le mie novelle

di Riddle045
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** una diagnosi di morte ***
Capitolo 2: *** amore nel tempo del coronavirus ***
Capitolo 3: *** poesia ***
Capitolo 4: *** intervista agli alieni ***
Capitolo 5: *** sperduto ***



Capitolo 1
*** una diagnosi di morte ***


La scorsa estate andai, come sapete, a trascorrere il periodo estivo nella città di Meridian. Il parente della casa nel quale avevo intenzione di abitare era ammalato, cosí cercai un altro appartamento. Dopo qualche difficoltà, decisi di affittare un'abitazione libera, che era stata occupata da un eccentrico dottore di nome Mannering, che era andato via anni prima, nessuno sapeva dove, neanche il suo agente. Egli stesso aveva costruito la sua casa e vi aveva vissuto con una vecchia domestica per dieci anni circa. Dopo pochi anni smise del tutto di esercitare, anche se non lo aveva mai fatto assiduamente. Non solo questo, ma si era ritirato quasi del tutto dalla vita sociale ed era diventato un recluso. Mi é stato raccontato dal medico del villaggio - forse la sola persona con la quale manteneva delle relazioni - che, durante il suo ritiro di era dedicato a una sola linea di studio, il risultato della quale espose in un libro che non riscosse successo tra i suoi fratelli di professione, i quali, infatti, non lo consideravano completamente sano. Non ho visto il libro né ne ricordo il titolo, ma mi è stato detto che espone una teoria piuttosto spaventosa. L'autore sosteneva che era stato possibile prevedere il momento esatto in cui la popolazione sarebbe morta. Io ovviamente non ci credevo, non pensavo fosse moralmente possibile. Eppure eccomi qua: con una diagnosi di morte uguale a quella dell'intera umanità. Ma riprendiamo la storia. La casa aveva una discreta grandezza, forse per una persona era pure troppo grande. Aveva due piani con tre stanze ciascuno ed una mansarda. C'erano due camere da letto, due bagni, una cucina ed un salotto. Normale direte voi, beh aspettate che vi spieghi cosa si trovava dentro. La cucina era semplice, niente di importante, apparte alcuni cassetti vecchi  e rovinati chiusi a chiave. In entrambi i bagni c'erano strane macchie dai colori variegati nello scuro parquet. Le camere da letto erano apposto, senza contare i vari mobili e scaffali chiusi a chiave. Le cose più inquietanti si trovavano in mansarda: fogli e libri con appunti riguardanti il corpo umano e le sue caratteristiche, informazioni riguardo vari virus, veleni mortali e la via più facile per diffonderli. Già lì avrei dovuto preoccuparmi, ma al tempo non gli davo molta importanza. Quindi avevo preso tutti i fogli, li avevo chiusi in uno scatolone e sigillati dentro uno dei pochi scaffali aperti. Nei giorni seguenti continuai a godermi le mie meritate vacanze, quando, una mattina, sfogliando un giornale lessi che tre quarti della popolazione africana soffriva di intossicazione alimentare per un virus non identificato; mentre il restante un quarto era morto per lo stesso motivo. Due settimane dopo mi arrivò la notizia che metà popolazione europea era deceduta, mentre l'altra metà era in coma. Evidentemente io ero una delle le poche persone ancora indenne, quindi mi rimboccai le maniche e iniziai a sfogliare quegli assurdi fogli. In poche parole c'era scritto che degli antichi virus si sarebbero "risvegliati" e avrebbero sterminato intere popolazioni. L'africa, l'Europa, la Russia, l'Australia, l'America e dintorni. Nel preciso istante che lo lessi sentii un giramento di testa, improvvisa nausea e forte dolore all'addome. Di fretta chiamai l'ambulanza, che tempo due minuti mi venne a prendere. L'ospedale in cui mi portarono era sovraffollato. Gente che vomitava, che si contorceva dal dolore o che esalava il loro ultimo respiro. Mi misero in un lettino e bruscamente mi dissero che era giunta la mia ora. Così eccomi qui, ad un passo dalla morte, provando lo stesso dolore di miliardi di persone, con lo stesso pensiero in testa, le stesse domande a cui nessuno mai risponderà e che nessuno mai sentirà. Sto per fare la fine di tutti, è questo il nostro destino. Con calma mi appoggiai allo schienale, cercando di affievolire quell'implacabile dolore, guardai il soffitto mentre una lacrima salata mi bagnava la guancia, dissi: "Se solo lo avessimo ascoltato", mi accasciai al lettino. Il mio cuore non batteva più, il mio cervello era spento, il sangue nelle mie vene ormai freddo e inutile, la mia pelle bianca spettrale, la morte presente lì con me, con me e con tutti.

