Is this the real life?

di Bri2k04
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** 1 - Il sottomondo ***
Capitolo 3: *** 2 - meteoropatia ***
Capitolo 4: *** 3 - il cappellaio ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Buongiorno a tutti! Mi chiamo Brì, sono nuova su questa piattaforma come scrittrice, anche se ho letto diverse fanfiction in passato. Finalmente, ho deciso di cimentarmi anche nella pubblicazione di una mia opera su una delle mie sezioni preferite, parlando dei Queen. Come avrete letto nella premessa, si tratterà di una AU un po' particolare, in quanto i nostri ragazzi vivranno nel mondo di Alice!
Ho già pubblicato i primi capitoli di questa fic sul mio profilo di Wattpad - mi trovate là sotto al nome di Brì2k04.
E beh, che dire... vi lascio alla lettura!

Le ultime parole pronunciate da suo padre erano ancora impresse nella sua mente, indelebili, quasi come se il ragazzo – o il suo subconscio – non volesse dimenticarle. Quasi come se fosse una punizione che si autoinfliggeva, probabilmente indice di consapevolezza.

Perché poteva darsi che, in fondo, l'uomo non avesse mai avuto torto.

John chiuse gli occhi e si fermò, appoggiando una mano sul tronco ruvido dell'albero al suo fianco. Pioveva, una pioggia che il ragazzo avrebbe definito con un solo aggettivo. Crudele.

Era una pioggia gelata, di quelle che ti penetrano nelle ossa e che ti fanno tremare in un modo incontrollato. Era una pioggia che sembrava rispecchiare completamente lo stato d'animo del rosso: faceva rumore, quelle erano gocce che non volevano passare indisturbate.

Sembrava quasi arrabbiato, quel cielo.

Un singhiozzo uscì dalle sue labbra. Non se n'era neanche accorto, ma John stava piangendo, e quel basso gemito gli portò nuovamente alla mente tutto quello che era appena successo a casa sua.

Si staccò dall'albero di scatto, come se fosse stato scottato. Come se i suoi stessi pensieri gli avessero ricordato tutto il dolore, tutta la tristezza e la rabbia che aveva caratterizzato quel pomeriggio. Si staccò, e senza guardarsi indietro corse, corse lontano dall'abitazione, lontano da quel luogo che per lui era stato più un ricordo di sofferenze che un riparo dal mondo esterno.

Un passo davanti all'altro, John cercava di non pensare a nulla. Cercava di concentrarsi solo sui suoi piedi che incespicavano leggermente nel fango, tentava di guardare solo alla pioggia che gli sferzava il viso. Eppure tutto riconduceva a lui, all'uomo che si era abituato a chiamare padre, anche se con qualche difficoltà.

Il modo con il quale il vento soffiava, rabbioso ed incontrollato, gli ricordava troppo le urla agghiaccianti che il padre si divertiva ad emettere per spaventare lui e i suoi fratelli; ed ogni passo in più gli faceva male, perché il fianco continuava a dolergli in modo insopportabile.

John provava a non pensarci, tentava di ignorare quelle continue fitte che gli rendevano difficile il respiro, eppure quello era più un dolore emotivo che fisico. Quel tipo di dolore lui non lo poteva controllare in alcun modo, come non poteva assolutamente cancellare l'eco delle voci dei suoi fratelli, quel pomeriggio.

Soprattutto non riusciva ad eliminare dai suoi ricordi le parole velenose che suo padre gli aveva urlato dietro poco prima. A ripensarci il rosso fu costretto a rallentare il passo fino a ridursi a trascinare stancamente i piedi, straziato da quella ferita ancora troppo fresca per essere ignorata.

Il ragazzo si era abituato, oltre a chiamare quell'infido uomo con l'appellativo padre, ai suoi schiaffi ed ai suoi colpi, sempre mirati alle parti più deboli del suo fisico. Si era abituato, ed ormai non ci faceva quasi più caso, come si era anche abituato alle prese in giro dei suoi fratelli – fratellastri, lui si costringeva sempre a correggersi, anche se era difficile – quando il suo viso era pieno di lividi ed il suo corpo era talmente malridotto da provocargli difficoltà a camminare.

Ci aveva impiegato del tempo, ma piano piano aveva imparato a rifugiarsi in quello che lui chiamava il suo posto sicuro. Non era altro che la sua testa, ed ad alcuni poteva anche sembrare una stupidaggine, ma da là dentro il dolore fisico non si sentiva quasi. Ormai i colpi del padre non facevano quasi più effetto: il suo corpo era lì, ma la sua mente altrove, la sua anima era al riparo dalle ferite.

Conosceva il comportamento dell'uomo: si limitava a picchiarlo fino a quando non boccheggiava, ormai rannicchiato per terra, e poi lo lasciava andare.

Eppure quella volta era stato tutto incredibilmente doloroso, e non solo perché i colpi, se possibile, erano stati più forti. Quella volta era stato doloroso perché l'uomo aveva infierito anche con le parole, mirando a minare l'animo di quello che avrebbe dovuto chiamare con affetto figlio.

Quella giornata era stata orribilmente crudele, e di questo conveniva anche John, mentre si stringeva le braccia nell'assurdo tentativo di scaldarsi un poco. Mentre camminava, il rosso ripensò alle sue parole, così tremendamente vere da indurlo a scappare.
Sporco frocio di merda, aveva premesso, facendo alzare gli occhi già pieni di lacrime al figlio, tu il cazzo te lo devi tenere nelle mutande, non nel culo degli altri.

John boccheggiò, trascinato ormai solo dal desiderio di allontanarsi il più possibile dalla casa. Era l'inerzia a guidarlo, il fianco gli faceva male da impazzire, eppure ricordando ciò che era successo aumentò il ritmo della corsa.

La cosa che lo avrebbe fatto sorridere se non fosse stato così distrutto era che lui non aveva mai fatto nulla di male. Quel mattino si era limitato ad andare a prendere il suo ragazzo a casa, ed erano andati insieme a scuola. Suo padre non avrebbe avuto da temere: oltre ad una stretta di mano non c'era stato nulla.

Eppure quando era lì, riverso sul pavimento, senza praticamente forze, non aveva ribattuto. Si era limitato a chiudere gli occhi, spaventato, perché non sapeva come avrebbe potuto reagire il padre a quella scoperta.

Tutta l'educazione che ti ho impartito, tutto l'amore che ti ho riservato... dopo tutto questo tu mi ringrazi così? Facendo il finocchio con un altro che non è altro che una merda come te?

