Onirica: il diario dei sogni

di DanceLikeAnHippogriff
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La donna con la bacchetta ***
Capitolo 2: *** Con la calma di un deserto ***
Capitolo 3: *** Come ingannare un gatto ***
Capitolo 4: *** Occhi di luna e teste di cervo ***



Capitolo 1
*** La donna con la bacchetta ***


Ho sognato di nuovo un sogno che ricordo di aver fatto tempo fa.

 

All'inizio del sogno, mi trovavo in uno spiazzo enorme dove si stava tenendo una festa di studenti. In mezzo a tutto quel trambusto gioioso, una ragazza mi ha invitata a ballare. Avevamo entrambe una sorta di tatuaggi dorati sui polsi e sulle mani, e ricordo distintamente che dovevo tenere gli occhi chiusi perché era lei a dovermi guidare nei passi. Non saprei dire perché non li ho tenuti sempre chiusi, ma anche se li chiudevo vedevo tutto, quindi non faceva molta differenza. A un certo punto, la ragazza si è diretta verso una fornace e sembrava che volesse guidarmici dentro. Mi sono staccata da lei di scatto e mi sono allontanata dalla piazza.

Mi trovavo in una città indefinita, piena di palazzi grandi e riccamente decorati. In uno di questi, sapevo che si trovava la scuola di magia che frequentavo. Insieme ad un gruppo di studenti, stavamo tornando dalla stazione e dovevamo prendere delle carrozze, ma devo aver sbagliato strada perché mi sono ritrovata in un punto lontano dal centro, pieno di nebbia e con pochi alberi che spuntavano come ciuffi qua e là.

Ho sentito dei rumori concitati e, dopo essermi avvicinata alla fonte del rumore, ho visto che dei maghi stavano prendendo d'assalto un palazzo diroccato dove, a quanto pareva, si trovava un criminale che stava minacciando un uomo con una bacchetta. Decido subito di unirmi all'offesa, ma proprio quando siamo riusciti a circondare la donna, ho come un flash e ricordo di aver già sognato tutto. Ancora con la bacchetta puntata contro di lei, sento l'impellente bisogno di lasciarla fuggire, come se fosse la cosa più giusta da fare.

Lei mi ha guardato a sua volta, ma forse ha pensato che la mia esitazione fosse dovuta alla paura e mi si è avvicinata con aria beffarda. A quel punto non ragiono più e la minaccio dicendole di stare indietro, cosa che lei fa.

All’improvviso, una donna dei nostri ci si rivolta contro. Era la madre di quella donna. Ci ha rinchiuso dentro una stanza, facendola diventare sempre più calda. Il nostro gruppo, allora, si è messo in cerchio, facendo meditazione in piedi con delle matite appoggiate in verticale per toccare labbra e naso. Controllando la nostra respirazione siamo riusciti a diminuire la nostra quantità di sudore e siamo riusciti a uscire usando della lava.

La madre della donna si trovava sulle scale, sbalzata via dall'urto che la nostra magia aveva causato per liberarci.

Avrei voluto chiederle di più su quella storia perché io non sapevo niente, avevo preso parte alla spedizione perché era quello che avevo fatto tempo fa nello stesso sogno e volevo dirglielo con tutta me stessa. Ma dalle mie labbra non è uscita neanche una parola, come se il sogno stesso mi avesse impedito di rivelare a quei personaggi così reali che, in realtà, non esistevano. Allora, la donna mi ha guardato, beffarda, e se n'è andata dicendo che le facevamo tutti schifo.

Mentre ritornavo sui miei passo, verso casa, mi sono accorta che non avevo le scarpe. Sapevo di avere i calzini da qualche parte in tasca, ma non li ho messi, considerandoli inutili. Così, attraversando pozzanghere e pestando i piedi sui sanpietrini, sono arrivata a un edificio da cui uscivano ragazze con degli strumenti in spalla: era il Conservatorio.

Stavo per entrare e chiedere aiuto quando, all'improvviso, sono svenuta tra le braccia di due studentesse.

 

***

 

Riflessioni: mi domando se sia veramente possibile arrivare a un livello tale di consapevolezza all’interno del sogno da far comprendere anche alle entità con sui si interagisce, e non solo a noi stessi, che il mondo in cui ci si trova in quel momento non è reale.

Che poi, il fatto che non sia reale è solo il mio punto di vista. Forse, per quelle persone che trovo nei miei sogni, sono io l’illusione.

