conclude nulla.
-Mitchell, posso farti una domanda?- Lui si girò di scatto, sconvolto da quell’improvvisa dimostrazione di interesse.
-Sì…- sussurrò, in ammirazione.
-Hai davvero elencato quei quadri a memoria?- Charles deglutì a vuoto e abbassò gli occhi.
-Sì…- le disse. Il suo amico gli corse in aiuto, vedendo che la situazione si complicava.
-Lui è davvero colto, Hermione!- disse in tono lusinghiero.
-Quali erano i tre artisti?- chiese velocemente lei, cercando di non farsi fuorviare di Samuel e di continuare la sua indagine. Charles incrociò le gambe e iniziò a contorcere le dita delle mani, in preda all’isterismo e alla vergogna.
-Non… ricordo bene…- Diamine, avrebbe proprio dovuto cavargli tutto con la forza! Sapeva che tormentandolo in quel modo avrebbe compiuto una cattiveria disumana, ma il pensiero di non essere un genio ineguagliabile era davvero spiacevole.
-Monet? Renoire?- chiese lei.
-Non so…- La ragazza decise di cominciare dalle basi e di raccogliere un’informazione per volta, iniziando ad ispezionare i campi più basilari.
-Tu lo conosci Picasso?-
-Sì…- rispose lui automaticamente, mettendo a dura prova i suoi capillari. Samuel osservava la scena preoccupato, in cerca di un modo per salvare l’amico da quella situazione, e Madeline conteneva a stento una risata.
-Me lo dici un quadro di Picasso?- chiese lei, pungolandolo. Una persona normale l’avrebbe mandata affanculo, che fosse stata un Serpeverde o un Grifondoro, ma lui non si osava. Questo la infastidiva maggiormente: quella mancanza di fegato. Mitchell si sarebbe comportato da bamboccione anche con il primo stronzo che l’avesse insultato, era solo un caso che fosse stata la sua cotta ad umiliarlo.
Charles aveva abbassato la testa nel tentativo di nascondersi, e ansimava quasi stesse correndo una maratona. Muti. Samuel, ad un certo punto, per risolvere la situazione e non screditare del tutto il suo amico, ruppe il silenzio con una risatina isterica.
-Ma Charles, fino a ieri sapevi benissimo queste cose! Forse adesso è stanco, ecco perché non ricorda più-
-Chi è Leonardo da Vinci?- si ostinò a chiedere la ragazza, con la vaga percezione che quell’impostore non lo conoscesse nemmeno.
-Un pittore…- arrancò lui.
-Mi diresti dieci suoi quadri? Infondo, se conoscevi a memoria quei tre pittori, sarai di sicuro in grado di rispondere a questa semplice domanda-
-L’uomo vitoviano…- sussurrò lui dopo qualche secondo.
-Vitruviano- lo corresse lei.
-Altri nove?- chiese, fremente della malvagia compiacenza che si prova nel sbranare la propria preda. Charles iniziò ad annaspare sul serio. Si alzò dal suo posto coprendosi il viso con un braccio, sussurrò qualcosa simile a “bagno” e, in modo del tutto goffo, uscì dallo scompartimento.
-Hai un po’ esagerato- disse Madeline ridacchiando, incurante del fatto che Samuel potesse sentirla.
-Sai, Hermione- incominciò lui -Charles ti ammira molto. Insomma, gli piaci, ma credo che tu te ne sia già accorta-
-Mmmmm… Già- disse lei, sapendo che adesso avrebbe dovuto deludere il suo corteggiatore: doveva dire “no, lui non mi piace”.
-Io… lui non mi piace, ecco- disse lei senza tanti preamboli.
-E’ un peccato. Sì, abbiamo mentito sulla faccenda dei quadri per fare colpo su di te, ma il resto è tutto vero: Charles è un gentiluomo, è davvero cortese con le ragazze- disse Samuel, atteggiandosi da agente immobiliare.
-La cosa divertente, Samuel, è che tu stai cercando di “vendermi" una persona che è corsa a piangere in bagno: non mi importa di quando gentleman possa essere, io in un ragazzo cerco un po’ di milza, cosa che Mitchell non ha. E poi perché lui vuole proprio me? Non sono quel granché di ragazza, affatto, ed è pieno di gente molto più carina-
-Ecco, Hermione- rispose Samuel, preparandosi a spiegarle un argomento troppo complesso perfino per lei -c’è un motivo se lui è interessato a te. Charles piace a molte ragazze, è bello e buono, però dopo un po’ è arrivato ad una riflessione: Charles può avere un solo stereotipo di fidanzatina, ovvero una, se posso dirlo, “scemotta” pronta a correre dietro al primo belloccio. E ha pensato che gli sarebbe piaciuta una un po’ più intelligente, culturalmente consistente, con un po’ di carattere. Una persona come te, una persona con dei tratti diversi dai soliti. Insomma, qualcuna che fosse acculturata, intelligente, determinata, a volte agguerrita e pronta a fare fuoco e fiamme con chi le sta antipatico…-
-E’ questo il punto- disse Hermione, accavallando le gambe -Mitchell cerca una diversa dalle altre, quando anche lui stesso, in realtà, è uno stereotipo. Non ha un cervello, segue le tendenze, manca della più totale mascolinità ed ha solo la bellezza e la cavalleria dalla sua parte. E' piatto ma cerca una spessa, il suo non è un bisogno, ma un capriccio. Il capriccio di un bimbo che si è stancato della sua specie neutrale e si avventura in un mondo che non fa per lui-
-Oh… Ma un capriccio è passeggero, Charles è davvero innamorato di te-
-Allora è uno sciocco. Cerca qualcosa di nuovo quando in realtà non ci si troverebbe bene. Noi due non saremmo compatibili. Io, se posso vantarmi di sapere qualcosa in campo amoroso, mi regolo in base a questo: solo i simili stanno bene insieme, e non ci potrebbero essere persone più diverse di noi due-
-Il problema è che la sua ossessione per te non finirà…-
-Senti, benché lui non mi vada molto a genio, posso sforzarmi di essere al massimo sua amica-
-D’accordo, magari gli basterà… Beh, vado e raccattarlo in bagno e poi così cambiamo scompartimento, il clima sarebbe insostenibile altrimenti-
-Senti, Samuel… digli che mi dispiace e che non penso che sia un cretino. E' una bugia, ma lui non è abbastanza in gamba per capirlo... A volte le menzogne riparano le ferite più profonde- disse Hermione, raddolcita dal sapere che la sua intelligenza sarebbe rimasta incontrastata e ineguagliata. Mentre Madeline si dava alle folli chiacchiere per quello che era successo, nel nuovo scompartimento dei due ragazzi si stava tenendo esattamente questa conversazione:
-Beh, per fortuna non pensa che io sia scemo-
-Già… Senti, forse è meglio se ti concentri su qualche altra ragazza-
-No, le altre sono sciacquette, lei è unica e speciale-
-Ma sai, magari quelle sciacquette fanno per te…-
-Cosa vuoi insinuare?-
-Niente, niente…-
-Non so come fare, io la amo e lei non ricambia! Ma ti giuro una cosa: quell’Hermione Granger un giorno sarà mia moglie, parola mia-

 

 

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Capitolo 4
*** Montecarlo arrivo! ***


Montecarlo arrivo!
Ciao! Lo so, sono irrimediabilmente, immancabilmente ed inelegantemente in ritardo. Volevo fare un avviso: da quella testa incasinata che mi ritrovo, alla fine ho deciso che avrei cambiato titolo alla mia storia: questa fanfiction non si chiamerà più "Ci sono giorni" (che peraltro era un nome messo a caso, l'ho deciso sul momento quando ho dovuto aggiungere i dati della storia). Il nuovo titolo è "All about them - tutto su di loro". E' il meglio che mi è venuto in mente, siate clementi... Spero di non dover apportare altre modifiche, vi lascio alla lettura!
Daphne_07



Per fortuna quel viaggio asfissiante era terminato. Erano arrivati a destinazione, il treno si stava fermando, le ruote stridevano sulle rotaie producendo un rumore fastidioso. King’s Cross. Hermione si sporse dal finestrino dello scompartimento e scorse i suoi genitori in mezzo alla folla, si stavano sbracciando nel tentativo di salutarla. Ecco i signori Weasley con Harry e Ron. I due ragazzi la cercarono con lo sguardo e la salutarono.
-Ciao Harry! Ciao Ron!- urlò lei, cercando di sovrastare il brusio assordante che si era creato. Non sapeva perché, ma Hermione, al posto di avviarsi verso l’uscita del treno, stava provando a individuare tra la gente due genitori in particolare… eppure non trovò quelle chiome bionde da nessuna parte. Possibile che, per la rabbia, avessero addirittura lasciato solo il loro unico figlio? Madeline la tirò per il braccio ed Hermione fu costretta a seguirla per gli affollatissimi corridoi della locomotiva, fino a che non trovarono l’uscita. Hermione cercò per l’ultima volta Malfoy con lo sguardo (possibile che fosse così impicciona?), e alla fine le parve di aver trovato un ragazzino biondo e minuto che avanzava tra la gente. Dal modo in cui si muoveva sembrava che fosse leggermente spaesato, in cerca dei suoi genitori. Nonostante quel tipo si dimostrasse tanto tenebroso e acido, in realtà Malfoy era solo un bambino alla ricerca di qualcuno che lo fosse venuto a prendere. Però… non aveva gli occhi di un bambino. Aveva gli occhi di qualcuno che è cresciuto troppo in fretta, di qualcuno che ha dato solo un assaggio all’infanzia per poi gettarsi nel buio mondo degli adulti. Alla fine a Malfoy si avvicinò un uomo in giacca e cravatta, probabilmente l’autista privato della sua famiglia, che lo esortò a venire con lui. L’uomo tentò di prendere il ragazzino per mano, ma Malfoy si divincolò da quella presa e allontanò il suo accompagnatore con uno spintone. Che strano… Che strano… Una volta Malfoy era il figlio prediletto di suo padre, ed invece adesso era trattato come un marmocchio indesiderato, senza nessuno che gli spiegasse i suoi errori e che cercasse benevolmente di ricondurlo sulla retta via. Inoltre adesso, come ulteriore sfregio alle regole, aveva anche cominciato a non laccarsi più i capelli, lasciando che quei fili dorati crescessero alla rinfusa come un campo d’erba incolto.
I due scomparvero, ed Hermione tornò dai suoi genitori.  

Il Natale fu stupendo: i genitori di Hermione invitarono tutti gli zii, i nonni (esclusa la nonna che sappiamo noi) e i cugini per un grande pranzo ricco di ogni leccornia. Hermione mise da parte i propositi per una dieta e mangiò tutte le cose squisite che sua madre e sua zia avevano preparato. Ricevette un sacco di regali, tra i quali spiccava particolarmente una collezione intera dei più grandi classici per ragazze. I genitori l’avevano convinta a chiedere anche qualcosa di diverso dai libri, e così Hermione aveva copiato esattamente la lista dei regali di Madeline. L’amica le aveva detto che chiedere una barbie vestita da sposa era il più classico dei desideri natalizi, e così Hermione aveva deciso di seguire i suoi consigli. Dalla nonna paterna, una vecchietta arzilla e pimpante, era arrivato un set di trucchi un po’ audace, dai genitori una bicicletta verde e dai parenti restanti un assortimento di giochi simpatici o di accessori per capelli e vestitini a scacchi. La sua bisnonna, praticamente cieca, le aveva cucito apposta un maglione di quella lana che da immancabilmente il prurito, ma Hermione l’aveva apprezzato lo stesso: tutti si erano impegnati molto per farle un regalo che potesse piacerle, e questo bastava.
-Hermione!- le disse la madre -Guarda che qui sotto l’albero c’è anche un altro regalo!- Lei e la madre, Stephanie, si accucciarono sotto il pino con gli aghi di plastica e osservarono attentamente un piccolo pacchettino.
-Contiene dei soldi…- le disse la madre, tastando la carta. Strapparono l’involucro e vi trovarono una letterina pinzata ad una busta.
-“Cara Ginger”- incominciò a leggere Hermione. La lettera veniva indubbiamente dalla nonna materna, quella che adesso si trovava in chissà quale paese esotico per uno dei suoi viaggi.
-Sai, Hermione, mia madre… cioè tua nonna, a volte ha dei vuoti di memoria e non si ricorda il nome di tutti…- le disse Stephanie, nel tentativo di far apparire meno brutale quella dimenticanza.
-Mamma, sono dodici anni che mi chiama Ginger!-
-Lo so…-
-Continuo a leggere… “Cara Ginger, so che presto verrai a trovarmi. Ultimamente ho qualche problema a stare in piedi e se cadessi in un posto dove non c’è nessuno che possa aiutarmi, allora sì che sarebbe un problema: ecco perché ho bisogno di te. Ho programmato un viaggetto mentre sarai a casa mia, e la tua presenza in albergo mi è costata un sacco. Comunque non ho potuto fare a meno di mandarti qualcosina in anticipo… Spendili poco per volta!”- Hermione aprì la busta con la vaga speranza di trovarci un centone, ma i suoi sogni si infransero quando vide un’unica, misera, banconota da un dollaro, che sembrava guardarla e dirle: “T’ho fottuta, piccola scema”.
-Un dollaro! E quella megera ha anche il coraggio di mandarmelo e scrivere “spendili poco per volta”?!- si inferocì Hermione.
-Su… conta che ti porta a fare un viaggio!-
-Mamma, tu sei troppo clemente con lei! Mi vuole solo perché ha paura di cadere e perché altrimenti una badante dovrebbe pagarla! Ma dimmi te!- Hermione andò in cucina e aiutò la zia a spalmare il tonno sulle fettine di vitello.
-Santo Cielo… Mi si prospettano delle settimane di merda!- pensava, schiaffando violentemente il tonno su quelle fettine sottili di carne. Il resto della giornata trascorse in modo normale e sereno.

-Mad? Mad, mi senti?- chiese Hermione, indaffarata a stare al telefono con l’amica e a fare le valigie.
-Sì, sì, ti sento. E quindi parti, non è così?-
-Già. Sto dal 29 Dicembre fino al 6 Gennaio, una settimana-
-Dove vai di bello?-
-Non lo so, non me l’ha manco detto-
-Vabbè, telefonami qualunque cosa accada-
-Sì-
Hermione scese le scale con le valigie e le caricò in macchina. Portò con sé molti libri della scuola (sua nonna non sapeva del segreto, quindi sarebbe stato meglio per Hermione che li tirasse fuori solo quando lei non c’era)
A quanto pareva sua nonna non abitava poi così lontano da loro, eppure non era mai venuta a trovarli. Brutta meschina! Aveva una super-villa in periferia di Londra, Hermione e suo padre ci arrivarono in meno di un’ora. Nell’enorme cortile c’erano più giardinieri che piante, e il vialetto che conduceva all’ingresso dell’abitazione era ricoperto di sassolini bianchi. Toc toc, bussarono al grande portone di quercia.
-Chi è?- chiese una voce gracchiante dall’interno.
-Hermione- La donna aprì lentamente la porta ed Hermione si ritrovò davanti una cicciona spessa come una vacca, con il naso aquilino dominato da un grosso neo sporgente e due colonne al posto delle gambe.
-Allora, Doris, eccoci- cominciò il padre, che diede una lieve gomitata ad Hermione per ricordarle di salutare.
-Salve- disse lei in tono scocciato.
-Hermione, è tua nonna. Dì “ciao”!- la riprese lui.
-No, no, non importa. Chissenefrega- si intromise la vecchia.
-Doris, vorremmo sapere dove porterai Hermione-
-Prima che tu mi dica qualunque cosa, sappi che abbiamo già un volo e una camera prenotati. Si va a Montecarlo- Il padre rimase praticamente scioccato da quelle parole, emblema della totale noncuranza della vecchia nei confronti di una bambina.
-A giocare d’azzardo?- chiese.
-Sì, ma Ginger può anche restare in albergo-
-Ma tu sei impazzita!-
-Santo Cielo, Harold, ho già prenotato tutto quanto! E poi ho bisogno di lei-
-Sì, ma Hermione è una bambina, mentre tu la vuoi portare al casinò!-
-Conta che è solo per una settimana, e poi il nostro Hotel è magnifico, da direttamente sulla Costa Azzurra! Lei potrà stare in Hotel, e tu, Harold, lasciaci andare che altrimenti perdiamo l’aereo-
-Non posso permetterlo!-
-Ma sì, dai, molte famiglie ci vanno. Sarà un occasione per Ginger: conoscere il lusso e la ricchezza-
-Ma a me non importa!- si intromise Hermione, che aveva già la speranza di non partire.
-Diamine, che faccio altrimenti? Non ho una badante e non riuscirei a procurarmela a breve! Inoltre sprecherei un sacco di soldi… Mmmm… Ginger, facciamo un patto: quando ci siamo viste l’ultima volta, avevi dieci anni, mi sembra…-
-Nove- la corresse Hermione, seccata.
-Sì, vabbè. Era Pasqua e sono venuta a casa tua - mi ricordo che Stephanie aveva preparato un agnello immangiabile - e tu, mentre facevamo pranzo, hai detto che ti piacciono moltissimo lo studio e la lettura. Beh, io, a casa mia, ho una libreria enorme, ereditata dalla bisnonna francese, piena di tutti i tomi pesantissimi che piacciono a te. Visto che io morirei di noia solo a leggerne uno e che Joy non è per niente interessato, potrei lasciarti non solo tutti i libri, ma anche la libreria intera. Basta che tu mi accompagni- Hermione era sempre stata ammaliata dalle grandi librerie, trovava un certo fascino nello sfilare un libro polveroso da uno scaffale. Quell’enorme libreria sarebbe stato il suo mondo!
-Papà…- disse -Senti, io andrei. È solo per una settimana, io posso starmene in albergo e farmi i miei compiti quando la vecchia… cioè la nonna va al casinò. La vorrei tanto una libreria come la sua!-
-Non avremmo lo spazio!-
-Ma sì, invece! La mettiamo in tavernetta, ci starebbe proprio bene!-
-Mah… se sei così convinta…- disse l’uomo. 
-Io parto, ci vediamo tra una settimana!- e gli diede un bacio sulla guancia. Harold aiutò Hermione a caricare le valigie sul taxi che era venuto a prenderle, e in meno di un’ora lei e sua nonna si trovavarono all’aeroporto. Il viaggio fu un po’ scomodo, visto che sua nonna soggiornò in prima classe e che lei, invece, venne destinata alla seconda, ma per il resto il volo fu magnifico. Atterrarono all’aeroporto di Monaco di Baviera entro qualche ora.
-Ginger, adesso aiutami ad orientarmi!- le disse, un po’ scombussolata dal rumore circostante. Presero un taxi che le accompagnò al loro albergo, ed Hermione per tutto il viaggio si sporse dal finestrino, intenta ad osservare i palazzi e i grattacieli della città. Il Principato di Monaco (e quindi anche Montecarlo, che faceva parte dei suoi cinque quartieri) era davvero ricca e lussuosa, forse persin troppo per uno Stato così piccolo.
Il taxi le fece scendere davanti al loro hotel, ovvero un imponente palazzo colmo di finestre, con l’ultimo piano adibito alla crescita di piante esotiche ormai spoglie e la vista sul mare. Nel complesso era molto moderno, e la struttura di acciaio riluceva sotto la debole luce del sole. Nonostante fosse inverno e la città non stesse straripando di bagnanti, Hermione notò che c’era ancora abbastanza movimento per l’Hotel. Il portinaio aprì loro la porta, e le due entrarono nella reception: era una grande sala con il pavimento di marmo color crema, le pareti piene di specchi ovali, grandi piante accanto alla scrivania della segretaria e cinque ascensori piazzati intorno alla stanza circolare.
-Ah, salve, signora Smith!- disse la segretaria.
-La nostra camera?- chiese sgarbatamente la donna. La segretaria si morsicò un labbro per la rabbia, cercò di non scomporsi e chiamò un inserviente. Il ragazzo prese le valigie e accompagnò le due fino al 30esimo piano. Poi aprì una porta, rese le chiavi alla nonna (in quanto donna, mi sembra brutto chiamarla “vecchia”) e le lasciò sole. Hermione entrò nel loro appartamento, e si stupì della sua grandezza. Lei, che abitava in un modesto condominio di Londra, non era affatto abituata a tutta quella ricchezza, a quelle ampie camere eleganti. In soggiorno si trovava un divano di pelle bianca e una televisione di 90 pollici. La stanza era completamente illuminata da un’enorme porta scorrevole in vetro, per la quale si accedeva al balcone. Hermione non ne aveva mai visto uno così grande, talmente vasto da poterci mangiare pranzo. Certo, l’altezza la spaventava un po’, ma le vertigini erano ripagate dalla splendida vista sulla spiaggia. La ragazzina visitò la sua camera, una stanza spaziosa dominata da un letto a baldacchino.
-Wow- si disse. Subito sua nonna iniziò a schiavizzarla, ordinandole di mettere a posto i bagagli.
-Il tuo nome sembra uno scioglilingua: Ginger Granger- iniziò a punzecchiarla.
-Infatti mi chiamo Hermione!- rispose la ragazzina, sicura che tanto non sarebbe stata ascoltata. “Per la libreria, per la libreria…”, si ripeteva. Non appena la nonna si assopì sul divano, Hermione corse alla scrivania in camera sua, estrasse il libro di Pozioni dalla valigia, lo aprì alla pagina intitolata “intrugli mortali” e iniziò a completare gli esercizi.
Cominciò a farsi sera, Hermione sentì sua nonna che la chiamava con voce gracchiante: -Ginger, vieni qui!- Hermione si avviò obbediente nella camera da cui proveniva la voce, e vi trovò sua nonna avvolta in un vistoso abito viola, pieno di paillettes e di balze.
-Allora?- disse la donna, spazientita.
-Vuoi un’opinione?- chiese Hermione, disgustata da quella mancanza di gusto.
-Sì, vado bene?-
-Devo essere sincera?-
-No, devi dirmi che ci sto bene! Questo abito è costato una fortuna, quindi è naturale che mi calzi a pennello!-
-Certo, stai una favola…- mormorò Hermione, trattenendo a stento una risata.
-E adesso che aspetti, Ginger? Muoviti, vai a mettere qualcosa di carino, stiamo per andare a cena nel ristorante dell’hotel- Hermione non si era portata nulla di carino, dato che non le importava per niente fare buona figura con sua nonna. Tentò di pettinarsi i capelli, ma non appena la spazzola incontrò il primo nodo, la ragazzina rinunciò subito. Decise che non si sarebbe affatto cambiata, e che anzi sarebbe scesa così com’era.
-Granger, tu non vai da nessuna parte conciata così! Metti qualcosa di elegante o non scendi a fare cena!- Hermione, che di sicuro non si sarebbe lasciata convincere da un’anziana fastidiosa, decise che tanto valeva fare spallucce e tornare rintanata nella sua camera. Stava per fare il primo passo quando sua nonna la afferrò per le spalle e disse: -Ti ho portata con me perché volevo che tu mi aiutassi: e se cadessi mentre vado a fare cena? Devi controllare che io non mi faccia male, o la libreria te la scordi!- Hermione proruppe in uno sbuffo sonoro.
-Tanto non ho portato nulla di carino-
-Diamine, non puoi scendere così! Sembri una strega!- Hermione si trattenne a stento dal dire “sì, infatti lo sono”. Sua nonna prese fulmineamente una spazzola dal bagno e iniziò a pettinarle i capelli cespugliosi, Hermione si astenne con fatica dal fare gemiti di dolore. Poi, una volta che la situazione migliorò leggermente, sua nonna estrasse dalla valigia di Hermione un paio di jeans, un cardigan di lilla e una fascia per capelli arancione, di quelle che ti leghi intorno alla testa e che ti fanno assomigliare ad un uovo di Pasqua col fiocco. Obbligò sua nipote a indossare quegli indumenti e poi la trascinò giù al ristorante.
Hermione aprì il menù e vi trovò un assortimento di cibi pregiati, costosi e per nulla sazianti, come le viscide uova di caviale.
Hermione si trovava lì a cercare di sgusciare un’aragosta, quando qualcosa del tutto incredibile le fece scappare le posate di mano. Una chioma biondissima. Un ragazzino dal viso pallido e annoiato. Due occhi perennemente in tempesta. “Malfoy?!” sussurrò Hermione, in trance. Con lui c’erano due anziani, uno di questi gli somigliava molto, probabilmente erano i suoi nonni.
La ragazzina maledisse mentalmente quel marmocchio pestifero per essere venuto lì, e poi cercò di nascondere il viso dietro ad un tovagliolo. Ma perché doveva essere sempre così sfortunata? Hermione cominciò a sorseggiare un bicchier d’acqua, cercando di apparire totalmente incurante della novità e di non destare sospetti in sua nonna. Sfortunatamente quest’ultima sembrò accorgersi di qualcosa.
-Chi è, il tuo ragazzo?- chiese ad alta voce, facendo andare l’acqua di traverso alla nipote. La Grifondoro cominciò a tossicchiare, e tutto quel fracasso costrinse Malfoy e i suoi parenti a girarsi. La sua faccia si tramutò in un misto di sorpresa, disgusto e rabbia per essersi ritrovato la sua “cara Mezzosangue” anche lì. Hermione arrossì vistosamente e tentò di continuare la sua cena, così fece anche Malfoy.
-Non mi hai risposto- riprese ad infastidirla sua nonna, sussurrando.
-Non è il mio ragazzo, non l’ho mai visto prima- rispose velocemente Hermione. La ragazzina tenne tutto il tempo gli occhi incollati al piatto, per paura di incrociare di nuovo lo sguardo di Malfoy, e, non appena quella cena infernale finì, Hermione corse subito su in camera sua. Ancora sei giorni! Sei giorni in compagnia di quel verme! Le ci volle un po’ per addormentarsi, ma alla fine la stanchezza ebbe la meglio.

Il giorno dopo Hermione si svegliò carica d’energia: aveva riflettuto parecchio sulla questione Malfoy, e alla fine era giunta alla conclusione che non doveva abbattersi. Non poteva evitare di dormire sotto il suo stesso tetto, sfortunata lei, ma, comunque stessero le cose, il suo morale doveva restare alto. L’avrebbe ignorato per i giorni restanti della settimamana e non si sarebbe lasciata scoraggiare dalla sua fastidiosa presenza.
La nonna dormiva ancora, evidentemente era abituata a svegliarsi tardi, così Hermione decise che sarebbe scesa a fare colazione (naturalmente prendendo tutte le misure di sicurezza anti-Malfoy). Lasciò un biglietto appiccicato sulla televisione, si vestì, uscì dall'appartamento e pigiò il bottone dell'ascensore. Cavolo, c'erano davvero tanti piani, ce ne sarebbe voluto di tempo prima di arrivare al ristorante. Le porte scorrevoli dell'ascensore si sigillarono, Hermione stava quasi per mettersi a canticchiare quando si accorse che anche un'altra persona era con lei, dentro l'ascensore... Una persona che conosceva molto bene... L'ascensore ripartì.

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Capitolo 5
*** Italia ***


ITALIA

Allora, eccomi tornata. Sono di nuovo in ritardo, non lapidatemi... Il capitolo in realtà era molto più lungo di così, ecco perché ho deciso di tagliarlo a metà e di darvi subito un contentino (purtroppo non ho trovato una bella chiusura). La sto menando tanto, taaaaanto per le lunghe con 'sta faccenda di Montecarlo, ma vi giuro che entro il prossimo aggiornamento Hermione avrà spiccicato il suo segreto e sarà bell'e che tornata a casa
Beh, ci vediamo a fine capitolo (ci ho preso gusto con gli angoli-autrice!)





Sembrava che non l’avesse vista. Era girato di spalle e la sua attenzione era concentrata sul giornaletto che stava leggendo. Hermione riuscì ad intravederne la copertina, “calcio”, ma sapeva perfettamente che lì dietro Malfoy nascondeva una rivista di Quiddich. E così il Quiddich gli interessava, eh? Le era giunta voce che Malfoy avesse tentato di inserirsi nella squadra dei Serpeverde, ma con scarso successo: l’avevano respinto, e adesso lui, a quanto sembrava, stava approfondendo le sue conoscenze su quello sport, in modo da poter usufruire della teoria e migliorare nella pratica.
Se Hermione non si fosse mossa, se non avesse fatto rumore, magari Malfoy non si sarebbe accorto di lei, o, per meglio dire, che era lei. Quanto mancava all’arrivo? Diamine, 29 piani! Ma perché l’ascensore procedeva così lentamente?