~~~

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Matte

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Capitolo 2
*** amore nel tempo del coronavirus ***


"Affacciati alla finestra. Cosa vedi?" la candida voce fuoriusciva chiaramente dal telefono, la domanda era cristallina ed io corsi ad affacciarmi alla trasparente vetrata di camera mia "Vedo l'azzurro cielo; le nuvole di un delizioso rosa chiaro scorrono con pigrizia e oscurano un po' la verde distesa di campi primaverili. Ai bordi della stradina sterrata ci sono grandi alberi che coprono la vista. Vedo poche persone che corrono solitarie per tenersi in forma durante questo terribile periodo. Il sole, prima nascosto dalle delicate nuvole, ora fa capolino rischiarando le praterie con la sua calda luce rassicurante. Ma in tutto questo solo una cosa manca, siamo io e te. Mancano le nostre risate che risuonavano nel silenzio della valle, mancano i nostri corpi che prima si muovevano liberi e giocosi insieme. Manchiamo noi" dopo un riflessivo momento di pausa chiedo alla mia amata "Te invece cosa vedi?" aspetto un po', il tempo che lei impiega per raggiungere il piccolo oblò affacciato sulle stradine solitamente affollate della sua città. "Non ci sono più tante persone come una volta -inizia a descrivere con la sua delicata e femminile voce- i negozi di abbigliamento non sono più gremiti di persone, i negozi di scarpe sono vuoti, l'unico posto con un po' di vita al suo interno è il consorzio alimentare" sento che si interrompe un'attimo "I piccoli giardinetti hanno l'erba alta, nessuno si preoccupa più di tagliarla quindi lei cresce incolta senza preoccupazioni, nascono anche molti fiori, molte graminacee, mi danno solo allergia ma non è un grande problema. Il campo da calcio e lo stadio con la pista d'atletica sono vuoti come non lo erano mai stati, stessa cosa il parcheggio, ora poche macchine sono ferme la, ad aspettare il loro guidatore" sospiro piano e chiudo gli occhi, cercando di ricordare com'era la bella cittadina in cui ho passato tanti dei miei giorni "Il cielo com'è da te?" le chiedo con una punta di tristezza nella voce. "Non è bellissimo, ma nemmeno orribile. Ci sono molte nuvole che coprono il chiaro sole, è tutto un po' grigio, ma in questo periodo sta diventando più carino" sospiriamo entrambi "Mi manchi molto" le sussurro piano piano, quasi come se non volessi farmi sentire. "Anche tu mi manchi tantissimo, non ho mai desiderato così ardentemente un nostro incontro" aspetto un po' prima di risponderle, sono stanco, ho perso la voglia di parlare "Ti ricordi quando mi avevi costretto a fare shopping in tutti i negozi della tua via? A quel tempo ero frustrato, ma ora pagherei per una giornata del genere!" "Me lo ricordo bene amore. Anche a me mancano quei giorni, quei giorni che adesso mi sembrano così felici e lontani" tengo il mio sguardo incatenato all'orizzonte, sperando di riuscire a scorgere anche la più piccola punta di un palazzo, niente, solo i verdi prati accesi "Appena questa quarantena sarà finita ti farò fare così tanto shopping che ti pentirai di ciò che hai precedentemente ammesso, lo sai vero?" ridacchio un po', eccola, è lei la mia ragazza, quella che mi fa ridere anche nei momenti più bui, quella che trova la luce nell'oscurità. "Io invece ti porterò così tante volte in montagna che i tuoi polpacci diventeranno più forti di quelli dei nostri due padri messi insieme!" La sentii ridere, quel suono cristallino e dolce che mi faceva sciogliere il cuore "Continua a ridere, ti prego" gli dissi lentamente "Per te riderei ogni istante, ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette ogni settimana" mi rallegrai, ricordando il suo meraviglioso sorriso dai candidi denti bianchi. "Non voglio