Since I kissed you continued

di Exentia_dream2
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Silenzi. ***
Capitolo 2: *** La notte prima della vigilia di Natale ***
Capitolo 3: *** 25 Dicembre ***
Capitolo 4: *** Davanti a una tazza di tè ***
Capitolo 5: *** Fuochi d'artificio ***
Capitolo 6: *** Ritorno a Hogwarts ***
Capitolo 7: *** Sempre peggio... ***
Capitolo 8: *** Evitarsi ***
Capitolo 9: *** Chiarimenti ***
Capitolo 10: *** In luoghi diversi ***
Capitolo 11: *** Febbraio ***
Capitolo 12: *** Bagnati dalla pioggia pt. 1 ***
Capitolo 13: *** Bagnati dalla pioggia pt. 2 ***
Capitolo 14: *** San Valentino ***
Capitolo 15: *** Il giorno dopo.. ***
Capitolo 16: *** Il calamaro gigante ***
Capitolo 17: *** Nella Torre di Grifondoro ***
Capitolo 18: *** Passato e presente ***
Capitolo 19: *** Presentarsi... ***
Capitolo 20: *** Debole... ***
Capitolo 21: *** Più delle altre volte... ***
Capitolo 22: *** Il Bagno dei Prefetti ***
Capitolo 23: *** Felix Felicis ***



Capitolo 1
*** Silenzi. ***


Premessa a questa, storia: Caro lettore, prima di proseguire, ti chiedo, per favore, di prestare attenzione a questa premessa. Questo capitolo, come gli altri a venire, sono il proseguimento di una vecchia storia (https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=48625 la troverai qui) che riporterò quasi del tutto fedelmente in questo nuovo account. 

Non sei tenuto per forza a leggerlo ma se non lo facessi, non capiresti determinate situazioni o atteggiamenti. Grazie per avermi dedicato il tuo tempo. 

Buona lettura, spero.       




Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. K. Rowling. 

Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.



Silenzi



Hermione era seduta su una poltrona nella sala comune di Grifondoro, aveva già scritto e cancellato e appallottolato un paio di pergamene. 

Era decisa a finire quando prima il discorso per festa che si sarebbe tenuta per i G.U.F.O a cui avrebbero partecipato tutti gli studenti, i professori e il Preside della scuola di Hogwarts.

Continuava a scrivere e a pensare che quelle parole fossero troppo banali. 

Giorni prima ci aveva provato, scrivendo pergamene e pergamene, rendendosi conto poi di che, quelle che aveva scritto, erano le parole che avrebbe voluto dire a Draco. 

Draco che aveva preferito credere alle voci di corridoio, che non le aveva lasciato il tempo di spiegare. 

Draco che ormai non la guardava più, non le sorrideva più. 

-Buonanotte, Draco.

-Buonanotte, Hermione.

Era passata una settimana dall'ultima volta che si erano incontrati nella Stanza della Necessità, il posto in cui aveva iniziato a dargli ripetizioni, il posto in cui per la prima volta aveva sentito forte la voglia di accarezzarlo, il posto in cui lui, dopo aver bevuto il Veritaserum, le aveva confessato di averci rimesso un po' di cuore. 

E il posto in cui, l'ultima volta, le aveva urlato contro, in cui aveva preferito non ascoltarla. 

L'aveva guardata con rabbia e delusione, l'aveva accusata di non preoccuparsi dei suoi sentimenti. 

Poi, d'un tratto, era diventato quello di prima, di un tempo talmente lontano che sembrava non fosse mai esistito. 

Hermione giocherellava con una ciocca di capelli quando nella sala comune entrò Ron. 

Era tornato ad essere se stesso, capitava qualche volta che provasse a fare un sorriso verso di lei che abbassava lo sguardo: era ancora troppo arrabbiata con lui, non riusciva a perdonarlo. 

Continuò a giocare con i capelli, mentre la pergamena sul tavolo era ancora pulita, senza nemmeno una piccola macchia di inchiostro. 

Le sembrava che il suo cervello si fosse inceppato e non riuscisse ad andare le oltre le immagini che lei non voleva più ricordare: la rabbia Draco, il suo tono di voce, il suo sguardo e tutta la delusione che lei ci aveva letto dentro. 





Harry e Ginny camminavano mano nella mano. 

Avevano trovato finalmente la pace e l'equilibrio in sé stessi, anche se tra i due, quello più in bilico era sempre stato Harry. 

Prima e dopo la guerra magica si era sentito in dovere di proteggere ciò e chi per lui era aveva un valore inestimabile e, tra questi, Ginny forse occupava il primo posto nella lista. 

Durante, invece, avevano avuto forse il tempo di un carezza e di un bacio veloce. 

Erano stati giorni bui, in cui avevano dormito poco e la paura di morire e, soprattutto di perdere, era più forte di qualsiasi altra cosa. 

Ma, in quelle carezze e in quei baci, Harry aveva trovato la forza di andare avanti e di continuare a combattere. 

Ora, però, era tutto finito e loro avevano ripreso a vivere tranquillamente, non prima però di essersi allontanati e fraintesi. 

Harry aveva impiegato tanto tempo a capire di non avere né la possibilità né la voglia di starle lontano: si erano fraintesi, si erano urlato contro qualche mese prima per una scommessa che Harry aveva accettato contro Malfoy che aveva chiesto come premio di passare una serata con Hermione. 

Si era impegnato tanto, allenandosi fino allo stremo per vincere e ce l'aveva fatta. 

Draco, infatti, ad una settimana dalla partita di Quidditch, era sparito insieme a Hermione ed era comparso di nuovo tra gli altri studenti soltanto il giorno prima: si era avvicinato tante volte al boccino d'oro, ma alla fine, non era riuscito a prenderlo. 

A volte, addirittura, sembrava non volerlo afferrare. 

-Me l'ha chiesto lei. 

Harry non sapeva quanto fossero vere quelle parole, ma gioiva perché non aveva perso la sua migliore amica e nemmeno la sua carica da capitano. 

Certo, era successo che Draco e Hermione si erano innamorati, era successo che per un periodo camminavano vicini nei corridoi della scuola. Era anche successo che si erano allontanati a causa di Ron che, bevendo la pozione Polisucco, a turno si alternava a ricoprire il ruolo di uno o dell'altra per dividerli, riuscendoci anche, certo, ma poi Harry aveva trovato il modo di riavvicinarli, perché detestava  Malfoy allo stesso modo in cui detestava vedere Hermione soffrire. 

I lunghi tavoli della Sala Grande erano occupati da tanto cibo e brocche di succo di zucca. 

Anche questa volta, Hermione non era seduta con loro: mancava da un po', in realtà. 

Quando Harry le aveva chiesto come mai non pranzasse più con loro, lei aveva risposto che era molto impegnata a studiare e a scrivere il discorso che Dennis le aveva chiesto per la festa, però aveva sempre gli occhi bassi, la bocca sempre a disegnare una linea dritta, i capelli sempre davanti al viso per nascondersi. 

Non sembrava più essere l'Hermione che aveva conosciuto e lo notava anche quando, durante le lezioni, non alzava più la mano con la sua aria da so tutto io e rispondeva svogliatamente e non saltava più di gioia quando le veniva un voto alto. 

-Harry?

Si voltò verso Ginny che guardava il posto vuoto di fronte a sé. - Le porto qualcosa da mangiare.

Annuí e cominciò a guardare verso il tavolo di Serpeverde. Trovò immediatamente Draco con la testa china sul piatto che aveva davanti, ancora più cereo e le occhiaie ancora più accentuate. Gli passò subito alla mente l'immagine di Malfoy durante la Guerra Magica, quando aveva fatto il doppio gioco con Voldemort, portando tutti alla salvezza. 

Ginny gli aveva dato un bacio veloce sulla fronte e si era avviata verso la porta della Sala Grande, mentre lui riempiva il piatto con patate e tacchino arrosto.




Non aveva fame: avrebbe preferito restare nella sua stanza, senza dover per forza sentirsi addosso lo sguardo degli altri studenti, ma Blaise lo aveva quasi costretto ad uscire: lo aveva trascinato per tutta la scuola, di aula in aula. Diceva che doveva distrarsi e non chiudersi in se stesso, ma non serviva uscire dal suo letto per aprirsi al mondo, perché si era quasi sigillato in quelle parole che non voleva dire, nella sua rabbia, nel suo orgoglio. 

Aveva bisogno di aria, aveva bisogno di capire che non era vero, che il fondo non l'aveva ancora toccato e, invece, quella verità lo aveva colpito come un pugno allo stomaco. 

La Sala Grande era piena, ma lui non aveva ancora visto i suoi occhi preferiti, non li vedeva da una settimana. 

Le voci sul bacio tra Hermione e Dean si erano quasi del tutto affievolite, ma nessuno, quando lo aveva a tiro, si faceva mancare l'occasione di ricordarglielo. 

-Non c'è stato nessun bacio.

Il problema era che lui le credeva: nel profondo sapeva che lei non aveva baciato Dean. 

Però, c'era un però che gli arrovellava il cervello. 

Quante cose non gli aveva detto? Quante altre volte sarebbe successo? Era vero che durante quella giornata non si erano mai incontrati, ma era anche vero che, con una scusa o con un'altra, avevano sempre trovato modo di vedersi e lei avrebbe dovuto farlo di nuovo: trovare un modo per incontrarlo e dirgli quello che era successo. 

-Non voglio vederti toccare il fondo.

-L'ho già toccato il fondo.

Le aveva dette con un filo di voce, poco più udibili di un sussurro, eppure quelle parole sembravo urlate per quanta eco ancora facevano nella sua testa. 

Se ne rendeva conto ogni volta che si svegliava di soprassalto, quando sognava Bellatrix che torturava Hermione: sentiva le sue urla freddargli il sangue nelle vene, fargli contorcere le viscere, eppure non aveva mosso un dito. 

Ricordava bene il segno ormai indelebile che Hermione aveva sul braccio e che, ora, portava con fierezza e la sensazione che quel pugnale stesse incidendo anche la sua pelle, ricordava bene i suoi occhi pieni di lacrime fermi su di lui, mentre gli altri erano rinchiusi nelle celle del sotterraneo. 

Ricordava anche di aver pianto tanto quella notte e, probabilmente, lo aveva fatto per il terrore che gli incuteva il Signore Oscuro. Da qualche tempo, però, aveva il pensiero di aver pianto tanto perché l'amava già da allora. 

-Tutto bene?-Blaise e Theo lo fissavano preoccupati. 

-Perché?

-Sei molto pallido, Drà, e sinceramente quelle occhiaie non ti donano, ma se è possibile, sei impallidito ancora di più poco fa.- annuí - E stai sudando.

-I-io… Sí,sto bene.

-Draco, io li ho visti. Non c'è niente di vero in quello che si dice in giro.

-Ah,no?

-No.

-Mi prendi in giro, Theo? Anche Blaise li ha visti. Tutta la scuola li ha visti, tranne io, giusto?- aveva chiesto e poi si era girato per guardare Blaise che alzò le mani. 

-No, non ti prendo in giro. Ti sto dicendo la verità. E sì, li abbiamo visti, tutti e due: eravamo nei corridoi. Abbiamo visto e sentito tutto.

-Ma a me non importa.

-Davvero? Quindi tu fissi continuamente il tavolo di Grifondoro perché non t'importa? Non dormi la notte perché non t'importa? Non t'importa nemmeno sapere che quasi tutti credano per non è giusto che voi stiate insieme, ma per lei lo è?

-Io dormo benissimo.- Eppure, adesso la sua mente era ferma sull'ultima frase che gli aveva detto Theo: per lei era giusto. E i suoi occhi si erano rialzati per andarsi a posare lì, sul posto dove lei sarebbe stata seduta se si fosse presentata a pranzo. Era giusto per lei. 

-Sì, beh, non si direbbe. E smettila di guardare in quella direzione: non c'è e non la porterai qui continuando a fissare il suo posto.

-Non sto fissando da nessuna parte.

-Sì, invece. E non solo stai sempre con gli occhi incollati lì, ma la cerchi ovunque. Non ci vuole tanto a capire che ci sei dentro fino al collo, innamorato perso.

-Non lo sono, non ho mai detto di esserlo.

-Nemmeno io l'ho mai detto, ma lo sono e non me ne vergogno

-Non ho mai detto di amarla.

-No. Ma non servono le parole per capirlo.

-Ma no, Theo, Draco non è innamorato.- intervenne Blaise, facendo l'occhiolino all'amico. Draco, intanto, continuava a tenere lo sguardo fisso di fronte a lui. 

-Forse hai ragione. Al posto suo, certo, se fossi stato realmente male, avrei fatto di tutto per tornare a stare bene.

-Lui sta una meraviglia.

-Quindi, secondo te, perché sembra sempre molto stanco?

-Avrà ripreso le vecchie abitudini. Ho sentito dire che l'hanno visto insieme a una di Tassorosso, erano diretti agli spogliatoi del campo di Quidditch.

Si sentiva come se si fosse allontanato dal tavolo. Le voci dei suoi amici che gli arrivavano alle orecchie sembravano ovattate, distanti. 

Non sapeva se stesse camminando con le gambe e i piedi o se lo stesse facendo solo con il pensiero, non sentiva più nessuno, più niente, a parte il battito del suo cuore e il suo respiro che acceleravano. 

-... e tu continuerai a cercare tutto quello che ti ricorda lei e ti mancherà da fare schifo.

-MI MANCA GIA’ DA FARE SCHIFO.

Poi, sembrò tornare in sé e si guardò intorno. Era ancora nella Sala Grande. 




-Si può dire che sei a buon punto.- esordí Ginny sedendosi accanto a lei. Hermione guardava la sua pergamena su cui aveva solo scritto 'Hogwarts è' e fece un mezzo sorriso.

 - Dici?

-Almeno hai iniziato e come si dice? Chi ben comincia è a metà dell'opera?

-Sì, solo che io ho iniziato davvero male.

-Ti ho portato qualcosa da mangiare.

-Grazie.- sorrise ancora e spostò la pergamena su un lato del tavolo. - Mmh, avevo davvero fame e queste patate sono buonissime.

-Sì, c'era un bel po' di roba sul tavolo, peccato che tu stia perdendo tutti questi pranzi.

-Tu,invece, hai mangiato?

-Sì e ora vado via perché ho Trasfigurazione.

Hermione mangiò in fretta, ricordandosi che anche lei aveva altre lezioni e la prossima sarebbe stata Pozioni. 

Nel momento in cui se ne rese conto, però, le si chiuse lo stomaco. 

Pozioni era una delle poche lezioni durante le quali Grifondoro e Serpeverde erano insieme. 

Avrebbe rivisto Draco. Lo vedeva spesso in realtà, nei corridoi o durante i cambi d'ora, ma non sapeva se lui la vedesse o si girasse per guardarla mentre si allontanava e, tra l'altro, in quel l'aula sarebbe stato diverso: all'inizio dell'anno, infatti, il professor Piton aveva deciso di far uscire tutti gli alunni dalla propria zona di comfort, affiancando ognuno ad un compagno che facesse parte di un'altra casata. 

Durante la prima lezione dell'anno infatti, ogni alunno estrasse un bigliettino da un calderone su cui c'era scritto il nome della persona con cui avrebbero lavorato. A Ron era uscito il nome di Theo, a Harry quello di Pansy. A Hermione, invece, il nome di Draco Malfoy e proprio in quell'occasione lui le chiese di dargli delle ripetizioni e prima ancora, nello stesso giorno, fece una scommessa con Harry. 

La scommessa che Draco aveva perso perché lei glielo avevo chiesto prima del suo ingresso in campo e dopo, quando si era fermato a guardarla sugli spalti.

Era stato quello il momento in cui Dennis aveva scattato loro quella fotografia che lei custodiva ancora, nonostante fosse stata strappata. 

Lasciò a metà il cibo che Ginny le aveva portato. Le era passata la fame e cominciò a farle male lo stomaco. Legò i capelli in una treccia disordinata, uscí dalla sala comune di Grifondoro dirigendosi verso l'aula, con la testa bassa, gli occhi attaccati al pavimento. 

Quello che più la spaventava erano le sue emozioni e reazioni: come si sarebbe sentita dopo aver passato due ore con lui, senza potergli parlare, senza potersi spiegare? Cosa avrebbe fatto quando lo avrebbe visto? E lui come l'avrebbe guardata? 

Vedeva i suoi piedi che camminavano verso il luogo in cui doveva andare, ma avrebbe voluto avere il coraggio di tornare indietro, rifare le scale, risalirle in fretta e stendersi sul suo letto: avrebbe preso la foto che la ritraeva insieme a Draco e che lui aveva strappato e avrebbe cominciato a farla in mille pezzi. 

Sentiva le lacrime riempirle gli occhi, perciò lí chiuse e scosse la testa per mandare via ogni pensiero, ogni dolore, ogni ricordo. 

L'aula era ancora vuota, eccetto per la presenza del professor Piton. - Sei in anticipo, signorina Granger. Mancano ancora dieci minuti alla lezione.

-Mi scusi, professore, se vuole… 

-Non importa, ormai sei qui.- la guardò con il solito sguardo infastidito e il solito ghigno sul viso. -Dovrei togliere almeno 10 punti a Grifondoro, ma il tuo anticipo compenserà il ritardo che avranno i tuoi amici, Potter e Weasley.

Ah, Ron. Se il professore avesse saputo quante cose erano cambiate, quanto si era sgretolato il Trio Miracoli e quanto lontano fosse quel suo appellativo per Ron. 

Quando tutta l'aula si fu riempita, Hermione si accorse che, tra gli alunni entrati, non c'era Draco e abbassò lo sguardo nel suo calderone ancora vuoto. 

Forse è meglio così, pensò e poi sentí la porta aprirsi, si girò a guardarla ed automaticamente spostò il libro e la bacchetta per fare spazio a Draco: aveva il capo chinato e non la degnò di uno sguardo, anzi, fissò subito gli occhi sulla figura del professore. 

-Oggi cominceremo a preparare la Pozione Invecchiante. Dovranno passare 27 giorni prima che sia pronta, perciò prima leggete bene gli ingredienti e in quale ordine vanno inseriti nel calderone.- attese che tutti gli alunni prendessero nota di cosa serviva per preparare la pozione e poi fece loro cenno di prendere gli ingredienti. 

Draco fu il primo ad andare e tornare e Hermione fece attenzione a non urtarlo mentre anche lei si dirigeva verso la dispensa. 

Sistemò tutto alla sua destra, lesse di nuovo gli ingredienti per essere sicura di non aver dimenticato nulla. 

Versò il succo di zucca nel calderone e attese che questo perdesse la propria densità. 

Guardò verso Draco che osservava la sua pozione. 

Hermione aggiunse il pepe rosa e il pepe verde e, dopo tredici minuti, in cui decise di tenere gli occhi bassi, aggiunse la ghianda di quercia, prese il mestolo e mescolò tre volte in senso orario e due in senso antiorario, cosa che avrebbe dovuto fare ogni due minuti per ventisei minuti. 

Era quasi giunto il momento in cui avrebbe dovuto aggiungere lo Stridiosporo e le radici di Tranello del Diavolo triturati, perciò allungò la mano per prendere il coltello che, però, cadde. 

Si chinò per raccoglierlo ma sulla sua mano si era posata quella di Draco. Erano rimasti con gli occhi incollati a quella scena: da quanto tempo non si toccavano? Non si muovevano, non si parlavano. Draco però la guardò per un piccolissimo lasso di tempo e lei mosse le labbra, provò ad avvicinarsi, poi lui si rialzò bruscamente, togliendo la mano dalla sua, togliendo gli occhi dai suoi. 

Hermione rimase ancora un po' piegata sulle ginocchia, il coltello nella mano. 



-... io mi sento come se il tempo fosse finito.

Avrebbe voluto tornare indietro nel tempo, in quel dormitorio dove non erano niente e in cui non riuscivano a dormire se non abbracciati. 

In cui ogni obbligo era un bacio. 

Riviveva continuamente i giorni che avevano vissuto insieme, i suoi sorrisi, le sue mani dovunque. 

Si asciugò velocemente una lacrima, si sistemò la treccia sulla spalla, poi si alzò e cominciò a preparare il miscuglio che avrebbe dovuto inserire nella pozione. 

Continuò a guardare all'interno del calderone, sperando di non aver sbagliato qualcosa nel procedimento e, quando la pozione virò al verdognolo, cominciò a cercare il capello di Troll, che non era sul tavolo. 

-Tieni.- glielo passò Draco. 

Lo guardò soltanto, senza nemmeno ringraziarlo. Non provò nemmeno ad accennare un sorriso perché sentiva di nuovo le lacrime salirle agli occhi. 

Prese il capello e lo aggiunse alla pozione. 

-Hai paura che possa ferirti?

-Non mi ferisci, Malfoy. Non l’hai mai fatto e mai lo farai.

-Ora, se tutti siete pronti e se tutti siete stati capaci, ma ne dubito, potete lasciare la vostra pozione lì. Ne ripeteremo una la cui preparazione è illegale, poiché è ritenuta la più potente.- poi sollevò il coperchio dal calderone, mentre tutti gli alunni si avvicinavano alla sua scrivania. -L'Amortentia. Bene, attenzione: singolarmente verrete chiamati, uno ad uno, e mi direte quale profumo sentite. Cominciamo da Potter.

Harry si avvicinò al calderone - Io sento l'odore dell'erba bagnata, della Tana e delle patate arrosto.

-La tana?

-Oh, beh, è la casa dei Weasley, Ginny…

-Certo, Potter. Torna al tuo posto.

Prima, però, Harry si avvicinò a Hermione, facendole l'occhiolino. - Tu sicuramente sentirai odore di dentifricio.- e lei sorrise. 

In cuor suo, però, sperava che tutto finisse prima che arrivasse il suo turno. 

Su una lunga pergamena, Piton segnava i nomi di ogni alunno che aveva sentito il profumo dell' Amortentia e l'ora finí. 

Si radunarono tutti vicino al proprio tavolo per raccogliere i libri ed uscire dall'aula. 

-Signorina Granger, signor Malfoy… Qui non ci sono segnati i vostri nomi. Prego.- e indicò la scrivania. - Prima le signore.

Hermione si avvicinò al calderone, quasi certa che Harry avesse ragione. Invece no: subito dopo il profumo, sentí la terra mancarle sotto i piedi. - Io… Sento l'odore dell'inverno e della pioggia, della legna nel camino e di menta e sigaretta e… libri, sento l'odore dei libri.-

Poi guardò Draco e il suo viso stupito. 

-Allora, signor Malfoy? Non sei mica raffreddato?

-Sudore e l'odore di… 

-Non mentire Draco. Come puoi vedere, ad ogni bugia il fumo della pozione smette di spandersi nell'aria*.

-Girasoli, grano, estate… Odore di Nutella e shampoo alla pesca.

Hermione non reagí, non fiatò. Rimase immobile, con la voglia di uscire in fretta da quell'aula e, una volta fuori, lo guardò. - Dra- Malf… Io credo che dovrem… io vorrei…- poi scosse la testa. - Grazie. Per il pelo di Troll.- voltò le spalle andó via.  

-Draco, ti prego…

-Ti aspetto lì.





Angolo Autrice:

Se sei arrivato fin qui, ti ringrazio dal profondo del cuore. 

Tornare a scrivere questa storia è stato davvero importante ed emozionante. 

Mi piacerebbe tornare a postare nuovi capitoli una volta a settimana, sperando in una pubblicazione magari più veloce. 

Ti parlo della storia: è ambientata dopo la Guerra Magica, in cui né Silente, Né Piton e né Fred sono morti, te ne sarai già reso conto. 

*Probabilmente non è vero che dopo una bugia il fumo dell'Amortentia non si spande più, ma questo particolare mi serviva per questa parte della storia. 

Mi farebbe piacere conoscere il tuo parere e ti ringrazio ancora. 

A presto, Exentia_dream2




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Capitolo 2
*** La notte prima della vigilia di Natale ***


La notte prima della vigilia di Natale:



Dalla prima volta che aveva nevicato, a fine ottobre, Hermione aveva avvertito la magia del Natale avvicinarsi: sarebbe tornata a Londra, a casa dei suoi genitori. 

Ricordava con dolore la notte in cui aveva incantato la sua casa e la memoria del suo papà e della sua mamma con un Oblivion. 

Lo aveva fatto perché Voldemort era tornato e lei amava la sua famiglia tanto da cancellare loro i ricordi dei giorni pieni del sorriso di una bambina dai capelli ricci. 

Lo aveva fatto perché, se fosse morta, i suoi genitori non avrebbero dovuto soffrire la sua assenza. 

Vedeva ancora la sua immagine scomparire dalle fotografie, sentiva ancora quell'addio bloccarsi in fondo alla gola. 

Dopo aver vinto la Guerra Magica, dopo essersi toccata i piedi e le mani e il viso per rendersi conto di essere davvero ancora viva, Hermione era tornata a casa in piena notte. 

Aveva camminato in punta di piedi, dando un bacio leggero sulla fronte dei genitori, facendo subito dopo un incantesimo per far tornare loro la memoria e, insieme ai ricordi, erano tornati anche i suoi sorrisi nelle fotografie incorniciate. 

Poi, era tornata ad Hogwarts. 

Erano passati solo due anni da allora. Due anni in cui la scuola di magia e stregoneria era stata ricostruita e tutti gli alunni avevano ripreso gli studi da dove li avevano lasciati, più o meno. 

Fred e George Weasley, per esempio, avevano realizzato il loro sogno aprendo il loro negozio di scherzi, I Tiri Vispi Weasley, in cui vendevano scherzi che loro stessi avevano inventato. 

Hermione si rigirò nel letto, volgendo lo sguardo alla finestra: il sole stava sorgendo e lei non riusciva a dormire, perciò scese nella sala comune di Grifondoro e ricominciò a scrivere il discorso per i G.U.F.O: aveva ben chiaro in mente quale sarebbe dovuto essere il filo da seguire. Che quel filo, poi, spesso la portasse a ripensare a Draco era un'altro discorso. 

Scosse la testa: l'indomani sarebbe tornata a casa e sapeva che avrebbe dovuto aggiungere una pallina di Natale all'albero addobbato, avrebbe guardato il patio illuminato dalle luci dorate e si sarebbe emozionata come quando era bambina ed aspettava con ansia la notte di Natale per aprire poi i regali. 





Guardò dall'alto della sua poltrona la Sala Grande: a parte il cielo stellato ad illuminare la stanza, c'erano delle bellissime farfalle multicolore e luminose, l'arcata della porta era stata rivestita da agrifoglio, pungitopo e vischio, i sette alberi erano addobbati con candele sempre accese, sfere di vetro colorate, fiori luminosi, fiocchi di neve iridescenti che non si sarebbero sciolti. Ad uno in particolare, Silente aveva deciso di legare piccoli fogli di carta che aveva poi definito biglietti dei desideri: ogni alunno avrebbero potuto aggiungere il proprio in qualunque momento. 

Quella notte aveva sognato la volta in cui Hogwarts aveva ospitato il Torneo Tre Maghi e ricordò che chiunque avesse voluto partecipare alla gara avrebbe dovuto inserire il proprio nome nel Calice di Fuoco ed era stato proprio quel sogno a dargli l'idea per addobbare quell'ultimo pino spoglio. 

Tutti gli alunni erano seduti ai propri tavoli, sorrise e si alzò, recandosi verso il leggìo. 

-Buongiorno e benvenuti a questo ultimo pranzo prima delle vacanze natalizie. Come sapete, da quest'anno la cena sarà sostituita da una piccola festicciola, quindi questa sera non avrei potuto farvi questo discorso. Io e gli altri professori siamo di comune accordo per quanto riguarda la nostra assenza: ci riuniremo nel mio ufficio e ceneremo lí. Indossate i vostri abiti più belli.- gli occhi dei presenti si illuminarono. -Prima di lasciarvi al nostro gustoso banchetto, vorrei dirvi qualcosa che per me è molto importante: sono fiero di voi, di ciò che avete fatto per il Mondo Magico e di quello che siete stati e di quello che siete diventati. Grazie a voi, Hogwarts è risorta dalle proprie ceneri ed è tornata alla vita, più splendente e bella che mai. Vorrei informarvi anche che al centro della sala, come avete potuto vedere, c'è un albero quasi del tutto spoglio. Ecco, quello è l'Albero dei Desideri e ognuno di voi, in qualunque momento della giornata, può scrivere un biglietto e apporre il proprio, con il mio augurio che non uno, ma ogni vostro desiderio possa realizzarsi, soprattutto nel momento in cui vi sentite come se foste in un incubo. E con la speranza che voi siate consapevoli che tutti gli incubi, come i sogni, finiscono quando apriamo gli occhi.- concluse e fece un piccolo inchino. 

Gli alunni ringraziarono il Preside con un applauso e subito dopo le tavole furono imbandite e stracolme di cibo e bevande. 

Hagrid, seduto qualche posto più in là al tavolo dei professori, diede un leggero buffetto sulla mano di Silente.-Che belle parole,davvero davvero commoventi.- e si asciugò una lacrima. 




Al tavolo di Grifondoro si era aggiunta da subito anche Luna Lovegood che, ormai, faceva coppia fissa con Neville. 

Durante la prima notte della Guerra Magica, lui l'aveva rincorsa per dirle che era pazzo di lei, ricevendo in cambio uno sguardo divertito. 

-Siamo tutti un po' pazzi, Neville, ma non diamo certo la colpa a qualcuno per la nostra pazzia.- gli aveva risposto Luna. 

Neville aveva riso, dicendole che no, non era pazzo in quel senso, ma nel senso che era innamorato di lei. 

Quando l'avevano raccontato, i loro compagni erano scoppiati a ridere insieme a loro. 

-Oh, Neville, pensi che a tua nonna possa piacere la mia collana di tappi di Burrobirra? Vorrei regalarglielo per proteggere lei e i suoi bellissimi fiori dai Nargilli.

-Quindi, passerete insieme il Natale?- chiese Harry. 

-Sì, staremo da Neville. Peccato che la pozione Invecchiante che ci ha assegnato Piton non sia ancora pronta, mi sarebbe piaciuto poterla bere, così nonna Augusta non si sarebbe sentita in imbarazzo ad essere l'unica anziana. 

Anche Hermione sorrise. 

Harry la guardava. Si domandava da quanto tempo non sorridesse, non ridesse davvero. 

Quasi ogni sera, Ginny gli raccontava di quanto Hermione stava male, di quante volte l'aveva sentita piangere di notte, perché era nei momenti in cui era sola e nessuno poteva vederla che lei si permetteva di cedere. 

Non sembrava cambiata: continuava a studiare, ad essere la migliore alunna della scuola, a prendere appunti durante le lezioni, non le aveva mai visto la schiena sussultare per la voglia di piangere, ma Harry sapeva che quella che mostrava era solo una maschera. 

Si girò poi verso Ginny. -Sarà un Natale bellissimo. 

-Sì, lo credo anche io. Però, Harry, io vorrei che tu parlassi con Ron… Mi dispiacerebbe se passasse tutto il tempo chiuso in camera sua. 

-Ginny, lo sai... 

-Sì, lo so, ma non ti sto chiedendo di tornare ad essere suo amico, però… 

-È difficile, dopo tut… 

-Sì, sì, dopo tutto quello che ha fatto, dopo quello che è successo e le brutte cose che ti ha detto, però, Harry, lui è mio fratello. 

-Ok, d'accordo. 

-Grazie, non immagini quanto mi hai resa felice, questo è il più regalo di Natale che potessi farmi. 

-Ah, quindi, il regalo che ho nel baule posso riportarlo indietro? 

-Certo che no.- e sorrise. 

Le aveva regalato una piuma che, grazie ad un incantesimo, disegnava un cuore ogni qualvolta andava messo il punto in una frase: era un regalo poco pretenzioso, ma che le avrebbe ricordato sempre la sua presenza e il suo amore. 





La sala comune dei Serpeverde era quasi vuota, tranne per Daphne che si era addormentata con la testa sulla spalla di Theo. 

Erano mano nella mano e lui la guardava: l'aveva attirata a sé, facendola sedere sulle sue gambe, l'aveva baciata. -Ho il tuo regalo qui. 

-Ma Theo, no, i regali si ricevono la mattina di Natale. 

-Lo so, non ti ho mica detto che te l'avrei dato adesso? 

-No. Però, non dovevi, io sono curiosa e tu mi dici che hai un regalo per me… Non è giusto così. 

-Stasera ci sarà la festa, dai… Magari, potrei baciarti sotto al vischio. 

-Potresti farlo anche mentre sei seduto su una poltrona, però.- lo baciò. 

-Anche mentre sono di fronte al camino. 

-Anche mentre parli di cose senza senso. 

-Anche mentre tu provi a distrarmi per rubare il tuo regalo.- e rise. 

-Ma no, Theo, non è possibile, come hai fatto ad accorgertene? 

Lui rise ancora e lei prese a fargli compagnia. 

Daphne poi, gli aveva dato un bacio leggero sulla bocca e si era poggiata alla sua spalla, prendendogli la mano. 

Lo guardava pensando che forse Theo non era bellissimo, ma la faceva stare bene e la consapevolezza che lo amasse per quello che era e non per come appariva la fece sorridere. 

-Perchè mi guardi? - le aveva chiesto. 

-Sono felice e non vedo l'ora che arrivi stasera. 

-Credi che dovremmo vestirci bene? 

-Assolutamente sì, ho la sensazione che questa festa somiglierà un po' al Ballo del Ceppo. 

-Ballerai con me? 

-Ballerò solo con te.- lo baciò ancora, poi chiuse gli occhi e si addormentò. 

Theo portò una mano alla tasca e toccò la scatolina che conteneva il regalo per Daphne. Si chiese se avesse fatto la scelta giusta e perché in quel momento si fosse sentito così sicuro che a lei sarebbe piaciuto. 

Poi, si alzò delicatamente dalla poltrona e si diresse nel suo dormitorio, per sistemarla sul letto e addormentarsi accanto a lei. 




Non aveva una gran voglia di andare a quella festa, perciò, anche se Silente aveva chiesto loro di indossare l'abito più bello, Draco aveva deciso di indossare un jeans nero un po' liso e una camicia dello stesso colore. 

Sotto il getto caldo dell'acqua, aveva cominciato a ripensare a tutto quello che gli era successo e a quante cose erano cambiate. 

Ripensava all'odore dell'Amortentia, al profumo che lui e Hermione avevano sentito e agli occhi di lei che si erano fatti lucidi quando Piton lo aveva richiamato affinché dicesse la verità. 

Durante quegli strascichi di lezione, Draco non aveva staccato un attimo gli occhi da Hermione: l'aveva vista spaventata dopo essersi resa conto che il profumo della sua Amortentia era cambiato e non odorava più di pasta dentifricia e pergamena nuova -Io… Sento l'odore dell'inverno e della pioggia, della legna nel camino e di menta e sigaretta e… libri, sento l'odore dei libri.-, aveva accennato un sorriso triste, di una tristezza che non aveva mai visto, sentendosi subito in colpa, e, quando lui aveva parlato -Girasoli, grano, estate… Odore di Nutella e shampoo alla pesca-, lo aveva fissato con gli occhi pieni di lacrime e la bocca che le tremava e, infine, aveva abbassato lo sguardo. 

Ricordava anche come si era sentito quando lei era andata via, il vuoto allo stomaco e il dolore al petto che per tutta la giornata gli avevano tenuto compagnia perché il suo filtro d'amore profumava di lei. 

Draco cominciò a vestirsi: non gli era servito lavarsi per togliersi di dosso quella sensazione di sconfitta né era diminuita la mancanza che avvertiva ogni volta che la incontrava. 

Provava ad ignorarla e finiva sempre a guardarla quando lei era distratta, si sentiva sempre sul punto di volerle dire qualcosa e poi taceva, sempre sul punto di tornare sui suoi passi per seguirla e poi si tirava indietro, sempre sul punto di toccarla e poi non lo faceva mai. Poi, quel giorno nell'aula di pozioni, le era caduto il coltello e tutti e due si erano chinati per raccoglierlo, fino a quando Hermione non si era mossa per avvicinarsi e lui si era sentito come trapassato dalla voglia di baciarla e si era rialzato. 

Chiuse l'ultimo bottone della camicia, lasciando perdere quello del colletto ed uscí dal suo dormitorio. Tutti i suoi compagni avevano cominciato a festeggiare. 

-Ehilà, Draco.- lo salutò Pansy, abbracciandolo e continuando a muovere i fianchi. 

-Ti ci vorrebbe proprio una bella cravatta, vieni.- Blaise lo trascinò via, nella sua camera. -Vediamo un po'... 

-Lascia perdere, Blà, tanto non vado da nessuna parte. 

-Oh no, tu ci viene a questa festa. Ci saranno fiumi di alcool, gambe nude, e abiti scollati… 

-Non m'importa. 

-E ci sarà la Granger. 

-Proprio per questo. 

-Draco, ascoltami, tu proprio per questo devi venire. 

-Non ho intenzione di incontrarla. 

-Non ho mica detto che dovrai ballare con lei, ma domani andremo tutti via e tu non la vedr… 

-Meglio così. 

Blaise si girò verso il suo armadio, poi si avvicinò a lui e gli fece passare la cravatta attorno al collo, chiuse l'ultimo bottone della camicia, sistemò il nodo e lo guardò. - Ecco, ora sei perfetto.



Quando le si avvicinò, Lisa stava guardando il suo riflesso allo specchio. -Ron, sei stato davvero esaudiente… 

-Oh, beh, sì, grazie.- si stavano rivestendo e Ron non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Tossí. -Mi chiedevo se ti andrebbe di venire alla festa con me. 

-È solo sesso, lo sai, vero? 

-Sì, ovvio… - sentí un dolore allo stomaco. -Ti ho solo chiesto compagnia. 

-Se è così, va bene, verrò alla festa con te. 

-Ti aspetto lí, allora? 

-Un gentiluomo va a prendere la sua dama al castello. 

-Sì, allora ci vediamo alla torre.- poi uscí dal bagno e si diresse alla torre di Grifondoro. 

Ricordò con un calore nel petto il Ballo del Ceppo, quando mamma Molly gli aveva mandato un abito di altri tempi, che si vergognava ad indossare perché Harry era vestito di un bellissimo smoking, e lui aveva invitato Padma Patil, impaziente di ballare e delusa al culmine dal suo accompagnatore. 

Sorrise quando scoprì di avere ancora il pantalone nero di buona fattura che aveva comprato tempo prima: lo avrebbe abbinato ad una camicia bianca e una cravatta nera.

Si sistemò i capelli e si avviò verso la torre di Corvonero: sentiva le mani sudare e le gambe un po' molli, perciò quando arrivò alle scale, si sistemò i capelli, tirandoli indietro, e si appoggiò al muro, in attesa. 

Lisa indossava un abito corto e verde, con una particolare scollatura a forma di goccia da cui pendeva un ciondolo a forma di cuore. 

Ron la guardò e sentí il fiato mancargli: si chiedeva come avrebbe fatto ad andare ancora avanti senza confessare i suoi sentimenti. 

Le tese il braccio. -Sei bellissima. 

-Anche tu stai molto bene, potrei addirittura innamorarmi di te stasera.- rise. 

Se solo avesse saputo che quello era diventato il sogno di Ron: sentire che anche lei faceva l'amore con lui, che anche lei avvertiva forte il desiderio di vederlo, di stringerlo, di baciarlo. 

Ron ricambiò il sorriso e la condusse nella Sala Grande. -Ti va di legare un biglietto dei desideri? 

-Magari dopo. Ora voglio solo ballare e divertirmi.- lo trascinò al centro della pista da ballo, gli mise le mani al collo. -Sai ballare, vero? 

-Un ballerino nato.

Non si staccò mai da lei, a parte quando decise di prendere due bicchieri di whisky incendiario e sentí un immenso calore in tutto il corpo. 

Lisa continuò a guardarlo, accarezzandogli il viso, i capelli: avrebbe addirittura potuto innamorarsi di lui quella sera. 




Hermione teneva la testa bassa, fissando le scale: aveva scelto di indossare un semplice abito corto nero con le maniche a tre quarti che scendevano morbide e, dietro la schiena nuda, un sottile catenina di strass neri, le scarpe, i cui cinturini richiamavano il particolare della schiena, avevano il tacco molto alto ed erano dello stesso colore dell'abito. 

Ginny si era offerta di truccarla e lei si era lasciata coccolare, poi, guardandosi allo specchio aveva avuto un piccolo sussulto: aveva una leggera linea di eyeliner accentuata da un ombretto bianco perlato, le ciglia evidenziate dal mascara e un filo di rossetto rosso scuro, i capelli lisci. Si sentiva bellissima e sul punto di scoppiare a piangere.

-No, no.- le disse Ginny. -Stasera voglio solo vederti sorridere. 

Quando arrivarono nella Sala Grande, Hermione notò che i tavoli erano stati spostati a ridosso dei muri per lasciare al centro l'albero dei desideri. Si avvicinò e appose il suo bigliettino su cui aveva scritto solo una parola: ancora. 

Harry la tirò per il braccio e le fece fare una giravolta su se stessa. -Wow, Herm…

-È tutta opera di Ginny, sai lei… 

-Bene, però adesso, mi concedi questo ballo? Lei annuí e gli prese la mano, guardandosi intorno e sorridendo. 

Dopo tanto tempo, quella sera si rese conto di dover lasciare andare quello strano senso di angoscia che l'accompagnava: teneva in mano un bicchiere da cui stava bevendo un drink molto dolce con il retrogusto alcolico e guardava l'albero di Natale al centro della sala. Aveva visto Draco di sfuggita, prima che lui le desse le spalle e si chiudesse in un cerchio di Serpeverde, senza più muoversi da lì: l'aveva guardata da capo a piedi, lasciando in evidenza sul suo viso solo l'indifferenza. 

Poi, Neville l'aveva invitata a ballare e lei aveva ricominciato a sorridere. 

Cercò ancora Draco, posando lo sguardo ovunque, poi lo aveva visto poco distante, le sua mani sui fianchi di Pansy, un mezzo sorriso sul viso. Neville era inciampato nei lacci delle sue scarpe ed aveva cominciato a barcollare, fermandosi dopo aver urtato Pansy, mentre lei aveva urtato il braccio di Draco. -Che schifo,spostatevi.- aveva commentato l'altra, mentre lui si era semplicemente allontanato. 

Hermione si era sentita sul punto di poter morire: lo aveva guardato negli occhi, senza riuscire a respirare, poi aveva deciso di andare via di corsa e più correva e si allontanava dalla Sala Grande, più sentiva forte la voglia di piangere. 

Aveva appena poggiato le mani sulle maniglie della porta quando si sentí sbattere al muro. Le scappò un leggero mugolio di dolore. -Perché sei qui? Cosa vuoi? - aveva chiesto quasi urlando, ma Draco aprì le porte della biblioteca e la portò dentro: aveva il nodo della cravatta allentato e le maniche della camicia arrotolate ai gomiti.- Sta zitta. 

-Perché mi hai seguita? 

-Che altro avrei potuto fare? 

-Avresti potuto restare dov'eri.

-E dov'ero prima di venire qui, eh? 

-Eri in Sala Grande a ballare con Pansy. 

-Nella stessa sala dove tu ballavi con Neville. C'eri anche tu. 

-Sapevo che c’era un posto anche per te.

-Tu.

-Eh?

-Il mio posto sei tu

-Cosa vuoi? 

Draco le fece segno di restare in silenzio, portando l'indice vicino alla labbra e, quando sentirono delle voci avvicinarsi, la spinse verso uno scaffale pieno di libri a cui aveva poggiato le spalle, attirandola a sé. 

In quella stessa biblioteca, tempo fa, lei aveva pianto e lui l'aveva baciata, le aveva chiesto di incontrarsi nella Stanza delle Necessità. 

-Draco, ti prego. 

-Ti aspetto lí. 

Aveva bevuto il Veritaserum, le aveva chiesto di baciarlo, le aveva chiesto di restare senza però fermarla quando lei aveva detto di voler andare via.

-Qual è il prezzo da pagare, in tutta questa storia?

-Non lo so ancora, ma io ci ho rimesso un po’ di cuore

Nel frattempo, le voci e i passi si erano allontanati. 

Si ritrovarono a guardarsi negli occhi, con il cuore che batteva un po' più forte, poi lui le disegnò il contorno delle labbra con i pollici: non riusciva a fermarsi, sentiva quella frenesia muoverlo e Hermione, intanto, era rimasta ferma, con la bocca mezza aperta. 

Cominciò a baciarla, spingendola verso un tavolo, su cui lei si sedette poggiando i piedi su una delle panche. 

In quel bacio, Hermione si sentí rinascere e sorrise mentre lui continuava a baciarla, come se avesse avuto bisogno di ossigeno. 

Ripensò ai silenzi che li avevano divisi, alle parole che lei aveva scritto, pensando che sarebbero state inutili, che non sarebbero bastate a spiegargli quanto le fosse mancato in quei giorni. 

-Mi manchi.- ricordò quella notte, fuori alla porta della Stanza delle Necessità, quando lo aveva detto a Ron, prima di sapere che dietro quei occhi grigi non c'era davvero Draco. Quella notte l'aveva detto per la prima volta ad alta voce, ma non a lui. 

E Draco continuava a baciarla. 

Gli sembrò di tornare a respirare, mentre lei gli passava le mani tra i capelli e lasciava scivolare qualche ciocca sulla fronte, avvicinandosi sempre di più. 

Avrebbe voluto fermare il tempo e restare lì per sempre. 

Si rese conto, in quel momento, di quante volte aveva mentito a se stesso, nascondendosi dietro quella facciata di indifferenza. 

-Non ho mai detto di amarla. 

Le poggiò una mano dietro la schiena, toccando ogni centimetro di pelle nuda, attirandola a sé, e con l'altra le accarezzava il fianco coperto dalla stoffa nera, fermandosi al bordo del reggiseno e lei prese a sbottonargli la camicia. 

Si sistemò tra le sue gambe, senza staccarsi, mentre il vestito le si era ripiegato sui fianchi. 

La bocca di Hermione sulla bocca, sul collo, sulle spalle, i suoi sospiri nelle orecchie, le mani ovunque e la cintura dei pantaloni quasi del tutto slacciata. 

-Di cos'hai paura? 

-Del dopo. 

Poi, d'improvviso si allontanò da lei, lasciandola con il fiato corto, le guance arrossate, le labbra gonfie. 

Si coprí il viso con le mani. -Perchè?-  la guardò con gli occhi pieni di rabbia. -Perchè mi fai questo? 

-Ma, i… 

-I.. io perdo sempre il controllo quando ci sei tu e non lo voglio, non voglio perdere il controllo. 

-Draco… 

-Vattene via. 

-Draco, io non… 

-VATTENE VIA. 

Si era accasciato su un tavolo, con le mani sul legno e il respiro affannato, i capelli davanti agli occhi. Hermione gli aveva poggiato una mano sulla schiena. -Io ti amo. 

Tre parole, un sussurro e il rumore dei tacchi sul pavimento sempre più lontano. 

Lì, da solo, Draco si concesse di piangere: si sentí spezzato a metà perché quello che avrebbe da sempre voluto sentirle dire era quello che gli aveva detto ed era stato il più bel regalo di Natale di tutta la sua vita. 

Una stilettata al cuore, un pugno allo stomaco. 

Un dolore paragonabile a quello che gli aveva inflitto Harry Potter qualche anno prima, scagliandogli contro la maledizione del Sectumsempra. 

-Io ti amo. Quella frase risuonava all'infinito nel suo cervello. 

Avrebbe voluto dirle che anche lui, anche lui l'amava, che era stato un idiota a starsene fermo mentre il mutismo che si era imposto li allontanavano. 

Avrebbe voluto dirle che la voleva ancora, che la voleva sempre, che, se avesse potuto, non si sarebbe fermato. 

Sì alzò, correndo veloce verso la porta della biblioteca, con la speranza di trovarla lí a piangere con le mani sugli occhi e le ginocchia tirate al petto: l'avrebbe abbracciata e baciata ancora, l'avrebbe portata su quel tavolo per spogliarla, avrebbe fatto l'amore con lei. 

Ma lei non c'era. Silente non aveva ragione: gli incubi non finivano quando si aprivano gli occhi, perché adesso era sveglio, aveva gli occhi aperti e Hermione non era accanto a lui. Sentí il cuore fermarsi nel petto. 

Si lasciò scivolare contro il muro e il nodo che sentí in fondo alla gola si trasformò nella risata più triste mai uscita dalla sua bocca. 

-L'ho già toccato il fondo. 



°°° °°° °°° 

Angolo Autrice:

Caro lettore,prima di tutto Buona pasqua e benvenuto alla fine di questo capitolo.

È un periodo particolare e difficile per tutti ed io mi auguro che tu sia accanto alle persone che ami e che passi una bella giornata. 

Nel frattempo, ti lascio questo capitolo come regalo di Pasqua. 

Spero che ti sia piaciuto e spero di poter leggere un tuo commento. 

A presto, Exentia_dream2
















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Capitolo 3
*** 25 Dicembre ***


25 dicembre:



Avrebbe potuto tranquillamente smaterializzarsi nella sua casa a Londra, come avevano fatto Harry e Ginny per arrivare nel minor tempo possibile alla Tana, ma preferí salire sull'Espresso di Hogwarts ed arrivare alla stazione di King's Cross: aveva bisogno di vedere i paesaggi cambiare e Hogwarts allontanarsi, di vedere che lei stava andando via da quel posto, da quei ricordi, da quel dolore. 

Si era seduta in una cabina vuota ed aveva  cominciato a guardare fuori dal finestrino, chiedendosi quanto quelle ore di viaggio l'avrebbero aiutata a smaltire la tristezza. 

Sentiva ancora sulla pelle e sulla bocca i baci che Draco le aveva lasciato la notte prima e avvertiva una morsa allo stomaco ogni volta che ci ripensava: non aveva chiuso occhio tutta la notte, credendo di aver versato tutte le lacrime che aveva in corpo. 

-VATTENE VIA. 

-Io ti amo. 

Prese dalla borsa il diario su cui scriveva i suoi pensieri, rendendosi conto che, di punto in bianco, non aveva scritto più di lei, di lui, di loro. Guardò la data e capí che aveva smesso nel momento in cui si erano incontrati nell'ufficio del Preside, quando Harry aveva scoperto che era stato Ron ad allontanarli: lei aveva smesso e loro erano iniziati. 

Sfogliò ancora le pagine a cui tante volte aveva chiesto conforto, a cui tante volte aveva confessato le sue paure, a cui tante volte aveva confessato la sua confusione sui sentimenti che provava per Draco. Leggeva il suo nome scritto ovunque e poi pagine e pagine su cui non c'erano altro che righe, nient'altro. 

Ricominciò a piangere: non c'era più niente che parlasse di lui, di loro, tranne nel suo cuore. 

Ripensò al tempo che era passato da quando si erano baciati per la prima volta, al buio. 

-Che cazzo ne sai tu di quello che potrei fare io, eh?

-Sei solo capace di fare del male.

Sembrava passato un solo giorno da allora e, invece, era appena la fine di settembre. E ne erano passati di soli e di lune su quel giorno ed era quasi Natale. 

Sentí il freddo più freddo che avesse mai provato, si strinse nella sciarpa, nascondendosi dal panorama grigio che dai finestrini non faceva altro che ricordargli lui: riviveva in ogni particolare quello che era successo nella biblioteca della scuola, mentre Draco la baciava, la odorova, la toccava e lei lo stringeva a sé per non farlo andare via. Si chiese cosa lo avesse fatto fermare, cosa lo avesse allontanato di nuovo da lei. Gli era servito davvero così poco per lasciarla? Gli era servito davvero così poco per tornare ad essere quello di prima che la evitava, che la teneva a distanza, che non la voleva addosso? 

Chiuse gli occhi, lasciando che le lacrime le rigassero il viso. 

Sentiva nella bocca il sapore amaro del niente, forse le avrebbe fatto bene un po' di cioccolato e si girò verso il corridoio del vagone, poi decise che avrebbe preferito dormire e restò seduta. 

Anche ad occhi chiusi, continuava a vedere Draco, senza smettere di piangere e sperando che quel pianto portasse via i suoi ricordi e la sua immagine. 

Avrebbe voluto essere capace di mettere in pausa il battito del suo cuore, di mettere un freno a quei sentimenti che sembravano correre sempre e solo nella stessa direzione, ma, si disse che se avesse saputo farlo, forse, non lo avrebbe fatto. 

Il dondolio del treno sui binari sembrava volerla cullare. Si lasciò andare. 




-Harry, Ginny, finemente siete arrivati.- li salutò Molly, abbracciandoli forte e dando loro un bacio sulle guance. -Quanto sei cresciuta, figlia mia. Venite, su, entrate: Ron è già qui. 

Harry abbassò gli occhi al suolo, poi sorrise. -Salve, signora Weasley. 

-C'è qualcosa che non va, caro? 

-Oh, no… Va tutto bene, davvero. 

Quando entrarono in casa, Harry notò la tavola imbandita e le pentole che bollivano, mentre una sac à poche stava decorando una bellissima torta. 

Ginny, invece, si allontanò con la madre, salendo le scale. 

-Mamma, c'è una cosa che dovresti sapere.- le disse, guardandola negli occhi. -Harry avrebbe preferito che non te ne parlassi, però, beh, io credo che sia meglio che tu lo sappia… 

-Va bene. 

-È una storia un po' lunga… 

-Abbiamo tutto il tempo di questo mondo, il pranzo si prepara da solo.- e sorrise. 

Quando la ragazza però cominciò a raccontare, il sorriso di Molly si affievolí lentamente. 

Ginny le aveva raccontato di come e perché Ron aveva deciso di chiudere la storia con Hermione e di quanto tempo ci fosse voluto prima che i due ricominciassero a salutarsi. Le raccontò che Hermione era stata per un'intera settimana chiusa in un dormitorio insieme a Draco Malfoy ed aveva pianto fino allo stremo prima di capire quello che provava per il ragazzo e, Ron, il suo dolce Ron, invece aveva fatto di tutto per allontanarli. E si era allontanato da Ginny e da Harry e, ormai, non si parlavano più. 

Molly provò un forte senso di colpa che le riempí gli occhi di lacrime, perciò Ginny l'abbracciò. -Mamma, io ho chiesto a Harry di parlare con Ron, stai tranquilla. 

-Non è questo, Ginny. Mi sento profondamente triste per tuo fratello in questo momento: ho cresciuto tutti voi con amore, insegnandovi il rispetto verso le persone e i loro sentimenti, perché Ron ha fatto questo? Non è da lui, lui non… 

-Io credevo che fosse ancora innamorato di Hermione, ma poi l'ho visto più di una volta insieme ad una ragazza di Corvonero e, nel frattempo, continuava a prendere la Polisucco. Probabilmente penserà che io non gli voglia più bene, ma non è così: mi manca tanto, mamma, ma ho cercato di fare la cosa giusta per tutti. 

-E lo hai fatto e sono molto orgogliosa di te. Spero solo che adesso Ron abbia imparato la lezione: io vi amo e vorrei che tutti voi foste felici. E tu in questo momento lo sei, vero? - aspettò che la figlia annuisse, le stampò un bacio sulla fronte e tornò in cucina. 

Ginny rimase da sola, seduta sul suo letto e, quando Harry la raggiunse, lo abbracciò forte. 

-Le ho raccontato tutto. 

-Ma perché? È già abbastanza imbarazzante così, Ginny, perché hai dovuto mettere in mezzo anche Ron?

-Stai litigando con me, Harry? 

-No. È solo che non voglio che la situazione diventi più difficile di com'è. 

-Non lo diventerà, credimi. Fidati di me.

-Ok.- la prese per mano e la invitò senza parole a ballare con lui. 

Ginny appoggiò la fronte a quella di Harry: 

aveva la sensazione che lui fosse la sua unica certezza, la sua bussola, il suo faro nel buio, sempre. 

Lo baciò, poi tornò in cucina tenendolo per mano. Salutarono il resto della famiglia e Ron, che non rispose a nessuno dei due. 

Ginny si soffermò sulla figura del padre: aveva ormai tanti capelli grigi, le rughe sul viso, le esperienze belle e quelle brutte raccontate negli occhi e il perenne sorriso di un bambino.




-Allora che ne pensi?- gli chiese Blaise. -Per te va bene? 

Draco guardava fuori dal finestrino del treno e il panorama era più o meno sempre uguale. 

Si era seduto in uno degli ultimi vagoni, aveva visto Hermione, invece, andare verso uno dei primi: camminava veloce, come la sera precedente, come a volersi allontanare quanto più possibile da lui. 

Poi si voltò verso l'amico. -Cosa? 

-Davvero? Davvero non hai sentito niente di quello che ho detto?

-No. 

-Ma come? Ti sto parlando da almeno mezz'ora, ho iniziato prima ancora di salire sul treno. 

-Ero distratto. 

-Sì, beh, non era importante. Piuttosto, dove sei stato stanotte?

-Nella torre. 

-Grifondoro? 

Gli regalò, in uno sguardo, tutta la rabbia che aveva in corpo. -La torre di Astronomia, idiota. 

Blaise sorrise triste. -C'era un bel cielo. 

-Sì, bello. - aveva provato a contare le stelle per allontanarsi dai suoi errori, ma non ce l'aveva fatta: il ricordo di quello che era successo poche ore prima in biblioteca viveva davanti a lui come un film.

Aveva pensato di andare in guferia, chiederle di raggiungerlo, vederla ancora. 

-Io ti amo. Poi, aveva deciso che allontanarsi da tutto lo avrebbe aiutato a spegnere l'orgoglio, la rabbia o, almeno, il cuore. 

Non era servito: aveva guardato verso il cielo, facendo nascere in lui tanti perché, tanti come, tanti quando, tanti se. 

-Non dovresti stare qui con me. 

-E dove? 

-Dov'eri ieri. 

-Alla torre, te l'ho già detto. 

-Con la Granger, ovunque siate stati ieri notte. 

Draco scosse il capo, poi Blaise gli allungò un piccolo foglio piegato a cui era legato un nastrino rosso. -Cos'è? 

-Un biglietto dei desideri.- Draco alzò un sopracciglio. -È suo. 

-Che me ne faccio?

-Almeno leggilo.- disse, raccontandogli poi che, la sera della festa, aveva visto Hermione precederlo nella Sala Grande, avvicinarsi all'Albero dei Desideri e apporre il biglietto: lo aveva preso lui subito dopo, aveva creduto che quello sarebbe stato un bel regalo di Natale da fargli. 

Draco accarezzò il nastro rosso, rigirandosi la carta tra le mani: per aprirlo gli sarebbe servito un coraggio che lui non aveva, perciò lo mise nella tasca dei pantaloni. -No.

Quando il treno cominciò a rallentare la corsa, Draco e Blaise presero le loro borse e si avviarono verso le porte. -Potresti accompagnarmi? 

-Mh? 

-C'è Pansy più avanti e io e lei passeremo il natale insieme, sai, le famiglie, l'amicizia… 

-Va bene. 

Percorsero il corridoio in silenzio, e, quasi senza accorgersene, Draco guardò in ogni vagone con la speranza di trovare Hermione. 

Quando la vide, addormentata, avvolta nella sciarpa, fece scivolare la porta e le si sedette accanto: aveva il viso rigato dalle lacrime e da qualche residuo di mascara. -Granger. Hermione.- la scosse, lei rimase ferma, con gli occhi chiusi. Le fece ombra con il proprio corpo, poi le lasciò un bacio appena accennato sulle labbra. -Dobbiamo andare, dai, vieni.

Ma lei non si mosse e lui uscí, richiudendo la porta del vagone. 




-Adesso chiudi gli occhi.- le disse guidandola verso il Lago Nero. 

Theo e Daphne avevano deciso di restare a Hogwarts: da quando suo padre era stato catturato e rinchiuso ad Azkaban, infatti, Theo festeggiava il Natale in un luogo sempre diverso, sempre in solitudine e, quando Daphne gli aveva proposto di passare quei giorni lì con lei, non aveva potuto far altro che accontentarla. 

La attirò verso di lui, dandole un bacio sulla tempia, la fece girare su se stessa e poi si allontanò da lei. 

Le disse di aprire gli occhi e Daphne lo fece: aveva davanti un albero dalla corteccia con intrecci molto particolari che creavano ad un certo punto una sorta di ripiano su cui faceva bella mostra di sé una scatolina argentata da cui sembravano uscire delle scintille: la prese e l'aprí trovando all'interno due anelli sottili, perfettamente identici su cui Theo aveva fatto incidere in una lingua straniera la parola sempre. 

Le stava raccontando di averli fatti comprare da Blaise, in quei giorni in cui l'amico era tornato a casa, di aver pensato che magari non le piacessero e che, in quel caso, poteva comprarle qualche altra cosa. 

Daphne rimase con la scatolina aperta e guardò ancora gli anelli con emozione, mettendo subito la più piccola al dito. Portò le mani alla bocca, provando a non piangere. -Posso? - chiese prendendo l'anello più grande. Le si disegnò in mente una delle scene che aveva letto in un romanzo rosa qualche anno prima, quando l'amore per lei erano un principe e una principessa che si innamoravamo.

Con il tempo aveva capito che i principi non erano sempre a groppa di un cavallo bianco e che le principesse, spesso, non avevano occhi che per se stesse e in quel preciso istante, mentre la neve che cominciava a cadere e il freddo, o l'emozione, le faceva tremare le mani, si sentí fortunata. 

-Devi. È solo un piccolo simbolo, Daph… 

-Shhh. È perfetto. È tutto perfetto. 

Dopo, entrambi si guardarono le mani: due sottili fili che segnavano l'appartenenza dell'uno all'altra, per sempre. 

Ed era proprio quello il tempo che avrebbe voluto trascorrere con lui. 

Daphne si avvicinò ancora, lo abbracciò forte: le sembrava di non riuscire a trovare le parole per esprimere la gioia che sentiva esploderle nel petto, poi si ricordò del regalo che aveva lasciato nel suo baule, prese Theo per mano e lo riportò nei sotterranei. 




Quando arrivò a casa, Hermione abbracciò forte i suoi genitori. -Hai l'aria stanca. 

-Sì, è stato un viaggio pesante, mamma. 

-Su, vai a farti un bel bagno caldo. Rilassati un po' prima di cena. 

Annuí e si avviò per le scale, raggiungendo il bagno e aprendo l'acqua calda per riempire la vasca. 

Si guardò allo specchio che rifletteva un'immagine di lei distrutta, con gli occhi infossati nelle occhiaie e nelle lacrime che aveva pianto. Poi, il vapore nascose il suo riflesso. 

Aveva creduto che tornare a casa l'avrebbe aiutata e, invece, tornare, guardare l'albero che quell'anno era stato addobbato con palline e luci verde e argento, la fece sentire ancora più triste. Guardò in alto per non piangere ancora. 

Quando sentì aprire la porta del bagno e vide sua mamma sedersi su una piccola panca in legno, Hermione si rese conto di essere scivolata in un sonno senza sogni. 

Le sorrise. -Come stai, mamma? 

-Molto bene, tesoro. E tu?

-Sono solo molto stanca. -le rispose, abbassando lo sguardo sulle bolle di sapone che le solleticava la pelle. 

-E quegli occhi tristi? C'entra un ragazzo? 

Non seppe mentire. -Però, adesso è tutto passato. 

-Non puoi, Hermione, non puoi pensare che io ti creda. Ti aspetto in cucina. 

Quando fu di nuovo da sola, si permise di piangere, di lasciarsi andare completamente a quel dolore e alla sensazione di vuoto che aveva avvertito in treno, quando aveva aperto gli occhi e si era trovata da sola: lui non c'era quando aveva aperto gli occhi, non lo aveva visto nemmeno dopo essere scesa dal treno e, nonostante questo, era sicura che lui le avesse parlato. Lo aveva sentito ed aveva sentito quel bacio, l'odore dell'inverno, la sua voce, o forse era stato solo un sogno. 

Si toccò la bocca, poi si avvolse nell'accappatoio e si sedette sulla panca dove poco prima era seduta sua mamma. 