John sentì una fitta al petto nel ricordarsi quelle parole. Aumentò ulteriormente il ritmo, con le lacrime che ormai gli offuscavano gli occhi. Non guardava nemmeno più dove stava andando: l'unica cosa che desiderava era che quella giornata non fosse mai esistita.

Nulla era andato bene, nemmeno a scuola, che di solito era il posto nel quale si sentiva più a casa. Strinse gli occhi con forza ricordandosi l'altro avvenimento che lo aveva distrutto. Federico, il bel ragazzo italiano con il quale aveva una relazione da ormai tre mesi, lo aveva lasciato. Per una ragazza.

Ed eccola, la rabbia: lo pervadeva in tutto il suo essere, era seconda solo al dolore. Al pensiero di Federico un lieve singhiozzo gli uscì dalle labbra. Fece un altro passo, e poi non ricordò più nulla.

Se qualcuno fosse stato dietro di lui lo avrebbe visto sbattere la testa contro un ramo, cadere in avanti e sparire, inghiottito da una sorta di buco alle basi di un albero gigantesco.

Prima di lasciarvi andare, vorrei evidenziare il fatto che niente di ciò che dice il padre di John in questo capitolo è assolutamente indice di un mio pensiero omofobo, tutt'altro. Sono assolutamente pro lgbt, non prendete ciò che ho scritto come un mio pensiero personale, perché non è affatto così.
A presto,
-Brì

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Capitolo 2
*** 1 - Il sottomondo ***


Che dire, sono contenta che qualcuno abbia recensito questa storia, davvero, non me lo aspettavo.
Ho deciso di pubblicare il primo capitolo perché il prologo era decisamente corto, e anche per introdurre gli altri protagonisti (indovinate? Rog, Bri e Fred, ovviamente)
Vi lascio alla lettura!



Se nel Sopramondo era ormai pomeriggio inoltrato, in quel luogo del Sottomondo era mattino, e per Roger quella si stava già rivelando una giornata a dire poco inutile, se non fastidiosa. Nella sua testa aveva già un'infinità di idee da mettere in atto: sarebbe andato a casa di Brian, gli avrebbe cordialmente dato fastidio continuando a parlare di sciocchezze e si sarebbe perso a fissarlo insistentemente negli occhi verde acqua.

I suoi piani erano a dire poco perfetti: avrebbe passato una magnifica mattinata, ed aveva progettato di fare evanescere l'amico almeno un paio di volte in poco più di quattro ore. Divertente, ed incredibilmente irresistibile: il biondo adorava metterlo in imbarazzo per vederlo sparire.

Eppure quel riccio aveva rovinato tutto, appendendo quel dannato bigliettino sulla porta di casa sua. "Sono spiacente, ma oggi non sarò a casa. Se mi cercate disperatamente, sono a farmi fare un cappello dal Cappellaio, via della Mattanza 32", c'era scritto.

Roger aveva sbuffato, si era girato dando le spalle alla casa ed aveva iniziato a dare furiosi calci ai ciottoli che si presentavano davanti ai suoi piedi. Non sopportava quando l'amico andava a casa di Freddie, ed il motivo era anche molto semplice, banale quasi.

Non esisteva alcuna persona sulla faccia del Sottomondo meno eterosessuale di Freddie, e quest'ultimo ne era pienamente consapevole. Con quei suoi modi di fare egocentrici, quel suo vestirsi in un modo variopinto e che gli stava anche tremendamente bene e quella sua fissa di chiamare tutti "tesoro" o "caro", esplicitava la sua sessualità in un modo magistrale e fastidiosamente teatrale.

Roger gli voleva bene, gli voleva un bene dell'anima, ma si rivelava estremamente geloso quando il Cappellaio passava del tempo con Brian, soprattutto quando erano da soli.

Forse il fatto era anche che lui era stufo. Stufo di continuare a stuzzicare velatamente l'amico, cercando di farlo uscire allo scoperto, senza riuscire mai nel suo intento. Freddie lo riusciva a mettere a suo agio: Roger non aveva mai visto il riccioluto Brian evanescere di fronte ad un commento un po' troppo spinto e malizioso del Cappellaio, mentre succedeva di continuo quando a fare codesto commento era il biondo.

Sbuffò nuovamente, camminando nervosamente fino alla Foresta e riflettendo su quello che accomunava e che distingueva se stesso e Freddie.
Il fatto che fossero entrambi gay era palese, almeno per il biondo: Freddie aveva fatto coming out anni prima, mentre solo Roger ne era consapevole. Ecco una cosa che li distingueva: Roger non provava il desiderio di dire a tutti che tipo di persone gli piacessero. Anche perché l'unico che gli interessasse veramente non era intenzionato a dargli neanche una possibilità minima.

Per quanto riguardasse l'abbigliamento, nonostante il biondo non si vestisse in un modo particolarmente sobrio o elegante, non era nemmeno lontanamente paragonabile al modo di abbigliarsi di Freddie. Egli era estremamente colorato, in qualunque ambito ed a qualunque ora del giorno. Sembrava che egocentrismo fosse la parola coniata apposta per descriverlo.

E Freddie era costantemente allegro. Non che Roger non lo fosse mai, eppure il Cappellaio in ogni momento era felice, qualunque cosa succedesse. Per il biondo non era così: tra i tanti difetti era tremendamente meteoropatico, e ogni qualvolta pioveva, nel Sottomondo, era di un umore intrattabile. Freddie, invece, era sempre solare, ed un po' Roger lo invidiava per questo.

Forse era per questo che Brian, con lui, non aveva alcun tipo di imbarazzo, e parlava di qualunque cosa con il Cappellaio. Il riccio, ogni volta che Roger lo stuzzicava, si chiudeva nel silenzio, e se il biondo provava ad insistere inevitabilmente Brian diventava trasparente, evanescendo in quel modo che Roger trovava incredibilmente adorabile.

Eppure lo infastidiva, perché il sempre allegro Freddie riusciva a fare sentire a suo agio anche il più timido dei suoi amici.

Ricordava una solo volta in cui aveva visto Freddie realmente abbattuto, e si era spaventato molto, vedendolo con delle terribili occhiaie, il trucco nero e colante ed i vestiti incredibilmente poco colorati. Ma quello era un contesto completamente diverso dal normale, quello che era successo... quello non era assolutamente da considerare come momento in cui Freddie aveva abbandonato quella che molti chiamavano maschera. Freddie era triste e depresso per un fatto che nessuno avrebbe potuto prevedere in alcun modo, per un fatto che lo aveva cambiato profondamente, anche se non lo dava a vedere.