più chiudere questa chiamata" mi disse, le risposi subito "Nemmeno io" "Allora non facciamolo" "Ora non posso -le dissi rattristandomi- è quasi pronta la cena, devo andare ad aiutare mia mamma ad apparecchiare il tavolo" "Dopo torni?" sentii tutta la disperazione ed il bisogno intinsi nella sua voce, ebbi un colpo al cuore e non tardai a risponderle "Certo che tornerò, per te ci sarò sempre" Non la vidi, ma posso sentire nel profondo del mio cuore che stava sorridendo rassicurata dalla mia affermazione. Riattaccammo entrambi, il cuore in gola e la nostalgia intorno a noi. Scesi ed aiutai mia madre con la cena. La sera, prima di cadere tra le braccia di Orfeo, accesi di nuovo il telefono e chiesi alla mia amata se fosse ancora online, mi rispose subito positivamente ed entrammo in chiamata. "Come va? Cosa avete mangiato di buono?" le chiesi appena accettò la richiesta che il mio cellulare le aveva inviato. Mi rispose subito, la voce stanca, assonnata. "Abbiamo mangiato una leggera insalata, se mangio pesante fatico ad addormentarmi. Voi invece?" le risposi che mi madre e mio padre avevano cucinato le uova del nostro pollaio "Mi mancano le vostre uova fresche, appena ci rivedremo me ne dai un po'?" risposi annuendo "Ti darò tutte le uova che vorrai. Ma ora come stai? Sei stanca?" "Ho un po' di sonno, ma non ti voglio lasciare, voglio parlare ancora con te" il mio sguardo si addolcii, sorrisi immaginandola, i lunghi capelli neri scompigliati e sparsi nel cuscino, gli occhioni nocciola stanchi e semichiusi, la candida pelle fasciata nel delicato pigiama di raso a cui lei teneva tanto. Mentre scrutavo il mio aspetto, carnagione olivastra, occhi chiari come i capelli; ed il mio abbigliamento notturno, semplici boxer ed una maglia mezze maniche; pensai che come persone eravamo tanto diverse, ed era proprio questa diversità che ci aveva unito. Era la nostra curiosità, il voler sapere di più l'uno dell'altro, il condividere passioni diverse ed emozionanti che ci avevano fatti avvicinare, ed infine, innamorare. Continuai a sorridere dolcemente "Ci sentiamo domani va bene? Sei stanca, lo sono pure io, dobbiamo dormire, così domani saremo più attivi ed energici e potremo passare l'intera giornata a parlare tra noi. Ma la notte è lunga e devi usarla a partire da ora. Quindi dormi, io dormirò con te, come quando venivi a casa mia, anche se allora eravamo vicini fisicamente, ora lo siamo psicologicamente, siamo ancora più vicini, siamo due corpi che condividono lo stesso cuore e lo stesso pensiero" aspettai un po' in cerca della sua voce. "Va bene allora. Buonanotte amore mio" la sentii mormorare annebbiata dalla stanchezza. "Buonanotte, amore" mormorai a mia volta. Spensi la chiamata, e successivamente anche il telefono che appoggiai al comodino. Mi accasciai contro il materasso ed appoggiai il capo sopra al cuscino. Chiusi gli occhi e caddi nel mondo dei sogni. Quella notte ripercorsi col pensiero tutti i momenti felici che avevamo passato, quando andavamo alla spiaggia, al parco, quando prendevamo il gelato insieme, tutte le svariate volte in cui lei mi faceva ridere e quando io facevo ridere lei. Sognai il nostro primo incontro, il tempo passato da amici e la nostra dichiarazione avvenuta lo stesso giorno sotto una splendida luna piena. Ricordai anche ai momenti brutti, alle poche ma presenti volte in cui avevamo litigato, a quando per colpa dell'uno o dell'altra avevamo pianto, ai giorni passati ignorandoci. Poi mi venne in mente anche quando facevamo pace, solitamente cinque minuti dopo, non riuscivamo a stare lontani o immusoniti l'uno con l'altra. Ricordai tutto, tutti i momenti passati insieme, tutti i racconti, tutto, e alla fine lo capii, questo era vero amore. se vi è piaciuta lasciate un like, un commento e condividete! Matte

