Immenso, come il Cielo

di steffirah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Days 1-2: First time + Wings ***
Capitolo 2: *** Days 3-4: Phone calls + Midnight ***
Capitolo 3: *** Days 5-6: Cats and dogs + Wishes ***
Capitolo 4: *** Days 7-8: Love languages + Free day ***



Capitolo 1
*** Days 1-2: First time + Wings ***


Un bacio dal Sole



 
 
Quando Syaoran andò alla ricerca di Sakura, la trovò ancora nella sua classe. Era ferma in piedi accanto alla finestra; con una mano teneva la tenda scostata, mentre il suo viso era rivolto verso l’esterno. Sembrava totalmente immersa in un pensiero, tanto da non notarlo neppure mentre le si accostava. La affiancò silenzioso, poggiandosi al davanzale per affacciarsi su di lei.
«Sakura?» la chiamò, riportandola alla realtà.
Lei sbatté le palpebre, guardandolo spaesata per un nanosecondo, prima di sorprendersi.
«Syaoran-kun! Cosa ci fai qui?»
«Ti cercavo per tornare a casa.»
La sua risposta fu così semplice, così scontata, eppure – anzi, forse proprio per questa stessa ragione – riuscì a stringerle il cuore.
Accorgendosi che gli occhi della ragazza andavano inumidendosi sempre più, il giovane adolescente cominciò ad allarmarsi.
«È successo qualcosa?»
Lei scosse la testa, sorridendogli un po’ mogia.
«Stavo solo ripensando a tutte le esperienze vissute qui, in questi tre anni.»
Syaoran le rivolse un piccolo sorriso partecipe, capendo cosa la crucciava.
«Temi che ne sentirai la mancanza?»
Lei annuì brevemente, portandosi le mani all’altezza del cuore.
«Ho stretto così tante amicizie, sono successe mille avventure e non so… d’ora in avanti, non so cosa mi aspetta. Una parte di me teme possa non essere più lo stesso.»
Lui le poggiò delicatamente una mano sulla spalla, attendendo di ottenere tutta la sua attenzione prima di sorriderle incoraggiante.
«Andrà tutto bene, vedrai. Le persone che ami resteranno al tuo fianco. Potrai continuare a vederle tutti i giorni.»
«Me lo assicuri?»
Posò una mano sulla sua, stringendogli le dita alla ricerca di conferma e sicurezza.
Syaoran lesse una tacita preghiera nei suoi occhi, al che provò una morsa allo stomaco. Strinse i denti per un secondo, ma era certo di quel che stava dicendo. Sakura non sarebbe mai stata sola, e lui non l’avrebbe più lasciata.
«Sì», rispose solenne, guardandola con determinazione.
Lei si convinse e gli rivolse un altro breve sorriso. Gli lasciò la mano per poggiarsi nuovamente alla finestra e tornare a rimirare l’esterno, spiegando: «Rievocavo tutti i ricordi costruiti qui».
«Ne creerai dei nuovi», le fece presente, al che lei fece un cenno di comprensione col capo.
«Lo so, solo che… Oggi sembra non bastarmi», sussurrò, quasi parlasse tra sé.
Syaoran ragionò in fretta, chiedendosi cos’altro la stesse crucciando. Cosa gli stava sfuggendo?
Avevano parlato di ricordi, quindi voleva crearne uno speciale e memorabile per l’ultimo giorno lì?
Rivolse un’occhiata al cortile, meditando su cosa potesse fare per lei; il suo sguardo si posò per un breve istante sugli studenti che si salutavano, andandosene uno per uno. Poi fu attratto dall’arancio del cielo, e allora si illuminò. Ma certo! Erano stati graziati da una bella giornata di sole, quindi perché non approfittarne?
Si rivolse nuovamente alla ragazza alla sua sinistra, vedendo ancora quell’aria nostalgica aleggiare sul suo viso. Eppure, nella sua espressione, colse anche un vago timore e malcontento.
«Non devi avere paura di ciò che ti aspetta, Sakura.»
Lei sobbalzò, colta sul vivo. Lo guardò esitante, imbarazzandosi un tantino.
«È che pensavo che stavolta sarebbe bello se, almeno al primo anno, finissimo nella stessa classe...»
«Anche se non fosse così, resterò sempre al tuo fianco. Sarò sempre con te», promise, e lei lasciò che quelle parole penetrassero nella sua mente, soffiando via tutte le nubi che la stavano oscurando.
Gli sorrise riconoscente e lui approfittò di quel cambio di umore per illustrarle la sua proposta.
«Visto che non è rimasto quasi più nessuno e tra poco farà buio, vogliamo andare?»
Riconobbe anche lei che mancasse poco al crepuscolo e se non se ne fossero andati quanto prima ci avrebbero pensato i professori a cacciarli; per cui assentì, avviandosi verso la porta, ma lui la trattenne.
Lo guardò confusa e lui le rivolse un minuscolo sorriso giocoso.
«Chi ha detto che lo avremmo fatto in maniera consueta?»
Sakura piegò la testa su un lato, cercando di capire cosa intendesse, finché non ci arrivò da sola.
Si illuminò tutta, riempiendosi di entusiasmo.
«Intendi dire...»
Non completò la frase, incerta se stesse sognando o meno. Di solito era sempre lei a prendere iniziative del genere, non riteneva possibile che lui potesse esordire in quel modo.
Syaoran chiuse per un istante le palpebre, facendo apparire una piccola sfera di luce nel suo palmo, con lei che lo guardava sempre più basita. Le rivolse poi un breve sguardo scintillante prima di mormorare sotto il fiato: «Fly». A questo comando fu avvolto completamente da accecanti bagliori, i quali ben presto affievolirono, lasciando al loro posto due maestose ali bianche che spuntavano dalle sue scapole.
Sakura sentì il cuore farle un balzo in gola, tanto forte era l’emozione che provava.
Lui le sorrise, porgendole una mano, e lei la afferrò intrepida, lasciandosi portare via da quelle quattro mura. Rimase attaccata a lui finché non furono alti nel cielo; dopodiché lo guardò con sicurezza e si staccò, evocando immediatamente Flight. Dalla sua schiena apparve un grosso fiocco, rendendola simile ad una farfalla.
Volteggiò contenta attorno al ragazzo, facendo piroette nell’aria, e lui, che aveva cominciato a prenderci la mano con le esperienze di volo, riuscì a starle dietro. Gareggiarono per vedere chi fosse più rapido e agile, anche nelle acrobazie, continuando a divertirsi in quel modo per un tempo che parve loro infinito, finché non si accorsero che era rimasto soltanto un ultimo spicchio di sole.
Tornarono pertanto su una parte sopraelevata del terrazzo della scuola, accomodandosi lì dopo aver dissolto la magia, con Sakura che dondolava le gambe all’aria, sentendosi immensamente felice.
Osservarono placidi le ultime luci del tramonto, che dipingevano quel cielo di rosa e lo maculavano con poche nuvole di un rosso carico; in cuor suo, Sakura pensò di aver ragione quando supponeva che i tramonti d’inverno potessero essere i più spettacolari dell’anno. Forse perché da una stagione apparentemente così fredda e spenta non si aspettava colori tanto caldi e accesi.
Ringraziò Syaoran per quell’ultimo regalo di fine anno, di cui inaspettatamente le aveva fatto dono. Al suo mormorio in risposta si voltò nella sua direzione, osservando ammaliata come i raggi aranciati del sole filtrassero tra i suoi capelli, rendendogliene le ciocche più dorate, tendenti al rossiccio. Notò quanta influenza avessero anche sulle sue iridi, tingendole con pagliuzze più luminose, più brillanti.
Si rasserenò nel vederlo con un’espressione tanto placida e rilassata, ma ciononostante non le sfuggì la punta del suo naso arrossata e il fatto che, ad ogni respiro, gli si formasse una minuscola nuvoletta di vapore, che si dissolveva verso il cielo. Per questo si accostò maggiormente a lui, sollevandogli la sciarpa ai lati del viso, alzandogliela fin sopra le orecchie.
«Copriti bene», gli disse con premura, lasciando le mani lì, coi suoi capelli che le sfioravano la punta delle dita, sperando che quel minimo contatto tra di loro potesse durare un altro po’.
Lui si voltò a sorriderle con gratitudine, e sebbene non fossero visibili le sue labbra per mostrarglielo, gli si leggeva tutto in quelle due iridi scintillanti.
Quasi per ripagarla fece altrettanto con lei, aggiustandole le cuffiette pelose che aveva sulle orecchie, domandandole poi incuriosito: «Mi senti se parlo?»
«Certo che ti sento.»
Detto ciò ridacchiò, decidendo che ne avesse avuto a sufficienza di piacevoli esperienze ed emozioni per quel giorno. Gli fece notare che avrebbero dovuto rincasare e stava per ritirare le mani, quando lui gliele riprese, attirandola verso di sé.
Sakura sgranò gli occhi, col batticuore, ma ben presto si quietò, trovando la comodità in un posticino tra il suo collo e la sua spalla. Vi si accoccolò contro e lui, allo stesso modo, affondò il viso nei suoi capelli, abbassandosi la sciarpa per inspirare il suo odore, avvertendo quel suo sottile profumo di primavera. Sorrise beato, sentendosi avvolgere dal suo flebile calore, che cacciava via così il gelido inverno. Si chiese se non fosse ella stessa il sole; probabilmente lo era, il suo piccolo sole.
Rimasero per lunghi minuti in quella posizione, assorbendo l’uno il calore che emanava l’altro, coi loro cuori intrecciati, che seguivano il ritmo della stessa melodia.
Quando si allontanarono di poco, per guardarsi, entrambi si sentivano più leggeri, trasognanti. Chissà cos’era quella nuova magia che stavano sperimentando, che li stava sopraffacendo. I loro occhi sfavillavano, specchiandosi gli uni negli altri, affondando in quelli della persona cui più tenevano al mondo. Non c’era più bisogno di parole, perché ormai riuscivano a comunicare così, coi loro sguardi. Ed entrambi si sentivano finalmente sicuri che fosse giunto il momento, il momento che inconsciamente avevano atteso da anni, ma che mai avevano trovato il coraggio e l’occasione di far avverare.
Erano confusi da quelle sensazioni così intense, da quel batticuore incessante, da quel desiderio di avvicinarsi maggiormente, e non lasciarsi andare mai più. Erano inesperti, e per questo lasciarono che fossero il mondo, il cielo, il vento, le nuvole, il sole a guidarli.
Nessuno dei due, in effetti, lo aveva previsto. Forse furono davvero gli ultimi raggi di quel sole calante a spingerli tanto l’uno verso l’altra, a farli avvicinare sempre di più, nel piccolo desiderio di poter preservare quel calore appena trovato.
Così, nell’istante in cui il giorno incontrò la notte, per la prima volta anche le loro labbra si incontrarono.