“No, non devo perdere la calma!” si disse Hermione. “Io sono capacissima di ribattere ai suoi insulti, e allora perché lo temo? Non avrò mica paura di uno stupido marmocchietto pestifero? È un comunissimo viaggio in ascensore, io me ne starò tranquilla e poi uscirò sana e salva.” Hermione fece un bel respiro e si girò dall’altro lato, in modo da non dover vedere nemmeno più la nuca di Malfoy. La Grifondoro stava quasi per acquietarsi del tutto, quando la voce strascicata del ragazzino la raggiunse: “Ma quanto diavolo manca?” chiese, sgarbatamente. Essendo un mago non conosceva gli oggetti babbani, e quella “scatola in movimento” sembrava metterlo leggermente a disagio. Hermione stette zitta, o sarebbe stata riconosciuta  dalla voce. Malfoy, irritato per non aver ricevuto risposta, chiese seccato: “Quanto manca?”
No, questa volta era inevitabile parlare. E se avesse camuffato un po’ la voce? Era una cosa stupida… ma lei doveva provare, non ci teneva affatto ad avere uno scontro in ascensore.
-27 piani- Aveva adoperato un timbro vocale troppo alto e troppo gracchiante, la voce era risultata sgradevole come quella di una cornacchia. Beh, indubbiamente Malfoy l’avrebbe presa per pazza, ma almeno si sarebbe astenuto dal farle altre domande. Ad un certo punto Hermione sentì qualcosa cadere a terra, vide la rivista di Quiddich scivolarle sotto gli occhi e finire contro le porte dell’ascensore. Malfoy si precipitò a recuperarla, preoccupato che qualche non-mago avesse potuto scorgere delle illustrazioni in movimento. Ma in questo caso quel ragazzino si sarebbe avvicinato a lei, l’avrebbe vista in faccia! Hermione si scostò e andò a rintanarsi contro la parete opposta dell’ascensore. Sfortunatamente, però, Malfoy voleva accertarsi che lei non si fosse accorta di niente, quindi alzò lo sguardo e puntò i suoi occhi dentro quelli di Hermione.
-Mezzosangue!- disse, stupito e arrabbiato al tempo stesso. Ma arrabbiato per cosa? Non era stata Hermione a volerlo a Montecarlo, non era stata Hermione a prendere il suo stesso ascensore, non era stata Hermione a lasciarsi sfuggire un giornaletto di mano come una scema! E lui osava anche chiamarla Mezzosangue?!
-Ma cosa ci fai qui?-le chiese con voce inferocita.
-Cosa ci fai tu qui, magari!- rispose Hermione, piccata.
-Non sono affari tuoi!-
-E allora non sono nemmeno affari tuoi!-               
-Chiudi il becco!-
-Chiudilo tu!- Per Malfoy era strano lanciarsi in litigi come quelli: tutti lo temevano a scuola, e nessuno si era mai azzardato di fargli la punta. Solo la Granger, quella maledettissima Granger, continuava a rimbeccarlo.
-Ma sta’ un po’ zitta, va, Ginger!- attaccò Malfoy, carcando la voce sull’ultima parola.
-Come hai detto?-
-Ho sentito che tua nonna ti chiama Ginger, eh! Sembra che qualcuno abbia dimenticato il nome stupido della sua nipote stupida!-
-E sembra che qualcuno abbia un nipote con la testa che sembra un cotton-fioc!-
-Un cotton-fioc? E che diavoleria sarebbe?-
-Un bastoncino cotonato bianchissimo che usi per pulirti il cerume!-
-Bleah! Fa schifo quasi quanto te, Granger!- Tra un insulto e l’altro, le porte dell’ascensore si aprirono e i due si ritrovarono nel ristorante-bar. Hermione si diresse al tavolino più lontano da quello di Malfoy, tremante per la rabbia.
Forse, se sua nonna si fosse svegliata prima, Hermione non avrebbe preso quel dannato ascensore. Parli del diavolo, guarda caso quest’ultima si face viva e si sedette con la nipote.
-Ginger! Il tuo compito era assicurarti che io non mi facessi male e che non morissi in camera mia! Non te ne devi andare! Caspita, io pensavo che tu fossi più seria, e invece ti ritrovo qui a cavoleggiare!- Groppo in gola, nodo nello stomaco. Sì, lei era così: sempre seria, e non avrebbe cavoleggiato mai più.
-Ginger, promettimi che non accadrà più!-
-Sì, sì, lo prometto- disse Hermione.
-Bene, adesso io vado al casinò. Mi sono fatta portare la colazione in camera. Tu gira nell’albergo e fai quello che ti pare, basta che non mi muori. A stasera- e se ne andò. Hermione, appena ebbe finito di consumare la colazione, decise di salire nel loro appartamento per fare i compiti. Prese l’ascensore, e, quando scese al suo piano, non si accorse che qualcuno le stava passando davanti. Hermione lo cilindrò in pieno e lo fece cadere a terra.
-Oddio, mi scusi!- disse subito. Aveva urtato una vecchietta asiatica tutta curva.
-Fai attenzione, ragazzina!- disse quella.
-Mi scusi ancora…- mormorò Hermione, prima di andarsene.
-Tu non vai da nessuna parte! Ti stavo guardando l’altra sera, eri seduta al ristorante. Sei il nuovo ospite, eh? Mi hai portato tanta, tantissima fortuna!- disse euforica.
-Che?- chiese Hermione, scombussolata.                                                                    
-Ieri sera, dopo averti vista, sono andata al casinò. Erano tanti giorni che perdevo, invece, da quando sei arrivata tu, ho cominciato a vincere. Ogni volta che pensavo “strana ragazzina al tavolo a fianco”, le mie carte erano buone: sono riuscita a battere tutti! Ecco perché devi accompagnarmi e portarmi ancora fortuna!” Come tutti i giocatori d’azzardo, anche quella singolare vecchietta era dotata di convinzioni superstiziose.
-Ma io non posso…-
-Sì che puoi! Se non vieni racconterò a tutti che adesso mi fanno male la schiena e l’anca! Tu mi hai urtata e mi hai anche fatta cadere! Forza, vieni, ho bisogno di fortuna!- E così, sottomessa da quell’infame ricatto, Hermione si fece trasportare al casinò.
Fortunatamente non incontrò sua nonna, più incline a giocare con le slot machine.
La vecchietta ingobbita, che poi si rivelò chiamarsi Aya-san, la fece sistemare al suo fianco. Per prima cosa, venne la roulotte.
-Ragazzina, scegli un numero!- la incitò Aya-san.
-Mah, non lo so...- disse Hermione, incerta ed infastidita.
-Dinne uno, vinco 100 dollari se punto su quello giusto! Forza, avanti, da 2 a 50!- Hermione, che non conosceva le regole dei giochi d’azzardo e disprezzava profondamente i casinò, decise che avrebbe dovuto andarsene alla svelta. Quindi, prima accontentava la vecchietta, prima il suo sporco lavoro sarebbe finito.
-44- disse. Un uomo fece girare la ruota e, per pura coincidenza, il numero fortunato fu proprio il 44. La vecchietta si diede a degli urletti euforici, poi avvinghiò Hermione per il braccio e la costrinse a dire un altro numero. Hermione, incredibilmente, ebbe fortuna anche la seconda e la terza volta, facendo vincere alla vecchietta la bellezza di 1500 dollari. In tutto il casinò cominciò a diffondersi il mito della ragazzina con i capelli a cespuglio, e una folla di giocatori superstiziosi si accalcò attorno alla povera Hermione. In realtà, la Grifondoro cominciò a credere che fossero i suoi poteri magici a portarle fortuna. Sapeva che, se avesse sbagliato, tutti avrebbero cominciato a guardarla storta, e lei non ci teneva affatto ad essere presa di mira da un gruppo di vecchietti creduloni: ecco perché la magia, sebbene lei non la stesse adoperando di sua volontà, le dava una mano.
La gente cominciò a fare la fila per sapere da lei i numeri vincenti, o per averla con sé durante la distribuzione delle carte, o, addirittura, per farle toccare la banconota che avrebbero inserito nel videopoker. Poi, ad un certo punto, Hermione colse il mormorio di due coniugi. Stavano dicendo: “Ma lo sai che nell’altra sala c’è un ragazzino biondo che fa vincere tutti? Lì si fa meno coda!” E si allontanarono. Un ragazzino biondo? Hermione chiese di fare una pausa per andare a controllare. Evidentemente anche Malfoy aveva fatto lo stesso, perché i due si incontrarono a metà strada. Lui le rivolse una faccia sprezzante.
-Ragazzi- disse un tipo obeso con il pizzetto -ho bisogno che mi diciate un numero!-
-No, basta, per favore, io sono stanca!- provò a giustificarsi Hermione. A questa affermazione, nella sala si diffuse un mormorio scontento.
-Adesso chiudete il becco, vecchiacci! Io non ne posso più!- iniziò a sbraitare Malfoy. Evidentemente tutti si sentirono piuttosto oltraggiati, perché sui due ragazzini si riversarono un sacco di occhiate arrabbiate.
-Meglio andarsene…- sussurrò Hermione. I due, avvantaggiati dalla loro stazza minuta, si gettarono nella folla e scansarono tutti i giocatori, arrivando praticamente illesi all’uscita. Naturalmente, però, gli ospiti non intendevano affatto lasciarsi sfuggire quei due giovanotti tanto portentosi, e quindi, accecati dalla bramosia di fortuna, si diedero all’inseguimento. Malfoy correva più veloce di Hermione, ma, per sua sfortuna, non sapeva bene il valore dei soldi babbani: per tornare all’albergo avrebbe dovuto pagare un autobus, ma non sarebbe mai riuscito a trovare i soldi giusti.
Hermione, sebbene conoscesse benissimo il valore del denaro babbano, non aveva con se nemmeno un soldo, mentre Malfoy era pieno di banconote e di spiccioli.
-Pago io i nostri biglietti, basta che mi dai i soldi!- gli urlò dietro Hermione. Malfoy, non avendo altra scelta, gettò in mano alla sua rivale tutti gli spiccioli che aveva in tasca. Poi si fiondò sull’autobus. Hermione lo seguì a ruota, pagò l’autista (quest’ultimo non vide che i due ragazzini erano senza genitori) e gli intimò di partire. I due seminarono per un soffio quella banda di francesi assetati di fortuna, e tirarono un sospiro di sollievo quando furono abbastanza lontani dal casinò.
-Sedetevi, voi due!- disse loro l’autista. Sfortunatamente gli ultimi due posti liberi erano vicini. Malfoy, per non avere il benché minimo contatto con la “Mezzosangue”, si accalcò contro il finestrino dell’autobus.
-Per un pelo- sussurrò Hermione a se stessa.
-Granger, voglio dimenticare questa stupida storiella e tornare all’hotel come se niente fosse, ok?- disse Malfoy a denti stretti.
-E’ quello che voglio anch’io- ribatté a tono la ragazzina. Malfoy, dopo qualche minuto di silenzio, disse ancora: -Granger, questo non è il percorso per l’hotel-
-Avremo preso la strada più lunga- Il problema fu che una strada lunga non dura 30 minuti in più del necessario, ed Hermione cominciò a dubitare della sua precedente affermazione.
-Granger, è chiaro, hai sbagliato autobus!- le infierì contro Malfoy.
-Impossibile, io non sono così scema!-
-Credo che ti sbagli, cretina!-
-Datti una calmata, cotton-fioc!-
-Datti tu una calmata, Mezzosangue!- Era indubbio: l’autobus non era diretto verso l’Hotel Cristallo, e sfortunatamente né sua nonna, né i nonni di Malfoy erano con loro. Hermione toccò la spalla di due signori seduti lì vicino, e quelli le dissero qualcosa di incomprensibile. “Italiano?”, pensò Hermione.
-Potete parlare inglese? Non capisco… Inglese… Per favore…- I due vecchietti sfoderarono una pronuncia terrificante, ma alla fine Hermione capì quello che le stavano dicendo: Italia. Liguria. Ventimiglia. L’autobus era diretto in Italia.
-Malfoy!- iniziò Hermione, spaventata -Malfoy, stiamo andando in Italia!- La faccia dell’altro, sempre fredda e indifferente, non lasciò trasparire nemmeno un po’ di preoccupazione.
-Beh, dì all’autista di tornare indietro-
-Siamo troppo lontani, figurati se ci ascolta! E poi così faremmo scoppiare un casino!- No, lei doveva regolarsi, non poteva fare una scenata isterica davanti al suo peggior nemico!
-Malfoy, fa’ qualcosa!- Hermione si mise le mani nei capelli, tentando di tenere a bada l’inquietudine.
-Non so cosa fare, mai preso un autobus in vita mia- Hermione spremette le meningi nel tentativo di pensare ad una soluzione. Nonostante avesse la fama di una tipa pronta a sparare idee razionali in qualsiasi momento, non le veniva in mente proprio nulla di utile. Era solo una bambina sull’autobus sbagliato.
-Calmati, psicotica, non farti prendere dal panico: non dobbiamo fare casino. I due tizi italiani hanno detto che Ventimaglia o come si chiama non è poi tanto distante. Scendiamo, troviamo una di quelle cose babbane che servono per telefonare, chiamiamo l’Hotel e ci facciamo venire a prendere. Lo sai il numero dell’albergo?- disse Malfoy placidamente, quasi stesse spiegando a un bambino che due più due fa quattro.
-Certo che so il numero!  377542…- No! Perché la memoria veniva a mancarle proprio adesso!?
-Cosa non ricordi?- chiese Malfoy, irritato.
-Gli ultimi due numeri… Non li ricordo…-
-Beh, se può essere d’aiuto, io non so nemmeno come si usi un talefono- disse Malfoy, ironico, mettendosi comodo sul sedile.
-Ma non scherzare, idiota! Come fai a non essere preoccupato?-                                                                                   
-E smettila di rompere! L’hai detto tu stessa: dobbiamo stare tranquilli. Agitarsi non serve a niente- Strano, quelle parole ferme le infusero coraggio. Facevano uno strano effetto pronunciate da Malfoy, forse era perché lui manteneva un’espressione imperturbabile. Hermione, sebbene non volesse darlo a vedere, era molto agitata, ma il viso impassibile di quel ragazzino le trasmetteva sicurezza.
-Devi stare scialla. Io non conosco niente dell’Italia, eppure non sono ammattito. Pizza, pasta e mandolino, questo è il massimo che so-
 
Hermione sapeva che sua nonna sarebbe tornata entro le sette, e, a quanto le disse Malfoy, valeva lo stesso anche per i suoi nonni. Certo, venire a recuperare i nipoti in Italia li avrebbe un po’ scossi, ma… cosa potevano farci?
Entro dieci minuti il pullman arrivò a Ventimiglia, e i due ragazzini poterono scendere. Quella doveva essere una località turistica, strabordante di bagnanti e di turisti, ma in inverno la spiaggia vuota sembrava lo scheletro granuloso di un grande mostro di sabbia. Fortunatamente si trovavano vicino al mare e non faceva molto freddo, altrimenti sarebbero stati osteggiati anche dalla neve.
-Muoviamoci, troviamo un telefono. Voglio tornare il prima possibile- chiarì Hermione. Sfortunatamente di telefoni fissi non ce n’erano più tanti in giro, quindi i due ragazzini furono costretti a cercarne uno per tutta la città.
Non la smisero un attimo di pungolarsi: “Colpa tua che hai sbagliato autobus, Mezzosangue!”, oppure “Se tu non fossi così all’antica, ti saresti aperto al mondo babbano e magari ora sapresti come risolvere la situazione!” Nonostante si fossero lanciati insulti perennemente, i due non si erano separati: anche se inconsciamente, percepivano più protezione stando l’uno vicino all’altra. Malfoy lo faceva perché confidava nelle conoscenze babbane di Hermione, Hermione perché traeva coraggio dalla tranquillità e dall’indifferenza di Malfoy.
Finalmente, dopo un’ora di ricerche, Hermione trovò un telefono pubblico. La cabina era stata martoriata dalle sassate dei vandali, ma sembrò che fosse ancora possibile fare una telefonata. La ragazzina inserì una delle monetine di Malfoy e digitò la parte iniziale del numero.
-Che pensi di fare, Granger? Non conosci la parte finale- Malfoy mise le mani in tasca e si strinse nelle spalle, come se la questione non lo riguardasse.
-Come fai ad essere così tranquillo?-
-Sei tu la psicotica in fibrillazione-
-Come ti permetti!?- iniziò a sbraitargli contro.
-Non eri tu quella che voleva muoversi?- Hermione, benché non fosse abituata a mordersi la lingua, tentò di zittirsi.
-Senti, Malfoy, utilizziamo i vecchi metodi-
-Ovvero?-
-Digitiamo tutti i numeri possibili-
-Va bene, sei tu la nata babbana qui- “Lurido razzista…” pensò Hermione, tentando di controllare i nervi.
Ci misero un’ora intera a digitare tutti quei numeri, ma alla fine nessuno di essi si rivelò quello giusto.
-Beh, evidentemente quelli dell’hotel non hanno risposto in tempo…- sussurrò Hermione, trattenendo le lacrime per pudore. Lei non doveva piangere. Era bloccata in Italia con il suo peggior nemico, si sarebbe sorbita un cazziatone galattico e avrebbe fatto morire di paura i suoi parenti, ma non doveva piangere. Lei non piangeva mai, o tutti si sarebbero sentiti autorizzati a metterle i piedi in testa.
-E tu adesso vorresti rifare tutti i numeri da capo? Ho finito le monete, mi cerco una camera qui- Non appena Malfoy se ne uscì con quest’idea, subito Hermione cominciò a contestarlo: -Ma sei impazzito? I nostri nonni tornano per le diciannove e adesso sono le diciotto, se non ci trovano gli prende un infarto! Mia nonna non mi sta simpatica, ma trovo del tutto scorretto farla preoccupare e far preoccupare anche i miei genitori! Questo dovrebbe valere pure per te!- Hermione continuò a parlare a ruota libera per un po’, senza accorgersi che Malfoy non rispondeva più. Aveva reclinato il capo e teneva i pugni stretti, come faceva sempre quando era arrabbiato.  
-Malfoy! Diamine, non puoi ignorarmi! Non credi che la tua famiglia si spaventerà non trovandoti più?-
-Il punto è che i miei non si preoccupano! Non gliene fotte niente di me!- esplose Malfoy, esternando i suoi pensieri con un riverbero di parole astiose. Non gli importava se c’era Granger con lui, voleva solo sfogarsi. Voleva liberarsi da quella rabbia repressa, da quella convinzione dolorosa, da quell’opprimente realtà famigliare che l’aveva tormentato tutta la vita. Hermione, ripresasi dal primo spiazzamento, disse: -Ma Malfoy! Questo è impossibile- Parlò fermamente, come se avesse appena decretato che il cielo è azzurro. Malfoy si inferocì ancor più, irritato da quella constatazione.
-E tu come lo sai, Mezzosangue? Tutti mi odiano- le ringhiò contro, nel pieno del suo sbocco d’ira.
-Se morissi adesso non gliene importerebbe, tanto io non servo a nulla! Ho solo fatto casino nella mia famiglia!- Sembrava un cane idrofobo. I suoi occhi erano sconvolti dai lampi, si era scatenata la tempesta in quelle pozze argentate. Doveva calmarsi, o Hermione temeva che sarebbe esploso lì, in quella cabina telefonica. Non l’aveva mai visto così, ribollente di collera come una pentola a pressione. Ma come poteva fare a calmarlo? Come porre fine a quella travolgente bufera di parole?
SCIAFF. Silenzio. Quello schiaffo lo sconvolse, lo strappò al pianeta corrusco e infuocato da cui provenivano quelle frasi folli, quel rabbioso avvilimento. Abbassò lo sguardo. Non avrebbe potuto guardarla negli occhi. Lei aveva visto. Lei come nessuno, lei per prima, aveva visto. Aveva visto come lui dentro fosse distrutto, come il suo spirito si dimostrasse devastato, annientato da anni e anni di sofferenze.
-Senti, sono certa che è una cosa risolvibile: tu ti sei messo a fare il “discolo” della classe e i tuoi genitori non sanno come farti smettere, ma andrà tutto a posto- disse Hermione, calma.
-Ma tu non capisci!- la interruppe Malfoy, puntandole addosso due occhi infuocati -C’è un motivo se io mi sono messo a fare il matto quest’anno, e c’è un motivo se loro ce l’anno con me! È tutto troppo complicato da spiegarti!-
-Però provaci. So di essere l’ultima persona a cui hai mai pensato di confessarti, ma adesso io conosco già il 50% della faccenda. Credo che, se me ne parlassi, tutto andrebbe molto meglio-
-Ma figurati se io mi metto a parlare di certe cose con una sporca Mezzosangue!- sibilò lui, furente. Hermione, anche se a fatica, riuscì a non controbattere: doveva adoperare la logica, e perdere il controllo non sarebbe servito a nulla. Inoltre per lei era importante sapere cosa tormentasse Malfoy, le servivano delle risposte per colmare il grosso buco che si era creato nel suo mondo.
-Malfoy, se qui ci fosse Pansy Parkinson, sono sicura che tu non le avresti raccontato nulla lo stesso. E’ tutta questione di fiducia, e io non sono pettegola: voglio aiutarti-
-E perché ci tieni tanto a farlo?-
-Perché sono divorata dalle domande. Mi sembra impossibile convivere con un Malfoy diverso dal solito, non riesco a pensare ad un cambiamento. Io so tutto di tutto, parlami di un libro e te lo recito a memoria, eppure non capisco perché tu sia diventato così-
-E allora voglio una garanzia-
-Ovvero?-
-Io ti dico il mio segreto e tu mi dici un tuo segreto. Non voglio sentire cazzate come “Mi piace Weasley”. Voglio sapere una cosa in particolare: perché sei così strana-
-Cosa? Che vuol dire?- chiese Hermione, scombussolata e intimorita da quella domanda ambigua.
-Granger, me ne sono accorto, sai? La tua passione per lo studio è quasi inumana, non parliamo poi di quella malata smania di battere gli altri in tutti i campi. Eppure si vede che delle volte ci stai male, che delle volte provi ad inserirti nei dialoghi stupidi delle tue compagne, che delle volte fai una faccia triste quando la gente dice “Ehi, ti presento Hermione Granger, la mia amica invasata con le regole e con lo studio matto”. Voglio sapere perché hai questi due aspetti contrastanti-
Hermione ci mise un attimo a rispondere. Le era sembrato di aver nascosto così bene i suoi sentimenti, e adesso proprio lui, Draco Malfoy, veniva a dirle una cosa simile.
-E a te cosa importa?- chiese, dopo un attimo di riflessione.
-E’ la mia garanzia e, inoltre, anche io sono curioso- A Hermione fece strano. Solo lui si era accorto di questo travaglio interiore, di questi due tratti opposti che lottavano per il controllo del suo cuore.
-Non posso spiegartelo. Figurati, nemmeno io ci ho capito qualcosa di quello che provo-
-E allora dimmelo, che magari ci capisco più io che tu-
-Io… non so da dove cominciare. Non capisco niente, c’è una tale confusione… Io, come per tutte le cose, mi sforzo di capire… Ma non ci riesco e sto peggio!- Non doveva lasciarsi sopraffare dalle emozioni, altrimenti avrebbe sputtanato il mito della ragazzina perfetta.
-Sai una cosa, Malfoy? Parliamone un’altra volta. È tardi- disse velocemente. Forse era meglio rimandare. Anche lui convenne che sarebbe stato meglio non rivelarle il suo segreto, così annuì. Infondo, un Purosangue non svela cose del genere ad un Mezzosangue, e peraltro la Mezzosangue che ha aiutato Potter a sconfiggere il Signore Oscuro.
-Forse, a questo punto, ci conviene fare l’autostop…-
-Cos’è?-
-Aspettiamo che qualcuno passi a prenderci e gli chiediamo un passaggio all’hotel…- Stavano quasi per mettersi sul ciglio della strada e alzare il pollice, quando un taxi fece una frenata brusca davanti a loro. La portiera si spalancò, e dall’abitacolo non uscì nientemeno che Doris Smith.
-Ginger!- urlò, arrabbiata.
Hermione boccheggiò un secondo, stupita e sollevata. Poi disse, riconoscente: -Lo so di averti fatta preoccupare, ma…-
-Non dire scemenze, non mi sono preoccupata. Mi hanno raccontato che al casinò c’era una ragazzina che portava fortuna e, quando mi sono accorta che eri tu, ho deciso di… sfruttarti un po’, ecco. Però poi sei scomparsa, una mia amica ha detto che eri salita su un autobus per l’Italia con questo tizio. Ho fatto un po’ di ricerche e alla fine ho rintracciato l’autista del pullman. Ha detto che quel giorno aveva solo fatto viaggi per la Liguria, così ho preso un taxi e guarda, eccomi qui. Se tu non fossi scappata, magari io ti avrei potuta utilizzare per vincere! Non farlo mai più! E adesso venite con me, si torna indietro-
I due si sentirono indubbiamente rincuorati da quell’improvviso ribaltamento della situazione.
Per tutto il viaggio non si scambiarono parola. Hermione stava davvero per raccontargli il suo peggior segreto? Non doveva, ma come aveva potuto anche solo accarezzare quell’idea folle? Non era riuscita a parlarne nemmeno con Madeline, figuriamoci se adesso si metteva a discutere di una tale faccenda con Malfoy! Certo, anche lui custodiva un segreto, ed Hermione era curiosissima di scoprire cosa si celasse dietro quei cambiamenti repentini. Però il prezzo da pagare per quella rivelazione era troppo alto. Meglio vivere nel dubbio che rendere il tuo nemico consapevole di una tale storiaccia intricata. Sì, meglio dimenticare tutto, tornare all’Hotel e fingere che non fosse accaduto nulla.
 
I giorni restanti trascorsero così: sia Hermione che Malfoy si vergognavano per aver esternato parte dei loro pensieri più angosciosi. Malfoy, inoltre, era quello finito peggio: non solo aveva sottinteso di possedere un segreto oscuro, ma si era anche messo a fare una tirata contro la sua onorevole famiglia, e tutto questo davanti ad una Mezzosangue. Nessuno dei due voleva più vedere l’altro: sarebbe stato oltremodo imbarazzante specchiarsi negli occhi consapevoli del proprio peggior nemico.


ANGOLO AUTRICE
Ecco qui... Ma che pessima chiusura per un capitolo! Se volete sapere il motivo di questo disastroso ritardo, vi spiego subito: mi sono persa tra le Snily...
Ci si vede al prossimo aggiornamento!

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Capitolo 6
*** Segreti svelati ***


Segreti svelati

Ed eccomi tornata! Sono in anticipo con la tabella di marcia, ma volevo finire la parte di Montecarlo il più in fretta possibile. Ecco, questo capitolo segnerà una svolta nella relazione dei due ragazzi, e da qui in poi prenderanno vita tutte le vicende che la mia mente diabolica ha già progettato per quei poveri martiri...
Dedico questo capitolo alla mia best friend Marilena


-Hermione, tesoro…-
- Mamma!-
-Tesoro, adesso ascoltami molto attentamente… La mamma ti ama, Hermione, qualunque cosa accada-
-No! No! Perché? Mamma! Mammina, ascolta…-
-Tesoro caro… Sii forte, sii forte come io non sono mai stata-
-Mammina, adesso è tutto finito, quell’uomo orribile se n’è andato, possiamo vivere insieme! Sarò buona, buonissima, solo per te!-
-Tesoro… Non marinare più la scuola… studia… Sii forte e non piangere… Non piangere… Non piangere… Mai…-
Hermione si riscosse violentemente dal sonno. Erano sette anni che sognava sempre la stessa scena, la stanza dai contorni sfumati, la donna con i capelli castani… Un po’ ci aveva fatto l’abitudine: all’inizio la ferita si riapriva, cominciava a sanguinare come la prima volta. Adesso, invece, Hermione scrollava le spalle, quasi a volersi far scivolare via quei pensieri, e si dava al lavoro.
Era l’ultimo giorno di permanenza nell’hotel, presto lei e sua nonna sarebbero tornate a casa. Il pallido sole invernale faceva capolino da dietro i palazzi, e le onde del mare giungevano pigramente alla sabbia, quasi si fossero stancate di quel continuo su e giù.
La nonna era già uscita, Hermione non sapeva come occupare il tempo restante. Se fosse andata in giro per il casinò avrebbe corso il rischio di incontrare Malfoy, ma una cosa era certa: un altro minuto ad oziare e il ricordo avrebbe nuovamente approdato alle coste della sua memoria, assalendo prepotentemente il suo cuore e piegandolo al dolore e alla malinconia.
“Basta stare con le mani in mano”- si disse. Raccolse tutto il coraggio di cui era dotata e si recò al bar dell’hotel. Qui ordinò un latte al cioccolato (il suo preferito) e poi cominciò a vagare tra i tavolini. Magari, se avesse chiesto ad un inserviente, le sarebbe stato affidato un po’ di lavoro…
Finalmente trovò una cameriera.
-Mi scusi…- chiese.
-Sì, tesoro?- rispose quella. Non c’era che dire, aveva dei dentoni da cavallo.
-Ehm… Non ho niente da fare, mi piacerebbe dare una mano- spiegò Hermione, sperando che la donna non si insospettisse per quella strana richiesta.
-Oh, tesoro! Beh, c’è sempre il mago- Alla parola “mago” Hermione sorrise leggermente.
-Il mago?-
-Quello che si esibisce in trucchi di magia la sera! Potresti fargli da assistente!- Hermione non aveva mai amato salire su un palco per fare delle buffonate, ma poteva sempre dare una mano con le preparazioni. La cameriera la condusse verso una stanzetta bianca, colma di bauli, costumi e strani giocattoli.
-Entra pure, tesoro- le intimò dolcemente la cameriera. Hermione stava per fare un passo in direzione della porta semiaperta, quando una voce sardonica e sprezzante la raggiunse da dentro la stanza: -No, senta, io non ho intenzione di umiliarmi così- No! Malfoy, evidentemente, era stato reclutato come aiutante provvisorio del mago, e al ragazzo la cosa non sembrava andare bene. Malfoy uscì dalla stanzetta come una furia, spalancò la porta con un calcio e cilindrò in pieno Hermione, che non era stata abbastanza lesta da scostarsi.
-Mezzosangue…- sussurrò, a disagio.
-Buongiorno, cotton-fioc- Hermione cercò di assumere un tono di voce calmo, non doveva lasciar trasparire la sua frustrazione. Si alzò lentamente e si spolverò la gonna.
-Voi due!- li richiamò supplicante il mago, un uomo cicciottello con i capelli rosso fiamma.
-Per favore, ragazzi, stasera ci sarà uno spettacolo e mi serve un assistente… Tu, ragazzina, ti prego!- Aveva una voce fastidiosamente acuta e lamentosa.
-Mah, io non salgo sul palco… piuttosto posso aiutarla con le preparazioni…- disse Hermione, arretrando leggermente.
-Ragazzi, lo spettacolo fallirà! Mi servono dei bambini a recitare…-
-Semplicemente perché i bambini fanno più ridere la gente?- intervenne Malfoy, serrando i pugni. Da questo Hermione capì che si stava arrabbiando, e a ragione: quel tizio era davvero irritante, quasi quanto Charles Mitchell.
-Più o meno… Ma sentite, vi posso pagare…-
-Cosa me ne faccio dei suoi luridi soldi babbani?- sbottò Malfoy, senza riflettere. Hermione spalancò gli occhi e cercò di riparare la situazione.
-I babbani non erano una tribù aborigena? Cosa stai dicendo?- e gli pestò il piede, invitandolo silenziosamente a reggerle il gioco.
-Ah, sì, lo erano… mi sono sbagliato…- ringhiò lui.
-Adesso noi andiamo!- sentenziò Hermione, e trascinò via Malfoy prima che potesse combinare qualche altro casino.
-Ma cosa ti salta in mente?!- gli chiese, una volta girato l’angolo.
-E stai un po’ zitta!- rispose lui, scocciato.
-Lo sai che potremmo essere arrestati?-
-Non c’è nessuno del Ministero qui!-
-Sì, ma… magari vale come per le magie praticate dai minori, captano le nostre voci!- disse Hermione, convinta.
-Sei una psicotica- si voltò e andò via.
 
