Oltre I Limiti Del Cuore

di _iamross
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 11: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undici ***
Capitolo 13: *** Capitolo Dodici ***
Capitolo 14: *** Capitolo Tredici ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quattordici ***
Capitolo 16: *** Capitolo Quindici ***
Capitolo 17: *** Capitolo Sedici ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciassette ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciotto ***
Capitolo 20: *** Capitolo Diciannove ***
Capitolo 21: *** Capitolo Venti ***
Capitolo 22: *** Capitolo Ventuno ***
Capitolo 23: *** Capitolo Ventidue ***
Capitolo 24: *** Capitolo Ventitré ***
Capitolo 25: *** Capitolo Ventiquattro ***
Capitolo 26: *** Capitolo Venticinque ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Arabella's POV.

Un anno prima.

Allaccio con cura i lacci degli anfibi neri e li stringo, affinché non rechino alcun fastidio durante l'addestramento che dovrò affrontare a breve. Erano ancora le primi luci dell'alba quando il sottotenente venne a svegliarci, intimandoci di abbandonare i nostri accampamenti ma nel mio caso non è servito il suo richiamo. Sono abbastanza responsabile e parecchio controllata, non ho bisogno che qualcuno mi dica cosa fare. Tuttavia, il mio essere responsabile e precisa in tutto quello che faccio non è visto di buon occhio dagli altri. Gli accampamenti sono divisi per ruoli ed io, essendo un soldato, mi ritrovo insieme ad altre donne del mio stesso livello. Non sono il tipo che si lascia andare alle chiacchiere, preferisco non distrarmi e perseguire i miei obiettivi, per questo motivo non riesco a legare molto con i miei simili, eccetto Lily. Lei è l'unica che tollero, probabilmente perché la conosco da una vita e, fortunatamente, non è il tipo che si lascia intimidire o che comunque si abbandona alle frivolezze, proprio come me. Lily, è la persona che più di tutte mi conosce; anche per questo, appunto, non se la prende molto per i miei atteggiamenti strani e parecchie volte insopportabili. Lei capisce me ed io capisco lei. Siamo molto simili caratterialmente e questo mi va bene.

Indosso la divisa militare, non proprio l'apice della femminilità, e lego i miei lunghi capelli rossi in una coda alta. Apro il rubinetto dell'acqua e attendo che si regolarizzi la temperatura, dopo di che immergo il viso eliminando tutti i residui della notte passata quasi in bianco.

Asciugo il mio volto con un asciugamano bianco e mi specchio osservando tutti i minimi particolari del mio viso: gli occhi scuri adornati da ciglia lunghe; le labbra rosse e accentuate dagli zigomi alti e delineati; il naso abbastanza piccolo e all'insù e la pelle chiara puntellata da lentiggini, soprattutto sulle guance. Un viso che molti associano ad una bambola di porcellana, che potrebbe essere scalfita solo con una carezza, ma che in realtà riesce a tenere su una maschera di indifferenza e freddezza.

Molti mi definiscono debole per il mio fisico in apparenza minuto, in verità molto tonico, ma bastano pochi minuti per cambiare la loro opinione.

Scrollo le spalle lanciando un ultima occhiata al mio riflesso, quindi esco dal piccolo bagno raggiungendo Lily.

La trovo già seduta sulla brandina mentre finisce di allacciarsi gli anfibi, così la raggiungo fermandomi proprio di fronte alla sua figura.

Alza lo sguardo scrutandomi attentamente, con i suoi occhi ben affilati, ma non dice nulla; è consapevole della mia suscettibilità mattutina, di fatti si limita ad un cenno del capo. « Arabella»

« Le altre dove sono?» chiedo guardandomi attorno, notando solo Lexi che sistema velocemente la cintura in vita.

«Ci aspettano fuori.» asserisce, sollevando di nuovo lo sguardo.

Annuisco. «Perfetto»

Si alza dalla brandina molleggiante e sospirando profondamente punta i suoi occhi nocciola nei miei.

« So che ne abbiamo già parlato... ma, sei sicura della tua scelta?»

La fisso in silenzio, attendendo qualche minuto per risponderle. Sono a conoscenza della sua preoccupazione per me ma ormai la decisione l'ho presa, indipendentemente dal suo esito: devo uscire dall'oblio che mi ha cambiato la vita.

«Sono sicura, domani partiremo per la missione in Siria»

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno ***


Settembre 2017.

« Nell'ambito dell'addestramento militare si possono distinguere due tipologie di attività: quelle formative e quelle addestrative. Esse incidono sulla sfera del saper essere un militare e tali capacità che apprenderete perseguono un solo obiettivo: sviluppare le vostre abilità, capacità e dimestichezza nel saper fare.».

La voce del colonnello dichiara, perentoria, la base ed i fondamenti di questa accademia militare. I suoi occhi scrutano senza timore tutti i visi nuovi e non, mentre affronta il suo discorso preparatorio.

A differenza di alcuni di noi, che hanno già affrontato una situazione simile, vi sono nuovi soldati che per ordini superiori sono stati trasferiti qui in Siria.

Non sappiamo il motivo principale per cui la nostra accademia, costituita principalmente da sole donne, è stata improvvisamente stravolta, dando il libero accesso anche agli uomini. Benché molte di noi, come già immagino, indagheranno a tal proposito, io preferisco dissociarmi per evitare problemi in futuro. Non ci è concesso mettere il naso in questioni di questo tipo e non intendo farlo. O per lo meno, semmai la questione dovesse puzzarmi, indagherei da sola senza l'aiuto di qualcuno. È già successo in passato a causa di alcuni reclutamenti sospetti; riuscii a controllare qualche fascicolo ma oltre ai loro dati biografici, non riuscii ad estrapolare nient'altro.

Marxwell avanza pesantemente davanti alla schiera di uomini e donne, tra cui me, che - ammutolite e con sguardi seri - lo fissiamo, attendendo lo step finale che concederà ad ognuno di noi i vari ruoli già scritti.

Non ho avuto modo di scrutare i visi, soprattutto quelli maschili, dei nuovi arrivati e con tutta sincerità nemmeno mi importa. Mi basta riconoscere Lily al mio fianco, del resto... chi occupa il posto alla mia destra o semplicemente dietro di me non mi interessa.

«Non perderò tempo spiegandovi le varie attività, sapete già cosa siete in grado di fare e quali sono le vostre capacità. In questi mesi vi potenzierete, lavorerete sodo giorno e notte e farete in modo di curare oltremodo le vostre abilità.» afferma, soffermandosi su ogni donna o uomo appena entrato dalla porta in fondo alla sala, spostando poi la sua attenzione su di noi già addestrate da un anno. « Non sarà facile, soprattutto per i nuovi reclutati e farete bene a non saltare nessun tipo di addestramento perché non esiterò a mandarvi via»

Il suo sguardo si sposta definitivamente alle nostre spalle e aggrotto la fronte quando mi accorgo che, con un cenno del capo, intima qualcuno a muoversi verso la sua direzione. I passi di più persone si arrestano solo quando Marxwell solleva la mano, ordinando lo schieramento dei ragazzi proprio dietro alla sua figura imponente.

Non li ho mai visti prima, quindi suppongo che siano gli uomini di cui parlava inizialmente il colonnello con un suo fidato ufficiale. Non ho idea di chi possano essere, probabilmente nuove reclute, ma dai loro visi seri e fermamente duri dubito che possano esserlo.

Due ragazzi, in particolare, perlustrano sia il luogo che le persone presenti ed un moto di fastidio mi assale quando si soffermano su noi donne. Il loro sguardo sembra impostato e quasi beffardo, quasi superiore a tutte noi. Sicuramente, sono due dei tanti che si affiancano alla massa, etichettandoci come deboli solo perché siamo donne.

Tuttavia, benché i loro sguardi mi infastidiscono, rimango impassibile.

«Come avrete già intuito, questa accademia non sarà più composta solo da donne ma anche da uomini.» afferma rivolgendosi a noi donne, « Per questioni di cui parleremo in un secondo momento, questi ultimi vi seguiranno durante gli addestramenti. Avete bisogno di una marcia in più, di superiori che vi seguano ad ogni passo che fate e, loro, sono in migliori su ogni linea. Quindi, da oggi in poi, l'unica cosa che vorrò sarà serietà e duro lavoro»

Apprezzamenti e squittii bisbigliati arrivano alle mie orecchie e tali voci basse incominciano a darmi fastidio. Tant'è che l'uomo si ferma di botto con la predicazione e, con uno scatto istantaneo, urla in direzione di due ragazze l'allontanamento immediato dall'accampamento.

Gli angoli della mia bocca si sollevano in un sorriso di piena goduria e, dalla breve risata di Lily, capisco che quest'ultima se n'è accorta.

« Intesi?»

« Sissignore!» esclamiamo in coro.

Le dita fremono dalla rabbia e dal fastidio, che in questo momento mi assale. Quando seppi della riunione speciale, pensai che finalmente avesse messo le idee in chiaro sui vari incarichi da affidare, ero pronta e sicura quando varcai la soglia e invece? Dopo anni in cui donne come noi hanno lottato affinché ottenessero un'importanza anche su questo campo, ecco che - quell'uomo tutto muscoli ma evidentemente anche senza sale in zucca - chiama i soccorsi, con la buona intenzione di potenziarci, come se in realtà non lo fossimo già.

Ore, giorni e anni di allenamenti solo per sentirsi dire che non siamo abbastanza.

Questa stronzata termina dopo il saluto e furente cammino a passo svelto verso la mia camera, dall'altra parte dell'accademia.

A differenze delle altre, che non si sono risparmiate commenti alquanto ridicoli sui loro muscoli o stazza, io sono decisamente contraria a questa scelta presa così su due piedi. Perché a mio parere è una decisione altamente stupida e poco motivante per noi.

« Uomini! Ha deciso di farci seguire da coloro che se la stavano spassando prendendoci per il culo!» esclamo duramente, sbattendo rumorosamente gli anfibi sul terriccio.

Lily mantiene il mio passo e ruota gli occhi al cielo: sa bene che non sopporto molti dei comportamenti di Marxwell.

«Arabella, potrebbe aver ragione» prorompe.

I miei passi si bloccano immediatamente e mi volto lanciandole un'occhiataccia. «Stai scherzando, spero»

È ridicolo, non può averlo detto davvero.

Sospira pesantemente e sorpassandomi varca la soglia della nostra camera. Sfila la giacca e rimane in canottiera, sciogliendo poi la sua lunga treccia dorata. « Non sto scherzando, sto sempre dalla tua parte ma stavolta credo che abbia ragione. Ridimensiona un po' il tuo pensiero un po' troppo femminista» mi rimprovera, affilando i suoi occhi scuri.

Incrocio le braccia al petto seguendola nei suoi movimenti. Un'altra cosa che ci distingue è proprio questa: se Lily è convinta di una cosa, farà di tutto pur di far vincere il suo pensiero mentre io preferisco morire pur di ammetterlo.

Anche se, questa volta, non ha minimamente ragione. Ho sudato per ottenere questo posto, per essere posizionata un gradino più in alto rispetto a tutte eppure non è abbastanza. C'è sempre la pecca che distrugge tutti i miei sforzi.

«Io non capisco, perché proprio adesso? C'è qualcosa sotto, questa balla che ha tirato su non riesco a digerirla» borbotto sospettosa.

Inarca un sopracciglio e sedendosi sul materasso inizia a districare i lunghi capelli.

Chiudo la porta alle mie spalle e sfilo la giacca della divisa, che siamo costrette ad indossare ogni giorno. Oggi, stranamente, non dobbiamo affrontare nessun tipo di addestramento, probabilmente, per concedere del tempo ai nuovi ragazzi di conoscere l'intero edificio e, per una volta, mi ritrovo d'accordo con la sua decisione.

Necessito un po' di tranquillità, perché la mia testa non fa altro che lavorare e lavorare - la quale, anche adesso formula varie ipotesi sul presunto motivo di questa scelta.

« Hai sentito cos'ha detto, c'è un motivo ben preciso e presto ci informerà» afferma pacata. « Non arrovellarti il cervello, Ara»

Sbuffo ruotando gli occhi al cielo; il fatto che mi conosce così bene, molte volte, mi infastidisce. Afferro dei leggins, una maglia e l'intimo intenzionata a fare una doccia e la guardo imbronciata.

Di solito è sempre lei la più ragionevole tra le due; io sono istintiva, diretta, curiosa ma anche responsabile e controllata - forse un po' troppo - mentre lei è più ragionevole, intuitiva e molte volte preferisce osservare invece che agire. Ama il controllo ma l'unica differenza è che non è un tipo di controllo quasi maniacale come il mio.

Siamo due facce della stessa medaglia, due caratteri che alcune volte si somigliano ed altre si differenziano ma che alla fine si compensano. Siamo sempre state così, io le copro le spalle e lei fa lo stesso con me. Lei mi salva ed io cerco di riportarla a galla.

« Smettila di fingerti la mia coscienza» alzo la mano dirigendomi verso la porta.

« Io non fingo, io sono la tua coscienza» puntualizza con una punta di sarcasmo.

Reprimo un sorriso. « Taci, bionda!»

La sento ridere ma decide di non rispondere. Chiudo la porta alle mie spalle, lasciandola da sola in camera, e cammino per i corridoi stretti e asettici. Solitamente, c'è sempre quel via e vai di ragazze: alcune che ritornano in camera a riposarsi quel poco tempo a noi concesso; altre, invece, che semplicemente si preparano ad affrontare l'ennesimo allenamento. E adesso che sono letteralmente vuoti, un evento che non è mai accaduto, rimugino su dove possano essere andate. In aria aleggia il silenzio, nessuno sembra fiatare e l'unico suono percepibile sono i miei passi che causano lo scricchiolare di alcuni punti del pavimento. Mi stranisce parecchio questo silenzio improvviso ma scrollo le spalle dirigendomi nei bagni comuni.

Odio i bagni comuni, soprattutto quando sono costretta a condividerlo con le altre. Non dico di essere acida o scorbutica, solo che non sopporto quando giudicano o ti osservano con un occhio di riguardo. So bene delle voci che corrono su di me ma fingo di non sapere e fingo, soprattutto, di non stare sul cazzo a molte di loro. E' vero che mi credo superiore ma solo perché, se mi mettessi a puntare il dito contro tutti, finirei per essere cacciata via. Sfortunatamente, non ho il dono della pazienza infinita e alcune ci giocano su, solo per vedermi sboccare. Lily sa di tutto questo e se ancora oggi non è successo nulla a nessuna di loro, è solo grazie a lei. A differenza mia, Lily, è fin troppo paziente e, forse, è anche per questo motivo che riesce a frenarmi.

L'indifferenza è l'unica arma - continua a ripetermi - ed io stringo i denti e ricaccio indietro tutti i modi, possibili e immaginabili, per zittire ognuna di loro.

Tiro un respiro di sollievo quando mi accorgo che anche i bagni sono vuoti, poggio i miei panni puliti sul mobile e, spogliandomi degli indumenti ormai sporchi, entro nel primo box doccia che scorgo.

L'acqua calda scivola giù per il mio corpo nudo e affronto, senza timore, il getto che cade sul mio viso riscaldando le mie gote. Il momento che preferisco di più e proprio questo: poter rilassare i miei muscoli dopo un intenso e duro lavoro. E anche se mi concedo questo piccolo momento di benessere ogni notte, ammetto che non mi dispiace poter usufruirne più di una volta.

La notte è il momento perfetto per sciogliere tutti i nodi creati durante il giorno, è come se per quelle poche ore la mia testa riuscisse a spegnersi totalmente. Eclissa tutti i rancori, i problemi ed i fastidi, dando spazio all'unico bisogno di cui il corpo necessita.

Lo scrosciare dell'acqua è una dolce melodia per le mie orecchie e sorrido insaponando il mio corpo e massaggiando la mia cute, gemendo dal piacere.

Pochi minuti dopo tolgo il sapone in eccesso dal mio corpo e dai miei capelli, giro la manovella ed esco dal box, afferrando poi i due asciugamani bianchi.

Il rumore di un altro getto d'acqua mi avvisa della presenza di qualcuno ma fingo di non accorgermene, avanzando verso il mobiletto con i miei vestiti.

Il mio riflesso appare sbiadito, quando provo ad osservarlo dall'enorme specchio posto proprio di fronte alle docce. Utilizzo l'asciugamano che tengo in mano per vedere meglio la mia figura e quando sono soddisfatta del mio lavoro, lo lascio cadere ai miei piedi.

Il mio viso appare rigenerato, più arrossato ma anche rilassato. I lunghi capelli rossi accarezzano le mie spalle, nude e punteggiate da lentiggini, gocciolando sul pavimento. Pettino questi ultimi, sospirando l'attimo dopo.

Non ho nemmeno controllato che ora è ma considerata la mia lentezza, dubito che possa essere passata mezz'ora. Abitualmente, impiego quarantacinque minuti esatti ma per una volta decido di non cronometrare il tempo e godermi a pieno la mia pausa. Inoltre, Lily è andata fare una piccola corsa, come d'abitudine, quindi non ho motivo per correre in camera e anche se lo avessi, di certo, non lo farei lo stesso.

I miei occhi sembrano più vispi e le mie labbra ancora più rosse, le mordo constatando quanto sono scure, perdendomi per un attimo tra i miei pensieri... lontani e quasi sconosciuti, ormai.

Scrollo le spalle e quando capisco che il mio corpo necessita di essere coperto, ecco che mi accorgo, dal riflesso dello specchio, di due occhi verdi - senza emozione alcuna - che perlustrano sfacciatamente il mio corpo. Riesco a vedere solo il suo viso poiché il resto è coperto dalla separé che c'è in ogni box.

Stringo l'asciugamano striminzito, che a malapena copre le mie gambe magre, e alzo il mento scrutandolo duramente.

La prima cosa che noto sono i suoi occhi verdi e inquisitori, mai incrociati prima, che per la prima volta mi mettono in soggezione e per un attimo mi fanno vacillare. Sono di un verde intenso, capaci di perforarti dentro senza chiedere il permesso e questo mi infastidisce. Il mio corpo sembra infastidirsi. La sua mascella è tagliente ed è caratterizzata da una barbetta sul mento che incornicia perfettamente i suoi zigomi, i capelli sono scuri e corti - adesso bagnati e gocciolanti - e le sue labbra sono piene e rosee. Continuo a fissarlo, tornando alla realtà solo quando la sua lingua sbuca fuori leccando il suo labbro inferiore.

L'acqua cessa di scendere e indurisco i miei lineamenti schiarendomi la voce. « Ti sei accorto che sei nel bagno delle donne?» chiedo inarcando un sopracciglio.

Il ragazzo mi fissa ancora per qualche altro secondo ma poi distoglie lo sguardo, afferra l'asciugamano ed esce dal box. Non si cura minimamente del fatto che sono una donna e che effettivamente potrebbe imbarazzarmi vederlo nudo, inoltre non mi guarda nemmeno e non si degna di rispondermi. Copre ciò che Dio gli ha donato generosamente e, mentalmente, tiro un respiro di sollievo; parlargli sarà più facile, soprattutto in queste condizioni discretamente accettabili.

Stringo più che posso ciò che mi copre e avanzo incazzata verso la sua figura, piuttosto alta e ben muscolosa. Mi dà le spalle quando tento di ottenere la sua attenzione, che, osservandole bene, sono muscolose e ampie. Le sue gambe sono sode e altrettanto muscolose e deglutisco quando la mia testa lo associa ad una divinità.

Effettivamente, è messo bene fisicamente.

Picchietto la sua spalla e sbuffo quando continua ad ignorarmi beatamente. Odio dannatamente tanto la sua indifferenza e odio dannatamente tanto il fatto che mi infastidisce ciò.

«Sei per caso sordo o hai qualche problema di comprendonio?» affermo ironica.

Finalmente si volta e dal suo metro e ottanta cinque di altezza mi fissa. Non sembra minimamente offeso dal mio commento acido, anzi, sorride mettendo in mostra due fossette che si scontrano con il suo viso dapprima burbero e la mia irritazione cresce ancora di più.

«Sei sempre così scorbutica?»

La sua voce è graffiata, bassa e roca e rabbrividisco senza nemmeno rendermene conto. La sua bellezza è disarmante ma cerco di mantenere la mia facciata da dura. Accarezzo le mie braccia, cercando di non dare nell'occhio, e mi avvicino a lui quanto basta per fronteggiarlo.

Sarà anche bello ma i suoi atteggiamenti eclissano tutto.

«Ti ho fatto una domanda, sei pregato di rispondere» evito la sua domanda alquanto ridicola e mi scontro con i suoi occhi più scuri di prima. « Al mio paese, persone del genere vengono definite maleducate»

Il suo sorriso si spegne e, come se non fosse accaduto nulla, il suo viso si tramuta in una maschera di freddezza e apatia. La mia impertinenza sembra averlo infastidito e sollevo gli angoli delle mie labbra in un sorriso di vittoria.

«Forse sei abituata ad avere il mondo ai tuoi piedi»

Il suo petto brilla a causa delle piccole goccioline d'acqua, le quali creano scie disordinate delineando il suo addome scolpito e che spariscono laddove l'asciugamano stringe il suo bacino.

« O forse sei tu che credi di essere superiore agli altri, tanto da non rispondere ad una semplice domanda» rispondo immediata fronteggiandolo.

I nostri visi sono vicini ed i nostri occhi si uccidono a vicenda. Si scrutano, si osservano e si sfidano affinché uno dei due, alla fine, ceda. Ma entrambi non lo facciamo, nessuno dei due sembra vincere sull'altro ed è per questo motivo che, alla fine, spezza questa catena aprendo bocca.

Sorride sghembo districando i suoi capelli bagnati. « Impara a fartene una ragione, Nelson, e inizia a portar rispetto ai tuoi superiori. Sai bene che l'impertinenza paga pegno»

Le sue parole confondono le mie idee ma non ho il tempo di ribattere perché apre la porta del bagno e sparisce dalla mia vista.

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Capitolo 3
*** Capitolo Due ***


Svegliarsi all'alba per molti è un lavoro arduo e parecchio difficile, un'azione che richiede forza di volontà, soprattutto, dopo un intensa settimana di continui esercizi fisici. Il nostro corpo riesce a sopportare qualsiasi tipo di sforzo, che sia una corsa di chissà quanti chilometri o serie di flessioni. Ovviamente l'esercitazione serve ad allenare la nostra ridotta resistenza che pian piano riesce a tener testa a molteplici esercizi quotidiani, e fortunatamente, gran parte di noi ragazze non hanno alcun problema ad aprire gli occhi –  prima che la luce del sole bussi alla loro finestra –  e abbracciare il duro mestiere da loro scelto.

Il piccolo spiraglio di luce che si intravede dalla fitta rete di oscurità ci segnala l'inizio del nuovo giorno, che verrà evidenziato maggiormente dal sorgere del sole, il quale si manifesta solo trenta minuti dopo lo schieramento generale.

Il terriccio è ancora umido quando lo calpesto e l'aria è leggermente densa, alquanto fastidiosa. Gli alberi quasi del tutto rinsecchiti, infatti, sembrano ribellarsi alla forza che ostacola la loro quiete, creando un tutt'uno di fruscii acuti.

La natura sembra essersi adeguata all'aspetto tetro e angosciante del luogo, colpito ogni giorno dalla guerra e dalle lotte; come se in un certo senso si fosse arresa all'evidenza, alla triste considerazione che questo velo di dolore non se ne andrà mai dalla loro terra ma rimarrà come una seconda pelle su di essa.

I capelli mi solleticano il viso e rabbrividisco quando un'ondata particolarmente gelida e pericolosa frusta il mio corpo. Tuttavia rimango impassibile al clima sfavorevole e continuo ad avanzare fino a quando tutti noi ci troviamo schierati in tre file perfettamente ordinate. Un'altra cosa che ho imparato è proprio questa: l'ordine maniacale, la posizione perfetta sia sul posto che nella mia vita.

Il nuovo caporale ci scruta attentamente, in modo da imprimere i nostri volti puntati sulla sua figura alta e robusta e ci osserva per pochi minuti in completo silenzio, come a voler prendersi del tempo prima di ordinare a raffica i vari esercizi a cui verremo sottoposti ed un fastidio profondo invade il mio corpo.

« Mi sta sulle palle» bisbiglia Lily al mio fianco e reprimo un sorriso.

« Sai già come la penso» ribatto, suscitando una sua debole risata.

I ragazzi presentati dal colonnello in persona fanno la loro comparsa soffermandosi alle sue spalle, sembrano propensi dai loro volti seri e svegli, come se la notte fosse acqua alle rose che caccia via le occhiaie della stanchezza, e quasi all'apparenza potenti. La divisa fascia perfettamente il loro corpo e risalta la muscolatura degna di anni di duro esercizio fisico. Dalle facce delle ragazze e dai bisbigli appena udibili deduco che ciò non dispiace molto. In effetti, per quanto possa essere contraria agli ordini di Marxwell, devo ammettere che sono ben dotati.

Spero anche di tecniche e capacità, oltre che fisicamente.

Con un cenno della mano da parte del caporale  ci spostiamo nell'area dedita agli esercizi, seguiti dai ragazzi che osservano attentamente ogni parte del luogo, in modo minuzioso e attento. E' una caratteristica che rispecchia pochi di noi.

« Dividetevi in coppie ed iniziamo con gli esercizi base per lo sviluppo dei muscoli addominali: crunch a terra» ordina il caporale.

Velocemente io e Lily slittiamo al suolo. Mi posiziono supina con le ginocchia flesse, lanciando un'occhiata alla mia compagna già posizionata al mio fianco ed eseguendo successivamente la flessione della colonna staccando la schiena da terra.

Andiamo avanti con serie di esercizi tra cui piegamenti sulle braccia –  un classico push up che serve ad esercitare i tricipiti e le spalle – , gli affondi, lo squat, trazioni alla sbarra e burpees: l'esercizio più odiato dalla stragrande maggioranza e che prevede la contrazione di tutti i muscoli del nostro corpo.

Eseguiamo l'esercizio per venticinque volte e sorrido quando volto di poco la testa e mi accorgo di Lily che esegue tranquillamente ciò che ci è stato ordinato, come se non fosse chissà cosa mentre le altre faticano per portarne a termine uno. Come se si sentisse guardata gira il capo verso di me sollevando un sopracciglio. Scruta attentamente il mio viso, abbassando per qualche secondo gli occhi sulle mie dita flesse in un movimento ben preciso. Movimenti che consideriamo codici.

Lily mi ignora nuovamente – dopo aver recepito il messaggio – e riprende a svolgere l'esercizio, stavolta accentuando di più i movimenti del suo corpo. Un'altra differenza è che lei sa bene come muovere quest'ultimo, sa di essere bella e non prova neanche lontanamente a comportarsi da finta santarellina. Inoltre, qualsiasi cosa faccia riesce ad essere sensuale e allo stesso tempo naturale; anche oscillare i capelli richiede maestria e Lily è molto abile in questo. Le attenzioni del genere maschile non le dispiacciono mentre a me infastidiscono gli sguardi lascivi, che urlano chiaro e tondo la posizione in cui ti metterebbero se ti avessero tra le mani. Però è anche vero che tutto dipende dall'uomo e di conseguenza da quello che soprattutto gli occhi comunicano.

Sorrido tra me e me quando mi accorgo di un tipo in particolare che non ha smesso di fissarla insistentemente. Non so come si chiama e non so nemmeno che lavoro svolge in questa accademia. Obiettivamente è un bel ragazzo, forse l'unico tra i tanti che hanno messo piede in questo edificio. Pelle olivastra, barba folta, ciuffo scuro e ribelle e occhi affilati e scuri, quasi penetranti. Un bel tipo e considerato il fatto che io e la mia amica abbiamo gusti simili probabilmente quest'ultima la pensa proprio come me.

Mi tiro su dopo aver finito la serie di esercizi e prendo dei respiri profondi. Mi guardo attorno e noto con piacere che il percorso ad ostacoli è stato allestito con l'intento di renderlo più difficile. E' l'esercizio che più amo fare perché si mettono in moto tutti i sensi, il corpo reagisce agli impulsi ed oltre a darti la carica – causata dalla competizione – dà anche un'adrenalina pazzesca, la quale scorre nelle vene come sangue.

Ad occhio, il percorso comprende la scalata di un muro, sia all'inizio e sia verso la fine, alto circa cinque metri; arrampicata su reti di medesima altezza; l'attraversamento faccia a terra sotto un basso tetto di filo spinato e attraversamento su un fosso appesi su delle barre di legno sospese.

« Cazzo, stavolta ci distruggeremo i muscoli» esclama la bionda.

Annuisco con vigore, già febbricitante, « Sei consapevole che ti straccerò, di nuovo?»

Le sue labbra si incurvano in un sorriso di sfida, i suoi occhi luccicano di competizione. « L'ultima volta avevo i muscoli un po' intorpiditi, stavolta ti schiaccerò alla grande!» ribatte.

Mi scappa una risata. « Vedremo»

E mentre la guardo beffeggiandomi di lei e della sua sicurezza mi accorgo di due occhi che ho avuto modo di conoscere. Due pozzi verdi che mi osservano senza alcuna paura di essere scoperti e che scrutano attentamente la mia figura da lontano. Ricordo bene il suo viso serio, duro e cupo, i suoi occhi verdi ipnotizzanti ed il suo atteggiamento arrogante e superiore. Ricordo anche la frase che ancora aleggia nella mia testa ma che non ho più riportato a galla poiché non rientrava tra le cose a cui ho dato primaria importanza.

La presunzione e l'arroganza con la quale mi ha rivolto la parola è ancora lucida e vivida dentro di me ed il fastidio provato in quel bagno comune mi colpisce istantaneamente, come una scarica elettrica in piena tempesta.

Come il suo corpo marmoreo e oserei dire anche scultoreo.

La divisa gli calza perfettamente e quella sua aria da uomo tutto d'un pezzo suscita quasi timore a qualsiasi essere che posa lo sguardo su di lui; ciò, è anche accentuato dalle armi caricate in spalla come se fossero racchette da tennis.

Ma questo non accade, non a me. Non mi intimorisce.

Affilo lo sguardo e non mi curo del fatto che i miei occhi scuri possano metterlo in soggezione, so che non gli importa, glielo leggo dal modo in cui continua a guardarmi. Sembra più curiosità la sua e non posso fare a meno di notare le sue iridi che studiano ogni mio movimento, ogni nostro movimento.

Potrebbe essere un abile cecchino, qualcuno che sa bene come utilizzare un'arma o magari qualcuno che disinnesca ordigni.

« Cosa guardi?» chiede curiosa e disattenta. Lily segue la traiettoria appena creata dalla nostra catena di occhi e si sofferma qualche secondo sul ragazzo misterioso e conosciuto solo qualche sera prima.

Scuoto il capo e distolgo gli occhi dalla figura alta e imponente a qualche metro di distanza da tutti noi. « Nulla» mento, anche se so perfettamente dove andrà a parare a breve.

Si volta inarcando un sopracciglio cercando qualsiasi emozione dai miei occhi scuri ma nel momento in cui apre la bocca, per dire solo una misera parola, il caporale intima il silenzio.

« Silenzio» la sua voce è glaciale e lo sguardo di sufficienza che rivolge annienta tutti noi. « Adesso, pretendo che mi dimostriate la vostra resistenza, la vostra rapidità e forza. Il percorso non è semplice, troverete muri, reti, fili spinati e barre che distruggeranno le vostre braccia; ho personalmente ordinato questo tipo di pratiche per rafforzarvi e potenziarvi e se non vi va bene, cazzi vostri. Qui si lavora duro, non mi importa se siete donne o uomini pappamolli »  afferma perentorio. « Esigo determinazione e agilità e tutto questo in ventisette minuti esatti. Chi sgarra, cinquanta flessioni immediate. Intesi?»

« Si, caporale!» ripetiamo in coro.

                                •••

Ci allontaniamo dal luogo solo all'ora di pranzo, madidi di sudore e privi di energie. Lily si è infuriata perché per l'ennesima volta l'ho stracciata ma so che in realtà non lo è. E' consapevole che in fatto di agilità e velocità io sia migliore di lei mentre lei è molto abile con le armi, e insieme, abbiamo grandi capacità nel combattimento corpo a corpo.

I nostri passi si confondono tra quelli degli altri e velocemente percorriamo il sentiero che ci porta sul retro dell'accademia, la via più vicina per arrivare in camera nostra.

Solitamente prima di pranzare in mensa facciamo una doccia, in modo da non dover puzzare tutto il tempo come animali randagi. Molti seguono la nostra iniziativa, al contrario di alcuni che preferiscono riempire il loro serbatoio a discapito degli altri.

« Sei consapevole che quel ragazzo ti fissava? » esordisce d'un tratto. Mi acciglio staccando la canottiera sudicia dal mio addome piatto.

Le lancio una breve occhiata. « Di chi stai parlando?»

Ruota gli occhi al cielo ma subito dopo ammicca in direzione di un ragazzo che cammina in direzione opposta. Reprimo un sorriso e scuoto il capo.

« Quel manzo statuario che fissavi come se lo volessi picchiare da un momento all'altro. Lo conosci?»

« Non volevo picchiarlo» puntualizzo quasi offesa dalle sue insinuazioni.

Scoppia a ridere. « Certo, come no. Comunque lo conosci?» tenta di nuovo.

Sbuffo e apro la porta della nostra stanza. « Cosa te lo fa pensare?» ci giro intorno, afferrando gli indumenti da indossare.

« Arabella, ti conosco, lo stavi trafiggendo con i tuoi occhi, non mentirmi» incalza.

I suoi occhi sono inquisitori, non ammettono menzogne e sbuffo inconsapevolmente ritrovandomi ad annuire. « Potrei averlo già incontrato» ammetto afferrando l'intimo.

Lily sorride trionfante e, dopo aver preso tutto ciò che le serve, mi segue fino alla porta. « Quindi... dove lo hai incontrato?»

Chiudo la porta alle mie spalle ed il silenzio di pochi secondi prima viene stravolto dalla confusione e dal via e vai di militari che avanzando velocemente: chi entra nella propria camera e chi semplicemente va a pranzare, senza fermarsi oltre.

Spero solo che i bagni non siano tutti occupati, mi incazzerei davvero molto.

« Qualche sera fa, dopo essere uscita dalla doccia» rispondo senza entrare nei dettagli. Non voglio di certo dirle che non si è posto nessun problema a farsi vedere mezzo nudo. Se non fosse stato per quel misero asciugamano, avrei visto molto di più.

Non che la visione di un uomo del genere mi dispiaccia, ma considerato il suo tono arrogante e a tratti prepotente, il suo aspetto passa di gran lunga in secondo piano.

Annuisce lentamente. « Okay, quindi entrambi eravate in bagno, vi stavate lavando e vi siete presentati?» 

Ruoto gli occhi al cielo. « Perché tutto ciò che dici ha allusioni a sfondo sessuale? » borbotto, la sento ridere e le lancio un occhiataccia.

« Parla! » mi rimprovera.

Entriamo nei bagni e tiriamo un respiro di sollievo quando ci imbattiamo in due ragazze, che per giunta stanno pure per andare via.

La fortuna è dalla nostra parte, una volta tanto.

« Sono entrata qui dentro, non c'era nessuno ma poi quando sono uscita dal box mi sono accorta della sua presenza »

« E' il bagno delle donne» puntualizza confusa.

« Infatti, gliel'ho fatto presente» dico immediata.

Tolgo i vestiti rimanendo in intimo e sciolgo i capelli tenuti su da una coda alta.

Ride sonoramente spogliandosi. « Immagino la tua delicatezza» ironizza.

« Lo sono stata... all'inizio. Ma poi si è comportato di merda ed io non sopporto queste persone, lo sai» borbotto.

« Sei la solita burbera! E dimmi un po', almeno era dotato?» sorride maliziosa facendo su e giù con le sopracciglia.

Ruoto gli occhi al cielo e la liquido con un cenno della mano, apro il getto d'acqua e trattengo un sorriso accogliendo la piacevole sensazione del getto d'acqua calda sul mio corpo.

« Quindi? Era così grosso da non poterlo definire?» la sento urlare e grugnisco per il fastidio.

« Lily» la rimprovero.

« Dai! Non ti sto mica chiedendo se gli hai fatto un servizietto... cioè, non che mi dispiaccia. Ti farebbe bene un po' di relax anche di quel tipo»

Scoppia a ridere e prendo un respiro profondo contando fino a venti, o anche trenta se serve.

« Non ho intenzione di rilassarmi , soprattutto con quel tipo. E adesso smettila, sto morendo di fame e con le tue insensatezze stiamo perdendo tempo»

Insapono il mio corpo e tiro un respiro di sollievo quando la sento sbuffare.

« Però ammettilo, sarà anche uno stronzo – o almeno, questo lo dici tu – ma è un bel pezzo di ragazzo!» esclama.

Decido di non risponderle e chiudo gli occhi godendomi a pieno le sensazioni che il calore mi provoca. I muscoli, come per magia, sembrano sciogliersi e sorrido alla pura pienezza che percepisco.

Mezz'ora dopo siamo già in mensa, a decidere cosa mangiare e cosa scartare. Il cibo fa schifo la maggior parte delle volte ed è per questo motivo che optiamo sempre per i secondi piatti, che fondamentalmente possono essere definiti accettabili.

Scegliamo un tavolo qualunque in fondo all'enorme sala, prendendo posto in una delle sedie.

Lily sembra osservare il suo vassoio con disgusto e rido per la smorfia che ha assunto.

« Dio, perché mangiamo queste cose?» domanda per l'ennesima volta.

« Devo risponderti davvero?» chiedo ironica.

Mi lancia un'occhiataccia e sbuffa spostando i suoi capelli biondi su una spalla.

Ci godiamo la piccola pausa concessa in silenzio e quel poco tempo ritagliato lo passo ad osservare i volti conosciuti e non che pranzano tranquillamente; c'è chi preferisce stare in compagnia perché non può farne a meno e chi, invece, preferisce stare da solo a meditare sui prossimi addestramenti.

I miei occhi si soffermano nuovamente su quel ragazzo sconosciuto e mi perdo tra i miei pensieri.

"Impara a fartene una ragione, Nelson, e inizia a portar rispetto ai tuoi superiori. Sai bene che l'impertinenza paga pegno."

Questa frase gironzola nella mia testa da giorni. Come fa a sapere il mio cognome e perché sembra conoscermi con tale sicurezza?

Anche mentre sta pranzando insieme agli altri sembra assente, più sulle sue. È parecchio strano e misterioso.

Avevo già intuito che c'entrasse con i nuovi uomini apparsi dal nulla ma che ruolo svolge in mezzo a questi ultimi?

« Guarda il moro affianco al ragazzo delle docce» bisbiglia Lily, intercettando il mio sguardo.

I miei occhi fissano il moro dal ciuffo ribelle e sorrido. « Hai fatto colpo, eh?»

Fa spallucce. « Si chiama Drew, è un sottufficiale ma non so che ruolo svolge nello specifico» mi informa.

« Come fai a saperlo?» le chiedo anche se conosco già la sua risposta.

Mi sorride maliziosa. « Ho le mie conoscenze... è un bel ragazzo, non mi dispiacerebbe»

Ruoto gli occhi al cielo. « Dalle occhiate che ti lanciava stamattina credo che nemmeno a lui dispiacerebbe»

Ride a fior di labbra e annuisce. « Mancano cinque minuti, sei pronta per una sconfitta schiacciante? Sono molto più abile con le armi» si vanta.

Le sorrido. « Vedremo»

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Capitolo 4
*** Capitolo Tre ***


Le dita della guardia di turno digitano il codice che ci permette di entrare nel poligono al chiuso. Il poligono indoor ha particolari misure di protezione della struttura, ovvero pareti e strutture portanti rinforzate e sistemi di ventilazione all'avanguardia per evitare lo stazionamento dei gas esausti, che in assenza provocherebbero intossicazioni mortali. Di conseguenza, anche il problema principale – come il rumore degli spari – viene prevenuto dalla suddivisione di stanze. L'odore che c'è in questa grande ed immensa stanza è pungente, tant'è che arriccio il naso quando vi metto piede dopo settimane, non ancora abituata alla pesantezza dell'aria e al fastidio provocato da essa. Osservo, come ogni volta, le varie suddivisioni di protezione – tanto spesse quanto sicure – ed i bersagli nettamente lontani che si spostano per evitare il facile raggiungimento del colpo. I miei occhi, poi, si soffermano su un ragazzo in particolare che impugna una beretta 92 FS con una pessima precisione, una posizione sbagliata del corpo ed il tremolio di entrambe le mani mentre tenta di premere il grilletto.

« Sbaglierà il colpo» afferma neutrale Lily osservando il ragazzo.

« Sarà la prima volta che mette piede qui dentro» rispondo incrociandole braccia al petto.

Il ragazzo strizza gli occhi e preme il grilletto saltando sul posto. Ovviamente sbaglia il colpo e seguendo la scia mi accorgo che non ha nemmeno sfiorato il bersaglio. Impreca per non essere riuscito nemmeno a sfiorare la sagoma e di istinto gli angoli della mia bocca si increspano in un sorriso divertito.

Lo sconosciuto toglie le cuffie e frustrato le appoggia malamente sul tavolo alle sue spalle.

« Ecco, appunto» conferma la bionda ruotando gli occhi al cielo.

Le lancio una breve occhiata. « Credi di essere la migliore in assoluto a sparare?» scherzo affiancandola.

Mi guarda e con estrema sicurezza – e direi anche vanità – inarca un sopracciglio. « Devo ricordarti tutte le volte che ti ho stracciata?»

« È successo solo due volte» metto in chiaro, avanzando verso gli altri.

« Certo, continua ad illuderti» annuisce sorridendo. « Mi spieghi perché dobbiamo subirci la solita spiegazione? So come si spara!» si lamenta non staccando gli occhi dalla struttura.

Il caporale entra dentro chiudendo la porta alle sue spalle, per poi fermarsi e mormorare qualcosa ad un ragazzo che solitamente si occupa di sistemare le armi.

« Ti ricordo che ci sono i nuovi reclutati.»

Sbuffa schioccando la lingua sul palato. « Guarda com'è lucida quella beretta... l'impugnatura sembra così lucente, non lo senti?» si volta con gli occhi che luccicano.

Corrugo la fronte. « Cosa?»

« Non senti come mi chiama? Mi sta urlando di impugnarla e sparare!» dice melodrammatica.

Sbatto la mano in fronte e scuoto il capo. « Sei dannatamente inquietante»

Mi sorride innocentemente facendo spallucce e con un cenno del capo indica il caporale.

Quest'ultimo avanza verso il gruppetto dei reclutati e li divide in coppie. Ognuno di loro dovrà imparare a tener in mano un'arma, che all'inizio sarà una beretta, poi si proseguirà a gradi arrivando a maneggiare un fucile. Solitamente, a giorni alterni, cambiamo postazione poiché i poligoni al chiuso vietano ed impediscono gli spari a lunga distanza, a differenza di quelli all'aperto che raggiungo i 1000 metri. A dire il vero preferisco stare all'aperto e maneggiare un vero e proprio fucile ARX 160 ma, considerati gli innumerevoli principianti, mi ritrovo costretta a sottostare agli ordini del caporale.

Io e Lily ci spostiamo verso l'ultima stanza osservando come le postazioni iniziano a riempirsi, mi scappa una risata quando mi accorgo degli occhi sbarrati di una ragazza che, terrorizzata, guarda la pistola che le viene affidata. Molte volte mi chiedo per quale motivo alcune ragazze siano qui se poi, fondamentalmente, hanno paura persino della loro ombra.

Scuoto di poco il capo e raggiungo la postazione di sempre. Lily mi porge le cuffie e afferrandole le sistemo in testa facendo attenzione a coprire bene le orecchie. Subito dopo indosso la mascherina e quando mi volto verso la mia amica noto che ha giù impugnato la pistola.

La scruta controllando la capienza della corona. Valuta il calibro, il peso, la lunghezza della canna ed infine la sicura: manuale sul percussore e automatica sullo scatto con otturatore aperto. Sorride quando è soddisfatta di ciò che ha in mano e sbatto le palpebre.

« Te l'ho già detto che sei inquietante quando fai così?» le ripeto nuovamente, afferro la mia beretta e controllo che ci sia la sicura.

« Parecchie volte ma io non ti giudico mai quando lo diventi anche tu. E credimi, dovresti vederti ogni volta» alza un sopracciglio.

« Ad esempio?»

« Me lo stai chiedendo davvero?» ironizza divertita. « Dovrei riprendere la tua faccia quando cambiano il percorso ad ostacoli!»

Ruoto gli occhi al cielo ma non le rispondo; so che è vero, parecchie volte mi soffermo a guardare i vari percorsi come se fossi una bambina al luna park mentre invece della ruota panoramica, delle macchine che si scontrano e dello zucchero filato, ci sono filo spinato, muri insormontabili e trincee.

In effetti parecchio angosciante come pensiero eppure è proprio questo ciò che si trova in questo posto.

Dopo essermi assicurata che la sicura dell'arma sia attiva, tolgo la corona e la carico di pallini. Inserisco la corona nell'arma e la richiudo facendo attenzione alla posizione, che in questo caso deve essere orizzontale. Infine, inserisco la bomboletta indicata per quest'arma.

Sistemo la pistola all'altezza della spalla e posiziono il gomito verso il basso tenendo il braccio forte e mantenendo il gomito orizzontale. Ruoto il corpo a 45 gradi e allineo le spalle con i piedi, inclinando leggermente la testa verso il braccio forte, assottigliando lo sguardo per prendere la mira.

Impugno l'arma con due mani per aumentare i punti di appoggio e creando una presa più salda e forte. L'indice si posiziona, poggiandosi dolcemente sul grilletto, prestando attenzione a non coinvolgere il polso. Sciolgo i muscoli evitando di contrarli e fissando il punto da me mirato lascio partire il colpo.

Respiro frustrata quando la pallottola colpisce il collo della figura. Lancio una breve occhiata a Lily e mi accorgo che tutti i colpi da lei sparati hanno centrato in pieno il bersaglio. Ha una mira perfetta e non impiega nemmeno troppo tempo per sistemare la sua posizione. Sparare è la cosa che ama, senza ombra di dubbio.

Riprovo a colpire il centro della sagoma ma per l'ennesima volta sbaglio colpendo un braccio.

Mi concentro nuovamente accantonando la frustrazione momentanea e quando sto per premere il grilletto mi fermo all'istante.

Due braccia circondano la mia figura, soffermandosi sulle mie mani che impugnano saldamente la pistola. Sono braccia muscolose, tatuate e... dannatamente grandi. Riesco a percepire la stravagante diversità di altezze dal modo in cui le mie spalle sostengono i suoi gomiti. Il respiro caldo colpisce la mia guancia sinistra e schiudo le labbra quando quel breve ma intenso calore causa brividi su tutto il mio corpo.

Il suo addome si accosta alla mia schiena e se non fosse per ciò che sto facendo, penserei che la sua posizione sia dettata da qualcos'altro.

« Il tuo corpo non è posizionato perfettamente, inclina meglio il busto» istruisce spingendo con la punta delle scarpe il tallone del piede destro. Riconosco immediatamente la sua voce e aggrotto la fronte non capendo il motivo per cui mi stia aiutando. Tuttavia, seguo le sue istruzioni non badando minimamente al fastidio che provo solamente vedendolo.

Sistemo meglio il busto e così facendo ritrovo il suo corpo totalmente incollato al mio. Percepisco perfettamente il suo respiro che soffia sulla pelle esposta del mio collo e sebbene la mia testa odi questa mia arrendevolezza, decido di non fiatare.

« Piega meglio il braccio debole,» accompagna il mio movimento spostandolo in basso dolcemente, « non irrigidire le ginocchia, se le affatichi sbaglierai il colpo» sussurra al mio orecchio.

Deglutisco, annuendo impercettibilmente.

« Adesso premi il grilletto» intima.

Lo faccio senza aspettare e sorrido ampiamente quando il colpo centra perfettamente il bersaglio.

Le sue braccia sciolgono la presa e sento immediatamente l'assenza del calore che irradiava il mio corpo.

Osservo un ultima volta il bersaglio e mi volto scontrandomi con gli occhi verdi e penetranti del ragazzo senza nome.

Il suo viso mantiene sempre quel cipiglio serioso ma a differenza delle altre volte le sue labbra sono increspate in un sorriso sghembo.

Indossa la sua divisa verde, che risalta i muscoli delle gambe e che fasciano il suo addome mentre sul suo petto – dal quale fuoriescono tatuaggi ed un ciuffo di peli – pende una collana a forma di croce.

L'arma è ancora tra le mie mani quando i suoi occhi si soffermano su quest'ultima e guardando brevemente la mia amica, noto che nemmeno si è accorta della sua presenza.

Troppo presa dalla pistola e dai colpi in canna.

« Non mi ringrazi?» tenta un approccio e quando mi volto mi accorgo che ha appena incrociato le braccia al petto. Quest'azione mette in risalto i muscoli delle sue braccia, che ai miei occhi appaiono più delineati.

Sollevo gli occhi puntandoli sulla sua figura, alzo un sopracciglio guardandolo con sufficienza. « Non ho chiesto il tuo aiuto» ribatto stizzita.

Non sembra essere particolarmente colpito dall'acidità che traspare dalla mia voce, tant'è che il suo sorriso si accentua ancora di più. « Ti sei lasciata aiutare, però» osserva indicando con un cenno del capo la postazione occupata da noi precedentemente.

Evito la sua osservazione alquanto fastidiosa, volgendo la mia attenzione sulla pistola da scaricare.

Porto il cane in avanti manualmente e attivo la sicura dell'arma. Apro il carrello spingendo verso il basso la leva otturatore, infine tolgo la corona facendo uscire tutti i pallini.

Compio tutte queste azioni sotto il suo sguardo scrutatore e attento.

Ammetto che i suoi occhi fin troppo inquisitori mi mettono in soggezione e non è qualcosa che capita spesso, per questo motivo lo trucido con lo sguardo. « Smettila di fissarmi» sbotto.

Solleva gli occhi alla mia affermazione e avanza verso la mia figura bloccando i suoi passi ad una spanna dal mio corpo. Il suo viso è talmente vicino al mio da poter distinguere le sfumature delle sue iridi e tutti i difetti del suo viso – che non sono poi così tanti.

« Dovresti ringraziarmi» ripete, sentendo il mio volto bruciare per l'insistenza del suo sguardo ma non per la vergogna o per l'imbarazzo bensì per il fastidio provato nei confronti di me stessa.

