Take Me Home

di fantaysytrash
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Light Pink Sky ***
Capitolo 2: *** Rosy Cheeks ***
Capitolo 3: *** Green Light ***
Capitolo 4: *** Ocean Blue Eyes ***
Capitolo 5: *** Crimson Red Pain(t) ***



Capitolo 1
*** Light Pink Sky ***


Note dell’Autrice

Ecco qui una nuova raccolta Stucky riguardante tutti i principali momenti della vita di Steve e Bucky; ogni capitolo è composto da tre brevi flashfics/oneshots ispirate a tre diverse canzoni di Taylor Swift. Anche i titoli dei capitoli sono citazioni di Taylor, incentrate su diversi colori e che rappresentano il tema principale degli stessi. Il titolo dell’intera storia, invece, è parte di un verso preso dalla canzone “Style”. Insomma, c’è tanto contenuto Stucky quanto la presenza indiscutibile della mia cantante preferita.

Originariamente, avevo pensato di pubblicare e aggiornare la storia ogni mercoledì, ma poi ho postato prima senza avere altri capitoli già pronti, quindi non so dirvi con quanta regolarità arriveranno gli aggiornamenti.

Detto questo, spero davvero che vi piaccia!

Federica ♛

 


Rating: Verde

Genere: Slice of Life/Fluff/Introspettivo

Contesto: Pre-Captain America: The First Avenger

Canzoni: It’s Nice to Have a Friend / Long Live / Enchanted

 

 

Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 

 

 


TAKE ME HOME

#1 – LIGHT PINK SKY

 

Something gave you the nerve /

To touch my hand /

It’s nice to have a friend

 

Quando Steve decise di intervenire in difesa dell’ennesima dama importunata dal bullo di turno, non pensava – non veramente, non nel profondo del suo animo – che sarebbe andata diversamente da tutte le volte precedenti.

Sua madre lo rimproverava in continuazione su questo punto, e lui stesso riusciva a cogliere il senso e la necessità delle sue parole, ma restare impassibile di fronte a un sopruso andava contro tutti i principi in cui credeva così fermamente.

Così – sebbene non fosse particolarmente robusto o in grado di sostenere uno scontro fisico contro… be’, nessuno – non ci pensò due volte prima di intromettersi nella discussione accesa e asserire che chiaramente la ragazza non era interessata.

La scena che ne seguì si svolse come in un disco rotto: il ragazzo che lo spintonava, la fanciulla che coglieva l’occasione per svignarsela – il raggiungimento massimo che un intervento così sconclusionato potesse mai concretizzare – e Steve che restava bloccato contro la parete del vicoletto senza poter fare qualcosa oltre a cercare di difendersi malamente dai colpi che gli venivano inferti.

Solitamente, non sarebbe stato causa di particolare sorpresa, ma le percosse ricevute erano più violente e potenti del normale.

“Ehi!” La voce interruppe quella sorta di incantesimo distorto che si era creato, distraendo il bullo abbastanza affinché venisse velocemente allontanato da Steve dalla figura che ora si stagliava tra di loro.

“Perché non te la prendi con qualcuno della tua taglia?”

L’altro non ebbe bisogno di motivazione ulteriore; si scagliò contro il nuovo arrivato e, proprio mentre Steve pensò che lo avrebbe steso senza fatica, lo sconosciuto si mosse leggermente, facendolo sbandare di lato contro il muro.

L’uomo si rimise in piedi velocemente, li guardò per un istante, prima di borbottare un “Checche” e allontanarsi, lasciando gli altri due in un silenzio ronzante.

Il ragazzo più giovane si stagliava ora su di lui, a mala pena disturbato dalla sua stessa azione.

“Stai bene?” chiese, allungando la mano. Quando Steve la prese con cautela, venne rimesso in piedi da una presa salda, calda e sicura.

Sebbene l’occhio sinistro fosse ridotto parecchio male, riuscì a scorgere ugualmente l’aspetto del suo salvatore. Alto, moro e dagli occhi cristallini, sembrava uscito da uno di quei film che non aveva abbastanza denaro per potersi permettere di andare a vedere.

“Io sono James Buchanan,” si presentò con orgoglio. Persino il suo nome si addiceva a una star del cinema, una sorta di Humphrey Bogart proveniente da Brooklyn.

No, Steve si sorprese a pensare, una volta che qualcuno interveniva in sua difesa, non lo avrebbe certo condiviso con il resto del mondo.

“È un nome stupido,” replicò quindi, anche se non lo era davvero. “Ti chiamerò Bucky.”

L’altro esitò solo un attimo, forse per ripetere quel nomignolo nella sua mente, tastarne il suono, prima di irrompere in un grande sorriso.

“Va bene, teppistello, e tu come ti chiami?”

“Steve. Rogers. Steve Rogers,” incespicò malamente.

Bucky sorrise, e Steve poté giurare che il mondo intero rallentò per un istante.

“Bene, Steve Rogers, da oggi noi saremo amici.”

Il cielo rosa pallido del tramonto sancì quell’affermazione che suonava pericolosamente come una promessa.

 

I said remember this feeling /

I pass the pictures around /

Of all the years that we stood there /

On the side-lines wishing for right now

 

Nel corso degli anni successivi, Steve si ritrovò spesso a fissare Bucky.

Dapprima si trattava solo di sguardi fugaci, rubati tra i banchi di scuola o nei lunghi momenti trascorsi insieme. Quando però iniziarono a condividere un appartamento, Steve si fece meno cauto; niente di estremo o troppo rivelatore, giusto un’occhiata fugace qua e là nel corso della giornata che indugiava sul corpo muscoloso dell’altro ogni giorno di più.

Adorava osservarlo al mattino quando, ancora mezzo addormentato preparava la colazione, per poi vestirsi e andare al lavoro che era riuscito a trovare al porto.

Vi era poi una sbirciatina la sera, quando affondava stanco nel minuscolo divano che erano riusciti a recuperare dalla vecchia abitazione di Steve.

E quando arrivava il momento di coricarsi, sebbene la piccola stanza fosse immersa nell’oscurità più totale, Steve cercava sempre di immaginarsi la sua espressione beata, persa nei meandri di sogni irraggiungibili, e sperava di essere presente in alcuni di questi.