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Capitolo 2
*** Con la calma di un deserto ***


Mi trovavo su una distesa di sabbia enorme, un deserto che si muoveva seguendo i miei passi. Camminavo lenta, sentivo i granelli di sabbia tra le dita e non avevo una meta.

 

Semplicemente ero.

 

E quindi camminavo.

 

Tutto era bianco, non esisteva niente. Poi, camminando, dal bianco è emersa una città nera, piena di grattacieli e strade, vuota.

Ho sentito la voce di mia madre chiedermi qualcosa, sussurrarmi parole che ora, con i raggi del sole che attraversano la mia finestra, non ricordo, ma le ho risposto nella mia mente: “La voglio riempire.” e ho iniziato a camminare verso il basso. Infatti, trovandomi io sopra la sabbia potevo guardare la città dall'alto.

Seguendo i miei passi, senza farmi mai mancare un saldo e pur morbido appoggio sotto i piedi, calda e confortante, la sabbia ha iniziato a insinuarsi lentamente per le strade, riempiendo il bianco e lasciando il nero.

Poi la prospettiva cambiava.

Ora stavo passeggiando per le strade e la sabbia non mi seguiva più. La sabbia non c'era, neanche un minuscolo granello, ma non ero turbata da quella sua assenza improvvisa; ero calma e la città era piena di verde e di luce. Non riuscivo a vedere fino in fondo alle strade perché erano sempre schermate da uno strano qualcosa, come nei videogiochi, dove a un certo punto il mondo creato dai programmatori finisce e quindi c'è un bianco lattiginoso che ti impedisce di avanzare. E tu puoi anche andarci vicino, toccarlo quel bianco, ma non lo puoi muovere, non lo puoi cambiare. Non è altro che un limite da accettare in un mondo perfetto.

Eppure, sentivo che dovevo tornare. Non ricordavo dove, ma dovevo tornare.

Così, ho iniziato a camminare verso una strada che portava fuori dalla città. Nella mia mente, hanno preso ad apparire dei lampi di memoria, di consapevolezza: vedevo mio padre e mio fratello che mi raccontavano di come si erano ritrovati improvvisamente a camminare nella sabbia.

Il paesaggio, a ogni mio passo, cambiava: ora vedevo la città con le strade piene di sabbia, ora la città era tornata normale.

Ho iniziato a correre verso il tunnel dove tutto era bianco.

 

***

 

Riflessioni: non mi ritrovo sempre con qualche riflessione strana sui sogni che ricordo. Alcuni mi lasciano solo sensazioni molto vivide invece che intricati trip filosofici.

Questo sogno mi ha lasciata con la pace nell’anima. Difficile descrivere la calma arcaica che sentivo in me mentre passeggiavo nel deserto e con il deserto, come se ci muovessimo come un’unica entità. Mi sentivo ancestrale, calma e sicura nel mio posto, nel mio momento, ed è una pace che non sento spesso nella vita di ogni giorno, che cambia continuamente.

Lì, in quel sogno, ero io a dettare il cambiamento, a dirigerlo dove volevo per creare la mia strada. Una sicurezza che non sempre ho, quando il più delle volte sembra che siano gli elementi esterni a influire su quello che faccio.

Eppure, quel sogno mi ha ricordato che sono io e sarò sempre io la persona che può costruire il mio percorso.

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Capitolo 3
*** Come ingannare un gatto ***


Note dell’autrice: Non torno a questa serie dopo tempo perché ho smesso di sognare. Tutt’altro.

 

***

 

Apro gli occhi, un battito di ciglia preceduto da infiniti altri e seguito da chissà quanti ancora. Per quanto la mia coscienza possa percepire, li ho fatti tutti in quella stanza

Era l’unica sala che conoscevo di una casa che percepivo come infinita, labirintica, contorta. E buia. L’unica luce era lì con me, un abat-jour dal paralume vecchio stampo che spandeva un alone giallognolo sul verde della carta da parati. Era l’unica sala che conoscevo ed era l’unico posto sicuro. Addentrarsi in quella casa, spalancare la porta socchiusa che lasciava intravedere il groviglio intestino di quei corridoi, significava perdersi.

Ci ho passato una vita in quella casa, un’esistenza perennemente uguale. Finché un giorno, un battito di ciglia ed ecco un gatto nero, accoccolato sul divano. La bestiola mi fissava coi suoi occhi gialli, furbi come possono esserlo solo quelli di chi sa un segreto che non vuole rivelarti. E iniziò a parlare.