A strapparlo da queste riflessioni fu un urlo spaventato proveniente da qualche luogo sopra di sé. Alzò lo sguardo, stranito, e quello che vide gli fece abbozzare un timido sorriso, per la prima volta segno di qualcosa di allegro avvenuto in quella vera e propria giornata di merda.

Alzò le mani appena in tempo, in modo tale da formare piccole scintille violacee che fuoriuscirono dalle dita e che fermarono la caduta del ragazzo a pochi centimetri da lui.

Roger sorrise, trovandosi il viso del nuovo arrivato praticamente contro il suo, e gli fece l'occhiolino, facendolo arrossire leggermente. "Buongiorno", lo salutò cordialmente. "Ti sembra questo il modo di disturbare una orrenda giornata? Cadendo giù dal cielo?", chiese, divertito.

Il ragazzo arrossì nuovamente, ed il biondo, mentre l'altro cercava una risposta, lo osservò per bene. Non sembrava più grande di lui, dimostrava sedici o diciotto anni, all'incirca. Certo, il tempo nel Sottomondo era molto relativo, ma non pensava che potesse essere più anziano di quell'età.

Aveva dei capelli rossi tagliati con una buffa acconciatura che ricordava quasi un caschetto, e si notava che non li tagliava da un po', dato le punte leggermente rovinate. Oltre al colore e alla forma dei capelli lo colpì anche la sua espressione spaventata, sperduta e decisamente... addolorata?

A questo pensiero una lieve preoccupazione subentrò in Roger, che rimase zitto e si tenne queste considerazioni per sé. Non riuscì a non chiedersi da dove venisse quello sconosciuto, ma non disse nulla ed aspettò che l'altro rispondesse alla sua domanda.

"I-io...", balbettò questi, guardandosi intorno terrorizzato. "T-tu... tu sei uno...", ricominciò, bloccandosi.

Roger gli lanciò un'occhiata divertita, domandandosi che cosa passasse per la mente del rosso, e sorrise. "Uno stregone? Mmh, si può dire di sì, anche se non sarebbe esattamente la definizione corretta", rispose, facendo comparire sul viso del nuovo arrivato un'espressione, se possibile, ancora più spaventata. "Sono Roger Taylor, al tuo servizio", si presentò, facendo un buffo inchino.

Compiendo quest'azione abbassò inavvertitamente le mani, e John si sentì sbalzare verso il basso, avvicinandosi pericolosamente al suolo. Il rosso non fece nemmeno in tempo a cacciare un urlo che la sua testa era a contatto con il terreno, ed il suo corpo la seguì, facendolo crollare letteralmente per terra.
"Oh, scusa!", esclamò Roger, sinceramente dispiaciuto. "Scusami, non stavo pensando a ciò che stavo facendo, oggi è una brutta giornata e...", iniziò, vedendosi interrotto dal ragazzo a terra.

"Brutta giornata? Penso di saperne qualcosa", borbottò l'altro, facendo una smorfia addolorata che il biondo seppe definire solamente come adorabile. Quel ragazzo gli sembrava un bambino. Il rosso si alzò e portò una mano dietro la testa, grattandosi nervosamente i capelli. "Ehm, io... io sono John Deacon".

Roger sorrise, amichevole, e gli porse una mano. "Molto piacere", rispose, attendendo che il rosso rispondesse.

Ma John rimase fermo, guardando con un po' di sospetto la mano del biondo. Roger si chiese a che cosa potesse pensare, e quando capì non poté fare a meno di ridere di cuore.

"Non mangio nessuno, te lo prometto. Soprattutto, non farei niente di male ad un ragazzo come te!", esclamò, facendo fare un'ennesima espressione buffa a John.

Quest'ultimo ridacchiò, nervoso, e gli afferrò la mano. La sua stretta era vigorosa, completamente all'antitesi di quello che pensava Roger: quel ragazzino mingherlino aveva più forza di quanto sembrasse. Lo guardò negli occhi castani, e poi si staccarono all'unisono, continuando a scrutarsi vicendevolmente.

"Allora... da dove vieni?", chiese il biondo, spezzando il silenzio teso che si era formato. Poi abbozzò un sorriso. "Penserei che ti sei buttato per mettere fine alla tua vita, ma non penso esista un posto così alto... se ci fosse, dimmelo, che potrei provarci", scherzò, facendo piegare gli angoli della bocca di John in giù.

"Oh, no, io...", mormorò, cercando le parole giuste. "Per una volta, non volevo buttarmi da nessuna parte", ammise, abbozzando un sorrisetto.

Roger si bloccò a metà di un passo, facendo fermare John e guardandolo storto. "Per... per una volta? Ehi, va tutto bene, Johnny?", gli chiese, guardandolo preoccupato.

Il viso del giovane si tinse di rosso ed abbassò gli occhi, scuotendo la testa. "Io... sì, è tutto ok", mormorò, ricominciando a camminare.

Roger continuò a guardarlo, osservando il suo comportamento. Raramente aveva visto qualcuno più giù di morale: il suo atteggiamento era mogio, la sua camminata lenta. Zoppicava leggermente, ed il biondo non poté fare a meno di chiedersi a cosa fosse dovuto quel malessere.

Tossicchiò leggermente, cercando di rallegrare un po' l'atmosfera, ma quando incrociò gli occhi tristi di John non fece a meno di abbassare lo sguardo, abbandonando i suoi intenti. Non sarebbe riuscito a risollevare il morale del ragazzo: neppure lui, in fondo, era talmente allegro da riuscire a rallegrare qualcun altro.

Gli venne un'idea, ed accelerò lievemente il passo, in modo tale a piazzarsi di fronte a John e a posargli una mano sulla spalla, per fermarlo.

"John... non sei di qua, non è vero?", chiese.

Il rosso inclinò la testa. "Con qua intendi... dove?", domandò, timido.

"Nel Sottomondo, ovviamente", rispose, convinto che la sua intuizione fosse giusta. "Mi sembri un po' spaesato".

John alzò le spalle. "Non... non so cosa sia, il Sottomondo. E, del resto, visto l'ambiente... penso sia tutto un sogno, non credi anche tu? Del resto, solo uno sporco frocio di merda potrebbe inventarsi un sogno del genere", commentò con immensa amarezza.

Roger si rivelò veramente stranito da quella ipotesi, e la soppesò con reale serietà. La teoria che fosse tutto un sogno lo aveva sfiorato, qualche volta, eppure non aveva mai contemplato quell'idea a fondo, in quanto... beh, in quanto voleva dire che tutto si sarebbe rivelato una fantasia. Tutto, incluso... incluso Brian. E no, quello Roger non lo poteva accettare.