 
Angolino autrice:
Buon salve a tutti! Buon sabato, buon weekend e, soprattutto, buon principio di primavera!
Ho deciso di festeggiare questo giorno pubblicando una raccolta che ho scritto ben un anno fa e, ahimé, ho totalmente dimenticato di condividere con voi. 
Stavolta, per non scrivere troppe storie ho deciso di unire i prompt dei diversi giorni, quindi saranno un totale di quattro one-shot (che pubblicherò ogni sabato). Questa è ipoteticamente ambientata alla fine delle medie, e bene o male segue l'originale; avviso, tuttavia, che le ultime due saranno AU. 
Detto ciò, spero che vi sia piaciuta!
A presto,
Steffirah

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Capitolo 2
*** Days 3-4: Phone calls + Midnight ***


Stelle di mezzanotte




 
Aprii gli occhi di scatto, svegliandomi di soprassalto. Mi portai una mano sul cuore, sperando rallentasse, ansante. Con la destra mi asciugai rapidamente le guance e afferrai il telefono, controllando l’orario: era a malapena mezzanotte, ma cosa mi aspettavo?
Quel giorno era stata una giornata piena, non avevo avuto un attimo di respiro e appena tornata a casa, seppure fossero le 7, ero crollata senza neppure cenare. A malapena avevo avuto la forza di fare un bagno e indossare il pigiama – Kero-chan mi aveva assistita affinché resistessi in piedi finché non fossi arrivata in camera. E qui, una volta stesa sul letto, il tempo di chiudere gli occhi ed ero caduta in un sonno profondo.
Speravo che la fatica mi facesse semplicemente galleggiare nell’oblio più oscuro, senza mostrarmi nulla; e invece non importava quanto mi sentissi distrutta fisicamente e mentalmente, i sogni dovevano giocare con la mia psiche e mostrarmi scene tanto… tanto orribili, dilanianti, traumatiche.
Nonostante fossi madida di sudore mi ristesi sotto le coperte, stringendomi la maglietta all’altezza del petto, sentendomi mancare l’aria. In maniera quasi automatica afferrai il telefono affianco al letto, digitando frettolosamente il numero di Syaoran-kun.
«Sakura? Cosa succede?» rispose immediatamente.
«Scu-scusami se ti disturbo...» esordii schiarendomi la gola, sollevata di sentire la sua voce.
«Non disturbi e tranquilla, non mi hai neppure svegliato. Tra l’altro, ti ho sempre detto che mi puoi chiamare a qualsiasi ora, no?»
«Mmh», mormorai, non sentendomi in grado di pronunciare molto. Mi bastava ascoltare lui.
«È successo qualcosa?» Il suo tono immediatamente cambiò, divenendo apprensivo, il che mi fece sorridere mio malgrado.
Presi un respiro tremante, spiegando: «Ho… ho avuto un incubo. Riguardava noi, anche se… forse non eravamo propriamente noi. Non lo so, non sono sicura».
Sospirai affranta, avvertendo il mio cuore infrangersi in mille pezzettini al solo ricordo, sebbene esso avesse continuato a persistere nella mia mente per tutto il tempo. Quelle immagini… Tutto quel sangue, quelle ferite, quei ciliegi, quei frammenti…
Tirai su col naso, trattenendo un singhiozzo per non far preoccupare Syaoran-kun più di quanto già stessi facendo, assicurandomi però nel panico: «Tu stai bene, vero?»
«Sì.» La sua voce, per qualche ragione, sembrava più cupa. O forse mi si stavano tappando le orecchie per lo sforzo di contenermi. «Dammi cinque minuti.»
«Hoe?»
Da quel momento non udii altro che fruscii e tintinnii, lo scorrere della finestra che si apriva e qualche altro suono indefinito, prima che tornasse la sua voce, seppure non fosse definita come prima, quasi ci fossero delle interferenze.
«Come ti senti?»
«A pezzi», risposi onesta, raggomitolandomi su me stessa. Affondai la faccia tra le ginocchia e lo sentii emettere una sorta di mormorio incomprensibile, prima che pronunciasse:
«Resisti un altro po’».
«In che senso?» domandai confusa.
Proprio allora, invece della sua risposta mi giunse alle orecchie un ticchettio accanto alla finestra. Sollevai la testa e mi voltai, trovandovi al di fuori Syaoran-kun in pigiama.
Mi alzai in fretta e furia, correndo ad aprirla, domandandogli sbigottita: «Come sei arrivato?»
«Volando», rispose con naturalezza, saltando dentro, concedendomi a malapena il tempo di richiudere il vetro prima di avvolgermi del tutto tra le sue braccia.
Superando la sorpresa ricambiai, lasciando che mi trascinasse verso il letto, e senza allontanarmi vi si sedette sopra, stendendosi e portandomi giù con sé. Mi carezzò con leggerezza i capelli, domandando con delicatezza: «Ti va di raccontarmelo?»
Strinsi le dita attorno alla sua maglia, annuendo appena.
«Non ricordo tutto nei minimi dettagli, solo due scene in particolare.»
«In cui c’eravamo noi?»
«Sì e no, eravamo io e te, ma non eravamo propriamente noi. Era come se… come se fossero altre esistenze di noi stessi. Ma questa è solo un’impressione, perché non erano altro che sagome, ombre nere…» Sollevai di poco lo sguardo, vedendolo a malapena attraverso le lacrime. «Ciò non toglie che è stato tremendo… E se fosse… se fosse un sogno premonitore… che sia il nostro destino o il destino di un altro Syaoran-kun e un’altra Sakura… non posso accettarlo…»
A stento riuscii a contenere un singulto. Chiusi le palpebre, avvertendo le lacrime cominciare a scorrermi sulle guance, e scossi la testa, rifiutandolo.
Syaoran-kun mi riaccompagnò sul suo petto, quasi cullandomi.
«Che cosa hai visto?» sussurrò, anche il suo tono sembrava impaurito.
Mi tremavano le labbra mentre lo rievocavo, quasi percependo quello stesso dolore.
«Te che mi… mi trafiggevi il petto… Mi uccidevi, per sbaglio, e io mi disintegravo in tanti petali di ciliegio, svanendo. E poi tu… tu ti autopunivi per quello che avevi fatto e ti lasciavi…» Feci una breve pausa, raccogliendo fiato, perché quella era stata la parte peggiore. «Ti lasciavi volontariamente uccidere e… e anche tu ti disintegravi in tanti piccoli cocci di vetro…»
Strinsi maggiormente le mani attorno alla sua schiena, quasi temessi potesse avvenire in quello stesso momento, che Syaoran-kun potesse dissolversi da un momento all’altro. E se ciò fosse avvenuto, non sapevo più cosa avrei fatto. Non sapevo neppure se fossi stata in grado di sopravvivere.