Era sera. Hermione e sua nonna si trovavano al ristorante, di fronte allo scialbo spettacolo del mago. Alla fine si era trovato un’assistente: era una vecchia tutta acciaccata, con più verruche che capelli.
-Nonna, sul serio questa cosa ti diverte?- chiese Hermione, disgustata.
-Ma sì! Non senti tutte le battute che fanno?- rispose lei, con ovvietà.
-Cita solo cantanti per vecchi!-
-Zitta, Ginger!-
Hermione doveva andare in bagno. La scusa perfetta per abbandonare quel mortorio! I nonni di Malfoy non c’erano, naturalmente, ed Hermione si augurò di non incontrarli lungo il tragitto. Magari stavano già dormendo… Entrò nel primo bagnetto che le si presentò davanti, aprì la porta di una cabina e rispose al richiamo della natura.  Stava già uscendo quando, in contemporanea a lei, anche la porta della cabina a fianco si aprì di scatto… NO!!!!! Ma perché il mondo le destinava sempre e solo Malfoy?!
-Ancora tu?!- sbraitò lui.
-Già- rispose Hermione, di rimando. Malfoy si avventò verso la porta del bagno, ne afferrò la maniglia e poi la spinse in basso bruscamente, con inaudita violenza. La maniglia si staccò.
Erano chiusi nel bagno, e, per di più, il bagno vicino alla stanzetta del mago: nessuno li avrebbe raggiunti, o sentiti, finché quel dannatissimo spettacolo non terminava.
-Complimenti, idiota!- ruggì Hermione. Nessuno l’aveva mai chiamato idiota! Come si permetteva? Ma con la Granger era sempre stato così: mettiti contro di lei e la tua vita diverrà un Inferno.
-Chiamiamo aiuto!- Propose Hermione, che già percepiva lo stress. “EHIIIII!!! SIAMO CHIUSI QUI!” urlò. No, nessuno stava passando. “Adesso sfondo questa maledettissima porta con un calcio! Nessuno può tenermi bloccata in un bagno con Malfoy, nessuno!” pensò, con i nervi a fior di pelle. Si fiondò contro la porta e cadde a terra, dolorante.
-Ahhhh! Mia nonna si arrabbierà moltissimo se non mi trova! Non mi darà la libreria!- uggiolò.
-La libreria?!-
-Ha detto che se la accompagnavo a Montecarlo avrei avuto una libreria!-
-Psicotica- la schernì Malfoy.
-Cotton fioc-
-Non ci resta che aspettare. Che vita di merda-
-Puoi dirlo forte, Malfoy- Hermione si girò di spalle, lo stesso fece lui. I minuti seguenti furono un mix di irritazione crescente e snervante attesa, quella situazione surreale si stava trasformando in una tortura.
-Granger- fece Malfoy, ad un certo punto.
-Sì?- chiese Hermione, acida.
-Mi devi mezzo segreto- Un brivido di sconforto attraversò la schiena della ragazzina.
-Ho riflettuto, Granger: prima tentavo di evitarti, insomma, converrai anche tu che avevo delle buone motivazioni per starti alla larga, più alla larga del solito… E ho notato che anche tu mi sei stata alla larga. Chiudiamo questa storia, una volta per tutte: tu mi hai scucito mezzo segreto, mentre io di te non so ancora nulla. Salda il tuo debito e non parliamone più- Malfoy si mise la mani in tasca. Ma Hermione non poteva… Non poteva! Non con lui…
-Sei ingiusta, Granger- la riprese Malfoy, la voce raggelante.
-Facciamo una cosa, Malfoy- articolò Hermione, in un sussurro roco -Non ha senso sapere la sola metà del segreto, mi sembra inutile. Facciamo che ci diciamo tutto- Malfoy tentennò un attimo, valutando l’ipotesi.
-Granger, il mio non è un segreto sciocco-
-Nemmeno il mio-
-Credimi, è difficile parlarne-
-Anche per me-
-E allora restiamo di spalle, non guardiamoci negli occhi-
-Okay- Hermione si preparò, sperando di non essere sopraffatta dalle emozioni mentre parlava.
-Comincia tu, Granger- E va bene. Hermione prese un bel respiro è si gettò in un denso, nostalgico, turbine di ricordi.
-Io… io… mia madre… Non sono figlia… di mia madre- disse a fatica, quasi si stesse cavando quelle risposte dalla gola con una tenaglia arroventata. -Io non sono inglese, ma… ispanica. Sono nata in una favelas messicana, una di quelle baraccopoli allucinanti del terzo mondo. Poi sono stata adottata dalla mia famiglia di adesso… Maggie… Maggie si chiamava la mia mamma biologica… E credo che… sì, credo che il segreto sia finito qui- Non poteva dire tutto, non poteva! Sarebbe stato troppo doloroso!
-Granger, io credo che tu mi nasconda ancora qualcosa. Sputa il rospo, non serve a niente mentire: ci siamo spinti troppo in là- disse Malfoy, la voce stranamente, impercettibilmente ammorbidita.
-Era debole… mamma Maggie era tanto docile, sempre pronta a farsi mettere i piedi in testa… Aveva una paura assurda di ribattere, di ribellarsi alle ingiustizie che le venivano propinate quotidianamente. Il suo carattere remissivo l’ha spinta verso un pessimo matrimonio… Mio padre era un uomo cattivo, terribile, che la picchiava e le faceva del male. E lei… lo lasciava fare. Così un giorno, durante un litigio, lui l’ha picchiata di nuovo e poi… lui l’ha… lui l’ha…- Le lacrime inondarono gli occhi di Hermione come un fiume un piena, grossi goccioloni salati cominciarono a solcarle le guance, a tracciare umide scie di pianto sul suo visino contrito e arrossato. No! Non doveva piangere! Non davanti a lui! Sua madre le aveva detto di essere forte, forte come lei stessa non era mai stata, ed Hermione non poteva fallire!
Malfoy si era ammutolito. Stava piangendo. Quella Mezzosangue stava piangendo. Quella Mezzosangue era stata adottata. Quella Mezzosangue aveva subito durissimi lutti famigliari. Quella Mezzosangue era rimasta orfana di una sciagurata e di un assassino. E quella sciagurata era sua madre, quell’assassino era suo padre. Doveva consolarla? Sarebbe stata la cosa più umana da fare. Anche la Granger soffriva, soffriva eccome, e l’aver esternato quei ricordi struggenti la rendeva degna di… una pacca sulla schiena? Come comportarsi in una situazione del genere? Malfoy le si avvicinò con cautela. Hermione teneva le mani sopra gli occhi, nell’infruttuoso tentativo di nascondere le lacrime. La sua schiena era scossa da piccoli fremiti.
-Granger… stai bene?- si pentì subito di quella sciocca domanda.
-Sì… mi è andato qualcosa nell’occhio…- singhiozzò lei. Malfoy sembrava un ebete, rigido come un ciocco di legno. Era indubbio, doveva consolarla, ma non parlando: la Granger non aveva bisogno di stupide frasi fatte o di condoglianze scontate, quello che le serviva era un po’ di calore umano. E fu così che Draco decise di abbracciarla. Un abbraccio leggero, veloce, di quelli “mordi e fuggi”. Eppure sembrò durare un’eternità. Hermione si sorprese di quel gesto improvviso e inaspettato, ne rimase spiazzata, e le lacrime cessarono di uscire. Malfoy un po’ arrossì, maledicendosi per quella carnagione pallida che lasciava trasparire ogni “cambio di colore”. Hermione sembrò recuperare un po’ di coraggio e ricominciò a parlare.
-E così poi mio padre è scappato dalla porta, nessuno l’ha più ritrovato. Avevo solo quattro anni, ho visto mia madre morire. E… prima di esalare l’ultimo respiro… - la voce di Hermione usciva a stento, ma la ragazzina trattenne le lacrime -Mi ha detto di essere forte… Combattiva… di istruirmi, di essere come lei non era mai stata… perché io dovevo vivere felice… ecco perché sono diventata così… eppure, delle volte, mi pento di aver imboccato questa strada, desidero essere più frivola… sento un groppo in gola… ma poi mi pento e ritorno a studiare… insomma, sono sempre stata per il non-cambiamento: non volevo che niente, assolutamente niente, mutasse più nella mia vita. Ecco perché mi premeva di scoprire il tuo segreto, il mio piccolo mondo è così fragile che non sarebbe riuscito a viverne all’oscuro… Ma forse dovrei cambiare… smettere di soffrire, essere una bambina come le altre…- Malfoy la guardava quasi apprensivo. Ecco il segreto della Granger, la motivazione che l’aveva spinta verso tutte quelle scelte.
-Granger… ho capito, ho capito… vuoi… un fazzoletto?- doveva prendere tempo.
-Sì… grazie- Malfoy sfilò un fazzoletto di stoffa dalla tasca, uno di quelli eleganti, con i bordini ricamati.
-Granger, lascia che ti dica quello che penso: non cambiare. Tu non sei un’altra oca starnazzante nel recinto delle oche starnazzanti, un’altra pecora ingenua che segue il branco: no, tu sei diversa, ma in senso positivo. Non è affatto male questa tua forza di volontà, questo ardore che metti nello studio, questa grinta che sfrutti per battere tutti. Il punto è che ci vuole moderazione: non cambiare, basta che aggiungi alla “scheda madre” un po’ di stupidaggini da bambini. A te piace davvero studiare, non lo fai solo per rispettare la tua promessa, sei venuta qui per una libreria! Ci sta bene un po’ di aggressività, dico io. Trova il tuo equilibrio e convivi con entrambi i lati- Malfoy prese a stritolarsi i bordi della felpa, quelle parole di conforto gli erano costate una gran fatica.
-Ma… alla gente non piace quello che sono… certo, sì, Harry, Ron e Madeline mi apprezzano, ma… gli altri mi ritengono una seccatura-
-E’ perché gli altri sono degli emeriti idioti. Segui il mio consiglio: non cambiare i tuoi tratti, trova un equilibrio- Wow. Malfoy le aveva appena risolto un grande cruccio: dette da lui, quelle parole valevano per mille! Allora davvero Hermione non era male, anzi! Le sue parole l’avevano riempita di una nuova grinta, di una nuova gioia di vivere! Già, lei non era come le altre ragazzine stupide, e non ci sarebbe stato motivo di diventarlo. Bastava darsi una calmata e non mettere da parte tutti i divertimenti!
-Hai ragione…-
-Certo che ho ragione! Stai tranquilla!- Per la prima volta in tutta la sua vita, Hermione gli fu immensamente grata.
-E… il tuo segreto?- Malfoy si rabbuiò.
-Già… e va bene-
-Mi giro di spalle?-
-Ehm… sì- Era il suo turno. Sarebbe stato facile: tutte le “frontiere” erano già state abbattute dal segreto della Granger. Malfoy aveva strada spianata.
-Io, un tempo, avevo una sorella. Si chiamava Selene, era più grande di me di dieci anni. E voleva tanto, tanto essere una Mangiamorte. Sai cosa sono i Mangiamorte, vero?- Hermione rabbrividì. Si era aspettata che la famiglia di Malfoy rientrasse nella cerchia del Signore Oscuro, e sentirne la conferma la mise a disagio.
-Lo so-
-Okay. Il Signore Oscuro si trovava all’apice della sua potenza, il tuo amico Potter non era ancora riuscito a sconfiggerlo. Ma Selene questo non l’ha mai saputo: è morta quando avevo cinque anni, e anche per una causa stupida. Credo che uno dei suoi incantesimi di magia oscura le sia rimbalzato contro. I miei genitori hanno sofferto molto, rivestivano grandi aspettative in Selene. E così hanno voluto farmi diventare un Mangiamorte. Io, all’inizio, visto che il Signore Oscuro era ancora in circolazione, ho accettato. E poi, l’hanno scorso, Potter l’ha sconfitto. Tu mi dirai “Beh, problema risolto, niente più tu-sai-chi”. E invece no: i suoi seguaci adesso vogliono seguirne le orme e sottomettere sia il mondo babbano che quello magico, indipendentemente dal fatto che il Signore Oscuro non li guidi più. Hanno troppa smania di potere… Io mi sono accorto che sarebbe stata una cosa stupida, non volevo diventare un Mangiamorte, non dopo che il Signore Oscuro aveva smesso di minacciare la mia famiglia. Ma i miei genitori non l’hanno accettato. Per loro sono una delusione, uno smidollato senza il fegato di accettare le proprie origini. Ecco perché hanno iniziato a trattarmi freddamente, a non volermi più bene. E io, per vendetta, mi sono messo a comportarmi male a scuola. Così, tanto per dargli qualche grana. Ecco tutto- Hermione era sconvolta. Davvero i Mangiamorte volevano sferrare un nuovo attacco al mondo magico? Ma no, adesso doveva preoccuparsi della situazione famigliare di Malfoy.
-Malfoy- iniziò Hermione, scandendo bene le parole e assumendo il cipiglio più serio di cui fosse dotata -Ho visto quando tuo padre ti ha dato uno schiaffo, il primo giorno di scuola, e ho sentito tua madre che ti sgridava. Ho avuto l’impressione che la tua famiglia fosse fredda. Tuo padre ha smesso di parlarti e tua madre non ha fatto altro che urlarti addosso, ma, credimi, esistono bambini molto meno amati. Pensaci bene: se ai tuoi genitori non fregasse nulla di te, allora avrebbero smesso di incaponirsi sulla questione Mangiamorte e si sarebbero trovati un altro erede, magari tra i cugini, trascurandoti completamente. Avrebbero detto “E vabbè, Draco è una delusione, lasciamolo fare”. Ma no. Loro, anche se nel modo più sbagliato, cercano di condurti sui loro passi, su quella che ritengono sia la “strada giusta”: questo vuol dire che ci tengono a te- Hermione non poteva vedere l’espressione di Malfoy, ma indovinò comunque lo sguardo sorpreso e allibito che gli illuminava il volto.
-Malfoy, non pensare che i tuoi genitori non ti vogliano bene: te ne vogliono eccome. Ma tu hai mai provato a spiegare loro quello che provi, a dirgli “vi voglio bene, ma, per favore, non costringetemi ad essere un Mangiamorte”? Fagli sapere che li ami, non continuare una lotta di ripicche e di silenzi. Vedrai che capiranno e che torneranno ad amarti come prima-
-Ma no… e se loro non accettassero? E se mi ripudiassero? E se la mia vita dovesse cambiare radicalmente?-
-Potrebbe anche cambiare in meglio, non credi? Tu parlagli, di loro come la pensi. Il resto verrà da sé. Secondo me, i tuoi genitori riprenderanno ad amarti e accetteranno la tua scelta. In caso contrario, te ne farai una ragione e vivrai lontano da quelli, se posso dirlo, scervellati: tu sei il migliore della tua intera famiglia, l’unico che ha avuto il coraggio di ribellarsi alle tradizioni e di fare la scelta giusta. Sì, la scelta giusta, Malfoy, e io per questo ti stimo molto- Silenzio. Un silenzio carico di stupore.
CLAC. La porta si aprì.
-State bene, ragazzi?- chiese la cameriera con i denti da cavallo.
-Sì!- disse Hermione, che mai era stata meglio in vita sua. Si sentiva libera, a suo agio con se stessa. I due ragazzini uscirono dal bagno, ma, prima di salire ciascuno nel proprio appartamento, si sussurrarono: “Grazie”.

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Capitolo 7
*** Mai fidarsi dei vasi ***


Mai fidarsi dei vasi

Allora, ma da quanto è che non aggiorno? Sarà già un mese. Mi scuso per il ritardo con cui aggiungo questo capitolo, ma mi mancava l'ispirazione... Mi sono fatta una promessa: portare a termine questa storia. Vi giuro che, mancanza di ispirazione dopo mancanza di ispirazione, arriveremo all'ultimo capitolo.
L'ho riletto un po' di volte e devo confessarvi di esserne abbastanza soddisfatta.
Vi lascio un'altra informazione: vi sarete chiesti perchè il rating è giallo o perchè nei generi c'è scritto anche "triste". Beh, per quello dovete aspettare: ho deciso di adattare lo stile di scrittura all'età dei protagonisti, e, dato che Hermione è ancora una ragazzina con linguaggio e avventure puliti, non posso ancora sbandierarvi tutta la mia trama contorta... Ciao! 


-Jane, c’è tuo marito che ti guarda- la informò Madeline, ghignando malevolmente. “Tuo marito”, ecco come chiamava Charles Mitchell, quella tediosa creatura con i capelli color caghetta e la voce più fastidiosa del mondo.
-Ahhh, ma smettila!- Hermione, stanca di sentire quelle stupidaggini, afferrò il suo piatto e andò a sedersi in mezzo a Harry e Ron. Erano tornati a scuola da appena un mese, ed Hermione doveva ammettere di non essersi più sentita male da quando aveva parlato con Malfoy.
A cena terminata, il trio si avviò verso la sala comune dei Grifondoro. Stavano quasi per imboccare una rampa di scale quando davanti a loro si schierarono Tiger, Goyle e, immancabilmente, Malfoy. Non si erano più parlati da quel “grazie” sussurrato a malapena.
-Ma vi spostate?- chiese Ron, spazientito.
-Volevamo dirvi che la vostra squadra di Quiddich fa pena- li schernì Goyle, i doppi menti che tremolavano ad ogni parola.
-Lo vedremo alla partita!- ribatté Harry, un lampo di orgoglio balenò nei suoi occhi smeraldini. Hermione non si curava di quelle loro ciance: voleva parlare con Malfoy. Desiderava tanto sapere se, alla fine, la situazione con i suoi genitori era migliorata. Cavolo, era passato un mese dall’ultima volta che avevano scambiato due frasi! Però sarebbe sembrato troppo strano appartarsi con lui…
C’erano stati dei miglioramenti: Malfoy era tornato in mezzo al vecchio gruppo di amici. Certo, aveva
ripreso a tormentare i Grifondoro, ma questo era simbolo indiscutibile della sua guarigione.
-Andiamocene- ordinò Malfoy -Non riesco più a sopportare le facce dello Sfregiato e di Lenticchia-
Harry e Ron, abituati a quelle offese, concentrarono i loro sguardi su Hermione.
-Hermione… è un mese intero che Malfoy non ti insulta più… perchè?- chiese Ron, stupito.
-Mmmm? Ah, boh- Hermione era rimasta piacevolmente sorpresa da quel cambiamento, ma non voleva darlo a vedere.
Aveva inoltre deciso di non raccontare a nessuno quello che era successo a Montecarlo: quei segreti appartenevano solo a lei e a Malfoy, e non c’era bisogno di parlarne con gli altri.
 
