Luce e ombra: La fede dei miscredenti

di Emmastory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inverno di sole e luna ***
Capitolo 2: *** Stessa selva, nuove vite ***
Capitolo 3: *** Novità di fate e umani ***
Capitolo 4: *** Il vivere al villaggio ***
Capitolo 5: *** Fate, elfi e indecisioni ***
Capitolo 6: *** Venti su Eltaria ***
Capitolo 7: *** Parole non dette e messaggi nascosti ***
Capitolo 8: *** L'aria e il suo silenzio ***
Capitolo 9: *** Un cuore fra mille pagine ***
Capitolo 10: *** Sagge sorelle ninfe ***
Capitolo 11: *** Amore in bilico ***
Capitolo 12: *** Il merlo del buon auspicio ***
Capitolo 13: *** L'innamorato prodigo ***
Capitolo 14: *** L'amore alla maniera di entrambi i mondi ***
Capitolo 15: *** La bambina dei draghi ***
Capitolo 16: *** Il Maggiore di due mali ***
Capitolo 17: *** Ali spezzate ***
Capitolo 18: *** La famiglia nella selva ***
Capitolo 19: *** Il futuro di una fata ***
Capitolo 20: *** Vento che si rialza ***
Capitolo 21: *** Cattivo sangue ***
Capitolo 22: *** Freddo ma grande cuore ***
Capitolo 23: *** Due uomini e una fata ***



Capitolo 1
*** Inverno di sole e luna ***


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Luce e ombra: La fede dei miscredenti 
 
Capitolo I 
 
Inverno di sole e luna 
 
E così, proprio davanti a noi, appena oltre la finestra del salotto e il solito panorama che ci regalava, e che mi piaceva paragonare ogni volta a una sorta di spettacolo di colori e profumi, al bosco era arrivata la stagione più fredda ed elegante dell’anno. Gennaio era arrivato da poco, bussando timidamente alle porte di ogni abitante come a chiedere il permesso prima di presentarsi a dovere, e in silenzio, noi l’avevamo accolto. Non nevica, ma fa già freddo, e intirizzita, la natura attorno a me appare immobile. All’improvviso ogni colore che vedo mi sembra spento, ma nonostante tutto, sorrido. Dopo tanto tempo, Christopher ha finalmente deciso di iniziarmi alle tradizioni sue e della sua famiglia, o più in generale a quelle umane, ed è stato così che insieme abbiamo festeggiato il Natale. Stando alle sue parole, la festa più attesa ogni anno da grandi e piccini, un’occasione per scambiarsi regali e trascorrere il tempo insieme, con delle stringhe di luci colorate e un albero decorato con miriadi di palline e statuette a fare da sfondo, con la sempre canonica presenza di alcune lingue di fuoco nel caminetto acceso. Curiosa, l’avevo lasciato fare e anche aiutato, ritrovandomi interdetta quando scoprii che l’albero di cui parlava poteva essere sia vero che finto. Nel suo, o meglio, nostro caso, l’abete che avevamo piantato in casa apparteneva alla prima delle due categorie, e ridendo divertita nel vedere Cosmo tentare di sollevare un annaffiatoio e dargli da bere come credeva servisse, mi ero stretta al mio lui in un abbraccio. Ai preparativi avevamo lavorato insieme, e come noi anche i cari animali di casa, usciti dalle loro tane per farci visita. Era così che avevo avuto occasione di rivedere fra l’erba ancora verde ma gelata il mio piccolo Bucky, la sua cara Darlene e i loro sei piccoli, tutti minuscole riproduzioni dei genitori. Quattro maschi e due femmine, per fortuna tutti in perfetta salute. Sorridendo alla loro vista, non avevo esitato a farli entrare e dar loro da mangiare, e incuriosito dai nuovi arrivati, Cosmo si era avvicinato cautamente, annusando alternativamente il pavimento e l’aria attorno a loro. “Chi siete? Chi siete?” sembrava chiedere, confuso e guardingo. “Buono, bello, sono amici.” Non aveva tardato a spiegargli Christopher, abbassandosi al suo livello per accarezzare prima lui e poi i suoi nuovi simpatici amici scoiattoli. Silenziosa, non avevo osato intromettermi, e se solo poco tempo dopo, nel pomeriggio arrivò il turno di Red, Anya e dei loro quattro volpacchiotti, almeno allora Cosmo sembrava aver capito che quegli strani visitatori non erano certo lì per fargli del male. Ad essere sincera, non sapevo se fosse a causa della loro taglia o della vicinanza fra la sua specie e la loro, ma giocoso come sempre, sembrava unicamente intenzionato a divertirsi in loro compagnia. Felice di vederli, scodinzolava come un forsennato, così velocemente che la sua coda era ridotta un’ombra indistinta, quasi invisibile. Lentamente, ognuno dei dieci animaletti mi si era avvicinato, e pur sforzandomi, ero riuscita a trovare un nome soltanto a due. C’era Rodney, il più lento, piccolo e mingherlino della nidiata di roditori, e Valiant, uno dei due figli maschi del caro Red, che per qualche scherzo del destino o della natura che tanto amavo, sembrava aver ereditato la stessa cicatrice in prossimità dell’occhio di sua madre Anya, in lei perfettamente guarita e in lui del tutto uguale al colore rossastro del pelo. Sorpresi, Christopher ed io eravamo scoppiati a ridere, e ospitando gli animaletti in casa fino a sera, eravamo riusciti a scrollarci di dosso dolori, paure e insicurezze almeno per qualche tempo, guardandoci metaforicamente indietro e tornando a rivivere i più sereni tempi di quando eravamo fidanzati ma già decisi ad affrontare questo magico mondo e le sue insidie l’uno al fianco dell’altra, tenendoci e stringendoci le mani nel momento del bisogno. Lento, il tempo che scorreva oltre le mura di casa nostra continuava a ignorarci, ma con la sera a farsi sempre più vicina, il cielo di attimo in attimo più scuro, e la presenza nella mia vita del mio amato e dei nostri bambini, ancora piccole sfere di luce al sicuro dentro magiche lanterne che faranno loro da crisalidi com’era stato per me e Sky in precedenza, nonostante non ricordassimo che sprazzi e scorci di passato, dopo una sola settimana assistetti al cambiamento radicale della mia esistenza, che avrebbe continuato ad evolvere a partire da quell’inverno scandito dai ritmi di sole e luna.  


Salve a tutti! Come sempre, saluto calorosamente tutti i miei lettori. Sono riuscita a tornare solo oggi con il prosieguo di questa saga, lento e introduttivo così da garantire ad ognuno di voi un sereno ritorno nella bella e fiorente Eltaria. Sposati da tempo e genitori da poco, Christopher e Kaleia si godono l'inverno e il ritorno nella loro vita di alcuni visi, o meglio, musi amici, ma cosa accadrà ora? Solo al futuro è concesso saperlo, ma intanto grazie del vostro costante supporto, e al prossimo capitolo,
 
Emmastory :)

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Capitolo 2
*** Stessa selva, nuove vite ***