Si guardò le gambe, immaginò  Draco mentre le accarezzava, che si incastrava tra loro, come la sera precedente, quando lei aveva creduto che tutto potesse tornare come prima di quel silenzio, quando lei aveva creduto che, finalmente, avrebbero fatto l'amore. 

Quella notte le sembrò infinita: aveva dormito poco e male, sentiva la testa pulsare forte, gli occhi pesanti. 

Quando guardò per l'ennesima volta la sveglia sul comodino, le lancette segnavano le quattro. Fuori era buio. 

Il mattino dopo, Hermione si svegliò molto presto, ma decise di rimanere a letto: sentiva di non avere la forza di sorridere. 

Il Natale non le stava portando la gioia che aveva sperato, i ricordi non si erano allontanati insieme all'immagine di Hogwarts, il dolore non fingeva nemmeno di vestirsi da allegria. 

Si vestí comunque, trascinando i piedi sul pavimento, scendendo le scale, evitò di guardare l'albero addobbato e si avvicinò al divan dove i suoi genitori erano già seduti pronti a darle i regali. 

Uno in particolare, però, attirò la sua attenzione. -Quello?- chiese indicandolo. 

-Ah sì, beh, l'ha portato qui un bel ragazzo alto, con i capelli scuri. È tuo. 

-Un ragazzo? 

-Sì. Che aspetti? Aprilo. 

-Vado in camera, mamma. Preferirei stare da sola.- così si avviò di nuovo per le scale, risalendole in fretta. 

Si appoggió sul letto, provò a fare respiri più profondi: non voleva che la delusione le spezzasse il fiato, non voleva sentire i polmoni e lo stomaco chiudersi. 

Sentí il tremore nelle mani farsi più forte, riuscendo con fatica ad aprire la piccola scatola: al suo interno trovò un piccolo origami rosso a forma di fiore che si muoveva come se fosse stato accarezzato dal vento e al centro di cui era sistemata una collana sottile con un ciondolo dorato a forma di cuore. 

Aveva gli occhi umidi e, quando sollevò la collana, notò una piccola incisione: Mia, tuo. 

Scoppiò in lacrime, maledicendo il giorno in cui quelle parole avevano smesso di essere vere. 

Maledisse i baci, gli sguardi, gli abbracci, il suo sorriso e la sua risata, i silenzi, la rabbia, le paure, i passi in avanti e, soprattutto, i passi indietro. 




Malfoy Manor era più tetro che mai: erano pochi gli addobbi che Narcissa aveva deciso di esporre a causa di Lucius che, da quando il Signore Oscuro aveva perso la propria causa, aveva cominciato ad odiare il mondo intero. 

Draco restò chiuso nella sua stanza, portando a sé, grazie ad un colpo di bacchetta, un paio di bottiglie di buon whisky. 

Aveva gli occhi rivolti al soffitto e sentiva la rabbia crescergli nel petto ogni volta che ripensava a suo padre, alle parole che gli aveva rivolto, al disprezzo con cui lo aveva guardato: quando Draco si era seduto al tavolo, in qualche modo aveva trovato il coraggio di confessare il suo amore per Hermione Granger e Lucius gli aveva vomitato addosso tutta la delusione e il disgusto che provava nei suoi confronti, arrivando a puntargli la bacchetta contro. -Preferirei vederti morto piuttosto che con una mezzosangue. 

-Lo preferirei anche io, avanti, fallo.- aveva urlato, aprendo le braccia per lasciare il corpo libero. 

Narcissa si era intromessa, aveva allontanato il marito, urlandogli contro la sua infelicità: tanti anni incastrata in un matrimonio che non aveva mai voluto con un uomo che non aveva mai amato. 

Draco, nel frattempo, aveva girato le spalle a quelle urla: aveva bisogno di tutto ciò che in quella casa non avrebbe mai trovato. 

Si sentiva sull'orlo del baratro, con il pensiero sempre fisso a quella notte in biblioteca e la speranza che Hermione avesse trovato il suo regalo. Si chiese dove fosse, con chi, cosa stesse facendo. Si chiese se avesse sorriso… 

Anche lui come Theo aveva chiesto aiuto a Blaise: nel momento in cui aveva saputo che l'amico era a Londra, decise che gli avrebbe mandato un gufo e lo fece la sera stessa. 

Il lampo che illuminò la stanza lo fece tornare alla realtà di casa sua. 

Aveva salito le scale, stendendosi di peso sul letto ed aveva chiuso il mondo fuori. 

Rimase giorni chiuso lí, con la perenne sensazione di essere vuoto, di non avere più il controllo sui suoi pensieri e sui suoi sogni. Ogni notte vedeva il suo viso che gli sorrideva, gli occhi riempirsi di lacrime. -Io ti amo. 

Si svegliava, si passava una mano tra i capelli e il suo viso scompariva, insieme al suo sorriso, insieme alle sue lacrime. 

Biascicava parole senza senso, guardava le bottiglie di whisky ormai vuote, ricordava il sapore della bocca di Hermione, il suo odore, -Girasoli, grano, estate… Odore di Nutella e shampoo alla pesca, le sue mani, la sua paura, il suo orgoglio, le sue parole, i suoi silenzi. 

Quando bussarono alla porta, voltò leggermente la testa. -Avanti. 

-Draco.- Era strano per lui che Narcissa fosse lí, perché di solito il pranzo o la cena a cui lui si rifiutava di partecipare veniva annunciato da un elfo domestico di cui non ricordava il nome. -Forse, dovremmo parlare. Di tutto. 

-Cosa vorresti sentirti dire? Che non è vero? Che non la amo?- la donna restò in silenzio. -Se è così, puoi anche andare via. 

-No, vorrei sentirti dire che proverai a creare l'occasione per essere felice. 

-E se l'avessi già sprecata? 

-Potrai crearne un'altra, se è davvero quello che vuoi. Non è un sentimento facile, l'amore, non dopo l'odio, non dopo il disprezzo. Meritiamo tutti di essere felici, Draco, e lo meriti anche tu. Se vuoi, se puoi, provaci. 

-Credo sia tardi. 

-Non lo è mai. Quando si ama, l'ultima possibilità è sempre la penultima. 

-Mh… 

-Ho fatto un viaggio bellissimo, tanto tempo fa… Non sono mai più veramente tornata da quel posto. 

-Dove sei stata? 

-Nel cuore dell'unica persona che io abbia mai amato. 

Continuò a guardare il soffitto, finché Narcissa non lo lasciò solo. 

Non aveva ricevuto nessun regalo di Natale, non aveva né pranzato né cenato insieme ai suoi genitori, non aveva più visto la luce del giorno se non attraverso le finestre, quando si affacciava per guardare il giardino e trovare un motivo per uscire dalla sua camera. Non ne trovava mai uno valido o non voleva trovarlo. 

Ripensò a Hermione, alla guerra che gli era scoppiata dentro quando aveva capito che amava averla intorno e odiava vederla allontanarsi: non voleva, aveva paura di farlo, eppure la lasciava sempre andare, come se, facendolo, accettasse le sue spalle, i suoi addii. 

Si sentí triste e, in quel momento, sentí forte l'impulso di leggere il biglietto che gli aveva dato Blaise sul treno, mentre lui guardava fuori e nella sua mente riviveva l'ultimo bacio che le aveva dato, le ultime parole che lei gli aveva detto.

-Io ti amo. e in quel momento, più che mai, capí di essere innamorato. Innamorato e solo. 

Chissà cosa gli avrebbe detto, invece, vedendolo in quello stato: ridotto uno straccio, con gli occhi rossi, l'andatura di un ubriaco, mentre evitava di giudicarsi e di vivere. 

Si alzò, rovistando nelle tasche del pantalone e, quando lo trovò, sentì il coraggio evaporare. 

Guardava quel piccolo foglio di carta, lo accarezzava. 

Quali parole avrebbe letto? Quali parole avrebbe voluto leggere? 

Lo aprí, sciogliendo lentamente il nastro a cui era legato. Chiuse gli occhi, toccando la carta stropicciata, come a voler sentire prima con le mani. Sentiva il cuore salirgli in gola, il battito accelerato. Sentiva, più di tutto, il peso dei suoi desideri e la paura che comportavano. 

Quando però aprí gli occhi, il suo cuore smise di battere: una sola parola, sei lettere, niente più. Sorrise. 

Ancora, sí, ancora. 




Angolo Autrice:

Caro lettore, benvenuto alla fine di questo capitolo, per me molto importante: è stato difficile scriverlo, davvero, ma ne sono abbastanza fiera e spero che possa piacere anche a te. 

Sarei davvero contenta se tu recensissi, scrivendo ciò che pensi: per chi scrive, conoscere il parere di chi legge è davvero fondamentale, perciò… 

Ti ringrazio di essere arrivato fin qui. 

A presto, Exentia_dream2



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Capitolo 4
*** Davanti a una tazza di tè ***


Davanti a una tazza di tè. 



Questo capitolo è dedicato

 ad una bimba a cui ho voluto un bene dell'anima, che è cresciuta 

ed è diventata una donna

 a cui voglio ancora più bene.

A te, piccola GiusyDev. 

Blaise, come regalo di Natale per se stesso, aveva deciso di acquistare un appartamento nel quartiere londinese di Mayfair: era passato di lí durante i giorni in cui era stato lontano da Hogwarts poiché Theo e Draco gli avevano commissionato l'acquisto dei loro regali di Natale e lui era entrato in una piccola gioielleria di cui conosceva il proprietario. 

Marcus Flitt, ad un certo punto della sua vita, si era appassionato all'arte dell'oreficeria, inaugurando poi la sua nuova attività un paio di anni dopo aver lasciato la scuola di magia e stregoneria e invitando più volte Blaise, perciò quando lo vide entrare lo salutò con un sorriso e una pacca sulla spalla. -Ben arrivato. 

-Ti sei sistemato bene. 

-Questo posto mi dà belle soddisfazioni. 

Blaise si sentí a casa, perciò subito dopo si incamminò per Mount Street: gli sembrò un segno del destino e l'acquisto di quell'appartamento gli risultò facile e veloce: arredato con gusto, con i toni del grigio e del faggio, tre camere da letto, tre bagni e un immenso open space che terminava con una finestra a mezzo esagono con il davanzale sporgente su cui erano poggiati dei cuscini. Fu quello il particolare che lo colpí maggiormente, perché avere una finestra sul mondo babbano era sempre stato uno dei sogni più grandi. 

Sì, quella sarebbe stata casa sua e ogni volta che tornava lì sentiva di essere in pace con tutto quello che lo circondava, infatti, il giorno dopo Natale era corso tra quelle mura. Guardandosi intorno, però, si era reso conto che mancava qualcosa: una sorta di tocco personale, di calore. Decise che avrebbe appeso alle pareti dei quadri, delle fotografie e magari avrebbe riempito qualche vaso con dei fiori. 

Aveva appena poggiato i piedi sull'asfalto quando gli passarono davanti agli occhi molte persone che si tenevano per mano o che camminavano abbracciandosi e si accorse di sentirsi solo: aveva una casa tutta sua, un bel corpo e un bel viso, ma nessuno che gli riempisse le giornata, così decise di rientrare. 

La sua attenzione fu attirata da una piccola insegna rotonda, contornata da un disegno di fiori nelle varie tonalità del bianco e del rosa al centro di cui faceva bella mostra di sé la scritta 'Flowers tea'. 

Come all'esterno, le pareti interne richiamavano i colori dell'insegna e dal soffitto pendevano numerosi glicini. Il locale era vuoto e su ogni tavolino, circondato da poltroncine chiare, c'era un vassoio rettangolare dentro cui erano stati sistemati vari di tipi di fiori. 

Il suo ingresso fu accompagnato da un tintinnio di qualche campana a vento. 

-Buongiorno, benvenuti al Flowers tea, al momento non siamo aperti al pubblico. 

Si voltò verso quella voce e gli si bloccò il respiro in gola. 

Si guardarono per un tempo che ad entrambi parve infinito. 

-Aria…- fu quasi un sospiro. -ciao. 

Lei abbassò lo sguardo. -Sei sparito. 

Blaise non rispose, si limitò ad annuire. Il silenzio tra loro sembrava pesare più del segreto che lui non aveva potuto confessarle, più del ricordo di quell'unica notte. -Mi dispiace. I-io non… come stai? 

-Me la cavo. 

-Questo posto è bellissimo. 

-Sì, beh, mancano ancora gli ultimi ritocchi, poi finalmente potrò aprire. La settimana prossima farò una piccola inaugurazione. 

-Come funziona? 

-Vieni con me, ti faccio vedere. 

Lo portò al centro del locale dove una decina di sgabelli chiari circondavano una grande isola, dietro cui lei cominciò a muoversi. 

Blaise aveva dimenticato i quadri e i vasi che voleva comprare per riempire e rendere più calde le mura del suo appartamento, aveva dimenticato la gente che aveva visto e la sensazione di solitudine che lo aveva investito poco prima: gli erano bastati pochi passi per ritrovare quello che aveva amato di più al mondo e che aveva creduto di aver perso.

Poi lei gli mise davanti alle mani una teiera di vetro piena d'acqua a cui aveva aggiunto dei fiori, lo zucchero e il miele, si era appoggiata al bancone di legno, le mani incrociate sotto il mento, in attesa forse che i fiori finissero l'infusione o di qualche parola. 

-Aria, volevo dirti… quella sera… 

-Perchè? 

-Non è come credi, ci sono cose difficili da raccontare e tu… 

-C'è un'altra? 

-No, non c'è un'altra, non c'era nemmeno l'estate scorsa… 

-Che ci fai qui? 

-Ho comprato un appartamento in questa strada. 

-Oh, proprio in questa strada? 

-Proprio di fronte. E ora ne sono più contento che mai.- le sorrise. -Darò una festa a Capodanno, vorrei invitarti. 

Lei non rispose, gli versò il tè in una tazza e lo guardò. -Com'è? 

Era buono, gli si riempí la bocca di un sapore dolce, piacevole, caldo. -Perfetto. 

-È come fare una magia: guardare le persone, provare ad indovinare i loro gusti, vedere la sorpresa sui loro visi… É magico. 

-Sì, lo è. 

Quando si fermò sulla soglia di casa, Blaise capí che quella finestra di cui si era immediatamente innamorato sarebbe stato il suo posto nel mondo: si sarebbe seduto su quei cuscini a guardare la piccola sala da tè sul marciapiedi di fronte, con la speranza di vedere lei. 



Apatica, senza forze per reagire, con la mente sempre ferma sulle sue ultime parole. 

Guardava la collana che teneva tra le mani, combattuta tra la voglia debole di buttarla via e quella prepotente di legarla al collo, per tenere fermo sul cuore quella promessa che era arrivata troppo tardi: si chiese quanto tempo prima Draco le avesse comprato quel regalo e perché. 

Le si riempirono gli occhi di lacrime al pensiero che  lui non sapesse nemmeno il significato di quelle parole che aveva fatto incidere. 

Mia, tuo e forse non si erano mai appartenuti o forse era successo tutto troppo in fretta e ripensò ai baci nel dormitorio, all'obbligo e verità, alle sue mani, alla partita di Quidditch e alle sue spalle, alla sua rabbia. 

Quando sua madre entrò nella camera, le sorrise. -Ti ho portato una tazza di tè… 

Hermione aveva ancora gli occhi sul ciondolo, provava a trattenere il pianto. -Grazie. 

-Ti va di parlarne? 

Scosse il capo: a cosa sarebbe servito? Cosa le avrebbe dovuto raccontare? Non si sentiva pronta a dare voce a quel dolore, a renderlo ancora più vivo. 

Bevve piano, le lacrime che le rigavano le guance. Era stanca, arrabbiata. -Le cose belle finiscono sempre. 

-Non è vero. A volte, hanno solo bisogno di attraversare il buio. Altre volte, invece sì, finiscono. 

-Sì. 

-Lo so come stai, bambina mia: ti senti come se ti avessero strappato il cuore dal petto e fa male… 

-Fa maledettamente male. 

-Ma si vive lo stesso. Ti racconto una storia.- le prese la collana dalle mani e la poggiò sul comodino, poi si stese affianco a lei. 

Le raccontò che da giovane, alla sua età, aveva amato follemente ed era stata felice ed aveva sofferto quando lui era andato via. -Chi era? 

-Fammi finire.- Continuò dicendo che lui l'aveva lasciata perché non si sentiva né in grado né pronto ad amarla. -Ho sempre creduto fosse una bugia, forse ho pianto tutte le mie lacrime. Ho giurato a me stessa che non mi sarei più innamorata, che non avrei sofferto e l'ho fatto, ho mantenuto quel giuramento. Però, qualche anno dopo, ci siamo incontrati ad una rimpatriata universitaria e ho capito che non l'avevo mai dimenticato davvero. Non lo aveva fatto nemmeno lui, ma mi sentivo ancora molto ferita. Mi ha corteggiato per mesi interi, ha fatto di tutto per riconquistare la mia fiducia: mille regali e lettere e una dichiarazione d'amore nello studio dentistico in cui ho lavorato tanto tempo. Non si è mai fermato, mai arreso. A volte pensavo che sarebbe stato meglio non averlo incontrato di nuovo: lo trovavo in qualunque posto andassi, ha addirittura corrotto una delle mie migliori amiche per vedermi. Mi infastidiva, ma ne ero pure contenta, perché stava dimostrando di volermi bene davvero. Ho provato a dargli un'altra possibilità. 

-Cos'è successo? 

-Con il senno di poi, avrei sprecato meno tempo a farmi rincorrere e ne avrei dedicato di più a lui… quando gli ho detto che saremmo potuti tornare insieme e l'ho guardato, stava per piangere e poi…

-Poi?

-Vedi questo anello?- le chiese, mettendo in mostra la fede nuziale. -Mi ricorda ogni giorno la sera in cui ci siamo amati di nuovo e mi parla, mi dice che ho fatto bene a dargli di nuovo fiducia. 

-Era papà? 

-Sì. Credevo di non rivederlo mai più e ora, invece, me lo ritrovo sempre davanti ai piedi. 

Hermione sorrise: non aveva il coraggio di immaginare un futuro tanto lontano, ma desiderava far smettere quel dolore che le martellava la testa e il cuore, anche senza lieto fine. Le bastava solo che finisse il dolore. 

Quando rimase da sola, guardò la tazza che teneva ancora tra le mani: il tè si era raffreddato, ne aveva bevuto appena un sorso: aveva la sensazione che lo stomaco si fosse piegato su se stesso, un vuoto che non poteva essere riempito con il cibo, e non le piaceva. 

Posò la tazza sul comodino, accanto alla collana e la guardò un'ultima volta e sentí forte la voglia immediata di andare a cercare Draco e abbracciarlo forte, fortissimo, ma rimase immobile. 

-Vattene via. 

Ripensò alle parole che Silente aveva detto durante l'ultimo pranzo prima delle feste di Natale e desiderò davvero rendersi conto che tutto quello era solo un sogno, invece, quella realtà la stava schiacciando al suolo e la faceva sentire debole, in apnea e, come aveva detto sua mamma, con il cuore fuori dal petto e faceva male. 




-Ciao.- Harry era fermo, appoggiato allo stipite della porta. Ron lo guardò appena, distogliendo subito gli occhi. -È stato proprio un bel Natale, vero? 

-Non sono in vena di parlare, soprattutto con te. 

-Va bene.- se ne andò lasciandolo solo, poi si chiuse la porta alle spalle. 

Ginny lo guardava. -Niente da fare.

-Cosa gli hai detto? 

-Non molto, in realtà, non aveva voglia di parlare. 

-E ti sei arreso subito, Harry Potter? 

-Ho fatto il primo passo. 

-Hai fallito miseramente.- Ginny sorrise. 

-Merito comunque il mio premio. 

-Niente affatto. 

-Oh sì, invece: ho cominciato la mia impresa…

-Senza portarla a termine.

-Non era questo il patto.- e la stese sul letto, facendole il solletico. -Su, adesso dammi il mio premio. 

Così Ginny gli diede un bacio leggero sulle labbra. -Eccolo. 

-Merito davvero così poco? 

-Per adesso sì.- e si alzò dal letto. 

-Dove vai? 

-A parlare con Ron.- salì lentamente le scale, richiamando con un Accio una fetta di torta dalla cucina. 

Lo trovò a guardare fuori dalla finestra. -Ehy… 

-È pieno di gnomi là fuori. 

-Durante le feste si danno alla pazza gioia. Ti va?- disse porgendogli il piatto. 

-Grazie.- cominciò a mangiare, lasciando uscire qualche briciola dalla bocca. 

-Ti preferisco in questa versione. 

-Hai mandato tu Harry qui? 

-Sì e no: non mi piace come si sono messe le cose tra di voi. 

-Ha rovinato tutto…

-No, Ron, quello lo hai fatto tu. Perché? 

-Non lo so, forse per gelosia. 

-Sei ancora innamorato di Hermione? 

-No, credo di esserlo stato nemmeno quando ho preso la Polisucco. Non lo so perché l'ho fatto: parlavano tutti di Harry perché ha sconfitto Voldemort e poi di Malfoy… 

-Stare al centro dell'attenzione di tutti non ti rende felice davvero. 

Ron abbassò la testa, teneva gli occhi fissi sul ricamo della coperta e Ginny sapeva che in quel momento suo fratello stava facendo spazio per liberare le parole che non riusciva a dire. 

Era sempre stato così, per entrambi: avevano bisogno di silenzio, di dialogare con il proprio cuore e poi dargli voce per confessarsi. 

Le sembrò di rivivere un giorno di qualche anno prima, quando lei gli aveva detto di essere innamorata di Harry. 

-Credo di essermi messo in un brutto guaio. 

-Che hai combinato? 

-Forse mi sono innamorato. 

-Di chi?

-Lisa Turpin. Quando, alla festa… insomma, nel bagno lei ha detto, no, forse alla torre… 

-Respira, per piacere. 

-Io e lei abbiamo stretto un accordo: niente amore, fuori i sentimenti, poi per me è cambiato qualcosa. Alla festa, però, ha detto che avrebbe potuto innamorarsi di me. Forse mi prendeva in giro. 

-Se così fosse, non sa cosa si perde.- Ginny sorrise e Ron la ricambiò quasi subito, abbracciandola e accarezzandole la schiena e lei fece lo stesso. -Mi sei mancato. 

-Mi sei mancata anche tu. 




Aprí gli occhi un istante dopo aver sentito  il rumore di una smaterializzazione e, senza nemmeno avere il tempo di capire cosa stesse succedendo, si trovò in un appartamento che non conosceva. 

Poi vide Blaise e Theo, vestiti di tutto punto, mentre lui indossava un vecchio maglione e un pantalone nero. 

Si passò una mano sul viso, un filo di barba appena accennato. 

-Ti stai trascurando, Draco. 

-È una riunione di famiglia? 

-Sì, chiamala così. 

-Dove siamo? - chiese Theo.

-Nella mia nuova casa.- poi, con un sorriso appena accennato, portò entrambi alla finestra, indicando loro una piccola sala da tè. -Vi devo parlare. 

Si sedettero sul divano, in attesa. -Allora? 

-Credo di… Dobbiamo organizzare una festa, dopodomani. 

-Devi fare colpo? 

-Sì, beh, più o meno. È una lunga storia… 

-Siamo qui, tanto vale ce la racconti. 

Draco, intanto, si era perso a seguire il disegno sul pavimento di legno: non voleva essere dov'era, non voleva sentire nessuna voce o vedere nessun viso, eppure era lì. 

-Attenzione, prego.- Blaise si alzò e tornò a sedersi solo nel momento in cui tutti gli occhi furono puntati su di lui. -Bene. Io vi ho parlato dell'estate scorsa, ma non vi ho detto tutto quello che è successo… 

-Sì, tutte le notti fuori, sesso ovunque. 

-Sì, però, non è stato proprio così: vedi, ho una reputazione da difendere a Hogwarts, però, penso di dovervi raccontare la verità. 

-Tutto questo solo per una festa? 

Blaise guardò Theo, fulminandolo con lo sguardo. - Ho conosciuto una persona. 

-Quindi hai fatto sesso con una sola persona per tutta l'estate? 

-La smetti?- Draco si intromise con voce bassa e stanca, senza rabbia. -Lascialo parlare. 

-No, Theo. Ho fatto l'amore con quella persona solo la notte prima di tornare a Hogwarts. E non è stato come quando qualcuna ti apre la gambe davanti alla faccia, penso che tu possa capirmi, cioè, con Daphne non è come è stato con, non so dimmi un nome…Beh, io credevo fosse uguale a sempre e, invece, mi é sembrato di aprire gli occhi per la prima volta e poi ho realizzato di non essere come lei, perché lei non sa niente di quello che siamo o di cosa ci è successo. Per lei la magia sta in una tazza di tè e, oh, quanto è buono il suo tè. 

-Lo hai assaggiato quest'estate? 

-No, stamattina. Quella che avete visto prima è la sua sala da tè, non l'ha ancora inaugurata, ci sono capitato per caso. Ero uscito per comprare qualcosa per riempire questa casa e poi sono entrato lì, come se fossi stato incantato, e l'ho vista e le ho chiesto di venire a questa festa, che non ho organizzato e sono innamorato di lei. 

Theo cominciò a stilare una lista di quello che sarebbe potuto servire, scrivendo per primi tutti gli alcolici che conosceva e mettendo in secondo piano le decorazioni, poi, andò via, dicendo che solo lui sapeva dove trovare tutto, che non c'era bisogno che loro lo accompagnassero, perché sarebbe andato insieme a Daphne, le avrebbe parlato della festa, magari le avrebbe comprato anche un bel vestito. 

Quando rimasero soli, Draco si avvicinò alla finestra: aveva gli occhi incollati alla sala da tè, l'insegna rotonda, i fiori alle pareti. -Da quanto tempo?- gli chiese, senza nemmeno guardarlo. 

-Dal primo giorno.- Blaise si avvicinò a lui, sedendosi sul davanzale. -Le ho portato il tuo regalo. 

-Grazie. 

-Come stai?

-Da schifo. Ubriaco, forse, e non mangio da giorni. 

-Vuoi che ti prepari qualcosa?

Fece segno di no con la testa. -Eravamo in biblioteca. 

-Mh? 

-Sul treno mi hai chiesto dov'ero stato la notte prima di partire. In biblioteca. 

-E cos'hai fatto? 

-L'ho fatta andare via. I-io non volevo… ero sul punto di dirglielo, poi ho sentito nella testa tutte quelle voci, l'ho immaginata mentre, quel bacio, io non… Avevi ragione. Hai avuto ragione dal primo momento. 

-Innamorato, eh? 

Draco annuí. -Perdo l'equilibrio solo a pronunciare il suo nome. 

-Una tazza di tè?- lo seguí fuori dalla porta, scendendo piano le scale e sentì un trillo quando entrarono nel locale. Blaise gli fece segno di seguirlo, arrossendo, quando una ragazza cominciò ad avvicinarsi a loro. -È lei. 

-Blaise, lo sai…

-Oh sì, volevo solo presentarti un mio amico: ci sarà anche lui alla festa di Capodanno. 

-Aria.- lei tese la mano verso quella di Draco, che ricambiò accennando un sorriso: aveva la pelle e i capelli scuri, come quelli di Blaise, e gli occhi verdi, un sorriso dolce. -Seguitemi. 

Si accomodarono ad un tavolino al centro della sala e Aria servì subito loro un buon tè. 

-Grazie. 

-Quindi, ci sarai anche tu? -Draco annuì. -Bene, perché non ho proprio intenzione di dare confidenza al tuo amico, sai, mi ha fatto vivere un'estate bellissima, poi è sparito e mi ha spezzato il cuore. 

-Sì, è nel suo stile.- sorrisero tutti e tre. 

-E voi due, cosa fate nella vita?

Guardò l'amico che gli fece segno di proseguire e capí che avrebbe dovuto raccontare lui qual era il loro mondo perché, di fronte a quegli occhi, Blaise perdeva il coraggio di essere se stesso per il terrore di deluderà, di spaventarla.

Draco prese la bacchetta e, senza pronunciare parola, fece apparire dal nulla una sfera d'acqua che danzava libera, assumendo prima le sembianze di una donna e poi di due persone strette in un abbraccio. Guardò Aria che nel frattempo aveva spalancato gli occhi e si copriva la bocca con le mani. -Ci credi alla magia?- le chiese. 

E Blaise lo seguí nell'incantesimo, riempiendo il locale di farfalle. 

Lei si voltò a cercare il suo sguardo. -Era questo?- gli chiese e Blaise annuí, guardandolo ancora una volta.

Perciò Draco riprese a parlare. -Non solo.- scoprí ad entrambi le braccia, rendendole visibile il Marchio Nero. -Ma cominciamo dall'inizio. 

Le raccontò di Hogwarts, delle lezioni e degli incantesimi, del peso dei loro cognomi nel Mondo Magico, delle decisioni che non erano stati liberi di prendere, della Guerra, della paura, del loro voltarsi dalla parte dei buoni. 

-Mi sembra un sogno.- disse Aria, alla fine. 

Blaise, mentre Draco parlava, le aveva preso la mano e lei aveva ricambiato la stretta. 

-Non sono stati bei momenti. Ci siamo sentiti come sospesi in una bolla, come se non facessimo parte di tutto quello che stava succedendo. 

-È… Mi sembra così irreale. 

-Sì, è normale, sei una babbana… 

-Una cosa, scusa? 

-I babbani sono coloro che non hanno poteri magici e non sanno dell'esistenza del nostro mondo. 

-Quindi i maghi possono nascere solo dai maghi? 

-No, anzi, ci sono maghi e streghe figli di babbani, come Her… - sentí le parole tornare in fondo alla gola. -come alcuni studenti che frequentano Hogwarts.- sentì gli occhi dell'amico addosso. 

Poi la voce di Aria gli riempí le orecchie e attirò la sua attenzione. -Qual è l'incantesimo più bello? 

-L' Incanto Patronus.- risposero in coro, poi entrambi evocarono il proprio: Blaise liberò un delfino, mentre Draco vide il proprio fascio di luce sfumare e non assumere nessuna forma. 

-Tu non hai un animale?- si incuriosì. 

Le rispose Blaise. -È un incantesimo molto difficile: dobbiamo concentrarsi su un ricordo felice. 

-E lui non ne ha? 

-Sì, ha lei. -poi fissò gli occhi in quelli di Draco, lo invitò. -Provaci. 

Pensò a Hermione e gli sembrò di non avere ricordi felici: la vedeva mentre si allontanava e lo allontanava, nella Stanza delle Necessità, quando lo evitava nei corridoi, mentre studiava insieme a lui e non lo degnava di uno sguardo, mentre facevano colazione nella Sala Grande e nel dormitorio ed era persa nei suoi pensieri. Sorrise solo ripensando alle sue ultime parole.-Io ti amo. Il suo regalo di Natale prima di lasciarlo da solo, poi il suo Patronus prese la forma di un gatto. 




Angolo Autrice:

Caro lettore, benvenuto alla fine di questo capitolo: ho amato scriverlo, nonostante non volesse venire giù o, forse, è proprio questo il motivo per cui lo amo. 

È incentrato per la maggior parte sulla storia di Blaise che, a mio parere, merita di essere raccontata: Blaise è un personaggio che non conosciamo bene all'interno della saga di Harry Potter, ma sono convinta che non sia mai stato un Serpeverde nell'anima e, dopo il Draco di questa fic, resta uno dei miei personaggi preferiti.

Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensi. 

A presto, Exentia_dream2






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Capitolo 5
*** Fuochi d'artificio ***


Fuochi d artificio: 

Ginny chiese di poter fare una telefonata ed Arthur la accompagnò dove aveva costruito una sorta di cabina telefonica per permettere agli interlocutori di avere una conversazione privata e, cosa più importante, aveva imparato che il termine corretto per spiegare il funzionamento di un qualsiasi oggetto con un filo era elettricità e non ecletticità. 

Lei sorrise mentre suo padre le spiegava come tenere la cornetta e come formulare un numero telefonico. -E mi raccomando, Ginny, non urlare. Abbi un tono di voce normale.- le disse prima di andare via, poi rimase da sola. 

-Pronto?- rispose un uomo. 

-Ehm, casa Granger? 

-Sì, lei chi è? 

-Sono Ginevra Molly Weasley, è possibile parlare con Hermione Jane Granger? 

-Attenda un attimo. 

Passarono giusto un paio di minuti, poi sentí un rumore e la voce dell'amica. -Ginny? 

-Dobbiamo parlare. 

-Tutto bene, grazie, ho passato un bel Natale e ho adorato i vostri regali. 

-Sì, sì, ma adesso abbiamo cose più importanti a cui pensare. 

-E sarebbero? 

-Il gufo. 

-In realtà, Ginny, tu non hai ancora motivo di preoccuparti, dovremmo farlo io e Harry…e Ron. Hanno per caso bisogno di ripetizioni? 

-No, Hermione, non parlo dei G.U.F.O., parlo del gufo. Di Zabini. 

-Oh, quel gufo. 

-Sì, quello. Hai già pensato a come vestirti? 

-No, non credo che andrò a quella festa. 

-Perchè no? Cioè… anche a me è sembrato strano il suo invito, ma… 

-Ci sarà anche lui. 

-Ah, sì, beh… Che t'importa? 

-Ginny… 

-Lo so, lo so, però, ora stai meglio, no? 

-No, per niente. 

-Ma non lo vedi da… 

-Dalla notte prima della vigilia di Natale. 

-Questo particolare evento mi sfugge, perciò ci vediamo fuori casa tua, tra un paio di ore. Ti offrirò un cappuccino e poi compreremo degli abiti bellissimi. 

-Non andrò a quella festa. 

-Credo che la linea sia disturbata, forse non hai sentito quello che ho detto, quindi te lo ripeto: ci vediamo fuori casa tua tra un paio di ore, ti offrirò un cappuccino e compreremo degli abiti bellissimi. 

-E se non volessi un cappuccino? 

-Prenderai qualche altra cosa. 

Sentí l'amica sospirare. -Va bene. E, a proposito, la prossima volta, puoi anche semplicemente dire che sei Ginny.

-E chiedere semplicemente di parlare con Hermione.- risero entrambe. -La prossima volta ti manderò Leotordo. 

Quando tornò in camera sua, guardò Harry che dormiva: avevano discusso a lungo prima che lei lo convincesse ad accompagnarla alla festa organizzata da Blaise, arrivando a minacciarlo dicendogli che sarebbe andata lì con o senza di lui e si ritenne soddisfatta solo quando lui aveva ceduto ed aveva deciso di accontentarla. -Una scelta molto saggia. 

-Mi stai obbligando. 

-Oh, no, niente affatto, Harry.- lui aveva sbuffato e si era steso sul letto. 

Ginny si avvicinò alla finestra, guardando il giardino con l'erba incolta e gli gnomi che saltavano a destra e a sinistra. Ripensò alle parole di Hermione e si rese conto che non sapeva niente di quello che le era successo prima della partenza e nei giorni successivi: avrebbe pensato a recuperare quei silenzi quando si sarebbero viste e si chiedeva se fosse riuscita a convincere anche lei come aveva fatto con Harry. Poi si stese accanto a lui e non si sentì in colpa per Ron, perché sapeva che anche lui aveva ricevuto un invito per quella notte: conosceva Lisa soltanto di nome e di vista, non aveva mai avuto modo di parlarle, ma le piaceva e sperò che potesse essere quella giusta per suo fratello. 




L'invito era un'elegante pergamena ingiallita che, una volta aperta, lasciava uscire delle stelle filanti e le frasi scritte comparivano lentamente: "Hermione Granger sei invitata alla mia festa per inaugurare la mia nuova casa e il nuovo anno che sta per arrivare. Ps: tengo particolarmente alla tua presenza. Blaise Zabini, Serpeverde." 

Hermione lo guardò a lungo: cosa avrebbe significato per lei partecipare a quella festa? 

E perché avrebbe dovuto prenderne parte? E come si sarebbe sentita, cosa avrebbe fatto quando lo avrebbe visto? 

Dopo la telefonata di Ginny, però, si sentì quasi sollevata: se ci fosse andata, almeno, non sarebbe stata sola,avrebbe avuto accanto i suoi migliori amici. 

Decise di riempire la vasca ed immergersi, perché nell'acqua sentiva i nervi e i muscoli rilassarsi, la tensione abbandonarla per un po'. La tristezza, invece, le si arrampicava alle gambe. 

Non poteva fare a meno di ripensare a tutti i momenti che aveva vissuto con Draco, a quanto quell'amore che le era sembrato solo una bugia  si era rivelato essere nient'altro che una verità che lei aveva faticato ad accettare, perché lo sentiva camminare ovunque, sul corpo, dentro la testa. 

Il pensiero, però, che quella storia fosse iniziata solo per finire la fece tremare, nonostante il calore dell'acqua, perciò decise di uscire, di vestirsi e, di fronte allo specchio, prese la collana e la legò al collo: il cuore dorato si fermava proprio all'incrocio dei seni e fu contenta, perché nessuno avrebbe potuto vederla e lei avrebbe potuto indossarla sempre. 

Nonostante tutto, nonostante non sapesse cosa sarebbe successo tra loro, sentì che quella promessa era stata fatta in un momento in cui anche lui aveva creduto che le cose tra loro potessero funzionare. O forse, non l'avrebbe indossata mai più. 

Guardò l'armadio, prese un vestito di lana grigio, si vestì e si sedette sul divano ad aspettare Ginny. 

Nel frattempo, pose l'attenzione sui suoi genitori: li guardava mentre preparavano insieme la cena e ripensava a quello che la mamma le aveva raccontato la sera precedente. Si immaginava cucinare per qualcuno, ma non riusciva a distinguere la persona che avrebbe avuto accanto. 

Poi bussarono alla porta e lei uscí. Ginny le corse incontro con un gran sorriso e un abbraccio pronto a stringerla e, stretta a lei, Hermione riuscì a stento a trattenere il pianto. 

-Sì gela fuori.- disse Ginny sedendosi al tavolo all'interno di un bar a cui poco dopo le raggiunse una cameriera. -Un cappuccino e un tè nero, grazie.

Hermione continuava a sentire addosso lo sguardo dell'amica, perciò decise di tenere gli occhi sul tavolo, muovendo le dita per seguire le striature del legno, fino a che la cameriera non portò loro quello che avevano ordinato. 

Ginny sbuffò. -Allora? 

-Non ci siamo detti molto.

-Cos'è successo? 

-Stavo ballando con Neville e lui è inciampato, ha urtato Pansy Parkinson ed io sono scappata. 

-Perchè? 

-Perchè ho urtato Draco. E lui mi ha seguita fino in biblioteca. 

-E poi? 

-Poi… 

-Poi? 

-Mi ha baciata, credevo che fosse passato tutto, che non pensasse più a quello che si diceva su Dean e, invece, si è allontanato e mi ha mandato via. 

-E tu? 

-Gliel'ho detto. 

-Gli hai detto che non è vero? 

-Gli ho detto che lo amo.- Ginny restò in silenzio, mente lei continuava a mordersi le labbra e, questa volta, non riuscì a trattenere le lacrime. -La mattina di Natale, c'era un regalo sotto l'albero, mamma ha detto che lo ha portato un ragazzo alto, con i capelli scuri. Quando l'ho aperto, ho trovato questa.- tirò fuori la collana, la slacciò e la sistemò sul palmo della mano. 

 -Credi sia stato Zabini? 

-È l'unico ad essere mancato per qualche giorno. 

-È un bel regalo. 

-Che non ha senso adesso. 

-Cosa farai? 

Hermione scosse la testa. -Non lo so, non voglio più stare male… Forse, chi non hai mai creduto a questa storia aveva ragione. 

-Che t'importa della ragione degli altri? 

-Niente… ma non posso andare avanti così, fa troppo male e non è giusto. 

Poi tornarono in strada e Ginny la trascinò in ogni singolo negozio di abbigliamento. 




-Sei in ritardo, Ronald: l'appuntamento era mezz'ora fa. 

Lui sorrise, guardandosi le scarpe. -Non ero del tutto convinto di voler venire. 

-E perché mai? 

-Beh, lo sai, noi abbiamo un patto e la notte del ballo hai detto che avresti potuto innamorarti di me, perciò… 

-Ma non è ancora successo. 

-No, infatti.- sentí le guance prendere fuoco e capì di essere arrossito. -Però, potrebbe succedere, giusto? 

-Potrebbe, sì. 

-E se io ti dicessi che a me è già successo? 

-Ti direi che stai facendo uno sbaglio. 

-Perchè? 

-Vedi, Ron, la domanda che mi pongo sempre è: cosa succederebbe se io mi innamorassi e l'altra persona no? E se poi si stancasse di me? E se poi mi lasciasse? 

-Io non credo che mi stancherei di te… e non ti lascerei. 

-Lo dici adesso perché è tutto facile. 

-Sì, forse hai ragione.- ed accettò l'invito di Lisa a raggiungerlo nel letto, a spogliarsi. 

Le baciò la fronte, poi gli zigomi e la bocca e il collo, la lasciò giocare con i capelli e infilare le mani nelle mutande. 

Era troppo tardi per tirarsi indietro, così accontentò lei e se stesso: stava bene quando stavano insieme ed anche se lontana, la possibilità che anche per lei fosse così, lo invogliò a continuare. La sistemò su di lui in modo da vedere la sua schiena muoversi, assecondare i suoi movimenti e sentire i suoi gemiti farsi sempre più forte. 

Quella per lui, forse, sarebbe stata la più bella notte di Capodanno. 

Quando Lisa poggiò la testa sul suo petto, Ron sentì il cuore accelerare i suoi battiti e le accarezzò i capelli.

-Ti va una cioccolata calda?- lui annuì e la vide allontanarsi dal letto, mezza nuda, con il lenzuolo avvolto male attorno al corpo. 

Rimase da solo, guardando il soffitto: ripensò a come tra loro fosse iniziato tutto e ringraziò quella notte in cui si era chiuso nel bagno e Mirtilla Malcontenta gli aleggiava intorno e aveva cominciato a parlare, nonostante nessuno l'ascoltasse. -Ah, la morte è uno stato d'animo, io, per esempio, mi sento come se non fossi mai nata: sono sempre stata morta.- e continuò a parlare e parlare, andando a rifugiarsi in uno dei gabinetti solo quando Lisa, entrando, l'aveva mandata via. 

Sentí il materasso cedere sotto il peso del corpo di Lisa e lui si sistemò sul letto, appoggiandosi su un gomito, poi prese le tazza e cominciò a bere. 

-È stato un bel Natale, Ron. 

-Sì. 

-Anche se non ho ricevuto nessun regalo. Però, ho deciso di farmene uno… forse potrebbe piacere anche a te. 

-E sarebbe? 

-È una grossa responsabilità, però credo che porsi tante domande non serva a molto, quindi, vorrei darti il potere di distruggermi perché so che a prescindere da tutto tu non lo farai. 

Lui la guardò, lasciò la tazza sul pavimento e fece aderire il suo corpo a quello di Lisa. 

La sentì mentre lei gli sorrideva sul collo e gli lasciava qualche piccolo bacio, che si faceva sempre più sfacciato, sempre più voglioso. 

Quella, per lui, sarebbe stata la più bella notte di Capodanno, senza alcun dubbio. 




Aveva lasciato Theo e Daphne ad occuparsi dell'allestimento, dando loro giusto qualche idea e consiglio che entrambi avevano prontamente bocciato chiedendogli gentilmente di tacere, perciò aveva deciso di uscire ed attraversare la strada. 

Come sempre, il suo ingresso fu annunciato dal tintinnio delle campane a vento sulla porta. 

Aria era dietro il bancone, con la testa china su un quaderno. -Cosa scrivi? 

-Una nuova ricetta.- lui si chinò verso di lei per leggere quello che stava scrivendo. -Vuoi assaggiare? Ho la sensazione che manchi qualcosa. 

Blaise prese la tazza e assaggiò il tè. -Vaniglia. 

-Dici? 

-Prova.- e la vide mentre con un piccolo coltello tagliava un baccello scuro e lo inseriva nel preparato. -Allora… Verrai stasera? 

-Non lo so. 

-Perchè? Cioè… Hai qualche altro impegno? 

Lei scosse la testa. -No. 

-E allora…

-Dipende da questo tè.- la guardò con aria interrogativa. -Se avrà il sapore che vorrei avesse, allora verrò… 

Blaise sorrise e la guardò bere, mentre i suoi occhi si riempivano di stupore e di gioia -Com'è? 

-È perfetto. 

-Quindi, stasera? 

-Mh, sì… mi dispiace di aver pensato male di te. 

-E a me dispiace di non averti detto la verità. 

-Ci sono stata davvero male.- nel frattempo si era seduta sullo sgabello di fronte a lui. 

-Non ho fatto altro che pensare a te in questi mesi, però io credo nel destino e questa casa… 

-E se ti dicessi che io non ci credo?

-E se ti dicessi che non ricordo i tuoi baci?- si avvicinò alla sua bocca tanto da sentire il suo respiro addosso. 

-Se fossi io a non ricordare i tuoi? 

-Ne dubito. 

Aria sorrise. -Invece è proprio così… 

-Potrei rinfrescarti la memoria. 

-Potresti, sì.- si spostò leggermente all'indietro e, quando Blaise perse l'equilibrio, scoppiò a ridere. Poco dopo lo guardò, prendendogli  il viso tra le mani e lo baciò. 

Quando staccò le labbra dalle sue, si chiese come aveva fatto a vivere tanti anni senza di lei mentre, da quando l'aveva incontrata di nuovo, si sentiva morire se non la vedeva per più di un'ora: era stata una fortuna per lui trovare casa proprio lì e aveva deciso che avrebbe chiesto un permesso speciale per andare via da Hogwarts durante i fine settimana. 

Ora che Aria conosceva il suo segreto e, dopo aver capito che non lo avrebbe guardato con occhi diversi, Blaise si rese conto del tempo che aveva negato a loro due e le promise che in qualche modo avrebbe recuperato ogni secondo perso, ogni bacio non dato. -Ci sarà un po' di gente come me stasera. 

-Cosa intendi per gente come te? 

-Maghi… e streghe: magia dovunque. 

-Blaise non siete i soli ad avere dei poteri magici: voi avrete anche le vostre bacchette, ma io ho i fiori e sono sicura che nessuno di voi sappia prepare un tè buono quanto il mio. 

Lui sorrise e si voltò verso il bancone, prese la tazza da cui aveva bevuto Aria e cominciò a bere il tè che ormai era tiepido. -Mmmh, è davvero buono. 

-Sì, è vero. 



Aveva passato tutto il pomeriggio a maledire uno dei suoi migliori amici: non aveva alcuna voglia di partecipare ad una festa durante la quale sarebbe sicuramente stato solo a guardare tutti gli altri amoreggiare. E poi che festa era, quella? Organizzata in un paio di giorni, cinque, sei invitati forse…

No, no e no, non ci sarebbe andato. E, invece, qualche ora dopo stava indossando un jeans chiaro strappato poco sopra le ginocchia, un maglione a girocollo e un paio di Adidas bianche che Blaise gli aveva regalato per Natale a cui aveva allegato un biglietto che lo aveva fatto sorridere: "Vanno di moda, sei giovane e bello e devi smettarla di vestirti come tuo padre. Buon Natale."

Si guardò allo specchio: quel filo di barba di qualche giorno prima era ancora lì, il viso leggermente più magro.

I capelli, invece, non volevano saperne di stare in ordine, perciò aveva deciso di lasciarli spettinati, qualche ciocca davanti agli occhi. 

Quando arrivò a casa di Blaise, nonostante i suoi dubbi, si meravigliò: l'open space era stato ingrandito e sulle pareti c'erano delle tele su cui comparivano delle stelle filanti colorate che formavano la scritta: "Buon 2001!"

Il soffitto era diventato un lenzuolo trasparente da cui poter ammirare il cielo e alla parete di fronte alla porta d'ingresso era stato sistemato un enorme tavolo pieno di cibo ed alcolici. Si sentì ubriaco solo a guardarli, pensando che, prima di uscire, aveva già avuto un bel confronto ravvicinato con un'altra bottiglia di whisky. La finestra di cui Blaise era innamorato, invece, non era stata modificata in nessun modo e mentre lo notava, sentì la voce dell'amico. -Ma che onore. Pensavo non venissi più. 

-L'idea era quella. 

-Sarebbe stato un peccato: avresti perso tutta questa meraviglia.- disse, indicando la sala e solo allora Draco si rese conto che, no, non c'erano solo cinque o sei invitati: riconobbe qualche Corvonero e Grifondoro del settimo anno, un paio di Tassorosso del quinto. 

-Sì, beh…

-Ho anche insonorizzato le pareti delle camere da letto… - gli urtò il braccio con il gomito, facendogli l'occhiolino. 

-A cosa dovrebbe servir… 

-Oh, eccoli.- Blaise si allontanò e Draco si voltò a guardarlo. 

Fino a quel momento non aveva pensato nemmeno lontanamente che l'amico avesse potuto invitare anche loro e, invece, poco lontano da lui c'erano Harry Potter e Ginny Weasley. E Hermione.

La vide mentre salutava Blaise e si presentava ad Aria con un sorriso imbarazzato e dolce che gli fece venire il mal di stomaco, così si avvicinò al tavolo degli alcolici. 

Si era seduto sul divano, in disparte, mentre tutti festeggiavano e, forse, erano passate ore da quando l'aveva vista arrivare con quel vestito bianco e dorato che le lasciava scoperte le gambe. Non riusciva a pensare, a fare luce nella sua mente: vedeva solo le sue mani, la sua bocca, i suoi occhi e li voleva addosso, mentre lei sembrava non essersi accorta minimamente della sua presenza.

La vedeva mentre beveva un drink azzurro e rideva con Blaise e Theo, con Aria e i suoi amici, con altre persone e non con lui. Sentì le mani che cominciavano a tremare, continuava a guardarla e si avvicinò a lei e le strinse il polso.

-Cos…?- le sentì dire mentre lei lasciava cadere il bicchiere e lui l'allontanava dagli altri e richiudeva la porta di una camera da letto dietro di sé. 

La mise spalle al muro, le mani all'altezza del suo viso incollate alla parete. Respirò un ciao impacciato. 

La guardava, ma non riusciva a parlare. Forse era l'alcol o il suo profumo o i suoi occhi che lo guardavano e lo guardavano in quel modo, come nella biblioteca. 

La baciò con fretta, l'accarezzò e gli sembrò che fosse la prima volta, che solo in quel momento la sentisse davvero e capì di essere innamorato di lei oltre ogni limite: era stato difficile capirlo, capirsi lo era stato ancora di più, ma avrebbero potuto superare tutto, ce l'avrebbero fatta.

Aveva cominciato a spogliarla e lei non lo fermava, anzi: gli aveva già tolto il maglione, mentre provava ad aprire i bottoni del jeans. Sentiva il suo respiro e la sua smania e, mentre lui continuava a baciarla e ad accarezzarla, Hermione faceva lo stesso e più lo sfiorava più lui s'innamorava. 

Si fermò per un istante solo quando vide che aveva indossato la collana che le aveva regalato. Mia, tuo. 

Poi la baciò più forte, la spinse sul letto. 

Stava facendo l'amore con lei, non riusciva a crederci: continuava a toccarla e a farsi toccare come se quel contatto gli facesse capire che tutto quello che stava succedendo era vero. 

E bello e inaspettato. Importante. 

Le gambe intrecciate alle sue, la bocca sulla sua, la lingua sulla lingua. 

E lui dentro di lei. Stava succedendo, non era un sogno: lei era lì, era davvero lì con lui, su quel letto. 

Era scattata la mezzanotte, i fuochi d'artificio avevano cominciato a riempire il cielo con la loro luce che lui vedeva riflettessa sul suo viso e sulle lenzuola sulle quali lei era stesa, illuminava le pareti e le colorava. 

Pensò di augurarle buon anno, di dirle che quello sarebbe stato un nuovo inizio anche per loro, ma sentí i suoi gemiti farsi più forti, più profondi. 

Perchè l'aveva mandata via? Perché non l'aveva fermata? E perché Hermione lo stava allontanando?

L'aveva vista alzarsi, coprirsi come meglio poteva. L'aveva seguita: la guardava mentre lei fissava il soffitto trasparente, con gli occhi lucidi. 

Provò ad avvicinarsi, ma lei allontanò le mani. -Sei troppo vicino. Non toccarmi. 

Draco sentì qualcosa rompersi all'altezza del petto, provò ad avvicinarsi di nuovo per baciarla ancora, ma lei lo respinse e non capiva: era la prima volta che non si faceva toccare, che non si lasciava baciare. 

Abbassò lo sguardo, mentre la rabbia di quelle settimane si stava trasformando in un dolore che non riusciva a sopportare. -Tu sei qui,- le disse portandosi le mani alle tempie. -Sei sempre qui, non riesco a farti uscire. 

-Mi hai già mandato via… Non stiamo più insieme da un mese. 

Lui sospirò. -Un mese… Cazzo, sembra un'eternità. Io non… Non riesco a gestirlo, a capire… Non mi basta… 

-Stai dicendo che quello che c'è tra noi non è abbastanza per te? 

-Sto dicendo che è troppo per me.- ed era vero: era troppo forte, troppo reale, troppo doloroso, troppo bello. 

-Sì, forse è vero…- gli aveva dato le spalle. La testa bassa mentre si rivestiva veloce. 

-Vorrei avere più tem…

-È meglio fermarci adesso, prima di arrivare ad un punto di non ritorno. 

La guardava, gli occhi fissi nei suoi, si sentì annegare. -Sono già al punto di non ritorno. 

-Devo andare. 

-Dove? 

-Lontano da qui.- gli sembrò di essere tornato indietro nel tempo, a quella sera nella Stanza delle Necessità, quando lei era andata via e lui l'aveva rincorsa. -Non arriverei mai al punto di desiderarti. E, invece la voleva più di ogni altra cosa al mondo. 

E lei era ferma, a pochi passi dalla porta e lui a pochi passi da lei. -Non te ne andare, 'Miò…- era una supplica, un desiderio che si stava frantumando davanti ai suoi occhi. 

-Credi che tutto ti sia dovuto, eh? 

-Non mi è dovuto niente, neanche tu. 

-Non ho mai baciato Dean, non avrei mai voluto farlo. Ho pianto per notti intere e ora sto ridendo. Tu mi fai ridere, adesso: hai davvero pensato che avessi voluto qualcun altro al posto tuo? Davvero ti è bastato così poco per lasciarmi? Per odiarmi? 

-Io non… sì, però… 

-Una volta ti ho detto che non mi avevi mai ferita, che non lo avresti mai fatto… E non è vero, perciò, da questo momento in poi, non ti lascerò fare, non mi spezzerai il cuore, non mi spezzerai in due, Malfoy.- lo aveva guardato negli occhi, aveva slacciato la collana che le aveva regalato e gliel'aveva restituita. Poi, si era smaterializzata, per andare chissà dove, l'aveva lasciato da solo a guardare quel letto sfatto, a sentire il profumo che gli aveva lasciato addosso. 

-Malfoy. Lo aveva ucciso e non se n'era nemmeno accorta. 




Angolo Autrice:

Caro lettore, eccolo, il mio capitolo preferito: sono innamorata, credo sia abbastanza chiaro. 

Vorrei dire tante cose a riguardo, ma preferirei che lo facessi tu: spero che sia piaciuto anche a te leggerlo quanto a me è piaciuto scriverlo. 

A presto, Exentia_dream2













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Capitolo 6
*** Ritorno a Hogwarts ***


Ritorno a Hogwart



Quella stessa notte, Hermione si smaterializzò all'interno della scuola di magia e stregoneria, con un macigno sul cuore. 

Ripercorse lentamente i corridoi, fino ad arrivare alla parete sulla quale apparve la porta della Stanza delle Necessità: il suo interno era stato arredato così come lo aveva sempre visto durante le ripetizioni con Draco. 

Guardò ogni minimo particolare di quella sala: le due poltrone chiare sistemate attorno al tavolino rotondo di fronte al camino, il divano, il tavolo rettangolare, la scrivania sopra cui erano sistemati una decina di libri. C'era tutto. 

Si sedette sul pavimento di fronte al camino, con la schiena poggiata alla poltrona: guardava il fuoco crepitare e bruciare lentamente la legna, sentiva il calore scaldarle il viso e le mani. La finestra chiusa, la neve che veniva giù silenziosa. -Non mi è dovuto niente, neanche tu. Si avvicinò alla finestra e la spalancò con la speranza che il freddo potesse gelare le sue lacrime e il suo dolore. Guardò il Lago Nero attorno al quale erano state sistemate delle lanterne volanti che lo illuminavano a festa e si perse nei ricordi di quello che era accaduto poco prima e non riusciva a crederci: avevano fatto l'amore, si era realizzato il suo desiderio più grande. Lo aveva sentito addosso, lo aveva respirato, lo aveva baciato, come aveva scritto sul biglietto che aveva legato all'albero dei desideri, ancora. Ma avevano vinto la paura di star male e la sensazione di abbandono che aveva provato nel momento in cui lui l'aveva riempita di sé. 

In quel momento, aveva creduto di aver capito come si era sentito Draco quella notte in biblioteca, quando l'aveva mandata via. 

-Io ti amo. E poi c'era stato il silenzio, quello che credeva fosse successo sul treno durante il viaggio di ritorno, in cui lui l'aveva baciava di nuovo, -Dobbiamo andare, dai, vieni. e poi lei aveva aperto gli occhi ed aveva capito che era stato un sogno. 

Cominciò a piangere, ad avvertire il peso delle ultime parole che gli aveva detto e del gesto che aveva compiuto restituendogli la collana: in quell'esatto momento, Draco non lo poteva sapere, ma lei gli aveva consegnato anche una parte del suo cuore in cui si sarebbero appartenuti per sempre. 

Però, nella realtà, tutto quello che c'era stato tra loro non poteva più esistere, era stato proprio lui a dirlo-... è troppo per me. e lo era anche per lei: troppo forte, troppo profondo, troppo vero, troppo bello, troppo doloroso. 

Si tormentava le mani, si toccava i capelli e le braccia, le gambe, come a voler mandare via il profumo che lui gli aveva lasciato sulla pelle e più provava a mandarlo più le sembrava di non avere forze, di voler tornare in quel letto e stringerlo, prenderlo a schiaffi per il tempo in cui aveva deciso di starle lontano. 

Ripensò al suo viso, all'espressione che aveva avuto quando lei gli aveva chiesto se fosse bastato così per lasciarla, per odiarla. -... sì, però… e sentì dolore in qualunque parte del corpo, toccandosi al centro del petto, dove poco prima si fermava il ciondolo, dove poco prima c'era la bocca di Draco: era lì che faceva più male. 

La voglia di urlare, di poter strappare quei ricordi, di poter avere qualcuno a cui chiedere di obliviarla. Si accasciò sul pavimento, le mani e le ginocchia tirate al seno, le lacrime che correvano sulle guance, il sapore salato sulle labbra, gli occhi pesanti. 

Sentiva il bisogno di tornare a stare bene, di sorridere davvero, di sentirsi al sicuro e, nonostante tutto, la consapevolezza di provare quelle sensazioni in un posto in cui erano stati insieme, in cui avevano litigato, in cui avevano capito di volersi, la costrinse a piangere più forte, a piegarsi in due per evitare al dolore di farla in mille pezzi. -Non te ne andare, 'Miò…




Si stavano divertendo tutti e lo spettacolo dei fuochi d'artificio ammirati dal soffitto l'aveva emozionata e Blaise fu felice di vedere gli occhi di Aria riempirsi di meraviglia. 

L'aveva abbracciata forte, baciandole i capelli e lei aveva sorriso, poi gli aveva preso le mani e lo aveva accompagnato vicino alla finestra da cui si vedeva la sua sala da tè. -La vera magia è stata quella di poterti incontrare di nuovo e sono davvero contenta che sia successo. 

-Ho un regalo per te.- e la portò in quella che aveva deciso sarebbe stata la sua camera da letto. -Non pensare che io… Insomma, non che non lo voglia, ma solo se lo vuoi tu… Basta, vado a prendere il tuo regalo. 

Si era avvicinato all'armadio ed aveva poggiato sul letto un lenzuolo che sembrava coprire una campana. 

Lo sguardo di Aria si fece interrogativo. -Cos'è? 

-Scoprilo. 

Fece quello che Blaise le aveva chiesto e si trovò davanti un paio di occhi gialli circondati da piume bianche: era una civetta bellissima, si sentì emozionata, anche se ancora non capiva il significato di quel regalo. -È stupenda. 

-Quando vorrai scrivermi, dirmi qualcosa di importante o semplicemente raccontarmi com'è andata la tua giornata, puoi legare il messaggio alla sua zampa: lei saprà sempre dove trovarmi.

Vide Aria coprirsi le labbra con le mani, qualche lacrima che cominciava a lasciarle gli occhi. -È il regalo più bello che abbia mai ricevuto. 

-Devi darle un nome.. 

-Alba. 

-Bello, mi piace… 

-Sì, beh, è formato dalle prime due lettere dei nostri nomi. 

-Mi piace ancora di più. 

-Grazie.- gli diede un bacio leggero. -Davvero. 

Poi, Blaise annullò la distanza tra loro, poggiando Alba e la sua gabbia sul pavimento. 

E si rese conto che le emozioni che aveva provato quella notte dell'estate scorsa non erano niente in confronto a quelle che stava provando in quel momento, mentre lei si spogliava e gli prometteva di aspettarlo con gli occhi, senza dire nemmeno una parola. 

Nei mesi in cui era stato lontano da lei, aveva creduto di ricordare il suo odore, il suo sapore e si stava rendendo conto che non era vero, che il suo profumo e il sapore erano ancora più belli. 

Si sentì fortunato, sentì di aver fatto la scelta giusta non legandosi a nessun'altra. Sentiva di appartenere a lei e basta. 





Ballarono per un tempo che sembrò infinito, bevendo più del dovuto, sorridendo a tutti, provando addirittura simpatia nei confronti di qualche Serpeverde. 

Avevano perso miseramente al gioco dei mimi che, come pegno prevedeva di bere cinque tazze di caffè senza zucchero, e vinto per poco il quiz a premi, ricevendo in cambio una fascia di stoffa su cui c'era scritto "Non avete vinto niente!". Risero tanto, fino alle lacrime, con gli occhi annebbiati e la leggerezza di quel nuovo inizio posato su tutto il corpo. 

-Sono contento che mi hai convinto a venire a questa festa: è davvero bella. 

-Grazie, mi sono messa davvero d'impegno per farti cambiare idea, Harry: hai una pietra al posto della testa. 

-Non vedo l'ora di tornare alla Tana… 

-Io no, perché lo sai, non possiamo fare casino. 

-Potremmo dormire nella stanza di Ron, lontana da tutte le altre camere.- Harry aveva il sorriso stampato sul viso, gli occhi lucidi per via dei troppi drink. Ginny anche e biascicava le parole quando parlava, ma lui la trovava così bella e quella bocca così vicina. 

Le mise una mano sulla gamba, cominciò ad accarezzarle. 

-Zabini ha detto che ci sono tre camere da letto in questa casa, con le pareti insonorizzate.

-Andiamo.- la prese per mano e la condusse ad una porta che, però, era chiusa. Quindi provarono con la seconda e lei non gli diede nemmeno il tempo di chiuderla. 

Harry le aveva alzato il vestito, l'aveva sollevata dal pavimento, bloccandola al muro: aveva fretta e troppa voglia di entrare in lei. 

Ginny non faceva altro che mordergli le labbra, sospirare e lo invogliava a continuare, ancora, più forte. 

Sì, andare alla Tana sarebbe stato un errore, perché Harry amava quando i gemiti di lei riempivano lo spazio intorno, mentre gli urlava con il piacere in gola di non fermarsi. 

Ginny per lui era stata un appiglio, una fortezza, la sorella del suo migliore amico, il primo vero amore e Harry per lei era stato meraviglia, paura di perderlo, preoccupazione, amore a prima vista, la sua prima volta. 

E, da tempo, tutto ciò che li aveva fatti allontanare e litigare, non esisteva più. 

Si stesero uno accanto all'altra. -Chissà che ore sono…

Harry guardò l'orologio che aveva al polso, segnava le quattro e venti del mattino. -Sarà meglio tornare… Andiamo a chiamare Hermione.