Steve non era uno sprovveduto; sapeva bene che quello che provava per Bucky non avrebbe mai avuto modo di nascere e svilupparsi. Nella anche più assurda ipotesi che fosse ricambiato, aveva assistito a troppi arresti, troppe risse per non sapere quale sorte sarebbe stata riservata loro.

Ma spesso, quando si ritrovavano nello stesso letto e Steve doveva obbligare la sua mente a recepire che si trattava solo di una questione di praticità, convenienza e utilità, pensava a come avesse aspettato una persona come Bucky per tutta la vita.

Tutti gli anni passati in disparte, sperando nell’arrivo di un amico sincero, avevano dato i loro frutti e, ora che lui e Bucky erano diventati inseparabili, non l’avrebbe lasciato andare tanto facilmente. Avrebbe combattuto per lui, sempre, contro il resto del mondo se necessario.

Steve passava la maggior parte delle sue giornate disegnando, cercando di guadagnare qualche soldo extra aiutando le vecchie signore del suo vicinato nei più svariati lavoretti e perlustrando la città in caso vi fosse qualcuno in difficoltà. Ma avrebbe abbandonato tutto – persino il suo più grande desiderio di fare la differenza per il suo paese – se solo Bucky glielo avesse chiesto.

C’erano volte in cui quasi sperava che ciò accadesse. Sapeva che un giorno Bucky sarebbe diventato una persona importante – un militare, forse, come pareva esser il suo sogno attuale – ma Steve era già orgoglioso di lui ora, quando, poco più che un garzone qualunque, gli assicurava un tetto sopra la testa e un pasto caldo in tavola.

Un giorno, Steve giurò nel silenzio della loro camera, gli avrebbe ricambiato il favore.

 

There I was again tonight /

Forcing laughter, faking smiles /

Same old tired lonely place

 

L’unico vero lato negativo del frequentare Bucky era la consapevolezza pressoché palpabile di quanto fosse popolare e amato dalle ragazze.

Gli appuntamenti doppi a cui lo costringeva a partecipare si trasformarono presto da leggere seccature a vere e proprie torture. Dover passare un’intera serata non solo guardando il maggiore divertirsi e flirtare con un’altra persona – una donna, per di più – ma trascorrendo del tempo con la povera malcapitata che si era trovata intrappolata nello stesso inghippo non costituiva l’idea che Steve aveva di divertimento.

E, francamente, non ne capiva il motivo. Sapeva che tutte le ragazze del loro quartiere – diamine, forse dell’intera Brooklyn – volevano Bucky. Spesso Steve le immaginava tirare a sorte per scoprire quale delle due avrebbe dovuto intrattenere invece l’amico esile e gracile.

Per Steve, tutto ciò costituiva l’ennesima prova che mai nessuno si sarebbe mai interessato a lui, non con il suo aspetto fisico, non con la sua goffaggine, non con la sua inesauribile necessità di combattere per i più deboli – aveva notato che al massimo poteva essere un elemento di intrigo, ma nessuno si sarebbe mai preso la responsabilità di doverlo curare svariati giorni a settimana. Per non parlare della lista infinita dei suoi malanni e insufficienze sanitarie che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita.

In conclusione, Steve Rogers era destinato a rimanere solo. Se n’era fatto una ragione, più o meno, ma questo non significava che il petto non esplodesse in un dolore lancinante ogni volta che si soffermava sul sorriso che graziava il viso di Bucky.

Vederlo danzare con la ragazza della serata – mentre quella con cui sarebbe dovuto uscire lui se l’era già svignata – era una pugnalata al cuore, a discapito di tutte le volte in cui si era ripromesso di non innamorarsi di lui.

Ma forse era stato inevitabile sin dal loro primo incontro, dal loro primo sguardo, dalle loro prime parole.

Steve alzò lo sguardo al cielo, di quel rosa pallido tipico del momento che segue il tramonto, così simile a quello sotto cui si sono stretti la mano per la prima volta. I sentimenti che Steve provava, tuttavia, non sarebbero potuti essere più differenti.

Con l’angolo dell’occhio scorse un movimento alla sua destra, e si voltò giusto in tempo per vedere l’appuntamento della serata – Lucy? O era forse Marie? – strattonare leggermente la manica di Bucky.

“Perché non proseguiamo la nostra uscita al pub qui vicino?” domandò con una voce sognante.

Quando il moro si voltò verso Steve, quasi come a chiedergli il permesso, questi scosse le spalle, fingendo una stanchezza che sapeva già sarebbe tardata ad arrivare, e gli augurò una buona serata.

Per Bucky, avrebbe finto l’ennesimo sorriso.

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Capitolo 2
*** Rosy Cheeks ***


Rating: Arancione

Genere: Introspettivo/Fluff/Romantico

Contesto: Pre-Captain America: The First Avenger

Canzoni: I Think He Knows / Sparks Fly / Delicate

 

 

Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 

 

 

 

TAKE ME HOME

#2 – ROSY CHEEKS

 

Lyrical smile, indigo eyes, hand on my thigh /

We can follow the sparks, I’ll drive

 

Steve si domandava spesso quanto ovvio risultasse a un occhio esterno. Faceva il possibile per nascondere al meglio i suoi sentimenti, ma c’erano occasioni – forse un po’ troppo frequenti – in cui si incantava davanti alla bellezza disarmante di Bucky.

Era una cosa involontaria, lo sguardo sognante che dipingeva il suo volto e di cui si rendeva conto solo quand’era troppo tardi per fingere che stesse facendo qualsiasi altra cosa.

A volte sospettava addirittura che Bucky sapesse la realtà dei fatti; il modo in cui i suoi occhi gli lanciavano una scintilla quasi di sfida lo lasciava boccheggiante e insicuro. Stava forse vedendo quello che voleva vedere? O c’era della verità nei suoi sospetti?

Anche ora, mentre sedevano l’uno di fronte all’altro dopo una lunga giornata al lavoro, Steve coglieva un’aria di guai nell’espressione maliziosa dell’amico.

“Sai, oggi Robbie ha preso una macchina,” esordì Bucky quando ebbero finito di mangiare. Steve non conosceva bene gli altri ragazzi che lavoravano al porto con lui, quindi annuì distrattamente mentre sparecchiava.