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Capitolo II 
 
Stessa selva, nuove vite 
 
Altri tre giorni erano così spariti dalle nostre rispettive vite, e tranquillamente seduta sul divano di casa, ascolto in silenzio il crepitare delle fiamme nel caminetto. Fa ancora freddo, e proprio accanto a una catasta di legna, Willow. Seduta composta, si lecca una zampa, e senza il minimo rumore, inizia a lavarsi il muso. “Cos’è? Hai anche tu un ragazzo, adesso?” scherzo, prendendola in giro. Totalmente presa da quel rituale di bellezza, lei mi ignora, e pigra come al solito, si acciambella sul tappeto. Limitandomi a osservarla, sorrido appena, poi mi chiudo nel silenzio. Sia Natale che Capodanno sono passati da poco, e il ricordo dei fuochi d’artificio è ancora impresso nella mia mente. Del tutto ignara di una tradizione di quel genere, avevo preso quella di qualche sera fa come una giornata del tutto normale, ma poi, quando il sole era ormai scomparso e la luna e le compagne stelle avevano come sempre preso il suo posto, li avevo visti. All’improvviso, fiori e cascate di mille colori dipinte nel cielo, alcune anche con una forma nascosta fra le luci, proprio come a volte accadeva con le nuvole. Meravigliata, ero rimasta a bocca aperta, e ammirando quello spettacolo dalla finestra della nostra stanza, seduta con Christopher sul bordo del letto, non avevo esitato a baciarlo. A ventidue anni, ero ancora una ragazza, giovanissimi e già madre di due figli suoi, o per meglio dire nostri, e felicissima, a volte non riuscivo a smettere di pensarci. Gli spiriti della foresta e quella dannata strega insistevano nel tentare di entrarmi in mente e convincermi che il nostro amore non avrebbe portato a nulla di concreto, costringendomi invece a soffrire in eterno, e ancora oggi, dopo ben tre, quasi quattro anni, mi chiedevo come potessero continuare a pensarlo. Per quanto ne sapevo, sia Marisa che sua madre erano capaci di intravedere brevi scorci di futuro tramite le loro sfere di cristallo, ma io stessa, essere magico o meno, credo che basti aprire gli occhi e guardare in faccia la realtà per come si presenta. Il nostro avvenire è ancora incerto, ovvio, ma ora Chris ed io siamo felici. Quella sera, oltre ai fuochi guardavo anche le lanterne che custodivano i nostri piccoli, e felice, accarezzavo con dita delicate quei piccoli esseri di luce. Notandomi, azzardavano nel pigolare come pulcini, e ridendo divertita, ritiravo la mano, spaventata alla sola idea di far loro del male. “Vi amo, Kia. Amo tantissimo sia te che loro.” Mi aveva detto Christopher, raggiungendomi e imitandomi in quei gesti prima di stringermi a sé in un abbraccio. Innamorata come sempre, l’avevo lasciato fare, e con la pallida luce della luna sui nostri corpi, avevo sorriso lievemente prima di dargli una vera risposta. “Ti amo anch’io Chris. Ora e per sempre.” Una sola frase, poche parole, tanti sentimenti e una promessa eterna, fatta a lui quella notte come in mille altre, a seguito della quale, stanchi e pacificamente abbracciati, avevamo finito per addormentarci insieme, l’uno fra le braccia dell’altra, onorando il nostro amore mentre il villaggio appena fuori dalle nostre mura salutava il nuovo anno. Sapevo bene che c’erano tante, troppe cose che ancora non capivo né conoscevo della sua parte di mondo, ma ora so che Christopher resterà con me per sempre, pronto a insegnarmi, aiutarmi e sollevarmi se mai dovessi di nuovo cadere. Ora come ora, quella sera è solo un nitido ricordo, e all’improvviso, come a voler farsi beffe di me e riportarmi alla realtà, il sole mi solletica il viso, disturbandomi la vista. Confusa, scuoto la testa, ed è allora che il tempo torna a scorrere, lento, placido e normale. Chiusa in un silenzio tutto mio, sento di nuovo le fiamme nel caminetto, e tornando a guardare dritto di fronte a me, noto che Willow pare fissarmi. “Che ti succede?” sembra chiedere, stranita. Colta dall’imbarazzo, spero che nessuno oltre a lei abbia notato nulla, e proprio allora, una voce mi distrae. “Cara?” Ad essere sincera non me l’aspettavo, ma è Christopher, e a quanto pare non è solo. “Chris!” lo chiamo, sorridendogli. “Cosmo!” quasi urlo poco dopo, notando il nostro caro amico Arylu. Contento di vedermi, il cagnetto abbaia festoso, e alzandomi dal divano, gli faccio una frettolosa carezza sulla testa, grattando piano vicino alle orecchie. Chiudendo gli occhi azzurri come i miei, il cucciolo si gode il mio affetto, poi mostra la pancia. Un modo di esprimersi tipico dei cani, e uno come un altro per dire solo una cosa. “Ti voglio bene.” Intenerita da quella scena, mi fermo a guardarlo, ma dopo una battuta di silenzio, la voce del mio amato attira di nuovo la mia attenzione. Rispondendo al suo richiamo, torno a guardarlo, e in un istante, un abbraccio ci unisce. Veloce, sono la prima a parteciparvi, e nonostante sappia che mi ami, ora mi sembra rigido. “Va tutto bene?” non potei evitare di chiedere dopo altro silenzio, preoccupata. “Sì, solo...” balbettò, incerto come mai l’avevo visto. Senza proferire parola, non feci che guardarlo, e volendo aiutare, cercai la sua mano. “Chris, così mi preoccupo.” Confessai, con il cuore che batteva forte per l’emozione. “No, sta tranquilla. Anzi, vieni.” Mi rispose, abbozzando un sorriso e stringendo la presa sulla mia mano. Contagiata da quel modo di fare, sorrisi a mia volta, e seguendolo, tornai ad accomodarmi sul divano. Di lì a poco, il silenzio cadde ancora nella stanza, spezzandosi solo a causa delle onnipresenti fusa di Willow, ora in tutto simili a un leggero russare. “Chris, avanti. Si può sapere che ti succede?” azzardai poco dopo, ancora divertita ma decisamente stanca di aspettare. Testardo, il cuore continuava a battermi forte nel petto, e forse a contagiarmi c’era anche l’aria di festa che ancora si respirava al villaggio, ma ero emozionata, e aguzzando la vista, notai qualcosa. Se i miei occhi erano già pieni di luce, lo stesso valeva per i suoi, e come il tempo al suo fianco mi aveva insegnato, un dettaglio del genere poteva significare solo una cosa. Ricordavo di averlo già visto nel primo giorno di primavera che avevamo passato insieme, quando mi aveva portata per la prima volta alla comunità umana e dalla sua famiglia, e seppur con mille idee a vorticarmi in mente, tacqui. Curiosa, attesi per un tempo che mi parve infinito, e poi, approfittando di quel momento di pace fra noi, nonostante il costante e continuo rumore della coda di Cosmo che sbatteva contro il divano, mi sussurrò qualcosa all’orecchio. “Chiudi gli occhi, fatina mia.” In cinque parole, un comando al quale obbedii senza oppormi, e che perdendo la capacità di vedere, eseguii all’istante. Da allora in poi, non vidi più nulla, ma in compenso avvertii uno strano rumore, simile al fruscio delle foglie che senza volerlo spesso calpestavo. “Va bene, adesso riaprili.” Mi disse poi, deciso. Obbedendo ancora, riacquistai subito il dono della vista, e non credendo ai miei occhi, per poco non li strofinai, sicura di sognare. Era assurdo, perfino Cosmo e Willow sembravano increduli, ma davanti a me, proprio sul tavolino in legno del salotto, un’intera scatola di cioccolatini. Al latte, proprio come mi piacevano. A quella vista, sorrisi, e veloce, mi strinsi a lui, trovando sicurezza e conforto fra le sue braccia. “Chris, amore, grazie. Sono davvero per me?” chiesi, stupita. “O per noi, se vorrai dividerli, carina.” Non tardò a replicare, giocoso come sempre. “Certo, anche adesso. Tu ne vuoi?” concessi, l’emozione ancora nascosta negli occhi e nel cuore. “Volentieri!” rispose subito il mio amato, sporgendosi quanto bastava per afferrarne uno. Lasciandolo fare, attesi il mio turno con pazienza, ma prima che potessi muovermi, lui mi precedette. “Ferma dove sei.” Pregò, con la voce più profonda del normale e fintamente minacciosa. Sempre più divertita, trattenni a fatica una risata, e bloccandomi, attesi la sua prossima mossa. Tranquillo, Christopher scostò appena la mia mano dal dolcetto, e afferrandolo a sua volta, me lo porse, imboccandomi come una bambina. Sorpresa, arrossii in volto, e dopo aver sentito la cioccolata sciogliermisi in bocca, scoppiai a ridere. “Che ti è venuto in mente?” non mi trattenni dal chiedergli, assestandogli un affatto offensivo pugno sul braccio. “Cercavo di essere galante, nient’altro.” Si difese lui, stando al gioco e parando quel colpo con un cuscino. “Christopher, tu sei galante.” Gli feci notare, tornando subito seria. “Davvero?” azzardò lui, stranamente abbattuto e per nulla convinto. “Certo! Hai dimenticato la prima sera di Notteterna?” tentai, sperando di riuscire a riportargli alla mente quel ricordo. Insieme, avevamo camminato tenendoci per mano, osservato mille stelle e altrettante lanterne, incontrato le nostre amiche pixie e i loro genitori regalando alle bambine la gioia di giocare insieme con un palloncino che scoppiando aveva liberato una nuvola di coloratissima polvere magica, e concluso quella serata con un romantico passo a due. Per pura sfortuna, alle mie parole seguì il suo silenzio, e proprio quando credetti di aver fallito, un suo sorriso. “Hai ragione, scusa. A volte ho solo paura di deluderti, ecco.” Semplice eppure forte, la sua risposta arrivò solo pochi istanti dopo, colpendomi improvvisamente, come un pugno nello stomaco. “Amore, no. Non dirlo nemmeno. Fino ad ora non è mai successo, lo sai.” Lo rassicurai, cercando la sua mano e stringendola delicatamente. Sicura di me e di ciò che davvero provavo per lui, la sollevai fino a portarmela al petto, e solo allora, lui ascoltò il mio battito. “Lo senti?” gli sussurrai, decisa. Mantenendo il silenzio, lui si limitò ad annuire, e orgogliosa, lo abbracciai. “Non batterebbe così, se fossi vicino come dici a deludermi.” Continuai poco dopo, sempre felice e onorata del posto che sapevo di avere al suo fianco. Sorridendo ancora, Christopher ricambiò quella stretta, e cogliendomi di sorpresa, un bacio unì le nostre labbra. Colpita, mi irrigidii all’istante, ma bastò un attimo, e mi rilassai ancora. Quel contatto non durò molto, un minuto al massimo, e quando ci staccammo, decisi che era arrivato il momento di fare la mia mossa. Ero ancora lontana dal conoscere perfettamente ogni tradizione umana, e lo sapevo bene, ma quella sullo scambio dei regali era stata la prima a restarmi impressa, così, uscendo di casa a sua insaputa e nascondendo la mia assenza dietro a un biglietto e a una passeggiata, gliene avevo comprato uno anch’io. Sobrio ma elegante, un semplice portafoto dalla cornice argentata, cortesia di Seamus, il proprietario del rustico negozietto che avevo visitato. Non era quello di Garrus, ma la qualità non era certo inferiore, e ricordavo di aver sentito un peso svanirmi dal cuore quando, nonostante l’identità di leprecauno e la conseguente e proverbiale avarizia, aveva insistito per lasciarmelo acquistare senza spendere neanche un solo rublo di luna. “È un dono d‘amore, signorina, non si preoccupi.” Aveva detto, togliendosi il cappellino verde ed esibendosi in una sorta d’inchino da dietro il bancone. “Signora.” Avevo corretto, regalando al negoziante un lieve sorriso mentre mostravo con grazia l’anello che portavo al dito. Argenteo come la cornice, per me un simbolo dell’amore di mio marito, e per entrambi, di reciproca fede. Così, contenta del nuovo acquisto, ero tornata a casa, e affrettandomi, l’avevo nascosto nell’unico luogo dove sapevo si sarebbe mimetizzata alla perfezione. La libreria del salotto. Calma, mi alzai dal divano, e camminando fino a raggiungerla, finsi di osservare i libri che conteneva così da distrarlo, per poi cambiare idea e prendere in mano proprio il pacco che nascondevo. Piccolo e avvolto in una carta rossa e bianca, costellata di fiocchi di neve e bastoncini di zucchero, che mai avevo provato e che speravo di assaggiare, il regalo che aspettavo di consegnargli. Lenta e sorridente, tornai a sedermi con lui, ed evitando per un soffio il cuscino del divano, mi sedetti sulle sue ginocchia. Quando eravamo fidanzati era la nostra posizione di base da accoccolati, e nel tempo lo era rimasta, ragion per cui ero sicura che avrebbe accettato. Proprio come mi aspettavo, mi lasciò fare, e finalmente pronta, gli consegnai il suo regalo. “Questo è per te.” Gli dissi appena, posandoglielo davanti. “Grazie, tesoro, davvero” Rispose lui, sul volto dipinti la serenità e la gioia di un bambino. Incuriosito, iniziò a scartarlo, e non volendo restare ferma dov’ero, decisi di aiutarlo. “Che c’è? Credevi che l’avessi dimenticato?” indagai, fintamente infastidita dall’espressione che aveva in volto, passata in un attimo da gioiosa a perplessa. “Tu non dimentichi mai cose così importanti, Kaleia.” Replicò, sincero e innamorato mentre ancora si impegnava ad aprire quel pacco. “Esatto.” Sussurrai in risposta, tranquilla e sicura di me. Lenta e metodica, strappai la carta insieme a lui facendo attenzione a non rovinarla troppo, arrossendo e riducendomi al silenzio ogni volta che le nostre mani si sfiorarono. Non ero più un’adolescente, certo, ma per quanto strano o esagerato potesse sembrare, con lui tutto era diverso, e assumeva ogni volta le sfumature e il sapore del nuovo. Prima di lui non avevo mai conosciuto né l’amore né il romanticismo, e sapere che al suo fianco avessi avuto la fortuna di vivere un primo bacio, la gioia del matrimonio e la delicata ebbrezza della prima volta mi riempiva il cuore di gioia, spingendolo a traboccare d’amore per lui. Poco dopo, a lavoro finito, rimasi a guardarlo, e sorridendogli, gli sfiorai la guancia con le labbra. “Allora, ti piace?” chiesi, non riuscendo a tenere a freno la lingua e non aspettando altro che la sua opinione. “Sì. Sì, fatina mia, mi piace tantissimo.” Rispose, sincero com’era sempre stato. A quelle parole, sentii il sorriso incresparmi ancor di più le labbra, e nonostante il desiderio di abbracciarlo fosse fortissimo, resistetti. Imponendomi la calma, mi rimisi seduta al suo fianco, sfiorando con dita delicate la cornice ancora vuota. Notandomi, lui mi regalò un ennesimo e luminoso sorriso, poi parlò. “È bellissimo, davvero, ma perché proprio un portafoto?” azzardò, contento ma confuso dalla mia scelta. A quelle parole, non seppi cosa rispondere, e improvvisamente chiusa in uno stranissimo silenzio, esitai. Sapevo di avere la tendenza ad essere taciturna o a diventarlo se ero troppo emozionata, ma che mi stava succedendo? Non lo sapevo, e fu mordendomi un labbro in preda alla tensione che alla fine decisi. Non avevo scelto quel regalo affidandomi al caso, se l’avevo fatto c’era una ragione ben precisa, e lui doveva saperlo. “Vedi, Chris... c’è così tanto che non so del tuo mondo...” provai a spiegargli, non riuscendo però a finire quella frase a causa di un nodo che tiranno, mi strinse la gola. “E?” mi incalzò lui, incoraggiandomi a parlare e posandomi delicatamente una mano sulla spalla. “Non... non lo so, ho pensato che tu e la tua famiglia avreste potuto insegnarmi. Mi hai mostrato cosa sia la mia parte magica, e hai fatto lo stesso con quella umana, ma sento... sento di aver perso così tanto!” la risposta che diedi fu quella, affatto semplice ma elaborata, data con la voce spezzata come l’ala di un uccellino ferito. Senza volerlo avevo anche iniziato a piangere, e asciugandomi gli occhi con un fazzoletto tenuto nella tasca della veste, sperai che non mi considerasse una sciocca. In totale onestà quell’intera situazione sfiorava la follia, e ne ero cosciente, ma nonostante tutto volevo che scoprisse le ragioni dietro al mio gesto, ovvero imparare lentamente ogni cosa sul mondo umano mentre il nostro rapporto come fata e protettore continuava ad evolvere, lasciandoci vivere uno in perfetta simbiosi con l’altra. Nel silenzio della mia indecisione, però, una luce alla fine di quel metaforico tunnel.“Kia, amore, certo!” rispose subito il mio Christopher, non potendo evitare di sorridere e allargando le braccia per accogliermi. Sconvolta, annuii lentamente, e avvicinandomi, trovai in lui e nel suo calore il mio ennesimo rifugio. “Sai, probabilmente Lea lo detesterebbe. Le piacciono anche quelle normali, ma lei e Danny preferiscono scattarsi foto con il cellulare.” Commentò, divertito al solo pensiero. “Con il cosa?” non mi trattenni dal chiedere, spaesata. Sapevo che gli umani avevano oggetti e diavolerie tecnologiche tutte loro, e nonostante avessi sentito parlare di uno dotato di schermo e tastiera, ciò di cui parlava non mi era per niente familiare. “Cellulare. Serve a parlare con le persone e a scrivere messaggi. Come lettere, ma più veloci.” Mi spiegò, tranquillo e paziente mentre mi guardava, cancellando lentamente una mia lacrima con il pollice. “Amore, davvero. Non è un problema. Prima o poi ti spiegherò come usare una fotocamera, e ci faremo tutte le foto che vorrai.” Mi disse semplicemente, nelle sue parole la pazienza e l’amore che mi avevano attratta sin dal primo giorno. “Ti credo, Chris.” Ebbi appena la forza di rispondergli, senza più piangere ma con il corpo scosso da piccoli tremiti. “E non vedo l’ora.” Aggiunsi poco dopo, sforzandomi per tornare alla calma. “Sì, va bene, ma adesso sta tranquilla.” Mi pregò, attirandomi di nuovo a sé e tenendomi stretta. Nervosa, mi scoprii di nuovo vicina a piangere, ma più veloce dei miei stessi pensieri, Christopher fu lì per me, di nuovo pronto ad aiutarmi. “Kaleia, Kaleia, amore. Basta, non è successo niente. Non pensare a questo, concentrati su altro.” Un consiglio che sentii appena, poiché mi giunse come ovattato, ma che ascoltai con un altro cenno del capo. “Come... come la natura.” Sussurrai, parlando più con me stessa che con lui. Contrariamente a ciò che pensavo, lui riuscì a sentirmi, e veloce, mi offrì un cioccolatino. “Esatto. Tieni, mangia pure.” Continuò Christopher, emulando il mio tono di voce così da non spaventarmi ancora. Ad essere sincera non sapevo cosa mi fosse accaduta, forse era stata una sorta di reazione istintiva e primordiale, un dettaglio mai conosciuto della mia parte magica confusa dal mio desiderio di umanità, e dopo un ultimo tremito e un respiro profondo, accettai quel dolce. “Grazie, Chris, grazie.” Ripetei più volte, respirando a fondo per calmarmi. “Non è niente, Kia, solo parte di me e del mio lavoro.” Ancora una volta, un sussurro pari ai miei, così che non mi spaventassi ancora di più, e quando finalmente smisi di tremare, solo un bacio, un abbraccio e un viaggio verso la camera da letto. Non era ancora notte, e neanche sera, ma quel pomeriggio era stato decisamente pieno di emozioni, e volevo, anzi, dovevo rilassarmi. Prendendo il mio Christopher per mano, lo seguii senza più parlare, e sdraiandomi a letto ancora vestita, mi abbandonai fra le sue braccia e rilassai completamente, dando un occhio al panorama appena fuori dalla finestra e ai miei due amati bambini, le cui lanterne erano vicine al nostro letto, e finalmente, a sera, mi chiesi cosa stesse succedendo a Primedia, come stessero mia madre, mia sorella, la cara Leara e il suo Danny che non vedevo da moltissimo tempo, rivolgendo anche un pensiero ad Aster, al suo Carlos e alle sorelle ninfe. In breve, quest‘ultimo avrebbe continuato a scorrere, mostrandomi lentamente la stessa selva piena di vecchie e nuove vite.  

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Capitolo 3
*** Novità di fate e umani ***


Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
 
Capitolo III 
 
Novità di fate e umani 
 
Erano passati altri quattro giorni, ed era di nuovo mattina. Appena svegli come noi, i primi raggi del timido sole di inizio inverno ci salutava cordialmente, e aprendo gli occhi senza alcuna fatica, mi sentivo piena di energie, come se nulla potesse rovinare la mia felicità. Sveglia da poco, mi voltai verso il mio Chris, che ad occhi chiusi, sembrava dormire. Sorridendo lievemente, non osai disturbarlo, e prima che potessi voltarmi e tornare ad affondare il viso nel cuscino, lui mi colse di sorpresa. Lento ma deciso, sfiorò con la mano la mia ancora sotto le coperte, e lasciandolo fare, sorrisi a quel tocco. “Buongiorno, Christopher.” Salutai, ridacchiando appena e usando appositamente il suo nome completo. “Buongiorno a te, Kaleia.” Replicò di rimando, sorridendo a sua volta e ripagandomi con la stessa moneta. Innamorata, gli concessi anche quell’azzardo, e preparandomi ad alzarmi, mi scostai di dosso le coperte. Ancora stanco anche dopo una notte di riposo, Christopher rimase lì dov’era, e osservando la mia immagine riflessa nello specchio della stanza, non notai nulla di diverso. A specchiarmi ero sempre, io la stessa fata della natura dai capelli castani e gli occhi azzurri di sempre, in altre parole, sempre Kaleia. Quella mattina l’unica cosa a non avere un ordine erano i miei capelli, e sicura di odiare i nodi, mi impegnai a sistemarli come potevo, servendomi di una spazzola trovata in un cassetto, sempre tenuta lì per emergenze come quella. Sveglio ma comodamente sdraiato a letto, Christopher sembrava osservare il mio lavoro senza una parola, e notando che lo specchio mi rimandava anche un’immagine del suo viso, non riuscii a non sorridere. Colta dall’imbarazzo, finii per arrossire, e quando finalmente il più testardo di quei nodi si sciolse, rimisi a posto la spazzola. “Che c’è? Ti diverto così tanto?” gli chiesi, notando che ridacchiava sommessamente e senza mai staccarmi gli occhi di dosso. “Cosa? No. Kia, lo sai, ti trovo adorabile.” Ammise, sempre sfoggiando quel dolce sorriso mentre davo un’ultima sistemata ai capelli. Stavolta senza spazzola e sfiorandoli appena con le mani, ma comunque con delicatezza. “Dici davvero?” azzardai, sondando il terreno con quella domanda. Ad essere sincera conoscevo già la risposta, ma nonostante i miei trascorsi, l’infanzia accanto ad Eliza mi aveva reso il cuore tenero, e dovevo ammettere che ricevere lodi e complimenti di quel calibro a volte non fosse altro che un piacere. “Certo, e poi hai fatto bene a prepararti, sai?” mi disse, dolce e premuroso come al solito. Colpita, sentii le guance bruciare e imporporarsi di nuovo, e fermandomi a pensare, scivolai nel silenzio. “Come mai? C’è un’altra festa oggi, per voi umani?” tentai, poco dopo, certa di aver riflettuto abbastanza. “Esatto. Succede ogni anno, sempre il sei di questo mese. Ufficialmente si chiama Epifania, ma nella mia famiglia ha un nome diverso.” Mi spiegò semplicemente, mentre, ormai stanco di poltrire, scalciava leggermente le coperte e decideva di alzarsi. Spinta dalla curiosità, non feci che guardarlo e andare in cerca di lumi, e per mia fortuna, la sua risposta arrivò chiara e in fretta. “Happyfania, tesoro mio.” Disse soltanto, avvicinandosi lentamente e sfiorandomi piano la vita. Di nuovo preda dell’imbarazzo, divenni rigida come un’asse di legno, ma poi le sue labbra mi sfiorarono la guancia, e come d’incanto, mi calmai. “E tu sai... cosa vuol dire?” soffiai al suo indirizzo, meravigliata e intenerita da quello che immaginai essere un ricordo d’infanzia. “L’inglese è un’altra lingua di noi umani, Kia. Happy significa felice, e io lo sono sempre quando si tratta di stare con i miei, capisci adesso?” come la precedente, anche questa una spiegazione veloce ma esauriente, che ascoltai senza interrompere e limitandomi ad annuire, salvo poi richiudermi ancora nel silenzio ed ergermi sulle punte per un bacio. Calmo e paziente, Chris lasciò che lo raggiungessi, poi mi baciò. Sulle labbra, piano e con delicatezza. Stringendomi a lui, sperai che quel contatto si facesse più profondo, e poi, come se fosse riuscito a leggermi pensiero e anima, o qualcuno più in alto di noi mi avesse sentita, il mio desiderio divenne realtà. In un attimo, chiese con la lingua l’accesso alla mia bocca, e sospirando la schiusi lentamente, aprendola per lui. “Chris...” chiamai appena, estasiata. Pur riuscendo a sentirmi, lui non rispose, e guidata da lui e dai suoi movimenti, mi ritrovai fra le sue braccia, per me fonte di sicurezza da tutti i mali di questo o di qualunque altro mondo. Fra noi due l’essere magico ero proprio io, lui non era altro che il mio protettore prima e mio marito poi, secondo la legge magica e una decisione delle fate più anziane con il compito di allenarmi e aiutarmi a sviluppare i miei poteri fino all’ultimo dei suoi giorni. Un incarico arduo, dovevo ammetterlo, ma che fino ad oggi aveva onorato con coraggio e amore. “Un protettore è sempre tenuto ad assicurarsi del benessere della fata che ha a cuore.” Diceva una pagina del bianco libro di magia della sua famiglia, ormai da tempo tenuto sopra lo scaffale più alto del ripiano in legno del salotto. Ripensandoci, sentivo spesso il cuore battere, ed era allora che capivo. Prima di lui suo padre aveva scelto lo stesso mestiere, e malgrado non sapessi davvero nulla della fata che aveva allenato a suo tempo né che fine avesse fatto, continuavo a restare al suo fianco, sempre sicura di potermi fidare o sfogare in caso di bisogno. Anche in quel momento, il cuore mi batteva veloce nel petto, così forte da poter essere udito nel silenzio fra di noi e nella stanza, e quando finalmente ci staccammo, provai l’impulso di restare fra le sue braccia. In molti avrebbero detto che esagerato, ma in fin dei conti era lì che mi sentivo al sicuro, e la mia normalità non sarebbe stata tale solo agli occhi di chi mi guardava, ragion per cui calmai cuore e mente, concentrando tutti i miei sentimenti in quell’abbraccio. “Tu sai cosa provo adesso, vero?” gli chiesi, con voce rotta dall’emozione. “Non hai alcun bisogno di dirlo, fatina mia.” Replicò semplicemente, la speranza dei suoi occhi riflessa nei miei. “Ora che ne dici, vogliamo andare?” azzardò poi, lo sguardo fisso nel mio ma allo stesso tempo concentrato su qualcosa che non vedevo. Confusa, alzai le spalle, e non appena si voltò, capii. Forse sbagliavo, forse stavo ancora imparando e mi serviva più tempo per abituarmi a tutti i modi di fare degli umani, ma stando al muto consiglio di Christopher il salotto era il luogo migliore per festeggiare. Annuendo, mi allontanai di qualche passo, e prima di lasciare la stanza, ricordai qualcosa. Preziose e lucenti, le lanterne che proteggevano i nostri bambini erano ancora vicine al nostro letto, e aguzzando la vista, notai un movimento. Veloce e accompagnato da una sorta di luce intermittente, che grazie all’istinto materno scoprii essere uno dei tanti segnali dei miei piccoli. Non sapendo cosa fare, avevo chiesto consiglio anche ad Amelie proprio nel giorno della loro nascita, e per fortuna le sue parole erano bastate a tranquillizzarmi. “In questo stadio pixie e folletti sono incapaci di piangere, ma si agiteranno molto se affamati, perciò sta attenta.” Aveva detto, seria e perentoria. “Già, ten cuidado.” Aveva aggiunto Carlos, preoccupato quanto e forse più di lei. Fidandomi, avevo dato loro ascolto, e ora eccomi lì, già in allerta e pronta a soccorrerli ad ogni bisogno. “Sì, ma aspetta. Voglio controllare i bambini.” Spiegai, già vicina a quelle che per qualche tempo sarebbero state le loro culle. Cauta, sfiorai con le dita la catenina d’oro che le teneva chiuse, e reagendo al mio tocco e alla mia magia, queste si aprirono. “Hanno fame, mi passeresti...” provai a chiedere, non avendo però tempo né modo di terminare quella frase. Già abituato a richieste del genere, Christopher non si fece attendere, e non perdendo altro tempo, mi fu subito accanto, con in mano un biberon di latte caldo. “Tieni, spero vada bene così.” Si limitò a dire, per poi scivolare nel silenzio e attendere una risposta. Volendo esserne sicura, lo provai sul polso, constatando solo allora che la temperatura fosse perfetta. Era strano a dirsi, nessuno ci avrebbe creduto, ma erano bastati pochi giorni, e già ci sentivamo genitori provetti. Ovvio era che seppur sporadici i dubbi non mancassero, e che data proprio l‘assenza del pianto prenderci cura di non uno ma due esserini come loro non fosse facile, ma nonostante tutto, e soprattutto insieme, Christopher ed io riuscivamo sempre a trovare una soluzione. “Grazie, basterà solo qualche goccia.” Risposi, muovendo appena la bottiglietta e versandone il contenuto nella lanterna. Felice, la mia piccola Delia reagì all’istante, e assaggiando quel buon latte ricominciò ad agitarsi. Mossa a compassione, le regalai un sorriso, e poco dopo fu il turno di Christopher e del suo fratellino. “Ora di colazione, Darius.” Gli sussurrò, dolcissimo. A sentire la sua voce, il folletto prese a brillare di luce propria, poi ad agitarsi come la sorella, e infine si ritirò in un angolo della lanterna, mentre il suo bagliore svanì pian piano, segno che era sazio e tornato a dormire. “Perfetto.” Commentai, finalmente più tranquilla. “Ora sì che possiamo andare.” Dichiarai, riavvicinandomi al mio amato e stringendogli la mano. Tranquillo e orgoglioso, Christopher mi lasciò fare, e richiudendomi la porta alle spalle, raggiunsi con lui il salotto di casa. Addormentato nella cuccia che gli avevamo da poco regalato sostituendola a un semplice cuscino, Cosmo non mancò di salutarci, aprendo gli occhietti vispi e drizzando le orecchie al nostro arrivo. Correndoci incontro, ci piantò le zampe sulle gambe, e più che contento, prese ad abbaiare. “Sì, Cosmo, sì, ti vogliamo bene entrambi.” Lo rassicurai, abbassandomi al suo livello per accarezzarlo. Sicura di me e del mio operato, gli grattai appena un punto sensibile dietro le piccole orecchie a punta, e del tutto preso da quelle coccole, il cagnetto prese a muovere ritmicamente una zampa. Proprio come mostrare la pancia o ergersi su due zampe e mendicare, anche quello un modo di comunicare tipico dei cani come lui, che piccoli o grandi, sembravano aver sempre molte cose da dire e mille modi per farlo. Ora come ora ci stava solo salutando, e felice, lo lasciai fare. Così, con tanta gioia negli occhi e un sorriso sul muso, il lupacchiotto si fermò a guardarci, seduto composto ma con la coda così veloce da risultare invisibile. Per effetto dei suoi poteri, le focature mostrarono un lieve bagliore azzurrognolo, e poco dopo, dei piccoli fiocchi di neve iniziarono a danzargli intorno come leggiadri ballerini. Divertita, per poco non risi, fallendo nel tentativo di trattenermi quando uno di quei gelidi fiocchi gli finì sul naso. Colto alla sprovvista, Cosmo finì per starnutire, e ridacchiando della sua piccola disgrazia, Chris ed io ci scambiammo un’occhiata d’intesa. “Sempre lo stesso, vero?” commentai, ormai affatto sorpresa dalle sue allegre buffonate. Al solo suono della mia voce, Cosmo piegò la testa di lato, e con un mugolio, sperò di attirare la mia attenzione. “In che senso?” parve voler chiedere, ingenuo e adorabile come sempre. “Tranquillo, cucciolotto, ti vogliamo bene anche così.” Gli dissi soltanto, abbassandomi di nuovo per accarezzarlo. “Dice sul serio, sai?” continuò Christopher, regalandogli una carezza frettolosa sulla testa. Ridendo ancora, decisi di ignorarlo, e fatti pochi passi, mi sedetti sul divano. Di lì a poco, il silenzio cadde nella stanza, e in un attimo lo stesso accade al mio sguardo, che per la prima volta si posò su un dettaglio che mai avevo notato. “Chris, sono parte dell’usanza?” azzardai, confusa e stranita. Ancora distratto dal nostro Arylu, Christopher dovette voltarsi per capire a cosa davvero mi riferissi, e quando accade, lui si limitò ad annuire. “Esatto. Acuta osservatrice, vero, tesoro?” scherzò, già immensamente divertito. “Chris, sai che è ovvio. Che fata naturale sarei se non conoscessi il mondo che mi circonda?” risposi, stando al suo gioco e lasciandomi sfuggire una piccola risata. “Hai ragione.” Si limitò a rispondermi il mio amato, con quel solito e dolce sorriso onnipresente sulle labbra. Scivolando nel silenzio, lo guardai senza un’altra parola, battendo distrattamente il posto vuoto accanto a me. Annuendo lentamente, Christopher mi diede le spalle, e diretto verso il caminetto ancora acceso, pieno di grigia cenere e calde lingue di fuoco, accarezzò lievemente le calze appese con dei piccoli chiodi, e staccandole, le portò con sé, facendo attenzione a non rovinarle. “Non noti niente?” mi chiese poi, sedendosi al mio fianco. “No, perché?” indagai, più confusa di prima. “Guarda meglio.” Insistette, parlando con la solita dolcezza che lo caratterizzava. Fidandomi, aguzzai la vista, e fu allora che lo notai. Vicine com’erano, le due calze sembravano esattamente identiche, ma su un lato, nascosta a un occhio meno critico del mio da quella che sembrava un’etichetta, un’iniziale. Piccola e di colore arancione, la mia. “Chris, tesoro...” lo chiamai, incredula. “Visto? Ti avevo detto di controllare.” Mi rispose appena, sfiorandomi con delicatezza la mano ancora libera. “E adesso apriamole d’accordo?” propose, con uno strano eppure adorabile luccichio negli occhi. Stando a ciò che mi aveva raccontato, si sentiva sempre benissimo quando si trattava di festeggiare una ricorrenza come questa con la sua famiglia, e nonostante non avesse né avrebbe dimenticato quella d’origine, sapere che ora ne avevamo una tutta nostra mi riempiva di gioia e d’orgoglio. “Va bene, ma al tre.” Concessi, curiosa di scoprire cosa si nascondesse al loro interno. “D’accordo, tre. Uno... due...” iniziò a contare Christopher, sopportando come al solito e con amore i miei modi di fare, che mi rendevano a suo dire tanto ingenua quanto adorabile. “Tre!” finii per lui, già eccitata alla sola idea di aprire la mia personale calza. Fu quindi questione di un attimo, e con un veloce movimento del polso, riuscii ad aprirla. Spinta dalla curiosità, spiai all’interno, e proprio allora, dolci. “Christopher Powell, stai cercando di farmelo apposta?” azzardai, prendendolo bonariamente in giro. “Scusa, cosa?” tentò allora lui, incerto e dubbioso. “Se mi avessi detto che erano dolci l’avrei aperta subito, sappilo.” Gli feci notare, trattenendo a stento un’altra piccola risata. “Davvero, fatina mia?” mi chiese, ridacchiando divertito. “Già, e pensa, all’improvviso non m’importa più della linea.” Gli risposi semplicemente, troppo contenta dei regali per badare alla mia immagine. “Kia, amore, un paio di dolciumi non ti rovineranno, lo sai. Goditi i piaceri della vita, va bene?” commentò semplicemente, scavando nella propria calza e dando il primo morso a una tavoletta di cioccolata. Ingolosita, mi ritrovai ad imitarlo, e pur non sfiorando con le dita nulla d’interessante, non demorsi. “A proposito, tu cos’hai trovato?” fu la sua ovvia domanda, fatta quando mi notò rovistare nella mia personale scorta di dolcetti. “Non lo so, aspetta.” Mi limitai a dirgli, abbassando lo sguardo per concentrarmi meglio e tirando finalmente fuori qualcosa. “Tu guarda! Un cioccolatino a forma di Cosmo!” esclamai, sorpresa. Voltandosi a guardarmi, Christopher rimase piacevolmente sorpreso a sua volta, e come chiamato in causa, il vero Cosmo corse subito verso di noi, sedendosi sul tappeto e piantandomi le zampe sulle ginocchia. “Ho detto che ti somiglia, non che è per te. La cioccolata ti fa male, sai?” gli dissi, tranquilla e preoccupata per la sua salute. Con l’andar del tempo, anche Cosmo stava crescendo, ora aveva cinque, quasi sei mesi, e dopo ciò che aveva passato, ritrovandosi costretto a vivere da solo nei boschi accanto alla madre morta fino al mio arrivo nella sua vita, avevo promesso di prendermi cura di lui, e avrei continuato a farlo fino alla fine dei suoi giorni. Triste ma convinto, il lupacchiotto non osò lamentarsi, e tornando alla sua cuccia, si sdraiò comodamente, stringendo fra i denti la sua pallina preferita, tenuta proprio accanto alla sua corda colorata e a un morbido osso di gomma. Tutti giocattoli adatti alla sua età, che Chris ed io gli avevamo comprato durante una delle nostre abituali gite fuori porta. “Chiamatemi se usciamo.” Parve voler dire, fra un piccolo ringhio e l‘altro mentre masticava quella pallina. Sorridendo appena, continuai a gustare i miei dolci, e fra un morso e l’altro, non esitai a scambiare i miei con quelli di Christopher, come se all‘improvviso quei dolcetti fossero diventati figurine. “Chris! Sul serio?” quasi urlai, non riuscendo a credere ai miei occhi. “Cosa? Che ho fatto?” replicò lui, come sconvolto. “Hai davvero staccato la testa a un Pyrados?” continuai, scoppiando nuovamente a ridere nel notare che quel cioccolatino a forma di drago era stato appena decapitato. “Scusa, avevo fame.” Si limitò a dirmi, per nulla colpevole. “Certo, ma potevi almeno iniziare dalle ali!” commentai, ancora inorridita. Grazie al cielo si trattava di semplice cioccolata e non di un animale, ma nonostante tutto, la sola idea mi dava il disgusto. Non riuscendo a restare arrabbiata con lui, gli assestai un affatto offensivo pugno sul braccio, poi sorrisi. “Sempre meglio della fine dello Slimius, sai?” mi fece notare, serio e giocoso al tempo stesso. “Che intendi?” non potei fare a meno di chiedere, curiosa eppure poco convinta di voler sentire la risposta. Volendo essere sicuro di sorprendermi, Christopher si concesse una pausa di silenzio, poi indicò il dolce, abbandonato sul tavolo del salotto e già mezzo mangiucchiato, con una parte del ripieno che si intravedeva oltre l’involucro di zucchero. “Cielo, Christopher!” rischiai di urlare, scuotendo la testa e respirando a fondo per calmarmi. In quel momento, sicuro di aver trovato l’occasione perfetta, Cosmo si avvicinò al tavolino, ma più veloce di lui, lo allontanai prima che potesse anche solo assaggiarlo. “Cosmo, no! Non è per te!” gli ripetei, a voce alta e con tono fermo. Colpito, il lupacchiotto finì per mugolare, e ritirandosi nuovamente nella sua cuccia, tentò di nascondersi. Mossa a compassione, sentii gli occhi iniziare a bruciare, e con il cuore stretto in una morsa, lasciai la mia calza ancora colma di delizie sul divano, e alzandomi dal divano, afferrai il suo guinzaglio. “Chris, credo sia ora di uscire. Almeno così si distrarrebbe, che ne dici?” proposi, respirando a fondo e sforzandomi per restare calma. “Certamente. In fondo anch’io ho bisogno di una passeggiata.” Scherzò, sfiorandosi la pancia mentre si alzava, come a voler mostrare che si sentiva ingrassato. Ovvio era che pochi dolci non avrebbero avuto un effetto così deleterio, e alla sua vista in quella posa così comica, risi. “Va bene, allora. Cosmo! Vieni, bello, andiamo!” chiamai, decisa. Nel farlo, mi battei piano una gamba, poi attesi. Rispondendo immediatamente a quel richiamo, il cucciolo si precipitò da me, e agganciando il guinzaglio al suo collare, lo pregai di sedersi. “Aspetta.” Dissi soltanto, mostrandogli una mano aperta e allontanandomi lentamente. Fra un passo e l’altro, chiesi mutamente a Christopher di controllarlo, mentre, veloce e decisa, tornavo nella nostra stanza. Era ancora mattina, mancava poco al pomeriggio e avevano mangiato da poco, quindi supponevo che i piccoli dormissero, ma fermandomi a pensare, avevo deciso che portarli con noi perché vedessero, o meglio, percepissero il mondo, fosse la soluzione migliore. Cauta, sfiorai le loro lanterne con dita delicate, e sollevandole appena, le portai con me. Avevano appena una settimana di vita, ed era vero, ma già sognavo di vedere la loro trasformazione in veri neonati così da tenerli finalmente in braccio, e in totale onestà non c’era giorno in cui non ci pensassi. “E così vengono anche loro!” commentò Christopher alla mia vista, sorridendo dolcemente. “Ovvio! Non possiamo lasciarli qui, c’è troppo da scoprire!” gli risposi, felicissima. “E a proposito, scusa per prima.” Aggiunsi poco dopo, sinceramente dispiaciuta per ciò che avevo fatto. A quanto sembrava, dovevo avere ancora gli ormoni fuori posto, e gravidanza appena conclusa o meno, litigare era sempre l’ultimo dei miei desideri. “Tranquilla, amore, lo so. So che non volevi, e poi ci stavamo divertendo, non è un problema.” Per mia fortuna, la sua risposta arrivò in fretta, e riceverla fu come sentire un peso svanirmi dal cuore. “Grazie.” Dissi soltanto, con la voce ridotta a un sussurro. “Non fa niente. Ora andiamo, c’è un Arylu qui da far passeggiare.” Replicò il mio amato, tranquillo come al solito. Mantenendo il silenzio, non feci che annuire, e aprendo la porta, fui la prima ad uscire. Fatti pochi passi, mi ritrovai immersa nella natura, e prendendo un altro, ampio respiro, non provai altro che calma. In un solo istante, i miei poteri reagirono all’ambiente, e restando lì dov’ero, mi concessi del tempo per riflettere. Con il favore del silenzio, mi voltai metaforicamente indietro, rivedendo nei passi appena mossi proprio il mio passato. Riflettendo, capii che in qualche modo vivere era esattamente uguale a camminare, e voltarsi equivaleva a due sole cose. Pensare, o arrendersi. Felicissima, camminavo a testa alta, e affatto sorpreso, Christopher pareva arrancarmi accanto, facendo fatica a governare l’ormai conosciuta irruenza del nostro caro Cosmo, curioso e innamorato del mondo che lo circondava. “Vuoi una mano?” tentai, volendo solo aiutare. “No, ce la faccio, tu pensa ai bambini.” Mi rassicurò, stringendo la presa sul guinzaglio che il lupacchiotto tirava. Silenziosa, mi limitai ad annuire, e camminando, gli strinsi la mano. Da allora in poi, il silenzio ci avvolse entrambi, e in lontananza, ben quattro visi amici. Senza una parola, mi avvicinai fino a vederli meglio, e in quel momento, il mio cuore perse un battito. “Isla! Oberon!” chiamai, sorpresa e contenta di vederli. “Kia!” rispose la prima, fermandosi e salutandomi con la mano. Bassine e adorabili, le figlie Lucy e Lune erano con loro, e alla vista degli esserini nelle lanterne che portavo, la stessa Lune rimase incantata. “Mamma, pixie!” esclamò, tirando leggermente una manica della sua veste. “Pixie? Pixie?” chiese poi, voltandosi a guardarmi con i suoi occhioni scuri. “Sì, piccola. Ho avuto anche un folletto, sai?” le spiegai, parlandole e assicurandomi di porre la questione in termini comprensibili a una bambina come lei. Forse addormentati, forse spaventati da ciò che percepivano, i miei piccoli non si mossero, e sempre calma e tranquilla Isla prese una mano della sua bimba nella propria, guidandola verso la lanterna così che la sfiorasse. Seguendo i movimenti della madre, la piccola si ridusse al silenzio, e a riprova di ciò non percepii altro che il suo stupore. “Quando diventeranno come noi? Io non me lo ricordo.” Disse allora Lucy, rompendo il silenzio e riprendendo la parola. “Ci vorranno due mesi, pixie, e poi potremo tenerli in braccio.” Le disse tranquillamente Christopher, che finalmente sembrava aver smesso di litigare con l’energia di Cosmo. “Bello! E anche lui è cresciuto!” commentò a quelle parole, stupita quanto e forse più della sorella. Sentendola parlare, e capendo che parlava proprio di lui, Cosmo drizzò le orecchie, e seduto composto, si lasciò accarezzare, leccandole gentilmente anche una mano. “Mi fai il solletico!” ridacchiò la pixie della terra, dolcissima. Limitandosi a guardarla, i genitori le sorrisero, e improvvisamente il padre ricordò qualcosa. “È ora di andare, Lucy. Sai che ti servono i libri per la scuola.” Disse soltanto, tentando di riportarla alla realtà. “Hai ragione! Se non compro un quaderno non potrò prendere appunti! Ciao ciao, Kia!” replicò subito lei, ricordandole all’istante i suoi doveri di studentessa. Non volendo intralciare né lei né i genitori, la lasciai andare, non riuscendo a non sorridere quando notai Lune, la più piccola, sollevare una manina per salutarmi, mostrando con tenero orgoglio uno dei suoi pupazzetti. Un Arylu di pezza simile a Cosmo, diverso da lui solo per ciò che riguardava il colore del pelo. A quella vista, sentii il cuore gonfio d’amore per lei e per la sua ormai solita dolcezza, e nel pomeriggio, quando ci incamminammo per tornare a casa, non resistetti alla tentazione di stringermi al mio Christopher. Erano bastate una passeggiata e una delle sue tradizioni, e in risposta il mondo si era come aperto a noi ancora una volta, pronto ad accoglierci e mostrarci la sua semplice eppure magica bellezza, fatta, come lui non esitò a spiegarmi mentre ci rilassavamo insieme, di novità portate da fate e umani. 