Quando tornarono nel salone addobbato a festa, Hermione però non c'era. 

-Non c'è nemmeno Draco.- gli rispose Blaise, dopo aver cercato in tutta la casa. -Anche se… vieni con me, Harry. Controlliamo l'ultima camera. 

-D'accordo. 

Poggiarono entrambi l'orecchio sul legno della porta, dietro cui sembrava esserci solo silenzio. Blaise ricordò di aver insonorizzato le camere, perciò applicò un controincantesimo, ma ancora silenzio. -Draco.- provò a chiamare debolmente il ragazzo. -Draco? 

Fu il turno di Harry e Ginny che provarono a chiamare il nome dell'amica, ma niente. 





Era rimasto in piedi al centro della camera, di lei solo il profumo e quella collana tra le mani. 

-Malfoy. Era l'ultima parola che gli aveva detto e l'unica che gli rimbombava nella testa, a ripetizione, accompagnata dall'eco che lei stessa aveva lasciato. 

Non si erano parlati per settimane intere e in quel momento avrebbe preferito non l'avessero fatto mai, nemmeno quella notte, e di tutte le parole dette, quella che lo ferì maggiormente fu proprio il suo cognome: come se per lei fosse tornato ad essere un estraneo e niente di più. 

Anni ed anni trascorsi a disprezzarla per non essere ferito, per non permetterle di vedere il suo vero io, settimane di silenzio forzato per evitare di farsi male con la sua rabbia e la sua delusione, mentre provava a tornare quello di prima, a farsi calzare di nuovo sul viso quella maschera di scherno e di indifferenza. Ed era bastato un niente per farlo cadere a pezzi. 

Spalancò la finestra: aveva bisogno di aria, di capire che non era vero quello che era successo, che lei non era andata via. Quando si voltò verso l'interno della stanza, invece, c'erano tutte le prove del fatto che lui l'amasse e che lei non gli fosse accanto. 

Non era un sogno, non era nemmeno un incubo, era tutto reale. 

Si sedette sul letto, a guardare il cuore che aveva tra le mani. Quanto gli sarebbe piaciuto aprire quel regalo insieme a lei, spostarle i capelli, farle indossare la collana e aggiungere un "sempre". E vedere i suoi occhi emozionarsi e le sue labbra ridere di gioia. 

-Hai davvero pensato che avessi voluto qualcun altro al posto tuo? no, no e no, ma l'aveva lasciato e lui non sapeva cosa fare: era un continuo rincorrersi, perdersi, lei lo voleva e lui scappava, lui tornava indietro e lei lo allontanava. Ma era stato amore in quel letto, tra quelle lenzuola, in tutti i giorni in cui si erano parlati e quelli in cui avevano preferito evitarsi. Era stato amore anche quando erano stati in guerra con loro stessi e non volevano accettare quel sentimento, gli obblighi e le verità, l'Amortentia e la partita di Quidditch. 

Sentiva delle voci che chiamavano il suo nome, quello di Hermione e non riusciva a rispondere, non riusciva a parlare: sentiva la voce fermarsi ogni volta che apriva bocca e il dolore colpirgli lo stomaco, il petto, il corpo intero. 

Poi, qualcuno aprí la porta, mentre lui continuava a guardare la collana, la testa bassa sulle mani. 

-Draco?- era rimasto in mutande, i vestiti sul pavimento. -Draco? 

Avvertiva la presenza di altre persone, le loro voci, non riusciva ad alzare la testa, gli occhi. 

-Dov'è Hermione?- quella gli sembrò la voce di Harry o, forse, era quella di Blaise. -Dov'è Hermione? DOV'È? 

Non lo sapeva, avrebbe voluto saperlo per raggiungerla, dirle che l'amava anche lui, che quella notte era stata bellissima, che non voleva spezzarle il cuore, non voleva spezzarla in due, che sarebbe stato pronto a lenire ogni ferita. 

Chiuse gli occhi. -Se n'è andata. 



°°° °°° °°° 



Dopo le vacanze di Natale, i corridoi di Hogwarts erano di nuovo pieni di studenti che correvano per arrivare in orario alle lezioni. 

Hermione si era immediatamente immersa nello studio e nei compiti extra, con il sorriso stampato sul viso. Aveva l'aria serena ed aveva ripreso a camminare a testa alta. 

Era seduta al tavolo dei Grifondoro nella Sala Grande e davanti a lei un piatto pieno di cibo. -Ho quasi finito di scrivere il discorso per i G.U.F.O. Sono così emozionata, non vedo l'ora che arrivi quel giorno. 

Aveva ripreso a parlare velocemente dei libri vecchi e nuovi trovati in biblioteca , dei suoi studi approfonditi, dei voti presi in questa o quella materia. 

Ginny la guardava: la notte di Capodanno, in accordo con Harry, aveva deciso di non chiamare i suoi genitori per chiedere dove fosse finita, né lei aveva parlato di cosa fosse successo. Erano passate già due settimane da quando maghi e streghe erano tornati ad Hogwarts e due settimane da quando Hermione aveva deciso di restare chiusa in se stessa e sembrava non esserci modo di scalfire quel muro dietro cui si era nascosta: si recava in aula in anticipo, in ritardo in Sala Grande e sembrava non esserci traccia di lei nella Sala Comune. Nei dormitori, invece, si faceva trovare già avvolta nelle coperte e con gli occhi chiusi.

-Sembra stia meglio, le aveva detto Ron, qualche giorno prima, ma Ginny sapeva che non era vero, che Hermione non stava meglio: evitava accuratamente di guardarla negli occhi, scappava ad ogni domanda che non riguardasse lo studio, aveva addirittura cambiato posto durante il pranzo, mettendosi all'altro capo del tavolo per dare le spalle al tavolo di Serpeverde, cercando di ovviare assolutamente il contatto fisico e visivo con Draco Malfoy che, però, non faceva altro che fissarla: la guardava e non si muoveva, la guardava e poi nascondeva gli occhi quando si accorgeva che Ginny fissava lo sguardo su di lui per studiarlo, per capire. 

Era successo qualcosa tra loro la notte di Capodanno, ma non sapeva cosa, anche se, trovare Malfoy in mutande, le aveva dato un'idea abbastanza chiara. Il punto era: se davvero era successo quello che lei credeva, perché avevano entrambi quell'atteggiamento? 

-Hermione? 

-Mh? 

-Potresti aiutarmi con… Un tema di Babbanologia. 

-Ti basta andare in biblioteca, Ginny. C'è un'intera sezione dedicata al mondo babbano. 

-Sì, beh, ma chi meglio di te conosce il reale mondo babbano? Ti prego…- le chiese facendo gli occhi dolci. 

-Posso dedicarti solo un'ora. 

-Va benissimo.- sorrise: non aveva nessuna intenzione di scrivere un tema di Babbanologia che non le era nemmeno stato assegnato. 





-Sono andato in Guferia per mandare un messaggio ad Aria, menomale che le ho regalato quella civetta: non so proprio come avrebbe fatto senza.- Blaise gli si era seduto accanto, mentre lui si riempiva i polmoni degli ultimi tiri di una sigaretta. -Non parlerai, vero? 

-Di cosa dovrei parlarti? 

-Di quello che vuoi, almeno esci da questo mutismo. 

-Non ho niente da dire.

-Per esempio, potresti dirmi come ti senti… 

Draco rimase ancora un po' in silenzio, sembrava aver dimenticato tutte le parole che avrebbero potuto descrivere il suo stato d'animo: perso, confuso, arrabbiato, incapace di respirare, deluso, rifiutato, in preda all'ansia, sul punto di prendere a pugni qualcuno o qualcosa, solo, assonnato, distratto, incompleto, abbandonato. -Sto bene. 

Fece sparire la sigaretta e alzò gli occhi verso il cielo: era una bella giornata, nonostante il freddo. Se solo fosse riuscito davvero a godere di quel sole invernale, ma la sua presenza era palpabile solo sul corpo. Testa e cuore erano da tutt'altra parte. 

-Non è vero. 

-Mh? 

-Non stai bene: ho fatto di tutto per farti capire cosa provassi per lei, mi hai detto di esserne innamorato, mi hai detto che ti mancava da fare schifo, che non riesci a dire nemmeno il suo nome.- Draco continuava a tacere, lo sguardo sempre rivolto al cielo. -La fissi, continuamente. E, forse non te ne accorgi, ma durante le lezioni il tuo corpo è sempre teso verso di lei, come se volessi toccarla. 

Se ne accorgeva, lo sapeva bene che non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, sapeva che si tendeva verso di lei ogni volta che si trovava nei paraggi. 

Sapeva che non aveva mai creduto a tante cose che si raccontavano sull'amore, eppure, nelle tasche, teneva sempre la collana che le aveva regalato a Natale, illudendosi di tenerla vicina, che lei gli appartenesse ancora. -Non lo faccio apposta, non riesco a controllarmi. 

-Lo so. 

-Non mi guarda più, mi dà sempre le spalle. 

Blaise rimase in silenzio, con il senso di colpa che gli faceva intrecciare le mani per evitare di prendersi a schiaffi. -Drà… 

-Non so cosa fare, non mi sono mai sentito così. Mi sento una femminuccia a pensare queste cose, ma è più forte di me: a volte la guardo, mi sforzo di immaginarla durante i primi anni, penso che così magari potrei ricominciare ad odiarla, come la odiavo all'epoca. Non riesco a dimenticarla, ad andare avanti, mi sento bloccato… 

-Lo sai che passerà… 

-A te non è mica passato? Avevi ragione: è stato come aprire gli occhi per la prima volta e… e io avrei solo voluto avere più tempo. 

-Stai bene, eh…- disse l'amico, dandogli una leggera gomitata. 

-Sto bene.- e sorrise. 




-Severus, qual buon vento? 

-Albus, ho ricevuto il tuo biglietto. 

-Accomodati, amico mio, non amo particolarmente la solitudine, tienimi compagnia. 

Il professor Piton si sedette di fronte al vecchio Preside, a dividerli soltanto la grande scrivania. Dopo un po' decise di rompere il silenzio che aveva riempito la stanza. -I tuoi inviti non sono mai dovuti dalla tua voglia di non restare solo, Silente. 

-Oh, hai ragione, non solo. Ti ho dato modo e tempo di pensare al compito che ti ho affidato qualche mese fa, Severus. Hai preso una decisione? 

-La mia risposta è uguale all'ultima volta. No, non guarderò nei suoi ricordi, non userò la legilimanzia con lui: è un ragazzo di vent'anni ed è il primo dolore che prova nel cuore. Deve attraversarlo, viverlo. 

Silente percorse con lo sguardo la circolarità del suo ufficio, posandolo infine sull'uomo che aveva di fronte che lo guardava con il mento alto e lo sguardo spento. 

Fece un respiro profondo. -Quante volte hai creduto che un tuo ricordo fosse un sogno? E quante volte hai creduto che un tuo pensiero ricorrente fosse un ricordo? Prenditi tempo per riflettere, Severus, se vuoi, perché la risposta è difficile e non è la più ovvia.- poi si alzò e si avvicinò alla finestra. 

-Non ho intenzione di rispondere. 

-Si pensa con la mente e con essa si sogna. Ma i ricordi sono custoditi in fondo al cuore. Perciò, più che nella sua mente, dovresti guardare nel suo cuore e non avresti bisogno della legilimanzia né di nessun tipo di incantesimo. 

-Le persone possono allontanarsi, Albus. 

-Mi fa male dirti queste parole e spero che tu non ti offenda, ma è la mancanza di coraggio che ci fa perdere le persone che amiamo. Sai come nascono gli addii? 

-Non è importante per me saperlo. 

-Ci sono parole che se ne stanno zitte sulla soglia ad un passo dalla persona che resta fuori e l'altro non sa come chiamarlo e chiedergli di tornare indietro. E’ così che nascono gli addii.

-Gli addii possono anche essere volontari e non servono parole o richiami in quel caso. Si può, si deve solo accettare. 

-E qual è il caso di cui parli? In quale caso si può accettare un addio? Hai mai detto davvero addio a Lily, Severus? 

Gli occhi del professore si riempirono di lacrime, strinse i pugni. -Mai. 

-Quella notte, quando mi hai mostrato il tuo Patronus, ti ho fatto una domanda: dopo tutto questo tempo? 

-Sempre. 




Angolo Autrice:

Caro lettore, probabilmente avrai notato che questo capitolo è più breve degli altri, ma, a questo punto della storia, è davvero importante per me non perdermi nell'ovvio. 

Parliamo un po' dei nostri ragazzi:

-Hermione, beh, su di lei non posso dirti molto, perciò… ;

-Blaise e Ginny sono i miei paladini della legge e dell'amore, quindi tanto di cappello a questi due che io desidererei vivamente avere come amici nella mia vita;

-Silente e Piton: ah, quanto li amo e quanto amo scrivere i loro discorsi che mi fanno sempre emozionare e non ti nascondo che, rileggendo il capitolo, ho fatto gli occhi lucidi;

-Draco: può risultare leggermente OOC, ma no, non lo è. È un ragazzo che si innamora per la prima volta e, credetemi, innamorarsi a vent'anni è diverso rispetto a quando ci si innamora da bambini o adolescenti: si è molto più consapevoli. E non dimentichiamo che, nonostante i protagonisti siano giovani, sono comunque reduci di una guerra che li ha fatti crescere in fretta, ponendo loro sempre delle scelte difficili da prendere. 

Ti chiedo scusa per questo immenso angolo autrice. 

Spero che il capitolo ti sia piaciuto e spero di trovare una tua recensione. 

A presto, Exentia_dream2




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Capitolo 7
*** Sempre peggio... ***


Sempre peggio… 



Hermione aveva la sensazione di essere fuori dal suo corpo, perché, nonostante glielo avesse negato, sapeva benissimo che Draco Malfoy l'aveva spaccata a metà ed ora una consisteva nel suo corpo che si muoveva e l'altra in quella che si osservava vivere come se lei non fosse più lei, come se fosse un'estranea. 

Le due metà si univano, in parte, soltanto la sera, quando lei si concedeva di piangere e di attraversare quel dolore che provava in ogni singolo muscolo. 

Da quando era tornata a Hogwarts la notte di Capodanno, credeva di aver perso un pezzo di sé durante la smaterializzazione ed era vero, perché metà del suo cuore era rimasto nelle sue mani, come la collana che gli aveva restituito prima di andare via. 

Quando arrivò in aula, si sedette al solito posto, sistemò pergamena e piuma sul banco e i capelli davanti al viso: gli sembrava che quel gesto potesse proteggerla dal suo sguardo, dai ricordi di quella sera, dalla voglia che aveva di guardarlo e tornare da lui. 

Hermione, agli occhi degli altri, sembrava essere tornata quella degli anni precedenti, sempre pronta a rispondere alle domande dei professori, a primeggiare nei voti, la schiena dritta, il respiro regolare. Glielo avevano detto Seamus e Lavanda una volta che l'avevano vista entrare in Sala Comune. -Sei tornata quella di un tempo, eh?- aveva annuito e i due compagni non lo sapevano che quella era la bugia più grande che Hermione avesse mai raccontato soprattutto a se stessa. 

Poco alla volta, si unirono a lei gli altri studenti e la lezione cominciò. 

Il professor Binns aveva una voce noiosa, monotona, l'abilità di far appesantire le palpebre di chiunque lo ascoltasse e il maledetto difetto di non ricordare il nome dei propri alunni. -Oggi parleremo della prigione di Azkaban e della storia della sua fondazione. C'è qualcuno, tra voi, che saprebbe dirm…- ma non riuscì a completare la frase, perché la sua attenzione fu catturata dal movimento di una mano che si allungava verso l'alto. -Bene, lei è la signorina? 

-Granger. 

-Cosa sa dirmi a riguardo?

-Azkaban esiste sin dal quindicesimo secolo e fu originariamente casa di Ekrizdis, un potente mago, professionista delle arti oscure e che si dice abbia avuto seri problemi mentali, infatti usò l'edificio per uccidere e torturare centinaia di marinai babbani. La fortezza fu costruita su un’isola del Mare del Nord e non apparve mai né sulle mappe né agli occhi di altri maghi, finché il suo costruttore non morì e gli incantesimi di occultamento si dissolsero. 

Quando il Ministero della Magia scoprì la sua esistenza, cominciò un'indagine dopo la quale, chi vi aveva partecipato, si rifiutò di raccontare ciò che aveva visto, dicendo soltanto che i Dissennatori erano la parte meno terrificante di quello che avevano scoperto. La proposta di distruggere Azkaban spaccò a metà la comunità magica… - le sembrò che l'altra metà di sé si fosse seduta sulle spalle e la ascoltasse parlare, la sua voce così stanca, e parlava, parlava… 

Si rese conto di aver smesso solo quando qualcuno le poggiò la mano sul braccio. -Sei così brava, Hermione… Se fossi tu ad insegnare, credo che Storia della Magia diventerebbe la mia materia preferita.- le disse Dean, con lo stesso sorriso che aveva visto sul suo viso il giorno in cui aveva provato a baciarla. Si ritrasse immediatamente: aveva voglia di scappare, chiudersi nella Stanza delle Necessità ed urlare fino a che non le sarebbe rimasto più un solo filo di voce, ma non si mosse. Si limitò a guardare dritto, verso la cattedra del professore che aveva iniziato a scrivere qualcosa sul suo registro magico. 

Quando l'ora finí, si alzò velocemente e corse verso la biblioteca dove aveva appuntamento con Ginny. 

Le sembrò che i corridoi si fossero estesi, si guardò continuamente dietro per assicurarsi che Dean non la stesse seguendo. 

Solo quando si trovò di fronte alla porta della biblioteca, si permise di rilassarsi e di fare un respiro profondo che, però, le si mozzò immediatamente quando i ricordi di quello che era successo lì dentro si presentarono alla sua mente. 

La parte di sé che sentiva essersi staccata dal suo corpo, la osservò mentre gli occhi le si riempivano di lacrime: aveva lo sguardo fisso sul pavimento, mentre riviveva quella sera, mentre gli sembrava di averlo di fronte, la sua voce ad un soffio da lei. -Che altro avrei potuto fare?, mentre la stringeva forte, poggiato ad uno scaffale e le toccava la bocca, poi le alzava il vestito e non si staccava da lei. -Vattene via., e avrebbe voluto farlo davvero: prendere i cocci che lasciava ad ogni suo passo e andare via, lontano da tutti, lontano da quelle mura, lontano da lui. 

Invece spostò l'enorme porta di legno, si guardò intorno, non c'era nessuno e trovò Ginny seduta ad un tavolo in fondo alla sala, si sedette accanto a lei. -Sei pronta? 

-E tu? 

-Certo che lo sono, anche se Babbanologia non è la materia che preferisco. 

-Non ho nessun tema da fare. 

-Cosa? 

-Dove sei finita? 

-Sono quella di sempre. 

-No, sei quella di prima. Prima di diventare amica di Harry e Ron, prima di Malf… 

-E va bene così. 

-Cos'è successo? 

-Niente che ti riguardi, Ginny. 

-Mi riguarda eccome, visto che… 

-Visto cosa? Perché ti interessi tanto? Che t'importa di quello che è successo? Sto bene, sono presente… 

-No, non è vero: non stai bene, non ci sei, non sei presente.- rispose interrompendola. -Credi davvero che io non ti senta quando ti alzi dal letto ed esci dal dormitorio? Credi davvero che io non sappia cosa fai? 

-Non potresti. 

-Ieri ho chiesto a Harry di prestarmi il suo Mantello dell'Invisibilità, ti ho seguita fino alla Stanza delle Necessità, sono riuscita ad entrare per un pelo… 

La voce dell'amica le giungeva ovattata mentre ripensava a quello che faceva ogni sera: si chiudeva in quel posto, si lasciava invadere dalla tristezza e dal dolore. Le era capitato di piegarsi su se stessa, urlare con tutto il fiato che aveva in corpo fino a graffiarsi la gola, piangere quelle lacrime che sembravano essere infinite e lo malediva e si malediva, si odiava e lo odiava e lo voleva, più di tutto, più di tutti, con ogni cellula del suo corpo, con ogni goccia di sangue che le scorreva nelle vene. Si riscosse quando Ginny le accarezzò i capelli. Non riusciva a parlare, le sembrava impossibile riuscire a calmare il respiro. -È stato uno sbaglio, i-io non… Non dovevo farlo e lui, lui, bastardo, pezzo di mer… 

-Cos'è successo? 

Aveva la sensazione di aver cominciato a parlare, mentre si torturava le mani e stringeva la gonna, di come Draco l'avesse guardata in quella camera da letto, come l'avesse baciata e toccata, le parole che le aveva detto e quelle che invece erano rimaste mute e in sospeso. E la sua espressione quando gli aveva restituito la collana, quando l'aveva vista vestirsi di nuovo, e quelle mani sul viso, le volte in cui provava ad avvicinarsi e lei si allontanava. 

La cravatta sembrava soffocarla e allentò il nodo, vedeva gli occhi di Ginny farsi grandi e lucidi. Non sapeva cosa le stesse raccontando o se effettivamente stesse parlando, se avesse cominciato a piangere o fosse solo la sua immaginazione a bagnarle le guance. 

Sentì soltanto la sua testa poggiata sulla spalla e Ginny che l'abbracciava forte. 




-Ho sempre voluto chiederti una cosa, Lisa. 

-Cioè? 

-Quando ci siamo guardati per la prima volta, ti ricordi? 

-Sì. 

-Ti ho trovato nella Sala Comune di Grifondoro… Cosa ci facevi lì? 

-Aspettavo Luna. 

-Luna? 

-Sì, Ron, anche Luna e Neville, per quanto possa sembrare assurdo, fanno sesso. 

-Avevi dei segni rossi sul collo. 

-È stato un incidente durante una lezione di Erbologia.

-Oh, va bene. 

-Cosa credevi che fosse? 

-Non lo so.- poi si sedette su un gradino accanto a lei. 

-Sto davvero bene con te.

-Anche io e poi, chissà, magari ci innamoriamo davvero. 

Quando Lisa sorrise, Ron sentì il suo cuore fare una capriola. Non si era pentito di nessuna decisione presa e di nessuna azione compiuta fino a quel momento, perché tutto quello lo aveva portato a lei. 

Certo, magari l'avrebbe conosciuta prima se non avesse perso tempo a bere la Polisucco e a fingersi qualcun altro, ma cosa importava adesso, mentre la stringeva a sé? 

Con Lisa lui poteva essere davvero se stesso, senza doversi sentire inferiore se non conosceva una data o un evento storico particolare, poteva non riuscire in un incantesimo al primo colpo senza sentire addosso uno sguardo di disapprovazione, senza la paura di deludere qualcuno. 

Le baciò la fronte, promettendole la sua presenza anche quella sera e si allontanò. 

Nessuno faceva più caso a lui, nessuno più lo guardava con disprezzo o delusione e, nonostante le sue amicizie fossero state compromesse dal suo atteggiamento, Ron camminava a testa alta, senza vergognarsi. 

Si chiese se con il tempo avesse recuperato il rapporto con Harry, se le prossime feste o l'estate fossero state imbarazzanti come lo era stato il Natale, ma accantonò quei pensieri in un angolo remoto della mente, decidendo di vivere alla giornata e senza preoccuparsi troppo del futuro immediato o prossimo. 

L'unica cosa che era importante per lui, in quel momento, era la vicinanza di Lisa, la certezza di poterla stringere ogni notte, di dormire nelle sue lenzuola e risvegliarsi con lei nel letto. 





Continuava a pensare a quello che era successo durante l'ora di Storia della Magia che lui non aveva seguito, perché era troppo impegnato a studiare ogni minimo movimento di Hermione: la mano alzata, la risposta precisa, la voce tranquilla, un Eccezionale in più tra i voti, il suo giocare con la piuma mentre raccontava la storia di Azkaban. E poi Dean si era avvicinato a lei, le aveva detto qualcosa, l'aveva toccata, mentre lui non poteva più farlo.-Sei troppo vicino. Non toccarmi.

Aveva trascorso quei minuti a stare fermo, nonostante la voglia di mettersi di fronte a quello che toccava ciò che gli apparteneva e spaccargli la faccia e poi andare da lei. Ma quando il professor Binns aveva dato loro l'ordine di poter lasciarlo solo, l'aveva vista correre fuori dall'aula e si chiese dove fosse diretta, ma non la seguì: sentiva le gambe pesanti, come la sua assenza, come quella gelosia che gli stava logorando lo stomaco. 

Come in Sala Grande, quando l'aveva vista ridere insieme a Neville e Harry. 

Si chiese se lui l'avesse mai fatta ridere in quel modo e sì, lo aveva fatto e non faceva altro che ricordare il suo sorriso e quella risata che sembrava essergli entrata sotto i vestiti, sotto la pelle, nelle ossa e risuonava all'infinito, sostituendosi all'immagine del suo viso triste e sporco di lacrime. 

Si rese conto di essere arrivato al suo dormitorio ed essersi steso sul letto soltanto quando qualcuno si sedette ai suoi piedi. 

Alzò leggermente la testa e vide Pansy con la camicia sbottonata, la bacchetta stretta in mano. -Colloportus. 

-Cosa vuoi?- le chiese, tornando a stendersi. 

La risposta arrivò quasi subito, senza parole, con una carezza che partiva dalla caviglia e saliva lenta tra le gambe. 

-Dai… 

-Smettila, Parkinson.- le spostò bruscamente  le mani. -Smettila. 

-Ti piaceva una volta, no? 

-No. 

Ma lei continuava e sorrideva, mettendosi a cavalcioni su di lui, mentre gli sbottonava la camicia e gli baciava il collo: sentiva le sue dita sottili salire e scendere sul ventre, i morsi, la lingua e il fiato accarezzargli il corpo. 

Draco chiuse gli occhi, la lasciò fare. Invertì le posizioni, si stese addosso a lei, togliendole il maglione e il reggiseno, senza guardarla. Si liberò della cintura e del pantalone, pronto ad accontentarla, chiudendo gli occhi e, mentre le mani di Pansy cominciavano a giocare, lui si sistemò in mezzo alle sue cosce che si strinsero immediatamente attorno ai fianchi. 

Entrò lentamente e non evitò di dare voce al sospiro che aveva in gola. 

-Bravo, così.- e rise e Draco aprì gli occhi. 

Cosa stava facendo? Quella non era la risata che voleva sentire, non erano i capelli che voleva toccare, non era il corpo che voleva stringere, non era quello il profumo che voleva nei polmoni e, quella sotto di lui, non era la donna che voleva nel suo letto. 

-Esci di qui.- la prese per un braccio, strattonandola più forte quando lei aveva provato a resistere, le sistemò i vestiti sul gomito. -Alohomora.- poi la spinse fuori dalla porta, richiudendola subito dopo. 

-Malfoy ti si è ammosciato il cazzo perché non sai più cosa significa avere una vera donna nel tuo letto, vero? Se ti si attizza con una che ha il sangue sporco vuol dire che sei un perdente.

Rimase in silenzio e alla voce di Pansy sentì aggiungersene altre, poi il rumore di uno schiaffo e un pianto sommesso. 

Si lasciò scivolare sul pavimento, spalle al legno, prendendosi la testa tra le mani. 

Sentiva qualcuno chiamarlo, bussare alla porta, chiedergli di aprire. Riconobbe la voce di Blaise e lo lasciò entrare, sedendosi sul letto. -Chi è stato?

-Io.- alzò gli occhi quando riconobbe una voce femminile e si trovò di fronte Daphne e Theo, dietro di loro Blaise. -E non me ne pento. 

-Avresti dovuto lasciar perdere. 

-No. Non dovresti farlo nemmeno tu. 

-Ma che volete? Lasciatemi solo, vi prego. 

-Malfoy che prega qualcuno, non mi sembra vero. 

Li guardò, uno ad uno: parlava solo Daphne, mentre gli altri due si erano piazzati in piedi dietro di lei, a dimostrare l'intenzione che non l'avrebbero lasciato uscire da quella stanza e non lo avrebbero fatto nemmeno loro. -Andate via. 

-Ti dà fastidio la nostra presenza? 

-Sì, molto. 

-Bene, mi piace infastidire le persone.- e si affiancò a lui. 

Restarono in silenzio per un po': Draco guardava il pavimento, gli altri guardavano lui. 

Mosse le labbra, ma non uscì alcun suono e, prima di riprovarci, deglutì. -Pansy… Lei è… 

-Lascia perdere, non dovresti sprecare nemmeno un minuto a pensare a quello che è o non è successo.

-Non è successo, però… 

-Ti stai focalizzando sull'inessenziale. 

-PERCHÈ MI MANCA L'ESSENZIALE ACCANTO. Mi manca da fare schifo.- disse in un alito di voce, come a non voler rendere reale quell'assenza. 

-Vai a riprendertelo, il tuo essenziale. 

-Non mi guarda più e non si lascia guardare, mi fa vedere solo le sue spalle o si nasconde dietro ai capelli. Non mi parla, nemmeno durante le ore di Pozioni e il suo silenzio fa così rumore, fa così male… e più sta zitta e più mi sembra di non riuscire a staccarmi da lei e lei sta bene, anche senza di me. 

Daphne sospirò. -Non ho mai parlato così a nessuno, perciò, per piacere, ascoltami bene. Quando ho capito di essere innamorata di Theo, mi sono sentita così in colpa, perché sapevo che avrei potuto rovinare la nostra amicizia, ma più gli stavo vicino e più capivo che non riuscivo a fare altro, che volevo rovinare tutto, anni e anni in cui ci siamo stati vicini da amici, ma perché volevo altro da lui. Stavo male, piangevo, ma lo volevo e non sono mai stata coraggiosa, ma avevo bisogno di capire e di reagire. Siamo stati giorni interi senza parlarci e l'ho odiato talmente tanto, un odio che ora non riesco a spiegarti. Lo guardavo di continuo e lui sembrava sempre tranquillo, felice… a volte, mi sembrava che stesse meglio lontano da me.- scosse leggermente la testa e sorrise. -Non mi ha parlato per giorni interi e quando l'ha fatto, mi sembravano fossero passati anni dall'ultima volta che avevo sentito la sua voce. Ho pianto, gli ho urlato contro, ma lo volevo e ho fatto di tutto per stare con lui. Quando mi ha parlato, quando è riuscito a farmi stare zitta, ho capito che tutto quello che vedevo non era vero: rideva con gli altri, sì, ma non era felice. Sembrava stare bene lontano da me e invece moriva dentro. Sembrava sempre sul punto di mandarmi a fare in culo per non venire mai più a riprendermi, ma più mi mandava via e più aumentava la sua voglia di stare con me. 

Poi si intromise Theo. -Se avessi avuto più coraggio, entrambi avremmo sofferto di meno. Il dolore che stai provando non fa di te una persona debole. 

-Mi sta distruggendo. Non sono più io e me ne rendo conto adesso, perché prima non sarei mai arrivato al punto di parlare di tutto questo. 

-Dai, Draco, non ci sarebbe stato comunque bisogno che tu parlassi per capire che stai di merda: si vede lontano un miglio. 

-Davvero? 

-Sì. Sei sempre curvo con la testa bassa o guardi verso il tavolo di Grifondoro. -aggiunse Blaise. -Non servono le parole per capirlo. 

-Questa l'ho già sentita.- un mezzo sorriso sulle labbra, la voglia di riuscire ad andare avanti.

Uscirono insieme dal dormitorio e si diressero verso la Sala Grande. Camminarono in silenzio e Draco avvertì la sensazione di sentirsi leggero, una piccola speranza di poter riprendere tutto da dove l'avevano lasciato o rifare tutto daccapo ed anche meglio. 

Fino a che non sentì degli sguardi posarsi su di lui, il suo nome uscire da bocche che non conosceva. Si fermò al centro del corridoio. 

-Quindi,non ti si alza più, eh, Malfoy?- gli chiese qualcuno e decise di non rispondere, di starsene in silenzio. -Se non ti si drizza con la Parkinson… 

Alzò leggermente gli occhi, notò una sciarpa gialla e grigia e, senza che lo volesse, i suoi piedi cominciarono a camminare in direzione di quell'indumento. 

Si trovò di fronte ad un ragazzo alto, con i capelli neri. -Cosa hai detto?- lo guardò deglutire, fare qualche passo indietro. -Ripetilo. 

L'altro balbettò, poi sembrò gonfiarsi e sul viso gli comparve un sorriso derisorio. -La Parkinson ha detto che hai fatto cilecca. Prima della terza volta. 

-Cosa? 

-Sì… Potrei anche capire, dopo due scopate con lei… 

-Quando te l'ha detto? 

-Oh, non l'ha detto a me. L'ha detto a tutta la Sala Grande. 

In quel momento, Draco sentì freddo su tutto il corpo: sperò che non fosse vero, sperò che Hermione si fosse trattenuta in biblioteca e non avesse sentito. O nel suo dormitorio o che fosse alla torre di Astronomia, ma non lì, non lì. 

Non guardò in direzione dei suoi amici che, nel frattempo, si erano messi in circolo intorno a lui e all'altro ragazzo. 

Camminò svelto verso la Sala Grande, mentre continuava a pregare di non trovarla a cena, e, nel momento esatto in cui varcò la soglia, si trovò addosso lo sguardo di tutti i presenti, il sorriso cattivo sul volto di Pansy. La guardò per un solo secondo con il disprezzo più forte che avesse mai provato, poi vide un mantello muoversi alla sua sinistra e lo seguí senza muoversi. 

-Non te ne andare, 'Miò… 

Aveva le gambe bloccate, nella mente l'ultima notte che avevano passato insieme, le volte in cui era andata via, le volte in cui era tornata da lui e quelle in cui restava ferma per non sbagliare i passi, i tempi. 

Non riusciva a crederci, non stava succedendo davvero. No, no e no: era soltanto un incubo, gli sarebbe bastato aprire gli occhi e si sarebbe trovato di nuovo nel suo letto.

Lui non aveva spogliato Pansy Parkinson e non l'aveva mandata via perché lei non era mai entrata nella sua camera singola da Prefetto, non aveva parlato con Blaise e Theo e Daphne, non aveva incontrato quel ragazzo di Tassorosso lungo la strada, non era in Sala Grande, non aveva visto Hermione andare via per l'ennesima volta. 

Sentì un unico battito di mani, l'eco che gli provocava male alle orecchie, un'unica risata che gli esplodeva intorno nel silenzio totale. 

-Sei pronto per il terzo round?- urlò Pansy. 

Draco strinse i pugni e andò via. 



Angolo Autrice:

Eccoci qui e sì, come avrete capito dal titolo e dopo aver letto il capitolo, qua tra questi due le cose vanno sempre peggio. 

Cosa succederà la prossima volta? Riusciranno a riavvicinarsi? 

Si accettano scommesse. 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate. 

A presto, Exentia_dream2




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Capitolo 8
*** Evitarsi ***


Evitarsi



Draco Malfoy aveva vissuto gran parte di quei vent'anni regalando al mondo la parte peggiore di sé, mostrandosi egoista, borioso, arrogante, pretenzioso. 

Una maschera, certo, che lo aveva protetto da tutto ciò da cui non voleva farsi colpire. 

Suo padre, per quanto in suoi metodi fossero discutibili, gli aveva insegnato che, in qualsiasi modo, doveva prendersi ciò che gli spettava o che voleva, senza mai però chiederlo. Gli aveva insegnato a guardare tutti dall'alto verso il basso, per mettere in evidenza la propria aristocrazia e la propria superiorità, a ripagare un torto con la stessa moneta e lui aveva incamerato quegli insegnamenti al punto da ritenerli regole fondamentali della vita. 

Gli aveva anche insegnato a non piangere e, nonostante volesse discostarsi quanto più possibile dalla sua figura e dalle sue ideologie, Draco non lo faceva quasi mai, non lo stava facendo nemmeno in quel momento, quando, seduto sul suo letto, aveva capito che quella maschera che Lucius gli aveva plasmato sulla faccia era fatta di cartapesta ed era scivolata facilmente dalla pelle a causa di un sorriso, di una voce ed era stata lei a renderlo vulnerabile, fragile, distrutto. 

Ripensò a quelle poche volte in cui si era concesso la libertà di lasciare libere le lacrime, sia per paura che per dolore. Un dolore che non avrebbe voluto mai provare, che gli aveva fatto sentire il cuore spaccarsi a metà. 

Guardava il soffitto, nessuno a tenergli compagnia, le mani vuote. 

Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando aveva chiuso e poi riaperto gli occhi. Sembravano secondi. Il brusio nei corridoi dei sotterranei, però, lo incuriosì tanto da fargli lasciare il materasso, indossare la divisa e uscire dalla sua camera. 

Quella notte sembrava avergli calato addosso la consapevolezza che, nonostante fosse realmente cambiato, spogliandosi del suo cognome e passando dalla parte di Silente, l'abito che gli stava meglio addosso era quello che aveva cucito su di sé a undici anni, insieme a quella maschera che, volontariamente o no, non gli copriva più il viso. Gli sembrò facile rimetterla al proprio posto. 

Aprì la porta e si avviò nella Sala Comune: aveva la bocca immobile nel solito sorriso, gli occhi che sembravano non vedere e, quando salutò Blaise e Theo, si rese conto che la sua stessa voce gli risultava estranea. 

-Draco? 

-Mh? 

-Tutto bene?- gli chiese uno dei due. 

Li guardò a lungo prima di rispondere, vedendo sui loro visi lo sgomento dovuto a non sapeva cosa e non aveva intenzione di capirlo né di fare ipotesi a riguardo. -Sì. 

Poi, si era seduto tra loro sul grande divano di fronte al camino, senza parlare, senza fare domande ed aveva sentito dei passi avvicinarsi, una mano posarsi sulla spalla, l'altra nella piegatura del gomito, la bocca vicino all'orecchio. 

-Allora, Draco, hai trovato un rimedio per il tuo pisello moscio?- gli chiese Pansy. 

Senza nemmeno voltarsi verso di lei, aveva allontanato le mani dal suo corpo con in faccia un'espressione di disgusto. -Spostati. Puzzi di puttana.- con la voce così bassa che credette di averlo solo pensato. 

Ma l'avevano sentito tutti e, se pochi minuti prima sul volto di Blaise e Theo c'era sgomento, quello che vide dopo quelle parole era puro terrore. 

E, in quel momento, capí che non sarebbe servito rispolverare dall'armadio i vecchi abiti e non sarebbe servito nemmeno averne di nuovi, perché quello che era stato negli anni precedenti era tornato senza nemmeno chiedergli il permesso. 

Camminava per la scuola, partecipava alle lezioni con un innato interesse che gli dava la possibilità di guardare dritto davanti a sé, di ascoltare la voce dei professori che spiegavano un determinato argomento o chiedevano di fare un certo incantesimo. 

Erano passati svariati giorni dalla scenata di Pansy in Sala Grande e in Sala Comune, in cui non aveva visto nemmeno l'ombra di Hermione: gli sembrava che lei si fosse eclissata, che avesse addirittura abbandonato la scuola, ricordandosi quasi alla fine che di lezioni in comune non ne avevano ancora avute avute, come se tutto fosse a suo favore e gli desse tempo di perfezionare e rafforzare quel suo io che somigliava molto al ragazzino che era stato e che metteva per la prima volta piede a Hogwarts. Ne era quasi contento. 

Sentiva addosso quella strana cappa che gli permetteva di non essere avvicinato da nessuno, come una sorta di corazza d'acciaio e ne era contento, perché si sentiva capace di lasciare fuori il dolore, la voglia di piangere.

Quello che però non aveva messo in conto erano le lezioni di Pozioni, durante le quali avrebbe dovuto condividere l'aula con i Grifondoro e sistemarsi nel tavolo da lavoro accanto a lei che era ancora vuoto, perciò, Draco si prese il tempo necessario per sistemare la pergamena, la piuma, il libro. 

E, prima del suo corpo, lo raggiunse il suo profumo. -Grano, girasoli, shampoo alla pesca. 

Chiuse gli occhi e li riaprì soltanto quando il professor Piton cominciò a parlare e lui capì che Hermione gli era vicino.

-La pozione soporifera, meglio conosciuta come Distillato della Morte Vivente, è estremamente potente, infatti spedisce chi la beve in un sonno simile alla morte, come se la vita della persona stessa fosse appesa ad un filo. La preparazione di questa pozione è… -e senza nemmeno accorgersene, Draco aveva preparato gli ingredienti, li aveva sminuzzati e inseriti nel calderone, aveva mescolato il preparato e, quando la pozione aveva raggiunto il tono del rosa pallido, lo aveva inserito in una piccola ampolla di vetro. 

Solo in quel momento ricordò di essere in aula e si girò alla sua destra. -...si nasconde dietro ai capelli. e la trovò allo stesso modo: i capelli portati su una spalla, come per non farsi guardare da lui, come a volerlo evitare, come per fargli capire che oltre quella chioma lui non sarebbe più potuto entrare. Si allungò verso il suo calderone e vide che anche la pozione di Hermione aveva raggiunto il giusto colore. -È perfetta.- le disse quasi nell'orecchio. 

Ma lei non alzò lo sguardo, non gli rispose. 

E lì, di fronte a quel silenzio, di fronte a lei che non lo voleva più, Draco aveva sentito quella corazza, che da giorni lo vestiva, sgretolarsi e sciogliersi come ghiaccio in una mano ed aveva capito che non era vero che fuggendo si sarebbe allontanato, che avrebbe anche potuto camminare a vuoto per il mondo, ma i suoi piedi lo avrebbero sempre fatto tornare da lei, in quei posti che voleva evitare, in quei giorni che sembravano lontani anni luce. 

Capì in quel momento che la sua corazza, la sua maschera erano soltanto una finzione e lui avrebbe potuto recitare e fingere con chiunque, ma non con se stesso. 





-Daaai, attenti a quei bolidi.- Ginny continuava ad urlare i suoi compagni di squadra e scese sull'erba per osservarli mentre si allenavano. 

Ron era ancora portiere, nonostante non parlasse più con il capitano che non se l'era sentita di mandarlo via, Demelza aveva ripreso il suo posto ed era presente ad ogni allenamento e partita. Harry, invece, era alle prese con l'estenuante inseguimento per prendere il Boccino che, però, terminò la sua corsa a pochi passi da lei. Quando Harry toccò il suolo, le sorrise e le si avvicinò, dandole un leggero bacio sulle labbra. -È davvero impossibile a volte vederlo.- disse mettendo in mostra la piccola sfera dorata. 

Ginny gli spostò i capelli dalla fronte, lo guardò con amore e desiderio di averlo addosso. -Sei il miglior cercatore del Mondo Magico. 

Era vero: Harry era stato il cercatore più giovane ad entrare nella squadra di Quidditch di Grifondoro e le molte vittorie, insieme alla coppa, erano dipese sempre da lui. 

Ginny ricordò la partita durante la quale Harry aveva vinto la partita sì, ma soprattutto la scommessa con Malfoy e, dal suo sguardo, capí che anche lui stava pensando la stessa cosa. Sorrise triste. -Sono solo un po' stupido. 

-Non è stata colpa tua, probabilmente sarebbe successo lo stesso. 

-Sì, ma avrei dovuto capire prima che la richiesta di quel premio nascondesse di più. 

-Forse sì, ma non avresti potuto comunque fare niente: ricordati che sono stati chiusi in un dormitorio per una settimana e lei aveva accettato di dargli ripetizioni. 

-Come sta?

-Davvero male, Harry. 

-Hai saputo cos'è successo? 

Ginny annuì e sentì gli occhi farsi lucidi al ricordo di Hermione che le raccontava la notte di Capodanno. Tirò un respiro profondo. -Credo di doverti raccontare tutto dall'inizio. 

-Va bene. 

-Quando ti ho chiesto di prestarmi il Mantello dell'Invisibilità…

-È successo qualcosa mentre andavi in biblioteca? 

-No, ti ho detto una bugia: non dovevo andare in biblioteca. Te l'ho chiesto perché, da quando siamo tornati, ogni notte Hermione esce dalla torre e, una volta avuto il Mantello, l'ho seguita e… quello che ho visto, Harry, mi fa troppo male…

-Cos'hai visto? 

-Lei è entrata nella Stanza delle Necessità, io ci sono riuscita davvero per un soffio. L'ho vista ferma di fronte al camino, ha cominciato a piangere senza nemmeno un lamento per almeno venti minuti, forse di più. Poi ha urlato, un urlo disumano: si è piegata in due e non credo sia stato per lo sforzo. 

-A me sembra che stia meglio, però. 

Scosse la testa. -No, è soltanto un modo per non farci preoccupare, Harry. A me è sembrato di sentire il suo stesso dolore quella notte e non potevo fare niente, non potevo abbracciarla o dirle che sarebbe andato tutto bene. 

-Ma le passerà, no? 

-Sì, spero. Però, ci vorrà tempo. Tanto tempo… Si sono lasciati nel modo peggiore, Harry. 

-Immagino si siano urlati dietro le peggiori accuse e parole. 

-Hanno fatto l'amore.- a quelle parole Ginny immaginò come sarebbe stato chiudere la storia con Harry dopo aver passato giorni interi a piangere per la confusione sui suoi sentimenti, dopo aver lottato contro chi voleva dividerli, dopo essersi abituati agli sguardi predicatori degli altri e aver avuto il coraggio di prendergli la mano anche fuori. Dopo avergli dato tutta se stessa per la prima volta. 

Guardò il viso di Harry, gli occhi che si erano riempiti di consapevolezza, rabbia e tristezza e poi si erano focalizzati in basso a guardare i piedi. -Chissà quante volte lo avranno fatto, loro due insieme intendo.

-Era la prima volta.- fu la cosa peggiore che potesse dire perché, in quel momento, entrambi cominciarono a piangere. 




Quando entrò nel locale, Blaise reggeva a stento un grosso pacco regalo che poggiò sul bancone centrale. 

-E questo cos'è?- gli chiese Aria, dandogli un bacio a stampo. 

-È un regalo, sai, ho un'amica che stasera inaugurerà una sala da tè. 

Lei sorrise. -E la conosco? 

-Non credo: una tipetta parecchio antipatica, bruttina… - poi le strinse la vita e la attirò a sé. 

Non la baciava da quasi una settimana, aveva contato i giorni che sarebbero mancati a quel sabato come un detenuto avrebbe contato gli anni da scontare ad Azkaban. 

-Sì, beh, so che ci andrà anche qualcuno di mia conoscenza: un ragazzo molto vanitoso, indisponente… 

-Non credo di conoscerlo… Allora? Non vuoi sapere cos'è? 

Poi, Aria cominciò a rompere la carta da regalo: aveva delle belle mani, che tremano appena per l'emozione. 

Sapeva nascondere i suoi stati d'animo spesso con un sorriso leggero, ma Blaise aveva imparato a riconoscere quei piccoli segnali che la tradivano: si toccava i capelli quando non sapeva cosa dire e si mordeva l'interno della guancia quando non voleva ferire qualcuno con le parole, abbassava lo sguardo quando era in imbarazzo e giocava con le dita quando era nervosa. 

Ma quando finí, il sorriso che le illuminò il viso non poteva essere più sincero. Guardò Blaise con le lacrime agli occhi e lui con un colpo di bacchetta sistemò il regalo al soffitto sopra il bancone di legno, dietro la striscia di faretti. 

Gli avevano detto che quello era il quadro più romantico mai esistito e lui ci aveva creduto perché, guardando quel disegno, Blaise aveva ricordato quella notte d'estate in cui lui e Aria avevano fatto l'amore per la prima volta e il giorno in cui l'aveva incontrata di nuovo, il modo in cui lei era venuta a conoscenza del suo segreto, la sera di Capodanno e al suo cuore che sembrava fermarsi ogni volta che la spogliava e lei faceva lo stesso. 

-La notte stellata.- le sentì sussurrare. 

-Magica. 

-Cosa? 

-Guarda, ti faccio vedere.- uscì dal locale, dirigendosi verso il suo nuovo appartamento e poco dopo le stelle, il cielo e la luna dipinti cominciarono a muoversi lentamente quasi come se all'interno del vetro ci fosse l'acqua del mare in movimento. 

Poi, si smaterializzò al fianco di Aria. 

-È… è…

-Succederà ogni volta che sono lontano e ti penso… Ho preferito metterlo lì, perché credo che si animerà spesso. 

-Pensi tanto a me?

-Sempre. Ogni secondo della giornata.- la baciò di nuovo, con quel ti amo intrecciato alle corde vocali e la voglia di dirglielo in quel preciso istante, ma preferì

Poi, sentirono il suono delle campane a vento che li avvertiva che i primi ospiti erano arrivati. 

Vide la preoccupazione sul suo viso e la prese per mano. -Andrà tutto bene. 

Aria gli aveva presentato tante persone, a cui lui aveva stretto o baciato la mano da perfetto gentiluomo, attirando su di sé qualche sguardo compiaciuto, poi era andato a sedersi in disparte su uno sgabello.

Guardava sala da tè gremita di gente, Aria che sorrideva a chiunque le si avvicinasse, chi notava i glicini pendenti, chi si soffermata sui centrotavola particolari, chi annusava l'odore buono che aleggiava nel locale. 

Si sentì fiero di far parte di quello che Aria aveva costruito.

 -Puoi venire qui quando vuoi, per te la porta sarà sempre aperta. Questo posto è anche tuo.- gli aveva detto una notte in cui Blaise non riusciva a dormire, qualche giorno dopo averla incontrata, e si era affacciato alla sua finestra preferita, notando sul marciapiedi di fronte la luce accesa e l'aveva raggiunta. Le aveva chiesto cosa ci facesse lì alle due di notte, da sola e lei gli raccontò di quanto fosse grande la sua paura che tutto potesse andare male, la sensazione di non sentirsi in grado di superare le aspettative sue e dei suoi genitori. Gli aveva parlato di come era nata la sua passione per i fiori e il tè, di come aveva sempre sognato di arredare quel posto, di come l'avesse fatta penare la scelta dei colori delle pareti.

Poi, l'aveva rassicurata e stretta forte. 

Sorrise a quel ricordo e sentì le braccia di Aria avvolgerlo da dietro. Appoggiò la fronte a quella di lei. -Grazie. 

-Di cosa? 

-Di avermi fatto tornare nella tua vita. 

-Credo che tu non te ne sia mai andato: quando ti ho visto entrare qui per la prima volta non riuscivo a pensare a niente, se non a quale fosse il motivo che potesse spiegare la tua lontananza. E non riuscivo a capire perché avessi la sensazione di averti visto solo il giorno prima se in quei mesi la tua mancanza mi aveva fatto stare tanto male. A volte, avrei solo voluto averti di fronte e urlarti tutto quello che provavo, tutte le mie emozioni. 

-Potresti farlo ora. 

-Sì.- la sentì respirare con il mento poggiato sulla spalla e il viso inclinato sulla sua guancia per guardarlo meglio. -Ti amo. 

E nonostante glielo avesse solo sussurrato e non urlato, Blaise ebbe la sensazione che quella frase fosse esplosa tanto forte da far fermare tutti: gli sembrò che all'improvviso fosse calato il silenzio assoluto e che le persone nel locale si fossero bloccate senza possibilità di riuscire a muoversi, come se si fosse fermato il tempo, come se quello spettacolo che aveva davanti fosse soltanto una fotografia babbana. 

Sorrise ancora. -Ti amo anche io. 





-È perfetta.- la pozione. E lei, invece sì sentiva così sbagliata, così ferita. 

Ripensava a quello che aveva sentito in Sala Grande ed ogni volta le sembrava che il cuore le morisse nel petto, per questo aveva deciso che non gli avrebbe più dato modo di avvicinarsi, di ferirla. 

Si chiedeva come si fosse sentito Draco quando, nei corridoi, gli avevano che Dean aveva provato a baciarla e decise che quello che quello non era niente rispetto a quello che lei aveva provato quando Pansy Parkinson si era alzata in piedi durante la cena, mentre raccontava a tutti di come lui l'aveva spogliata e baciata, una volta, due. Di come le teneva i fianchi e di come la sua voce fosse roca mentre le diceva di essere contento che lei fosse tornata da lui, che tutto quello che c'era stato prima con chiunque altra non era stato importante. Hermione era andata via nel momento esatto in cui aveva alzato gli occhi e aveva visto Draco entrare: non voleva nessuna conferma, gli erano bastate quelle parole e il rumore delle due metà di sé stessa che si erano frantumate dopo quel racconto pieno di particolari, il neo sulla spalla destra, il suono dei suoi sospiri. 

Li aveva sentiti anche lei, la notte di Capodanno, mentre i fuochi d'artificio esplodevano nel cielo, mentre lei pensava che stesse facendo davvero l'amore per la prima volta, nonostante le volte in cui si era spogliata per Ron, mentre si alzava dal letto e si allontanava da Draco, mentre il muro del silenzio calava tra loro e riusciva a vederlo, mattone dopo mattone, e lei non riusciva a guardare più la sua bocca, i suoi occhi. 

Le tornava in mente ogni particolare: di come lui l'aveva poggiata al muro e le aveva messo le mani nell'incavo delle ginocchia per sollevarla da terra, di come l'aveva baciata, di come le aveva chiesto il permesso senza parlare, del suo sguardo sulla collana, della sensazione di sentirsi completa quando era entrato in lei e al suo corpo che lo accoglieva si era sostituito quello di Pansy. 

Sentiva la nausea salirle in gola, così come quella sera a cena, ed era corsa in bagno a vomitare senza riuscire a fermare il pianto e i pugni rivolti al pavimento, con Ginny che l'aspettava fuori in silenzio e non riusciva ad aiutarla, a consolarla. 

Si rigirò nel letto, con gli occhi e i polmoni che le imploravano di piangere, di sfogare quella delusione, quella sofferenza. Si alzò, si coprì con il mantello e si avvicinò al letto di Ginny quando la sentì muoversi. -Non seguirmi, ti prego. 

Aveva camminato piano fino alla porta della Stanza delle Necessità, l'aveva spalancata e aveva cominciato a togliersi i vestiti fino a trovarsi in mutande e reggiseno: si era spogliata di quegli abiti che non voleva, della finta Hermione che sorrideva, che alzava la mano durante le lezioni, di quella che si credeva più intelligente di tutti. E urlò con tutto il fiato e il dolore che aveva in corpo. 

Appellò la fotografia che teneva nascosta nel baule, vide le immagini muoversi con Draco a mezz'aria poco distante da lei che sedeva sugli spalti, le tornarono alla mente le parole scritte nell'articolo "E il loro amore non ha bisogno di parole, perché comincia a spiegarsi con uno sguardo… " e pianse più forte, fino a sentire lo stomaco accartocciarsi su se stesso. 

Come aveva potuto? Di nuovo la voce di Pansy a riempire lo spazio che aveva intorno. 

Si era stesa di fronte al camino a guardare in alto, immaginando ancora Draco su di lei che le apriva le gambe, che la toccava. 

Scosse la testa e sentì nascere in lei l'esigenza di evitarlo per non ferirsi più: era una promessa che faceva a se stessa, al suo cuore. 

E la stava mantenendo perché, dopo quella notte, aveva cominciato a non parlargli e ad evitare anche il minimo contatto durante le lezioni che avevano in comune, a non correre in biblioteca quando veniva loro assegnata una ricerca, a non andare in Sala Grande quando credeva ci fosse anche lui, a non fare da pubblico alle partite di Quidditch, a far finta di aver dimenticato, a resistere alla voglia di correre nei sotterranei, a non dare peso al fatto che sentiva di aver trovato il suo posto nel mondo solo tra le braccia di Draco. 

E più andava avanti e passavano i giorni, più capiva che era giusto assecondare quell'esigenza: evitarsi per non ferirsi più. 




Angolo Autrice:

Eccoci qui… Niente, le cose vanno di male in peggio… 

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e, mi dispiace, ma proprio non riesco a non farli soffrire… Chissà, magari tutto questo dolore servirà a farli riavvicinare… 

Cosa ne pensate? 

A presto, Exentia_dream2 







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Capitolo 9
*** Chiarimenti ***


Chiarimenti

La mattina precedente, Lisa gli aveva detto una frase che continuava a sentire nelle orecchie e nella testa. -Dovremmo essere sempre leali con chi ci ha fatto del bene. 

Ricordava di averla abbracciata, di averle baciato la fronte e tra loro c'era quel silenzio che sapeva di frasi sospese, parole non dette. 

-Perchè mi dici questo?- le chiese. 

-Come ti sentiresti che io non fossi leale con te? 

-Male, credo. 

-È perché? 

-Perchè io sono stato leale con te. 

-Ed io voglio esserlo con te.- respirò a fondo, gli prese le mani e le baciò. -La notte di Capodanno… 

-Sì? 

-Ti ho detto che, prima di innamorarmi, io mi pongo delle domande e tra queste… 

-Cosa faresti se l'altra persona non ricambiasse. 

-Sì. 

-Hai trovato una risposta? 

-No, ma la vorrei da te. 

Quando Lisa cominciò a guardarlo, Ron abbassò gli occhi: si sentiva diviso a metà tra la parte razionale che gli suggeriva che quella domanda gli fosse stata fatta perché era lui quello a non essere ricambiato e l'altra metà, quella sentimentale, sentiva nascere la speranza che i suoi sentimenti potessero essere corrisposti. Scosse il capo, alzando leggermente lo sguardo. -Perchè me lo chiedi? 

-Per avere una risposta. 

-E io da che parte sto? 

-Di fronte a me. 

-Sì, questo lo so, io indendev… - e si fermò, consapevole che se Lisa era ancora Lisa e lui le stava di fronte, voleva dire che lui era l'altra persona. -Non posso aiutarti… 

-Perchè? 

-Beh, perché l'altra persona, in questo caso quella che hai di fronte, ricambierebbe quello che provi.- poi la abbracciò forte. 

Erano passati un pomeriggio e una notte interi e, nonostante fosse contento del fatto che Lisa gli avesse detto di essere innamorata di lui, si sentiva comunque come se gli mancasse qualcosa. 

E quella frase continuava a riecheggiare in ogni suo muscolo, anche mentre mangiava, in Sala Grande: osservava, ad uno ad uno, gli altri studenti e vedeva le loro labbra muoversi, ma non riusciva a sentirne la voce, perché quella di Lisa nei suoi pensieri era molto più forte. 

Poi, guardò dritto davanti a sé ed ebbe l'impressione di non riuscire più a muovere gli occhi o la testa in un'altra direzione. 

Li vedeva, mentre mangiavano e sorridevano, qualche volta si toccavano il braccio. 

Si alzò di scatto, dirigendosi veloce verso la porta ed uscí nei corridoi.

Salì quasi svogliatamente i gradini che lo avrebbero condotto alla guferia, perché aveva paura di quello che stava facendo, aveva paura che, in qualche modo e per una giusta causa, le cose potessero mettersi peggio di come erano in quel momento. Anche se, probabilmente, quello era il suo primo vero gesto di coraggio. 

Si poggiò al muro ed appellò due pergamene e una piuma… Cosa avrebbe dovuto scrivere? E perché un suo invito doveva essere ben accetto? Poi, scosse il capo: almeno ci avrebbe provato. Così arrotolò le due pergamene e le affidò a due gufi. 

Prese a scendere le scale più lentamente di come le aveva salite e, in quel momento, gli tornò in mente una frase di Silente fatta durante l'anno in cui Hogwarts era circondata dai Dissennatori: scegliere tra ciò che è giusto e ciò è facile e quanto era bello scegliere la via più semplice, quella del silenzio, quella in cui sapeva dove poggiare i piedi e che prezzo l'aveva percorsa. 

Forse, soltanto allora, sulle scale della Guferia, aveva capito il vero significato della frase di Silente e della frase di Lisa. E sì, rispose alla domanda che sentiva aleggiare intorno, quella era la cosa giusta da fare. 





-Vuoi tornare ad essere quello di prima? 

-Ci provo. 

-Mi dispiace per quello che ha detto Pansy. 

-Sì, dispiace anche a me. 

-Cosa farai? 

-Niente. 

-Niente. 

-Niente.- stirò la bocca in un sorriso. -Sì è chiusa ancora di più in se stessa. 

-È normale, no? Tu hai avuto la stessa reazione. 

-Sì, per questo ho deciso di tornare quello di prima, perché niente e nessuno mi può ferire. 

-Credi? 

-Sì. 

-A me non risulta che prima non soffrissi.

-Già… - era seduto sul pavimento, con la schiena contro il materasso. La sigaretta tra l'indice e il medio a penzoloni: guardava il fumo alzarsi e lo seguiva con lo sguardo. -A Natale ho detto di essere innamorato di lei. 

-Cos'è successo? 

-Non lo so. Guardavo Lucius e mia madre che non si parlavano e quel silenzio pesava così tanto… Ed io avevo bisogno di sputare fuori questa cosa, credo per ammettere a me stesso che è vero, che non è soltanto nella mia testa. 

-E Lucius?

-Il solito: ha detto che avrebbe preferito vedermi morto. A volte vorrei esserlo davvero. 

-Scherzi? 

-Sì e no..

Quando Blaise si sedette di fronte a lui, stendendo le gambe verso di lui, vide quel mezzo sorriso e si rilassò. -Draco… 

-Mh? 

-Ti va? 

-Cambierebbe qualcosa? 

-No, ma almeno… Credo possa farti bene. Un po' come quando ti ho presentato Aria. 

-A proposito, ottima scelta. 

-Grazie.- sorrisero entrambi. 

-I-io ad un certo punto, ho sentito il bisogno di isolarmi, ma lei era lì, con quel vestito e quel rossetto e, oh Salazar, quanto era bella. Lei rideva e io mi sono sentito così vulnerabile. 

-Perchè? 

-Perchè non si è nemmeno accorta che io fossi lì, nella sua stessa stanza. 

-Il fatto che non ti guardi non significa che non senta la tua presenza. 

-Avrei voluto non si fosse mai allontanata.- poi, mise la mano nella tasca dei pantaloni ed estrasse la collana, la guardò come avrebbe guardato un diamante, la sigaretta tra le labbra, le parole sulla lingua. -È questo che mi ha fatto più male. È stato come ricevere un pugno sul naso…

-Ne sai qualcosa, eh? 

Sorrise e la sua mente tornò a qualche anno prima, quando Fierobecco lo aveva ferito al braccio e lei, mentre Lucius, Silente e il boia si dirigevano verso la capanna di Hagrid, lo aveva trovato e gli aveva urlato contro, poi lo aveva  attaccato prima con la bacchetta alla gola e con un pugno sul naso dopo. Si chiese se l'amasse già da allora ed ogni volta che si poneva quella domanda non riusciva a trovare risposta: quel giorno o quando Bellatrix l'aveva torturata? Quando erano stati rinchiusi nel dormitorio di Blaise o quando aveva scommesso con Potter? Prima o dopo la Guerra Magica? 

Si destò dai suoi pensieri. -Che botta. 

Ad un certo punto, sentì di nuovo addosso il peso della corazza che aveva indossato nei primi anni a Hogwarts e pensò a come si era sbriciolata soltanto sentendo il suo profumo. 

-Stai pensando troppo. 

-Non posso fare altro. Mi sembra quasi di stare bene quando non la vedo, poi, però, basta un angolo del suo mantello…

-È normale che sia così. È per questo che cammini per i corridoio come se fossimo al primo anno? 

Draco rimase in silenzio. -Chi tace acconsente., e lui non riusciva più a parlare. Poggiò la testa sul letto e chiuse gli occhi e, poco dopo, si rese conto di essere rimasto solo. Il battito del cuore lento, costante.




Faceva freddo, gennaio era agli sgoccioli, ma aveva bisogno di respirare l'aria gelida, perciò aveva cominciato a camminare fino a quando non era arrivata al Lago Nero: da quanto tempo non lo vedeva così da vicino? Si appoggiò ad un albero, con la speranza di poter mandare via tutto quel dolore, tutta quella rabbia. 

Più restava chiusa tra quelle mura e più sentiva la nausea piegarle lo stomaco: le urla e i pianti nella Stanza delle Necessità non avevano più l'effetto calmante che desiderava e la voce di Pansy che continuava a tormentarla, a ridere di lei, ad allontanarla da lui. 