Il semplice fatto che mi stia così vicino, che il mio corpo non stia reagendo a nessun impulso è un problema. Non mi piace la troppa vicinanza, i suoi modi e soprattutto non mi piace lui e la sua presunzione.

« Non so nemmeno quale sia il tuo nome, per me sei solo uno sconosciuto e poi non sono stata io a chiederti di aiutarmi» asserisco con estrema durezza.

Indurisce la mascella, forse infastidito per la mia impertinenza – per l'ennesima volta – e apre la bocca pronto a ribattere ma Lily fa la sua comparsa con un sorriso a trentadue denti.

« Ah, mi sento così bene adesso!» esclama euforica.

Non le presto molta attenzione, troppo attenta alle sue movenze e alla sua bocca aperta nel pronunciare qualcosa che alla fine non arriva.

« Ciao, tu saresti?» si rivolge alla mia amica, che confusa alterna lo sguardo da me a lui.

Toglie la cuffia dalle sue orecchie e appoggiandole distrattamente sul mobile in acciaio, sorride. « Io sono Lily, piacere di conoscerti»

Ovviamente la bionda è fin troppo cordiale, a differenza mia che al momento non me ne può frega di meno del suo nome e di chi possa essere.

Annuisce con un cenno del capo. « Lily... abile sia con le armi e combattimento corpo a corpo» afferma sicuro provocando una smorfia di confusione da parte di entrambe.

Come fa a saperlo?

« Questo è ciò che dicono ma come fai a saperlo? Sei un nuovo reclutato speciale?» chiede, ancora confusa dalle sue parole dette con estrema sicurezza.

Lo fisso attentamente, scrutando ogni particolare che può in un certo senso confermarmi le ipotesi di Lily ma considerate le sue parole – la prima volta che l'ho visto – e la sua sicurezza nell'intimare la mia posizione per sparare, lo scetticismo che possa essere un principiante alle prime armi mi colpisce immediatamente.

« Non è un nuovo reclutato, è sicuramente l'uomo di cui parlava Marxwell» dico con risolutezza.

Le sue gemme verdi si soffermano su di me e non distolgono l'attenzione nemmeno quando Lily tenta di rispondere.

« Agile, veloce e abile nel combattimento corpo a corpo, ma ammetto anche molto intelligente, Nelson» accarezza distrattamente le sue labbra ed i miei occhi cadono proprio su queste ultime.

« Il sergente Trevor Claflin» mormoro più a me stessa che a lui.

Adesso mi spiego il significato di quella frase che ogni giorno rimbombava nella mia testa.

Sorride. « La mia fama mi precede, a quanto vedo» dice quasi con vanità.

« Cosa la porta qui?» interviene la bionda assottigliando lo sguardo. La sua risposta evidentemente non l'è piaciuta.

Trevor non sembra voler rispondere alla sua domanda, che fondamentalmente è qualcosa che anche io mi sto chiedendo già da qualche giorno. Tutto questo mistero, tutti questi sguardi inquisitori... sembra che voglia – insieme ai suoi amici di corso -  analizzare ogni dettaglio di ognuno di noi, come se fossimo sempre sotto controllo, come se stessimo svolgendo una sorta di test senza saperlo. E la domanda che sorge spontanea è: a quale pro? Perché Trevor Claflin, sergente dell'accademia più importante di Boston, è qui? Qual è il motivo scatenante di questo rovesciamento improvviso?

Lily sembra rimuginare insieme a me e dalle continue occhiate silenziose – ma piene di fin troppe parole non dette – che mi lancia, capisco che come me, lei stia iniziando a scartare varie ipotesi su una probabile teoria.

« Trevor» il richiamo del caporale risveglia entrambe da questo mutismo istantaneo e Trevor, come se non abbia aggiunto altri dubbi e domande nella mia testa, rivolge uno sguardo consapevole. « Ti stavo cercando» aggiunge, subito dopo aver lanciato delle occhiate stranite verso noi due.

« Dimmi»

« Marxwell ti cercava» lo avvisa. Si scambiano delle occhiate indecifrabili, quasi un codice a noi sconosciuto, e senza accennare nessun'altra parola si incamminano non guardandosi più indietro.

Seguo le loro sagome in silenzio, fin quando entrambi scompaiono dalla mia vista e fin quando la porta non si chiude in un tonfo meccanico.

« Questa situazione mi puzza» afferma Lily affiancandomi.

Non le rispondo, annuisco guardandola per pochi secondi. Anche a me puzza questa situazione e anche parecchio. Ci sono tante domande che mi frullano in testa ma so bene che non otterrò nessuna risposta nemmeno se lo chiedessi al diretto interessato.

« Andiamo via da qui» mormoro distrattamente, lasciando sul bancone le cuffie e la pistola. La bionda acconsente e compiendo le mie stesse azioni segue i miei passi fino alla porta, uscendo l'attimo dopo.

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Capitolo 5
*** Capitolo Quattro ***


La pioggia colpisce i vetri furiosamente, accompagnata dal fruscio del vento che scuote senza sosta gli alberi quasi del tutto rinsecchiti. Il cielo è scuro, cupo, sempre più somigliante ad un buco nero capace di risucchiare tutto quello che gli capita a tiro mentre la temperatura è scesa a dismisura, soprattutto in questi ultimi due giorni. A causa delle condizioni meteorologiche, infatti, nessuno di noi può continuare l'allenamento prestabilito poiché, la maggior parte delle attività, si svolgono fuori dall'accademia. Di conseguenza siamo costretti a far tutto individualmente. Non che mi dispiaccia, per una volta posso scegliere cosa fare e non senza costrizioni.

L'umore di Lily è in simbiosi con il tempaccio che osservo dalla mia camera – come ogni volta, d'altronde – rendendo divertente quelle ore che passiamo insieme. Odia la pioggia e le conseguenze che ne riporta perché non le permette di allenarsi adeguatamente e come vorrebbe. Da una parte mi dispiace vedere il suo umore, sempre sprizzante di simpatia e allegria, spegnersi totalmente e in un battito di ciglia ma, per quanto possa comprenderla, in un certo senso, non riesco a prenderla seriamente. Basta pensare alle sue guance gonfie e al suo viso rosso dalla rabbia oppure alle sue risposte acide e burrascose ogni volta che la stuzzico, che mi scappa un sorriso migliorando così le mie giornate.

Ammetto che senza di lei le mie giornate sarebbero grigie e cupe. Non amo molto il contatto esageratamente intimo con gli altri e, tanto meno, abbandonarmi facilmente a nuove conoscenze. Mi basta Lily che conosco da tutta la mia vita, tutto il resto non conta. Sin da bambina, la tendenza innata di non fidarmi di nessuno superava di gran lunga la minima voglia di legare – anche quel poco – con qualche mio coetaneo. Non è qualcosa che ho reputato importante, sono sempre stata un tipo che sta bene anche da sola, senza l'aiuto di qualcuno. Un tipo che non ha bisogno di alcun sostegno su tutti i punti di vista e che non sente la necessità di dipendere profondamente da chiunque o da qualcuno in particolare. Il fatto che Lily sia entrata nel mio guscio di solitudine voluta, attraversando quell'involucro spesso, ha una motivazione.

L'ho voluto io perché per quanto mi fossi ostinata a ripetermi i motivi per cui non avessi bisogno di nessuno, Lily, è stata in grado di ribaltarli meritando così un posticino al mio fianco.

Tuttavia, ci sono limiti che non si permette di oltrepassare e questo mi ha intimato a continuare questo rapporto, di cui, adesso, non posso farne a meno.

« Mi sento soffocare» farfuglia melodrammatica schiacciando i palmi delle mani sul vetro.

Le goccioline creano un ticchettio frequente e ritmico; scivolano indipendenti per poi congiungersi definitivamente.

Ruoto gli occhi al cielo legando i capelli fin troppo lunghi in una coda alta. « Non credi di essere un tantino esagerata?»

Sistemo il mio borsone chiudendo la zip e mi abbasso sulle ginocchia afferrando la maglia che gettai malamente a terra qualche minuto prima.

Sbuffa schiacciando anche la faccia sul vetro. « No, sai bene quanto mi angoscia questo tempaccio»

« Vuoi venire con me a fare un po' di palestra? Tanto per sgranchirti» la invito, attendendo una sua risposta appoggiata allo stipite della porta socchiusa.

Scuote il capo. « Non mi va, credo che fra poco andrò al poligono» rifiuta voltandosi.

Annuisco. « Come vuoi, ci vediamo dopo» la saluto accennando un piccolo sorriso e uscendo definitivamente dalla mia stanza.

-

Il corridoio, come sempre, è caratterizzato dal via e vai di gente. Tengo stretto il borsone in spalla e schivo gli spintoni di alcuni che non si curano minimamente di chi gli sta intorno. Storco il naso infastidita e a passo svelto mi dirigo dall'altra parte dell'edificio.

« Arabella Nelson» una voce inconfondibile e dannatamente irritante arriva alle mie orecchie accavallando il vociferare della gente passante.

« Carter, spostati» sbotto lanciandogli un'occhiata infastidita.

Il metro e ottantacinque, tutto muscoli e niente cervello, mi si para davanti bloccando i miei passi causando un formicolio di irritazione dentro di me. Il ciuffo biondo e ribelle si sposta continuamente, dettato dal movimento della sua mano, e che incornicia il suo viso senza alcun difetto definito da due occhi verdi grandi. Nel complesso è un bel ragazzo ma fondamentalmente è uno stronzo che ha avuto solo la fortuna di essere una delle guardie notturne dell'accademia.

Il sorriso sghembo che mette su non fa altro che aumentare l'irritazione e incrociando le braccia al petto lo guardo annoiata. Non capisco come molte di noi vengono attratte da tipi del genere, a cui non importa minimamente chi sei e cosa sei ma solamente entrare in ogni letto possibile con l'unico scopo di sfilarti le mutande.

« Aspetto ancora un tuo messaggio» afferma abbassando gli occhi sul mio top. Mi accorgo del suo sguardo lascivo, e aggiungerei anche disgustoso, e mi copro con la felpa grigia.

« Continua ad aspettare allora, non andrò a letto con te» taglio corto tentando di sorpassarlo.

Blocca di nuovo la mia visuale e sbuffo ai limiti dell'irritazione. « Vuoi spostarti una volta per tutte?!»

« Non voglio portarti a letto. Voglio solo una cena tranquilla e poi si vedrà» ammicca, come se le sue parole mi possano garantire sicurezza e stabilità.

A me sale solo il voltastomaco.

« Si vedrà...» rido divertita scuotendo il capo. « Lasciami passare, Carter, abbindola altre ragazze. Ce ne sono a bizzeffe che si farebbero togliere le mutande senza nemmeno accorgersene»

Lo guardo un'ultima volta e finalmente mi lascia passare, non prima di avermi urlato qualcosa che ho recepito perfettamente e che causa per l'ennesima volta un'alzata agli occhi al cielo.

« Tanto, prima o poi, pregherai di uscire con me!»

Certo, sogna pure.

Svolto l'angolo e scendo le scale che mi portano direttamente in palestra. Il corridoio è stretto  a differenza degli altri locali che ogni giorno percorriamo, e le varie porte, sia alla mia destra che alla mia sinistra, garantiscono l'accesso alle varie e piccole palestre singole già impegnate da alcuni ragazzi che hanno avuto la mia stessa idea.

Scelgo la penultima porta, dalla quale intravedo solo gli attrezzi da poter utilizzare, e la apro usufruendo della carta magnetica addetta solo alle palestre.

La stanza è impregnata da un odore sopportabile che circola, fortunatamente, dal condotto d'aria posto in alto proprio sulla mia destra. Il fatto che non ci sia anche puzza di sudore mi garantisce che prima di me non sia venuto nessuno.

Il borsone scivola dalla mia spalle cadendo in un tonfo a terra e senza perdere tempo tolgo la felpa rimanendo solo con il top indossato e dei leggins.

Stringo la coda un po' allentata dall'elastico e osservo minuziosamente i vari attrezzi che potrei utilizzare; prima, però, mi preparo con esercizi di riscaldamento, tra cui jmping jack, flessioni, crunch e piegamenti – detti anche burpee – per petto, spalle e tricipidi.

Il corpo sembra riprendersi totalmente da questi due giorni di completo riposo; le braccia sembrano riprendersi dallo stato di intorpidimento collegando la stessa sensazione alle gambe e all'addome.

La testa si abbandona a questi brevi momenti, ritornando a circolare normalmente.

Salto su dopo l'ennesimo piegamento e adocchiando i pesi in un angolo – poggiati su un tappetino verde – mi avvicino, controllando i kg giusti e sopportabili per il mio fisico.

Il rumore della pioggia mi fa compagnia mentre alleno il mio corpo rendendolo sempre più tonico e elastico, pronto ad ogni evenienza e a qualsiasi eventualità improvvisa.

Mi soffermo, distrattamente, ad osservare come il cielo stia diventando sempre più scuro, più grigio e cupo. Molte volte, di fatti, la mia testa mi porta a considerare e a paragonare il mio animo ed umore alla bufera scatenata. Il mio carattere piuttosto duro e quasi apatico si abbatte senza sosta su chiunque prova ad avvicinarsi, poiché la mia mente attribuisce ogni passo ed ogni vicinanza ad un pericolo, qualcosa che potrebbe in un certo senso colpirmi alle spalle.

Forse è un istinto di sopravvivenza acquisito negli anni o forse è un modo per difendermi.

Oppure, probabilmente, sono entrambe le cose.

Mi sono chiesta in questi anni cosa accadrebbe se fossi diversa, se almeno un po' somigliassi caratterialmente a Lily; mi sono chiesta cosa cambierebbe se mi lasciassi andare quel minimo, quel poco ma necessario, affinché possa vivere a pieno la mia vita. Cosa cambierebbe se mi circondassi di persone, se sorridessi di più o se, semplicemente, dessi spazio anche ad altro, oltre che solo al mio lavoro e ai miei obiettivi.

Ma poi ci ripenso, penso al motivo per cui sono arrivata a questo punto, penso a cosa – sin da bambina – sono stata costretta a vedere e a sopportare e la mia visione del tutto inscenata crolla in mille pezzi, come il muro di Berlino.

I miei occhi si incupiscono mentre le mie mani, istintivamente, stringono sempre di più i pesi che da qualche minuto sollevo.

Inutile e pleonastico, penso, come le stupide visioni irrealizzabili.

Sospiro pesantemente cambiando attrezzo. L'intenzione è quella di tirare qualche pugno al sacco di boxe che cigola e viene sostenuto da una catena alquanto resistente ma il tutto si perde immediatamente quando la porta viene tranquillamente spalancata.

Trevor varca la soglia con un borsone caricato in spalla ed il viso cupo e serio. Non sembra particolarmente incline a qualsiasi tipo di emozione che non sia odio e irritazione.

Indossa una tuta nera – come il suo umore – ed un cappello che copre i suoi capelli scuri e alla vista setosi.

Indurisco lo sguardo ma decido di ignorarlo come se fossi da sola e abbia i miei spazi ma l'idea viene accantonata quando prende parola.

« Il tutù dov'è? In lavatrice?» chiede prendendosi gioco di me. Anche se non lo guardo percepisco il suo tono di scherno ma stavolta non sono intenzionata a rispondere a tono, è già tanto il fatto che non lo stia insultando amaramente.

Lily dovrebbe ringraziare la mia scarsa pazienza.

Mi abbasso sulle ginocchia e dopo aver appoggiato i pesi afferro i guantoni.

« In effetti il tutù coprirebbe tutto» aggiunge subito dopo, alludendo sicuramente al mio fondoschiena.

Mi acciglio alzandomi e fissando il suo viso, adesso adornato da un sorriso strafottente. I suoi muscoli sono messi in risalto dall'incrociarsi delle braccia e tento di non abbassare lo sguardo proprio su questi ultimi, concentrandomi solo sul suo commento di merda.

« Non hai nient'altro da fare?» dico, abbandonando i guantoni a terra. Prendo l'asciugamano dal mio borsone e lo sistemo sulle mie spalle.

« Sono venuto ad allenarmi» risponde ovvio facendo un cenno agli attrezzi dietro di me.

Inarco un sopracciglio. « E tra cinquanta palestre disponibili sei venuto proprio qui?»

Lascia cadere il borsone a terra e avanza verso la mia figura. Mi fissa per qualche secondo ma quando penso che stia per avvicinarsi si abbassa e afferra i guantoni, sorridendomi sghembo.

« Hai scelto la più spaziosa e la più lontana dal caos che si percepisce. Non sei l'unica che, quando vuole allenarsi, preferisce il silenzio»

La sua risposta mi incuriosisce a ammetto che mi sorprende ma non lo do a vedere, scrollo le spalle indifferente e faccio un passo indietro.

Pensavo che avesse secondi fini e invece la sua risposta del tutto sincera – per quel misero e poco tempo con cui ho avuto a che fare con lui – ha sviato i miei pensieri.

« Puoi anche stare qui, basta solo che non mi rivolgi la parola» metto in chiaro.

I suoi occhi verdi mi scrutano e si incastrano perfettamente con le mie iridi che, senza batter ciglio, sostengono il suo sguardo. È abituato a non distoglierlo, a ricercare quel qualcosa in più che potrebbe abbassare le tue difese ma quel barlume che intravedo, e che attraversa per un attimo i suoi occhi, mi fa capire che non si aspettava di certo che continuassi a battagliare con lui.

Evidentemente siamo simili in questo.

« Dovresti portare rispetto, sono un tuo superiore» asserisce duramente, come se la mia continua sfida lo stia infastidendo oltremodo. La cosa mi fa sorridere, anch'io so giocare al suo stesso gioco.

« Rispetto...» annuisco lentamente schioccando la lingua sul palato. I miei occhi non lasciano i suoi e non intendono farlo per questione di principio, per quella sensazione che mi intima a non abbassare nemmeno un po' la guardia. « Il rispetto si guadagna, si merita. È un riconoscimento che si manifesta solo se si ritiene giusto un comportamento ed un'azione. Io non ti conosco, non so chi sei e non mi importa se sei un mio superiore. Se rispetti me io rispetto te, non è unidirezionale»

« Il non conoscermi non implica trasgredire le regole» risponde convinto e con voce troppo pacata.

« Non lo sto facendo, è questione di principio. Per me il rispetto è fondamentale ma sin dal primo momento non mi sembra che tu ti sia comportato bene, tale, da meritarti il mio rispetto» ribatto, imponendomi.

« Non mi conosci, non metterti contro di me»


Stringe le mani in due pugni e abbasso lo sguardo su queste ultime poiché i miei occhi intercettano l'unico movimento appena compiuto. La pioggia continua a battere furiosa e imperterrita; di fatti, è l'unico rumore che si percepisce oltre ai nostri respiri pesanti.

« È una minaccia?» inarco un sopracciglio ritrovandomi a pochi centimetri dal suo volto indurito e attorniato da un alone di irritazione.

Per quanto sia divertita e leggermente infastidita dalla sua prepotenza, devo ammettere che il colore delle sue iridi è di una bellezza unica e rara. Tutte le sfumature sembrano mischiarsi creando un unico colore: un verde quasi scuro, intenso e impenetrabile.

« Io lo chiamerei avvertimento»

« Credi di intimorirmi?» ironizzo allontanandomi, cercando necessariamente l'aria per respirare.

« Non sfidarmi, Nelson» digrigna i denti, scandendo perfettamente le sue parole.

Sorrido attenta ad ogni suo gesto e movimento, lo guardo solo per pochi secondi, il tempo per memorizzare bene il suo volto tramutato in una smorfia.

« Non farlo nemmeno tu, non crederti superiore agli altri solo per il titolo che ti hanno affibbiato» i miei occhi scuri sostengono le sue iridi senza timore alcuno. «Adesso, se non ti dispiace, esci da qui. Devo allenarmi e la palestra l'ho occupata prima io» mi allontano definitivamente, aspettando che le mie parole influiscano e lo spingano direttamente fuori dalla stanza.

Sento che prende un respiro profondo, probabilmente si sta trattenendo dal non urlarmi contro. Mi aspetto una sfuriata, una frase tagliente e invece mi sorprende per la seconda volta.

« Ci rivedremo sicuramente, Arabella»

Ed è l'ultima frase che le mie orecchie sentono prima di seguirlo con gli occhi, fin quando non chiude la porta. Lasciandomi lì, in compagnia della pioggia contrapposta al silenzio che circonda il luogo.

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Capitolo 6
*** Capitolo Cinque ***


La porta della palestra si chiude in un tonfo e, stancamente, i miei piedi si trascinano via da quel posto. Non seguo lo stesso percorso di prima, la sola possibilità di incontrare quella palla al piede di Carter mi irrita, così opto per la direzione opposta superando il breve tratto di corridoio. I miei passi risuonano nell'angusto luogo al chiuso nel quale regna un silenzio tombale; d'altronde, sono quasi le dieci di sera e considerate le regole rigide di questa accademia dubito fortemente che possa esserci qualcuno che si aggiri indisturbato. Tuttavia, potrebbe sempre esserci qualche militare che, come me, ha scelto di passare il suo tempo a sgranchirsi le gambe.

Il sudore si appiccica al mio corpo come una seconda pelle e non vedo l'ora di poter togliere via la sensazione di sporco con una doccia calda e rinfrescante. Probabilmente ho esagerato con l'allenamento, sono stata troppe ore rinchiusa in quella stanza non rendendomi conto del tempo passato velocemente. Il punto è che, la maggior parte delle volte, mi applico così tanto in ciò che faccio da non far caso a quello che mi circonda e soprattutto del tempo che scorre irrefrenabile.

La mia testa continua ad essere invasa dai pensieri che nemmeno la notte mi lasciano dormire in pace. Il sistema è sempre in perenne movimento: elabora e scarta teorie, pensa, ritrita e rimugina talmente tanto da causarmi un mal di testa assordante. Il problema principale è che non riesco a frenare, a tenere a bada quella curiosità che si insinua dentro di me e che spinge così tanto fino a risalire a galla come una sorta di necessità impellente. So bene che può costarmi tanto perché impicciarsi degli affari altrui non porta mai buone cose, solo che io non la chiamo curiosità, bensì diritto di sapere cosa circola alle nostre spalle. Essere esclusa e chiusa in una bolla di incertezze, non sapendo a cosa tutti andiamo in contro, è qualcosa che non riesco proprio a sopportare. Sento che ci sono verità nascoste, sotterrate sotto cumuli di regole che fondamentalmente nessuno rispetta totalmente e la costante sensazione che queste verità siano oscure mi attanaglia lo stomaco.

L'alone di mistero che avvolge Trevor - ed il suo gruppo - è grande tanto quanto la mia voglia di sapere, di scoprire e di ricercare più informazioni possibili. Altri nemmeno ci fanno caso a cosa succede all'infuori degli addestramenti e riconoscimenti, non si curano del fatto che potrebbero esserci motivi nascosti a questo cambiamento improvviso e non si chiedono nemmeno se dietro a tutta questa faccenda abbastanza strana ci sia dell'altro.

Troppo occupati a pensare a loro stessi, alla loro carriera e non – come dovrebbe essere – al vero obiettivo per cui tutti siamo qui.

La coda oscilla ad ogni mio movimento ed i miei occhi sempre attenti e minuziosi puntano la porta sul retro, dalla quale esco senza ripensamenti.

Il freddo mi colpisce, come uno schiaffo in pieno volto, aggiungendosi alla pioggia, che ancora incessante, si abbatte sul terriccio bagnato che genera pozzanghere di fango. Tiro su il cappuccio della felpa nascondendo il mio viso dalle gocce di pioggia, che bagnano velocemente il tessuto non appena muovo i miei passi. Corro per raggiungere l'altra parte dell'edificio, letteralmente.

L'altra porta fortunatamente è socchiusa così mi precipito entrandovi dentro, riparandomi definitivamente dal cielo che sta per crollare. I vestiti sono letteralmente fradici, si appiccicano addosso provocandomi una serie di brividi che rizzano i peli delle mie braccia. Sospiro pesantemente e meccanicamente salgo i primi gradini delle scale alla mia destra; spero solo che Lily sia già in camera, ho bisogno di capirci qualcosa in più su tutta questa situazione.

Ma prima di svoltare per raggiungere la mia camera delle voci bloccano i miei passi.

Mi nascondo dietro alla colonna appoggiando le spalle al muro. Le mie orecchie si tendono per captare una minima parte del discorso e attendo una rassicurazione in più prima di affacciare la mia faccia, in modo da vedere chi sono le due figure che dialogano silenziose.

Le loro voci sono basse, profonde e a tratti roche e questo mi permette di capire che entrambi sono due uomini. Dal modo in cui bisbigliano intuisco anche che l'argomento che stanno trattando. Non è aperto a tutti e ciò mi incuriosisce ancora di più. I vestiti gocciolano ed il respiro è ancora affannato a causa della corsa appena conclusa ma, nonostante stia palesemente correndo il rischio di essere scoperta, sporgo il mio viso quel poco che basta per riuscire a scorgere i loro volti.

Il primo uomo mi dà le spalle ma riesco a riconoscerlo dal suo fisico possente e dalla divisa che porta, la quale si differenzia dal resto per il ruolo ad egli affibbiato. Marxwell gesticola animatamente scuotendo il capo perentorio e trattengo il respiro quando mi rendo conto di chi, quest'ultimo, ha di fronte. Trevor serra la mascella – probabilmente per qualcosa che il colonnello gli ha appena riferito – e lo fissa con rabbia come se qualcosa lo abbia turbato.

« Non agitarti, mantieni la calma, sai che abbiamo tutto sotto controllo» il mormorio di Marxwell è appena udibile ma, grazie al silenzio tombale che avvolge il luogo, riesco perfettamente a sentire ogni parola appena pronunciata.

« Non capisco perché stiamo temporeggiando» esala duramente passando una mano tra i capelli per la frustrazione.

Aggrotto la fronte cercando di capirci di più: cosa intende? Temporeggiando su cosa?

« Dobbiamo fingere di non sapere nulla, Claflin, te l'ho ripetuto centinaia di volte» ribatte e rabbrividisco ma questa volta non per il freddo ma per il modo glaciale con cui si è rivolto.

Trevor serra le mani in due pugni alla sua risposta, probabilmente non gli è piaciuta. I suoi occhi sembrano più scuri del solito e quel verde intenso si trasforma in un nero simile alla pece.

« Per quanto tempo? Ancora un altro anno, colonnello ?!» alza la voce beffeggiandolo, ricevendo un segnale di ammonimento dal colonnello.

« Claflin! Mantieni la calma e non azzardarti ad alzare la voce. Qui decido io e tu devi sottostare ai miei comandi. Se non ti va bene, sai cosa fare per rinunciare»

Osservo i loro movimenti soffermandomi sul riccio che allarga le narici per il modo in cui l'uomo si è rivolto. Serra la mascella talmente tanto che potrebbe rompersi se solo continuasse a far pressione; sono sicura che vorrebbe rispondere a tono ma quando distoglie lo sguardo, cercando con gli occhi qualsiasi cosa da guardare, capisco che l'unica cosa che farà sarà tacere.

Le varie ipotesi si accavallano nella mia testa creando un caos rumoroso: cosa intende Trevor con ' temporeggiare ' ? E soprattutto, perché devono fingere? Cosa nascondono?

« Cerca di placare la tua ossessione, Trevor» poggia una mano sulla sua spalla e rimango sorpresa del gesto che compie. Così intimo, confidenziale. « So bene come ti senti ma dobbiamo essere certi su ogni cosa prima di agire»

Annuisce senza nemmeno guardarlo in faccia  « Ti congedo» aggiunge infine e detto ciò il colonnello scompare dietro l'angolo.

Il moro sostiene il suo corpo poggiando il palmo della sua mano sul muro al suo fianco. Abbassa il capo schiacciando la fronte sulla parete e dal movimento frenetico del suo petto intuisco che non è certamente contento della discussione appena conclusa. Socchiudo la bocca scrutando tutti i suoi movimenti e sobbalzo all'istante quando, in un gesto totalmente istintivo, sferra un pugno.

« Porca puttana!» sopprime un urlo, sferrandone un altro.

Lo scricchiolio delle sue ossa arriva dritto alle mie orecchie e per un attimo chiudo i miei occhi nascondendomi dietro la colonna. Sono sicura che si sia lesionato la mano ma a lui non sembra importare poiché, quando mi affaccio una seconda volta, lo becco ad osservare la sua mano come se nulla fosse accaduto, nonostante il sangue che cola dalle spaccature sulle nocche.

Mordo il labbro inferiore reprimendo quel profondo istinto che mi spinge ad avvicinarmi. Tutto mi sembra sempre più confuso, criptico. Non capisco per quale assurdo motivo Trevor se la sia presa così tanto e cosa lo abbia spinto a reagire nel modo più violento.

È tutto un punto di domanda.

Il rumore dei suoi anfibi mi costringono a nascondermi e quando capisco che la direzione appena presa coincide con la mia corro, aprendo la prima porta di una qualsiasi camera ed entrando dentro, consapevole che potrebbe esserci qualcuno.  

Il mio petto si alza e si abbassa ritmicamente quando chiudo velocemente la porta e vi poggio le spalle. Fortunatamente non sembra esserci nessuno o, per lo meno, non in questo momento e in parte mi rassicura. I miei occhi si soffermano sulla finestra di fronte e mi accorgo della pioggia che continua ad abbattersi senza sosta. Fondamentalmente la burrasca è l'ultimo dei miei problemi, come il malanno che probabilmente prenderò a causa dei vestiti impregnati d'acqua. L'unica cosa che al momento mi importa è che i passi di Trevor scompaiano definitivamente e quando questo accade chiudo gli occhi tirando un respiro di sollievo. Non che abbia paura di essere scoperta, più che altro sarebbe un problema perché non saprei spiegargli il motivo per cui stavo origliando. L'ultima cosa che desidero, appunto, è un confronto con lui.

Aspetto qualche altro minuto per essere sicura che davvero è andato via e quando raggiungo questa consapevolezza abbasso la maniglia uscendo dalla stanza.

A passo felpato raggiungo la mia camera e senza pensarci due volte entro dentro, trovando Lily che mi osserva curiosa.

Mi squadra interamente e inarcando un sopracciglio apre bocca. « Danza della pioggia?» ironizza alludendo ai miei abiti zuppi.

Alzo gli occhi al cielo e tolgo la felpa bagnata dal mio corpo. « Simpatica»

« Perché hai fatto così tardi?» chiede subito dopo.

Sbadiglia coprendo la sua bocca e sbatte le palpebre un paio di volte, segno che tra non molto si infilerà sotto le coperte per abbandonarsi tra le braccia di Morfeo.

Scrollo le spalle. « Sai che spesso perdo la cognizione del tempo quando vado in palestra» rispondo tranquillamente, mascherando ogni emozione.

Nervosamente sciolgo anche la coda provocando un cipiglio confuso della bionda. « C'è qualcosa che non va?» mi incalza.

Non incontro i suoi occhi perché so bene quant'è capace di leggere i miei. Valuto se sia giusto metterla al corrente della chiaccherata tra Marxwell e Trevor e considero anche i pro e i contro della questione. Potrebbe aiutarmi a scovare informazioni, come potrebbe anche vietarmi di mettere il naso su questioni di cui non ho alcuna voce in capitolo.

« Arabella, cosa è successo?» domanda con un pizzico di preoccupazione. Stavolta incrocio i suoi occhi scuri dandole il libero accesso a tutte le mie emozioni e sensazioni momentanee.

« C'è qualcosa sotto Lily, ci stanno nascondendo qualcosa di grosso» rivelo scuotendo di poco il capo.

Aggrotta la fronte alzandosi dal suo letto e si avvicina alla mia figura. « Come fai ad esserne così sicura?»

« Ho origliato una conversazione» ammetto.

So che posso fidarmi di lei, indipendentemente dall'esito finale. Nasconderle le cose mi creerebbe solo problemi: non posso mentire perché mi conosce meglio di quanto io conosca me stessa e se solo provassi a tener tutto per me, riuscirebbe a cavarmi quel tutto con una sola mossa.

Inarca un sopracciglio rilassandosi visibilmente. « Che conversazione? Non ti seguo»

La seguo a passo lento e mi siedo al suo fianco, fregandomene del fatto che i vestiti che indosso potrebbero impregnare le lenzuola.

« Non hai sentito nulla? Qualche movimento sospetto o rumori?» le chiedo, solo per capire se abbia percepito quel tonfo dettato dal pugno di Trevor.

Scuote il capo confusa. « Sono stata chiusa qui dentro ad ascoltare musica, fino a qualche secondo prima che venissi» risponde tranquillamente.

« Ecco... stavo girando l'angolo per raggiungerti in camera ma, mi sono dovuta nascondere perché il colonnello Marxwell e Trevor stavano discutendo animatamente proprio qui fuori»

Il suo volto assume un'espressione di serietà e con un cenno mi intima a continuare.

« Non ho capito molto, solo frasi che mi hanno lasciata perplessa. Parlavano di fingersi indifferenti su qualcosa, come se stiano tramando una sorta di piano» gesticolo.

« Sei sicura? Magari si riferivano ad altro, qualcosa di personale probabilmente» tenta.

Scuoto il capo. « Trevor era accecato dalla rabbia, c'è qualcosa sotto, qualcosa che ci stanno nascondendo, Lily! » esclamo.

Sospira. « Non puoi basarti su delle frasi disconnesse, Ara. Potrebbe essere una discussione che non ha niente a che fare con ciò che stai pensando tu» cerca di essere ragionevole ma il viso di Trevor si piazza nella mia testa, impedendomi di ascoltarla.

« Non so cosa pensare»

« Indagheremo, stanne certa. Ma non trarre conclusioni affrettate, magari sono faccende personali» dice.

« Forse hai ragione ma non me starò con le mani in mano, lo sai» mi alzo dal letto e mi premuro di prendere l'intimo e qualcosa da mettermi per andare a dormire. «Marxwell ha dichiarato che prima o poi ci spiegherà il motivo per cui le cose sono cambiate ed io aspetterò ma, personalmente, mi occuperò anche di cercare perché qualcosa sotto c'è»

Prende un respiro profondo. « Pensi sia grave?» riflette, pensierosa.

Mi volto guardandola negli occhi. « Di certo non ci troviamo in un posto tranquillo, potrebbero esserci organizzazioni che ci vogliono fuori dal loro territorio» do voce ai miei pensieri.

« Non avrebbe senso, Marxwell non ci ha mai concesso nessuna missione. Ci siamo solo allenate senza oltrepassare il limite stabilito»

« Non lo so, Lily. Non sappiamo cosa nascondono queste quattro mura»

Il silenzio cala improvvisamente su di noi, molte domande frullano nella mia testa e so bene che se entrassi anche nella mente della bionda vedrei le stesse identiche cose che penso io.

« Farò in modo di ottenere qualche informazione in più»

Annuisco e raggiungo la porta ma prima di aprirla la sua voce mi blocca.

« Brad sta organizzando la solita festa in quel capannone dimenticato da Dio, vieni? Sai che Marxwell due giorni a settimana va via»

« Non è una buona idea»

Ruota gli occhi al cielo. « Non essere sempre così reticente! Le guardie non parlano e lo sai bene. Luke ti fa il filo e Carter vorrebbe portarti a letto senza pensarci due volte. Il resto veglia l'altra parte dell'edificio»

Le lancio un'occhiataccia ma a lei non sembra importare. « Lily»

« Sai che ho ragione. E poi sappiamo anche come fare per non farci scoprire; siamo i soliti, Ara. La maggior parte non sanno nemmeno dell'esistenza di queste feste!» mi prega.

Sbuffo sonoramente. « Odio queste cose, mi conosci»

Avanza qualche passo e sbatte le palpebre. « Giuro che proverò a scoprire qualcosa in più su questa storia»

La stronza sa bene come fare per convincermi e digrignando i denti mi ritrovo costretta ad accettare.

« Solo per questo» metto in chiaro.

Sorride vittoriosa.

Sarà una lunga serata.

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Capitolo 7
*** Capitolo Sei ***


Il terriccio è ancora bagnato quando io e Lily a tarda notte lo calpestiamo e il cielo è ancora scuro, caratterizzato da nuvole grandi e cariche di litri e litri d'acqua. Ha smesso di piovere da un'ora ormai e, ciò, facilità la nostra fuga notturna verso il capanno diroccato che si trova, esattamente, alla fine dell'immenso campo aperto, abbastanza lontano dall'edificio che ci ospita tutti, in modo tale da non destare alcun sospetto. La scelta è una conseguenza dettata dalla necessità, per alcuni di noi, di evadere anche per poche ore dalla realtà che ci circonda e tale decisione, infatti, non è stata approvata da molti. Questi ultimi credono che non sia il caso di organizzare feste e quant'altro nelle uniche ore di riposo concesse e inoltre definiscono queste decisioni irrispettose sia per il colonnello e sia per coloro che ogni giorno lottano per sopravvivere. Io, d'altro canto, non posso non affermare di essere totalmente d'accordo ma non posso nemmeno negare che una pausa possa far bene. Allenarsi costantemente causa spossatezza e stanchezza - oltre che malessere psicologico - e la routine a cui siamo sottoposti può, in un certo senso, incidere molto sulla nostra salute. È vero che non possiamo abbandonarci allo svago assoluto, tuttavia, mi trovo in disaccordo con le regole fin troppo rigide dell'accademia. Infatti, anche se non impazzisco per feste del genere, alla fine, trasgredisco lo stesso.

Il capannone non può essere di certo paragonato ad un locale vero e proprio, non ha né la forma e né la sostanza ma ci adeguiamo a quello che abbiamo. In primo luogo perché non possiamo uscire di qui senza un permesso speciale, tranne per le concessioni che danno ogni mese ad ognuno di noi. In secondo luogo perché è l'unico posto che si distanzia maggiormente dall'edificio e ci garantisce di poter fare quello che vogliamo senza essere scoperti dalle guardie notturne. In terzo luogo perché è praticamente nascosto da alberi molto alti, le cui radici sono vecchie di almeno duecento anni.

È capitato che qualche guardia si sia insospettita, sia per lo strano via e vai di persone che fingevano di raggiungere la propria camera per andare a dormire e sia per il silenzio tombale che avvolgeva l'intero edificio, quando - in sostanza tutti i giorni - nonostante il coprifuoco deciso da Marxwell, molti si allenavano nelle apposite palestre tutte le notti.

Fortunatamente, una delle guardie è appunto membro degli organizzatori e quindi riesce a raggirare coloro che sono all'oscuro soprattutto quando svolge il suo incarico.

Guardo alle mie spalle, per assicurarmi che nessuno ci sta seguendo, e affilo lo sguardo quando noto una delle guardie intenta a perlustrare la parte opposta dell'accademia. Lily, in quanto partecipante assidua, non si pone nessun problema e infatti cammina a passo spedito senza guardarsi dietro, come se ormai sappia che nessuna anima pia ci seguirà e probabilmente è così ma non si sa mai. Non sono abituata a queste trasgressioni.

« Puoi velocizzare? Di questo passo arriveremo domattina!» mi bisbiglia guardandomi per pochi secondi e scrutando davanti a sé la strada da dover prendere per arrivare al capannone.

Ruoto gli occhi al cielo e velocizzo il passo accontentandola.

« Sto solo controllando che nessuno ci segua, sai, qualcuno qui non si preoccupa» dico ironica meritandomi un'occhiataccia da parte sua.

« Sai bene che non siamo mai stati scoperti, smettila di fare l'uccello del malaugurio» borbotta.

Sbuffo, ruotando nuovamente gli occhi al cielo per il suo insulto indiretto e la seguo. Ovviamente la fuga consiste nel camminare in giro senza luce, perché potrebbero scoprirci, e senza sapere di conseguenza dove mettiamo i piedi. Potrei inciampare in una fossa e nemmeno me ne accorgerei ma sarebbe improbabile secondo miss biondina, conciata - nel vero senso della parola - per le feste.

« Poi spiegami dove hai trovato questi vestiti che indossi, anzi, che indossiamo.» dico.

Perché non basta partecipare a questo tipo divertimento, sotto costrizione, ma devo pure indossare abiti che non rientrano nel mio genere. Fortunatamente, dopo varie insistenze, l'ho convinta a non mettere quel pezzo di stoffa che lei chiama ' gonna ', a patto che indossassi almeno uno dei tanti top nascosti chissà in quale assurdo posto.

In effetti non è male come credevo all'inizio ma, questo, non glielo dirò mai.

« Devo risponderti?» risponde retorica.

Certo, perché risponderebbe ' ho le mie conoscenze ' oppure ' sai bene che se voglio, ottengo '. Risposte che non mi va di sentire, in quanto consapevole che tutto ciò che dice sia effettivamente vero. Qualsiasi cosa voglia, la ottiene. Se non subito, l'avrà poi.

« Quando la smetterai?» ribatto fingendomi spazientita, nascondendo un sorriso.

Si volta con un sorriso ad abbellirle le labbra. « Quando tu ammetterai che se non ci fossi io, saresti persa» risponde piccata, lasciandosi scappare però una piccola risata.

Scuoto il capo ed il sorriso, all'inizio trattenuto, alla fine si amplia.

In fondo è proprio così: senza di lei, sarei solo un guscio vuoto, senza alcun senso. Un'anima che vaga alla ricerca di quel briciolo di verità, ragione e speranza. Lei è il mio opposto, l'esatta metà. Quella che cercherei se sentissi la necessità o la mancanza. Colei che rispecchia ciò che fondamentalmente non possiedo.

Allontano un ramo dal mio viso aiutandomi con la mano e continuo a seguire, alla cieca, il percorso veloce e sicuro di Lily. Sembra conoscerlo a memoria e assottiglio lo sguardo quando in lontananza scorgo il capannone poco illuminato all'esterno. Sembra abbandonato e se non sapessi dell'esistenza di queste feste direi che lo sia, senza ombra di dubbio.

« Eccolo lì» lo indica, facendomi poi cenno di avvicinarci.

Annuisco, non così tanto esaltata come lei, anzi...

« Hai una faccia... diamine, sembra che tu stia andando ad un funerale!» esclama mantenendo il tono di voce basso.

Alzo le sopracciglia fingendomi indignata. « Ma davvero? Lo preferirei, a dire il vero»

Alza gli occhi al cielo, arresa ormai, e afferrandomi la mano mi trascina con lei fino all'ingresso.

Non sembra esserci nessuno, l'unico rumore che si percepisce è il continuo lamentarsi degli animali che, indisturbati, riempiono il silenzio che incombe tutte le notti.

È mezzanotte passata ormai e maledico la mia dannata curiosità che mi porta a fare cose che in realtà non voglio fare. Non posso nemmeno prendermela con Lily perché in effetti ho acconsentito subito alla sua richiesta ma, mi ripeto, che sarà l'ultima volta che la seguirò.

« Seguimi» mi intima oscillando la mano.

Si incammina verso il retro del capannone e la seguo increspando la fronte. « Non ricordo di essere passata da qui l'ultima volta» osservo.

Ci fermiamo di fronte ad una barriera di filo spinato simulato e lo capisco l'attimo dopo quando si abbassa sulle ginocchia e aiutandosi con entrambe le mani riesce a garantirci l'accesso dall'altra parte.

Inarco le sopracciglia. « Furbi»

Sorride. « Chi sospetterebbe che dietro questa barriera ci sia dell'altro

Non le rispondo, mi avvicino affiancandola e quando avanziamo per qualche altro metro ecco che vediamo due ragazze che conosciamo bene.

« Eccovi!» esclama Harley, passando una sigaretta alla sorella Betty con un sorriso fin troppo finto in viso.

« Non mi avevi detto che ci fossero anche le zoccole che si passa il caporale» le bisbiglio all'orecchio provocando una sua risata.

Mi volto e con una espressione infastidita mi limito ad un cenno con il capo.

« Ragazze! Scusate ma abbiamo avuto un contrattempo» risponde Lily fingendosi dispiaciuta.

« Tranquilla , la festa è appena iniziata» ribatte eccitata l'altra sorella, non degnandomi minimamente di uno sguardo.

? Che cazzo di nomignolo è ''?

La bionda mi sorride. « Entriamo dentro»

Betty, solo dopo l'esclamazione della mia amica, si gira squadrandomi minuziosamente, storcendo il naso l'attimo dopo.

« Arabella, pensavo che non venissi. Sai, di solito non ti si vede in queste feste, non sono il tuo genere, ecco» gesticola con l'intento di marcare quello che sta dicendo.

Sorrido alla sua frecciatina; di certo, quel pezzo di stoffa che indossa non può essere considerato un vestito.

Harley alza gli occhi al cielo frustrata dai commenti della sorella. A differenza di Betty, lei si può ritenere accettabile, quasi simpatica. Non ha mai fatto commenti scomodi o che potessero stuzzicare la mia poca pazienza. Evidentemente, non è fatta dal novantanove percento di veleno come la serpe al suo fianco.

« Chissà perché io, invece, ero sicura di ritrovarti qui e vestita da cagna»

Boccheggia non aspettandosi il contrattacco. Di solito mi limito a mandare tutti a quel paese ma quando sono tendenzialmente nervosa e con le ovaie girate non riesco a chiudere la mia bocca.

Lily afferra la mia mano ma stavolta non commenta, sa bene che se rispondo verbalmente è perché non ne posso fare a meno.

« Ti prego, non voglio liti questa sera. So che sono stronze ma cerca di non badare ai loro commenti. È solo invidia perché sanno che sei molto più in gamba di tutte loro messe assieme» mi sorride dolcemente. Prendo un respiro profondo e annuisco.

La mia espressione seria la fa sospirare ma non posso farne a meno; non mi piacciono e certamente non mi piaceranno mai.

Apre la porta e non appena mettiamo piede dentro dimentico pure quella stronza di una bambolina.

Se all'inizio pensavo che ci fossero poche persone, adesso, non posso che smentire. Ci sono almeno una cinquantina di persone tra cui, la maggior parte, tutte donne. Ero a conoscenza di queste feste nascoste ma non sapevo che le frequentavano anche uomini di altri reggimenti.

L'odore di fumo circola in quel posto abbastanza grande da contenere tutti. Mi guardo attorno e mi chiedo se tutta questa gente faccia parte dell'accademia. Chi siede su divani, che chiamarli così è esagerazione; chi balla al centro della stanza accompagnata da musica che non riesco a capire nemmeno da dove provenga; chi, ovviamente, si struscia come se non ci fosse un domani. La regola secondo cui non ci è permesso avere relazioni e soprattutto effusioni, è ancora valida... Quindi, immagino bene cosa accade ogni volta: la pazza gioia si impossessa di tutti loro.

« Non credevo che venisse anche Drew» mormora Lily al mio orecchio.

Il sorriso sul suo volto la dice lunga e ricambio con un sorriso sghembo. « Ho come l'impressione che non ti dispiaccia»

« Beh, non puoi negare che sia indubbiamente un bel ragazzo, forse uno dei più belli che ci sono qui dentro e poi ho notato alcune occhiate e posso assicurarti che non dispiace nemmeno a lui»

Intravedo Drew tra la calca di gente e in effetti è vero, si è subito accorto di Lily e adesso non fa altro che fissarla come se stia aspettando una manna dal cielo. Anche se sono più che convinta che stia solamente aspettando il momento adatto per rimorchiarla.

Come se fosse necessario, penso.

« Facciamo così», mi guardo intorno individuando il bancone arrangiato degli alcolici. « Tu fatti desiderare ed io faccio un giro» propongo.

« E tu?»

Scrollo le spalle. « Troverò cosa fare... a proposito, le hai portate?» chiedo.

La sua mano si intrufola dentro il top e da esso estrae un pacchetto di sigarette.

« Sono le ultime due, l'ultima lasciala a me»

Afferro il pacchetto e annuisco.

So bene che non ci è permesso fumare, è la prima regola che dovremmo rispettare ma poco mi importa di Marxwell. Non lo faccio spesso e poi lui non deve necessariamente saperlo. Mi capita di fumare qualche volta, quando sono un fascio di nervi e mi lascio andare ai pensieri troppo oscuri ma fondamentalmente non ho il vizio.

Dentro non riesco a starci, troppo caldo, troppo fumo e troppe persone che si abbandonano al delirio del momento.

« Sai cosa devi fare, Lily» incastro i miei occhi nei suoi ed il messaggio che suscitano essi vale più delle parole appena dette.

Sa a cosa mi riferisco e non se lo fa ripetere due volte. Se vuole qualcosa, la ottiene.

Si allontana tra la massa di gente e lascio andare un sospiro. Raggiungo il banco degli alcolici e distrattamente afferro una birra, egregiamente buona, portandola con me prima di uscire definitivamente dal capannone.

Non conosco quasi nessuno, tranne coloro che fanno parte del mio gruppo e altri che conosco solo di vista, grazie ai bagni in comune e alla mensa.

Non ho confidenza con tutta questa gente e mi va bene così. Le persone false e velenose non mi sono mai piaciute e non intendo cercare legami; ho già Lily e lei mi basta.

Qualcuno afferra il mio polso e d'istinto lo strattono voltandomi fulminea.

« Nelson, che piacere!»

Carter sorride sghembo facendo una radiografia al mio corpo, soffermandosi ovviamente al mio seno leggermente esposto dal top. Si avvicina di più ritrovandomelo, così, a pochi centimetri di distanza.

La troppa vicinanza mi infastidisce e mi irrita oltremodo, come la persona che mi sta davanti.

« Non toccarmi mai più» sibilo digrignando i denti.

Alza le mani a mo' di resa e scoppia a ridere. « Cosa ti porta qui? Non mi pare che ti piacciano queste cose» osserva.

Mi mordo la lingua per non esagerare con le parole: il semplice fatto che tutti si accorgano di quello che faccio e di cosa mi piace fare e non, mi urta parecchio.

« Tu non dovresti essere di turno?» evito la sua domanda, nascondendo il pacchetto nella tasca della mia giacca.

Non ho intenzione di far sapere anche questo, soprattutto a lui.

Passa una mano tra i capelli, un gesto che compie sempre e scuote il capo. « Non stasera... piuttosto, perché non prendiamo qualcosa da bere?» ammicca.

Alzo gli occhi al cielo. « Non accetti i rifiuti, Carter?»

« Potrei ma non voglio, Ara» cantilena.

« Dovresti, perché non ho intenzione di perdere tempo con te» ribatto neutrale.

Mi giro con l'intenzione di andarmene ma la sua mano me lo impedisce nuovamente. « Non essere così bisbetica, cosa ti costa?»