Una buonasera a tutti i miei lettori. Secondo la mia normale tabella di marcia, questo capitolo avrebbe dovuto essere online ieri, ma era così lungo che sono riuscita a finirlo solo oggi. Appena il terzo, peraltro introduttivo, ma spero che vi sia piaciuto lo stesso. Ci risentiremo nel prossimo, che non so quando riuscirò a pubblicare per motivi da me indipendenti, ma intanto grazie ad ognuno di voi di tutto il vostro supporto,

Emmastory :)

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Capitolo 4
*** Il vivere al villaggio ***


Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
 
Capitolo IV 
 
Il vivere al villaggio 
 
Lentamente, era arrivata la sera. Il sole era scomparso dal cielo, e ora quest’ultimo sembrava sporco di tinte più cupe, ma in realtà era semplicemente nero. Nero come la notte che da poco era caduta, illuminato solo da centinaia, migliaia o forse perfino milioni di stelle che coraggiose quanto la compagna luna, madre e curatrice della loro bellezza, lo illuminavano. Tutto attorno a me era calmo, e avvicinandomi piano alla finestra, le vidi. Una per una, le figlie della sovrana di questa bellissima notte, silenziosa e piena di una magia molto più potente di quella che possiedo. “Gran bello spettacolo, non credi?” mi chiese Christopher, rimasto in disparte fino a quel momento. Rapita da ciò che vedo, quasi non sento la sua voce, finché osando, lui non arrivò a sfiorarmi la mano. Per quanto inaspettato Il suo tocco fu leggero, proprio come la sua voce lo sentii appena, ma voltandomi, sorrisi. “Più che bello, Chris. Meraviglioso.” Ebbi appena la forza di dire, per poi ridurmi al silenzio e riportare lo sguardo su quella tela tanto oscura e punteggiata da quelli che sembravano sprazzi di luce bianca. Lontani e deboli, certo, ma nonostante questo, bellissimi. Allietata dal tocco del mio amato, intrecciai le dita alle sue, e aguzzando la vista, lasciai spazio a un altro particolare. Qualcosa si muoveva nella distesa stellata, e felice come una bambina nel giorno del suo compleanno, già pronta a scartare i suoi regali e ringraziare chi glieli aveva donati, mi ritrovai senza fiato. Forse per la prima volta non era il mio Christopher a regalarmi una sensazione del genere, ma al contrario, proprio il cielo e la più temeraria delle sue creature. Splendente di luce azzurra, si trascina dietro una coda ancor più luminosa, e solo allora capii che era una stella cadente. Alla sua vista, una strana stretta al petto quasi mi fece sobbalzare, ma all’istante mi calmai, sicura che non sarebbe accaduto nulla. Memore di un’altra delle sere di Notteterna, ricordavo ancora la meraviglia provata nell’affidare un solo rublo di luna all’acqua del pozzo dei desideri, e malgrado non credessi a una favola come quella, destinata a pixie e folletti molto più giovani di me, non avrei lasciato andare la speranza, continuando a credere che stasera, e anche in futuro, tutto andrà bene. “Un desiderio, fatina?” con tre sole parole, la voce di mio marito mi giunse ovattata, parendo filtrare appena nella mia coscienza, ma nonostante questo, mi voltai e risposi. “Più di uno, mio custode.” Una risposta sincera e carica delle emozioni che provavo quando ero con lui, che ogni volta mi trasportavano completamente, arrivando a sradicarmi con dolcezza da questo luogo a metà fra umano e magico, così che mi sentissi felice, calma e a mio agio fra le sue braccia. Ora non mi stringeva né mi sfiorava più la mano, ma insieme restavamo lì ad osservare la volta celeste e le sue magnifiche eccellenze, anche mentre il tempo che scorreva senza sosta pareva ignorarci. Ad essere sincera non sapevo se fosse di nuovo opera di Sky o del cielo stesso, ma se a una parte di me non importava, un’altra dissentiva e avrebbe voluto saperlo. Stanca, mi portai una mano al viso per nascondere uno sbadiglio, e stoica, continuai a guardare. Era mia sorella, era ancora a Primedia, e sapevo che stava bene, ma qualcosa, una sorta di sesto senso o una voce nella mia testa, peraltro finalmente dissimile da quelle che udivo quando venivo tormentata da quei dannati spiriti mi convinceva che forse questo non era il caso, e che con il tempo, padre tanto premuroso quanto indifferente, le cose sarebbero cambiate. Assetata di conoscenza, cercai di resistere, ma con uno spirito forte e una carne più debole, fui costretta ad arrendermi, e voltandomi, cedetti ai richiami del sonno. Lenta, a fatica mi trascinai verso la camera da letto, ma all’improvviso il divano apparve ai miei occhi come un ancor più accogliente giaciglio, e attenta a non farmi male né stirare nessun muscolo, mi sdraiai. Muto e immobile, il mio protettore mi guardò, e sorridendo appena, non se la sentì di dire nulla. Capiva bene che l’ora era tarda, comprendeva perfino meglio come mi sentissi, e avvicinandosi di qualche passo, mi lasciava fare. “Pensi tu ai bambini?” non riuscii a non chiedergli, preoccupata per quelle dolci creature. Anche se da poco, delegavo anziché agire pur sapendo che non avrei dovuto, ma ogni mansione che li concerneva era per entrambi una prima volta, e il mio fisico ancora stremato dalla loro venuta al mondo faticava a riprendersi. Per pura fortuna avevamo ormai adottato un sistema tutto nostro, stando al quale ci concedevamo dei turni così che almeno uno di noi dormisse, e ad occhi chiusi, sperai che mi avesse sentito. Privata della capacità di vedere, non ebbi modo di esserne sicura, e dopo poco, malgrado sembrino passate ore, rieccolo. Premuroso come sempre, il mio Christopher aveva fatto ritorno, portando con sé una coperta e due lanterne. “Ecco, così staranno con noi anche stasera.” commentò, appendendole con cura al camino acceso assieme alle calze prima colme di dolciumi e ora smagrite. “Mentre questa è per te.” Sussurrò poco dopo, facendosi più vicino e adagiandomi la coperta sul corpo. “Grazie.” Replicai, con voce bassa e quasi inudibile ma addolcita dai sentimenti. “Di nulla.” Mi lasciò intendere, quando sedendosi, si preparò a sdraiarsi per starmi accanto. Scostandomi, gli feci spazio perché fosse più comodo, e calma e felice, proprio come le stelle avevano forse cercato di dirmi, lasciai che mi stringesse a sé. Chiudendo nuovamente gli occhi, non vidi davvero più nulla, e ben presto, del tutto colta alla sprovvista, non avvertii altro che la pressione del suo corpo contro il mio. Con il cuore che batteva impazzito, minacciando di esplodermi in petto, non riuscii a sottrarmi al suo amore, e ancor prima che reagissi, tutto accadde in fretta. Non riuscivo a crederci, ma fu questione di un solo istante perché sentissi le sue mani di nuovo fra le mie, le sue dita giocare con i miei capelli sfiorandomi piano anche la schiena, mentre, lente e tentatrici, le sue labbra si posavano su ogni centimetro di pelle scoperta che riuscisse a raggiungere. Emozionata, tentai di resistere e non cedere nella speranza di ritardare l’inevitabile, ma la mia, una lotta accesa e tristemente impari, andò avanti consumandosi davanti ai suoi occhi fino all’ultimo, doloroso momento, quando, rilassandomi completamente e sentendo il cuore sciogliersi, divenni sua. Ancora una volta, mi aveva amata con tutto sé stesso, e guidata dalla mia parte umana, stavolta più potente di quella magica, non ero riuscita a impedire che accadesse. Anche addormentandomi, non pensai ad altro, e persa in una fra tante dimensioni oniriche, ebbi la sensazione di rivivere quei momenti infinite volte, provando con ogni replica le stesse e identiche emozioni. Il cuore che batteva, il corpo tremante, il mio spirito fremente, e poi, oltre il suo amore e il mio tanto agognato limite, la quiete. Tranquilla e orgogliosa, anzi, onorata di averlo al mio fianco, dormii serenamente fino al mattino, mentre Morfeo, silenzioso e paziente, continuò ad attendere per cullarmi e accogliermi nella landa del resto dei miei sogni. Aprendo gli occhi per un attimo, guardai di nuovo il mio Christopher, che stanco come e più di me, non desiderava altro che il riposo. “Ti amo.” Gli dissi soltanto, rafforzando la nostra stretta sotto la coperta. “Ti amo anch’io, Kaleia.” Rispose, biascicando ogni parola come a non volersi far udire che da me. “Tantissimo.” Lo sentii aggiungere, sincero come al solito. A quelle parole, sentii un altro sorriso spuntarmi in volto assieme a un’ennesima speranza nel petto, e priva di forze ed ebbra di felicità, non osai lasciarlo andare per le lunghe ore a venire. Così, la notte trascorse lenta, e aprendo gli occhi non poca fatica alle prime luci dell’alba, non sentii il sole, ma al contrario, qualcosa di freddo e bagnaticcio sulla pelle. Confusi, mi concessi del tempo per mettere a fuoco quell’immagine ancora sfocata, e quando finalmente accadde, scoppiai a ridere. Era Cosmo, che appena sveglio proprio come me, sembrava deciso a darmi il buongiorno. “Ciao! Sei sveglia? Vuoi uscire? O è troppo presto?” semplici e sempre dettate dall‘ingenuità, piccole frasi che la dolce espressione dipinta sul suo muso mi comunicava perfettamente, tutte metaforicamente proferite mentre sbatteva la coda contro il divano, creando fra un attimo e l’altro un ritmo tutto suo. Divertita, gli rivolsi un sorriso, e stiracchiandomi come la cara Willow, che durante la notte aveva preso posto accanto al caminetto ormai spento e colmo di cenere, mi drizzai a sedere. Lenta, così da non svegliare Christopher o almeno provarci, ma senza successo. Veloce e invadente, infatti, quel mascalzone di un Arylu mandò a monte i miei piani, soprattutto quando con un balzo da record finì proprio addosso al caro padrone. “Dannazione, Cosmo! Scendi di qui!” mugugnò, tutt’altro che felice di essere stato svegliato a quel modo. Ingenuo come al solito, il cagnolino si limitò a guardarlo, continuando come se nulla fosse a sbattere la coda. “Come dici? Non ho sentito.” Sembrava voler dire, prendendolo in giro. A quella vista, trattenni a stento una risata, e scuotendo la testa, lo richiamai a me. “Vieni, forza, lascia stare Christopher!” gli dissi appena, non riuscendo nel mentre a smettere di ridere. Drizzando le orecchie a punta, l’Arylu stavolta obbedì, e con un balzo, fu di nuovo sul tappeto. Tanto veloce quanto sgraziato, rischiò di scivolare, e spaventata Willow corse via attraversando il corridoio come una scheggia, finché, rimasto solo, il cucciolo non scosse la testa, riprendendosi in un lampo da quella sorta di incidente. Fra una piccola risata e l’altra, l’osservai mentre si rimetteva in piedi, e in quell’istante, qualcos’altro attirò la mia attenzione. Era mattina, i piccoli non avevano ancora mangiato, e a riprova di ciò, la lanterna di Delia fu la prima a splendere di luce propria. Chiaro segno che come il fratello anche lei si stava agitando, ed era affamata. Non perdendo altro tempo, le scaldai un biberon di latte come mi avevano insegnato Aster, Amelie e le altre sorelle ninfe, e poco dopo, aiutata anche da Christopher, ne versai appena qualche goccia nella sua lanterna. Ancora una volta, ci occupammo di un bimbo ciascuno, e a lavoro finito, sorrisi. “Un giorno crescerete, e sarò felicissima, piccolini.” Sussurrai loro, parlando ad entrambi come spesso facevo con le piantine che per un motivo o l’altro a volte sembravano rifiutarsi di crescere. Troppo sole, poca acqua o comunque non abbastanza, o a volte anche il freddo. Seppur scherzando, amavo definirla timidezza, e nulla poté prepararmi a ciò che vidi quando mi apprestai a richiudere la lanterna appena aperta. Lenta ma decisa, la mia piccola Delia svolazzò verso di me come la lucciola a cui tanto somigliava, e posandomisi sulla mano, la sporcò adorabilmente di polvere di fata. Un tentativo tenero che speravo venisse seguito da molti altri, e di fronte al quale, quasi piansi. Svelto, Christopher non mancò di notarlo, e cingendomi un braccio intorno alle spalle, mi sfiorò una guancia con le labbra. “Staranno benissimo, tesoro.” Mi disse poi, mentre, tranquillo, richiudeva anche quella di Darius. Intanto, e se Willow si era già volatilizzata nel corridoio che portava alla nostra stanza, Cosmo aveva invece deciso di aspettarci, e seduto di fronte alla porta di casa ancora chiusa, scodinzolava. Abbassando lo sguardo, incontrai di nuovo il suo, e sorridendo, posai una mano sulla tasca del vestito. Poteva sembrare sciocco, banale o esagerato, ma era lì che di tanto in tanto nascondevo i suoi biscottini preferiti, così come qualche innocua caramella ottenuta cristallizzando la resina degli alberi che avevo intorno. “Cosa c’è, bello? Vuoi uscire? Vuoi uscire?” gli chiesi, alzando la voce di alcune ottave per incitarlo. Felicissimo, il cucciolo abbaiò più volte, alzandosi su due zampe per farmi le feste, ma dandogli le spalle, non approvai. Sorpreso, si calmò all’istante, e capendo al volo, tornò a sedersi. Ridacchiando di nuovo, mi tolsi di tasca una di quelle ormai famose caramelle, avendo il piacere e la fortuna di vedere i suoi occhietti chiari brillare a quella sola vista. Intanto, muto e immobile al mio fianco, Christopher si limitava a guardarci entrambi, sogghignando sotto baffi immaginari e probabilmente credendomi ammattita. Tutt‘altro che arrabbiata all’idea, risi con lui, sicura che essere riuscita ad accettare la sua ironia fosse uno dei tanti motivi per cui lo amavo, poi tornai a concentrarmi sul mio amico a quattro zampe. “Prendi la coda!” gli ordinai, regalandogli l’ennesimo sorriso. “Prendi la coda!” ripetei, incoraggiandolo. Scuotendo il capo come per annuire, il cucciolo non attese oltre, e in un attimo prese a girare su sé stesso, descrivendo cerchi perfetti proprio come gli avevo insegnato. Come altri, fra cui sedersi, stendersi per terra, rotolare, alzarsi su due zampe e lasciare che gliene stringessi una in segno di saluto, un semplice giochetto divertente, nato dalla mia nuova, strana e forse ossessiva, c’era da dirlo, passione per la psicologia canina. Ancora giovane e con tanto tempo per crescere, quell’Arylu faceva parte della mia vita da soltanto pochi mesi, ma sin dal primo giorno ero sempre stata