“Ha portato Lizzie in giro per la città tutto il giorno, quello scansafatiche. Tu che faresti se ne avessi una?”

“Probabilmente non arriverei neanche ai pedali,” rispose Steve senza entusiasmo. Né avrei mai una ragazza, pensò tra sé e sé.

“Okay, allora guiderei io.”

“Siamo troppo poveri, Buck, non potremmo permetterci nemmeno l’auto più sgangherata.”

“Non sei per niente divertente, sai?” replicò l’altro, fintamente stizzito. “Andiamo, immagina.”

Steve sospirò sonoramente. “E va bene.”

All’improvvisamente sentì Bucky avvicinarsi; tentò di ignorarlo, ma il maggiore premette il suo intero corpo contro quello più minuto di Steve, imprigionandolo tra le sue braccia.

“Io ci immagino mentre voliamo per le strade di New York, incuranti di tutto se non della strada davanti a noi e il vento tra i capelli. Ti porterei ovunque vorresti, lo sai?”

Poi abbassò la voce, e solo la loro distanza ravvicinata permise a Steve di cogliere le sue parole. “Farei di tutto per te, Stevie.”

Il biondo si irrigidì; sicuramente Bucky non intendeva…

Quando si girò verso di lui, dando le spalle ai piatti sporchi ormai abbandonati, l’altro lo stava già fissando, uno sguardo intenso e indecifrabile che gli oscurava i lineamenti.

“Bucky…” mormorò Steve, gli occhi che scesero involontariamente verso le sue labbra carnose.

Lo so.”

E un cenno del capo fu tutto il preavviso che diede, prima che la sua bocca fece per discendere su quella del minore.

Non c’era cosa che Steve avrebbe voluto più al mondo, ma non sarebbe successo così. Con il cuore martellante nel petto, si ritrasse alla presa di Bucky e scappò in camera prima che l’altro riuscisse a sfiorarlo.

 

You stood there in front of me /

Just close enough to touch /

Close enough to hope you couldn’t see /

What I was thinking of


“Stai bene? Ultimamente ti vedo agitato, non è che ti sei beccato un’altra volta la febbre?”

Steve fermò i suoi movimenti, un pastello stretto forte nella mano destra per evitare che stremasse, gli occhi fissi sul foglio da disegno appoggiato sulle gambe.

“Io… sì, tutto okay,” rispose, fingendo un sorriso.

“Mi stai nascondendo qualcosa,” affermò l’altro avvicinandosi e sedendosi di fianco a lui sul piccolo divano.

Steve sperò con tutto se stesso che Bucky non capisse quello che veramente gli stesse passando per la testa. Erano passati due giorni dal loro quasi-bacio mancato ed entrambi avevano fatto del loro meglio per non parlarne; l’aria tra loro non era esattamente tesa, ma non era nemmeno delle più pacifiche.

Steve non sapeva con esattezza cos’era realmente successo quella sera, se si fosse trattato di una scommessa, semplice curiosità o se l’amico fosse stato semplicemente un po’ più brillo di quanto avesse originariamente pensato.

Si domandava cos’avrebbe fatto, se avesse saputo che per lui sarebbe potuta essere l’esperienza più assurda e magica della sua intera esistenza. Avrebbe riso? Si sarebbe arrabbiato sul serio? Lo avrebbe cacciato da quella che, a rigor di legge, era casa sua?

“È per quello che è successo l’altra sera?” riprese il moro più cautamente. “Mi dispiace, non volevo metterti a disagio.”

Steve non rispose; si limitò a chiudere gli occhi, preparandosi alle parole che sarebbero senza dubbio seguite.

“Pensavo… pensavo di aver capito bene, ma forse non è così…”

“Cosa?”

Bucky si passò una mano tra i capelli, imbarazzato. “Sì, insomma… pensavo di piacerti, ecco.”

Steve abbandonò ogni tentativo di essere sottile, e lo squadrò con un’occhiata scettica. “Questo è fuori discussione. La vera domanda è come faccia io a piacere a te.”

Bucky non rispose, confuso e un po’ frastornato dal cambio di tono dell’altro.

“Pensi che ti abbia fermato perché non ti volessi?”

“Be’, sì, solitamente è quello il motivo per cui si respinge qualcuno,” affermò con ovvietà Bucky.

“Buck, io ti ho fermato per te! Stavi per commettere un errore e l’ho evitato, così non dovrai farmi il discorso di come ti fossi sbagliato e…”

Bucky gli fu addosso in un attimo, spostando di lato la sua attrezzatura artistica e facendo indietreggiare il minore contro i cuscini.

“Non ti permettere,” ringhiò quasi. “Non osare dirmi quali sono i miei sentimenti. Non osare tenerti alla larga da me per motivi immaginari che hai fabbricato di notte.”

“Oh, andiamo, guardami!” sbottò infine Steve, indicando vagamente il suo corpo esile, l’assenza di muscoli e la carnagione così pallida da sembrare malata.

Io ti vedo perfettamente, sei tu che hai una visione distorta di quello che vali!” ribatté Bucky con la stessa intensità.

Steve sospirò. La conversazione non stava procedendo secondo le sue aspettative.

Bucky si avvicinò ulteriormente, riducendo drasticamente la distanza tra loro. Il respiro di Steve si fece improvvisamente affannoso, e aveva la sensazione che non fosse dovuto all’asma.

“Bucky…”

“Steve,” ribatté sicuro l’altro.

Questi abbassò lo sguardo, per essere prontamente afferrato dal maggiore, che ristabilì presto il contatto visivo.

Avrebbe dovuto allontanarsi, ma Bucky era così vicino che poteva sentire il suo profumo, vedere ogni piccola imperfezione della sua pelle. Era troppo inebriante, troppo scombussolante, non sarebbe mai riuscito a svignarsela una seconda volta.

“Potresti avere chiunque,” mormorò.

“Io voglio solo te.”

Spingendosi in avanti, Steve colmò lo spazio tra i loro corpi, catturando le labbra dell’altro in quello che era sicuro fosse un tentativo piuttosto debole di un primo bacio soddisfacente.

Quando si staccarono, le guance rosee di Bucky si mossero per accomodare un sorriso radiante. “Non è stato poi così difficile, no?”

Forse Steve era stato un idiota a giungere a conclusioni affrettate.