Il giorno dopo, puntuale come il mal di denti, si sarebbe tenuta la lezione di Allock. I Grifondoro condividevano l’aula con i Serpeverde, e questo solitamente creava delle “risse”, per quanto fosse possibile. Malfoy non indispettiva più il professore, ma, anzi, destinava tutte le sue insolenze solo e unicamente ai compagni. Ah, che bellezza! Evidentemente le cose erano andate per il meglio! Certo, sapere che i Mangiamorte stavano pianificando nuovi attacchi era un pensiero angoscioso, ma Hermione se ne sarebbe occupata presto. Bastava che lei raccontasse tutto a Silente, nessuno avrebbe sospettato di Draco.
I ragazzi entrarono in classe e notarono un nuovo oggetto: era un grande vaso con decorazioni rosse e nere, incredibilmente elegante.
-Ah, avete notato il vaso che ho vinto alla competizione per il mago più bello di sempre…- si pavoneggiò Allock, oltremodo orgoglioso del suo trofeo. Mentre gli studenti prendevano posto, lui continuò la spiegazione.
-Questo non è un vaso normale. Ovvero, tecnicamente lo è, ma per me ha un valore inestimabile- I suoi occhi si colorarono di una luce folle -Già, miei cari studenti, non so cosa potrei fare se questo vaso si rompesse… Credo che… sì… sarei capace di strozzare il colpevole… di diventare perfino più cattivo di Gazza, se questo vaso si rompesse… Pregate, pregate che non si rompa mai…- Le parole di Allock si persero in un sussurro, lasciando la classe quanto mai intimorita e inquietata. Allock sembrava fuori di testa per quel vaso, quasi fosse stata la cosa più importante del mondo. Ci teneva in modo maniacale, e io, per chiarirvi le idee, vi dirò perché: nella mia fanfiction Allock non si è macchiato di crimini contro altri maghi o di frodi di alcun genere. È solo un sempliciotto senza arte né parte, assunto per compassione. La gara di bellezza era stata la prima, primissima competizione vinta in vita sua, e Allock ne andava incredibilmente fiero. Quel vaso rappresentava tutto ciò che di maggiore aveva fatto in assoluto.
-Ma lasciamo perdere e iniziamo la lezione vera- riprese Allock, la voce melliflua e solenne -oggi vi mostrerò delle bestie orripilanti. Bestie che io, come ben saprete, ho affrontato un sacco di volte. Ciononostante per voi studenti i Pizzicorni, così si chiamano, possono rappresentare un gran pericolo. Ecco perché vi chiedo di non spaventarvi!- gli studenti, abituati alle esagerazioni di Allock, cominciarono a ridacchiare. Il professore indicò una gabbia situata vicino alla cattedra. Era coperta da un lenzuolo, in modo da aumentare il pathos degli studenti (che erano più divertiti che trepidanti).
-Perché ridete? Dovreste tremare di terrore!- Allok afferrò il lenzuolo e lo tirò lontano, con un gesto teatrale. Nella gabbia c’erano tanti esserini color melma, intenti darsi fiacche spallate. Erano la cosa più scialba che Hermione avesse mai visto.
-Ebbene, queste creaturine, note come Pizzicorni, possono essere incredibilmente diaboliche- spiegò Allock, cercando di rianimare l’”entusiasmo” degli studenti.
-Ma sono ridicoli!- esclamò Pansy Parkinson.
-Affatto!-
-E allora ci dica, cos’è che farebbero di speciale?- Allock arrossì un goccio, minimamente imbarazzato per la spiegazione che avrebbe dovuto dare.
-Loro… fanno molti escrementi- Nella classe si diffuse un boato di risate. Alcuni degli studenti iniziarono a battere i pugni sul tavolo, mentre altri, i più euforici, si rotolarono a terra. Hermione era combattuta: da un lato avrebbe voluto zittirli tutti, ma dall’altro… sentiva la risata che le raschiava la gola.
Il punto è che ci vuole moderazione: non cambiare, basta che aggiungi alla “scheda madre” un po’ di stupidaggini da bambini.
Forse aveva ragione… forse doveva essere più equilibrata… Comportarsi come una normale ragazzina non sarebbe stato tanto difficile… Forse le avrebbe fatto bene ridere un po’… E così rise. Si ritrovò a guardare nella direzione di Malfoy. Aveva bisogno della sua approvazione, del suo assenso, del suo… orgoglio? Perché tutt’a un tratto le importava quello che pensava Malfoy? Forse perché lui era stato il primo ad aprirle gli occhi, a fornirle il biglietto per la pace interiore.
E così lo guardò negli occhi…. E lui ricambiò. Fu uno sguardo intenso, di un silenzio rumoroso, insomma, qualcosa che rimase marchiato nei loro cuori. Hermione rideva e rideva, non riusciva a controllarsi, sprizzava gioia da tutti i pori. Malfoy, influenzato dalla sua euforia, cominciò a ridere anche lui… Era davvero soddisfatto, e parlo della soddisfazione di un padre. Ma loro erano questo: erano tutto. Un padre e una madre, un amico e un’amica… Beh, resterebbero altri due ruoli da citare… Ma diamo tempo al tempo, miei cari e mie care.
-Ma calmatevi…- mormorò Allock, decisamente inadatto a gestire una classe di ragazzini. Alla fine optò per la decisione più complicata: proseguire la lezione.
-I Pizzicorni producono molti escrementi, ed è questa la cosa che li rende potenzialmente letali… Una volta che si sono svuotati, rimangono fiacchi e mosci… Per favore… Signor Thomas… Signor Zabini… non rotolatevi per terra… E’ la verità… moderi i termini, signorina Bulstrode!- La lezione proseguì così, tra risate incontenibili e timidi tentativi di ristabilire l’ordine. Il tempo era scandito dai Pizzicorni: ogni minuto che passava loro diventavano più scalmanati. Evidentemente si stavano di nuovo “riempiendo”, e il trambusto creatosi in aula li stava aizzando. Allock, privo di cognizione, prese la folle scelta di aprire la gabbia: anche lui riscuoteva uno stipendio, e, per dimostrare di aver svolto il suo lavoro, doveva lasciare qualche segno… puzzolente. Il preside non era stupido, anzi, e si sarebbe stupito nel vedere che l’aula era linda e pinta.
I Pizzicorni iniziarono a svolazzare per l’aula, sempre più sfrenati e turbolenti, e… dobbiamo dirlo, iniziarono a… dare di corpo. Pansy Parkinson fu la prima ad essere colpita. Il suo urlo stizzito richiamò l’attenzione di tutta la classe, che, dopo un primo momento di meraviglia, cominciò ad essere colpita anche lei. I ragazzi si nascosero sotto i banchi, disgustati, mentre l’aula si faceva sempre più sporca. Allock, terribilmente in ansia per il vaso, si fiondò nella sua direzione, proteggendo il beneamato trofeo con tutto il corpo. Avrebbe dato un occhio per quel vaso…
I Pizzicorni parevano proiettili in perenne volo, tanto che i “ricordini” venivano sganciati dall’alto. La lezione fu un qualcosa di tragico, esilarante vista da fuori, ma drammatica se vissuta. La campanella fu accolta come una liberatrice: gli studenti si precipitarono fuori dalla classe, intenzionati a non mettervi mai più piede, mentre il professore, completamente inzaccherato, tentò di riacchiappare i Pizzicorni. Fu abbastanza semplice: quelle sporche creaturine si erano svuotate, e, piano piano, stavano tornando al solito stato di fiacchezza. In tutti i casi, l’aula restava un disastro. Allock si era lasciato sfuggire la situazione di mano, e, completamente succube della follia pizzicorniana, aveva subito quella disastrosa ora di defecazioni. Qualcuno doveva pur pulire… Il preside non sarebbe stato affatto felice, anzi… Con un caos del genere l’avrebbe licenziato su due piedi.
Hermione e Malfoy stavano uscendo per ultimi, e così il professore, deciso a non imbrattarsi ancora di più, ebbe un’idea brillante (brillante per noi popolo dramionesco): -Granger… Malfoy… Venite qui a mettere tutto in ordine- la cosa suonò incredibilmente ingiusta, tanto che Malfoy si ribellò subito.
-Ma no, le ha dato di volta il cervello?, è tutta colpa sua, non ci penso nemmeno a ripulire!- Allock sospirò, esasperato.
-Vi prego… Vi aumenterò i voti…- li supplicò, i lucciconi agli occhi. Malfoy, dal vero stronzetto che conosciamo, fece spallucce e si avviò verso l’uscita. Anche la nostra protagonista imputava ad Allock tutto quel disastro, ma non poté restare indifferente alle implorazioni del professore. L’Hermione diligente era ancora viva e vegeta, e nulla avrebbe potuto attrarla più dei buoni voti.
-Io ci sto-
-Ti servirà una mano…- Allock tirò su col naso.
-Posso chiedere a Ron-
-Sì, ma… tutta la classe è già scappata… di Weasley non c’è più nemmeno l’ombra…-
-Oh… resta ancora Malfoy- constatò Hermione, amareggiata. I due ragazzini, nonostante avessero condiviso i loro peggiori segreti, erano ancora legati dalla vecchia rivalità: nulla li accomunava meglio di un bel litigio!. I lori caratteri forti erano inevitabilmente destinati a scontrarsi, complice la cocciutaggine che mettevano in tutte le cose. Insomma, sarebbero sempre stati un bisticcio ambulante.
-Io non ci penso nemmeno, Granger. Pulisci da sola-
-Ma signor Malfoy… Lei ha dei pessimi voti in tutte le materie… esce da una fase trasgressiva… è sull’orlo della bocciatura… le farebbe bene qualche buon voto- Malfoy rabbrividì: la prospettiva di una bocciatura non gli piaceva affatto. Perdere l’anno, gli amici e il rispetto gli avrebbe dispiaciuto assai… Borbottò qualcosa di incomprensibile, e poi, dopo aver elargito una smorfia seccata, assentì.
-Bene… Bravi, ragazzi- Allock batté le mani, simile ad un neonato compiaciuto. Schioccò le dita e davanti ai due studenti comparvero stracci, secchi e detersivi.
-C-cosa?- balbettò Malfoy, totalmente scombussolato.
-Non potete pulire con la magia, ragazzi: niente incantesimi fuori dall’orario scolastico-
-Ma lei è uno s- Hermione, lesta, gli parò una mano davanti alla bocca. Non fosse mai che Malfoy le impedisse di accaparrarsi qualche buon voto!
-Bravi, ragazzi… Ma ricordatevi una cosa: fate attenzione al mio vaso. Giuro sulla mia stessa vita che vi faccio espellere, se quel vaso si rovina. Sono stato chiaro?- chiese, minaccioso. Hermione si sentì rabbrividire, agghiacciata da quell’improvviso cambiamento di toni. Cavolo, ci avrebbe messo una mano sul fuoco: dal volto di Allock, la minaccia dell’espulsione non sembrava affatto un’esagerazione.
Allock uscì dall’aula, lasciando i ragazzini soli… con il vaso.
-Forza, Malfoy- Hermione aveva già afferrato secchi, acqua e detersivo.
-Forza cosa? Fai tu- Malfoy si sedette su un banco, un’insopportabile aria di strafottenza stampata in faccia.
-Cosa? Non è giusto! Tu prenderai buoni voti senza aver fatto niente! Sei totalmente scorretto! Non ci sto! Sei uno scansafatiche! Perché dovrei fare tutto io?- gli chiese Hermione, furente.
-Perché uno, io non ho mai usato un detersivo in vita mia. Due, non ne ho la minima voglia. Tre, sei tu la donna qui-
-E questo cosa diamine c’entra?- Hermione poggiò le mani sui fianchi, con fare imperioso.
-C’entra appunto che sei una donna, e le donne puliscono. Gli uomini sanno bene cos’è una donna- rispose lui, con aria ovvia e saputa.
-Ah sì? E allora cos’è una donna, Malfoy?- ringhiò Hermione, i denti digrignati e gli occhi ridotti ad una fessura.
-Le donne…- Malfoy sospirò, atteggiandosi come un vecchio e saggio marinaio -Le donne sono piacevoli oggetti destinati al divertimento di noi uomini. A parte te: tu parli troppo, Granger- Hermione boccheggiò per qualche secondo, completamente sconvolta. Quel porco… quel maiale… come si era permesso di affermare una tale assurdità?! Hermione voleva cavargli gli occhi, sì, diamine, sarebbe stata soddisfatta solo quando Malfoy l’avesse implorata di smettere. Afferrò uno straccio già lercio e rigido di suo, poi, con occhi assatanati, lo appallottolò ben bene su se stesso, in modo da renderlo il più duro e compatto possibile. Una volta che ebbe creato il proiettile perfetto, lo lanciò nella direzione di Malfoy, decisa a fargli male. Cacchio, se sarebbe stato divertente! Sarebbe stata la cosa più divertente che avesse mai fatto. Peccato che Malfoy, la vista di un’aquila, si fosse schivato appena in tempo da evitare lo straccio… che andò a sbattere contro il vaso di Allock. Il trofeo cadde dal piedistallo su cui era poggiato, cadendo rovinosamente a terra e frantumandosi in mille pezzi. Hermione mandò un grido, e Malfoy, lungi dal sentirsi rilassato, corse nella direzione dell’incidente.
-Oh merda! Merda!- esclamò lei, in preda al panico.
-Sei una totale imbecille, Granger! Guarda cos'ha provocato il tuo fottuto straccio!- le imputò, cercando di dissociarsi da quel casino.
-Cosa? Non giocare allo scarica barile con me, Malfoy! È anche colpa tua, sei tu che mi hai fatta arrabbiare!-
-Sì, ma sei tu che hai lanciato lo straccio!-
-Volevo colpire te, non il vaso!-
-E invece hai colpito proprio il vaso!-
-Smettila di… cavoleggiare!-
-Si dice “cazzeggiare”, Granger-
-E chissenefrega!- Hermione cominciò a stropicciarsi gli occhi. Doveva pensare a qualcosa…
Hermione afferrò due piccoli cocci e cercò di unirli insieme. Vedendo che, chiaramente, la cosa non funzionava, iniziò a svalvolare.
-E calmati! È solo un vaso merdoso- disse Malfoy, che cercava di tranquillizzare più se stesso che Hermione.
-E’ il vaso merdoso, Malfoy, e noi l’abbiamo appena rotto!-
-Smettila di urlare, vuoi farci sentire da tutta la scuola?-
-Prima o poi lo verranno a sapere!-
-Ripariamolo con una magia!- Hermione accolse con entusiasmo quell’idea. Afferrò la sua bacchetta e richiamò alla memoria tutti gli incantesimi riparatori.
-Mmmmm… Impermissum Prohibere! Reparo!- Le magie andavano a vuoto, e il vaso restava tale e quale com’era.
-Perché non va?- piagnucolò Hermione.
-E smettila di lagnarti! Probabilmente i giudici di quel maledetto concorso l’anno stregato, sai, per evitare che potessero venire creati doppioni. Bisognava prevenire qualsiasi tipo di falsificazione, e così avranno reso il vaso impermeabile ad ogni forma di magia… inclusa quella riparatrice- Hermione si mise le mani nei capelli, mentre Malfoy, frustato anche lui, prese a stringere i pugni e a sibilare bestemmie.
-Granger, non ho idea di cosa fare…-
-Zitto!- esclamò Hermione, tutt’un tratto: le era venuta un’idea, e aveva bisogno del silenzio più totale per formularla appieno. Quel suo cervellino valeva tutti i soldi del mondo!
-Okay, ho pensato ad un piano. Allock non tornerà in quest’aula prima di lunedì, dato che oggi è venerdì, e questo significa una cosa: abbiamo tanto tempo prima che la verità venga a galla. Dobbiamo solo procurarci un vaso simile e metterlo al posto di quello vecchio. Non credo che se ne accorgerà, soprattutto se ritocchiamo le disuguaglianze con la magia-
-Bella idea, ma… dove lo troviamo un vaso simile? Dovremmo uscire da Hogwarts, lo sai- Hermione si morse un labbro, rendendosi conto che il suo piano non stava in piedi: non potevano uscire da Hogwarts, altrimenti rischiavano l’espulsione!
-Allora non lo so… non mi viene in mente nient’altro…-
-Ma cosa diavolo dici? Era un ottimo piano! Infrangiamo le regole- Suggerì Malfoy, convinto ed entusiasta.
-Sei impazzito?! Ci espelleranno!-
-Non se non ci facciamo scoprire- Malfoy sembrava alquanto sicuro di sé.
-No, no, no…-
-Granger, non ti ricordi? Moderazione. Smettila di fare il cazzo di robot invasato e aiutami!- Hermione sbuffò, rendendosi conto che l’infrangere le regole era inevitabile.
-Il fine giustifica lo scopo, Granger-
-I mezzi, Malfoy- Lo rimbeccò Hermione, che già si sentiva nervosa.
-Sì, qualunque cosa dica quel proverbio babbano… Allora, non perdiamo tempo: usciremo questa stessa notte. Blaze conosce un passaggio segreto che porta da Hogwarts a Hogsmeade: lì troveremo di sicuro qualche bottega di vasi artigianali-
-Un passaggio segreto?- chiese Hermione, sia corrucciata che allibita.
-Esatto… Ma tu promettimi che non spiffererai niente ai prefetti- Malfoy la guardò fisso negli occhi, e, quando i loro sguardi si incrociarono, Hermione sentì un brivido attraversarle la schiena. Però no… non era un brivido… era una scarica elettrica.
-No…-                                                                                                                                                                               
-Bene. A metà del corridoio del terzo piano si trova la statua di una strega orba… Bisogna colpirla tre volte con la bacchetta e poi dire “Dissendium”. A quel punto si aprirà una lunga galleria che porta dritta dritta al retrobottega di Mielandia. Lì i negozi chiudono tutti a Mezzanotte, e quindi noi avremo abbastanza tempo per portare a termine la nostra missione. Poi tu farai un incantesimo di rimpicciolimento e ci metteremo il vaso nella tasca. Metteremo tutto a posto il giorno dopo- Hermione era meravigliata: Malfoy si stava dimostrando più pratico e sveglio di quanto Hermione potesse credere. Sì, il suo piano non faceva una piega.
-Va bene… quando ci incontriamo?-                  
-Stanotte, quando i Prefetti Serpeverde fanno la ronda. Loro… ehm… mi devono un favore, e chiuderanno un occhio su ogni nostra infrazione- I ragionamenti di Malfoy erano così veloci, solidi…
-Che ora?-
-Alle undici e mezza, vediamoci davanti alla Sala Comune dei Serpeverde- Malfoy toccò i cocci del vaso con la bacchetta, e quelli, velocemente, scomparvero. Meglio così: non dovevano lasciare tracce.
Hermione finì di pulire l’aula di Magia Oscura il più in fretta possibile, sentendosi già sporca di delitto. Il punto però era un altro: l’anno precedente aveva infranto un sacco di volte il coprifuoco, ma quello era stato con Harry e Ron. Adesso si trattava di incontrare Malfoy all’una di notte, senza niente, niente, che potesse nasconderli. E se per caso qualche Grifondoro li avesse visti? Meglio non pensarci.
Hermione decise di non raccontare niente a Harry e Ron: loro mal sopportavano Malfoy, e nulla li avrebbe turbati più di quella terribile e stravagante notizia. Si astenne dal conversare con loro tutto il giorno, troppo addolorata dal dover raccontare una bugia dopo l’altra. Malfoy, invece, sembrava un mago delle frottole: mentiva e mentiva, facendo credere a tutti che quella sera non avrebbe fatto nulla di speciale.
 
Le undici e mezza arrivarono anche troppo velocemente. Hermione si alzò dal letto, ancora avvolta nella sua camicia da notte, e prelevò dal suo armadio il cappotto più caldo e comodo che possedeva. Si vestì in religioso silenzio, temendo che le sue compagne avessero potuto vederla. Cavolo, le sarebbe piaciuto raccontare qualcosa a Madeline, ma lei non si era fatta vedere tutto il giorno… Era sola, completamente sola, e stava andando all’appuntamento di Malfoy. No, non usiamo questo termine: appuntamento. Hermione provò il voltastomaco nel sentire quella parola.
Percorse corridoi e scale in punta di piedi, sentendosi avvolgere dal manto freddo e tenebroso del buoi. I sotterranei aggiungevano quel pizzico in più di inquietante mistero, e Hermione desiderò come non mai di trovarsi ancora nel suo letto. La bacchetta gettava una debole luce su pavimenti, mobili e pareti, facendo assumere loro forme quasi grottesche.
Eccola, la Sala Comune dei Serpeverde. Hermione era in anticipo (come sempre) e aspettò qualche minuto prima che Malfoy si presentasse.
-Malfoy, sei in ritardo- lo rimbeccò lei.
-Io non sono in ritardo, sono gli altri ad essere in anticipo- rispose lui, sicuro, lasciandola di sasso. Eh sì, quel ragazzino era un suo degno rivale.
-Senti, Malfoy, non fare l’idiota-
-Non faccio l’idiota, ma tu, Granger, vedi di lasciarmi stare-
-Cavolo, ma lo capisci che io non voglio grane?! Facciamo che per questa notte tu devi fare tutto quello che ti dico io-
-E’ così che inizia la maggior parte dei film porno-
-Chiudi quella bocca e muoviamoci!-
Camminarono in silenzio fino al terzo piano, contenendo anche il respiro. Malfoy non sembrava agitato, ma Hermione, che era diventata stranamente abile nel riconoscere il suo stato d’animo, capì che in lui si agitava una grande apprensione. Perché non voleva mostrarsi spaventato? Fare il “fico” era davvero così divertente?
-Eccoci- sussurrò Malfoy, puntando la bacchetta contro la statua della strega.
-Dissendium- A quella formula magica, la parete cominciò a tremare. Dietro la statua si aprì un piccolo spazio, accessibile solo alle persone esili.
-Menomale che non mi sono portato Tiger- bofonchiò Malfoy. Hermione trattenne una risatina isterica. I due entrarono nel tunnel, e, non appena ebbero compiuto i primi passi in avanti, la parete si richiuse automaticamente.
I passi dei ragazzi rimbombavano, minacciosi, in quello stretto e angusto spazio. Faceva abbastanza freddo, ma i due, tesi com’erano, sentivano solo il rumore della loro ansia.
-Siamo quasi arrivati, Malfoy?- chiese Hermione.
-Sì, quasi-
-Volevo chiederti una cosa…- Hermione non riusciva più a trattenersi, e, complice la curiosità tipica dei bambini, si sentì in dovere di fare quella domanda.
-Che cosa?-
-Con i tuoi genitori… è andato tutto a posto?- Malfoy aspettò qualche secondo prima di rispondere, e Hermione temette che la situazione fosse peggiorata ancora.
-Sì… tutto bene- rispose lui, asciutto.
-Bene…- Hermione era incredibilmente sollevata.
-Loro mi hanno parlato… e mi hanno detto che mi vogliono bene perché sono il loro bambino… cioè, ti rendi conto che cosa mielosa?- Malfoy cercò di riprendere il solito contegno duro e menefreghista, simulare le emozioni era la sua specialità. Hermione si ritrovò a sorridere: era sinceramente felice di quel cambiamento.
-Quindi… gli hai parlato? Gli hai detto che gli volevi bene?-
-Gli ho parlato- Perché sviava tutti i temi più zuccherosi?
-E gli hai detto che gli volevi bene?-
-Sì- pronunciò lui, a denti stretti.
-Bravo Malfoy!- si complimentò Hermione.
-E tu… ti sei ancora sentita... male?-
-No, credo di aver trovato me stessa- I ragazzini camminarono in una nuova armonia.
-E… Malfoy? Cosa pensi di fare con i seguaci di tu-sai-chi? Dobbiamo sventare il loro complotto, lo sai benissimo- Hermione era decisa ad estirpare ogni forma di male.
-I miei hanno detto che, per adesso, in molti si sono rifiutati. Non credo che troveranno abbastanza ex-seguaci da riformare il loro esercito… In tutti i casi bisogna tenersi in guardia- Hermione sorrise. Malfoy era, sotto sotto, sotto sotto, sotto sotto sotto sotto sotto, un ragazzo degno di stima.
-Parliamo con Silente?-
-Va bene… ho solo paura di una cosa-
-Cosa?-
-Che mio padre venga a scoprire che sono stato io a fare la spia-
-Non credo…- A Hermione sarebbe dispiaciuto molto. Teneva realmente alla famiglia Malfoy, e non voleva che il loro rapporto si incrinasse di nuovo.
-I tuoi genitori vogliono riformare l’esercito? E’ il loro maggior desiderio?-
-Sono volubili. Adesso che hanno bene in mente i pericoli che correrebbero, quel folle sogno li ha già abbandonati. È quello che succede alla maggior parte dei Mangiamorte, ecco perché ti dicevo che non c’era da preoccuparsi. L’importante è che mio padre non venga designato come il loro capo, perché, in buona fede, ti assicuro che è l’ultima delle sue intenzioni-
-E va bene. Hai fatto la cosa giusta, bravo- Hermione sentì il bisogno di fargli un complimento, di mostrargli tutta la sua ammirazione. Malfoy era coraggioso.
-Non mi serve la tua adulazione, Granger- le rispose Malfoy, sprezzante. Hermione cercò di non esplodere in un mare di insulti.
Videro che in fondo al tunnel risplendeva una luce calda.
-Siamo arrivati?-
-Sì- I ragazzini sgusciarono nel retrobottega, e, cercando di dare meno nell’occhio possibile, uscirono in strada.
-Siamo due ninja!- esplose Hermione, con i nervi al massimo della tensione. È risaputo che, dopo un momento di grande ansietà, si prova un desiderio immane di sfogare tutta l’adrenalina accumulata. Hermione, senza un motivo preciso, scoppiò in una risatina isterica. Era così incredibilmente sollevata!
-Cosa ridi, Granger?- Hermione continuò a ridere, incurante di quella domanda. Il cipiglio interrogativo di Malfoy incrementò la sua risata, rendendola ancora più euforica.
Anche Malfoy sentiva il desiderio di sfogarsi, e così, aizzato da Hermione, iniziò a ridere anche lui. Era una risata sciocca, incontenibile, che attirò gli sguardi di parecchi passanti. Non appena il primo eccesso di risa si fu placato, Hermione riacchiappò la solita razionalità.
-Andiamo a cercare un negozio di vasi- Malfoy assentì con un cenno del capo.
-Chiediamo informazioni a qualcuno- Hermione si avvicinò ad una vecchia strega capellona.
-Mi scusi, sa per caso se qui c’è una bottega di vasi? Sa… vorrei fare un regalo… a mia madre- Hermione cercò di essere convincente, e forse ci riuscì anche troppo.
-Ma dove sono i vostri genitori, bambini? Vi siete persi? È tardi e fa freddo- La vecchia non aveva tutti i torti: senza le uniformi Hermione e Malfoy dovevano essere parsi due comuni bambini.
-No, no, va tutto bene… Un negozio di vasi?-
-Sicuri che non volete aiuto? Dai, vi do una mano a cercare i vostri genitori. Come sono fatti?- Com’era invadente!
-Dobbiamo andarcene- sussurrò Malfoy.
-Ma come? Questa ci sorveglia-
-Mmmm… Tu segui quello che faccio io- Hermione inizialmente rimase un po’ confusa, ma, quando Malfoy distrasse la vecchia indicando un negozio a caso, la ragazzina non ebbe più dubbi: bisognava correre.
Malfoy si girò di scatto e, senza che la vecchia riuscisse a capire bene quello che stava succedendo, lui e Hermione scapparono via. Quella situazione esilarante, l’adrenalina, il brivido, tutto, insomma, innescarono la risata più dannatamente incontrollabile che Hermione avesse mai fatto. Era una situazione al limiti del normale: lei e Malfoy che scappavano da una vecchia a Hogsmeade nel cuore della notte.
Corsero fin quando la fatica ebbe la meglio, e, come se il destino avesse predisposto ogni loro tappa, i ragazzini si fermarono proprio davanti ad una bottega di vasellame e vari.
-Ma che cazzo di fortuna!- esclamò Malfoy. La sua sboccataggine strappò un sorriso a Hermione, che, inspiegabilmente, sentiva di starsi divertendo.
-Entriamo- Il proprietario del negozio era un vecchietto dal basco porpora e i pantaloni a scacchi. Il negozio strabordava di ogni tipo di cianfrusaglia, tanto che Hermione temette quasi che il negoziante fosse stato sepolto dalla mercanzia.
-Salve, bambini. Come mai tutti soli a-
-No, glielo giuro, non siamo soli. Nostra madre ci aspetta fuori dal negozio. Vorremmo comprarle un regalo- mentì Malfoy, ribaltando con maestria l’intera situazione.
-E va bene. Cosa volete acquistare? Una statuetta? Una bambola di porcellana? Sappiate che tutte le cose che vendo qui sono state private della magia. Hogsmeade, infondo, accoglie anche oggetti babbani- spiegò il vecchietto.
-Vorremmo un vaso… bello grande, possibilmente alto settanta centimetri e largo quaranta. Se avesse lo sfondo rosso sarebbe il massimo…- Hermione pregò che l’artigiano avesse tutto l’occorrente.
-Sì, certo che ce l’ho! Da Udinì potete trovare di tutto e di più!- Il vecchietto si immerse nel suo mare di cianfrusaglie, e, dopo qualche minuto, ne riemerse reggendo un vaso praticamente uguale a quello di Allock.
-Grazie! Quanto le dobbiamo?-
-Cinquanta galeoni- Hermione rimase di sasso: non aveva immaginato che i prezzi fossero così alti. Malfoy sembrava sia stupito che corrucciato, la generosità non era il suo forte.
Alla fine, i due sborsarono venticinque galeoni a testa, senza mancare di maledire mentalmente il vecchietto.
-Ecco il vostro acquisto, ragazzi. È un po’ grandino, volete che ve lo rimpicciolisca con una magia?-
-Sì- concordò Hermione, a cui qualche servizio-omaggio pareva il minimo che il vecchietto potesse fare. Alla fine ripose il mini-vaso nella tasca e si avviò verso l’uscita.
-Sono contento che siate passati di qui, ragazzi. Sapete, non viene più molta gente…- il vecchietto sospirò, malinconico.
-Beh, non mi sorprende, con questi prezzi- sbottò Malfoy, poco incline a tenere la bocca chiusa nelle questioni di denaro. Hermione, come ormai era abituata a fare, afferrò Malfoy per il braccio e lo portò via.
-Uff, sei proprio un attaccabrighe- Strano, nella sua voce c’era un retrogusto bonario.
-E chisseneimporta. Torniamo al castello, sto gelando- Mentre i due camminavano per le stradine di Hogsmeade, Malfoy le confidò ancora: -Sai una cosa, Granger? Io mi sono divertito- Non seppe nemmeno lui perché aveva detto quella frase. Semplicemente, gli era venuta voglia di parlare. Non aveva sentito il bisogno di reprimere le proprie emozioni, forse perché Hermione era una delle poche persone che lo facevano sentire a suo agio. Beh, e come dargli torto? Quella ragazzina non solo aveva ascoltato il suo peggior cruccio, ma era anche riuscita a risolverlo.
-Anche io mi sono divertita, Malfoy- Ammise Hermione, a cui non dispiaceva affatto un po’ di sincerità.
-Allora il vaso lo ritocchiamo domani?-
-Basterà qualche incantesimo basilare, ci penso io stasera. Domani lo riportiamo nell’aula di Magia Oscura e tutto tornerà a posto-
I due ragazzini si rimisero a letto con il sorriso sulle labbra.
 

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Capitolo 8
*** Bacche ***


Bacche

Ma sciao! Eccomi qui con questo nuovo capitolo. Vi confesso che sono sempre più soddisfatta di come il lavoro sta venendo(anchè perchè ho tante idee sul finale). Forse questo capitolo è un po' più corto del normale, ma volevo dividere la vicenda che leggerete in due parti. 
Daphne_07



Più i mesi passavano più le temperature si facevano alte. Quell’estate fu velata di mosche e ventagli auto-sventolanti, tanto che Hermione, stufa del clima torbido che attanagliava Hogwarts, decise che avrebbe passato le vacanze estive con i suoi genitori.
                                                                                                                        
Munita della maglietta più leggera che aveva, la ragazzina si concesse un’ultima passeggiata con Harry, Ron e Madeline.
-Noi quest’estate andremo alla Tana, Hermione- le sussurrò Ron, in modo che Madeline, che non era stata invitata, non sentisse -Ci verresti con noi?-
-Grazie dell’invito, Ron! Starò un po’ con i miei genitori e poi verrò di sicuro- Hermione ansimò, stremata da quelle temperature cocenti.
Il sudore scivolava sul suo corpo, lasciandovi leggere striature salate. I suoi piedi si sbucciavano, lentamente, soggiogati dai sandali troppo stretti. La maglietta bianca si appiccicava alla pelle, evidenziando ogni chiazza di sudore. Beh, era Maggio, un’afosa tortura che metteva alla prova tutti. Che dire, l’inverno di quell’anno si sarebbe scontato sopportando l’estate.
 
Non appena Hermione rientrò al suo dormitorio, iniziò subito a fare le valigie. Quell’anno sarebbe andata a sciare con gli amici dei suoi genitori, e la cosa non avrebbe potuto emozionarla di più.
Prese il treno con i suoi amici e, entro qualche ora, si ritrovò nel suo letto. Era bello andare a sciare con i Rankins, ma… aveva un cattivo presentimento rispetto a George, il loro unico figlio. George non mancava mai di farsi male, tanto che, di solito, i genitori lo bardavano con caschi e ginocchiere ogni volta che usciva di casa. Aveva una decina di anni e il suo hobby preferito pareva quello di sbucciarsi, rompersi qualche osso o andarsi a cacciare in posti non adatti a lui.
 
Alle 14.30 del giorno dopo Hermione era già nella baia dei Rankins, vicina a Sky*Chel-London.
Loro erano tra i pochi a sapere del suo “segreto”, ovvero la magia, e non si stupirono affatto quando, al passaggio di Hermione, si schiusero diversi fiori tra la neve. I Granger e i Rankins si ritrovarono sulla cima di una collinetta morbida e innevata. “L’essenziale per i principianti”, aveva spiegato Rufus Rankins.
-Allora, Hermione, hai con te l’attrezzatura?- chiese la signora Rankins, una fervente appassionata di sci.
Hermione, orgogliosa della sua stessa preparazione, annuì.
-Mi  scusi, ma George… scierà con noi?- chiese Hermione, timorosa. George aspettava dietro la comitiva, completamente privo dell’attrezzatura. Sul suo volto paffuto troneggiava un’espressione oltremodo scocciata.
-Ah, no, assolutamente no… l’ultima volta che ha sciato, George si è rotto un braccio- La signora Rankins rise, garrula. Evidentemente la goffaggine del figlio non l’infastidiva affatto, anzi, era un qualcosa che la divertiva.
-Pronta, Hermione?-
-Pronta!- Le due si diedero una spinta e cominciarono a sciare giù per la collina. Era una bella esperienza… l’aria che le sferzava la faccia, il vento nelle orecchie, la distesa candida, le scie che, velocemente, tracciava nella neve…
-JESSICA! STAI ATTENTA, ARRIVA GEORGE!- L’urlo del signor Rankins rimbombò per tutta la pista, distogliendo le due donne dal loro divertimento. George, evidentemente, era sfuggito al controllo del padre, e ora stava sciando a velocità supersonica verso madre e Hermione. La signora Rankins piantò i piedi nella neve e aprì le braccia, pronta ad afferrare il figlio. Hermione capì subito che quel botolo non avrebbe fatto altro che distruggere la sua povera madre, talmente andava veloce. La situazione era ormai fuori controllo, e la signora Rankins, intimorita da tale velocità, alla fine decise di scostarsi. George continuò la sua folle scivolata tra urla e lividi, e tutta la comitiva di adulti (più Hermione) si sgolò affinché le loro indicazioni giungessero alle sue orecchie.
Alla fine il ragazzo mise gli scii di traverso, e, come prevedibile, cadde faccia in avanti. Tutti corsero nella sua direzione, per accertarsi che non fosse morto.
-Oddio, George…- disse la signora Rankins, con aria di severa preoccupazione. La strabiliante caduta del figlio non la sconvolse più di tanto, insomma, George combinava disastri da sempre.
-Stai bene, figliolo?- George si rialzò dalla neve, reggendo in mano ciò che restava dei suoi occhialoni quadrati.
-Oh, diavolo, George, li avevamo appena ricomprati… Sai, Jane, qualche mese fa è caduto di faccia mentre andava sul monopattino…- Si mise a ridere, come se spaccarsi gli occhiali fosse la cosa più naturale del mondo.
-Beh, ne abbiamo di scorta- Hermione si fece sfuggire una risatina, decisamente divertita da quella scena surreale.
La comitiva rientrò nella baia, decidendo che per quel giorno gli scii sarebbero tornati nello scantinato.
 