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Capitolo 3
*** poesia ***


Costante, il dolore Mozzafiato, il peso dentro di me che cresce, e cresce, e cresce, che mi distrugge dentro. Lo sento, è potente. Mi infetta, mi mangia, mi tartassa. Ed io non resisto, no, non resisto, perchè son debole, son delicata, sono come un nero fiore che la voglia di vivere ha ormai perduto- È arrivata, mi ha martoriata, ora non esisto più. E la depressione che mi risucchia dall'interno. spero vi sia piaciuta matte

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Capitolo 4
*** intervista agli alieni ***


- Accomodati pure - Dissi all'alieno davanti a me, egli mi ringraziò con la sua acuta voce nasale e si sedette sopra la grande poltrona viola del mio salotto. - Ehm, ehm - Mi schiarii la voce ed iniziai a parlare: - Allora, prima di tutto grazie di aver accettato di rispondere alle mie domande - Feci una piccola pausa per vedere se lui volesse dire qualcosa, ma notando il contrario continuai il mio discorso: - Bene, direi di iniziare. Come prima domanda volevo chiedervi in quale pianeta abitate e perché noi umani non siamo mai riusciti a scoprire la vostra esistenza nonostante l'utilizzo di tecnologie avanzate?- Lui mi rispose con un tono di voce abbastanza apatico, un po'intriso di arroganza, come se fosse superiore a me: - Semplicemente, voi non siete tecnologicamente avanzati come noi. É vero siete più sviluppati di quanto pensassimo, ma noi siamo sempre superiori nell'ambito tecnologico. Ció si puó notare dal fatto che noi stiamo facendo progressi e migliorando il nostro pianeta, mentre voi lo state uccidendo - Io, visibilmente offeso per quell' affermazione, sputai acidamente un - Okay, passiamo alla seconda domanda. Cosa avete pensato appena arrivati sulla Terra? - L'alieno sogghignando rispose scontrosamente - Appena messo piede qua non vedevo già l'ora di tornare nel mio pianeta Natio - Sentendomi ancora più offeso feci un sorriso forzato e continuai con il mio questionario - Come terza e ultima domanda volevo chiedervi come mai non avete voluto colonizzarci o anche solo provarci? - L'extraterrestre diventò tutto un tratto serio, si appoggiò con i gomiti spigolosi al divano e spinse la testa allungata in avanti. Con voce seria (per quanto lo potesse essere) mi sussurrò: - É semplice no? Quelli che come me erano venuti a vedere se questo pianeta fosse abbastanza abitabile, appena messo piede qua hanno subito capito che ormai era troppo tardi. In questo posto l'inquinamento é troppo avanzato, e c'è troppo caldo per vivere allegramente la nostra vita. Abbiamo deciso di lasciarvi stare e passare a un pianeta un po' meno, ecco...distrutto. Ci siamo detti di non immischiarci in problemi altrui e di non perdere tempo cercando di aggiustare qualcosa che non abbiamo rotto noi. La Terra per noi è troppo malandata e se non volete sistemare le cose, noi non siamo tenuti a farlo, ne possiamo obbligarvi. La via più facile è lasciarvi i vostri guai.- Io a quel punto ero stupito. Non pensavo che degli alieni potessero capire e notare così tante cose della Terra, quando non eravamo riusciti a capirlo neanche noi seppur abitandovi da molto più tempo. Soddisfatto e pensieroso lo ringraziai, lo accompagnai alla porta e salutandolo guardai la sua astronave allontanarsi. Quella sera mi adagiai nel letto e riflettei su ciò che l'essere vivente mi aveva raccontato, e lì capii...non sono loro ad essere alieni, ma noi. ~~~ Spero vi sia piaciuta! Matte

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Capitolo 5