convinta di una cosa. Pensandoci, ricordavo ogni volta la nobiltà nascosta dietro allo slancio affettivo che mi aveva spinta ad adottarlo, e Chris non faceva altro che darmi ragione, e dopo un’ennesima pausa di silenzio per rintanarmi nei miei pensieri, concessi al mio cucciolo quel tanto ambito premio. “Sì, sei stato bravissimo, cucciolotto, sì.” Mi complimentai, guardandolo sgranocchiare quella delizia e arruffandogli il pelo con una carezza amorevole. Confuso, lui si scrollò quell’improvvisa imperfezione di dosso, e lasciando che assicurassi il guinzaglio al suo collare, finalmente fu pronto per uscire. “Dovete davvero farlo ogni volta?” commentò allora proprio Christopher, sinceramente divertito ma leggermente annoiato da quella routine. “In realtà no, e a volte cambiamo anche, ma se si diverte, chi siamo per impedirglielo?” gli feci notare, restando dalla parte del mio amato cagnolino. “Hai ragione, ma ora andiamo, o chi lo sopporterà più?” mi rispose quasi subito, scherzando come al solito. “Christopher!” lo rimbeccai, assestandogli un affatto offensivo pugno sul braccio. “Cosa, fatina mia?” mi riprese lui, tutt’altro che innervosito da quel finto scoppio d’ira. “Lo sai già, ma io ti amo.” replicai, innamorata persa di lui. Sorridendo lievemente, lui mi accarezzò una guancia, e solo pochi istanti prima di aprire la porta, si fermò. “Aspetta, metti la giacca, d’accordo?” si limitò a dirmi, fornendomi un utile consiglio che seguii in quel momento. Veloce, ne infilai una pesante data la stagione, poi guardai fuori. “Un attimo, prendo anche i guanti.” Dichiarai, lasciando a lui il cane e sparendo nella nostra stanza per cercarli. Grazie al cielo mi ero decisa a rivedere il guardaroba solo poco tempo prima, tanto che strinsi il pugno in segno di vittoria quando trovai il mio paio preferito di lana bianco al sicuro in un cassetto. Pronta, tornai da Chris e Cosmo, e finalmente, uscimmo. Così, abbassata la maniglia e fatti pochi passi, ci ritrovammo appena oltre l’uscio di casa, e guardandomi intorno, non riuscii a credere ai miei occhi. Piccoli e leggeri, mille fiocchi di neve fresca danzavano nel cielo trasportati dal vento che già aveva iniziato a soffiare, e inspirando a fondo, riscoprii ancora una volta la loro algida morbidezza. Mosso dall’aria ghiacciata come il mio respiro, uno mi si posò fra i capelli, e con delicatezza, Christopher fu lì per liberarmene. “Bello, vero?” chiese, la voce ridotta a un sussurro delicato quanto e forse più della neve stessa. Per essere precisi la prima della stagione, che osservai incantata e in assoluta tranquillità finchè non avvertii qualcosa ai miei piedi. Ancora costretto dal guinzaglio, il nostro caro Arylu tirava forte nella speranza di essere lasciato andare e correre libero per il bosco, e quando mi abbassai per accontentarlo, notai qualcos’altro. A quanto sembrava, noi tre non eravamo gli unici ad essere usciti di casa sfidando il freddo quella mattina, ma al contrario, nonostante fosse presto e si congelasse, al bosco c’erano tanti altri abitanti coraggiosi come noi. Dopo un ennesimo guaito del cagnolino seduto nella neve ai miei piedi, mi sforzai di regalargli la libertà nonostante i guanti mi limitassero nei movimenti delle dita, e non appena fu libero da quella sorta di trappola, quel piccolo e dolce Arylu parve perdere letteralmente la bussola, rotolandosi in mezzo alla neve fresca e ringhiando a quella che spostava con le zampe o colpiva con la coda. Contrariamente a ciò che molti avrebbero potuto pensare, Cosmo non era affatto aggressivo né mai lo era mai stato, e al contrario, del tutto preso da quel nuovo gioco, si stava divertendo da matti. “Non ti allontanare, bello!” gli gridò Christopher, muovendo qualche incerto passo fra la neve mentre mi teneva stretta. Non proferendo parola, lo lasciavo fare, e nel silenzio, un soffio di vento ci portò la sua risposta. Un latrato dolce e giocoso, unico segno che nonostante la distanza ci aveva sentito. In breve, Chris ed io arrivammo alla piazza principale di Eltaria, scorgendo più avanti decine di case appartenute ad altrettante famiglie tutte diverse, e poi, ancora più in là, la scuola. Appena visibile a causa della nebbia da poco unitasi al freddo, ma riconoscibile da una grandissima lettera P verde brillante. Aguzzando la vista, la individuai all’istante, e proprio allora, il mio pensiero volò direttamente verso le mie amiche pixie. A quasi otto e cinque anni, la frequentavano entrambe, ma ormai non le vedevo da tempo, e stava nevicando, ragion per cui immaginavo che fossero a casa. Forse appena sveglie e intente a far colazione, a guardare i cartoni sedute sul divano, o conoscendo Lucy, ad approffitarne per portarsi avanti con i compiti ed essere la prima della classe. Distanti come l’estate scomparsa da molto, quei pensieri mi tennero compagnia durante la passeggiata creando nella mia mente un’eco infinita, e proprio quando credetti di dovermi limitare a immaginarle eccole. Felici e sorridenti anche se impacciate dalle sciarpe e dai cappotti pesanti, Lucy e Lune. “Chris! Kia!” gridarono, contente di vederci. “Bambine!” salutai, sorpresa. “Cos’è, niente scuola oggi?” chiesi poco dopo, sorridendo mentre le stringevo entrambe in un vero e proprio abbraccio di gruppo. “No. Ieri invece sì, ma poi la signora Whitefield ci ha avvisato, e ha chiuso la scuola.” Rispose Lucy, sincera e tenera come solo lei sapeva essere. “E chi è? Un’insegnante?” azzardò Christopher, interessato e già in ginocchio per abbassarsi al loro livello. “Direttrice.” Biascicò appena Lune, più piccola e ancora plagiata da quel dannato mutismo. Ad essere sincera, non sapevo quando e se ne sarebbe davvero uscita, ma nonostante le difficoltà che la vedevo affrontare ci speravo. “Capisco, ma il vostro cucciolo? Di solito vi segue sempre.” Osservò poi il mio amato, parlando ancora a entrambe le bambine e aspettando con pazienza una risposta. “Rover... con papà. Pupazzo di neve!” esplose ancora la fatina del fuoco, tutta contenta per essere di nuovo riuscita a parlare. Intenerita da quella scena, dischiusi le labbra nell’ennesimo sorriso della giornata, e allontanandomi di qualche passo da Christopher e dalle bambine, decisi di richiamare Cosmo, o perlomeno capire dove si fosse cacciato. Avrei potuto inginocchiarmi e comunicare direttamente con la terra o seguire la sua scia magica, certo, ma grazie all’addestramento il suo richiamo era perfetto, così tentai. Camminando, ripetei più e più volte il suo nome a voce alta, battendomi occasionalmente anche una gamba, ma per minuti interi, niente. “Kaleia, tu non vieni?” mi chiese Christopher, alzando la voce e quasi urlando perché lo sentissi. “Sì, voi intanto andate, devo ritrovare il cane!” risposi, voltandomi per il tempo che bastava a parlargli e partendo subito alla ricerca di quello scalmanato cagnetto. A occhi bassi, cercai le sue impronte, e concentrandomi, la scia che tutte le creature magiche lasciavano dietro di sé, e finalmente, dopo quelle che mi parvero ore, eccolo. “Cosmo! Lo chiamai, abbassandomi al suo livello perché mi notasse. Abbaiando, non si fece attendere, e in un attimo mi fu accanto. Svelta, assicurai il guinzaglio al suo collare, e voltandomi, ripresi a camminare. “Cielo, cucciolo, quante volte devo dirti di non scappare più così?” chiesi, parlando in tono mesto a causa della preoccupazione di pochi attimi prima. Per tutta risposta, lui alzò lo sguardo verso il mio mentre camminavamo, poi, mugolò. “Scusa, era divertente.” In tre immaginarie parole, l’unica giustificazione che sembrò darmi in quel momento, e che accarezzandolo piano dietro sulla testa, accettai all’istante. “Che non si ripeta ancora, va bene? Sai che mi preoccupo.” Gli dissi, sperando che accettasse quell’unica condizione. In altri termini, poteva correre quanto voleva, ma non fino a sparire dalla mia vista. Poco dopo, alle mie parole seguì un suo piccolo latrato, e dopo altro camminare, lo vidi fare un salto indietro, per poi nascondersi dietro di me e lanciare un guaito. Spaventata, portai in alto le mani per difendermi, e stringendo i denti, mi impedii di attaccare. Fu quindi questione di attimi, e la mia magia si dissolse diventando polvere di fata. “Scusi, signorina!” gridò una voce che non riconobbi, nella speranza di ricevere il mio perdono. Alzando gli occhi, mi accorsi di essere arrivata al limite del bosco, e stando a ciò che vidi, a casa di Lucy. Riunita in giardino, la famiglia stava davvero costruendo un pupazzo di neve come aveva detto Lune, e vicine a quel nuovo e gelido amico, ma impegnate in un gioco tutto loro, altre due bambine si divertivano, rincorrendosi e riempiendo l’aria di luci colorate. Incuriosita, seguii ogni loro scoppio di magia, poi capii. A giudicare dai colori, la prima, che a una seconda occhiata scoprii essere un’elfa, doveva essere nata con i poteri dell’acqua, mentre l’altra, una semplice pixie come le mie non più così piccole amiche, sembrava essere stata benedetta dai poteri del fuoco. “Piccolina?” chiamai, rivolgendomi proprio a lei. “Sì, signorina?” mi rispose subito questa, facendosi avanti a piccoli passi, forse perché provata dal freddo. “Non fa niente. Tu e la tua amichetta stavate giocando, non mi hai fatto male, vedi?” Le dissi, accennando a un sorriso per confortarla. A riprova di quanto appena detto, girai su me stessa perché notasse la totale assenza di ferite, e a quella vista, anche la pixie sorrise. “Meno male! Mamma mi dice sempre di fare attenzione, mi dispiace” Replicò poco dopo, visibilmente sollevata. “Sta tranquilla, sto bene. A proposito, come ti chiami?” la rassicurai, per poi cambiare argomento e farla concentrare su qualcosa di più neutro, come il suo nome. “Mahel, signorina.” Rispose allora quel piccolo angelo, ancora pieno di timore. “E lei?” azzardò dopo una pausa di silenzio, incuriosita. “Kaleia, tesoro, ma diamoci del tu, va bene?” le risposi, concedendole quella possibilità e dando un taglio alle regole. “Va bene.” Mi fece eco lei, annuendo e offrendomi la mano. In silenzio, la imitai perché me la stringesse, e in un attimo, diventammo amiche. “Vieni, ti presento anche Harmy.” Decise, voltandosi senza lasciarmi la mano. Annuendo, mi limitai a seguirla, e giunta al centro del giardino, rividi l’elfa. “Harmy! Vieni!” la chiamò Mahel, distraendola dai suoi giochi. Rispondendo a quella sorta di richiamo, la piccola elfa si voltò verso di noi, e fu allora che la vidi chiaramente. Orecchie a punta, visetto tondo, occhi castani e capelli color caramello. “E lei chi è?” azzardò, confusa dalla mia vista. “Una nuova amica. Si chiama Kaleia.” Le spiegò l’amichetta, tranquilla. A quelle parole, la bambina ci corse incontro, e fermandosi, mi offrì una mano guantata. “Harmony Lightwood, signorina Kaleia.” Si presentò, tranquilla ed educata. “Solo Kaleia, tranquilla. Siamo amiche adesso, ti va?” le dissi semplicemente, regalandole un sorriso per incoraggiarla. “Davvero? Bello!” commentò, sorpresa. Tranquilla, mi scambiai un’occhiata d’intesa con Christopher, e abbassandomi fino a toccare la neve, formai una palla e la lanciai ad una di loro, colpendo la piccola Lucy in pieno petto. Divertita, la bimba mi lasciò fare, e imitandomi, sorrise appena. “Questa è guerra!” dichiarò, alzando la voce di parecchie ottave. Rimanendo ferma e inerme, mi lasciai colpire, e dopo altri gelidi proiettili, quel conflitto ebbe inizio. In breve, iniziammo a giocare insieme e a rincorrerci nella neve, nascondendoci dietro agli alberi per evitare e restare “in vita” continuando finché non ci stancammo, e senza respiro, ci scoprimmo sfiniti. “Abbiamo vinto!  Potere ai piccoli!” gridò Lucy, contentissima. Scoppiando a ridere, io Chris e gli altri adulti le lasciammo festeggiare tornando in casa per una tazza di cioccolata calda, e tornando indietro dopo aver salutato Isla e Oberon, non me la sentii di autoinvitarmi. D’accordo con me, Christopher iniziò a incamminarsi verso casa, e prima che potessimo farlo, mi toccò distrarre Cosmo da Rover, che in tutto quel tempo non aveva fatto altro che giocare sia con lui che con noi, usando la magia e i suoi poteri per difendere la padroncina e le amichette. Sulla via del ritorno, quando Cosmo decise finalmente di tornare indietro e seguirci zampettando allegramente, notai qualcos’altro. Nascosti dalla fitta boscaglia ma non ai miei occhi, Noah e l’odiosa Eden. A quanto sembrava, erano ancora una coppia nonostante i tentativi del primo di rientrare nelle grazie di mia sorella, e pur non intervenendo, ringraziai il cielo che Christopher non li avesse notati, e chiudendomi nel silenzio per il resto del viaggio di ritorno, ne approfittai per salutare anche Aster e Carlos, incontrati a metà strada e abbracciati con calore. Felici di rivederci, ci riempirono di domande su di noi e sui bambini, illuminandosi quando Chris ed io parlammo praticamente all’unisono, assicurando loro che tutto andava per il meglio. Arrivata a casa, preparai per me e Christopher una cioccolata calda lasciandomi guidare dalla mia solita golosità, e a metà mattina, attesi che mi raggiungesse in cucina solo per gustare assieme a me quella dolce e vellutata delizia. Affamato, Cosmo si dimostrò interessato ad assaggiarla a sua volta, ma con un cenno di dissenso del capo, gli concessi soltanto una ciotola di latte caldo e leggerissimamente addolcito. Quando la mia tazza fu vuota, decisi di tornare sul divano e provare a immergermi nella lettura, salvo poi fallire quando scoprii che la vista di Noah abbracciato ad Eden non accennava a svanire dalla mia mente. Ora come ora, gli unici a mancare all’appello erano Leara e il suo amato Danny, e mentre aspettavo di ricevere notizia anche da loro oltre che dalla stessa Sky, probabilmente ancora ferita da quella relazione iniziata alle sue spalle, non ne feci parola con nessuno se non con me stessa, chiedendomi con ognuna di quelle repliche cosa ne sarebbe stato di lui e mia sorella e come sarebbero cambiati l’atmosfera e lo stile del vivere al villaggio. 