Alzò lo sguardo quando sentì dei rumori attorno e raddrizzò la schiena. Si rilassò soltanto nel momento in cui vide poco distante da lei Daphne Greengrass e Theodore Nott correre  tenendosi per mano, si fermarono e la guardarono. -Ti raggiungo tra poco, Theo.- gli diede un bacio leggero. 

Hermione la osservava mentre si avvicinava e la imitava nella postura. 

Daphne sospirò. -Ciao. 

-Ciao.- accennò quel saluto. -È successo qualcosa? 

-Niente di quello che tu credi sia successo. 

Non avevano mai avuto un rapporto che andasse oltre il saluto, mai un sorriso, mai una confidenza, eppure, in quel momento, Hermione sentiva che quella ragazza fosse la persona che più la faceva sentire vicino a Draco, a quello che era stato e a quello che era diventato. -Perché sei qui? 

-Amo questo posto: mi trasmette tranquillità, mi aiuta a riflettere. È stato qui che ho capito di essere innamorata di Theo. Qui il cielo ha una gradazione di blu meravigliosa e più stavo con il naso per aria più al cielo si sostituivano i suoi occhi. Tu hai sempre lo sguardo basso, Granger, sarebbe più comodo per te guardare verso il lago. 

E lo fece e il lago rifletteva il grigio delle nuvole che lo sovrastavano, il grigio degli occhi di Draco quando la baciava e poi si allontanava, quando le sorrideva, quando la toccava. Scosse la testa. -Lasciami stare, ti prego. 

-L'ha mandata via, non è andato a letto con lei: ha raccontato una marea di stronzate. Volevo lo sapessi.- poi si incamminò verso la scuola. 

Hermione guardò di nuovo l'acqua, respirò quanta più aria possibile. 

Doveva portare avanti la sua decisione, scrivere il discorso per i G.U.F.O., andare avanti e non guardarlo, non pensarlo, evitarlo sempre. -È solo uno stupido gioco, Malfoy. 

Sorrise di quel ricordo, poi si avviò il Sala Grande e prese posto accanto a Harry, dando le spalle al tavolo di Serpeverde. 

Quando vide due gufi dirigersi verso di lei le sembrò di tornare indietro nel tempo, quella volta in cui era stato lui a mandarle un biglietto e lei lo aveva guardato. 

-Cosa c'è scritto nel tuo?- le chiese Harry. 

-Di andare nella torre di Astronomia… E a te? 

-Anche. Ci andiamo insieme? 

-Sì.- poi riprese a mangiare e, a fine cena, insieme a Harry, si diresse verso il luogo dell'appuntamento. 

Durante il lungo il tragitto si chiese chi poteva essere stato a mandare loro quei messaggi: un biglietto senza firma scritto con una calligrafia che le era familiare. 

Quando arrivarono in cima alla torre, però, di tutte le persone a cui aveva pensato si era sostituita l'immagine di Ron, perciò si trovò sorpresa e senza parole.

-Ciao.- li salutò alzando la mano. 

Lei seguì Harry e si sedette ancora una volta al suo fianco. -Ciao. 

Vedeva Ron torturarsi le dita, guardarli e poi abbassare lo sguardo. -Io sto con Lisa...

-Auguri.- Harry lo interruppe. -Ci hai fatto venire fin qui per dirci questo? 

-No. Io vorrei… Beh, sempre se voi… Va bene, partiamo dall'inizio.- abbassò ancora lo sguardo. -Quando ho indossato il Medaglione di Salazar, durante la ricerca degli Horcrux, io… Mi dispiace avervi abbandonato, non avrei dovuto farlo, ma quel coso mi parlava e mi faceva vedere cose che non esistevano… Sono sempre stato geloso del vostro rapporto e vi chiedo scusa per quello che è successo… 

-Sono passati tanti anni, Ron… 

-Vi ho detto che avrei cominciato dall'inizio… E Herm, mi dispiace per tutto, ma proprio tutto quello che ti ho fatto. Non lo so perché e oggi posso dirti che non l'ho fatto perché ero ancora innamorato di te, ma quando ti ho visto con Malfoy, mi sono sentito messo da parte: abbiamo faticato tanto per recuperare la nostra amicizia e credevo che lui ti avrebbe portato via, che ti avrebbe allontanato da noi e non potevo permetterlo. Tu sei stata, sei importante per me. Voi lo siete. E, in questi mesi, io mi sentivo incompleto, non riuscivo a capire e qualche giorno fa Lisa mi ha detto che dovremmo essere leali con le persone che ci hanno fatto del bene e voi… Voi non mi avete mai fatto del male e i-io… 

Hermione sentí l'impulso di abbracciarlo e poco dopo senti Harry aggiungersi a quell'abbraccio. 

Le era mancato tanto, aveva bisogno di lui nella sua vita, della sua leggerezza, delle sue battute. -È passato, Ron. 

Lo vide sorridere, distendere le spalle per la tensione che aveva accumulato per dire loro tutte quelle cose e che lo stava abbandonando lentamente, dare la mano a Harry. -Con Ginny tutto bene, vero? Credevo mi avessi allontanato anche da lei… 

-Non lo avrei mai fatto. 

-E tu, Herm? Ti fai mettere la lingua in bocca da Malfoy? 

Sorrise. -Sono cambiate tante cose, Ron… a volte penso che, forse, avevi ragione tu. 

Sentí il peso di quelle parole caderle sulle gambe e le portò al petto, come ogni volta che voleva difendersi da un brutto pensiero. 

Le mani dei suoi amici pronte a stringere le sue e lì guardò entrambi, poi sorrise ad ognuno soffermandosi su quello che aveva appena ritrovato. 

Si sedette accanto a lei. -Come stai? 

-Non lo so.

Il cielo stava cominciando a puntellarsi di stelle e, grazie alla coperta con cui Ron li aveva coperti, il freddo era meno pungente. 

Si accoccolarano insieme, testa contro testa, tutti e tre, come ai vecchi tempi. 

Poi Harry si mosse sotto le coperte e la guardò dritto negli occhi. -Non puoi credere davvero a quello che hai sentito in Sala Grande. 

-Io non… 

-No, Herm… io lo vedo che non è più quello di una volta, non lo sopporto, lo sai, però… però a Capodanno tu non vedevi come ti guardava. 

-Eravamo tutti ubriachi… 

-Quindi tutto quello hai hai fatto, è successo solo perché hai bevuto troppo? 

Accusò il colpo, si chiese quanto e cosa Harry sapesse di quella notte. -Non è così facile… Torniamo, dai, è quasi ora di cena. 

-Non lo è mai, nessuno ha mai detto che lo sarebbe stato… 



°°° °°° °°° 

La prima ad entrare in Sala Grande tu lei, con la testa bassa, seguita a ruota da Harry Potter e Ron Weasley. 

Li osservava mentre si sedevano vicini, si riempivano i piatti e poi Hermione posò la mano sul braccio del rosso, scoppiando a ridere. 

Fu un attimo. Non sentì nemmeno la presa di Blaise e Theo che avevano provato a fermarlo: camminava verso il tavolo di Grifondoro con la bacchetta alta, poi la lasciò cadere a terra e prese Ron per la spalla, facendolo girare verso di lui. Lo vide ridere. -Che problemi hai, Malfoy? 

Gli sembrò che il tempo si fosse fermato mentre vedeva il suo pugno andare a colpire il naso della persona che aveva di fronte, sentì un crac e i minuti ricominciarono a passare veloci, le voci degli altri studenti che gli urlavano contro, Hermione che tampona a il sangue di quello e non si preoccupava della sua mano, del perché lo avesse fatto. 

Uscí in fretta, non voleva vedere quegli occhi che lo accusavano, non voleva sentire la sua voce che gli urlava qualcosa a suo discapito. 

Aveva sentito delle sedie spostarsi, pensò fossero quelle dei professori, immaginò l'espressione della McGranitt e si diresse direttamente all'ufficio del preside: gli avrebbero dato una punizione esemplare, lo sapeva e già si vedeva a tirare erbacce nella Foresta Proibita. 

Gli venne da ridere quando ripensò a come avrebbe risposto anni prima, minacciando tutti solo nominando Lucius. 

-Oh, ecco il Signor Malfoy. Credevamo si fosse dato alla fuga… Entri con me, si accomodi. 

Silente lo scortò all'interno, lo fece accomodare di fronte a lui, con gli occhiali a mezzaluna calati sul naso. 

-Penso di dover ricevere una punizione. 

-E la riceverà, certo. Ma prima vorrei capire cosa è successo. 

-Non lo so.- ammise. 

-Signor Malfoy, con la violenza si ottiene ben poco. 

-Sì.

-Se le può interessare il mio pensiero, vorrei dirle che posso capire il suo stato d'animo: quando si vede ciò che si ama andare via è normale sentirsi persi. 

Stette in silenzio, una domanda nella testa. -Vorrei trovare un ricordo. 

Il Preside accettò quella richiesta con un gesto della mano, poi gli puntò la bacchetta alla tempia e Draco immerse il viso nel pensatoio.



-Ma dai… 

-Davvero, Granger, ti chiedo tutta la sincerità di questo mondo. 

Hermione rideva, mentre lui la teneva tra le braccia, stretti sul divano della Stanza delle Necessità. -E io chiedo lo stesso a te: non dobbiamo mai mentirci. Io non lo farò, non è mia abitudine, e tu devi fare lo stesso con me. 

Si chiese come avesse fatto a dimenticare quell'episodio, a quella sensazione di benessere che provava quando l'abbracciava e lei si lasciava andare sul suo petto e, quando sentì la bocca di Hermione sulla propria, il suo cuore cominciò a battere più forte. 

-Mi stai chiedendo di fare una promessa? 

-Ti sto chiedendo di non allontanarci più. 

-E perché? 

-Perchè non voglio… in questi giorni  in cui siamo stati lontani, ho capito che tra me e te nessuno ha torto e nessuno ha ragione, quindi non ha senso farci una guerra che non ci porta a niente… 

-Va bene, però devo chiederti qualcosa in cambio. 

-Ah, davvero? 

-Sì, perché a me non bastano più queste briciole di tempo, Granger: io voglio averti nella mia vita sempre, anche di giorno e nei corridoi. 

-Quindi, dovrei prenderti per mano? 

-Anche. Lo so che hai paura, ma io sono con te… E dopo tutto quello che è successo… 

Era successo che Weasley li aveva allontanati bevendo la Polisucco, prendendo le loro sembianze e sputando cattiverie e lei, qualche mese più tardi, aveva scelto lui, rideva con lui, toccava lui e Draco la vedeva sempre più distante e non riusciva mai a prenderla, a dirle la verità: che non era vero quello che aveva detto Pansy Parkinson, che non credeva al bacio di Dean e a quello che gli altri studenti ci avevano ricamato su, che gli mancava da togliere il fiato, che aveva sbagliato a mandarla via quella notte nella biblioteca. 

-Non mi importa degli altri, Malfoy  e se tutto questo dovesse finire…

-No, non finirà, non deve finire. 

-E perché? Come fai a dirlo? 

-'Miò, se tutto questo dovesse finire, staremo male entrambi e forse io un po' di più, perché alla fine dovrò ammettere di non averti mai dimenticata davvero. 

-Potrebbe essere il contrario. 

-Non credo… 

Aveva il respiro pesante, il cuore che batteva all'impazzata e gli occhi del Preside puntati addosso. -Gr-grazie… 

-Vuole un po' di cioccolata? 

Negò con la testa, il pensiero ancora a quel ricordo che credeva di aver dimenticato, la bocca ancora su quella di Hermione, la voglia di rivivere tutto dall'inizio e di raccontarle tutte le notti e i giorni che le aveva dedicato, la sua lotta contro quel ti amo che sentiva nella gola ogni volta che la vedeva. -No. 

-Signor Malfoy, deve covare molta rabbia se è arrivato a fare a pugni in Sala Grande, senza un motivo apparente. O molto amore, a seconda dei casi. 

-Io non… 

-Il signor Weasley è stato portato in infermeria, Madama Chips sta provvedendo ad aggiustarlo il naso, la signorina Granger e Il signor Potter sono con lui. E, visto che le prudono le mani, la sua punizione consisterà nel mettere a posto l'archivio della biblioteca: un lavoraccio che non viene fatto da anni. Credo che Madama Pince ne sarà contenta. 

-Sì, io… 

-Ha mai studiato i vulcani, signor Malfoy? 

Draco alzò un sopracciglio. -No...? 

-Peccato: è un argomento molto interessante. Vede, i vulcani possono restare dormienti anche per millenni interi, poi, ad un certo punto, quando il magma non riesce a contenere la sua forza, il vulcano erutta e la lava, come tutto che parte dall'alto, scende verso il basso, perciò è impossibile studiare l'eruzione subito dopo. Gli studiosi, infatti, osservano il vulcano quando dell'esplosione non resta niente, forse solo la polvere e, a volte, nemmeno quella. 

-Molto interessante.- scherzò: a cosa gli serviva una lezione sui vulcani se doveva sistemare i documenti della biblioteca?

-Sì, molto. Infatti, gli studiosi più famosi sono quelli che hanno avuto più pazienza rispetto agli altri. Ora può andare, può cominciare il suo compito domani, dopo le lezioni pomeridiane. 

Perciò Draco si alzò, salutò il Preside ed uscí dall'ufficio.

Di tutto quello che aveva ascoltato, l'unica cosa a cui riusciva a pensare era che Hermione non era più accanto a lui. 




Angolo Autrice:

Eccoci qui, manca poco alla fine di questa storia e spero che vi stia piacendo. 

Vorrei parlarvi un po' di questo capitolo:

  • Mi dispiaceva davvero lasciare Ron da solo, a fare il pezzo di merda con i suoi migliori amici, perciò, anche per gli amanti di questo personaggio, ho deciso di farlo tornare sui suoi passi;
  • Daphne avrà un ruolo moooolto importante a partire da adesso, ve ne renderete conto leggendo il continuo della storia;
  • Draco, per quanto possa sembrare fuori carattere, secondo me non lo è: per scrivere di lui prendo spunto dal carattere del mio compagno e, credetemi, è esattamente come lui con tutto il resto del mondo, nel senso che non dà molta confidenza agli altri, se ne sta un po' sulle sue, ma quando si tratta di me si scioglie;
  • Hermione diventerà un po' Serpeverde, ma una persona delusa e ferita diventa più cattiva, lo sappiamo;
  • Silente, ah, quanto amo questo personaggio e le sue frasi che sembrano non avere niente a che fare con quello che sta succedendo e, invece… 

Ora, torniamo a noi, mi farebbe piacere avere un vostro parere, magari qualche suggerimento: cosa succederà secondo voi nelle prossime puntate? 

Lo scoprirete solo leggendo.

A presto, Exentia_dream2 





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Capitolo 10
*** In luoghi diversi ***


In luoghi diversi… 

-Quindi si è alzato all'improvviso e ti ha dato un pugno? 

-Sì, Ginny, c'eri anche tu: hai visto benissimo quello che è successo. 

-Io non lo so… Ci deve essere qualcosa che lo ha fatto scattare…- Harry era seduto su una sedia accanto al letto di Ron, affiancato da Ginny. 

-Non lo so! Io stavo parlando con Hermione  e lei mi ha spinto un po' quando le ho chiesto se potevo mangiare quello che aveva lasciato nel piatto. 

-Ti ha spostato? 

-Sì. 

-Quindi ti ha toccato… 

-Sì, Ginny, sì. È normale, no? 

La ragazza abbassò lo sguardo, si perse nel ricordo di quante volta avrebbe voluto dare un pugno a chi toccava Harry quando non erano insieme, a quella sensazione di tremore e prurito che le prendeva alle mani e a quella gelosia che le faceva muovere il corpo e le gambe prima dei pensieri. -Siamo messi male… 

-Io sono messo male: ho il naso rotto. 

-Cosa ha detto Hermione? 

-E che ne so, io? Quella se n'è andata nel dormitorio, non si è interessata a me nemmeno per un secondo.. 

-Molto, molto male…- poi si alzò e prese la mano di Harry. -Dai, Ron, vedrai che guarirà in fretta. Torno più tardi. Noi andiamo a trovare un posto appartato.- ed uscí dall'infermeria. 

Mentre camminava per i corridoi, Ginny si sentì lo specchio di Draco Malfoy: solo lei poteva capire quello che stava provando, la rabbia e il senso di smarrimento. 

A volte, si soffermava a guardarlo, il viso poggiato sul palmo della mano, gli occhi, colmi di abbandono, di amore, una lieve scia di speranza, sempre fissi sulla schiena di Hermione, come se, così facendo, potesse trovare un modo per tornare indietro nel tempo. E, soprattutto, aveva notato la sua reazione alla scenata di Pansy Parkinson, mentre tutti la guardavano e ridevano: aveva stretto i pugni, si era voltato a seguire con lo sguardo i passi di Hermione, aveva provato a muoversi nella sua direzione ed aveva incurvato la spalle, in segno di sconfitta. 

-... andando? 

Aveva quasi dimenticato di aver trascinato via anche Harry, gli sorrise appena. 

Quando lui le accarezzò i capelli, sentì gli occhi riempirsi di lacrime. -Cosa c'è che non va? 

-Io lo capisco, lo so cosa prova… 

-Ti stai facendo intenerire da Malfoy? 

-Sì, sì Harry, perché prima di tornare insieme, io mi sono sentita esattamente come lui: la gelosia mi stava scavando dentro e… 

-Non sei andata in giro a prendere a pugni la gente. 

-Ron non è la gente, Harry: è stato il primo che ha creato un distacco tra lui e Hermione o lo hai dimenticato? 

-Ma lei lo ha perdonato. 

-Lui no: lui la guarda e la vede scivolare tra le mani, come se fosse sabbia. Come ti sentiresti se fossi tu al suo posto? Se io ti evitassi o se io… Come ti sentiresti se mi perdessi ogni giorno, sempre di più? 

Harry non rispose e Ginny lo vide smarrirsi in quelle risposte che gli si affacciavano alla mente. -Io non… 

-Te lo dico io: ti sentiresti uno schifo, sempre sul punto di affogare. E faresti di tutto per non sentirti così: prenderesti a pugni la gente, torneresti a quello che sei stato un tempo, quando nessuno poteva ferirti ed è quello che ha fatto Malfoy. Ma non lo vedi? Non vedi che cammina di nuovo per i corridoi come nei primi anni di scuola? Non lo vedi quando si isola dal mondo, anche se intorno a lui ci sono centinaia di persone? Non lo vedi quando la guarda, come la guarda? O hai smesso di farlo? 

-No che non smesso e sì, vedo come la guarda, l'ho notato soprattutto a casa di Zabini… 

-Io non so che fare… 

-Niente, non possiamo fare niente, Ginny. 

Si avvicinò al petto di Harry e si lasciò abbracciare. -T-tu non ignorarmi mai, ti prego… 





Daphne girava in tondo nella Sala Comune di Serpeverde, le mani a sistemare i capelli e continui sbuffi d'aria che le uscivano dalla bocca.

 Theo continuava a guardarla. -Ma ti fermi un attimo, per favore? 

-Ha detto a me- indicandosi con un dito per sottolineare il suo concetto -"lasciami in pace"... A me. E quel cretino di Malfoy che ha dato un pugno a quell'altro! 

-Questo lo abbiamo visto tutti. 

-Sai cosa significa? 

-Che avrà ricevuto una punizione? 

-No. Significa che tutto quello che gli ho detto è stato inutile.- poi si sedette sul divano, accanto a Theo che le cinse le spalle con un braccio e con l'altra mano solleticava pigramente le gambe della ragazza. -Non ci credo, davvero… 

-Non siamo tutti uguali, eh. 

-Non ho detto questo, ma… Aaaah, quanta rabbia che mi fanno. 

-Perchè te la prendi tanto, Daphne? 

-Perchè io lo so come ci si sente. 

-Lo so anche io, ma ognuno reagisce a modo proprio… 

Poggiò la testa allo schienale del divano, poi guardo il soffitto: una serie di mattoni di pietra in cui si mescolavano il grigio e il verde dovuto all'umidità del sotterranei, e immaginò il cielo di cui aveva parlato con Hermione. Era vero quello che le aveva detto, perché, quando non riusciva a dominare la guerra tra mente e cuore, Daphne si sedeva nell'erba, poco distante dal Lago Nero e guardava in alto per cercare conferme ai suoi dubbi, risposte ai suoi perché, per affidare a quel cielo la sua tristezza. E quel cielo, poi, prendeva la forma degli occhi di Theo. 

Quante volte aveva sorriso a quel pensiero, quante volte si era sentita smarrita e poi ritrovata soltanto alzando la testa in quel blu. 

Sentiva ancora quel nodo allo stomaco quando le capitava di ripensare al periodo in cui quello che provava, quello che avvertiva, sembrava essere un ostacolo e la allontanava da tutti, soprattutto da se stessa. 

Scosse il capo, non trovando le parole per spiegarsi, sorrise e si appoggiò alla spalla di Theo: si rilassò appena, giocando a pizzicargli e baciargli le dita. 

Quando nella sua area visiva entrarono delle scarpe, Daphne pensò che quelle dovessero per forza coprire dei piedi e, quindi un paio di gambe e un viso: Pansy Parkinson, infatti, era ferma di fronte a lei, con le mani sui fianchi e gli occhi pieni di disgusto. 

Daphne la guardò ancora. -C'è qualcosa che non va? 

-Penso di doverti restituire quello che mi hai dato… 

-Non ricordo di averti prest… - e lo schiaffo arrivò forte, inaspettato, inutile. 

-Spero di averti fatto abbastanza male. 

-Per favore, Pansy, siediti.- la guardò eseguire quel comando. -Io penso e, probabilmente non sono l'unica, che quello che tu hai fatto qui, adesso e soprattutto in Sala Grande, sia stato davvero fuori luogo ed ora, rispondi a questa domanda: ti ha fatto male il mio schiaffo? 

-Non vedo perché dovrei rispondere. 

-Tu fallo. 

-Sì. 

-Bene. Quello è stato soltanto un piccolo assaggio di quello che proverai nei giorni a venire: l'indifferenza e il disprezzo ti presentano il conto alla fine ma, nel frattempo, ti logorando dall'interno. Ti premetto che io non credo ad una sola parola di quelle che hai detto, ma non serve che tu vada in giro ad urlare su quante volte e come tu abbia fatto sesso con Draco, perché nessuno ti crede e perché l'attenzione che ricevi da chi ti ascolta non sarà mai eguagliabile a quella che tu cerchi da lui. 

-Sei passata dalla parte dei buoni, Greengrass? 

-Sono passata dalla parte di chi mi pare. 

-Draco mi ha baciata davvero. 

-Quante bugie possono esserci in un bacio, forse non lo immagini nemmeno… 

-Davvero mi ha spogliata e io ho fatto lo stesso con lui.

-Qualunque cosa abbiate cominciato, però, non l'ha finita, ti ha mandata via e sai perché?- la vide tenere lo sguardo alto, le labbra strette in un sorriso forzato. -Perchè tu non sei lei. 

-Sai meglio di me che tutto questo non è giusto, che quei due non sono giusti, che questa vita non è giusta. 

-Ti svelo un segreto, allora: la vita di per sé  non è mai giusta e dobbiamo essere noi a renderla tale, con le nostre scelte, con i nostri sogni. E tu… Tu non sei davvero nessuno per intrometterti nelle scelte altrui. 

Poi, fece un respiro più profondo: aveva parlato con calma come avrebbe fatto con un bambino, mentre di fronte a lei sedeva la persona che più di tutti si era rivelata nel peggiori dei modi: aveva abbassato gli occhi, le labbra si erano incrinate verso il basso, la bolla di sapone che si era creata intorno per non accettare la realtà si era bucata, lasciando nell'ambiente piccole schegge di velo trasparente. Corse veloce, chissà dove, lontano da quella verità che le era appena stata raccontata.

Theo le aveva stretto la mano per tutto il tempo, segno che sosteneva ogni singola parola di quel discorso. -Tu, signorina Greengrass, sei una vera Serpeverde. 

Lei sorrise orgogliosa, poi lo prese per mano e fece forza sui talloni per sollevarlo dal divano, fallendo miseramente. -Merito un premio, no? 

-Oh, sì, certo che lo meriti… 





Nelle ultime settimane il pensiero di Hermione, a volte, si faceva da parte lasciando spazio al ricordo dei giorni in cui Voldemort si era stabilito nelle stanze del Malfoy Manor: ripensava spesso al flusso di onnipotenza che aveva cominciato a scorrergli nelle vene, quel sentirsi invincibile, intoccabile… Erano sensazioni che conosceva fin troppo bene, ma che avevano cominciato a venire meno, a sgualcirsi addosso, nel momento in cui aveva visto Hermione stesa sul pavimento scuro di casa sua e Bellatrix, a cavalcioni sopra di lei, a inciderle la pelle con la bacchetta trasfigurata in un coltello. Ed era proprio quella corazza che gli mancava o, forse, era la collera che provava quando pensava che lei era stata l'unica in grado attraversarla per accarezzare i suoi dubbi, le sue incertezze, la sua voglia di capire e di essere compreso.  

Si passò una mano tra i capelli, per liberare la mente ed aprì il baule per spogliarsi della divisa e indossare qualcosa di comodo per andare in biblioteca a scontare la sua punizione: la sua attenzione, però, si fissò sul maglione che aveva indossato a Capodanno e che lei gli aveva prima impregnato di profumo e poi tolto, lo avvicinò al viso e il ricordo di quella notte portò alla memoria tutte quelle parole che non era riuscito a pronunciare e quelle a cui lei, invece, aveva deciso di dare un suono. 

Non era stato facile accettare i suoi sentimenti, stare con lei, non lo era nemmeno lasciarla andare: erano entrambe strade difficile da percorrere e, alla fine di tutto, si chiedeva quanti graffi e ferite avrebbero avuto sulla pelle? Quante volte avrebbero maledetto il giorno in cui si erano incontrati, amati o quello in cui tutto era finito? Quante volte si sarebbero domandati cosa sarebbe successo se…? E quante domande ancora avrebbe fatto a se stesso, pur sapendo di non avere risposte? 

Ogni volta, si sentiva in bilico su un filo, come se fosse stato un acrobata con la paura forte di cadere e farsi male e si chiedeva come sarebbe stato se non fosse successo tutto quello che li aveva portati a separarsi. 

-... la signorina Granger e Il signor Potter sono con lui.- l'eco di quella frase fu dolorosa come un calcio nel petto e il pensiero di lei che toccava il braccio di Weasley fu ancora peggio. 

Erano stati quella risata che non aveva dedicato a lui, quel tocco che non aveva sfiorato lui e quegli occhi che non guardavano lui a farlo barcollare, come se fosse stato spinto da una forza innaturale che partiva dal suo corpo e lo buttava contro il muro.

Si riprese in tempo per non cadere davvero e sorrise: forse non era vero, non lo aveva toccato il fondo, perché sentiva i piedi galleggiare nel vuoto, senza sostegno. 

Si vestì in fretta e si camminò veloce verso la biblioteca. 

-Ah, signor Malfoy, concorderà con me anche per l'annullamento delle visite a Hogsmeade e Diagon Alley., gli aveva detto Silente prima di lasciarlo uscire dal suo ufficio. 

Nei corridoi di pietra della scuola e in quelli della sua mente si sovrastavano il suono della risata dolce di Hermione e quella cattiva di Pansy, il sapore della bocca di un'altra e poi dell'altra, l'immagine della prima che lo lasciava da solo e quella della seconda che lo aspettava in piedi in Sala Grande; le mani di Pansy che non erano come le mani di Hermione, così diverse, così fredde e sicure, mentre lo accarezza e gli allontanava i capelli dal viso, gli occhi che non erano belli come i suoi e nessun'altro paio di occhi lo sarebbe stato, dopo di lei. 

E, tutto d'un tratto, si sentì stanco, con la consapevolezza di quanto pensasse quella storia. Era sembrato così facile: abbandonarsi, lasciarsi andare… Eppure non ci era riuscito: ammetterlo era stato quasi un dolore fisico. 

Benedisse il momento in cui si trovò di fronte alla porta della biblioteca ed entrò all'interno: quel silenzio era bello, naturale… 

-Buon pomeriggio, Signor Malfoy. 

-A lei, Madama Pince. 

-Silente mi ha già informata… Ci sarà un bel po' di lavoro da fare, ma per oggi comincerà con la catalogazione dei vari reparti. Un lavoro molto semplice: dovrà soltanto trascrivere i titoli dei libri su queste pergamene, già sistemate in ordine numerico. Tutto chiaro? 

Annuí e guardò verso il fondo della biblioteca: davanti ai suoi occhi si aprivano centinaia di corridoi e centinaia di scaffali pieni di libri. 

Trasse un respiro profondo,  impugnò le pergamene e una piuma e si incamminò. 

-Ah, signor Malfoy, credo già lo sappia, ma non potrà fare uso della sua magia- la donna gli sorrise e lui annuì ancora. 

Poi, si fermò un attimo. -Posso cominciare dal fondo? 

-Oh, sì: cominciare dal fondo è sempre una buona idea, secondo me, perché la strada sembra più facile, come se si spianasse davanti ai nostri occhi. 

E così fece. 

Si rese conto, dopo un'ora e mezza, che il cielo si era scurito, che aveva finito di trascrivere tutti i titoli e gli autori dei libri di quello scaffale, in ordine alfabetico, con una calligrafia elegante e precisa e che non aveva pensato a niente se non a quello che gli era stato chiesto di fare. 

Passò allo scaffale successivo e, nel silenzio assoluto, riuscì a sentire gli strascichi di una conversazione che avveniva poco lontana. -...in infermeria e non è corsa da lui. 

Si sentì sradicare l'anima dal corpo e il cuore tirare via dal petto. E poi, quello che era rimasto di sé, avvertì la delusione, i sensi di colpa e la sconfitta riempire quel vuoto immenso che provava in ogni molecola, in ogni fibra, in ogni muscolo. Nudo, tremante, privo di forze a guardare tutte le sue illusioni sgretolarsi nelle mani, davanti agli occhi. 

-Signor Malfoy?- era fermo nel corridoio centrale, di fronte al banco da cui Madama Pince lo guardava curiosa e incapace di capire,con la testa leggermente inclinata sulla spalla. -Per oggi va bene così. 

Annuì, sentiva la gola graffiata, la voce persa chissà dove e diede un volto alle voci che aveva sentito poco prima. 

Chinò il capo e si avviò verso l'uscita della biblioteca. 




Si sedette di fronte a lui, puntandogli lo sguardo dritto negli occhi, superando il riflesso che gli occhiali a mezzaluna disegnavano sul suo viso. In silenzio, immobile. 

-Che piacere averti qui, Minerva. Gradisci una tazza di tè? 

-Grazie.- negò con un movimento lento e delicato della mano. 

-La signorina Granger mi ha informato della sua volontà di non partecipare più alle uscite nel fine settimana. 

-Sono a conoscenza della priorità che dedica allo studio piuttosto che al divertimento. Ma non sono qui per parlare di questo, Albus. 

-Sai che l'innocenza, la poca esperienza e anche l'orgoglio, a volte, ci impediscono di vedere il filo del destino e portare il cammino a compimento? 

-So che a volte tutto ciò può essere una forzatura. 

-L'amore per la lettura e lo studio e l'amore per una persona che ama tutto ciò potrebbe chiamarsi miracolo.- la donna scosse la testa e continuò a guardare il vecchio Preside che le regalò un sorriso dolce, saggio. -Nessuna forzatura, professoressa: è soltanto un modo per dare loro modo di vedere bene in quest'oscurità. Credi sia sbagliato? 

-Sì, credo di sì. Non si possono superare tutte le barriere del mondo. 

-Le hanno già superate, quasi tutte. 

-Albus… 

-Il signor Malfoy ha ricevuto la punizione che meritava e, a mio riguardo, anche un piccolo aiuto, dato che il silenzio ci permette di ascoltare la voce del cuore e quella della mente: sarà lui a scegliere a quale dare retta. 

-Nessuno è mai morto per amore. 

-Oh, invece sì: abbiamo combattuto una guerra per amore del bene e del Mondo Magico: abbiamo visto morire i nostri più cari amici, i nostri studenti e quelli che sono rimasti… 

-Sono ancora in piedi. 

Il Preside sospirò rumorosamente. -Ci sono persone che sono troppo fragili per andare in frantumi sotto in nostri occhi. Il signor Malfoy e la signorina Granger fanno parte di queste.*

Minerva chiuse per un attimo gli occhi, poi guardò verso la finestra che illuminava la stanza in cui era seduta: si sentiva quasi offesa dall'ostinazione dell'uomo che aveva davanti, ma restò in silenzio per lungo tempo, ponendo particolare attenzione ai granelli di polvere che fluttuavano nell'aria circostante. -Tutti abbiamo amato e abbiamo perso, Albus: tu, io, Severus… Il nostro destino magari è già scritto da qualche parte, ma a furia di cercarlo, possiamo perderlo, non succede per forza. Il destino è una rarità. **





Sentiva le gambe molli e i piedi incollati al pavimento: dopo quello che era successo in Sala Grande durante la cena, Hermione era corsa alla torre di Grifondoro per chiudersi nel suo dormitorio, affondare il viso nel cuscino per piangere e urlare, perché quel pugno aveva fatto male anche a lei, muovendo il marasma di confusione che sentiva circolare nel corpo e nella mente. 

Non riusciva a capire come fosse possibile provare nello stesso momento emozioni così contrastanti tra loro, perché odiava Draco più di ogni altra cosa al mondo per i suoi silenzi, il suo modo di mandarla via, la sua indifferenza, la sua paura nel trattenerla per non farla scappare e lo amava con un'intensità così profonda che le faceva vibrare l'anima. 

Ed anche quella sera, come tutte quelle precedenti, aveva stretto tra le mani l'unica fotografia che li ritraeva insieme, per addormentarsi tra le lacrime, lasciarlo nella realtà e ritrovarlo insieme a lei nei sogni e quando non lo voleva, la sua presenza era così forte che sfondava ogni muro di difesa che lei costruiva ed entrava comunque, perché nonostante tutto, Hermione sentiva ancora prepotente il bisogno di averlo accanto, addosso, di amarlo e farsi amare. 

Ma la rabbia, quella maledetta rabbia che aveva preso il posto del sangue nelle vene, non la lasciava in pace. 

E dopo una notte trascorsa a dormire male, ora si trovava di fronte alla porta dell'infermeria e non riusciva a trovare il coraggio di varcarla.

Strinse i pugni, raccattò la vigliaccheria che provava, la chiuse da qualche parte dentro sé ed entrò. -Madama Chips, salve. 

-Oh, prego cara, vieni avanti. Si è appena svegliato. 

Ron aveva la testa reclinata sul cuscino a guardare un punto indefinito nella stanza. 

-Ehi.- gli sorrise, poi abbassò lo sguardo e lo lasciò a terra per tutto il tempo che stette lì, seduta, immobile. 

-Ehi. 

-Come stai? 

-Sono stato meglio… E tu? 

-Mi dispiace per ieri… Per il pugno e per non essere venuta subito da te. 

-Va tutto bene non preoccuparti.- Sentì gli occhi dell'amico addosso. -Ci sei affondata con tutte le scarpe, eh? 

-Non credo potesse succedere…- la voce triste che le graffiava la gola per il troppo sforzo e il troppo coraggio che serviva per parlare di lui. 

-Non è colpa tua, Herm… Le cose succedono e basta e, anche se è finita male, ad entrambi è capitata una cosa bella. 

Tremò dalle spalle ai piedi, quel ricordo la colpì forte. -Non puoi sentirti in colpa perché mi è capitata una cosa bella. e, insieme alle parole, era tornato il cuore di Draco a batterle sul cuore, le sue mani sotto al mento nella muta pretesa di essere visto da lei, il suo lasciarla libera di andare via e la sua incapacità di farlo davvero, la sua corsa verso il dormitorio e, subito dopo, la bocca di Draco ancora sulla sua. -... ho ancora voglia di baciarti. 

Sentì i polmoni stringersi e i singhiozzi salire dallo stomaco e Ron, forse, se n'era accorto, perché si sistemò sul letto, le prese le mani e le chiese di guardarlo. Obbedì. -Io non so se spero che voi torniate insieme o se spero di non vederlo mai più accanto a te, ma ti voglio bene davvero e, qualsiasi cosa tu faccia, qualsiasi sia la tua scelta, sappi che io, Harry e Ginny, vogliamo solo vederti felice, non importa con chi. Davvero, Herm… 

Teneva gli occhi fissi in quelli dell'amico, due iridi azzurre in cui si era specchiata tante volte, in cui aveva nuotato e le paragonò immediatamente a quelle di Draco che sembravano fatte di ghiaccio spesso, impossibili da penetrare, impossibili da leggere: quel grigio che si era fatto più intenso in quel gioco di obbligo e verità e l'aveva lasciata affogare, pungendola prima con il gelo, e poi l'aveva accarezzata di promesse senza voce così vere, così lontane. 

Sussurrò un grazie, gli baciò la guancia e si incamminò lentamente verso la Sala Grande. 

Si fermò poco prima di voltare l'angolo, incrociò le braccia intorno alla vita, come a chiedere un abbraccio che potesse ancora tenerla in piedi. 




Angolo Autrice:

Fan della Dramione, odiatemi! 

Si lo so, anche io come voi, non vedo l'ora di vederli di nuovo insieme, ma non è ancora tempo per loro… 

Torneranno? Oh, sì che torneranno, ma adesso non è il momento giusto. 

Leggendo, avrete trovato degli asterischi ed ora ve li spiego: sono due bellissimi frasi che ho adattato ai miei discorsi. 

Quelle originali le ho trascritte proprio qui sotto:

  • *Aforisma meraviglioso di Ludwig Wittgenstein "Ci sono uomini che sono troppo fragili per andare in frantumi. A questi appartengo anch'io"; 
  • **Frase di Erri De Luca  "... però il destino si può perdere per strada, non è una cosa sicura che deve succedere per forza. Il destino è una rarità.", tratta dal bellissimo libro "il giorno prima della felicità". 

Bene, detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero di leggere le vostre recensioni. 

A presto, Exentia_dream2

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Capitolo 11
*** Febbraio ***


Febbraio 




Febbraio era giunto silenzioso, con la sua pioggia lenta e incessante, lasciando dietro di sé un mese in cui Hermione si era sentita satura di dubbi e delusioni, amore e silenzi, ricordi e giorni da vivere a vuoto. 

Non lo aveva più visto da quella sera in Sala Grande ed era stata una sua libera scelta, perché, per evitarlo, per non sentire nemmeno una goccia del suo profumo, per non cedere alla tentazione di guardarlo, aveva chiesto un permesso speciale per seguire le lezioni privatamente che le era stato concesso quasi immediatamente: avrebbe studiato in biblioteca durante le lezione e durante l'orario dei pasti avrebbe sostenuto le interrogazioni pratiche e teoriche. 

Quando per un po' si allontanava dal pensiero di Draco, le sembrava di aver raggiunto una sorta di equilibrio e pace interiore: si diceva che era tempo di guardare oltre, che se per tre mesi era riuscita ad andare avanti, a sopravvivere alla sua assenza allora avrebbe potuto farlo ancora, anche per sempre. -Ti sto aspettando da una vita. 

Poi, però, si lasciava trasportare dalla voglia di guardare il cielo, di scivolare in quelle nuvole e si accorgeva che ogni altro colore veniva coperto a poco a poco da una sfumatura di grigio, fino a non esistere più e in quei momenti crollava, senza urlare, senza piangere: aveva trascorso notti intere a farlo, a distruggersi in solitudine nella Stanza delle Necessità. 

Credeva che il dolore che le teneva compagnia in quei momenti fosse muto e sordo, senza occhi e lei lo preferiva di gran lunga e si chiudeva al suo interno ogni volta che tutto quello che vedeva intorno cominciava a perdere i suoi lineamenti, i suoi odori, i suoi suoni, lasciando sempre uno spiraglio aperto da cui le piaceva spiare il ricordo dei giorni che li vedeva insieme, soprattutto quelli che credeva di aver dimenticato. -Sono qui da una vita, Malfoy. 

Quel giorno, l'aria era particolarmente fredda e umida, tanto che le ossa sembravano gelarsi anche al più leggero soffio di vento. Camminava per i corridoi, beandosi della visione del giardino esterno, con la mente libera da ogni pensiero, poi, qualcuno urtò contro la sua schiena. -Oh, scusami, mi dispiace. 

-Va tutto bene.- alzò lo sguardo e si trovò di fronte al sorriso di Daphne Greengrass. 

-Stai andando anche tu in biblioteca? 

-Sì… 

-Ti va se facciamo la strada insieme? 

La guardò quasi infastidita, chiedendo a se stessa per quale motivo non riusciva a sentirsi tranquilla: cominciò a smaniarle dentro una sorta di disagio dovuta alla presenza della Serpeverde che, ogni volta, cominciava discorsi che lei non avrebbe voluto ascoltare. 

Riprese a camminare a piccoli passi, con lo sguardo fisso davanti a sé. 

Daphne la seguì a ruota, avvicinandosi al suo braccio. -Quindi, è vero che non hai lasciato la scuola… 

-Non potrei mai farlo. 

-Ah, Granger, quanto mi piacerebbe essere come te: la migliore della scuola. Chissà, magari anche io avrei potuto studiare per conto mio, chiudermi in biblioteca.- Hermione taceva, il passo lento e pesante. -Certo, deve essere davvero difficile stare ore ed ore sui libri, senza nessuno con cui confrontarti. Anche se, in realtà, non credo che mi piacerebbe studiare da sola, senza il vocio che si crea durante le lezioni, non so, forse, mi sentirei abbandonata, come se il resto del mondo potesse andare avanti anche senza di me. Indubbiamente, è possibile che sia… 

-Preferisco così.- la interruppe con la speranza di zittirla. 

-È una questione di scelte che dobbiamo assolutamente cogliere al volo quando ne abbiamo la possibilità, perché non sempre possiamo farlo. Per esempio, con l'amore, no? Quando entrano in gioco i sentimenti, nessuno sceglie di chi innamorarsi. 

Sentì lo sguardo di Daphne premerle sulla guancia e abbassò la testa, con la voglia di mandarla via, ma rimase in silenzio. 

E non si sentì pronta a fermare i pensieri che si erano aggrappati a quella frase per analizzarla, privarla di ogni verità che conteneva, perché sapeva che non avrebbe potuto farlo, non ne sarebbe stata capace. 

E mentre Daphne continuava a parlare, quella sensazione di abbandono le attanagliò le caviglie: si bloccò, senza riuscire più muoversi, mentre nel suo cuore si apriva quella porta dietro cui vedeva indistintamente soltanto Draco; quella porta che per giorni aveva faticato a chiudere era stata tolta dai cardini con una sola parola. 

-Granger? Granger? Ti senti male? 

Si sentiva scuotere, la voce che la chiamava era così lontana, sembrava quasi non esistere. 

Si mise in ginocchio, con una mano sul petto in cerca di aria e lo sguardo sempre dritto. 

Non si era vestita di nessun dolore muto, cieco o sordo e non aveva raggiunto nessun equilibrio: stava rovinosamente scivolando in una caduta infinita e non riusciva a respirare, non riusciva a parlare né a chiedere aiuto. 

Vide Daphne inginocchiarsi di fronte a lei, prenderle la testa tra le mani ed avvicinarsi alla sua fronte. -Respira, respira piano. Passerà. Te lo prometto, passerà. Piano. Respira. 

Sentiva il suo fiato sul viso, il senso di smarrimento sempre più presente e non trovava niente a cui appigliarsi: c'era solo il sorriso di Draco e il suono della sua risata e lei non aveva le forze di allungare le mani per farlo smettere. - Zitto. Zitto. 

-Respira.- glielo ripeteva come un mantra, le insegnava come fare. -Inspira.- la guardava mentre riempiva i polmoni di ossigeno -Espira, fuuu.- e mentre lo rilasciava. 

Ancora e ancora, ma Hermione sentiva i polmoni e la trachea chiuse in una morsa che non cessava di stringere.

-Piano, lentamente.- Le fronti ancora unite, il sudore che scendeva nei capelli, la sua voce che sembrava prendere consistenza. -Così, brava. Tranquilla, andrà tutto bene. 

Poi, Hermione riuscì ad appoggiare le mani sul pavimento freddo in un tremore che la percorse da capo a piedi. Il sangue che riprendeva la sua corsa, il cuore che trovava il proprio ritmo, il respiro che tornava regolare. 

Aveva ancora lo sguardo basso. La vista delle sue ginocchia fu sostituita dal colore della divisa di Daphne che la teneva ferma in un abbraccio. Si lasciò andare, rilassando le spalle, respirando piano, lentamente. 

Alzò leggermente la testa, poggiandola alla spalla su cui aveva cominciato a piangere. 

Di nuovo. Le sembrò che l'ambiente intorno prendesse le sembianze della Stanza delle Necessità. -Grazie.- appena udibile. 

Quando senti l'abbraccio indebolirsi, ebbe la sensazione di poter cedere ancora e si ritrovò negli occhi quelli della ragazza che aveva di fronte. Non c'era pietà, in quello sguardo, né derisione e né vittoria, ma solo un'infinita distesa di comprensione. 

Daphne le accarezzò una guancia, pettinando con le dita le ciocche di capelli sul mantello con una dolcezza estenuante -M-mi dispiace, davvero… non volevo… 

-Non è colpa tua. 

-Da quanto tempo sei in questo stato? 

Hermione mosse impercettibilmente le spalle piene di incertezze, lasciando a quel movimento il compito di rispondere. 

-Come ti senti? 

-Il cuore…- si portò una mano al petto che Daphne coprì con la sua. -non lo sento più… lui non c'è… lui… 

-Per quando possa contare, quando vorrai, io sarò pronta a starti accanto, a sostenerti. E se potessi dirti cosa fare, ti direi di tornare indietro, proprio ora, ché io al posto tuo correrei a prendere quello che voglio, chi voglio. 

Scosse la testa. -I-io non… lui… 

-Se sei davvero convinta di aver imboccato la strada giusta, allora vai avanti, ma non annientarti a causa del tuo cazzo di orgoglio Grifondoro. 

Restarono in silenzio, con le mani intrecciate sulle ginocchia di entrambe: sembravano unite da anni di cose belle e tristi. Si chiese da quanto tempo stessero così, cosa sarebbe successo dopo. -Grazie. 

-Questo gioco del silenzio non vi porterà da nessuna parte…

 Daphne tornò a stringerla in un abbraccio che azzerò in un attimo le miglia di distanza che le avevano sempre divise, con la promessa di non abbandonarla, poi si rimise in piedi e le porse la mano. 

-Davvero, grazie… 

-Ce la fai? 

Annuì e le sorrise, poi la vide allontanarsi a grandi passi nella direzione da cui era venuta. Chiuse gli occhi, lasciando quelle lacrime incastrate nelle ciglia. 

Respira. Piano, lentamente… 




Avevano condiviso tanto in poco tempo ed era forse questo a legarli più di ogni altra cosa: l'estensione che a cui si erano adattati i loro sentimenti e loro emozioni per non lasciare indietro nel tempo nemmeno una briciola di ciò che erano stati insieme. 

A volte, Draco decideva di immergersi letteralmente nei propri pensieri, bagnandosi fino al mento di acqua nel bagno dei Prefetti. Aveva sentito i muscoli rilassarsi, la voglia di capire quando aveva cominciato a crederci e la risposta arrivava immediata, subito dopo il punto di domanda: dal primo momento, dalla prima volta in cui l'aveva toccata  e baciata quando nessuno poteva vederli, nelle notti passate a non dormire, a ridere. 

Gli sembrò di tornare bambino, a quando per la prima volta aveva osservato ogni minimo movimento del pavone che apriva la coda di fronte ai suoi occhi che si meravigliavano ad ogni novità e si incantavano di fronte a quella bellezza di fili trasparenti che si incastravano nei suoi colori preferiti. -Siamo arrivati al momento giusto. gli aveva sussurrato Narcissa all'orecchio. 

E Hermione per lui era stata come quella coda di pavone: il piacere, la meraviglia di scoprire quell'amore che per la prima volta lo aveva fatto sentire la persona giusta, nel posto giusto, al momento giusto. 

Portò un braccio dietro a sostegno della nuca e, quel movimento, creò nella sua testa un groviglio di confusione in cui si mescolavano insieme i ricordi belli e quelli brutti, l'attimo in cui l'aveva avuta e subito dopo persa. 

Ogni gesto, ogni sguardo di quella notte e quei giorni che lottavano tra loro per accaparrarsi il diritto di essere vissuti, come se non bastasse loro lo spazio che prendevano nei suoi sogni. Ogni notte. Ogni maledetta notte. 

Dietro le tende di lino la pioggia cadeva a dirotto, inesorabile e gli occhi di Draco si mossero lungo tutta la stanza: il pavimento di marmo bianco al centro di cui era incassata l'immensa vasca dai bordi bianchi, come la pelle del braccio che poggiava pigramente su di essi. Quella stessa pelle che lei aveva baciato e accarezzato, respirato. Il braccio, il petto, le palpebre, le mascelle. 

Era scivolato completamente nell'acqua, accorgendosene soltanto quando si sentì soffocare e poi era finalmente tornato a respirare, ma l'aria nei polmoni sembrava non riuscire a colmare la sua assenza: avrebbe voluto averla davanti, chiederle come stava e perché lei riusciva ad essere così forte senza per forza doversi nascondere; dirle che, se solo gli avesse dato il beneficio del dubbio, lui sarebbe rimasto fermo ad aspettarla. 

Gennaio era andato via, portando con sé gli ultimi secondo scanditi nella sua mancanza e il mese di febbraio era cominciato allo stesso modo: non la vedeva da giorni e per i corridoi erano nate voci secondo cui aveva abbandonata la scuola. A quelle voci, Draco non aveva mai creduto e, improvvisamente, sentì esplodere forte in ogni angolo la conversazione che aveva ascoltato in biblioteca. Sentì una sensazione sgradevole alla bocca dello stomaco, accompagnato dalle ultime parole che gli aveva rivolto e gli parve di avere i timpani pieni dei mugolii che emetteva quando lottava contro il pianto. -Non stiamo più insieme da un mese…,  un mese gli era sembrato un'eternità, a cui si era aggiunto l'eterno di gennaio e febbraio. 

Si asciugò con calma, soffermandosi sulle linee dei muscoli su cui Hermione aveva disegnato con le dita i tatuaggi più belli che lui avesse mai indossato, che somigliavano a lei. 

Si rivestì con movimenti lenti e con lo stesso passo prese le scale per avviarsi in biblioteca. Madama Pince lo salutò con un sorriso, una piuma e le pergamene del giorno precedente poggiate sul bancone. -Pronto? 

Draco rispose con un movimento della testa, lasciando scivolare qualche ciocca di capelli sulla fronte, poi si avviò verso il fondo della sala. Guardò l'immenso scaffale, tutti i libri che esso custodiva e riprese il lavoro da dove lo aveva lasciato. 

Fuori, sui vetri delle finestre, le gocce di pioggia si rincorrevano tristi, senza sosta. 

Cominciò a scrivere con la sua calligrafia elegante, piccola. 

La mano tremava impercettibilmente per il freddo che non lo abbandonava nemmeno quando si avvolgeva nelle coperte o si sedeva di fronte al camino nella Sala Comune. 

L'eco dei passi che camminavano lungo i corridoi della biblioteca avevano, però, il potere di tranquillizzarlo e farlo concentrare con più meticolosità, perciò muoveva la mano più velocemente e, sulla pergamena, compariva il titolo di ogni libro affiancato dal nome dell'autore e dalla data di pubblicazione. 

In cuor suo, ringraziava Silente per avergli permesso di entrare, forse inconsapevolmente, nel mondo di Hermione senza per forza darle fastidio. E mentre la immaginava a sfogliare quelle pagine, Draco superò il secondo scaffale e poi il terzo e il quarto. 

A differenza di ogni anfratto della scuola, all'interno della biblioteca il tempo sembrava scorrere in maniera diversa, più lento o più veloce, a seconda di ciò che si era impegnati a fare: ricordò la volta in cui era entrato in biblioteca per cercarla, poco dopo essere stati liberati da quell' esilio nel dormitorio di Blaise, quando i minuti sembravano dilatarsi e lei sembrava essere ovunque tranne che in quel dedalo di corridoi. 

E, a quello, si sovrappose il ricordo della notte in cui si erano baciati di nuovo, mentre lei provava a spogliarlo e lui si ritraeva spaventato dal peso di quel sentimento, mentre sentiva nella testa le voci sul bacio che Dean aveva provato a darle. E l'intera ora che avevano trascorso si era presentata vestita da piccoli frammenti di minuti. 

-Signor Malfoy, - Madama Pince gli aveva poggiato una mano sulla spalla. -manca un'ora alla cena, vada a riposare. 

-Può chiamarmi Draco. 

La donna sorrise e si appoggiò al suo braccio, tenendosi stretta fino a quando non si trovarono di fronte alla porta. -Stai facendo un ottimo lavoro, Draco. Buonanotte. 

-Grazie, buonanotte anche a lei. 

Aveva trovato in Madama Pince una compagnia silenziosa che sembrava comprenderlo con uno sguardo ed aveva sempre l'impressione che fosse sul punto di dirgli qualcosa di terribilmente importante, la sua mente cominciò a formulare ipotesi su ipotesi, anche alquanto improbabili, poi, sentì delle voci riempire il vuoto dei sotterranei e corse verso la parete che scivolò di lato un istante dopo aver pronunciato la parola d'ordine. 




Continuava a sentire nello stomaco un'ondata di odio e di disgusto: aveva passato ore intere per allontanare l'immagine di Hermione che non riusciva a respirare, a trovare un appiglio a cui aggrapparsi; che la guardava e non riusciva a vederla, con le pupille dilatate e gli occhi pieni di lacrime che rimanevano in bilico negli angoli; quelle urla silenziose, quella disperazione che sembrava aver avvolto tutto. 

Quando vide Pansy entrare in Sala Grande, sedersi di fronte al camino e reclinare la testa indietro, sentì l'odio muovere le mani fino a stringere i capelli e a tirarli con una forza che non credeva di avere. L'altra fece lo stesso. 

-Sei impazzita? 

-Ti ho fatta male, Parkinson? 

-Non osare toccarmi ancora.- ma Daphne la colpì con un pugno sul braccio. -Smettila.- e poi uno schiaffo, due. 

Quando Pansy reagì, Daphne si immobilizzò come una statua di sale: la guardava mentre muoveva le mani, la colpiva, provava a spintonarla e urlava, come se alzare la voce fosse la sua arma vincente, un modo per avere ragione. -Ti credi davvero migliore di me? 

-Sì, sono migliore di te. Tu sai cosa hai fatto? 

Intorno a loro si erano riuniti tutti gli studenti di Serpeverde in un silenzio quasi religioso e nessuna delle due si era accorta che, proprio durante quella che sembrava una tregua, Draco Malfoy si era avvicinato a Blaise e Theo. 

-Greengrass, oltre le scarpe, ti si è riempita la bocca di merda.- e fece per allontanarsi, voltandosi di schiena. 

Era rimasta ferma fino al momento in cui non vide quella scena, poi Daphne avanzò spedita verso di lei, le afferrò una spalla e la spostò tanto che si ritrovarono faccia a faccia: sentiva gli occhi bruciarle per la rabbia. -Non voltarmi le spalle. Guardami in faccia, hai capito? Sai cosa hai fatto, Pansy? Lo sai? 

-Ho soltanto raccontato quello che è successo, ho raccontato la verità. 

-Prima di parlarne, dovresti sapere almeno com'è fatta, la verità. Le tue sono solo illusioni e non si realizzeranno mai se continui così. 

-Ma cosa vuoi? Che cazzo vuoi da me? 

-Devi smettere di fare quello che stai facendo. Ti avevo già avvertita: tu non sei nessuno per intrometterti nelle scelte altrui. 

-E con quale diritto tu ti intrometti nelle mie? Perché? Perché dovrei smettere? 

-PERCHÈ LA STAI DISTRUGGENDO.- sentiva la gola andare in fiamme, insieme alle corde vocali e alla lucidità con cui aveva cominciato quella discussione soltanto il giorno prima: avrebbe preferito, in quel preciso istante, metterle di nuovo le mani addosso o alzarle la bacchetta contro, fermarla a suon di incantesimi e, invece, se ne stava lì, di fronte a lei, a tentare di ritrovare un po' di fiato.

-Ti ha pianto in faccia e ti sei intenerita? L'hai anche abbracciata dopo, eh? 

-No, non ha pianto: mi è crollata in faccia in mille pezzi e sì, l'ho abbracciata perché io so quanto fa male il dolore che sta provando. 

-Quante cose sai… 

-Molte più cose di te. 

-Da quando, eh? Da quando ti nascondi in ogni angolo per fare sesso? 

-Sì e non mi nascondo negli angoli, come fai tu, perché io faccio l' amore con la persona che ho accanto. 

-L'amore, già… - la bocca si stese in un sorriso perfido, velenoso. -Che ne sai tu? Che ne sai di cos'è l'amore? DIMMELO. Non startene zitta: cosa avresti fatto se Theo fosse stato innamorato di un'altra? 

-Mi sarei fatta da parte, perché la cosa più importante per me, per me che lo amo davvero, è la sua felicità. 

Entrambe stettero in silenzio per qualche minuto, il petto che si muoveva al suono delle parole dette e di quelle taciute.

-Tu non puoi immaginare quello che io sento, la voglia di rispedirla da dov'è arrivata, in qualunque modo.- Pansy aveva abbassato la voce, con i denti stretti a nascondere il disprezzo, l'avversione, le labbra che si muovevano dure. 

-Non ti avvicinare a lei. Non permetterti mai di farlo. 

-L'avete fatta entrare qui prima ancora che ci mettesse piede, come se fosse la padrona delle vostre vite, invece è solo una lurida sangue sporco e mi dispiace, davvero, mi dispiace immensamente che Bellatrix non sia riuscita ad ucciderla o che non sia morta durante la guerra: avremmo avuto meno sporcizia di cui occuparci. 

-Cos'hai detto? 

-Che è una lurida sangue sporco.- e scoppiò in una risata infima e crudele che gelò l'atmosfera. 

Soltanto quando sentì il fruscio di mantelli che si accarezzano, Daphne di rese conto che Draco era lì: avrebbe voluto riflettere, fare qualcosa, tornare indietro nel tempo per assicurarsi che non avesse sentito quelle parole, ma non riusciva a sciogliere il filo dei suoi pensieri, a dire nemmeno una parola. 

Era lì e guardava Pansy con lo sguardo ferito, il corpo che tremava. Si avvicinava piano, mentre gli altri studenti si spostavano per creare una sorta di passaggio, camminava senza far rumore, sembrava che i suoi piedi non toccassero il pavimento e fu ad un millimetro da lei che sembrò più dolce, gli accennò un sorriso, provò a toccarlo, a prendergli la mano, poi fu un attimo: lo schiaffo la colpì violento, feroce, più cattivo della risata che poco prima aveva sputato nell'aria. 

Sembrava che il tempo si fosse fermato in quell'attimo di risentimento e veleno, Daphne si sentì come sospesa in un altro mondo: non aveva il coraggio di fare un solo passo né di fare il benché minimo movimento: osservava la scena come se fosse stata immersa all'interno del Pensatoio in un ricordo in cui percepiva la totale assenza di se stessa. 

Draco si allontanò senza fretta, lasciandole soltanto l'ombra della sua schiena, come un muto e irreversibile addio. 

Girò a fatica la testa verso il centro della Sala Comune e, prima di sparire, soffiò via dal corpo tutta la rabbia che aveva alimentato in quei mesi -Non voglio mai più sentire il mio o il suo nome uscire dalla tua bocca.

Cadde il silenzio, gli occhi di tutti puntati a guardare il vuoto, la fretta di tornare nel proprio letto o recarsi in Sala Grande per la cena, sentiva il vociare di alcuni concentrarsi su quello che si erano dette le due, Daphne invece, si concentrò sulla sensazione dei tagli che aveva provato quando Draco aveva parlato e, in tanti anni, non aveva mai sentito la sua voce così fredda, piatta, cattiva.

Quello che, poco dopo, riempí i sotterranei era il rumore di oggetti che si infrangevano sul pavimento o urtavano contro i muri e poi un silenzio quasi irreale, quello che lei riconobbe come quello della disperazione. 

Si girò quasi di scatto, si avvicinò per guardarla negli occhi e ferirla più di chiunque altro, più di qualsiasi Maledizione Senza Perdono.

Pansy aveva ancora il viso rivolto e arrossato nel punto in cui era stata colpita: non versava una lacrima, la bocca ferma in una linea dritta, sembrava addirittura che non stesse respirando, le braccia lungo i fianchi, le mani abbandonate nel vuoto. 

Si posizionò davanti a lei, spostando i capelli biondi dietro le orecchie. -Spero tu sia contenta, adesso.Stai facendo terra bruciata intorno a te: non avrai nessuno intorno quando sentirai il bisogno di rifugiati in un abbraccio. 

-Sto benissimo da sola. 

-Nessuno si salva da solo, Pansy.




Angolo Autrice:

Eccoci qui!! Beh, come avrete notato, questo capitolo è del tutto Serpeverde… 

Ora vorrei precisare una cosa molto importante: in nessun modo e in nessuna circostanza giustifico la violenza sulle donne e sugli essere viventi in generale e non voglio assolutamente invogliarla con l'ultima scena descritta nel capitolo. 

Se siete vittime di violenza, non abbiatene vergogna: non è colpa vostra, non state sbagliando e non siete sbagliate. 

Denunciate, denunciate e DENUNCIATE. 

Detto questo (anche se a mio riguardo ci sarebbe tanto ma tanto altro da dire), spero che il capitolo vi sia piaciuto e di leggere qualche vostra recensione. 

A presto, Exentia_dream2








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Capitolo 12
*** Bagnati dalla pioggia pt. 1 ***


Bagnati dalla pioggia pt. 1



Riusciva a sentire le urla di giubilo fino allo spogliatoio: il suo nome urlato in coro gli faceva tremare le gambe. L'adrenalina liquida che gli scorreva in corpo lo emozionava al punto che sentiva gli occhi riempirsi di lacrime e le mani tremare leggermente. 

Pensando a quanto fosse importante per lui quello che faceva nel campo, diede un'occhiata veloce alla maglia scarlatta, poi la indossò e, insieme agli altri componenti della squadra, si mise in fila di fronte all'uscita, in attesa che lo speaker li presentasse. 

In quei minuti che sembravano sempre scorrere a rilento, tutti i giocatori si muovevano, saltavano sul posto o semplicemente guardavano la loro scopa, ma quello che catturò la sua attenzione fu il capitano della squadra avversaria: teneva lo sguardo dritto davanti a sé, in un punto imprecisato del cielo e sul suo viso non era dipinto il solito ghigno di sfida perché gli angoli della bocca erano rivolti verso il basso. 

-Signooori e signoooreee, studenti, studentesse e professori di Hogwarts, benvenuti al più bel campo di Quidditch del Mondo Magico. Sono Anthony Goldstein e loro sono la squadra di Grifondoro, capitanata da Harry Potteeeerr!!- partì uno scroscio di applausi -Contro la squadra dei Serpeverde, capitana da Dracoooo Malfoy!! -e nonostante le urla fossero aumentate, i loro nomi si udivano indistintamente tra i battiti di mani e i fischi. 

Le squadre fecero il loro ingresso in campo ed ogni giocatore prese posto sulla propria scopa. 

-Pluffa al centro eeee FISCHIO DI INIZIO!! 

Così entrambi i capitani volarono parecchi metri più su rispetto agli altri: il Boccino d'Oro non si era ancora mostrato, perciò Harry decise di guardare la sua squadra giocare, evitare abilmente i bolidi e tenere stretta la Pluffa. 

Ron parò abilmente il primo tiro dei Serpeverde e, nel rilanciare la Pluffa, non si accorse che Ginny era stata puntata da un bolide. 

Zabini approfittò immediatamente della distrazione per segnare. 

-Primi punti della partita: Serpeverde dieci, Grifondoro zero.- e mentre Anthony raccontava ad uno ad uno i movimenti dei giocatori, il Boccino cominciò a volare davanti agli occhi dei due capitani che, prontamente, cominciarono a rincorrerlo. 