La casupola era arredata con grandi mobili di legno chiaro, tovaglie a fiori, divani strabordanti di cuscini e caminetti fuligginosi. La stanza di Hermione era in alto, adiacente al pagliaio, e la ragazzina si sentì un po’ come un’Heidi londinese.
-Per festeggiare la scampata morte di George, io e Jessica abbiamo cucinato la polenta!- annunciò il signor Rankins, pomposo, mentre si passava un dito tra i baffoni.
La polenta dei Rankins era densa e abbondante, piena di pezzi di carne.
-E’ così che la fanno gli italiani, sulle alpi… Ci siete mai stati in Italia?- I genitori di Hermione scossero il capo. Hermione trattenne a stento una risata: cavolo, se ci era stata in Italia!
A cena finita, Hermione salì in camera sua e cominciò a rovistare nella propria valigia: a causa dei numerosi viaggi, aveva un arretrato di tre settimane con i compiti. Questo era praticamente inammissibile per le sue tabelle di marcia, e così, disubbidendo ai genitori, aveva deciso di portarsi il libro di Pozioni e qualche ingrediente con sé. Uno dei compiti assegnati da Piton era quello di preparare la pozione Sbiancante. “Sembra tanto un detersivo”, aveva commentato Harry. La pozione era abbastanza semplice, ecco perché Hermione aveva deciso di portarla in vacanza.
Chiuse bene la porta a chiave, e, quando capì che tutti erano andati a dormire, iniziò a versare gli ingredienti nella piccola ciotolina di vetro. La polvere lunare… il siero fluidificante… qualche bacca RitornoAlCangiante… Oh, cavolo, le serviva un bicchiere per pestare le bacche. Purtroppo non ne aveva con sé, e l’unica alternativa era quella di scendere in cucina e di prenderne uno.
Hermione aprì lentamente la porta e, gradino dopo gradino, si ritrovò in cucina. Aprì i cassetti in un silenzio religioso, tanto preoccupata che i Rankins la scovassero (insomma, non le andava di fare brutta figura).
Trovò una tazza da latte e, non appena ebbe finito di pestare le bacche, si premurò ben bene di pulirla… o, almeno, la pulì in parte: sentì il soffitto scricchiolare, segno che qualcuno al secondo piano stava camminando. Hermione ripose lestamente la tazza nel cassetto e ritornò nella sua camera, appena in tempo.
 
-Ah, buongiorno!- li salutò il signor Rankins, stiracchiandosi la schiena. Tutti si sedettero al tavolo della colazione, pronti a servirsi latte, caffè e biscotti. Cavolo… il signor Rankins prese proprio la tazza delle bacche… la riempì di latte… la diede a George… Hermione pregò di aver pulito a dovere la tazza: non sapeva esattamente quali effetti avessero potuto avere le bacche, ma il loro nome, RitornoAlCangiante, non comunicava nulla di buono.
George tracannò qualche sorso di latte.
-Ha un sapore… particolare- commentò. Hermione sentì un brivido freddo attraversarle la schiena, e, dalla pessima attrice che era, lasciò trasparire parte della sua inquietudine.
-Tutto bene, cara?-
-Sì…-
-MAMMA!- urlò George, realizzando le peggiori paure di Hermione. La faccia del ragazzino si stava poco a poco cancellando. Naso, bocca e occhio destro erano già spariti, lasciando al loro posto una distesa di carne piatta e flaccida. George, privo della parola, del respiro e della vista, cominciò ad agitarsi, frenetico. Tutti urlarono, sconvolti. Cavolo, le bacche gli avevano completamente sbiancato la faccia… Fortunatamente i polmoni di George non parvero risentire della mancanza d’ossigeno (evidentemente le bacche avevano privato George del sistema respiratorio). Il ragazzino sbatté contro la parete e cadde a terra, simile ai corpi decapitati delle galline che, nonostante manchino della testa, continuano a muoversi per qualche secondo.
-State tranquilli… non credo morirà…- Hermione si pentì di quelle rassicurazioni. Tutti i presenti, completamente consapevoli del fatto che solo Hermione poteva essere la causa di quel disastro, le elargirono sguardi severi e riprovevoli.
-Hermione! Ti avevo detto che era pericoloso praticare la magia al buio, e, peraltro, con gli oggetti degli altri!- la sgridò suo padre, mentre George, impazzito dalla paura, agitava forsennatamente le braccia.
-Sai come curarlo?- chiese la signora Rankins, che, per la prima volta dopo tanto tempo, era davvero preoccupata per i malanni del figlio.
-Dobbiamo andare al San Mungo- spiegò Hermione, a disagio -E’ un ospedale magico-
-E noi dobbiamo andare fino a laggiù?-
-Già…- Hermione si permesse un sorrisino sciocco, uno di quelli che si fanno quando anche le scuse paiono inadeguate. Era imbarazzata, imbarazzatissima…
-Cerchiamo di dare meno nell’occhio possibile… Jessica, Harold, Jane, restate a casa. Io, Hermione e George andiamo all’ospedale. Guidaci tu, Hermione- Nella voce del signor Rankins trasparì chiaramente un’ombra di fastidio. La ragazzina annuì, costernata, e si accinse a seguire il signor Rankins. Fortunatamente George aveva ancora le orecchie, così fu possibile calmarlo e convincerlo ad allacciarsi la cintura.
-Allora, è vicino al luogo in cui lei lavora… Ha presente il magazzino Purge & Dowse? Ecco, basta parlare con uno dei suoi manichini…-
-Quel magazzino è abbandonato- Avviò il motore, con un gesto brusco.
-Lo so, ma è una specie di passaporta- Mentre Hermione sussurrava parole di conforto nell’orecchio di George, il signor Rankins guidò fino al magazzino. Parcheggiò qualche metro più in là, avvolse la testa di George in uno scialle e si diresse a passo di marcia verso il magazzino, un edificio di mattoni molto trasandato. Una delle vetrine polverose lasciava intravedere un manichino di donna, con il braccio staccato.
-Ehm…- sussurrò Hermione, a disagio.
-Forza, Hermione- la incitò il signor Rankins.
-Dobbiamo andare al San Mungo… Abbiamo avuto un incidente con una pozione-
Dal manichino si sprigionò una voce robotica: -Prego, passate per la vetrina-
-Dobbiamo attraversare la vetrina- spiegò Hermione, tentando di non apparire troppo strana.
-Ci schianteremo!-
-No, i maghi possono passare-
-Ma io e George non siamo maghi!-
-Sì, ma siete pazienti totalmente consapevoli di quello che state per fare. Aspettiamo che non passi nessuno e poi ci buttiamo. Ok… tre… due… uno…- I tre si gettarono a capofitto contro la vetrina del negozio, e, in pochi secondi, si ritrovarono nella reception dell’ospedale. Una signorina con lunghe dita smaltate li aspettava dietro una scrivania.
-Noi abbiamo avuto un problema con una pozione- Hermione ansimò, sollevata che tutto stesse andando liscio.
-Bene, prendete l’ascensore e salite fino al quarto piano, il reparto “lesioni da incantesimo”- Hermione annuì e guidò i due fino al primo ascensore. Quello salì sferragliando fino al quarto piano, e, quando le porte scorrevoli si separarono, davanti a loro si proiettò un lungo corridoio immacolato, pieno di porte semiaperte, barelle e infermieri con il camice verde lime.
-Buongiorno- Hermione sfiorò la spalla di un medi-mago.
-Ciao, qual è il problema?-
-Mio cugino ha mangiato dei residui di bacche RitornoAlCangiante…-
-Seguitemi- Il medi-mago aprì loro la porta di una stanzetta e aiutò George a stendersi sul lettino.
-Allora, dottore?- chiese il signor Rankins, in ansia.
-Non avete nulla di cui preoccuparvi. Spesso ci capitano soggetti colpiti da queste bacche, e le assicuro che tutti sono tornati normali. Siete maghi e streghe?-
-Solo lei- Il signor Rankins indicò Hermione, un’aria lievemente accusatoria ad aleggiargli in viso.
-Fai attenzione con incantesimi e pozioni, ragazzina. Ebbene, il paziente potrà fare ritorno a casa fra tre giorni, quando l’antidoto avrà fatto effetto-
-Va bene- Il medi-mago si procurò un barattolino di crema verde, e poi ne cosparse il contenuto sulla faccia di George.
-Hermione… Vai pure a prenderti qualcosa, ho visto un cartello con su scritto “Quinto piano-caffetteria”- La voce del signor Rankins parve più raddolcita.
-Mi dispiace tantissimo!-
-Non preoccuparti, Hermione. Tutti sbagliano, e, per fortuna, al tuo errore c’è rimedio- Le sorrise, e Hermione, più sollevata che mai, uscì dalla stanzetta. Nell’attraversare il corridoio, però, notò un qualcosa che le fece drizzare i capelli in testa… Intravide due chiome bionde ai lati di un lettino, e noi possiamo chiaramente dedurre chi fossero (è una Dramione, infondo).
-Malfoy…- questo nome uscì dalle labbra di Hermione come un sussurro. Cosa ci faceva lui lì? Suo padre stava male?
-Draco, vai a prenderti qualcosa alla caffetteria- La signora Malfoy stringeva un fazzoletto di stoffa.
-Ma madre…-
-Vai, Draco- Malfoy obbedì e, a capo chino, uscì dalla stanzetta. Hermione era rimasta imbambolata a guardare la scena: Lucius Malfoy era in ospedale? Cosa gli era successo? Che disdetta, proprio adesso che la famiglia Malfoy aveva ritrovato un equilibrio!
-Granger? Cosa diavolo ci fai qui?- La voce di Malfoy suonò infastidita, ruvida.
-Mio cugino ha avuto un incidente… E tu? Ho visto la tua famiglia, mi dispiace-
-Dobbiamo per forza parlarci ogni volta che ci incontriamo?- Hermione cercò di non ribattere: aveva imparato a capire le emozioni di Draco*, e individuò chiaramente uno strascico di preoccupazione nel suo comportamento. Non voleva annoiarlo più del dovuto, quel ragazzino aveva già abbastanza problemi.
-Già, hai ragione. Meglio se adesso vado… Ciao- Hermione si voltò, lasciando Draco leggermente stupito: se ne stava andando senza combattere? Perché non si era arrabbiata? Lo stava facendo per lui? Ho visto la tua famiglia, mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace.
-Che è successo a tuo cugino?- Non seppe neanche lui perché aveva pronunciato quelle parole. Era un modo di sdebitarsi?
-Ah, ha mangiato delle bacche nocive- Hermione fece un sorriso incerto, prima di procedere -Senti, non voglio sembrare invadente, ma… tranquillo- Draco sembrava sinceramente in ansia, Hermione non l’aveva mai visto così.
-Tranquillo cosa?-
-Per tuo padre-
-Sono calmissimo-
-Va bene. Allora rassicura la tua mamma-
-Lei sa il fatto suo, non ne ha bisogno-
-Perché fai così?- Hermione piantò i suoi occhi cioccolato in quelli di lui.
-Così come?- Malfoy storse il naso, stranito da tutte quelle attenzioni.
-L’indifferente, il duro. Guarda che tutti piangono-
-Io no-
-Proprio mai?-
-Proprio mai-
-Sicuro sicuro?-
-Sicuro sicuro-
-Ci sarà stata una volta in cui hai pianto, da bambino- Hermione abbozzò un sorriso timido.
-Sì, certo, da bambino- Malfoy sembrava abbastanza preso da quella conversazione, ed Hermione pensò bene che parlare un po’ gli avrebbe giovato.
Senza che nessuno dei due se ne accorgesse, cominciarono ad incamminarsi verso la caffetteria. Presero l’ascensore quasi senza pensare, come se quell’intera situazione fosse stata scontata. Si misero in fila per la cassa così, senza farci caso.
-Io da bambina piangevo sempre. Una volta ho messo la mano su un faretto da terra, mi ricordo che era incandescente. Ho pianto tutta la sera- Hermione rise, divertita dalla sua giovane versione.
-Io piangevo poco o niente, ma una volta, a tre anni, sono caduto dalle scale- Hermione si stupì, non tanto perché Malfoy fosse caduto dalle scale, ma per il fatto stesso che lui glielo avesse raccontato.
-Dalle scale?-
-Sì, sono rotolato fino al piano terra. Mia madre credeva che fossi morto-
-Oh Cielo!- Hermione rise di gusto.
-Già, così ha chiamato Selen- Si interruppe bruscamente. “Selene”, sua sorella.
-Malfoy?- Hermione lo richiamò -Malfoy? Tutto ok?-
-Sì, perché lo pensi?- Eccolo, era tornato scorbutico. Hermione riflesse attentamente su quale strategia adottare. Confessarsi anche lei? Sì, doveva essere sincera. Lui era malinconico? E allora anche lei sarebbe stata malinconica. Hermione di solito era molto orgogliosa, e nulla al mondo le premeva più dell’amor proprio. Però… perché essere silenziosa e riservata con qualcuno che conosce il tuo peggior segreto? Con qualcuno che, come te, ha perso una persona cara?
-Sai, una volta anche io sono caduta dalle scale. C’era mia madre, in cucina. Mi ha medicata, mi ricordo che, per precauzione, da quella volta in poi mi ha sempre tenuta d’occhio- Quel ricordo aveva un sapore dolce-amaro.
-Già- borbottò Malfoy.
-Già-
-Granger?-
-Sì?-
-Tu ti ricordi un po’ di spagnolo?- Hermione rabbrividì. Quella lingua la inquietava sempre.
-Pochissimo. Ho cercato di dimenticarlo, mi riportava sempre a quando ero bambina. Le ultime frasi che ricordo le dico per caso, senza accorgermene- Hermione sospirò.
-Ciao ragazzi, cosa ordinate?- chiese la strega al bancone.
-Per me un bicchiere di aranciata- Le piacevano, le arance.
-Per me niente-
-Niente?-
-No- Hermione credette che Malfoy, non avendo nulla da ordinare, se ne sarebbe andato da un momento all’altro. Così pensò anche lui: già, pensare, le azioni non erano spontanee, fingere, doveva fingere, non mostrarsi mai. Questo era il suo carattere, purtroppo: Malfoy era silenzioso, pragmatico, vendicativo, scorbutico e poco incline a mostrare le proprie emozioni, e sfortunatamente nemmeno io posso cambiare queste cose.
-Vado-
-Ok-
-Se non ti dispiace, posso chiederti ancora una cosa?- Malfoy indugiò un attimo.
-Cosa?- Ti prego, fa’ che non sia qualcosa riguardo al mio passato.
-Che lavoro facevano i tuoi genitori?- Perché la domanda suonava così… colpevole? Come se Malfoy stesso se ne risentisse? Come se il contenuto di quella singola frase fosse inappropriato? Quel ragazzino pensava forse a qualche mestiere criminale?
-Mio padre lavorava in una fabbrica. Mia madre era casalinga- Semplice, veloce. Falso.
-Senti, voglio solo dirti che mi dispiace… per tua madre- A Hermione salirono le lacrime agli occhi. Maggie, mamma.
-Tuo padre era cattivo, ma non è colpa tua- Malfoy, tutt’a un tratto, sembrava quasi… sensibile.
-Grazie. Spero che tuo padre si rimetterà- Riuscì a formulare Hermione, tentando di trattenere le lacrime.
-Già. Ha mangiato qualcosa di strano e non si è più svegliato, aspettiamo una diagnosi dai medi-maghi- Malfoy fece spallucce, come se la cosa non gli importasse.
-Non fare spallucce. Ti importa di tuo padre- Cavolo, doveva inculcargli a forza quell’idea: lui non era una cattiva persona. Cioè in fondo, in fondo, in fondo, in fondo, non era una cattiva persona.
-Pensala come vuoi. Ma… stai bene? Vuoi un fazzoletto?- Già, decisamente sensibile. Ciascuno dei due risvegliava nell’altro sentimenti abbastanza intimi, come l’onestà e la malinconia.
-Sto bene, ma… mi farebbe piacere se tu mi tenessi informata sulle condizioni di tuo padre- Hermione tirò su col naso. Doveva saperlo. Aveva molto a cuore quella famiglia, e sentiva che ogni loro vicenda, felice o triste che fosse, le importava tantissimo.
-Ok. Ci vediamo- E Malfoy se ne andò. Hermione finì di sorseggiare la sua aranciata.
Mia madre era casalinga. Che lavoro facevano i tuoi genitori? Mia madre era casalinga. Mia madre era casalinga.
Margareth!
Che c’è?
Quel tizio ti ha pagata?
Non ancora, ha detto che deve trovare i soldi.
Giuro che lo ammazzo, se non ti paga subito. Tu devi prima farti dare i soldi, stupida!
Sembrava dispiaciuto… Gli ho parlato, era così pallido…
Tu non devi parlare, cazzo, devi solo andarci a letto!
Hermione scosse la testa, sperando che in tal modo quei pensieri schizzassero via.
 
La sera lei e il signor Rankins abbandonarono il capezzale di George per recarsi a casa. Il ragazzino si era acquietato, e, alla fine, aveva consentito annuendo che il padre tornasse alla baita.
Mentre i due riprendevano la passaporta e salivano in macchina, un grosso gufo reale sfrecciò nella loro direzione e si posò sulla spalla di Hermione, attirando lo sguardo di molti passanti.
-Ma cosa diavolo…-
-E’ un gufo, signor Rankins- Hermione, incuriosita, slegò la lettera che il gufo portava alla zampina.
I medici non sanno ancora la causa dell’incidente, ma dicono che mio padre si è aggravato. Non sanno se si risveglierà. Non rimandarmi il gufo indietro, digli di andare a casa. È già un miracolo se siamo riusciti ad imbucarlo nell’ospedale.
Non c’era il mittente, ma Hermione capì subito chi la mandava.
No, non doveva morire! Avrebbe gettato i Malfoy in un baratro di dolore! Quella famiglia aveva già subito troppe perdite, troppe!
Hermione seppe quello che doveva fare in un milionesimo di secondo.
-Signor Rankins, devo tornare dentro!-
-Per George?-
-No, per il padre di una persona che conosco-
-Ma Hermione, è tempo di tornare…-
-La prego, avvisi i miei genitori. E tu, invece, rivola a Malfoy Manor- Hermione, senza aspettare risposta, si gettò a capofitto nella vetrina. Mentre correva a perdifiato verso l’ascensore dell’ospedale, riflesse sul motivo di tanta agitazione: Malfoy non le aveva chiesto di venire, e, soprattutto, lei non aveva promesso di farlo. Inoltre, la sua presenza non avrebbe cambiato la sorte di quell’uomo. Però… sentiva che era giusto così. Sentiva che i Malfoy, benché non volessero darlo a vedere, necessitavano di un appoggio, di delle rassicurazioni. La signora Narcissa, nonostante avesse del tutto rivoluzionato il suo rapporto col figlio, restava fredda e distante. Le persone non cambiano in così poco tempo, e Hermione avvertì che Draco Malfoy aveva bisogno di lei.
                                                       
 
*Precisazione: quando dico che Hermione riesce a capire i suoi sentimenti, intendo quelli che anche lei può comprendere. Hermione sa cos’è il dolore, la tristezza, l’allegria…  NO SPOILER.
 

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Capitolo 9
*** Passo dopo passo... ***


Passo dopo passo...

Ciao, eccomi qui con questo nono capitolo... Ho scelto un titolo particolare: "Passo dopo passo". Questo perchè voglio rendere il processo di innamoramento il più realistico possibile. Qui non esiste il colpo di fulmine, ma solo un susseguirsi di eventi ben calcolati...
Altra cosa: mi sono accorta con orrore che, nei capitoli precedenti, ho chiamato la madre di Hermione "Stephanie". Solo di recente le ho dato il nome "Jane", più convenzionale. Appena finisco di aggiornare corro subito ai ripari... Se aveste notato altre incongruenze, non esitate a farmelo sapere. Wow, che risate... Ho appena finito un video di Scottecs, e vi confesso che ho sghignazzato per tutto questo tempo. Al prossimo capitolo!
Daphne_07


Hermione, fiondatasi all’interno dell’ascensore, batté nervosamente il piede per terra. Doveva arrivare, doveva esserci… Malfoy aveva bisogno di lei. Le sarebbe piaciuto dare conforto anche alla signora Narcissa, ma, a causa del suo stato di sangue, la cosa appariva già impossibile. Hermione andava incontro ad un duro rifiuto, e accettò la cosa: forse una donna adulta poteva sopportare il dolore, ma un ragazzino di dodici anni, benché fosse sempre freddo e noncurante, rischiava un serio collasso psicologico.
Non appena le porte scorrevoli si separarono, Hermione si diede ad una folle corsa alla Naruto per raggiungere la stanza dei Malfoy. La ragazzina notò con dispiacere che il corridoio era completamente vuoto, segno che anche i medici si stavano ritirando. Entro quanto un medi-mago avrebbe attraversato il corridoio? I passi di Hermione rimbombavano sul pavimento, rendendo la situazione ancora più bizzarra e sinistra.
La targhetta “Stanza 33” troneggiava quasi minacciosa su una porta. Di sicuro i Malfoy erano in quella camera, Hermione li aveva visti lì dentro qualche ora prima. Doveva bussare? No. Hermione concentrò tutta la sua attenzione sulla porta, quasi volesse perforarla con lo sguardo, e non si accorse che dietro di lei qualcuno la fissava.
-Ehi- Hermione si girò di scatto, spaventata da quel rumore improvviso. Malfoy era appoggiato al muro, il capo chino e i capelli stranamente ordinati, come se, per l’occasione, anche quelle ciocche ribelli si fossero del tutto acquietate. Hermione non riuscì a vedere i suoi occhi, rimase sorpresa dal fatto che Malfoy li avesse abbassati. Era triste? Che silenzio. Doveva dire qualcosa? Qualsiasi parola sembrava inappropriata. Hermione, per la prima (anzi la seconda) volta si ritrovava davanti ad un Malfoy sincero, umano, senza maschera.
-Ehi- Disse solo questo. Gli si avvicinò e gli si piazzò davanti. Malfoy si ostinava a non guardarla negli occhi, e questa fu prova sufficiente della sua sofferenza.
-Perché sei venuta?- le chiese ad un tratto, senza, però, sembrare scocciato.
-Perché dovevo- Il tempo scorreva e loro restavano immobili, in un dialogo di silenzi e sospiri. Dalla stanza 33 si liberò la voce sommessa di un medi-mago. I ragazzini non individuarono bene le parole, ma Hermione percepì lo sconforto di Malfoy. Sentì che doveva prendergli la mano.
In un gesto che le venne spontaneo, incrociò le dita con quelle di Malfoy. Lui non si ritrasse e nemmeno la guardò negli occhi, si limitò ad assaporare il caldo conforto che Hermione gli aveva donato. Quel semplice tocco lenì le sue ferite, mitigando la profonda tristezza che gli opprimeva l’anima.
Ma Hermione era così: lei si imponeva e, alla fine, riusciva sempre ad essere d’aiuto.
-Se lui muore…- sussurrò lui -cosa faremo noi?- Malfoy sollevò leggermente lo sguardo, ed Hermione si perse nelle sue iridi color burrasca. Erano occhi sinceramente preoccupati, intrisi di una tristezza quasi inimmaginabile.
Fu un secondo. La ragazzina cinse il collo di Malfoy, in un abbraccio dall’innocenza confortante. Quel calore, quella vicinanza, sopperirono a tutte le paure di lui. Nessuno disse niente, quel gesto parlava da sé.
-So che adesso mi dirai che non hai bisogno di me eccetera eccetera, ma sappi che io ci sono- Gli diede una lievissima pacca sulla spalla, a mo’ di un cocchiere che sprona il suo cavallo.
La Granger non è male, infondo.                                                                   
Ad un certo punto la porta della stanza 33 si spalancò, e i ragazzini, veloci, sciolsero l’abbraccio. Un medi-mago uscì dalla camera, reggeva una cartella clinica.
-Allora?- chiese Malfoy, in ansia.
-Tutto bene- Il medi-mago sorrise, rassicurante -Tuo padre ha ingerito del succo di baccaciù, potenzialmente letale per chi non è predisposto a reggerlo. Fortunatamente tuo padre apparteneva a questa piccola minoranza. Entro qualche settimana l’effetto soporifero sarà svanito, e lui potrà tornare a casa con voi- Hermione e Malfoy tirarono un sospiro di sollievo.
-Per fortuna!- esclamò Hermione, sorridendo.
Dalla stanza 33 uscì Narcissa Malfoy, più allegra del solito. Nel vedere Hermione, però, tutta la sua euforia andò diradandosi. Assunse un’aria arcigna e la squadrò dalla testa ai piedi, come se Hermione fosse stata un bruco spregevole.
-Che ci fai qui?- sibilò.
-Io…- balbettò Hermione, a disagio.
-Nulla di male- Dopo le secche parole di Malfoy, nella scena calò il silenzio. Narcissa schiuse le labbra, come se avesse voluto dire qualcosa, ma poi le serrò di nuovo. Divaricò leggermente le braccia, per comunicare quanto quella situazione la lasciasse estranea e impreparata, e poi tornò nella stanza 33.
-Draco- disse ancora, prima di sparire dietro la porta -Hai i soldi, va’ a prenderti una bibita- Si comportò come se Hermione non fosse stata presente, ma alla ragazzina non fece né caldo né freddo.
Malfoy lanciò un’occhiatina a Hermione, come ad assicurarsi che lei lo seguisse, e poi si diresse verso il bar.
-Siamo sicuri che sia aperto?- chiese lui, ad un tratto.
-No, è troppo tardi-
-E allora perché ci stiamo andando?-
-Perché tu stai continuando a camminare- Non l’avrebbero ammesso mai, ma camminare spalla a spalla era rassicurante, confortevole... Nessuno poteva ferirli finché stavano vicini.
-Non sei felice, Draco?- saltellò lei, incitandolo ad esternare un po’ di gioia.
-Per mio padre?- chiese lui, distaccato.
-Già. Non ti piace sapere che lui sta bene?-
-Non mi dispiace- Scrollò le spalle. Forse era il suo modo per dire che sì, non avrebbe potuto essere più felice.
Si fermarono davanti alla porta chiusa del bar, in un silenzio tutt’altro che opprimente. Sapete, è raro. È raro trovare qualcuno che ti metta a tuo agio, così, in modo spontaneo. Quella combinazione di sospiri, frasi mancate, parole fluttuanti e mai recepite, creava un’atmosfera… magica. Forse la parola “magica” è banale per due maghi, ma io non credo che esista termine migliore per descrivere la loro armonia.
-Sai perché cadiamo, Malfoy?- non aspettò risposta -Perché così impariamo a rialzarci- Lo guardò negli occhi, maternamente perforante. Malfoy abbozzò un sorrisino goffo, tipico di chi o sorride troppo poco, o non si aspettava affatto di sorridere.
Quel sorriso, per quanto scarno e raro, ripagò Hermione delle successive ore di sgridate.
 