Fece un sorriso. "Da quanto ne so, John, io vivo qua da sempre. Mi ricordo tutto quello che ho fatto, sin dall'infanzia, ed esisto da esattamente diciotto anni, tre mesi e quattordici giorni. No, non può essere un sogno, questo, mi spiace", osservò, con quella sfumatura di divertimento che lo caratterizzava.

John fece un altro dei suoi sorrisi tristi. "Ovviamente, non ho nemmeno la fantasia di immaginare un posto così fantastico. La mia immaginazione non esiste, in pratica... sarebbe troppo presuntuoso pensare che sia tutto un mio sogno", disse a bassa voce.

Roger si morse un labbro, veramente dispiaciuto per il morale del suo nuovo amico. Il suo carattere non permetteva che nessuno fosse triste, mai, e vedere John così abbattuto lo faceva sentire sinceramente male.

Certo, non era una bella giornata, per niente: aveva appena iniziato a piovigginare, ed i colori accesi tipici del Sottomondo stavano pian piano spegnendosi per dare spazio ad un più monotono grigio-azzurro, ma nemmeno la meteoropatia di Roger poteva giustificare quella devastante tristezza.

"Senti, John... sta iniziando a piovere", commentò.

John alzò lo sguardo da terra, guardandolo un po' stranito. "Ehm... sì?"

Roger ridacchiò. "Ti porto da un mio amico. Ti offrirà un tè, un cappello e... un sorriso" , propose, prendendo John sottobraccio e camminando in direzione della casa di Freddie.

Era arrabbiato con lui, e soprattutto era geloso, perché stava passando del tempo con Brian, ma riconosceva i suoi meriti: se c'era qualcuno che potesse aiutare John si trattava proprio del Cappellaio.
Era arrabbiato con lui, e soprattutto era geloso, perché stava passando del tempo con Brian, ma riconosceva i suoi meriti: se c'era qualcuno che potesse aiutare John si trattava proprio del Cappellaio

Ed ecco che, almeno abbozzati, ci sono tutti i nostri protagonisti!
Ovviamente, essendo una AU ambientata nel Sottomondo, ho inserito delle strane capacità in ognuno di loro, piano piano scoprirete tutto...
Sperando vi sia piaciuto, vi saluto.
Vorrei tenere gli aggiornamenti abbastanza regolari, magari ogni lunedì e venerdì. Spero stiate tutti bene in questa quarantena e che in qualche modo io vi abbia fatto compagnia con questa storia.
Ci sentiamo, anche con l'altra storia che ho postato sul mio profilo,
-Brì


 

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Capitolo 3
*** 2 - meteoropatia ***


Ciao a tutti! Prima di lasciarvi alla lettura, vi ringrazio per le visualizzazioni e le recensioni, davvero. Non mi aspettavo di ricevere le prime recensioni già adesso, dalla prima storia che pubblico, e ne sono contenta.

John guardava un po' stranito il comportamento del suo accompagnatore. Quando si erano incontrati sembrava un po' turbato, forse era nervoso, ma dopo l'imbarazzo iniziale si era dimostrato simpatico, socievole e dal carattere decisamente scherzoso.

Gli era piaciuto il fatto che Roger cercasse, in qualche modo, di tirarlo su di morale, anche se c'era poco che potesse fare: ciò che era successo quel giorno non poteva dimenticarlo facilmente, e nemmeno le sue risate avrebbero potuto sollevare il suo morale.

Avevano iniziato a camminare per il bosco, ed il rosso, tra un pensiero deprimente ed un altro, si stava guardando intorno con estrema curiosità. Ad essere strano non era solo Roger, che da quando aveva iniziato a piovere non aveva detto praticamente niente: anche il paesaggio intorno a lui era poco familiare.

Non aveva mai vissuto in città, la sua casa era stata prima in una delle campagne di Londra e poi si era spostato, dopo il secondo matrimonio della madre, in Italia, in un paesino sperduto del Milanese il cui nome non lo ricordava nemmeno lui.

C'era da dire che di campagne e di boschi ne aveva visti, nella sua vita: aveva molte più esperienze in mezzo alla natura che in mezzo ai suoi compagni di scuola, ne era consapevole. Ed aveva visto diverse foreste anche straniere: era andato in America, con suo padre – il suo vero padre -, che lo aveva portato a visitare i magnifici parchi naturali del Nord America, ed aveva visto innumerevoli foto anche della foresta Pluviale.

Eppure nulla gli ricordava in alcun modo qualche paesaggio che aveva visto in precedenza. Oltre ad innumerevoli alberi mai visti prima – piante con tronchi bitorzoluti, con cortecce incredibilmente lisce oppure con incisioni che sembravano stranamente naturali, nonostante fossero delle scritte in inglese – c'erano i funghi.

Pensava che, dopo tutte le gite a funghi che aveva fatto durante l'infanzia, ormai aveva visto ogni specie di fungo esistente, eppure quei tipi di organismi viventi non li aveva mai nemmeno immaginati. Erano enormi, e di tutti i colori possibili: ce n'erano alcuni di un rosso scuro, quasi nero, con il gambo talmente bianco da accecarlo; altri erano di un violaceo tendente al bluastro, con il gambo nerissimo; e ce n'erano altri variopinti, di due o tre tonalità diverse dei colori più impensabili.

I suoi occhi vagavano per quella natura senza che lui potesse controllarli, completamente assuefatti dalla magia che quel posto – il Sottomondo, lo aveva chiamato Roger – sprigionava.

Oltre agli alberi e ai funghi c'erano anche degli occhi che, di tanto in tanto, spuntavano tra gli arbusti. Erano proprio questi sguardi fugaci che, insieme a rari tuoni, lo facevano sobbalzare. Si stringeva spesso nel suo leggero cappotto, cercando di scaldarsi un po', nella speranza infantile di riuscire anche a proteggersi dal timore che gli provocavano tutti quei tuoni rabbiosi.

A volte qualche rumore improvviso lo faceva sobbalzare, facendogli sentire come la sensazione di non essere desiderato, là in mezzo. Sentiva qualcosa che li seguiva, ma non si arrischiava a girarsi, nella paura di incrociare per davvero lo sguardo di chissà che creatura mostruosa.