 
***
 


Non appena Sakura mi ebbe raccontato quel sogno – anzi, quell’incubo, mi sentii ghiacciare il sangue nelle vene. Come lei, mi auguravo con tutto me stesso che non fosse veritiero.
Io che la uccidevo, con queste mie mani… Con queste mani con cui tentavo costantemente di proteggerla… Il solo pensiero mi terrorizzava. E se un altro me stesso avrebbe dovuto vivere un fato simile, non mi stupiva che decidesse di autodistruggersi. Era esattamente quel che avrei fatto anche io.
Ma la morte di Sakura… era ciò che mi faceva paura, più di ogni altra cosa. Che lei potesse essere ferita, nel corpo o nell’anima. Cercavo di evitare sempre tali situazioni, ma già una ferita emotiva gliela avevo inferta, e se per qualche assurda ragione gliene avessi anche inflitta una fisica…
Al solo pensiero mi sentivo soffocare.
«Sakura…» provai a parlare, prendendo un profondo respiro. «Stai tranquilla. Non ti succederà niente, non ti farò mai del male -»
«Non è questo!» Mi interruppe bruscamente, fissandomi dilaniata. «Non voglio che sia tu a farti del male!»
Sgranai gli occhi, ma immediatamente le sorrisi. Aveva sempre, sempre, un pensiero per me.
La riabbracciai, lasciandola sfogarsi. Ascoltai il suo pianto sommesso, fissando lo sguardo sul soffitto bianco, massaggiandole la schiena per confortarla.
Sapevo che di questo passo non sarebbe più riuscita a prendere sonno, a meno che non fosse crollata del tutto. E sapevo anche che aveva appena trascorso una giornata pienissima, per cui il riposo era più che necessario. Pertanto scavai nella mia mente, alla ricerca di qualcosa che potesse distrarla, che potesse cancellare almeno per il momento, se non per sempre, quelle terribili immagini dai suoi ricordi, e sostituirle con qualcosa di più leggero. Qualcosa di piacevole…
Spostai distrattamente lo sguardo verso la finestra da cui ero arrivato, osservando imbambolato il piccolo cono di luce creato dalla luna.
La luna… ma certo!
Non ci fu bisogno che la chiamassi ad alta voce, Flower aveva già sentito quel mio piccolo desiderio. Le sorrisi grato e lei mi rivolse un ghigno allegro, prima di volteggiare attorno alla sua padrona, o meglio, alla sua migliore amica, sembrando proprio una fatina. Al suo passaggio lasciava dei petali di ciliegio dietro di sé, e dato che girava in tondo aveva finito con il creare una sorta di coroncina sulla sua testa.
Sakura non sembrò neppure essersene accorta, finché uno dei petali non scivolò dalla sua fronte, sfiorandole il naso. Ne arricciò la punta, strizzando gli occhi, e starnutì. Cercai di non ridere, ma era stata tremendamente adorabile. Mi morsi un labbro per trattenermi e lei finalmente sbatté le palpebre, sollevandosi di poco; così facendo tutti i petali le caddero attorno, finendo un po’ addosso a me, un po’ sul suo letto.
«Hoe?»
Mi guardò spaesata, ma piuttosto che darle spiegazioni le indicai Flower, ora impegnata a sostituire i fiori che aveva sul davanzale con di nuovi e più freschi.
«Oh!» esclamò, mettendosi più dritta, e finalmente sorrise. «Grazie», disse con dolcezza, rivolta ad entrambi.
Mi strinsi nelle spalle, visto che più di tanto non mi era concesso, e domandai: «Conosci il tan hua?»
«Il “tan hua”? No, non mi sembra di averlo mai sentito…»
Ci rimuginò su e io annuii, prevedendolo.
«È un fiore cinese, talmente raro che può sbocciare anche soltanto una volta all’anno ed esclusivamente di notte, quando è colpito dalla luce dalla luna, mentre all’alba appassisce.»
Mi guardò con occhi pieni di meraviglia, volendone chiaramente sapere di più.
Le raccontai che in India si credeva che i desideri espressi quando era fiorito si sarebbero realizzati e che anche in Giappone era conosciuto, col nome “gekka bijin”.
Quando sembrai essere giunto a conclusione chiese curiosa: «Tu l’hai mai visto?»
«Sì, quando ero bambino. Mia nonna, la madre di mia madre, ne possedeva una pianta e durante una visita a casa sua mi portò di sera nella sua serra, dove la conservava con cura. Ciononostante ne ricordo l’aspetto solo perché poco tempo fa mia madre ne stava parlando e, incuriosito, ero andato a cercarla, per capire cosa fosse.»
«Com’è fatta?»
Ormai pendeva totalmente dalle mie labbra.
«Le foglie sono larghe e d’un verde molto scuro, i fiori sono bianchi e profumati, ricchi di petali, a diversi strati, come le dalie. Alcuni però sono più lunghi e, per questo, sembrano delle stelle.»
«Sembra stupenda», sospirò, sognante. «Mi piacerebbe tanto vederla.»
Ci guardammo per un po’ meditabondi, chiedendoci come fare, finché non venne ad entrambi un’illuminazione. Contemporaneamente ci voltammo verso Flower, la quale aveva appena fatto nascere nuovi germogli dal terriccio nella sua piantina. Ci fissò per un istante e prima ancora che potessimo aprire bocca annuì; volteggiò su se stessa, facendo apparire tra piccoli bagliori proprio quella pianta. Per non essere costretti ad accendere la luce e rischiare di svegliare qualcuno chiesi a Glow di illuminarla debolmente, e così mi resi conto che i fiori davvero sembravano tante piccole stelle.
Ripresomi dallo stupore, dedicai le mie attenzioni a Sakura, vedendola totalmente abbagliata.
«È bellissima!» esclamò sottovoce, a stento trattenendo l’entusiasmo.
Si allungò sul bordo del letto, annusandone i boccioli in fiore, sospirando appagata prima di ristendersi e chiudere gli occhi beata.
Sorrisi intenerito cercando di farle più spazio, carezzandole i capelli.
«Hai sonno?»
«Mmm», mugugnò appena insieme a uno sbadiglio, prendendomi debolmente la mano. «Resti ancora un po’?»
«Finché non ti addormenti», promisi, abbassandomi a darle un lieve bacio sulla fronte.
Rimasi al suo fianco, carezzandola e mormorando una qualche ninnananna, vegliando su di lei per tutto il tempo. Le carte intanto erano già tornate al loro posto e mentalmente le ringraziai per quello che avevano fatto, certo che potessero sentirmi.
Quando mi accorsi che Sakura era finalmente sprofondata nel mondo dei sogni mi concessi qualche altro minuto lì con lei, imbevendo semplicemente la mia anima con la sua compagnia. Inspirai il suo buon profumo mentre le lasciavo un altro bacio tra i capelli, augurandole buonanotte.
«Fai dolci sogni», sussurrai, e non appena un minuscolo sorriso si fece largo sul suo viso rilassato decisi di alzarmi, tornandomene a casa.
Rassicurai Kerberos che si era affacciato dal suo cassetto, assicurandogli che ora era tutto a posto, e prima di andarmene lasciai lì i fiori, impregnandoli di magia affinché non appassissero, cosicché le stelle sarebbero state presenti anche per darle il buongiorno.










 
Angolino autrice:
Hello! Come state? Io oggi mi sento un tantino fiacca, quindi vi prego di farmi notare eventuali errori perché, anche se ho revisionato il capitolo, potrebbero esserci.
Ma bando alle ciance, ecco che torno dopo una settimana con un capitolo angst (zan zaaan!) e dolcino. Ammetto che è per ciò che è contenuto qui che ho inserito spoiler tra gli avvertimenti, anche se in effetti già nel precedente per qualcuno avrebbe potuto esserlo, se non ha ancora visto Syaoran usare Fly (che poi qui la usa di nuovo, insieme alle altre carte, ma dettagli!). Comunque, lo spoiler a cui mi riferisco non riguarda solo CCS, ma anche Tsubasa Reservoir Chronicle - o per lo meno, per le persone che non hanno letto il manga. Naturalmente spero non ce ne siano, non vorrei aver rovinato niente a nessuno... Nel caso, fate finta di nulla e dimenticate se potete. 
Per chi invece conosce TRC, e in particolar modo mi rivolgo a fioredineve, Aretha e "te", dopo potete pure linciarmi. Lo so che non ve lo aspettavate, ma dovete credermi, nemmeno io me lo aspettavo ToT
E niente, passando a cose più belline, se non vi è capitato di vedere il fiore qui citato cercatevelo, è realmente bello! Probabilmente alcuni di voi lo conoscono avendolo visto in "Crazy rich asians" - aaah che emozione è stata ritrovarlo anche lì!
Bene, dopo aver fatto l'angolino autrice più lungo di questa raccolta, vi saluto. 
A sabato prossimo!

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Capitolo 3
*** Days 5-6: Cats and dogs + Wishes ***