-Le Bacche Frizzole hanno una consistenza granulosa ed effervescente, capace di recare una paralisi permanente a chi le assaggia. Possono essere usate solo nelle pozioni degli Auror. Sono indicate principalmente per il filtro dell’Imbalsamatore, che pietrifica le sue vittime e le immobilizza del tutto- Hermione ripeteva, nervosa, le pagine del libro di Pozioni.
Baule strabordante di cianfrusaglie, armadio spoglio e genitori amareggiati, questa era Casa Granger all’inizio di ogni anno scolastico. Mancava solo una cosa… quel senso di inappagamento, pesantezza, infelicità soffocante. Hermione era guarita.
Come l’anno precedente, si precipitò su per le scale, mangiò il porridge insipido preparatole da sua madre e si fiondò in macchina.
-Come ti dicevo, Jane- suo padre non la smetteva più di parlare, elettrizzato da una delle sue strabilianti idee -Il tipo dell’assicurazione ha parlato chiaro: un milione di dollari. Tu sai benissimo che tua madre non ci lascerà un centesimo, e allora perché non rischiare?- Perché suo padre sussurrava?
-Harold, è pericoloso… Le nostre professioni ci pagano bene-
-Marlene ha detto che ci saranno dei tagli al personale. Jane, non siamo in proprio, i nostri soldi li riscuotiamo da una clinica altrui. Burbank ci ha in mano, e io non gli sto affatto simpatico. Conta che poi siamo quelli con meno esperienza di tutti, e mettici anche la nostra banale, popolarissima specializzazione. È pieno di gente che sa trapanare un molare-
-Non sminuire la mia professione!- La conversazione aveva assunto un tono abbastanza aggressivo, e i signori Granger, presi da quella concitata discussione, si erano quasi dimenticati della figlia.
-Mamma? Di cosa parlate?- chiese quest’ultima, insospettita.
-Di niente, tesoro. Muoviamoci, faremo tardi- La signora Granger bardò Hermione con sciarpa e cappotto. Caricarono tutto in macchina, e poi partirono alla volta della stazione.
-Emozionata, tesoro?- la signora Granger le sorrise.
-Tantissimo!- Hermione fremeva dall’euforia. Wow, il suo terzo anno a Hogwarts! Alla Tana sia lei che i suoi amici avevano straparlato di come volevano affrontare il nuovo quadrimestre. Ron era ostinato a fare uno scherzo a Piton, Harry voleva a tutti i costi battere i Serpeverde a Quiddich…
 
-Eccoci!- Dopo un saluto strappalacrime e tanti abbracci, Hermione riuscì a salire sull’Hogwarts Express. La locomotiva era avvolta da una spessa coltre di fumo nero e madri malinconiche, mentre dai suoi scompartimenti si sprigionavano risa sguaiate e canti festosi.
-Ciao, ragazzi!- Harry, Ron e Hermione si abbracciarono. Arrivò anche Madeline.
-Ciao, Jane! Ciao Harry, ciao Ron- I quattro presero posto in uno scompartimento con Neville Paciok.
-Avete visto Piton? È sempre più magro!- sghignazzò Madeline.
-Gli ci vorrebbero un po’ di chili di Goyle!-
-Già-
-Ragazzi, vi dispiace se vado un attimo in bagno?- Hermione si alzò dal suo posto, appesantita dal porridge.
-Tranquilla, vai pure- Hermione, tentando di evitare lo scompartimento di Charles Mitchell, raggiunse un bagno.
Cinque minuti dopo, sentì qualcuno bussare alla porta del gabinetto.
-Occupato!- All’improvviso udì una risatina. Come una campanella dall’arme, quel suono garrulo le riportò alla mente una cosa: i Serpeverde erano i migliori con gli scherzi perfidi, e quello sembrava proprio il timbro vocale di Pansy Parkinson. Cosa voleva fare? L’avrebbe schizzata con l’acqua del lavandino? No, non c’erano lavandini. Le avrebbe lanciato addosso un incantesimo? Hermione conosceva perfettamente la formula “Defendo”. L’avrebbe investita di insulti? Beh, in tal caso Hermione si sarebbe difesa. Il lato battagliero costituiva ancora gran parte del suo spirito, e se c’era una cosa a cui Hermione teneva, quella era l’orgoglio.
Non appena ebbe finito, aprì piano la porta del bagno.
Eccola. I suoi occhi percepirono una figura veloce, agile, che sollevava la bacchetta e la puntava contro il petto di Hermione. La Parkinson sghignazzava, e Hermione, tutt’altro che impotente, non si abbassò a gemiti di paura. Teneva la bacchetta nella tasca! Si lasciò sfuggire una risatina compiaciuta: quel carlino si illudeva di averla colta di sorpresa!
-Ciao, Mezzosangue- la schernì. Hermione, lentamente, avvicinò la mano destra alla tasca dei pantaloni… e si accorse di aver dimenticato la bacchetta nello scompartimento. Si scoprì del tutto indifesa, e, peraltro, in compagnia della sua più agguerrita nemica.
-E così sei venuta anche quest’anno, Granger… Il tuo sangue sporco ammorba l’intero castello-
-Sai, Parkinson, sei davvero noiosa. Così ripetitiva… Se devi insultarmi, almeno inventati qualcosa di originale- Hermione sorrise, pungente, fronteggiando a dovere la rivale.
-Peccato che io abbia una bacchetta e tu no. Ho pensato che, se ti avessi dato una bella lezione, magari tu avresti deciso di tornare a casa questa sera stessa- La Parkinson fece ondeggiare la bacchetta sotto gli occhi di Hermione. Un brivido freddo attraversò la schiena della ragazzina. La Parkinson sapeva far accapponare la pelle, e Hermione non si sarebbe affatto stupita nel ritrovarsi addosso qualche maledizione.
Cosa poteva fare? La superiorità linguistica di Hermione, spesso sottile e tagliente, aveva messo a tacere molte lingue biforcute. Poteva parlarle, farle capire quanto il suo comportamento fosse immaturo… Forse, davanti alla prospettiva umiliante di aggredire una persona disarmata, la Parkinson avrebbe abbandonato i suoi folli obbiettivi…
-Perché ti abbassi a questo? Colpire una persona disarmata, in un bagno del treno, senza offrirle alcuna possibilità di difendersi. Conserva il tuo onore e non commettere questa barbarie. Se ci rifletti un attimo, capirai che il tuo atteggiamento è patetico, commiserevole- No, brutto errore. Alle parole “patetico, commiserevole” negli occhi affilati della Parkinson guizzò un bagliore inviperito. A nessuno piaceva sentirsi umiliati.
-E così- ringhiò, spaventosa -io ti faccio pena?- Negare? Mostrarsi inferiore, leccarle i piedi,  ritrarsi dallo scontro? Hermione sarebbe andata contro i suoi stessi ideali: non sapeva se la Parkinson la impietosisse o meno, ma non si sarebbe piegata a quella domanda minacciosa. Non disse nulla, lasciando che il silenzio parlasse per sé.
Dagli occhi di Hermione riverberavano secchi di biasimo, disgusto. Sì, era disgustata dalla Parkinson, dal suo stupido razzismo, dal suo modo di fare l’arrogante, da tutto, tutto di lei.
-Cosa mi guardi, Mezzosangue?- La Parkinson sentiva su di sé tutta la disapprovazione di Hermione. Stanca di quel testa a testa infruttuoso, si decise a scagliare un incantesimo.
-Deformitas infinitus!- Hermione si contorse abbastanza da evitare l’incantesimo, e poi, presa dalla concitazione del momento, spinse Pansy contro il muro. La disarmò con una manata brusca, e le puntò la sua stessa bacchetta alla gola. Lei boccheggiò, visibilmente terrorizzata. Si atteggiava spavalda, ma sotto sotto era una gran fifona. E questo era insopportabile. Quel terrore negli occhi, quel ghigno sgomento, quel colorito pallido… comunicavano che Pansy non valeva una cicca.
-Aiuto!- strillò, irritantemente preoccupata. Quella creatura si umiliava con le sue stesse mani. Nel bagno, dopo diversi strepiti, accorsero Zabini e… Malfoy. Già, Hermione era proprio andata nel bagno vicino al vagone dei Serpeverde.
-Ma che succede?- chiese Zabini.
-Niente- Hermione sollevò le spalle, incurante… O per meglio dire, “alla Malfoy”.
-Lei mi ha aggredito!- uggiolò Pansy, petulante.
-Sei stata tu a lanciarmi contro un incantesimo, io mi sono solo protetta. Hai fatto tutto da sola- spiegò Hermione, paziente.
-Ma Pansy sta bene?- chiese Zabini.
-Non le ho torto un capello. Riportatela nel suo scompartimento, che ha le soglie della paura di un pesce rosso-
-Ma vaffanculo, Mezzosangue!- le urlò contro Pansy, ormai protetta dai suoi compagni. Hermione non replicò, si limitò a fissarla negli occhi. Non era arrabbiata. Adesso era certa che Pansy meritasse solo comprensione, poiché, per quanto potesse essere perfida e fastidiosa, restava sempre una creatura inferiore. Senza etica, senza moralità, senza orgoglio.
Gli occhi di Hermione trasudavano una deplorazione tale che Pansy grugnì per la rabbia. Non le piaceva essere compianta. Chi provava pena, rammarico, era al contempo disgustato. Poteva sopportare di tutto, ma nulla la feriva più di un’occhiata compassionevole.
 
La sera stessa, dopo una lunghissima cerimonia dello smistamento, Hermione cominciò a chiacchierare con i suoi amici. Qualche tavolo più in là, anche un altro gruppo di amici stava chiacchierando… e un membro in particolare sputava veleno.
-Ma perché cavolo non avete detto niente!? Perché non l’avete insultata!? Siete entrati in bagno e avete visto! So bene che Blaize si guarderebbe anche dal toccare una mosca, ma tu, Draco, credevo che avessi più milza!-
-Pansy, vuoi stare un po’ zitta?-
-Nient’affatto! E poi l’avete vista, quella dannata Mezzosangue? Mi guardava in modo pietoso, come se le avessi fatto schifo! Io non faccio compassione! Perché mai dovrei?-
-Non lo so-
 
Hermione si lisciò la gonna, e poi, affiancata da Ginny, decise di tornare in dormitorio. Quella era stata una giornata sfiancante, e anche solo la prospettiva di salire le scale l’affaticava.
Gradino dopo gradino, avvistò la tetra figura di Malfoy (infondo, cos’altro potremmo dire di lui? Draco non ispira affatto tenerezza. Il suo è un fascino tenebroso, oscuro, e, per quanto possa essere bello, ogni cosa di lui suggerirà sempre un brivido freddo). Stava risalendo le scale con Blaize Zabini, e passargli affianco era inevitabile.
-Mmm- Hermione grugnì, incapace di salutarlo in altro modo. Dall’ultima volta che si erano parlati, qualche settimana prima, non avevano perso occasione di punzecchiarsi. Non appena si erano incontrati sull’Hogwarts Express, erano subito volati insulti a bassa voce, occhiatine di sfida e sorrisetti intimidatori. Cosa potevano farci? Anche senza una ragione particolare, quei due diventavano cane e gatto. Nessun “grazie” di troppo, nessun gesto di riconoscenza tangibile. Solo tanto, tanto affiatamento nei litigi. Da un lato era divertente: entrambi avevano dei caratteri “difficili”, tendenti allo scontro, e la cosa che più desideravano era pane per i loro denti. Insomma, un bel botta e risposta, un degno rivale. Tutti i candidati si erano rivelati o troppo amichevoli, o troppo mosci per quell’incarico prestigioso, lasciando vacante il ruolo di “acerrimo nemico”. Il problema era che loro non potevano definirsi rivali, non più: erano anche amici (abbastanza).
Siamo peggiori amici, ecco quanto, aveva spiegato Hermione a Madeline. Inoltre, la faccenda del “Mezzosangue” non si era affatto risolta. Malfoy le affibbiava quel nomignolo sgradevole tutte le volte che poteva, alternandolo all’altrettanto sgradevole aggettivo “psicotica”. Non ne avevano mai parlato, nemmeno nei momenti di maggiore intimità. Hermione pensò che, alla fine, non ne avrebbero parlato mai. Quando si abusa di un nomignolo, l’insulto perde tutta la sua enfasi. Diventa scontato, inoffensivo, e l’epiteto passa per innocuo. Basta farci l’abitudine, e vedrai che, quando Malfoy ti chiamerà così, non ci farai nemmeno più caso: il tuo cervello non lo recepirà più come un insulto, aveva detto Madeline. Le spiaceva solo che Malfoy considerasse inferiore la gente come lei…
-Grazie, Mezzosangue- iniziò Malfoy, sorpassandola -mi hai regalato una serata di merda- Problema numero 1: parolaccia. Problema numero 2: recriminazione immotivata.
-Cos’avrei fatto io?- Hermione si girò verso Malfoy. Ginny, timorosa come un criceto, le tirò leggermente la manica della divisa. Hermione non l’ascoltò, concentrando tutta la sua aggressività nello sguardo. Malfoy non abbassò gli occhi, ostinato a tenerle testa.
-Pansy ha continuato tutta la sera con la storia degli sguardi commiserevoli-
-E quindi?-
-E quindi ci ha rotto un sacco le palle!-
-Ehi, le parole. Comunque non è colpa mia se ho abbastanza orgoglio da difendermi!- Perché Malfoy la scocciava a quel punto?
-Il problema è proprio questo! Se tu avessi contrattaccato, Pansy non si sarebbe sentita inferiore. Tu le hai dimostrato pietà, e questa cosa l’ha mandata fuori dai gangheri!-
-Mmm, non mi importa. Siamo pari-
-E invece no- Malfoy si impuntò su quel concetto di imparità, che, a suo parare, era tutta una lusinga.
-Perché dici così?- chiese Hermione, indagatrice. Malfoy fece segno agli altri di andarsene.
-Perché lei, nonostante tutto, ti considera degna di uno scontro. Se ti ritenesse inferiore, incapace di sostenere una litigata, a quest’ora non ti parlerebbe nemmeno più: si limiterebbe a farti gli scherzi. Le piace combattere. Tu, invece, l’hai degradata da “rivale” a “bambinetta lagnosa”, espropriandola di tutta la sua baldanza: a nessuno piace sentirsi commiserati- Hermione ammise che Malfoy sapeva spiegarsi bene. I suoi ragionamenti erano solidi e razionali, dissimili a quelli di un tredicenne.
-Beh, io la trovo patetica. Così come non me la prendo con i primini, lascio e lascerò stare la Parkinson. Non mi degraderò- decretò Hermione, convinta.
-Ah, il tuo maledettissimo orgoglio… Ti senti sempre superiore agli altri, e questo mi causerà un sacco di altre cene schifose- Mafoy sbuffò, contrariato all’idea di quella tortura.
-Ma come ti permetti?-
-Stavo lodando le tue virtù- Malfoy si mise le mani in tasca, e poi, incurante del cipiglio interdetto di Hermione, salì nel suo dormitorio.
 
-E’ evidente, i risultati dei vostri incantesimi parlano chiaro: non avete ancora capito cosa significhi trasfigurare. Solo la signorina Granger sa di cosa parlo- Nell’aula si diffuse un borbottio scontento.
-Silenzio! E tu, Brown, fa’ attenzione con quella penna d’oca! L’hai trasfigurata in un ammasso di ferraglia, non in una forchetta- Hermione, orgogliosa, ammirò il metallo lucente della sua forchetta.
-Tanto non è importante, questa cosa non mi servirà a niente nella vita- sussurrò Lavanda, imbronciata, a mo’ di scusa. Hermione arricciò il naso, adocchiando con astiosa superiorità la minigonna di Lavanda. Malfoy aveva ragione: qualunque cosa fosse accaduta, lei si sarebbe sempre sentita un passo avanti. Troppo vanto e fierezza potevano passare per tracotanza, e questa era una pecca… una pecca a cui Hermione non avrebbe rinunciato mai.
Nello stesso momento, si stava svolgendo la lezione di incantesimi dei Serpeverde.
Vitious si mise le mani nei capelli, incapace di mantenere l’ordine. Dato che la lezione non procedeva, Malfoy si sentì svincolato dall’obbligo di prendere appunti. Pur senza immischiarsi con i compagni più casinisti, iniziò a chiacchierare con Zabini.
-Ieri mi hai mandato via mentre parlavi con la Granger… C’è qualcosa tra voi?- Zabini gli tirò una gomitata maliziosa.
-Assolutamente no! Le ho rinfacciato la mia cena di merda- Malfoy fece spallucce, con ovvietà.
-Hai rinfacciato la stessa cosa anche a Sadie e Juditta-
-Sì, beh… loro hanno incoraggiato Pansy a sfogarsi- Inutile dirlo, Malfoy se la prendeva con tutti.
-Però, appena hai parlato loro, Sadie e Jutitta sono sbiancate. Non hanno replicato, anzi, mi è parso che annuissero- Zabini aveva la faccia di chi vuol far intendere un concetto.
-Dove vuoi andare a parare, Blaize?-
-Credo che la Granger sia l’unica ragazza a non temerti. Insomma, ti tiene testa, e lo fa anche bene. Tutte le altre, per quanto sventole, avrebbero paura a contraddirti. Non pronuncerebbero “bah” se tu non fossi d’accordo. Invece, mi sembra che la Granger faccia di tutto pur di contestarti- Blaize Zabini, che vecchia volpe. Simile ad una formichina operosa, sarebbe stato il benefattore perenne di quei due zucconi (scommetto che anche lui shippava le Dramione).
-Sì, lei rompe un sacco-
-Lei è diversa, Draco-
-E quindi?-
-E quindi è perfetta per uno come te. Scaltra, forte, intelligente… Tu non ti accontenti della prima oca, no? Hai avuto un sacco di corteggiatrici, eppure non ti sei mai sentito attratto da nessuna di loro. O vuoi una come la Granger, o sei gay- Zabini per poco non si ritrovò senza naso.
-E abbassa quella mani, scemo!- protestò.
-La Granger è troppo fastidiosa. Punto- Malfoy pronunciò con enfasi l’ultima parola.
-Lei c’è sempre stata quando avevi bisogno. C’era anche a Mont-
-Non devi parlare di quella cosa, chiaro?! Argomento chiuso- Malfoy sbatté i libri sul banco, per accentuare la sua determinazione ad archiviare quel tema.
-Dalla Granger scaturisce un’energia indicibile… è altruista, giusta, sincera…-
-Vuoi tapparti quella boccaccia? Ti piace la Granger, per caso?-
-No-
-E allora perché la elogi tanto?-
-Perché credo che stareste bene insieme-
-Dì un’altra parola e ti libero dall’ingombro di quel cervello inefficiente. E poi non è nemmeno carina- Quella sembrava tanto una scusa.
-Perché lo dici? Stai soppesando la possibilità di fidanzartici?- Zabini sorrise, sornione.
-Affatto-
-Beh, ha il suo fascino, Draco, come tutte le ragazze-
-Ma sta’ zitto-
 
Il tintinnare del campanello decretò la loro entrata a Mielandia. Il negozio strabordava di scaffali ed espositori. Penne allo zucchero, lecca-lecca con la lingua, fertilizzanti al caramello e marshmellows auto-abbrustolenti dominavano il monolocale, meravigliando tutti i clienti.
-Questo è il mio Paradiso- commentò Ron, arraffando un paio di barrette allo zenzero.
-Qualsiasi cosa che si mangi è il tuo Paradiso- lo schernì Hermione, adocchiando un barattolo di cioccolata salata.
Fuori dal negozio, la neve fioccava cangiante. Simile ad un manto, si era lentamente depositata su case e strade, trasformando Hogsmeade in un soffice abbozzo di città. I tetti spigolosi si erano ammorbiditi, le strade scomparse e i negozi sommersi. Il fumo dei camini spiccava, vivido, nel cielo azzurrino, striando di nero i tetti più esposti. In un valzer di brividi e fiocchi, l’Inverno danzava in tutto il suo gelido splendore. La candida coperta avvolgeva i passanti, ma il freddo, nonostante perpetrasse nelle ossa, era osteggiato da stufe e camini.
La neve si era depositata sulle finestre di Mielandia, formando articolate cortine di ghiaccio. Hermione, colpita da quella fragile arte, si lasciò abbacinare dai riflessi cangianti che le finestre prospettavano.
-Terra chiama Hermione- la riprese Harry.
-Eccomi- Nel girarsi, però, Hermione udì una fetta di dialogo.
-Prenderò i bastoncini di liquirizia- Non era Malfoy, quello? Agile, sgusciava tra i tanti clienti, intenzionato a prendere qualcosa in particolare.
-Oh, li hanno finiti!- lo sentì lamentarsi. Così come era arrivato, Malfoy abbandonò il negozio.
-Ciao- Zabini le toccò una spalla. Hermione sobbalzò, impreparata a quel saluto.
-Ciao… cos’hai lì in mano?- chiese Hermione. Zabini reggeva un sacchetto di plastica.
-Oh, sto cercando un regalo-
-Per chi?-
-Per Draco Malfoy, domani è il suo compleanno. Ci si vede!- Zabini si allontanò, lanciando sguardi ponderatori agli scaffali. Hermione si toccò il mento, con aria interrogativa. Il giorno dopo sarebbe stato il compleanno di Malfoy… Non doveva fare niente: loro erano confidenti occasionali, non migliori amici. Si detestavano, e nulla li vincolava a scambiarsi gentilezze. Però c’era qualcosa… un legame. Giorno dopo giorno, quell’unione si era inevitabilmente venuta a creare. Il viaggio a Montecarlo aveva dato il via ad una lunga catena di eventi, eventi che erano andati a concludersi con la folle idea di comprare un regalo a Malfoy.
Una cosa da niente, si ripromise Hermione. Uscì dal negozio con Harry e Ron. Cosa comprare ad un ragazzo ricco sfondato? Malfoy aveva già tutto. Hermione, però, ebbe un’illuminazione: a volte il gesto più piccolo equivale al regalo più grande. L’importante è il pensiero. Parole di sua madre, Jane.
Sul ciglio della strada, un vecchio commerciante puliva la sua bancarella. Vi erano esposti alcuni, basici, dolciumi… tra cui i bastoncini di liquirizia.
-Salve, posso prenderne un paio?- chiese Hermione. Il commerciante sistemò i bastoncini in un piccolo sacchetto.
-Arrivederci!-
-Hermione, per chi sono quei dolci?- chiese Ron, con aria sia speranzosa che inquisitoria.
-Non per me- rispose Hermione, asciutta.
-Per me?-
-No-
-E per chi, allora?-
-Per… Madeline- Hermione che fa un regalo a Draco Malfoy? Quel pensiero li avrebbe mandati fuori di testa.
 
Il giorno dopo, Hermione si alzò di buon’ora. Come sempre, rassettò la camera da cima a fondo, lustrandola. Quando anche il pavimento si mise a luccicare, Hermione si avvicinò al suo comodino. Vi aveva accuratamente riposto le barrette di liquirizia, e, determinata a non dare per persi quei cinque zellini, riflesse su come recapitarle a Malfoy. Era il suo compleanno, quindi, come si conviene a qualunque aristocratico, i compagni l'avrebbero attorniato per tutto il giorno. Come fargli avere il pacchettino? Non voleva assolutamente che altre persone lo scoprissero: uno, perché si sarebbero sconvolte. Due, perché li avrebbero presi in giro. Tre, perché entro poco avrebbero fatto circolare la voce fino a Harry e Ron.
Sono solo due barrette di liquirizia, Hermione. Non farla tanto lunga. Mangiale tu, semmai. Malfoy non se le merita…
Eppure qualcosa di indefinito la spingeva ad architettare nuovi piani. Quel legame, quel dannato legame, era il collante più forte che Hermione avesse mai provato… sulla sua pelle.
Basta pensarci, sto diventando paranoica! Quando lo vedrò da solo gliele darò.
Forte di quel piano traballante, scese a fare colazione. Mentre sorseggiava una tazza di latte, avvistò una chioma bionda che usciva dalla Sala Grande. Era solo. Era il momento. Lesta come una lepre, Hermione lo rincorse. Premurandosi che nessuno stesse assistendo alla scena, disse flebilmente: -Ehi- Malfoy si girò. Hermione, a corto di parole (perché cavolo questa situazione mi spaventa tanto?!), gli porse il sacchettino. Malfoy, oltremodo scombussolato, lo prese in mano.
-Ma cosa…?- chiese, mezzo stordito.
-Una sciocchezza- Hermione si allontanò, improvvisamente imbarazzata: tutto quel trambusto per due barrette di liquirizia. Malfoy viveva in un castello, e lei cosa veniva a rifilargli? Per quanto non tenesse affatto all’opinione di Malfoy, si sentì una sciocca. Stava quasi per dirgli “era uno scherzo!”, quando Malfoy le tese un bastoncino: -Già che sei riuscita a comprarmi due pezzi di liquirizia dopo tipo tre anni che ci conosciamo e potevi pensare di meglio, almeno prendine uno… psicotica-
-Cotton-fioc- Hermione addentò un bastoncino.
Quello fu un compleanno diverso: Malfoy non capì come, ma gli parve di aver ricevuto il suo primo regalo.

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Capitolo 10
*** Bando alle maschere, fuori i sentimenti! ***


Bando alle maschere e... fuori i sentimenti!

Eccomi qui! E' passato un po' di tempo dall'ultimo aggiornamento, non cruciatemi. Allora, che titolone lungo(non avevo voglia di pensarci troppo, eheh)! Il contenuto di questo capitolo saprà ripagarvi dell'attesa...
Daphne_07


Malfoy si ritirò sotto le coperte. Che bizzarro compleanno... Cioè, era stato normale finché la Granger non vi si era imbucata, portandogli quelle due barrette di liquirizia. Ne sentiva ancora il sapore in bocca... Il suo amico, Blaize Zabini, gli diede uno scrollone.
-Che vuoi? Cercavo di prendere sonno!- gli ringhiò contro: odiava chi interrompeva la sue riflessioni.
-Hai l’aria di uno che pensa a qualcosa di importante. Che c’è?- Zabini amava tormentare il suo amico.
-Ma niente!-                                                                                   
-Eppure mi sembra di sì. E dai, siamo migliori amici, puoi dirmi tutto!-
-Questo è quello che pensi tu- gli rispose Draco, pungente. Zabini aveva visto poche volte quella faccia… una faccia che significa “c’entra la Granger”.
-Sai chi fa questo tipo di frecciatine?- lo punzecchiò Zabini, malizioso -Hermione Granger- L’esplosione di rabbia che seguì quel nome diede a Zabini la prova sperata.
-Ah, c’entra la Granger, vero?-
-Assolutamente no!-
-D’accordo… è strano che ti arrabbi così. Sembra quasi che il tema “Granger” ti stia a cuore- Il ragazzino si allontanò, evitando per poco una raffica di calci.
-Buonanotte, Draco-
-Ma vaffanculo-
 