 

Long nights with your hands up in my hair /

Echoes of your footsteps on the stairs /

Stay here, honey, I don’t wanna share


I giorni che ne seguirono furono i migliori di tutta la vita di Steve.

Da quando Bucky aveva ricambiato il suo bacio invece che respingerlo gli pareva di vivere in un sogno. Le notti trascorse nello stesso letto non avevano più nulla di imbarazzante o teso, ma venivano passate accoccolati l’uno stretto all’altro.

Quella sera stessa Bucky non perse tempo prima di fare un’ulteriore mossa; fece passare le dita tra le ciocche bionde di Steve, tirandole leggermente in un movimento che gli fece ciondolare la testa all’indietro. Un gemito traditore si fece largo dalle parti più recondite della sua gola, e gli fu inevitabile socchiudere gli occhi e lasciarsi andare contro il corpo caldo del più grande.

Bucky lo fissò per un istante, prima di assaltare le sue labbra con fervore, circondandogli l’intero corpo con le sue braccia possenti e facendo indietreggiare entrambi finché le spalle di Steve non sbatterono contro il muro della loro camera da letto.

Le mani del maggiore si infilarono presto sotto la maglia leggera, scivolando verso il basso e tracciando il profilo di tutta la colonna vertebrale dell’altro prima di fermarsi sopra ai glutei.

“Va bene?” chiese piano. L’ultima cosa che voleva era andare troppo oltre o troppo in fretta; Steve non era un appuntamento occasionale, aveva tutte le intenzioni di tenerlo con sé per molto tempo.

Ma il biondo non gli diede nemmeno la possibilità di allontanarsi, avvinghiandosi intorno al suo corpo, e ansimando un sommesso “Sì, Bucky, .”

Questi non poté evitare il sorriso malizioso che si fece largo sul suo viso; sapeva di avere successo – almeno con le ragazze – ma vedere Steve così sciolto e quasi intossicato solo per lui era un vero colpo per il suo ego.

“Sicuro che resisterai?” chiese quindi con un tono insolente, spingendosi dentro di lui con quanta più delicatezza riuscì a padroneggiare. Non era semplice restare calmo e concentrato quando Steve emetteva dei suoni così dolci e inebrianti.

Il biondo imprecò a voce strozzata, aggrappandosi con più vigore alle sue spalle, attirandolo a sé con tutta la forza rimasta e agganciando le gambe attorno al suo bacino.

“Sì, Bucky. Non fermarti, ti prego…” ansimò.

Bucky sorrise e aumentò il ritmo. E se, quando finalmente un dolce rilascio si liberò dai loro corpi, Steve mormorò distrattamente un “Ti amo” a mezza voce, Bucky fu abbastanza delicato da non farglielo notare.

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Capitolo 3
*** Green Light ***


Rating: Giallo

Genere: Introspettivo/Malinconico

Contesto: Captain America: The First Avenger

Canzoni: Come Back... Be Here / Untouchable / The Man

 

 

Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 

 

 


TAKE ME HOME

#3 – GREEN LIGHT

 

Taxi cabs and busy streets /

That never bring you back to me /

I can’t help but wish you took me with you

 

Steve sospirò per l’ennesima volta, spostando lo sguardo fuori dalla finestra che dava sulla via sotto il suo appartamento.

Bucky se n’era andato da meno di una settimana, ma la sua assenza era già stata ampiamente notata dal più giovane. Si era aspettato di sentirne la mancanza, ma non aveva previsto le proporzioni di tale sentimento: percepiva un vero e proprio vuoto nel mezzo del suo petto, come se avesse perso una parte di sé.

Si chiese cosa stesse facendo l’altro in quel momento; era in missione? In riposo? Stava condividendo il suo letto con qualche infermiera o, peggio ancora, con un altro militare?

Steve sapeva che pensieri di quel genere non lo avrebbero portato a nessuna conclusione. E non era stato lui stesso a dargli il suo esplicito permesso? L’ultima cosa che voleva era intralciare il suo duro lavoro costringendolo a mesi – anni? – di castità permanente.

Eppure tutto ciò che voleva, invece di restare in casa dopo essere stato rifiutato per l’ennesima volta dai centri di arruolamento, era partire per Londra con l’improbabile speranza di incontrare Bucky da qualche parte.

Era buffo, come per tutta la vita avesse voluto fare la differenza nel mondo e, ora che il mondo aveva davvero bisogno di eroi che lo salvassero, quello di cui Steve si preoccupava era il suo benessere personale.

Ma da quando il rapporto con Bucky si era trasformato in più che una semplice amicizia, da quando avevano condiviso il letto in maniera assai differente da tutte le volte precedenti, la mente di Steve pareva avere un solo chiodo fisso. Tutto il resto si era automaticamente spostato in secondo piano, non potendo competere con baci infuocati e mani vaganti.

Si era ritrovato a ripensare a quei momenti rubati – nonché a immaginarsi nuovi possibili scenari – quasi ogni sera, ma troppo spesso ormai tali fantasie piacevoli lasciavano il posto alle più brutali e tremende preoccupazioni.

Gli ultimi raggi di sole distolsero Steve dai suoi cupi pensieri, riportando la sua mente al vero problema attuale: trovare qualcuno disposto ad addestrarlo.

Non voleva soffermarsi troppo su cosa avrebbe fatto se nessuno lo avesse accettato. Sapeva che Bucky lo avrebbe preferito a casa, al sicuro, una preoccupazione in meno per lui, ma suppose che alla fine non sarebbe stato poi tanto sorpreso.

I bagliori rossastri del tramonto spostò la sua attenzione sui pastelli sparpagliati sul tavolino, i disegni di fianco ancora incompleti. Aveva passato la mattina a Central Park, tentando di immortale un po’ di bellezza nel mezzo della sua malinconia.

Ma nemmeno il verde acceso dei suoi dipinti donava abbastanza luce a una vita senza Bucky.

 

In the middle of the night /

Waking from this dream /

I wanna feel you by my side /

Standing next to me

 

Gli incubi erano diventati ormai una presenza costante. Steve se ne vergognava tremendamente; ogni volta che si svegliava di soprassalto, madido di sudore, non poteva fare a meno di redarguirsi su quanto il suo agitarsi fosse esagerato e immotivato, nonostante le circostanze.