Strattono il mio polso e quando riesco a liberarlo lo colpisco con uno schiaffo in pieno volto. « Non toccarmi mai più, non fartelo ripetere di nuovo!» sibilo incazzata, scandendo ogni parola.

È sorpreso dal mio gesto ma è così ubriaco da non rendersi nemmeno conto dell'impronta della mia mano sulla sua guancia. Massaggia il punto dolente causando una smorfia di dolore ma non aspetto una sua risposta, abbasso la maniglia e mi catapulto fuori.

L'impatto con l'aria fredda è potente, tant'è che mi copro con la giacca che fortunatamente ho portato con me prima di andare via. Sapevo che sarebbe stata una cattiva idea venire qui ma ho bisogno di sapere cosa si nasconde dietro a tutta questa pappardella inventata da Marxwell. So che è così, sono sicura che nascondono qualcosa ed io devo sapere cosa.

La mia mano scompare dentro la tasca del giubbotto ed estraggo velocemente da essa una sigaretta. La prendo tra le labbra ed estraggo anche l'accendino, rimasto lì dall'ultima volta che l'ho utilizzato.

La fiammella si accende permettendomi di accendere quel tubetto di tabacco che, immediato, provoca la scia iniziale di fumo. Aspiro, lentamente, la nicotina e chiudo gli occhi abbandonandomi alla sensazione momentanea.

Non fumo da almeno un mese e queste due sigarette non sono altro che le ultime sopravvissute di un pacchetto ricavato quattro settimane fa. Dire che non sia una liberazione è pura ipocrisia da parte mia; mi serve qualche minuto di stallo da tutti i pensieri che circolano nella mia testa e che colpiscono ripetutamente invogliandomi a non staccare mai la spina.

Ho anche bisogno di questo: staccare un po' da tutto e non pensarci per poco tempo.

Apro gli occhi di scatto quando un rumore, poco distante da qui, mi mette in allerta immediatamente. Il fatto che potrebbero averci scoperto, è un grosso problema.

Mi muovo cauta verso la fonte del rumore appena percepito e, appiattendomi alla facciata del capannone, sporgo il viso per vedere chi si nasconde. Rimango, però, sorpresa e confusa della figura che scorgo.

Che ci fa lui qui?

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Capitolo 8
*** Capitolo Sette ***


Non sono mai stata il tipo di persona che si abbandona alle frivolezze, che ama il divertimento e che ama perdere la testa fino a non ricordare più nulla il giorno dopo. Tanto meno non amo condividere il mio tempo con persone del genere. Non per niente, appunto, mi trovo fuori da quello spazio – fin troppo piccolo e pieno di teste vuote – appena dieci minuti dopo aver varcato la soglia. La convinzione che molta gente non capisca il vero significato della loro esistenza, infatti, è palpabile. Credo sia lecito lasciarsi andare a questi piaceri terreni, qualche volta, come l'alcol o semplicemente il sesso di una notte o poco più, ma è anche vero che tutte queste cose, alla fine, si perdono. Semplicemente arrivano, si afferrano e poi si molla la presa, lasciando così un vuoto che non si riempirà più. E non parlo di un vuoto di memoria dettato dal troppo alcol ingerito, bensì di un vuoto interiore, profondo. Alcuni mi considerano troppo impostata per i ragionamenti che la mia mente partorisce e tanti altri, invece, pensano che non mi goda davvero la vita, che seguo un percorso unidirezionale, senza piccole scappatoie che potrebbero, in un certo senso, aiutarmi. Io non do molto peso alle loro parole perché, fortunatamente, riesco ad indossare quella maschera di indifferenza che tutti temono. Parto dal presupposto che le critiche provengano da individui superficiali, che non badano troppo alla sostanza bensì all'apparenza. L'apparenza, di fatti, è ciò che mi premuro di curare di più. Non mi interessa che gli altri conoscano la vera me e ciò che sono davvero. Non voglio che tutti sappiano cosa ho passato, cosa mi ha resa tale ed il motivo per cui sono così troppo impostata e fin troppo fredda e apatica. Mi basta solo che mi stiano lontani perché sto bene da sola, chiusa in quella bolla costruita da me stessa in tutti questi anni. 
Le feste non fanno per me, non ho bisogno di affogare i miei dispiaceri nell'alcol perché oltre ad annebbiarti i sensi non ti lascia nulla. Solo un immenso vuoto in più aggiunto a quello che già possiedi. Un puntino nero che via via si trasforma in una vera e propria voragine.

Inoltre, se avessi la testa in completa perdizione, non potrei penetrare oltre la superficie. La caratteristica che mi rispecchia di più, infatti, è la mia indole coltivata sin da piccola: osservare minuziosamente e curiosamente tutto quello che mi circonda, sperando e cercando di ottenere quel particolare che fa la differenza, che distingue l'essere da tutto e da tutti. Amo il particolare, l'inusuale, quella caratteristica fuori dal comune, l'insolito.

E non è qualcosa di molti. Non tutti si fermano davvero a guardarti e a chiedersi se l'immagine che dai e che rifletti al mondo sia autentica, vera. È una dota di pochi, di coloro che si distanziano da quel tipo di mondo fatto di futilità, estrema leggerezza e vacuità.

Ed è ciò che accade in questo momento. La mia indole sale a galla, spingendo via – furiosamente –  la razionalità che mi intima ad arretrare e pensare ai fatti miei. Eppure non riesco, l'istinto vince su tutto, e per questo motivo – invece di nascondermi e tornare dentro – affilo di più lo sguardo ed espongo il mio viso.

Osservo la figura alta e slanciata, senza farmi beccare, che riesco a riconoscere immediatamente e che probabilmente riuscirei ad individuare tra tanti. Trevor si trova esattamente a qualche metro di distanza dalla mia figura nascosta mentre, per mia sorpresa, tiene tra le dita una sigaretta quasi del tutto consumata. Il suo corpo è poggiato totalmente al sostegno dietro di lui, con una gamba piegata in modo tale da far combaciare la pianta del piede con l'esterno del capannone, le braccia incrociate ed il viso rivolto verso l'alto, incorniciato dai suoi ricci e dal suo ciuffo ribelle che di tanto in tanto si sposta a causa della brezza.

Gli occhi sono rivolti al cielo privo di stelle, quelle piccole porzioni di luci che accompagnano la vita notturna, e sembrano persi in chissà quale pensiero. Il suo profilo è poco illuminato dal bagliore che emana la luce all'interno del luogo, eppure risulta essere esattamente bello quasi come tutte le volte che ho avuto la possibilità di vederlo in viso. Se non conoscessi il suo carattere simile al mio – se non peggio – direi che in questo momento sembra essere infinitamente frangibile, indifeso. Perso nel turbine di pensieri nascosti e cupi che solo egli stesso potrebbe esternare. Perché in fondo conosco quello sguardo: uno sguardo che non ammette aiuti esterni, che non ammette alcun tocco di speranza.

Uno sguardo che non vuole e non desidera presidio, tranne che solitudine.

Conosco bene l'oscurità che gli occhi raggiungono, nell'istante in cui permetti alla tua testa di aprire quella porta chiusa a chiave. Una porta che ti garantisce l'accesso ad un mondo che non vuoi aprire, e tu lotti con le unghie e con i denti affinché questo non avvenga ma poi non ce la fai.

Quando il tutto è fin troppo anche per te, alla fine, cedi e non puoi far altro che farti risucchiare da quei momenti.

La sigaretta che tengo tra l'indice e il medio si è quasi del tutto consumata, non a causa delle mie labbra e delle mie azioni, bensì dall'aria gelida che si abbatte su tutto quello che incontra. Rimane lì a corrodersi da sola, come Trevor.

Quest'ultimo aspira dal filtro la nicotina ed espira subito dopo, non prima di aver inalato una lunga e profonda scia di fumo. Rimango bloccata nella mia posizione, a fissare il suo pomo d'Adamo che compie movimenti dettati dai suoi gesti istantanei, a guardare come le sue narici si dilatano provocando la fuoriuscita del fumo e le sue labbra che si dischiudono, garantendo la minima possibilità di respirare.

I miei denti affossano sul mio labbro inferiore, non badando minimamente alla forza che ci metto e al fatto che possa provocare un taglio.

« La tua è proprio un'ossessione»

La sua voce è roca, profonda ma tranquilla. Sobbalzo sul posto e continuo a guardarlo; non sembra essere davvero arrabbiato del fatto che mi abbia beccata con le mani nel sacco a fissarlo  come se non ci fosse un domani. D'altro canto, non mi stupisco più di tanto delle sue parole: è fin troppo attento ai dettagli, così simile a me da non incutermi alcuna paura.

Ed è per questo che vengo fuori dal mio nascondiglio del tutto improvvisato avanzando verso la sua figura, del tutto indifferente alla mia presenza.

« Ossessione?» ripeto, confusa.

« Non dovresti essere qui» evita la mia domanda.

« Nemmeno tu e non hai risposto alla mia domanda» osservo piccata.

Continua a portare, tranquillamente, la sigaretta alle labbra e con disinteresse guarda davanti a sé. Non so come si è accorto della mia presenza, sono sicura di non aver mosso un passo eppure anche senza girare il viso è riuscito non solo a capire che qualcuno lo stesse osservando ma anche chi.

« Sei troppo curiosa, metti il naso in questioni che non ti riguardano» spiega subito dopo.

Capisco immediatamente l'antifona e, come sempre ho fatto, metto su la solita maschera di apatia.

« Non capisco di cosa tu stia parlando» rispondo tranquillamente.

Sbircio nella sua direzione notando un sorriso che gli increspa le labbra. È palese che non mi abbia creduta.

« Origliare le conversazioni altrui, ti dice qualcosa?» chiede ironico, beffeggiandomi quasi, utilizzando quel tono che tanto mi irrita.

Indurisco lo sguardo, aspiro un ultimo tiro e, infine, getto la cicca ai miei piedi. Non posso mentire, sarebbe infantile farlo quando so già che mi ha vista. Perché è così, lui sapeva già ma non ha detto nulla.

« Hai paura che possa aver scoperto qualcosa di troppo scomodo?» ribatto senza alcuna paura della sua risposta.

Per la prima volta, dopo alcuni minuti, mi guarda. Il suo viso è serio, la sua mascella è indurita ed i suoi occhi sono scuri, avvolti da un alone di mistero. Sono impenetrabili.

Mi fissa senza battere ciglio, l'intensità del suo sguardo è così forte e magnetico da non riuscire a distoglierlo. Forse ho esagerato, sto ficcando il naso in qualcosa di troppo grande per me ma al momento non mi importa.

Alzo il mento come a sfidarlo, come a volergli dire che non sono come tutti gli altri, che non abbasserò gli occhi per paura e per sottomissione. Non sono così.

Prende un respiro profondo e, come se non lo abbia appena provocato con la mia domanda alquanto pungente, cede. Ritorna a fissare il cielo scuro consapevole dei miei occhi ancora proiettati sulla sua figura. Mi aspettavo una sua sfuriata, un Trevor che perdesse il controllo o semplicemente una delle sue frasi taglienti ma non è stato così.

« Ho centrato in pieno, non è così?»
Avanzo verso di lui incrociando le braccia al petto, aspettando una risposta che non arriva. Il suo mutismo mi infastidisce, il fatto che eviti le mie domande mi irrita e la consapevolezza che non consideri minimamente le mie parole, cresce come una fiamma dentro di me.

« Se avessi scoperto qualcosa di davvero scomodo, non saresti qui stasera» dice con voce piatta e neutrale.

Si stacca dalla parete e, diversamente dalle altre volte, aspira la sigaretta quasi con forza. La getta ai suoi piedi, definitivamente consumata, e si avvicina a me guardandomi dall'alto. Probabilmente si aspetta che abbassi lo sguardo come un cagnolino ammaestrato ma non lo faccio, anzi incastro perfettamente i miei occhi duri e seri nei suoi illeggibili ma freddi come il ghiaccio.

Un brivido di freddo attraversa il mio corpo ma non bado molto alla temperatura nettamente calata negli ultimi due giorni. Il freddo è l'ultimo dei miei pensieri.

« Allora qualcosa c'è» lo incalzo, convinta di ciò che sto dicendo.

Ho deciso di intraprendere questo percorso e non ho intenzione di tornare indietro. È vero, posso ancora farlo, ma non voglio.

I suoi occhi mi intimano, quasi mi ordinano, di stare buona, di comportarmi come gli altri simili che pensano a tutto fuorché a questo eppure non mi spaventa.

Sorride, ma non è un sorriso che coinvolge gli occhi verdi bensì un sorriso gelido, amaro. Che potrebbe gelarti senza che tu te ne renda conto.

« Non provare mai più a immischiarti in questioni che non ti riguardano. Stai al tuo posto, Nelson, sei una semplice recluta, qualcuno di poco conto che con qualche cazzata potrei mandare via. Non farmi fare questo passo, so bene che non lo vuoi»

Il sorriso si spegne all'istante quando pronuncia queste parole, sono veleno tra le sue labbra. La sua minaccia è palese, stavolta non è un avvertimento di poco conto ma nonostante tutto continuo a non sottomettermi alla sua pretesa. Evidentemente ha un potere grande su Marxwell o qualcosa del genere se afferma che potrebbe farlo e l'idea, che c'è qualcosa di molto più importante sotto, si fa strada sempre in modo più prepotente dentro di me.

Gli angoli della mia bocca si sollevano in un sorriso falso; non può dichiararmi guerra solo per un niente, perché per quanto possa essere un mio superiore, io non mi tirerò indietro. Non l'ho mai fatto e non intenderò farlo proprio adesso.

Ha gettato il guantone di sfida ed io lo prenderò senza pensarci due volte.

« Credi che questa minaccia possa farmi paura?» chiedo, scuotendo il capo l'attimo dopo. Le sue gemme mi fissano senza assumere nessuna sfaccettatura, impassibili.
« Io non ho paura di niente e di nessuno»

« Dovresti, il fatto che sappia come giocare bene le mie carte potrebbe costarti caro»

Il ciuffo scuro si posiziona sul suo viso coprendo il suo occhio destro, la brezza inizia ad essere sempre più forte e gelida ma a nessuno dei due sembra importare.

Troppo presi a scavalcarci l'un l'altro.

« Io so che c'è qualcosa sotto» cantileno prepotente. Senza alcun sorriso ad incresparmi le labbra.

So che la mia affermazione lo ha inferocito ma è bravo a non far vedere le sue emozioni. Si allontana dalla mia figura e solo adesso mi rendo conto della poca distanza a cui si trovavano i nostri visi.

« Stai al tuo posto, questo è un ultimo avvertimento, Arabella» mi avverte, dandomi le spalle.

I miei piedi rimangono fermi nello stesso punto di prima, non avendo la benché minima giustificazione per seguirlo ed urlargli contro. Le mie braccia cadono lungo i miei fianchi e le mie mani si chiudono in due pugni, un gesto istintivo dettato dalla frustrazione. Smuovere Trevor è come smuovere un muro alto venti metri: impossibileirraggiungibile.

Con consapevolezza e soprattutto con una bile interiore, – che si impadronisce di ogni nervo e muscolo –, mi costringo ad entrare dentro, sicura che da lui non otterrò mai nulla.

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Capitolo 9
*** Capitolo Otto ***


Le settimane passano velocemente tra addestramenti fisici ma anche logici. Molti pensano, in quanto accademia militare, che gli allenamenti siano solo ed esclusivamente di tipo corporeo e che quindi comprendono unicamente combattimento corpo a corpo, percorsi ad ostacoli ed esercitazione al poligono. In realtà c'è tutt'altro dietro, non ci stanno solo queste cose. Per il combattimento, ad esempio, bisogna studiare le mosse dell'avversario, pensare alla passo che scatenerà la contesa e riflettere su quale movimento adoperare per stenderlo al tappeto. La stessa cosa vale per il percorso ad ostacoli: il quale necessità di agilità, di velocità ma anche di ingegno, in quanto ognuno di noi deve essere in grado di superare e prevalere sull'altro. Oppure al poligono, che sembra solo esercizio di tecnica e manualità ma in realtà nasconde, dietro a due mani che impugnano una pistola, dell'altro. Come ad esempio rigidità mentale, sistema esclusivamente direzionato al solo intento di colpire il centro ed infine astuzia. Non per niente, prima di far parte dell'esercito, dobbiamo superare dei test di logica che in modo generale permettono di percepire le tue abilità e capacità. Ci sono donne e uomini che hanno competenze fuori dal comune e dimestichezza su ambiti che molti si sognerebbero anche di poter toccare: tecnici informatici, esperti cecchini, qualificati nel disinnescare ordigni o geni nello spionaggio.

Bravure di ogni genere che comprendono: gente all'apparenza non qualificata – mingherlini ad esempio – per questo genere di cose ma che poi si rivelano geni incompresi, o semplicemente donne appariscenti oppure uomini con diversi interessi che nascondono doti che solo pochi possiedono.

Lo studio proficuo consiste anche in queste cose e tutti i giorni, da quella insigne riunione, siamo obbligati a sapere almeno le nozioni base della logistica. Non che mi lamenti, solo che non riesco ancora a capire il motivo per cui, oltre all'addestramento corporeo, bisogna anche conoscere alcune tecniche a noi vietate fino a poco tempo prima.

Lily è propensa anche a queste mansioni, consapevole delle mie perplessità che poi non sono così tanto lontane dalle sue. Per quanto possano piacerle questi nuovi elementi aggiuntivi, non nasconde il dubbio che possa esserci qualcosa sotto.

Qualcosa, che ogni giorno e che sempre di più, inizia ad insospettirci. E non parlo solo ed esclusivamente di me e Lily ma anche di altre reclute che, da qualche giorno a questa parte, osservano con un occhio di riguardo gli uomini chiamati da Marxwell.

Il mistero che li avvolge è talmente palese che gli occhi dapprima coperti da strati di carta, adesso, sono più che scoperti.

Sono convinta che non si pongano problemi a camminare tra i corridoi come se nulla e nessuno li stia fissando. Ciò continuo a constatarlo dalla loro entrata silenziosa, ma anche rumorosa, in mensa.

Lily raddrizza la sua postura fingendo di mangiare l'insalata ed il purè di patate in beata tranquillità. Tende però le orecchie quando i cinque superano il nostro tavolo per sedersi proprio dietro di noi. L'unico posto libero ormai etichettato come il tavolo dei cinque.

Con indifferenza continuo a gustare il mio pranzo, fingendo che tutto questo mi stia piacendo, quando in realtà vorrei tanto alzarmi e gettarlo in faccia alla cuoca dietro al bancone. Lancio brevi occhiate alla bionda ma sembra troppo concentrata a qualsiasi suono o rumore emesso dai ragazzi per rendersene conto. Così tocco la sua gamba con la mia scarpa per richiamare la sua attenzione.

« Sei ancora arrabbiata?» le domando per l'ennesima volta.

Alza gli occhi dal suo piatto e, dopo avermi guardata per qualche secondo, sbuffa.

« Non più, solo che non capisco come facciano ad essere così rigidi ad ogni mossa che qualcuno compie»

Dopo quella festa a cui abbiamo preso parte entrambe, Lily è tornata in camera con un cipiglio grande quanto l'intero campo marrone che circonda l'intera struttura, continuando a chiedersi per quale assurdo motivo il famoso Drew non abbia ceduto al suo fascino. In effetti, anch'io mi sono posta questo quesito; ricordo bene le diverse occhiate che sin dall'inizio le lanciava e lo sguardo che mise su quando si accorse della sua partecipazione alla festa.

Eppure, oltre ad un breve dialogo durato all'incirca cinque minuti, non c'è stato nulla. Era apatico, freddo e, detto da lei, anche fin troppo concentrato su qualcosa.

Che abbia partecipato per un motivo specifico è evidente ormai, e questo è servito a mettere in moto il cervello di Lily che da quella notte – in particolare – ha iniziato a supporre differenti scenari sul motivo che li ha spinti a venire qui.

« Ho la sensazione che ci stiano osservando per qualche strana ragione» aggiunge pensierosa.

Infilzo l'insalata dal mio piatto e corrugo la fronte. « Che sarebbe?»

Espone il viso in avanti chiedendo in tacito silenzio che lo faccia anch'io, forse per non farsi sentire dai protagonisti dei nostri pensieri. « Ti sei accorta che ad ogni tipo di allenamento loro sono sempre presenti? Oppure, probabilmente è una mia impressione, ma sembrano quasi selezionare alcuni di noi solo con un solo sguardo»

Dal modo in cui confessa queste parole capisco che non sia solo un pensiero dettato dal momento, bensì dubbi che frullano nella sua testa da un bel po'. Il punto è che non è solo una sua impressione ma è anche qualcosa di cui mi sono accorta anch'io personalmente già da un bel pezzo.

Ritorna alla sua posizione iniziale e riprende a mangiare, non staccandomi gli occhi di dosso.

« Non è solo una tua impressione» ammetto.

Si acciglia. « In che senso?»

Sospiro controllando che nessuno stia guardando nella nostra direzione, o meglio, che nessuno stia ascoltando.

« Nel senso che anche io in queste settimane mi sono sentita osservata»

Prende un respiro profondo. « Non capisco... a che pro? Marxwell ha detto che loro ci avrebbero potenziati ma come? Con gli occhi? Fissandoci in quel modo a dir poco inquietante?»

Mi scappa una risata spontanea. « Inquietante?» ripeto.

Alza le sopracciglia. « Be' si, non è di certo normale il loro comportamento»

Non è tanto normale che non cambino mimica facciale, – che per l'esattezza è una maschera di serietà altamente allarmante –, o semplicemente interagiscano quando potrebbero farlo, come in questo momento.

L'occhio cade sull'orologio al polso e sospiro. « Dobbiamo andare, la pausa è finita»

Entrambe ci alziamo dai nostri posti. Distrattamente aggiriamo il tavolo fatto a posta per due persone, e lanciando un ultima occhiata alla mensa piena di gente ci incamminiamo verso l'uscita.

Non prima di aver notato, con la coda dell'occhio, le iridi dei cinque ragazzi puntate su entrambe.

                                •••

« Il combattimento corpo a corpo è un'abilità che, nella maggior parte dei casi, si trasforma in un bene vitale »

Il caporale si muove tranquillamente calpestando le erbacce ed il terriccio cocente, continuamente colpito dai raggi solari dannatamente caldi. Il nostro abbigliamento consiste in una canotta bianca e la divisa sottostante, fastidiosamente pesante e a tratti pungente, a causa del tipo di tessuto con cui l'hanno realizzata, che non ci permette di muoverci nel modo migliore possibile e che assorbe eccessivamente il calore rendendo difficili i nostri movimenti. L'uomo compie gli stessi passi da circa qualche minuto e si ferma solo quando deve chiedere qualcosa in generale. È un'abitudine che si ripete ogni volta, al fine di richiedere la nostra totale attenzione oppure per spiegare o chiarire alcuni concetti fondamentali. In questo caso il suo obiettivo è quello di precisare le funzioni del combattimento a mani nude.

« E adesso vi chiedo... In quali casi si richiede l'utilizzo del vostro corpo?»

La sua domanda è semplice, diretta, al solo scopo di integrare tutti noi e di fare capire quando e come impiegare l'arma che noi stessi formiamo.

« Quando in guerra siamo in assenza di armi da fuoco, signore» risponde una voce alle mie spalle.

« Oppure?»

Non è del tutto soddisfatto della sua risposta, aggiungerei incompleta, così sorrido quando Lily si permette di parlare completando la frase, da qualcuno già iniziata.

« Si richiede l'utilizzo del nostro corpo quando in guerra siamo in assenza di armi da fuoco. Le cause possono essere la rottura o dispersione delle armi durante il conflitto. Oppure, quando le forze nemiche vengono a scontrarsi in campi ristretti in cui le armi da fuoco e le granate non sono utilizzabili, signore»

Il caporale annuisce soddisfatto della sua risposta, adesso, completa. « Perfetto. Palmer», con un cenno del capo, poi, indica il perimetro da occupare. « Dividetevi in coppie, voglio vedere se in queste settimane siete migliorati» istruisce.

« Si, signore!» ripetiamo in coro.

Ci spostiamo in quel quadrato indicato e, sistemandoci in coppie, attendiamo il segnale d'inizio. Lily sembra pensierosa, a differenza delle altre volte che non aspetta altro che cominciare. Si posiziona proprio di fronte alla mia figura e nel frattempo lancia parecchie occhiate alle coppie, – come se stia cercando qualcuno in particolare –, tant'è che appena trova quello che sta cercando si irrigidisce.

Seguo la traiettoria dei suoi occhi e quando le mie iridi si soffermano su tre ragazzi in particolare, capisco.

« Ricordate: la miglior difesa è l'attacco. Chi ti aggredisce non si aspetterà mai che ad un suo attacco tu risponda subito con un tuo. Non arretrate se non siete costretti, e semmai doveste compiere questo passo, cercate di guadagnare quanto più terreno possibile colpendolo sempre. Non lasciate mai tregua all'avversario» le parole rimbombano nella mia testa subito dopo che il colonnello le recita.

Osservo distrattamente l'uomo che continua imperterrito a dare indicazioni ma la mia testa è da tutt'altra parte. L'accortezza di Lily non ha fatto altro che aumentare le mie perplessità ed i miei dubbi che, giorno per giorno, si stanno trasformando in veri e propri dilemmi. I tre avanzano tranquillamente verso il caporale e si fermano solamente quando sono sicuri di poter ottenere una visuale perfetta di ognuno di noi. Questa mia convinzione è dettata dalla loro posizione a triangolo che permette, ad ognuno di loro, di visionare gran parte delle coppie collocate l'una di fronte all'altra.

Celine e Harley sembrano aver notato questa strana combinazione. Infatti, si guardano attorno come a volersi accertare se siano le uniche due ad essersi accorte di questa stranezza.

I nostri occhi incontrano i loro immersi in un mare di quesiti. Domande che non trovano risposta. Le due alla fine distolgono lo sguardo e continuano a fare ciò che stavano facendo prima.

« Secondo te sanno qualcosa?» sussurra la bionda.

« Hanno intuito che qualcosa qui dentro non quadra» ribatto.

« Possiamo fidarci di entrambe, sono le uniche che hanno del sale in zucca» afferma.

Alzo un sopracciglio scettica. « Ti fidi troppo facilmente delle persone»

La sua espressione si indurisce. « O forse sei tu che non vuoi fidarti di nessuno a prescindere» risponde, invitandomi ad ascoltarla una volta tanto. « Potrebbero aiutarci, Ara. Harley è molto brava a cercare informazioni dai database e Celine è qui per approfondire le abilità nello spionaggio. Le conosciamo da un bel pezzo e abbiamo constatato che non sono come tutti gli altri con la puzza sotto il naso»

Prendo un respiro profondo, non staccando gli occhi di dosso dalle due ragazze momentaneamente concentrate a fare altro. « Ne riparliamo in camera»

Ruota gli occhi al cielo. « Non cercare di sviare l'argomento. Non possiamo far tutto da sole e lo sai bene»

La guardo irritata dalla sua insistenza. « Si che possiamo, meno ne sanno e meglio è. Non tutti pensano che possa esserci qualcosa sotto. Probabilmente abbiamo pure frainteso le loro occhiate» asserisco, anche se non del tutto convinta.

Sapevo che metterla al corrente dei miei dubbi sarebbe stata una mossa sbagliata. Lily pensa che più persone potrebbero chiarire tutto ma in realtà non è così. Non possiamo riporre fiducia in gente che potrebbe aver altri scopi.

Prende un respiro profondo. So che al momento vorrebbe urlarmi contro e ciò lo testimonia il fatto che abbia deviato volutamente lo sguardo, stringendo di riflesso le mani in due pugni. « Senti», torna a guardarmi nuovamente. « potresti aver ragione sul fatto che non possiamo fidarci di nessuno ma potresti anche sbagliarti. Sai bene che da sole non possiamo farcela, qualche aiuto non guasterà. Prova a fidarti di me. Non pensare sempre di poter risolvere tutto da sola»

I miei occhi vagano senza una meta ben precisa e nel frattempo considero le sue parole che fondamentalmente un senso ce l'hanno. Valuto i pro e i contro di questa scelta, osservo Harley che, con un cipiglio in viso, studia tutti i movimenti di Celine e poi le mie iridi si incentrano su quest'ultima che si difende dagli attacchi dell'avversaria con maestria e perizia. Entrambe sono molto sveglie, ho avuto modo di conoscerle grazie a Lily ovviamente e sono, forse, le uniche che si distanziano dal modo superficiale di pensare dagli altri.

« Dopo l'allenamento, avvisale tu. Alle dieci, in camera nostra» decreto, alla fine, sotto il suo sguardo che urla sollievo.

Mi costa tanto non seguire sempre ciò che ordina la mia testa, sono sempre abituata a fare quello che intima il mio cervello e non quello che mi ordinano gli altri. Tranne in casi estremi come questo o semplicemente gli ordini militari che, ahimè, non posso non seguire. Ma so che non è colpa mia, che sono stata cresciuta al fine di sapermela cavare da sola e al fine di sapermi controllare senza chiedere aiuto a nessuno al di fuori di me stessa.

« Avete esattamente quindici minuti per mettere al tappeto il vostro avversario, a partire da adesso» il colonnello segna l'inizio del combattimento e con un sorriso sbilenco prendo posizione.

« Ci impiegherò meno di cinque minuti» mi rivolgo alla bionda.

Inarca un sopracciglio. « Facciamo due, Nelson» ribatte, sferrando il primo attacco.

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Capitolo 10
*** Capitolo Nove ***


Il corridoio è avvolto dal silenzio. Gli unici rumori percepibili sono le suole delle nostre scarpe che collidono con il pavimento ed i nostri respiri tranquilli. Il post allenamento è il momento che, molte volte, preferisco di più, per il semplice motivo che tutto qui dentro tace: le voci, i suoni e persino il tuo corpo stesso. Quest'ultimo necessita solo il relax, quel momento in particolare in cui i muscoli sembrano sciogliersi come gelatina al sole e la mente sembra abbandonare la postazione per volare chissà in quale mondo parallelo. In fondo è ciò che accade un po' a tutti; c'è sempre quell'istante della giornata in cui senti proprio il bisogno di lasciare tutto quello che ti lega per fuggire in qualche posto sperduto, eppure quell'istante dura poco, forse fin troppo. Basta quel modico secondo per essere catapultati malamente alla realtà, alla vita che vorresti cambiare o perfezionare ma fondamentalmente non puoi. Che poi pensi, perché non potrei? Cosa mi vieta di farlo? Cosa mi spinge a non fare qualcosa per migliorare o per far entrare quel grammo di cambiamento nella mia vita? La risposta la troviamo in noi stessi, in tutto quello che ci amalgama con le cose terrene o semplicemente con i legami che ognuno di noi instaura con gli individui, ma nella nostra testa soprattutto. Colei che ci intima a fare qualsiasi cosa, che sia muoverci o parlare, oppure ragionare. Principalmente è proprio la nostra testa che decide, che ti dà impulso per compiere ogni azione ma è anche colei che può salvarti o peggio, distruggerti. Credo che la seconda opzione sia quella più gettonata, quella più studiata un po' da tutti noi poiché tendiamo a cadere sempre in quel baratro. Capita quasi sempre di ritrovarci in bilico tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e lo possiamo notare dalle piccole situazioni quotidiane. Sono poche le cose che ci migliorano la giornata, poche ma essenziali, e troppe quelle che la peggiorano. Tendenzialmente siamo noi a decidere, a rialzarci quando si inciampa e/o a sventolare la bandiera della vittoria quando otteniamo finalmente quello che agognamo da tempo.

È tutto un circolo di cose che possono essere controllate ma che non possono cambiare il fine, o per lo meno, non sempre.

In tal caso dipende dalla persona, dalla situazione e sì, anche dalle circostanze che la stra grande maggioranza ci annientano.

La testa si affolla di tanti pensieri, dubbi, problemi e non puoi negarglielo perché è proprio questo il suo compito: sopportare, resistere e andare oltre. Ma poi, quando ti rendi conto che tutto è troppo anche per te alla fine cedi, ti arrendi e provi a sopravvivere. 
Perdurare per non morire.

Lily si pizzica il labbro inferiore guardando distrattamente le sue scarpe. So che il suo cervello sta rimuginando e non posso biasimarla: anche la mia testa sta per deflagrare.

Apro la porta della mia stanza in completo silenzio avanzando verso la finestra socchiusa con l'intento di chiuderla. Di solito Lily tende a lasciarla così per far circolare l'aria e a me sta bene.

Sento il letto cigolare e capisco che si è seduta. Questa sua silenziosità mi infastidisce; solitamente non c'è un secondo in cui non parla.

« Hai avvisato Harley e Celine?» chiedo, sciogliendo lo chignon improvvisato.

Le lunghe ciocche rosse cadono morbidamente sulle mie spalle nude, leggermente arrossate dal calore dell'acqua e coperte solo da una misera canottiera nera. Fortunatamente sono riuscita a farmi una doccia e di conseguenza adesso sono molto più rilassata fisicamente. Inclino la testa prima da un lato e poi dall'altro causando lo scricchiolio delle ossa.

Aggrotto la fronte quando la risposta non arriva e mi volto guardando la bionda sdraiata supina e con le braccia incrociate al petto. La posizione è alquanto bizzarra, specialmente se mi soffermo sul cipiglio profondo sul suo viso.

« Lily» richiedo la sua attenzione e, sbattendo le palpebre, i suoi occhi si soffermano su di me.

« Scusami... dicevi?»

Sospiro, « Ti ho chiesto se hai avvisato le ragazze»

Annuisce. « Certo, verranno tra qualche minuto» conferma ritornando a fissare il soffitto bianco.

Questo è il chiaro segnale di Lily quando vuole troncare una conversazione e, conoscendola, se provassi a continuarla sicuramente nemmeno mi risponderebbe.

D'altronde non è mia intenzione farlo, anzi, approfitto del poco tempo per indossare una felpa e dei leggins, - indumenti che mi garantiscono comodità -, dopo di che indosso le scarpe.

« Vuoi qualcosa da mangiare? Sono quasi le dieci e non abbiamo messo niente sotto i denti» domando lanciando una veloce occhiata all'orologio che segna le nove e cinquantuno minuti.

« Un po'. Un panino mi va bene»

Osservo la sua figura posizionata nel medesimo modo e annuisco, non riuscendo però a trattenere un sorriso.

Avanzo fino alla porta e arresto i miei passi.

« La smetti di stare in questa posizione? Sembri imbalsamata» la prendo in giro.

La sento sbuffare e, quando noto il suo dito medio puntato verso di me, alzo gli occhi al cielo.

« Maturo da parte tua» affermo.

Abbasso la maniglia ed esco dalla camera, non prima di aver sentito la delicatezza delle sue parole.

« Attenta a non inciampare su qualche duro e lungo ostacolo»

Evito di risponderle sopprimendo un grugnito esasperato e chiudendo la porta alle mie spalle mi dirigo velocemente verso le scale.

-

Devo sbrigarmi, le ragazze staranno già per salire in camera nostra e non intendo perdere tempo utile. I corridoi sono vuoti e non capisco se sia diventata ormai un'abitudine il fatto di non beccare più nessuno o è la stanchezza che assale tutti quanti. Considerati i miei muscoli, però, dubito che sia la prima opzione il movente.

Nascondo le mie mani nella tasca della felpa e scendo la seconda rampa di scale che mi porta direttamente in mensa, sicuramente vuota considerata l'ora. L'ora di cena di solito è verso le otto e mezza ma quasi sempre gli allenamenti si allungano più del dovuto e quindi poche persone riescono davvero a rispettare gli orari stabiliti da Marxwell. Sono fortunata se riesco a trovare ancora qualcosa.

Come già immaginavo l'enorme sala è deserta, tranne per la guardia appena uscita dalla porta sul retro ma che non si è minimamente accorta della mia presenza. I tavoli sono del tutto vuoti e le sedie sono capovolte su di essi, segno evidente della pulita al pavimento. Il bancone è ordinatamente sistemato e brilla per com'è stato pulito minuziosamente. Marxwell tiene molto alla pulizia ed è qualcosa che tutti noi apprezziamo e abbiamo imparato. Su di esso sono poggiati vassoi chiusi, atto chiaro che ci garantisce la presenza del cibo commestibile.

Mi avvicino a questi ultimi togliendo il coperchio al primo vassoio ma storco il naso quando vedo della poltiglia che in teoria dovrebbe essere purè, direi di patate. Il colore verde non è proprio simile al pigmento della patata.

« Non te lo consiglio»

Sobbalzo al suono basso e profondo della sua voce e alzo lo sguardo incontrando le sue gemme verdi che mi inchiodano sul posto. I capelli sono arruffati, le sue labbra sono increspate in un sorriso divertito mentre le sue braccia sono incrociate al petto - come sempre d'altronde - delineando la sua muscolatura abbastanza accentuata. Aggrotto la fronte chiedendomi come riesca a far risaltare il suo corpo nonostante indossi una semplice felpa nera ed un pantalone di una tuta del medesimo colore.

Scrollo le spalle indifferente, posando nuovamente gli occhi sul vassoio decisamente disgustoso. Non sopporto la sua presenza e spero che finalmente possa capirlo.

Ripongo il coperchio e alzo l'altro proprio accanto, rimanendo ancora una volta disgustata dalla robaccia che c'è dentro. È possibile che la cuoca non conosca il cibo commestibile?

« Questo è decisamente peggio del primo» commenta la solita voce.

Prendo un respiro profondo e continuo imperterrita ad evitarlo. Di solito funziona così: se si evita una persona, prima o poi andrà via.

Mi comporto allo stesso modo anche con Carter e quasi sempre funziona, tranne per quelle volte che insiste. La mia pazienza, purtroppo, non è tanta e alla fine finisce sempre con me arrabbiata e con la me che urla ai quattro venti. Certo, Lily dice che i miei modi non sono normali e che potrei dire le cose in maniera diversa ma sa bene che la gentilezza non è tra i miei pregi, quindi fondamentalmente non è colpa mia.

O per lo meno, in parte.

Sbuffo spazientita quando non trovo nulla che posso ingerire senza vomitare l'attimo dopo e, aiutandomi con le braccia, mi sollevo affinché possa superare il bancone. I miei piedi toccano il pavimento subito dopo e proprio questi ultimi mi portano alla famosa dispensa che ormai conosco a memoria. Immaginavo già che la cuoca non avesse preparato chissà quale prelibatezza e come ogni volta mi devo arrangiare preparando qualche panino.

« Sai che non puoi farlo?»

Sbuffo digrignando i denti, l'ho già detto che la mia pazienza scarseggia? O che direttamente si annulla facilmente? Ecco, evidentemente Trevor vuole un piccolo assaggio della mia rabbia. Ogni santa volta sembra che voglia tastare i miei limiti.

« Ma senti un po', non hai nulla da fare al momento?» sbotto irritata.

Ho cercato di non rispondergli ma lui rende tutto questo un'impresa.

Guardo lo scaffale che mi si presenta davanti e velocemente afferro quattro panini. Noto con dispiacere che non c'è quasi nulla da poter utilizzare come condimento, se non due barattoli di burro di arachidi e sottaceti.

Una vasta gamma di cose da poter scegliere, in effetti.

Opto per il burro di arachidi - ahimè - e velocemente prendo un coltello.

« Anch'io ho fame» afferma.

Ruoto gli occhi al cielo per il suo modus di deviare l'argomento ed evito di rispondergli nuovamente. Mi occupo di tagliare i panini, sotto il suo sguardo curioso, e minuziosamente immergo il coltello dentro il barattolo sporcandolo di burro di arachidi. Non è una cena da poter definire sana ma quanto meno qualcosa in pancia mi rimarrà.

Spalmo la sostanza sul panino e mordo la lingua concentrandomi nel movimento che sto compiendo.

Con la coda dell'occhio noto che Trevor ha poggiato i gomiti sul bancone, sollevando il suo viso in modo tale da poter seguire meglio tutti i miei movimenti ma cerco di non soffermarmi sui suoi occhi inquisitori e costantemente fissi sulla mia figura. Non capisco se gli piaccia infastidirmi o se sia qualcosa che fa sempre anche con gli altri.

« Potresti evitare di fissarmi? Mi stai infastidendo» affermo non alzando nemmeno gli occhi per guardarlo.

So bene che invece lui stia continuando a farlo e quando lancio un'altra occhiata nella sua direzione noto un sopracciglio inarcato.

« Ti sto infastidendo?» ripete le mie stesse parole e sbuffo.

« Si, mi stai infastidendo, irritando, chiamalo come ti pare» borbotto allungando il braccio per prendere i tovaglioli.

« E dimmi, cosa ti infastidisce di più? La mia voce oppure la mia presenza?» chiede inclinando il suo viso e con uno sguardo di finto interesse e curiosità.

« Tutto di te mi infastidisce rende l'idea?» sollevo gli angoli della mia bocca in un sorriso falso provocando una sua risata.

Il coltello rimane sospeso in aria quando rispondo alla sua pseudo domanda e, quando sto per preparare l'ultimo panino, ecco che la sua mano ruba l'oggetto sporco di burro.

« Ma che... dammelo immediatamente!» esclamo sdraiandomi sul bancone in modo da afferrarlo.

Odio queste cose, odio rendermi ridicola davanti ad un essere del genere ed odio, soprattutto, il suo sorriso con tanto di fossette che si amplia ancora di più dopo i miei sbuffi.

« Sai che sei divertente?» mi beffeggia portandomi all'esasperazione.

Esce la lingua leccando prima un lato del coltello e poi l'altro e mi blocco immediatamente. I suoi occhi inchiodano i miei ed un luccichio malizioso attraversa le sue iridi. Il movimento della sua lingua è fiacco, sensuale, come se questa lentezza sfiancante possa in un certo verso abbindolarmi.

Le sue labbra rosee, gonfie e umide strisciano sulla lama in modo dannatamente ipnotizzante, accompagnate dalla sua lingua rossa come il peccato, rendendomi quasi inerme di fronte a ciò che la mia vista sta subendo. Sa di essere bello, sa quanto può risultare affascinante o addirittura sexy agli occhi delle donne e, sicuramente, sa benissimo come sfruttare al meglio le sue risorse e, in questo caso, la sua bocca.

Però, per quanto possa essere suggestivo il gioco che sta facendo, non ha ancora capito che non sono come le altre; Che non basta un bel faccino, un bel fisico ed il saper usufruire dei suoi pregi per farmi cadere ai suoi piedi.

Sempre se questo sia davvero il suo intento, perché se davvero lo fosse... be', allora ha proprio insultato la sua intelligenza pesantemente.

Tuttavia fingo che tutto questo mi piaccia, che mi stia raggirando e, sotto il suo sguardo quasi vittorioso, avvicino il mio viso al suo, ritrovandomi ad una spanna dal suo naso e dalle sue labbra. Fisso queste ultime bluffando di bramarle, di volerle fortemente appiccicate sulle mie... e lui sembra crederci, sembra davvero compiaciuto della mia reazione.

Il coltello viene poggiato lentamente sul bancone e la sua mano entra a contatto con la distesa d'acciaio sottostante, fondendo la temperatura del suo corpo ed il gelo di quest'ultimo.

Socchiudo le mie labbra alla ricerca della poca aria che mi serve per respirare e le sue gemme spostano la loro attenzione sulla mia bocca, rossa come il sangue e come i miei capelli che seguono il loro corso circondando il mio viso.

Curioso, bramoso.

Chiudo gli occhi avvicinando ancora di più il mio volto al suo e di conseguenza lo stesso fa lui, causando un sorriso che si forma immediato sulla mia faccia.

Il mio respiro, infine, si infrange da tutt'altra parte. Mi sollevo aiutandomi con i palmi delle mie mani e accosto la mia bocca all'orecchio. « Ti piacerebbe vedermi cadere ai tuoi piedi, Claflin, ma lascia che ti dia un piccolo consiglio: stai alla larga da me e guarda oltre, non otterrai mai nulla dalla sottoscritta se non un misero saluto di costrizione» sussurro sensuale, ridacchiando silenziosamente.

Scosto di poco il mio viso ritornando a guardare i suoi occhi, - adesso aperti e del tutto infuocati -, e inclino il capo. « Buonanotte, sergente» aggiungo subito dopo non attendendo una sua risposta.

Salto giù dal bancone portandomi dietro i panini e, essendo già a conoscenza delle sue iridi fisse sulla mia figura, volto le spalle uscendo dalla mensa in silenzio, così come sono entrata qualche minuto prima.

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Capitolo 11
*** Capitolo Dieci ***


Un leggero bussare alla porta costringe sia me che Lily a terminare velocemente la cena. Immagino già chi possa esserci dietro lo strato in legno che suddivide una stanza dall'altra. Quando avanzo tranquillamente verso l'apertura, infatti, ecco che le mie supposizioni mi si materializzano proprio davanti.

Harley e Celine mi guardano con un pizzico di timore, mascherato da una facciata di sorrisi tirati e all'apparenza sinceri. Il mio sguardo è impassibile, apatico e quando faccio due passi indietro per permettere l'accesso ad entrambe, mi accorgo immediatamente di come abbassano i loro occhi evitando un contatto visivo. Mormorano un flebile 'ciao' e sgusciano via rintanandosi in quell'angolo ritagliato da Lily.

« Ciao ragazze, venite pure!» le incita proprio quest'ultima.

Ruoto gli occhi al cielo per il modo in cui le accoglie, fastidiosamente gentile e cordiale. Caratteristiche che non mi rispecchiano per niente.

Entrambe sembrano titubanti all'inizio ma poi si avvicinano a passi cauti guardandosi intorno. Sorridono verso la figura comodamente seduta sul letto e la imitano, lanciando poi una breve occhiata verso la mia figura ancora ferma sull'uscio della porta.

« Avete già cenato?» chiede Lily soffermandosi sulla riccia che annuisce.

« Sì sì, siamo andate in mensa subito dopo l'allenamento» risponde lanciando un'altra occhiata nella mia direzione.

Stavolta reagisco d'impulso guardandola in cagnesco. È la terza volta che la becco a scrutarmi come se da un momento all'altro la possa mangiare e mi irrita.

« La smetti di fissarmi? Non ti mangio mica» sbotto, allontanandomi dall'ingresso.

Celine sobbalza al mio tono di voce che si è alzato di qualche ottava e scuote il capo mortificata. « N-no io... scusami»

Lily mi ammonisce con gli occhi e ruoto i miei distendendomi sul mio letto.

« Scusatela, è solo un tantino scontrosa con il prossimo», sorride provocandomi con le sue solite frecciatine. « ma torniamo al motivo per cui vi ho chiamate» aggiunge subito dopo assumendo una posizione dritta.

Tendo le orecchie ed elimino istantaneamente il suo commento poco carino nei miei confronti. Quest'ultima frase è decisamente più interessante della prima cosa che ha detto.

« Di cosa dobbiamo parlare?» chiede Harley curiosa, non sembra più degnarmi e questo mi sta bene.

Lily sospira, gettando un'occhiata nella mia direzione. « In realtà è più una curiosità che altro...»

Aggrotto la fronte non riuscendo a seguirla. È ovvio che la nostra non sia più una curiosità, va ben oltre un banale interesse ma decido di non obiettare e ascoltare tutto quello che la sua testa, al momento, sta elaborando.

« Spiegati meglio» intima Celine, alzando un sopracciglio.

« Conoscete i cinque?» chiede, come se parlare di loro sia un segreto di stato.

Le due si lanciano delle occhiate furtive e poi annuiscono ritmicamente. « Si, cioè, in mensa li vediamo spesso appartati e molto silenziosi. Non passano di certo inosservati»

« O magari li vediamo spesso tra i corridoi ma oltre questo, nulla. Personalmente non ho mai avuto il coraggio di parlare con uno di loro. Mi inquietano» commenta Harley rabbrividendo subito dopo alle parole della sua amica.

La bionda sembra incuriosita dalle loro risposte. « E non so... vi siete accorte di qualcosa di apparentemente strano? O magari...», sembra cercare le parole giuste guardando ovunque tranne che gli occhi delle ragazze. « Avete sentito qualche voce di corridoio un po' bizzarra?»

Celine corruga le sopracciglia. « Oltre al fatto che ci seguono assiduamente ad ogni addestramento... no, non credo. Sono tipi abbastanza misteriosi ma suppongo che sia questo il loro lavoro»

« Anche se...» Harley sembra distratta quando prende parola.

Mi alzo sui gomiti pendendo quasi dalle sue labbra. Cosa sta cercando di dire?

« Anche se?» la incita la mia amica.

« Una settimana fa, circa, stavo andando a farmi una doccia e passando per i corridoi ho origliato una conversazione. Ovviamente non volevo, mi sono trovata lì per cas-...»

« Arriva dritta al punto» sbotto, bloccando il suo monologo che non interessava a nessuno.

L'ennesima occhiataccia brucia sul mio viso e sono sicura che gli occhi che mi stanno perforando siano proprio quelli della mia amica.

Sbatte le palpebre. « Si scusa, dicevo... ho origliato una conversazione tra quel ragazzo, non so se sia il leader del gruppo o qualcosa del genere, ed il colonnello Marxwell. L'aria cupa, quasi da dominatore, che persisteva sul suo viso mi ha indotto a supporre che potesse essere lui il capo dei cinque che camminano sempre insieme» afferma pensierosa.

« Sapresti descriverlo?» chiede Lily.

« Ha gli occhi verdi ed i capelli scuri, è il più alto tra tutti e quello più misterioso assieme al ragazzo dalla pelle olivastra» spiega dandomi l'assoluta certezza di chi sta descrivendo.

Guardo Lily trovandola già intenta a fissarmi. Ha ben capito anche lei chi sia il famoso ragazzo che ha beccato in corridoio.

« E sei riuscita a capire cosa si dicevano?»

Morde il labbro inferiore e distoglie lo sguardo fissando un punto a me sconosciuto. Probabilmente sta cercando di ricordare.

« Non sono riuscita a capire molto... parlavano di scelte, di potenzialità. Non ho capito bene cosa intendevano ma il colonnello aveva in mano un foglio, sembrava un elenco ma non sono riuscita a capire di cosa» dice alternando gli occhi sulla mia figura e su Lily.

« Un elenco? » ripeto, pensierosa.

« Si... ma sinceramente non so che tipo di elenco. Non sono riuscita a capire la maggior parte delle cose che si dicevano e poi non ho origliato molto, una frazione di secondo e poi sono scomparsi dietro l'angolo... Ma perché queste domande?» chiede leggermente confusa e curiosa.

Celine fissa tutte noi con la stessa espressione dell'amica e poggiando la testa sul cuscino, lascio le redini del discorso a Lily.