Un lampo rischiarò il cielo, e John sentì un brivido di puro terrore percorrergli la schiena. Si sentì come se, al posto di diciassette anni, ne avesse ancora quattro, quando il mondo era ancora un luogo completamente da scoprire e tutto era fiabesco ed esagerato. La goccia che fece traboccare il vaso, inducendolo a soffocare un urlo di paura e a stringere tra le mani gli avambracci, conficcandosi le unghie nella carne, fu quando calpestò per sbaglio un ramo, provocando un rumore sinistro che riecheggiò nel silenzio.

"Roger...", chiamò, pigolando quasi.

Il biondo si girò verso di lui, con un'espressione quasi di fastidio dipinta sul viso. Ma quella sensazione che John aveva provato quando aveva visto la faccia di Roger sparì subito, e sulle labbra del biondo si dipinse un sorriso cordiale, anche se comunque teso. "Dimmi, John. Siamo quasi arrivati, non preoccuparti.", disse, cercando di capire il motivo per il quale era stato interpellato.

Il rosso scosse la testa, timido, e continuò a camminare. "Qua... qua è sempre così... così...", iniziò, con un tono interrogativo. Non trovava la parola giusta: tutto gli appariva minaccioso, ma allo stesso tempo pieno di una fantasia ed una meraviglia che lo incantavano.

Roger rise. "Così oscuro?", chiese, retorico. "No, solitamente è tutto molto più... come dire... fiabesco. È raro che ci sia un temporale, succede solo quando...", mormorò, pensieroso. Si rinchiuse nel silenzio nel quale era rimasto poco prima, e John si limitò a guardarlo, pensando che il biondo finisse il suo discorso.

Quando, però, John si rese conto che Roger non aveva intenzione di spiegarsi meglio, tentò di nuovo. "Quando piove, qua nel Sottomondo?", chiese, timido.

Roger si voltò nuovamente verso di lui, rabbuiato, senza alcun accenno di sorriso. "Succede molto raramente, di solito quando qua il tempo è brutto si limita a fare uno scroscio di pochi minuti. L'ultima volta... l'ultima volta è successo quando è arrivata una persona dal Sopramondo.", sussurrò, perso nei ricordi. "John, tu sei un umano, non è vero?", chiese poi.

Il rosso, interdetto, annuì. "Penso... penso di sì. Vengo dall'Europa.", spiegò.

Il biondo annuì a sua volta, pensieroso. "Quello che immaginavo.", concluse, ritornando a guardare davanti a sé e cambiando sentiero, per addentrarsi in una parte della foresta ancora diversa da quella precedente. "Tutto potrebbe sembrarti un po'... un po' strano, soprattutto in questa zona. È stato così anche con l'altro ragazzo, ma ti abituerai in fretta.", spiegò, senza guardarlo e scostando un ramo da davanti ai suoi occhi.

John si guardò intorno, stupito dalla velocità con la quale il paesaggio intorno a sé cambiava. Quella zona era molto più viva di quella precedente: oltre alle ombre che lanciavano gli alberi, sentiva come lo sfarfallio di migliaia di farfalle, il ronzio di innumerevoli insetti, l'ululare di decine di lupi.

Non vide alcun animale, tutto sembrava immobile, eppure i rumori erano molto più definiti, in quella foresta. I funghi troneggiavano ai bordi del sentiero, ed anche Roger, che probabilmente era abituato da sempre ad aggirarsi per quei luoghi, si guardava intorno leggermente in soggezione.

"L'altro... ragazzo? Questo è un mondo diverso, non è vero?", chiese, curioso. In realtà, quello che lo spingeva a porre queste domande non era solamente la curiosità: lui voleva occupare tempo, parlare per non accorgersi di ciò che succedeva attorno a lui e, soprattutto, del dolore lancinante che provava al fianco.

Roger non aveva dato segno di accorgersene e procedeva al suo fianco, mantenendo un passo sostenuto e lanciandogli occhiate di tanto in tanto. Annuì. "Siamo nel Sottomondo, mentre tu vieni dal Sopramondo. Qua le cose sono molto diverse, e solitamente i passaggi da mondo a mondo non sono permessi. Sei uno dei pochi ad essere arrivato qua.", spiegò.

Il rosso sentiva che mancava qualcosa a quella spiegazione, sapeva che Roger stava omettendo qualcosa. Deglutì e si strinse le braccia al petto, sentendo freddo fino alle ossa, e si arrischiò a fare un'ultima domanda. "Ma... ma non sono l'unico, non è vero? Chi è l'altro ragazzo?", domandò.

L'altro ragazzo si fermò di scatto, inducendo anche John ad arrestarsi, interdetto. Lo guardò negli occhi. "Non ne parliamo mai, John. È un argomento che non posso affrontare... non spetta a me farlo.", disse, con una serietà che John non gli aveva mai visto per tutto il tragitto.

Il rosso annuì, leggermente spaventato dal tono con il quale era stata pronunciata questa affermazione, ed abbassò gli occhi, in soggezione. Non disse nulla, e Roger si sentì un po' in colpa per il suo scatto.

"Scusami, non volevo... spaventarti.", mormorò, a testa bassa. "È questo dannato tempo. Mi fa sentire uno schifo.", spiegò, continuando a camminare.

"È per questo che, quando sono arrivato, eri arrabbiato?", chiese John, senza riuscire a stare zitto.

Roger ridacchiò, scuotendo la testa. "Sei curioso, Johnny. No, non è per questo, no. Ma sono meteoropatico, ed è una cosa veramente odiosa.", soffiò, facendo annuire in silenzio il rosso.

Questo poteva spiegare molte cose, nel comportamento di Roger. Inizialmente, oltre alla lieve rabbia, il ragazzo era apparso scherzoso e disponibile. Con le prime gocce di pioggia aveva iniziato a rabbuiarsi un po', e quando le gocce erano diventate praticamente secchiate si era chiuso in un teso ed ostinato silenzio dal quale John lo aveva tirato fuori a fatica.

Sembravano due persone diverse, il Roger di mezz'ora prima ed il Roger di quel momento, e la meteoropatia lo poteva spiegare abbastanza bene.

Il rosso non disse più niente, ormai perso nei suoi pensieri. Aveva tentato di ignorare i ricordi parlando con Roger, quello che ormai poteva considerare come un nuovo amico, ma non ce l'aveva fatta per troppo tempo.

Non era che gli mancasse casa, affatto: i suoi ricordi tornavano più che altro per rammentargli dolorosamente che tutto quello che succedeva era solo per causa sua. Era iniziato tutto con il secondo matrimonio della madre, e nulla era poi migliorato.