Bucky era in guerra, lottava ogni giorno per la liberazione dell’Europa, rischiava la sua vita per il proprio paese… e Steve non riusciva a dormire senza il suo più caro amico.

Pensava di essere ormai indipendente o, quantomeno, in grado di affrontare la vita di tutti i giorni da solo, ma la verità era che non riusciva nemmeno a respirare allo stesso modo di quando Bucky era al suo fianco. E per quanto cercasse di convincere se stesso che si trattava della solita asma, nel profondo sapeva che la realtà era ben diversa.

La sensazione di inutilità e impotenza che lo pervadeva quasi quotidianamente stava diventando troppo pesante da sopportare. E se durante la giornata riusciva in qualche modo a tenersi occupato, la notte costituiva un vero inferno; senza nessuna rissa in cui incappare o un lavoretto da svolgere al volo per racimolare qualche soldo, Steve rimaneva da solo con i suoi pensieri… pensieri che ultimatamente si stavano avvicinando a rive pericolose.

Aveva valutato la possibilità di fare una visita al suo medico, ma niente di quello che gli aveva prescritto fino ad allora aveva funzionato completamente, lasciandolo solo stremato e confuso.

Ciononostante, si recò ugualmente in bagno per esaminare la situazione. Il riflesso che lo specchio gli restituì non fu gentile; i capelli biondi erano disordinati come mai prima di allora, la pelle era un colorito pallido che rasentava il malato, e gli occhi chiari erano arrossati e circondati da pesanti occhiaie.

Cercò di inspirare profondamente ma, quando il respiro si avvicinò a diventare un singhiozzo, spostò lo sguardo a lato dello specchio, allungando sovrappensiero un braccio verso l’armadietto dei medicinali.

Guardò la piccola bottiglia trasparente colma di piccole pillole bianche, così varie che aveva quasi dimenticato quale fosse quella giusta da prendere in caso di attacchi di panico.

La rigirò debolmente nel palmo della mano, prima di rimetterla al suo posto originario. Non aveva bisogno di altre medicine; rivoleva solo Bucky al suo fianco.

Trasse un altro respiro profondo, prima di tornare a letto. L’indomani sarebbe stato un giorno migliore.

 

I’d be a fearless leader /

I’d be an alpha type /

When everyone believes you /

What’s that like?

 

Steve adocchiò con fare scettico la macchina di metallo entro cui avrebbe dovuto posizionarsi. Non si trattava di una questione di fiducia nei confronti di medici sicuramente più competenti di lui, ma non capiva come entrare in un ambiente tanto stretto avrebbe giovato alla sua salute. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era di soffocare prima ancora che il siero potesse avere anche solo la possibilità di fare effetto.

L’inadeguatezza verso la sua situazione, tuttavia, ebbe la meglio sui suoi dubbi e perplessità, perciò ciondolò nei paraggi mentre i tecnici ultimavano i preparativi necessari all’operazione.

Il Dottor Erskine era la sua migliore possibilità. Un siero miracoloso in grado di tramutare in realtà tutti i suoi più reconditi desideri? Steve avrebbe dovuto fare i salti di gioia.

Ed era contento, lo era davvero, ma sapeva anche che, qualora tale formula avesse funzionato, tutti avrebbero iniziato a guardarlo con occhi diversi. Perché quello era il mondo in cui viveva, dove le apparenze contavano di più delle intenzioni e i forti avrebbero sempre prevalso sui buoni di cuore.

Ma Steve era stanco di essere sempre sottovalutato per il suo aspetto fisico. Se solo fosse stato più forte, più sano, più resistente, avrebbe già potuto essere al fianco di Bucky, a lottare per il suo paese come tutti gli altri ragazzi della sua età. Sarebbe stato rispettato, forse persino commemorato per il suo senso di onore e giustizia.

Invece era bloccato in un corpo che lo tradiva a ogni passo, che non gli permetteva di concretizzare ciò che sentiva di essere nel profondo.

Steve lo odiava. Molti giorni, si odiava. Non ne aveva mai apertamente parlato con qualcuno – molto spesso aveva paura persino di essere onesto con se stesso – ma la verità era che avrebbe dato qualunque cosa per rinascere in un guscio più consono al suo carattere.

E non sopportava che la gente gli avesse inculcato questo pensiero nella mente. Non c’era nulla di male nell’essere gracile o meno muscolo dei suoi coetanei, non aveva nulla da invidiare a quei bulli contro cui si riprometteva sempre di lottare, non c’era niente di sbagliato in lui.

Eppure sentiva la necessità di cambiare; sperò soltanto che un corpo diverso fosse abbastanza a farlo sentire a suo agio nella propria pelle.

E, quando il siero funzionò alla perfezione, si ritrovò anche a sperare con tutto se stesso che Bucky fosse ancora in grado di riconoscere il suo vero io.

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Capitolo 4
*** Ocean Blue Eyes ***


Rating: Arancione

Genere: Introspettivo/Fluff/Romantico

Contesto: Captain America: The First Avenger

Canzoni: You Belong With Me / Im Only Me When Im With You / Dress

 

 

Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 

 

 

 

TAKE ME HOME

#4 – OCEAN BLUE EYES

 

Can’t you see that I’m the one who understands you /

Been here all along, so why can’t you see /

You belong with me

 

Steve aveva sempre saputo di essere una persona impulsiva. E, la maggior parte delle volte, non lo considerava un attributo negativo; era fermamente convinto che la sua abilità a intervenire immediatamente e aiutare qualcuno in difficoltà si fosse rivelata utile in più di un’occasione.

Ma non aveva mai abbandonato tutti i suoi doveri – o ciò che gli altri consideravano tali – tanto velocemente come quando apprese la notizia della cattura di Bucky.

Era come se qualcosa fosse scattato nella parte più remota del suo animo, una reazione involontaria che gli intimava di lasciar perdere il resto per concentrarsi sulla persona che contava davvero.

Sapeva che sarebbe finito in guai seri con il colonnello Phillips, con l’agente Carter, forse persino con gli altri militari, ma non avrebbe mai abbandonato Bucky nel momento di bisogno.

Lo avrebbe salvato, o sarebbe morto provandoci.