Quest'ultima si lascia scappare una risata, apparentemente normale, ma la conosco così bene da sapere che questa sua risata è causata dal nervosismo momentaneo e dal temporeggiare per cercare qualche assurda risposta.

Ovviamente ho ragione io: le ragazze non sanno completamente nulla. Evidentemente abbiamo scambiato le loro occhiate trasognate in occhiate inquisitorie che, da un bel paio di giorni, non possiamo fare a meno di lanciare. Nonostante Lily si ostini a ribadire che entrambe sappiano qualcosa, io invece sono rimasta nella mia convinzione sin dall'inizio. Di fatti, la delusione non si è impadronita di me, a differenza della bionda che ha abbassato lo sguardo incassando il colpo.

« Ve l'ho già detto, è una semplice curiosità...», ripete nuovamente rialzando lo sguardo e puntando i suoi occhi scuri su entrambe. « Sono un po' strani e questo mi ha incuriosita, inoltre pensavo che voi aveste fatto conoscenza con qualcuno di loro» sorride cambiando argomento.

Celine ridacchia. « Magari! Sono tutti così belli! Soprattutto il ragazzo dagli occhi azzurri... Gesù!» afferma con aria trasognata.

« Il ragazzo dagli occhi verdi invece...»

La mia testa scatta immediata verso Harley che, sorridendo come un ebete, descrive minuziosamente Trevor. Parla del suo viso, dei suoi occhi, delle sue labbra e del suo fisico scultoreo affermando che se solo provasse a sedurlo, sicuramente, cadrebbe ai suoi piedi.

Mi scappa una risata che camuffo con una finta tosse; la convinzione, molte volte, fotte la gente. Se pensa che Trevor possa andarle dietro con un semplice sbattimento di ciglia o lo sculettare esageratamente allora si sbaglia di grosso.

« Posso chiederti cosa ci trovi di così divertente?» domanda la ragazza con un cipiglio profondo sul viso. È infastidita, ma maschera questa sua emozione con un'espressione di curiosità.

Scuoto il capo reprimendo un sorriso. « Parli con me?» chiedo indicandomi.

Alza un sopracciglio. « Fino a prova contraria sei tu quella che sta ridendo» ribatte armandosi di coraggio.

Un coraggio apparente, visto e considerato il modo in cui si tortura le mani.

« Oh, allora un po' di coraggio lo possiedi! Pensavo che lo avessi perso durante il tragitto dal bagno a questa stanza» mordo il labbro fingendomi davvero sorpresa.

Prende un respiro profondo passando una ciocca dei suoi capelli dietro l'orecchio ed evita di rispondere.

« Arabella, smettila» mi intima Lily volgendo poi lo sguardo ad Harley. « Scusala di nuovo, la diverte torturare le persone. È abbastanza sadica»

« Addirittura sadica? Non credi che in questi ultimi giorni tu mi stia riempendo di fin troppi complimenti?» alzo un sopracciglio non per niente offesa dal suo commento.

« Oh guarda, ne mancano ancora tanti altri alla lista» ruota gli occhi al cielo provocando una risata generale, tranne la mia ovviamente.

                              •••

« Alzatele queste braccia!», incita il caporale, sollevando duramente il braccio della ragazza che si trova proprio davanti a me. « Coeh, sei già stanca? Esigo impegno!» urla indurendo i lineamenti.

Continuo a svolgere la serie di esercizi richiesti e lancio brevi occhiate a tutti gli altri militari che alzano le braccia agilmente.

« Stop! Piegamenti sulle braccia» ordina.

Eseguo velocemente il comando e inizio a piegare le braccia inspirando ed espirando: è importante che l'aria fluisca all'interno dei nostri polmoni, più contrazioni dei muscoli e più necessità di aria nel nostro corpo.

La mia testa cerca di concentrarsi solo ed esclusivamente sull'esercizio, eclissando momentaneamente i pensieri che continuano a frullare nella mia testa, ma è impossibile farlo. Così senza volerlo la mia mente viaggia verso la sua metà preferita. È da ormai cinque giorni che i ragazzi non si vedono più in giro e ciò mi ha insospettita. Marxwell è sempre più assente, stranamente, quando solitamente sta sempre qui in accademia e raramente mette piede fuori di qui. Tranne in casi eccezionali, ovviamente. Questa scomparsa da parte del colonnello e dei cinque ragazzi mi puzza, come tutto quello che sta succedendo da un bel pezzo.

I miei pensieri però vengono interrotti dalla voce del caporale che, fermandosi proprio al centro del campo, posiziona le mani sui fianchi e osserva ogni viso concentrato e arrossato dagli sforzi.

« Adesso, coloro che devono andare a in piscina si alzino, gli altri invece continuate con i piegamenti» esordisce, ritornando poi a camminare e ad urlare contro coloro che non seguono perfettamente gli esercizi.

Mi alzo da terra insieme ad altri sei ed urliamo un « Sissignore!» dirigendoci poi verso l'ingresso dell'edificio.

Lily mi strizza l'occhio facendo poi un cenno col capo in direzione dei cinque ragazzi con cui devo allenarmi. Li perfora letteralmente, causando l'ennesimo sbuffo spazientito da parte mia.

« Ehi, io sono Jessy»

Una ragazza di media statura sorride cordialmente tendendo la mano, si pianta davanti la mia figura e attende una mia reazione che non arriva subito. Inarco un sopracciglio scrutandola dall'alto verso il basso – cercando di ricordare se sia un volto conosciuto o meno – ma stranamente non ricordo di averla mai vista qui, non è un viso conosciuto.

« Arabella» rispondo, diretta e concisa. Non afferro la sua mano e lei, notando questo mio gesto, abbassa il braccio nervosamente.

« Lo so... ti conosco, cioè sei molto famosa qui... Cioè, n-nel senso che...» gioca con la sua coda in modo totalmente nervoso distogliendo lo sguardo.

Accenno un sorriso e attendo che finisca di parlare. Mi diverte il fatto che riesca ad intimidire la stragrande maggioranza delle ragazze.

« Volevo dire che molti parlano di te» aggiunge alla fine trattenendo un respiro.

Rido sonoramente. « Tranquilla, respira, non mordo mica» ribatto.

Accenna un sorriso e sembra rilassarsi visibilmente. « Hai ragione... se non ti dispiace, posso venire con te? Onestamente non mi va di seguire quei ragazzi» dice indicando il resto dei ragazzi che dovranno allenarsi con noi.

Prendo un respiro profondo e volto le spalle. Inizio ad incamminarmi verso l'ingresso dell'accademia e sospiro quando sento i passi veloci della ragazza appena conosciuta.

« È un si?» mi urla dietro cercando di stare al passo.

« Sbrigati»

L'addestramento in piscina è quello meno preteso dal colonnello ma non del tutto eliminato dalla lista. Infatti, ogni mese, quest'ultimo si premura di trascrivere i turni affissandoli poi nella bacheca generale. I turni non si scelgono in base ad un sistema in particolare ma in base ad un sorteggio: i sette che vengono estratti devono fare quindici vasche in meno di quaranta minuti, i venti restanti invece devono essere colmati con esercizi semplici che richiedono l'utilizzo delle braccia.

L'enorme sala è caratterizzata da vetrate oscurate, la cui vista si affaccia al campo gremito di militari. Ciò permette di far entrare i fasci di luce ma garantisce la non vista da parte di individui esterni. La piscina si trova proprio al centro della sala, mentre ai lati vi sono strutture che sostengono i giubbotti di salvataggio e i zaini pesanti. Questi ultimi servono per i vari allenamenti che si svolgono, il cui scopo è proprio saper nuotare e cavarsela in acqua appesantendo il corpo.
Infine vi sono tre porte: la prima porta ad un ripostiglio in cui vi sono custoditi gli attrezzi, mentre le altre due portano agli spogliatoi suddivisi ovviamente per sessi.

« È la prima volta per me» esordisce la ragazza. « Per te, invece?»

Lancio un'occhiata nella sua direzione e avanzo verso lo spogliatoio femminile. Le mie cose sono custodite dentro il mio armadietto personale e quindi non ho la necessità di tornare in camera per prendere quello che mi serve.

« Non per me»

Con la coda dell'occhio la vedo annuire e, quando sta per aprire nuovamente bocca, velocizzo il passo ritrovandomi dentro lo spogliatoio.

Prima entro in acqua e meglio è per lei.

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Capitolo 12
*** Capitolo Undici ***


La tuta attillata sagoma perfettamente le curve del mio corpo, si incolla al petto e all'addome come se fosse ricoperta di resina e si appiccica perfettamente alle mie gambe assomigliando sempre di più ad un secondo strato di pelle. È unicamente in tinta nera, tranne per le nervature grigie che delineano i fianchi percorrendo una scia che finisce laddove la cucitura sbarra il percorso. In accademia vi sono diversi indumenti che dobbiamo indossare e tenere con cura e, tali capi, vengono scelti in base al tipo di allenamento o percorso che dobbiamo seguire. In tal caso, l'addestramento in piscina prevede l'uso della tuta – e non del costume come si procede solitamente – il che conferisce non solo una silhouette che disegna perfettamente i muscoli del nostro corpo ma garantisce anche un miglior movimento in acqua.

Lo spogliatoio è vuoto, gli unici rumori percepibili sono i miei passi che si arrestano davanti al mio armadietto e quelli silenziosi di Jessy che, come me, si prepara a dover affrontare il prossimo allenamento. In questi ultimi minuti non ha spiccicato parola, tranne per una docile richiesta su come aprire l'armadietto – considerato che è la prima volta che mette piede qui dentro – e un po' mi ha stupita. Evidentemente ha capito che non mi piace molto il dialogo, ciononostante, mi sono accorta delle occhiate curiose e a tratti pungenti in questi ultimi minuti. Ho finto di non accorgermene sia per non risultare scorbutica, per l'ennesima volta, e sia perché, stranamente, non mi infastidisce. E dico stranamente perché ogni essere umano mi irrita oltre i limiti dell'immaginazione.

Controllo che ci sia un asciugamano pulito ed il cambio per dopo e chiudo in un tonfo il quadrante in ferro quando sono sicura, ovviamente, di possedere tutto il necessario per l'ora successiva.

Jessy intreccia i suoi capelli in due trecce mentre io mi limito a sollevarli in una coda alta, il tutto compiuto in silenzio. La ragazza mi osserva servendosi dei suoi occhi azzurri cielo e non abbassa lo sguardo nemmeno quando si accorge che l'ho praticamente colta nel fatto. A differenza di pochi minuti prima sembra meno intimorita da me. Ricambio lo sguardo curiosa nonostante abbia messo su la solita espressione neutra e inespressiva.

« Posso farti una domanda?» chiede qualche secondo dopo, un po' titubante.

Inarco un sopracciglio. « Dipende»

Blocca la sua treccia con un elastico e continua a guardarmi. « Da cosa?»

Sospiro profondamente. « Mi riguarda personalmente? »

Morde il suo labbro inferiore e intuisco che probabilmente ho azzeccato. « Tipo...» mormora scrollando le spalle.

Annuisco. « Prego, allora»

Gioca con le trecce appena concluse e mi ritrovo a paragonarla ad una bambina. È minuta fisicamente, tant'è che la tuta snellisce quelle poche forme che si ritrova ma in fondo è molto carina. Il suo viso è piccolo e i tratti sono angelici, quasi infantili. Mi chiedo per quale motivo sia qui se fondamentalmente non rispecchia i canoni imposti.

« Hai da sempre voluto fare il militare? Oppure ci sono ragioni personali che ti hanno spinta a prendere questa scelta?» chiede con estrema serietà.

Mi prendo del tempo necessario per risponderle e abbasso lo sguardo cercando di formulare una risposta che può soddisfarla. È una bella domanda questa, forse tanto personale ma in senso diverso. Mai nessuno mi ha chiesto il motivo per cui abbia deciso di intraprendere questo percorso, tralasciando Lily che mi conosce da tutta la vita. Tutti quelli che sono nella mia stessa situazione, non si sono mai chiesti il motivo per cui abbia deciso di schierarmi e abbandonare tutto, ma questa ragazza lo ha fatto: o per determinati motivi o per altri, lo ha fatto.

Sin da piccola amavo le scienze e alle superiori ero proprio convinta di continuare il percorso di studi, magari, proseguendo anche con l'università, con l'intenzione di laurearmi in scienze biologiche. Mi è sempre piaciuto apprendere i meccanismi di base del funzionamento dei sistemi biologici e anche le cause che hanno prodotto questi sistemi su ogni specie di organismi. I cambiamenti mi affascinavano, le complessità del mondo dei viventi e le trasformazioni a cui questi sono andati in contro mi ammaliavano oltre modo... e poi tutto è cambiato. Le mie idee sono mutate e le mie necessità ed i miei bisogni sono stati del tutto eclissati dagli eventi che si sono succeduti uno dietro l'altro. In effetti non si direbbe dal mio comportamento sempre scontroso e molte volte esageratamente irritante, eppure, è stato così. Ero tanto impressionata dalla natura e dai segreti che circondavano essa, ma, alla fine, ho capito che non ero tagliata per tutto ciò. Ho riscoperto me stessa, ho rivalutato ciò che davvero avrebbe potuto completarmi ed ho capito che non sono fatta per queste cose, che non sono fatta per essere una semplice donna in carriera laureata in biologia.

La vita mi ha cambiata, eventi importanti mi hanno riportato malamente alla realtà e, tale concretezza, mi ha resa una persona totalmente diversa e del tutto legata a qualcosa che ho sempre sentito di volere.

« Non devi rispondermi per forza, capisco che la domanda possa essere troppo personale» alzo immediata lo sguardo e noto un piccolo sorriso ad adornarle le labbra.

« Forse entrambe le cose» ammetto. La ragazza sembra sorpresa dalla mia risposta e lo sono pure io. Di solito tendo ad evitare tutti questi quesiti che possono – in un certo senso – risultare scomodi per me ma non sembra il tipo che va a raccontare i fatti altrui ed il suo viso sincero, semplicemente, me lo conferma. « Ma credo che sia nata per svolgere questo lavoro e sono sempre più convinta di questa scelta» aggiungo infine.

Annuisce lentamente. « L'ho notato, sai? Molte dicono che tu non sia tagliata per questo posto, alcune dicono per il tuo fisico, altre, invece, per i tuoi modi. Io però la penso diversamente, io credo che tu sia perfetta per questo lavoro. Ti ho vista in queste settimane e mi sono accorta della dedizione e delle capacità che possiedi, della forza e passione che metti in ogni cosa che fai. Te ne freghi delle occhiate fastidiose di tutti e cammini a testa alta mostrandoti indifferente» dichiara con trasparenza e tantissima sincerità.

Socchiudo le labbra sorpresa e leggermente colpita da tutte quelle parole che lasciano la sua bocca, con fluidità e senza alcun ripensamento. Riesco a scorgere la falsità anche da una minima mimica facciale e lei, semplicemente, non rispecchia nessun tipo di menzogna.

I suoi occhi limpidi e vispi puntano i miei, rincuorandomi e intaccando – quel poco – il mio cuore, sempre più accostabile ad una roccia.

« Io ti ammiro, Arabella. Vorrei tanto essere come te: forte, determinata e con dei sani obiettivi» confessa, infine, alzando gli angoli della sua bocca in un sorriso timido.

Non so che dire, per la prima volta mi ritrovo senza parole. Di certo, non mi aspettavo una confessione del genere. Mi schiarisco la voce e sostengo il suo sguardo. Sembra crederci davvero a tutto quello che ha detto, sembra sicura degli aggettivi con i quali mi ha descritta e, soprattutto, sembra del tutto convinta del discorso appena concluso. Si comporta come se effettivamente mi conoscesse da una vita, come se potesse dimostrare – con fatti concreti – quanto io sia caratterialmente uguale agli aggettivi appena citati eppure... non è del tutto così. Non è sempre stato così ma so bene che con il curare troppo l'apparenza, alla fine, si arriva ad un punto in cui la maschera si incolla alla tua faccia. È davvero impossibile, poi, scollarla.

Distolgo lo sguardo, non riuscendo più a sostenerlo e deglutisco. Qualcosa mi ha colpita, in una parte remota e custodita da troppo tempo, dentro di me.

« Parli come se mi conoscessi ma non è così» asserisco con voce apparentemente tranquilla.

So mascherare bene le mie emozioni, ho imparato a controllarle perfettamente. Rafforzare tutti i punti forti e non crollare mai.

Si avvicina a passi cauti ma io sono già arrivata a toccare la maniglia della porta. Dovevamo iniziare l'allenamento da un bel pezzo.

La sua voce però mi blocca.

« Non ti conosco, è vero, ma sento di aver ragione. Non sono frivola e corrosa dall'invidia come le altre, però, sappi che tutte queste cose le penso davvero e sono felice di averti confessato tutto ciò»

Abbasso la maniglia e istintivamente gli angoli della mia bocca si sollevano in un sorriso.

« Grazie» sussurro, alla buona, uscendo dallo spogliatoio e lasciando socchiusa la porta. Consapevole che di lì a poco Jessy mi seguirà.

I piedi nudi entrano a contatto con il pavimento freddo ma estremamente pulito. Rabbrividisco per il brivido di freddo che attraversa il mio corpo. I miei occhi vagano constatando quante poche persone ci siano in questo ampio spazio: ci sono gli inservienti che si occupano dei luoghi come la piscina, le palestre e le camere in cui risiediamo ed un uomo di mezz'età che si occupa della manutenzione della vasca. I cinque ragazzi sono immersi in acqua e si allenano iniziando da esercizi base. Padroneggiano i diversi stili, con agilità, prontezza, malleabilità e leggerezza. I movimenti sono fluidi, perfettamente coordinati ed i muscoli marcato del loro corpo risaltano ogni volta che risalgono in superficie, per acquisire l'aria di cui necessita l'organismo.

La bravura è palese ma sarebbe strano il contrario, considerata la minuziosità con cui Marxwell sceglie le reclute.

I miei occhi perlustrano il luogo, adocchiando i salvagenti dall'altro lato della piscina e gli zaini proprio alle mie spalle. In effetti potrei svolgere qualche esercizio del genere, ovvero allenarmi per il salvataggio ma alla fine decido di seguire gli stessi esercizi dei ragazzi.

Immergo un piede in acqua, come d'abitudine, e poi sparisco in essa chiudendo gli occhi.

La sensazione di freschezza, di franchigia e di libertà diventa un tutt'uno con la mia anima. Quest'ultima sembra riemergere da quel pozzo chiuso e oscuro, risale a galla portando con sé tutte quelle percezioni inabissate da troppo tempo. Il mio petto, per quanto sia compresso dall'acqua, riesce a liberarsi dai sensi e spicca rinsavendo. Sembra acquisire quel grammo di sensibilità, di pura e squisita concretezza, eppure rimane legato da quel sottile e sgraziato filo che lega la pienezza totale con l'orrore ed il buio perenne. In fondo, per quanto voglia uscirne per sempre illesa e definitivamente intatta, so che ciò non potrà accadere. Il filo è sottile ma dannatamente forte ed il cuore è fin troppo granitico per aiutare quella povera anima che cerca faticosamente di salire.

È arreso, abbandonato alla sua convinzione addensata.

Muovo i miei arti dando libero sfogo ai miei muscoli che fluttuano senza alcun arbitrio, liberi di destreggiarsi come meglio credono. Ma poi l'aria manca, la necessità di respirare si fa viva dentro di me e tutte quelle percezioni spariscono, nel momento in cui la mia testa riemerge.

Strizzo gli occhi, le goccioline appigliate alle ciglia alla fine si staccano, percorrendo una scia che parte dai miei occhi e poi scende sui miei zigomi, sul mio collo e sulle mie clavicole, sul petto... ritornando, poi, al suo luogo d'origine: l'acqua.

Non do peso al movimento che smuove le acque, alle presenze che vi sono e agli occhi curiosi e attenti di Jessy. Mi concentro come sempre ho fatto e comincio con una serie di vasche cambiando i vari stili. Muovo le braccia, le gambe... il mio addome si contrae e si comprime per l'impatto che scuote la distesa azzurra. La mia testa si immerge e poi risale a galla, le mie labbra accarezzano l'azzurro quasi trasparente ed i miei occhi compiono un'azione continua: aprire e chiudere. Prendo respiri profondi, inalo l'aria che mi serve per continuare e spengo la mente.

Spengo ogni cosa.

Venticinque vasche ed il respiro totalmente irregolare; stancante ma terribilmente liberatorio.

Mi avvicino al muretto e, aiutandomi con le braccia, mi siedo su esso. Inclino il capo all'indietro e chiudo gli occhi regolarizzando il mio respiro.

I muscoli sono stanchi, chiedono pietà. So di aver esagerato ma ne sentivo il bisogno, una sorta di calmante per i miei nervi. La mia testa pensa troppo ed esige risposo. Pretende quel breve momento per scappare dai problemi che la mia mente continua a partorire.

« Notevole»

Non mi muovo dalla mia postazione ma apro gli occhi guardandolo dal basso, nonostante abbia sentito la sua voce. Cinque giorni non sono pochi ma non sono nemmeno così tanti, e quotato il modo in cui ci siamo lasciati l'ultima volta, – a causa mia, lo ammetto –, non pensavo che sarebbe venuto a rompere nuovamente le scatole.

Ma invece eccolo qui, nel suo metro e novanta – quasi – con le sue gemme verdi che mi fissano sorpresi e le sue braccia incrociate al petto.

Alzo il capo e strizzo i capelli. « Cosa ti porta qui?» chiedo diretta, senza giri di parole.

Anche perché mi è sempre piaciuto arrivare dritto al sodo.

Non risponde, si limita a fissarmi dall'alto. Irritata mi sollevo e, dopo una lunga occhiata ricambiata, lo sorpasso dirigendomi negli spogliatoi. La doccia la farò qui.

Sento i suoi passi pesanti seguirmi e ruoto gli occhi al cielo. Abbasso la maniglia non appena mi ritrovo davanti alla porta degli spogliatoi femminili ed entro dentro.

Trevor mi segue e mi volto inarcando un sopracciglio. « Cosa non comprendi della frase questo è lo spogliatoio/ bagno delle donne?» chiedo ironica, alludendo anche alla prima volta che l'ho conosciuto, precisamente nei bagni comuni di sole donne.

Un sorriso sghembo aleggia sulle sue labbra e sono tentata di prenderlo a schiaffi solo per il gusto di mandarlo a quel paese. Fissa il mio corpo senza alcuna espressione e anche se sta sorridendo, quel sorriso non rispecchia le emozioni illeggibili dei suoi occhi. Prendo un respiro profondo cercando di mantenere la calma e avanzo verso il mio armadietto.

« Esci, adesso»

Il suo sorriso si spegne ed indurisce la mascella. I suoi occhi sono due pozzi neri e le sue occhiate non sono da meno: gelide e dure.

« Continuo a non capire quale sia il tuo problema, Nelson. Se voglio entrare in un fottuto bagno o in un fottuto spogliatoio, entro» digrigna i denti per l'irritazione causata dalla mia insolenza.

Inchiodo i miei occhi con i suoi. « Vuoi che te lo ripeta?», avanzo verso la sua figura e, sebbene continui a lanciarmi occhiate gelide, non mi faccio scrupoli a ritrovarmi ad una spanna dal suo viso. « Tu sei il mio problema.»

Le sue narici si allargano ed i suoi occhi fanno la medesima fine. Sono sicura che in questo momento stia morendo dalla voglia di urlarmi contro e magari rispondermi a tono.

« Potrei cacciarti a calci in culo e nemmeno te ne accorgeresti» sputa con calma apparente.

Sorrido. « E perché non lo fai? Cosa aspetti?» lo stuzzico, tastando la sua pazienza che sta attraversando il limite.

E sarà sempre così: con me, la battaglia che ha iniziato, non otterrà alcun termine.

Le sue gemme si soffermano sulle mie labbra, adesso increspate in un sorriso di provocazione, ma poi si elevano. « Non provocarmi, Nelson, non ho molta pazienza»

Il sorriso mi muore in viso a quest'ultima affermazione. « Chi ti dice che invece io ce l'abbia? Non provocarmi tu, sergente. E adesso, esci da qui» intimo per la seconda volta, stavolta senza alcuna traccia di divertimento in viso.

Con la coda dell'occhio noto le sue mani chiudersi in due pugni, le sue nocche diventano bianche dalla forza che applica nel compiere il gesto ma, poi, effettua due passi indietro. L'aria trattenuta, esce fuori dal mio corpo.

« Marxwell ti vuole nel suo ufficio tra un'ora, non farlo attendere» comunica gelido, dopo avermi dato le spalle.

Aggrotto la fronte alle sue parole ma non rispondo, mi limito a tenere i dubbi per me.

Abbassa la maniglia e scompare, chiudendo la porta in un tonfo.

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Capitolo 13
*** Capitolo Dodici ***


Gli anfibi sbattono pesantemente sulla pavimentazione ma, lo stesso rumore, diventa sfocato, un suono fastidiosamente indistinto che si mescola perfettamente al baccano provocato dalle scarpe altrui. La divisa calza decisamente una taglia più grande rispetto al mio corpo poco forzuto, ma non pesa particolarmente. Non amo gli indumenti aderenti, come la tuta indossata poco prima, perché mi trasmettono un senso di chiusura, di soffocamento impellente. Quel tipo di soffocamento simile ad una stanza senza finestre, ad una scatola senza aperture, ad un pozzo bloccato dall'esterno. Il buio è perenne, c'è sempre, si comporta da velo quasi trasparente ma che allo stesso tempo ti avvolge senza che tu te ne accorga, infondendo quella percezione particolarmente angosciante e angustiante. È una sensazione che vorresti eliminare, distruggere, per paura che possa inghiottirti e trascinarti in quel limbo di eterna inquietudine. Benché non mi trovi d'accordo con la stragrande maggioranza delle regole di questa accademia, non ho alcuna voce in capitolo per cambiare almeno una virgola di tutti questi punti prefissati. Quindi, nonostante sia incline al rifiuto – anche degli abiti che sono costretta ad indossare – decido di far silenzio, di starmene sulle mie e inabissare quelle piccole inquietudini che il corpo e la mia mente percepiscono.

La giacca che indosso copre il mio corpo minuto, rendendolo per certi versi molto più formato e all'apparenza allenato. Sebbene mi alleni più di undici ore al giorno, i risultati si notano ben poco. Non perché sia fiacca o non ci metta tutto l'impegno di questo mondo ma perché il mio fisico non è predisposto a trasformarsi in un ammasso di muscoli e portamento mascolino. È quasi sconcertante vedere donne della mia età più formate fisicamente di un uomo. Ciononostante mi sono abituata. È soddisfacente l'idea che in una possibile missione noi donne possiamo aiutare anche gli uomini. Renderci utili, fare anche la differenza.

Perché in fondo non siamo così inefficaci, non siamo solo importanti per determinate cose. Riusciamo ad avvezzare qualsiasi cosa ci troviamo davanti, senza paure e senza timori: noi donne siamo forti e determinate, forse un po' fragili ma dannatamente utili.

D'altronde la fragilità è una parte della nostra anima che ci rende ricche e uniche nel nostro genere.

Molti definiscono la fragilità una debolezza, io, semplicemente, la chiamo incapacità di capire.

I capelli svolazzano ad ogni passo e non mi curo di legarli in una coda, – come solitamente faccio –, anche perché è l'ultima delle mie preoccupazioni. Al centro di esse, infatti, c'è l'avviso di Trevor che aleggia tra i miei pensieri: un punto fisso, un punto interrogativo inespresso.

L'ufficio di Marxwell si trova dall'altra parte dell'edificio, precisamente sull'ala ovest, luogo in cui vi sono gli uffici più importanti nei quali sono conservati fascicoli ed i laboratori nei quali vengono effettuati esperimenti sui vari ordigni utilizzati nelle missioni. Non ci è consentito attraversare questi corridoi silenziosi, sia perché così facendo si infrangerebbe una regola e sia perché non è una nostra competenza – tranne per alcuni di noi specializzati in questi settori. Di fatti, le volte in cui ho calpestato questo territorio si possono contare sulle dita di una mano.

Il lungo corridoio finisce laddove è presente una porta blindata, interamente rivestita da pannelli laminati – una sorta di materiale resistente agli attacchi – che conferiscono protezione. Inoltre, sono presenti dispositivi antimanipolazione e antitrapano che garantiscono sicurezza continua. La serratura è motorizzata, dotata di riconoscimento dell'impronta digitale e, in questo caso, anche di display, al fine di controllare ogni individuo presente.

I miei passi si bloccano proprio davanti alla porta. I miei occhi perlustrano minuziosamente ogni dettaglio presente, dal quadrante che richiede l'appoggio della mano e quindi il riconoscimento dell'impronta, al display posto proprio accanto, nel quale vi è un pulsante che bisogna premere per passare dall'altra parte.

Pigio quest'ultimo attendendo un qualsiasi segnale e, quando lo schermo si accende, una voce elettronica chiede il codice – che ognuno di noi ha – per il riconoscimento.

« 250399» rispondo sicura.

La porta si apre immediata, scorre verso destra e mi permette di entrare chiudendosi qualche secondo dopo alle mie spalle.

Le mie iridi perlustrano il posto totalmente diverso dall'ambiente a cui siamo abituati a frequentare. Le pareti del corridoio sono bianche, un colore accecante mentre il pavimento è nero pece. Proprio alla fine della corsia vi è una porta in vetro che si apre non appena mi avvicino a quest'ultima, garantendomi l'accesso definitivo all'enorme sala. I miei piedi si arrestano all'istante mentre i miei occhi osservano affascinati l'oculo posto proprio al centro. Ai lati vi sono due scrivanie in vetro, nelle quali trovano posto due schermi e dietro ad essi due uomini che non staccano minimamente gli occhi dal display, nemmeno quando notano una presenza che li fissa curiosa.

La sala non è quadrata bensì a forma di U, vi sono cinque porte a destra e cinque a sinistra e su di esse è affissa una piastrina con le iniziali di qualcosa; probabilmente servono a capire cosa contengono le stanze.

Mi sento catapultata in un altro universo, le differenze dei due ambienti sono palesi. L'altra parte dell'edificio sembra quasi diroccato, più malandato e direi anche giusto per il contesto mentre quest'ala è del tutto moderna. Sembra propensa ad altri incarichi tipo servizi segreti, la C.I.A. Ma io so che questo è impossibile, anche perché cosa c'entrano i servizi segreti con noi militari?

« 250399, Nelson Arabella. Sei tu?» una voce mi riporta alla realtà e mi ritrovo ad annuire istintivamente.

L'uomo dietro la seconda scrivania fissa ancora lo schermo non degnandomi di una sola occhiata, ma capisco che sia stato proprio lui ad aprire la porta blindata perché il collega non sembra interessarsi della mia presenza.

« Il colonnello Marxwell ti aspetta in ufficio. Ultima porta a destra» indica.

Non rispondo, anche perché sembra essere interessato ad altro e, senza alcun cenno a riguardo, mi avvio verso l'ufficio del colonnello.

La targhetta indica due iniziali, la ' u ' e la 'c ', non ho idea di cosa entrambe significano ma evidentemente a qualcosa servono.

Non so se bussare o meno, anche perché non è presente nessuna maniglia. Osservo confusa la porta e quando mi decido a bussare, ecco che la porta si apre.

Il cipiglio confuso scompare alcuni secondi dopo, prendo un respiro profondo ed entro dentro.

L'ufficio del colonnello non è esageratamente grande: alla mia destra c'è uno scaffale pieno zeppo di fascicoli, – che, considerato il velo di polvere che li ricopre, sono sicura non siano recenti –, mentre alla mia sinistra c'è l'ennesimo scaffale suddiviso in sei quadranti, il tutto in acciaio, che non capisco quale funzione abbia. Poi una scrivania posta proprio di fronte, nella quale poggiano un computer, fascicoli e aggeggi elettronici. I miei occhi perlustrano la stanza, soffermandosi sulle piccole vetrate, su una piccola finestra in particolare – in acciaio posta a metà parete – che non sembra aver alcuno scopo importante ed infine sul colonnello che siede proprio dietro la scrivania. Il posto è estremamente moderno ed i colori che la caratterizzano m infondono sensazioni strane.

Il suo viso è sostenuto mentre i suoi occhi – puntati sulla mia figura – sono indecifrabili, scuri e a tratti enigmatici. La postura è eretta, i gomiti poggiano sulla struttura sottostante mentre le sue iridi continuano ad osservarmi.

Vorrei tanto capire il motivo per cui mi trovo qui ma sembra propenso a mantenere il silenzio, alquanto fastidioso e inutile. Non dura molto però, perché qualche secondo dopo la porta alle mie spalle si apre e da essa entrano altre persone.

Mi volto ed i miei occhi si scontrano con le iridi scure di Lily che, confusa e curiosa, ricambia lo sguardo affiancandomi. Poi entra Harley e subito dopo Jessy, infine i cinque ragazzi – tra cui Trevor – che non degnano di uno sguardo.

La confusione di tutte noi è palese. Scruto ogni volto alla ricerca di una possibile spiegazione ma le loro espressioni mi convincono che sappiano meno di me.

I cinque ragazzi affiancano Marxwell e gli unici suoni percepibili sono le suole degli anfibi che collidono con il pavimento.

Il ragazzo dalla pelle olivastra fissa ognuno di noi, senza dire una parola, come se in un certo senso stia valutando le nostre mimiche facciali. La mia è indecifrabile, come sempre d'altronde.

Il colonnello schiarisce la voce e tutti gli occhi si spostano sul suo viso serio.

« Sono tutte qui?» chiede, ma la sua domanda non è rivolta a noi bensì ad uno dei ragazzi.

« Si, colonnello» risponde immediato il ragazzo dagli occhi azzurri, di statura più bassa rispetto agli altri quattro ma non meno inquietante.

« Perfetto» ribatte.

« Da quanto tempo sei qui?» il sussurro di Lily arriva più come un mormorio indistinto ma riesco ugualmente a capire la sua domanda.

« Non molto»

Con la coda dell'occhio la vedo annuire.

« Adesso che ci siete tutte, vi spiego il motivo per il quale siete state convocate qui nel mio ufficio», la sua voce graffiante e dal tono poderoso arriva alle nostre orecchie, intimando l'assoluta attenzione. « Come ben avete notato, non siete in tante. E se solo voi quattro siete qui nel mio ufficio, c'è un motivo in particolare», ascolto attentamente le sue parole e lancio una breve occhiata alle altre ragazze al mio fianco. « Non vi ho spiegato il motivo per il quale questi cinque ragazzi hanno cambiato base, la causa che ha scatenato questo cambio radicale ed infine il lavoro che svolgono. Ma non è un argomento che interessa tutti» afferma.

Aderisce perfettamente allo schienale ed i gomiti – dapprima poggiati sulla scrivania – cambiano postazione.

« In queste settimane vi siete allenate come da prassi ma, qualcuna di voi, si sarà accorta sicuramente della presenza dei miei uomini ad ogni tipo di addestramento. E, vi confermo, che la loro presenza non era casuale. C'è un motivo per cui siete qui e la ragione scatenante risiede in ognuna di voi»

Il cipiglio prende posto su ogni viso delle presenti e anche se non lo do a vedere, la confusione si impadronisce anche del mio corpo. Lily sembra non seguire il filo del discorso di Marxwell, Harley lancia occhiate confuse a quest'ultimo mentre Jessy sembra interessata al discorso intrapreso.

« Non posso ancora spiegarvi la causa scatenante, sia di questo cambio radicale e sia del motivo per cui i miei uomini sono qui. A grandi linee vi spiegherò a cosa servite e che lavoro svolge ogni uomo che mi affianca»

Marxwell fa un cenno col capo ad uno dei suoi uomini e, il ragazzo dalla pelle olivastra, annuisce avvicinandosi a quella piccola finestra in acciaio individuata qualche minuto prima.

Corrugo la fronte quando da quest'ultima – dopo che Drew ha pigiato un bottone – compare un fascio di luce soffusa. Essa dà origine ad uno schermo di medie dimensioni, che proietta le nostre foto e le nostre schede personali. La mia immagine è nitida e si affianca a quella di Lily.

Drew digita qualcosa su una tastiera sottostante ed immediatamente la scheda di Harley sovrasta le nostre.

Sono presenti i suoi dati anagrafici, le sue capacità, abilità e punti forti. Il codice rifilato ad ognuna di noi ed infine il nome e cognome dell'uomo a cui è stata affidata per un addestramento speciale.

Ci sono troppi dati, troppi numeri e troppe parole di cui non conosco nemmeno il significato.

« Harley Dickens: esperta nei salvataggi in acqua ed abile nel combattimento corpo a corpo» illustra Marxwell.

Leggo velocemente le righe in cui spiega la capacità di Harley ma non ho il tempo di farlo poiché la scheda di Lily sovrasta le altre.

« Lily Palmer: esperta nel campo chimico/biologico, abile cecchino e combattimento corpo a corpo»

I suoi dati scorrono veloci e ciò non mi permette di leggere accuratamente cosa c'è scritto in ogni scheda. Gli occhi di tutti noi sono puntati sullo schermo che illustra ogni particolare nascosto o meno di noi ragazze e la confusione padroneggia sovrana in questa stanza, circondata solo da punti di domande senza risposta.

« Arabella Nelson: abilità e capacità fisica, combattimento corpo a corpo e logistica»

I miei dati defluiscono rapidamente e inevitabilmente le mie iridi vagano alla ricerca di una sola persona, la quale ha già pensato di distogliere lo sguardo dallo schermo per puntarlo su di me. Le sue gemme verdi, senza alcuna espressione, fissano inesorabilmente il mio viso confuso e annebbiato da mille domande. Benché stia fissando il suo volto alla ricerca di qualche plausibile spiegazione o magari piccola risposta, la mia testa sa già in partenza che non troverà nulla, se non indifferenza e altri mille quesiti.

« Jessica Bolt: logistica, sistemi informatici e combattimento corpo a corpo»

Jessy si guarda attorno spaesata, si avvicina ad Harley ma quest'ultima sembra non riuscire a darle una benché minima spiegazione. Colei che dà voce ai nostri pensieri è proprio Lily che, fermandosi a qualche passo da Drew, volge il capo verso il colonnello.

« Cosa significa tutto questo?» chiede.

Lo schermo si spegne all'istante e Drew, velocemente, digita qualcosa sulla tastiera che improvvisamente scompare subito dopo. Rimane piantato sul posto, con l'unica differenza che i suoi occhi fissano insistentemente la figura di Lily.  

Marxwell si alza dalla sua sedia e raggirando la scrivania, sospira.

« Siete le prescelte: dotate di capacità essenziali che servono per un motivo ben preciso. Ciò che a breve ma non subito vi spiegherò. Ognuna di voi presenta tecniche che in pochi hanno e abilità che solo una minima parte di questa accademia possiede», asserisce senza staccarle gli occhi di dosso. « In queste settimane siete state le uniche ad aver dato il cento per cento di voi stesse, in ogni tipo di esercizio. Ed i miei uomini, osservandovi ogni giorno, hanno solamente riferito i nomi di quattro persone che secondo la loro esperienza saranno in grado di portare a termine il piano»

« Quale piano?» la domanda di Harley è spontanea e mi ritrovo a scrutare ogni persona in questa stanza senza aprir bocca.

« Non siete ritenute a saperlo, non adesso », afferma, anche se la sua risposta non è per niente esaustiva « I miei uomini si occuperanno di voi e colmeranno le vostre lacune nel caso in cui dovessero esserci. Inoltre, imparerete le tecniche altrui, anche solo nozioni basilari, ma efficaci», osserva le nostre facce e non ci permettiamo di abbassare lo sguardo. « Non dovete, per nessun motivo al mondo, esporre qualsiasi argomento trattato qui dentro ad altri vostri compagni. Semmai dovesse accadere, mi occuperò personalmente del problema. Intesi?»

« Sì, colonnello» rispondiamo in coro.

« Bene. L'allenamento inizierà domani mattina e non appena uscirete di qui, i miei uomini si occuperanno di avvisarvi personalmente dei vari addestramenti a cui sarete sottoposte. Andate, ci rivedremo al prossimo richiamo»

Le nostre voci si accavallano in un cenno positivo e, scortati dai ragazzi, usciamo dall'ufficio di Marxwell.
Più confuse di prima e con mille altre domande senza risposta.

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Capitolo 14
*** Capitolo Tredici ***


Quando lasciamo l'ufficio del colonnello, la sala accoglie una decina di uomini in divisa. Chi cammina da solo senza prestare attenzione a qualsiasi individuo intralci il suo percorso e chi, come noi, si muove in gruppo. La differenza sostanziale sta nel fatto che noi ragazze non mettiamo mai piede in questo posto mentre questi uomini, che ad occhio e croce avranno all'incirca gli stessi anni di Marxwell, forse con meno esperienza lavorativa, conoscono a memoria gli angoli più remoti del posto. La serietà regna sovrana sui loro volti, marcati e additati dal tempo e dagli eventi. Cicatrici, profonde o quasi invisibili, segnano i loro corpi ed i loro visi, rendendoci partecipi di brevi ma intensi momenti che preservano dolorosamente dentro il loro cuore, scalfito da chissà quanti strazianti e laceranti istanti. Eppure dai loro occhi impenetrabili ed enigmatici traspare tutt'altro. Benché tengano su una maschera di indifferenza e potenza, i segni del tempo cozzano su tutta l'apparenza sviluppata e perfezionata negli anni che, sostanzialmente, insistono a conferirci. In realtà, è solamente una corazza che sussegue serie di accadimenti ma che mai nessuno potrà scalfire.

Mi perdo ad osservare come riescano, in un certo senso, a non far trasparire alcuna emozione e poi giungo ad una conclusione più che fedele alla realtà dei fatti: uomini o donne che siano, che lavorano in questo ambito da moltissimo tempo, devono necessariamente fare i conti con tutto ciò. Devono indispensabilmente curare la loro facciata perché, in fondo, è proprio questa la parte più difficile dell'essere un soldato. Manifestare forza e tenacia, nonostante gli avvenimenti disastrosi della guerra.

Distolgo lo sguardo dai militari ed i miei occhi incontrano ancora una volta i due uomini seduti dietro le apposite scrivanie. Lo stesso che mi ha rivolto la parola, alza lo sguardo lanciando una breve occhiata ai ragazzi che ci stanno scortando e abbassa nuovamente lo sguardo sullo schermo del computer. Probabilmente l'uomo li conosce già.

Harley e Jessy avanzano a qualche metro dalla mia figura. Sono silenziose e forse un po' confuse dalle parole di Marxwell e di fatti non si curano minimamente della presenza dei tre ragazzi. Mentre Lily sta al mio fianco, lanciando brevi occhiate a Drew che parla silenziosamente con Trevor. Io, d'altro canto, mi fingo indifferente alle loro presenze, osservando di tanto in tanto gli angoli del luogo senza accennare nemmeno una singola sillaba.

Percorriamo il corridoio in estremo silenzio, ma non un tipo di silenzio imbarazzante, bensì inconsueto. È come se stessimo riflettendo un po' tutti quanti sulla situazione, chi più e chi meno. Il colloquio non ha chiarito per niente le nostre idee, ha solamente inserito nelle nostre teste più dubbi di quanti già ne avessimo. Il colonnello non ha completamente citato nulla sul motivo per il quale siamo state chiamate, fondamentalmente. Ha solamente sentenziato sulle nostre abilità e capacità, elogiandole e definendole superiori a quelle degli altri, ma non ha chiarito a cosa possano servire. Tutto quello che abbiamo capito è che gli addestramenti saranno diversi da quelli degli altri, che dobbiamo potenziarci fisicamente e che dobbiamo imparare tecniche basilari, non solo sugli esercizi che ci valorizzano ma anche in quelli in cui facciano un po' schifo. Ma a quale pro?

« Dickens, tu verrai con me»

Harley si volta verso il ragazzo dai capelli biondo cenere e dagli occhi blu notte e aggrotta la fronte. « Dici a me?» chiede indicandosi.

Ruota gli occhi al cielo. « C'è qualcun altro che si chiama Harley Dickens?» ribatte ironico e leggermente sprezzante.

Harley stringe le mani in due pugni, evidentemente adirata dal suo tono. « No, stavo solo chiedendo»

« Prima regola: non chiedere. Ascolta ed esegui» asserisce duramente, voltando le spalle.

La bruna prende un respiro profondo e si morde la lingua, rinunciando a rispondergli a tono.

« Segui Tom» Drew interviene, facendo un cenno col capo verso il biondo, di cui solo adesso conosciamo il nome, per poi inoltrarsi senza aspettare la ragazza.

Harley annuisce, al tono decisamente meno arrogante, e dopo aver lanciato delle brevi occhiate a noi ragazze, si dilegua.

Il ragazzo dalla pelle olivastra punta i suoi occhi scuri e perfettamente profilati su Lily e capisco immediatamente che dovrà lavorare personalmente con lui.

« Palmer, tu sei con me», decreta infine. « Bolt, tu segui Liam» indica il più basso tra i cinque. Jessy si avvicina cauta verso quest'ultimo, ma il sorriso che le rivolge la tranquillizza. Tant'è che quando si incamminano mi accorgo delle spalle della ragazza abbassarsi per il sollievo provato.

Liam sembra il più comprensivo tra tutti.

Lily d'altro canto annuisce solamente e segue Drew, affiancandolo dopo l'ennesimo cenno col capo.

« Io mi occuperò di tutte voi insieme, ma non in questi giorni» comunica il ragazzo dagli occhi azzurri ed i capelli neri come la pece. Dopo di che, si dilegua come gli altri.

Inarco un sopracciglio quando gli unici rimasti siamo io e Trevor. Sembra un vero e proprio scherzo del destino ma so bene che non lo è.

« L'hai fatto a posta?» sibilo incrociando le braccia al petto.

Non riusciamo a stare insieme per più di due minuti, figuriamoci pomeriggi o mattine intere. Sono sicura che già dalla prima mezz'ora ci ritroveremo a picchiarci a vicenda. Io non sopporto lui, lui non sopporta me. Semplice, no?

Contrae la mascella. « Pensi che io voglia lavorare con te? Avrei preferito mille volte la bassina che si è portato Liam» ribatte a tono, altrettanto insolente.

Inclino il capo. « Beh, vedo che la pensiamo allo stesso modo» affermo. « Quindi, cambiamo partner»

Mi guarda scettico per poi scoppiare a ridere. Le sue labbra si dischiudono lasciando spazio alla dentatura bianca, le fossette – mai viste sul suo viso – fanno capolino sulle sue guance ed i suoi occhi verdi mi osservano divertiti. È la prima volta che lo guardo ridere, di solito è sempre burbero, si limita a qualche sorriso sghembo o comunque di circostanza, alquanto falso. Se non fosse per il suo carattere di merda, potrei anche ammettere che sia un bel ragazzo ma la sua risata – scaturita dalla mia affermazione – ha completamente eclissato uno dei pochi pensieri decenti su di lui.

I lineamenti del mio viso si induriscono immediatamente. « Pensi che io sia divertente?» lo riprendo.

Continua a guardarmi, decisamente divertito ma poi scuote il capo. « Sì, decisamente. Se Marxwell dice una cosa, è così e basta»

« Non voglio lavorare con te» ribadisco, scandendo ogni parola.

Le fattezze del suo viso si gelano, il sorriso si spegne ed i suoi occhi verdi si incastrano perfettamente con le mie iridi scure. Il mio commento lo ha irritato ma, alla fine, c'è qualcosa che non lo irrita?

Avanza, fermandosi solo quando si trova ad una spanna dal mio viso leggermente sollevato verso l'alto. Da questa distanza ravvicinata posso perfettamente osservare ogni dettaglio, ogni imperfezione ed ogni particolare del suo volto. Dischiudo le labbra, soffermandomi sulle sue piuttosto carnose e rosee. Sembra seguire le mie stesse azioni poiché le sue gemme puntano la mia bocca. Ma non mi lascio incantare, sollevo gli occhi specchiandomi nelle sue iridi chiare ma a tratti scure, come un pozzo nero e profondo.

« È un tuo fottuto problema. Lavoreremo insieme, che ti piaccia o no» soffia sul mio viso duramente, indugiando per qualche altro secondo, ma indietreggia l'attimo dopo distogliendo lo sguardo.

Prendo un respiro profondo perché se aprissi la mia bocca, lo farei solo per urlargli contro quanto lo detesti con tutta me stessa. Inoltre, so che sprecherei fiato inutilmente, perché a differenza degli altri, lui è il tipo che ricambia con la stessa moneta.

« Seguimi» ordina, seguendo un percorso tutto suo.

Attendo altri cinque secondi, il tempo di metabolizzare che dovrò passare chissà quanto tempo con questo stronzo presuntuoso, e poi lo seguo.

Ecco cosa intendo con ' mi sta sulle palle Marxwell ' , perché cosciente o non cosciente, detta regole ed ordini sempre di merda. Quante probabilità c'erano affinché venissi affiancata a Trevor? Evidentemente pochissime, considerato il risultato finale.

Il moro si blocca davanti alla porta blindata, già attraversata dalle altre, e attendo alle sue spalle. Al contrario di tutti noi, Trevor poggia il palmo della sua mano sul display delle impronte digitali e qualche secondo dopo la voce metallica conferma un codice.

010294.

Il click indica l'apertura e, senza dire nulla, continuo a seguirlo.

« Drew si trova al poligono, Liam in palestra e Tom in piscina. Tu inizierai con un percorso ad ostacoli» parla, dandomi le spalle.

Lo seguo anche quando cambia totalmente strada. Scende le scale alternative – che capisco taglino completamente il percorso – e spinge la porta che conduce direttamente fuori.

L'aria colpisce il mio viso come uno schiaffo e mi ritrovo a fare i conti con la temperatura nettamente calata. Il terriccio sembra più scuro, mentre il cielo è grigio. Non sembra, però, il momento adatto per piovere.

Non c'è molta gente, tranne per qualche guardia che si aggira tranquillamente – come ogni ora del giorno – e alcuni militari che corrono in coppie, compiendo l'ennesimo giro dell'edificio.

« Perché proprio il percorso ad ostacoli?» chiedo curiosa.

Se facessi caso ai vari esercizi scelti per ognuno di noi, potrei giungere ad un'unica soluzione.