Forse, all'inizio, John aveva sperato che la situazione si sarebbe potuta evolvere in un modo più pacifico, di cortese silenzio o addirittura di muto rispetto reciproco, ma si era reso velocemente conto che non sarebbe mai stato così.

Alla luce di quelle amare riflessioni, quella foresta oscura e quel temporale sembravano quasi tranquilli, innocui. Sospirò leggermente, stringendosi nel cappotto ed incespicando sui suoi passi, azione che non passò inosservata agli occhi di Roger, il quale si fermò e tornò indietro, per assicurarsi che tutto andasse bene.

"John... tutto ok?", chiese, preoccupato, affiancandosi ad esso.

Il rosso annuì, nascondendo maldestramente una smorfia di dolore dovuta al fianco dolorante.

Roger se ne accorse, ovviamente, e fece un'espressione contrariata. "Guarda che ci possiamo anche fermare. Non manca molto alla casa del mio amico, ma se non riesci più a camminare ci fermiamo laggiù e mi fai vedere che cos'hai.", continuò guardandolo con apprensione. Dato che il rosso non rispondeva in alcun modo, il biondo tornò alla carica. "Ti fa male il fianco, non è vero? Dai, fammi vedere, non mordo mica. Un piccolo incantesimo e sei come nuovo.", propose, avvicinandosi a lui.

Ma John si ritrasse, spaventato, e scosse rapidamente la testa. "No, no, non ne ho bisogno. Mi sono... mi sono fatto male quando sono caduto, prima. Niente di che, passerà... passerà velocemente.", farfugliò, cercando di convincere Roger.

Ma quest'ultimo non era un idiota, e si era accorto che John nascondeva qualcosa, come si era accorto anche che il rosso non avrebbe mai voluto dirgli nulla su come si fosse fatto male. Sospirò, rassegnato, e rallentò un po' il passo, in modo tale da permettere a John di seguirlo con meno difficoltà.

Fecero qualche altro passo, e poi Roger domandò: "Allora, e questa storia dello sporco frocio di merda?". Si riferiva, ovviamente, alla frase precedente di John, che con amarezza aveva pronunciato queste parole, facendo intendere che fosse stato un altro prima di lui a pronunciarle.

Una smorfia si dipinse sulle labbra del rosso, e quest'ultimo si morse un labbro, abbassando la testa. "Ecco, i-io...", iniziò, imbarazzato.

Roger sorrise, fermandosi di fronte ad un ramo pieno di foglie. "Tranquillo, anche io sono gay, non devi preoccuparti del mio giudizio.", lo consolò, facendo apparire un timido sorriso anche sul volto di John. "Ma non dirlo a nessuno.", continuò, guardandolo serio negli occhi.

Il rosso annuì. "E a chi potrei mai dirlo? Siamo in mezzo al nulla, da soli...", mormorò.

Roger strizzò un occhio e sollevò il ramo, svelando una scogliera con una casa dalla forma particolare sulla cima. John strabuzzò gli occhi nel vederla, ed il biondo aspettò un attimo prima di parlare, lasciando il tempo a John per metabolizzare.

Quell'abitazione aveva la strana forma di un cappello a cilindro, e le sue pareti esterne erano tutte fatte da lamine di alluminio colorato, un alluminio che rifletteva in modo magistrale la luce. Sopra l'ingresso, fatto da una porta alta e stretta di legno di mogano, troneggiava un bellissimo orologio con le lancette di argento.

"Qua nel Sottomondo non sempre le cose sono quelle che sembrano, Johnny.", mormorò Roger, scrutando la casa egocentrica dell'amico. "Veloce, ci inzupperemo tutti. La porta del Cappellaio è sempre aperta, in caso di amici in difficoltà.", disse, ritrovando la sua allegria che da subito lo aveva caratterizzato.

John deglutì, chiedendosi che tipo di persona potesse mai abitare in quella casa, e seguì Roger fino all'ingresso. Suonarono il campanello e, dopo solo pochi secondi, gli aprì una delle persone più bizzarre che il rosso avesse mai incontrato.

 Suonarono il campanello e, dopo solo pochi secondi, gli aprì una delle persone più bizzarre che il rosso avesse mai incontrato

Che dire... gli altri personaggi non sono ancora entrati nel vivo della storia, ma vedrete che già dal prossimo capitolo avrete la possibilità di scoprire come sono inseriti Fred e Bri nella fanfiction
Sperando che questo capitolo vi sia piaicuto, io vi saluto, augurandovi una buona Pasqua, sperando che stiate tutti bene, nonostante chiusi in casa.
A presto,
-Brì

 

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Capitolo 4
*** 3 - il cappellaio ***


Per Freddie quella non sarebbe stata una bella giornata, anche se voleva fare sembrare a tutti che così non fosse. Il motivo era semplice, e se ci avesse pensato un poco si sarebbe reso conto che anche gli altri se n'erano accorti.

Era l'equinozio di primavera, e come al solito ciò che desiderava era rimanere a casa, vestirsi in nero ed aspettare in silenzio che la giornata passasse, senza che facesse ulteriori danni. Non era così, normalmente: non fingeva mai, Freddie era sempre genuinamente allegro.

Quel giorno, però, proprio non pensava che ce l'avrebbe fatta. Erano passati già due anni... due anni caratterizzati da tanti di quei cambiamenti che, se ci avesse pensato un po' più a lungo, non avrebbe mai potuto nemmeno immaginare.

Solitamente non aveva molti visitatori, soprattutto il pomeriggio della domenica: tutti i Sottomondiani erano a casa loro, intenti a preparare il tè ed i dolcetti da accostare ad esso. Eppure, quella domenica era stata diversa sin da subito: già alle nove del mattino era stato svegliato da uno spilungone riccio che, con un sorriso, lo aveva abbracciato appena gli era stato aperto.

Il Cappellaio si mostrò sinceramente stupito da quella visita improvvisa, ma sorrise quando sentì il calore con il quale Brian lo strinse a sé. "Ehi, ehi... a cosa è dovuto tutto questo affetto, caro?", chiese, leggermente scaldato dall'azione del riccio.

Quest'ultimo si staccò lentamente e lo guardò con un filo di agitazione. Nei suoi occhi verde acqua passò un dubbio, la scelta che voleva prendere su come rispondere, e poi sorrise a sua volta. "Mi chiedevo... mi faresti un cappello, Freddie?"

L'altro alzò le spalle e lo guardò con i suoi occhi sempre truccati. Non lo faceva di proposito, in realtà: sin dalla sua nascita il suo sguardo era sempre contornato da strisce di matita colorata che variavano a seconda del suo umore e che lui non poteva controllare in alcun modo.