Un saluto a tutti i miei lettori. Riesco ad aggiornare questa storia con un nuovo capitolo soltanto stasera, e me ne scuso, ma i motivi del ritardo sono del tutto indipendenti da me. Con il prossimo farò del mio meglio, ma non assicuro puntualità in questo periodo. Comunque sia, grazie a tutti del vostro supporto, e a presto, o almeno spero, con il prossimo capitolo,


Emmastory :)
 

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Capitolo 5
*** Fate, elfi e indecisioni ***


Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
 
Capitolo V 
 
Fate, elfi e indecisioni 
 
Anche stavolta, pomeriggio. Tornata a casa da poco dopo aver salutato Lucy e Lune, mie giovani amiche da tempo ormai immemore, poiché ormai mi sembra di conoscerle davvero da tutta la vita. Sorridendo a quel solo ricordo, portai piano la tazza di ceramica alle labbra, poi bevvi. Cioccolata. Calda e invitante in un giorno d’inverno come questo, mi aiutava a combattere il freddo e i rigori della stagione, mentre ad occhi chiusi e con pochi soffi per raffreddarla, stando ben attenta a non scottarmi, l’assaggiavo. Sempre al mio fianco, Christopher invece era impegnato con un passatempo del tutto umano. Una rivista che neanche ricordavo di aver mai visto in casa nostra, probabilmente ripescata da chissà quale angolo dimenticato, forse perfino da dietro il ripiano in legno del salotto, contava innumerevoli pagine che sembravano seguire ognuna lo stesso schema. Tabelle e numeri, o in altri termini, un sudoku. Incuriosita, mi voltai a guardarlo, restando a debita distanza solo per sbirciare, ma poi, cambiando immediatamente idea, scossi la testa. “Vuoi provare?” mi chiese, notando quello che ai suoi occhi doveva essere apparso come interesse. “No, grazie. Sai che me la cavo molto meglio con le parole.” Risposi gentilmente, scherzosa come al solito. Non stavo mentendo, anzi era tutto vero, e a riprova di ciò avevo mostrato più volte di riuscire a risolvere quelli che in riviste simili a quella avevo scoperto chiamarsi cruciverba. Anch’essi racchiusi in tabelle leggermente diverse da quel così complicato gioco di numeri, per me molto più semplici, in quanto concentrati invece sulla risoluzione di piccoli enigmi. A volte facili, altre difficili, altre ancora solo divertenti, ma c’era da dirlo, di gran lunga più sopportabili. Ormai erano passati anni, ma se la memoria non m’ingannava, avevo tentato con il primo quando non ero che una pixie. Piccola com’ero, a sette anni imparavo ancora dalle fate anziane, ma quando tornavo da scuola, così a mia madre Eliza piaceva chiamarla, io e lei ci sedevamo insieme, sul tavolo un bicchiere di succo o di tè, freddo in estate e caldo d’inverno, e insieme, lavoravamo su una definizione alla volta. Era stato strano, ma nel tempo aveva continuato a piacermi, e ora, anche se da poco, avevo avuto occasione di riscoprire quel passatempo. Di due anni più grande, Sky a nove preferiva i puzzle e i libri di magia, e in silenzio, ora ripensavo anche a lei. Ero felice di aver fatto la conoscenza delle amichette di Lucy, un’elfa e una fatina a loro volta più che contente di conoscermi, ma contrariamente a loro, lei era mia sorella, e dovevo ammetterlo, c’erano giorni in cui non facevo che pensare a lei. Solo poche ore prima avevo avuto la sfortuna di rivedere ancora una volta Noah fra le braccia di Eden, e nonostante non avessi detto una parola, mantenendo il silenzio e il sangue freddo, sapevo che avrei potuto, e ora me ne pentivo. In totale onestà, neanche Christopher ne era a conoscenza, ed ero sicura di non poter tacere per sempre. Innervosita al solo pensiero, scossi ancora la testa, e in quell’istante, rieccola. Per l’ennesima volta, una replica di quel momento. Era assurdo. Ci pensavo e stavo male, e se le emozioni che provavo erano più vicine alla rabbia che alla sofferenza, non mi era certo difficile capire cosa provasse Sky. Dolore e collera, o molto probabilmente un misto di entrambi. Respirando a fondo, sperai di riuscire a calmarmi, e quando finalmente espirai per lunghissimi secondi, posai la tazza di ceramica ormai vuota e sporca sul tavolino del salotto. Poco importava il non avere un sottobicchiere a portata di mano, avrei pulito più tardi. “Chris, dobbiamo parlare.” Esordii, seria. “Sì? Cosa c’è?” azzardò lui, distraendosi finalmente da quello sciocco gioco fatto di logica e numeri. Di lì a poco, il silenzio cadde nella stanza permeandola come umida nebbia, e presto arrivò anche la tensione, tale da poter essere tagliata con un coltello. Più nervosa di prima, non attesi oltre, e stringendo i pugni così forte da conficcarmi le unghie nei palmi delle mani, andai dritta al punto. Avevo già aspettato troppo, continuare a farlo non avrebbe avuto alcun senso, e a giudicare da ciò che sentivo ogni volta che cercavo la scia magica di Sky, il suo dolore non faceva che aumentare con lo scorrere del tempo, così, decisa, ripresi la parola. “C’è che ho di nuovo visto Eden e Noah.” Confessai, sentendomi al contempo tesa come una corda di violino e leggera come una farfalla. Stentavo a crederci, ma era bastato un attimo, e seppur tremante di rabbia, mi sentii subito meglio. “Cosa? E dove?” non poté evitare di chiedere Christopher, allarmato. “Fuori, in mezzo alla neve mentre passeggiavamo. Tu giocavi con le pixie, e non te ne sei accorto, ma io sì.” Gli risposi, con la voce corrotta da una rabbia che ormai faticavo a contenere. Conoscevo Noah, ero certa che non provasse nulla per lui, ma allora perché non la lasciava? Io non ero Sky, al contrario ero me stessa, ma nonostante tutto capivo benissimo la gravità della sua situazione. La ragione del comportamento di Noah nei suoi confronti era ancora un’incognita per entrambe, e più ci pensavo, più sentivo il sangue ribollirmi nelle vene. Frustrata, strinsi ancora i pugni, e notandomi, Christopher si fece più vicino. Abbozzando un sorriso, accettai senza proteste l’abbraccio in cui mi strinse, e sentendomi al sicuro, per poco non piansi. Stoica, facevo di tutto per trattenermi, ma testarde quanto e forse perfino più di me in un momento come quello, alcune lacrime silenziose sfuggirono al mio controllo, rigandomi il viso senza che potessi far nulla per fermarle. Di lì a poco, mi scossi nei singhiozzi, e stringendomi ancora di più al mio Christopher, lo guardai con occhi velati di tristezza, così grande che fra un respiro e l’altro sentii la gola riarsa. Non avevo urlato, ma avrei tanto voluto, e a quanto sembrava, l’empatia non era poi un dono così positivo. Come poteva esserlo se mi permetteva di carpire alla perfezione le emozioni altrui a un livello tale da coinvolgermi? Confusa, mi ritrovai a scuotere la testa, e dopo un tempo che non riuscii a definire e che credetti infinito, la voce di Christopher fu l’unica in grado di distrarmi. Rimasto in disparte a giocare sul tappeto fino a quel momento, anche Cosmo reagì alla sua naturale preoccupazione per me, e abbassando lo sguardo e le orecchie, si avvicinò, nei suoi passi scomposti di cucciolo la stessa mestizia che scorgevo negli occhi del mio amato. “Sfogati, Kia.” In due parole, un desiderio mascherato da consiglio, che annuendo, non esitai a seguire. Lo amavo, lo amavo davvero, e sapere che per lui contassi tanto, che mi amava a sua volta, e che mi considerava una persona e non soltanto un incarico da portare a termine era una delle tante, tantissime cose che mi faceva battere il cuore ogni volta che lo guardavo. Lentamente, lo sentii decelerare, avvertii il mio respiro ricomporsi dopo essersi spezzato, e pur senza alzarmi dal divano, mi staccai da lui. “Grazie.” Soffiai al suo indirizzo, come sempre grata di tutto ciò che faceva per me. Silenzioso, lui si limitò ad annuire, e preoccupato, Cosmo mosse qualche altro passetto verso il divano, abbandonando i suoi giocattoli e piantandomi le zampe sulle ginocchia. “Provi anche tu a fare il protettore, vero, piccolo eroe?” gli dissi, sollevandolo quanto bastava per prenderlo in braccio. Felice a quella sola idea, il cagnetto mi lasciò fare, e in un attimo fu sulle mie ginocchia. Alla sua età era ormai grande abbastanza da occupare gran parte del divano soltanto sdraiandosi, e date le regole in casa non gli permettevamo di dormirci sopra, ma finché uno di noi due lo teneva in braccio, non c’erano problemi. Per tutta risposta, Cosmo gettò la testa all’indietro per un adorabile ululato, e divertita, risi. Seduto al mio fianco, Christopher gli fece una carezza sulla testa, poi tornò a guardarmi. “È quasi sera, che hai intenzione di fare, riguardo a...” chiese, abbassando la voce perché Cosmo, che distraevo permettendogli di mordicchiarmi le dita senza farmi alcun male, non ci sentisse. Non che sarebbe servito a molto dato il suo fine udito, c’era d’ammetterlo, ma nonostante questo speravo davvero che fosse così. Ascoltando Christopher senza parlare, notai che si guardò bene dal fare il nome di mia sorella, e chiusa in un silenzio tutto mio, indicai con lo sguardo la tazza di ceramica vuota. “Ti dispiace?” tentai, nella muta speranza di non disturbarlo. “No, aspetta.” Si limitò a rispondermi, alzandosi subito dal divano e portando con sé la tazza sporca. Rimasta sola, coccolai Cosmo per altri minuti, e dando uno sguardo alla finestra, mi resi conto di quanto tempo fosse passato. In realtà non molto, eravamo solo all’imbrunire, ma fu adocchiando anche il libro di magia della sua famiglia che ricordai qualcosa. “Fate, folletti e altre creature, generalmente spiriti buoni, vengono costantemente cambiati, segnati e formati dall’ambiente che li circonda, e lo stesso può accadere al loro vivere, reso in circostanze negative, infauste e sfavorevoli progressivamente più arduo. Sin dalla sua creazione e dall’ingresso in questo mondo, la creatura in questione è come destinata a creare dei legami con coloro che la circondano. Se accade, allora ha fortuna, ma questa scema quando e se si spezzano. Lentamente, in special modo per ciò che riguarda gli esseri leggiadri e alati, la luce dentro di loro si spegne, e dopo un ultimo respiro e un morente sfavillio, forse ultima richiesta d’aiuto o spasmo di vita, nient’altro da fare.” In poche righe, una delle lezioni più importanti che avessi mai imparato leggendo quelle pagine, e che ora temevo di vedere trasformata in realtà. Spaventata, aprii la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono, e con il cuore in gola, mi imposi la calma. “Non succederà. Sky è forte, non succederà.” Mi ripetei nella mente, nel tentativo di ritrovare il coraggio che credevo di aver perso. Veloce, Cosmo non esitò a leccarmi una mano, e in un solo istante, la fredda sensazione della sua lingua sulla pelle mi riportò alla realtà. Fu questione di un attimo, come per istinto alzai gli occhi, poi lo rividi. Christopher. Sparito in cucina per occuparsi di ciò che gli avevo mutamente chiesto, era tornato, e a giudicare dal profumo che sentivo uscire dalla tazza ancora fumante, con una tisana. “Frutta e cannella?” chiesi, sorridendo appena. “Frutta e cannella.” Mi fece eco lui, imitandomi in quel sorriso. Felice, aspettai che tornasse a sedersi, e quando accadde, lo vidi cingermi un braccio attorno alle spalle. Lasciandolo fare, bevvi lentamente, e giunta l’ora di andare a letto, riportai i bambini nella nostra stanza, e assicurandomi che avessero cenato proprio come noi, mi sdraiai a letto con Christopher, sfiorando con dita delicate il disegno che da anni portava sulla pelle. Una rosa e una spada, simboli d’amore e protezione che a suo dire, io stessa lo avevo convinto a mostrare durante la nostra prima notte insieme. Sorpresa, non ero riuscita a crederci, ma poi, riponendo nelle sue mani tutta la mia fiducia, mi ero abbandonata a lui, lasciando che mi amasse con tutto sé stesso. Stanca, non mi sottrassi al nuovo abbraccio in cui mi strinse poco prima di dormire, mentre, rimasta sveglia ancora per qualche attimo affidavo un pensiero al nostro avvenire e una preghiera al cielo e al vento che intanto aveva iniziato a soffiare, sperando che Sky, la figlia dell’aria non si arrendesse, non ora che ero sicura potesse riprendersi, nonostante ovunque si voltasse non vedesse altro che fate, elfi e indecisioni.  