Pioggia di comete




 
Una volta pronta e vestita la fanciulla si congedò dalle cameriere, uscendo dalla sua stanza. Mentre esse la preparavano le avevano enunciato i programmi del resto della giornata, e dentro di sé sorrise: per una volta più che lezioni, avrebbe avuto visite. Si affrettò a raggiungere il salone da pranzo, rassettandosi l’ampia gonna prima di fare il suo ingresso e annunciarsi.
«Oh, ecco la mia cara bambina. Com’è andata la lezione di danza?»
«Bene, grazie.»
Sorrise gentilmente al nonno che si era appena alzato dal divano – aveva già compiuto quindici anni, eppure continuava a usare quelle due paroline con lei, “dear child” – e lo raggiunse con piccoli passi, spostando immediatamente lo sguardo sull’ospite dell’ora del tè.
Non ricordava di aver mai incontrato quella donna. Ne osservò i sottili e raffinati tratti asiatici, capendo subito che non fosse giapponese come lei. No, l’aria che emanava era diversa, più mistica, enigmatica, quasi fosse avvolta dal mistero. Nulla percepiva dell’atmosfera calma e genuina con cui era cresciuta. Osservò poi il suo abbigliamento, non riconoscendolo. Di certo non era di fattura inglese.
«Madame, lei è mia nipote.»
«La vostra Cherry?»
Per poco la fanciulla non sollevò gli occhi al cielo. Il nonno aveva anche preso quell’abitudine di inglesizzare il suo nome e presentarla così ai suoi conoscenti.
«Precisamente.»
Fece un passo avanti, profondendosi in un breve inchino, sforzandosi di sembrare elegante quanto quella donna per non sfigurare.
«Potete chiamarmi Sakura.»
«Io sono Yelan Li.»
Si inchinò a sua volta, ma i suoi modi di fare continuavano a distinguersi da quelli che le erano più familiari. La osservò cauta, scrupolosamente, riflettendo sul fatto che il nonno non avesse mai nominato quella donna.
“Chi sarà mai? Madame Li… Da dove verrà? Di cosa si occuperà?”
Che fosse una nobildonna, non vi erano dubbi.
Le sue riflessioni andarono in fumo nel momento in cui notò una creaturina dal manto bianco appallottolata su se stessa, comodamente adagiata sul divano. Spalancò le labbra quando coi suoi occhi di un celeste argenteo la inchiodò sul posto.
«Questo gatto è bellissimo!» esclamò illuminandosi. «È vostro?»
La donna assentì col capo, nascondendo un sorrisetto dietro una sua manica.
«Si chiama Yue. È quieto, il che mi permette di portarlo ovunque con me, ma è anche molto diffidente.»
Sakura soppesò per un po’ le sue parole prima di farsi avanti e inginocchiarsi a terra, poggiando le braccia sul divano.
«Ciao Yue, piacere di conoscerti. Io sono Sakura.»
Si mostrò amichevole e affabile mentre tentava di allungare una mano, posando appena le dita sulla sua testa per carezzargli il capo. Non era molto abituata ai gatti, visto che da quanto aveva memoria la sua famiglia aveva sempre posseduto soltanto cani, eccetto che per quello di sua cugina. Lei le aveva insegnato come comportarsi in loro presenza, come toccarli, come carezzarli, come metterli a proprio agio per non spaventarli. Era molto più difficile e stancante a livello mentale doversi preoccupare tanto di ogni singola azione che svolgeva e di come avrebbero potuto reagire, rispetto alla naturalezza e spontaneità con cui riusciva a trattare un cane. Eppure, non le dispiaceva. Anche i gatti avevano un fascino indescrivibile, e sia Yue che quello di sua cugina assomigliavano in maniera impressionante alle loro padrone.
«Cherry, tesoro.»
Si riscosse dalle sue osservazioni, rassettandosi per rimettersi in piedi. Le parve che la signora avesse un’aria leggermente sorpresa, ma non poteva esserne certa; cercò quindi di non pensarci e si dedicò al nonno, che le si era appena rivolto.
«Perché non vai in giardino a chiamare il figlio di Madame?»
Lo fissò confusa per qualche istante, per poi rielaborare le sue parole e rallegrarsi. Aveva un figlio! Magari avrebbe avuto la sua stessa età! Chissà che tipo di persona era! Assomigliava tanto alla madre?
Annuì entusiasta, congedandosi. Mentre si accingeva ad uscire un sorriso spontaneo sorse sulle sue labbra.
Incamminandosi per i sentieri del loro immenso giardino provò ad immaginarselo. Avrebbe avuto quegli stessi occhi sottili e profondi? Neri, come il carbone. E quello stesso colore di capelli? Si figurò il viso della signora, rendendone un po’ meno delicati i tratti, più mascolini. E cosa avrebbe indossato? Quegli abiti di foggia esotica?
Elettrizzata all’idea di scoprirlo accelerò, guardandosi attentamente intorno. Da lontano intravide Cerberus correre e si affrettò in quella direzione, passando per il roseto; stava per richiamare il loro cane da guardia, quando si accorse che non era solo. Si pietrificò, vedendo che quel cucciolo ormai cresciuto scodinzolava felice, riportando qualcosa ad un ragazzo mai visto prima – aguzzando la vista, si accorse che si trattava di un bastoncino di legno che sembrava un rametto, ma da quella distanza non poteva esserne sicura.
Per un microsecondo si chiese se non avessero assunto un nuovo garzone, ma poi notò quell’abbigliamento fino a quel giorno sconosciuto e ne rimase sbigottita. Doveva per forza essere il figlio di Madame Li! Ed era totalmente diverso da come se lo era figurato! Che stranezza, sembrava aver ereditato ben poco da sua madre, se non l’eleganza che sprigionava. Era così diverso da lei, con quei capelli d’un castano dorato, non perfettamente lisci come la madre, e quei tratti sorprendentemente gentili. Se lo aspettava con un aspetto possibilmente più austero, e invece s’era completamente sbagliata su di lui.
E poi, Cerberus che giocava con lui! Cerberus che gli faceva le feste e addirittura gli mostrava la pancia, permettendogli di farsi carezzare, ricevendo in risposta dei sorrisi gioviali, che sembravano appartenere ad un bambino. Le mancò il respiro, mentre si domandava a cosa stesse assistendo.
Il loro guardiano fu il primo ad accorgersi di lei e a rimettersi sulle zampe, scattando nella sua direzione, abbaiando. Si riscosse in fretta e si protese verso Cerberus, chiamandolo con un sorriso; prevedibilmente le si lanciò addosso per leccarle tutto il viso, facendole perdere l’equilibrio. Rise deliziata, finché non si accorse che lo sconosciuto dagli abiti di smeraldo si era inginocchiato al suo fianco, mostrando una lieve apprensione.
«Va tutto bene?»
«Sì, fa sempre così, è un giocherellone», spiegò riempiendolo di coccole, contentandolo. Era anche vero però che era sospettoso con gli estranei – naturalmente doveva essere così, o non avrebbe potuto svolgere per bene il suo compito –, divenendo molto aggressivo quando il suo istinto gli faceva diffidare della gente che andava a rendergli visita. Ecco perché s’era stupita nel vederlo tanto docile con il nuovo arrivato.
Riuscì in qualche modo a farlo spostare su un lato e farlo accucciare, ammonendolo a fare il bravo puntandogli il dito contro – ricevendosi un ghigno compiaciuto in risposta –, prima di sospirare e voltarsi verso il loro ospite, sperando di non risultare impresentabile come temeva. Si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio mentre si voltava alla sua destra, trovandolo ancora accovacciato lì, con un’espressione serena rivolta tutta al suo cane.
Provò a prendere parola, ma lui fu più rapido di lei nello spostare lo sguardo sul suo viso, colpendola dritta al cuore. C’era gentilezza e tristezza in quegli occhi d’ambra, una sorta di mestizia che le stringeva il cuore.
«Perdonate il mio comportamento deplorevole. Immagino che voi siate la contessa Cherry», ipotizzò mentre si rimetteva in piedi, porgendole immediatamente una mano per aiutarla a fare altrettanto.
Stavolta Sakura sospirò sonoramente, mettendo per un secondo da parte i buoni modi con cui era stata educata.
«Non “Cherry”, Sakura», precisò una volta che gli fu di fronte, notando che con gli stivali arrivava quasi perfettamente alla sua altezza.
Lui parve per un attimo confuso, poi sembrò fare due calcoli e trattenne un sorriso, riconoscendo: «Ma certo, siete giapponese».
«Voi invece presumo siate il figlio di Madame Li?»
«Precisamente. Mi chiamo Syaoran.»
Ripeté mentalmente il suo nome, cercando di memorizzarlo. Sicura che non lo avrebbe dimenticato lo guardò con un sorriso, domandandogli se avesse già fatto un giro del giardino.
«Non tutto, solo fino alla fontana, poi il vostro cane -»
«Cerberus.»
«… Cerberus», riprese, volgendosi verso di lui, dedicandogli un sorrisone, «si è letteralmente avventato su di me.»
«Non vi avrà fatto del male?» si allarmò, considerando anche la sua stazza.
«Affatto, voleva soltanto giocare.»
Rimase in silenzio, accorgendosi che aveva assunto di nuovo quell’espressione nostalgica.
Volendo scoprire di più su di lui lo invitò a fargli visitare il giardino, e mentre si incamminavano e gli mostrava la zona gli porse diverse domande. Così facendo capì finalmente l’origine di quell’aria malinconica: quando suo padre era ancora in vita anche loro possedevano un cane, ma era morto insieme al padrone e da allora la madre non aveva avuto il coraggio di prenderne un altro. Lo sentiva come se avesse potuto sostituirlo così facendo e se non ci riusciva con suo padre, non ci sarebbe riuscita neppure con quel caro animale che rappresentava la sua ombra. Le spiegò che diversi uomini avevano provato a corteggiarla, in maniera del tutto vana, anche perché più interessati ai loro beni che alla loro famiglia.
«Ma noi ce la caviamo perfettamente anche così. D’altronde, le mie sorelle hanno già preso le redini della nostra attività, estendendone le finanze.»