-Ho vinto!- esultò Hermione, mostrando il palmo aperto agli amici.
-Cosa? No, non è vero!- ribatté Ron, che non aveva ancora capito le regole di “carta, forbici, sasso”.
-Ma sì, invece- ridacchiò Harry, divertito dall’estraneità di Ron ai giochi babbani -Carta batte sasso-
-Tira un sasso dentro un pezzo di carta, scommetto tutti i Galeoni del mondo che lo laceri!- contestò Ron.
-Non è ora di andare a dormire? Sono già le nove- intervenne Madeline, che si era intrufolata al tavolo dei Grifondoro.
-Sì, sarebbe meglio- Hermione giocherellò col pendaglio della sua collanina. Era a forma di clessidra, simile alle rinomate “giratempo” che il Ministero custodiva. Aprì e richiuse il gancetto, in modo da dare un’occupazione alle sue manine instancabili. Fatto sta che, dopo aver tormentato a lungo il suo ciondolo, la collanina le si staccò dal collo. Hermione non se ne accorse, e, ignara delle conseguenze che quel gesto avrebbe comportato, salì nel suo dormitorio. 
Si docciò, si lavò i denti e si infilò sotto le coperte. Una ventina di minuti prima delle 22.00, l’ora del coprifuoco, l’immagine della collanina apparve vivida nella sua mente. La ragazzina sussultò: quel ciondolo era molto importante per lei. Le era stato regalato dai suoi genitori (quelli adottivi) il giorno del suo dodicesimo compleanno (devo ancora decidere che data sarà).
-Ginny- sussurrò.
-Che c’è?- rispose l’altra, rotolandosi tra le coperte.
-Devo andare a prendere una cosa in Sala Grande-
-Vacci domani… ti svegli presto e arrivi lì prima degli altri-
-No… alcuni elfi hanno il vizio di rubacchiare gli oggetti preziosi… domani potrebbe essere già sparita. Vado e torno, ci metto pochissimo- Hermione, cercando di far scricchiolare meno molle possibili, sgusciò fuori dal letto. Il pavimento foderato di moquette attutì i suoi passi, e Hermione, in un minuto di sospiri soffocati, giunse al suo armadio. Si mise le prime due cose che trovò (Vado e torno, non mi vedrà nessuno). Schiuse leggermente la porta, uno spiraglio di debole luce le trapassò il volto. Scese prima in Sala Grande, dove, ormai, restavano solo le coppiette, e poi uscì dal buco del ritratto.
-Non è un po’ tardi?- chiese la Signora Grassa, tormentandosi un brufolo.
-Ci metterò poco!- Hermione discese diverse scale, finché non si ritrovò in un corridoio deserto, spoglio di arazzi e di porte. Diverse finestrelle si susseguivano lungo il muro di pietra, rendendo possibile la vista di un armadio possente, posto alla fine del corridoio. La pallida luna emanava un bagliore vibrante, quasi spettrale, e lanciava ombre grottesche sul grande armadio. La luce filtrava dalle finestrelle, distorcendo la forma degli oggetti. In una sorta di visione spiritica, Hermione decise di retrocedere.
Ma dove diavolo sono finita?, si chiese, sempre più confusa. Dov’era la Sala Grande?
Il ricordo di una scala in movimento le provocò diversi brividi. Le scale avevano cambiato posizione… e lei, di conseguenza, si era ritrovata sul percorso sbagliato. Chissà dov’era adesso… In un tentativo disperato, tastò la tasca del cardigan… niente bacchetta. Niente luce. Affidandosi alla mutabile luna, fece dietrofront.
Tof, tof. Il suo intero corpo si protese verso quel rumore. Tesa come le corde di un violino, Hermione percepì anche i rimbombi più ovattati di quei passi. Avvertì un’ombra che scivolava nel corridoio, non indovinò a chi appartenesse. Da prode guerriera, si preparò a combattere. La misteriosa figura le stava venendo addosso, e Hermione, presa dal panico, reagì d’istinto: allungò una gamba e sferrò un calcio… Forse non fu bene prendere tutte quelle lezioni di karate quando aveva nove anni, perché il colpo risultò più forte del dovuto.
Bestemmie e bestemmie, una voce maschile chiaramente indiavolata. Hermione, pietrificata, non riuscì a muoversi. L’idea di fuggire non la sfiorò nemmeno: c’era da prendersi qualche responsabilità? Hermione l’avrebbe fatto. Intuì che nemmeno il ragazzo aveva una bacchetta, poiché i secondi successivi si persero nel buio. Finalmente, lei si decise a parlare.
-Attento a ciò che fai, sono… armata.-
-Io credo che tu sia armata solo di neuroni morti, brutta testa di cazzo!- Hermione, con un gemito di disappunto, riconobbe la voce.
-TU?!- gli urlò.
-Sì, Granger. Mi stalkeravi o cosa?- ringhiò Malfoy, la voce pregna di rabbia.
-No! Mi dispiace, non pensavo che…-
-Che tirare calci a destra e a manca potesse rinsavire il tuo cervello?- Hermione non poté guardarlo negli occhi, ma indovinò la sua espressione trasudante collera.
-Ora stai bene? Vuoi che ti aiuti?- chiese, riluttante (quel cotton-fioc mi manda sempre ai nervi)
-Ma sei matta? Con cosa mi aiuteresti, con un altro calcio?- Lo sentì rialzarsi in piedi.
-Cosa ci facevi qui a quest’ora?- chiese, scontroso. I loro corpi apparivano come figure indistinte, sfumate, semplici miraggi creati dalla Luna.
-Recuperavo una collanina. E tu?-
-Sono andato a cercare Tiger e Goyle, stasera dovevano aiutarmi ad organizzare uno scherzo- sogghignò, malvagio.
-Cosa?! Pensavo che avessi finito con gli scherzi!- lo rimproverò Hermione.
-Oh, Granger, sei così ingenua! Pensavi davvero che io fossi cambiato? Sono lo stronzo di sempre! Adesso ti svelo l’ABC di ogni studente: infrangi tutte le regole che puoi senza farti notare. Passerai per un Santo senza alcun merito-
-Che sciocchezza!- Hermione si sforzò di adottare un tono biasimevole, ma non ci riuscì: l’immaturità di Malfoy era prodotto di lunghe riflessioni, reazioni calcolate, e nulla dei suoi piani faceva pensare ad una “bambinata”. Forse era il suo portamento glaciale, minaccioso, a renderlo così inquietante e prominente... La sua innata dote di capo punzecchiava l’orgoglio di Hermione, rendendola sempre più aspra.
-Una sciocchezza, dici? Una sciocchezza come il finale di “Game of Thrones” o una sciocchezza come le battute di Rita Rudner?- Eh già, Malfoy avrebbe sempre buttato un vacca i suoi ragionamenti.
-Entrambe le cose mi danno i brividi- Hermione, senza saperne il motivo, si ritrovò a ridacchiare. In effetti, la situazione era a dir poco ridicola. Troppo ridicola. A quel nuovo botta e risposta, Hermione non riuscì più a trattenere un sorrisetto. Incastrò la testa fra le mani e cominciò a ridere convulsamente, in modo quasi sguaiato. Lo stress di quella situazione ci mise lo zampino, e, inaspettatamente, portò anche Malfoy alla risata. Hermione ne avvertì il preludio, una specie di singhiozzo divertito, e poi lo sfocio nel riso vero e proprio. La ragazzina spalancò la bocca, sgomenta, e si lasciò guidare dall’impeto della risata. Malfoy sorrideva di rado, e, ancor più di rado, rideva. Tutta la sua agghiacciante cupezza si tramutò in euforia contagiosa, lasciando Hermione (come sempre) piacevolmente sorpresa. Il suo repentino cambio di umore la rese sempre più ilare, liberandola dal precedente rancore.
Minuto dopo minuto, scattò il coprifuoco. I ragazzi non se ne accorsero, presi com’erano. Il primo a rinsavire fu Malfoy. Momentaneamente rimase un po’ impacciato, sconvolto dalla sua stessa mancanza di senno. Lui?! Ridere come un idiota?! Non si capacitava di quell’orrendo spettacolo, assolutamente deleterio per la fama dei Malfoy.
Mentre l’euforia di Hermione andava diminuendo, Malfoy sbiancò. Il coprifuoco… Veloce, la sua abile mente stilò un rapporto degli elementi circostanti. Come se la sua intera vita fosse trascorsa nel buio, Malfoy seppe immediatamente come ambientarsi. Si alzò di scatto e mise una mano sulla bocca di Hermione. La trascinò vicino all’armadio, sperando che le loro ombre riuscissero a mimetizzarsi con quella imponente del mobile. Senza abbandonare la presa sulla sua bocca, indicò l’inizio del corridoio. Hermione individuò un fioco bagliore, che, goffo, si avvicinava a loro. Apparve una gatta grassa e spelacchiata, seguita dal suo immancabile padrone: Gazza.
-Segui l’odore, Ciccina, quei due che abbiamo sentito ridere non potranno essere lontani… Chiederò a Silente di appenderli alle catene nel mio ufficio…- bofonchiò, malvagiamente compiaciuto. Erano in un vicolo cieco, a meno che non decidessero di saltare dalle finestre (Una pazzia, saremo al quinto piano...) Hermione ansimò, terrorizzata. Aveva infranto il coprifuoco, e, ancor peggio, stava andando incontro ad un duro castigo. Che prospettiva mortificante… Malfoy corrugò la fronte, nel tentativo di formulare un piano. Indugiò un attimo sull’armadio, come se quel mobile avesse contenuto la chiave della loro salvezza. Gli occhi di Malfoy si illuminarono, improvvisamente consapevoli di una via di fuga.
-Zitta- sussurrò. Schiacciò il suo corpo contro l’armadio, e, cauto, scivolò fino alle ante. Afferrò una maniglia e la tirò cautamente, sperando che l’ombra dell’armadio non lasciasse trasparire quei movimenti. Hermione si chiese cosa stesse succedendo.
Ecco, sono fregata. Adesso mi beccherò un castigo tremendo… Proprio io che ho la fama di essere perfetta… Mi prenderanno tutti in giro. E poi cosa fa, quel cotton-fioc?
Hermione assottigliò gli occhi, nel tentativo di distinguere le figure circostanti. Gazza avanzava, sempre più veloce… Forse si era accorto di qualcosa… E Malfoy stava estraendo un oggetto dall’armadio, simile ad un ramo affusolato.
Malfoy premette il bastone al suo petto, e poi, furtivo, tornò da Hermione. La ragazzina sgranò gli occhi, più sconvolta dagli obbiettivi di Malfoy che dallo stesso manico di scopa.
-C’è qualcuno lì?- chiese Gazza, la voce maligna e gracchiante.
Hermione scosse la testa: non voleva assolutamente volare! Malfoy aprì una delle finestre, quella emise un roco cigolio. Salì sul davanzale, porgendo una mano a Hermione. In tal modo, volando via, avrebbero infranto il doppio delle regole, rischiando l’espulsione… Ma, se non si fossero fatti scoprire, c’era la possibilità che evitassero anche il più semplice dei castighi… Gazza si fermò un attimo, elaborando l’immagine che aveva appena recepito: due ragazzi vicini alla finestra. Un manico di scopa. Cominciò a correre nella loro direzione, agitando le braccia. Malfoy, stanco di attendere Hermione, l’afferrò per il polso e la trascinò sul davanzale. Saltarono insieme sulla scopa.
Malfoy scalciò contro il muro del castello, pronto a partire. La scopa obbedì.
I capelli dei giovani si agitavano, scossi dal vento. I loro abiti si diedero ad una concitata danza di soffi e scossoni, mentre ai ragazzini balenavano in testa i pensieri più disconnessi. Hermione si ripeteva “Oddio, oddio”. Malfoy, invece, era concentrato su temi molto più articolati.
Non capisco. Ho sempre desiderato di fuggire da Hogwarts, in piena notte, e di tornare solo al mattino… e adesso con me c’è anche la Granger. Sarà destino?
Decine e decine di Lumirmilli, piccole bestioline con grandi ali fluorescenti, svolazzavano sul Lago Nero, illuminandone la superficie piatta e scura. Simili a schegge luminose, i Lumirmilli sfrecciavano da un capo all’altro del Lago, creando rapide scie sfavillanti. Quasi senza accorgersene, Malfoy mandò in picchiata la scopa. Hermione, terrea, serrò gli occhi, lasciando però scoperto un piccolo spiraglio: anche lei era curiosa, dopotutto. Dopo i primi secondi, Hermione si costrinse a guardarsi intorno. Si ritrovò a sorridere, estasiata. Scesero ancora in picchiata, poi, lentamente, Malfoy raddrizzò la scopa.
Volavano a pochi centimetri dalla superficie del Lago, e Hermione sporse cautamente un dito. Fendette la superficie uniforme dell’acqua, creandovi una morbida scia.
Malfoy puntò la scopa verso l’alto e sfrecciò su, sempre più su, sino alle cime dei pini.
-È meraviglioso!- gridò lei, incantata.
La vista di Draco stava poco a poco aprendosi: assuefatto da emozioni e rapporti fittizi, non riconosceva più la bellezza. In una sorta di accettazione incondizionata della realtà, il ragazzo si era arreso ad amicizie facili e routine bieche, non distinguendo più la patetica finzione a cui gli altri lo sottoponevano. Cieco, non percepiva più disgusto per quell’orrido teatrino. Hermione gli aveva aperto gli occhi. Indulgente, dolce e provvidenziale, notava ogni anfratto di cielo. Perché lei vedeva. Rideva. Gli scuoteva la spalla, insistente, nel materno tentativo di trascinarlo nel suo mondo. Le boccucce di Pansy, l’alterigia di sua madre, l’ossequio di Goyle, era tutto una disgustosa finzione. Malfoy capì di detestare quel mondo di convenevoli, di personaggi, di persone nascoste dietro una maschera. Perché Pansy era una lucciola, ma non voleva darlo a vedere. Perché sua madre era debole, ma non voleva darlo a vedere. Perché Goyle era timido, ma non voleva darlo a vedere. Malfoy, privo della maschera, iniziò a riconoscere quelle degli altri. Hermione l’aveva salvato da una vita avvilente, triste e solitaria, fatta di compromessi e di personaggi. Perché lei era Hermione. Perché lei era l’unica. Malfoy virò in direzione del castello, abbandonando quel mondo di luci palpitanti. Infondo, non potevano restare fuori tutta la notte.
I due accostarono accanto ad un muro. La finestra della Sala Comune dei Grifondoro oscillava, carezzata dal vento. Hermione poggiò un piede sul davanzale, e poi, facendovi affidamento, ci spostò tutto il suo peso. Ancorandosi ad un’anta, sgusciò dentro la Sala, ringraziando il Cielo che tutto fosse andato liscio. Non aveva recuperato la collanina, ma… era stata memore di emozioni molto più intense. Puntò gli occhi su Malfoy, che, sicuro delle sue abilità, fluttuava sulla scopa.
-‘Notte…- lo salutò lei, un po’ impacciata. Non sapeva cosa dire. “Grazie…?” No.
-‘Notte- Malfoy girò la scopa, pratico, e scese fino al primo piano. Da lì in poi fu tutta una corsa ai sotterranei. 
 
I giorni seguenti furono alquanto bizzarri. I due ragazzi convennero in silenzio che era meglio non discorrere dell’accaduto, e così, vincolati al loro muto patto, finirono per scambiarsi solo occhiatine complici. Come biasimarli, come sospingerli verso un rapporto più aperto? Se si fossero anche solo salutati, ogni studente avrebbe cominciato a parlare di loro. Senza Tu-Sai-Chi, non si correva alcun rischio materiale a trascorrere tempo con una Mezzosangue… Restavano però i pregiudizi, i pettegolezzi, gli infimi aloni che avvolgevano tutti gli studenti più prevenuti. Per non parlare dello shock. Perché mai simpatizzare con la ragazza che hai deriso, schernito e offeso per tre anni (anche se senza rancore, i due non avevano mai smesso di punzecchiarsi)?
Mentre Hermione si lasciava trascinare nella pacata routine, Malfoy tentava forsennatamente di ritrovare la quiete. Era incredibilmente strano… Ogni volta che incrociava la Granger, provava una fitta allo stomaco. Ma non di quelle che ti rendono più pesante… Se lei lo guardava negli occhi, subito Malfoy li riabbassava. Pudore? Imbarazzo? Desiderio di preservare la sua reputazione? Non riusciva a spiegarselo. Sprofondato in un vuoto di domande e di reazioni immotivate, Malfoy iniziò a preoccuparsi seriamente. Non aveva mai provato quelle sensazioni, quindi era impossibilitato ad identificarle…
Hermione ridacchiò dalla parte opposta del corridoio, e lui avvertì il desiderio di… di… DI… DI!? Si voltò di scatto, disgustato. Gli parve che il pavimento lo stesse risucchiando. Forse sarebbe stato meglio così, preferiva scomparire che fronteggiare quella scomoda realtà.
 
Ci riflesse a lungo. Quella verità non poteva essere ignorata, e, in quanto parte consistente dei suoi pensieri, nemmeno evitata. Bisognava affrontarla. Infondo, bastava mantenere il segreto…
In quello stesso momento, Mitchell gli passò accanto. Aveva lo sguardo perso su Hermione, tanto che Malfoy avvertì un formicolio alle dita. Gli si avvicinò, e poi, con aria minacciosamente affabile, gli passò un braccio intorno alla spalla. Affrettò l’andatura, in modo da allontanarsi il più possibile. -Che c’è?- domandò Mitchell, intimorito.
-A te piace la Granger, vero?- chiese Malfoy, sospettoso.
-Sì...- ammise l’altro, arrossendo. Malfoy si erse in tutta la sua intimidatorietà, come se stesse per enunciare un verdetto. Puntò i suoi occhi in quelli di Mitchell, e poi, torvo, gli lanciò uno sguardo raggelante.
-Questo vuol dire…- prese a camminare, lentamente, con aria incurante -che siamo rivali-
 
Malfoy abbandonò la scena, incurante dell’espressione di Mitchell. In un turbine di domande divergenti, quest’ultimo non riuscì nemmeno a schiudere le labbra. Era pietrificato.
Malfoy saettò nella Sala Comune dei Serpeverde, dove un annoiato Blaize Zabini leggiucchiava la sua rivista di Quiddich.
-Blaize!- esclamò, ancora indeciso su come formulare le frasi. Doveva dirglielo, o la sua “coscienza” ne avrebbe risentito.
Blaize l’avrebbe preso in giro? No. Uno, perché era il suo migliore amico. Due, perché lui stesso aveva scherzato su quell’insolita coppia.
-Che c’è?- chiese lui, famelico di informazioni. Non aveva mai visto Malfoy tanto agitato.
-Allora… è una storia lunga- cominciò lui, goffo. Si accasciò su una sedia, la testa in subbuglio. Com’era stato possibile? Perché proprio lei? Non era affatto scontato, ma… i più maliziosi potevano prevederlo. Chiunque si affezionerebbe ad una ragazza del genere, soprattutto se quella ragazza ha cambiato in meglio la tua vita.
-Parla, sono tutt’orecchie- Blaize si inclinò nella sua direzione, in modo da sottolineare quel concetto.
-Allora… Sai che io sono Purosangue…- esordì, la gola asciutta.
-Sì-
-E sai che tipi sono i miei genitori…-
-Sì-
-E sai che non accetterebbero mai alcuni comportamenti…-
-Sì-
-E sai che non lo farebbero nemmeno gli studenti-
-Vai al punto!- lo incitò Zabini, avido. Malfoy tentennò, insicuro. Per quanto si sforzasse, le parole non volevano prendere vita.
-Mi piace la Granger- Semplice, diretto e… sconvolgente. Zabini sgranò gli occhi, completamente destabilizzato. Ansimò, incapace di manifestare pensieri più articolati.
-Stai scherzando…-
-Affatto- Il sorrisino incerto di Zabini crollò -Oh… beh…- boccheggiò.
-Ti prego, giurami che non lo dirai a nessuno!- lo implorò Malfoy, che mai era stato più ansioso.
-Ma figurati, non sono razzista e approvo alla grande! E poi sai che ti dico? Meglio così. Meglio la Granger che Millicent Bulstrode. Sono convinto che più lei ti rifuggirà, più tu la vorrai: gli uomini sono spinti a desiderare l’inarrivabile, e tu, Draco, con mille corteggiatrici che ti sbavano dietro, ne sei un fulgido esempio. Non fartela scappare, bello. Non sei l’unico a desiderarla- Malfoy assunse un’espressione corrucciata.
-Lo so-
-C’è Charles Mitchell, per esempio, e forse Paciock, o Weasley- elencò Zabini. Malfoy scosse la testa, con aria saccente.
-Gli ultimi due non mi preoccupano affatto. Non sono né belli, né intelligenti, né competitivi. Ti dirò, Mitchell mi spaventa un tantino. Oltre all’avvenenza, quel tipo non molla facilmente… Sarebbe capace di diventare un cervellone, pur di ottenere quello che vuole-
-Già. Ho saputo che la Granger l’ha rifiutato- Malfoy ghignò -ma che lui non si è arreso. È stato respinto per la sua patetica superficialità, e adesso ce la sta mettendo tutta pur di prendere buoni voti. È perseverante…- ammise Zabini -Entrambi la volete per lo stesso motivo. Stanchi della banalità altrui, vi siete concentrati su una ragazza dai valori più alti. Mitchell la vuole per appagarsi, tu la vuoi perché siete simili (te l’avevo detto!). Il punto è che tu ha una cosa che lui non ha: una qualche attrattiva-

E alla fine ci sono arrivata. In realtà, volevo concludere con "Questo vuol dire che siamo rivali", ma sapete, il capitolo era troppo corto e quindi...
Contenti? Ci abbiamo messo 10, lunghissimi capitoli, ma alla fine Malfoy ha chiarito i suoi sentimenti. Alla prossima!

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Capitolo 11
*** Di una ragazza ottusa ***



Di una ragazzina ottusa

Sono soddisfatta di questo capitolo, anche perché rappresenta un punto chiave nella storia. E' corto, ma, data la sua importanza, ho preferito accorciarlo... Ecco perché è arrivato così in fretta.
Prima che iniziate a leggere, ci terrei a ricordarvi una cosa: per quanto Charles sia fastidioso, appiccicaticcio ed invasivo, non è ingenuo come ve lo immaginate. E’ un ragazzino piuttosto scaltro, che, opportunista, sa cogliere al volo le occasioni. Le sue capacità di adattamento (si sta sforzando di diventare intelligente per Hermione) non risultano affatto banali. È furbo, e, nel corso della storia, farà della propria meschinità motivo di vincita (adesso mi tappo la bocca, basta spoiler).


Hermione si aggirava per la biblioteca, con aria affannata. Entro pochi giorni sarebbe tornata a casa, pronta per le vacanze estive, e voleva assolutamente noleggiare un volume.
Carezzò il dorso di alcuni libri, sussurrandone il titolo.                                                         
Oh, e me l’avevano anche consigliato!
Il tomo s'intitolava “Biografia del Mago Lubirin”, e trattava, appunto, dei trascorsi del mago Lubirin. Grande alchimista, le sue scoperte ricoprivano gran parte del programma di Pozioni dell’anno seguente. Insomma, le sarebbe piaciuto avvantaggiarsi sui compagni…
E poi, lo vide. La biografia spiccava, poderosa, su un tavolo lì vicino. Hermione sorrise, allietata.
-Oh… C-Ciao Herm-mione…- Il sollievo della ragazzina scomparve, seguito da una smorfia scocciata. Hermione strinse i pugni, nel tentativo di contenere la rabbia. Quella vocina insicura apparteneva a Charles Mitchell.
-Ciao- lo salutò, brutalmente. Con un brivido di disappunto, notò che Mitchell adocchiava "Biografia del Mago Lubirin". Lo prese in mano e cominciò a sfogliarlo.
-L’hai noleggiato?- chiese Hermione, sconfortata.
-Sì… v-volevo l-leggerlo… P-perché?- La ragazzina avvertì un moto di astio per la sua ingenuità. Oh, com’era sfortunata! Hermione deglutì a vuoto, visibilmente afflitta.
Ne era perfettamente consapevole (gliel’aveva detto Madeline): Hermione esercitava un ascendente su Mitchell, e, con un po’ di sopportazione, la sua influenza le sarebbe tornata comoda. Bastava fare la carina… e, in un modo o nell’altro, Mitchell le avrebbe ceduto il libro.
-Posso sedermi al tuo tavolo?- domandò Hermione, sfoggiando il suo miglior sorriso tirato. Mitchell arrossì sino alla punta dei capelli. Impreparato, balbettò qualcosa di incomprensibile.
-Cos’hai detto?- Hermione non perse tempo, e si sistemò al fianco di Mitchell.
-Niente...- Mitchell, perso nella contemplazione della ragazza, sembrava non accorgersi di ciò che faceva.
Hermione sospirò.
Meglio che il mago Lubirin ne valga la pena.
Mitchell, dopo diversi, concentrati minuti, comprese i veri obbiettivi di Hermione. Non era affatto interessata a lui, ma piuttosto al libro… E lui ne avrebbe approfittato.
Non voleva cederle quel volume: fintantoché avesse posseduto il libro, Hermione sarebbe stata costretta a trascorrere del tempo con lui.
-Sai, Mitch… Charles, questo libro mi piace molto. Potrei portarlo a casa per le vacanze?... Ti prego!- Hermione modulò una voce insolitamente flautata, poi cominciò a sbattere le palpebre. Mitchell fece appello a tutta la sua risoluzione pur di resistere, e, con uno sforzo titanico, mise da parte il balbettio.
-Allora abbiamo gli stessi gusti! Anche a me piace molto, sai…- Non gliene fregava un bel niente, in realtà.
-Si, ma… Posso portarmelo a casa?- Hermione congiunse le mani.
-Non lo so… Se vuoi, possiamo incontrarci per leggerlo insieme!- propose Mitchell, infimo calcolatore. L’espressione della ragazzina si incrinò, mostrandosi in tutta la sua irritata asprezza.
Hermione ci mise un attimo per ricomporsi, e, amareggiata, incassò il colpo: non poteva respingerlo, non ora che le serviva.
-Non credo che sia possibile…- Hermione adottò un sorrisino triste, ma, da quella pessima attrice che era, non risultò convincente.
-Oh, ma dai, dove vivi?- Inutile dirlo, Mitchell non mollava la spugna.
-A Londra…-
Sii evasiva…
-Un po’ più precisamente?- si ostinò Mitchell, lo sguardo indagatore.
Ma guarda questo stro… mboli.
Dire una bugia? Mitchell sarebbe stato in grado di verificarla.
Stalker di melma…
Londra era una grande città… Sicuramente Mitchell abitava lontano da lei.
-Vivo a Walthamstow, in Kenilworth Avenue-
-Ma stai scherzando?!- Mitchell parve sinceramente sorpreso, e, dopo i primi attimi di sbigottimento, estasiato. Hermione sentì il sangue ghiacciarle nelle vene. -Sto a Farnan Avenue!- esclamò, praticamente commosso da quella (sfortunata) coincidenza.
Hermione si morse il labbro inferiore, sfogandovi tutta la sua frustrazione.
Ottimo, adesso sa anche dove abito! Non solo ho perso tutte le possibilità di scampargli, ma rischio anche di ritrovarmelo sull’uscio!
-Allora che ne dici? Già che abitiamo vicini, possiamo incontrarci!- Mitchell sorrise, sicuro che le sue speranze fossero fondate: Hermione non avrebbe mai rinunciato al vantaggio.
-Una volta sola…- ringhiò Hermione, digrignando i denti. Non poteva rifiutare, e se quello era l’unico modo…
-Non basterà!- cinguettò Mitchell.
No, devo averlo qui e ora. Non riuscirei a reggere quell’idiota.
-Oh! Ti scongiuro, dammelo qui, lo voglio da tutto l’inverno!- A quell’esclamazione, nella biblioteca si liberarono diverse risatine maliziose. Hermione, col cuore in gola, reinterpretò il significato delle sue parole. Praticamente senza fiato, non trovò la forza né di controbattere, né di ridirsi. Aprì e richiuse la bocca, sconvolta ed ingiuriata.
Depravati.
-N-non f-farti st-t-rane id-dee…- Balbettò, puntando due occhi stravolti su Mitchell. Quest’ultimo trovò appena la forza di negare, tant’era imbarazzato. Hermione uscì a passo di marcia dalla biblioteca, senza guardare in faccia nessuno. Avvertiva i loro sguardi trapassarle il cranio…
-Ma cosa cavolo…- iniziò Ron, che, immancabilmente, era entrato in libreria proprio in quel momento.
-Un errore… Non volevo dirlo… Ho solo tredici anni… E lo odio… Ho solo tredici anni…- sussurrò, turbata.
-Ma stai tranquilla, lo sanno… Non devi preoccuparti… Nessuno ha pensato niente, miseriaccia, non agitarti- Ron omesse la parte “Adesso le ship partiranno a mille”.
 
-Oh, come si sta bene!- esultò Hermione, cullata dal dolce dondolio del vagone. Harry, Ron e Madeline annuirono, satolli di dolciumi.
-Che peccato, è già finito il nostro terzo anno…- sospirò Madeline, affranta.
-Già, ma da adesso in poi possiamo partecipare ai balli studenteschi, giusto?-
In uno scompartimento lì vicino, il clima era molto più acerbo… per qualcuno.
-Oh! Ti scongiuro,- ansimò Tiger, intento a scimmiottare Hermione -dammelo qui, lo voglio da tutto l’inverno!- A quell’imitazione, nello scompartimento si innalzò un coro di risa… Solo una di esse era artificiosa e stentata: quella di Malfoy somigliava più ad un sorriso di condoglianze. Zabini tentò di mettere a tacere la compagnia, che, incitata da Pansy Parkinson, non accennava a zittirsi.
-Draco…- sussurrò Blaize, coperto dallo sciame di risa -non ti ho mai visto geloso…- Malfoy lo allontanò con una spinta, arrossendo in volto: -Non sono affatto geloso!- puntualizzò.
-E allora perché te ne stai tutto sulle tue? Si fa per ridere, è chiaro!-
Se Malfoy stava per rallegrarsi, ci pensò Daphne Greengrass ad incupirlo nuovamente: -Sono certa che prima o poi si innamoreranno. Mi ha detto Ylenia che quei due vivono vicini! Mi dispiace sapere che la Mezzosangue si metterà con Mitchell, non fraintendetemi… Però, la verità è innegabile! Si attraggono! Leggeranno anche un libro insieme, me l’ha raccontato Samuel Smith. Ah, quella Mezzosangue… quasi quasi la invidio, visto quant’è bello Mitchell (che poi è un Purosangue coi fiocchi)- Malfoy bofonchiò qualcosa di blasfemo. Come si permetteva… quel damerino… e la Granger, come aveva potuto tradirlo così… Non odiava Mitchell, quindi? Era forse una bugiarda? Si sarebbe contraddetta?
-Non hai diritto di biasimarla- gli ricordò Zabini, a bassa voce -Lei non sa nulla della tua attrazione, e tu, peraltro, non ti sei sforzato di farglielo intuire-
-Ma lei odiava Mitchell…-
-Te l’ha mai detto in faccia?-
-No, ma l’ho saputo…-
-Potrebbero benissimo essere pettegolezzi, esattamente come potrebbero non esserlo. Non dar fede alle chiacchiere- Zabini sorrise, compiaciuto della sua stessa assennatezza.
-Quindi… credi che tra loro ci sia qualcosa?- Malfoy si stupì nel pronunciare quelle parole. Lui che discorreva d’amore? E quando mai?
-Non lo so, ma tu… sforzati, d’accordo? Cerca di adescare la Granger. So che sei troppo orgoglioso per confessarti apertamente, ma almeno tenta qualche altro metodo!- Malfoy annuì, la testa persa in mille ipotesi. Come…? Lui non esternava mai i suoi sentimenti, e tantomeno si sforzava di conquistare una ragazza: era la ragazza a venire da lui.
Lei è diversa, Draco.
Oh, Zabini aveva sempre ragione. Ci voleva qualcosa di drastico… di eloquente… non troppo smielato… ben nascosto ad occhi indiscreti… rapido…
Improvvisamente, si illuminò.
 