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Capitolo 6
*** Venti su Eltaria ***


Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
 
Capitolo VI
 
Venti su Eltaria 
 
Era già mattina, ed ero sveglia da poco, ma per una volta avevo aperto gli occhi rivolgendoli verso qualcosa di diverso dal soffitto. Rigirandomi fra le coperte, infatti, cercai quasi per istinto la mano di Christopher, che svegliato dai miei continui movimenti, non esitò a stringerla. “Buongiorno, fatina.” Fu il suo classico saluto mattutino, ormai parte di una sorta di rituale non poi così antico, capace però di farmi ridere ogni volta. Sorridendo, mi limitai a rafforzare la presa sulla sua mano e ad accoccolarmi a lui per un abbraccio che non mi vidi negato, e poco dopo, il silenzio fra di noi si ruppe come vetro. “Come stai?” una domanda semplice e fatta di due parole, certo, ma che come la vita e quelle di mia madre mi avevano insegnato, che poteva essere formulata con o senza il proprio cuore. Memore di quei preziosi insegnamenti, tendevo a rispondere sempre, anche per correttezza, ma al contrario di me, Sky non era poi così loquace. Chiudendomi nel silenzio, mi rifiutavo di ammetterlo se non parlando proprio con Christopher, ma ora che erano passati altri tre giorni, non avevo più problemi a confessare di pensare a lei molto spesso, forse anche più di quanto volessi. La notte era trascorsa benissimo, lenta e senza incidenti o incubi di sorta, ed era vero, ma nonostante questo, le poche righe del libro di magia dei Powell continuavano a tornarmi in mente, e così mia sorella. Che sarebbe successo? Avrebbe mai superato il dolore derivante dalla rottura con Noah? Si sarebbero mai perdonati a vicenda? Sarebbero mai riusciti a riavvicinarsi? E cosa più importante, lei sarebbe mai riuscita ad amare di nuovo? Non lo sapevo, ma il solo dubbio mi dilaniava, ed era inutile nascondere che ogni notte pregassi perché ogni cosa andasse per il meglio. Mi rivolgevo a qualcuno più in alto di me, a Dio e alla Dea che tante volte avevo sentito nominare da Aster e dalle sue sorelle ninfe o da Marisa, e ogni volta, nel silenzio della notte o del giorno, il momento era ininfluente, mi sembrava di non ricevere risposta. Distratta, non proferii più parola, e notando lo stato in cui versavo, il mio amato fu costretto a ripetersi. “Kaleia, ti ho chiesto come stai. Sicura che vada tutto bene?” ritentò, guardandomi negli occhi con il solito fare preoccupato che il suo carattere unito alla sua professione sembrava avergli trasmesso. “Come? S-Sì. Ero... ero distratta, scusa.” Replicai a fatica, finendo per balbettare e facendomi pena da sola. Mi conoscevo, sapevo che quella sorta di abitudine era come radicata in me, ma era possibile che si presentasse sempre nei momenti meno opportuni? Scuotendo la testa, mi liberai in fretta da quel pensiero, poi rincontrai i suoi occhi. Verdi, del colore della speranza e del mio elemento, alle volte unico porto sicuro quando naufragavo nel mare delle mie insicurezze. “L’ho notato, e noto anche che è una bugia. Non balbetti quando sei tranquilla, e perfino Cosmo sembra averti scoperta.” Commentò in risposta, serio ma non certo arrabbiato, e anzi, soltanto in apprensione per me. “Cosmo?” gli feci eco, confusa. Per tutta risposta, il cane posò le zampe sul letto, e pur senza salirci, tentò di sporgersi quanto bastava per leccarmi la guancia. “Proprio io.” Sembrò dire, con un orecchio dritto e l’altro più floscio e cadente, caratteristica che avevo scoperto in lui sin dal suo arrivo in casa. “Chris, sai che ha una sua cuccia in salotto.” Mi lamentai, felice di vederlo ma ancora stanca e innervosita dal sonno. “Sì, cara, ma se non l’avessi lasciato entrare avrebbe mugolato per tutta la notte, e non volevo svegliarti.” Rispose lui, riuscendo per l’ennesima volta a trovare il modo di giustificarsi. Non che ne avesse davvero bisogno, ovvio, tranne quando c’era da spiegare le ragioni nascoste dietro azioni di quel genere. “Allora va bene.” Gli dissi infatti, stringendomi lievemente a lui e tornando a sorridere. “Avevi un buon motivo, e lui se la cava perché...” provai a dire, sentendo però quella frase morirmi in gola. Incuriosito, Christopher ridacchiò sotto baffi immaginari, poi parlò. “Perché?” non potè fare a meno di chiedere, desideroso di scoprire la verità. Colta alla sprovvista, non seppi cosa dire, e alzando le mani in segno di resa, dichiarai quella metaforica sconfitta. Rimasti interdetti, lui e Cosmo non fecero che guardarmi, e senza volerlo, scoppiai a ridere. “Insomma, non c’è un perché, ma guardalo, è così carino!” mi decisi a rispondere poco dopo, fra un’infantile risata e l’altra. “E io non lo sono?” azzardò allora Christopher, immensamente divertito. A giudicare dal tono che usò nel parlarmi, potei giurare che fosse anche leggermente geloso, ma all’improvviso ricordai che fingere emozioni realmente non provate era un suo, anzi un nostro, modo di scherzare, e contagiata, risi ancora. “No, Chris, non lo sei.” Gli dissi, portando avanti quella farsa con dolcezza e maestria insieme. Più confuso di prima, lui mi lanciò un’occhiata interrogativa, e non riuscendo a non sorridere, lo baciai. “Sei bellissimo, che è perfino meglio.” Confessai poco dopo, innamorata come sempre. In completo accordo con i miei sentimenti, il mio cuore accelerò i suoi battiti, e non appena ci staccammo, scelsi finalmente di tornare alla realtà. A richiamarmi fu proprio Cosmo, che mi sfiorò un ginocchio con la zampa perché allertato da qualcosa che inizialmente non vidi. Non sapendo cosa pensare, ipotizzai fosse stato il ticchettio di un ramo contro la finestra, il fruscio di qualche foglia o il canto di un uccello la cui melodia non era riuscito a interpretare, ma poi capii. Vicine al nostro letto, le lanterne dei nostri bambini brillavano di nuovo, segno che pur non potendo ancora parlare, piangere o lamentarsi, si stavano agitando, ed erano affamati. “Grazie, bello.” Dissi appena, incatenando gli occhi ai suoi per regalargli una carezza. Lasciandomi fare, mi leccò ancora la mano, e ormai in piedi, scaldai in fretta ben due biberon. Per fortuna non ci misi troppo, e al mio ritorno, Darius e Delia erano ancora al sicuro nelle loro lanterne, mentre Cosmo, sempre più incuriosito con ogni attimo che passava, ora stava seduto su due zampe, seguendo con gli occhi e la testa ogni movimento di quei piccoli contenitori di luce, mossi dal vento. Voltandomi verso la finestra, la scoprii chiusa, e stringendomi nelle spalle, decisi di non badarci. Forse era stata una coincidenza, forse no, ma il benessere dei piccoli era l’unica cosa a contare. Come ogni volta, diedi loro solo poche gocce di latte versandole in quel così protettivo giaciglio, trattenendo a stento un sorriso quando Darius, il più piccolo fra i due, tentò di sfiorarmi le dita con la sua luce. Ridacchiando, lo avvertii farmi il solletico, e richiudendo quella sorta di lumino con una catenina dorata, mi allontanai di qualche passo. Solo pochi attimi più tardi, fu il turno di Delia, e con movenze simili a quelle di un automa, ma non per questo prive di dolcezza, ripetei ognuno di quei passaggi. Tranquilla, la piccola quasi non si mosse, salvo poi luccicare insistentemente, contenta delle attenzioni ricevute. Affatto contento di venir ignorato, Cosmo si intromise uggiolando, e accarezzandogli piano la testa, lo convinsi a sedersi. Ancora una volta, il mio lavoro con i piccoli era finito, e osservandoli un’ultima volta prima di lasciarli di nuovo dormire, mi resi conto della velocità con cui il tempo stava passando. Ora avevano dieci giorni, erano ancora sfere di luce bisognose di cure e attenzioni, e attendevo, anzi, sognavo il giorno in cui li avresti visti trasformarsi in veri neonati, così da stringerli davvero fra le braccia e scoprire i loro elementi. Era strano a dirsi, e lo sapevo bene, ma se fra noi due io ero l’unico essere magico nella nostra coppia, Christopher era fermamente convinto che i nostri figli sarebbero stati bellissimi, con o senza poteri e affinità per la magia. Non sapevamo se avrebbero ereditato il mio amore per la natura, il mio elemento o la mia condizione di ibrido, anche se date le loro origini, le probabilità che accadessero erano più che alte. Mettendo da parte quei pensieri, mi concentrai sul presente, e vestendomi dopo una doccia calda e rilassante nonostante la stagione, mi ripromisi di chiedere consiglio ad Isla. Al contrario di me, era madre da molto più tempo di me e lo era stata per ben due volte, e chi meglio di lei avrebbe potuto aiutarmi? Nessuno, o almeno così credevo. Ovvio era che le ninfe e la cara Marisa non andassero certo trascurate, ma c’era da dire che negli ultimi tempi avevo avuto la strana sensazione di risultare noiosa e invadente, ragion per cui sentivo che era arrivata l’ora di cambiare strategia. Sempre in silenzio, annuii a me stessa, e pochi minuti dopo, seduta in salotto con un libro fra le mani, notai qualcosa. Non più lo sguardo del mio Arylu fisso su di me, né quella di Willow al mio fianco che sonnecchiava agitando le zampe come se sognasse di inseguire qualche topo, ma bensì una sorta di luccichio oltre la finestra, seguita da un’inspiegabile folata di vento. Spinta dalla curiosità, mi alzai in piedi, e con le mani sul cornicione, la sentii ancora. Decisa, chiusi gli occhi per indagare, e fu allora che la rividi. Nel mezzo del buio su cui ero concentrata, una lieve scia color argento, che stando alle mie ormai costanti ricerche, poteva appartenere a una sola creatura magica. Colta dall’emozione, portai subito una mano al cuore, scoprendo nel farlo a quale velocità stesse battendo, e quando pur respirando non riuscii a calmarmi, mi preparai a precipitarmi fuori. “Chris!” chiamai, quasi urlando per farmi sentire data la distanza che ci separava. “Chris, è arrivata!” insistetti, notando che nonostante lo scorrere dei secondi, non mi raggiungeva. “Kia, aspetta, di che stai parlando? Chi è arrivato?” chiese, rispondendo alle mie urla dal centro del corridoio, mentre ancora tentava di abbottonarsi a dovere la camicia. “Sky, custode, Sky! Mia sorella! Ti rendi conto di quello che significa? Specialmente adesso?” replicai, felice come una bambina. Incerto sul da farsi, Christopher non si mosse, e non riuscendo più ad aspettare, mi ritrovai letteralmente a trascinarlo fuori di casa. “Non perdere tempo e seguimi, vedrai cosa intendo.” Lo incitai, aprendo in fretta la porta di casa e iniziando a correre nonostante lo vedessi fare fatica e arrancarmi accanto. Più veloce di entrambi, il nostro Arylu ci precedette, e giunto in strada prima di noi, prese ad abbaiare e ululare come un ossesso. Seguendolo, non dissi più nulla, perdendo del tutto il respiro quando vidi Aster e una delle carrozze di erba e foglie che sapevo fosse capace di creare. Tranquilla, restava seduta in silenzio e con un sorriso sulle labbra, mentre a Carlos, che teneva salde le redini del mio amico unicorno Xavros, sembrava essere toccato il compito di cocchiere. “Ciao, Kaleia! A quanto pare il villaggio si espanderà ancora, visto?” disse, guardandomi come se fossi ammattita, quasi come se quella sorta di strana processione fosse la cosa più normale del mondo. Forse lo era, almeno nel nostro, ma poco importava, ci avrei pensato più tardi. In quel momento, per me il tempo sembrava essersi fermato, così come tutto ciò che vedevo, e l’unica cosa a contare davvero era l’arrivo, o meglio il ritorno di mia sorella nella mia vita, giunta peraltro come un fulmine a ciel sereno, o per meglio dire, come i venti su Eltaria.  




Buon pomeriggio, cari lettori. Torno a scrivere questa storia e ad aggiornarla con un nuovo capitolo soltanto oggi dopo circa un mese d'assenza, ma come vi avevo anticipato, la colpa non è stata mia, e i motivi del ritardo, se così vogliamo chiamarlo, non sono certo dipesi da me. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, così come il ritorno in scena della cara Sky, e grazie ad ognuno di voi per tutto il supporto che mi mostrate. Ci rivedremo nel prossimo capitolo, nonostante ancora non sappia quando riuscirò a pubblicarlo,


Emmastory :)

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Capitolo 7
*** Parole non dette e messaggi nascosti ***