«Per questo siete venuti in Inghilterra?» domandò, cominciando a comprendere la ragione della loro presenza.
«Mia madre aveva detto di avere un conoscente qui e pensavo si trattasse di un mio lontano parente, che sicuramente conoscerete. Il conte Eriol.»
«È promesso in sposa a mia cugina!» esclamò incredula, senza controllare lo stupore.
Anche lui ne parve sorpreso, poi emise una breve risata, in maniera abbastanza composta ed educata. Sembrava conoscere perfettamente le buone maniere, soprattutto inglesi.
«Come si dice, il mondo è davvero piccolo. In ogni caso, alla fine siamo finiti qui, e sebbene inizialmente volesse che contrattassi con lei mi ha chiesto di aspettare fuori, per qualche inspiegabile ragione.»
«Oh! Quindi volete creare un’unione delle nostre società?»
«Suppongo siano questi i piani di mia madre, anche se non mi è chiaro il come.» Osservò le aiuole ben potate per qualche istante, prima di trasalire lievemente e guardarla, bloccandosi nel suo cammino. «Vogliate perdonare la mia mancanza.»
Lei lo fissò confusa, finché non lo vide fare un inchino galante e prendere la sua mano, baciandone appena il dorso.
«È un onore fare la vostra conoscenza.»
L’animo della fanciulla tremò. Così facevano tutti, eppure c’era qualcosa di diverso in lui, qualcosa che la scuoteva fin dentro le interiora.
Attese che si rimettesse ritto prima di prendere tra le dita la sua ampia gonna, chinando di poco il capo, facendo a sua volta una lieve riverenza.
«L’onore è tutto mio. Perdonate anche voi la mia scortesia, è solo che il nostro incontro è stato…»
Cercò la parola giusta, ma lui sembrò trovarla per lei.
«Poco convenzionale», completò, trovandosi d’accordo.
Si rivolsero una breve occhiata grave, finché la serietà non cadde ed entrambi ridacchiarono.
Sakura poggiò allora una mano su un suo braccio, domandandogli: «In tal caso possiamo lasciar perdere tutti questi convenevoli?»
«Se mia madre lo scoprisse sarebbe un problema», provò a porre dei limiti, in cui nemmeno lui credeva.
«Vostra madre non deve scoprirlo, in pubblico possiamo comportarci da “bravi signorini”.»
Gli sorrise con complicità e lui fece un mezzo sorriso sghembo, osservando: «Non avete un’aria tanto ribelle».
«È che la mia situazione è piuttosto complessa.»
Per ricambiare quel che lui le aveva svelato, gli raccontò della sua vita in Giappone. Anche lì erano benestanti e la sua infanzia era stata sufficientemente spensierata, visto che, nonostante la prematura dipartita di sua madre, era cresciuta con tutto l’affetto di suo fratello e suo padre. Un giorno, tuttavia, quando aveva nove anni ricevettero una lettera indirizzata alla madre. Era da parte del nonno e scriveva che perdonava la fuga di sua figlia, e che l’avrebbe riaccolta in casa. Non conosceva bene tutte le vicissitudini, ma dopo una serie di eventi e dopo aver scoperto della morte della madre il nonno aveva chiesto di poter crescere almeno la sua nipotina, mentre il fratello si occupava degli affari in Giappone.
«Non vi sentite triste qui?» chiese con delicatezza il giovane e lei scosse vigorosamente la testa.
«All’inizio è stato un po’ difficile abituarmi a questa nuova vita, queste nuove usanze, questo nuovo galateo. Ma non sono infelice, perché qui ho tante persone che mi vogliono bene, e sia mio padre che mio fratello vengono a trovarmi più spesso di quanto potessi sperare. Inoltre mio padre dai suoi viaggi mi porta sempre tanti doni inestimabili e io li guardo ogni notte, pregando per lui e sperando di rivederlo presto. Sono ciò che me lo fa sentire costantemente presente.»
«Una contessa e un ricercatore, eh?» sussurrò Syaoran tra sé, capendo perché la famiglia della madre si fosse opposta tanto al loro matrimonio. Certamente non era quello il futuro che avevano previsto per lei. «Vostra madre è stata molto coraggiosa.»
«Ha lottato per la sua libertà», confermò, sogghignando vittoriosa. «E ha ottenuto la felicità che desiderava.»
Si erano ormai seduti su una panca marmorea al di sotto di un padiglione, con lo sguardo rivolto verso un laghetto in cui nuotavano maestosi cigni.
«Dovrebbe essere sempre così…» mormorò lui, la sua voce che sembrava svanire col vento; ciononostante Sakura lo udì e ne rimase positivamente colpita. Si conoscevano appena, eppure aveva già capito che sembravano condividere gli stessi ideali.
Preoccupata tuttavia che la sua situazione potesse essere simile gli strinse la mano, cercando di infondergli coraggio, cogliendolo impreparato.
«Anche voi amate qualcuno che non potete sposare?»
«I-io…» balbettò, imbarazzandosi, non aspettandoselo. Non quando lei lo guardava con quegli occhi cristallini e sinceri, totalmente privi di nubi, se non una leggera apprensione. Ci pensò su e per quanto a lei potesse suonare come una menzogna dovette ammettere che: «No, non mi è mai capitato di innamorarmi».
Stranamente, lesse la comprensione nei suoi occhi.
«Nemmeno a me», replicò con schiettezza, lasciandolo basito. «Ho ricevuto molte proposte, tutte rifiutate. A malapena conoscevo i miei pretendenti, e come per vostra madre erano unicamente interessati al legame di consanguineità che ho con la regina. E pur avendo l’occasione di essere introdotta a giovani e uomini di tutte le età, nessuno ha mai acceso il mio interesse.»
La ascoltò tacito, corrugando la fronte. Riconosceva che le persone potessero essere realmente degli avvoltoi, soprattutto una volta poste di fronte alla ricchezza. Tutti puntavano ad agganci importanti o a grandi imperi e quella era la triste, amara realtà che entrambi dovevano vivere.
«Ma con voi è diverso.»
Sollevò lo sguardo di scatto, trovandola a sorridergli con dolcezza.
«Voi suscitate il mio interesse.»
Si ritrovò senza parole – ed era la seconda volta che quella fanciulla riusciva a bloccargli la gola, cosa mai accaduta prima. Mantenne in ogni caso una parvenza di tranquillità, rivolgendole un sorriso.
«Contessa, potete anche darmi del tu e chiamarmi per nome», concesse, capendo dopo la sua richiesta che per lei sarebbe stato più semplice.
«Posso?» domandò stupita, sgranando gli occhi.
«Certamente.»
«Allora anche vo - ehm, anche tu, Syaoran, fai lo stesso con me!»
«Non so se io -»
«Insisto!» lo interruppe, esaltata all’idea.
«D’accordo. Farò come desideri, Sakura», si arrese, al che lei esultò vistosamente, balzando in piedi, ponendoglisi dinanzi.
«Quindi siamo amici?»
«Se tu mi onori della tua amicizia», rispose formalmente, facendola ridere. Stavolta non nascose il viso e poté vedere quanto le si illuminava lo sguardo, quasi ella fosse il sole stesso.
«Per me lo sei», confermò, al che anche lui si stese in un sorriso, sentendosi rasserenato.
«Allora lo siamo.»
La contessina saltellò allegramente sul posto, domandandogli con foga se si sarebbe fermato lì per quella notte.
«C’è una cosa che voglio assolutamente mostrarti!»
Era del tutto su di giri, ma lui non sapeva ancora quali fossero per la precisione i piani di sua madre. In realtà, negli ultimi tempi non riusciva più a sondare la sua mente, diveniva sempre più enigmatica, si teneva le proprie idee per sé o le condivideva unicamente con le sue sorelle maggiori e lui poteva solo basarsi su piccoli indizi per giungere a delle conclusioni e capire almeno parzialmente quali fossero le sue intenzioni. Sapeva con certezza che ogni sua scelta non fosse dettata dal caso, ma sperava in cuor suo che quel suo incontro con la contessa – no, con Sakura, non fosse un suo piano ben architettato. Forse, anzi, sicuramente aveva in programma qualcosa di grande per lei, per loro, ma di qualunque cosa si trattasse non avrebbe permesso che intaccasse la sua felicità. Perché lei era così pura, genuina, onesta, e sì, doveva ammetterlo, già le si era affezionato. Decise pertanto in maniera quasi istintiva che l’avrebbe protetta, se necessario anche dalla sua stessa famiglia. Non avrebbe permesso mai e poi mai che diventasse il burattino di sua madre.
Ecco perché quando ritornarono alla dimora indossò nuovamente la solita maschera di formalità e ringraziò il cielo che Sakura facesse lo stesso, prontamente. Quella piccola intimità che avevano creato, che avevano trovato, l’avrebbero condivisa soltanto tra di loro. Sarebbe stato il loro piccolo segreto, taciuto al resto del mondo. Quell’idea eccitava tanto lei quanto lui: era un piccolo segreto tutto loro.
Ciononostante sua madre gli serbò un’inspiegabile occhiata di rimprovero, come se già sapesse tutto, come se non avesse mai staccato gli occhi dalle loro figure, idea che lo fece rabbrividire. Finché poi non si accorse che, considerando la polvere sulle loro vesti e le foglie impigliate tra i capelli lievemente allentati di Sakura, era semplice fraintendere. Sua madre poteva anche credere che fossero diventati amanti, la cosa non faceva che rendere quella situazione ancora più esilarante.
Il nonno invece non ne sembrò per niente turbato, forse era abituato a vederla in quelle condizioni, considerando il suo spirito energico.
Fatto sta che le consigliò di farsi aggiustare dalle sue cameriere e non appena lei andò nelle sue stanze sua madre lo informò che per quella sera si sarebbero realmente fermati lì.
Attesero che Sakura scendesse prima di cenare e Syaoran la osservò con discrezione, notando che aveva cambiato il vestito indossandone uno dalle tinte più sul color pesca e anche i suoi capelli erano stati acconciati in maniera diversa, non più in due trecce avvolte sul capo ma in una semplice crocchia morbida, lasciandone alcune ciocche libere. I capelli alzati le donavano, ma incontrollabilmente si domandò come potesse essere coi capelli sciolti. Domanda del tutto inutile, non avrebbe mai avuto modo di vederla così.