« Iniziamo dalle attività che valorizzano del tutto le vostre abilità e capacità. Palmer è molto abile con le armi, Dickens è esperta in acqua, Bolt è agile nel combattimento corpo a corpo», mi acciglio a quest'ultima affermazione. Non immagino per niente Jessy in questo campo. « Mentre tu, Nelson, riesci a concludere un percorso nel minor tempo possibile.» risponde neutro, marcando quasi con un pizzico di fastidio l'ultima frase.

Non mi aspettavo una spiegazione del genere ma devo ammettere che ha senso.

Sorrido sghemba perché so quanto gli sia costato ammettere almeno questo su di me. « Mi hai osservata in queste settimane?»

Inarca un sopracciglio ed introduce la mano all'interno della tasca estraendo un aggeggio. Pigia un pulsante e l'arnese soffia un click. « Ho osservato tutti» risponde irritato.

Calpesta il terriccio e blocca i suoi passi proprio nel punto in cui ha una perfetta visuale dell'intero percorso.

« Sono sicura del contrario» replico osservando i vari step che dovrò affrontare.

Con la coda dell'occhio lo vedo fissarmi ma poi scrolla le spalle e la discussione si interrompe.

Il cronometro che tiene in mano segna venti minuti esatti, né un secondo di più e né un secondo di meno. Nonostante non mi abbiano mai concesso un tempo così ristretto, non mi lascio abbattere. Se crede che sia in grado di fare un percorso in questo arco di tempo, evidentemente ne sono capace.

« Non credo che ci sia bisogno della spiegazione, conosci a memoria gli ostacoli da superare» attesta guardandomi.

Annuisco sicura.

« Hai esattamente venti minuti di tempo, se sgarri di un secondo ricomincerai il percorso. Intesi?» comunica severo, come se il suo viso contratto in una smorfia dura possa spaventarmi.

« Perfetto»

Mi posiziono dietro la linea che segna l'inizio del percorso e punto gli occhi sul primo ostacolo da superare.

Trevor alza il braccio e fissandomi urla un ' Vai!'.

Il primo ostacolo è l'attraversamento faccia a terra sotto un basso tetto di filo spinato. Non è difficile, basta solamente non sfiorare o toccare il filo che potrebbe bloccare il percorso.

QSupero velocemente il tetto di un metro e mezzo e compio un salto, arrampicandomi sul muro di rete alto cinque metri. Nemmeno quest'altro ostacolo sembra difficile, a patto che i piedi non si ingarbuglino con i fili intrecciati. Lancio un occhiata a Trevor, – che controlla di tanto in tanto il cronometro –, e sorrido fermandomi per qualche secondo. Il terzo step prevede l'attraversamento di un fosso appesi su delle barre di legno sospese. L'esercizio è anche chiamato barre della scimmia, poiché il nostro corpo tende a contorcersi usufruendo di braccia per rimanere sospesi, soprattutto, e di gambe per concedere la spinta. La forza sta proprio nelle braccia, le quali hanno il compito di sostenere il peso del corpo evitando la caduta. È necessaria una buona resistenza sugli arti superiori per poter completare l'esercizio. Esattamente trenta secondi dopo, il piede sinistro tocca terra, e alzo lo sguardo puntando gli occhi sull'alto muro di sei metri che ho il dovere di scalare. Osservo i buchi in cui poter incastrare il piede e di conseguenza la mano e senza indugiare troppo incomincio.

Il sudore impregna il mio corpo e la maglia che indosso si appiccica al mio addome. Avrei fatto meglio a togliere la giacca ma, onestamente, non ho pensato minimamente a quest'ultima.

Attraverso l'ultimo step, che consiste in una montagna di terra, e supero il traguardo finale con un sorriso sulle labbra.

Respiro freneticamente e mi avvicino a passi lenti verso la figura di Trevor.

Quest'ultimo osserva il cronometro con un sopracciglio inarcato e non appena sente i miei passi alza lo sguardo.

« Venti minuti e quattro secondi» decreta.

Il sorriso sparisce immediatamente, « Cosa?! Non è possibile!» strepito scettica.

« Ricomincia» ordina.

Stringo le mani in due pugni indurendo i lineamenti del mio viso. « Non è possibile. Rispetto tutti i tempi e non è mai successo che abbia impiegato più tempo del previsto»

Mi fissa senza espressione. « Ricomincia» ripete senza battere ciglio.

La rabbia ammonta dentro di me. Conto mentalmente fino a dieci guardandolo negli occhi, evitando di sbottare insulti, e stringendo più che posso le mani – formando le mezze lune, considerata la forza impiegata – gli volto le spalle.

Com'è possibile? Non è mai successo!

Mi posiziono dietro la linea segnata sul terriccio e attendo il via di Claflin.

« Vai!»

Corro immediata, ripercorrendo lo stesso tragitto, non badando all'energia che pian piano si affievolisce sempre più. Attraverso tutti gli step, contando mentalmente i secondi, e quando concludo il percorso mi avvicino a Trevor.

« Venti minuti e cinque secondi» decreta.

Chiudo gli occhi cercando la poca pazienza che possiedo e inalo l'aria per respirare regolarmente.

« Cristo, non è possibile!» impreco.

« Ricomincia»

Ritento per cinque volte consecutive: tra affanni, sospiri pesanti Ae respiro spezzato. I risultati sono sempre pessimi, nonostante sia sicura della velocità impiegata ad ogni esercizio. Trevor, d'altro canto, rimane impassibile ad ogni punteggio e, come un disco rotto, continua imperterrito a ordinare di ricominciare.

Al sesto tentativo sono letteralmente furibonda, tolgo malamente la giacca – madida di sudore – e supero a passi svelti la sua figura.

Ne ho abbastanza per oggi.

« Arabella» mi richiama ma sono troppo adirata con me stessa e, senza prestargli attenzione, continuo a camminare.

« Nelson, fermati immediatamente» ordina perentorio, alzando di qualche ottava la sua voce.

Blocco i miei passi e prendo un respiro profondo.

Mi volto, incrociando il suo sguardo, e rimango impassibile all'insistenza dei suoi occhi.

« È la sesta volta che ritento e ogni volta è sempre peggio!» esclamo incollerita.

« Sei andata benissimo» ribatte.

Mi acciglio. « Cosa?»

« La prima volta hai superato il percorso in soli diciannove minuti, arrivando al quinto tentativo concluso in sedici minuti e due secondi. Un ottimo lavoro, non credi?» esclama alzando gli angoli della bocca in un sorriso sbilenco.

Impassibile. Esamino il suo viso, domandandomi mentalmente se sia fottutamente serio o se mi stia fottutamente prendendo per il culo.

Non apro bocca, non riuscendo a replicare per la rabbia che cova dentro di me.

Il click del cronometro – ormai spento – mi risveglia del tutto ma, prima che possa solo urlargli contro, apre bocca.

« Per oggi abbiamo finito. Domani continueremo l'addestramento al poligono, quindi cerca di arrivare puntuale alle sei in punto del mattino» comunica e dopo un'altra lunga occhiata – aggiungerei da vera e propria presa per il culo – mi supera del tutto. Lasciandomi lì, a cuocere nel mio stesso brodo infuocato.

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Capitolo 15
*** Capitolo Quattordici ***


Sono le primi luci dell'alba a svegliarmi gradualmente. I tiepidi raggi del sole solleticano il mio viso annunciando l'arrivo del nuovo giorno e, per quanto voglia rimanere sotto le coperte ad oziare, devo necessariamente alzarmi, per affrontare il secondo giorno di allenamento sfrenato e stancante sotto la supervisione di Trevor. Al solo pensiero, l'irritazione si insedia in me, come un veleno potente che intossica tutte le cellule del mio corpo. Non dimentico di certo come mi abbia trattata solamente qualche ora prima e non intendo cascare nuovamente in questo gioco malato e subdolo che ha tirato su. Mi ha mentito spudoratamente sul tempo, solo per il semplice gusto di vedermi sgobbare come una forsennata, come se vedermi sfinita e indebolita lo appaghi in qualche modo. Ancora non riesco a credere che abbia provato e riprovato lo stesso percorso, – affaticando più del dovuto il mio corpo –, solo per rendermi ridicola davanti ai suoi occhi palesemente divertiti. E come se non bastasse, ha avuto persino la faccia tosta di sorridermi strafottente, – sottolineando il potere che, sfortunatamente, esercita su di me –, ricordandomi dell'allenamento del giorno dopo. Se prima mi stava sulle palle, adesso, vorrei vederlo morto, sotterrato sotto cumuli di terra.

Scosto le coperte poggiando i piedi nudi sul pavimento gelido. Lancio un'occhiata a Lily e mi accorgo che effettivamente è già sveglia ma – come ogni mattina – resta seduta per almeno cinque minuti sonnecchiando. Fa sempre così: coma farmacologico per pochi minuti e poi aria spumeggiante per il resto della giornata.

Purtroppo, anche per lei sarà una giornata parecchio estenuante. Non sarò l'unica che subirà ore ed ore di allenamento pesante ma credo che per lei sarà un po' più sopportabile. Benché i cinque lavorino per la stessa persona e perseguono la stessa procedura, sono sicura che nessuno somigli caratterialmente al mentore che il colonnello mi ha propinato. Sono sicuramente molto severi e austeri ma non imbastarditi come Claflin.

« Cosa dovrai fare oggi?» chiede con voce impastata dal sonno.

Scrollo le spalle. « Poligono»

Annuisce lentamente e scostando le coperte si alza definitivamente dal suo letto.

« Fuori o al solito?»

Cammino a passi lenti verso il mio armadio e, aprendo le ante, tuffo il mio viso all'interno. « Non ne ho idea, ho un bastardo come maestro» ribatto con un pizzico di avversione.

Le scappa una risata un po' roca ma ugualmente orecchiabile. « Un bastardo indiscutibilmente sexy» aggiunge maliziosa.

Ruoto gli occhi al cielo. « È un fottuto stronzo» ribadisco afferrando la canottiera nera ed una tuta. Non ho intenzione di indossare la divisa, anche perché sarebbe alquanto scomoda, soprattutto immaginando cosa potrebbe impartirmi.

« Come se tu non lo fossi» cantilena.

Chiudo le ante dell'armadio e mi avvio nel piccolo bagno in camera. Sfortunatamente abbiamo solo un water ed un lavabo mentre siamo sprovvisti di doccia, per questo motivo siamo costrette a lavarci insieme alle altre nei bagni comuni.

« Non è la stessa cosa»

Non nego di essere una tale stronza ma la mia condotta non può essere paragonata all'atteggiamento di Trevor. Non so se faccia lo stronzo 24 ore su 24 ma onestamente, per coloro sprovvisti di pazienza – come me, ad esempio – è fastidioso. Probabilmente si comporta così solo con la sottoscritta, magari perché gli sto sulle palle, chissà, ma spero per lui che non si sia fatto un'idea – considerato il trattamento di ieri – su di me totalmente sbagliata: non sarò il suo agnellino da passeggio e di certo non mi ammorbidirò al primo crollo nervoso.

Inarca un sopracciglio scettica. « Posso sapere cosa ha fatto? A me non sembra così stronzo, solo un tantino severo e inflessibile» chiede.

Lancio un'occhiataccia mortale e Lily alza le mani innocentemente.

« Ama prendermi per il culo e farmi perdere la pazienza»

Trattiene un sorriso. « Non ci vuole molto, in effetti», controbatte, riferendosi all'ultima cosa appena detta. « Ma cerca di non perdere il senno»

« Non ti prometto nulla!» urlo chiudendo la porta del bagno alle mie spalle.

La sento ridere e d'istinto un sorriso increspa le mie labbra.

L'acqua fredda colpisce il mio viso, risvegliando tutti i miei sensi addormentati. Poggio le mani ai lati del lavabo e sostengo il mio corpo facendo leva con le braccia. La mia figura si riflette allo specchio ed il sorriso – che dapprima increspava le mie labbra – muore lentamente. Non sono abituata a vedermi così, sempre con il sorriso sulle bocca, bensì sempre rigida ed inflessibile poiché non sento la felicità appartenermi. La sento estranea, sconosciuta, come una nota dissonante: come un salvagente in mare che potrebbe salvarti ma che poi le onde tumultuose del mare allontanano.

Un guscio vuoto, non sente l'impellente necessità della felicità.

Ed è così che mi sento.

Asciugo il mio viso bagnato e indugio fin quando non è del tutto asciutto. Mi vesto velocemente e intreccio i miei capelli in una treccia laterale.

Lascio il bagno e ritorno nella mia stanza, trovando Lily già vestita mentre aspetta, seduta sul suo letto sistemato, di poter usufruire del bagno.

« Ti conviene sbrigarti, tra venti minuti inizierà il tuo addestramento» comunica la bionda, sorpassandomi.

Aggrotto la fronte. « E tu come lo sai?»

Fa spallucce. « Me lo ha detto Drew, a quanto ho capito seguono un ordine ben preciso» ammette tranquillamente.

« Ti ha dato il permesso di chiamarlo per nome?» domando sorpresa.

Morde il labbro inferiore. « Non è l'apice della simpatia e della gentilezza», guarda un punto alle mie spalle. « ma si, me lo ha concesso. Dice che quando lavoriamo posso farlo... anche se aspetto esteriore a parte, l'atteggiamento è molto simile a quello di Trevor»

Scrollo le spalle. « Beh, almeno non si comporta da stronzo perenne e non ordina, come se fosse il presidente degli Stati Uniti, che mi rivolga a lui come se fosse un superiore» borbotto.

« Lo è, Ara» ride sonoramente.

Ruoto gli occhi al cielo. « Non mi importa un accidenti, dovresti saperlo. E poi non mi rispetta e sai cosa penso a riguardo»

« Il rispetto è misurato: tu rispetti me ed io rispetto te, in caso contrario non me ne frega un cazzo, ripagherò con la stessa moneta» recita le mie parole e trattengo una risata.

« Sei inquietante, lo sai?» la riprendo pronta per andare.

« Nah, ho solo imparato le tue perle» scherza.

Rido guardandola e scuoto il capo. Lily entra in bagno, usufruisce velocemente di quest'ultimo e poi corre verso l'uscita.

Chiude la porta della nostra stanza e ci avviamo.

« Cosa farai oggi?» chiedo curiosa.

Stringe la coda appena fatta guardandomi di sottecchi.« Piscina...» brontola.

Sorrido. So bene quanto odia nuotare ma è costretta a farlo, senza poter replicare.

« Non è male e poi potrebbe servirti, lo sai» la incito ma la mia amica sbuffa solamente.

« L'unica cosa positiva è vederlo in divisa. Non puoi capire che culo che esce fuori con quei pantaloni... » divaga estasiata.

Scuoto il capo. « Sei assurda»

« Sono realista e tu smettila di fare la puritana, io lo so che la tua testolina è molto perversa», sorride maliziosa provocando l'ennesimo mio sbuffo infastidito. «ma adesso devo andare, o dovrò sorbirmi la ramanzina di Mr. Culo dell'anno» afferma e con un cenno della mano mi saluta.

Le nostre strade si dividono e prendo un respiro profondo. Guardo l'orologio al polso e noto che ancora mancano cinque minuti, così mi dileguo aumentando il passo: arriverò in anticipo questa volta.

Dalle finestre noto che non c'è nessuno al poligono all'aperto ed intuisco che sicuramente ci alleneremo al chiuso.

La porta è socchiusa e senza far alcun rumore entro dentro, chiudendola subito dopo. L'enorme sala è avvolta dal silenzio. Non c'è nessun individuo che si allena e, dalla precedente 'riunione', capisco che probabilmente Marxwell non voglia soggetti esterni durante l'addestramento.

I miei occhi vagano alla ricerca della figura alta e muscolosa di Trevor ma, oltre al silenzio che mi avvolge e al cattivo odore dei bossoli, non individuo un bel nulla.

Evidentemente non è ancora arrivato, anche se la porta socchiusa indica che probabilmente sia già qui ma stia facendo qualcos'altro.

Ciononostante approfitto del tempo libero per scegliere una cabina, e dopo aver scelto quella che preferisco più di tutte, mi dedico alle armi.

Osservo i diversi tipi di pistole, accarezzando la conformazione diversa di ognuna. Valutando la differente forma tra una beretta APX ed una M9A3, la discordante impugnatura tra una Stoeger Cougar ed una 87 Target. Armi che non possiamo minimamente toccare se non sotto ordini superiori. L'unica arma che ci è concessa utilizzare, è la beretta 92 FS ma non è la stessa cosa, la differenza si nota e anche tanto.

Personalmente amerei impugnare una 98 FS Inox, sarebbe qualcosa che vorrei provare ma so bene che per poterlo fare devo necessariamente lavorare sodo e soprattutto acquisire manualità. Lily è molto abile in questo, è capace persino di spiegare la differenza tra un cane di una Px4 Storm Full ed una Storm Inox, senza averla mai utilizzata.

Sfioro tutti i modelli presenti sul ripiano e indugio sulla pistola che dovrò utilizzare.

« Pensavo fossi già pronta per iniziare»

Sobbalzo nel sentire la sua voce e mi volto individuandolo solo a qualche metro dalla mia figura.

I suoi occhi non si incastrano con i miei, ma osservano minuziosamente come le mie dita esitano a toccare le armi.

Sembra assente in questo momento, come se materialmente fosse qui ma con la testa si trovasse da tutt'altra parte. È poggiato al muro con le braccia incrociate al petto, i pantaloni scuri cadono perfettamente giù, lungo i suoi fianchi e le sue gambe ben predisposte, ed il suo addome scolpito si intravede perfettamente dalla maglia – del medesimo colore – che indossa. I capelli sono sempre e comunque scompigliati e intuisco il motivo proprio adesso, quando solleva il braccio per poter portare indietro il ciuffo scuro.

Le mie iridi bruciano sul suo corpo e scrutano senza alcun timore i tratti del suo viso contratto, il cipiglio profondo che deturpa i lineamenti spigolosi ma giusti per il suo volto ed i suoi occhi assorti, in chissà quali pensieri lontani, di un colore così naturale; un verde intenso ma intriso di mille sfumature diverse.

« A quanto pare, no» rispondo a tono, distogliendo lo sguardo. Accantonando in una parte remota della mia testa le riflessioni del momento.

Sembra riprendersi dallo stato di trance e finalmente incrocia i nostri occhi.

« Qual è la differenza tra una revolver ed una pistola semi-automatica?» chiede d'un tratto staccando la sua schiena dal muro.

Inarco un sopracciglio, allontanando la mano dal bancone.

« La revolver è una tipica arma western, con l'impugnatura simile a quella delle pistole a tamburo. Inoltre, gli elementi principali sono distribuiti circolarmente e nel momento in cui avviene lo sparo, lo spinotto di rilascio libera il cilindro e lo fa ruotare dietro la canna. Mentre l'arma semi-automatica funziona grazie a un meccanismo scorrevole e a munizioni pre-caricate» spiego fluida e con serietà.

Gioca con il suo labbro inferiore annuendo. « Cos'è importante ricordare prima di sparare?» interroga.

« Saper scegliere la pistola, in base al contesto, e le munizioni adatte alle esigenze», mi prendo del tempo per pensare ma in tutto ciò non smetto di guardarlo. « È importante, soprattutto, proteggere gli occhi e le orecchie, e tenere la pistola puntata verso il basso, per questioni di sicurezza»

Il suo cenno mi gratifica e ringrazio mentalmente Lily per tutte queste lezioni gratuite da parte sua. Lei se la cava meglio di me ed io, ovviamente, ne approfitto.

« Incominciamo, allora» ordina.

« Va bene»

Avanzo verso il banco delle attrezzature e afferro le cuffie ed un'apparecchiatura per proteggere gli occhi. Prendo la pistola e mi assicuro che abbia la sicura. Faccio attenzione a tenere le dita lontane dal grilletto e le distendo ai lati appoggiandole.

Apro la mano dominante mostrando l'incavo tra l'indice e il pollice e mi aiuto con l'altra mano. Con il pollice da un lato dell'impugnatura, tengo il dito medio, l'anulare e il mignolo piegati intorno all'altro lato, sotto il guardamano del grilletto. Tengo stretta la pistola ma evitando il tremolio, e cerco di ricordare tutte le indicazioni di Trevor – di qualche settimana prima – assumendo una postura corretta.

« Ricorda a quale inclinazione posizionare il busto e le gambe» indica.

Ascolto le sue parole, dopo di che mi assicuro che il mirino anteriore e quello posteriore siano allineati.

Punto il bersaglio, mettendo a fuoco il mirino anteriore e carico il colpo in canna tirando indietro il carrello per poi rilasciarlo.

Controllo il respiro, perché è importante sincronizzare lo sparo alla respirazione, tolgo la sicura e non appena sento di aver seguito tutte le indicazioni premo il grilletto.

Il colpo segna perfettamente il centro.

« Potresti fare meglio» dice Trevor, facendo morire il sorriso che increspava le labbra fino a qualche secondo fa.

« Ho centrato il bersaglio» gli faccio notare inarcando un sopracciglio.

Scioglie il nodo creato dalle sue braccia e si avvicina alla mia figura.

« Hai impiegato esattamente tre minuti e quarantotto secondi per sparare. Non hai ancora preso confidenza con l'arma, non sei sicura, tentenni ed il tremolio non è per niente controllato. Hai centrato il bersaglio solo perché, all'ultimo secondo, hai leggermente spostato la gamba, ma nemmeno te ne sei accorta»

Rimango impassibile al suo pseudo rimprovero e lo fisso: ha la capacità di smontare l'entusiasmo in un batti baleno.

« Voltati» ordina e in automatico lo faccio.

Gli do le spalle e, come l'ultima volta, si posiziona dietro di me. Percepisco la schiena aderire perfettamente al suo addome scolpito, così come la sua altezza che sembra sovrastarmi.

« La sicurezza è la prima cosa che devi acquisire, non puoi permetterti di aspettare quasi cinque minuti per sparare. Se fossi stata in guerra, quei cinque minuti, ti sarebbero costati la vita» sussurra fermamente al mio orecchio.

Rabbrividisco e non per il respiro che solletica l'attaccatura che lega il collo alla mascella, – forse in parte –, ma per la supposizione agghiacciante appena rilasciata.

Non ha tutti i torti ma non ho minimamente pensato al tempo impiegato.

« Non distrarti, posizionati nuovamente» mi sveglia dai miei pensieri e annuisco sbattendo le palpebre.

Seguo le medesime istruzioni, ovviamente con qualche accorgimento dal ragazzo dietro di me, e punto la pistola. Premo il grilletto ed il colpo fuori esce colpendo il bersaglio.

Colpisco il centro e sorrido fiera.

« Smettila di sorridere, ti vedo» mi riprende irritato, staccandosi dalla mia schiena.

Ruoto gli occhi al cielo. « Posso respirare?» mi volto, tirando su un sorriso finto.

La sua mascella si contrae. « Meno sarcasmo, Nelson» taglia corto, fa un cenno con la mano e gli do nuovamente le spalle.

Posiziono la pistola davanti al mio viso. « Dispotico» commento divertita.

Non riesco nemmeno ad incazzarmi per il suo tono, si irrita per la qualunque.

« Chiudi questa fottuta bocca, Arabella, e spara» sbotta.

Rettifico: fottutamente stronzo.

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Capitolo 16
*** Capitolo Quindici ***


L'ora di pranzo arriva velocemente ma per i seguenti motivi, – tra cui i continui ordini impartiti da Trevor, i nervi a fior di pelle ogni qualvolta che i colpi sfioravano il bersaglio o direttamente lo scansavano, ed i suoi rimproveri duri e taglienti –, non mi sono resa conto delle ore passate in questo poligono al chiuso. La mano, a furia di impugnare l'arma nel modo più rigido possibile, inizia a dolere ma non mi soffermo sul lieve dolore bensì sul bersaglio che ho beccato, si e no, diciotto volte su migliaia di tentativi. Forse è la presenza di Trevor a distrarmi e non intendo quel tipo di deconcentrazione. I suoi continui comandi, le sue parole taglienti, talvolta anche offensive, ed i ripetuti richiami, mi alterano solamente. Di conseguenza non riesco più a concentrarmi e, dunque, a concludere l'addestramento nel miglior modo possibile.

« Basta così. Non sei per niente concentrata e questo non va bene. Fai una pausa ma fra meno di un ora ti voglio qui, intesi?»

Il suo viso accigliato e la sua voce burbera mi riportano alla realtà e, presa da un impeto di rabbia, metto la sicura e sbatto la pistola sul bancone. Mossa sbagliata, perché parte un colpo, senza che io me ne accorga, e la pallottola colpisce il vetro scheggiandolo.

Il tutto accade velocemente ma l'urlo di dolore sembra un suono fin troppo prolungato.

Sobbalzo deglutendo, quando la mia mano sfiora la spalla destra e sento del liquido bagnarmi le dita.

« Cristo, Ara!», impreca Trevor, allungando il passo. « Sei impazzita, per caso?»

Me lo ritrovo ad una spanna dal mio viso ed il suo volto corrucciato punta direttamente sulla ferita. Un lampo di preoccupazione attraversa i suoi occhi ma, mi rifiuto di credere che lui, Trevor Clafin, possa preoccuparsi per me.

Anche se non è poi così assurdo.

La lesione brucia parecchio e mi ritrovo a stringere i denti per il dolore. « Merda, ho messo la sicura...» sibilo con voce spezzata.

Sospira pesantemente guardandomi. « Evidentemente non lo hai fatto», ribatte aspramente. « E guarda cos'è successo»

I suoi occhi perlustrano la zona soffermandosi prima sulla pistola poggiata malamente sul bancone, poi sul vetro scheggiato ed infine a terra. « Vieni con me» ordina ed il suo tono non ammette repliche.

Annuisco perché non riesco a ribattere. So per certo che la pallottola non mi abbia presa perché il dolore sarebbe stato atroce, mentre questa fitta è leggermente sopportabile. Che diamine mi è saltato in testa? Non so per quale assurdo miracolo io sia ancora viva.

Trevor avanza velocemente mentre io cerco di mantenere il suo passo, bloccando la ferita con la mano. Non so fino a che punto convenga ma, al momento, non me ne può fregar di meno.

Il moro si ferma davanti ad una porta proprio all'ingresso e abbassando la maniglia entra dentro. Non si riesce a vedere nulla a causa del buio ma quando Trevor accende l'interruttore, la luce illumina il posto ed io capisco dove effettivamente ci troviamo.

La piccola stanza è una sorta di infermeria, composta principalmente da un lettino, da un lavabo e da attrezzi e medicinali che servono per situazioni del genere.

« Perché ci sono due ambulatori?» chiedo curiosa, non muovendomi dalla mia postazione.

Abbasso gli occhi sulla pozza di sangue che impregna la mia maglia e deglutisco nuovamente. Non so in che condizioni sia la spalla ma spero nulla di grave.

Trevor si muove all'interno della stanza e afferra qualche batuffolo di cotone, una garza e del disinfettante. È abbastanza sicuro mentre compie queste azioni e capisco che non è la prima volta che entra qui dentro.

« Per incidenti del genere. Nei casi più gravi non hai tutto questo tempo per raggiungere l'infermeria che si trova dall'altra parte dell'edificio» spiega, giustamente.

Lancia un'occhiata nella mia direzione e inarca il sopracciglio. « Che fai lì impalata? Siediti» sbotta, facendo un cenno verso il lettino alla mia destra.

Potrei rispondere a tono alla sua affermazione acida ma lo spasmo mi costringe a digrignare i denti. « Potresti anche evitare di fare lo stronzo continuamente» inveisco, avvicinandomi al lettino.

Lo vedo serrare la mascella. « Dovresti ringraziarmi del fatto che non ti stia urlando contro» risponde prontamente.

Mi siedo sul lettino e ruoto gli occhi al cielo.
Come se non lo stesse già facendo, penso.

« Ero nervosa perché qualcuno non ha fatto altro che impartire ordini, distraendomi» controbatto affondando i denti nel labbro inferiore, cercando di non pensare al sangue che cola e che bagna il tessuto leggero. Il dolore è dilaniante.

La sua figura avanza verso di me e non distolgo lo sguardo nemmeno quando i suoi occhi scuri e senza espressione mi guardano.

« Non è una fottuta giustificazione. Se non ti fossi spostata, avresti preso la pallottola in pieno e, di certo, non ti troveresti qui in questo momento ma in un cazzo di cimitero»

Le sue parole sono sufficienti a tappare la mia bocca in un nano secondo. La sola ipotesi gela il sangue nelle mie vene. Non mi sento di ribattere, così abbasso lo sguardo sulle mie gambe appena divaricate.

Le sue mani si poggiano sulle mie cosce e le stringe intimandomi di aprirle di più. Lo faccio e si posiziona tra di esse.

Sollevo lo sguardo solo per ritrovarmelo a pochi centimetri di distanza ma la sua attenzione è puntata sugli arnesi al suo fianco.

La vicinanza non mi imbarazza ed evidentemente nemmeno a lui, tant'è che quando solleva gli occhi mi accorgo della tranquillità e dell'impassibilità che li attraversa.

« Togli la maglia» istruisce.

Annuisco impercettibilmente e, anche se togliermi la maglietta mi mette a disagio, lo faccio.

Mi aiuta a toglierla, soprattutto quando devo necessariamente toccare il punto esatto. Gemo silenziosamente stringendo il mio labbro inferiore fino a farlo sanguinare.

Resto in reggiseno e prendo un respiro profondo. Le sue iridi scrutano il mio volto e per mia sorpresa evita di guardare in posti poco opportuni. Sotto questo punto di vista, mi ritrovo a ringraziarlo mentalmente.

Le sue mani sfiorano il mio braccio e le sue dita, delicatamente, salgono su tutto il perimetro esposto. I polpastrelli sono freddi e la temperatura entra in netto contrasto con il calore che emana il mio corpo. Eppure non mi dà alcun fastidio, sembra distrarmi dal malessere momentaneo.

I suoi occhi verdi ipnotizzanti incontrano i miei e, in tacito silenzio, traccia scie invisibili, quasi a chiedermi quel permesso che fondamentalmente gli concedo, fin quando blocca il suo percorso.

Osserva, con un cipiglio profondo in viso, ciò che il sangue nasconde e ciò che la macchia rossa non dà modo di vedere.

Nel frattempo, però, approfitto per esaminare il suo profilo alquanto preciso: il taglio particolare dei suoi occhi, il naso dritto e leggermente all'insù e le sue labbra carnose e rosee. Il neo posto sulla mascella delineata, – leggermente più sotto –, ed i capelli che incorniciano il suo volto. Senza controllare i miei pensieri, mi ritrovo a constatare quanto sia effettivamente attraente.

« Il proiettile ti ha solo sfiorata, non è una lesione grave» decreta, dopo un'accurata osservazione.

Sbatto le palpebre e mi acciglio. « E perché tutto questo sangue?»

« Ti sei procurata un taglio non troppo profondo ma è normale che ci sia sangue» scrolla le spalle.

« Adesso disinfetto il taglio ma farà un po' male» mi avvisa tranquillo, lanciando un'occhiata fugace.

Annuisco e seguo le azioni che compie subito dopo. Prende un batuffolo di cotone, lo imbeve di disinfettante e lo avvicina alla mia spalla, tutto questo osservando le mie espressioni di sottecchi.

Risucchio un respiro quando poggia il bioccolo sulla carne dilaniata dal proiettile. La sensazione di bruciore e sofferenza lacera le mie interiora e allo stesso tempo le attorciglia dando origine ad uno spasmo tormentoso. Piagnucolo silenziosamente, strizzando gli occhi e affossando i denti nel labbro inferiore.

« Fa male, lo so»

« Ma dai?! Ed io che volevo ballare una samba per lenire il dolore» sbotto ironicamente, anche se sembra più una battuta acida ed infelice.

Fa un male cane!

Sorride mettendo il mostra le sue fossette e scuote il capo. « Non riesci proprio a stare zitta, vero?» asserisce ma sembra divertito.

E chissà come mai la sua vena simpatica mi irrita più del dovuto.

« È tutta colpa tua, cristo!» sibilo stringendo lo strato di carta che copre il lettino di pelle scura.

Inarca un sopracciglio. « Se questo ti fa stare meglio, vai pure»

Decido di non rispondere e attendo che finisca di medicare il taglio. Trevor sembra concentrato e mostra di essere molto attento e preciso, in ogni gesto che compie e in questi minuti. Toglie accuratamente tutto il sangue ed elimina ogni traccia del liquido – anche quando quest'ultimo preme nuovamente di fuoriuscire. Afferra la garza pulita e inizia ad avvolgerla lentamente, prestando attenzione ad ogni sibilo emesso dalla mia bocca.

« Da quanto tempo lavori qui?» domando curiosa.

Solleva gli occhi per alcuni secondi ma non sembra intenzionato a rispondere. In realtà, non mi aspetto che risponda, non dà l'impressione di essere il tipo che ama il dialogo o semplicemente parlare della sua vita privata. Un po' mi ritrovo ad accostarmi a lui e ad alcuni tratti del suo carattere. È simile a me, in molte cose ma non in tutte.

Eppure, per l'ennesima volta, mi sorprende.

« Avevo sedici anni la prima volta che misi piede in un edificio del genere» risponde neutro.

« Dove si trova l'edificio di cui parli?» chiedo.

Sospira pesantemente. « Boston»

Il rumore della garza è l'unico suono percepibile, assieme al ritmico battito dei nostri cuori e ai lievi sospiri che fuoriescono dalle nostre bocche.

Pensavo avesse esperienza ma non immaginavo che avesse iniziato a fare questo lavoro in così tenera età. Era ancora un ragazzino quando ha incominciato ma, adesso, mi spiego come fa ad essere esperto in tutto. Sono anni che svolge questa funzione, anni che si allena e, probabilmente, anni che non sa cosa voglia dire mettere piede fuori da qui. La curiosità risale a galla e le domande che vorrei porgli aumentano sempre più.

Lo guardo senza distogliere lo sguardo. « Di solito accettano reclute che hanno compiuto i diciotto anni di età. Come sei riuscito ad entrare così presto?»

La legge cita questo e non capisco come abbia fatto ad entrare.

Prende un respiro profondo, evidentemente irritato dalle mie domande ma non voglio lasciar perdere.

« Ho finito. Cerca di medicare la ferita almeno due volte al giorno, non trascurarla» svia la domanda e mi acciglio. Indosso velocemente la maglia e la giacca, il tutto con il suo aiuto.

Cerca di allontanarsi subito dopo dalla sua postazione, aiutandosi con i palmi delle sue mani ma di istinto le mie dita si aggrappano ai suoi avambracci. La presa lo costringe a bloccarsi ed i suoi occhi immediatamente si incastrano con le mie iridi scure.

Si acciglia, stringendo inconsapevolmente le mie cosce, e per alcuni secondi regna il silenzio assoluto.

Il mio è stato un gesto dettato dall'impulso e adesso non riesco a pensare a cosa sia giusto e a cosa sia sbagliato. Se la mia curiosità deve andare a farsi un giro o se deve sgusciare via dalla presa della razionalità.

« Rispondi» esigo, anche se la mia non voce non risulta stranamente dura.

Trevor serra la mascella e continua a fissarmi intensamente. Ho l'impressione che voglia urlarmi contro eppure non lo fa.

« Hai mai sentito parlare di privacy?» chiede retorico.

Ruoto gli occhi al cielo e stringo maggiormente la presa, d'istinto fa la stessa cosa con le sue grandi mani.

« Detto da te, è parecchio divertente» sbuffo una risata.

Passo una ciocca dei miei capelli dietro l'orecchio e, con la coda dell'occhio, mi accorgo dei suoi occhi inquisitori che esaminano il mio profilo.

Non incrocio, per nessun motivo, le sue iridi verdi ma concentro la mia attenzione ad ogni particolare della piccola stanza. In effetti, non c'è molto da guardare, ma trovo qualsiasi cosa molto più avvincente delle sue gemme arcane e ignote. All'inizio non mi sentivo così in soggezione ma, adesso, non posso fare a meno di sentirmi così.

Il silenzio diventa piuttosto imbarazzante quando, in un gesto totalmente intrinseco, avvicina le sue dita al mio viso. Indugia sul mio zigomo sinistro e mi impongo di non rabbrividire per il suo tocco sicuro ma allo stesso tempo delicato. Non l'ha mai fatto, non si è mai approcciato in questo modo così intimo con me. Anche perché non facciamo altro che lanciare sassi, ogni qualvolta che ne abbiamo l'occasione.

Non mi lascio toccare così facilmente da qualcuno e, quando accade, scanso malamente il tocco, poiché la maggior parte delle volte lo reputo estraneo, non voluto.

Ma non è questo il caso.

I suoi polpastrelli ruvidi sfregano la mascella e creano un percorso tutto loro, arrivando a sfiorare il labbro inferiore. Ma è un movimento quasi impercettibile, tenue, quasi astratto.

Deglutisco quando incontro il suo sguardo perso, inghiottito in chissà quale dissimulato pensiero. Mi guarda ma non sono sicura che lo stia facendo davvero, i suoi occhi non sono qui, con me.

Mi scosto non troppo bruscamente e la sua mano cade, poggiandosi distrattamente sulla mia coscia.

Mi schiarisco la gola. « Credo sia meglio andare» dico semplicemente, un po' a disagio.

Si tira indietro e annuisce ma, a differenza di qualche minuto prima, non ribatte. Mi guarda un'ultima volta e poi mi dà le spalle, dileguandosi.

La porta si chiude in automatico non appena la sua figura scompare e rimango a fissarla per qualche altro secondo.

Prendo un respiro profondo e, aiutandomi con le mani, – ovviamente senza far pressione –, scendo dal lettino. Porto con me qualche altra garza e qualcosa che possa servirmi a curare la ferita nei prossimi giorni e lascio la stanza.

Mi guardo attorno ma di Trevor non c'è nemmeno l'ombra. Vorrei tanto capire cosa gli è preso.

La mia mano, involontariamente, poggia sulla mia guancia, – laddove le sue dita hanno indugiato fino a poco tempo prima –, e socchiudo gli occhi dal momento che riesco ancora a percepire quel contrasto generato dalla nostra temperatura corporea: gelo e calore.

Possono funzionare insieme?

Stacco immediatamente la mia mano dal viso, come se quest'ultimo mi abbia appena trasmesso una scarica elettrica. La intrufolo nella tasca della mia giacca, deglutendo. Mi rifiuto di continuare a pensare a queste futili cose.

Lascio il poligono, ma stavolta, non guardandomi indietro.

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Capitolo 17
*** Capitolo Sedici ***


La mensa è gremita di persone, chi si inserisce nella solita coda per accalappiarsi la pietanza accettabile e chi, come me, preferisce aspettare che tutti vadano via, in modo da poter scegliere qualcosa di commestibile da mettere sotto i denti. Al solito, gli obbrobri – perché chiamarle pietanze è troppo esagerato – non cambiano di una virgola, non esiste mangiare qualcosa che non sia purè verde o giallognolo, o qualche sorta di zuppa caratterizzata da un mix di spezie che ancora oggi non riesco ad accertare. Fortunatamente, nella famosa dispensa c'è sempre cibo che potrei mangiare e quindi non mi preoccupo ulteriormente. Al contrario di molti che, non sgarrando di una virgola, non sono a conoscenza delle mie scappatelle notturne in cucina. Di conseguenza, ingurgitano senza fiatare; anche se sono sempre più convinta che ci abbiano fatto l'abitudine.

I tavoli sono quasi tutti occupati, ovviamente dai soliti gruppetti giornalieri, che non aspettano altro che la pausa per poter spettegolare sui nuovi arrivati o sull'addestramento fiacco di qualche povera persona. Purtroppo, anche in questi luoghi esistono questi retroscena deplorevoli.

Individuo il solito tavolo, un po' più appartato rispetto agli altri, e mi dileguo velocemente. Gli occhi di Harley si posano su di me abbozzando un sorriso, io d'altro canto la imito ma il sorriso, che increspa le mie labbra, è molto più simile ad una smorfia.

Prendo posto, aderendo perfettamente allo schienale, e sollevo lo sguardo su Lily, – che si lascia cadere sulla sedia di fronte –, osservandomi con un cipiglio profondo. « Sbaglio o hai appena sorriso a Harley?» chiede scettica.

Inarco un sopracciglio. « Beh? Che c'è di strano?»

« Me lo chiedi davvero?» ribatte e nel frattempo toglie la pellicola dal suo piatto. A differenza della sottoscritta, ha preferito non aspettare il dopo cena perché afferma di aver troppa fame a causa degli esercizi pesanti ed estenuanti impartiti da Drew. Afferra le posate di plastica e taglia un pezzetto di carne, infilandolo in bocca il secondo dopo.

« Tu non saluti mai nessuno e, tanto meno, non sorridi alla gente» mi incalza masticando.

Storco la bocca disgustata dalla scena e Lily, intuendo l'antifona, apre la bocca scherzosamente con l'intento di far vedere il cibo tritato.

« Non è vero... », ribatto, ma quando alza entrambe le sopracciglia scettica, sbuffo. « Okay, è vero, ma ogni volta mi descrivi come una persona insensibile e burbera!» esclamo contrariata.

Scoppia a ridere rumorosamente, tant'è che molti occhi puntano il nostro tavolo curiosi, e ruoto agli occhi al cielo tirandole un calcio sotto il tavolo.

« Stronza bisbetica!» sbotta toccandosi il punto dolorante.

« Smettila, ti stai rendendo ridicola davanti a tutti» sibilo irritata, lanciando occhiatacce di avvertimento a coloro che si sono girati. Mi danno le spalle velocemente non appena se ne accorgono e, soddisfatta, torno nuovamente a guardare Lily.

« Cosa?» inveisco.

« Sei un tantino bisbetica e burbera, Ara, l'hai appena dimostrato»

Ruoto gli occhi al cielo imbronciata, e poggiando il gomito sul tavolo sostenendo il mio viso, la osservo mentre mangia tranquillamente.

« Odiosa» borbotto.

« Scorbutica» cantilena, continuando a guardarmi con un sorriso divertito.

Lascio cadere la discussione e Lily si dedica alla sua cena. Approfitto per osservare ogni viso presente, annoiata e scocciata per non poter far nulla a causa di questa ferita alla spalla. Il colonnello, dopo aver saputo dell'incidente al poligono, ha esplicitamente vietato e sospeso l'allenamento giornaliero. Il motivo scatenante è stato l'impossibilità di poter adempiere ad ogni tipo di esercizio, poiché la maggior parte richiedono l'impiego delle braccia.

« Hai messo la pomata?» chiede la bionda, distogliendomi dai miei pensieri.

Annuisco svogliata.

« Anche stamattina?»

Sbuffo. « Si, Lily, come tutti gli altri giorni» rispondo infastidita.

Mi guarda malamente. « E non comportarti così. Sei stata un' incosciente!» ripete per l'ennesima volta, da cinque giorni a questa parte.

« Lo so, non ricordarmelo ogni fottuto minuto» ribatto scocciata.

Prende un respiro profondo e distoglie lo sguardo puntandolo altrove. « Tu non sai come mi sono sentita non appena sei tornata in camera. Vedere quella maglia insanguinata ed il tuo viso provato... », deglutisce guardandomi nuovamente. « Mi sono preoccupata da morire» dice duramente.

I suoi occhi scuri e limpidi mi attraversando dentro. Mordo l'interno guancia e abbasso lo sguardo colpevole, non riuscendo a sostenerlo. So che si preoccupa sempre per me, non fa altro che prendersi cura, – anche se faccio finta di nulla –, di me, cercando di supportarmi in tutto e per tutto come se fosse una sorella maggiore ed io la sua pargoletta da proteggere. Tiene molto a me e anche se non me lo dice mai, me lo dimostra sempre. Che sia con qualche battuta pungente o, in questo caso, con il ricordarmi della pomata da mettere sulla ferita. Io so che puntualmente si angustia al pensiero di quello che mi è successo qualche giorno fa, ed è vero, sono stata un' incosciente ma non può costantemente vegliare su di me.

Tengo a lei più di me stessa, e se le dovesse accadere qualcosa ne potrei morire. È mia sorella, non di sangue, ma è come se lo fossimo. E vederla angosciata, per qualcosa che stupidamente ho fatto, mi rende frustrata.

« Lo so e mi dispiace. Sono qui, però, prometto che farò più attenzione» mormoro abbozzando un sorriso.

Afferra la mia mano e la stringe, incastrandole. Abbasso gli occhi sulle nostre mani intrecciate, un gesto che facevamo quando eravamo bambine, e sollevo di nuovo le mie iridi specchiandomi nei suoi pozzi scuri e limpidi.

« Non devi farlo per me, Ara, ma per te stessa. Sembra che la tua vita non valga nulla e invece non è così. Devi smetterla di svalutarla, ponendola sempre in secondo piano. Apprezzala. Non vivere solo perché devi. Non respirare solo perché è naturale farlo. Cambia visione e abbandona il tuo guscio»

Mi guarda, perché lei sa, perché lei c'è e perché, nonostante tutto, continua ad esserci direzionandomi verso la luce. Un abbaglio folgorante ma che mi accarezza lievemente, quasi come un raggio attenuato. Tuttavia, da sola non riesco, non sono in grado di imboccare il vicolo giusto... figuriamoci trovare la luce alla fine. Lily è l'ossigeno, colei che muove i miei fili e che li tiene appesi, il mio porto sicuro e la spalla su cui poter contare. Lei è il tutto racchiuso il una ampolla di niente.

Stringo la sua mano e incastro i nostri sguardi, uguali ma così diversi, cercando di infonderle la sicurezza e la convinzione di ciò che vorrei dirle ma che non riesco a pronunciare, perché non sono mai stata brava con le parole, perché, se parlassi, direi solo tante stronzate, tante cazzate che rovinerebbero tutto.

Perché non so parlare ma provo a saper dimostrare. E lei lo sa, per questo motivo, quando stringo maggiormente la presa, lei sorride.

Lei sa che vorrei dirle tutto ma, al contempo, si accontenta di poco.

E va bene così.

                               •••

È notte fonda quando abbandono la mia camera e scendo silenziosamente le scale. Restare chiusa in questa stanza mi sta opprimendo, mi sento come se le pareti possano schiacciarmi da un momento all'altro e continuare a negarmi ogni possibilità, non fa che ampliare le sensazioni scomode che si protraggono da giorni.

Le luci sono spente, i corridoi avvolti dal buio ed il silenzio agisce da culla, quasi come una sorta di ninna nanna inespressa. L'orologio al polso segna esattamente le due e cinquanta del mattino: praticamente notte fonda. Ma poco mi importa dell'orario folle, ho bisogno di respirare aria pulita, aria fresca.

Camminare con una sola felpa e dei leggins – che coprono a malapena i polpacci – non è un buon modo per uscire fuori, soprattutto con le temperature fredde e gelide che si abbattono sul posto nel cuore della notte. Ma la testa – per una volta – ha seguito il suo corso e mi ritrovo, infatti, con una coperta ad avvolgermi del tutto. Inoltre, non posso minimamente entrare in camera con il rischio certo di poter svegliare Lily. Quest'ultima ha il sonno leggero ma, considerati i duri addestramenti a cui è stata sottoposta ultimamente, non credo che possa svegliarsi. Tuttavia mi adeguo con ciò che possiedo, al momento.

Spingo la porta, che mi permette di uscire fuori, e rabbrividisco all'istante quando l'aria gelida colpisce il mio viso. Il cielo è scuro, direi nero come la pece, ma si riesce a vedere qualcosa grazie a dei lampioni posti ai lati sul retro. Le guardie non sono presenti ma, non appena mi guardo attorno, noto due uomini a qualche metro di distanza che sorvegliano l'ingresso.

Dalla mia posizione non riescono a vedermi ed è meglio così, non voglio che mi mandino di sopra.

Gli animali della notte riempiono il silenzio assordante, creando un'armonia di suoni piacevole. Mi siedo su una panchina – posta proprio accanto alla porta – e poggio la schiena al muro alle mie spalle, incrociando le gambe. La coperta, essendo abbastanza grande e pesante, mi avvolge del tutto, riparandomi dal freddo.

Tiro indietro la testa e mi beo dell'aria pulita che entra nei miei polmoni. Stare a letto non mi è servito molto, mi rendeva solamente irascibile ed esageratamente irritante. Così mi rilasso immediatamente, chiudendo gli occhi e spegnendo la mia testa per qualche minuto. Concentro la mia attenzione solo sui suoni dolci e melodiosi degli insetti notturni, che sembrano tenermi compagnia, ed inspiro ed espiro.

Ma la quiete momentanea viene interrotta da suoni costanti che provengono dalla mia destra. Sollevo le palpebre lentamente e aggrotto la fronte, volgendo il mio viso verso la fonte principale del suono. Non vedo nulla, se non le vetrate della piscina, ma considerata l'opacità di queste ultime non riesco a veder nulla.

Lancio un'occhiata all'orologio al polso – che segna le tre e otto minuti – e ritorno a guardare le ampie vetrate. Che ci sia qualcuno al proprio interno è un po' strano, considerato il fatto che sia notte fonda, ma, se dovessimo proprio dirla tutta non è che io stia effettivamente dormendo. Malgrado ciò, la possibilità che possa esserci qualcuno che si stia allenando non è del tutto da scartare.

Osservo un'ultima volta l'ambiente circostante e, prendendo un respiro profondo, entro dentro, curiosa di sapere chi sta padroneggiando in acqua a quest'ora della notte.

Cammino silenziosamente e lentamente, onde evitare che qualcuno possa vedermi e sentirmi. Scendo l'ultima rampa di scale – che portano dritte in piscina – e mi fermo quando noto la porta socchiusa. Chiunque ci sia lì dentro, non si è minimamente premurato di chiudere la porta.

Spingo quest'ultima e scruto il luogo, avvolto dalla luce azzurra della piscina che riflette sull'intero posto. È suggestivo il colore chiaro che pigmenta ogni cosa e piacevolmente gradevole.

Mi guardo attorno, stringendo la coperta poggiata sulle mie spalle, e d'un tratto la mia attenzione si posa sulla figura che sguazza tranquillamente e con maestria in acqua. Contrariamente alle norme imposte, il ragazzo che nuota non indossa la tuta. Ciò mi fa accigliare perché non si può nuotare senza l'attrezzatura adatta. Che sia qualcuno che infrange costantemente le regole?

Il ragazzo effettua tre vasche complete mentre io rimango sulla soglia a guardarlo. È indubbiamente molto bravo e questo mi incuriosisce ancora di più. Mille ipotesi su chi possa essere invadono la mia mente ma quando il ragazzo si avvicina alla bordo e vi poggia i gomiti, intuisco immediatamente chi sia.

Cosa ci fa Trevor in piscina? E soprattutto a quest'ora.