“Non ha alcun senso per te muoverti, dopotutto. Cercare un’uscita è folle e addentrarsi nella casa lo è ancora di più; ti troverà, se lo fai.”

Forse ho risposto alle sue provocazioni, non tanto con le parole ma con lo sguardo, perché con tutta calma il felino parlò ancora.

“Faresti meglio a prepararti, sai? Indossare il tuo vestito buono. Tanto arriverà e ti porterà nella casa e nessuno ne esce mai.”

La mia espressione, qualunque possa essere stata, deve averlo divertito parecchio. Forse ero turbata, indignata, incuriosita, infuriata. Forse ero tutte queste cose insieme e continuavo a fissare il gatto e il gatto continuava a fissare me, poggiato mollemente su quel divano verde con la porta socchiusa alle spalle, come un occhio sul punto di aprirsi. Mi voleva tenere lì, buona, incagliata con un indovinello senza tempo e senza soluzione, invischiata nel nero di corridoi inesplorati dal sapore di paura.

“Lo farò, mettermi il vestito buono. Posso prepararmi in fretta, sai, se ti giri e inizi a contare ti assicuro che finisco prima di te.”

Mi domando se qualcuno avesse mai sfidato quell’animale che pensava di avere la verità in tasca. Chissà se sapeva davvero qualcosa che io non so e che non potrò mai sapere, custodita nelle viscere di quella casa. Non ho aspettato di scoprirlo. Ho preso la rincorsa mentre il gatto, girato verso la porta, iniziava a contare miagolio dopo miagolio.

Quella casa non aveva un’uscita, nessuno l’aveva mai trovata. Ma io non l’avrei cercata. Ho saltato. Con un guizzo della mano ho cancellato la parete della stanza e l’ho inondata di luce. Che il gatto urlasse indignato quanto voleva che nessuno aveva mai lasciato quella casa. Io me n’ero andata e non avrei smesso di volare per questo.

Come ingannare un gatto

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Capitolo 4
*** Occhi di luna e teste di cervo ***


Vedere al buio è un’abilità che ho affinato fin da bambina. Pura sopravvivenza. A mia madre piaceva cambiare la disposizione dei mobili a tempi alterni e la mia mente non riusciva a ricordare la nuova piantina in tempo prima del cambio successivo. Dopotutto, non mi svegliavo ogni notte e non avevo sempre bisogno di orientarmi barcollando fino alla porta della camera, oppressa dal buio brulicante di ciò di cui lo popolava la mia fantasia.

Quindi non mi sono stupita di riaprire gli occhi e trovarmi nel mio letto con la morbida luce della luna piena che accarezzava i profili della mia stanza. C’era il silenzio delle notti sacre, dove l’attesa è di per sé pura magia.

All’improvviso, un rumore raschiato in corridoio. Unghie su legno, vicine, sempre più vicine. Ma suscitavano più curiosità che paura.

Quello che mi ha fatta alzare, però, è stato il caos di vetri infranti e urla dalla casa dei vicini. Mi sono lanciata in balcone, a piedi nudi, avrei dovuto capire da come non sentivo il freddo che ero altrove, non a casa. Ma il figlio dei vicini si sgolava terrorizzato e non ho fatto caso a questo dettaglio.

L’aria era satura di urla e ringhi. Qualunque cosa fosse quella sagoma nera, enorme e irsuta, arretrava nell’ombra delle case ma sembrava non volersene andare. “Riportala indietro, riportala indietro!” e senza pensarci due volte il ragazzo scendeva inerpicandosi sull’albero del giardino.

Sono rientrata subito, volevo chiedere aiuto. Ho corso, allungato la mano verso coperte che sapevo nascondere sagome dormienti, la lucea argentea illuminava ogni cosa. Volevo svegliare tutti, avrei voluto, ma la mia mano non ha afferrato lenzuola. Si è chiusa su un palco di corna, una testa di cervo, gli occhi chiusi in un’immagine dolce e al contempo destabilizzante.

Senza pensare, sono scesa di sotto e sono uscita in giardino, seguendo i ringhi.

E lì l'ho vista, qualunque cosa fosse. Annidata nell'ombra dove neanche la luce della luna lo raggiungeva, una bestia dagli occhi tondi e luminosi come due lune, grande come una casa, acquattata, che mi fissava e mi fissava e alla mia vista si era fatta muta.

Non ricordo per quanto ci siamo fissati, io con una testa di cervo, lei con gli occhi fissi e argentei, ma quando mi sono svegliata mi sentivo ancora il suo sguardo addosso.

Occhi di luna e teste di cervo

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