Cenarono parlando per poco di questioni sociali e impersonali, in maniera educata, sennonché con sua sorpresa Sakura ogni tanto gli rivolgeva un sorriso quasi invisibile o ammiccava nella sua direzione con complicità. Si mostrava impassibile nella consapevolezza che, anche se non lo guardava perché impegnata in una conversazione col conte, sua madre lo controllava costantemente. Ciononostante le diede dei lievi colpetti col piede, come ad ammonirla di smetterla. Lei dovette prenderla come una qualche sfida perché gli rispose allo stesso modo, e mentre proseguivano col pasto si chiese a che gioco stesse giocando. Ragionò anche sul fatto che mai aveva instaurato una relazione simile con una persona. Come poteva definirla? Cos’era tutta quell’intesa? Sembrava quasi che fossero tornati bambini e, finalmente, potessero divertirsi.
Nel suo cuore sorrise a quel pensiero che lo accompagnò fino alla fine del pasto, in seguito al quale si spostarono nel salone per proseguire con la conversazione. La seguì con attenzione, per non lasciarsi sfuggire nulla che avrebbe potuto rivelarsi importante, finché non si accorse che Sakura sembrava irrequieta. A vederla così era totalmente immobile, se non per qualche occasionale sorriso e cenno d’ascolto col capo, ma si accorse che le dita della mano nascosta accanto alla sua gamba tremavano contro la stoffa, talvolta afferrandola e stropicciandola.
Il conte, che certamente la conosceva meglio di chiunque altri, le permise quindi di fare ciò che voleva e lei immediatamente balzò in piedi – seppure con eleganza –, si inchinò dinanzi alla loro ospite e si approcciò al suo nuovo amico, mostrandogli entusiasta un ghigno che soltanto lui poteva vedere.
«My lord, mi fareste compagnia in giardino? Non ho ancora avuto modo di mostrarvi il roseto.»
«Volentieri, my lady.»
Senza lasciar trapelare nulla si sollevò dalla sua postazione, porgendole il braccio affinché potesse appoggiarcisi. Ignorando la sua sottile presa su di lui, guardò sua madre, in attesa; lei gli concesse di scortarla con uno sguardo e lui si congedò col conte, avviandosi verso l’esterno.
Una volta fuori la guardò poco convinto, osservando a bassa voce: «Non mi hai mostrato stamattina tutto il giardino?»
«Ammetto che quella parte l’abbiamo già vista, anche se non devi sottovalutare le nostre proprietà, Syaoran. Sono molto più vaste di quello che pensi.»
In realtà, non ne dubitava; di certo gli ettari di verde si estendevano ben oltre dove lo sguardo arrivava, probabilmente includevano anche parte del boschetto.
Sobbalzò sentendosi una maggiore pressione al braccio, voltandosi per vedere che Sakura lo aveva letteralmente artigliato, con un sorriso persino più ampio del precedente.
Si allungò verso di lui, sussurrando con euforia: «Ma c’è davvero una cosa che vorrei vedessi».
Lo aveva detto anche quel pomeriggio, per cui si lasciò trascinare da lei senza lamentarsi, troppo incuriosito.
Nel tragitto lei si complimentò per come gli stessero gli abiti inglesi, lui semplicemente si strinse nelle spalle facendo notare che, pur non rinnegando le proprie origini, doveva adeguarsi alla cultura che trovava. Oltretutto sua madre gli aveva fatto notare che sarebbe stato meglio se anche lui si fosse cambiato vista la sporcizia e, dato che il conte prontamente si era offerto di prestargli abiti puliti, aveva considerato fosse meglio non arrecargli alcun disturbo e adattarsi alla nobiltà inglese.
Doveva confessare che non era molto abituato a quella foggia, ma tutto sommato non erano scomodi quanto temeva. Forse perché erano stati cuciti su sua misura, e nel vedere che il loro bagaglio era già lì a sua insaputa ebbe la conferma che tutto era già stato pianificato da sua madre.
«Ciononostante, se posso osare», esordì, cogliendo la sua attenzione, «gli abiti che indossavi stamani ti donavano di più.»
Ci pensò su, domandando: «Ti piacciono?»
«Moltissimo! Anche il colore, era molto brillante! Non ne abbiamo di stoffe simili qui», spiegò con occhi lucenti.
In quel momento fece caso che nella notte, e con quel lieve chiarore lunare, le sue iridi luccicavano proprio di quello stesso colore a lui tanto caro.
In maniera del tutto inconscia, le parole che seguirono lasciarono le sue labbra: «Dopo che sarò tornato a casa, la prossima volta che verrò a trovarti ti regalerò qualche abito».
«Davvero?!» esclamò incredula, ripensando a quanto aveva ammirato quelli di sua madre.
«E qualche gioiello. Anch’essi sono diversi da quelli che usate qui.»
«Ma sarebbe inestimabilmente prezioso!»
«Esatto, e lo possederesti soltanto tu.»
Risero entrambi, finché l’ilarità di Sakura non scemò lasciando spazio ad una lieve tristezza.
Adombrandosi chinò il capo, mormorando: «Devi tornare per forza…?»
Lui si pietrificò, sentendosi bloccare il respiro. Non era il benvenuto?
«Se… Se tu non vuoi che torni qui, allora non -» cominciò a pronunciare, per quanto gli facesse male la sola ipotesi di non rivederla più.
«Intendevo in Cina», lo interruppe, guardandolo crucciata.
Lui esitò per qualche istante, incerto, ma poi le sorrise rassicurante.
«Devo, per poterti fare quei regali.» Notando che stava per replicare, prevedendo stesse per ribattere che non fosse necessario, si affrettò ad aggiungere: «Devo, per poter tornare».
Lei si morse le labbra. Sapeva che il suo dovere fosse tutt’altro, eppure non riuscì a negargli un sorriso, per quanto la rattristasse il pensiero della sua partenza. Erano appena diventati amici, non si sentiva ancora pronta a dirgli addio.
«Così potrò dirti “bentornato”», rise lievemente, pensando all’okaerinasai che si diceva in Giappone.
«E io potrò dirti “sono tornato”.»
A quella dichiarazione tanto spontanea, tanto solenne, il suo cuore perse un battito. Lo guardò ad occhi sgranati, sull’orlo delle lacrime, provando un’indecifrabile emozione. Adesso il suo sembrava un tadaima, e lei non aveva idea di come dovesse reagire.
Alla fine cercò di contenere la gioia che gli apportavano le sue parole, portandolo alla loro destinazione, rimuginando. Da quanto tempo non le capitava di sentirle, da nessuno… L’ultima visita di suo padre le sembrava tanto lontana, ma nemmeno aveva detto quella frase. L’aveva unicamente salutata, chiedendole come stesse, perché era soltanto di passaggio, e qualcosa in lei in quel momento si era spezzato. Forse la corda che li legava aveva cominciato a sfibrarsi, ma non voleva indugiare in simili pensieri. La deprimevano.
Syaoran notò il suo cambiamento d’umore, ma non disse niente, attendendo che fosse lei a parlare. Ad aprirsi con lui. Dentro di sé sperava che la sua eventuale partenza venisse ritardata il più possibile, anche perché considerando i mesi che avrebbe trascorso in mare, se tutto sarebbe andato liscio si sarebbero visti dopo due anni all’incirca. E in due anni tante cose avrebbero potuto cambiare.
Tremò dinanzi a quel timore, ma fortunatamente lei si fece breccia tra le sue paure, esclamando con quella sua giovialità: «Siamo arrivati!»
Syaoran si guardò intorno, notando che effettivamente non erano stati ancora in quella zona, costellata da aiuole ben potate a formare varie figure. A poca distanza c’era quello che gli sembrava uno stagno con al centro una scultura in pietra, raffigurante una divinità greca, e adiacenti ad esso v’erano diverse panche. Lo fece accomodare su una di esse, sedendosi al suo fianco, stando rivolti verso l’acqua che sgorgava da una sorta di cornucopia, retta elegantemente dalle mani della statua.
Intrepida, Sakura guardò verso il cielo e si lasciò sfuggire un’esclamazione di entusiasmo. I suoi occhi cominciarono a luccicare come gemme preziose, il suo sorriso divenne più luminoso delle stelle, al che incuriosito sollevò anche lui il viso verso la volta celeste. Socchiuse le labbra, stupito, non ricordando che per quella notte ci sarebbe stata una pioggia di comete.
«Ricordati di esprimere un desiderio», cantilenò allegra e rimembrando che lì si usasse così lasciò ai suoi occhi seguire quelle scie, formulando una sorta di desiderio.
Il suo cuore accelerò di poco e sviò lo sguardo, riportandolo sulla fanciulla, la quale nello stesso tempo si voltò a guardarlo con dolcezza.
«Lo hai trovato?»
Annuì, incapace di parlare, rispondendole nei suoi pensieri.
“Di non perderti.”
«Ottimo.»
Gli si fece più vicina, prendendogli una mano, poggiando la testa contro la sua spalla.
Nonostante l’agitazione si schiarì la gola, interessandosi a sua volta. «E tu?»
Mormorò un consenso, chiudendo le palpebre, e per un attimo gli parve nuovamente di vedere affiorare quella mestizia sommessa. Gli si strinse il cuore, convinto che anche se non lo dichiarava le mancassero i suoi cari, per cui molto probabilmente aveva desiderato per il ritorno del padre.
«Stai tranquilla, Sakura. Ricordati che non sei sola.»
Quasi in maniera inconscia le sfiorò una guancia, sorridendole con gentilezza e comprensione. Notò che il suo viso fosse più caldo di quanto si aspettasse contro quell’arietta fresca e quando riaprì le palpebre la trovò sopraffatta da un’emozione luminosa, inintelleggibile.
«Grazie, Syaoran. Il mio desiderio si è appena avverato.»
Non sapeva bene cosa avesse fatto di preciso, ciononostante le sorrise confortato.
Lui non poteva sapere che il suo desiderio era tanto semplice quanto complesso, e riguardava sì la sua famiglia, ma anche lui stesso.
“Che le persone che amo non mi lascino più indietro.”