« Ti ho vista»

Sobbalzo al tono tranquillo ma inaspettato della sua voce. Districa i suoi capelli bagnati con la mano ma non si gira a guardarmi, mi chiedo come abbia fatto a capire che fossi io. Evidentemente mi ha vista mentre eseguiva le diverse vasche.

« Sai che ora è?»

Mi avvicino cauta, giocando con la coperta verde, analizzando ogni mossa che compie in questi brevi secondi. Non sembra sorpreso e tanto meno infastidito, piuttosto apatico. D'altronde me lo aspetto, entrambi ci comportiamo allo stesso modo, e da una parte riesco a comprenderlo bene.

Respira pesantemente seguendo con gli occhi gli ultimi passi compiuti, fin quando mi avvicino al bordo, sedendomi e incrociando le gambe.

Il tutto avviene in silenzio.

« Non hai risposto alla mia domanda» dico in tono pacato, conciliante.

Strano ma vero.

L'ultima volta che ho avuto un dialogo con lui è stato il giorno in cui stavo per uccidermi. Non so per quale motivo non si sia fatto vedere ma non è un mio problema o, comunque, qualcosa che dovrebbe interessarmi.

Fisso il suo volto bagnato dalle goccioline d'acqua e non distolgo lo sguardo nemmeno quando Trevor ricambia. Le acque si muovono, grazie al movimento delle sue gambe sul fondo. Non so come faccia a non patire il freddo, io, solamente guardando l'acqua rabbrividisco.

« Potrei farti la stessa domanda» risponde inarcando un sopracciglio.

Abbozzo un sorriso e annuisco. « Giusto»

Il sorrisetto sghembo increspa le sue labbra ma scompare così velocemente da domandarmi se sia stata una mia illusione o un gesto vero.

« Non riesco a dormire» confessa poi, in un sospiro stanco.

Il colore chiaro dell'acqua, in questo esatto momento, eguaglia il colore e le sfumature dei suoi occhi. Le sue iridi sono così chiare da inibirmi, così particolari da ipnotizzarmi. È pazzesco come riescano a mutare di giorno e di notte.

« Nemmeno io. Stare rinchiusa in quella stanza mi stava soffocando» confido.

Morde l'interno della sua guancia e annuisce. « La spalla come va?» chiede subito dopo.

« Guarisce, lentamente» affermo.

« Bene»

Si aiuta con i palmi delle sue mani ed esce dall'acqua. Quasi mi strozzo con la mia stessa saliva quando mi accorgo dell'indumento che indossa. Il suo corpo ben formato e muscoloso è provvisto solo ed esclusivamente da un paio di boxer. So che non dovrei esserne sconvolta, perché effettivamente l'ho visto nudo, non proprio visto che mi dava le spalle, ma il suo didietro era privo di qualsiasi cosa.

Quindi sì, tecnicamente è così.

Che sia messo bene non ci sono dubbi, sarebbe ipocrita da parte mia affermare il contrario, ma il ghigno che prende forma sul suo viso mi costringe a rimangiarmi le parole. Sa di essere bello, ed i miei occhi su di lui, sono solo un modo per convincerlo ancora di più.

« La foto ti basta o vuoi anche provare direttamente?» ghigna.

Gli lancio un'occhiataccia, « Il cervello lo hai o lo compri direttamente su eBay?»

Ruota gli occhi al cielo. « Frigida» commenta.

Serro la mascella e mi alzo immediatamente. Questo insulto poteva anche risparmiarselo.

Mi ritrovo ad una spanna dal suo viso e lo guardo duramente « Ripetilo» chiedo aspramente.

Mi guarda dall'alto ed indurisce i lineamenti del suo volto, le goccioline continuano a scendere sul suo viso ma non fa nulla per eliminarle.

I suoi occhi alternano e scrutano il mio viso. « Frigida» ripete nuovamente.

Il mio braccio si solleva pronto a colpirlo ma, prima che possa solo avvicinare il palmo della mia mano sulla sua guancia, la sua mano blocca il mio polso.

Cerco di liberarmi dalla sua presa ma invano, poiché continua a stringere provocando un mio gemito di dolore.

La sua mascella è serrata, ma poco importa se la sua espressione trasuda irritabilità.

« Non osare provarci mai più» sibila apatico.

Avvicino ancora di più il mio viso al suo, ritrovandomi a pochi centimetri di distanza e fisso le sue iridi, adesso scure. « Non darmi mai più della frigida, perché stavolta sei riuscito a fermarmi, ma la prossima, farò in modo che tu non lo faccia»

I nostri respiri si infrangono, e se solo provassi ad aprir bocca, riuscirei ad inghiottire il suo ansimo nervoso.

La presa al mio polso si stringe ulteriormente, ma, dopo qualche secondo molla il mio polso. Accosta le sue labbra al mio orecchio e rabbrividisco non appena il fiato accarezza la mia pelle.

« Non giocare con il fuoco, Arabella, rischi di bruciarti»

Non ribatto, semplicemente rimango ferma sul posto. E l'unica cosa che faccio subito dopo è fissare la sua figura, che lentamente, avanza verso gli spogliatoi.

Stronzo.

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Capitolo 18
*** Capitolo Diciassette ***


Le giornate si susseguono veloci e monotone, gli addestramenti diventano sempre più frequenti e opprimenti, come la sensazione che pian piano inizia ad insinuarsi dentro di me. Gli ordini sono assillanti, graduali al tipo di esercizio ma difficili da eseguire, di conseguenza aumentano i tentativi eseguiti di volta in volta. Come se non bastasse, la pressione del mistero incomincia a farsi sentire sempre di più. Tutte noi lavoriamo sodo, non ci lamentiamo per niente, abituate, ormai, al dispotismo dei nostri mentori. eseguiamo e ci potenziamo, diamo il massimo ma non è mai abbastanza. La questione diventa frustrante e avvilente, ma, la cosa che preme maggiormente, è il punto di domanda che cresce e diviene via via più evidente e marcato. Lavoriamo, facciamo più del dovuto, non contestiamo ma il motivo per cui facciamo tutto ciò - da quasi un mese - non ci è concesso saperlo. Tutte abbiamo provato, almeno una volta, a capire di più sulla faccenda ma sono tentativi vani perché nessuno dei cinque è disposto a rispondere. È inutile anche continuare a provarci perché si rischia solo una punizione e, considerati gli allenamenti estenuanti e dannatamente spossanti, non abbiamo minimamente intenzione di azzardare più del dovuto. Il rapporto con Trevor si evolve in peggio, non che avessimo una relazione tranquilla, - considerate le volte in cui litighiamo aspramente -, ma è stressante non riuscire a trovare un punto di incontro e la colpa, fondamentalmente, è di entrambi. Io perché non voglio mai dargliela vinta e lui perché preferisce avere un vero e proprio distacco dal genere umano. Sono sempre più convinta che non gli stia simpatica e che lavorare con me sia il peggior incarico mai avuto. Non me ne può fregar di meno, anche perché se lui non è il primo a tendere le mani, di certo, non sarò la stupida di turno che prenderà l'iniziativa. Ci prova gusto a stancarmi e a farmi innervosire ed io non voglio instaurare un rapporto - solo ed esclusivamente lavorativo, sia chiaro - con una persona del genere. Il fatto, però, che più mi dà rabbia è che soltanto noi due non riusciamo ad andare d'accordo. Per quanto gli altri quattro siano bastardi, - ma davvero tanto bastardi - , riescono ad avere un dialogo pacifico con le ragazze. Tant'è che queste ultime non si sono mai lamentate, tranne ovviamente per lo stress causato dagli esercizi, ma questo è un'altra faccenda. Persino Drew, che è la fotocopia caratteriale di Trevor, riesce ad avere un rapporto civile con Lily e non è facile. Lei sembra in apparenza la persona più tranquilla e pacata del mondo, ma poi, basta poco per vederla ruggire. Eppure non succede, loro due vanno d'accordo e Drew sembra proprio soddisfatto.

Oggi, come da qualche giorno a questa parte, ci troviamo in uno dei laboratori di chimica dell'edificio. Gli unici che hanno il permesso di mettere piede qui sono, solo ed esclusivamente, i militari abilitati in questo campo. Svolgono anche esercizi fisici, in parte, ma la loro funzione principale è la creazione delle armi. Il loro compito, sostanzialmente, è quello di produrre ed elaborare costituenti chimici che servono a ferire, mettere fuori combattimento o addirittura uccidere i nemici in missione, o comunque hanno il compito di creare munizioni. Di solito, si occupano di produrre gli irritanti che sono: lacrimogeni, urticanti e starnutatori. Vescicanti, come ad esempio, gli arsenicali e poi ci sono i soffocanti come la fosgene e la cloropicrina ed infine gli inibenti: efficaci fino a 36 ore. Si possono considerare composti basilari e non troppo letali, anche se tutto dipende dalla letalità di ognuna.

E infine, gli esplosivi, i cui effetti distruttivi sono dovuti al fuoco, principalmente o alle esplosioni, ma questo tipo di studio e pratica richiede anni e anni di preparazione. In guerra queste armi sono poco utilizzate perché possono causare seri danni e, fondamentalmente, non se ne richiede l'utilizzo. Tuttavia, è importante conoscere la maggior parte delle attrezzature a disposizione.

La lezione, tenuta da Drew, dura all'incirca due ore. In questi centoventi minuti ha spiegato l'importanza della chimica, cosa si può realizzare con quest'ultima e soprattutto a cosa serve in questi casi. È molto preparato su questo argomento, non ha avuto alcun momento di défaillance e la cosa sorprendente è che non avrà chissà quanti anni esperienza. O per lo meno, non sembra possa avere i ventotto anni di età. La lezione è finita da pochi minuti ma siamo ' costrette ' a rimanere in laboratorio per ulteriori spiegazioni. Non tutti sono abilitati in questo settore; Trevor, ad esempio, conosce solo le cose basilari ma è molto più portato a fare altro. In questi minuti, hanno anche informato - in maniera povera - di cosa principalmente si occupano e, anche se Marxwell ha impedito loro di accennare anche una sola parola, questi ultimi hanno deciso di farlo ugualmente.

Ovviamente, ciò non deve scappare dalle nostre bocche ma non è un problema.

« Potresti utilizzare un lacrimogeno» bisbiglia Lily al mio orecchio.

Aggrotto le sopracciglia e lancio un occhiata stranita. « Eh?»

« Per Trevor» interviene Jessy inarcando un sopracciglio.

Lily annuisce dandole manforte. « Quando si comporta da stronzo, agisci»

Ruoto gli occhi al cielo. « Smettetela» le ammonisco.

Entrambe ridono della mia espressione infastidita ma concentro la mia attenzione su altro. So bene che se dessi loro anche un minimo di conto mi tartasserebbero le ovaie. L'unica meno propensa a farlo è proprio Harley ma sono a conoscenza del motivo per cui stia sulle sue. O per lo meno, questo accade solo con me ed il motivo principale non è poi così difficile da intuire.

« Quanto sei burbera» borbotta la più piccola, passando una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

La bionda si avvicina al suo orecchio e scoppia a ridere.

« Avete finito di ridere come delle fottute scolarette?»

La voce di Drew interrompe le loro risate ed un ghigno si forma sulle mie labbra.

Si scusano immediate ma non passa inosservata la faccia di Lily. Lo guarda con un sopracciglio inarcato ed un espressione scettica.

Harley reprime una risata ma quando lancio un'occhiata nella sua direzione, indurisce i lineamenti e ritorna a fare ciò che stava facendo con movimenti del tutto nervosi.

Scuoto il capo e abbasso quest'ultimo concentrandomi sulle componenti chimiche poste sul bancone.

Lei è convinta che non lo sappia ma invece so benissimo delle scappatelle con Trevor, del sesso con quest'ultimo e della sua gelosia insensata nei miei confronti. Presume che quel coglione provi interesse per me ma non sa che, invece, a malapena riusciamo a stare nella stessa stanza. Ovviamente, tutte queste cose le so grazie a Lily, -non che mi interessi sapere della vita sessuale di entrambi, comunque -, ma è inevitabile. La loro pseudo relazione è una vera e propria trasgressione alle regole del colonnello ma, evidentemente, non è la prima volta che ciò accade ed io non mi stupisco più di tanto.

Non me ne frega un cazzo se fanno sesso ogni sera, è l'ultimo dei miei pensieri.

Il punto è che per Trevor è solo sesso ma per Harley non lo è. Tuttavia, non sono fatti che mi riguardano.

Veniamo congedate una decina di minuti dopo da Paul e, fortunatamente, non abbiamo alcun addestramento per l'intero pomeriggio. Harley va in camera sua, Jessy rimane a parlare di chissà che cosa con Lily mentre io mi limito a seguirle pensierosa.

Mi chiedo quando sarà il momento di mettere le carte in tavola. Marxwell non può tenerci all'oscuro della faccenda ancora per molto, è insensato e parecchio illogico. Tuttavia, non posso pretendere spiegazioni, per motivi abbastanza ovvi ma dannatamente ridicoli.

« Stasera ci sei, allora?» la voce squillante di Jessy sopraggiunge destandomi dai miei pensieri costanti.

Scrollo le spalle. « Non vi stavo ascoltando. Stasera, cosa?»

Lily ruota gli occhi al cielo mentre Jessy sbuffa. « Alla festa di ogni venerdì» dice ovvia.

Scuoto il capo. « Assolutamente no» rispondo perentoria.

Mi è già bastato l'ultima volta. Non solo volevo staccare la testa a quella zoccola, - ed ero arrivata da circa un minuto -, ma, mi son dovuta sorbire pure una chiaccherata con Trevor fottutostronzo Claflin.

« Dai, ti prego! Sarà divertente questa volta» mi prega Jessy facendo il labbruccio.

« No, smettetela.l» taglio corto entrando in camera.

« È inutile. È noiosa, non la smuovi» mormora Lily.

Le lancio un occhiataccia e sorride innocentemente. « Perché, vorresti dissentire?» mi provoca.

Prendo un respiro profondo.

« Ci siamo noi, ti divertirai. Non devi fumare, sballarti a merda o bere, se non vuoi» tenta nuovamente la mora.

« E poi Harley ci sarà sicuramente» aggiunge Lily.

Stavolta mi volto a guardarla, decisamente confusa.

« E con ciò?» chiedo scocciata.

Entrambe si guardano in faccia e scrollano le spalle. « Sai che ha un debole per Trevor ma lui, oltre a farci sesso, non vuole niente da lei. Harley è convinta che lui provi qualcosa per t-»

« Odio, ma questo è reciproco. Non capisco dove volete andare a parare» la interrompo risoluta, Jessy sbuffa sonoramente.

« Quanto sei esagerata! Al massimo lo infastidisci» afferma Lily.

Rido sonoramente. « Oh no, no. Lui mi sta sulle ovaie e a lui sto sul cazzo. Non è niente di esagerato, è un dato di fatto» ribatto chiaramente.

Non sanno delle volte in cui ho tentato di schiaffeggiarlo e lui, puntualmente, ha bloccato ogni mio tentativo. Oppure delle volte in cui mi ha costretta a lavorare fino a tarda nottata, solo per il suo sadico divertimento. Al solo pensiero, mi innervosisco nuovamente.

« Okay... facciamo così. Non torneremo tardi e se dovessi annoiarti, andremo tutte e tre via. Ci stai? Dai! Sarà una serata diversa, siamo state pressate troppo in queste settimane e abbiamo bisogno di un po' di relax», tenta per l'ultima volta la mia amica e mi ritrovo a sbuffare spazientita. « e poi, non ci sono i cinque!»

« Ha ragione» concorda Jessy.

Mordo il labbro inferiore e alterno lo sguardo tra le due. « Solo se mi promettete che non torneremo tardi» ripeto le loro parole.

« Puntuali come un orologio svizzero!» ribattono entrambe.

Mi scappa un sorriso e scuoto il capo quando battono il cinque.

•••

« Smettila, cretina!»

Sbotto verso Lily e scoppia a ridere.

« Sei fottutamente sexy con questi jeans e questo top, sono solamente eccitata all'idea di cosa accadrà non appena metterai piede lì dentro» solleva le mani.

Jessy ride muovendosi attentamente. « Non posso che darle ragione» conferma.

Ruoto gli occhi al cielo. « Pensa a camminare, me ne sono già pentita» bofonchio.

« Ma a proposito, dove hai trovato questi vestiti?» chiede ingenuamente in direzione di Lily.

Quest'ultima solleva le sopracciglia con un sorrisetto ad adornarle le labbra piene. « Segreto!»

Il solito capanno è a qualche metro di distanza e in tacito di silenzio ci addentriamo guardandoci intorno.

« È assurdo che non abbiano mai scoperto questo posto» bisbiglio.

« L'unico che non sa di queste feste è Marxwell, persino le guardie fingono di non sapere. Qualche volta ci sono anche loro, figurati» risponde Jessy.

« Ma è ovvio, ci vuole un po' di svago»

Gli animaletti della notte ci accompagnano fin quando non ci ritroviamo davanti al capannone in apparenza abbandonato. Lily si muove agilmente, compiendo le medesime azioni dell'ultima volta e, senza accennar parola, fa un cenno con la mano.

« Forza, entrate!» sussurra.

Aiuto Jessy a passare e quest'ultima mi ringrazia.

La musica si inizia a percepire ma è più un suono indistinto. Contrariamente all'ultima volta, fuori non c'è nessuna bambolina che fuma o qualche stronzetta impertinente. Solo silenzio ed il rumore del vento che si abbatte su tutto ciò che incontra.

La porta si apre prima che possa anche solo avvicinarmi e da lì sbuca fuori la figura alta e slanciata di Drew, accompagnato da Liam.

Mi giro immediata verso quelle traditrici, che sorridono innocentemente, e le fulmino. « Non ci sono i cinque, eh?» ripeto le loro parole.

Lily mi circonda le spalle e mi sorride, « Non ti imbronciare, sarà divertente!»

Stringo le mani in due pugni e mi mordo la lingua per non ribattere.

« Ragazze, cosa ci fate qui?» prende parola Liam, l'unico sopportabile del gruppetto.

Jessy distoglie lo sguardo, non incrociando i suoi occhi blu nemmeno per sbaglio. Gli angoli della mia bocca si sollevano, alla consapevolezza del suo gesto.

Non me la racconta giusta, la moretta.

« Ho bisogno di questo, potrei morire» afferma teatralmente Lily, provocando una risata di Liam ed un mezzo sorriso di Paul. Adesso che ci faccio caso, non l'ho mai visto ridere.

« Entrate dentro, noi diamo una piccola controllata qui fuori e vi raggiungiamo» ci informa proprio Paul.

Annuiamo e velocemente entriamo dentro.

Lo stesso odore pungente stuzzica le mie narici e storco il naso infastidita. I miei occhi osservano il luogo constatando che ci sono le stesse persone dell'altra volta, se non di più. Chi limona senza inibizioni, chi balla, chi beve e chi semplicemente parla.

Sarà l'ennesima noia ma non posso lamentarmi come una bambina di cinque anni, così trattengo uno sbuffo e seguo le ragazze parecchio eccitate e felici di essere qui.

Vorrei tanto sapere da cos'è scaturita questa pseudo felicità.

« Preferita birra o vodka? Non c'è ampia scelta, questa volta non sono riusciti a portare molto»

Lily afferra il collo di una bottiglia e versa la vodka in un bicchiere.

« Una birra, mi va bene» scrollo le spalle, poggiandomi alla parete.

Jessy si guarda attorno e mi affianca. « Non capisco questa sfida che Harley ti lancia con gli occhi» mormora al mio orecchio.

Aggrotto la fronte e seguo immediata il suo sguardo. I miei occhi si bloccano sulla figura della ragazza seduta sulle gambe di Trevor. Il braccio destro del moro circonda la sua vita mentre la mano sinistra poggia sulla sua coscia. Il braccio esile della ragazza circonda le sue spalle ampie e, non appena si accorge dei miei occhi, si stringe di più al suo corpo.

Il suo sguardo è indecifrabile ma il mio è impassibile.

Ingurgito un sorso di birra e scrollo le spalle. « È un suo problema»

E lo è davvero, non mi interessa della loro stupida relazione basata sul sesso.

« Beh, il vestitino poteva anche risparmiarselo» commenta con una smorfia.

Rido e annuisco. « Ti ricordo della sorella»

Sospira profondamente e distoglie lo sguardo. « Che in questo momento sta con Liam» sussurra.

Il suo cambio radicale di voce mi fa accigliare, seguo nuovamente il suo sguardo e mi accorgo solo adesso delle labbra di Liam appiccicate a quelle della bambolina.

« Che entusiasmo», commento acida la scena. « a malapena la tocca»

Solleva lo sguardo fissandomi con i suoi occhioni grandi e scuri e scuote il capo. « Si stanno baciando» asserisce ovvia.

Inarco un sopracciglio. « E quindi? Un bacio non significa nulla. Fai attenzione ai gesti»

Si avvicina alla mia figura e morde il suo labbro inferiore.

« Le sue mani nemmeno la sfiorano, i suoi occhi sono forzatamente serrati... sembra più un bacio dettato dal momento. Non attaccarti a queste cose, è pur sempre una cagna»

Le sue labbra si sollevano in un sorriso e annuisce. Questa ragazza è troppo buona e diversa da tutte noi, non è fatta per stare in questo posto e un po' mi dispiace. L'ho capito sin da subito il motivo per cui si trova qui: è palesemente costretta.

« Adesso beviamo un po', non eri tu quella che voleva divertirsi?» propongo indicando le bottiglie piene di alcol.

Sembra riprendersi e con un bel sorriso acconsente.

« Andiamo»

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Capitolo 19
*** Capitolo Diciotto ***


La sigaretta si consuma lentamente, come la voglia di stare in questo insulso posto dimenticato da Dio. Il fumo fuoriesce dalle mie labbra in piccole nuvolette bianche o in piccoli cerchi, entrando in sintonia con l'aria gelida del luogo. Non so da quanto tempo sia qui fuori, forse minuti o addirittura ore, ad aspirare ed espirare la nicotina dal filtro, non badando minimamente alle persone che potrebbero uscire e vedermi. Non mi preoccupo più di tanto, perché so che in questo momento non riuscirebbero nemmeno a distinguere le loro ombre. Non so cosa stia facendo Lily; se stia ballando, bevendo o fumando e non so dove sia finita Jessy. L'ultima volta le ho intraviste ancheggiare per farsi vedere dai ragazzi ma non so fino a che punto abbiano fatto colpo. Non credo siano interessati ad avere una relazione, soprattutto con noi ragazze, scelte per uno scopo ben preciso. Eppure a loro non importa. Continuano imperterrite a pretendere uno loro cenno, nonostante sappiano – in fondo – che non avranno alcuna speranza.

Io, d'altro canto, preferisco dissociarmi da questa loro battaglia persa in partenza. Non ho intenzione di correre dietro ad un ragazzo, soprattutto, ad una testa di cazzo del genere. Ho rispetto per me stessa. Non che loro non lo abbiano per loro stesse, ma sicuramente non vado ad elemosinare occhiate come se fossero gli unici uomini presenti sulla terra. Non giudico l'operato delle ragazze, ognuno è libero di fare ciò che vuole e, inoltre, non condanno le loro idee. Se credono che sia più efficace comportarsi così, per ricevere anche un solo cenno, ben venga. Ciononostante, anche se sono convinte del contrario, non passano inosservate agli occhi dei ragazzi. I loro occhi osservano tutto: ogni movimento, ogni azione ed ogni atteggiamento. Senza alcun dubbio fingono di non essere interessati e riescono a bluffare la loro indifferenza con una buona dose di stronzaggine. Il semplice fatto che Liam stia limonando con quella cagna in calore, la dice lunga.

Il freddo è pungente ma non intendo tornare dentro per prendere una giacca. Mettere piede in quella topaia significa dover sopportare uomini ubriachi, donne senza alcuna dignità e coppie che ballano in pista, ed io non ho proprio la voglia di farlo. Soprattutto se fare dietrofront mi garantisce la visione nauseante di Harley, che cerca in tutti i modi di sbattermi in faccia il fatto che lei faccia sesso con Trevor.

L'ho giudicata male all'inizio. Pensavo che lei fosse diversa dalla sorella e invece sono uguali nelle loro diversità di approccio. È solo una ragazzina, non riesce a capire che di Trevor non me ne frega nulla. Può anche baciarlo ad un metro di distanza, se vuole, non cambierà il fatto che non mi importi un accidente di lui e della sua vita privata.

Rovescio indietro la testa appoggiando il busto al muro alle mie spalle, ed osservo l'oscurità che inghiotte il cielo con aria assorta. L'assenza di stelle rende il tutto più cupo, ma sono poche le volte in cui esse sono visibili e quelle scarse volte rendono la notte un po' meno triste. Molti accostano il loro stato d'animo alle temperie, al mutare della natura e a ciò che essa ne genera. Il mare in tempesta allude al subbuglio interiore; l'arcobaleno alla quieta dopo la tempesta e le foglie in autunno alludono, semplicemente, all'anima che si sgretola lentamente. Metafore che in maniera più sottile e delicata spiegano i sentimenti che si provano in quell'esatto momento ma che, a mio parere, non comunicano a pieno la sovrabbondanza dell'emozione.

Forse, gran parte dei miei pensieri sono solo cause del mio essere, che si distacca totalmente dai sentimenti puri e sinceri, dalle forti emozioni e dal cuore palpitante d'affetto e di amorevolezza. L'amore si allontana anni luce da me e da ciò che sono. Lo ritengo estraneo, come la maggior parte delle cose, e stonante. Qualcosa che mai potrebbe accostarsi a me, alla mia natura e alla persona che sono. Non ho mai ricevuto amore, solo semplice affetto, e non so nemmeno cosa sia. Se sia qualcosa di forte e struggente o solo un ammasso di stronzate rifilate per appigliarsi a qualcosa. Ho imparato a non dipendere da nessuno, a chiedere aiuto unicamente a me stessa, a non dare per scontato niente e a valutare tutto. Ho imparato che se cadi ti rialzi da sola, perché non ci sarà nessuno a tenderti la mano con la buona intenzione di salvarti davvero. Ho imparato che nella vita bisogna guardarsi le spalle e bisogna combattere per ottenere qualcosa, anche a costo di rimetterci. Ho imparato a leccarmi le ferite da sola senza la balia che si occupasse di me, della bambina che ero e che crescendo si è persa.

L'abbandono ti uccide, ti priva di molte cose ma allo stesso tempo ti fortifica, ti apre gli occhi e ti fa crescere prima del previsto. Ti toglie tutto ma ti irrobustisce, ti arma del coraggio necessario per camminare senza inciampare.

Lily è l'unico spiraglio di luce in questa bolla di isolamento. Quel piccolo angolino nascosto che non si sposta mai, che c'è sempre e che non si distruggerà. Una luce calda che mi trasmette quel grammo di affetto che mi basta, quel piccolo tassello di cui ho bisogno.

L'unico.

Distendo le gambe e chiudo gli occhi, abbandonandomi ai miei pensieri più profondi, quelli remoti, che rimangono chiusi in una stanza per tanto tempo e che non fuoriescono per nessuna ragione al mondo. Malgrado ciò, ogni tanto anche la mia testa si ribella al controllo che mi rende così fredda, distaccata e apatica. E quanto accade non riesco a combatterlo.

Mi arrendo, perché so che l'unica cosa da fare è questa.

I miei occhi rimangono serrati anche quando la porta si apre ed una risata femminile interrompe selvaggiamente la quiete. E non è una risata qualunque ma una estremamente fastidiosa, l'ultima che vorrei mai sentire.

« Dai, entriamo dentro! Mi stavo divertendo!». Lo squittio inconfondibile di Harley arriva alle mie orecchie e con sé anche la voglia irrefrenabile di tapparle la bocca con una museruola.

Non sento alcuna risposta da Trevor ma so bene che si trova insieme a lei, ed i versi nauseanti che percepisco l'attimo dopo me lo confermano.

Gli schiocchi continui dei baci sono forti e chiari, come le risatine di Harley.

« Oh, c'è qualcuno Trevor» il mormorio di quest'ultima finalizzato alla mia presenza mi fa sorridere. Tuttavia rimango nella medesima posizione e con gli occhi ancora serrati.

La sua affermazione da finta 'sorpresa' mi conferma solamente il mio pensiero su di lei. Ci sta godendo a vedermi qui fuori.

« Esattamente. Quindi, se non vi dispiace, mi fareste un enorme favore se tornaste dentro» ribatto, aprendo finalmente gli occhi.

Le mie iridi scure puntano il mozzicone che tengo tra le dite e, con estrema lentezza e controllo dei gesti, la lascio cadere dentro la bottiglia vuota di birra.

I miei capelli svolazzano e, quando mi volto per sistemare la ciocca che mi copre la vista, ecco che mi scontro con due paia di occhi che mi fissano.

Harley con fierezza e godimento. Trevor, invece, impassibile.

La mano della ragazza accarezza sensualmente il petto del moro, come se il suo tocco possa infastidirmi ulteriormente, ma non mi curo di lei e della sua infantilità, bensì dello sguardo profondo che Trevor mi riserva.

« Perché dovremmo entrare? Il posto è riservato solo a te?» le domande pungenti di Harley, stranamente, non mi fanno alcun effetto e mi ritrovo a sorridere annuendo.

« No, hai ragione. Me ne vado io» dico, alzandomi da terra, consapevole dei loro occhi su di me.

« Come ti pare» ribatte infine ma sono già lontana quando la sua risposta arriva.

Non avevo intenzione di rimanere lì ancora per molto, la loro presenza mi ha solo spinta ad andarmene. Non avviso nemmeno le ragazze, anche perché sarebbe inutile considerato il motivo per cui sono ancora in quella topaia, e nonostante mi abbiano espressamente detto di non avventarmi da sola, lo faccio.

La brezza pungente mi fa rabbrividire ma continuo imperterrita a camminare, desiderando di arrivare in camera il più velocemente possibile. La strada che sto percorrendo è buia, non si riesce a vedere molto, nemmeno con i piccoli fanali posti qua e là. Fortunatamente, però, non inciampo in nessuna buca ai miei piedi.

« Arabella»

Ruoto gli occhi al cielo quando il suo richiamo arriva forte e chiaro alle mie orecchie. Non è possibile che trovi sempre un motivo per seguirmi e per non lasciarmi in pace.

Fingo di non sentirlo e mi accarezzo le braccia, infondendomi quel calore quasi inesistente dettato dallo sfregamento sul tessuto leggero che indosso.

« Vuoi fermarti?!» sbotta, agguantando il mio polso.

La sua stretta mi costringe a fermarmi e con collera mi giro per guardarlo. Anche se la luce inesistente mi impedisce la visione.

« Cosa diamine vuoi?» sibilo duramente. Non posso nemmeno urlare perché qualcuno potrebbe sentirci e non ci tengo ad avere un richiamo da Marxwell.

« Perché te ne sei andata?» chiede, con un tono di voce che esige risposta.

Inarco un sopracciglio. « Mi hai fermata per questo motivo? », strattono la presa e finalmente il mio polso si libera. « Lasciami in pace, Trevor» lo avverto, riprendendo a camminare.

Prendo un respiro profondo quando il mio polso viene compresso, nuovamente, dalla sua mano. « Rispondimi, ora» ordina, arrestando nuovamente i miei passi.

Mi giro di scatto e, senza controllare le mie azioni, schiaffeggio il suo viso. Il buio mi facilita le cose e, considerata la libertà immediata della mia mano, intuisco la sorpresa del mio gesto. Non ho idea di come sia riuscita a prenderlo in pieno viso ma non mi importa.

« Non toccarmi mai più» sussurro stizzita, dileguandomi il secondo dopo.

Non sento più i suoi passi seguirmi e tiro un respiro di sollievo.

L'imponente edificio mi sovrasta in altezza e, quando mi accorgo che non c'è proprio nessuno che potrebbe vedermi, mi addentro.

Ma prima che possa solo pensarci la visione delle cose mi si presenta capovolta.

I miei piedi non poggiano più a terra ed i miei capelli oscillano, toccando quasi il terriccio sporco.

Quel figlio di buona donna.

« Mettimi giù, immediatamente!» strillo ma non così forte come vorrei. Il fatto che possano sentirci mi vieta di far tutto.

« Non provare fottutamente a parlare» la sua voce glaciale è molto più vicina che mai ma se crede di potermi incutere paura, si sbaglia di grosso.

La pancia inizia a dolermi. La sua spalla mi sta infilzando ma non gliene frega proprio nulla delle mie condizioni. Continua imperterrito a camminare a lunghe falcate e non ho la più pallida idea del suo percorso scelto.

« Mettimi giù o giuro che otterrai più di uno schiaffo!» lo minaccio ma ciò non serve a nulla.

Riconosco, anche se mi trovo sottosopra, l'entrata appena scelta e strabuzzo gli occhi non appena intuisco dove voglia portarmi.

« Trevor! Mettimi giù ora!» ripeto nuovamente colpendo la sua bassa schiena.

Senza intaccarlo minimamente.

Apre la porta, richiudendola alle nostre spalle, e avanza senza accennare parola. L'azzurro meraviglioso della piscina è l'unica cosa che riesco a vedere, non molto nitidamente dato che ad ogni passo oscillo, ma l'idea di cosa abbia intenzione di fare arriva come un fulmine a ciel sereno.

« Vediamo se ti azzarderai a farlo di nuovo» afferma duramente ma non ho il tempo di ribattere che mi getta in acqua.

I miei piedi toccano immediati il fondo della piscina. Gli occhi rimangono serrati e la sensazione di pesantezza si insinua in me, causata più che altro, dai vestiti che in automatico si appiccicano al mio corpo. Risalgo in superficie, quasi malamente, e non appena raggiungo l'obiettivo sputo l'acqua in eccesso.

Annaspo alla ricerca d'aria tossendo. « Pezzo di merda che non sei altro!» strillo, continuando a tossicchiare.

La sua risata riempie l'enorme sala e ciò mi imbestialisce ancora di più. I miei capelli rossi si scuriscono, appiccicandosi alle mie spalle ormai nude coperte dal misero top di Lily, mentre la giacca galleggia al mio fianco. Non so nemmeno come sia riuscita a sfilarla. Provo a galleggiare avvicinandomi al bordo della vasca e trucido con gli occhi quello stronzo che ride come se non ci fosse un domani.

Mi sollevo flettendo le braccia e velocemente esco dall'acqua, consapevole dei vestiti ormai zuppi incollati come una seconda pelle su di me. Brividi di freddo si impossessano del mio corpo ma il tremolio non è causato solo da questo, ma anche – e soprattutto – dalla rabbia che incendia il mio corpo.

Avanzo spedita verso di lui e lo colpisco al petto. « Tu! Stronzo che non sei altro!» inveisco con le guance rosse e gonfie.

Continua a ridere e questo mi porta a spingerlo con più violenza, tant'è che l'ennesimo colpo lo fa accidentalmente cadere in acqua.

Gli angoli della mia bocca si sollevano in un sorriso soddisfatto ma non ho nemmeno il tempo di gioire che la sua mano agguanta la mia caviglia, trascinandomi insieme a lui.

Entrambi annaspiamo alla ricerca d'aria ma quando mi volto per guardarlo, pronta per dirgliene quattro, ecco che scoppio a ridere. La visione che mi si presenta davanti è esilarante e non credo di aver mai visto qualcosa di così divertente in vita mia. Le mie iridi osservano compiaciute i suoi capelli appiccicati in fronte, i suoi occhi che sbattono ritmicamente per togliere l'acqua dalle ciglia e le sue labbra continuamente inumidite dalla sua lingua. Il suo viso è contorto in una smorfia di rabbia ma non riesco a prenderlo seriamente in queste condizioni. Somiglia dannatamente a Tarzan e questa consapevolezza mi porta a ridere con le lacrime agli occhi.

Rovescio la testa all'indietro e mi godo a pieno questa risata. Non ridevo da tanto, forse fin troppo, tempo e non so nemmeno il motivo per cui lo stia effettivamente facendo. In fondo, lui si trova nelle mie stesse condizioni e in verità non c'è nulla da ridere, ma al momento non riesco minimamente a controllare l'esplosione che mi ha colpita.

Trevor mi guarda accigliato, forse confuso dalla mia risata improvvisa, ma non mi importa a momento.

« Non sai in che guaio ti sei cacciata» mi avverte minaccioso ma quando provo a guardarlo nuovamente ecco che scoppio di nuovo a ridere.

« Ti prego... non riesco a prenderti sul serio in questo momento» esclamo sincera.

Trevor, tuttavia, sposta il ciuffo ribelle e scuote il capo arreso.

« Cosa ti diverte così tanto?» chiede ammorbidendo il tono di voce.

« Tu» rispondo senza alcun dubbio. « Ti hanno mai detto che somigli a Tarzan?»

Sbatte le palpebre confuso. « Ma che... stai scherzando, spero» soffoca una risata.

Scuoto il capo con un sorriso a fior di labbra. « Dio... non ridevo da un sacco di tempo» mormoro più a me stessa che a lui.

Trevor mi guarda profondamente con uno luccichio anomalo ma, comunque, il lampo di divertimento che attraversa i suoi occhi riesco benissimo a vederlo. Non ci stiamo sbranando, non stiamo litigando come due cani al guinzaglio e non siamo in procinto di picchiarci selvaggiamente.

Questa consapevolezza ci trascina in un silenzio leggero e non pesante come tutte le altre volte. Un tipo di silenzio quasi voluto, agognato. E non mi sento di urlargli contro... Semplicemente, mi voglio godere questo piccolo attimo di tregua.

Distolgo lo sguardo e nuoto fino al bordo della vasca, poggiando le mie spalle e chiudendo subito dopo gli occhi. Non bado molto al moro che, quasi sicuramente, mi sta fissando bensì lo ignoro.

Il movimento dell'acqua che percuote il mio corpo mi indica che Trevor stia uscendo dalla piscina ma, quando avverto un respiro caldo fuoriuscire in piccoli sbuffi sul mio viso, mi costringo ad aprire gli occhi.

Un fremito attraversa il mio corpo quando le mie iridi si scontrano inevitabilmente con le gemme verdi di Trevor. Le labbra si dischiudono in automatico ed i suoi occhi istintivamente scendono giù, a seguirne il movimento lento.

Le braccia stringono i bordi con forza, per galleggiare facilmente in acqua, ma i suoi gesti mi rinchiudono tra di esse ed il suo corpo. Se volessi uscire, non potrei.

« Perché sei andata via, prima?» domanda, alternando lo sguardo dalle mie labbra ai miei occhi.

Non capisco perché lo voglia sapere, perché è così importante per lui conoscere il motivo per cui sono andata via.

« Non dovresti essere qui» devio la domanda, interrompendo la catena di sguardi.

Sospira pesantemente e le sue dita, afferrando il mio mento. Mi costringe a guardarlo ancora una volta. « Rispondimi» sussurra.

« Non puoi costringermi a farlo» sibilo, irritata per i modi con cui è solito approcciarsi con me.

Stringe la presa e avvicina, più che può, il suo viso al mio.

« Perché sei così? Perché non rispondi e basta?» è quasi un lamento il suo ma avvolto dal sentimento che più ci accomuna: la rabbia.

Afferro la sua mano e la stringo spostandola dal mio viso. Sfioro le sue labbra con le mie ma i miei occhi rimangono fissi nei suoi.

« Non puoi controllarmi, Trevor» sussurro. « Puoi farlo con Harley, con le altre, ma con me non ci riuscirai. Tienilo a mente»

Indugio qualche altro secondo ma la sua risposta non arriva, mi guarda solamente.

La sua mano, che non mi accorgo si sia immersa in acqua, stringe impercettibilmente il mio fianco ma quando prova ad avvicinarmi al suo corpo, mi allontano.

Le sue braccia mi impediscono la fuga e, senza volerlo, mi appiattisce tra il bordo ed il suo addome.

« Potrei» sussurra, accarezzando dolcemente le mie labbra.

« Non puoi» ribatto. I nostri respiri si mescolano. « Spostati» ordino.

Le sue gemme continuano ad osservare ogni movimento e non riesco minimamente a distogliere le mie iridi dalle sue.

« Spostami tu»

I denti mordono impalpabilmente il mio labbro inferiore ma, quando sta per indugiare maggiormente, lo allontano dal mio corpo.

Deglutisco, guardandolo un'ultima volta, e dopo averlo notato serrare la mascella esco dalla vasca e mi precipito fuori.

Non stava succedendo davvero.

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Capitolo 20
*** Capitolo Diciannove ***


Correre per più di un'ora e mezza attorno ad un edificio immenso richiede una riserva abbondante di energie, una buona dose di preparazione e tanta, ma tanta forza e resistenza fisica. Per chi non è abituato ad assoggettare l'intera muscolatura del corpo ad un esercizio di questo tipo, anche il primo giro risulta estremamente pesante e sfiancante. C'è, infatti, chi si ferma dopo pochi minuti perché non riesce a controllare il respiro, chi già al terzo giro ha il fiatone, chi ha male al fianco e chi, come la maggior parte di noi, riesce tranquillamente a controllare ogni parte del corpo e del respiro, concludendo gli innumerevoli giri imposti in maniera impeccabile. La corsa viene abolita da parecchie persone, poiché ritengono che sia inutile e troppo stancante, ma non hanno idea di quanto effettivamente si stiano sbagliando. Non solo tutti i muscoli vengono messi in funzione già dal primo momento, – come le gambe ad esempio, che incominciano a bruciare già dal primo secondo –, ma facilita molto gli incarichi a cui necessariamente dobbiamo adempiere, come il percorso ad ostacoli o semplicemente il nuoto.

Gli anni di continuo allenamento mi sono serviti a capire il funzionamento di ogni muscolo del mio corpo, della soglia di stress che non si deve obbligatoriamente oltrepassare e dei sintomi che non si devono raggiungere. Ho imparato a controllare il respiro, a non esagerare con i passi da compiere, perché basta un movimento o una mossa sbagliata per raggiungere il fiatone, e ciò causerebbe il termine anticipato della corsa.

L'ennesimo giro viene completato da alcuni di noi, altri invece, rallentano anche se per concludere ci vorrà molto più tempo.

Lily non è qui con me perché Drew ha chiesto di lei prima che potesse solo terminare il primo giro di corsa. Non so per quale motivo abbia richiesto la sua presenza, anche perché di solito l'avviso o ci arriva qualche ora prima o lo comunicano i nostri mentori direttamente, e non come in questo caso mentre l'esercizio è in corso.

Respiro a pieni polmoni l'aria pulita ma densa, causata dal gelo persistente che influisce da una settimana, e poggio le mani sulle mie ginocchia. Le mie gote sono arrossate sia dallo sforzo fisico ma anche e soprattutto dalla brezza che ad ogni passo compiuto colpiva il mio viso. Il sudore impregna i miei abiti rendendo questi ultimi una seconda pelle, ma non bado eccessivamente al mio corpo madido bensì alla regolarizzazione del respiro, chiudendo per qualche secondo gli occhi. I muscoli bruciano per lo sforzo immane a cui li ho sottoposti e la testa pulsa assieme al battito del mio cuore, che riesco a percepire attraverso le orecchie. Non percepisco la stanchezza ma sono sicura che non appena il mio corpo diventerà un tutt'uno con il calore dell'acqua sentirò immediatamente ogni muscolo sciogliersi all'istante. Succede sempre così e non c'è sensazione migliore di questa.

Il fischio del caporale richiama alcuni militari mentre i passi continui e veloci di questi ultimi riecheggiano lievi nell'ampio territorio terroso, sovrastando le urla del maestro su presunti rallentamenti. I suoni arrivano ovattati, attutiti dalla concentrazione istantanea che mi permette di riprendermi in pochi secondi, e non appena apro gli occhi i rumori dapprima tenui diventano forti e potenti.

Mi sollevo nuovamente guardandomi attorno e, non appena giro maggiormente il capo, individuo Jessy tra le varie capigliature diverse. Ha il fiatone ma nonostante tutto è riuscita a concludere i quaranta giri ordinati. Si avvicina con una piccola corsetta e deglutisce poggiando le mani sulle ginocchia.

« Era da un botto di tempo che non correvo così» esclama respirando pesantemente ad ogni parola pronunciata.

Scrollo le spalle. « È questione di abitudine, immagino»

« Tu sembri in perfetta forma, mi spieghi come fai? Io sto per morire!» piagnucola sollevandosi.

I suoi capelli leggermente scompigliati, il naso arrossato e le guance colorate di un rosso tenue provocano un sorriso divertito. Sembra distrutta. « I muscoli sono doloranti ma sono abituata ormai» sminuisco il tutto avvicinandomi alla sua figura minuta.

« Odio tutto questo» borbotta.

Trattengo un sorriso. « Andiamo, dai»

I corridoi sono affollati, il via e vai di gente è dannatamente fastidioso e mi ritrovo a digrignare i denti, sperando in una disintegrazione di ogni presente, non appena una testa di rapa mi dà una spallata abbastanza forte.

« Dovresti vedere la tua faccia!» esclama con un sorriso a fior di labbra.

Le lancio un'occhiataccia. « Che faccia ho?» chiedo retorica.

« La faccia di chi vorrebbe uccidere tutti» ribatte annuendo con vigore.

Ruoto gli occhi al cielo. « Tu dici? In realtà preferirei vederli soffrire in straziante agonia» confesso guardandola di sottecchi.

Mi guarda leggermente impaurita. « Okay, adesso mi fai paura» ammette superandomi.

Una risata divertita fuoriesce dalle mie labbra e scuoto il capo. « Dai, stavo scherzando! In realtà preferirei vedere ogni loro testa esplodere. Dici che sarebbe più divertente?»

Jessy mi guarda allarmata e oscillando la mano scappa via. « Vai via da me!»

La raggiungo senza smettere di sorridere e sfioro la sua spalla. « Credi davvero che arriverei a tanto?» chiedo, inarcando un sopracciglio.

Lancia un'occhiata scettica. « Vorresti dirmi che non ti piacerebbe? Sei molto inquietante»

Abbasso la maniglia della mia camera ed entro dentro scorgendo i vestiti perfettamente piegati sulla sedia. Ho proprio bisogno di una doccia e prima esco di qui e più possibilità avrò di trovare un box libero.

« Suvvia, non ho una mente così contorta e sadica» ribatto divertita.

Afferro gli indumenti da portare con me e controllo che non stia dimenticando qualcosa, non sarebbe l'apice della comodità tornare indietro, consapevole di aver dimenticato qualcosa. Soprattutto l'intimo; sarebbe dannatamente frustrante indossare i vestiti senza l'intimo.

Eh si, mi è già capitato.

« Non ti credo e mai ti crederò» decreta scuotendo il capo. « Forza, Ara! I box non aspettano te» si lamenta.

Ruoto gli occhi al cielo e velocemente abbandono la mia camera per raggiungere quella di Jessy. Fortunatamente, riesce ad essere molto più veloce di me e in un nano secondo ci ritroviamo davanti alla porta dei bagni in comune. Dice sempre che odia perdere tempo e per questo motivo, ogni volta, ha sempre tutto pronto.

Beh, su questo non ci trovo niente di sbagliato perché la penso proprio allo stesso modo.

Jessy entra per prima fermandosi a qualche passo dall'ingresso e, non appena dalle sue labbra fuoriesce un lamento frustrato, capisco il motivo.

Come immaginavo i box sono stra pieni. Sbuffando irritata entro dentro accasciandomi su una sedia. Gli schiamazzi riempiono la sala abbastanza grande da contenere ben dieci docce, ovviamente del tutto piene, e la rabbia ammonta immediata. È mai possibile che ogni volta debba sopportare tutte queste voci stridule? Non sarebbe molto più comoda una doccia per ogni camera? Odio immensamente dover condividere anche questo momento di spensierata serenità con altra gente, perché almeno per cinque minuti vorrei non dover pensare a niente e a nessuno, e invece sono costretta a subirmi non solo le risate acute ma anche i vari pettegolezzi che intercorrono in questo edificio.

Sapere di Harriet che va a letto con Gregor o delle corna sapute e risapute di Briana a Coll non rientra tra i miei interessi, eppure sono obbligata ad ascoltare.

« Pensavo che Coll stesse con Madison» sussurra Jessy al mio orecchio.

Ruoto gli occhi al cielo esasperata. « Anche tu no, ti prego» piagnucolo.

Ride silenziosamente. « Scusa»

Tre box si liberano e da essi escono tre ragazze di cui non so nemmeno il nome, non badano alle innumerevoli presenze, anzi, si vestono velocemente ed escono dai bagni. Sono queste le persone che preferisco, senza ombra di dubbio.

Jessy si catapulta nella doccia accanto alla mia ed io, dopo aver accuratamente sistemato i miei abiti, afferro un asciugamano pulito poggiandolo su di essi.

Aziono il getto d'acqua e immediatamente chiudo gli occhi. L'acqua calda scivola giù per il mio corpo, diventando un tutt'uno con la mia pelle appiccicaticcia dal sudore. Il calore intrappola le mie ossa ed i miei muscoli tesi si sciolgono senza alcun ripensamento. Lo scrosciare è l'unico suono che vorrei sentire ma quest'ultimo viene sovrapposto dal vociare acuto delle ragazze. Non potrei rilassarmi nemmeno se lo volessi.

« Mi passi lo shampoo?» la voce piccola di Jessy arriva alle mie orecchie e senza aprir bocca tendo la boccetta verso il suo box.

Non prima di averne versato una quantità abbordabile in testa.

Massaggio la cute e districo la mia chioma rossa sempre più lunga. La mia fortuna è che i capelli tendono a non riempirsi di nodi e quindi lavarli risulta solo un bel passatempo. Dovrei tagliarli in effetti, ma non amo i capelli corti, nonostante siano molte volte motivo di distrazione. Tuttavia, non è un problema perché basta una coda o una treccia e tutto si risolve.

Una risata che conosco bene interrompe il mio breve momento di relax e chiudo gli occhi cercando di mantenere tutto l'autocontrollo possibile.

« Ti giuro, è così bravo...» squittisce.

« Racconta!»

« Sei andata a letto con Trevor Claflin?!»

Sono tante le voci accavallate e ciò mi impedisce di riconoscere chiunque abbia parlato. Provo a non far caso ad Harley e alle sue amiche pettegole, che per intenderci non hanno un reale interesse verso la loro presunta amica e le sue vicende amorose bensì uno scopo alquanto viscido. Io le conosco le persone del genere, che non aspettano altro che qualche scoop da poter argomentare durante le varie pause. Sono estremamente sicura del fatto che non passerà sicuramente molto tempo prima che sia Harley e la sua vicenda vengano sporcate di fango, non appena la mora volterà le spalle.