*** sperduto ***


Ero appena sopravvissuto ad un naufragio, avevo il braccio ferito, ma per il resto stavo bene, l'unica mia preoccupazione era riuscire ad andare via da quel posto. Il luogo nel quale ero finito era una piccola isoletta, con un boschetto al centro e tanta sabbia, qualche conchiglia e l'acqua cristallina. Al margine tra foresta e spiaggia vi era una piccola casetta in legno, ormai vecchia e bucata dalle tarme. Il boschetto era molto selvaggio, gli alberi molto alti e con tanto muschio, grandi cespugli ed erba alta fino al ginocchio, di certo non il posto migliore per una vacanza in famiglia. Per chiamare qualcuno pensai che un fuoco sarebbe stato perfetto, infondo, con me avevo un'accendino più o meno intatto ed il mio fidato coltellino svizzero con cui potevo tagliare i rami usando il seghetto. Mi addentrai tra gli alberi più o meno all'ora di pranzo, non avevo molta fame dato che la sera prima, e la mattina stessa, avevo consumato grandi quantità di cibo, quindi mangiare non era un problema. L'unica cosa su cui dovevo concentrarmi era l'accensione del fuoco. Racimolai un bel gruppetto di ramoscelli e qualche grosso ramo e tornai ala spiaggia dove, dopo svariati tentativi, riuscii ad accendere un timido fuocherello e a farlo diventare sempre più grande. Mentre il fuoco andava raccolsi ancora un po' di legna e mi sedetti successivamente di fianco ad esso, notando che ormai il cielo si era scurito facendo spuntare le prime delicate stelle. Ad un tratto sentii un rumore, un passo piccolo, insicuro, che si avvicinava cautamente a me. Impaurito mi alzai di scatto e puntai gli occhi verso... a dire il vero non so come definire quella... cosa, un'animale forse? Si, animale va abbastanza bene. Puntai gli occhi verso l'animale che spaventato dalla mia precedente mossa improvvisa fece uno scatto indietro abbassando la testa. Ero stranito, mi sentivo confuso, non avevo mai visto niente del genere. L'animale, probabilmente attratto dalla luce e dal calore del fuoco, era una sorta di fusione tra varie specie animali. La testa era quella di un'aquila arpia, ma gli occhi erano più grandi ed espressivi, così dolci da riempirti di tenerezza. Il corpo era quello di una tigre siberiana bianca, ma ai lati aveva due grandi ali da cigno e le zampe anteriori erano uguali a quelle di un falco. Rimasi sbalordito, a bocca aperta, quella creatura era meravigliosa, nonostante l'aspetto a primo impatto minaccioso, si poteva capire che era innocua. Tentai di fare un passo verso di lui, ma notando che si ritraeva ancora di più mi bloccai ed alzai le mani, successivamente chiusi gli occhi ed allungai le braccia in avanti, ero molto impaurito, avevo paura potesse farmi qualcosa di male, ma la mia voglia di accarezzarlo era troppo forte, quindi rimasi li, occhi chiusi, braccia avanti, palmi aperti, in attesa di qualcosa. Qualcosa che non tardò ad arrivare. L'animale aveva appoggiato il suo grande testone piumato nella mia mano, e lo stava strofinando come ad invitarmi a coccolarlo. Lentamente iniziai ad accarezzargli le piume, aggiungendo con cautela anche l'altra mano, stando attento a non spaventarlo. Lo coccolai al chiaror della luna e delle stelle. Mi addormentai riscaldato dalla sua pelliccia e circondato dalle piume delle sue grandi ali. All'alba mi svegliai, ma lui era sparito, sostituito dalle urla di alcuni marinai che avevano avvistato le braci del fuoco e il mio corpo disteso. Dove prima si trovava la meravigliosa creatura, ora c'era solo una lunga piuma bianca e nera. Triste e leggermente confuso spiegai ai marinai come ero finito li, loro mi fecero mangiare e mi portarono a casa. Ancora oggi non riesco a dimenticarmi di quella meraviglia. A volte mi chiedo se non fosse stato solo un sogno, ma mi basta guardare la splendida piuma per scacciare via tutti i dubbi. Spero vi sia piaciuta. Matte

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