Dietro le torri, fino ad un millimetro dal suolo e di nuovo in alto verso il cielo, in una corsa sfrenata che non fu interrotta nemmeno dalla pioggia potente che aveva cominciato a scendere e che aveva caratterizzato il mese di febbraio dal primo giorno. 

Quando il Boccino prese a volare verso gli spalti, Harry vide Draco andargli dietro e poi bloccarsi di fronte alla tifoseria Grifondoro: fermo a mezz'aria, gli occhi puntati nel punto in cui, se si fosse presentata, sarebbe stata seduta Hermione e gli arrivò alla mente il ricordo della partita in cui, a seguito della scommessa lanciata dal biondo, si era giocato la sua migliore amica come premio. 

-Hai perso, Malfoy… Mi sei secondo. 

-Me l'ha chiesto lei, Potter.- e, come un incantesimo scagliato in pieno petto, gli arrivarono le parole che Ginny gli aveva rivolto uscendo dall'infermeria, dopo aver fatto visita a suo fratello. Scosse la testa. 

Un attimo dopo, si sentì scaraventare lontano, con le mani strette al manico della sua scopa, i piedi nel vuoto: il bolide lo aveva centrato in pieno, disarcionandolo, e, subito dopo essersene reso conto sentì la voce di qualcuno incitarlo. 

-Potter, il Boccino. Ma cosa fai? Prendi il Boccino, maledizione. 

Risalì sulla Firebold con immensa fatica, mentre l'altro cercatore aveva ripreso la sua corsa: lo vide allungarsi, tendere il braccio, a poca distanza dalla sfera dorata. 

La pioggia continuava insistente e rendeva difficile anche respirare. 

Con la mano sempre più vicina, Draco riuscì ad evitare un bolide, mentre Goldstein continuava a parlare attraverso il microfono. -Sono in vantaggio i Serpeverde con un punteggio di ottanta a sessanta, contro i Grifondoro. Una partita combattuta a suon Pluffe, mentre i due cercatori rincorrono il Boccino d'Oro. 

Pochi centimetri, tutti i muscoli tesi a lottare contro il vento. Harry continuava a guardare il suo avversario, prestando poca attenzione al suo ruolo di capitano e cercatore: gli parve quasi di sentire sulle spalle tutto il peso del mondo, mentre leggeva nei movimenti di Malfoy tutta l'indecisione e il dolore di stringere le mani attorno a ciò che avrebbe portato la sua squadra alla vittoria. 

Fu solo un attimo, però, perché qualche secondo dopo, sentì esplodere un boato di gioia da una delle due tifoserie. -Eeee signori e signore, vince la squadra di Serpeverde: Draco Malfoy ha catturato il Boccino d'Oro e, con questo, si conclude questa partita. Con i saluti del vostro speaker preferito, Anthony Goldstein, che vi aspetta per la prossima partita tra Tassorosso e Corvonero. 

Tutti i giocatori tornarono sull'erba e si diressero lentamente verso gli spogliatoi in cui, subito dopo, i due capitani furono circondati da tutta la squadra. Intorno a lui c'era chi gli inveiva contro, chi di dava una pacca sulla spalla, chi invece si complimentava, però, ancora una volta, l'attenzione di Harry fu catturata da altre voci, che non erano quelle dei suoi compagni. 

-Che cazzo ti è preso, eh? 

-Ma che vuoi? 

-Mi chiedi cosa voglio? Voglio che ti riprendi, che la smetti di vivere nel tuo mondo: abbiamo rischiato di perdere. Che cazzo stavi guardando su quegli spalti, eh? 

-Ehi,- si intromise in quella discussione che non gli riguardava. -alla fine avete vinto, no? 

Vide Blaise Zabini e Draco Malfoy alzare gli occhi su di lui: il primo fece un gesto nervoso con la mano, segno che non aveva gradito quell'interruzione; il secondo, invece, abbassò lo sguardo e si allontanò piano, dopo aver sussurrato un grazie che sconvolse Harry più di ogni altra cosa al mondo: Draco che lo ringraziava era stato come uno schiaffo in pieno viso. 

Sentì una mano poggiarsi sulla spalla e si girò, trovando Ginny dietro di lui. -Siamo messi molto, molto male… 

-Quindi avevo ragione, eh? 

-Già.. - e si grattò la testa imbarazzato, poi cominciò a spogliarsi. 

L'acqua sul corpo sembrò portare via la tensione che aveva accumulato nei muscoli: sentiva che perdere quella partita era stata la cosa più giusta da fare e non sapeva spiegarsi il perché, poi Ginny lo abbracciò da dietro e gli diede un bacio al centro delle scapole. -Ehi… 

-Ehi. 

-Sono andati via tutti.- e lo raggiunse sotto il getto della doccia. 

Harry cominciò a baciarla, tirandole su le gambe. -Buonasera.- il sorriso malizioso sul viso, a poca distanza dalla bocca di Ginny. 

-Buonasera a te, Harry Potter. 

Fu l'acqua calda a fare il resto, mentre loro non le davano più importanza: dentro di lei, Harry sentiva di poter morire e rinascere, ogni volta, sempre. Con una mano incollata alla parete per non perdere l'equilibrio, mentre con l'    altra teneva la schiena bagnata della ragazza, sentiva i suoi gemiti riempire gli spogliatoi e il suo cuore. 

Quando poi si appoggiò al suo seno, Harry avvertì le ultime forze scivolargli ai piedi. -Mi distruggerai una di queste volte…

-Almeno ti distruggerai con piacere.- e gli sorrise. 

Avevano passato l'ultima settimana in una preoccupazione perenne e costante e, neanche volendo erano riusciti a ritagliare un po' di tempo per loro, perciò fare l'amore, in quel momento, fu come impossessarsi di nuovo dei propri giorni e della propria vita. 





Quando bussò alla porta, si sentiva pronta per affrontare l'interrogazione di Trasfigurazione: aveva studiato l'incantesimo con una meticolosità tale che l'aveva portata ad informarsi anche sull'inventore sulla data in cui era stato reso noto al mondo, i limiti, i pro e i contro a cui questo era soggetto e decise che avrebbe chiarito in quella stanza i dubbi che le erano sorti a riguardo. 

Quando la porta si aprí, Hermione si trovò in uno studio rettangolare, con due poltrone rosso e ore sistemate di fronte al camino, su cui erano sistemati alcuni libri, notò dei quadri alle pareti, diverse candele ad illuminare l'ambiente e la professoressa intenta a scrivere su una pergamena poggiata su un piccolo scrittoio posto proprio davanti alla finestra. 

-Signorina Granger, prego… si accomodi su una poltrona: fa molto freddo oggi. 

Obbedì e attese, beandosi del calore del fuoco che bruciava. Un attimo dopo essere arrivata, sparì anche la sensazione di freddo e vuoto che l'aveva attanaglia nei giorni precedenti: avvertiva il crepitio del fuoco sulla legna come un rumore familiare, che le fece immediatamente tornare alla mente casa sua. 

Sentì aprire e poi richiudere un cassetto e spostò gli occhi dal camino, poi Minerva McGranitt si sedette sull'altra poltrona. 

-Professoressa, prima di cominciare, volevo chiarire con lei… 

-Hermione- si allungò verso di lei e prese le mani della ragazza tra le sue. Si lasciò avvolgere da quella sensazione di affabilità e affetto che aveva sempre provato verso la donna e viceversa. -Come stai? 

Restò per un po' in silenzio, meravigliata da quella domanda. Pensò che la sua storia con Draco non doveva essere poi del tutto passata inosservata, ma avrebbe provato a dirottare ogni discussione, cambiando argomento, ponendo ogni sorta di domanda. -Bene. 

-Sono contenta della tua risposta, ma da te non mi aspetto altro, se non la verità. 

-Questo incantesi…

-Lascia perdere per un attimo lo studio. 

Hermione abbassò lo sguardo: era pronta per quell'incantesimo, aveva provato fino allo stremo i movimenti da fare con la bacchetta, la precisa pronuncia. 

Minerva stette zitta per qualche minuto, senza mai spostare gli occhi, poi si avvicinò a lei per accarezzarle i capelli. -Dovresti tornare a studiare insieme agli altri studenti, pranzare e cenare insieme a loro. La solitudine non ti aiuterà a combattere questo dolore. Lo senti amplificarsi, quando sei da sola? Senti come preme per essere vissuto fino in fondo? Hai bisogno di compagnia. 

Scosse la testa, mentre sentiva le lacrime salirle agli occhi. -Io sto bene, davvero. 

-D'accordo: allora questo è un ottimo motivo per tornare a far realmente parte della scuola. Non serve isolarsi. Allontanarsi non fa altro che accrescere la possibilità di soffrire di più nel momento in cui ci troviamo di fronte alla causa del nostro male. Non puoi far finta di niente. Il dolore deve essere vissuto, attraversato e, quando sarà passato, quando avrai pianto tutte le tue lacrime, ad un certo punto, arriverà una specie di tranquilla malinconia, una sorta di calma, quasi la certezza che non succederà più nulla.*

Hermione annuì, con la gola chiusa, le parole incastrate nelle testa in una fitta ragnatela di paure e pensieri. Si rese conto che il suo inutile tentativo di non parlare di lui era fallito prima ancora di essere messo in atto. 

-Oggi la partita di Quidditch è stata vinta dai Serpeverde: era davvero impossibile vedere il Boccino con quella pioggia. 

Serrò la mascella, mentre il ricordo di quella settimana di esilio, l'obbligo e verità e la sua richiesta fuori dagli spogliatoi prendevano vita davanti ai suoi occhi. -Ti prego, perdi. Fallo per me. 

E Draco era arrivato quasi a stringere il Boccino, poi aveva ritirato la mano ed era sceso sull'erba: aveva deliberatamente perso, nonostante la tifoseria lo incitasse a vincere e a stringere la presa, incurante di quello che avrebbero detto i suoi compagni di squadra. Si era fermato a guardarla ed aveva deciso di perdere. Per lei. 

-È stato davvero emozionante, devo ammetterlo.- intanto, la voce della professoressa tornava ad affacciarsi al suo udito. -Una gara davvero interessante. Beh, certo, se avessimo vinto, sarebbe stato molto meglio, ma pazienza. 

-Io… É meglio che vada… 

-Pensa a quello che ti ho detto. Noi Grifondoro ci distinguiamo per il coraggio che abbiamo nell'animo. E tu, di coraggio, ne hai sempre avuto da vendere. Non sminuirlo. 

Uscí dall'ufficio a passo pesante, trascinando i piedi come se ad essi fossero legate le catene a cui erano annodati gli strascichi di quello che era rimasto del suo cuore, delle notti con Draco e di ogni suo singolo sorriso. 

Aveva gli occhi bagnati di mancanze, la scale davanti a sé e la voglia di tornare bambina. 

Ricordò il senso di benessere che aveva sentito quando aveva creduto di aver finalmente raggiunto quella sorta di tranquilla malinconia di cui le aveva parlato la professoressa. Si chiese quante lacrime ancora aveva da piangere se era ancora lontana dal desiderio di stare meglio e poi, subito dopo, si sentì sprofondare nell'oblio della disperazione che l'aveva colta nei corridoi appena qualche giorno prima. Si chiese cosa sarebbe successo se non ci fosse stata Daphne a sorreggerla. 

Si incamminò per raggiungerla al Lago Nero: tra loro era nato un legame silenzioso, fatto di pensieri muti tradotti in abbracci e dita che le asciugavano le lacrime. 

Lungo i corridoi, sentiva la pioggia battere sui vetri, le voci degli studenti dietro la porta della Sala Grande. 

Daphne l'aspettava al riparo, dietro le colonne. Le sorrise dolce. -Come stai? 

-Sono stata meglio.- alzò gli occhi e guardò lontano, come a voler mostrare la sua voglia di guardare l'acqua del lago. 

-Se io fossi una persona che ti ama, vorrei che tornassi… 

-Non è così facile.- sospirò rumorosamente, nascondendo le mani nel mantello. -Ho soltanto voglia di scappare, di andare via. 

-In quel caso ti direi soltanto che se te ne devi andartene, vorrei che te ne andassi e basta. 

-Non è facile nemmeno questo…- ancora una volta sentì il vuoto esploderle dentro ed occupare tutto lo spazio che aveva in corpo. Decise di cambiare argomento. -Quindi oggi avete vinto, eh? 

-Sì. 

Il suo pensiero, però, era incollato al viso di Draco e non riusciva a mandarlo via: aveva bisogno di sapere che lui sapeva restare in piedi, che non si era lasciato piegare. -In giro ho sentito dire che sta meglio. 

-Sì dicono tante cose, Hermione, non sempre vere, dovresti saperlo. 

-Sì, beh… Le ultime volte in cui l'ho visto sembrava non fosse successo niente, come se lui ed io non fossimo mai esistiti insieme… 

-Ci vuole coraggio anche a far finta di niente. 






Ad ora di cena, tutti i professori sedevano al lungo tavolo sulle scale che permetteva loro di guardare tutto da un'altra visuale e la Sala Grande era piena di studenti. 

A lui, però, sembrò desolatamente vuota: Hermione, ancora una volta, non si era presentata, aveva preferito non lasciargli nemmeno vedere la sua schiena. 

Si sedette al solito posto, riempí il piatto di carote e pasticcio di manzo, ma non mangiò nulla. Non prese nemmeno la forchetta nel tentativo di provarci. 

Aveva visto Daphne raggiungere il tavolo poco più tardi, l'aveva guardata e gli parve di sentire ancora le sue urla nella Sala Comune di Serpeverde: sentiva i suoi occhi addosso e ringraziò le sue ottime doti di occlumante, perché era sicuro che la bionda stesse facendo di tutto pur di entrare nella sua mente. 

La teneva chiusa, sbarrata a chiunque, tranne che a se stesso, anche se avrebbe voluto avere la capacità di chiudersi fuori dai suoi pensieri e sentirsi di nuovo al sicuro nei suoi vestiti: in quel dormitorio e durante le ripetizione con Hermione si era sentito nudo, si era chiesto quando aveva cominciato a spogliarsi senza nemmeno rendersene conto e, poi, puntuale, gli era arrivata l'ipotesi prima e la certezza poi che fosse stata lei a togliergli il primo strato di sporco che gli copriva l'anima. 

Si alzò dal tavolo, lasciando il suo posto vuoto e il piatto pieno. 

Sentiva lo stomaco accartocciarsi al solo evocare quello che aveva detto Pansy e la mano che l'aveva colpita riempirsi di sdegno: si fermò nel primo bagno che aveva trovato lungo il corridoio, aprì l'acqua e sfregò entrambe le mani con la speranza di lavare via quelle parole, quel tocco e il ricordo di quando aveva provato a fare l'amore con lei che lo avevano portato a sentirsi nauseato fino all'inverosimile. Si chiese come avesse fatto a toccare un'altra persona, come avesse fatto a pensare di poter andare oltre quello che Hermione gli aveva fatto provare. 

Quando aveva ammesso che non riusciva a staccarsi da lei, si era chiesto tante volte perché. 

Ed erano passati i giorni, le settimane e non aveva trovato nessuna risposta a tutte le altre domande che lo avevano torturato durante la loro lontananza: era lei a riempirgli i giorni o erano i giorni a riempirsi di lei? E sentiva quel flebile barlume di speranza che aveva dentro spegnersi piano piano,ogni volta che riscopriva la sua assenza: in Sala Grande, alla partita di Quidditch, durante le lezioni che avrebbero avuto in comune, nei corridoi, in biblioteca. Ovunque. 

Trovò Blaise steso sul divano, le mani dietro la testa e Draco lo guardò appena. 

-Allora?

-Allora cosa?- non aveva voglia di parlare con nessuno. Voleva solo chiudersi in camera e lasciare il resto del mondo fuori. 

-Hai giocato da schifo. 

-Alla fine abbiamo vinto, no? Lo hanno detto sia Goldstein che Potter. 

-Non mi interessa chi ha detto cosa. Spiegami cos'è successo. 

Mosse le spalle, colpevole. -Non lo so. 

-Non è così che la troverai di nuovo al tuo fianco: guardare il suo posto vuoto non ti serve. 

-Non mi serve nemmeno avvicinarla. 

-Non ci hai ancora provato. 

-Non c'è bisogno che ci provi: sta facendo di tutto per evitarmi e lo sai, lo vedi anche tu.

-È vero. 

-Mi sta ignorando… Ed io non riesco a ignorare il fatto che lei mi ignori. 

-Ed è giusto, altrimenti tutto questo non avrebbe alcun senso. 

Si prese la testa tra le mani. -Mi sta facendo impazzire. Non mi sono mai sentito così debole. Mi accontenterei anche se tornasse ad insultarmi, non m'importa. Qualunque cosa: l'importante è che io faccia parte della sua vita e lei della mia, in qualunque modo. 

-Cazzo, Drà, in tutti gli anni della mia vita credo di non averti mai visto più triste di così. 

Allentò il nodo della cravatta e reclinò la testa sullo schienale del divano. -Sai qual è stato il momento in cui mi sono davvero reso conto di aver bisogno di lei? 

-Dopo capodanno? 

Draco sorrise triste e scosse il capo per negare l'ipotesi di Blaise. -No. Quando ho cominciato a contare i suoi passi mentre si allontanava da me. Ha raggiunto una distanza che sembra incolmabile, miglia e miglia lontana da me. 

-Hai detto bene: sembra, non lo è davvero. 

Allargò un po' il sorriso, allontanandosi i capelli dalla faccia. -Non riesco a non pensare a quello che ha detto Daphne. 

-Beh, ha detto la verità: Pansy ha meritato ogni parola. Meriterebbe anche peggio. 

-Sì, è vero… ma quando le ha detto che la stava distruggendo. Non riuscivo a capire di cosa stessero parlando e tutt'ora non capisco perché abbiano litigato. 

-Non lo sai, vero? 

-Cosa? 

-Daphne non ha smesso un attimo di piangere e ha raccontato a Theo e a me che ha incontrato la Granger al Lago Nero e che le ha buttato qualche frecciatina sul vostro rapporto, indirettamente. Poi l'ha incontrata lungo i corridoi della biblioteca. Le si è avvicinata e ha cominciato a parlare, facendo giri di parole immensi, nascondendo la sua vera intenzione di parlare di te. Quando ha detto che Hermione le è crollata in faccia, è perché è crollata davvero, letteralmente. Ci ha raccontato che l'ha vista inginocchiarsi, che non riusciva a respirare né a parlare… 

La voce di Blaise cominciò ad allontanarsi, come se fosse stato in un altro posto, in un'altra ala della scuola, come se quello che stava raccontando fosse un'eco nato molto tempo prima. 

Davanti ai suoi occhi, invece immaginava la scena che Daphne aveva vissuto e che l'amico gli stava descrivendo nei minimi particolari: si sentí stanco, inutile, ancora più arrabbiato con Pansy per quello che aveva detto nei corridoi di Serpeverde, in Sala Grande e nella loro Sala Comune. 

Riviveva a rallentatore la scena in cui le si avvicinava per colpirla e in lui si deflagrava la sensazione di essere distrutto, senza forze, come se non fosse più nel suo corpo.

Vedeva la stanza stringersi intorno, le pareti franargli addosso e sentì quel peso accumularsi sul petto. Si alzò di scatto dal divano, dove aveva lasciato il mantello, e si allontanò da Blaise, deciso ad uscire dai sotterranei, correre lontano. -Dove vai? 

-Ho bisogno di respirare… 



Angolo Autrice:

Bene, eccoci qui… Un altro capitolo tutto per voi. 

Avrete notato che i giorni passano, ma questi due non si incontrano… chissà cosa succederà prossimamente… secondo le tempistiche della storia, poi, siamo prossimi a San Valentino 😏

*Già sapete che le frasi contrassegnate dall'asterisco sono adattate alla storia, ma non sono mie. Questa, infatti, appartiene a C.S. Lewis: Ma chiunque abbia avuto un dolore così grande da piangere fino a non avere più lacrime, sa bene che ad un certo punto si arriva a una specie di tranquilla malinconia, una sorta di calma, quasi la certezza che non succederà più nulla.

Come avrete capito dal titolo, questo è la prima parte di un capitolo moooolto moooolto lungo, perciò ho preferito dividerlo, sia per creare un po' di suspense sia perché altrimenti sarebbe risultato davvero troppo pesante leggerlo. 

Comunque, l'aggiornamento della seconda parte avverrà domani, quindi… 

Commentate, fatemi sapere cosa ne pensate e se tutto ciò che sta partorendo il mio cervellino sfiancato dalla quarantena vi sta piacendo. 

A presto, Exentia_dream2













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Capitolo 13
*** Bagnati dalla pioggia pt. 2 ***


   

Bagnati dalla pioggia pt. 2




Aveva visto Ginny e Harry rientrare nella Sala Comune di Grifondoro, li aveva guardati e sorriso ad entrambi. 

-Come stai?- era seduta sulla poltrona davanti al camino, Ginny si era inginocchiata di fronte a lei, mentre Harry aveva preso posto sul divano. - Tu… Tu come ti sei sentita quando ti ha lasciata?

-Beh, penso che tu mi abbia vista, no? Ero devastata, mi sentivo cadere in mille pezzi, ma ci ho creduto fino alla fine… 

Hermione accennò un mezzo sorriso: una parte di lei era davvero contenta che i due fossero tornati insieme, l'altra invece provava nei loro confronti una sorta di invidia insana che l'aveva portata a chiudersi in se stessa, che l'aveva scaraventata lontana da loro. -Sì… 

-Herm. - Harry girò il viso verso di lei. -Hai bisogno di parlare con qualcuno, ma soprattutto hai bisogno di ascoltare. Ci sono cose che tu non sai, che non hai visto e… 

-Quello che so, quello che ho visto e quello che ho sentito mi basta. 

-No, no. Per favore, smettila di isolarti, smettila di essere così cocciuta. 

-Io non sono cocciu…

-SÌ, SÌ CHE LO SEI.- le urla di Harry furono come una pugnalata al cuore. -Cosa sai? Cosa hai visto? Cosa hai sentito? 

-Quello che avete sentito anche voi: Pansy Park… 

-Pansy Parkinson? E poi? Hai visto Malfoy che entra in aula o in Sala Grande con le mani nelle tasche e la testa sempre bassa? Hai visto quante volte sta tra la gente ma è come se non ci fosse? Lo hai visto mentre guarda il tuo posto vuoto? O mentre riempie il piatto ma non mangia nemmeno una briciola di pane? 

-Non mi serve tutto questo… 

-E allora cosa vuoi? Sai, Hermione, a questo punto credo che tu non saprai mai quello che vuoi dalla vita, che sei tanto intelligente ma non vedi ad un palmo dal tuo naso, che forse questa situazione ti fa comodo… 

-Io lo so. 

-Cosa? 

-Quello che voglio. 

-Quello che vuoi è lì e non fa altro che aspettare te, dannazione. 

-Non è facile. Smettila di darmi contro. 

Poi, Ginny le sollevò il viso, facendo tacere Harry soltanto guardandolo. -Hermione, credimi: Draco Malfoy non è più Draco Malfoy. È irriconoscibile, davvero. Entrambi ti stiamo parlando con il cuore in mano e tu non sei costretta a tornare con lui, ma siamo davvero stanchi di vederti così, anzi, di non vederti, perché tu sembri non esistere più. Sei diventata un fantasma, al pari di Nick-Quasi-Senza-Testa. 

-Oh, grazie. 

-Non m'importa se ti offendi: è la verità. Se ti senti ancora ferita, allora resta dove sei, curati, ridi anche per finta, ma non lasciarti andare. E se sei innamorata di lui, se davvero sei stata felice con lui, però, ti prego, non startene ferma, non lasciarlo andare. Non perderlo. 

-Ginny… 

-No, ti prego. Lo so che è difficile, che ci sono giorni in cui ti sembra di cominciare a stare meglio e l'attimo dopo senti un dolore insopportabile. So che non fai altro che ricordare e ricordare, ma non serve a niente: la soluzione a tutto questo ce l'hai a portata di mano. Anche io ho rischiato di perdere Harry, anche io ho pianto come piangi tu ogni santa notte, ma ho capito quanto lui fosse importante per me, quanto i miei sentimenti fossero più forti di tutto quello che ci ha allontanati. Ci vuole tempo anche per capire tutto questo, è vero… posso solo dirti che lo avverto quando l'amore sta finendo, quando è agli sgoccioli e, sinceramente, io non credo che tu abbia avvertito questa sensazione. 

Poi, Hermione spostò la sua attenzione su Harry. -Cosa si prova a far finta di niente? 

-Si sta da schifo: tu non lo hai mai fatto, non sei mai stata capace di fare come se niente fosse, ma credimi, ci vuole più coraggio a far finta di niente che a urlare quando stai male. 

Improvvisamente, sentì la mancanza di ossigeno nei polmoni e si spogliò del mantello e del maglione, si alzò dalla poltrona muovendo convulsamente le mani a poca distanza dalla faccia, nella speranza di riprendere aria. Continuò a camminare, allontanandosi dal camino, mentre Harry e Ginny la guardavano con occhi preoccupati, senza il coraggio di muoversi. 

-Ho bisogno di respirare… - ed uscí dalla Sala Comune, senza chiedersi se avesse parlato ad alta voce o se quelle parole avessero avuto un suono solo nella sua mente. 

Aveva aumentato il passo, fino a correre nel buio che copriva la scuola ogni notte. 

Correva, i polmoni sempre più contratti, il cuore che batteva forte, le gambe che cominciavano a tremare. 

La luce di un lampo illuminò i corridoi soltanto per un istante e, subito dopo, il boato del tuono la costrinse a coprirsi le orecchie: aveva bisogno di aria, voleva tornare a respirare. 

Nemmeno la paura della pioggia riusciva a trattenere quel bisogno che le stava scavando le viscere. 

Quando finalmente raggiunse l'esterno, si rese conto di essere a piedi nudi, senza niente con cui ripararsi, mentre la pioggia le bagnava i vestiti e il freddo le pungeva la pelle nuda. 

E alle gocce che cadevano dal cielo si mischiavano tutte le lacrime che aveva trattenuto. Era una notte senza luna, senza stelle e lei era sola, più sola che mai. 

Più sola di quanto si fosse sentita in quei giorni lontana da tutti, lontana da lui, quando aveva elaborato la fine della loro storia e quello che proprio non riusciva ad elaborare era il loro inizio, il come e il perché. Il quando tutto era cominciato. Si inginocchiò sull'erba zuppa, incurante delle ginocchia che sembravano essere punte da centinaia di aghi. 

Stare male l'aveva a portata a scoprire profondità del suo essere che le erano del tutto sconosciute e ad acquisire certezze che non avrebbe voluto conoscere: si erano amati forse dal primo istante, quando ancora si odiavano, dichiarandosi sempre e solo guerra e in quella sconfitta di entrambi non si erano nemmeno degnati di salutarsi. 

Sentì il suo pianto diventare più forte, la voglia di urlare per far arrivare il suo dolore oltre il Mondo Magico, con la speranza di allontanarlo quanto più possibile, ma quello non la lasciava, la teneva ancorata al suolo. 

Provò a mettersi in piedi, a rialzarsi, mentre la pioggia scendeva sempre più forte. 

Guardò la guglia della torre da cui era scappata, la scuola da cui voleva fuggire. 

Distante da tutti gli angoli in cui avevano riso insieme, in cui si erano baciati eppure si sentiva ancora troppo vicina, troppo, tanto da riuscire a sentire ancora il suo odore e il suo respiro addosso. 

Chiuse gli occhi, mentre tutto intorno a lei sembrava perdere consistenza e le gambe cominciavano a cedere sotto il peso di tutto quello aveva perso. Sentì una guancia poggiata su qualcosa di bagnato, un calore all'altezza delle spalle, un suono frenetico riempirle le orecchie: forse era davvero caduta con la faccia sull'erba, segno che tutta la forza che credeva di avere era stata solo un'impostura che aveva raccontato a se stessa per resistere. Provò ad allontanarsi, ad alzare la testa e, di nuovo, quel profumo la colpì forte. 

In un attimo di lucidità si rese conto di non essere più sola in quel buio immenso: le sue mani erano ancora su di lui, le mani di lui erano ancora su di lei. 

Si stavano toccando dopo giorni interi in cui non si erano nemmeno sfiorati. Non lo guardava da tempo e quando lo fece, sentì il suo sguardo penetrare perfino nelle ossa,sotto ogni strato di pelle. Gli lasciò a lungo gli occhi addosso per capire che quello che aveva di fronte non era un'illusione. -Ciao.- ed era la bugia più grande che gli avesse mai detto e tutte quelle verità che non voleva raccontarsi sembravano arrampicarsi in ogni parte di lei per essere rivelate. 

-Ci sto provando. 

-A fare cosa? 

-A starti lontano. 

Era lì. Draco era lì di fronte a lei e le parole di Ginny le riempirono la testa: se era vero che si avvertiva quando l'amore finiva, perché lei sentiva il cuore battere di nuovo, perché sentiva che essere lì era la cosa più giusta del mondo, perché averlo di fronte gli sembrava il regalo più bello? 

Poi, la rabbia e la delusione presero il sopravvento. -Mi pare che entrambi ci stiamo riuscendo abbastanza bene. Questo scontro è stato solo un caso. 

-Perchè? 

-Sto cercando di evitarti in tutti i modi, di non essere nei posti in cui ci sei anche tu, e stai facendo lo stesso, giusto? Perciò, non capisco dove sia il problema. 

-Tu sei dentro, sei con me in ogni cosa che faccio… E non averti intorno non vuol dire dimenticarti. 

-Smettila… 

-Io… Io non ce la faccio e tu stai bene anche senza di me e io non ce la faccio. 

Lei rise: davvero credeva che lei stesse bene? Che lei non sentisse la sua mancanza in ogni piccolo gesto? 





Quella risata, quel suono e quel sorriso che sembrava brillare anche nel buio più nero, ebbero l'abilità di ferirlo più di tutto ciò che fino a quel momento lo aveva ferito. 

Si trovavano lì, l'una di fronte all'altro, con gli stessi tempi di cuore e mentre lei rideva, Draco si chiese come facesse Hermione ad essere così forte. 

La pioggia non accennava a smettere e le camicie si erano incollate alla loro pelle, disegnandone ogni curva, ogni linea delle vene, ogni minimo dettaglio. 

Lei tremava, come l'ultima volta in biblioteca, come la prima volta che avevano fatto l'amore. 

E lui tremava dentro perché aveva capito che fino all'istante prima di incontrarla aveva vissuto per inerzia: era uscito dai sotterranei per sfogare la rabbia, per trovare un senso a tutto quel rumore che sentiva nel cervello. 

Aveva camminato piano, per paura di poter crollare da un momento all'altro e aveva immaginato lei crollare in uno di quei corridoi. 

Aveva sentito il suo cuore rimbombare sulle pareti, con il pensiero di lui che aveva provato a spogliare un'altra e di lei che aveva allontanato Dean. 

Il pensiero di lei che si nascondeva, che non si presentava alle lezioni, di lei che non era più sugli spalti durante le partite, di lei aveva lasciato vuoto il suo posto al tavolo di Pozioni. 

Di lei che lo accarezzava, che lo baciava, che gli faceva assaggiare la Nutella; di lei che lo lasciava, di lei che lo ringraziava per un pelo di Troll, di lei che gli dava ripetizioni, che sognava gli unicorni, di lei che arrossiva; di lei parlava senza sosta, di lei che rideva con lui, per lui. 

E i ricordi si dissolsero lentamente, lasciarono spazio alla realtà: lei era lì di fronte a lui. 

La vide muovere qualche passo per allontanarsi e gli sembrò di rivivere quella notte a casa di Blaise, mentre la vedeva rivestirsi per andare via, mentre riascoltava ogni singola parola e rivedeva ogni singolo gesto di quell'addio che lui non aveva voluto capire. 

Si avvicinò a lei, la strinse forte, mentre lei si muoveva in quell'abbraccio per allentare la presa, per lasciarlo di nuovo. -Fammi andare via. 

-Io non ti faccio da nessuna parte – disse, col mento appoggiato sui suoi capelli bagnati, le braccia sempre intorno a lei. -Ti voglio sempre qui con me. Sono stanco delle lezioni, della punizione in biblioteca, dei dormitori, del Quidditch, delle voci degli altri, delle uscite nei fine settimana a Hogsmeade e a Diagon Alley a cui non posso più partecipare. Sono stanco di tutto e di tutti, 'Miò. Tranne di te. 

-Cosa vorresti fare? 

-Vorrei vederti felice. 

Hermione riuscì allontanarsi da lui, incollando immediatamente gli occhi nei suoi e lui guardava mentre restava in silenzio, respirava a fatica e intanto intorno la pioggia cominciava a rallentare la sua corsa e le nuvole lasciavano spazio ad uno spicchio di luna. 

Capì che Lucius non aveva ragione quando affermava che doveva prendere tutto ciò che voleva, senza chiederlo, in qualsiasi modo: quelle parole gli sembravano così sbagliate, così lontane dalla realtà di quei minuti che stavano vivendo. 

Si accorse di essere cresciuto più in quei pochi mesi e non in tutti gli anni della sua vita, perché tutte le certezze che aveva avuto nel Manor si erano sgretolate di fronte a lei e lui non si sentiva più un bambino che non aveva bisogno di desiderare niente, perché era già lì. 

Non era più un Malfoy protetto dalla sua corazza di stoffa sottile, dalla sua maschera di cartapesta, dai suoi ideali di burro, dalle sue certezze di cera: in quel momento, Draco si sentì un uomo che era di fronte ad una donna e chiedeva solo di essere amato da lei.*

E capí che ogni modo possibile a lui conosciuto non sarebbe servito a riportare indietro lei e l'amore che gli aveva dato, né le notti e i giorni che avevano ancora da dedicarsi. 

S'innamorò ancora del suo viso che si illuminava lentamente di quella luce debole, fioca: non voleva leggere le parole che vedeva sospese nel suo sguardo, non voleva tradurre i suoi pugni chiusi, il respiro pesante. 

Era fermo, in attesa che lei gli dicesse che il tempo in cui erano stati lontani era stato inutile o che si accorgesse di quanto tutto di lui elemosinasse tutto di lei, nella speranza che gli confessasse quello che aveva confessato a Daphne, con la voglia di stringerla ancora, di sentire di nuovo il sapore della sua bocca. 

La guardò mentre fissava lo sguardo al suolo ed abbassava le difese in un secondo quasi fino ad abolirle. 

Draco fece un passo in avanti e lei ne fece due dietro: la distanza che c'era tra loro sembrava aumentare sempre di più e più il tempo passava più lui si sentiva come la notte di Capodanno. 

Hermione si avvicinò, tendendo la mano verso di lui per non essere toccata, provò a spostare i capelli dal viso, poi sospirò -Dammi un motivo, un solo motivo per restare qui. 

Lui restava in silenzio, le labbra serrate per impedirsi di piangere, di dirle che l'amava e che c'erano miliardi di motivi per cui lei dovesse restare lì e voleva farlo, ma non ci riusciva. 

-Non puoi giocare con me, Malfoy. 

-Non l'ho mai fatto. 

-Ho seri dubbi a riguardo. 

Le aveva preso le mani, stringendole nelle sue, aveva poggiato la fronte alla sua, una distanza quasi nulla dalle sue labbra. L'aveva sentita cedere e si era inginocchiato insieme a lei nell'erba, senza allontanarsi mai. 

Si sentì invincibile e sconfitto allo stesso tempo, un corpo vuoto, poi soffiò fuori dalla bocca un respiro a fatica, carico di consapevolezza, ferito, deluso. -Lo so.

Lei sciolse le mani e, senza dire una parola, si andò via. Uno, due, tre, quattro passi… Poi la sua immagine si perse nel buio e Draco sentì di averla persa dalla sua vita. 

La pioggia stava di nuovo cominciando a puntellare il lago, a bagnare l'erba e lui che era rimasto fermo lì. Strinse i pugni e cominciò a piangere. Per la terza volta, per lei. 

In quell'attimo, nel buio, da solo, si permise di essere di nuovo debole e in lui si fece spazio la consapevolezza che il coraggio che aveva avuto di fronte a lei, in sua assenza si stava sbriciolando. Si sentì schiacciato al suolo. 

Cominciò a camminare, con la testa bassa, le mani nelle tasche dove aveva ancora la collana che le aveva regalato a Natale. 

Superò le colonne, attraversò i corridoi.

Il buio che dentro di lui copriva ogni cosa, copriva tutto anche fuori: non c'erano angoli, alberi, orizzonti che riuscisse a distinguere. 

Sentiva le gocce di pioggia scendere dai capelli e toccare il pavimento, le lacrime scendere dagli occhi e posarsi agli angolo della bocca, in quel sorriso che sapeva solo di annientamento. Prima di scendere le scale che lo avrebbero portato al sotterraneo, si fermò a guardare il cielo che si colorava appena dei colori di un'alba pigra, che non aveva alcuna voglia di manifestarsi, né di lottare per sorgere. 

Poi guardo la parete spostarsi di lato, la Sala Comune vuota, il camino spento e si diresse al suo dormitorio. 

Portò le mani al viso, come a volersi nascondere anche da tutto ciò che era successo. Sentì l'odore dei capelli e della pelle di Hermione misto a quello della pioggia e del freddo e lo respirò fino all'ultima molecola di profumo: erano perfetti, si mescolavano insieme creando immagini dolci dei momenti in cui era stato bene con se stesso, con lei e con il mondo intero. E un ricordo bugiardo lo incatenò con le spalle al legno della porta. -Non la voglio nella mia vita. 

Quante bugie aveva raccontato a chi gli era accanto e quante altre ancora avrebbe dovuto raccontare a se stesso per dimenticarla. 




Angolo Autrice:

Eccoci qui, con la seconda e ultima parte del capitolo precedente. 

Avrete notato che questo è molto meno corposo rispetto agli altri e vi spiego il perché: ho semplicemente scelto di dare spazio soltanto a Draco e Hermione e dedicare loro una notte intera. 

*Questa frase meravigliosa è stata rubata da "Notting Hill", un bellissimo  film con Julia Robert e Hugh Grant. 

Bene. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi chiedo di commentare per farmi sapere cosa ne pensate. 

A presto, Exentia_dream2 





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Capitolo 14
*** San Valentino ***


San Valentino. 

Prima di aprire la lettera che gli era stata recapitata, si sedette sulla sua poltrona e sistemò gli occhiali a mezzaluna sul naso. 

Notò quanto fosse barbara la calligrafia con cui era stata scritta ogni parola e la associò direttamente ad un viso familiare verso cui provava un grande affetto. 

A volte, si chiedeva se davvero avesse fatto abbastanza per chiedergli scusa dopo averlo espulso dalla scuola o se, se fosse stato più attento, avrebbe potuto evitare l'ascesa al potere di Voldemort. 

Quel pensiero, però, arrivò veloce ed andò via allo stesso modo. 

Piegò accuratamente la lettera e la sistemò in uno dei cassetti della scrivania, poi si alzò con non poca fatica ed uscí fuori. 

Camminando verso la foresta, Silente pensò a quanto gli anni pesassero più sulle sue gambe che sul suo cuore: camminava piano poiché il terreno era scivoloso e, nonostante la pioggia sembrava aver dato loro qualche giorno di tregua, tutto intorno restava umido. 

Osservò il profilo della Foresta Proibita e le ombre che disegnava il recinto in cui qualche mese prima erano state piantate delle zucche giganti, il fumo di un fuoco acceso uscire dai piccoli comignoli sul tetto appuntito. 

Poi, bussò alla porta e attese. 

Dall'interno arrivavano un rumore di passi e il guarito di uno cane che Silente collegò a Thor, poi finalmente Hagrid aprì la porta e gli sorrise, stringendolo in un abbraccio buffo che sciolse subito dopo: era evidentemente imbarazzato e il vecchio Preside gli sorrise. 

-Silente, che piacere. Sono davvero contento che hai accettato il mio invito? Un po' di tè? Qualche biscotto?- disse scortandolo all'interno della capanna. 

-Oh, no, Rubeus, ti ringrazio: la mia curiosità mi impedisce di pensare ad altro che non sia la tua richiesta di incontrarmi. 

In realtà aveva rifiutato perché i biscotti di Hagrid avevano sempre un retrogusto di muffa stantia ed erano più duri della pietra, ma non aveva il coraggio di dirglielo per paura che si offendesse, così, ogni volta trovava il modo per dirgli di no. 

-Oh, bene, bene. Accomodati, ti prego… 

Per quanto fosse parecchio più alto e robusto di lui e nonostante ormai si conoscessero da molti anni, il mezzo gigante si sentiva sempre in soggezione in presenza di quell'uomo con la lunga barba bianca. 

Silente si accomodò sul piccolo divano di fronte alla poltrona su cui riposava il cane. 

-Questo cucciolone è diventato molto pigro: credo che la vecchiaia abbia colpito anche lui. 

-Allora, Hagrid, di cosa volevi parlarmi? 

-Certo, certo. Arrivo subito al sodo. C'è un calamaro gigante che avrebbe bisogno di cure e hanno chiesto a me di… di, insomma, di prenderlo per un po'. È davvero molto molto malato, Silente, ed è vero che è cresciuto in cattività e potrebbe attaccare chiunque da un momen… - l'uomo si portò le mani sulla bocca, come a ricacciare dentro quello che aveva appena detto. -Forse… questo i-io non dovevo dirlo. No, proprio no. 

Il silenzio che si impadronì dell'ambiente era interrotto soltanto dal respiro pesante di Thor e dallo struscio dei piedi dell'uomo che aveva di fronte che, in segno di insicurezza e disagio, aveva chinato la testa e portato le mani dietro la schiena. 

Silente, intanto, aveva ridotto gli occhi a due fessure: portare quell'animale e permettergli di abitare i fondali del Lago Nero avrebbe voluto dire esporre ad un possibile pericolo gli alunni di Hogwarts, eppure quello che immaginò ne sarebbe seguito non lo disturbò affatto. 

-Va bene.- disse con tono dolce. -Dovremmo semplicemente adottare delle misure di sicurezza per i professori e gli studenti. Quando pensi di portarlo qui? 

-La prossima settimana. Grazie, davvero. Lo terrò qui solo il tempo necessario per portare a termine le cure. 

-Potrai tenerlo qui tutto il tempo che vorrai, Hagrid. Ora perdonami, devo imbellettarmi per la festa di questa sera… 

-Certo, certo. Ci vediamo in Sala Grande. Grazie, grazie ancora.

-Sta' comodo, amico mio. Conosco la strada. 

Uscí dalla capanna, perdendo lo sguardo sull'immensa brughiera che faceva da sfondo alla sua vita da lunghissimi inverni: il cielo si era di nuovo annuvolato facendo sembrare il panorama un enorme quadro impolverato. 

Poi, a passo lento, si incamminò verso la scuola per prepararsi all'arrivo di quel nuovo animale: era proprio vero che la vita non finiva mai stupirlo così come era vero che l'amore trovava sempre un modo per spianarsi la strada. Si immaginò al leggìo per dare quella notizia ai suoi studenti: sarebbe stato davvero divertente vedere le loro espressioni. 




Non si parlava d'altro se non della festa di San Valentino che avrebbe avuto luogo quella sera: Ginny era euforica ed aveva trascinato Hermione a Diagon Alley per comprare un vestito adatto al tema che era stato scelto. 

Era un mercoledì molto particolare, poiché tutti i professori avevano sospeso le lezioni per permettere agli studenti di andare in giro a fare i propri acquisti. 

-Credo che comprerò anche una cravatta a Harry. Oh, sono così eccitata.- disse battendo allegramente le mani. -Dovresti venire anche tu, non ti farebbe male. 

-No, grazie. L'ultima festa a cui ho partecipato mi ha fatto stare davvero molto male. 

-Lo so, ma questa volta sarà diverso. 

-No, non lo sarà, Ginny. Per niente. 

La vide sbuffare, ma Hermione non avrebbe cambiato idea: sarebbe rimasta nel suo dormitorio ad evitare di guardare gli altri mentre si baciavano e si amavano. 

-Più tardi ti va di andare ai Tre Manici di Scopa o magari da Mielandia? 

Entrarono all'interno della boutique di Madama Malkin che le salutò con affetto e dopo aver provato almeno una decina di abiti, Ginny scelse quello a tre quarti, con le maniche lunghe a cui era cucito una sorta di soprabito nero di pizzo trasparente ed acquistò una cravatta rossa per Harry. -Così saremo in perfetta sintonia. 

Una volta uscite dalla boutique, Hermione e Ginny si recarono da Mielandia e ai Tre Manici di Scopa ed entrambe ordinarono una Burrobirra. Il locale così vuoto era quasi triste e dopo aver bevuto un po', Hermione sentì addosso gli occhi dell'amica. -Come stai? 

-Mi sembra di camminare in un cerchio: ogni volta che mi sembra di stare meglio torno al punto di partenza. 

-Sì può dire che sei nella fase di accettazione, allora. 

-Sono molto lontana, in realtà. Piuttosto che chiedermi perché sia finita, mi chiedo perché sia iniziata. Quando mi sento molto stanca, penso semplicemente che doveva andare così e puntualmente succede che lo incontro, sempre per caso, sempre quando sono più debole. 

-C'è sempre un modo per uscirne, Herm… 

-Sì, ma io non riesco a trovarlo. 

Poi tornarono a Hogwarts e si stessero entrambe sul letto, in silenzio. 

Quando Ginny cominciò a prepararsi, Hermione sentì il bisogno di rilassare i muscoli e si diresse piano verso il Bagno dei Prefetti: era uno di quei posti in cui riusciva a dare voce al suo cuore e alle mente senza interferenze. 

Si chiuse la porta alle spalle, aprì qualche rubinetto e l'aria intorno si riempì di profumi: guardava l'acqua riempire la vasca e si domandò se il vuoto che sentiva dentro prima o poi si sarebbe riempito. 

Poi, si immerse e chiuse gli occhi. 

Sentiva i capelli solleticare la schiena: erano cresciuti tanto, non li tagliava dalla fine della guerra perché riusciva a gestirli meglio e le sembrava che quella lunghezza li rendesse anche meno crespi. Poi, chiuse gli occhi. 

Il silenzio intorno a lei non era mai stato più chiassoso: sentiva i pensieri vorticare senza mai fermarsi, le immagini che si sovrapponevano tra loro e la consapevolezza che non avrebbero mai potuto proteggere l'uno dall'altra restava ferma al centro di quella matassa come l'insegna dei teatri e dei cinema nella Londra babbana. 

Avrebbe voluto tornare indietro nel tempo, a quando la magia esisteva soltanto nei cartoni animati: così, per lei, non sarebbero esistiti Hogwarts, Harry e Ron, la Pietra Filosofale, La Camera dei Segreti e il Basilisco, l'Ordine della Fenice, il C.R.E.P.A, i Doni della Morte, Voldemort e la Guerra Magica. Così non sarebbe esistito Draco Malfoy. 





-Questa sera voglio far parte del mondo babbano.- le sorrise. 

-Avresti dovuto dirmelo prima, Blaise. Nel mondo babbano, se vuoi cenare al ristorante in queste occasioni, bisogna prenotare per tempo. 

-Potremmo provarci. 

-Impossibile: è troppo tardi. Però, se vuoi, potrei cucinare per te. 

-Mmmh, potresti, sì. 

-E magari potremmo andare insieme a fare la spesa e poi… dormire insieme. 

-Il programma di questa sera è davvero interessante. 

Così, Aria decise che, per quel giorno, la sua sala da tè poteva restare chiusa, prese la mano di Blaise e si incamminarono per Mount Street. 

Quando si trovarono di fronte al Sainsbury's Local, il ragazzo sollevò le sopracciglia. -Cos'è questo? 

-Un luogo in cui si fa la spesa. Sai, non è tutto come a Hogwarts: i babbani, prima di mangiare, devono comprare il cibo e cucinarlo. 

-Oh, sì, beh, ovviamente questo lo sapevo. 

-Ah, davvero? 

-Sì può o meno. Più meno che più, eh, per essere precisi… No, va bene, non ne sapevo assolutamente niente. 

Riempirono il carrello con qualsiasi prodotto commestibile e non solo: lei gli suggerì di prendere del latte, dei cereali, dei succhi di frutta per la colazione, delle tovaglie colorate, degli asciugamani e un accappatoio di spugna, dei detersivi per ogni tipo di superficie e lui sembrava aver dimenticato di essere un mago che avrebbe potuto sistemare ogni cosa con un colpo di bacchetta. 

Quello che più amava di lei, era il suono della sua risata limpida, dolce. 

Si allontanò mentre lei annodava intorno alla vita un grembiule su cui erano disegnati dei cuori e cominciava a lavare e tagliare le verdure. La guardava dal divano e sentì crescere in lui la voglia di rendere quei semplici gesti, la sua presenza una routine quotidiana: tornare dal lavoro, trovarla lì, darle un bacio e chiederle come aveva trascorso la giornata; vedere con lei la televisione, farle scegliere i colori delle tende, aggiungere alle pareti le loro foto; trovare nell'armadio i suoi vestiti e in bagno tutti quegli accessori strani che usava per i capelli. 

Si avvicinò e la abbracciò da dietro, mentre lei mescolava qualcosa in una ciotola. -Dovresti smetterla, sai… Sto provando a cucinare. 

-Penso che la cena possa aspettare.- e la sistemò sull'isola che separava la cucina dal salone, le sciolse il grembiule e le alzò la gonna. -Lo sai vero che faremo l'amore in ogni centimetro di questa casa: sul pavimento, sul divano, sul tavolo… 

-È una domanda?

-No.- sentì le mani di Aria giocare con la zip dei pantaloni, i sensi che si annebbiavano man mano che lei lo toccava. 





La Sala Grande era addobbata con delle bolle di sapone luminose ed indistruttibili a forma di cuore che pendevano dal soffitto stellato. I lunghi tavoli pieni di cibo e bevande erano disposti lungo le pareti da cui scendevano eleganti dei drappi rossi legati al centro da un cordoncino glitterato.

Harry guardava tutto con meraviglia, paragonando quelle alle decorazioni di Gilderoy Allock durante il San Valentino che aveva trascorso a Hogwarts. 

Quando le mani di Ginny gli coprirono gli occhi, sorrise e decise di stare al gioco. 

-Allora, chi sono? 

Sentiva il profumo dolce della sua pelle. -Forse la ragazza più bella del mondo.

-Di quale mondo? 

-Di tutti quelli che conosciamo.- poi si girò verso di lei e la guardò. 

Ogni volta che si trovava di fronte a lei, si chiedeva come avesse fatto a pensare di poter andare avanti e vivere senza quel sorriso, senza quella voce e la risposta che gli giungeva alla mente conteneva spesso le parole stupido e idiota. 

La guerra li aveva cambiati profondamente e, forse, in meglio e, soprattutto aveva dato a Harry la possibilità di capire che ogni attimo perso non poteva essere recuperato. 

Proprio per questo, però, provava a starle lontano quanto meno tempo possibile. 

-Entriamo? 

-Soltanto se mi prometti che dopo potrò toglierti questo vestito. 

-Dovrai: vestito, calze, mutande.- e lo guardò con aria maliziosa. 

-Ginevra Weasley non tentarmi: potrei portarti adesso in camera e non credo tu voglia perderti tutto questo.- disse indicando la sala. 

-Assolutamente no: adesso mi offrirai il tuo braccio, qualcosa da bere e poi mi invierai a ballare. E, comunque, questa cravatta ti sta proprio bene. 

-Grazie, anche tu sei molto bella. 

-Ma io non ho detto che tu sei bello, ho detto che la cravatta lo è. 

Quando lei si avvicinò al suo viso, Harry avvertì una morsa allo stomaco. -È il primo San Valentino che festeggiamo insieme, come si deve, da quando tutto è finito. 

-E sarà perfetto, esattamente come lo sono stati tutti gli altri. 

-Non sei brava a raccontare bugie. 

-Non sono bugie, Harry: sono stati diversi da questo, ma sono stati bellissimi. E adesso, su, fai il gentiluomo e trattami come una dama merita di essere trattata. 

La sua allegria, la sua spontaneità, la sua forza, la sua capacità di non farlo cadere nel baratro dei momenti brutti che aveva vissuto… a parte il corpo, gli occhi, la bocca, era tutto questo che amava di lei. 

Sì, non c'era alcun dubbio e non c'era mai stato: Ginny era la donna della sua vita. 

Così, come lei aveva chiesto, le offrì il braccio e la scortò all'interno della Sala Grande. 

Nonostante il fatto che intorno a loro ci fossero tante altre coppie, ogni volta che Harry la guardava negli occhi, il resto spariva ed era una sensazione che aveva provato già dal primo giorno: conosceva quel bisogno quasi fisico di isolarsi dagli altri, come a voler immaginare in un mondo senza minacce né dolori, e stare ore ed ore a guardarla. 

La invitò quasi subito a ballare e si perse con lei in quella musica dolce, appoggiando la guancia alla sua e baciandole i capelli. 

Si sentiva l'uomo più fortunato del pianeta accanto a lei. -Ginny… 

-Mh. 

-Ti amo. 

-Ti amo anche io, Harry. Ti amo dal primo giorno. 

-Deve essere stato difficile… 

-Sì, molto, ma ne è valsa la pena. 





Theodore e Daphne avevano preferito sedersi su una delle immense panche e guardare gli altri ballare. 

-Sei bellissima, stasera. 

-Solo stasera? 

-No, sempre… 

Daphne aveva indossato un abito aderente con le maniche lunghe e le spalline a sbuffo ed era stato proprio lui a sceglierlo: erano andati a Diagon Alley, come la maggior parte degli studenti e poi si erano fermati al Salone del gelato di Florean Fortescue: avevano ordinato due coppe extra di gelato al cioccolato e doppia panna con cui Daphne si era sporcata la bocca e la punta del naso e lui l'aveva prontamente pulita con i baci. 

-Theo. 

-Sì? 

-Ti rendi conto del fatto che siamo insieme? 

-A dire la verità non sempre: a volte fatico a crederci. 

-Sono contenta di come sono andate le cose, alla fine… Anche se devo ammettere che mi hai fatto stare davvero male. 

-Mi dispiace… 

-Non devi: l'importante è che adesso sei qui.- si alzò e gli tese la mano. -Balliamo? 

-Va bene.

Dopo essere arrivati al centro della sala, Theo le appoggiò le mani sulla schiena e lei legò le sue al collo: continuavano a guardarsi negli occhi, forse per paura di vedere svanire l'altro, forse perché quello era il loro modo di promettersi il per sempre. 

-Sai, a volte, mi capita di togliere l'anello e lasciarlo in dormitorio e mi sento così nuda senza, come se questo cerchietto d'oro valesse più ogni altra cosa che indosso.

-Per me è così, perché è il segno che io e te siamo legati da qualcosa. 

-Qualcosa di grande?

-Qualcosa di enorme, di immenso…

Lei si sollevò sulle punte per dargli un bacio leggero. -Credo che mi sentirei persa senza di te, perché tu sei l'unica certezza della mia vita. 

-E tu della mia. 





Sentiva il calore e la tensione concentrarsi nel basso ventre, mentre Lisa era sotto di lui e gli chiedeva di non fermarsi. -Oh, sì… Sì.

I suoi gemiti riempivano la stanza, gli facevano accelerare i battiti del cuore e rompevano ogni dubbio che, a volte, gli si affacciavano alla mente: Ron, nelle sue notti insonni, si chiedeva se innamorarsi di Lisa fosse stato un processo naturale o spinto dalla sua voglia di non rimanere da solo e il buio non gli dava possibilità di trovare una risposta. 

Ogni volta, però, che affonda a in lei, che riversava in lei il suo piacere, ogni volta che la baciava che le accarezzava le gambe diceva a se stesso che Lisa era stata per lui un'ancora di salvezza, un faro nel mare. La vera magia della sua vita. 

La sentiva sempre più forte, sempre più vicina e si lasciò andare anche lui, invertendo le posizioni e portandola sul suo petto: l'abbraccio forte, mentre lei gli respirava sul cuore. 

Poi si mosse, per sistemarsi su un fianco e immediatamente strinse il polso di Lisa per trattenerla sul letto. 

-Non farmi cadere, Ron.- parlava a fatica, con la voce spezzata dalle risate. 

Quando riuscì a tirarla su, si ritrovarono entrambi con le guance arrossate e gli occhi lucidi: ciò che più tutto lo caratterizzava era l'imbranataggine che si manifestava nei momenti meno opportuni e che divertiva lui per primo. 

Ad un certo punto, però, ripensò a quello che Lisa aveva detto poco prima e si fece strada in lui la voglia di dirle che quello che stavano vivendo non era uno scherzo, perciò puntò gli occhi nei suoi e si fece serio. -Non ho alcuna intenzione di farlo: se cadi tu cado anche io. 

-Lo so.- la vide alzarsi dal letto, legare i capelli ed indossare un abito con la gonna a campana che le lasciava le spalle scoperte. 

Quando lei si avvicinò per sistemarli il papillon, Ron ricominciò a baciarla. -Sei stanca? 

-Un po', ma non vedo l'ora di ballare di nuovo con te e vedere che, tra tante, tu guardi solo me. 

-Non potrei fare diversamente. 

-Lo spero per te. 

Sorrise e la baciò di nuovo. -Andiamo, dai. 





Non riusciva a capire perché la speranza di poterla incontrare lo avesse convinto ad uscire dal suo dormitorio e mischiarsi agli altri: lei non c'era e non poteva essere altrimenti. 

Uscì dalla Sala Grande reggendo un bicchiere di whiskey incendiario, si appoggiò con la schiena al parapetto, allontanò la maschera dal viso e guardò il luogo da cui era appena andato via: i ragazzi indossavano una cravatta o un papillon rossi abbinati agli abiti delle loro donne ed erano tutti mascherati e lei non c'era. 

L'avrebbe riconosciuta tra miliardi di persone, anche solo dal colore dei capelli o dal loro profumo che sembrava poggiarsi su ogni cosa. 

Portò il bicchiere alle labbra e bevve un sorso. Sentì immediatamente la gola bruciare e un enorme calore esplodergli nel petto. Non ricordava se fosse una conseguenza dell'alcol, ma gli si annebbiò la vista e la sensazione di essere troppo perduto per essere salvato si fece strada nei suoi pensieri. 

Atteggiò la bocca in un sorriso triste: ma poi chi lo aveva detto che voleva essere salvato? 

Nonostante tutto, si sentiva più vivo in quello stato di oblio in cui l'assenza di Hermione lo stava facendo vivere che in tutti gli anni in cui l'aveva derisa e umiliata. 

L'immagine di lei che soffriva, che lo allontana si era attaccata al cuore e si rese conto che la paura che aveva provato all'idea di perderla non era niente rispetto a quello che provava quando di rendeva conto di averla persa davvero e, quello che faceva più male, era la consapevolezza che stare lontani fosse la cosa migliore per entrambi: si erano promessi di non farsi male a vicenda e invece non facevano altro che ferirsi. 

Era la cosa migliore, forse, ma non quella giusta. Non per loro. 

Aveva creduto di poter essere forte, capace di vivere e superare quella sofferenza, invece, ogni sera, si trovava piegato in due dal peso della sua mancanza. Il risultato di una vita come la sua era palpabile nella sua incapacità di gestire il dolore, di andare avanti, di risalire il fondo. 

Si sentì disgustato al pensiero di paragonarsi a Weasley, ma gli sembrava di riuscire a capire come si fosse sentito quando li aveva visti insieme: uno schifo. E Draco si era sentito allo stesso modo quando l'aveva vista sorridere di nuovo con lui e non si capacitava del fatto che  più la perdeva più la voleva con sé. 

Tornò a guardare all'interno della sala, i sorrisi di chi ballava, i baci di chi si amava. 

Ginevra e Harry Potter, Daphne e Theo e capí che in amore non vinceva chi fuggiva, ma chi restava e loro due si erano allontanati troppo per poter tornare indietro e ricominciare. 

Si girò a guardare il giardino e sentì qualcuno avvicinarsi a lui. 

-Draco.- Luna Lovegood aveva sporto le mani oltre il parapetto, portando una davanti al suo viso. -Credo che questa sia tua. 

Il ciondolo che aveva regalato a Hermione era davanti ai suoi occhi. Lo prese e lo ripose nella tasca interna della giacca. -Grazie. 

-Dovresti stare più attento alle cose a cui tieni, Draco… É così facile perderle, a volte. 




Angolo Autrice:

Eccoci qui, l'ennesimo capitolo. 

Non è tra i miei preferiti e nemmeno il più bello, a dirla tutta, però ci serve: abbiamo iniziato con questi personaggi il mese di Febbraio e non potevo non raccontare il loro San Valentino. 

Abbiamo parlato un po' di tutti: Harry e Ginny, Ron e Lisa, Blaise e Aria, Theo e Daphne… Ah, l'amore… 

È anche vero che i nostri preferiti non hanno trascorso la loro migliore festa degli innamorati, ma suvvia, non disperate… Tutto è possibile. 

Bene, spero che il capitolo vi sia piaciuto e mi piacerebbe leggere le vostre recensioni. 

A presto, Exentia_dream2 



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Capitolo 15
*** Il giorno dopo.. ***


Il giorno dopo… 

Dopo essere uscita dal bagno dei Prefetti si era diretta nel dormitorio. Si dava della stupida ogni volta che ripensava alla reazione che aveva avuto quando aveva sentito quel rumore: aveva sperato che fosse lui che, dopo averla cercata ovunque, poi l'aveva trovata lì e, invece, era soltanto il rumore della sua bacchetta caduta dalla panca. 

Aveva passato tutta la sera a pensare a lui, aprendo il baule e leggendo ogni biglietto che si erano mandati. 

-Mi piacerebbe portarti in un posto in cui non sei mai stata. 

-A me piacerebbe portarti a casa mia, nei cinema, nei centri commerciali, sul Tamigi… E poi vorrei guardarti mentre guardi il mare. 

-Il mare? 

-Sì, non è soltanto acqua, sai? Il mare ha una regola: ti porta lontano, anche se sei semplicemente seduto sulla sabbia, ti senti muovere dentro anche se sei fermo e puoi permetterti di non pensare a niente perché il suono delle onde supera sempre quello dei tuoi pensieri. È bellissimo. 

-Va bene, andremo al mare. 

-Magari quest'estate. O quest'inverno. 

-Quando vuoi. Granger, però tu adesso devi ascoltami, senza interrompere…

-Perchè? 

-Perchè non so se riuscirò a dirti tutto quello che penso in un altro momento e raramente mi troverai romantico, però io non voglio perderti. Credo che se un giorno dovessimo lasciarci, io non vorrò nessun'altra che non sai tu. 

-Lo dici solo perché stiamo ancora insieme. 

-Lo dico perché ne sono sicuro: quello che provo con te… non mi è mai successo prima, forse perché tu mi stai cambiando, davvero e non pensavo potesse succedere… Quando ho capito quello che provavo per te, credimi, io non ti stavo cercando. Non stavo cercando niente, in realtà, e sono stato male, perché tu eri l'unica voglia che non avrei voluto, però adesso non riesco a immaginarmi senza di te, a tornare quello di prima… e se penso a tutto il tempo che abbiamo perso ad insultarci, invece che passarlo così… 

Si erano seduti vicini ad uno dei tavoli della Sala Grande, leggermente in disparte dagli altri e lei gli aveva sorriso. -Forse non sarebbe stato lo stesso. 

-Forse no, però io mi ero rassegnato a questa vita e tu hai sconvolto tutto, un po' come il sole che torna dopo giorni interi di pioggia. A volte mi sembra davvero di dipendere da te: se sei felice lo sono anche io, e se sei nervosa comincio ad esserlo anche io, e non so se sia una cosa giusta… 

-Molto romantico, Malfoy. 

-Romantico e vero, direi. Spero che ricorderai queste parole, Granger, perché non è da me essere così e dire queste cose come se niente fosse. È difficile per me, davvero, però a volte mi sento come se non riuscissi a trattenermi. 