La gente falsa è così: assetata di scoop e bastarda senza scrupoli.

« Sh, non urlate! » ridacchia e dalla sua voce trapela un pizzico di emozione. « E si, non è nemmeno la prima volta» confessa.

« Oh mio Dio! Voglio sapere quando è successo!» chiede una ragazza alquanto curiosa.

« L'ultima volta ieri sera, dopo la festa» risponde estasiata.

Apro gli occhi di scatto fissando le pareti bianche del box. Stringo la boccetta di bagnoschiuma con la mano destra e non mi accorgo del liquido che fuoriesce da quest'ultimo, fin quando le mie dita non vengono ricoperte. La consapevolezza che Trevor abbia fatto sesso con Harley, subito dopo il mio rifiuto, mi fa imbestialire. Ma non mi fa infuriare il sesso in sé, – perché sono sicura che per lui non sia stato altro che un bisogno di fisiologico da soddisfare –, bensì il momento ed il motivo per cui l'abbia fatto. È ovvio che sia andato in camera sua subito dopo essere stato in piscina con me, perché prima non avrebbe avuto il tempo.

« È stato passionale e poi la sua lingua lavora dannatamente bene!»

Dio santo, il conato di vomito in certi casi dovrebbe essere ripagato per bene.

Cosa ci trova di fantastico nel raccontare tutto ciò che le accade privatamente? Non esiste più privacy, rispetto – importanti o meno che siano – per le proprie esperienze. Io sarei estremamente gelosa delle mie cose, delle mie storie e degli avvenimenti che anche in piccolo mi coinvolgono. Eppure, molti non la pensano così. Preferiscono sbandierare ai quattro venti tutto quello che accede nelle loro insulse vita e quasi provo compassione.

« Beate te! Io vorrei tanto passare almeno una notte con Liam» esclama esaltata qualcuno.

Schiarisco la gola non appena sento il nome del ragazzo dagli occhi blu, che per intenderci, è la cotta per eccellenza della ragazza proprio accanto e prendo un respiro profondo.

« Adesso sono sicura che Arabella non gli interessi! È troppo frigida e su questo Trevor ha perfettamente ragione»

Chiudo il getto d'acqua e scuoto il capo con un sorriso amaro. È inutile prendersela così tanto per una stronzata del genere, soprattutto se l'importanza che attribuisco ad entrambi è pari a zero, forse ancor meno.

Esco dalla doccia e improvvisamente cala il silenzio. Il rumore dell'acqua che sbatte sulle piastrelle è l'unico suono percepibile e quasi sogghigno guardando ogni singolo viso esterrefatto.

Harley deglutisce rumorosamente e dal suo sguardo puntato altrove intuisco che non abbia il coraggio di incrociare i miei occhi.

E farebbe meglio a non provarci.

Afferro l'asciugamano bianco e lo avvolgo attorno al mio corpo, mentre quello più piccolo lo utilizzo per i miei capelli. I miei gesti sono tranquilli, naturali, come se non abbia appena origliato una conversazione decisamente fangosa su di me. Di certo, non do soddisfazioni a nessuno, tanto meno a persone del genere alquanto invidiose e di basso quoziente intellettivo.

Jessy esce tranquillamente dal suo box, compiendo le mie stesse azioni, ma dal suo viso impassibile intuisco perfettamente che abbia sentito ogni cosa.

Fisso senza alcuna espressione tutti i visi presenti e poi scuoto il capo quando mi soffermo sull'ultima figura rigida di postura.

« Fammi il grandissimo piacere di non nominarmi mai più nelle tue insulse vicende amorose o sessuali. Non mi conosci, non sai nulla di me e non ti puoi permettere di sputare sentenze solo perché l'invidia ti scortica viva» la avverto.

Harley solleva gli occhi e li punta nei miei pozzi scuri, estremamente duri e glaciali.

«Il fatto che tu faccia sesso con Trevor non importa a nessuno, tanto meno a me. E sappi che non interessa minimamente nemmeno alle tue care amiche che non appena uscirai da questa stanza ti pugnaleranno alle spalle, senza che tu te ne possa accorgere»

Sembra colpita dalle mie parole ma non me ne può fregare un cazzo. Mi fa incazzare oltremodo quando si sparla di una persona e a malapena si conosce il suo nome. Harley è superficiale e totalmente divorata dall'invidia e se prima provavo compassione per lei e per persone del genere, adesso, non provo altro che pena.

Prendo le mie cose e, guardandola un'ultima volta, abbandono i bagni e questo posto pieno solo di invidia.

« Ti sei contenuta parecchio»

La piccola figura di Jessy mi affianca e lanciandole un'occhiata mi accorgo delle sue condizioni.

« Sei davvero uscita con un solo asciugamano addosso?» devio la sua affermazione alzando gli angoli della bocca in un sorriso divertito.

Fa spallucce. « Beh, non volevo stare dentro quel covo di serpi» ribatte scocciata.

Scuoto il capo ridendo e con un cenno del capo mi segue in camera.

-

La notte non sembra passare mai, gli occhi non riescono a chiudersi e quando accade devo necessariamente riaprirli per cambiare posizione. Il materasso sembra sempre più scomodo e le lenzuola sembrano fatte di spilli. Sospiro pesantemente, arresa del fatto che non dormirò nemmeno per mezz'ora. Non so perché il sonno non si impossessa di me e lanciando una breve occhiata al letto adiacente mi chiedo il motivo per cui non possa dormire beatamente come Lily.

Fisso il soffitto bianco e intreccio le mani sul mio grembo. Forse, i pensieri che frullano nella mia testa sono troppi eppure ogni notte riesco ad accantonarli per qualche ora. Troppe cose si stanno accumulando: i segreti ancora non svelati da Marxwell, i cinque ragazzi ancora sconosciuti, noi quattro definite le 'prescelte', Trevor e Harley, l'insensata gelosia di quest'ultima, ed infine il quasi bacio tra me e Trevor.

Troppe cose invadono la mia mente non consentendomi di dormire tranquillamente.

Mi giro su un fianco, incastrando una braccio sotto il cuscino, e fisso la finestra che mi dà la possibilità di ammirare il cielo completamente scuro e cupo. Come il mio umore.

Non so perché ci stia pensando così tanto, solitamente non do peso a stronzate del genere, non sono il tipo che rimugina molto su queste banalità ma forse per fastidio o forse per altro – per qualcosa che ancora non riesco a denominare – continuo a rifletterci su. E so che non ne vale la pena, che non devo soffermarmi su tutto questo... solo che trovo impossibile non farlo. È come se Trevor, con il suo essere bastardo e allo stesso tempo chiuso in sé stesso, mi tenga legata a lui. Ma non per un sentimento, o qualcosa del genere, ma per una curiosità viscerale.

Con quest'ultimo pensiero spingo le coperte a terra e senza aspettare oltre mi precipito fuori dalla mia stanza.

Percorro, come solita fare, le scale per scendere giù ma storco il naso non appena una puzza strana pizzica le mie narici.

Non capisco cosa sia ma è forte e troppo pungente per essere un odore normale.

Aggrotto la fronte e avanzo velocemente non appena noto una nuvola densa e fastidiosamente potente percuotere anche le mie vie respiratorie.

Inizio a tossire e quando svolto a destra rimango impietrita dalla visione che mi si presenta davanti.

Una parte dell'edificio sta prendendo fuoco.

 

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Capitolo 21
*** Capitolo Venti ***


La scena a cui sto assistendo è surreale. I miei piedi rimangono piantati a terra come se due mani mi stessero ordinando di non spostarmi per nessun motivo al mondo, mentre i miei occhi continuano a fissare increduli ciò che sta accadendo in quest'ala dell'accademia. Il mio corpo non intende ascoltare gli impulsi del cervello, tant'è che continuo a guardare allarmata la porta che velocemente corrode a causa delle fiamme. La nube che fuoriesce è densa e pesante, come l'odore soffocante che pian piano istruisce le vie respiratorie e mi costringe a tossire. Non si riesce a vedere quasi nulla, tranne le fiamme che fuoriescono dalla porta socchiusa di una camera e che precocemente si aggrega alle altre stanze adiacenti. Tossisco e strizzo gli occhi poiché il fumo provoca pizzicori alle mie iridi. Stringo le mani in due pugni ed impongo al mio corpo di muoversi per cercare aiuto o, meglio, qualche allarme antincendio posto da qualche parte in corridoio. Non capisco perché nessuno si sia accorto del fumo opprimente e delle fiamme che avvolgono quasi metà edificio eppure non c'è traccia di individui. Mi guardo attorno tossendo e senza pensarci due volte tolgo la felpa che indosso e copro le cavità orali, in modo da non inalare il fumo tossico che potrebbe anche uccidermi. Torno indietro ripercorrendo lo stesso tragitto e mi precipito senza ripensamenti verso l'impianto collocato proprio a metà corsia. L'apparecchiatura prevede una serie di allarmi sonori e visivi per segnalare alla guardiola e ai soccorritori l'incendio in corso. Senza controllare le mie azioni presso il pulsante e all'istante il suono assordante e acuto risuona in tutti i locali possibili.

Tossisco e, cercando di mantenere la calma nell'attesa che qualcuno venga in soccorso, – anche se risulta impossibile farlo in certi casi –, raggiungo la parte del corridoio avvolta dalle fiamme. Tutte le stanze sono occupate e la paura che qualcuno stia soffrendo è tangibile. Il mio cuore scalpita agitato nel mio petto ed il sangue pompa anche nelle mie orecchie. Tento di avvicinarmi alla camera, attualmente aperta, con l'intenzione di controllare che ci sia qualcuno ma le fiamme me lo impediscono. Tuttavia, non mi faccio intimorire e, armandomi di coraggio, supero il tratto bruciante con un salto abbastanza alto.

Non appena metto piede nella prima camera il fumo mi investe all'istante. Strizzo gli occhi e comprimo più che posso la felpa sul mio viso ma l'ambiente totalmente annebbiato non mi permette di vedere ugualmente nulla. Non riesco nemmeno a distinguere l'arredamento ma le urla e le richieste di aiuto riesco perfettamente ad udirle. Grida disperate giungono alle mie orecchie e non potendo usufruire della vista mi sforzo ugualmente di sfruttare l'udito.

« Non riesco a vedere nulla, ditemi quante siete e dove siete!» urlo tossendo l'attimo dopo.

Il fracasso dei mobili corrosi dal fuoco è potente, tant'è che devo necessariamente sforzarmi per sentire ciò che le ragazze rispondono.

Mi guardo attorno e mi accorgo che le finestre sono chiuse. Ciò provoca una concentrazione maggiore del fumo e l'oppressione di quest'ultimo che tenta di attraversare gli altri locali.

« A letto! Non riesco a scendere, le fiamme sono ovunque!»

Harley grida ma la sua voce alzata di qualche ottava non riesce a mascherare il singhiozzo disperato che fuoriesce dalle sue labbra.

« Cerca un modo per scendere, sto arrivando!»

Sobbalzo quando una vampata si avvicina pericolosamente ai miei piedi e devio immediatamente il percorso sbattendo contro il muro. Respiro malamente e la testa inizia a girare ma mi impongo mentalmente di salvarla, di salvare quante più persone possibili.

« Aiuto!» un'altra voce giunge alla mia sinistra.

Vorrei urlare e gridare in questo momento per la frustrazione, per il panico che incombe in me e per la paura di non riuscire a salvare nessuno. Non capisco dove siano tutti quanti, perché nessuno sembra venire in soccorso quando l'incendio sta divorando ogni cosa. Non so fino a che punto riuscirò a rendermi utile, il mio corpo non so quanto tempo durerà prima di svenire per la tossicità del fumo.

Intravedo il sostegno del letto ed i miei occhi guizzano da una parte all'altra alla ricerca di una parte meno intaccata dal fuoco. Harley ha gli occhi chiusi e tossisce ritmicamente, sembra non dare più segni di energia ma continua a resistere.

« Harley, sono Arabella. Tieni gli occhi aperti, cerca di resistere»

La mora piange e urla non appena una lingua di fuoco danneggia parte del materasso.

Quando mi avvicino alla sua figura per poco non vengo colpita dalla fiamma dirompente, ma non devo minimamente crollare, devo riuscire a portarla fuori.

« Non riesco a respirare» sussurra afferrando le mie mani.

Tossisco e circondo le mie spalle con il suo braccio. « Forza, usciamo di qui»

Respira malamente mentre i suoi occhi lottano per non chiudersi. Mi guarda riconoscente, con le lacrime agli occhi, e annuisce lievemente alla mia richiesta aggrappandosi maggiormente al mio corpo. E in un tacito 'grazie' mormorato usciamo velocemente dalla stanza. Fortunatamente, non appena sollevo il capo mi accorgo del via e vai di gente, che senza pensarci un secondo soccorrono le ragazze ancora intrappolate nelle loro stanze. Le mie richieste sono state esaudite ed il sollievo si insinua dentro di me.

Accompagno Harley fino alla fine del corridoio e la aiuto a sdraiarsi a terra, in attesa dei corpo sanitario. Alcuni uomini corrono verso il luogo incendiato lanciando brevi occhiate verso le nostre figure ma non si fermano, ci sono ancora tante altre persone da salvare.

Drew e Tom sgranano gli occhi non appena voltano il capo verso di noi e con il fiatone per la corsa improvvisa controllano la situazione.

« Ragazze, state bene?» prende parola Tom che, agitato, perlustra il luogo.

Poggio le spalle al muro e annuisco. « Andate ad aiutare le altre, arriverà qualcuno a soccorrerci.» o almeno, lo spero.

« Sally ed i paramedici stanno arrivando, fate attenzione» ci avvisa Drew.

Lancia nuovamente un'occhiata ad Harley sdraiata a terra e annuisco, confusa.

Non so chi sia Sally ma credo non abbia importanza, l'importante è che vengano a soccorrerci.

Pochi secondi dopo una ragazza dai capelli scuri, seguita da qualche uomo alle sue spalle, si avvicina a passo felpato verso di me e la ragazza ai miei piedi.

Indossa un camice bianco e tiene in mano una valigetta del medesimo colore.

I suoi occhi scuri alternano lo sguardo e perlustrano la zona, soffermandosi maggiormente su Harley che cerca di non chiudere gli occhi.

« Ha inalato molto fumo» dico semplicemente sbattendo lentamente le palpebre.

La ragazza, che presumo sia la Sally di cui parlava Drew, annuisce e velocemente apre la valigetta per soccorrerla.

« Tu stai bene?» chiede armeggiando con il kit.

« Si, credo. Ho bisogno solo di prendere una boccata d'aria» deglutisco.

Mi guarda in modo strano ma alla fine annuisce. « Sarei più sicura se facessi qualche controllo. Sotto ci sono altri miei colleghi, vai da loro» intima.

Annuisco confusa e mi allontano da quel corridoio infernale e decisamente troppo angusto per me. Le mie gambe sembrano molle, quasi fatte di gelatina, ed i muscoli sembrano perdere pian piano le loro funzioni.

Fisso la fine del corridoio ma senza vederla davvero, la mia testa è caotica, i miei pensieri sono confusi. Il vociare, i passi veloci e pesanti, i rumori... tutto sembra echeggiare fastidiosamente, tutto sembra martellare incessantemente il mio cervello. Le orecchie fischiano ed i miei polmoni sembrano quasi supplicare aria.

Perdo per un attimo l'equilibrio e strizzando gli occhi poggio la mia spalla al muro.

La mia mano involontariamente sfiora la tempia. Vorrei dormire, interrompere tutto questo caos che regna in testa.

Sbatto le palpebre ma tutto diventa sfocato, persino le tre figure che si avvicinano ma che appaiono come macchie indistinte e irriconoscibili.

Le forze vengono a mancare e costretta dal mio corpo scivolo a terra. Le mie palpebre si serrano; tutto sembra tacere, tutto smette di funzionare e con sé anche la mia testa.

-

Non so dopo quanto tempo i miei occhi riacquistano lucidità. Non ho idea di che ore siano e del posto in cui mi trovo ma cerco di riprendere il controllo del mio corpo incominciando dai miei occhi che lentamente abbandonano la loro breve quiete. Sbatto le palpebre cercando di abituarmi alla luce che penetra da qualche parte ma la mia testa mi impedisce anche di compiere questa azione banale. Quest'ultima pulsa e istintivamente le mie mani massaggiano le tempie ricercando il sollievo agognato, desiderato, ma sembra non voler ascoltare i miei comandi e pulsa, pulsa più forte.

L'odore pungente di disinfettante solletica le mie narici e storco il naso leggermente irritata.

Nonostante il martellio incessante, tutti gli avvenimenti incominciano ad affollare la mia mente: la puzza di fumo, la nube che mi impediva di vedere, la tosse, le urla, il fuoco, la stanza annebbiata e le fiamme dirompenti. Il via e vai di uomini in camice, Harley, Drew, Tom... e poi il buio.

Sono confusa, non capisco come sia arrivata qui – in un posto ancora a me sconosciuto – e perché la testa mi martella incessantemente.

« Finalmente sei sveglia»

Una voce che riconoscerei tra mille mi riporta alla realtà e aprendo definitivamente gli occhi giro il capo alla mia destra.

Il ragazzo dagli occhi verdi sta seduto comodamente su una sedia, con le gambe divaricate ed i gomiti poggiati sulle cosce. Passa continuamente la mano destra tra i capelli mentre le sue iridi fissano insistentemente il mio viso.

Indossa una tuta e non la solita divisa.

Mi aiuto con le braccia e sollevo debolmente il mio corpo. « Cosa... cosa ci faccio qui?» chiedo con voce rauca, la mia bocca è asciutta e sento proprio la necessità di bere un bicchiere d'acqua. « E che ore sono?»

Trevor continua a fissarmi e poi sospira. « Sei svenuta. Quando sono salito per vedere cosa fosse successo, ti ho trovata a terra» risponde. « Dormi da un bel po', sono le dodici del mattino»

« E mi hai portata tu, qui?» lo interrogo deglutendo.

Annuisce solamente.

Distolgo lo sguardo e fisso la porta scura di fronte. Il motivo del mio svenimento è stato sicuramente causato dall'inalazione esagerata di fumo.

Dopo essermi un po' ripresa, mi accorgo di due cerotti: uno in fronte e l'altro sul gomito. Non ho idea di come mi sia procurata queste due ferite ma a questo punto non mi stupisco più di nulla.

« Sally si è occupata di te personalmente, ha portato Harley in un'altra stanza e poi si è precipitata qui. Non ho idea di cosa ti abbia dato ma adesso stai respirando tranquillamente, qualsiasi cosa essa sia è servita» afferma, mordendo l'interno guancia.

« Harley sta bene?» chiedo.

È vero, abbiamo avuto dei trascorsi, ma non sono così cattiva da voler la sua morte. Dopo tutto, le ho salvato la vita.

« Sì, non ci sono feriti gravi ma se non avessi dato l'allarme non ho idea di cosa sarebbe potuto succedere» mormora distogliendo lo sguardo.

« Come lo sai?» mi guarda accigliato e riformulo meglio la mia domanda. « Come sai che sono stata io a dare l'allarme?»

« Harley. Lo ha supposto nel momento in cui l'hai soccorsa ed evidentemente è stato così»

Annuisco.

E pensare che non riuscivo a prendere sonno proprio a causa loro.

« Sai cos'è successo? Il motivo per cui parte dell'edificio è andato in fiamme?»

Si irrigidisce alla mia domanda ma sembra quasi consapevole, come se già si aspettasse un quesito del genere. Non risponde subito, si guarda attorno quasi a voler cercare qualcosa da poter dire ma alla fine punta i suoi occhi nei miei e scuote il capo. « Sicuramente qualche corto circuito, devono ancora controllare cosa possa aver causato l'incendio»

Dalla sua voce non trapela incertezza ma ho la netta sensazione che stia nascondendo qualcosa e che questa risposta sia solo una scusa per tapparmi.

« Lo sai ma non vuoi dirmelo» ribatto sicura.

Serra la mascella. « Cerca di riprenderti» taglia corto e detto ciò si alza dalla sedia prendendo un respiro profondo.

Ci guardiamo in silenzio e senza dire nulla avanza verso l'ingresso ma, prima che possa solo abbassare la maniglia, la mia voce lo ferma.

« Trevor...»

Il mio richiamo lo costringe a voltarsi e dalla mia posizione lo osservo attentamente senza battere ciglio. Ho apprezzato il fatto che mi abbia portata qui, che abbia agevolato il mio soccorso e che sia rimasto attendendo il mio risveglio.

« Mh?» mormora con indifferenza.

« Grazie» abbozzo un sorriso ma il moro si limita ad una scrollata di spalle.

« Alle cinque vieni in mensa, dobbiamo parlare tutti quanti» avvisa, e senza attendere una risposta sparisce dalla mia vista.

La porta si chiude in un tonfo ma non appena abbasso lo sguardo sulle mie gambe ecco che essa si apre nuovamente. Ma la figura che fa capolino dentro non è più Trevor bensì Lily seguita da Jessy.

Le due ragazze, preoccupate, si avvicinano al lettino in sui siedo e senza dire nulla mi abbracciano.

Mi irrigidisco al loro gesto improvviso.

Non sono abituata a questi atti troppo intimi ma tento in tutti i modi di smascherare il mio disagio ricambiando, alla bell'e meglio, l'abbraccio.

« Mio Dio, stai bene» sussurra Lily al mio orecchio, con voce tremante.

Abbozzo un sorriso e delicatamente si staccano dal mio corpo. Entrambe ne scrutano ogni parte, come a volere una rassicurazione, e respirano pesantemente.

« Sto bene» le rassicuro un po' a disagio.

« Pensavo... quando mi sono svegliata non c'eri e ho sentito l'allarme e... Dio, non provarci mai più!» esclama arrabbiata ma la sua voce tentenna e alcune lacrime scivolano giù.

Sono sorpresa da tutto ciò, Lily non piange mai.

« Ehy... non piangere, sono qui. Va tutto bene» la rassicuro nuovamente afferrandola per il polso. Mi abbraccia, ma stavolta la lascio sfogare.

Poggio il mento sulla sua spalle e osservo Jessy con il capo chino mentre tira su con il naso.

Sorrido. « Nanetta, non ti donano le lacrime. Ti preferisco decisamente ubriaca» scherzo e la mora solleva lo sguardo ridendo. Asciuga le lacrime e si avvicina.

« Mi piace la versione addolcita» mi stuzzica, anche se so che il suo intento sia proprio quello di sforzare la tensione che si può facilmente tagliare con un coltello.

Inarco entrambe le sopracciglia e la trucido con lo sguardo. « Non esiste nessuna versione del genere, segnati questo giorno perché sarà l'unico e solo» borbotto infastidita.

Jessy ride e scuotendo il capo si unisce all'abbraccio.

« Consideralo fatto»

 

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Capitolo 22
*** Capitolo Ventuno ***


Le suole delle mie scarpe collidono rumorosamente con i detriti sparsi per tutto il perimetro precedentemente avvolto dalle fiamme. È passata già una settimana dall'incendio che ha completamente distrutto parte dell'edificio ed una settimana dall'avvio delle ricerche sulla presunta causa che ha scatenato l'angosciante distruzione. Il nero, colore predominante, pigmenta tristemente i muri, il pavimento, i mobili per metà logorati ed i letti di cui rimangono solo le reti o, per lo meno, una parte. Le finestre sono rotte ed i pezzi di vetro sono sparsi ovunque come gli innumerevoli oggetti personali disseminati in ogni dove: vestiti bruciati, scarpe del tutto disintegrate, libri ridotti in un ammasso di foglietti rimpiccioliti e quasi del tutto carbonizzati ed infine fotografie incenerite.

Fotografie che ritraggono quadri familiari, amicizie lontane e fidanzati distanti. Feste di compleanno, baci rubati e pose divertenti... Momenti indelebili nel cuore, attimi che scompaiono velocemente ma di cui rimane il ricordo, un ricordo materiale, da poter toccare: tangibile. E adesso non c'è più la possibilità di poter toccare nuovamente questi quadri, di poter accarezzare i visi sorridenti ed i paesaggi meravigliosi che fanno da sfondo. Non c'è più la possibilità di fermarti per pochi secondi, afferrare le foto e sorridere nostalgicamente mentre la mente ripercorre scene già vissute. Non c'è più la possibilità di piangere su di esse per l'angoscia del momento, di ridere per un aneddoto lontano e arrabbiarsi per un'amicizia finita o un amore concluso male. Non c'è più la possibilità di far nulla perché di esse non rimane che solo una testimonianza distrutta.

I miei occhi si posano con tristezza su un quadro rotto da cui fuoriesce una fotografia del tutto consumata. Mi abbasso sulle ginocchia e facendo attenzione ai vetri afferro ciò che ne rimane. Il viso paffuto e sorridente di una bambina è l'unica cosa che si riesce a vedere, la faccia è scolorita ma si riescono ugualmente a distinguere i lineamenti dolci e armoniosi. Le miei iridi scorrono veloci sui piccoli dettagli, come il braccio femminile che circonda la spalla minuta, l'unica cosa che testimonia la presenza di una seconda figura.

Sospiro adagiando la foto ai miei piedi e sollevo lo sguardo puntandolo altrove, alla ricerca di qualche oggetto che sia riuscito a scampare alla violenza delle fiamme ma oltre ad un ammasso di cenere non scorgo nulla.

Il fetore pungente è sempre presente ma decisamente meno ostruente, continua ad aleggiare in ogni stanza come una macchia che non andrà mai più via e forse si comporterà proprio così: come una chiazza indelebile che anche dopo giorni o addirittura anni non si cancellerà, rimarrà eterna come l'inquietudine che continuerà a persistere dentro ogni individuo.

Se provassi a chiudere gli occhi riuscirei a rammentare tutto quello che è successo in quei minuti strazianti: l'affanno e la difficoltà nel non saper come bloccare l'entrata del fumo tossico, la tosse frequente, le urla strazianti, l'indebolimento fisico ed i capogiri continui, la poca lucidità e l'offuscamento della vista ed infine il cuore che batteva sempre più lentamente. I rumori letteralmente sfocati dall'affievolimento mentale ed il martellio incessante sopraggiunto subito dopo.

Non appena metto piede nella prima camera il fumo mi investe all'istante Strizzo gli occhi e comprimo più che posso la felpa sul mio viso ma l'ambiente totalmente annebbiato non mi permette di vedere ugualmente nulla. Non riesco nemmeno a distinguere l'arredamento ma le urla e le richieste di aiuto riesco perfettamente ad udirle. Grida disperate giungono alle mie orecchie e non potendo usufruire della vista mi sforzo ugualmente di sfruttare l'udito.

« Non riesco a vedere nulla, ditemi quante siete e dove siete!» urlo tossendo l'attimo dopo.

Il fracasso dei mobili corrosi dal fuoco è potente, tant'è che devo necessariamente sforzarmi per sentire ciò che le ragazze rispondono.

Mi guardo attorno e mi accorgo che le finestre sono chiuse, ciò provoca una concentrazione maggiore del fumo e l'oppressione di quest'ultimo che tenta di attraversare gli altri locali.

« A letto! Non riesco a scendere, le fiamme sono ovunque!»

Quelle fiamme che continuavano a salire e a distruggere tutto quello che incontravano, la sensazione di impotenza che mi ha travolta quando ho capito che in camera non c'era solo Harley ma anche un'altra ragazza... Non mi sono mai sentita impotente in vita mia, non ho mai sentito quella sensazione di incapacità né in vita privata e né durante gli addestramenti. Non ho mai sentito tutte quelle sensazioni negative, come la paura di non riuscire a salvare qualcuno o il panico che impedisce anche di muovere un singolo arto. Sono cresciuta con il cuore duro come il ghiaccio, con la paura inabissata sotto cumuli di coraggio e forza, e trovarsi davanti ad un fatto compiuto del genere ha completamente stravolto il mondo idealizzato negli anni.

« Arabella?»

I miei occhi si aprono all'istante non appena la voce insicura e tremolante di Harley arriva alle mie orecchie.

Fisso un'ultima volta le macerie e sospirando pesantemente mi sollevo da terra. Non incontro i suoi occhi perché non mi sento di farlo e perché - con tutta onestà - non ne ho voglia; dopo tutto quello che è successo tra me e lei, dopo le fangose parole senza base alcuna e dopo i suoi sguardi di fuoco causati dalla sua malsana gelosia nei miei confronti, non intendo continuare a darle importanza. Le ho salvato la vita, questo è vero, perché in fondo non sono come mi dipingono, come la cattiva e maligna della situazione. Ogni essere umano con del buon senso lo avrebbe fatto ed io non mi sarei tirata indietro per nessun motivo al mondo, anche a costo di perdere la mia stessa vita. Ciononostante, non mi interessa avere un rapporto o un legame con lei perché non la ritengo una persona vera e spontanea.

« Dimmi»

Lascio una delle stanze ormai distrutte e percorro a passi lenti il corridoio. I muri sono completamente anneriti e più attraverso la stretta corsia e più il colore si avvicina al nero pece. L'ambiente è cupo, non si respira aria pulita e trasmette un senso di angoscia profondo; è dannatamente vero quando si dice che i posti, gli sguardi o semplicemente le parole possono cambiare l'umore o semplicemente trasmettere sensazioni e percezioni, e positive o negative che siano, riescono ad arrovellarti dentro in una maniera strana, fastidiosa.

« Non ti ho ringraziata» parla d'un tratto, interrompendo i miei pensieri.

Avevo dimenticato la presenza della mora e udendo i passi alle mie spalle deduco che non abbia mai smesso di seguirmi.

« Di cosa?» ribatto indifferente, provocando rumori continui ogni volta che avanzo verso la fine del corridoio.

Prende un respiro profondo e velocemente mi affianca. Sbircio con la coda dell'occhio la sua figura e mi acciglio quando mi accorgo del nervosismo nei suoi gesti. Ha il capo chino, morde di continuo le sue labbra e pizzica costantemente i polpastrelli delle sue dita; non ho idea del motivo per cui stia così ma evidentemente una spiegazione ci sarà e sono curiosa di conoscerla.

«Mi hai salvato la vita e ti sono debitrice per tutta la vita» deglutisce fissando il mio profilo.

Scuoto di poco il capo e dopo minuti interminabili incrocio i suoi occhi anch'essi scuri ma con un'unica differenza che ci distingue: le sue iridi sono avvolte da un alone di pentimento, quasi vergogna e anche un pizzico di riconoscimento mentre le mie rimangono illeggibili, spente e indifferenti.

« Non devi. Lo avrei fatto con chiunque» replico tranquillamente.

Sorride amaramente. « Non me lo meritavo. Dopo tutte le cattiverie che ti ho detto non meritavo il tuo aiuto. Avresti potuto lasciarmi lì e non lo hai fatto. Perché?» chiede deglutendo il groppo in gola.

Questo argomento la rende molto vulnerabile ma è comprensibile, chiunque rimarrebbe traumatizzato da un evento del genere. Vedere la morte con i propri occhi è terribile e poche persone riuscirebbero a sollevarsi senza riportare danni, fisici o psicologici che siano.

Blocco i miei passi e la fisso senza accennare nemmeno una sillaba.

Il suo viso è distorto in una smorfia affranta, confusa, ed il nervosismo continua a divorarla viva.

« Se fossi stata al mio posto e ti fossi ritrovata nella mia stessa situazione, cosa avresti fatto?» chiedo.

Sembra sorpresa dalla mia domanda diretta, ciononostante sostiene lo sguardo. « Non credo che avrei fatto la stessa cosa... » ammette sincera e sorrido istintivamente alla sua risposta scontata.

« Perché?»

« Perché non hai avuto alcun rispetto per me» dice immediata, mettendosi nei miei panni.

« È questa la differenza tra me e te, Harley. Se mi trovassi nuovamente in quella situazione io non ci penserei due volte a salvarti mentre tu continueresti a covare veleno, infischiandotene dell'incolumità degli altri, pensando solo ed esclusivamente ai commenti infantili dettati da insana invidia. Contrariamente al tuo pensiero, non me ne fregherebbe nulla delle offese gratuite perché, quando c'è di mezzo la vita o la morte, non sono queste le cose importanti da pensare. Se non ti avessi salvata, vuoi sapere come mi sarei sentita?» chiedo ma non aspetto una sua risposta. « Male, estremamente male. Avrei vissuto con il rimorso, avrei vissuto ogni giorno con il dolore al petto causato da una scelta sbagliata. Se fossi stata al tuo posto sarei morta ma tu saresti morta insieme a me, e sai perché? Perché il rimpianto per aver commesso la scelta errata ti avrebbe trascinata in un limbo di disperazione e, credimi, non c'è cosa peggiore dopo la morte vera e propria. Ecco perché ti ho salvata»

Le mie parole sono dure e taglienti ma non mi importa, deve capire qual è il vero limite della vita e gli sbagli che potrebbero costarle la sanità mentale ma anche lo squarcio della sua sopravvivenza.

È vero, sono una stronza, tratto male le persone ed è difficile stare al mio fianco ma perché sono io che in primis voglio che sia così. So distinguere cosa è giusto e cosa è sbagliato - al di là del mio atteggiamento scorbutico - e qual è la cosa onesta da dover fare e quale non. E la risposta di Harley mi ha solo confermato quanto sia egoista e meschina e, soprattutto, quanto l'invidia logora le interiora delle persone.

« I-io... mi dispiace» tira su con il naso ed un singhiozzo la scuote. « Mi dispiace per tutte le cattiverie che ti ho detto... ero solo accecata dalla gelosia»

Mi acciglio. « Gelosia?»

Annuisce. « Trevor. È lui il motivo della mia gelosia...»

« Non mi interessa Trevor, mettitelo bene in testa. Questa tua gelosia è insensata e decisamente stupida» esclamo duramente.

Scuote il capo. « Magari a te non interessa ma a lui sì, interessi, e anche tanto»

Rido divertita. « Senti, non intendo affrontare un discorso del genere con te e non intendo minimamente parlare di quel coglione. Se proprio ti interessa prenditelo ma smettila di mettermi in mezzo. Io e lui non condividiamo nulla se non un impegno lavorativo, niente di più e niente di meno»

Deglutisce. « Adesso ho capito che non sei una minaccia...» mormora.

« Bene» dico solamente facendo dietrofront.

« Arabella!» richiama.

Ruoto gli occhi al cielo. « Mh?»

« C'è qualcosa che posso fare per rimediare?» chiede insicura.

Questa sua posizione attuale mi diverte; sono abituata ad un'altra versione di Harley. Adesso somiglia più un agnellino indifeso che ad una stronza psicopatica.

« No. Il latte è stato versato e non serve lottare tra la vita e la morte per rendersi conto degli sbagli commessi. L'unica cosa che puoi fare è migliorare, sia per gli altri ma soprattutto per te stessa» ribatto senza battere ciglio.

I suoi occhi sono inumiditi dalle lacrime di pentimento che scivolano copiose sul suo viso. Annuisce impercettibilmente e distoglie lo sguardo puntandolo altrove.

Mi allontano dalla sua figura - non attendendo una sua risposta - e dal luogo distrutto ma quando sto per girare l'angolo per allontanarmi definitivamente dal posto, ecco che la sua voce, determinata e sicura, mi costringe a bloccare i miei passi.

« Lo farò» sussurra.

Riprendo a camminare decidendo di non risponderle e, quando mi dileguo definitivamente, gli angoli della mia bocca si sollevano in un sorriso spontaneo.

***

« Mi spiegate a cosa sono dovuti questi schiamazzi? Vi sentite dalla mensa» borbotto acida.

Chiudo la porta della mia camera con un calcio ed elimino le gocce d'acqua dai miei capelli lunghi e rossi con un asciugamano umidiccio.

Jessy trattiene l'ennesima risata ma quando guarda nuovamente il viso di Lily scoppia in una risata fragorosa.

Mi acciglio e scuoto il capo.

Mi muovo in camera alla ricerca di una felpa da indossare e quando la trovo la indosso senza pensarci due volte. I riscaldamenti non funzionano e siamo costretti a coprirci con quello che abbiamo.

« Devo raccontarti una cosa» annuncia la mia migliore amica.

Ruoto il capo e inarco un sopracciglio, « Cosa?»

Prende un respiro profondo e, quando sta per aprir bocca, lancia un'occhiata verso Jessy e scoppia nuovamente a ridere.

Ruoto gli occhi al cielo per l'ennesima volta. « Okay, quando la smetterete avvisatemi» borbotto contrariata.

Pettino i miei capelli e fortunatamente l'oggetto districa perfettamente la chioma folta. Guardo il mio riflesso allo specchio e continuo ad acconciarli.

« Va bene, okay... Allora, oggi ho incontrato Willy e sai com'è, una cosa tira l'altra...»

« Siete andati a letto, ho capito. Ma cosa ti diverte così tanto? Ti sei accorta che ce l'ha piccolo dopo una decina di volte che avete fatto sesso?» ribatto divertita.

« No, peggio» trattiene una risata.

Osservo il suo viso dal riflesso e attendo una risposta. « Cosa c'è peggio di questo? »

China il capo. « Beh, potrei aver incontrato Drew nell'esatto momento in cui ho lasciato la camera di Willy» confessa.

Sbatto le palpebre. « Continuo a non capire»

Jessy alza gli occhi al cielo. « Odio quando non arrivi al dunque» borbotta in direzione della bionda. Sorrido istintivamente. « In poche parole ha fatto sesso con Willy, è uscita dalla sua camera e si è scontrata con Drew. Quel gran figo ha capito tutto e le ha fatto una scenata» spiega velocemente.

« E questo ti diverte?» rido per la stupidità della cosa.

Lily scuote il capo e sorride sghemba.

« Non esattamente... Dopo la sfuriata, la bionda qui presente, lo ha accusato di avere il pene piccolo e come se non bastasse lo ha palpato, confermando la sua tesi»

« In realtà ho detto tali parole: " Se voglio far sesso con Willy non sono fatti che ti riguardano. Cos'è che ti turba? Il fatto che tu abbia il pene più piccolo del ragazzo qui dentro?"» cinguetta muovendo la testa. « Poi mi ha urlato nuovamente contro ed io l'ho palpato»

Strabuzzo gli occhi sconvolta. « Che cazzo... Lily!»

Alza le mani in segno di innocenza. « A mia discolpa, posso dire di essermi difesa. E poi non è vero, ti posso assicurare che il suo mostriciattolo è molto più grande e grosso del pipino di Willy. Però non potevo di certo dirglielo!»

Chiudo gli occhi sconvolta ma non riesco a trattenere il sorriso sulle labbra che si amplia sempre di più. « Sai che hai appena dato inizio ad una guerra?»

Sorride maliziosa. « Se per guerra intendi sesso sfrenato con Drew Ward, sono felice di raccogliere il guanto di sfida»

Scoppio a ridere. « Sento odore di guai» esclamo.

Jessy ride sonoramente e rovescia all'indietro la testa.

« Oh, guai bollenti» conferma.

« Oh, dimenticavo!» Aggrotto la fronte e fisso la bionda seduta malamente sul suo letto. « Trevor ti cercava, gli ho riferito dove ti trovassi e lui mi ha semplicemente detto: " Dille di raggiungermi in camera mia» Imita il suo tono di voce profondo e roco.

« Non ti ha rivelato il motivo?» chiedo perplessa. Che senso ha raggiungerlo in camera? Ci sarebbero mille posti in cui potrei incontrarlo.

Alza gli occhi al cielo. « Ovvio che no ma lo scoprirai a breve» dice maliziosa.

« Piantala» la ammonisco.

« Chissà perché vuole incontrarti in camera sua...» cantilena la mora.

« La pazienza ha un limite»

Entrambe scoppiano a ridere ma sono già rintanata in bagno quando riprendono a parlare.

Prima lo incontro e prima andrò via.

« Vogliamo i dettagli!»

« Non voglio sentirvi!» urlo di rimando, raggiungendo la porta del bagno.

Mi chiudo dentro e scuoto il capo. Non si arrenderanno mai!

 

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Capitolo 23
*** Capitolo Ventidue ***


Finisco di frizionare la mia chioma rossa, dopo di che ripongo ordinatamente l'asciugacapelli nello scomparto apposito. Considerata la lunghezza ogni volta impiego almeno dieci minuti per concludere ma non mi lamento, tutto ciò che riguarda la cura del corpo mi rilassa. Fisso il mio riflesso allo specchio e sposto le ciocche dietro le spalle, lambisco il mio viso e percepisco istantaneamente il calore che emanano le mie gote leggermente arrossate. Le labbra – già rosse di natura – si colorano di un rossiccio più marcato e quasi sbuffo irritata. Odio quando queste piccole cose che, sommate alla mia corporatura, favoriscono un'immagine del tutto distorta di me. In apparenza potrei descrivermi come una ragazza minuta, dal viso di porcellana e puntinato da lentiggini, incorniciato da una folta chioma rossa e dalle labbra rosso porpora. Una bambolina graziosa, una visione quasi angelica. Tuttavia, l'immagine esteriore non rispecchia per niente la realtà ed il mio carattere. La durezza dei miei occhi scuri eclissa totalmente i piccoli fasci di dolcezza che li attraversano, la mia espressione glaciale e apatica inabissa del tutto l'ammorbidire dei lineamenti e persino i pochi sorrisi – che dovrebbero comunicare qualche momento spensierato – si rivelano solo una smorfia stramba. Tutto ciò che faccio è comunicare quello che voglio che gli altri vedano di me, ovvero l'immagine sbagliata. Mai nessuno è riuscito a superare quella spessa barriera innalzata da me stessa anni prima, mai nessuno è riuscito a capire davvero cosa si cela dietro la mia freddezza e di conseguenza mai nessuno si è interessato talmente tanto da chiedersi il motivo per cui io sia così. Il fatto che non voglia far vedere la vera me non è una questione di paura; la paura di non essere accettata o capita. Semplicemente, non mi piace che gli alti possano anche solo sfiorare con mano le mie debolezze, le mie fragilità. Perché se lo permettessi potrebbero annientarmi, potrebbero giocare con il piccolo involucro che nascondo gelosamente ed io non posso permetterlo. La maschera incollata al mio viso è l'unica cosa che mi protegge, l'unica cosa che mi divide dagli altri ed è il solo modo per apparire immune ad ogni emozione.

Non che non abbia qualità positive, perché in fondo anche i più cattivi possiedono pregi, e questo lo riconosco. Ciononostante, non sono il tipo che esprime apertamente ogni emozione, sensazione o percezione. Preferisco tenermi tutto per me, anche le lacrime che raramente ho versato nell'arco della mia vita e probabilmente è sbagliato il mio atteggiamento, eppure non mi importa. Forse potrei affrontare le mie giornate in maniera diversa eppure non ne sento la necessità. Forse potrei cambiare ma gli input interiori mancano.

Perché, fondamentalmente, lo strascico degli anni passati è talmente lungo da non sentire nemmeno il bisogno di provarci.

« Ara, hai finito?»

I pugni collidono ripetutamente con la porta del bagno e grugnisco irritata. « Sto uscendo!»

« Devo svuotare la vescica, muoviti!» urla dall'altra parte supplicando.

Evito di risponderle e fisso nuovamente il mio riflesso. Scrollo le spalle accantonando tutti i pensieri precedenti e lascio la stanza ritornando dalle ragazze sdraiate sul mio letto. Jessy sonnecchia in posizione fetale; dalle sue labbra fuoriescono piccoli sbuffi mentre le sue lunghe ciglia accarezzano le sue gote leggermente pronunciate. Lily, invece, mi guarda sollevata e, senza accennare una sola parola, corre chiudendosi in bagno.

Punto gli occhi sull'orologio e mordo l'interno guancia quando osservo nuovamente la ragazza dormiente. Potrei svegliarla e accompagnarla in camera sua, – dato che una volta addormentata è impossibile che riesca a stare in piedi senza inciampare come un'alcolizzata –, ma, più la guardo e più l'idea di lasciarla qui ad oziare beata si insinua in me. Se questo episodio si fosse presentato qualche settimana prima non ci avrei pensato due volte a svegliarla e a cacciarla fuori, soprattutto se il cuscino sul quale ha mezza faccia schiacciata è di mia proprietà. Tuttavia, considerato il quasi rapporto 'intimo' che pian piano sta crescendo, decido di lasciar perdere. Tutto sommato è piccola e in due potremmo starci nello stesso letto.

Probabilmente, è l'unica persona dopo Lily immune ai miei attacchi isterici. E sì, è una delle poche persone che tollero.

Prendo un respiro profondo e afferro le mie sneakers.

La porta del bagno si apre qualche secondo dopo e da quest'ultima sbuca Lily decisamente appagata. « Dio santo, non facevo una pipì del genere da anni!» esclama.

Ridacchio. « Lo dici ogni giorno» evidenzio.

Ruota gli occhi al cielo. « Quanto sei pignola!» borbotta gettandosi a peso morto sul suo letto.

Dalla mia angolazione sembra una stella marina.

« E tu sembri un ultras. Jessy sta dormendo, abbassa la voce!» la ammonisco.

Il suo viso è completamente nascosto dal cuscino e scuoto il capo ignorandola quando mugugna qualcosa che non riesco completamente a comprendere.

Solleva la testa guardandomi irritata, « Ti ho fatto una domanda»

« E cosa dovrei capire se il tuo viso era completamente schiacciato sul quel cazzo di cuscino?!» sbotto aprendo le braccia.

Il suo viso assume una smorfia. « Non hai tutti i torti...»

« Grazie mille» sorrido falsamente.

Sbuffa. « Dicevo, quando hai intenzione di raggiungere Trevor? È passata un'ora»

Raggiungo la porta e sospiro pesantemente. « Ti preferivo quando la tua faccia era un tutt'uno con il cuscino»

Ruota gli occhi al cielo. « Simpatica come un palo nel culo» borbotta e sorrido divertita. « Ci andrai?»

« Sì, ma non è un problema se aspetta altri cinque minuti. Non ho intenzione di correre»

Immagino già la sua faccia scazzata per il mio ritardo. Non ama aspettare, soprattutto se colei che ritarda sono proprio io, l'unica donna al mondo che non riesce a starci insieme per più di dieci minuti. Tant'è che passiamo il nostro tempo a litigare, a volte anche per cose futili. Credo che sia una sorta di abitudine in fondo, anche se sono del parere che realmente ci detestiamo e continueremo a detestarci. Certo, se magari ci comportassimo diversamente le pesanti ore di lavoro si trasformerebbero in ore piacevoli ma, sarei un ipocrita se dicessi che vederlo incazzato non mi diverta. È esilarante quando i lineamenti del suo volto si induriscono e diventa rosso o stringe le mani in due pugni mettendo in evidenza le vene delle braccia e del collo.

« Ti piace parecchio stuzzicare la sua pazienza» asserisce con un sorriso divertito.

Inarco un sopracciglio sorridendo sghemba. « Beh, potrei dire la stessa cosa di Trevor. Sai che scarseggio di tolleranza eppure non si fa scrupoli a superare il limite»

« Touché»

Sorrido e dopo aver abbassato la maniglia mi catapulto fuori.

« Se non dovessi tornare, chiamerò i soccorsi!»

Rido divertita. « Tornerò prima del previsto, non aspettarmi sveglia»

Attraverso il corridoio in estremo silenzio. Le porte sono tutte chiuse e se provassi ad avvicinarmi sentirei solo voci sussurrate o semplicemente respiri pesanti. Ammetto che, ogni volta che decido di lasciare la mia stanza per una passeggiata notturna, la mia mente mi riporta all'incendio di poco tempo fa. La paura che possa riaccadere è sempre dentro di me, perché ancora oggi non si riesce a capire come e perché sia accaduto. Molti dicono che sia stato un cortocircuito, altri invece, sono convinti che sotto ci sia qualcosa. Affermano che Marxwell sappia qualcosa ma non intende informarci, forse per non allarmarci o forse perché preferisce insabbiare le cose e procedere in anonimato. Io credo che non sia stato un semplice cortocircuito, se davvero fosse stato così l'intero edificio avrebbe preso fuoco e invece tutto è partito da qualche punto in particolare e poi il tutto si è propagato. La scusa rifilata non è credibile, o per lo meno, non per me che vado fino in fondo nelle cose, mentre il resto preferisce non indagare più di tanto, infischiandosene. Le persone coinvolte non si spiegano l'accaduto e nonostante siano ancora traumatizzate continuano a lavorare come se niente fosse successo.

La camera di Trevor non è molto lontana dalla mia, infatti la raggiungo velocemente nonostante abbia rallentato il passo.

Busso educatamente e attendo che qualcuno mi risponda.

Sbuffo sonoramente quando non ottengo risposta e senza troppe cerimonie abbasso la maniglia ed entro in camera.

I miei occhi guizzano da una parte all'altra e come sospettavo non c'è traccia di Trevor. Mi chiedo dove possa essere ma poi quando sento lo scrosciare dell'acqua, capisco immediatamente dove si trova. A differenza degli altri, i cinque hanno una doccia nella loro camera e ovviamente tutti i servizi di cui hanno bisogno. La cosa mi infastidisce parecchio ma ho imparato a fregarmene altamente; è inutile sollevare un polverone se poi nemmeno ti ascoltano.

Approfitto del tempo disponibile per girovagare un po' e, come immaginavo, la composizione semplice e quasi asettica della sua stanza non mi sorprende per niente. Il letto è posto alla mia destra e le lenzuola sono di un bianco semplice, alla mia sinistra c'è una scrivania nera sulla quale vi sono alcuni fogli sparsi, qualche penna ed un computer in stand-by. Una mensola vuota è affissa proprio al di sopra mentre la sedia è posizionata a accanto alla finestra – che ho di fronte – nella quale vi sono alcuni indumenti alla rinfusa. L'armadio a due ante è proprio al mio fianco ed il tutto è completato dalla porta del bagno socchiusa.

Tutto sommato è semplice ma molto ordinata, se non fosse per quei pochi vestiti poggiati malamente. Considerato il suo atteggiamento impostato, immaginavo che potesse essere un tipo ordinato e a cui non piacciono le cose fuori posto. Un po' siamo simili.

Mi avvicino ai piedi del letto e infischiandomene mi getto su di esso. I miei occhi fissano il soffitto e per smorzare un po' il tempo pizzico i miei polpastrelli incastrando le mani sul mio grembo.

Sono curiosa di sapere il motivo per cui abbia richiesto la mia presenza.

Il rumore dell'acqua cessa e quindi deduco che a breve possa fare la sua comparsa.