Il treno era in anticipo di una mezzoretta, e così, quando l’Hogwarts Express fece ritorno a King’s Cross, gli studenti trovarono pochi genitori ad attenderli. Hermione si sporse dal finestrino, nel tentativo di individuare la sua famiglia. Passò in rassegna ogni coppia di adulti, e alla fine si convinse che non erano ancora arrivati. Beh, sarebbe andata loro incontro.
Hermione recuperò tutti i suoi bagagli e scese dal treno, tentando di non farsi travolgere dagli studenti più grandi. La ragazzina si appostò davanti al muro, attese qualche attimo e, fingendo disinvoltura, lo attraversò con un passo. Il binario 9 e ¾, celato da una spessa parete di mattoni rossastri, le parve ormai un lontano ricordo… Ah, che mestizia.
Conducendo il carrello con i suoi bagagli (e Grattastinchi, naturalmente), si diresse verso l’uscita della stazione. Scantonò destramente da pilastri e binari, defilando ogni pendolare incravattato. Con un’accortezza fuori dal comune, Hermione guidò magistralmente il carrello tra passeggeri ed ascensori affollati.
In mezzo a quella baraonda, le riusciva impossibile orientarsi… Figuriamoci, la sua visuale era ostruita da decine di persone, tutte accalcate le une alle altre.
Manco si accorse che un ragazzino particolare, dotato della sua stessa agilità, stava scivolando tra la folla… e avviandosi nella sua direzione. Era stato difficile pedinarla, ma Malfoy, dotato di una spavalda ostinatezza, aveva fatto il possibile pur di raggiungerla.
Eccola lì, disorientata, persa in un nugolo di viaggiatori caotici. Appigliata al manico del suo carrello, indirizzava sguardi vacui e smarriti a chi le passava affianco. Nessuno parve ripagarla del precedente riguardo: Hermione era bersaglio di gomitate, urti e spinte, tanto che, troppo frastornata per mantenere l’attenzione, reclinò il capo. Doveva elaborare un piano… racimolare una mappa… chiedere informazioni…
Mentre si concentrava sulla strategia da adottare, Malfoy le si avvicinò. Titubante, ebbe un attimo di esitazione… No, era il momento. Doveva sfruttare la confusione di Hermione.
Prendendola alla sprovvista (Hermione sobbalzò), Malfoy le afferrò le spalle. La fece ruotare nella sua direzione, e, approfittando dello scombussolamento di lei, regalò una gioia al popolo dramionesco: fugace, posò le sue labbra su quelle di Hermione, in un bacio intenso e sfrontato.
La ragazzina dilatò le pupille, paralizzata. Irrigidì braccia e gambe. Lasciò cadere borse e valige. Non trovò la forza di muovere un muscolo. Fu Malfoy che, previdente, si accollò il “dispiacere” di chiudere il bacio. Si allontanò leggermente, senza mai abbassare gli occhi. Voleva guardarla. Nemmeno Hermione abbassò lo sguardo, ma quello fu dovuto alla pietrificazione. Troppo scossa, la sua scattante testolina era ridotta ad un pensiero soltanto: “WTF?”
Hermione, lentamente, parve riacquistare le capacità motorie. Solo allora intese appieno il gesto di lui. La sua reazione fu graduale ed allentata, quasi macchinosa, tanto si scoprì perturbata. Concernere una tale follia? Che ardua impresa! Assimilò ogni sguardo, ogni sospiro, ogni casto sfiorarsi con tardezza, torpida come l’elettricità nei condomini troppo isolati.
Ancora turbata, si costrinse ad alzare un braccio. I movimenti della sua mano, cadenzati dal respiro affannato, si arrestarono sulle labbra. Hermione le sfiorò con l’indice, come a ponderare l’affronto che avevano appena subito.
-Tu…- sibilò, ingiuriata, la voce roca. Malfoy, basito da tanto subbuglio, perseverò nel mostrarsi impassibile. Non mosse un muscolo, anche se, tornato a casa, aveva tutte le intenzioni di crollare. Imperturbabile, non si sarebbe mai perdonato un eccesso di sentimentalismo.
Anche quel bacio derivava dalla sua fredda praticità: diretto e pragmatico, era subito andato al punto. Niente cavallerie, niente sdolcinatezze. Se c’era qualcosa per cui non era famoso, quella cosa erano i discorsi leziosi. Algido e distaccato, le azioni spudorate e concrete erano la sua specialità.
-Tu… come… ti sei… no… Malfoy… io…- Quello di Hermione era uno sguardo truce, assassino, esterrefatto dall’improperio subito -Mi hai baciata… senza permesso…- gli rinfacciò, folle. Quel torto era troppo scandaloso per passare inosservato.
Malfoy aveva sovvertito la sua integrità di Grifondoro. Quel bacio… era stato un insulto. Ogni secondo… una denigrazione in più. Lei… sberteggiata da un Serpeverde insolente. Si sentiva sporca, contaminata. La sua purezza era andata perduta. Hermione ne era certa: lui non l’amava. E quel bacio era tutta una presa in giro, un modo di umiliarla. Voleva vendicarsi? Voleva mortificarla? C’era riuscito, poiché mai Hermione avrebbe recuperato la precedente limpidità. Non era più una candida, tersa, puritana Grifondoro, ma una ragazzina toccata dal male… Baciata dal male.
-Io ti odio!- sputò, in preda alla collera. Malfoy non disse niente -Tutto questo… per uno scherzo cattivo! Sei uno spregevole… verme…- No, Hermione non aveva capito, e Malfoy non si sarebbe preso la briga di dichiararsi. Quant’era ottusa!
-Granger…- sospirò, fiacco. Che spreco di energie!
-No… NO!- ruggì lei. E così, accadde. Accadde che Hermione pronunciasse la sua prima parolaccia, senza filtri, senza versioni meno offensive -Vaffanculo, brutto stronzo!-
Malfoy avvampò, improvvisamente consapevole che tutti li stavano fissando. Parve che l’intera stazione si fosse ammutolita, solo per udire quel dialogo esilarante.
-Abbassa la voce, psicotica!-
-Dio, se ti detesto! Che tu sia maledetto! Giuro, Malfoy, giuro, che nevicherà sulle colline dell’Inferno prima che tu ottenga il mio perdono!- Malfoy riacquistò la solita arroganza, e, con un sorriso beffardo, replicò: -Oh, non disturbarti nemmeno-
-E perché mai?- sbraitò Hermione.
-Perché per esser perdonato, dovrei pentirmi- Malfoy si girò, un ghigno impudente stampato in faccia. Protervo, fece la sua uscita teatrale.
Hermione girò i tacchi e andò dalla parte inversa, tentando di sfuggire alle occhiate altrui. Si rifugiò in un bagno, e lì, indisturbata, schiumò dalla rabbia. In un borbottio incessante di imprecazioni, profanò questa Dramione dai toni gentili.
Hermione sarà anche stata una studentessa brillante, ma in amore non ci capiva una cicca.
 
-Allora?- chiese Zabini, che, paziente, aveva atteso Malfoy.
-E’ un’emerita idiota!- sbottò Malfoy, inviperito. Zabini ricacciò un sorrisetto.
-Che ha fatto?-
-Non ha capito, ha pensato che fosse per scherzo e mi ha mandato affanculo davanti a decine di persone- Questa volta, Zabini non riuscì a trattenere una risata.
-Cosa ridi, scemo?!- strepitò Malfoy.
-Rido perché non aveva tutti i torti. Insomma, sono anni che la chiami “Mezzosangue”, che la insulti, che la umili e che la punzecchi, anche dopo esservi raccontati i vostri peggiori segreti. E poi la baci. No, Draco, non sarà semplice, anche perché la Granger non è molto perspicace in quanto amore-
-Io non la amo…- provò a giustificarsi Malfoy, ferito nell’orgoglio.
-Oh, tu e il tuo maledetto ego! O la smetti di mentire, o do carta bianca a Mitchell- Dall’espressione contrariata dell’amico, Zabini si acquietò.
-Ci sarà da divertirsi, Draco… Qualcosa mi dice che siamo solo all’inizio-
 

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Capitolo 12
*** Gelosia portami via ***


Hermione si grattò il capo, incapace di placare il nervosismo.
-E così questo ragazzino ti ha baciata…- ripeté sua madre, affettuosa. Tra una curva e l’altra, Jane Granger ascoltava il resoconto di sua figlia.
-Sì!- esclamò lei, tamburellando con le dita sul finestrino. Inquieta e suscettibile, Hermione era tutta uno sbuffo impaziente.
-Ma dimmi, com’è questo… Drago?- La signora ridacchiò, divertita da quel nome bizzarro.
-Con la “c”, mamma, ma comunque che importa, non lo chiamo mai per nome… Mi sta tanto antipatico!- sbottò Hermione, incrociando le braccia.
-Non hai risposto alla mia domanda… E’ carino?- chiese ancora, maliziosa. Hermione soppesò attentamente quella domanda: Malfoy era carino? Fino ad allora si era concentrata solo sui suoi difetti, ignorando completamente i pregi. Ricordò con astio il suo ghigno beffardo, impudente… Lo sguardo di ghiaccio, i modi impassibili, la voce ruvida, le maniere frettolose, il carattere schivo… Ma, come a sostegno di Malfoy, altri ricordi si intrufolarono nella mente di Hermione: la sua risata. Quando rideva… Era tutta un’altra storia. La voce si ammorbidiva, il volto si distendeva, gli occhi si rallegravano, vivaci, pregni di un brio inimmaginabile. E quello sguardo, prima così torvo e cupo, diveniva caldo ed accogliente, carezzevole verso il prossimo. Hermione non riuscì a tralasciare quelle qualità. Sì, Malfoy sapeva essere decisamente carino, ma questo non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura. E poi, ancora fresca del recente oltraggio, non era assolutamente in vena di apprezzamenti.
-No, è brutto e stupido!- esclamò, più tesa a ferire un Malfoy inesistente che a rispondere con sincerità.
-Oh…- sussultò sua madre, dispiaciuta.
-Già- puntualizzò Hermione.
-Per fortuna, nella tua scuola ci sono tanti bei ragazzi. Quando ti abbiamo accompagnata alla stazione, ne abbiamo visti tanti… Uno l’ho riconosciuto, si chiama Charles Mitchell, vero?- Hermione proruppe in uno sbuffo sonoro -Ma ce ne sono altri. Quell’Harry di cui mi parlavi non è affatto male… Ti ricordi lo scorso anno?- Hermione corrugò la fronte: di cosa stava parlando sua madre?
-Chi hai visto di così importante lo scorso anno?-
-Sei salita sul treno accompagnata da un bambino biondo- Hermione sbarrò gli occhi.
Spostati, Mezzosangue!                                                          
Spostati, stronzetto!
Malfoy non l’aveva accompagnata, bensì urtata, e quello scambio di intenzioni iniziava a darle sui nervi.
-Mmm- mugugnò Hermione, incapace di fornire altra risposta.
-Era decisamente carino. E anche biondo!- continuò la signora, con aria attenta e giudicatoria.
-Non mi interessa- sancì Hermione, altezzosa.
-E va bene, quante pretese… Se sei così schizzinosa, non troverai mai un fidanzato- Hermione si morse la lingua, irritata.
-Meglio sola che mal accompagnata- recitò, con aria di superiorità.
-Credimi, tesoro, sarai ben accompagnata…- sua madre sfoggiò un sorriso compiaciuto.
-Cosa dici?-
-Prima che venissi a prenderti ha chiamato Charles Mitchell, che abita vicino a noi. Mi ha chiesto quand’eri disponibile per incontrarlo- La signora assunse un cipiglio bonariamente canzonatorio.
-Ma è un vero stalker! Si è messo sulle mie tracce non appena uscito da scuola, non mi sorprenderei se avesse passato il viaggio consultando le pagine gialle!- Hermione colpì il sedile davanti con un calcio, sfogandovi la sua irritazione. Ma cosa poteva farci? Per quanto Mitchell fosse frettoloso e sconsiderato, Hermione non poteva respingerlo. Senza quel libro, avrebbe rischiato di… trovarsi in pari con i compagni. Lei era il meglio, il meglio e il meglio (in modo più moderato, ovvio, ma sempre competitivo)!
Il mago Lubirin sarà artefice di un terribile pomeriggio.
-E comunque, cosa gli hai risposto?- chiese Hermione, rassegnata.
-Che non sapevo ancora quando eri libera, e che quindi l’avresti richiamato-
-Richiamarlo?!- Questo era troppo. Non solo Hermione doveva condividere il libro con lui, sopportare la sua avventatezza e sorbire i commenti ironici della madre, ma adesso anche perdere tempo dietro al telefono!
Sua madre parcheggiò vicino al condominio (una villetta multifamiliare con finestrelle quadrate e muri in legno scuro). Hermione spalancò la portiera e si scapicollò su per la tromba delle scale. Non appena giunse nel suo appartamento, abbracciò il signor Granger. Era intento a cancellare la cronologia del portatile, e la signora Granger, stranamente, non parve insospettita. Hermione non vi badò più di tanto.
-Ciao, tesoro!- la abbracciò.
Hermione, dopo un accurato rendiconto dell’anno scolastico, salì in camera sua. La percorse a piccoli passi, assicurandosi che tutto fosse rimasto come l’aveva lasciato. Doveva smetterla di temporeggiare: sarebbe bastato comunicargli un orario, tutto qui. Dopo una veloce ricerca sulle pagine gialle, Hermione si munì del telefono fisso e digitò il numero. Mitchell rispose immediatamente. Parve quasi affannato quando la salutò.
-Ciao, Mitch… Charles. Sì, sto bene… Tra due giorni alle diciassette? Ottimo, buona serata- Hermione tirò giù il telefono, incapace di prolungare quella melensa conversazione.
 
Hermione schiacciò la testa contro il cuscino, lievemente assonnata. L’orologio segnava le sette di mattina (nonostante fosse in vacanza, Hermione non aveva perso le sue abitudini mattiniere). Probabilmente i suoi ancora dormivano, e così Hermione, dopo una doccia fredda, decise che sarebbe andata a fare la spesa.
La ragazzina si aggirava, guardinga, tra i vari reparti, adocchiando ogni scaffale. Ripeté a bassa voce la lista della spesa, come un mantra.
Fu troppo tardi quando, con una stretta al cuore, si accorse della presenza di Charles Mitchell. Le si era avvicinato, rimanendo però indifferente alla sua presenza: evidentemente non l’aveva notata. Il suo era uno sguardo spento. Approfittando della sonnolenza di lui, Hermione si allontanò in punta di piedi.
CRASH
Un liquido oleoso si riversò a terra, confondendosi con le tante scheggioline di vetro. Il barattolo di olive, infrantosi sul pavimento, costrinse Hermione a voltarsi.
Mitchell, disattento, se l’era fatto sfuggire di mano.
-Mi scusi, signorina!- cominciò lui, prima di accorgersi dell’identità di Hermione.
-Ciao- bofonchiò. No, non era stanco… Ma triste. Sembrava stretto in una coperta di pensieri avvilenti, impossibilitato a distendere il torace, a gonfiare il cuore. I suoi occhi trasudavano cupezza. Erano stranamente arrossati, come se avesse pianto molto. Hermione si lasciò sfuggire un “oh” di sorpresa. Charles Mitchell, così sicuro ed instancabile (in materia di corteggiamento), sembrava sull’orlo delle lacrime.
-Ma… stai bene?- si costrinse a chiedergli.
-Più o meno- Girò il capo, evasivo.
-A me non sembra…- riprese Hermione, incerta su come comportarsi. Rischiava di iniziare una conversazione interminabile, ma, sorretta dalla sua indole generosa, decise di aiutarlo.
-E dai, dimmelo…- Mitchell, colpito da tante attenzioni, si decise a parlare: -Mio padre ha fatto un brutto incidente… In macchina… Lui è un mago, e non sapeva guidare tanto bene… I medici non sanno se sopravvivrà- singhiozzò.
-E quando?-
-Ieri sera…-
-E perché sei qui, allora?-
-Mia madre ha detto che dovevo distrarmi… Mi ha detto di prendere del cioccolato… E di fare due o tre commissioni… Sai, doveva esserci anche Samuel, ma lui non poteva accompagnarmi… Fa un viaggio… ma a mia madre ho detto il contrario… Non volevo farla preoccupare… per me…- Hermione, dapprincipio un po’ titubante, lo abbracciò, intenerita da quell’altruismo. Mitchell stava superando un momento difficile, e non aveva ancora nessuno vicino. In attesa di Samuel o di qualunque altro dei suoi amici, Hermione decise che sarebbe stata al suo fianco. Lei era pur sempre una Grifondoro, cavolo!
-Adesso stai tranquillo… Dov’è tua madre?- gli chiese, amorevole, senza sciogliere l’abbraccio.
-All’ospedale…- Hermione, il mento appoggiato alla spalla di lui, notò che la schiena di Mitchell era scossa da piccoli fremiti. Impietosita, provò un moto di compassione.
-A casa tua non c’è nessuno?-
-I miei nonni… Finito qui, dovrei tornare da loro…- Altro singhiozzo.
-Vuoi che ti accompagni fin laggiù?- domandò Hermione, commossa da tanta pena.
-Non ce n’è bisogno… Ma grazie- Mitchell si coprì gli occhi con un braccio, e Hermione allora gli porse un fazzoletto.
-Hermione, grazie… Sei davvero una brava persona- Mitchell sorrise, un sorriso triste, ma riconoscente. Hermione si sentì appagata da quella gratitudine.
Per una volta aveva visto oltre le avances, oltre i corteggiamenti zuccherosi… Trovando un ragazzo sensibile, demoralizzato e dal cuore gentile, disposto ad azioni nobili e pure. Aveva sopportato il dolore da solo, ma Hermione, altrettanto magnanima, era pronta a sorreggerlo.
 
I giorni seguenti furono un crescendo di telefonate e visite in ospedale, tanto che Hermione finì per conoscere l’intera famiglia Mitchell. Non se ne risentì affatto: tutte quelle persone, benché sopraffatte dalla sofferenza, le rivolsero parecchie frasi gentili.
Mitchell non dimostrò alcun interesse amoroso, e trattò Hermione come una vera amica. Tra loro si instaurò uno strano legame, il legame di una persona afflitta e di una solidale, decisa ad offrire tempo e sostegno.
La ragazzina, oltre ogni prevedibilità, non trovava più fastidiosa la presenza di Mitchell, ma il motivo stesso delle sue frequenti visite. Lui era cambiato: troppo preso dalle preoccupazioni e dagli affanni, sembrava completamente dimentico della cotta. E poi, così accorato, così impensierito, aveva dimostrato molta devozione al padre. Hermione non si sarebbe aspettata un tale rammarico.
Lui è Charles, una persona fedele e gentile, e non un bastardo gretto come Malfoy.
 
Noah Mitchell, padre del suo “nuovo” amico, non annoverava miglioramenti. Costretto nella buia camera d’ospedale, il suo tempo non faceva che diminuire.
I risultati delle analisi parlavano chiaro: c’erano pochissime possibilità che si risvegliasse dal coma. Hermione, durante una delle sue visite, notò alcune figure singolari entrare nella camera. Vestivano con abiti fuorimoda, e chiaramente appartenenti al sesso opposto. Una vecchia signora indossava infradito, giacca da sera e gonnellone di flanella, mentre un altro uomo, basso e peloso, era avvolto in uno scialle indiano. Hermione li riconobbe chiaramente per maghi, e, a giudicare dagli stralci di conversazione che udì, maghi importanti: provenivano dal San Mungo, e ne erano i direttori.
-Che ci fanno qui?- chiese a Mitchell, che pareva onorato da quella visita.
-Mio padre è un grande benefattore del San Mungo. Ha donato diverse migliaia di galeoni per incoraggiarne la costruzione, o per consentire l’acquisto dei materiali medici… Tutti gli sono molto riconoscenti- tirò su col naso, in uno scatto d’orgoglio. Hermione ricordò solo allora che la famiglia di Mitchell era molto ricca. Madeline, così come molte altre delle sue ammiratrici, non aveva fatto altro che ripeterlo.
-Ho paura- proseguì Charles, rabbuiandosi -che presto arriverà la stampa. Mio padre era un personaggio di rilievo nella comunità magica, e non mi sorprenderei se finisse sulla Gazzetta del Profeta. In questo periodo scarseggiano le notizie, e i giornalisti faranno tesoro di questo avvenimento- sospirò. Hermione gli diede una pacca rassicurante.
-Tranquillo, andrà tutto bene-
Peccato che non fu così. Alle due di quella stessa notte, preda di una muta agonia, Noah Mitchell passò a miglior vita.
Nella camera d’ospedale, pronta a dare l’estremo saluto, si riunì tutta la famiglia Mitchell (più Hermione).
La signora Mitchell carezzò lentamente il braccio di suo marito, istoriato di vene azzurrine, e ne percorse le diramazioni con l’indice. Emise un singhiozzo soffocato, e si coprì gli occhi con le mani. Charles, trattenendo le lacrime, abbracciò la madre. Hermione intrecciò la mano con quella del ragazzino.
-Charles…- sussurrò al suo orecchio -guarda che puoi piangere. Siamo tra amici- Il ragazzino scosse impercettibilmente il capo.
-No. Adesso sono io l’uomo di casa, visto che non ho fratelli. È mio compito essere forte- Si batté una mano sul petto. Hermione, toccata da tanta risoluzione, si lasciò sfuggire una lacrima.
-Hermione…- sussurrò lui, affettuoso. L’avvolse in un abbraccio, i capelli dorati immersi in quelli castani.
I ragazzi furono sommersi da una luce abbagliante. Rapido come un fulmine, quel bagliore scomparve, lasciando al suo posto uno strascico di borbottii scocciati. Hermione, dopo aver strabuzzato gli occhi, si trovò davanti un terzetto di giornalisti.
-Che tragica perdita- Iniziò uno dei tre, con voce melodrammatica.
-Andatevene, carogne- ringhiò la signora Mitchell, scossa -ed eliminate subito quella foto-
-Mi dispiace molto, ma non possiamo. La redazione ci manda qui per carpire notizie… Ripeto, siamo desolati…- tentò di giustificarsi uno dei tre, senza smettere di scattare foto. Quando poté ritenersi soddisfatto abbandonò la scena.
-Ma quindi… saremo sul giornale?- sussurrò Hermione, leggermente a disagio.
-Sì…- rispose Mitchell, impacciato.
 
Draco Malfoy aprì una scatoletta di mangime per gufi, e ne versò il contenuto nella gabbietta.
-Mangia, forza- incitò il suo gufo, un maestoso purosangue dal piumaggio nero.
Dopo aver adempito a quel consueto compito, uscì dalla camera. Discese la possente scalinata di marmo bianco, incontrando un indaffarato e ossequioso Dobby. Si astenne dal rimproverarlo, troppo affamato.
Il soggiorno era tappezzato di arazzi-verde argento, e al suo interno era situato un maestoso e lunghissimo tavolo. Vi erano posizionate pietanze di ogni tipo, dalle brocche di latte ai biscotti fatti in casa.
I suoi genitori, seduti ciascuno ad un lato del tavolo, sfogliavano pigramente la Gazzetta del Profeta.
-Dicono qualcosa di interessante?- chiese Malfoy, più per instaurare un dialogo che per giovarsi della risposta.
-No, le solite scemenze su Caramell… E’ sceso il valore delle bacchette in legno di salice… E’ morto un uomo importante…- elencò sua madre, con voce annoiata.
-E chi?-
-Noah Mitchell, che, insieme a tuo padre, ha donato grosse cifre al San Mungo- Malfoy strabuzzò gli occhi. In un certo senso, poteva constatare che il suo nemico avesse sofferto… E questo pensiero, seppur subdolo e crudele, gli recò un maligno compiacimento. Poté affermare di essere soddisfatto… Fin quando sua madre non gli passò il giornale, e lui vide la foto in prima pagina.
Attorniati da meste figure, la foto ritraeva due ragazzini abbracciati. Hermione, riconoscibilissima nella sua nube vaporosa di capelli, stava avvinghiata a Mitchell. Le figure in movimento non accennavano a separarsi, visibilmente affiatate.
Malfoy, pur senza accorgersene, afferrò i lembi della pagina, e in quattro e quattr’otto ridusse il giornale a brandelli. Il suo viso pallido si fece rosso porpora, contratto in una smorfia collerica.
-Draco!- esclamò sua madre -Ma che stai facendo? Con chi diavolo ce l’hai?-
-Le bacchette in legno di salice… non meritavano un simile trattamento-
 
Hermione, il capo reclinato, seguiva la marcia funebre. Fasciata da un sobrio abito nero, si trovava nella prima fila, fianco a fianco con Mitchell.
La signora Mitchell, un velo da lutto che le ricadeva sugli occhi, non faceva che singhiozzare. Suo figlio tratteneva a stento le lacrime, e, in un eccesso di frustrazione, stava martoriando la mano della compagna. Quella non fiatava, troppo impegnata a passare fazzoletti alla vedova.
Il corteo, simile ad un battaglione ben coordinato, percorreva un tortuoso sentierino tra le lapidi. Giunti sul luogo della sepoltura, i presenti si disposero a cerchio intorno alla bara. Le donne, cinte dal saldo braccio del marito, elargirono occhiate strazianti al feretro, mentre gli uomini, sorretti da una virile fierezza, raccontarono qualche aneddoto sulla vita del defunto.
Hermione, guardandosi intorno, si accorse di tre insolite presenze: i Malfoy. Noah Mitchell aveva spesso collaborato con Lucius, in quanto impiegato del ministero, e tra loro era nata “un’alleanza burocratica”. Prestando fede ai loro impegni civili, i Malfoy non si erano esentati dal partecipare. Hermione cercò il piccolo Malfoy con lo sguardo. Ma dov’era? E soprattutto, perché se lo stava chiedendo? Cosa importava? Quello scarafaggio poteva morire, se fosse stato per lei. E anche in un modo atroce.
Hermione avvistò di sfuggita un ragazzino esile, e, a giudicarlo dai capelli platinati, lo riconobbe per Draco Malfoy.
Aveva deciso di partecipare solo per tenere a bada la situazione. Era perfettamente consapevole di non poter intervenire (ingaggiare una zuffa nel mezzo del funerale?), ma, a prescindere dalla propria impotenza, desiderava avvalersi di qualche informazione. Starsene chiuso in casa, tormentandosi di domande, non faceva affatto per lui.
-Era davvero… un brav’uomo- sussurrò Mitchell, la voce roca.
-Lo credo, visto che ha allevato un figlio come te- lo consolò lei. Hermione, per evitare di angustiarlo ulteriormente, non accennò alla presenza di Malfoy. A Mitchell non era mai stato simpatico (forse perché concorreva al trono di “rubacuori indiscusso”).
Anzi… a Hermione balenò in testa un’altra idea, un’idea decisamente reproba: a Hogwarts, prima che, naturalmente, accadessero quegli spiacevoli avvenimenti, era risaputo che lei odiasse Mitchell. La sua insopportazione veniva decantata da tutte le case, nonostante lei non l’avesse mai esplicitato. Infondo, si poteva dire che Hermione fosse limpida e spontanea, e che quindi nessun suo sentimento sfuggisse alle “gossip girls”.
Perciò, se Malfoy era tanto certo di quel rigetto, sarebbe rimasto spizzato nell’assistere al contrario. Se Hermione l’aveva ripudiato alla stazione (si era trattato di uno scherzo, ma uno scherzo a cui aveva reagito male), non c’erano motivi per cui potesse trovare appetibile Mitchell. E invece… Poteva fargli credere un qualche interesse reciproco! Hermione Granger che rifiuta Malfoy e non Mitchell, umiliante, eh? Sì! Era perfetto! Malfoy si sarebbe messo le mani tra i capelli, domandandosi “Come ha fatto a respingere me e non lui? Mi trova peggio di Mitchell?”.
Malfoy la detestava, e magari non gli sarebbe affatto dispiaciuto… Però valeva la pena provarci! A quanto dicevano tutti, lui e Mitchell erano belli uguale, e per Malfoy sarebbe stato avvilente osservare il contrario. “Meglio Mitchell che me? Come è possibile? Non ero il migliore? Cioè, ha rifiutato un mio (finto) bacio, ma non quel damerino?”, avrebbe riflesso, esacerbato.
Abbracciare Mitchell? Era quello che faceva di continuo, ma non sotto gli occhi impreparati di Malfoy. Mitchell non avrebbe sospettato niente, e Malfoy, invece, si sarebbe roso dall’apprensione.
-Charles…- sussurrò, con voce tormentata. Poi, persuasiva, lo circondò in un abbraccio veemente e caloroso.
Malfoy, convinto che Hermione avesse agito d’istinto, digrignò i denti. Li sentiva stridere, gli uni sotto gli altri, ma non allentò quella morsa iraconda. Affilò gli occhi orlati d’acrimonia, strinse i pugni. Le unghie premevano contro la carne, minacciavano di segnare il palmo, ma lui non rilassò la stretta. Il dolore fisico lo distoglieva da quello morale. Abbassò gli occhi, arrossati, vitrei di rabbia impotente.
Bastardo.
Hermione non era sicura che Malfoy li avesse notati, tant’era preso a fissare il suolo, ma… al diavolo! Lei aveva tentato! Soddisfatta, tornò al suo impiego di “dispensatrice di fazzoletti”.
Se era pentita? Dopo i primi minuti di appagamento, si sentì un essere infimo e spregevole. Malfoy si meritava una vendetta, ma Mitchell no… E lei l’aveva sfruttato. Per sopperire a quell’azione esecrabile, afferrò la mano del compagno, rassicurante.
Malfoy si allontanò dalla scena, troppo ingiuriato. Coi nervi a fior di pelle, prese a spintonare chiunque lo intralciasse. Prima di abbandonare il corteo, però, gettò un’ultima occhiata a Mitchell. Tentò un incantesimo non verbale. Sopraffatto dal furore, voleva riempirgli la pelle di ferite. La sua collera si sarebbe placata solo con la vista del sangue, con le urla straziate. Non ci riuscì, tant’era instabile la sua concentrazione.
Mitchell, all’improvviso, si voltò nella sua direzione. I due ragazzini si fissarono negli occhi, e Mitchell, con sorpresa dell’altro, non abbassò lo sguardo: lui sapeva. Sapeva della presenza di Malfoy, sapeva del suo amore per Hermione, sapeva di quanto quell’abbraccio l’avesse ferito. Sorrise. No, i fazzoletti di Hermione non erano serviti a coprire le lacrime, ma la loro mancanza. La recitazione non è solo un mestiere, a volte.

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