-Non farlo. Io so che sei molto più di questo. Non mi interessano molto le belle parole se restano solo parole, però tu, ogni volta che ho paura, mi dimostri che anche da parte tua c'è la volontà di stare insieme: sto con te anche per questo.

E poi aveva stretto le mani nelle sue: era un'emozione così forte che lei stessa non riusciva a spiegare, ma era perfetta così. 



Poi, aveva guardato il sole sorgere, si era vestita ed era andata in biblioteca a studiare e, dopo ora di pranzo, aveva aspettato Ginny fuori all'aula di Trasfigurazione: si erano messe d'accordo dopo che l'amica era rientrata nel dormitorio. Si era appoggiata alla parete con lo sguardo basso e, dopo che aveva visto uscire, l'aveva salutata con un bacio sulla guancia e Ginny aveva cominciato a raccontarle della sera precedente. -È stata davvero una bella festa. Mi è dispiaciuto che tu non sia venuta… 

-Ne abbiamo già parlato. 

-Lo so. Va bene, la smetto. 

-Forse è meglio.- si chiese come si sarebbe sentita se fosse andata in Sala Grande e rendersi conto di essere sola, di non avere nessuno al suo fianco per sua scelta: lo aveva avuto davanti, sarebbe bastato un solo piccolo passo per tornare ad essere quello che erano stati, quello che lui voleva fossero ancora. E, invece, lei non faceva altro che mandarlo via, faceva di tutto per non averlo vicino, nella sua vita, su ogni centimetro di pelle. 

Ogni suo gesto, ogni sua emozione urlava il desiderio di tornare con lui, a sorridere di quel suo sorriso che regalava solo a lei negli angoli della scuola, ma lei provava a diventare sorda, a non sentire quelle urla. 

In quel momento, Hermione avrebbe preferito essere ovunque, ma non lì: alle sue orecchie giungevano nitidi i racconti della sera precedente, tutti i particolari, anche quelli più inutili, più stupidi. 

Sentiva gli altri promettere amore eterno, giurare a chi avevano di fronte che fosse l'amore della loro vita. Sorrise: anche lei aveva creduto che Ron fosse quello giusto per lei, l'unico in assoluto che avrebbe potuto renderla felice e, quando poco dopo si erano lasciati, aveva creduto che non avrebbe amato mai più allo stesso modo, che chiunque fosse venuto dopo non sarebbe stato uguale a Ron, non avrebbe avuto la stessa importanza, non l'avrebbe fatta soffrire allo stesso modo. 

Aveva dovuto ricredersi però quando nella sua vita era entrato Draco, in maniera del tutto inaspettata, e lei aveva prima combattuto e aveva fatto di tutto per non ammettere quello che provava; l'aveva allontanato per poi tornare da lui ogni volta, gli diceva di non baciarla e poi non chiedeva altro. Si era data totalmente a quell'amore durato qualche mese, troppo poco, eppure così bello da vivere, così difficile da dimenticare: lo aveva amato molto di più di quanto avesse mai fatto con Ron, aveva riso e pianto molto di più e stava soffrendo molto di più, tanto che, a volte, il dolore che aveva provato in precedenza era per lei una carezza. 

Quando vide Daphne appoggiata al corrimano che portava alle scale della torre di Grifondoro, sentì un sensazione di calore lieve salirle al petto: si chiedeva come fosse possibile che due persone così diverse, che non avevano mai scambiato più di due parole si fossero ritrovate unite nel dolore passato e presente che obbligava l'amore. 

La salutò e l'altra decise di abbracciarla. -Come stai? 

-Me la sto cavando. 

-Sei già stata in biblioteca? 

-Sì… 

-Allora, io vado. Volevo solo accertarmi che fossi ancora in piedi. 

-Sì, grazie.- si salutarono con un sorriso. 

Hermione vide Ginny abbassare lo sguardo, il viso leggermente arrossato, poi entrambe superarono il ritratto della Signora Grassa. 

-Io vado.- e si era allontanata, fermandosi, poi, sul primo scalino. -Se non uno, l'altra? 

-Cosa? 

-Ti piace così tanto strisciare nel sottobosco? 

-Non hai bisogno di usare metafore con me, lo sai, Ginny. 

-Va bene, allora te lo dirò chiaramente: Greengrass? Daphne Greengrass? 

-Mi è stata vicino in un momento difficile. Se non ci fosse stata lei, quel giorno… 

-Ci sarei stata io. Ci sono sempre stata per te. 

-Ma tu non c'eri. Non c'eri mentre io crollavo a pochi passi dalla biblioteca, Ginny, e non te ne faccio una colpa. Lo so che ci sei sempre stata per me, ma quel giorno non c'eri. 

-I-io… scusami. È che sono gelosa e tu sei così distante, ultimamente. A volte, credimi, ho davvero paura di perderti. 

-Non succederà: tu sarai sempre la mia migliore amica e nessuno prenderà il tuo posto. 

-Cos'è successo? 

-Vieni qui, siediti. - la vide mentre prendeva posto accanto a lei sul divano della Sala Comune. Tirò un respiro profondo. -Sono notti che non vado più nella Stanza delle Necessità, credevo di aver raggiunto una sorta di equilibrio. Un giorno ero al Lago Nero e Daphne si è avvicinata, ha cominciato a parlare di Theodore e poi mi ha detto che non era successo niente di quello che io credevo fosse successo, che lui non era andato a letto con Pansy, che l'aveva mandata via… Poi, all'inizio di febbraio, ci siamo incontrate nel corridoio della biblioteca… lei fa sempre discorsi strani, ma ha detto una cosa che, non lo so, mi ha fatto vedere tutto da un'altro punto di vista: mi sono sempre colpevolizzata per quello che provo per lui, ma Daphne ha detto che non siamo noi a scegliere di chi innamorarci.

-Questo lo sappiamo tutti.

-Sì, è vero. Ma in quel momento ho capito che, nonostante tutto, se avessi potuto scegliere, avrei scelto comunque lui. E questa consapevolezza mi è crollata addosso come un macigno: mi sono sentita schiacciata e mi mancava l'aria, non riuscivo a parlare… ero paralizzata… - e più raccontava più sentiva quella sensazione fare ritorno dentro di lei. 

I polmoni cominciavano ad accartocciarsi, le mani a tremare, la voce ad uscire strozzata. 

Capì che Ginny l'aveva stretta a sé, le braccia ad avvolgerla e cullarla, le mani ad accarezzarle i capelli. -Calmati, Herm, ti prego. 

Non ce la faceva, non riusciva ad andare oltre, mentre si sentiva di nuovo fuori al freddo, bagnata dalla pioggia, il respiro di Draco sulla faccia, i suoi capelli sulle guance, le dita intrecciate, l'erba sotto i piedi e sotto le ginocchia; le sue parole a fare eco nella testa, la luna che aveva bucato le nuvole, le sue promesse, il suo silenzio. 

Si aggrappò alle spalle di Ginny: stava sprofondando, non era capace di risalire a galla, di vedere di nuovo la luce. 

-Respira. Piano, lentamente.- e cominciò a fare respiri più profondi, a provare a trattenere quel po' di lucidità di cui era ancora padrona. 

Tutto ciò che aveva intorno stava riprendendo la propria forma, la propria consistenza, mentre lei andava man mano perdendo la considerazione di sé. -Quando finirà tutto questo?- riuscì a dire dopo interminabili minuti in cui aveva provato il turbamento di essere veramente muta e cieca. 

-Non puoi andare avanti così, Herm. Devi reagire e devi farlo in fretta. Tu non puoi farti abbattere da questa cosa.- Ginny si era alzata dal divano e dal tono di voce era evidente la sua rabbia e la sua frustrazione. 

-Non so cosa fare… 

-Devi smetterla. Devi smetterla di piangere e di stare ferma: Malfoy ti ha resa felice? Bene, alza il culo e va da lui. Credi che stare senza di lui possa farti stare meglio? D'accordo, ma alza comunque  il culo e ricomincia a vivere. Non serve che ti isoli dal mondo, che fai di tutto per evitarlo se non fai altro che pensare a lui. 

-Io non…

-Tu non, cosa? Non sei la prima ad aver chiuso una storia, non sei l'unica ad aver perso quello che credeva l'amore della vita: devi reagire e devi farlo adesso, altrimenti arriverai davvero al punto di non ritorno ed io non ci sto a guardarti mentre vai giù a picco. E nemmeno Harry, nemmeno Ron o i tuoi genitori. Nemmeno Draco vorrebbe vederti così. Basta, davvero: sei reduce di una guerra che ha distrutto tutti, ne sei uscita a testa alta e adesso… ma ti guardi allo specchio? Sembri lo spettro della persona che tutti noi abbiamo conosciuto. Io non ho più voglia di compatirti e, sai, penso che Harry abbia avuto ragione a dire che non sai cosa vuoi davvero. Ti piace questa situazione, ti piace stare così? 

-No. 

-Allora svegliati, reagisci. 

A quelle parole, Hermione sussultò: si sentí incredibilmente stanca, sconvolta, perciò si alzò dal divano per nascondersi sotto le coperte del suo letto, mentre Ginny ancora affannava davanti al camino e alla Sala Comune vuota. 






Quello che più pesava sul suo cuore era la consapevolezza di non averla mai avuta o di averla persa a causa della sua vigliaccheria. 

Ricordava ogni minima sfumatura dei suoi occhi, ogni minimo dettaglio del suo sorriso ed ogni minimo particolare dell'immenso dolore che aveva provato quando l'aveva vista stesa sul pavimento, senza vita: in quel momento, avrebbe preferito non avere un cuore, essere morto al suo posto, aver avuto il coraggio di difenderla. 

Invece la teneva stretta tra le braccia, incapace di fermare le lacrime e il pianto del figlio della donna che aveva amato sembrava non esistere: c'era Lily che non respirava più, che aveva gli occhi aperti ma non li muoveva. 

C'era Lily che era andata via e che aveva portato con sé un velo della sua anima vile e debole; Lily che non avrebbe più fatto sbocciare nessun fiore dal palmo della sua mano, che non avrebbe più passeggiato con lui nei corridoi, che non si sarebbe più seduta al suo fianco, che non lo avrebbe più difeso. C'era Lily che non c'era più. 

E lui aveva passato giorni, settimane e mesi interi a maledirsi, ad odiarsi, a cercare la maniera più dolorosa di morire e, in quei momenti, Albus Silente gli raccontava la storia di un bambino dagli occhi verdi come sua madre che avrebbe presto scoperto di essere un mago. Solo quel pensiero, solo il desiderio di proteggere il figlio di Lily come non era riuscito a fare con lei, solo la speranza di rivedere quegli occhi verdi, riuscivano a tenerlo in vita. 

Infatti, quando vide Harry per la prima volta, fu come morire e rinascere subito dopo, nonostante fosse uguale a suo padre. 

Severus scosse il capo e guardò i lunghi tavoli disposti ordinatamente all'interno dell'aula di Pozioni: nella sua solitudine, quando nessuno poteva vederlo, si permetteva di rivivere il giorno più brutto di tutta la sua vita. Aveva fatto di tutto per provare a salvarla, aveva provato a lottare contro il male ed aveva fallito, aveva perso. Ogni cosa. 

Si chiedeva spesso come sarebbe stato se lei lo avesse amato, se lui fosse stato diverso dal ragazzino che era, se avesse avuto il coraggio di aprirsi a lei per dirle quanto fosse grande il suo amore e si vedeva in un mondo in cui, probabilmente, avrebbe riso spesso, in cui la felicità non gli sarebbe sembrata soltanto una parola inventata dall'uomo ma una reale condizione. 

Asciugò le lacrime, tornò ad essere l'uomo che tutti avevano imparato a conoscere. 

Chiuse gli occhi, si lasciò andare per l'ultima volta al suono della voce di Lily. Sorrise leggermente, succedeva ogni volta  che pensava a lei: spesso, sempre. 







Era seduto sul parapetto a cui si era poggiato la sera prima, le gambe a penzolare urtando il muro di pietra. Guardava dritto di fronte a sé, senza vedere realmente nessuno: alcuni studenti avevano alzato la mano per salutarlo, altri gli passavano davanti e si fermavano a guardarlo, ma lui era altrove. 

Pensava al fatto che al mondo capitavano cose peggiori, ma non a lui che aveva sempre preso quello che voleva ed ora tra le mani teneva a stento qualche granello di polvere che fermava la propria corsa sui suoi palmi. 

Draco riusciva a sentirsi solo anche tra centinaia di persone e, nei giorni in cui riusciva a sentire i loro sguardi addosso, avrebbe preferito che non fossero di compassione, ma di paura, come ai tempi in cui faceva parte della squadra di Inquisizione della Umbridge o quando aveva cominciato la sua missione per il Signore Oscuro. 

Più tempo passava, più in lui maturava l'idea di abbandonare la scuola, di allontanarsi quanto più possibile da Hermione; di ritrovare i cocci di se stesso tra le macerie che aveva intorno e cominciare a ricostruire il suo futuro, quello in cui lei non ci sarebbe stata. 

E la voglia di andare via gli diede la forza di mettersi in piedi, percorrere il corridoio e scendere nei sotterranei. 

Aveva trovato Pansy seduta su una poltrona, gli si era avvicinata. -Posso parlarti? 

Si era avvicinato a lei tanto da farle ombra, con il naso quasi a toccare quello della ragazza che non smetteva di guardarlo. -Tu devi stare lontana da me.- poi, le aveva dato le spalle e si era chiuso nella sua camera singola da Prefetto. 

Quando si stese sul letto, qualcuno bussò alla sua porta. - Vattene via, Parkinson. 

-Sono Blaise, idiota.

-Alohomora.- poi girò leggermente il viso verso l'amico. -Allora? 

-Cosa? 

-Perché sei qui? 

-Come mai questa domanda? Ti do fastidio? 

-No. Credevo non fossi a Hogwarts. 

-Sono tornato questa mattina e ho preferito saltare le lezioni. Ieri era San Valentino, sai… 

-Sì, l'ho notato. 

-Sei andato alla festa? 

-Sì. 

-Con la cravatta rossa? 

-No. 

-Ma nell'invito era specificato che le donne dovev…

-Blà? 

-Sì? 

-Sta zitto. 

-L'hai vista? 

-No.

-Cosa pensi di fare, allora? 

-Dopo i G.U.F.O lascio la scuola. 

-Non se ne parla proprio! 

-Da quanto tu sei diventato mio padre ed io tuo figlio? 

-Ma non puoi lasciare… cosa farai dopo? 

-Beh, potrei anche stare tutta la giornata a letto: Lucius ha abbastanza soldi per… 

-Non è vero. 

-Sì che lo è: si può dire che metà della Gringott appartiene ai Malfoy. 

-Questo lo so. Intendevo dire che non è vero che starai a letto, senza fare niente. 

-Non ho nessun progetto di vita, Blaise, e preferisco non farne. 

-Quando mai ne hai fatto qualcuno. 

-Mi sarebbe piaciuto partire, in estate… 

-Draco… perché scappi?

Spostò lo sguardo al soffitto: si, sarebbe scappato, per mettere quanta più distanza tra loro, per permetterle di vivere senza di lui, senza nascondersi anche dagli altri studenti pur di evitarlo. -Perché non sopporto l'idea che vada avanti senza di me. 

-Sembri un vero codardo…

-Lo sono, lo sono sempre stato. Mi pare troppo tardi per cambiare, no? 

-Davvero non lo capisci, eh? 

-Cosa? 

-Sei già cambiato e si capisce dal fatto che tu abbia detto a tuo padre che sei innamorato di lei, dal fatto che ammetti di aver sbagliato e dal fatto che, pur di vederla stare bene, sei pronto a rinunciare a tutto questo. E poi ci vuole molto più coraggio a provare a restare piuttosto che dire basta. 

-Oh, beh, almeno in questo sono stato più Grifondoro di lei. 

Forse Blaise aveva ragione: aveva dimostrato un coraggio che non aveva mai avuto, stava mettendo la felicità di un'altra persona davanti alla propria, eppure la sua codardia e la voglia di fuggire erano sempre nelle prime linee dei suoi pensieri. -È la cosa giusta da fare.

-Non lo è, lo sai anche tu. Avrai tempo per pensarci ed io non starò qui a dirti cosa devi o non devi fare. Anzi, sì: fatti la barba, ti prego. 

Sorrise. 




-Quindi, fammi capire, Granger, sei davvero convinta che Antiche Rune sia una materia interessante. 

-Certo che lo credo.

 Erano stesi sul tappeto davanti al camino, nella Stanza delle Necessità e lei aveva la schiena sul suo petto. Si chiese anche se in quella posizione Hermione avrebbe potuto sentire il battito del suo cuore. 

Discutevano da quasi un'ora e lui non si capacitava ancora di quella sua stupida opinione. -Ma perché? 

-Sai, all'inizio mi piaceva perché era una cosa nuova: lettere mai viste, un dizionario immenso per tradurle. E più andavo avanti a studiare, più mi rendevo conto che era una materia ruvida, difficile da spiegare… Un po' come te. 

-Io ho una pelle liscissima. 

-Sì, ma la tua barba è ruvida. 

-Se vuoi, posso toglierla. 

-No, mi piaci così: sembri più maturo. 

-Stai dicendo che sono un bambino?- ed aveva cominciato a farle il solletico sui fianchi. 

La vedeva boccheggiare, con le lacrime agli occhi per il troppo ridere. -Sì, sì… S-sei un bam-bambino. 

-Disse colei che sognava gli unicorni. 

E lei aveva messo il broncio e lui l'aveva baciata piano, lasciando gli occhi aperti per vedere le sue guance arrossire. -Potremmo trovare un accordo: siamo due bambini. 

-No che non lo siamo. 

-E cosa te lo fa pensare? 

-I bambini non fanno questo.- l'aveva stesa sul tappeto, cominciando ad accarezzare le gambe. Si era fermato all'orlo della gonna, riprendendo a baciarla, chiedendole il permesso di toccarla ancora e lei aveva aperto le gambe. -O questo.- si era sistemato su di lei, facendole sentire il desiderio che gli provocava, mentre con la mano continuava a salire il bordo delle mutande e sorpassarlo per sbottonare la camicia. -O questo.- l'aveva tirata su, mettendola a cavalcioni su di lui, mentre le baciava il collo e poi scendeva con la lingua nell'incavo del seno. 

-Draco, ti prego… Abbiamo Storia della Magia, tra poco…

-Non guardare l'orologio, Granger. 

Ma lei si era alzata e aveva abbottonato la camicia, indossato il maglione e sistemato le pieghe della gonna. -Andiamo, dai. 

Poco dopo l'aveva imitata ed erano usciti mano nella mano dalla Stanza delle Necessità. 

-La prossima volta non provocarmi, però… 

-Io sono innocente, Malfoy: hai fatto tutto tu.

-Non sai cosa realmente io sia capace di fare. 

-Immagino di tutto e potrai farlo, ma ad una sola condizione. 

-E cioè? 

-Resta come sei in questo momento.

-Eccitato?

-No, maturo e con quel filo di barba. 

-Ai suoi ordini. 

Poi, erano entrati in aula con il sorriso stampato sul viso, come a voler sottolineare la loro capacità di stare bene insieme, nonostante il passato che li aveva visti nemici, nonostante nessuno ancora credesse a loro due insieme, all'odio che era diventato amore. 

Sapeva che in qualche stanza dimenticata del Manor, Lucius teneva conservata una vecchia Giratempo e, in quel momento più che mai desiderava averla a portata di mano e girarla: sarebbe tornato indietro nel tempo soltanto per stare lì a guardare e rivivere quei momenti, per poter ricordare tutti i suoi sorrisi e dimenticare tutte le sue lacrime. 

-... e pensavo che potresti venire con noi. 

-Cosa? 

Blaise lo guardò male. -Niente di importante, ma avresti potuto ascoltare. 

-No. 

-No, cosa? 

-La mia barba. 



Angolo Autrice:

Eccomi qui, scusate l'assenza, ma ogni tanto la crisi dello scrittore prende anche me, soprattutto quando la storia non riceve commenti. 

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, se vi piace o meno, perché a dire la verità io scrivo per me, ma soprattutto per voi, per questo mi farebbe piacere leggere le vostre recensioni. 

Spero davvero di potervi ringraziare uno a uno. 

Ps: il prossimo capitolo è quasi finito, quindi è probabile che verrà pubblicato tra oggi e domani. 

A presto, Exentia_dream2 

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Capitolo 16
*** Il calamaro gigante ***


Il calamaro gigante… 



Quando la vide entrare in Sala Grande, quella mattina, Harry le rivolse un sorriso amico, dolce come se, con quel gesto, volesse trasmetterle la contentezza di averla di nuovo lì. 

Poi si girò verso Ginny. - È successo qualcosa che io non so? 

-Più o meno. 

-E cioè? 

-Niente di che: le ho solo detto che deve reagire. 

-Beh, sono contento che ti abbia ascolt… - si interruppe quando Hermione si sedette di fronte a lui. -Buongiorno. 

-Buongiorno a voi. 

-Tutto bene? 

-Sì. Ieri ho avuto una sorta di discussione con una persona che mi ha fatto riflettere. Per quanto sia ancora convinta di studiare da sola, penso che cominciare la giornata sorridendo ai miei amici sia una bella cosa. 

-Oh, sì, bene. Hai ragione.

Così prese la caraffa e versò il succo d'arancia nei tre bicchieri. 

-Potresti passarmi anche la marmellata? 

Quando Harry afferrò il barattolo, però il Preside si alzò e si avvicinò al leggìo. 

Tossì un paio di volte, coprì la bocca con una mano e poi cominciò a parlare. -Buongiorno studenti di Hogwarts. Recentemente ho ricevuto una richiesta alquanto bizzarra e non ho potuto far altro che accettarla: tra qualche giorno, il Lago Nero diventerà casa di un altro calamaro gigante che ha bisogno delle cure del nostro guardiacaccia, Hagrid. Ora, vi starete chiedendo perché io vi stia parlando di questo, giusto? Ve ne sto parlando perché il calamaro gigante che dovremmo curare è nato e cresciuto in cattività e tende ad essere molto aggressivo anche verso chi osa guardarlo, pertanto i sotterranei non sono più un luogo sicuro per gli studenti di Serpeverde. Vi chiedo, dunque, di ospitarli da stasera nelle vostre torri. La guerra, purtroppo, ha allontanato gli studenti del sesto e del settimo anno, ha distrutto varie parti di Hogwarts che tutt'ora sono inaccessibili, vi darò però la possibilità di scegliere i compagni con cui dividere i vostri dormitori. 

Harry alzò immediatamente la mano. -Noi prendiamo il quinto anno.- e nella Sala Grande calò il silenzio. 

Sentiva gli occhi di tutti puntati addosso, ma quelli che bruciavano maggiormente erano quelli di Hermione. -Cosa? 

-Il quinto anno. 

-Quello che frequenta Pansy Parkinson? 

-Sì. Quello che frequentano Zabini, Nott, Greengrass ed anche Malfoy. 

-Non puoi farmi questo, Harry. 

-Non ho niente contro di te. 

-A me sembra il contrario. 

-No, non lo è: sono gli unici studenti che conosciamo e con cui abbiamo davvero avuto a che fare. 

-No, non è vero. 

-Sì, lo è. E lo sai anche tu, Herm. Ora smettila di pensare di essere al centro delle decisioni di chiunque: sono di meno rispetto agli altri, saremo in grado di gestirli. 

La osservò mentre gli regalava un ultimo sguardo, prima di andare via. 

Nel frattempo, Corvorosso e Tassonero avevano deciso chi ospitare. 

Harry scosse il capo: l'unico vero motivo per cui aveva scelto di ospitare il quinto anno di Serpeverde era per ricevere una reazione dalla sua migliore amica: non si aspettava nessun ringraziamento, ma, almeno, sperava che Hermione avrebbe capito che era inutile rilegarsi nel proprio mondo e far finta che al di fuori di esso la vita non esistesse. 

-Credo che tu abbia fatto la scelta giusta.- Ginny gli aveva posato una mano sulla spalla e gli aveva sorriso. -La penso esattamente come te. Spero solo che non se la prenda troppo. 

-Non m'importa, davvero: rivoglio solo la mia migliore amica, quella che ho conosciuto prima e durante la Guerra Magica e non questo spettro che si nasconde da tutto e da tutti. 

-Harry, non è sempre facile accettare la fine di una storia. 

-È una conseguenza che ha voluto vivere lei. 

-Non del tutto. 

-No, non del tutto, ma… Ah, non riesco a credere a quello che sto dicendo, ma Malfoy sta davvero facendo di tutto, mentre lei continua ad evitarlo. 

-Lo so… 

-Io… io so che è difficile passare le giornate insieme alla persona che ami quando non si sta più insieme, lo abbiamo vissuto noi per primi, però, prima di tornare insieme, tutto questo ci ha aiutati ad avere un rapporto civile, a non far finta che l'altro non esistesse… 

-Harry, noi ci siamo ravvicinati davvero dopo la tua stupida scommessa. 

-Ho fatto un casino. 

-Bello grande, direi. Ma non devi sentirti in colpa, perché anche se per poco tempo, lei è stata felice. 

-Sì, ma ora è a pezzi e non mi va di farla soffrire ancora. Forse dovrei parlare con Silente e chiedergli di ospitare altri alunni. 

-No. Andrà bene, vedrai. 

Voleva disperatamente credere a quelle parole, eppure sentiva i sensi di colpa arrampicarsi ai pensieri: aveva visto Hermione rispondere alle offese, concentrarsi per risolvere un problema, combattere contro i Mangiamorte e si chiedeva come una persona che sembrava tanto forte potesse essere in realtà fragile come il vetro.

Decise, però, di non parlare con il Preside, di non cambiare idea sulla sua scelta e sperava, che prima o poi, la sua migliore amica cominciasse a stare meglio. 

Si girò a guardare Ginny e le sorrise. -Sì, andrà bene. 




Si sentiva tradita, offesa, inerme proprio come quando Harry l'aveva resa premio di una scommessa di cui non sapeva niente e di cui non avrebbe voluto far parte: le tornarono in mente tutte le parole che aveva rivolto al suo migliore amico, l'angoscia che Draco vincesse, la richiesta di dargli ripetizioni, le emozioni che aveva provato durante quell'esilio insieme a lui, lo sguardo che le aveva rivolto durante la partita e quelli che ne erano seguiti. 

Strinse i pugni per dare a se stessa la forza di trattenere le lacrime: non riusciva a pensare di aver passato tanto tempo lontano da tutti, di aver chiesto delle lezioni private solo per non guardarlo ancora e per non combattere il bisogno che sentiva di averlo accanto e addosso ed ora si trovava costretta a passare il tempo con lui, a pensarlo a pochi passi da lei, a respirare i suoi stessi odori, a guardare l'alba dalla sua stessa prospettiva.  E tutta la sua fatica non aveva più alcun senso adesso che lo avrebbe visto anche tra quelle pareti che considerava intime, private, sue. 

Quando entrò nell'aula di Trasfigurazione, la professoressa alzò lo sguardo su di lei e le dedicò un sorriso materno, dolce, come una nenia sempre disposta a tranquillizzarla. 

Ricambiò e si sedette al suo posto, in quella sedia che era rimasta vuota per troppi giorni. 

-Deduco che tu abbia pensato a quello che ti ho detto. 

-Non solo…

-L'importante è che tu sia qui. 

-Sì…

Poi, gli altri studenti cominciarono ad occupare i propri banchi e Hermione decise di guardare dritta di fronte a sé, sentendo il cuore stringersi quando con la coda dell'occhio riconobbe i capelli di Draco. 

Respirò piano, profondamente ed aprì il libro su cui teneva appoggiate le mani. 

Vedeva le parole sbiadite dalle pagine, la sua voglia di osservarlo stringerle la testa come mani forti, gelide, invincibili e cedette: quando si girò a guardarlo, lui aveva gli occhi fissi sul banco vuoto, la bacchetta posata a poca distanza dal margine. 

Aveva ancora quel filo di barba che lei tanto amava, lo stesso che la notte di Capodanno le aveva graffiato dolcemente la pelle, che durante i loro giorni insieme le aveva pizzicato le guance.

La bocca era una linea dritta, la mascella dura, serrata, il senso di sconfitta che sembrava pesargli sulle spalle. 

Hermione si sentì infinitamente triste, delusa da se stessa, ma sempre decisa a non tornare indietro. Quello che più la spaventava erano le parole che non si erano mai detti e che lei sentiva sempre sulla lingua, il peso di quel sentimento che le esplodeva in tutto il corpo, la delusione che aveva provato quando lui non le aveva voluto credere, quando non le aveva dato il tempo di parlare, quando aveva deciso di non ascoltarla e la rabbia che aveva provato quando Pansy Parkinson aveva urlato in Sala Grande tutto quello che avevano fatto insieme, nel letto; ricordava il disgusto che aveva avvertito quando aveva immaginato la persona che amava baciare e toccare un'altra che non fosse lei. Sentì una fitta allo stomaco e si concentrò di nuovo sulle pagine del libro su cui ogni parola era tornata al proprio posto, mentre i suoi piedi sembravano sospesi in un baratro di cui non riusciva a vedere la fine. 

Avvertiva lo sguardo di tutti su di sé e si rese conto che aveva aspettato quel peso consapevole, immobile. Era inevitabile: la sua assenza non era passata inosservata e il suo ritorno forse era stato più inaspettato del dovuto, ma non aveva senso per lei continuare ad evitare la realtà dato che avrebbe visto nel suo angolo di mondo la causa del suo dolore. 

Si chiese come sarebbe stato vederlo ogni giorno, incontrarlo con gli occhi ancora assonnati, trovarlo nei suoi momenti più intimi, osservarlo e desiderare di fare di nuovo l'amore con lui. 

I minuti trascorrevano lenti, inesorabili come se volessero mettere alla prova la sua resistenza, la sua pazienza nell'essere esposta alla curiosità degli altri, alle domande affollate le loro menti che lei sentiva rimbombare nelle orecchie e a cui silenziosamente rispondeva. 

Tornò a concentrarsi sulla voce della professoressa, scribacchiando pigramente qualche appunto che le sembrava interessante, disegnando ghirigori contorti ai bordi della sua pergamena quando le domande di qualche studente riempivano l'aula, eppure, nonostante il vociare, Hermione avvertiva solo il peso del silenzio che le aleggiava dentro. 

Non aveva il coraggio di ammetterlo a se stessa, ma se avesse scavato nel suo cuore, avrebbe scoperto che il desiderio e la voglia di tornare con Draco erano le costanti dei suoi pensieri, che erano più forti anche dell'odio che si era obbligata a provare verso di lui. 

Scosse il capo, mentre il mal di testa cominciava a martellare le tempie e la speranza di poter davvero stare meglio senza di lui sembrava sbriciolarsi man mano che lei assimilava la consapevolezza di doverlo ritrovare in tutti i suoi giorni. 

Si alzò lentamente e si allontanò dal banco, camminando sul pavimento come se fosse stato irregolare e sul punto di cedere, lasciò l'aula e fu superata da Draco.

 Si fermò e chiuse gli occhi: dedicò ai polmoni il tempo di riempirsi del suo profumo, meravigliandosi del fatto che, nonostante tutto, il suo cuore e il suo cervello lo ricordasse perfettamente e ripensò a quella volta in cui il professor Piton aveva chiesto loro di raccontare i profumi che liberava l'Amortentia: le sembrava ancora di vedere i vapori della pozione, gli occhi meravigliati di Draco e di sentire il tremore e la paura nella sua voce che si faceva consapevole di quanto fossero forti i sentimenti verso di lui. 

Riprese a camminare, quasi azzerando la distanza da lui e lo superò, senza voltarsi a guardarlo: averlo a pochi passi da lei era un dolore totale, che la attanagliava dentro e fuori, e, a volte, nei momenti in cui restava da sola, confessava a se stessa il desiderio di non averlo mai voluto incontrare o vederlo sorridere, o sentire il sapore della sua bocca o innamorarsi del grigio dei suoi occhi; avrebbe voluto non avere nessun potere, studiare all'università babbana di Londra, diventare una dentista come i suoi genitori o magari una giornalista. Tutto pur di non avere nessuna traccia dell'esistenza di Draco nella sua vita. 

Svoltò l'angolo e prese a salire le scale che, nel frattempo, avevano cominciato a muoversi. 

Si sedette su un gradino, in attesa che le scale tornassero al proprio posto, e cominciò a guardarsi i piedi: pensò a tutte le volte che i suoi passi l'avevano portata a lui, alle volte in cui si erano incontrati a metà del loro cammino e alle volte in cui erano rimasti fermi, immobili, forse in attesa di qualcosa che lei stessa aveva paura di accettare. Eppure, nonostante tutto, Hermione sapeva che l'amore che provava e che non avrebbe voluto provare verso di lui gli dava anche la forza di svegliarsi ogni mattina, di scavarsi nell'anima e andare in fondo dove non c'era altro che l'immagine di loro due insieme, di perdersi a guardare il cielo e il Lago Nero, di fingere quell'odio e quell'indifferenza che la illudevano di poter stare lontana da lui. 

Si chiedeva se poi, alla fine, l'amore che non voleva provare sarebbe servito a qualcosa anche senza il coraggio che sentiva di non avere più: lo vedeva sfumare dal suo corpo come se fosse stata acqua lasciata ad evaporare al sole. 

Quando le scale si fermarono di fronte al ritratto della Signora Grassa, però, Hermione si alzò dal gradino e si diresse in biblioteca. 






Camminava in tondo nella Sala Comune, non riusciva a capacitarsi di quello che era successo. -Ma come gli è venuto in mente una cosa del genere? 

-Beh, almeno la Granger è tornata tra noi. 

-È proprio questo il punto: Potter non doveva prendere noi… Credo che sia per questo che lei sia tornata a lezione. Che senso ha provare ad evitarmi se poi è obbligata a vedermi tutti i giorni? 

-E ti dispiace? 

-Sì, cioè no, ma non è giusto: se ha deciso di isolarsi è perché stava male, perché si sentiva ferita… E adesso tutta la fatica che ha… Non è giusto, Blaise. Potter doveva farsi i dannati cazzi suoi. 

-Magari lo ha fatto per farla reagire. 

-E come? È colpa mia se ha fatto tutto questo  e tu credi che metterle la persona che la fa soffrire davanti agli occhi possa servire a farla stare meglio? 

-Forse sì.

-Sì, forse sì… ma poi sarei io a stare peggio. 

-O forse troverete un punto di incontro. 

-No, non credo…- continuava a guardarsi intorno, bevendo direttamente dalla bottiglia di whisky incendiario che teneva nascosta in camera sua: avrebbero avuto il pomeriggio libero dalle lezioni e si permise di sfogare la rabbia nell'unico modo che conosceva. -Finito quest'anno lascio tutto. 

-Lo dici perché sei ubriaco. 

-Lo dico perché è vero e te l'ho detto già una volta… non lo so, forse mi iscriverò ad un corso per Auror. 

-Secondo me stai sbagliando, davvero. Te lo dico come se fossi mio fratello: non ha senso allontanarsi. 

-E che senso ha restare? 

-Non lo so… 

Si sedette di peso sul grande divano, alzando gli occhi al soffitto ed evitando lo sguardo di Blaise seduto al suo fianco: cosa avrebbe significato per lui poterla guardare ogni mattina, ritrovarla accanto durante le ore di Pozioni e poter sentire di nuovo il suo respiro? 

Cosa avrebbe fatto se si fosse trovato di nuovo i suoi occhi negli occhi, di fronte alle domande e alle risposte mute a cui nessuno dei due aveva il coraggio di trasformare in suono? E come avrebbe potuto vincere la voglia di stringerla e baciarla ancora? 

Ritrovarla di nuovo seduta al suo banco aveva dato al suo cuore un motivo per fermarsi e poi ricominciare a battere più forte di prima; vedere le sue mani muoversi sulla pergamena gli aveva fatto esplodere dentro il desiderio di sentirle ancora addosso, poi lei gli aveva dato di nuovo le spalle, camminando veloce per allontanarsi da lui. -Mi aiuti con il baule? 

-Andiamo. 

Quando aprí la porta della sua camera e vide il letto, avvertì la nausea impossessarsi del suo stomaco. -Scusami… 

-Ma dove vai? 

-A fare una doccia.- si chiuse in bagno. 

La vista di quel letto gli riportava alla mente la notte in cui Pansy si era stesa sopra di lui e lui aveva creduto di poter sostituire Hermione con chiunque e poi si era ritrovato nudo ad affannare con il disgusto che provava verso se stesso e verso la voglia che aveva di dimenticarla, di andare avanti senza di lei. 

Si spogliò velocemente e lasciò che l'acqua accompagnasse ogni movimento delle sue mani: si sentiva sporco, lurido nell'anima e più provava a mandare via quella sensazione più la sua pelle si arrossava e sentiva il bruciore sulle braccia e sulle spalle, la voglia di urlare salirgli in gola insieme a tutto quello che non le aveva mai detto, insieme alle risposte che non le aveva mai dato, poi si strinse nell'accappatoio e si inginocchiò prendendosi la testa tra le mani. 

Sentiva di essere sull'orlo della pazzia,nelle gambe l'urgenza di andare via senza mai voltarsi indietro e cancellare ogni momento vissuto con lei. 

Il bussare di Blaise alla porta del bagno gli sembrava un suono indistinto, perduto nel tempo che gli ricordava le volte in cui aveva preso a pugni le pareti di pietra. Rimase in silenzio, nella stessa posizione. 

Si asciugò e si rivestì e, uscendo dal bagno, abbandonò l'idea di riempire il baule senza la magia, perciò, prese la bacchetta e un attimo dopo spostò tutto nella Sala Comune dove erano già accantonati altri bauli. 

Gli tornò in mente la punizione che aveva ricevuto a causa del pugno che aveva dato a Ron e uscí per andare in biblioteca: camminava piano, evitando lo sguardo di chiunque incontrasse nei corridoi. 

Sembrò tornare in sé soltanto quando sentì il rumore di una porta che si chiudeva dolcemente e solo allora si rese conto di essere già arrivato da Madama Pince. 

La biblioteca era diventata uno dei suoi posti preferiti: provava un senso di pace sconosciuto, accompagnato dalla consapevolezza che lì, tra quei libri, anche Hermione riusciva a lasciare fuori le sue guerre interiori e questo gli permetteva di sentirsi ancora più legato a lei. 

Prese la piuma e la pergamena dal bancone dietro cui Madama Pince lo osservava sorridendo. -Giusto in tempo. 

-Mi perdoni per il ritardo… 

-Nessun ritardo, Draco. È un bene per te che tu sia arrivato adesso. 

Fece un leggero cenno di assenso con la testa, senza capire realmente le parole della donna che aveva di fronte, poi si avviò verso lo scaffale da cui avrebbe dovuto cominciare il suo lavoro.

 Il silenzio che regnava era quasi assordante e ringraziò il fatto che non ci fosse nessuno: ricordò le ultime parole che aveva sentito tra quei corridoi di libri e sentì il cuore stringersi per la tristezza che aveva provato quando aveva capito che la persona che amava aveva preferito correre da chi, in un passato che sembrava così vecchio, aveva deciso di ferirla e allontanarli. 

Passò davanti alle mensole che aveva terminato il giorno precedente, le superò e cominciò a scrivere i nomi degli autori, i titoli e le date di pubblicazione di ogni tomo, spostandone ogni tanto qualcuno per metterli in preciso ordine alfabetico: era concentrato e rilassato allo stesso tempo, tanto che i minuti trascorsi a compiere quel lavoro sembravano non affaticare le sue dita. 

Poi, come se sul viso gli fosse appoggiata una mano che lo accarezzava, spinto dall'incontrollabile frenesia di guardare altrove, girò la testa e smise di respirare: Hermione era davanti a lui e lo guardava come se non lo avesse mai visto prima di allora. 

Lui, invece, cercava di scavare nei suoi occhi e trovare ancora qualcosa che parlasse di lui, di loro e trovò i ricordi dei sorrisi e dei baci: gli sembravano immagini sfocate, vissute al rallentatore, perfette in ogni minimo dettaglio, in ogni minimo movimento. 

Si chiese se quella carezza che aveva sentito fosse stata reale, se fosse stata la mano di lei a scaldargli per pochi secondi la pelle. -Ciao… 

-Io non… 

Ma non le lasciò finire la frase, perché appoggiò la bocca sulla sua, senza pretese, senza riuscire a fermarsi. -Scusami. 

-Credo che dovremmo tornare almeno a salutarci. 

-Sì, lo credo anche io. - la guardava tra quelle pagine invecchiante, avvolta dalla luce debole del sole che entrava dalla finestra e gli sembrava di riuscire a sentire nella sua voce la fatica di pronunciare quelle parole, il ricordo di quel 'ti amo' che gli aveva sussurrato qualche mese prima proprio lì. La vedeva fragile, indifesa e si rese conto di quanto anche per lei fosse stato difficile amarlo e stargli lontana. 

Sentiva addosso il peso di un dolore che non riusciva a staccarsi dai loro corpi e, se avesse potuto, avrebbe preso anche quello di Hermione, per poter tornare a vederla di nuovo ridere, stringersi a lui, per averla di nuovo accanto. 

Sorrise. -Mi… Mi dispiace per prima. Non posso continuare a baciarti io. L'ho già fatto e  non posso essere sempre io a prendere l'iniziativa, non posso essere sempre io a darti le risposte. Guardami, per favore, 'Miò… 

-Non ci riesco. 

-Lo so, ma non voglio che facciamo finta di niente. Non voglio fingere che tu ed io non siamo mai esistiti. 

-Sarebbe stato meglio. - gli sembrò di perdere forza e vita e il pensiero di poter tornare con lei si sbriciolò nella mente e nel cuore, come un castello di sabbia travolto da un vento troppo forte per essere contrastato. 

-Non è vero e lo sai anche tu. Se tu non provassi almeno una piccola parte di quello che provo io per te, di certo adesso non staremmo qui a discuterne.

-Non mi hai dato nessun motivo per restare quella notte. 

-E non te ne darò: ci sono mille motivi per non perderci ed altri mille per farlo, ma sei tu a decidere a quali dare importanza. Mi farò da parte, ti lascerò tutto il tempo che vuoi per abituarti di nuovo ad avermi intorno, aspetterò sempre che sia tu a salutarmi o a rivolgermi la parola, però ti prego, non privarti più di tutto questo.- e mosse la mano come a voler indicare la biblioteca e la scuola. -Devi soltanto credermi, avere fiducia in me, almeno adesso. 

-Io… io non ci riesco. Non posso… 

-Allora non farlo, però ti prego: non isolarti da tutti solo per evitarmi. Io… - sentiva la gola graffiarsi al suono di quelle parole. -Io ti prometto che mi allontanerò da te, che non ti farò pesare la mia presenza nella Torre, che prima o poi ne usciremo: chi un modo e chi in un altro, ma ne usciremo. 

-Va bene. 

-Va bene…- poi la abbracciò, le baciò la fronte e le poggiò il mento sui capelli, provando a riempire i polmoni del suo profumo buono, dolce, senza sciogliere quell'abbraccio. 





Angolo Autrice:

Eccomi qui con un nuovo capitolo. Scusatemi l'assenza, ma finalmente stiamo riprendendo a lavorare e tra la mia crisi dello scrittore e il poco tempo a disposizione, ho davvero faticato a buttare giù tutto questo. 

Manca davvero poco alla fine di questa storia è spero che vi stia piacendo… 

Poi, chissà, magari ci sarà un continuo. 

E voi come pensate che finirà?? 

A presto, Exentia_dream2











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Capitolo 17
*** Nella Torre di Grifondoro ***


Nella Torre di Grifondoro

Erano passate due settimane da quando si erano trasferiti nella Torre di Grifondoro ed ognuno di loro aveva la sensazione di aver vissuto da sempre lì: nonostante la diffidenza degli studenti dei primi anni che non avevano vissuto davvero la Guerra Magica e non conoscevano la verità di quei giorni, quelli del quarto e del quinto anno trattavano i Serpeverde come se fossero stati i loro migliori amici, senza mai farli sentire di troppo. 

Draco si sorprese soprattutto del comportamento indulgente di Ron Weasley che sembrava non provare alcun rancore nei suoi confronti e, anche se raramente capitava che si incontrassero, quelle rare volte si salutavano educatamente. 

Harry Potter spesso si intratteneva a scambiare qualche parola con Theo o Blaise, sorridendo e dando loro qualche pacca sulle spalle; con lui, invece, sembrava aver stipulato una sorta di tacito accordo che metteva da parte le offese e le prese in giro: a volte, si trovavano uno di fronte all'altro con la sensazione di avere troppe parole in sospeso tra loro che parlavano in silenzio e con lo sguardo della stessa persona, ma entrambi poi preferivano restare muti e lasciare ancora teso quel filo di pensieri che sembrava accomunarli.

Quella sera, dopo aver finito il suo lavoro in biblioteca, si era diretto in Sala Grande e si era seduto al suo tavolo, tenendo sempre gli occhi fissi sulla schiena di Hermione che si muoveva piano al ritmo di un respiro che sembrava aver trovato la propria tranquillità, il proprio equilibrio dopo tanto affanno. Aveva l'impressione, durante i momenti in cui lei non gli era intorno, di riuscire a vedere una luce fioca nell'immenso buio che sentiva avere dentro e, quando poi lei entrava nel suo campo visivo, quella luce sembrava esplodere, coprendo tutto di bianco, per lasciarlo subito dopo nel nero più intenso che lui avesse mai vissuto: risalire da quelle tenebre diventava sempre più difficile, quasi impossibile, eppure ogni volta Draco riusciva a trovare la forza di emergere e tornare a respirare ancora. 

Riempì il piatto di arrosto di manzo e patate al forno e cominciò a mangiare lentamente per non rovinare con la fretta quel po' di appetito che aveva recuperato da qualche tempo: aveva passato giorni interi a digiunare, senza mai sentire lo stomaco replicare, perché aveva imparato a distinguere la morsa della fame da quella della rabbia ed era sempre quella che gli provocava dolore. 

Lasciò qualche avanzo nel piatto, poi si allontanò dal tavolo e camminò piano nei corridoi che lo avrebbero portato alle scale per raggiungere l'ingresso della Torre in cui era ospite: di fronte ad esse, riviveva ogni sera il ricordo di quella notte in cui aveva bevuto il Veritaserum ed aveva rincorso Hermione per baciarla ancora e ricordò l'urgenza che aveva provato di sentire di nuovo i suoi occhi addosso, la bocca sulla sua e sorrise quando ricordò lo stupore e il rossore che aveva visto sul viso di lei, l'espressione attonita di Harry e Ginny che avevano guardato la scena qualche passo più in là. 

Erano giorni così lontani da sembrare quasi un sogno sbiadito, uno di quelli vissuti nelle notti in cui la luna si nascondeva dietro le nuvole, rendendo timide anche le stelle. 

Si avvicinò al ritratto della Signora Grassa che lo guardò di sbieco. -Parola d'ordine, prego. 

-Lieto di conoscerla. 

La donna sorrise, facendo un lieve inchino e la cornice si spostò per permettere a Draco di entrare nella Sala Comune. 

Approfittò di quella solitudine e si stese sul divano, poggiando la testa sul bracciolo e chiuse gli occhi, ma, ogni volta, gli appariva il viso di Hermione incollato alle iridi come un dipinto su una tela un po' sgualcita, invecchiata, ma su cui i particolari erano ancora nitidi e puliti. L'aveva sognata spesso durante quelle notti e si risvegliava con il respiro pesante e le braccia vuote, le mani strette a pugno come a voler trattenere gli strascichi di quelle immagini che non erano altro che illusioni, nemmeno lontanamente simili a quella realtà che non riusciva ancora ad accettare e contro cui urtava quando la notte diventava giorno, quando la luna si nascondeva dietro al sole e, in quei momenti, sentiva forte la sconfitta pesare sulle spalle, comprimere i pensieri ed intrecciare tutte le sue paure nelle corde vocali. 

Ripensava alle parole che avrebbe voluto dirle e guardare i suoi occhi, vederli riempirsi di gioia e privarsi di quel velo di buio che non aveva fine, che sembrava ricoprire ogni suo gesto ed ogni suo sorriso come se le fosse stato cucito addosso in quei giorni in cui lui non era stato più suo e in cui lei non gli apparteneva più. 

Sentì un rumore di passi e si sedette composto, mentre Ginny di sedeva sulla poltrona senza mai smettere di guardarlo. -Ciao.

-Ciao.

-Credo che si stia abituando di nuovo a te. 

-Sì. 

-So che non è questa la quotidianità che volevi con lei, però è meglio di niente, no? 

-No, non lo è. Tutto questo non fa bene a nessuno dei due. 

-È vero, ma almeno state imparando ad essere studenti della stessa scuola. 

-A quale prezzo, però? 

-Un giorno ripenserai a tutto a questo è penserai che ne sia valsa la pena. 

-Come fai a dirlo? 

-L'ho vissuto con Harry. 

-Peccato che non tutti siamo Harry Potter e Ginevra Weasley. 

-Non siamo mai stati amici, Malfoy, e non credo che lo diventeremo, ma, se permetti, ti consiglio di domandarti cosa vuoi davvero e fare di tutto per averlo. 

-E se quello che volessi non potrei più averlo? 

-Non è questo il caso… 

-Ah, no? 

-No. 

Rimase a fissare il fuoco che ardeva nel camino e si sentiva consumato dai suoi sentimenti come il legno consumato dalle fiamme: bruciato, rinsecchito, annerito, mentre una flebile speranza inciampava in  quello stormo di pensieri. 

Poi, di nuovo un rumore di passi lo distrasse e girò il viso verso l'entrata del dormitorio: vide gli studenti di Grifondoro entrare in una fila ordinata e, quando anche Hermione raggiunse l'interno, le sorrise e la salutò con la mano, mormorando un ciao appena udibile e la vide abbassare lo sguardo, la bocca immobile, un lieve tremore su tutto il corpo. 

La imitò e, sotto i suoi piedi, il tappeto sbiadiva di colori, geometrie e consistenza e lui ebbe la sensazione di sparire insieme alla stoffa, alle poltrone, al camino, senza nessuno strappo, senza nessun movimento: spariva lentamente, diventava polvere, si dissolveva nell'ambiente intorno e nessuno sembrava accorgersene, mentre lei era corsa a nascondersi dietro una porta che lui non poteva aprire ed aveva portato via con sé un altro pezzo di anima di quel corpo che viveva soltanto per inerzia: riusciva a farlo sentire inutile con una sola parola bloccata sulle labbra, con quella luce che la illuminava facendo ombra su tutto il resto, con le domande che riusciva a far nascere in lui, la voglia di spogliare il suo cuore per scoprire chi le prendesse la mano in quegli angoli di battiti e vita; i dubbi che dedicava a quel lembo di cielo che non aveva mai una vera risposta, la rabbia e il dolore che lo accartocciavano lasciandolo in qualche strada abbandonata da cui non riusciva mai a tornare, i brividi che lo colpevolizzavano di aver ceduto, di aver amato, di aver dato potere ed importanza ad un'altra persona che non fosse se stesso, come un maledizione senza perdono che si diffondeva inesorabile nelle vene, marchiando in modo indelebile la sua mancanza di coraggio, la sua codardia, la sua paura di non essere abbastanza: provava a nascondersi nelle sue maschere, nei suoi abiti freddi che ormai gli stavano stretti, prudevano e tiravano in ogni punto del corpo. 

Si alzò piano dal divano e salì quasi di corsa le scale che lo avrebbero portato al dormitorio per non permettere a se stesso di crollare, di rompersi in milioni di pezzi microscopici, troppo difficili da raccogliere. 





Aveva preso una pergamena e una piuma ed aveva cominciato a scrivere la risposta all'ultima lettera che Aria gli aveva scritto, raccontandole tutto quello che era successo negli ultimi giorni, dell'impossibilità di restare nei dormitori di Serpeverde che non erano più sicuri e dello spostamento di tutti gli alunni nella Torre di Grifondoro, della strana parola d'ordine che avevano per aprire l'ingresso. 

Le raccontò del sogno che aveva fatto la notte precedente e della sua voglia di farlo diventare realtà, perciò le disse che avrebbe chiesto al Preside di poterla ospitare durante la festa per il diploma dei G.U.F.O. e, subito dopo, le avrebbe fatto visitare Hogwarts e il Lago Nero. 

Ogni volta che le scriveva, immaginava di poterlo fare sulla pelle, come quella volta in cui lei si era avvolta nelle lenzuola a pancia in giù e lui le aveva scritto con le dita sulla schiena i loro nomi, intrecciandoli in un disegno trasparente che solo loro due insieme riuscivano a vedere e, senza rendersene conto, aveva finito la lettera e l'aveva legata alla zampetta di Alba: l'aveva vista volare e diventare in fretta uno svolazzare di ali indistinto in quel cielo di marzo infinitamente azzurro e dolce. 

Restò a guardare il punto in cui la civetta era sparita e un istante dopo si smaterializzò nel suo appartamento a Mayfair, aveva sceso di corsa le scale ed aveva spalancato la porta d'ingresso della sala da tè. -Ciao. 

-Ma… Che ci fai qui? 

Aria teneva in mano un baccello di vaniglia che subito dopo aveva cominciato a galleggiare in una teiera. Si guardò intorno, accorgendosi soltanto in quel momento delle persone sedute ai tavoli e al bancone centrale del locale e si sistemò su uno sgabello vuoto ed attese che lei si avvicinasse. Le diede un bacio leggero sulla bocca, poi le spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. -Ho appena risposto alla tua lettera e mi mancavi… 

-Mi sei mancato anche tu. 

-Tanto. 

-Tanto.- sentì le sue mani poggiarsi sui fianchi in una carezza morbida che voleva essere molto di più. -È quasi ora di chiusura… 

-Non è vero. 

-No, ma sono la proprietaria di questo posto e posso decidere di avere la serata libera. 

-Solo per me? 

-Sì. 

-Mi piace.- la strinse per tenerla più vicino e la vide sorridere, allontanandosi qualche istante dopo per portare a termine le ordinazioni. 

La guardava mentre preparava altre teiere e le portava ai tavoli, muovendosi leggera come una farfalla che volava nel vento, ringraziando i clienti con un cenno del capo e la gioia negli occhi, salutandoli con gentilezza quando poi andavano via. 

Passarono forse un paio di ore, durante le quali non aveva fatto altro che guardarla e sorridere per invogliarla a continuare il suo lavoro: non gli dispiaceva aspettarla se in quell'attesa poteva osservare ogni suo movimento, ogni particolare, ogni espressione nuova del suo viso di cui si innamorava immediatamente. 

Blaise  si occupò di Alba che, nel frattempo, era giunta alla fine del suo viaggio da Hogwarts: la sistemò sul trespolo sistemato in un angolo poco lontano dal bancone centrale e la guardò  mentre beccava l'acqua da una piccola ciotola argentata. 

Sentì gli occhi riempirsi di dolcezza quando ripensò all'origine del nome della civetta e provò una lieve stretta al cuore quando ricordò la meraviglia che si era dipinta sul volto di Aria quando l'aveva vista e quando aveva scoperto il motivo di quel regalo e l'emozione che lui stesso aveva provato quando Alba gli aveva recapitato la prima lettera con le parole che sembravano quasi sovrapporsi, scritte di fretta per la voglia di essere lette. 

Quando nel locale rimasero loro due, Aria spense le luci più forti, lasciando accesi soltanto un paio di applique per creare un'atmosfera più delicata. -Bene, adesso siamo soli. 

-Finalmente.- le prese le mani e le baciò, superando il maglioncino, posando in fine la bocca sul collo. -Posso invitarti a cena? 

-Puoi fare quello che vuoi.- e prima ancora che lui capisse e assimilasse quelle parole, Aria aveva cominciato a giocare con il bordo della cintura, sfilandola lentamente dai passanti: riusciva ogni volta a incatenare i suoi occhi in quelli di Blaise, in una dolce tortura che sembrava non finire mai, in un intreccio di silenzio che aveva il sapore di promesse da mantenere da quel momento in poi e sempre, senza possibilità di tornare indietro e, ogni volta che si sentiva avvolgere dal suo piacere e dai suoi sospiri, lui capiva di essere felice al punto da poter cancellare il ricordo di quei mesi in cui erano stati lontani, custodendo gelosamente quell'unica notte d'estate in cui per la prima volta aveva fatto l'amore insieme a quello strusciare di lenzuola di seta e fili di capelli scuri in cui avrebbe voluto rimanere per sempre pur di non perderla di nuovo. 

Ed ogni volta gli sembrava di aprire gli occhi in un mondo che non conosceva, dove gli unici appigli per salvarsi erano la sua bocca, i suoi fianchi, le sue gambe. Un mondo in cui lui non sapeva esistere senza di lei, senza quel calore che gli riempiva il cuore e le vene; un mondo in cui la magia non poteva essere gestita da una bacchetta, perché era un incantesimo che esplodeva in modo inaspettato e naturale intorno a loro, illuminandoli di scintille visibili soltanto con il cuore. 

La strinse forte, poggiandola sul bancone, mentre le mani di lei salivano veloci ad accarezzare il petto e il collo, stringendo per fare presa e chiedere di più, ancora di più. 







Si era avvolta nelle coperte, nascondendosi soprattutto da se stessa, in attesa di potersi liberare da quella maschera di indifferenza ed abbattere quel muro che ogni mattina costruiva per impedirsi di avvicinarsi a lui. 

La pioggia aveva cominciato a rigare i vetri delle finestre, riempiendo le orecchie di quel ticchettio duro che, inevitabilmente, le riportava alla mente quella notte in cui si erano incontrati al Lago Nero, dopo giorni in cui aveva provato ad evitarlo, come un segno del destino che continuava a dare loro occasioni di tornare ad esistere insieme e, proprio come quella notte, ogni singola goccia d'acqua la spingeva giù, sempre più giù, in quel vuoto privo di luce, pieno soltanto del colore degli occhi Draco che la inghiottivano. 

Si sentiva rotta dentro, persa nei mille frammenti del suo cuore, con le mani troppo piccole e fragili per contenere quel sentimento che andava oltre l'amore, sempre un passo avanti, nella muta richiesta di non morire, di essere qualcosa di più, troppo di più per lei che si sentiva derubata dei suoi sogni e delle sue parole, che sapeva di essere viva soltanto perché il martellare del cuore le riempiva la cassa toracica ed ogni singolo muscolo che divideva e ricopriva le costole, mentre i suoi polmoni chiedevano un ossigeno creato dai respiri e dai sospiri di Draco. 

Si sentiva debole di fronte a lui che, nonostante sapesse quali punti toccare per ferirla, si fermava sempre un secondo prima di distruggerla davvero, riempiendo quei silenzi di promesse che le solleticavano la pelle come una miriade di coriandoli colorati che sparivano senza mai toccare il suolo; promesse che Draco era bravo a mantenere, perché, nonostante la vicinanza forzata, riusciva sempre a nascondersi un po', mettersi da parte e lontano dai suoi occhi: la salutava ogni mattina ed ogni sera, senza però imporre la sua presenza ed era capitato che Hermione avesse ricambiato il suo saluto, non prima, però, di essersi sentita inchiodata al pavimento, in balia di quei ricordi che le facevano ancora troppo male e bruciavano come ferite coperte di sale e dolore, rancore e amore che non poteva essere arginato. 

Si sentiva nuda di fronte alla sua bocca, alle sue mani che sembravano spogliarla senza fredda, concedendo alla sua pelle le memorie di quei tocchi che spesso si erano spinti oltre i vestiti, nei capelli, oltre quel velo trasparente di anima che lei poco alla volte aveva lasciato tra le sue dita, legandosi a lui in un nodo che non riusciva più a sciogliere, nonostante conoscesse a memoria la semplicità del disegno che lo formava. 

Osservò la luna spegnere la pioggia, mentre lei lasciava il letto e si incamminava verso la Sala Comune dove, quasi ogni sera, teneva compagnia a Ginny e Daphne, con le pareti a custodire i loro segreti e la stoffa delle poltrone ad asciugare le loro lacrime tristi o di gioia. 

E se quelle mura avessero potuto parlare, avrebbero raccontato tutte le volte in cui lei sentiva ancora addosso le mani di Draco, la sua voce che giurava che le sarebbe rimasto al fianco, che sarebbe diventato l'ombra di ogni suo passo; avrebbero raccontato la sensazione di tuffarsi in una cascata ed affogare nell'acqua della realtà che la faceva tornare a galla con le lacrime agli occhi, stretta in un buio che attutiva il suo pianto e le sue urla. 

Si allontanò dai suoi pensieri quando Daphne la chiamò e le fece segno di sedersi accanto a lei. -Come stai? 

-Meglio…

Ginny, invece, aveva cominciato a giocare pigramente con i suoi capelli in un movimento delicato e lento che da sempre aveva il potere di rilassarla e, senza fermarsi, cominciò a parlare. -Questa è una bugia, però. 

-Più o meno, ma a volte possiamo convincere noi stessi con le bugie. 

-E pensi di svegliarti sulla groppa di un cavallo bianco, stretta da un bel principe azzurro continuando a mentire? 

-No. 

-È un torto che fai a te stessa, Herm, perché è abbastanza evidente il fatto che tu stia ancora male. Non dovresti vergognartene.

-Sto provando a stare meglio… 

-Ecco: questa risposta è molto più convincente. 

-Sembrava così facile a parole… 

-Cosa? 

-Reagire, far finta che lui non esistesse.- poi calò un silenzio leggero, amichevole, animato soltanto dal crepitio del fuoco nel camino: continuava a guardarsi dall'esterno, in compagnia di Ginny e Daphne ed aveva sempre l'impressione di essere altrove, con le spalle attaccate al muro a guardare di fronte a sé i fotogrammi dei momenti in cui lei è Draco si erano trovati e poi persi, odiati e poi amati; quelli del momento in cui silenziosamente si erano giurati di non andare via ed allo stesso modo, poi, si erano dati le spalle; si sentiva stretta in abbraccio forte tanto da impedirle di cadere, ma non abbastanza da farle male, in un movimento lento che voleva cullarla ed abituarla a quel dolore che non riusciva a mandare via, che rifletteva bagliori di tristezza tra un cielo e un pavimento che sembravano non esistere davvero. 

Viveva dentro sé un disordine caotico che non voleva sistemare, perché tra quella polvere, quelle macerie, quei crolli improvvisi che avvertiva nel cuore, riuscivano ancora a brillare le immagini dei suoi giorni più belli, quelli in cui era stata felice e, in cui, quasi sempre si ritrovava con Draco e, in quei momenti, si chiedeva perché non riuscisse a mettere da parte il suo orgoglio, fare qualche passo indietro e ricominciare a scandire ogni secondo con il suo sorriso, le fossette su quelle guance che avrebbe voluto ancora toccare, mordere e baciare.  



Angolo Autrice:

Eccomi qui, con un capitolo poco poco meno corposo degli altri, ma non meno importante. 

Ah, quanto è difficile questa convivenza forzata, questo volersi evitare a tutti i costi. 

Ma riusciranno davvero a non collidere? Chissà… 

Voi cosa ne pensate? 

A presto, Exentia_dream2




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Capitolo 18
*** Passato e presente ***


Passato e presente 



Da bambina credeva che i sogni fossero desideri in grado di avverarsi soltanto credendoci intensamente: ad ogni risveglio, scriveva su un diario tutto ciò che aveva vissuto durante la notte ad occhi chiusi e raccontava anche i particolari più insignificanti, per non dimenticare nessun dettaglio. 

Ogni colore, ogni ombra, ogni viso era meticolosamente descritto in quelle pagine a righe, con la sua calligrafia fine, leggermente insicura. 

Da bambina, spesso, si svegliava a metà di un sogno e, subito dopo, provava a riaddormentarsi, stringendo forte gli occhi per provare ad afferrare il filo di quelle immagini che le avevano tenuto compagnia fino a qualche istante prima e, quando ci riusciva, sentiva la felicità esplodere nei suoi racconti che sembravano animarsi ogni volta che li rileggeva come se vivessero di magia e speranze indistruttibili. 