 
Angolino autrice:
Buonasera e buon weekend! Spero ve la stiate passando tutti bene. 
Eccomi qui con la terza e penultima one-shot, che corrisponde praticamente alla mia preferita in questa mini raccolta (in generale, ammetto di avere un debole particolare per le AU). Non vi dirò molto, eccetto che poiché si svolge in Inghilterra ho preferito scrivere Cerberus invece di Kerberos e che il nonno menzionato è nonno di Sakura, non di Nadeshiko (quindi non è propriamente Masaki, ma si modella su di lui).
Spero vi sia piaciuta! 
A sabato prossimo con l'ultima TwT
Steffirah

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Capitolo 4
*** Days 7-8: Love languages + Free day ***


Le lacrime della Luna




 
Mia carissima Sakura,
Mi faccio coraggio per scriverti questa lettera, incerto se effettivamente riuscirò mai a consegnartela o meno. Sai che non sono molto abile in queste cose, sai che sono più bravo ad esprimere quel che provo coi gesti, più che con le parole. Dovresti anche sapere però che la mia timidezza e la mia insicurezza spesso mi impediscono di mettere in atto ciò che penso. Per questo, stavolta, ho deciso di scriverti.
Ti starai domandando qual è la ragione, ma il fatto è che quel che più temevo sta per accadere. E se dovesse andare tutto male, tutto a rotoli, non voglio avere rimpianti. Non voglio un giorno svegliarmi e pentirmi, per non essere riuscito a rivelarti tutto ciò che realmente sento per te. Per non essere stato in grado di darti tutto quello che meritavi. Almeno in questo, credo di aver fatto il possibile. Avrei potuto fare di più, in effetti, ma dalla mia posizione di “migliore amico” non credo mi fosse concesso.
Spero che questa lunga premessa non ti stia spaventando, e in ogni caso sappi che non mi devi alcuna risposta. Sono semplicemente io che, per una volta, voglio parlarti col cuore in mano. Voglio essere onesto, e dirti tutto quello che non ti ho mai detto.
Ci conosciamo da anni, ormai, e il nostro rapporto all’inizio non era neppure dei migliori. Ricordi quando ci incontrammo, alle elementari?


Era un giorno di primavera come tanti, l’aria era piacevolmente tiepida, e durante la pausa le maestre avevano fatto uscire i bambini, permettendo loro di bighellonare nel cortile – pur tenendoli d’occhio, affinché non si facessero male. Ce n’erano due in particolare che avevano colto la loro attenzione, e si trattava proprio di Li Syaoran e Kinomoto Sakura.
Erano due poli opposti. Lei perennemente energica, allegra, solare, iperattiva, non stava ferma un secondo, chiacchierava con chiunque, stringeva amicizia con grandi e piccini nel giro di un battito di ciglia. Lui invece era molto più calmo e taciturno, intelligente e serio, piuttosto che giocare con gli altri preferiva starsene in solitaria a leggere un libro – letture anche piuttosto sofisticate, per un bambino della sua età – e quando lo finiva si guardava intorno con occhio acuto, quasi tentasse di analizzare il tipo di società che lo circondava. E ad una conclusione era giunto: quella bambina che non stava mai zitta né ferma, a lungo andare poteva diventare una vera e propria seccatura. Per questo decise, a soli sei anni, che le avrebbe impedito di penetrare nella sua quieta esistenza.
Se solo avesse saputo quello che il destino aveva in serbo per loro!


 
Le maestre delle nostre classi convocarono entrambi in sala insegnanti; come ormai già sai, ero alquanto scocciato da te, e sono certo che, anche se successivamente l’hai negato, a quei tempi provavi soggezione in mia presenza.
Mi dispiace, per averti messo a disagio. Mi dispiace per essere stato scorbutico in quel periodo. Mi dispiace per il mio comportamento da bambino viziato. Mi dispiace per averti valutata dall’apparenza, senza invece guardare tutti i tesori che portavi dentro di te. Mi dispiace di averti giudicata seccante, ficcanaso, pasticciona, piagnucolona, debole. Mi dispiace per essermi lasciato ingannare da me stesso, creando un’immagine di te che neppure esisteva, ignorando e rinnegando quella reale.


Le maestre li avevano chiamati entrambi, notando una cosa in particolare: in comune avevano una dote sportiva, ma per il resto erano così diversi, anche nei voti stessi. Se lui dimostrava di essere superiore alla norma, lei, al contrario, a fatica vi rientrava. Decisero per il bene del loro futuro di agire quanto prima, finché erano ancora piccoli, per migliorare quei due aspetti di loro: li fecero lavorare insieme, affinché lei acquisisse maggiori conoscenze cognitive, e lui si aprisse un po’ di più agli altri, evitando che divenisse un ragazzo asociale a lungo andare. Non fu un’impresa semplice, ma nel giro di qualche mese quella loro speranza cominciò a maturare, dando i suoi primi frutti.

 
Ora lo ammetto: ero veramente un idiota. Eppure anche allora lo pensavo, ma non riuscivo ad accettarlo. Improvvisamente avevo cambiato idea su di te. Avevo cominciato a rivalutarti. Avevo capito che ogni sorriso che mostravi ti nasceva dal cuore, che la tua allegria era genuina, ma non era costante. Talvolta sorridevi per non mostrare agli altri la tua sofferenza, e ancora oggi hai la tendenza a farlo. Ma non con me, e di questo ti sono infinitamente grato. Sai che con me puoi sempre parlare di tutto, sai che puoi contare su di me, sai che puoi sfogarti, puoi piangere, puoi urlare, puoi arrabbiarti, puoi ridere, puoi liberare la vera te.
Avevo capito, allora, che c’era più di quanto davi a vedere. Che nonostante la tua paura per le storie di fantasmi, alla fine tentavi di affrontarle con coraggio. Che poi corressi sempre tra le braccia mie o di Daidōji tremante, con le lacrime agli occhi, è un altro conto. Cominciai a riconoscere che ci provavi. Che quando ti davo indicazioni, quando ti insegnavo qualcosa, sebbene inizialmente avessi sempre un’aria confusa tu mi ascoltavi davvero, fino in fondo, assimilando tutto ciò che dicevo. Talvolta lo interpretavi a modo tuo, compiendo errori madornali, ma sebbene in principio questa tua tendenza mi irritasse, col tempo cominciò a divertirmi.
Grazie a te sono cambiato, diventando una persona migliore. Farti entrare nella mia vita è stata la scelta inconsapevole, fatale, migliore che avessi mai potuto fare.
Non sono più scettico. Non sono più scorbutico. Non sono più cinico. Non sono più irascibile. Non sono più chiuso in me stesso. Non sono più solo.
D’accordo, so che stai pensando che qualche volta questi aspetti di me ritornano a galla, ma devi ammettere che rispetto a dodici anni fa scemano dopo poco. E dovresti anche sapere che ormai, tutto ciò che risveglia queste parti “oscure” di me, ruota attorno a te.
Se sono scettico e cinico è perché qualcosa che ti viene detto o qualche decisione che prendi non mi convince, quindi cerco di farti cambiare idea. Ma tu sei testarda, e non mi ascolti mai. Spesso mi hai dato una bella lezione così facendo, ma ci sono anche stati casi in cui sarebbe stato meglio se mi avessi ascoltato. Ciononostante, non sono qui a scriverti per rimproverarti.
Se sono scorbutico o irascibile, lo sono con gli altri. Lo sono con persone che non suscitano la mia simpatia o fiducia. So già che mi dirai che non devo incappare nello stesso errore e malgiudicare prima di conoscere, ma crescendo ho sviluppato una sorta di istinto che mi permette di percepire la benevolenza e malignità delle persone. Per questo alcune riesco a tenermele lontane, a tenertele lontane, a volte comportandomi in maniera iperprotettiva nei tuoi confronti, al punto tale che non c’è paragone con il cane da guardia (sì, intendo tuo fratello). Quantomeno, è una mera consolazione sapere che lui resterà al tuo fianco. Lui sarà in grado di proteggerti, in mia assenza.


Ripensò alla loro crescita. Sia alle medie che al liceo, avevano continuato a frequentarsi, che fosse a scuola, che fosse nelle ore extrascolastiche. Avevano instaurato un forte legame d’amicizia e, in maniera quasi del tutto spontanea, lui era entrato a far parte della sua cerchia di amici. Adesso tutti si conoscevano, uscivano insieme, si divertivano, vivevano quei momenti d’adolescenza che mai più avrebbero ritrovato.
E come la gran maggioranza degli adolescenti, si innamoravano.


 
Non so più dove si sta dirigendo questa lettera. Ero partito con l’idea di scriverti un’unica cosa, in maniera sufficientemente breve, chiara e concisa. E invece mi sto perdendo in sentimentalismi.