Quel giorno i suoi colori erano un po' spenti, e Freddie capì che anche Brian lo aveva notato, questo, ma apprezzò il fatto che il riccio non lo avesse menzionato in alcun modo. "Un cilindro, tesoro? Oppure... mmh, potrebbe starti bene un borsalino, un trilby, una tuba, un tricorno, una paglietta, un..." chiese, farfugliando quasi ed aumentando sempre di più il ritmo delle sue parole.

Brian sorrise, appoggiando una mano sul suo braccio per tranquillizzarlo. "Non fa niente, scegli tu, Freddie. Solo... fammi entrare, ti va?", gli chiese, cordiale.

Freddie annuì lentamente e si fece da parte, cancellando il sorriso finto che gli si era dipinto sul viso. Non era così, non era sempre felice come molti pensavano: c'erano le giornate no, e l'equinozio di primavera rientrava decisamente tra questa categoria. Sorridere quel giorno gli costava uno sforzo immenso, e di fronte ad i suoi amici non voleva fingere in alcun modo.

Si sedette di fronte a Brian, che senza alcun invito si era accomodato sul divano, ed accavallò le gambe, cercando di non pensare troppo ai magnifici e dolorosi ricordi che gli evocava quella poltrona vuota, proprio al fianco del riccio.

"A cosa è dovuta questa visita?", chiese, curioso, inclinando leggermente la testa di lato.

Brian sorrise e si accomodò meglio sul divano. "Nulla, avevo solo voglia di vederti.", rispose semplicemente. "È bello stare con te.", commentò.

Freddie fece una risatina divertita, portandosi teatralmente una mano sul cuore. "Sono veramente lusingato dalle tue attenzioni, dolcezza. Che ne dici se, dopo, passassimo del tempo insieme, solo io e te?", chiese, ammiccando ed alzandosi in piedi.

Ogni sua mossa sembrava studiata nel dettaglio, e mirava ad imbarazzare il riccio, che come da programma arrossì leggermente. Nonostante fosse in imbarazzo, però, Brian sorrise e fece un'espressione maliziosa. "Non vedo l'ora, Fred.", rise.

Il Cappellaio roteò gli occhi, divertito, e si girò dall'altra parte, dirigendosi verso la piccola e stravagante cucina. "Vuoi un tè?", gli chiese, ospitale come sempre.

Brian si alzò a sua volta e si prese del tempo per studiare la figura dell'amico. Non era particolarmente alto, anche se i suoi erano metri di giudizio abbastanza sproporzionati, dato che lui stesso era praticamente un metro e novanta. Come al solito, l'abbigliamento di Freddie era squisitamente egocentrico e tanto, tanto colorato: ad un occhio esterno poteva sembrare che quello fosse il solito Cappellaio.

Eppure Brian lo notava, notava tutti quei piccoli dettagli che uno sconosciuto non avrebbe nemmeno visto. Aveva notato che la vestaglia che indossava aveva un colore azzurro-grigiastro, più cupo del solito abbigliamento di Freddie; aveva visto le leggere occhiaie che circondavano i suoi occhi, come anche i colori spenti del suo trucco, solitamente sempre così fantasiosi ed allegri.

Anche il suo modo di camminare era un po' più curvo, più lento, più mogio. Di solito la camminata di Freddie sembrava quasi un ballo, pareva che il Cappellaio fluttuasse sul pavimento, mentre quel giorno il suo capo era più inclinato verso terra, ed anche il sorriso che aveva dipinto sulle labbra non era totalmente sincero.

Brian sospirò, vedendo tutte queste cose, e si congratulò con sé stesso per avere avuto l'idea di andare dall'amico per tenergli un po' compagnia. Poteva capire quanto quell'equinozio potesse essere doloroso, per Freddie, e tutto quello che poteva fare era offrirgli il suo sincero sostegno.

"Se non è un problema, un tè mi farebbe piacere, grazie.", rispose dopo un po', portandosi dietro al ragazzo.

Anche il suo cappello, se possibile, era un po' più floscio sul suo capo. Brian si accorse con una smorfia che Freddie non si era pettinato come faceva solitamente, lasciando qualche nodo tra i lunghi capelli neri.

Il Cappellaio si girò verso di lui con un sorriso dopo avere messo a bollire l'acqua per il tè, e per un attimo a Brian sembrò il solito, vecchio ed allegro Cappellaio. Solo l'ombra di malinconia che aveva negli occhi gli ricordava che no, Freddie non era quello di sempre. In quei due anni era cambiato tantissimo, e questo lo doveva solo ad una persona, che aveva significato così tanto per il moro... così tanto da farlo soffrire immensamente.

Freddie, dal canto suo, continuava a lanciare occhiate sospettose nella direzione del riccio, cercando in qualche modo di capire i reali motivi della sua visita. Non credeva completamente alla sua versione dei fatti: poteva capire che Brian si sentisse solo, ma normalmente sarebbe andato a trovare Roger, o avrebbe aspettato che fosse il biondo ad andare a casa sua per disturbarlo.

Non era decisamente da Brian alzarsi così presto per attraversare la Foresta ed andare da un suo amico, specialmente non la domenica mattina, quando il riccio era solito dormire fino a tardi a causa della nottata passata su un albero ad osservare le stelle.

Sospirò, avvicinandosi a Brian con la sua tazza di tè in mano, e si sedette nuovamente sulla poltrona. "Un cappello, eh? Potevi inventarti una scusa più convincente per venire qua, caro.", osservò, sorseggiando lentamente la bevanda.

Brian, dal canto suo, lo guardò male, osservando che il Cappellaio non si era nemmeno curato di zuccherare il suo tè. Si alzò e prese una tazza, versando il liquido fumante in essa.

"Voglio dire, sono contento che tu sia qua, ma potevi essere sincero con me.", continuò, sospettoso.

Il riccio sospirò. "Freddie, sei un mio amico e ti voglio bene. Non penso di avere bisogno di una scusa per potere venirti a trovare.", ribatté.

Il Cappellaio incrociò le braccia al petto, guardandolo storto, fiutando quasi la bugia in quelle parole. Voleva essere contento perché l'amico era andato a trovarlo, eppure non riusciva a non pensare che Brian non fosse stato guidato dalla pietà. Se c'era una cosa che Freddie odiava era la pietà, anche se proveniva da uno dei suoi più cari amici. "Veramente, caro, non voglio che tu ti preoccupi per me. Sto bene."