Ripensandoci in seguito, Steve non avrebbe saputo raccontare nel dettaglio come fosse riuscito a infiltrare la base nemica, liberare i molteplici soldati imprigionati e trovare con successo Bucky. 

L’adrenalina rese i suoi ricordi offuscati, lasciando un grande vuoto tra il momento in cui aveva lasciato l’aereo di Howard e l’attimo in cui una voce sommessa, che avrebbe riconosciuto ovunque, raggiunse le sue orecchie.

Bucky era steso su un tavolo di metallo, gli arti bloccati da pesanti cinghia e lo sguardo vacuo, focalizzato su qualcosa di indefinito.

“Credevo fossi morto,” sussurrò senza fiato non appena il moro venne rimesso in piedi.

“Credevo fossi più piccolo,” replicò confuso. Steve sorrise; forse sarebbe andato tutto per il verso giusto.

Dopo, quando furono tornati alla base ed ebbero finito tutti gli accertamenti medici, Steve condusse Bucky nella sua tenda, ignorando ancora una volta il resto del mondo, deciso a prendersi cura dell’altro nel migliore dei modi.

“Quindi… resterai sempre così?” chiese questi non appena furono soli, passando in rassegna il corpo possente del biondo con uno sguardo indagatore.

“A quanto pare…” rispose. “Perché, non ti piace forse?”

Per tutta risposta, Bucky lo strinse in un forte abbraccio, lasciando finalmente che la sua finta spavalderia si dissolvesse, sentendosi protetto tra le braccia del suo amante.

“Idiota, ti lascio da solo per qualche settimana e tu diventi un esperimento scientifico?”

Inspirò profondamente il suo odore – così simile a quello che aveva sempre conosciuto – e si lasciò mettere a letto senza ulteriori battibecchi.

Probabilmente se ne sarebbe pentito il mattino successivo, ma in quel momento gli sembrava così giusto trovare un po’ di serenità dopo mesi di una guerra che pareva infinita.

“Appartengo a te, lo sai,” gli mormorò Steve a fior di labbra, prima di accomodarsi al suo fianco.

“Sempre,” fu l’unica risposta che ricevette.

 

I don’t try to hide my tears /

My secrets or my deepest fears /

Through it all nobody gets me like you do

 

Quando la bellissima agente Carter fece il suo ingresso nel piccolo bar, Bucky stava affogando tutti i suoi dispiaceri in un whiskey.

Si rendeva conto di quanto infantile e ingiusto fosse il suo comportamento ma, dopo aver avuto un incontro ravvicinato con la morte, pensava di essersi meritato un po’ di tempo per autocommiserarsi.

E, se fosse stato onesto con se stesso, avrebbe ammesso che la donna non costituiva in realtà il suo vero problema; era tutto frutto delle sue insicurezze.

Non era difficile capire il motivo di tanta attenzione nei suoi confronti da parte di Steve; una mente intelligente, una lingua astuta e un corpo da far girare la testa a chiunque.

E Bucky sapeva che la loro storia d’amore non sarebbe mai potuta progredire; era quasi sorpreso nel constatare che era sopravvissuta tanto a lungo. Non conosceva nessuno meritevole di affetto e felicità più del suo migliore amico, ma la sua indole orgogliosa e permalosa non gli permetteva di fare la cosa giusta e lasciare che si godesse per la prima volta la sua popolarità con il genere femminile.

Per questo, quando Steve gli si avvicinò, non diede segno di averlo notato.

“Insomma, cosa c’è che non va?”

“Niente, stavo solo riflettendo.” Finì il suo bicchiere e ne ordinò subito un altro – aveva già perso il conto di quanto alcol avesse ingerito ma, per qualche motivo, non sembrava avere nessun effetto.

“Oh, ora sì che sono preoccupato.”

La battuta del biondo suonò vuota alle sue stesse orecchie.

“Ora sei un eroe nazionale, immagino che facciano tutti la fila per avere un momento con te,” rispose secco. Il suo tono di voce era rassegnato e disdegnoso, ma Steve seppe cogliere il vero significato delle parole dell’amico.

“Sono sempre io, Buck. Niente potrà mai cambiare quello che rappresenti per me. Pensavo che ieri sera avesse rappresentato una prova sufficiente.”

Bucky rimase in silenzio per qualche istante, prima di chiedere: “Hai detto che il siero ti ha guarito da tutte le malattie. Non ha curato anche… quello?”

Steve capì subito a cosa si stesse riferendo il moro; la sua sessualità.

“No,” rispose semplicemente. “Immagino sia la prova ultima che non ci sia niente di sbagliato in quello che provo.”

Tornarono entrambi a fissare l’ambiente in cui si trovavano; lo spirito dei militari era alto dopo la recente vittoria, e nessuno stava prestando attenzione ai due.

“Non ti dà fastidio, vero? Il fatto che ora tutti mi diano retta, intendo,” riprese dopo un attimo Steve. Non l’avrebbe mai ammesso, ma era terrorizzato dalla reazione dell’amico; non sapeva se il suo nuovo aspetto e posizione militare avrebbero compromesso tutto quello che avevano costruito negli anni precedenti.

“Sei proprio un cretino,” fu la risposta secca di Bucky. “Mi stai chiedendo se mi facesse piacere vederti mezzo morto ogni inverno? Se apprezzassi trovarti in un vicolo buio mentre venivi pestato? Se mi dispiaccia che ora tutti ti vedano per la persona meravigliosa che sei sempre stato? Cazzo, Stevie, certo che no!”

“Tu sei l’unico con cui io mi senta a mio agio. Nonostante tutto, so di poter essere me stesso con te.” La confessione fu calma, pacata, sussurrata a mala pena nonostante il fragore tutt’intorno a loro.

Bucky non poté fare a meno di rivolgergli un sorriso stanco, affezionato, prima di avvicinare lentamente la mano a quella dell’altro sul bancone lurido.

“Ne sono felice, Stevie. Sono contento che tu sia qui.”

Una pausa, una breve incertezza, poi: “Ma terrai l’outfit, vero?”

Steve ghignò, percependo l’insinuazione dietro quelle parole. Si guardò intorno, poi riportò lo sguardo sul suo amante.

“Sai, in realtà è piuttosto fastidioso. Mi aiuti a liberarmene?”