Anche Sakura si innamorava. Ogni volta di un ragazzo diverso, quasi sempre di un senpai. Alcuni non erano approvati da Syaoran – Touya disapprovava tutti, ma quello era un altro conto – e per fortuna su quelli riusciva a farle aprire gli occhi, mostrandole che non erano tanto perfetti quanto sembravano.
Con altri, invece, non aveva alcun controllo, ma finiva sempre allo stesso modo: o rifiutavano le sue dichiarazioni oppure decidevano di frequentarla per poco tempo, per poi affermare di “stancarsi”.
Erano cose di cui Syaoran non riusciva a capacitarsi. Come potevano stancarsi, stando insieme a Sakura? Lei, che era una continua sorpresa?
Come potevano rifiutarla, quando al mondo non esisteva ragazza più gentile, dolce, adorabile, altruista, spontanea, genuina, meravigliosa di lei? Come, quando la sua bellezza illuminava tutto ciò che la circondava, rendendo tutto più roseo?
Erano degli idioti. Non capivano cosa perdevano, non capivano quanto fosse speciale, non capivano quanto la ferissero. E, per questo, non poteva perdonarli.
C’era stato un periodo in cui si era chiesto se, effettivamente, non si comportassero tutti così per colpa sua. Perché sì, era geloso, e le stava sempre intorno, ma era perché sentiva un incontrollabile bisogno di proteggerla, da tutto e tutti. E in parte, frequentando da anni la sua famiglia, era anche come se si sentisse in dovere con Touya. Come se lui, tacitamente, gli avesse detto: “Se vuoi ottenere la mia fiducia, resta accanto a mia sorella, trattala come una principessa, e allontana da lei qualunque pericolo”.
Grazie alla sua presenza non si era mai ferita, almeno non gravemente, per quanto riguardava il suo corpo. Ma nel suo spirito? Nel suo cuore? Quante ferite si stavano accumulando? Quanto ancora avrebbe potuto resistere, senza sanguinare?


 
Concedimi questo. Sto per andare via, e ho bisogno che tu stia attenta, che tu tenga gli occhi bene aperti, e che ricevi il meglio. Te lo scrivo perché così lo ricorderai, e se dovessi dimenticarlo potrai rileggerlo in ogni momento.
Tu, Sakura, sei una ragazza fantastica. E per questo meriti il mondo.
Meriti di essere avvolta dalla gioia e l’amore di tutti.
Meriti di essere felice sempre, costantemente.
Meriti di essere trattata con cura, da chiunque, che sia un membro della tua famiglia, che sia un amico, che sia un amante.
Meriti persone che ti ascoltano, che ti comprendano, che ti supportino, che ti incoraggino.
Meriti qualcuno che riesca a consolarti e confortarti nei momenti di bisogno.
Meriti qualcuno che sappia che non c’è bisogno di grandi gesti eclatanti, che sono le piccole cose a renderti realmente felice. Che invece di un mazzo di rose preferisci un fiorellino raccolto in un campo, che piuttosto che chilometriche dichiarazioni d’amore ti basta un minimo segno che quella persona ti stia pensando, che sia una fotografia ad un cielo o un cibo o una qualunque cosa che ricorda te, che sia il pezzo di una canzone o un libro o una poesia che sembra parlare di te. Che non c’è bisogno di fingersi artisti o grandi amatori perché sei una ragazza di poche pretese, e che una presa per mano, un sorriso, uno sguardo lontano, un buffetto affettuoso, possono renderti più felice di quelle solite dimostrazioni eccessive d’amore.
Meriti qualcuno che, nonostante tutto questo, desideri darti sempre di più. Desideri non deluderti mai, desideri renderti il centro del suo mondo, desideri averti per sempre al suo fianco.
Sono sicuro, Sakura, che questa persona esista. Che una persona che ti ami con tutto se stesso, anima e corpo, cuore e mente, ci sia. E che già adesso ti sta cercando, e presto ti troverà. Quindi, ti prego, ti scongiuro, non piangere. È insopportabile vederti piangere, è insopportabile vederti triste, delusa, amareggiata. È insopportabile sapere che nella mia incapacità non riesco a fare più di tanto per risollevarti il morale. È insopportabile essere conscio che, anche se dopo non molto torni a sorridere, dentro di te continui a soffrire e che nulla si può fare contro quel senso di abbandono e rifiuto.
Una persona che può liberarti di tutto questo, sento che esiste. Devi solo trovarla, ma so che non manca molto al suo arrivo.
E male che vada, io sono qui. Anche se non sarò più al tuo fianco, potrai contattarmi quando lo desidererai. Potrai “disturbarmi” (sebbene quando si tratta di te, non è mai un disturbo) a qualunque ora del giorno e della notte. Potrai chiamarmi, scrivermi, riempirmi di messaggi, mandarmi video, fotografie, tutto quello che vuoi.
Io ci sarò sempre. Anche a distanza, ti proteggerò sempre. E con certezza, posso anche dire che…
Ti amerò, per sempre.

 
Eternamente tuo,
Syaoran


***


Alla fine, glielo aveva detto. Alla fine, era riuscito a consegnarle la lettera, senza che neppure se ne accorgesse. Chissà se l’aveva già letta. Chissà se lo stava facendo proprio in quel momento.
Controllò il tabellone con gli orari, notando che il suo gate era appena stato aperto. Prese un respiro, preparandosi a dire addio a tutto. Incerto di quando sarebbe tornato. Se mai sarebbe tornato.
“Ci siamo”, soffiò tra sé, armandosi di determinazione. Non era detto che non l’avrebbe più rivista. In qualsiasi modo, sarebbe riuscito a ritagliarsi un momento, a trovare l’occasione per incontrarla. Almeno per accertarsi su come stesse.
Qualcuno lo avrebbe sostituito – ma no, che pensiero sciocco. Non sostituito, non sarebbe stato deposto del suo ruolo di “migliore amico”. No, qualcuno sarebbe stato ciò che lui, per Sakura, non avrebbe mai potuto essere. E andava bene così, era ciò che lui stesso le augurava.
Eppure, perché un simile pensiero sembrava aprirgli una voragine nel cuore? Perché si sentiva così… distrutto? Così fiacco? Così indebolito? Così sconfitto?
Strinse i denti, proseguendo verso la sua meta. Ormai, non poteva più voltarsi indietro.
«Syaoran!!»
Si pietrificò, sentendo il suo nome gridato più volte, in maniera disperata. Non poteva essere…
Quasi al rallentatore si girò, ad occhi sgranati, domandandosi se non stesse sognando. Da lontano vide Sakura correre trafelata, i suoi occhi pieni di lacrime, il suo viso una maschera di dolore. Gli parve che il cuore gli si fermasse. Alla fine, era lui stesso che le stava facendo del male.
La vide inciampare e prontamente corse verso di lei, ma prima ancora che potesse compiere alcuna azione Sakura gli saltò al collo, stringendolo con tutte le sue forze, quasi non volesse farlo andare via.
«Ho fatto in tempo», singhiozzò, affondando il viso sul suo petto.
Notò le sue mani tremare, ma sapeva che non ce la faceva a trattenersi. Non a quel punto. Per cui la avvolse tra le sue braccia, sprofondando il viso tra i suoi capelli, beandosi di quel familiare profumo, di quel calore, di quella dolce presenza che presto, troppo presto, non sarebbero stati più a portata di mano.
«Syaoran», lo richiamò riprendendo fiato, staccandosi di poco. Seppure a malincuore glielo permise, sforzandosi di mostrarle un sorriso, nonostante la tristezza che lo avviliva. La vide tirare su col naso, sebbene continuasse a proferire imperterrita: «Ti chiedo solo un attimo, per favore, per dirti che -»
Fu annunciata un’ultima chiamata per il suo volo e lui esitò a muoversi, notando che sembrava nel panico.
«No…»
«Sakura…»
La vide mordersi le labbra con forza e guardarlo poi con una nuova determinazione, esclamando di botto: «Neppure io voglio avere rimpianti. Ti amo!»
Si sollevò sulle punte, posando le labbra sulle sue, cogliendolo di sorpresa.
Syaoran si pietrificò. Fu attraversato, in quel minuscolo momento, da una miriade di pensieri. Non se ne capacitava. Di sé, non glielo aveva mai rivelato, perché temeva di rovinare, anzi distruggere, la loro relazione. Ma lei? Perché? Com’era successo? Da quando?
«Ti amo», ripeté in tono più basso, allontanandosi di poco per mostrargli un piccolo sorriso impregnato di sale. «Da sempre.»
Le lacrime si raccolsero nei suoi occhi. Non riusciva a crederci. Non poteva essere vero. E se quello era un sogno, non voleva più svegliarsi.
Un sorriso sbocciò sul suo viso, mentre la ristringeva a sé, smettendola di porsi interrogativi. Non gli importava più di niente, dimenticò anche cosa ci faceva lì. Ignorò il brusio intorno, ignorò i passi della gente, isolandosi in un piccolo mondo immobile, tutto loro, dove il tempo era infinito.
Alla fine, era stata lei a trovare lui.










 
Angolino autrice:
Ed eccoci all'ultima one-shot. Mi viene da piangere, sia perché questa raccolta è durata troppo poco (così imparo a unire i prompt) sia per il contenuto di questa storia. Confesso di averla scritta asscoltando in loop "Somebody out there" del gruppo "A rocket to the moon". Non voglio aggiungere molto, solo che la dedico a tutte le persone che mi hanno seguita fin qui e quelle che d'ora in avanti continueranno a seguirmi.

"There's somebody out there who's looking for you
Someday he'll find you, I swear that it's true
He's gonna kiss you and you'll feel the world stand still
There's somebody out there who will"

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