Di fatti, la porta del bagno si apre e d'istinto le mie iridi si posano sulla sua figura.

Giustamente decide di abbandonare il bagno con un solo asciugamano a coprirgli il corpo. Se non fossi tanto brava a mantenere la maschera di impassibilità sono sicura che si vedrebbe da lontano il disagio. Di solito non mi crea alcun problema vedere uomini girare mezzi nudi, qui ci sono abituata e poco mi importa eppure con Trevor non accade.

Il suo addome lucido di gocce d'acqua e perfettamente scolpito, i muscoli delle braccia e delle gambe accentuati, i suoi fianchi stretti e avvolti da un misero pezzo di stoffa, la sua mascella mascolina e dannatamente precisa, i suoi occhi verdi inquisitori e misteriosi ed i suoi capelli scuri gocciolanti... Trevor è una visione straordinaria, un Dio greco sceso dall'Olimpo.

Mi strozzerei con la mia stessa saliva se non fossi così dannatamente controllata.

E per fortuna, direi.

Si acciglia osservando dall'alto verso il basso – e viceversa – la mia figura completamente sdraiata sul suo letto. Credo sia infastidito dalla cosa ma poi, quando distoglie lo sguardo frizionando i capelli con l'altro asciugamano, capisco che realmente non lo è.

« Un'ora e dieci minuti di ritardo, complimenti» prende parola spostandosi verso il centro della sua stanza.

Seguo i suoi movimenti e non trattengo un ghigno. « Ognuno ha i suoi tempi, sergente»

Inarca un sopracciglio e lancia un'occhiata nella mia direzione. « Sei qui da molto?» chiede tranquillo, come se non fosse nudo ed io non lo stia guardando.

È al suo agio ma è inevitabile, chiunque si comporterebbe così se avesse un fisico del genere.

« Qualche minuto in realtà, ho bussato ma non mi hai risposto»

« E quindi hai pensato bene di far irruzione in camera»

Faccio spallucce scocciata. « Se entrare in camera tranquillamente la chiami irruzione, fai pure»

« Dovresti moderare il linguaggio, lo sai?»

Si sposta dal centro e si avvicina al suo armadio. Apre le due ante e velocemente afferra una tuta nera da esso.

I boxer li ha già in mano e quando poggia gli indumenti sul materasso, ecco che la sua mano tenta di sciogliere il nodo dell'asciugamano.

Copro il miei occhi poggiando il braccio sul mio viso e lo sento ridere.

« E tu dovresti vestirti in bagno, sono pur sempre una donna» scatto.

La sua risata è ancora udibile e mi ritrovo a mordermi la lingua per non sbottare come al mio solito.

« Vorresti vietarmi di vestirmi in camera mia? E poi non fare la puritana, molte pagherebbero per uno spogliarello gratis» il suo tono modesto mi fa ruotare gli occhi al cielo.

« Mi distinguo dalla massa, allora»

« Puoi guardare, adesso» avvisa e mi acciglio.

Indossa dei miseri boxer ed i miei occhi non riescono a non fissarlo ovunque, e per ovunque intendo anche l'amichetto che si ritrova. Insomma, non è messo male nemmeno lì, buon per lui.

« Occhietti avidi» mi guarda con un sorrisetto impertinente.

Lo prenderei a schiaffi ma proprio pesanti.

« Invece di perdere tempo in chiacchere, perché non mi spieghi il motivo per cui hai chiesto di vedermi?» vado dritta al sodo, anche perché i minuti di sopportazione sono sforati.

I suoi lineamenti si induriscono e immediatamente capisco che l'argomento di cui mi parlerà non sarà superficiale.

« Domattina Marxwell vuole vedervi, vi parlerà di ciò che è successo la scorsa settimana» risponde.

Indossa i pantaloni della tuta e velocemente la felpa.

Prendo un respiro profondo. « Non è stato un incidente, non è così?»

Ma i suoi occhi mi confermano ciò che da giorni ormai penso.

« Chi è stato?» domando cauta.

Respira pesantemente e scuote il capo. « Non posso rivelare queste informazioni, lo saprai domani probabilmente»

Mi sollevo aiutandomi con le braccia e incrocio le gambe. « È stato qualcuno ad appiccare l'incendio. Se fosse stato un cortocircuito, le fiamme sarebbero partite dalla centralina e invece l'incendio è partito da qualche stanza» ribatto sicura.

È da giorni che frulla questo pensiero nella mia testa. Sono sicura che sia qualcuno, magari è una sorta di avvertimento.

Ma a che pro?

I suoi occhi continuano a fissarmi insistentemente ma non demordo. « Potrebbe essere un avvertimento? Una minaccia?»

Trevor passa una mano tra i capelli bagnati e indurisce la mascella. « Arabella»

Inarco un sopracciglio. « Non sono stupida, Trevor. So che Marxwell ci sta nascondendo qualcosa di grosso ma non ha senso starsene zitti. Siamo state scelte per un motivo ed io voglio sapere, ne ho il diritto. Ho il diritto di sapere in cosa sono invischiata» sbotto infuriata.

Sono stata decisamente troppo paziente, ho acconsentito a questa cosa ma adesso non posso starmene con le mani in mano. Non posso continuare a rimanere all'oscuro di tutto; meritiamo di sapere, soprattutto dopo l'incendio.

Si avvicina infuriato tanto quanto me e in pochi secondi mi ritrovo il suo viso ad una spanna dal mio.

La vicinanza non mi intimidisce e in questi casi non mi crea alcun disagio. Lui non mi fa paura e mai me ne farà; forse gli altri hanno timore ma io riesco ad essere decisamente più pericolosa e fredda di lui.

Le sue narici si allargano dall'irritazione e stringo le labbra in due linee sottili. « Queste informazioni non possono essere divulgate per nessun motivo. L'unico che può farlo è Marxwell ed io, anche se volessi infrangere le regole, non parlerei. Hai bisogno di un fottuto disegnino per capirlo oppure la tua testolina ha finalmente afferrato il concetto?»

Lo fronteggio decisamente incollerita ma non rispondo. Se potessi ucciderlo con gli occhi lo farei.

È pazzesco come in pochi secondi riesca a farmi incazzare così tanto.

Avvicino il mio viso al suo, tanto da ritrovarmi a pochi millimetri dalle sue labbra e sospiro su di esse.

Non capisco perché finiamo con il ritrovarci in questa posizione alquanto scomoda per entrambi.

« Fottiti» sibilo scandendo ogni sillaba con rabbia.

Alterna lo sguardo tra i miei occhi e le mie labbra. « Fottimi tu, stronza»

I nostri respiri agitati si mischiano e non faccio a meno di fissare il suo viso troppo vicino al mio. Il semplice fatto che non mi stia spostando mi irrita oltremodo ma non intendo abbassare lo sguardo o dargliela vinta.

« Non giocare con me, Trevor»

Le sue labbra sono ad un millimetro dalle mie.

« Credi sia un gioco?» sussurra, sfiorandole.

Prendo un respiro profondo e istintivamente mi ritrovo a mordere il mio labbro inferiore con insistenza. I suoi occhi in automatico notano questo particolare e conto mentalmente, trattenendo quell'istinto primordiale che mi spinge a sbilanciarmi in avanti.

« Io credo che tu stia già perdendo» mormoro.

« Se così fosse?» ribatte.

I nostri occhi si incrociano ed un luccichio attraversa le sue iridi. « Vincerei»

Le sue mani afferrano saldamente il mio viso e in un nano secondo le sue labbra divorano le mie.

 

 

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Capitolo 24
*** Capitolo Ventitré ***


La morbidezza è il primo aggettivo che mi viene in mente, non appena le labbra di Trevor si poggiano sulle mie. I miei occhi rimangono aperti, nonostante le sue palpebre si siano chiuse nel momento in cui ha deciso di baciarmi. Sono sorpresa del suo gesto avventato ma allo stesso tempo quasi curiosa di capire come siamo arrivati a tal punto. Non so esattamente cosa sia scattato in lui, anche perché fino a qualche secondo prima ci stavamo per sbranare, e non so nemmeno per quale assurdo motivo io non mi stia spostando o non lo stia schiaffeggiando come solita fare. Mille pensieri corrono nella mia testa, mille dubbi e perplessità inondano la mia mente ma non galleggia alcun rifiuto. Il mio cervello ha totalmente spento la parte della razionalità e non so come sia successo. Non mi capita mai di spegnere quel tasto che mi permette di agire d'impulso. In questo caso, però, qualcosa è cambiato.

Rimango rigida nella mia posizione mentre i miei occhi non si staccano dal viso fin troppo appiccicato al mio. Mi aspettavo che mi urlasse contro per la mia impertinenza, che mi attaccasse per le mie risposte pungenti o che addirittura provasse a minacciarmi e invece ha fatto tutt'altro. Qualcosa che, considerati i miei principi, non dovrei mai far accadere ma che, stranamente, sta fottutamente accadendo.

Le mie mani poggiano sul materasso morbido ma sono costretta a sollevarle per circondare il suo collo, quasi come se il suo corpo o la sua mente mi stia intimando di farlo, di ricambiare questa effusione aggressiva e indecente. Quasi come se mi stia costringendo a compiere azioni senza il mio consenso. I miei occhi alla fine si chiudono, la mia testa segue solo il suo corso e la ragionevolezza mi abbandona definitivamente.

Ad occhi chiusi, solamente con uno sfioramento, potrei descrivere perfettamente il disegno della sua bocca che famelica divora la mia. E diamine, so che è fottutamente sbagliato incamerare questi scenari, come la stranezza delle sue labbra sulle mie o la perfezione del puzzle che abbiamo appena realizzato eppure non posso controllare la mia testa che galoppa senza sosta.

Non sono un tipo sentimentale che vede cuori e fiori e tanto meno non sono il tipo incline all'amore o cazzate del genere. Piuttosto, sono il tipo di ragazza che ama il controllo, che gradisce tener tra le dita le redini della situazione e che non ammette alcun tipo di sottrazione.

Probabilmente, il genere di ragazza che gli uomini amano avere al loro fianco, - o sotto di loro, dipende dalla scala di perversità che domina la loro testa -, e senza dubbio il genere che le donne sdolcinate odiano e tentano di spezzare in due.

Le sue dita affondano nei miei fianchi stretti e di istinto interrompo quell'incastro creato dalle mie gambe, per piantare le mie ginocchia sul materasso che molleggia istantaneamente.

Un sospiro fuoriesce dalle mie labbra infrangendosi sul suo viso mentre Trevor interrompe il bacio con uno schiocco leggermente udito. Stringo le ciocche dei suoi capelli tra le mie dita e appiattisco i miei polpastrelli sulla nuca bollente.

Siamo un concentrato di calore e riesco perfettamente a sentirlo.

Accarezza il mio labbro inferiore, per poi fiondarsi nuovamente ma in modo totalmente differente. Le sue mani modellano i miei fianchi e perseguono una scia fluida, intrufolandosi al di sotto della felpa piuttosto pesante che indosso. Rabbrividisco al contatto improvviso e appiattisco il mio corpo al suo. Il mio petto diventa un tutt'uno con il suo, abbastanza tonico, mentre le nostre ginocchia collidono.

La lussuria è un sentimento del tutto carnale. La voglia di aversi, di sentirsi sotto pelle e la passione che incendia ogni fibra del corpo. Qualcosa che va oltre al semplice 'far l'amore'. È più un'ondata di piacere libidinoso che scinde perfettamente l'amore dal sesso. La tensione sessuale è palese ormai, è chiaro il richiamo del mio corpo al suo, il fuoco che divampa nel momento in cui solamente i nostri occhi si incrociano.

Puro desiderio di possedersi, di aversi.

I suoi denti affondano sul mio labbro inferiore tirandolo con forza e provocando un gemito che esce dalle mie labbra in maniera involontaria.

« Hai perso» sussurro aprendo gli occhi, rendendomi conto solo adesso delle sue iridi verdi già focalizzate sul mio viso.

Le sue gemme sono due pozzi scuri, neri come la pece, quel colore che definirei simile al nero che incombe negli inferi. Ma non spaventa. L'inferno terrorizza eppure i suoi occhi mi trasmettono tutto fuorché timore.

Le sue dita risalgono accarezzando la mia schiena, fermandosi sul gancetto del reggiseno che segna il limite massimo da non dover superare.

Non va oltre in questi minuti ma i suoi occhi mi garantiscono che non lo farà nemmeno nei minuti a venire.

Aspetta un mio consenso e sa bene che glielo negherò.

Socchiudo gli occhi, quando le sue labbra rosse e gonfie lambiscono impercettibilmente la mia guancia destra. Non indugia ulteriormente e mi godo quel semplice contatto che, seppur minimo, mi spinge a chiedere un qualcosa in più.

« Io non perdo mai» mormora, costringendomi ad aderire perfettamente al materasso. La mia testa poggia sul cuscino mentre si sistema sul mio corpo, senza schiacciarmi. I suoi occhi perlustrano ogni imperfezione del mio viso ed io mi comporto di conseguenza. « E se dovessi perdere, mi assicurerò che prima l'avversario si arrenda»

Le mie mani lambiscono il suo collo mentre i pollici tracciano la mascella affilata. Vederla è un conto ma toccarla è un'altra questione.

Toccare il suo corpo è un'altra questione.

Spingo il suo viso avvicinandolo al mio ma lo invito a girarlo da un lato, in modo da poter sfiorare con le labbra il suo orecchio.

« Hai perso nell'esatto momento in cui i tuoi occhi hanno incrociato i miei. Il vincitore non sei tu ma io, sergente» sussurro tirando e succhiando leggermente il lobo.

Le sue dita si appiattiscono alla pelle della mia schiena e sorrido, perché sono sicura dell'effetto che ho su di lui.

I nostri occhi si incrociano nuovamente e inclino il capo leccandomi le labbra, gesto che non passa inosservato. Tant'è che abbassa le iridi su di esse, leccando istintivamente le sue.

« Harley dove l'hai lasciata? Il tuo soprammobile non ti piace più?» chiedo, fingendomi dispiaciuta.

Il suo sguardo varca orizzonti decisamente lontani dalla mora di cui sto parlando.

Mi desidera e non quel tipo di desiderio legato all'amore ma puro desiderio viscerale, carnale.

Lussuria.

« Sei gelosa della bambolina, Nelson?» mi stuzzica.

Una mano esce dal nascondiglio creato dalla mia felpa e le sue dita tracciano un percorso che si arresta sulle clavicole.

Ridacchio del tutto divertita. « Gelosa?» ripeto schioccando la lingua sul palato. « Se volessi, potrei sottrarti dalla sua presa in un batter d'occhio e sai cosa? Nemmeno te ne accorgeresti»

Probabilmente pecco anche di presunzione ma sento che è così. Lo vedo dal modo in cui mi guarda, dal modo in cui mi parla - nonostante ci urliamo contro continuamente - e dal modo in cui traccia la mia pelle con le sue dita ruvide. Il tocco che riserva a lei è superficiale. Non la bacia nemmeno e se lo fa, è perché è lei a volerlo ma basta poco per scansarla. Non la guarda, lo fa solo perché è costretto ed il modo in cui le parla si allontana dal modo in cui lo fa con me. È vero, non litigano mai ma perché non è minimamente interessato a farlo o per lo meno, non gli interessa intrattenere alcun dialogo. Si limita unicamente a del sesso liberatorio ed è questo che volevo far capire ad Harley ma, evidentemente, dal modo in cui gli gira ancora attorno non ha recepito il messaggio.

« Presuntuosa ed esageratamente convinta»

« Solo realista» ribatto immediata.

« Hai lasciato che ti baciassi»

La sua mano si chiude a coppa sul mio seno, rinchiuso in un insulso reggiseno.

Piego la gamba e ciò garantisce una posizione nettamente migliore per Trevor.

« Non vedevi l'ora di farlo. Vedilo come un regalo, perché non ci ritroveremo più in questa situazione»

La serietà trapela dalla mia voce ma è decisamente camuffata dal desiderio impellente di toccare il suo corpo, così come lui sta facendo con il mio senza alcun problema.

L'orgoglio supera di gran lunga il pizzicore delle mie dita ma lui non demorde.

« Sei fin troppo sicura di te» sussurra leccando le sue labbra. I miei occhi cadono di riflesso su di esse. « Potrei ridurre in piccoli pezzettini il tuo orgoglio»

« Nessuno c'è mai riuscito»

« C'è sempre la prima volta» ribatte.

L'altra mano nascosta, sotto la felpa, tocca il mio ventre piatto mentre le mie mani si intrufolano nuovamente tra i suoi capelli morbidi, come immaginavo fossero.

« Tu non sarai la mia prima volta, Trevor. Non ci sopportiamo»

« Però mi baci»

« E tu hai perso» ripeto, nuovamente, senza timore.

La presa sul mio seno diventa più ferrea ed un gemito fuoriesce dalla mia bocca.

« La perdizione non è un sentiero individuale, Arabella» cantilena con voce bassa e arrochita dal desiderio impellente.

« Ci odiamo» continuo, imperterrita.

« La linea è sottile. L'odio e la passione camminano di pari passo»

Le sue labbra indugiano sulla mia mascella e chiudo gli occhi, stringendo la presa dei suoi capelli scuri.

« Non era l'odio e l'amore?» intervengo, saccente.

Lo sento sorridere. « Beh, a chi la diamo a bere? È più eccitante parlare di odio e passione», La lingua traccia un sentiero a me sconosciuto ma sentito. « La lussuria...», socchiudo le labbra. « Il piacere...», il suo respiro ansante si infrange sul mio viso. « La carnalità... tu senti, Arabella»

« Stai perdendo il controllo» sibilo.

« O lo stai perdendo tu?» controbatte arrogante.

« Io non perdo mai il controllo» ribatto piccata. Capovolgo la situazione e, sorprendendolo, mi ritrovo a cavalcioni sul suo corpo.

« Mi piaci sopra» sorride sghembo, agguantando i miei fianchi.

Inarco un sopracciglio contrariata ma molto più furba di lui. Sorrido fintamente e abbasso il viso fino a ritrovarmi ad una spanna dal suo. Da questa prospettiva è più che attraente, un tipo di bellezza lascivo e quasi peccaminoso.

Immorale, proibito.

« Sai qual è la differenza tra me e te?» domando con voce soave, ammorbidita.

La smorfia vittoriosa provocata dal mio tono accondiscendente, mi diverte. È facile prenderlo per il culo.

« Quale?» soffia socchiudendo gli occhi.

Inclino il capo ed il mio dito traccia i tratti del suo viso perfetti, fin troppo.

I suoi occhi verdi rapiscono e ti incatenano in una maniera assurda.

« Il controllo riesco a mantenerlo. Lo sento nelle vene, circola come il sangue che fluisce nelle nostre vene. Riesco a dominarlo, riesco a conservarlo e soprattutto riesco a sfruttarlo a mio piacimento»

Bacio impercettibilmente il mento, le guance, gli angoli delle labbra ed infine mi fermo a qualche millimetro dalle due protuberanze morbide.

« Quando e come voglio» sussurro sorridendo.

Premo le mie labbra sulle sue e, senza dargli il tempo di metabolizzare la cosa, mi sollevo - aiutandomi con le braccia - dal suo corpo per scendere dal letto.

Se pensa che queste moine bastino ad intrappolarmi nella sua tela si sbaglia. Questo accade con Harley ma ne ha strada da fare per vedermi sottomessa.

Peccato che non succederà mai o per lo meno, non se non lo dico io.

Raggiungo la porta d'ingresso ma la sua voce mi blocca.

« Non mi conosci»

« Ti conosco abbastanza per affermare con sicurezza che non saresti andato oltre. Siamo simili, Trevor, ricordalo»

So di aver centrato il punto. Trevor è più orgoglioso di me, anche se qualche minuto prima non sembrava così. Voleva vedermi crollare, modellarmi a suo piacimento ma non ci riuscirà.

La sua risposta non arriva e senza voltarmi mi dileguo, lasciando definitivamente la sua stanza.

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Capitolo 25
*** Capitolo Ventiquattro ***


« 010294»

Il bip del quadrante ed il pulsante che si illumina di verde annunciano il riconoscimento di Trevor. La porta metallica si apre qualche secondo dopo ed io ed il resto dei ragazzi seguiamo, senza accennare alcuna parola, la figura alta e slanciata del moro. È la seconda volta che varco la soglia di questo posto totalmente diverso dal nostro e la sorpresa è sempre vivida in me e un po' in tutte noi. La modernità ed il progresso si notano dai diversi aggeggi sparsi per l'ampia sala a forma di U ma niente è cambiato dall'ultima volta che ho messo piede qui. I due uomini si trovano nuovamente dietro le apposite scrivanie e, come immaginavo, non si premurano di sollevare il capo per accertarsi delle nostre presenze. L'oculo si trova sempre al centro della sala e mi chiedo se si trovi lì per un motivo specifico o sia solo un elemento decorativo. Considerata l'organizzazione minuziosa e direi alquanto strana non so fino a che punto la seconda opzione sia azzeccata. Tutto trasuda meticolosità, come se anche la scrivania in vetro abbia un ruolo specifico, oltre che sostenere computer di avanzata tecnologia. I miei occhi perlustrano il posto, soffermandosi sulle varie porte chiuse e su una in particolare che ci porterà dal colonnello e, finalmente, ad un passo dalla verità.

La verità che aprirà i miei orizzonti e che mi farà capire molte cose o che potrebbe confondermi più di quanto effettivamente già non lo sia. La scorsa notte ho rimuginato su una possibile spiegazione, su un possibile collegamento ai cinque ragazzi e all'incendio - a parer mio - doloso. Ho cercato le risposte alle mille domande che frullano nella mia testa, ho spulciato ed ho presupposto anche scenari impossibili ma non sono arrivata a nessuna conclusione. La comparsa improvvisa dei ragazzi ha solo creato scompiglio, ha svelato - a pochi - alcuni retroscena ambigui: molti pensano che alloggino qui solo per la primissima spiegazione paraculo di Marxwell, altri invece credono ci sia qualcosa sotto. Ciononostante, mi ritrovo d'accordo con la seconda teoria.

Con il capo chino seguo Drew e Trevor che, senza batter ciglio e senza guardarsi dietro, proseguono verso lo studio del colonnello. Paul e Tom coprono le loro spalle e parlano fittamente di qualcosa che considerata la mia lontananza non riesco a recepire, Liam e Jessy camminano affianco senza guardarsi nemmeno, Harley non fa altro che fissare insistentemente Trevor e Lily procede al mio fianco pensierosa.

La bionda, dopo averla avvisata di questo incontro, si è chiusa in un silenzio tombale. Conoscendola, non ha dormito neanche qualche minuto e la conferma l'ho avuta proprio la scorsa notte quando i rumori della notte sono stati accavallati dal fruscio delle lenzuola e dai suoi continui sospiri. Lei è il tipo che rimugina e che scova sempre qualche sentenza plausibile eppure, come me, non è giunta a nessuna conclusione.

Il cipiglio sul suo viso la dice lunga ma ho scelto di non disturbarla e attendere delle risposte concrete. Solitamente, ho una mezza teoria su tutto e si rivela, la maggior parte delle volte, giusta ma ho il presentimento che questa volta non sia riuscita nemmeno a sfiorare tre quarti di verità e la cosa mi rende frustrata.

« Tutto okay?»

La domanda incerta di Lily arriva alle mie orecchie e volto di poco il capo osservando il suo profilo. Mi conosce meglio di quanto io conosca me stessa e mentire risulta sempre difficile. Non che stia male, non mi capita quasi mai d'altronde, però ammetto di essere un po' in ansia per ciò che ci aspetta. L'ansia è l'ultimo sentimento che risale a galla e per la prima volta mi ritrovo a considerarlo uno dei primi.

Scrollo le spalle e punto i miei occhi scuri altrove. « Ho la sensazione che ci sia sotto qualcosa di grosso» ammetto.

È da un po' di tempo che ho questa brutta sensazione. Ci troviamo pur sempre in un territorio in cui la guerra è all'ordine del giorno e per quanto voglia presupporre altri sfondi l'unico che arranca facilmente è proprio questo.

« E pericoloso...» termina la mia frase lanciandomi un'occhiata.

Annuisco e nascondo le mani nelle apposite tasche della divisa.

Le nostre teste sono in simbiosi e di questo non mi stupisco, succede sempre così.

« Secondo te, loro», indica i ragazzi con un cenno del capo. « sanno qualcosa?» domanda.

È ovvio che sappiano e probabilmente anche più del consentito. Ricordo bene il mutismo di Trevor quando le mie domande fuoriuscivano dalla mia bocca e ricordo bene anche il nervosismo dei suoi gesti dovuto alle mie insistenze. Loro sanno ma, semplicemente, hanno il dovere di tacere.

« Sarebbe strano il contrario, non credi?» ribatto.

La pensa come me ma, evidentemente, cerca in me qualche negazione possibile.

Solo che so tanto quanto lei, se non di meno, visto e considerato il rapporto burrascoso che lega me e Trevor.

I nostri passi si arrestano nel momento in cui i nostri occhi si posano sulla porta serrata dell'ufficio del colonnello.

Drew digita qualcosa nel quadrante posto sul lato destro della parete e in un nano secondo scompare al proprio interno.

« Lei non c'è?»

Sollevo lo sguardo quando la voce di Liam spezza il silenzio.

La domanda è rivolta a qualcuno ma non avendo seguito gli sguardi, e tanto meno le loro espressioni facciali, non riesco a comprende a chi possa essere riferita.

Tom e Paul incrociano le braccia al petto e fissano il viso imperscrutabile di Trevor.

Solo in questo frangente capisco con chi stia parlando Liam.

« No, momentaneamente non serve» taglia corto distogliendo lo sguardo dal suo collega. Sempre se così si può chiamare.

È vero che tutti loro passano la maggior parte del tempo insieme ma non li definirei tali perché non vedo alcun legame. Probabilmente, il mio pensiero è totalmente sbagliato ma oltre alla questione lavorativa non vedo alcun rapporto.

Evidentemente riescono a mascherare tutto, chissà.

Liam inarca entrambe le sopracciglia. « E questo quando è stato deciso? Ti ricordo che lei ne fa parte»

Trevor indurisce la mascella e sospira pesantemente. « Non si trova qui al momento» risponde duramente. I suoi occhi verdi fissano le iridi azzurre del moro e qualcosa, stranamente, attraversa il suo viso.

Liam sembra scomporsi per qualche secondo e senza dir nulla annuisce.

La discussione termina lì e mi acciglio non riuscendo a collegare le loro frasi in codice ed i loro sguardi che intimano più di semplici parole.

Lily lancia un'occhiata curiosa ad entrambi per poi puntare le sue iridi sul mio viso.

Mi chiedo chi sia questa lei di cui parlano ma, notando le espressioni di ognuna di noi, non è solo un dubbio che aleggia nella mia testa.

Per pochi secondi i miei occhi si incrociano con le iridi color giada di Trevor. Come sempre non riesco a determinare cosa passi per la sua testa e questa è una cosa che mi infastidisce.

Sembra irritato della mia insistenza ma ciò non mi intimorisce, anzi. Probabilmente sarà l'ennesima cosa che gli chiederò non appena i nostri piedi collideranno con il nostro terreno quotidiano.

Drew fa la sua comparsa qualche minuto dopo. Il suo viso trasuda serietà ma non mi stupisco. Non l'ho mai visto sorridere o mutare espressione.

« Potete entrare» avvisa con un cenno della mano.

Richiamo Lily con lo sguardo e la bionda mi segue senza parlare.

Marxwell siede dietro la scrivania, le sue braccia sono incrociate al petto e, dalla posizione assunta, i muscoli delle sue braccia risaltano più del dovuto. I suoi occhi fissano insistenti ogni persona che varca il suo ufficio, per soffermarsi infine su Harley ovvero l'ultima persona che si decide ad entrare.

Alle spalle del colonnello c'è un uomo, dalle spalle larghe e con un accenno di barba sul mento. Le sue labbra sono serrate in una linea sottile mentre i suoi occhi sono di un verde bottiglia. Le rughette ai lati degli occhi indicano un'età compresa tra i cinquanta, massimo cinquantadue anni, e dal modo in cui ci scruta attentamente capisco sia la spalla destra del colonnello.

Jeffrey Forbs.

L'uomo di cui si fida ciecamente, la persona che compie gli stessi passi dell'uomo che siede dietro la scrivania e colui che in anonimato segue ogni nostra attività. Non ha mai rivolto parola a nessuno di noi, solo occhiate gelide e intrise di mistero.

Le sue braccia sono incrociate al petto e non si cura minimamente del fastidio che potrebbe suscitare su ognuno di noi.

Marxwell aderisce perfettamente allo schienale e poggia i gomiti sui braccioli.

A differenza dell'ultima volta lo schermo di medie dimensioni è già attivo ma ciò che trasmette non è la scheda personale di ognuno di noi, bensì lo scenario apocalittico delle guerre scoppiate in Siria.

« Sicuramente vi starete chiedendo molte cose e soprattutto il motivo per cui vi abbia riunite qui. Credo proprio che sia giunto il momento di mettervi al corrente della situazione e lavorare sodo per porre fine a tutto» la voce rauca e profonda del colonnello arriva alle nostre orecchie attente.

La mia attenzione è incentrata solo sull'uomo dal cipiglio serio in viso e dallo schermo.

Con la coda dell'occhio mi accorgo dello spostamento dei ragazzi e dell'arresto dei loro passi proprio dietro la scrivania.

« Ma partiamo dall'inizio, dall'origine delle guerre scoppiate in questo territorio»

Aggrotto la fronte ed indietreggio poggiando la schiena al muro.

Nessuno fiata. Marxwell sembra meditare un possibile inizio del racconto mentre i nostri occhi sono posati sulla sua figura contratta.

« Fino ad oggi nessuno di voi ha mai affrontato una missione o una guerra vera e propria. Sia perché non siete ancora in grado di poter affrontare tali mansioni e sia perché non si è presentata la necessità. Tuttavia, non è mai stato così. La calma apparente che vedete è solo un periodo di stallo dovuto ad una strage del passato»

« Una strage che ha causato la morte di centoventicinque mila soldati» interviene Jeffrey.

« E che ha raso al suolo gran parte della Siria» continua il colonnello.

« Fino a cinquantanni fa Mohamed Bakron governava l'intera Asia. Vi erano due capi poiché il padre, prima di morire, lasciò il suo enorme impero nelle mani dei suoi due figli: Boud e Iabo Bakron. I due fratelli non andavano d'accordo e attesero la morte del padre per poter dare il via ad una guerra che finì con la suddivisione dell'Asia in due parti. Ed il motivo scatenante? La religione e gli interessi personali. La parte orientale la prese Boud e la parte occidentale Iabo. La guerra sembrò arrestarsi, o per o meno, era quello che credeva Boud», punta i suoi occhi al muro di fronte totalmente immerso nel racconto. «Ai tempi le guerre non erano minimamente paragonabili a quelle di oggi. La crudeltà stava all'ordine del giorno. La gente viveva alla giornata, sfruttati dallo stato e dalle leggi imposte che non rispettavano alcun diritto umano. I bambini venivano strappati dalle braccia delle loro madri in tenera età per essere addestrati al fine di creare soldati, senza paura alcuna e senza rimorsi. Le famiglie chiedevano elemosina per strada e tutti vivevano in miseria. Questo conflitto fra i due fratelli garantì solo malcontento e atrocità in tutti i territori, soprattutto in Iraq, Iran, Turchia e Siria»

« L'enorme conflitto finì con la morte di Boud, l'abolizione delle leggi e la vittoria e conquista di Iabo. Ovviamente non prima di aver ottenuto il consenso dei cittadini che non sospettavano minimamente della malvagità del nuovo presidente. Furbamente, scaricò la colpa del malcontento al fratello morto e ovviamente come ne uscì Iabo?» continuò Jeffrey.

« Pulito» dico senza pensarci due volte.

L'uomo annuisce lentamente. « Esattamente. Riuscì a conquistare tutti ma pian piano la maschera del buon samaritano cadde, nel momento in cui impose le leggi abolite che distrussero l'intero territorio. Leggi che ampliarono solo il terrore di ogni cittadino»

Marxwell fissa ognuno di noi senza emozione alcuna nelle sue iridi. Lo scenario che entrambi ci stanno presentando è terrificante, oltre i limiti della decenza umana. Sapevo della guerra che ha causato la morte di tutti quei soldati ma non ero a conoscenza di tutta la parte precedente.

« L'Asia venne ricongiunta da Iabo nuovamente. Creò in pochissimo tempo un'organizzazione tutta sua dandogli un nome che tutti noi conosciamo»

« Isis» mormora Jessy deglutendo il groppo in gola.

« Isis... un'organizzazione perfetta che continua ad operare tramite spie, ovvero ragazzini che frequentano centri missionari e che riportano le informazioni a Bakron» terminò Jeffrey.

Aggrotto la fronte, confusa e stordita da questa storia.

« Ragazzini?» ripete Harley sconvolta.

Drew annuisce. « Ancora oggi i ragazzini vengono strappati alle loro famiglie per svolgere il lavoro sporco. Iabo non vuole sporcarsi le mani e non vuole che il suo piano vada in fumo»

« Non capisco... Tutti sono a conoscenza di questa storia e nessuno interviene?» Lily dà voce ai suoi pensieri.

Trevor scuote il capo. « Nessuno è a conoscenza di ciò che fa Iabo. Opera in segreto, coalizza con gli altri stati e stringe legami con i vari territori confinanti. Ma nessuno è a conoscenza del lavoro sporco che ci sta dietro e del suo obiettivo»

« Come... è assurdo. Le condizioni dei cittadini è evidente» ribatte giustamente Jessy, adirata.

Scuoto il capo scioccata. « Non è così stupido da costruire la sua base nella zona colpita e disagiata» intervengo.

Gli occhi di Marxwell fissano i miei e annuisce. « Infatti la sua base si trova in Libano. Si riunisce lì per ogni accordo da prendere e tutti, come degli allocchi, abboccano» sorride amaramente.

« Ed il suo obiettivo, qual è?»

La domanda di Lily è la medesima che tutte ci stiamo ponendo.

« Conquistare non solo l'Asia ma tutto il mondo» partecipa Liam, dopo minuti interminabili di mutismo.

« È impossibile» asserisce Harley.

« Ha formato un'alleanza con la Russia e non è facile, non si farà scrupoli ad accalappiarsi anche l'Europa e l'America.».

« E voi come sapete tutto ciò se Iabo lavora in segreto?» chiede Lily.

Esattamente.

« Avete presente la guerra scoppiata proprio undici anni fa?».

La nostra attenzione si concentra su Paul e annuiamo.

E' il primo argomento che abbiamo affrontato prima di far parte dell'accademia.

« Aprite bene le orecchie perché è proprio questo evento che ha svelato le carte in tavola».

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Capitolo 26
*** Capitolo Venticinque ***


Marxwell prende un respiro profondo e con un cenno del capo invita ognuno di noi a sederci. Harley si accomoda in una sedia, decisamente troppo vicina alla figura di Trevor, e reprimo l'istinto di ruotare gli occhi al cielo. Si comporta come un cagnolino che scodinzola per una semplice occhiata. E in fondo è così, aspetta solo che lui la guardi ma, purtroppo per lei, l'unica cosa che riceverà per l'ennesima volta è un'occhiataccia. In effetti, trovarsela attaccata al culo tutto il santo giorno è stressante.

Jessy si siede al mio fianco mentre Lily declina l'invito poggiando le spalle al muro, di riflesso lo faccio anch'io. Non mi va proprio di sedermi.

Tom e Paul raggiungono Drew ed il silenzio viene spezzato dal rumore delle suole che collidono con il pavimento. Jeffrey osserva i visi di ognuno di noi soffermandosi soprattutto su di me. I suoi occhi sono imperscrutabili e ammetto che sia l'unico a mettermi in soggezione. Nemmeno Marxwell ci riesce eppure basta un'occhiata del suo fidato a mettermi a disagio.

Distolgo lo sguardo puntandolo altrove e nel farlo incontro gli occhi verdi e vigili di Trevor. Non capisco perché si ostini a fissarmi. Non è la prima volta che lo becco a farlo e anche se le altre volte ho fatto finto di nulla, adesso, voglio fargli capire che me ne sono accorta. Percepisco la tensione, il suo fastidio impellente dettato dall'episodio di poche ore prima. È palese l'irritazione dovuta al mio atteggiamento. Ho capito che non sia abituato ai rifiuti ma ai consensi frequenti, probabilmente in tutti gli ambiti ed i sensi. Il fatto che io non cada ai suoi piedi così facilmente o non mi faccia comandare a bacchetta sarà sicuramente frustrante per lui, ma ammetto che la cosa mi diverte. Siamo molto simili ed in quanto tale è inevitabile conoscere certe cose del suo essere. Giocare d'astuzia è importante e se riesci a captare i punti deboli sarà un gioco da ragazzi vincere.

Sollevo gli angoli della mia bocca in un sorriso strafottente; vederlo senza alcun controllo mi piace. Ottengo le redini, il comando e deve essere così sempre.

Trevor serra la mascella e mi fulmina con gli occhi, adesso, più scuri.

« Dieci anni fa, all'incirca, vi erano tre basi militari che controllavano la situazione qui in Siria mentre due più piccole in Iraq, provviste di uomini che in caso di guerra sarebbero partiti senza pensarci due volte. Tra questi, vi erano cinque uomini dotati di strabilianti capacità sia combattive che di ingegno: abili cecchini, hacker, spionaggio, abili nel disinnescare ordigni e a crearli. Insomma, capaci di svolgere qualsiasi incarico senza alcun timore» le parole di Marxwell rimbombano tra queste quattro mura rendendoci partecipi di una parte quasi del tutto sconosciuta a tutte noi.

« I primi anni, i cinque riuscirono a scoprire di alcuni dettagli importanti del piano di Iabo e grazie agli infiltrati riuscirono a scoprire tutti i retroscena: i bambini dei centri missionari, le condizioni di miseria... » elenca e annuisco debolmente. Lo ha già spiegato prima e tali atrocità sono quasi dolorose da risentire.

« I soldati qualificati si riunirono nella base più importante affrontando tutto ciò che riuscirono a scoprire senza destare sospetti e dopo una settimana di teorie, ipotesi e possibili piani arrivarono ad una conclusione... » il colonnello si prende del tempo per continuare e lo vedo deglutire nell'esatto momento in cui apre nuovamente bocca. « I cinque decisero di infiltrarsi nella base del nemico»

La mia bocca si dischiude. È una follia!

« Iabo non era stupido però, non si fidava di nessuno e nemmeno dei suoi uomini di fiducia. Era ossessionato dal potere, dalla sete di denaro... avido dei beni e del comando. Non amava condividere e alla prima mossa sbagliata uccideva. Senza pensarci due volte...» scuote il capo puntando lo sguardo altrove.

« Ne parla come se lei sia stato lì» asserisco.

Tutti gli occhi puntano la mia figura ma i miei, invece, rimangono fissi sul viso assorto del colonnello.

I suoi occhi incontrano i miei. « Io ero uno dei cinque soldati» confessa.

La rivelazione mi sorprende. Ho avuto questo dubbio dal momento in cui ha iniziato a parlare e a spiegare, eppure non immaginavo potesse essere davvero così.

Le ragazze trattengono il respiro sorprese quanto me ma non accennano nemmeno una parola.

« Diventammo i suoi fedeli soldati, uccidendo per non destare alcun sospetto e strappando alle madri i loro figli... le urla strazianti delle donne erano... », deglutisce. « Non volevamo fare tutto questo ma dovevamo. Eravamo costretti. Il piano prevedeva questo»

« Due anni in quella base, due anni a fare il lavoro sporco... Iabo si fidava, ci raccontava dei suoi piani, delle sue idee malsane e nonostante l'orrore noi ascoltavamo. Le basi erano a conoscenza di tutte le informazioni e alla fine arrivammo al punto di non ritorno. Il nostro piano andò a gonfie vele ma arrivati al giorno della sua rovina, Iabo scoprì tutto. Scoppiò una guerra, un conflitto che causò solo morti... Sangue...» racconta Jeffrey.

« La guerra...»

Lily non continua ma sappiamo tutti a cosa si riferisce.

« Persero la vita tre dei cinque e il resto dei soldati. Inutile ribadire il numero dei morti» continua Marxwell.

« Iabo vinse e con questa guerra sottolineò il suo potere enorme»

« C'è dell'altro, vero?» le parole escono fuori dalla mia bocca senza controllo.

A questo punto non ha senso inabissare queste informazioni.

Jeffrey sospira annuendo. « Dopo l'accaduto le cose andarono male, le due basi vennero distrutte e nessuno rimase vivo. L'unica base sopravvissuta fu proprio questa: la vostra accademia. Sin da subito ci attivammo per idealizzare un nuovo piano ma stavolta valutando sia pro che i contro. Ed ecco dove voi tutti entrate in gioco»

« Drew, Trevor, Paul, Tom e Liam sono forze speciali il cui scopo equivale al medesimo dei cinque di dieci anni fa, semplicemente più forti e ingegnosi» presenta, finalmente, i loro veri incarichi.

Forze speciali.

Ecco perché Trevor sembrava così bravo e dannatamente esperto in tutto. Dal nuoto al combattimento corpo a corpo e probabilmente anche cecchino.

« Sono anni che lavorano per diventare ciò che sono oggi: uomini senza paura, vere macchine da guerra. Ma anche le macchine hanno punti deboli e voi, ragazze, siete qui per tappare questi buchi con le vostre abilità e capacità» asserisce Marxwell.

Harley scuote il capo. « Stiamo parlando di forze speciali, uomini che non possono di certo essere accostati ad incompetenti come noi. In confronto, non siamo solo un loro dito»

Inarco un sopracciglio. Se questo è un modo per adulare quel microcefalo è proprio pessima.

« Parla per te. Evidentemente qualcosa siamo in grado di farla» interviene Lily infastidita.

Trattengo un sorriso, Harley fa una smorfia.

« Sto solo dicendo che le nostre abilità non possono di certo essere uguali a quelle dei ragazzi» ribatte piccata.

« Non siamo forze speciali ma ognuno di noi è abile in qualcosa. Basta unirsi per diventare una macchina da guerra» afferma risoluta Jessy.

« Siamo incentivi in più, tappiamo i buchi» dice Lily.

Harley è titubante e per certi versi la capisco. Ciò che ci stanno chiedendo è, in poche parole, andare a morire. Tuttavia, nonostante sia contraria alla maggior parte delle cose che dice Marxwell non mi sento di tirarmi indietro. Ci stanno chiedendo di sfidare una morte sicura, ma evidentemente se sono arrivati a tal punto un motivo ci sarà. Siamo sicuramente all'altezza delle loro aspettative, siamo coloro che potrebbero davvero dare una mano e aiutarli a raggiungere l'obiettivo.

« So cosa vi sto chiedendo» annuncia il colonnello con estrema serietà. « E all'inizio non ero d'accordo su questo. Il mio compito è perfezionarvi e non mandarvi a morire. Ma l'incendio mi ha solo fatto aprire gli occhi. L'evento di qualche giorno fa è stato solo un avvertimento da parte di questa organizzazione. Fortunatamente nessuno si è fatto male ma sarebbe potuto accadere ed io non voglio perdere una seconda volta. Non voglio che accada ciò che è accaduto dieci anni fa »

Le parole serie di Marxwell mi scuotono dentro. Non l'ho mai sentito così turbato e ammetto che dopo questo discorso non riesco più a guardarlo come prima. È come se la sua maschera da stronzo menefreghista sia caduta, come se il suo modo di approcciarsi a tutti noi era solo un modo per farsi rispettare ed un modo per forgiare la nostra corazza.

E c'è riuscito.

Percepisco altro ed è strano. L'ho sempre sottovalutato, l'ho sempre guardato con quell'occhio di riguardo e invece mi sono ricreduta. Non oso immaginare cosa abbia passato in quei due anni con Iabo e non oso immaginare cosa abbiano visto e fatto per quel malato mentale.

Probabilmente il suo atteggiamento era solo una conseguenza di quei anni. Anni di estremo orrore e sconcerto.

« Io non mi tiro indietro. Ci sono persone che stanno soffrendo a causa sua ed altre che sono morte. Il mondo dovrebbe essere un posto in cui poter vivere liberamente ed io mi batterò affinché ciò accada» afferma Lily avanzando verso il colonnello.

Paul e Tom la guardano senza batter ciglio ma sono sicura di aver intravisto un sorriso.

Come sono sicura del fatto che Drew l'abbia guardata diversamente nel momento in cui ha preso parola. Il suo sorrisetto non è passato inosservato.

Jessy si alza annuendo. « Io ci sto. Sono qui per questo, se dobbiamo combattere non mi tirerò indietro» concorda.

Harley prende un respiro profondo e annuisce. « Consideratemi una di voi»

Gli occhi di Jeffrey puntano i miei e per un attimo rimango in silenzio. « E tu, Nelson?»

Mi prendo alcuni secondi per rispondere.

Anche se so qual è la mia decisione.

Trevor mi osserva dal suo posto e attende che acconsenta. Anche se ho la netta sensazione che lui sappia, che in fondo abbia già capito.

« Non ho nulla da perdere, l'unico che perderà sarà proprio Iabo. Non ho intenzione di starmene con le mani in mano quando un pazzo sta lentamente distruggendo il mondo. Non lo permetterò» Il mio tono di voce è fermo e glaciale.

Il solo pensiero di ciò che potrebbe accadere mi mette i brividi. Sono disposta a tutto, anche a morire se dovesse servire.

Jeffrey sorride, per la prima volta le sue labbra si sollevano in un sorriso sincero.

« Sei tale e quale, non ci sono dubbi» mormora.

Aggrotto la fronte confusa, così come le espressioni degli altri.

« Tale e quale a chi?»

Ma la mia domanda non ottiene risposta poiché Marxwell si alza dalla sua poltrona raggirando la scrivania.

« Bene, per adesso potete andare. In questi giorni vi spiegheremo meglio in cosa specializzarvi ed i dettagli del piano. Mi raccomando, non una parola»

« Si, signore» rispondiamo in coro.

Lasciamo l'ufficio ma la mia testa rimane altrove. Alla frase enigmatica di Jeffrey.

Sei tale e quale, non ci sono dubbi.

In che senso? E poi, a chi? Si riferiva a qualcuno in particolare?

« Non mi aspettavo qualcosa del genere» confessa Lily affiancandomi.

Mi risveglio dal mio stato di trans e annuisco distrattamente.

« Nemmeno io. Pensavo ci fosse qualcosa sotto ma non una storia così importante»

« Rabbrividisco al solo pensiero» sussurra Jessy.

Lily circonda le sue esili spalle e le sorride dolcemente. « Non pensarci adesso. Prenderemo quello stronzo malato a calci in culo!»

« Lo faremo» concorda.

Sorrido per il modo in cui Lily è riuscita a smorzare un po' la triste vicenda. Jessy non riesce a nascondere le sue emozioni e la tristezza sul suo viso è palese.

Le ragazze mi superano mentre io, invece, decido di rallentare il passo. Troppi pensieri affollano la mia testa.

Paul, Tom e Drew proseguono senza fermarsi e quando li vedo muovere le labbra capisco che stanno sicuramente affrontando qualche discorso.

Come sempre, d'altronde.

Harley cammina silenziosa proprio davanti a me. Le sue spalle sono contratte e capisco anche il motivo nel momento in cui una voce disturba i miei pensieri.

« Pensavo avessi domande da farmi»

I nostri passi provocano un rumore continuo e mi concentro su di essi, non guardandolo nemmeno quando la mia bocca decide di aprirsi.

« Cosa vuoi, Trevor?» dico senza giri di parole.

Svolto l'angolo che mi avrebbe portata direttamente alla fine del corridoio ma prima che possa anche solo compiere un passo una mano mi afferra per il polso.

La mia schiena aderisce alla parete e dal forte impatto strizzo gli occhi.

Quando li riapro le iridi verdi di Trevor fissano la mie scure. Il suo volto contratto in una smorfia di irritazione è la prima cosa che noto.

« Cosa fai?!» sibilo strattonando la presa. Impresa alquanto ardua considerata la forza che mette.

Il suo volto si avvicina al mio ed il suo respiro si infrange sul mio viso in piccoli sbuffi.

« Non mi piace quando qualcuno mi risponde in quel modo. Devi portare rispetto, te l'ho già detto» stringe i denti sputando amaramente queste parole.

Rido divertita ma al contempo sbuffo irritata. « Non abbiamo già passato questa fase del rispetto? O devo ripetere quello che penso a riguardo?» ribatto a tono.

L'altra mano si poggia accanto al mio viso e grazie ad essa si sorregge.

Scuote il capo e sorride. « Non hai ancora capito come funziona qui, Arabella» lascia la presa e solleva la mano libera per tracciare i lineamenti del mio viso: la mascella, il collo e le clavicole soffermandosi su di esse. I suoi occhi si scuriscono. « Sono un tuo superiore, cosa non ti è chiaro?»

Le sue labbra tracciano la mia mascella ed un sospiro fuoriesce dalla sue labbra seguito dal mio. « Fottiti, Trevor» sibilo.

La mano poggiata al muro si chiude in un pugno mentre l'altra segue un percorso tutto suo arrestandosi sulla protuberanza nascosta sotto la mia giacca della divisa. Stringe il mio seno e affondo i denti sul mio labbro inferiore.

« Lo hai già detto e ti ho risposto» mormora sulla mia pelle.

« Ti rode il mio rifiuto, non è così? Tutti cadono ai tuoi piedi ed il fatto che mi distingui dalla massa ti infastidisce» lo provoco provando a spostarlo.

Invano.

« Sei sicura?»

Il suo viso si solleva, ritrovandolo a qualche millimetro dal mio.

Lecca le sue labbra ed i miei occhi finiscono proprio lì.

« Più che sicura» dico.

I ricci solleticano la fronte ed incorniciano il viso, dalla mascella squadrata e coperta dalla barba ispida. Inumidisce le labbra mentre gli occhi verdi cercano i miei in un gioco perfetto di sguardi. Non riesco a distoglierlo ma non riesco nemmeno a decifrare le diverse emozioni che attraversano le sue iridi. Trevor mi rende debole, mi incatena solo con i suoi occhi. 
Poi, però, qualcosa cambia. Irrigidisce la postura, così come la mascella. Stringe le mani in due pugni e abbassa il capo.

Quando lo rialza mi sorride ma il suo sorriso ritorna ad essere enigmatico.

« Lo vedremo, Arabella»

E così dicendo si allontana, scomparendo dalla mia visuale.

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