 

Our secret moments in a crowded room /

They got no idea about me and you /

There is an indentation in the shape of you /

Made your mark on me, a golden tattoo

 

Steve lo trascinò fino alle stanze dove alloggiava, salutando i pochi soldati che incontrarono per la strada. Aveva richiesto una sistemazione singola e, non trovando nessun buon motivo per rifiutarlo, il colonello gliela aveva concessa senza troppi problemi.

“Oh, è così che stanno le cose?” Bucky sollevò le sopracciglia con fare provocatorio, notando come tutti lo rispettassero. “Diventi un bruto muscoloso e improvvisamente sei tu quello che sta sopra?”

Normalmente Steve si sarebbe accigliato, forse sarebbe persino arrossito, ma erano mesi che non vedeva l’altro e non avrebbe certo sprecato il poco tempo a disposizione bisticciando. Inoltre, era felice di vedere che l’altro fosse tornato alla normalità, tutto sorrisini e battute stupide; non sapeva come si sarebbe comportato, se il suo cattivo umore si fosse protratto.

Senza ulteriori indugi, dunque, lo spinse contro la parete, bloccandogli le braccia con la sua nuova forza fisica.

“Oh, fai sul serio.” La voce di Bucky era genuinamente sorpresa, come se non si fosse aspettato veramente una presa di controllo da parte del biondo.

“Okay, allora, Capitan America, mostrami quello che madre natura ti ha dato.”

Steve interruppe i suoi commenti con un bacio infuocato, quasi violento, strofinando i loro nasi e iniziando a inarcare il suo corpo con quello invitante dell’altro.

“Sai, il siero ha potenziato molte cose…” disse Steve con un sorriso malizioso. “E ha… anche aumentato certe prestazioni.”

Bucky sogghignò, chiaramente intrigato. “Ne saranno state felici le ragazze dell’USO.” La nota di gelosia venne coperta solo in parte dal suo sarcasmo.

“No, idiota, ho sempre pensato a te.”

“Quindi anche gli eroi si fanno le seg– hmph!”

Steve fermò le sue profanità con un altro bacio, umido e leggero, dal momento che la sua bocca si era aperta, nonostante tutto, in un largo sorriso.

“Facciamo che utilizzi quella bella bocca per fare altro, eh?” propose.

“Autoritario,” commentò Bucky. “Mi piace.”

Senza farselo ripetere due volte, invertì le loro posizioni e scivolò con grazia per terra, sistemandosi sulle ginocchia e, in un gesto svelto, sbottonò i pantaloni di Steve.

Il suo membro duro non era certo una sorpresa e, se anche Bucky avesse avuto qualcosa da commentare, la sua libido ebbe la meglio.

Fece scorrere la lingua per tutta la lunghezza del biondo, senza mai interrompere il contatto visivo. Quando le sue labbra si mossero per accomodare la sua notevole mole, Steve si lasciò scappare un gemito di piacere, e fece scorrere una mano tra i capelli morbidi dell’altro.

Proseguirono per qualche minuto ma, prima che venisse, Bucky si staccò e si rimise in piedi con uno sguardo compiaciuto. Venne prontamente afferrato bruscamente dal compagno, che non perse tempo prima di abbassargli i pantaloni e scoprire il suo sesso interessato.

“Come mi vuoi?” chiese, la voce roca.

Bucky gli rispose spingendolo lievemente e facendolo sedere sul bordo del letto; poi si mise a cavalcioni su di lui e leccò un paio di dita che si spinse all’interno in modo da accomodare tutta la massa di Steve senza problemi.

Si adagiò quindi sull’amante, i muscoli delle gambe tesi e un’espressione concentrata sul viso. I loro ansimi riempirono l’intera stanza e non tentarono di dissimularli, nemmeno quando le loro spinte si fecero erratiche, smaniose di arrivare alla fine di quella gara contro se stessi.

E quando si accasciarono l’uno contro l’altro, la fronte imbrattata di sudore e il respiro ancora affannoso, Bucky sorrise nel posare lo sguardo sul suo amante. Potevano anche aver potenziato i suoi muscoli e le sue prestazioni, ma aveva gli stessi occhi azzurri di sempre.

“Dammi un minuto, e poi possiamo dare inizio al secondo round.”

Bucky grugnì in assenso; forse si sarebbe abituato a quella nuova versione di Steve prima del previsto.

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Capitolo 5
*** Crimson Red Pain(t) ***


Rating: Giallo

Genere: Angst/Introspettivo/Malinconico

Contesto: Captain America: The First Avenger

Canzoni: Back to December / Last Kiss / Sad, Beautiful, Tragic

 

 

Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 

 

 

 

TAKE ME HOME

#5 – CRIMSON RED PAIN(T)

 

I think about summer, all the beautiful times /

I watched you laughing from the passenger side /

Realized I’d loved you in the fall

 

Steve non sapeva con esattezza quanto fosse rimasto seduto in quel bar bombardato, tentando un’ubriacatura che a quel punto aveva capito non sarebbe mai arrivata, prima che Peggy lo raggiunse.

Le sue risposte a monosillabi non parevano dissuaderla dal suo tentativo di sollevargli il morale, e Steve avrebbe quasi voluto ridere. Come si può consolare qualcuno dopo che ha perso l’amore della sua vita?

Non che Peggy sapesse, ovviamente. Gli Howling Commandos l’avevano intuito praticamente subito, ma era inevitabile quando uno si fionda al capezzale di quello che dovrebbe essere il suo migliore amico dopo aver assaltato una base nemica unicamente per lui.

Steve aveva fatto del suo meglio per non essere toppo ovvio nelle sue smancerie, ma l’agente Carter non era certo l’ultima arrivata e, a quanto ne sapeva, poteva benissimo aver compreso la vera natura dei suoi sentimenti.

A Steve non importava; ormai non si curava più di nulla. Aveva un’unica missione, e poi… be’, non sarebbe tornato a Brooklyn senza Bucky, questo era certo.

Non aveva osato rivelare i suoi piani a nessuno, certo che non avrebbero compreso il suo bisogno viscerale di semplicemente smettere di esistere.