Speranze di cui, qualche anno dopo, aveva cominciato a raccogliere i cocci, custodendoli nell'angolo più nascosto del suo cuore: quando aveva scoperto di essere speciale, che la magia dei suoi sogni vibrava nelle sue dita e dopo aver affrontato le prime avventure con Harry e Ron, aveva anche capito avrebbe dovuto lasciare da parte i suoi abiti da bambina ed indossare quelli di una responsabilità che, in realtà, non aveva mai chiesto, il peso di un coraggio che spesso sentiva indebolirsi, il senso di giustizia che continuava a piegarsi sotto gli insulti e il male che aveva vissuto in quegli anni e che, con il tempo, le aveva fortificato i nervi, i muscoli e le ossa. 

Aveva imparato che niente poteva essere superato senza essere attraversato, che ciò che sembrava non era sempre uguale a ciò che vedeva, che una preghiera poteva essere pericolosa quanto una minaccia. 

Aveva imparato che i raggi del sole non riuscivano sempre a scaldare e che la luna poteva diventare una silenziosa confidente, che dietro le nuvole si nascondeva sempre la parte più bella del cielo e che dentro il ghiaccio il fuoco sapeva bruciare molto di più. 

Si era vestita e pettinata senza rendersi realmente conto di aver compiuto quei movimenti fino a quando non si era trovata di fronte all'uscita del suo dormitorio e l'aveva attraversata: quella mattina era incantata dal cantare degli uccelli e dal vento fresco che sembrava far fluttuare quelle note lungo i corridoi della scuola. 

Si muoveva tra quelle pietre con il suo camminare insicuro, spaventato da quella primavera fredda che cominciava a riempire l'aria, si guardava intorno in cerca di qualcosa di cui innamorarsi e, quando vide un rivolo di fumo allontanarsi a qualche passo da lei, sentì il cuore rimbalzare contro lo sterno: Draco era seduto sul parapetto di pietra, con il viso rivolto verso il giardino, le spalle dritte a dimostrare una forza che non gli apparteneva. 

Lo guardava mentre muoveva la mano e lasciava quelle nuvole di nicotina uscire dalla bocca, con la voglia di avere di nuovo il suo profumo sul viso e sulla pelle. 

Scosse la testa e si allontanò da quella schiena che una notte di qualche mese prima aveva accarezzato, sentendo forte il desiderio di restare in quel letto per sempre, fino a diventarne parte, insieme a lui; ricordava la sensazione di vuoto che aveva avvertito quando gli aveva restituito la collana e la lacerazione che l'aveva strappata dal mondo quando si era allontanata da lui, il suono delle urla che avevano riempito la Stanza delle Necessità e le lacrime che aveva pianto. 

Hermione cominciò a riprendere il ritmo dei suoi passi, proseguendo dritto, verso il corridoio che l'avrebbe portata sulle rive del Lago Nero, con la voglia di immergere la faccia in quelle acque e perdere tutti i ricordi che la legavano a lui, far posare quell'amore nel fondale e vederlo scomparire, inghiottito da quei miliardi di granelli di sabbia che restavano immobili in una clessidra di tempo di cui nessuno dei due faceva più parte. 

Poi, però, guardò verso il basso e si rese conto della fatica che i suoi piedi facevano ad andare nei luoghi che lei comandava loro ed era convinta che, se avessero potuto, sarebbero andati correndo nella direzione opposta a quella che stavano percorrendo, da lui, e mettere radici proprio di fronte ai suoi occhi e permettergli di accarezzare le linee di quel corpo che aveva avuto per troppo poco tempo. 

Si immobilizzò al centro del corridoio, troppo lontana dalle pareti per potersi appigliare e non cedere e cadde in ginocchio sulle pietre su cui la sua ombra disegnava perfettamente la sua immagine che si distruggeva e si sparpagliava poco lontano da lei: si vedeva mentre allungava le mani verso quei frammenti per raccoglierli e rimetterli al proprio posto, con i polmoni che sembravano accartocciarsi e la paura di aver perso ancora pezzi di sé e ritrovarsi con un altro buco nell'anima e nella mente. 

Sentì prepotente la mancanza della sua casa, della sua famiglia, della guerra che le permetteva di non dare peso a quello che succedeva oltre quegli incantesimi esplosi; la mancanza dei suoi sogni infantili, di quel cuore dorato che Draco le aveva regalato per quel Natale che avrebbero dovuto trascorrere insieme, ma durante il quale avevano sentito sulla lingua il sapore di perdersi senza mai essersi davvero appartenuti e, rivederlo la notte di Capodanno, finire gli ultimi minuti di un anno trascorso e cominciare allo stesso modo quello nuovo, vedersi svanire un attimo dopo, per lei era stato come sprofondare ad occhi spalancati in una caduta senza fine dal quale ancora non riusciva a risalire, mentre vedeva allontanarsi la superficie di quello che erano stati insieme. 

Si alzò quasi di scatto, facendo peso sulle mani e corse verso la Sala Grande ancora vuota: spostò l'attenzione sul soffitto sostituito da un cielo stellato e tranquillo, perdendosi ancora nei ricordi di quella notte a casa di Blaise Zabini, quando per la prima volta aveva fatto l'amore con Draco e si era sentita piena di lui, di quel sentimento che li legava e dal quale non faceva altro che fuggire e nascondersi. 

Rimase ferma sulla soglia, guardando i lunghi tavoli in un solleticare sottile di echi di risate a riempire la sala e a vestirla di una gioia lontana che non provava da troppo tempo. 

-È strano vederla vuota, vero? 

Chiuse gli occhi accompagnando la certezza di poter riconoscere quella voce dovunque, anche tra altre mille. -Sì…- lo vide avanzare verso il tavolo di Serpeverde, senza dire una parola. 

Lo vide sedersi, poggiare la fronte sui palmi delle mani, spostare i capelli all'indietro nonostante continuassero a cadere sulla fronte. 

Poi, si avvicinò al tavolo Grifondoro, prendendo il posto che qualche mese prima aveva lasciato, quello da cui poteva guardarlo per convincersi che scrivere la parola fine a loro fosse stata la cosa giusta e, poco dopo, la Sala Grande si riempì di studenti, odori e vapori di pane tostato e tè: sorridevano tutti, facendo pronostici e scommesse perché quel giorno, sul campo di Quidditch, si sarebbero affrontate le squadre di Grifondoro e Corvonero che ricoprivano il primo e il terzo posto nella classifica delle case, divise dai Serpeverde. 

I minuti della colazione trascorsero veloci, in un turbinare di voci e cori rivolti agli avversari. 

Hermione si affiancò quasi timida a Ginny, le poggiò la mano nella piega del gomito e sorrise. -Andiamo insieme? 

-Ma che domande fai? 

A volte, di fronte all'amica, aveva la sensazione di sentirsi troppo debole per sostenere i dolori di quella vita che continuava a scorrere e che lei non stava vivendo davvero: lasciava soltanto avanzare il tempo, l'alternarsi del giorno e della notte e non viveva. 

Lasciò Ginny all'ingresso degli spogliatoi da cui arrivavano gli incitamenti degli altri giocatori della squadra e si diresse verso gli spalti. 

Vide Draco poco lontano da lei, lo guardò e lui ricambiò con un sorriso e le tornò alla mente la scena che aveva vissuto durante la Coppa del mondo di Quidditch, quando le cose tra loro erano ancora uguali agli anni precedenti, quando, qualche metro più in basso, Draco le aveva rivolto il primo vero sguardo che sembrava leggerle dentro e lei sentì il cuore fermarsi, convinta che fosse per il fastidio che aveva provato per la sua presenza. 

E, in quel momento, mentre sentiva quella bocca sfiorarla, provò la stessa sensazione di quel giorno e capí che era amore, già prima di sentire la sua vera voce, di vedere quello che lui era abile a nascondere dietro la sua maschera, prima di scoprire che anche lui l'amava, prima della ricerca degli Horcrux, della Guerra Magica, dei Mangiamorte e della verità, prima di baciare Ron.

Capí che, prima ancora di rendersi conto di se stessa, lei era già innamorata di Draco e, finalmente trovò la risposta ad una delle domande rimaste in sospeso, vestite di ipotesi, senza nessun punto interrogativo. 

Si accorse di aver camminato verso di lui soltanto quando sentì nella gola l'emozione di parlare. -Tanto…- un sussurro che si perse tra le urla dei giocatori e quelle dei tifosi, ma che lei sentì uscire dalle labbra come un grido oppressivo e disperato. 

-Cosa? 

-Il tempo che abbiamo perso. 

-Possiamo ancora recuperarlo. Se vuoi, io… 

Lei scosse la testa. - No, è tardi. È stato tutto perfetto e voglio ricordarlo così… 

-'Miò, fermati, ti prego… - ma lei cominciò a salire verso gli spalti, continuando a negare a se stessa e a lui la possibilità di ricominciare, maledicendo il suo orgoglio in un movimento di capelli che si intrecciava al suo dolore silenzioso e si mescolava alle lacrime perse in quella supplica che la stava piegando sotto il suo peso e la voglia che aveva di realizzarla.





La voce di Anthony Goldstein accompagnava ogni singolo movimento dei giocatori in maniera quasi imparziale, nonostante fosse un tifoso sfegatato della sua casa di appartenenza e Harry la ascoltava attentamente per capire cosa succedesse sotto di lui. Quando cadde dal manico di scopa e vide il Cercatore di Corvonero prendere il Boccino e volare sulla propria tifoseria per esultare, Harry lanciò gli occhiali sul terreno facendoli rompere e piegare sotto i suoi piedi: si sentiva arrabbiato, demoralizzato, colpevole di aver deluso i propri compagni di squadra, ma, quando tutti gli sorrisero nonostante avessero perso, avvertì quel senso di malessere sfumare dal corpo e dissolversi lontano nell'aria intorno. -Festeggeremo lo stesso. 

-Siii.- quel coro di voci gli accarezzò la pelle lasciando una sorta di velo opaco sul pensiero di quella sconfitta e si sentì consolato dal fatto che i Grifondoro fossero ancora primi in classifica, poi si diresse negli spogliatoi, insieme agli altri giocatori, congratulandosi di tanto in tanto con gli avversari che lo incrociavano: era stata una bella partita, durante la quale nessuna delle due squadre si era risparmiata nella conquista dei punti e nella ricerca del Boccino d'Oro. 

Si lavò in fretta e si asciugò allo stesso modo, pronto a mantenere la promessa di festeggiare il primo posto che apparteneva ancora a loro, così si vestì ed uscí dagli spogliatoi, fuori dai quali lo aspettava Ginny. -Ehy… - le lasciò un bacio leggero sulla bocca. 

-Pronto? 

-Sì. 

-Sei stato davvero grande, capitano. 

-Anche tu e grazie per tutti quei punti.- infatti, i Grifondoro stavano padroneggiando la partita con un risultato di 200 a 90, fino a quando poi Stewart Ackerly, Cercatore di Corvonero, non aveva avuto la possibilità di colmare quella differenza di punti e vincere la partita, mentre Harry cadeva rovinosamente sul terreno del campo e si malediva. 

-Dobbiamo aggiustare quegli occhiali. Oculus Reparo. Ed ora, possiamo andare. 

Harry sentì la mano di Ginny che si faceva spazio e riempiva la sua. La strinse più forte. 

Camminavano in quel modo tutto loro di tenersi per mano e sorridersi, facendo invidia a chiunque ancora non avesse provato la gioia di un amore capace di superare ogni limite. 

Di fronte al ritratto della Signora Grassa, scoppiarono entrambi a ridere. -Sarà sempre così? 

-Credo proprio di sì: in fondo, tutti vorrebbero essere al posto di Harry Potter ed essere liberi di stare con la sottoscritta. 

-Parola d'ordine.- la donna all'interno della cornice cominciò a cantare a squarciagola, mentre i due si coprivano le orecchie. 

-Lieto di conoscerla. Però, tu vuoi stare solo con me, vero? 

-Non lo so, devo ancora prendere una decisione a riguardo.- risero e si baciarono ancora per tutto il tempo in cui la cornice si spostava di lato rivelando l'atmosfera di una piccola festa a cui i Serpeverde avevano rifiutato di partecipare. 

Harry cominciò a ballare, avanzando lentamente verso il centro del piccolo cerchio che si era formato intorno a lui e allungò le braccia verso Ron, chiamandolo a sé. 

Ricordò la notte in cima alla Torre di Astronomia, durante la quale l'amico aveva avuto il coraggio di aprirsi di nuovo a quelli che un tempo erano stati i suoi migliori amici e da cui si era allontanato volontariamente: era contento di averlo di nuovo nella sua vita, perché durante quei mesi, la leggerezza e il sorriso di Ron, unito a quello che si disegnava sul viso di Ginny ogni volta che li vedeva insieme, gli erano mancati terribilmente. 

Poi, anche Hermione si aggiunse ai festeggiamenti, con gli occhi tristi e l'accenno di un sorriso e, nonostante questo, Harry si guardò intorno e si sentì di nuovo completo.






Da quando era cominciato l'anno scolastico, Albus Silente aveva concesso agli alunni la possibilità di chiedere il permesso per smaterializzarsi anche all'interno della scuola e, dopo averlo ottenuto, Draco salutò il Preside e lasciò il suo ufficio: aveva bisogno di tornare a casa, perdersi nelle stanze di Malfoy Manor e sentire tutto il peso della sua tristezza, la voglia di volare via, di chiedere alla sua vita un conto che non sentiva di aver consumato se non nei sogni o negli incubi che faceva ogni notte. 

Sentì uno strappo all'altezza dell'ombelico e si ritrovò in camera sua dove riuscì a vedere i frammenti, gli sprazzi di luce di un tunnel fatto di pareti conosciute separato da quella realtà da cui voleva scappare.

Scese lentamente le scale e trovò sua madre seduta sul grande divano, con un libro tra le mani e le posò un bacio sulla guancia: da quando aveva raccontato la verità ai suoi genitori, Narcissa aveva compiuto dei passi che l'avevano avvicinata a lui e allontanata da Lucius. -Dov'è? 

-Non è in casa. Perché sei qui? 

-Avevo bisogno di evadere. 

Sentiva lo sguardo di sua madre addosso che lo guardava con amore perché, per lei, suo figlio era la cosa più bella di quel mondo fatto di sottomissioni non volute e rispetto mai ottenuto; era l'unica cosa giusta di una vita passata a piegarsi e ad eseguire ordini in una causa che non aveva mai sostenuto. La osservò mentre chiamava uno degli elfi domestici e chiedeva gentilmente di portare loro due tazze di tè. -Lo so che non è facile far finta di niente quando provi di tutto, Draco. 

Quel suono dolce sembrava lenire il bruciore di quelle ferite che faticano a rimarginarsi e si chiese quanto tempo ci volesse per guarire dal dolore dei ricordi, incapace di rialzarsi da solo, di capire da solo, di trovare un senso da solo. 

Ripensò alle parole che Hermione gli aveva detto prima della partita di Quidditch, ripensò alla scena che lo aveva portato a dare un pugno a Ron e capì di avere tutto ciò che loro non avrebbero mai avuto ed anche che loro avevano tutto ciò che lui da sempre desiderava- l'amicizia, l'amore, la fiducia- nel turbine di un passato lontano che si mescolava al suo presente, in una nota di nostalgia che non gli era mai appartenuta ma che, ultimamente, lo sorprendeva spesso. -No, non lo è. A volte sembra impossibile. 

-È davvero così importante? 

Annuì. -Sì. 

-Allora devi aspettarla… 

-Per quanto? 

-Anche tutta la vita, se fosse necessario.

-Ho paura di spezzarmi, di spezzarla. 

-È un rischio che devi correre. È difficile cogliere il momento giusto, ma ne varrà la pena e te ne accorgerai quando riderai insieme alla persona che ami e ti sentirai finalmente vero. 

Rimase lì,stretto in quelle promesse che stentava a mantenere, con la testa poggiata allo schienale del divano, mille pensieri ad affollargli la testa e il desiderio ancora forte di scappare per baciarla ogni giorno ed ogni notte senza vedere la fine di quelle immagini, la voglia di ritagliarsi uno spazio, anche piccolo, per guardarla negli occhi e chiederle di andare con lui per portarsi via da quei posti in cui non stavano più bene. 

Buttò fuori un alito di fumo di una sigaretta che si era consumata insieme alle parole di sua madre. -Devo andare…

-Perché non resti a cena? 

-No.- la strinse in un abbraccio che sembrava voler cancellare tutto il tempo in cui si erano sentiti obbligati a mostrarsi freddi, a non sentirsi madre e figlio. -Tornerò a trovarti presto. 

-Ti aspetterò qui. 

Risalì le scale che lo avrebbero portato nella sua camera, si fermò ad osservare il letto, l'armadio ed aprì un cassetto dal quale estrasse il biglietto dei desideri di Hermione, su cui la parola scritta appariva ancora più evidenziata, come a volerlo spingere a continuare, a non fermarsi, ad insistere. 

Eppure, in quel momento, Draco sentì tutte le sue speranze diventare granelli di polvere: li avvertiva sotto le scarpe, nei capelli, davanti agli occhi che provavano a restare forti, nonostante fossero pieni di delusioni. 

Si smaterializzò di nuovo ad Hogwarts e si diresse nella Sala Comune. Si bloccò sulle scale, nascondendosi dietro l'angolo di pietra ad ascoltare le parole di Daphne e cominciò a trattenere il respiro quando riconobbe la voce di Hermione. -Hai ragione. 

-Lo so e mi dispiace, ma è così: se vuoi chiudere davvero questa storia devi percorrere una strada diversa e fare in modo che la tua e la sua non si incrocian più. 

-E come faccio? 

-Devi lasciarlo andare: vi sto osservando da un po' e, anche se gli dici che non lo vuoi, i tuoi occhi dicono il contrario. 

-Non è vero.

-Si, lo è. Non vuoi ammetterlo, ma sai anche tu quanto ancora sei innamorata di lui, perché tu lo ami vero? 

Draco sentì il silenzio calare improvvisamente e il gelo salirgli nei polmoni, nel cuore, nella gola: capì che tutto il tempo del mondo non sarebbe servito a riportarla da lui, che la pazienza e la speranza di riaverla lo avrebbero soltanto fatto a pezzi e portato all'autodistruzione. Sentiva l'impulso di allontanarsi, ma decise comunque di attraversare quello spazio che lo divideva dall'uscita della Torre. 

Vide Daphne che alzava gli occhi su di lui. -Da quanto  sei qui? 

-Sono appena tornato. Sono stato a casa.- e il suo sguardo si posò sul viso di Hermione, su quella pelle dove i solchi delle lacrime avevano lasciato il sale di quel dolore che lui sentiva addosso e creava un muro di rimpianti che li divideva. La osservò a lungo, immaginò le sue mani ad asciugarle il pianto, la sua bocca a baciarle gli occhi, le guance e le diede le spalle per combattere contro se stesso, per darsi la possibilità di non cedere più e uscì nel corridoio, appoggiando le spalle al muro e scivolando fino a che non si trovò seduto sul pavimento: in quel momento, capí che soltanto con lei si era sentito amato, pur continuando ad essere se stesso, alternando gli attimi in cui indossava  la maschera di sempre a quelli in cui si spogliava di tutte le sue paure; che soltanto con lei aveva avuto la sensazione di raggiungere luoghi lontani e sconosciuti pur restando immobile e che soltanto con lei si era sentito completo, senza avvertire la mancanza di nient'altro che non fosse lei. 

Lei, lei soltanto, anche quando si trovava insieme a centinaia di persone. 

Angolo Autrice:

Eccomi qui… Non ho molto da dire riguardo a questo capitolo, ma spero davvero che vi piaccia ❤️

A presto, Exentia_dream2. 









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Capitolo 19
*** Presentarsi... ***


Presentarsi.. 

Era un giorno di nuvole grigie e cielo chiuso, di nervosismo per gli esami che si avvicinavano, di gesti compiuti a metà e tutto sembrava essere sospeso in un tempo di infinita attesa che nessuno riusciva a spiegare: era tutto fermo, tutto immobile e persino il vento aveva smesso di soffiare e di muovere i rami della Foresta Proibita. 

Draco era steso su un letto di coperte rosse e oro su cui non riusciva a trovare pace, perché quella mattina, a colazione aveva visto negli occhi di Hermione uno sguardo indecifrabile, perso, distante, come se fosse chiuso in una bolla di mondo in cui nessuno aveva il permesso di entrare, tantomeno lui, con i capelli sciolti sul viso a difendere quelle ciglia scure e lunghe e quella bocca screpolata dai morsi e dalla lingua che la inumidiva per qualche secondo, senza mai bagnarla davvero.

E lui aveva sentito il desiderio di toccarla, di capire che nessun altro dopo di lui aveva potuto assaggiare il suo sapore; gli tornarono alla mente il prurito alle mani, la gelosia che gli scavava in petto ogni volta che ripensava a Dean Thomas che le stava addosso come le foglie sugli alberi, sempre pronto a chiedere un di più che lei sembrava non avergli concesso, anche se sorrideva, anche se, a volte, gli rivolgeva uno sguardo dolce. 

Era come morire e tornare a nascere quando di notte la sognava e poi la vedeva al mattino, più bella di quelle immagini nella sua mente che lei riusciva a rubare, nonostante si fosse rifugiata nel suo orgoglio inutile e deleterio; la sentiva vivere prepotente in ogni parte del suo corpo, vivere più forte nei punti di pelle dove lui avrebbe voluto averla ancora e provava quella voglia violenta di amarla un'altra volta, anche se il dolore di non averla sembrava amplificarsi, occupare spazi e toccare apici di cui lui non conosceva l'esistenza. 

Si era sistemato sul materasso, con gli occhi fissi verso la finestra a guardare quel tramonto triste che non riusciva ad afferrare con la punta delle dita, in quel vetri colorati che spaccavano i riflessi di quel sole troppo freddo. 

Era una domenica sottosopra al sapore di sconfitte e disillusioni che stava masticando da solo, sputando ogni tanto la rabbia che gli saliva dallo stomaco. 

Sentì il peso di un corpo appoggiarsi accanto a lui e rimase immobile, nella stessa posizione a guardare oltre quella linea dritta di orizzonte, poi un sospiro pesante. -Tornerai ad amare, un giorno…. 

-Davvero? - aveva riconosciuto la voce di Harry e avvertì un senso di fastidio misto ad una consolazione a cui non credeva. 

-No, ma se cominciassi a pensarlo, forse, staresti meglio. 

-Cosa vuoi, Potter? 

-Credo di aver sbagliato quel giorno a non stringerti la mano… Probabilmente non sarebbero successe tante cose o, magari, sarebbe successo tutto lo stesso. - lo sentì alzarsi e, poco dopo, lo trovò di fronte a lui. -Ma credo che se Hermione ha visto del buono in te è perché c'è davvero, perciò vorrei rimediare. 

Guardò la mano tesa di quel ragazzo che gli stava proponendo una seconda possibilità, come se tutto il male che gli aveva recato non lo avesse mai sfiorato, come se il ritorno di Voldemort e l'attacco dei Mangiamorte non fossero mai avvenuti. La strinse pigramente, guardando quel senso di vittoria che si disegnava sul volto di fronte al suo. -Il marcio c'è sempre, Potter. Non illuderti. 

-Ha sempre avuto la capacità di guardare dentro le persone, di capire prima degli altri quando il pericolo era vicino e di chi fidarsi o meno. Non sono cieco, almeno non quando ho gli occhiali e ti ho guardato molto in questi mesi, ho imparato a conoscere i tuoi sguardi, i tuoi gesti e…

-Hai una cotta per me? 

-Nemmeno nei miei incubi peggiori, Malfoy. 

-Hai appena detto che mi fissavi di continuo. 

-Sì, ma… 

-Quindi mi ami, giusto? 

-Follemente. 

Lo guardò interdetto, con un sopracciglio alzato e, senza avere il potere di fermare le espressioni e le parole, all'unisono scoppiarono a ridere, con un che schifo esploso prima della risata. -Se anche mi piacessero gli uomini, Potter, credimi, non saresti per niente il mio tipo ideale. 

-Nemmeno tu: io preferisco i rossi. 

-Fa ancora più schifo immaginarti con Weasley. 

-Sì, anche a me fa abbastanza ribrezzo. 

Poi capí che quelle parole erano soltanto un modo per rompere il ghiaccio in superficie e scendere in fondo, a scalfire la base di quella infelicità che sembrava portarsi addosso come un mantello liso e bucato, mentre l'urgenza di porre quella domanda e ricevere una risposta vera lo fece tornare serio: Harry Potter poteva avere tutti i difetti del mondo, ma di certo non era un bugiardo e, a quel pensiero, gli tornò in mente il periodo durante il quale Dolores Umbridge era stata Preside di Hogwarts ed aveva punito chiunque con la sua piuma magica grazie alla quale Harry, più di una volta, si era graffiato la pelle e capí quali parole usare per darsi coraggio. 

Sorrise. -Non devi dire bugie. 

-Se ci penso, mi fa ancora male la mano. 

-Come sta? 

-Non come vuole far credere. Dovresti fermarti per un po', aspettare che anche lei cominci a camminare verso di te, perché non ha senso che tu sia l'unico a muoversi: avete cominciato in due e dovreste finire allo stesso modo. 

-Quindi è finita… 

-Non lo so. 

-Perché ne stai parlando con me? 

-Perché lei non parla, non con me, almeno. Qualcosa c'è ancora, lo so, ne sono sicuro, perché anche se la maggior parte resta in silenzio, I suoi occhi la tradiscono, ma è così testarda, così orgogliosa… E i cuori testardi sono sempre i più difficili da levigare, i più difficili da far arrendere. Credo che si sia allontanata da te per non vedere te allontanarsi da lei: è il suo modo di non stare male. 

-Non mi pare che adesso stia meglio. 

-Lo so… 

-E cosa dovrei fare? 

-Niente: aspetta che tutto torni al proprio posto e quando succederà, anche se ci vorranno mesi, non dovrai far vedere che stai sanguinano ancora. 

-Tra qualche mese non vedrà più niente di me, nemmeno l'ombra. 

-Cosa intendi?

-Che lascio tutto, torno a casa. 

-Perchè? 

-Credo di avere un progetto di vita e delle cose da portare a termine che troppe persone hanno lasciato in sospeso. 

Rimasero entrambi in silenzio, poi Harry annuì lentamente. -Spero sia per una buona causa. 

-Sì, questa volta lo è. 

-Per lei? 

-E per me. E per l'intero Mondo Magico. 

-Bene. 

-Non so se ne sarò davvero in grado. 

-A volte basta solo crederci. 

-Forse sì…

-Ci sono persone che non smettono mai di volersi bene perché ciò che le lega è più forte di ciò che le divide. E, ti sembrerà strano, ma io tifo per te e non per lei. O, almeno, per lei con te… Non so se mi sono spiegato…

-Più o meno.

-Sì, beh… hai capito quello che intendevo…

Guardava di fronte a sé, gli occhi di Harry pieni di una convinzione sicura che fu capace di convincere anche lui, sempre preda dei dubbi e delle paure che lo stavano lacerando dall'interno, guaiti silenziosi e potenti di una rabbia che da troppo tempo si era impossessata di lui, condannandolo a quell'esistenza vuota in cui tutti i sogni non avverati non erano nient'altro che cenere. -È vero, allora, quello che dicevano sul treno: Harry Potter è venuto a Hogwarts. Io sono Malfoy, Draco Malfoy. Ho scoperto che alcune famiglie di maghi sono migliori di altre, Potter. Non avrei voluto fare amicizia con le persone sbagliate.- gli tese di nuovo la mano, come quel giorno di nove anni prima, durante il quale, da bambino, credeva di essere migliore di chiunque e, questa volta, Harry la strinse in una presa forte, capace di trasmettergli un senso di appartenenza ad un cerchio di cui avrebbe da sempre voluto far parte e da cui gli ideali con cui era stato cresciuto lo avevano allontanato, costringendolo ad un odio che aveva prima odiato e poi distrutto nel momento in cui aveva capito di essere innamorato di Hermione. 

Poi, rimase da solo, ad arrampicarsi a quella speranza che gli stava lentamente nascendo dentro e che, senza rendersene conto, aveva cominciato a cullare e a difendere, portandola negli anfratti più nascosti di quel corpo che aveva la sensazione non gli appartenesse più. 

-Qualcosa c'è ancora, e quella frase gli rimbombava nelle orecchie, gli riempiva le vene di sogni e di stupore come quella volta, in un giorno di fine ottobre, per la prima volta si era davvero fermato ad osservare la neve e l'aveva vista sciogliersi nel palmo delle sue mani, con ancora l'inspiegabile gioia addosso di quel bacio che le aveva dato la sera prima, nella Stanza delle Necessità, quando la confusione e la paura dei sentimenti che provava gli davano qualche briciola di coraggio che lo lasciava libero di chiedere, tra obbligo e verità, la bocca di lei di nuovo sulla sua; l'invidia mista a quel senso di ammirazione che aveva provato il primo anno, durante la lezione di Trasfigurazione, quando si era girato ed aveva visto la piuma di Hermione liberare nell'aria e il suo sorriso soddisfatto e felice; l'imbarazzo che aveva avvertito quando Lucius si era presentato a lei, al Ghirigoro, dicendole che l'aveva conosciuta grazie ai racconti di Draco; la morsa che gli aveva stritolato lo stomaco quando l'aveva vista correre ad abbracciare i suoi amici, ripetendosi grazie alla foto magica di lei che stringeva Harry prima dell'inizio del Torneo Tremaghi; lo sgomento che gli era nato sulla bocca dopo la smorfia che gli aveva rivolto, durante il primo giorno di Hagrid come insegnante e la contentezza che lo aveva infastidito quando l'aveva vista preoccuparsi per lui, più del dolore causato da Fierobecco e la delusione che aveva provato quando lei gli aveva puntato la bacchetta al collo e, subito dopo, gli aveva dato un pugno sul naso; l'impotenza di fronte al suo viso quando i Mangiamorte l'avevano portata di fronte a lui, dopo averla catturata e lui non aveva potuto fingere come aveva fatto con Harry, il dolore fisico che aveva avvertito quando le sue urla avevano riempito il grande salone durante le torture di Bellatrix. 

Tornò a stendersi con la schiena dritta ed una domanda a riempirgli la mente: quando aveva veramente cominciato ad amarla?






Quella mattina, la solitudine che aveva rinchiuso nel cuore, premeva prepotente per essere vissuta in quel luoghi in cui i ricordi non le facevano male ed uscí a passi delicati dal dormitorio, mentre l'alba saliva lenta in quel cielo incolore e desolato. 

Il silenzio intorno si rompeva ad ogni suo respiro e al suono cadenzato del suo avanzare verso l'uscita, al fruscio del suo mantello sulle pietre del pavimento. 

Guardava le pareti e le crepe disegnate su quei cuscini di roccia, perdendosi nelle incrinature di quei secoli passati ad osservare la vita che aveva da sempre animato la scuola di magia, gli incantesimi a colorarle, l'odio corroderle e l'amore riempire quegli squarci vuoti. 

Respirò a pieni polmoni l'aria che la avvolse in spire di abbracci desiderati dopo il freddo troppo rigido dell'inverno che si era fatto lentamente da parte, che l'aveva osservata mentre si allontanava da un amore che non capiva, in lacrime, stretta nelle coperte per difendersi e curarsi. 

Il vento leggero le sfiorava il viso con quel profumo tiepido di fiori appena sbocciati, in una carezza di brina mattutina e pioggia abbandonata alla notte appena trascorsa. 

Aveva tolto le scarpe e le calze per sentire sotto i piedi la sensazione di toccare davvero il terreno. Camminava piano tra l'erba ancora umida, toccando qualche ciuffo verde più alto che le lambiva le caviglie con dolcezza, a ricordarle che quei momenti erano reali, che quei tocchi non erano la scrematura di un sogno che nel tempo aveva dimenticato e che ora gli stava tornando alla mente, accompagnato dal leggero suono delle increspature delle acque del Lago Nero, poco distante da lei. 

In quei respiri d'aria di natura, Hermione si concesse la fragilità del suo cuore e del suo corpo, solleticando le ferite di quell'anima di orgoglio di cui preferiva spogliarsi quando nessuno poteva vederla, sedendosi a gambe incrociate sul mantello, di fronte a quelle acque fredde, profonde, piene di vita nascosta, illeggibili, come gli occhi di Draco. 

Sentiva i capelli appoggiarsi sul suo viso, in disegni che le ricordavano le mani che l'avevano accarezzata senza fretta, che avevano aspettato per spogliarla e si erano fermate al tremore della sua insicurezza e si erano dedicate a lei con quei tocchi capaci di trovare e cancellare ogni paura, nel silenzio di quelle parole che non avevano bisogno di essere pronunciate. 

Aveva chiuso gli occhi, cullata da quel ricordo che la allontanava dal dolore che provava ad ogni risveglio e prima di chiudere gli occhi per abbandonarsi al sonno, oltre quel muro di addii che nessuno dei due aveva la forza di abbattere per le poche energie rimaste dopo i momenti in cui si erano dati tutto, in quel rumore di debolezza vuota che avvertiva ogni volta all'altezza del cuore. 

Aprì gli occhi quando sentì la presenza di  un'ombra sostituirsi al tepore dei raggi del sole che erano stati in grado di attraversare quello strato di nuvole e che, fino ad un istante prima, si era posato sul suo viso e, di fronte, vide Pansy in piedi, con lo sguardo rivolto in basso, sulla sua immagine. 

Osservò la sua bocca deformarsi in una smorfia di derisione. -Sono Pansy Parkinson. 

-So bene chi sei. 

-No, non lo sai: non mi conosci e sono qui per presentarmi. 

-Prego, non vedo l'ora di sapere tutto di te.- la voce piena di sarcasmo le permise di proteggersi per un po' da quella figura che la sovrastava ferma, senza tenderle la mano. 

-Sono Pansy Parkinson e sono quello che tu non potrai mai essere per nessun purosangue presente in questa scuola e in tutto il Mondo Magico e nemmeno per Draco: io sono le mani che ha sempre voluto sul corpo, la bocca che sarebbe capace di succhiargli via pure l'anima, le gambe che ha sempre voluto toccare e tu… tu non sei niente. Sei un'ingenua, una stupida…

-Contenta di esserlo se questo significa non somigliare a te. 

-Ho sempre scommesso su te e Potter e, quando poi ti ho vista insieme a quel pezzente di Weasley, ho capito quanto sei capace di arrivare in basso. E poi, Draco… oh, non puoi immaginare le notti che mi ha dedicato, quante volte ha urlato il mio nome e mi ha amata con tutto se stesso dopo che è uscito da quel dormitorio, dopo quei giorni che è stato costretto a trascorrere con te. Tutto quello che avete fatto insieme, per lui, è stata soltanto una storia divertente di cui ridere fino alle lacrime: sei stata un ripiego, niente di più. Hai davvero creduto che potesse provare qualcosa per te? Ti sei davvero illusa di essere alla sua altezza? Tu per me, per lui non sei nient'altro che una piccola, lurida, sudicia, sporca Mezzosangue. 

In quel momento, Hermione avvertì l'inverno e il gelo scendere nelle vene e mischiarsi in quel sangue che non avrebbe mai rinnegato, che per lei era uguale a quello di Draco, e che sentiva scendere lungo le gambe lasciandola  ancorata a quella frase, con gli lucidi che si scurivano in rivoli di vita che la stavano riportando indietro nel tempo, in quel campo di Quidditch dove per la prima volta si era sentita ferita dalle parole di quella bocca che con il tempo aveva imparato ad amare. 

Si sentì piccola, colpevole di quello sguardo affondato nel terreno sotto i suoi piedi e di quel dolore che non aveva dimenticato e che sentiva ancora più forte poggiarsi sulle braccia, sulle spalle, nelle mani che teneva incrociate sul ventre in una preghiera violenta che tutto finisse di girare dentro e fuori la sua testa, che quell'ombra che aveva di fronte scomparisse lasciandole solo l'eco lontana di quella cattiveria che le aveva regalato senza il suo consenso. 

Vedeva quelle parole prendere forma intorno a lei, in fotogrammi di affanni e dita che si intrecciavano e bocche che si cercavano, lasciando fuori la possibilità che quelle immagini fossero figlie di bugie che non erano mai state verità. 

Aveva la percezione di se stessa che si perdeva in uno spazio sconosciuto che si annebbiava e si dissolveva in attimi di buio infinito in cui si sentì incatenata, priva del potere di muoversi, inerme, distrutta. 

Chiusa in una spirale di male che la scaraventava sotto terra, in un limbo di domande e silenzi che le azzeravano i pensieri. 

Si rivide in ginocchio, a pochi passi dalla porta della biblioteca, in un corridoio illuminato dalle enormi lanterne fissate ai grandi archi, mentre cadeva in una voragine di abbandono senza ossigeno. 

-Respira. Piano, lentamente., poi, sentì gli occhi ribellarsi alla sua voglia di aprirli, fino a vincere quella lotta che Hermione non aveva la forza di affrontare. 

Quando provò a parlare, la voce le graffiò la gola tanto da farle sentire sul palato il sapore metallico del sangue e provò ad ingoiare quel dolore come fiele chiuso in una boccetta di vetro rotta e impolverata. 

Avvertì lo stomaco stringersi in nidi di avversione e rancore, in piegature di condanne e vergogne, in viluppi di inferiorità e sbagli. Serrò le labbra, poi le separò in un conato di stizza feroce. -Smettila di abbaiare, Parkinson.

La guardò mentre stringeva la mascella e assottigliava lo sguardo, come a volerla tagliare e ferire con gli occhi, le mani strette in un pugno di rabbia e le nocche bianche; la guardò mentre si allontanava con le spalle ancora rivolte al lago, in una promessa introversa e cattiva di ferirla ancora, poi si girò e scomparve in quella nebbia che ancora avvolgeva tutto ciò che circondava Hermione e che, lentamente, cominciava a disperdersi nei colori di un universo che si preparava a posarsi sulla terra, per difendere e lambire ogni sua singola ferita. 

Avvertì di nuovo la sensazione dell'erba umida sotto ai piedi e si accorse che le carezze del vento avevano allontanato le lacrime dalle guance e le avevano portate a mischiarsi con i capelli, a confondersi tra quei fili indefiniti che le coprivano il collo e la schiena. 

Provò a stendersi, ma si rialzò immediatamente come se fosse stata punta da un'infinità di chiodi bollenti e si liberò di quelle lacrime che per troppo tempo aveva provato a trattenere e dentro le quali sentiva di affogare, nonostante i passi che la stavano conducendo all'interno del suo dormitorio dove riusciva a sentirsi al sicuro. 

Quando entrò nella Sala Comune, vide Draco seduto sulla poltrona, una maglietta grigia dal collo slabbrato e i capelli a coprirgli la fronte: alzò gli occhi su di lei e, in quel momento, le tornarono potenti alla mente tutte le parole che le erano state rivolte poco prima e lo detestò più che mai, con gli occhi rossi e pieni di odio, mentre davanti a lei si animava l'immagine Pansy che apriva le gambe e si sistemava sulle ginocchia di lui. 

Quando lo vide alzarsi e andarle incontro, sentì i polmoni accartocciarsi e lo allontanò. -Non toccarmi.- e lasciò briciole di sé sul tappeto e sul pavimento, ai piedi del divano e tra le mani dell'uomo che aveva amato più chiunque altro. 




Angolo Autrice:

Sono tornata, in primis per lasciarvi questo e poi per informarvi che gli aggiornamenti saranno più frequenti dato che sono costretta a letto. 

Detto questo, vorrei parlarvi un po' di questo capitolo:

-chi segue Harry Potter, tra libri e film, conosce benissimo la scena in cui Draco si presenta a Harry e sì, è riportata proprio qui, con delle leggere modifiche richieste dalla storia;

-chi, invece, ha seguito questa storia sa benissimo che Pansy sta mentendo, che tutto quello che ha raccontato è una bugia e che Draco non è mai stata innamorata di lei;

-é un capitolo totalmente incentrato sulle presentazioni, che non lascia spazio a nessun altro personaggio e non è stata una scelta, piuttosto è tutto venuto giù così e preferisco lasciarlo in questo modo, con l'approfondimento dei loro pensieri. 

Bene, ho finito e spero che il capitolo vi sia piaciuto. 

A presto, Exentia_dream2. 













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Capitolo 20
*** Debole... ***


Debole… 



Immobili, con i corpi divisi soltanto dai granelli di polvere che sembravano volteggiare intorno a loro. Aveva visto gli occhi di Hermione seguirne le traiettorie immaginarie di alcuni pur di non posarsi nei suoi, con le mani ferme lungo i fianchi e le dita sottili mosse da leggeri spasmi e gli piacque pensare che fosse per la voglia di toccarlo, piene di quello stesso desiderio che vibrava nelle sue ed in tutto il corpo, nell'anima.

Perso in quelle lacrime trattenute da quelle ciglia, aveva la sensazione di essersi spaccato come dopo una smaterializzazione congiunta fallita miseramente, come sentiva falliti i suoi tentativi di allontanarla, ignorarla e le parole che gli aveva detto Harry il pomeriggio precedente si perdevano come il sangue trasparente che gli accarezzava le ferite che si portava dentro e che lui aveva esposto al suo sguardo fermo in quel piccolo spazio che divideva i dormitori femminili da quelli maschili, 

in quei centimetri di muro e vuoto. 

-Non mi toccare. Stammi lontano.

Guardò le sue labbra muoversi e il suono che ne uscí lo colpì forte, in un dolore che si attaccava ai muscoli come un Crucio esploso in pieno petto. 

Aprì e chiuse la bocca,come se stesse per vomitare i polmoni, convincendosi di non star rincorrendo le parole che non volevano saperne di uscire dalla sua bocca: forse stava solo cercando di non morire soffocato dal peso delle sue stesse viscere, dal peso del sul cuore che sembrava essere diventato di piombo ed era finito nei sotterranei, in quell'angolo di mondo dove si era sempre sentito intoccabile, indistruttibile. - Cos'è successo?- riuscì a chiedere, infine, allungando le mani per appoggiarsi a lei, per nascondere il tremore delle gambe che sembravano incapaci di sostenere il resto del corpo e i rimasugli di quell'amore si stava sgretolando lentamente sotto il peso di quell'allontanarsi irrefrenabile. 

-Non toccarmi.

Si sentì avvolto nelle lenzuola di Mount Street, con la musica chiusa fuori dalla porta, circondato dal silenzio rotto dal loro spogliarsi e dai suoi sospiri, dalle sue unghie nella pelle. 

-Non me lo puoi chiedere. 

-Sì, sì che posso. Hai detto che ti saresti allontanato, che non mi avresti pesare la tua presenza e invece mi sei sempre tra i piedi, sempre qui e io… io non riesco a dimenticarti, non riesco a… - seguí le lacrime scendere dagli occhi, rigare le guance e cadere in quel baratro che li divideva: li separavano pochi passi, ma in quel momento si sentì lontanissimo da lei, come se ai loro piedi si fosse aperta un’immensa voragine e non chiedeva che lei gli parlasse o che lo guardasse: gli sarebbe bastato prenderla per mano o stringerla tra le braccia. 

-'Miò… 

-Zitto. Sta' zitto, Malfoy. 

Sentì il suono del suo cognome spezzargli l'aria nei polmoni e quell' astio con cui Hermione lo aveva trattenuto e sputato dai denti gli diede la sensazione di essere diventato una brutta immagine che si scioglieva come un quadro lasciato sotto la pioggia e la certezza che, come gli altri, lei non vedesse altro che l'involucro di un corpo riempito dal proprio passato e dai propri errori: era solo un Malfoy, si era dimenticata del suo nome e lo vedeva soltanto come il figlio di una famiglia dedita al Signore Oscuro, segnato dal Marchio Nero. Ma lui era anche Draco, soprattutto Draco in quelle notti infinite e impregnate di solitudine in cui si chiedeva quando si era rotto quel confine sottile che separava l'odio dall'amore e lo aveva investito come l'onda di un mare in tempesta in cui aveva visto i principi di ciò che era e di ciò in un cui credeva sgretolarsi; quell'odio che lo aveva reso più forte, che non lo aveva distrutto dentro come aveva fatto l'amore per lei; quell'odio che non gli aveva mai permesso di chiedersi perché esistesse e perché proprio lei; e quell'amore che aveva cambiato tutto, che gli aveva fatto mettere in discussione le poche certezze che avevano resistito al tempo, che lo aveva svuotato e che aveva corroso le fondamenta  che lo avevano sempre tenuto in piedi; quell'amore che era sempre esistito e che sempre aveva negato, che non avrebbe mai voluto provare; quell'amore che era di fronte a lui e lo stava riducendo in detriti di uomo che si perdevano in quel cosmo di sconfitta. -Draco. 

-Non m'importa. 

Si chiese quanto fosse stata rapida per lei la ricostruzione di quel confine che lui non riusciva ad aggiustare e no, Hermione non poteva tornare a odiarlo, perché lui non sarebbe mai più riuscito a farlo, avrebbe fallito miseramente e si domandò come sarebbe andata quella storia se lei fosse al suo posto, se lei fosse stata diversa da quello che era lui in quel momento e, di fronte a quegli occhi grandi, feriti, delusi, Draco capì che lei poteva fargli del male, tanto male, molto più di quanto lui che le aveva fatto in quegli anni e di quanto avrebbe potuto fargliene in quel lasso di tempo in cui i loro respiri erano aumentati ed entrambi restavano fermi ad ascoltarli, in silenzio, immobili per la paura di sprofondare in quel buio che li teneva distanti. -Quando abbiamo cominciato a perderci? 

-Quando hai deciso di non credermi. 

-Non volevo che andasse così… 

-Le cose vanno come devono andare.

La guardò mentre si asciugava le lacrime con il dorso della mano, ponendo l'attenzione su quei polsi sottili e chiari che tante volte aveva stretto per trattenerla e farla restare con lui. 

Rimase fermo per tenere in piedi gli stralci di quelle promesse che sapeva non sarebbe stato in grado di mantenere. - Mi è sempre piaciuto il tuo sorriso, perciò ti prego, 'Mio, non piangere: anche se ci siamo persi, mi piacerebbe ricordare questo momento come uno dei più belli della mia vita. 

La vide alzare gli occhi al cielo, nel tentativo di trattenere le lacrime, puntarli al pavimento per capire quanto sarebbero stati gravi i danni di quella caduta e, magari, di lasciar cadere anche quella sensazione di non meritare quelle parole, quell'amore e le risposte mute che negava ogni volta che trovava la forza di chiedere a se stessa "perché a me?", come se non non fosse degna di quelle parole, come se meritasse quell'amore, come se non potesse essere la cosa più bella del mondo: aveva imparato a tradurre i suoi sguardi in quegli anni di insulti e Schiantesimi che si erano lanciati tra i corridoi, quei mesi di abbracci e parole non dette mentre si nascondevano e mentre si trovavano l'una di fronte all'altro, in una guerra di addii urlati di coraggio che nessuno dei due riusciva a vincere, mettendosi in ginocchio dietro quelle trincee di dubbi intaccati e di speranze deboli. 

Provò ad allungare un braccio verso di lei per riportarla indietro, in quello spazio di vita in cui si era reso conto di aver perso il conto dei giorni, la cognizione del tempo e altri pezzi di cuore, poi la vide sorridere. 

-Forse quello che proviamo non è forte come vogliamo credere. - e quando rivide gli occhi di Hermione nei suoi, capí che non c'era un vero motivo se quella storia aveva cominciato a frammentarsi nel tempo di bugie che erano state raccontate per separarli, capì che, di fronte a quelle parole, avrebbe soltanto dovuto arrendersi e, altrettanto , si ritrovò ad essere disperatamente innamorato di lei e la strinse, incastrandola tra le braccia e il cuore, in quegli abbracci dove il corpo faceva ben poco ed era l'anima a tessere le trame di quegli intrecci di corpi, per trasmetterle i sentimenti che provava per lei, per dirle, senza parlare, che al mondo esisteva qualcuno per cui lei era dannatamente importante, perché meritava di essere importante per qualcuno, molto più della maggior parte della gente. 

E capì perché i primi passi verso di lei lo avevano visto tentennare, in quella felicità in cui era inciampato e di cui aveva avuto paura perché sapeva che gli sarebbe stata strappata dalle mani, prima o poi. -Immagino che sarà il tempo a dircelo.-le baciò la fronte, soffermando le labbra su quegli angoli di pelle per sentirne ancora il sapore, le appoggiò il mento sui capelli per rubarle quel profumo e sentirlo ogni notte. -Girasoli, grano… Shampoo alla pesca. 






Si guardava intorno, cercando di cogliere ogni minimo particolare che caratterizzava quella stanza rotonda, dove non c'era nessun angolo dietro cui nascondersi e il Cappello dello smistamento dormiva placido, poggiato su una mensola, con la bocca a formare una piega slabbrata e tante storie da raccontare. 

La luce che riempiva l'ambiente sembrava diversa, più forte e tutto lì dentro raccontava la solennità di quel luogo. 

Si avvicinò al Pensatoio, carezzandolo con le dita lunghe e ambrate, chiedendosi quanti ricordi e quanti segreti contenesse ogni goccia di memoria che veniva versata in quell'acqua che sembrava immobile. 

Come il tempo, che restava lì, frammentato tra il soffitto e il pavimento. 

-Sono sicuro che lei non sia mai venuto qui. 

-No, mai. - rispose puntando gli occhi sulla figura del Preside che si accomodava sul bordo della sua poltrona, sistemando la lunga veste e poggiandosi finalmente allo schienale, con una lentezza estenuante. 

-Allora, prego, si accomodi signor Zabini. 

-Immagino di dover ricevere una punizione. 

Silente passò le dita sul legno dell'antica scrivania su cui giacevano una pila di pergamene invecchiate ed altre, invece, ancora chiuse con la ceralacca. -Immagina male. 

-Sì, beh… Allora perché sono qui?

-È una domanda lecita, la sua. Spero che risposta possa meravigliata. 

Blaise guardò l'uomo di fronte a sé, di cui aveva spesso dubitato sulle facoltà mentali e, in quel momento, pensò che avesse sempre avuto ragione a riguardo. 

-Vede. - sobbalzò quando il Preside riprese a parlare. -Dovrebbe, sì, essere punito per essersi smaterializzato senza il permesso, ma come si può punire l'amore? E come si può punire è stato capace di leggere tra le righe dell'odio e ha visto molto di più? 

Gli tornò in mente l'Oblivion con cui aveva cancellato i ricordi a Millicent Bullstrod e l'ansia che aveva provato quando Theo era venuto a conoscenza del suo piano da Cupido, armandosi insieme a lui di arco e freccia, venendo appeso a testa in giù a pochi centimetri dal suo letto. 

E poi, a come il suo piano era fallito miseramente. -La stupidaggine dovrebbe essere punita. 

-Allora non dovrebbe esserci lei seduto lì. 

-Forse no. 

-Le anime perse possono ancora e sempre essere salvate. 

-Non quando decidono di scappare. 

-Perchè mai dovrebbero? 

-Ha degli ottimi motivi per farlo.

-Si possono trovare degli ottimi motivi per fare qualsiasi cosa. Anche per restare. 

E senza un perché, cominciò a pensare a quando aveva ricominciato ad avere la sensazione di esistere davvero, di fronte a quegli occhi verdi, in una sala da tè ancora da sistemare e sorrise al ricordo di una separazione che sembrava non essere mai esistita. -Credo la sua teoria sia giusta, in generale. Ma non in questo caso. 

-Prego. - e allargò le braccia, facendogli segno di continuare. 

-Bisogna saper leggere o, almeno, bisogna saper parlare e, nonostante le medie dei voti molto alti, si stanno fronteggiando due esseri umani analfabeti. 

-Lo studio serve anche a questo. 

-Potrebbe servire anche solo un Filtro d'Amore, ma ha un effetto che dura poco. 

-Ed è quello che servirebbe, no? 

-Sarebbe meglio un incantesimo di Adesione Permanente. 

-La gelosia ha due correnti di movimento: allontana o avvicina. 

-Se usata su qualcun altro, non sui diretti interessati. 

-Ha avuto proprio una brillante idea, signor Zabini. 

-Perchè mi sta chiedendo di farlo? 

-Credo che la felicità sia un merito che spetta a tutti, anche se, a volte, fa molta più paura del buio e, di fronte ad una scogliera, quando abbiamo voglia di saltare e non sappiamo come fare, abbiamo soltanto bisogno di qualcuno che ci stringa la mano e salti con noi. 

L'arco e la freccia erano stati riposti in un armadio impolverato, dimenticato poco dopo, perché la vita era andata avanti per tutti e ognuno di loro aveva preferito fermarsi e cominciare ad amare piuttosto che giocare a far innamorare gli altri. 

Così, con un leggero cenno del capo e un sorriso mesto, Blaise era uscito dall'ufficio del Preside ed era rimasto fuori alla porta fino a che la statua che la chiudeva non aveva smesso di muoversi.





Harry da buon capitano della squadra di Quidditch, aveva deciso di stare seduto sugli spalti e calcolare con quante probabilità la sua casa avrebbe potuto vincere la Coppa delle Case.

-Siamo i primi in classifica. - gli aveva ripetuto per l'ennesima volta Ginny, che si sentiva a tratti una balia e a tratti sua madre quando spiegava a Fred e George perché i loro scherzi erano pericolosi, con quella voce cantilenante che celava malamente la voglia di essere ovunque ma non lì. 

Guardava lui e poi il campo che si stagliava davanti al loro occhi, con le tre porte a forma di cerchio e le torri, pensava alla gioia che provava quando riuscivano a vincere una partita sia per la conquista del Boccino d'oro sia per i punti segnati.

Poi, riprese a parlare con Harry. -Ho le mutande di pizzo rosso. 

-Ah, sì? 

-E anche il reggiseno. 

-È… è un bene? 

-Suppongo di sì, anche se sono davvero fastidiose e vorrei che me le togliessi. 

-Qui? 

-Sì, non è una cattiva idea.

-Sono atti osceni in luogo pubblico. 

-Un luogo pubblico desolato, però, dove non c'è un'anima, a parte me e te. 

-Davvero, Ginny… Non so se sia una buona idea, cioè… 

-C'è qualcosa che non va? 

-Sì, no… Beh,no… però… 

-D'accordo, va bene. - posò la sua attenzione sulla linea dritta dell'orizzonte e, per un attimo,  sentì di averla attraversata ed essersi stesa tra i fili d'erba e gli gnomi da giardino della Tana, sorrise al pensiero di tornare a casa ad abbracciare i suoi genitori, a mangiare lo stufato di Molly e a parlare dei nuovi aggeggi babbani che aveva scoperto Arthur. 

Perciò, quando Harry riprese a parlare, la sua voce sembrava ovattata e lontana, non del tutto comprensibile e, poco dopo quello che sembrava essere un monologo, tornò il silenzio. 

-Allora? Che ne pensi? 

-Co-cosa? 

-Non mi stavi ascoltando, vero? 

-Io… io stavo pensando, sta… 

-Va bene. - vide la sua fronte corrugata in un'espressione che non le era mai piaciuta, perché le ricordava i giorni in cui lui aveva avuto paura e l'aveva allontanata da lui.

Sentì una fitta allo stomaco. - Puoi… 

-Sì, cioè… Io pensavo che, io e te, noi, stiamo insieme da un po' e… Le cose sono cambiate, lo sai anche tu… credo che sia il caso che, insomma, sai… 

E poi, la voce di Harry si era mescolata alle urla della battaglia contro Voldemort, il rumore degli incantesimi che scoppiavano sui muri e riuscì a rubare, in quel discorso ad intermittenza, le parole perdersi

Quella volta in cui negli spogliatoi l'aveva accarezzata di nuovo, con le mani sotto la maglietta e poi l'aveva allontanata, quei giorni in cui il suo unico pensiero era salvare gli altri, liberare il Mondo Magico dal male. Lasciarci, lontani e la morsa allo stomaco si trasformò in un dolore fisico, che le spezzò la pienezza di un respiro che si stava concedendo per non gli piangere, perché gli occhi avevano cominciato a pizzicare e quella sensazione di malessere stava salendo dai piedi alle mani. 

Restò lì ancora un po', mentre Harry non smetteva di parlare e lei non aveva assolutamente voglia di aprire la bocca e farsi andare di traverso le lacrime che le si erano impigliate fra le labbra: si era sentita catapultata in quei giorni di torpore, di solitudine, di dolore trattenuto che aveva voluto dimenticare; in quei giorno di odio che aveva provato verso di lui per il suo maledetto senso di giustizia e di far vincere il bene, di metterla al sicuro senza capire che la stava uccidendo e verso se stessa che, invece, non aveva fatto altro che perdonarlo ed aspettarlo. 

Si alzò e vide la linea dell'orizzonte tramare, diventare sfocata e cominciò a mettere quanta più distanza tra il suo corpo e quello di Harry e, quando si sentì abbastanza lontana, cominciò a piangere, mentre quelle gocce di sconfitta si mischiavano ai capelli che correvano insieme a lei, per allontanarsi da quell'addio che era inciampato tra le parole di Harry. 

Si chiese perché aveva cominciato ad amarlo, perché e non sapeva dove cominciavano i motivi e dove finivano le occasioni dettate puramente dal caso che, in un modo o nell'altro, l'avevano fatto avvicinare a lui: semplicemente era successo e quando lo aveva baciato, per la prima volta, aveva trovato la sua bocca pronta ad accogliere quel bacio. 

E, quella stessa bocca, negli anni, non aveva fatto altro che allontanarla. 

Si sentì stanca, si sentì colpita e ferita allo stremo in una guerra che sapeva non avrebbe mai potuto vincere. 

Aveva corso fino a sentire le gambe cedere, poi si era trascinata fino al dormitorio di Grifondoro, dove un'allegra Signora Grassa cantava a bocca larga. -Lieto di conoscerla. 

E quella cantava, cantava e Ginny riuscì a vedere l'ugola della donna vibrare. -Lieto di conoscerla.- ricevendo in risposta soltanto un acuto poco intonato. 

Diede un calcio alla cornice e vide la donna nel ritratto portarsi le mani sulla testa e piegarsi sulle ginocchia.-Lieto di conoscerla, brutta grassona.

-Ma… brutta grassona a chi? 

Ginny colpì di nuovo la cornice che, finalmente cominciò a spostarsi dall'entrata e non si fermò nemmeno per un attimo ad ascoltare gli improperi della Signora Grassa. 

Le sembrò quasi uno scherzo trovare Draco Malfoy seduto e perso sul divano della Sala Comune e, dopo averci riflettuto un po' e dopo aver ripensato alle parole che si erano scambiati qualche giorno prima, decise di sedersi al suo fianco, prendergli il bicchiere dalle mani e bere, meravigliandosi del fatto che la sua pelle fosse così… umana. 

Aveva sempre pensato che Malfoy avesse una pelle viscida, quasi come quella di un serpente; una pelle fredda che Hermione aveva descritto nei dettagli, ponendosi il dubbio che, ad influire su quel calore, fosse l'umidità dei sotterranei. 

Sorrise e ricevette in cambio uno sguardo che non seppe descrivere, un misto tra lo schifato ed il sorpreso. -Non guardarmi così: sono una Purosangue anche io. 

-Non ti sto guardando in nessun modo, Weasley. 

-Bene. - si lasciò andare completamente contro lo schienale del divano, mentre il suo corpo era ancora sugli spalti del campo di Quidditch a pensare che forse il suo amore più che per Harry, era dedicato all'idea che aveva di lui e che, nonostante tutto, lei non riusciva a non provare. 

-Fa così male? 

Portò il bicchiere alla labbra e con la coda dell'occhio notò che Draco ne aveva appellato un altro. Fuori era buio: quanto aveva camminato? E perché non si sentiva ancora abbastanza lontana da Harry? Perché continuava a chiedersi dove fosse e cosa stesse pensando? -Ti fa piangere da quanto fa male. Tu… tu cosa faresti se la persona a cui tieni molto non facesse altro che allontanarti? 

-Me ne starei su un divano ad ubriacarmi. 

Soltanto in quel momento, Ginny si rese conto che era proprio quello che stava facendo, che entrambi stavano facendo ed ebbe l'impressione di vedere Draco sotto un'altra luce, senza la sua solita maschera e capí perché Hermione si fosse innamorata di lui, senza sapersi spiegare perché continuasse a mandarlo via. 

Si sentí uguale a lui: entrambi erano innamorati di chi avrebbe fatto di tutto pur di non amarli, di chi piuttosto che provare ad essere felice preferiva morire dentro. -Già…

-E tu? Tu cosa faresti se la persona a cui tieni molto non facesse altro che allontanarti? 

Ginny sorride al suono di quella voce bassa e svogliata. -Me ne starei su un divano ad ubriacarmi, suppongo. 

Si prese qualche minuto per osservare il suo viso: la bocca atteggiata in un sorriso storto, gli occhi lucidi a causa dell'alcool e tante altre cose: le sembrò di vedersi allo specchio e si versò un altro bicchiere di un liquido che non sapeva cosa fosse, ma che riusciva a farla sentire più leggera. 

Si sentì osservata e, quando girò il viso, trovò Draco fermo a fissarla. -Non affogare i tuoi problemi nell'alcool: fidati, quei bastardi sanno nuotare benissimo e, per quanto tu possa sentirti in salvo, alla fine affogherai. 

-Disse colui che in questo momento è sobrio? 

-Disse colui che non vede l'ora di affogare. 

-Come si sta là giù? 

-Di merda. 

-Beh, l'uscita è proprio sopra la tua testa. 

-È una fatica troppo grande. Non ho la forza di risalire. 

-Hai poggiato i piedi su qualcosa? 

-Ancora no: questa caduta libera è infinita. 

Ginny si alzò dal divano e si sedette sulla poltrona più vicina al camino. -Me ne versi ancora?

-Weasley?

-Mh?

-Non credere che dopo questo io sia il tuo migliore amico o tu la mia migliore amica. 

-Non lo crederei mai… 




Angolo Autrice:

Capitolo nuovo, spiegazione nuova che mi sento di darvi proprio per rendere la storia più fluida e comprensibile. 

Allora, devo chiarire qui che il capitolo precedente cominciava a raccontare un sabato pomeriggio e finiva con il racconto di una domenica mattina. 

Questo, perciò, riprende il tutto esattamente da dove lo avevamo lasciato nel capitolo precedente. 

Per quanto riguarda Ginny e Draco, voglio soltanto assicurarvi che no, non si innamoreranno, né diventeranno migliori amici: al momento, sono soltanto due ragazzi che si sentono feriti dalle persone che amano e sì, sicuramente si guarderanno in modo diverso, perché entrambi si sono scoperti umani, soprattutto Ginny ha visto un lato di Draco che non credeva potesse esistere. 

Inoltre (un'ultima cosa e poi giuro che vado via), mi farebbe piacere se faceste un saltino qui:https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3911671&i=1

A presto, Exentia_dream2
















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Capitolo 21
*** Più delle altre volte... ***


Più delle altre volte… 

Aveva dormito male, si era avvolta nelle coperte, aveva nascosto la testa sotto il cuscino, ma non era riuscita a mandare quella sensazione di soffocamento, quel dolore che la stava facendo piangere più forte delle altre volte: sentiva male all'anima, al cuore, in tutta l'essenza di se stessa. 

Sentiva quell'assenza pesarle dentro come un macigno, posarsi sulla voglia di rifugio, quel bisogno di tornare in quell'abbraccio e restarci per sempre, contro lo scorrere del tempo, contro tutto quello che li aveva divisi e che li aveva trascinati giù, sul fondo di quell'addio da cui non riuscivano a risalire. 

Sentiva diventare debole l'armatura che si era costruita, tanto da non riuscire più ad attutire i colpi, tanto da non riuscire più a respingerli.

E si era chiusa al suo interno, senza lasciare a nessuno la possibilità di leggerle dentro, soprattutto a lui che non riusciva ad andare via e non riusciva a tornare da lei, bloccato dalle difese che lei aveva eretto, da quei muri di ricordi che non riusciva a scalfire. 

Uscí dal dormitorio, si sedette sul parapetto dove aveva visto seduto lui, guardò davanti a sé la betulla centenaria. 

Il vento tra i rami frusciava delicato, in un suono dolce di foglie e primavera che sembrava prenderla per mano e portarla lontano, negli angoli nebulosi di quell'anima che sembravano schiarsi e colorarsi di sfumature nuove che la costringevano ad urlare quelle verità mute nascoste tra la punta della lingua e le labbra. 