Il riccio alzò gli occhi al cielo, prendendo un altro sorso del suo tè non zuccherato. Non aveva un buon gusto, ma non voleva mostrare ingratitudine a Freddie, che bene o male si era impegnato per essere ospitale, anche quel giorno.

"Non mi preoccupo per te, Freddie.", affermò, guardandolo sopra la tazza. Era tranquillo, come era solitamente, ed indusse il Cappellaio a sbuffare.

"Non ti credo.", sibilò quest'ultimo, leggermente offeso dagli intenti dell'amico.

"Non mi preoccupo, perché tu non vuoi mai che nessuno si preoccupi per te.", continuò l'altro, ignorandolo. "Non mi preoccupo, anche se tu dovresti permettere che lo facessi. Se me lo permettessi staresti meglio, probabilmente. Ma no, tu sei il fottuto Cappellaio, e tutto è perfetto, non è vero?", proseguì, alzando leggermente la voce.

Il trucco intorno agli occhi di Freddie si fece di un rosso un poco più scuro, ed il ragazzo si alzò di scatto, facendo cadere la tazza a terra, frantumandola in mille pezzi. "Io sto bene, ok? Sto benissimo, sono il Cappellaio, non posso stare male!", urlò.

Anche Brian, a questo punto, si alzò, abbandonando la sua solita compostezza. "Certo, solo perché sei il Cappellaio non ti può mancare qualcuno. Che stupido che sono ad averlo pensato, che stupido a preoccuparmi per te!", esclamò, arrabbiato.

Era raro che Brian perdesse le staffe, e quando lo faceva era solo per i suoi amici. Non si sarebbe mai arrabbiato con degli sconosciuti, lui: pensava che non ne valesse la pena. Ma in quel momento era veramente arrabbiato, e non tanto con Freddie quanto per quella situazione.

Il Cappellaio era cambiato, e questo si notava soprattutto in quel periodo, quando i ricordi tornavano a farsi più pressanti e vividi nella sua mente. Brian era arrabbiato perché Freddie sembrava non rendersi conto che, con lui e Roger, poteva anche non apparire sempre con quel suo umore perfetto ed instancabilmente allegro.

"Ti ho già detto che non ti devi preoccupare, non ho bisogno di te e della tua pietà.", sbottò Freddie, guardandolo male. "Oggi è un giorno come un altro, non capisco perché tu ti ostini a non capirlo!", strillò ancora.

Il riccio fece un altro passo verso il Cappellaio, nel tentativo di fargli cambiare idea. Voleva fargli capire che non aveva bisogno di indossare una maschera, che tutti lo avrebbero amato anche se si fosse sfogato, anche se per un giorno all'anno non fosse stato allegro.

"Hai ragione, oggi è un giorno come un altro.", mormorò, abbattuto. Senza che lo facesse apposta, le sue mani iniziarono a scomparire lentamente, senza nemmeno dargli l'occasione di accorgersene. "Oggi non è successo nulla, qua nel Sottomondo.", continuò, dando sfogo alla sua rabbia che mirava a fare sfogare l'amico oltre che se stesso. "È come due anni fa, come tre anni fa, come sedici anni fa, in fondo."

Freddie assottigliò lo sguardo, capendo dove voleva finire Brian, ma non disse niente. Forse l'amico aveva ragione: ignorava i suoi problemi, e non avrebbe dovuto.

"Quest'anno non è cambiato niente. Tutto è come al solito: niente è fuori posto. Del resto, lui non è mai esistito, non è vero?", lo aggredì Brian.

Il Cappellaio si girò verso di lui, cercando il suo sguardo. "Stai zitto, Brian. Non dire un'altra parola.", lo minacciò, aggressivo. "Apprezzo il fatto che tu sia venuto, ma... non ne ho bisogno.", continuò, un po' più calmo.

Mentre parlava cercava la figura dell'altro, ma non lo trovava in alcun posto. Sospirò, scuotendo la testa, e cambiò completamente tono di voce, dimenticandosi il litigio che aveva appena avuto luogo fra sé e l'amico.

"Brian? Sei sparito, lo sai?", chiese, ridacchiando leggermente.

"Oh.", rispose semplicemente l'amico, lievemente scocciato. "Scusami, sai che non mi riesco a controllare. E comunque, è colpa tua, tua e di quella tua cocciutaggine che non ci pensi nemmeno a fare sparire.", borbottò.

Freddie guardò verso il punto dal quale proveniva la voce e sorrise. Gli piaceva quella sua caratteristica, era quasi una contraddizione: il distaccato, Brian che raramente si lasciava andare ai sentimenti, evanesceva quando le forti emozioni lo investivano, facendogli perdere il controllo. "Non preoccuparti.", lo tranquillizzò.

Pensò di rimanere in silenzio, ma poi guardò nuovamente nel punto in cui c'era l'amico e sorrise nuovamente, un sorriso questa volta un po' triste. "Io... io non lo faccio per dimenticarlo, Bri. Mi manca, mi manca tanto, soprattutto in questo giorno. Ma..."

"Sembrare felice ti aiuta, ti crea una maschera.", completò per lui l'amico. Un sorriso apparve nel nulla, seguito dai suoi grandi occhi dal vivissimo colore azzurro acqua. "Ti posso capire.", continuò.

Freddie annuì, riconoscente, e stava per dire qualcos'altro quando lo squillo del campanello lo fece girare di scatto. "Scusa, tesoro, potrebbe essere un cliente.", mormorò, ricomponendosi.

Si asciugò quell'unica lacrima che era comparsa sulla sua guancia con un gesto veloce e sfoderò uno dei suoi allegri sorrisi. Nell'ombra, Brian sorrise, un po' dispiaciuto, perché Freddie si sentiva costretto a mentire davanti a tutti per conservare quel minimo di stabilità emotiva che ancora possedeva.

 Nell'ombra, Brian sorrise, un po' dispiaciuto, perché Freddie si sentiva costretto a mentire davanti a tutti per conservare quel minimo di stabilità emotiva che ancora possedeva

Eccomi qua con il terzo capitolo! Scusatemi per il ritardo, mi sono ritrovata a fare un mucchio di cose a casa, ma non mi sono dimenticata di questa storia!
Spero che l'entrata in scena di Freddie e Brian vi sia piaciuta: ci ho lavorato molto su questi personaggi, perché non volevo che fossero esattamente identici a quelli del mondo di Alice, ma comunque devono avere alcuni loro tratti, e nel complesso sono orgogliosa di come stanno venendo.
In ogni caso, ci sentiamo presto!
-Brì

 

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