In fondo, cos’era rimasto a casa per lui? Tutte le persone che aveva amato – ovvero Bucky e sua madre – erano morte, e chiunque altro lo avesse accolto si sarebbe basato esclusivamente sul suo nuovo aspetto fisico. La situazione che sarebbe potuta crearsi avrebbe fatto divertire il biondo, se solo avesse avuto qualcuno con cui condividerla.

No, Steve sapeva cosa doveva fare: la cosa giusta. Principalmente per il mondo, ma anche per se stesso. Gli altri avrebbero capito, lo avrebbero compianto insieme per poi passare oltre, proseguendo con le proprie vite.

Non era certo il futuro che aveva previsto ma, dopotutto, sarebbe già dovuto essere morto da anni, a causa delle infinite malattie che aveva contratto nel corso della sua misera esistenza. Andava bene così.

Quella nuova certezza, quel pianificare nascosto circa le sue azioni successive gli diede una risolutezza che non credeva di possedere, spingendolo di nuovo nel presente, dove Peggy stava ancora parlando.

“Deve aver pensato che ne valessi la pena,” finì dopo qualche istante. Steve si rese conto di aver ascoltando solo poche parole del suo discorso, ma di una cosa era sicuro.

Niente di quello che era successo ne era valsa la pena.

Io non ne valgo la pena, pensò tra sé mentre si alzò e lasciò il bar senza una meta precisa.

 

Never thought we’d have a last kiss /

Never imagined we’d end like this /

Your name forever the name on my lips

 

Steve era oltremodo infastidito dal fatto di non riuscire a ricordare esattamente quand’era stata l’ultima volta in cui aveva baciato Bucky.

Sapeva, nella sua parte più razionale, che non importava realmente. L’unica cosa vera, tangibile, innegabile era che non ci sarebbero stati baci successivi. Mai più. Ma quella nozione non faceva altro che fargli venire una gran voglia di piangere, e non voleva rischiare di svegliare gli altri.

Tuttavia, mentre si preparava per l’ennesima missione – l’ultima, gli ricordò la sua stessa mente – non poteva fare a meno di riflettere su tutti i momenti trascorsi insieme.

Il dolore era ancora presente, pulsante e infuocato, che gli bruciava nel petto con un’intensità che non aveva mai provato prima. Eppure non riusciva a pensare a nient’altro; ogni decisione che prendeva, ogni movimento che faceva, ogni ordine che impartiva, nella sua mente, erano tutti rivolti a Bucky. Si chiedeva cosa avrebbe pensato della situazione, cosa avrebbe proposto lui, come avrebbe cercato in tutti i modi di distrarlo con metodi poco ortodossi.

Steve si incolpava per non essere riuscito a salvare quello che prima di tutto era il suo più caro amico, e quindi lasciava che tutti i suoi pensieri più bui avessero piedi libero nella sua mente, convinto che fosse la sua più che meritata punizione.

Ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva gli ultimi momenti sul treno, prima che Bucky perdesse la presa e precipitasse verso le montagne innevate delle Alpi.

Steve si sarebbe dovuto buttare con lui, afferrarlo a mezz’aria e dirigersi con lui verso l’ignoto. Occasionalmente, i suoi songi erano tanto gentili da permettergli di visualizzare quel finale alternativo, ma crudeli abbastanza da fargli sapere che non avrebbe mai raggiunto il capolinea insieme al suo amore.

Il Capitano – perché se non c’era Bucky, lui sicuramente non poteva essere Steve – si guardò intorno per l’ultima volta, raccolse il necessario per l’operazione e lasciò i suoi alloggi, dirigendosi a passo deciso verso l’uscita.

Si toccò sovrappensiero la bocca, immaginandola a contatto con un paio di labbra carnose che riuscivano sempre a estorcergli gemiti a tradimento.

Ma poi scosse violentemente il capo, abbandonando certe fantasticherie e concentrandosi sulle sue prossime azioni; in un modo o nell’altro, sarebbe finito tutto molto presto.

 

Distance, timing, breakdown, fighting /

Silence, the train runs off its tracks /

Hang up, give up /

For the life of us we can’t get back

 

Mentre tentava di dirottare l’aereo che puntava New York come un missile, Steve cercò di imprimere nella memoria i particolari più tipici di Bucky.

Il modo in cui camminava, le braccia che ciondolavano sempre avanti e indietro; i gesti che utilizzava quando parlava; il luccichio nei suoi occhi quando raccontava qualcosa che lo entusiasmava.

Pensare ai momenti felici trascorsi insieme alleviò la paura che Steve stava iniziando a sentire. Non si stava pentendo della propria scelta, né aveva dubbi sull’esito della sua impresa: nemmeno un super-guerriero sarebbe sopravvissuto a un salto da un’altezza simile.

L’istinto di sopravvivenza, tuttavia, era difficile da scacciare, e il respiro di Steve si fece affannoso, mentre il battito del cuore aumentava di secondo in secondo.

Inspirò profondamente l’aria impura dell’aereo, tenendo lo sguardo sul monitor per accettarsi che stesse seguendo la pista stabilita.

Disse addio a Peggy e a Howard, li rassicurò su un futuro che non poteva nemmeno cominciare a immaginare cosa potesse portare. Ma doveva a entrambi cercare di essere deciso, un vero eroe che si sacrifica per il bene comune.

Una domanda gli sorse spontanea: se Bucky fosse stato vivo, avrebbe dirottato l’aereo? Se avesse avuto la certezza di poter tornare a Brooklyn con lui, avrebbe salvato persone innocenti con tanta leggerezza, senza indugi né remore, solamente perché era la cosa giusta da fare?

Steve si lasciò andare in una risata isterica. Almeno il resto del mondo non avrebbe mai saputo che codardo narcisista fosse in realtà; sarebbe morto nel modo in cui tutti l’avevano spinto a comportarsi, come un superuomo dal cuore d’oro. Senza sapere che quel cuore appartenesse a un’unica persona.

Quando il bestione di ferro colpì la superficie dell’Artico, Steve non sentì alcun dolore; tutto si fece confuso e distante, e la sua vista si offuscò mentre l’acqua si affrettava a inghiottirlo nelle sue profondità.

Portare a termine la sua missione si rivelò più semplice di quello che aveva temuto. Sperò solo che Peggy riuscisse a perdonarlo, perché lui sicuramente non era in grado di perdonare se stesso.

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