Si sentì improvvisamente vuota, troppo indifesa per provare rabbia, per urlare o anche solo per mandare via dalla sua mente l'immagine che aveva di lui; orgogliosa, ferita, ostinata a restare in quel silenzio sbagliato che le impediva di tornare sui propri passi e fare la cosa giusta. 

E, di fronte a quell'albero che aveva resistito persino alla Guerra Magica, capí che non aveva fatto altro che allontanarlo a forza ogni volta che si avvicinava e che la paura che lui l'allontanasse la portava a nascondersi nelle domande che non riusciva a porre a nessuno, se non a se stessa. 

Si trovò incastrata nell'impossibilità di ammettere i propri torti: riusciva a sorvolare sugli errori di chiunque, eppure, sui suoi e quelli di Draco sembrava aver costruito castelli di macerie e condanne; si sentì fragile, vuota ad ammettere che era tardi, troppo tardi per tornare indietro e smettere di ignorarlo, di rimangiarsi tutte le parole che gli aveva detto per non essere ferita e quelle che gli aveva taciuto per orgoglio e per timore di vedere davanti ai suoi occhi una freddezza che non sarebbe riuscita a demolire. 

Risalì le scale che l'avrebbero riportata al dormitorio, attraversando in silenzio la Sala Comune che era stata resa più spaziosa con un incantesimo. 

Trovò Daphne in piedi di fronte al camino, le si avvicinò con un sorriso triste sulle labbra e gli occhi incollati al pavimento. -Ehi… 

-Ehi… Non riesci a dormire?

-Nemmeno tu. 

-Già, nemmeno io. 

-Che succede? 

-Io… non riesco a dimenticarlo… ed è qui, anche quando non c'è. 

-Forse non lo dimenticherai mai. 

-Lo sogno ogni notte: è sempre lì, a tendermi la mano per riportarmi indietro ed io gli vado incontro e… e poi fa giorno e so che non lo farò mai. Fa giorno e lo odio ancora di più, perché è sempre lì, sempre pronto a tornare e io non lo sarò mai… E mi odio, perché sto qua a parlare con te e ti sto dicendo una bugia, perché non lo odio, nemmeno un po'... 

Sentì le braccia di Daphne stringerla in un abbraccio che sapeva di comprensione e le lacrime scivolarle sulle guance, portarle via quelle briciole di corazza. 

-Perchè lo hai odiato per tutti questi anni?

-Mi ha sempre ferita e umiliata e poi, l'ho odiato semplicemente perché ci avevo fatto l'abitudine. Ma, in quel dormitorio l'ho guardato dormire, con quella fossetta sulla guancia e ho visto il suo sorriso… 

-Le cose migliori capitano sempre all'improvviso, quando meno te lo aspetti. Se non lasci che le cose facciano il loro corso rischi di perderle.

-L'ho già perso… 

-Forse sì. 

-Fa così paura… 

-Io penso che non dovresti averne: si ha paura delle possibilità, di quello che non è ancora realizzato, ma non delle certezze. E il tuo amore per lui è una certezza, è forte quanto il tuo orgoglio… forse, il problema è che non hai seguito il tuo cuore. 

Hermione rimase in silenzio, perché sentiva che di fronte alla verità non servivano le parole, non bastavano le scuse. -È quasi ora di colazione… 

-Sì. 

Aveva già indossato la divisa, perciò si mise ad aspettare seduta sul divano e lo sguardo fermo in quello spazio dove lui l'aveva abbracciata; vedeva quel susseguirsi di immagini sfumare in lacrime di silenzi, l'insopportabile sensazione di malinconia lasciata da un sogno troppo bello che si dissolveva davanti allo squallore della realtà.

Si sentiva in preda ad un attacco di panico: voleva che lui le urlasse tutto il suo odio, voleva che la baciasse e voleva tutto, ma non aveva niente perché aveva chiuso le mani a pugno, le braccia intorno al corpo per non lasciarsi più toccare e il pianto ad annebbiarle gli occhi per nascondere l'universo che teneva custodito dietro le iridi, con quei pianeti e quelle stelle di amore in perenne collisione. 

Sempre in bilico sull'orlo del baratro e mai pronta a lasciarsi andare, con le gambe piegate e il corpo stanco, con quei frammenti di anima spezzata che non riusciva più a ricomporre. 

E non riusciva a mandarlo via, non voleva mandarlo via, perché lui le abitava dentro e, per quanto scappasse, lo trovava sempre davanti alla porta del suo cuore. -Non te ne andare, Miò… 

Così come lo trovò quel pomeriggio, intento a guardare nel calderone, durante l'ora di Pozioni. 

Al primo banco, al posto affianco a quello che occupava lui, Draco aveva sistemato una pergamena su cui ogni tanto trascriveva una modifica da apportare alla pozione. 

Lo guardava, con la piuma sistemata dietro l'orecchio, gli occhi bassi sul preparato che bolliva e ricordò l'emozione che aveva provato quando, per la prima volta, lui le aveva dato appuntamento nella Stanza delle Necessità; quella calligrafia piccola, ordinata che le aveva creato il caos nello stomaco. 

Vedeva i suoi capelli scivolare sul viso e coprirgli il profilo, in quel movimento lento di nasconderlo, come se quei fili di seta sapessero che lei era lì a guardarlo, ad osservare ogni suo gesto e a chiedersi perché lui, proprio lui, aveva deciso di entrarle nel cuore, di farsi spazio tra i suoi sentimenti e riempirli di sé, chiedendo un permesso quasi educato solo dopo essersi seduto su quegli specchi di sentimenti e paure. 

Si chiese perché proprio lui aveva deciso che lei ne valesse la pena, perché si era messo a nudo nella Stanza delle Necessità, in quelle verità di gocce trasparenti e obblighi desiderati. 

-Io ci ho rimesso un po' di cuore, quel cuore di cui lei non aveva avuto cura, che aveva rotto spostandolo negli occhi ed ogni volta che lo scorgerva in quelle iridi grigie si sentiva un po' morire. 

Avvertì la mano tremare, mentre aveva iniziato a mescolare la pozione, di un tremore che aveva invaso tutto il corpo e chiuse gli occhi. 

Le sembrava di poter sentire ancora le sue mani addosso, i suoi respiri nell'orecchio, il suo profumo imprigionarsi tra le trame del maglione e il cotone della camicia. -Vattene via…

E, come un fulmine di notte, un uragano devastante, le tornarono alla mente le parole di Pansy e non riusciva a pensare a quelle parole e a voler soltanto bene a Draco, perché, nonostante i tagli e le ferite, in quel momento, si sentì disperatamente innamorata di lui. -Mi odi? E i dubbi, la paura che per lui quelle notti, quei pochi istanti vissuti come favole di un libro non fossero mai esistiti, la colpirono forte. 

Emise un sospiro pesante di malinconia e di tante parole non dette e si sentì troppo fragile per vivere nel mondo in cui viveva. -Io ti amo. 

Poi, aprì gli occhi e si immerse completamente in quel limite di quotidianità, sul suolo di cui non faceva altro che saltare dentro e fuori per trascinare con sé la sua ultima sconfitta. 





-Ma la smetti di evitarmi? 

-E perché dovrei? 

-Perché è da stupidi!

-Vattene via, Harry? 

-Tutto qui? Tutto questo perché non hai avuto il coraggio di ascoltarmi fino alla fine? 

-Sì. 

-È assurdo che dopo tutto quello che abbiamo passato tu non abbia nient'altro da dirmi … 

-Non abbiamo mai parlato tanto. 

-Non è vero e lo sai. 

-Credevo di saperlo, Harry. Credevo in tante cose e tu non fai altro che distruggere tutto e non ti importa di ferire chi ti ama, perché tu… 

-Perchè io, cosa? Cosa, Ginny? Avanti, dillo. 

-Vattene via. 

-No, io resto e non m'importa se ieri non hai sentito nulla di quello che ho detto, te lo ripeterò adesso, proprio qui… 

-Sta zitto, zitto. 

-Ti ho detto che ti amo e che da quando sei tornata con me ho capito non voglio nessun'altra; ti ho detto che ti amo, come ogni volta che ti vedo, più delle altre volte in cui ti ho vista. Ti ho detto che non voglio mai più sentire la parola perdere, perdersi e che se dovessimo lasciarci ancora, io farei di tutto pur di non stare lontani; e che per me sei la donna più bella r coraggiosa che io abbia mai conosciuto, la più testarda, la più tutto. E ti ho detto che appena avresti finito di frequentare Hogwarts ti avrei sposato, se tu lo avessi voluto, ma te ne sei andata via e non mi lasc… 

Le parole gli morirono in gola, perché Ginny lo aveva abbracciato, sprofondato il viso nell'incavo del collo. 

Le accarezzò la schiena, bagnata di acqua e sapone, le baciò  capelli. -Scusami… 

-Credi davvero che sia così cretino da lasciarti andare? 

-Hai dimostrato di esserlo più di una volta. 

-Dimmi di sì. 

-Sì. 

Al pensiero che quella pelle calda e liscia potesse finalmente appartenergli come sentiva che la sua apparteneva a lei sentì le vene e il cuore riempirsi di gioia e volare in alto, come i palloncini che aveva visto durante le feste di compleanno di Dudley e, ai quei pensieri che gli portavano tristezza, Harry decise di sostituire il momento che stava vivendo, con Ginny tra le braccia e il sì più bello che avesse mai sentito. 

-Sai cosa sei per me? Tu… tu sei una ricetta sbagliata, scarabocchiata su un bigliettino sporco di inchiostro, con ingredienti che sembra impossibile mescolare e poi ne esce fuori la migliore pozione del mondo. Sei la persona che ho scelto per la vita, Ginny e, lo ammetto, ci ho messo un bel po' prima di accorgermene, ma ora non potrei vivere senza di te.- sentì il suo respiro farsi pesante, le parole sussurrate con voce flebile, un sorriso distendersi sulla divisa che ancora indossava e ai staccò da lei. -Io ti amo davvero. 

Così avvicinò la bocca al suo viso e trovò la sua già pronta ad accoglierlo, come se lei gli avesse aperto la porta di casa.

E voleva che casa sua sapesse di lei, dei suoi profumi, dei suoi capelli trovati sul pavimento e le scarpe accanto alla porta. 

Voleva le sue gonne sistemate tra i pantaloni e le sue calze, i suoi pigiami. 

Aveva lottato così a lungo con se stesso, quando aveva provato ad allontanarla e si era di nuovo sentito vivo nel momento in cui lei gli aveva posato ancora le mani sul cuore, con la promessa di restare. 

-Perdonami, Harry, davvero… sono stata così stupida, ma ti avevi quella faccia ed io… 

La rassicurò stringendola più forte e le baciò la bocca, gli occhi, il naso, il mento. 

Si sentì invincibile, come se tutto il mondo gli scivolasse addosso senza lasciare traccia del suo passaggio, come se tutto il dolore che aveva vissuto non fosse esistito ; sentì gli occhi puliti, come quelli di un bambino che si affacciava alla meraviglia della vita, come quelli di un uomo che vedeva i suoi sogni realizzarsi, come i suoi ogni volta che la vedeva. -Giugno?

-Dicembre.

-Fa freddissimo a Dicembre… 

-Allora il primo Settembre. 

-Va bene. 

-È stato il giorno in cui mi sono innamorata di te. 

-Quindi è stato un colpo di fulmine… 

-Sarebbe meglio dire un colpo di saetta.- Ginny scoppiò a ridere e restò con il sorriso sulle labbra. -Voglio due figli. 

-Facciamo tre. 

-Perfetto.

-E il primo si chiamerà James. 

Harry avvertì le lacrime riempirgli gli occhi e il  cuore perdere un battito. O forse due. O forse fu solo in quel momento, mentre annegava nell'azzurro di quegli occhi, che cominciò a battere davvero. -Sì, si chiamerà James…

Nonostante sapesse che sarebbero passati anni prima che arrivasse quel giorno, Harry si ritrovò ad immaginare Ginny in abito bianco e i capelli raccolti e poi con un bambino stretto al seno che forse avrebbe avuto gli occhi azzurri, come lei o forse verdi. O li avrebbe avuti marroni, ma sarebbe stato bellissimo lo stesso. 

Capì che tutto quello che aveva vissuto fino ad allora era un passo per realizzare quel sogno, un passo per sentirsi finalmente parte di una famiglia tutta sua e sorrise. 





Da quando la compagna di stanza di Lisa si era trasferita in Francia a causa del lavoro dei propri genitori, Ron si era praticamente trasferito nei dormitori di Corvonero ed ogni sera ripensava agli errori che aveva fatto, ai passi che aveva compiuto e quelli a cui aveva cercato di rimediare. 

Qualche mese prima si era chiuso in se stesso, convinto di non essere abbastanza e si era finto un'altra persona nel carattere e nel fisico. 

Si rese conto di non conoscere il motivo che lo aveva spinto a farlo e se n'era pentito solo in parte, perché tutto quello, alla fine, gli aveva permesso di legarsi a Lisa. 

-Dicono che casa tua sia… particolare.- gli aveva detto un giorno. 

-Sì, lo è… ma è bellissima. Non parlo della costruzione, eh, perché, miseriaccia, quella è strana forte, parlo di quello che c'è dentro. 

Ed era vero: la Tana era stata, in passato, una sorta di stalla sul cui tetto erano state costruite delle camere di grandezza ed altezza irregolare; sembrava quasi un edificio pendente, circondato dall'erba incolta e gli gnomi da giardino, eppure, tutto intorno, sembrava essere posata una coperta di magia di stelle ed amore, con il sorriso colmo di gioia di mamma Molly che cucinava sempre più del necessario, l'entusiasmo di papà Arthur che si prodigava nella spiegazione, spesso errata, dell'utilizzo di un nuovo oggetto babbano e le mensole del camino stracolme di fotografie e ricordi belli. 

Ron sorrise leggermente a quel pensiero, sentendo forte la mancanza di quelle mura e delle persone che le abitavano, poi si girò di lato, reggendo il peso su un gomito. -Lisa… mi piacerebbe portarti alla Tana. 

-Potremmo andarci quest'estate. 

Allargò il sorriso e lo vide riflesso sul viso della ragazza che aveva di fronte: avvertì una sorta di felicità nello stomaco e nelle mani che si sporsero ad accarezzarla; appoggiò la testa sul suo seno, pensando che fosse il cuscino più bello su cui avesse mai dormito. 

Lisa cominciò ad accarezzargli i capelli, con quel movimenti di pace e tranquillità che lo facevano sentire vicino all'amore più di quanto credesse possibile e, più delle altre volte, Ron percepì il peso di quel sentimento nel cuore, con l'imbarazzo che gli aveva colorato il viso e le orecchie. -Io credo di amarti, davvero. 

-E lo credo anche io, altrimenti non avrei mai rinunciato ad una vacanza al mare, in Spagna, per decidere di restare con te… 

-Detto così non sembra proprio una bella cosa, sai… Ma, vedrai, sarà divertente… 

-Non ne dubito. 

-E magari potremmo andare insieme in Spagna. 

-Davvero? 

-Perché no? Potremmo procurarci una passaporta e stare lì per qualche giorno. 

-Mi sembra un'ottima idea, Ron. 

Quelle carezze sembravano aprirgli l'anima, romperla delicatamente e lasciare uscire fuori tutte quelle parole che lui non riusciva a dire, quel coraggio che, dopo la Guerra Magica, sembrava essere sparito: era sempre stato bravo a stare in silenzio, a mettersi un po' da parte, a tacere piuttosto che parlare di quello che aveva dentro. 

A fare il cretino gli veniva naturale, eppure, Ron, era molto di più: sorrisi che rassicuravano, carezze impacciate, scatti di rabbia e mutismo, chiusure ermetiche al dolore che erano state aperte e mai richiuse, odore di casa, gesti d'amore timidi. 

E Lisa sembrava essere andata oltre tutto, per arrivare, infine, al centro di quell'anima, dove lui era soltanto un ragazzino che aveva ancora paura di amare e stare male, che arrossiva alla minima attenzione, che non chiedeva altro di essere guardato per ciò che era. 

-Ron… 

-Mh? 

-Verrò con te ad una sola condizione. 

-Quale? 

-Uscire allo scoperto, dire a tutti che stiamo insieme. 

-È una condizione che mi piace, eccome se mi piace.- perché non si erano mai tenuti per mano nei corridoi, non si erano mai baciati davanti ai loro amici: passano le giornate a guardarsi, a sorridersi, senza mai negare quello che li legava e senza mai viverlo a pieno. 

Ora, però, sembrava girare tutto nel verso giusto e Ron, finalmente, si sentì di nuovo felice, come quel primo settembre di tanti anni fa, quando aveva conosciuto Harry e Hermione, come quando aveva varcato la porta di Hogwarts, come quando gli era riuscito il primo incantesimo. 

E capì che no, non credeva di amarla: ne era sicuro. 



Angolo Autrice:

Eccomi qui, con questo capitolo decisamente meno corposo rispetto a quelli precedenti, ma ormai siamo davvero agli sgoccioli di questa storia che, spero vi stia piacendo. 

E, sinceramente, mi sto conservando per il capitolo finale che, per come si stanno mettendo le cose, credo che somiglierà molto ad una piccola Bibbia 😂

È un capitolo strano, pieno di paure, promesse, certezze che ho adorato scrivere… 

Ci sono dei ringraziamenti che non ho ancora fatto e parlo di quelli nei confronti di chi ha inserito questa storia tra le seguite/preferite/ricordate.

Grazie perché è un piacere credere che questa storia sia speciale anche per voi e perché vi immagino che leggete e spendete un po' del vostro tempo per me. 

Grazie ad Artnifa che non manca mai di recensire e con le sue parole mi sprona a non abbattermi, anche se questa storia ha poche recensioni. 

Grazie a Nini1996 che sta scrivendo una storia davvero bella,,"La vendetta dei fratelli Carrow", e che, se vi interessa, potete trovare nel suo profilo. 

Grazie a Lumamo64 che si fida di me. 

Grazie a roxie w che ha letto la prima parte di questa storia tutta d'un fiato. 

Ora, vi lascio e spero di potervi ringraziare ancora… 

A presto, Exe. 




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Capitolo 22
*** Il Bagno dei Prefetti ***


Il Bagno di Prefetti

Si erano parlati per l'ultima volta quasi un mese prima, nei giorni di fine Marzo che regalavano i primi fiori della primavera, i boccioli schiusi, le rondini nel cielo. 

-Io non ci credo. - le aveva detto con voce ferma, senza smettere di guardarla negli occhi. 

-A cosa non credi? 

-Non ci credo. Non ci credo che ti sei già dimenticata di me, che te ne sei fatta una ragione… 

-Dovresti crederci, perché è proprio così. - e a dire quelle parole, aveva sentito il vuoto scavare nell'anima, bucare la pelle, esplodere nella testa. 

-Se è veramente questo che vuoi… 

-Ho bisogno di andare avanti e se tu continui a guardarmi, a toccarmi, a parlarmi… non credo di poterci riuscire. 

-Perchè? 

-Perché è la cosa giusta per entrambi… 

-Chi ti dice che lo sia anche per me? - poi l'aveva guardata e lei aveva sentito le gambe venir meno in quelle emozioni di grigio e poco coraggio. 

-Non me lo dice nessuno. 

-Non puoi scegliere per tutti e due. 

-Allora, fai come se stessi scegliendo solo per me. 

-Va bene. Allora, te lo prometto. 

-No, Malfoy, ti prego. Le tue promesse non valgono niente. 

-Non è vero. 

-Si che lo è. 

-Solo perché ho provato a tornare assieme? 

-Sì. 

-Non succederà più. Davvero. 

E quando Draco era uscito da quell'aula, Hermione aveva deciso di chiudere a chiave la porta del suo cuore e guardare il mondo attraverso le finestre, senza mai aprirle, senza mai esporsi.

Da quel momento, Draco aveva evitato di incontrarla e di salutarla e lei si era sentita più sola che mai, nonostante fosse tra tanta gente. 

Soltanto durante le lezioni che avevano in comune riusciva a sentire il suo sguardo addosso e nella Sala Grande, mentre lei lottava con se stessa per vincere quella voglia assurda di andare avanti e di tornare indietro allo stesso tempo, di allontanarlo e di stendersi su di lui e sentirlo dentro, di andare lontano da tutto senza di lui e di andare lontano da tutti insieme a lui. In perenne lotta, in perenne guerra con quell'amore che voleva ancora e che non voleva più, mai più. Per sempre. 

Era entrata in punta di piedi nel candore di quella camera, sporcando il pavimento con i disegni della sua ombra; aveva aperto i rubinetti riempiendo l'ambiente di profumi e bolle di sapone colorate, perdendosi in quelle trasparenze fragili come lei, come il suo cuore. 

Si era immersa nell'acqua, in quei fruscii e carezze di capelli che le sfioravano la schiena e i fianchi, in apnea dai ricordi e dai dolori. 

Nell'acqua che le lambiva la pelle, in quei tocchi di magia e colori sbiaditi che la allontanavano dai minuti che scorrevano lenti sulla sua sottoveste di seta bianca. 

Coperta da una stoffa sottile che nascondevano i graffi e le cicatrici di un corpo che sembrava vivere solo con le memorie di quelle dita che le curavano senza saperlo. 

Ma il dolore sembrava lontano, il battito del cuore ridotto ad un sussurro debole; immersa in quella immobilità che la incatenata a se stessa, Hermione capí di aver amato davvero per la prima volta. 



-Se fosse dipeso da me, Granger, le cose non starebbero così. 

- E come? 

-Non lo so. 

-Ah, no? 

-No, ma di sicuro non avrei scelto di innamorarmi di te. 

-Mi stai dicendo che mi ami? 

-No. 

-Lo hai appena detto… 

-No, ho detto che provo qualcosa per te, ma non so cosa sia. 

-Perchè non lo ammetti? Perché non riesci a dirlo? - lo aveva guardato negli occhi, in quelle iridi che urlavano la voglia di lasciarsi andare, di scivolare in quei deserti di incertezze e sabbie mobili, di venti a cui era impossibile resistere.

Poi, lo aveva visto perdersi nel gelo di quei laghi dietro cui si nascondeva, dietro cui si sentiva al sicuro e nessuno poteva ferirlo e Hermione si sentì trascinata sul fondo. 

-Perchè non ho niente da ammettere e niente da dirti. 

-Va bene, d'accordo. 

-Forse… Forse è meglio se… 

-Si, hai ragione. Meglio allontanarsi adesso. 

L'aveva visto allontanare le mani e subito dopo posarle sul suo viso, poggiare la fronte alla sua. - Del dopo. 

-Cosa? 

-Una volta ti ho chiesto di cosa avessi paura, mi hai risposto così. 

-E… e tu hai paura del dopo? 

-Sì. 

-Quale dopo? 

-Quando finirà. 

-Non deve succedere per forza. 

-Succederà, lo so. 

-Non è vero. 

-Sì, te ne andrai. 

-Ma… Abbiamo promesso di partire insieme, di andare al mare…

-E lo faremo, se me lo permetterai. 

-Sì, sì. 

-'Mio… io non ti chiederò di curare il mio passato, né di accettare quello che ho fatto o far finta di non averlo visto, né di abbracciarmi… 

-Puoi chiedermi tutto quello che vuoi. Tutto. - si sentiva pronta a curarlo, a cancellare il suo passato se necessario; si sentiva pronta ad abbracciarlo, a baciarlo, a spogliarsi per lui e vestirlo della sua pelle. Avrebbe promesso, giurato qualsiasi cosa pur di stare con lui. 

-Non mi allontanare. 

-Non lo farò. 





-Non posso dargliela. 

-Ho bisogno di quella pozione. 

-Sono spiacente, signor Zabini. 

-Lei non capisce, professore, è importante davvero. 

-No. 

-Professor Piton… 

-Signor Zabini, mi ascolti: l'infelicità è come la pelle e non può essere strappata via. Possiamo lavarla, disinfettarla, ma sarà sempre su di noi, restiamo sporchi.

-Non ho tempo per prepararla, professore. 

-Ed è soltanto un bene. 

-Ho il permesso di Silente. 

Lo vide irrigidire la mascella e fare un gesto di stizza con la testa. -Cosa crede di ottenere? 

-Non lo so. 

-Non le è bastato aver spinto tanto in una direzione che si è rivelata sbagliata? 

-La direzione era giusta. Solo che.. 

-Nessuno può proseguire tanto a lungo sulla stessa strada. 

-Professore…

-Signor Zabini, a volte non c'è niente da fare. Non tutto può essere riparato. Sono le cose che amiamo di più a distruggerci.*

-E lei lo sa bene, vero? Per questo non riesce ad essere felice della felicità di qualcun altro? 

-La porta è lì. Prego. 

Blaise aveva stretto i pugni, sentiva l'aria bruciare nelle narici e scendere nei polmoni con lembi di fiamme gelide. 

Guardò la stanza cupa, buia, colma di scaffali e pozioni, con il camino posto in un angolo ed un enorme tavolo rotondo accanto ad una poltrona verde.

Ricordò le lezioni di Occlumanzia, le volte in cui Piton era riuscito ad entrare nella sua mente, vagato nelle sue paure; ricordò quell'unica volta in cui era stato lui ad invadere i pensieri del professore e lo aveva visto amare da lontano e in silenzio, perdere quell'amore che aveva sempre vestito da amicizia. Ed aveva sempre mantenuto il segreto. 

Rivolse ancora uno sguardo all'uomo che aveva di fronte, poi lasciò l'ufficio ed i sotterranei. 

Sentiva il bisogno soffocante di uscire fuori, di guardare il cielo e capire che le parole di Piton fossero solo bugie, che non era vero, che si poteva percorrere una strada infinita con la stessa persona accanto. 

E pensò ad Aria, al desiderio di vita quotidiana che avrebbe voluto vivere con lei ed al suo sorriso sul cuscino, i suoi sogni tra le lenzuola. 

Mentre il cielo diventava blu e salutava l'arrivo della sera, mentre il mondo girava e la vita proseguiva, Blaise pensò a quanto essere se stesso fosse stato più facile quando aveva finto che la magia non esistesse. 





Aveva camminato nei corridoi senza meta, percorrendo più gli stessi angoli di pietra, pareti su cui l'aveva spinta per insultarla e poi per amarla. 

Si era perso in quei colori che sentiva esplodere dentro, mescolandosi al nero e al bianco che ricoprivano l'anima, senza sfumature, senza gradazioni, senza legami. 

E si era ritrovato nella consapevolezza di essere diventato un estraneo per la persona che più amava al mondo, di cui conosceva l'odore e i respiri, i sogni che si nascondevano dietro le sue palpebre, i punti deboli. 

Ripensò a quante volte si era sentito messo con le spalle al muro, schiacciato da quelle verità con un solo volto che lo spingevano in ginocchio, senza difese e con troppe paure. 

Tradito da quel sangue che aveva sporcato con gli ideali sbagliati, tradito da quelle labbra che gli aveva giurato amore. 

Si era fermato di fronte alla parete su cui sarebbe apparsa la porta della Stanza delle Necessità, quel luogo dove tutto era stato vero e dove tutto era stato possibile; quel luogo in cui Draco Malfoy era diventato soltanto Draco, in cui quella che per anni aveva definito una mezzosangue era diventata un vaso di cristallo troppo fragile, troppo pulito, con troppe crepe sulla superficie e nelle profondità nascoste. 

Proseguì dritto, con gli occhi bassi per non posarli sulle pietre impregnate di ricordi e discorsi spezzati a metà con le dita sulla bocca e i pensieri annodati. 

-Mi sono sentito sempre nascosto nell'ombra… 

-Lo sei sempre stato. 

-È scomoda. 

-A volte è necessaria. 

-Perchè hai paura di farti vedere con me? 

-Perché non sono pronta. Non sono pronta a provare quello che provo. 

-A cosa ti serve ostacolarlo? 

-A trattenere energie. 

-Per? 

-Per potermi rialzare. 

Le aveva teso la mano. -Questa non ti basta. 

-Non lo so. Potrebbe essere la stessa che mi scaraventa al suolo. 

-Oppure no. 

-Oppure no, ma potrebbe. 

-Anche le tue, allora… 

-Sì, anche le mie. 

Era seduta sulle scale della Torre di Astronomia, con la gonna stropicciata e i capelli gonfi. 

Gli occhi rossi, le mani tremanti e di fronte a lei aveva commesso l'errore più grande della sua vita e deglutì a fatica, con il fiato che faceva a pugni con la gabbia toracica per essere sputati fuori prima delle parole; si perse nelle ciglia e nelle linee di quel viso che ormai conosceva a memoria; con quel cuore tra le dita che aveva paura di spogliare e di essere spogliato ed aveva sentito il sangue gelarsi nelle vene, in frammenti di ghiaccio che sembravano tagliargli la pelle da dentro. 

La vedeva sedersi nei suoi pensieri, prendere spazio e aria e sentiva il respiro pesante. 

Aveva pensato che avrebbe dovuto andare via in quel momento, prima che fosse troppo tardi e poi capì che avrebbe potuto attraversare il mondo a piedi, ma non si sarebbe mai sentito abbastanza lontano da lei, perché la portava dentro e che avrebbe potuto navigare tutti i mari, ma non avrebbe avuto senso nuotare in quelle acque se non ci fosse stata anche lei.

Era arrivato davanti alla porta del Bagno dei Prefetti ed aveva sentito l'irrimediabile desiderio di bagnarsi, di perdersi nei profumi dei saponi appoggiati nel vuoto della vasca. 

Aprí la porta e poi la vide: immersa nell'isolamento di quella stanza candida, pura, come la sottoveste che le disegnava il corpo nelle curve, con l'acqua che aderiva alla stoffa, quasi come fosse nuda. 

La vide sollevare la testa, passare le mani nei capelli lunghi, rami bagnati dall'umidità e le incrinature di quelle piccole onde che erano figlie dei suoi movimenti piccoli, stanchi. 

E il rancore, la rabbia sembrava esserle scivolati dal viso, con gli occhi chiusi in una pace idilliaca di carezze di bolle e raggi di luna in quel silenzio devastante. 

Continuò a guardarla con l'anima dolorante per la sua mancanza, la voglia di bagnarsi ancora di lei, con lei. 

E si chiese perché, nonostante fosse lei quella ad essere immersa in acqua, l'unico ad annegare fosse lui. 



Angolo Autrice:

 

Eccomi qui, con il penultimo capitolo di questa storia ed un'emozione immensa a scrivere questo piccolo angolino tutto mio. 

Vi avevo già avvisate che i capitoli precedenti all'ultimo sarebbero stati meno corposi e, questo in particolare, lo è davvero. 

C'è un piccolo asterisco che segnala una bellissima frase di Hunger Games, il canto della rivolta. 

Ora, spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero di potervi ringraziare ancora una volta. 

A presto, Exe. 





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Capitolo 23
*** Felix Felicis ***


Felix Felicis

Era seduto sul letto, i piedi ben saldi sul pavimento e le mani chiuse in una muta preghiera di coraggio e codardia. 

Mancava qualche minuto all'ora stabilita per l'appuntamento e non riusciva a muoversi: non era pronto ad abbandonare quelle mura, ad abbandonare lei. Non era pronto a perderla davvero e forse non lo sarebbe mai stato. 

Guardò per l'ultima volta le tende rosse, i bauli sistemati accanto ai letti, la stufa di metallo, la sua sciarpa verde e argento e strinse i pugni. 

Aveva ripercorso ogni corridoio, guardato con attenzione ogni statua, ogni ritratto; era tornato nei sotterranei toccando gli enormi vetri dietro cui viveva un mondo che non avrebbe più rivisto, aveva risalito il sentiero della Foresta Proibita e si era seduto sulle rive del Lago Nero ad ammirare l'acqua illuminata dal sole, increspata da quella lieve brezza che sapeva quasi di estate. Aveva accarezzato le pietre, il legno, gli specchi ed era tornato nel bagno in cui aveva quasi rischiato di morire; si era fermato a lungo di fronte alla parete della Stanza delle Necessità, ricordando le ore spese a riparare l'armadio svanitore e quelle spese tra libri e scorci d'amore. 

Si era sentito sospeso nel fruscio leggero delle foglie, nei colori dei fiori, distratto dalle piccole cose che non aveva mai notato, dai sussurri del mondo che non aveva mai ascoltato, incantato dalle sensazioni che provavano le sue dita a contatto con l'esterno, mentre provavano a catturare anche un solo soffio d'aria, una goccia di notte illuminata dal giorno.

I capelli a coprire gli occhi lucidi, le mani nelle tasche, la bocca dritta e, come mai prima nella vita, Draco Malfoy si era sentito a casa.

Poi, si era vestito, guardandosi allo specchio, ripetendo a se stesso che quella, proprio quella, la più difficile, era l'unica strada da seguire.

La scelta giusta, quella che avrebbe rimediato ad ogni suo errore, anche il più banale: a tutte le volte che aveva finto di amare, nelle notti di piacere, all'unica volta che aveva amato davvero, mentre il nuovo si presentava al mondo, al suo mondo; alle volte aveva nascosto i suoi sentimenti con gli insulti, alle volte in cui avrebbe dovuto correre e invece era rimasto fermo; alla volta in cui si era fatto marchiare dal male, senza opporsi e a quella volta in cui Hermione gli aveva chiesto un motivo per restare e lui era rimasto in silenzio, muto, smarrito, sconfitto. 

E, soltanto dopo essersi seduto di fronte al Preside affiancato dal professor Piton, aveva capito di aver lasciato il proprio letto. 

-È stato un anno difficile. - cominciò in un sussurro. -Il più difficile, a dire il vero… 

-Conoscere sentimenti di un certo peso è difficile, signor Malfoy. 

-Sì, anche chiudere la mente alle invasioni altrui lo è, soprattutto se la lettura del pensiero è stata obbligata dal più grande mago di tutti i tempi. E, vi prego, chiamatemi Draco. 

-Sì, lo è. - rispose il Preside. 

Guardò i due uomini che aveva di fronte, gli occhi pieni di chi ha vissuto per troppo tempo nella solitudine dell'amore ed ebbe paura di poter scoprire i suoi e trovarli così. 

-Sono qui per firmare la fine del mio percorso a Hogwarts. 

-Ci sono tanti motivi per restare, Draco. 

-Ed uno solo per andare via. Quello vale più di tutti. 

La mano di Silente si posò sulla sua e quel calore sembrava avere il potere di rassicurarlo, sembrava allontanasse un po’ il freddo di quella tristezza che lo invadeva e gli camminava sotto la pelle. 

-Sei sicuro di quello che stai facendo? 

-Sì. 

-Allora spero che, almeno stasera, tu possa essere felice. 

-I risultati degli esami mi hanno particolarmente divertito. 

Per la prima volta, i risultati dei G.U.F.O. erano stati esposti all'interno di una grande cornice dorata, all'entrata della Sala Grande e, prima ancora dei suoi, Draco aveva vagato con lo sguardo su quelli ottenuti da Hermione: dodici G.U.F.O., dodici Eccezionale. 

Aveva sorriso, aveva scosso la testa pensando che non sarebbe potuto essere altrimenti e poi risalì la lista dei nomi, fino a trovare il suo. 

-Nove su nove, Oltre ogni Previsione, Eccellente, Draco. 

Erano quelli i voti che aveva preso agli esami, meravigliandosi del fatto che fosse riuscito ad ottenere tanto, nonostante nella sua mente sembrava non esserci stato spazio per nient'altro, se non lei. 

E, al ricordo del sorriso che le era era esploso in viso di fronte alla grande cornice e dell'abbraccio in cui aveva stretto i suoi migliori amici, Draco ebbe la sensazione di inciampare, 

cadendo nel disordine che aveva dentro, che non aveva il coraggio di sistemare; quegli accumuli di ricordi, di schiene, di sogni, di parole dette troppo in fretta e di parole mai dette, di illusioni, pensieri, speranze, rimorsi, temporali e cieli sereni. 

Capì che era arrivato il momento di compiere un altro passo, perciò si alzò dalla poltrona e accarezzo tutto il perimetro di quell'ufficio circolare e polveroso. 

Si fermò di fronte ad uno specchio dalla cornice dorata e si vide riflesso insieme a Hermione che gli scompigliava i capelli. 

-Quello è lo Specchio delle Emarb, Signor Malfoy: una trappola che può portare dolcemente alla pazzia. 

-Quello che vedo non è reale.

-No, non lo è, ma quello che vede rappresenta i suoi desideri più profondi. 

Respirò piano e si rivolse al Preside. -Non sono mai stato coraggioso, mi sono sempre nascosto dietro il mio cognome, dietro gli obblighi che dovevo adempiere. Sulla Torre di Astronomia le ho detto che non poteva capire, mentre lei sapeva già quello che sarebbe successo e lo ha evitato, mi ha dato la possibilità di non macchiarmi di colpe che non avrei saputo espiare. La ringrazio per questo. Credo che quella sia stata l'unica volta in cui mi sono sentito un codardo fiero di esserlo. 

-Draco, la codardia è l'altra faccia del coraggio:hai lavorato e hai rischiato per noi, hai lottato e sei rimasto con noi. Questo è un grandissimo atto di coraggio. 

Fece un sorriso stentato, poi posò gli occhi sulla figura scura del professore. -Solo lei sarà in grado di capire veramente.- e notò negli occhi di Piton la consapevolezza che alla visione di quei ricordi avrebbe vissuto di nuovo la storia, rivedendosi in Draco e, forse, rivedendo Lily in Hermione. 

Vide entrambi abbassare lo sguardo, poi si portò la bacchetta alla tempia, sciogliendo i fili di quei ricordi che sarebbero rimasti in lui per sempre, custodendo soltanto per sé il ricordo di Hermione su un tavolo della biblioteca e tra le lenzuola, poi li depositò in una boccetta di vetro su cui impresse le iniziali del suo nome. 

Accarezzò con mani incerte e tremanti il Pensatoio, poi sorrise. -Mi avete detto che non avrei saputo riconoscere l'amore, che non avrei saputo accettarlo ed è stato difficile, ho creduto di impazzire, ma l'ho accettato. E ho accettato anche di averlo perso. Questi sono i miei ricordi. Abbiatene cura. 

Lasciò l'ufficio del Preside con la sensazione di essere nudo, si aver lasciato troppo di sé in quelle pareti di vetro. Sentì il coraggio fluire verso l'esterno del corpo e tornò nel dormitorio. 

Si sedette ai piedi del letto, guardando il completo blu che avrebbe indossato per la cerimonia dei diplomi: si sentiva stanco, provato, incapace di proseguire e vivere quegli ultimi momenti tra quelle mura. 

Sfiorò la stoffa liscia della giacca e quella leggermente porosa della cravatta; si chiese quale piega avrebbe preso la sua vita, se fosse stato capace di andare avanti e di realizzare i suoi piani di un futuro troppo imminente, già pronto davanti ai suoi occhi. 

Intercettò con lo sguardo il volantino di invito alla festa su cui era stampato un cielo illuminato da miriadi di stelle e su cui la scritta Ballo in blu disegnava cerchi e ghirigori dorati. 

Poi, con i raggi del tramonto che accompagnavano ogni suo movimento, Draco cominciò a vestirsi, premurandosi di mettere da parte e nascondere per bene la maschera che aveva indossato per troppi anni.

Scese le scale della Torre di Grifondoro con passi pesanti, come a voler imprimere il suo passaggio, come se si aspettasse che da un momento all'altro tutto potesse sparire.

Guardava gli altri sorridersi, tenersi per mano, la Sala Grande allestita con pesanti tendoni blu e cordoni di fili d'argento, le grandi tavole ammassate alle pareti e una fontana di ghiaccio magico al centro. 

Qualcuno gli posava una mano sulla spalla, qualcun altro lo salutava con la mano, Blaise e Theo si erano fermati per un po' a parlare con lui, accompagnati da Aria e Daphne, bellissime nei loro vestiti. 

Vide Ginny abbracciata a Harry e capí che almeno lei non sarebbe stata su un divano ad ubriacarsi, che aveva trovato la porta del fondo prima di lui ed era riuscita a risalire. 

Guardò ad uno ad uno tutti gli studenti, li vedeva come eroi della propria vita, eroi che avevano avuto la forza e il coraggio di cambiare il proprio destino. 

Si sedette su una panca a ridosso del tavolo degli alcolici, con i gomiti poggiati sul legno e le gambe leggermente divaricate: da quella prospettiva, riusciva ad immergersi in quella realtà che avrebbe vissuto lontano da Hogwarts, lontano da lei. 

Poi la vide, nel suo bellissimo abito con il corpetto incrociato tempestato di brillantini blu e la gonna di velo dello stesso colore che sembrava accarezzarle le gambe ad ogni passo. Si perse in quei movimenti di stoffa che gli disegnavano nell'anima alchimie d'amore incontrollato, disperato, vero; si perse in quelle onde di capelli come se fosse una mano pronta a toccarli, ad incastrarsi in quelle catene castane; si perse nelle ciglia sottili coperte dal trucco e in quegli occhi che sorridevano dopo troppo tempo e percepì il senso di colpa per ogni lacrima che lei aveva versato pesare sulle spalle, in quella voce che sembrava una nenia distante, quasi eterea, che riempiva ogni anfratto di quel silenzio innaturale e devastante che lui aveva dentro. 

Poi la vide e sentì il respiro spezzarsi nel petto, nei polmoni, in quegli intrecci di muscoli e fibre che gli davano la percezione di essere ancora vivo ed avvertì il rumore di qualcosa che si stava crepando prima di esplodere all'altezza del cuore. Sorrise e prese un flute colmo di un liquido rosa striato d'oro: lo assaporò lentamente, senza mai distogliere lo sguardo da lei e, la sentì ridere, di quella risata pulita, dolce e si sentì felice, come mai si era sentito da quando l'aveva persa. 





Aria sembrava voler entrare persino nelle piccole crepe delle pareti, con il naso all'insù e gli occhi grandi di meraviglia. -Sembra un sogno. - aveva detto prima di appoggiarsi al suo braccio. 

Aveva guardato i ritratti muoversi e parlare, aveva visitato i giardini, i dormitori, le aule vuote e la Torre di Astronomia: si era seduta ad osservare il cielo da vicino, poco più in là delle sue mani stese pronto ad afferrarlo. 

Blaise aveva colto ogni sfumatura di quelle emozioni senza fine, di quello stupore sulle labbra ed aveva provato una morsa allo stomaco, la speranza che lei potesse accettare quel mondo in cui nulla era come appariva. 

L'aveva portata in Sala Grande ed aveva visto il suo corpo tremare per la voglia di far parte di quella vita per poter guardare ogni giorno quel soffitto incantato di cielo e di stelle: se solo avesse visto quel cielo che era stato per metà distrutto, se solo avesse camminato tra le macerie di quella guerra… 

-Ti piace? - le aveva chiesto abbracciandola da dietro e puntando un dito verso l'alto. 

-È bellissimo. 

-Sì, lo è. - la dondolava dolcemente tra le braccia, poggiando il mento sulla sua spalla, respirando il suo profumo buono. 

-Blaise… Posso farti una domanda? 

-Puoi farne quante ne vuoi. 

-Cos'hai versato prima nei cocktail? 

-Ah, quindi,mi hai visto… 

-Sì. 

-È soltanto una pozione… 

-E perché allora hai fatto in modo che nessuno ti vedesse? 

-Aria, d'accordo, ti racconterò tutto, però non qui.- la prese per mano e la condusse sulle rive del lago. 

-Qui puoi raccontarmelo? 

-Mi avevano suggerito un filtro d'amore, ma sarebbe stato tutto più complicato e… 

-Blaise… 

-Sì. Allora… mi manca Draco, mi manca il mio amico che sorride. E questa- disse prendendo dalla giacca la fialetta contenente la pozione -questa è la Felix Felicis. 

-Sembra un bel nome. 

-E lo sono anche i suoi effetti. 

-E sarebbero? 

-È chiamata anche Fortuna Liquida e chiunque, una volta bevuta, si sente felice, capace di poter realizzare ogni sogno, di poter fare qualsiasi cosa: è come se una vocina nella mente ti spingesse a comportarsi in un certo modo… 

-Potrebbe anche essere pericoloso… 

-Sì, lo è, ma ognuno è libero di scegliere se assecondare la sua coscienza o meno. E so che Draco non lo farà, so che resterà fermo a sorridere della felicità di Hermione, ma vorrei che in questo ultimo giorno fosse felice anche lui… 

-Beh, magari a settembre torneranno insieme. 

-Lui non tornerà a Hogwarts. 

-Perchè? 

-Per permettere a lei di andare avanti, per non essere un peso nella sua vita. 

-È un bel gesto d'amore… 

-C'è un però, vero? 

-Si… Però tu non fare mai una cosa del genere con me. 

Scoppiò a ridere e ricevette in cambio un'occhiata perplessa. -Sei impazzita, vero? Io non ti lascerò più… 

E con la luna crescente a fare da sfondo, Blaise le promise con un bacio l'eternità di quelle parole. 





-Il blu ti dona molto, Harry Potter. 

-Credi che potrebbe essere il colore adatto per il nostro matrimonio? 

-Sì, potrebbe. 

-Ti ho giurato amore eterno, Ginny, te l'ho giurato nel mio cuore. 

-Ed io ho fatto lo stesso.- gli incrociò le dita sottili dietro al collo, appoggiando la fronte a sua e si chiese perché lui avesse scelto proprio lei come compagna di vita; gli sorrise dolcemente e si lasciò posare un bacio sulla punta del naso. 

-Io ci credo davvero in noi, Ginny… E

E perdonami per tutte le volte che ti ho fatta soffrire, per tutte le promesse che non ho mantenuto. Io… 

-Shh, non importa. A me basta che mantieni questa. - gli disse poggiando le labbra sulle sue, in bacio fatto di amore e un mezzo sorriso.

In quel momento, i ricordi della Guerra Magica sembravano soltanto vapori di un incubo lontano, mai vissuto davvero ed entrambi si lasciarono andare a quelle note dolci di presente, di risultati ottenuti, di pace raggiunta. 

Le sembrava di avere davanti un immensa distesa di fiori da raccogliere e buoni propositi da seminare, veder fiorire e raccogliere. 

-Tieni.- vide le mani di Harry allacciarle al polso un bracciale sottile, semplice con il simbolo dell'infinito ricoperto da microscopiche pietre multicolore. -È come un anello di fidanzamento. 

-È bellissimo. 

-Era di mia madre… 

-Oh, no, Harry, no, non lo posso accettare. 

-Ginny, dopo di lei, tu sei l'unica donna al mondo che merita di portarlo. È importante per me che tu lo accetti. 

-Harry… 

-Ti prego, no, ascoltami… Una persona una volta ha detto che nei momenti di buio sarebbe bastato accendere la luce e tu per me sei stata proprio questo e sì, questo bracciale adesso è tuo e non puoi più restituirmelo. 

Guardò a lungo quel filo dorato che sembrava pesare più di ogni altra cosa al mondo: Harry aveva appena fatto uno dei più grandi gesti d'amore e lei sentiva il carico di quella responsabilità che lui aveva appena posato sul suo polso e nelle sue mani, la responsabilità di renderlo felice, di farlo sorridere sempre, di essere la sua luce nel buio. 

Decise che sì, ne sarebbe stata capace, che non avrebbe voluto fare altro dal primo giorno che l'aveva incontrato ed accettò il bracciale con un sorriso e un bacio carico di futuro da vivere insieme a lui. 





Erano tornati in Sala Grande giusto in tempo per ricevere il diploma. 

Fare l'amore con lei era un modo per recuperare tutto il tempo perso, tutti gli anni in cui aveva finto di essere un semplice amico. 

Era stato difficile alzare l'abito, sentirsi vestito di lei, ma Daphne gli aveva posato un sorriso sulla bocca e lui aveva sentito il cuore esplodere: avevano iniziato a completarsi l'anima a vicenda prima ancora di rendersene conto ed era finiti con trovarsi incastrati l'uno dentro l'altra, in un mescolarsi di respiri ed ansiti trattenuti a stento. 

Lei lo strinse più forte e lui sembrò dimenticarsi della festa che si stava svolgendo poco lontano da loro, del mondo, della musica, tranne che della magia che vibrava libera e senza vergogna tra loro. 

-Ce l'abbiamo fatta. - le disse rendendosi conto che i loro cognomi non erano ancora stati chiamati e le sorrise. 

La vedeva emozionata, con le dita strette a torturare le sue, quelle dita che lo aveva accarezzato, che gli avevano toccato ogni centimetro di pelle, i capelli, gli ed ogni singolo battito di cuore. 

-È bello amarmi?- quel ricordo gli scivolò in silenzio tra i pensieri di quella sera, si intrufolò nelle immagini di lei che lo baciava, che lo spogliava, con la schiena appoggiata al muro. 

Non aveva più tolto l'anello, lo teneva addosso come se fosse la sua stessa pelle, come se senza di esso si sentisse esposto ad un mondo in cui lei non c'era. Le strinse le mani. 

-Theodore Nott sei la persona più bella che io abbia conosciuto in questi anni a Hogwarts. 

-E tu sei la persona più bella che io abbia conosciuto in tutta la mia vita. 

La vide allontanarsi, salire i due gradini su cui il Preside la attendeva, strinse il diploma al petto, vide i suoi occhi riempirsi di emozione. 

Tornò da lui con le guance arrossate e un bacio sulle labbra ancora umide di lei. 





-Sono così tesa… 

-Una corda di violino, direi. 

-Più tardi mi farò pizzicare, Ron, ma adesso prova a tranquillizzarmi. 

Le cinse le spalle con un braccio e le baciò la fronte. -Sei andata benissimo. 

-Lo so, ma non riesco ancora a crederci.

Lisa, al suo fianco, aveva cominciato a mordersi piano l'interno della guancia, come faceva ogni volta che temeva che quello che vedeva potesse sparire da un momento all'altro e lui si ritrovò innamorato di quei piccoli particolari che forse nessuno aveva mai notato: lo sbattere le ciglie quando era incredula, torturare le mani quando il nervosismo sembrava divorarla, passare una mano tra i capelli quando aveva bisogno di pensare e mordersi le guance, appunto. 

Si sentì incastrato in quelle emozioni che non riusciva a manifestare, in quei sentimenti che non riusciva a dimostrare se non in un groviglio di lenzuola e carezze audaci. 

Aveva capito, con il tempo, che era più facile esprimersi con i gesti, i tocchi, gli sguardi piuttosto che farlo con le parole e Lisa era sempre stata pronta ad accoglierlo, a riempirsi di lui che non chiedeva altro che essere compreso anche quando preferiva restare in silenzio; era stata brava ad insegnargli altre forme d'amore, a parlare senza parlare e gli aveva insegnato anche a brancolare nel buio delle incertezze che nascevano dal dover compiere qualche passo indietro ed aggiustare il passato, a chiedere scusa, ad ammettere i propri errori e viverne le conseguenze. 

-Sei bellissima.- le aveva sussurrato all'orecchio e l'aveva guardata mentre timidamente abbassava lo sguardo. 

Aveva intrecciato la mano alla sua, si era alzata sulle punte per lasciargli un tocco di labbra sul collo. 

-Ron… - aveva cominciato lei a dire con la voce ridotta ad un respiro. -Ti amo. 

E lui aveva sentito il cuore battere più veloce, in una corsa di sensazioni inspiegabili e meravigliose. 

Aveva sentito i suoi capelli solleticargli il mento e, poi, l'aveva stretta più forte sul petto, come a volerle fargli sentire il suono che avevano provocato dentro di lui quelle parole, le aveva alzato il viso per incatenare gli occhi ai suoi e si era sentito quasi rinascere. -Ti amo anche io. 

E soltanto dopo averlo detto, aveva capito che in quei mesi non aveva fatto che saltare dentro e fuori il margine del limite che divideva l'affetto dall'amore. 

Con quella certezza che gli scorreva nelle vene, con il progetto di passare l'estate insieme, Ron era rimasto fermo ad aspettare che quella serata giungesse al termine e che arrivasse presto il momento di potersi allontanare da tutto e vivere soltanto di lei. 






Si era stesa sul letto, con un nodo in gola e lo stomaco in subbuglio: le capitava sempre, ad ogni fine anno, di pensare a quello che le era successo e si rese conto in quel momento che tutti i pensieri portavano al viso e al sorriso di Draco, ai suoi occhi felici o pieni di malinconia, alla sua bocca, alle sue mani. 

Guardava il soffitto e vedeva soltanto nuvole e fiumi incolore, con un maremoto di emozioni nell'anima e la testa piena di domande. 

Si era alzata, lasciando scivolare le dita sulla gonna di velo che si posava sulle mani allo stesso modo in cui sulla pelle si erano posati quegli occhi grigi che ricordavano il cielo in tempesta, che si facevano grandi di fronte alle paure e alle carezze e si erano fatti bui davanti agli addii che lei si ostinava ad urlare. 

Ginny aveva cominciato a coccolarle i capelli, ad aiutarla ad indossare quell'abito, come durante la festa della sera prima della vigilia di Natale, in quella notte di ritorni e passi indietro, di confessioni e di silenzi. 

Ricordò quelle ombre che gli nascondevano il viso, quel tremore che aveva invaso il corpo di entrambi, quegli sguardi senza parole che sembravano aver sfondato il muro che li divideva, le mani di lui dovunque, i suoi capelli sulla fronte, quella schiena si curvava sotto il peso di quel sentimento soffiato appena fuori dalla bocca, appena fuori dai polmoni. 

-Sei pronta. 

Si era guardata allo specchio ed aveva provato la sensazione di essere poco più di un corpo, ma aveva sorriso al suo riflesso e a quello dell'amica che la guardava attenta. 

La sera si era posata su Hogwarts con una coperta di pace e un manto di stelle timide. 

Hermione si era fermata a guardare quel cielo infinito e carico di speranze, immobile come un quadro perfetto disegnato dalla magia che la circondava. 

Era corsa tra le braccia dei suoi genitori, beandosi di quel calore che aveva il sapore di casa sua, di porte aperte e risate di bambini, li aveva stretti forte, aveva raccontato e mostrato loro la scuola, i giardini, il Lago Nero, bisbigliando appena gli orrori della guerra, le paure che l'aveva annientata. 

Aveva osservato Silente durante il discorso di apertura della cerimonia dei diplomi, lo aveva ascoltato chiamare e ringraziare ogni alunno del quinto anno, prodigarsi in complimenti e raccomandazioni, con il sorriso tranquillo ad illuminargli il viso. 

-Draco Malfoy, il salvatore silenzioso di queste mura. - aveva detto il Preside, poi Draco lo aveva raggiunto, aveva inclinato leggermente il capo in segno di ringraziamento ed aveva stretto la mano ad ogni professore e lei si era sentita esplodere d'orgoglio al ricordo di quando, poche ore prima, si era fermata a leggere anche i suoi voti; si era sentita pronta a tornare da lui, pronta a ricominciare, pronta a non perdersi più. 

-Hermione Granger.- aveva ritirato il suo diploma con mani tremanti ed aveva rivolto uno sguardo a Draco, nascondendosi sotto le ciglia truccate, lo aveva visto sorridere e lo aveva imitato mentre beveva dal flute che le era stato offerto all'entrata della Sala Grande: si era sentita leggera, in una debole pace che sembrava farsi più forte ad ogni sorso.

Aveva toccato con lo sguardo tutte le persone che avevano vissuto insieme a lei, soffermandosi qualche secondo in più ad ammirare Ginny e Harry, Ron e Lisa, Daphne e Theo, Blaise e Aria che, con lei, avevano condiviso molto più che semplici fruscii di pagine di libri ed ore di lezione. 

Poi, la professoressa McGranitt aveva sostituito Silente al leggìo, in un turbine di parole dolci e aspettative positive verso il futuro dei suoi studenti. 

-... per chi ha varcato quella porta per l'ultima volta e per chi la varcherà di nuovo a Settembre. Per tutti voi. - aveva concluso e poi le aveva fatto segno di raggiungerla, con la voce sovrastata dagli applausi. 

Hermione aveva rivolto un ultimo sguardo all'intera sala, poi aveva preso la pergamena ed un attimo dopo l'aveva accartocciata e messa da parte: guardandola aveva avuto l'impressione che quelle parole fossero soltanto frasi fatte, prive di senso, scritte in un momento di rabbia e poca lucidità. E sembrava che quel gesto che non era passato inosservato le avesse dato la forza di esporsi.

Si era data tempo per aprire il suo cuore e far uscire l'anima fuori dal corpo, poi aveva riempito i polmoni di aria, in respiro profondo di emozione e consapevolezza, aveva appoggiato le mani al leggìo, come se quel gesto potesse darle la forza di restare in piedi. 

Aveva aperto gli occhi e aveva sorriso di commozione. -Hogwarts è stata fondata, in seguito ad un sogno, più di mille anni fa dai quattro Fondatori che, pur di non avanzare pretese l'uno sull'altro, hanno stipulato un voto infrangibile, ma questo lo sappiamo tutti. 

E lo abbiamo fatto anche noi, magari inconsapevolmente, e, a parte gli incantesimi e la preparazione di una pozione, abbiamo imparato cosa fosse il disprezzo e il rispetto, l'odio e l'amore, la fratellanza, l'amicizia, la solidarietà; abbiamo imparato a chiedere scusa e a perdonare, a credere che nessuno è migliore di un'altro, che siamo tutti importanti, che siamo uguali, che possiamo tenderci la mano e salvarci. 

Abbiamo imparato ad avere paura, a guardarci le spalle ed a riporre fiducia in un altra persona, abbiamo imparato a distinguere il sapore delle lacrime di tristezza da quello delle lacrime di gioia ed abbiamo odiato i momenti bui che abbiamo vissuto tra queste mura. 

Hogwarts è casa nostra: ci ha accolti, ci ha donato una famiglia, degli amici, rapporti  incomprensibili che si sono trasformati in qualcosa di più, che sono andati oltre la nostra immaginazione, ma ci ha anche fatto piangere, ci ha messo di fronte alla consapevolezza di aver perso le persone a cui abbiamo voluto bene, ci ha fatto soffrire, ci ha fatto maledire la magia che abbiamo nel corpo e ci ha fatto urlare di dolore. Siamo scesi in campo pronti a combattere soltanto in teoria e ce la siamo cavati bene anche con la pratica, abbiamo camminato intorno al confine che separa il bene dal male ed abbiamo combattuto perfino con noi stessi per scegliere da quale parte stare. La guerra ci ha cambiati, lo vediamo ogni giorno negli occhi della persona che abbiamo di fronte, lo sentiamo nel cuore quando camminiamo tra le macerie e se guardiamo dietro di noi, se torniamo a quei giorni, vediamo che il bene alla fine ha trionfato sul male e che il sacrificio di chi ci ha lasciato non è stato vano. 

Quando mi permetto di dare spazio a quei ricordi, mi rivedo sporca di sangue, di terreno, e mi rendo conto che, tra quelle pietre scaraventate al suolo, ci sono le mie, le nostre paure, le nostre speranze, le nostre lacrime, il nostro coraggio, l'astuzia e la determinazione Serpeverde, la lealtà e la pazienza Tassorosso, l'intelligenza e la creatività Corvonero e il coraggio e l'intraprendenza Grifondoro che si sono mescolate tra loro e hanno dato vita e speranza laddove sembrava esserci solo morte e distruzione. È stata la guerra di tutti e questa che stiamo vivendo è la pace di tutti ed abbiamo l'obbligo di rendere onore a chi ha dato la vita per difenderci e possiamo farlo soltanto portandoci rispetto, dandoci sostegno. 

Credo di parlare a nome di ognuno di voi quando dico che vi ringrazio per questi anni passati insieme, per avermi consolata, aiutata, derisa, ferita, sostenuta e salvata: mi avete resa più forte, nel bene e nel male. 

È stato un addio difficile ed altrettanto difficile è stato il ritorno tra queste mura, ma mi è bastato pensare che ci sarebbe stato ancora il cielo del soffitto ad accoglierci, insieme ai legami che abbiamo scelto di costruire. Ci portiamo dentro cicatrici che forse non guariranno mai. Dopo la guerra è stato difficile ricominciare a vivere, ci siamo sentiti addosso l'odore della morte, la colpa di non essere stati in grado di difendere chi ha creduto nei nostri ideali e per il senso di sconfitta che abbiamo provato nonostante la vittoria, ma, siamo stati in grado di arginare l'odio e la paura che regnava. 

Noi abbiamo avuto il coraggio di amare anche chi credevamo fosse nostro nemico ed abbiamo trovato in loro una mano pronta a rialzarci, siamo stati capace di andare oltre le apparenze e i pregiudizi e proprio per questo motivo quest'anno abbiamo vinto la battaglia più difficile: abbiamo gettato le fondamenta per un mondo migliore, per una pace che mi auguro duri a lungo. 

Siamo segnati da ferite che non si rimarginano in una notte, alcuni di noi stanno ancora cercando di rimettere insieme i pezzi, altri li hanno incastrati come meglio potevano, ma siamo in piedi, siamo vivi e custodiamo emozioni bellissime che non possiamo più rivivere, ma che porteremo sempre nel cuore; vi guardo negli occhi e capisco di avere con ognuno di voi un legame indissolubile, che va oltre la stabilità dei rapporti umani, vi guardo e mi sento grata di aver trascorso un altro anno con voi, di avervi conosciuto e riconosciuto. 

Alla paura ogni volta succede la felicità e, per quanto una parte di me sia consapevolmente triste di quello che abbiamo perso, l'altra è felice di essere ancora qui.

Hogwarts è casa nostra e voi siete la mia famiglia ed io vi ringrazio per essere ancora qui con me. 

Aveva sceso in due scalini con l'emozione nei muscoli, con il tremore in ogni nervo, accompagnata in ogni passo da uno scroscio di applausi che la riempivano di orgoglio: si era spogliata della sua corazza, l'aveva riposta in un angolo dimenticato di se stessa e si era regalata a quei volti conosciuti. 

Si era sentita avvolgere dall'abbraccio bagnato di Ginny e poi da quello di Daphne, ma i suoi occhi vagavano per la Sala Grande in cerca di quegli occhi che non aveva smesso di sentire addosso nemmeno per un attimo e lo voleva ancora, ancora e ancora. 

Si avvicinò piano a Blaise, quasi in punta di piedi e con gli occhi lucidi, aveva visto Aria asciugare le lacrime sul viso e si era ritrovata stretta in uno slancio di gratitudine sincera, poi l'aveva sentita allontanarsi e Hermione aveva ripreso a guardare quel ragazzo che le aveva portato a casa da parte della persona che amava il più bel regalo di Natale che avesse mai ricevuto. 

Gli aveva dedicato un sorriso, con una domanda ferma nelle corde vocali e sulla punta della lingua. -Dov'è Draco? 

-È andato via… 




Angolo autrice:

Eccomi qua a scrivere alla fine di questo capitolo e alla fine di questa storia. 

Vi scrivo con le lacrime agli occhi, conscia anche del fatto che questo finale possa non piacere a tutti… Ma chissà, forse ci ritroveremo ancora a scrivere di questi personaggi. 

Devo ringraziare chi ha mi ispirato per tornare a questi capitoli, chi mi ha dato il coraggio di riprendere in mano questa storia che avevo abbandonato tempo fa. 

Questa storia è dedicata al mio lui, anche se non lo sa e forse non lo saprà mai. 



Devo ringraziare chi ha aggiunti Since I kissed you Continued tra le ricordate/seguite/ preferite. 

Chiunque mi abbia dedicato il proprio tempo lasciando qualche parola per me ed anche chi ha letto in silenzio. 

Vi scrivo con le lacrime agli occhi perché per me questa storia è stata importante: ha seguito la mia evoluzione, si è plasmata sulle mie emozioni, sulle mie paure. 

Ho ricominciato a scrivere per voi, ma soprattutto per me stessa, per il piacere di farlo e per non far morire la mia passione di trasformare in parole le idee che mi passano per la testa. 

Spero che questa storia vi abbia emozionato come ha emozionato me in ogni singola virgola, in ogni singolo punto. 

Grazie a tutti. 

A presto, Exe. 





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