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Capitolo VII 
 
Parole non dette e messaggi nascosti 
 
Era successo. Non riuscivo ancora a crederci, eppure era successo. Avevo aspettato, addirittura pregato perché accadesse, e finalmente, eccola. Appena fuori da casa mia, nella piazza principale della bella Eltaria, ancora seduta nella carrozza creata grazie alla magia della mia amica ninfa, mia sorella. Sky, la mia unica confidente nei nostri tempi di giovani pixie, quando la vita con Eliza, la donna che ormai consideravamo nostra madre anche se adottiva, e nonostante il sangue non ci legasse, sembrava un sogno. Finalmente le notti passate in bianco a pensare e a preoccuparmi per lei avevano acquistato un senso, le mie preghiere erano state ascoltate e i miei sforzi ripagati. Non proferendo parola, fui vicina a strofinarmi gli occhi per l’incredulità, ritrovandomi costretta a farlo quando una singola lacrima minacciò di rotolarmi lungo la guancia e rigarmi il volto, e poi, sempre senza fiato, la vidi. Era tranquilla, silenziosa, avrei perfino osato dire felice, e nonostante fosse troppo lontana perché potessi affermarlo in sicurezza, sorrideva. Dopo mesi trascorsi fra le lacrime, quella figlia dell’aria sorrideva davvero, per la prima volta in tutto quel tempo il suo sorriso raggiungeva anche gli occhi, e a riprova della sua calma, che avrei definito mostruosa ma non per questo tale da spaventarmi, anche il vento che spirava aveva taciuto. “Sky!” chiamai, contentissima. “Kaleia! Grazie al cielo, stai ancora bene!” replicò lei, rispondendo a quella sorta di richiamo e voltandosi subito a guardarmi negli occhi. “Come?” azzardai, confusa. Alle mie parole, nessuna risposta, salvo una sua corsa a perdifiato verso di me, che culminò con un abbraccio al quale non osai sottrarmi. “Stai ancora bene, per fortuna, stai ancora bene.” Ripeté poco dopo, parlando più con sé stessa che con me. Da allora in poi, di nuovo quiete, e chiudendoci entrambe nel silenzio, quel contatto ci tenne unite per lunghi, lunghissimi secondi. Ancora in piedi e al mio fianco, Christopher non osò interferire. Era preoccupato, quella notizia doveva averlo sconvolto proprio come aveva fatto con me, e lo sapevo bene, ma allo stesso tempo, anche e in special modo in quel frangente, lui non faceva che rispettare i miei spazi. Non mi sarei mai stancata di ripeterlo, ma se la realtà nascosta dietro ai miei sentimenti mi aveva insegnato qualcosa, quella era che l’amore era davvero ovunque, perfino negli astri che non avevo fatto altro che guardare nell’attesa di vedere nascere i miei bambini, o dati il momento e la situazione, in quel contatto profondo e c‘era da dirlo, fraterno. “Cosa? Sky, mi spiace, ma non capisco. Spiegati.” La pregai, più confusa di prima. La conoscevo, sapevo che eravamo state lontane per lungo tempo, un tempo che ormai avevo perfino smesso di quantificare, ma colta alla sprovvista, attesi di ricevere lumi. “Non ti ricordi? È stata colpa mia! Qui come a Primedia il vento ha soffiato per giorni, se non addirittura mesi, mi dispiace così tanto!” improvvise e piene di tristezza, le sue parole mi colpirono come una freccia scagliata verso un bersaglio da un abile arciere, e all’improvviso, ricordai. Il dolore derivante dalla rottura con Noah era stato frutto di un malinteso, ed era vero, ma ciò non toglieva che fosse comunque tale, e crescendo fino a diventare incalcolabile, aveva finito per sfogarsi in quel modo. Triste e addolorata, Sky non cercava che una valvola di sfogo in quei momenti, un modo come un altro per calmarsi o perlomeno provarci, staccare la spina e dimenticare. Era quella la ragione per cui si era come barricata nella sua stanza, e sempre quello il motivo per cui il mio sogno quella notte era stato chiaro. La camera in cui dormiva era un vero sfacelo, nostra madre aveva bisogno d’aiuto, e in pena per entrambe, non avevo certo esitato. Ci erano voluti più tentativi, forse addirittura troppi, e dopo un’iniziale ma comprensibile resistenza, ce l’aveva fatta. Solo ora riconosceva il suo errore, ricordava quanto i boschi avessero sofferto insieme a lei, e pentita, si scusava. Con la natura stessa certo, ma prima con me, come fata e sorella. Fermandomi a pensare, rimembrai a mia volta quei tempi e tutto il malessere della selva, le grida di dolore degli alberi, le cui fronde venivano mosse costantemente e senza la gentile grazia che era solita accarezzare foglie e fili d’erba. “Sky...” sussurrai al suo indirizzo, tenendo la voce bassa così che solo lei potesse udirmi. “Sta tranquilla, non è niente, sta tranquilla. È tutto passato, e in più è come hai detto, sto bene, adesso.” Lievi e vere al tempo stesso, parole che pronunciai con calma, rubando il mestiere di mio marito con gli occhi e sperando che riuscisse a calmarsi. Paziente, attesi che il suo respiro tornasse a farsi più regolare, e non aggiungendo altro, l‘abbracciai ancora. Rimasto in disparte fino a quel momento, Christopher si unì a quella forte stretta, mentre, muto e immobile, Cosmo restava a guardarci. “Perché siete tristi?” sembrò azzardare con un lieve uggiolio, ignaro di tutto. In breve, il tempo riprese a scorrere, e quando finalmente ci staccammo, gli concessi una sola occhiata, sospirando stancamente. Trattenendo a stento una piccola risata, alzai gli occhi al cielo, poi parlai. “Beata innocenza, cucciolo, beata innocenza.” Contrariamente al discorso fatto a Sky, questo era stato più semplice, e osavo nel dirlo, comprensibile per il mio amico Arylu, che a sei mesi credeva ancora che ogni cosa a questo mondo fosse un giocattolo, a volte perfino la sua stessa coda. Confuso, il cagnetto piegò la testa di lato, e non sapendo cosa pensare, la scosse. In un solo istante, un insetto attirò la sua attenzione saltellando nell’erba fino a trovare un posto caldo e sicuro nel suo pelo, e riuscendo a notarlo ancora prima di lui, ridacchiai di nuovo. Irritato, prese a grattarsi muovendo freneticamente una zampa posteriore, e in quel mentre, una sorta di piccola tempesta si agitò attorno a lui. “Che sta facendo?” azzardò Sky, incuriosita mentre asciugava con un fazzoletto le poche lacrime appena versate. “Si gratta, non vedi?” intervenne Christopher, divertito quanto lei. “Questo lo so, genio, parlavo di ciò che ha intorno.” Precisò poco dopo lei, tutt’altro che impressionata da quella che voleva essere una battuta. “Va bene, sorellona, ti presento Cosmo. Il nostro globo di neve personale.” Spiegai, tranquilla e divertita, nonché ancora sorridente per il suo buffo modo di fare. “Globo... aspetta, cosa?” non potè evitare d chiedere mia sorella, ora improvvisamente nervosa oltre che senza parole. “L’abbiamo trovato nel bosco circa quattro mesi fa. Il suo pelo non ha soltanto un bel colore, ma siete anche simili.” Continuai, sempre sfoggiando un debole sorriso nel prenderla in giro. Essere cattiva era l’ultimo dei miei desideri, ma dovevo ammettere che a volte prenderla in giro era davvero troppo divertente, e in più la consideravo una sorta di rivincita contro le finte angherie che per mano sua subivo da bambina. Mai nulla di troppo serio, solo farmi sparire giocattoli, pupazzi o libri e tirarmi i capelli, ma nonostante tutto, inclusa la rabbia che provavo e le lacrime che versavo nel confessare tutto ad Eliza, o come diceva Sky, a fare la spia, momenti d’infanzia che non sarebbero tornati indietro né avrei mai dimenticato, custodendoli gelosamente come preziosi tesori. “Avete gli stessi poteri. Tu controlli il vento, lui il freddo e il ghiaccio, è così difficile da capire?” in quel momento fu Christopher a parlare, già stanco del nostro battibeccare e deciso ad alleggerire di nuovo l’atmosfera fattasi pesante. “No, e ti ringrazio della spiegazione, custode.” Si limitò a rispondergli Sky, stringendo i denti per evitare di esagerare e dire qualcosa di cui pesto si sarebbe pentita. “E a proposito, cos’altro mi sono persa mentre non ero qui?” azzardò poco dopo, spinta dalla curiosità. “Moltissime cose, cara. Su, vieni e ti mostreremo tutto.” Ancora una volta, Christopher riprese la parola, e offrendo a mia sorella una mano amica, sperai che accettasse. Già lontana, Aster era sparita dalla nostra vista subito dopo averla accompagnata qui ad Eltaria, ma in totale onestà avrei preferito che fosse rimasta. Per quanto ne sapevo, le sue sorelle attendevano il suo ritorno alla grotta con impazienza, e malgrado non ne conoscessi il motivo, preferii non indagare. Lenta, mi incamminai verso casa con Christopher al seguito, mentre Cosmo, ora distratto da qualcos’altro, forse una timida farfalla, un pauroso uccellino, o chi poteva dirlo, forse un altro insetto, ci arrancava accanto. Divertendomi alle sue spalle, mi voltai per richiamarlo, e deciso, il cucciolo drizzò subito le orecchie, accelerando il passo. In breve, varcammo tutti e quattro la soglia di casa, e muta come un pesce, Sky non fece che guardarsi intorno. “Però, bel posto.” Commentò soltanto, positivamente impressionata. “Ti ringrazio. Pensa, prenderla è stato un vero affare. Se non fosse stato per Aster, chissà dove vivremmo, ora.” Raccontai, sorridendo a quel ricordo, unito alla grandissima gentilezza della nostra amica ninfa. “Intendi la donna pianta?” chiese lei, non riuscendo ancora a dare un nome al suo volto. “Esatto, anche se credo preferisca il termine ninfa, Sky.” Corresse gentilmente Christopher, fermandosi per un attimo accanto a lei prima di riprendere a camminare. “Buono a sapersi, Chris. Almeno ora so di cosa si tratta, oltre che di chi.” Replicò in fretta lei, grata di quella sorta di consiglio. “Nient’altro? Soltanto un salotto, una cucina e... basta?” tentò dopo una pausa di silenzio, ancora spaesata dal nuovo ambiente. “No, ma solo perché non hai visto la nostra stanza.” Mi affrettai a risponderle, sentendo il cuore perdere un battito. Stando ai mei ricordi, i bambini erano ancora un mistero per lei, così, emozionata come una bambina, le afferrai un polso. “Vieni, devi vedere una cosa.” Dichiarai, decisa. “Una sola, amore? Perché non entrambe?” intervenne allora Christopher, quasi leggendomi nel pensiero. “Hai ragione!” gli risposi, alzando la voce di alcune ottave e non badando al tono che utilizzai nel parlare. Annuendo lentamente, parlai con me stessa, e attraversato il corridoio, aprii la porta. “Non noti nulla?” le chiesi, scostandomi perché potesse entrare a sua volta. Stanca di aspettare, andai dritta al punto, e senza dire altro, aspettai e sperai che capisse. Di lì a poco, il silenzio cadde attorno a noi, e dopo quella che ad entrambi parve un’eternità, Sky riprese la parola. “No, eccetto forse... le lampade accanto al letto?” provò, incerta e dubbiosa al riguardo. Non sapendo cosa dire, seguii il suo sguardo, e scambiandomi con Christopher una rapida occhiata d’intesa, per poco non scoppiai a ridere. “Sky, se... se ti dicessi che non sono lampade?” azzardai, immensamente divertita. “Direi che avete un certo gusto nell’arredamento, piantina.” Rispose lei, dando voce a uno scherzo tinto di sarcasmo. “D’accordo, figlia dell’aria, perché non ti avvicini?” replicai, fingendo rabbia realmente non provata e ridacchiando sotto baffi immaginari. Stringendosi nelle spalle, Sky si limitò ad annuire, e fatti pochi passi, rimase a bocca aperta. “Capito, adesso, regina dei venti?” azzardò Christopher, stando al mio gioco e divertendosi a sua volta. “Un momento, volete dire che...” balbettò, confusa come non mai. “Esatto, Sky. Questi sono i tuoi nipoti, Darius e Delia.” Risposi, sorridendo dolcemente e avvicinandomi piano ai loro piccoli nidi. Nel farlo, sfiorai le catenine d’oro che le tenevano chiuse, e in un istante, entrambi parvero animarsi. Felici, mi svolazzarono intorno come le adorabili lucciole a cui assomigliavano, e sorridendo ancora, lasciai che Delia, la più grande, mi si posasse appena sulla mano. Muovendomi lentamente, la sollevai perché Sky potesse vederla meglio, ed emozionata come e più di prima, ripresi la parola. “Saluta la zia, tesoro.” Dissi appena, nella speranza che la minuscola pixie potesse sentirmi. Fu questione di soli attimi, e ingenua e tenera come al solito, Delia iniziò ad agitarsi e a brillare di una luce tutta sua, che ancora aveva il colore del mio elemento. Poco dopo, anche Darius apparve curioso, e imitando la sorellina, si agitò come lei, brillando a sua volta. “Anche tu, campione. Visto chi c’è? Zia Sky.” Gli sussurrò Christopher, orgoglioso. A quella scena, per poco non piansi, mentre mia sorella, stoica e silenziosa, si limitava a osservarli senza fare commenti. “Tutto qui? Nove mesi per dar vita a una pallina?” appena qualche secondo dopo, eccolo, il suo personale punto di vista di fronte al quale risi di tutto cuore. “Sky, avanti! Sono due, li hai visti benissimo! E poi non saranno piccoli così per sempre, sai?” non potei non risponderle, difendendo con quelle parole i due bimbi che da poco avevo messo al mondo. “Lo spero per loro, signora dei boschi. In fondo a tutti tocca crescere, prima o poi.” Sincera eppure fredda come il suo carattere, un’osservazione piena di verità, che ascoltai senza interrompere e annuendo con convinzione. Ad essere sincera non sapevo se parlasse in generale, se si riferisse ai suoi trascorsi dopo la scomparsa dalle nostre vite dei nostri veri genitori o si stesse rifacendo al passato di entrambe, ma qualcosa mi portava ad avvalorare di più la seconda delle tre ipotesi. Non osando biasimarla, mi ridussi al silenzio, e all’improvviso, il canto di un uccello mi riportò alla realtà. Voltandomi, scrutai il cielo nel guardarlo volare, e solo allora, capii che al mattino si era sostituito il pomeriggio. In altri termini, non mancava molto all’imbrunire, e invitando Sky a restare anche per cena, tornai con lei e Christopher in salotto, così che una normale conversazione la distraesse da pensieri tanto cupi. Sempre in silenzio, lei ci seguì senza obiettare, e poco prima che potesse sedersi, qualcosa attirò la mia attenzione. Scura e all’apparenza informe, una palla di pelo acciambellata su uno dei cuscini del divano, che mi assicurai di allontanare con un gesto della mano. “Willow, scendi subito.” Le dissi, seria. “Tranquilla, Kia, non è un fastidio, anzi.” Rispose Sky, tutt’altro che impressionata dalla presenza della gatta al suo fianco. “Meglio, se così fosse basterebbe dirlo.” La rassicurai, tranquilla. Calma come al solito, Willow non si mosse di un millimetro, e del tutto rilassata, riempì il silenzio con una composizione tutta sua, fatta di fusa e miagolii sommessi. “Nessun problema, Kia, davvero.” Insistette, stirando le labbra in un debole sorriso e regalandole anche qualche carezza. Spinto dalla curiosità, anche Cosmo le si avvicinò, e fatti pochi passi, si sedette sul tappeto. “Ciao, io sono Cosmo, e tu?” parve volerle dire, presentandosi. Fermandosi a guardarlo, Sky non disse nulla, e tornando ad accarezzare la gatta, sentì le sue unghie affondarle dolcemente nel grembo. “Ti vedo, cosetto.” Disse poi, riferendosi al nostro caro Arylu. Tranquillo, il diretto interessato agitò la coda, e silenzioso, quasi le sorrise, tirando lentamente fuori la lingua colorata “Carino, vero? È anche obbediente.” Commentai, orgogliosa di lui e dei progressi nella sua educazione. “Ti credo, sorellina.” Rispose appena, ancora completamente concentrata sulla gatta. Interdetta, non aggiunsi altro, e dando un altro sguardo all’orologio appeso al muro dopo una lunga pausa di silenzio e riflessione su come rompere nuovamente il ghiaccio, scoprii che era arrivata l’ora di cenare. Ignorando così una strana sensazione di freddo, forse causa dei suoi poteri o di quel silenzio così innaturale, preparai da mangiare per tutto, restando per quella sera sul semplice e optando per della normalissima carne. In breve, consumammo il pasto senza parlare né discutere, e prima che potessi proporre una qualunque distrazione, come un gioco di carte recentemente insegnatomi da Chris, vidi Sky irrigidirsi e sbiancare fino a diventare pallida come un cencio. Preoccupata, mi avvicinai per aiutarla, ma sfuggendo dal mio sguardo, sicura che quest’ultimo non potesse inseguirla, di colpo sembrò diventare un’altra persona. Volendo dare il suo contributo, Cosmo tornò da lei, ricevendo però un secco rifiuto. “Sta lontano da me, cagnetto pulcioso.” Gli intimò, stizzita. Spaventato, il nostro Arylu indietreggiò guaendo, e zampettando in fretta verso la sua cuccia, si nascose al suo interno, tremando come una foglia. “Sky, va tutto bene?” non potei evitare di chiedere, già in pena per lei. “S-Sì, Kia, scusa, ho solo... solo bisogno di dormire.” Rispose a fatica, come scossa da qualcosa che ancora non capivo. Memore dei suoi problemi, ripensai al trambusto causato nella sua vita dalla sola presenza di Eden in quella di Noah, e aiutandola ad alzarsi, la sentii tremare. “Vieni, ti porto alla camera degli ospiti, tranquilla.” Mi limitai a dirle, ormai sicura che altre parole sarebbero state superflue. Annuendo, lei si lasciò guidare, e giunta a destinazione, si sdraiò sul letto con ancora indosso la sua veste. “Non la togli?” chiesi, stranita. “No, ma appoggeresti questo lì?” rispose, per poi togliersi qualcosa dai capelli e indicarmi la piccola scrivania che avevo accanto. Con un solo cenno del capo, esaudii quella richiesta, e poco prima di andare, lo riconobbi. L’avevo già notato in precedenza, certo, ma se prima mi era sembrato soltanto un comune fermaglio, ora capivo che era un fiore, il mio fiore. Lo stesso che le avevo mandato come messaggio di speranza in una notte ormai lontana, e che con mia grande sorpresa, lei aveva raccolto e tenuto. Sorridendole, lo posai dove mi aveva chiesto, e poco prima di andare e lasciarla riposare, scorsi velocemente qualcosa sulla coperta. Seppur curiosa e stranita al tempo stesso, rinunciai ad indagare, certa che avesse bisogno dei suoi spazi oltre che di una buona notte di sonno. Richiudendo lentamente la porta, la salutai prima di andarmene, e incrociando Chris nel corridoio, mi unii a lui nell’andare a dormire. La giornata era stata lunga, e non potevo certo negarlo, ma nonostante le mille emozioni che provavo, tutte diverse e a tratti contrastanti, potevo dirmi felice di essermi finalmente ricongiunta a mia sorella, scivolando tranquillamente nel sonno e nella grigia incoscienza anche mentre qualcosa di molto simile a un sesto senso mi diceva che fra lei e qualcuno di importante ma ora assente ci fossero tante parole non dette e messaggi nascosti.  




Salve a tutti voi, miei lettori. Ebbene sì, dopo una lunga assenza, eccomi tornata con un nuovo capitolo di questa storia, spero capiate che i motivi erano come sempre del tutto indipendenti da me. Comunque sia, come al solito Kaleia fa da voce narrante, ma in questo settimo capitolo la protagonista è Sky, finalmente tornata sulla scena. Quest'aggiornamento avrebbe dovuto essere pomeridiano ed è risultato serale, ma spero non importi, e che ad ogni modo, ora che la trama sembra farsi più fitta, l'intera storia continui a coinvolgervi. Grazie a tutti del vostro supporto, e al prossimo capitolo,


Emmastory :)

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Capitolo 8
*** L'aria e il suo silenzio ***


Luce-e-ombra-IV-mod
 
Capitolo VIII 
 
L’aria e il suo silenzio 
 
Da qualche giorno, mancava il vento. Ne erano passati cinque, Sky era ancora a casa con noi, e se ero riuscita ad accorgermene era stato guardando il calendario. Era inverno, di solito lo sentivo accarezzarmi i capelli o le guance e muovere le pagine, ma ormai non sembrava più succedere. In piedi davanti alla finestra, restavo in silenzio ad osservare il panorama appena oltre il vetro, lasciando che il mio sguardo cadesse su cumuli e cumuli di neve prossimi a sciogliersi. Il mattino ci aveva fatto visita da poco, bussando alla nostra porta e poi a tutte quelle del villaggio come un gradito ospite, o come Cosmo sembrava deciso ad imparare. Scivolando nel silenzio, si sedeva di fronte alla porta chiusa, e dopo una passeggiata, la sfiorava con la zampa, ben attento a non rovinarla né sporcarla di fango. Una scena comica e tenera al tempo stesso, che guardavo passare davanti ai miei occhi come in un film. A sei mesi era più grande di altri suoi simili che avevamo visto giocare nell’erba gelata o trotterellare nella neve, ma nonostante tutto ancora non sembrava capire che se Chris ed io eravamo con lui, nessuno gli avrebbe aperto, o almeno non subito. Era allora che tiravo fuori le chiavi di casa, e fra una risata e l’altra, esaudivo il suo desiderio. È presto, purtroppo o per fortuna non ancora il momento per quel rilassante rituale, e senza una parola, aspetto. Oggi sono sfortunata, e a riprova di ciò, il vento non si muoveva. Era ormai ora di colazione, e fermandomi a pensare, conclusi che dovevo aspettarmelo. Pigra come al solito, o forse soltanto pensierosa, mia sorella non si era ancora alzata, e dopo un breve giro dell’intera casa, il mio Arylu tornò da me, drizzando le orecchie e assumendo una goffa posizione di punta, proprio come un vero soldatino.  “Che c’è, l’hai trovata?” gli chiesi, divertita dal suo modo di fare. Una sorta di strano trucchetto che non ricordo di avergli insegnato, e che anzi sembra aver imparato da solo. Forse da Lucy e Lune mentre giocavano insieme a palle di neve, forse dal loro cucciolo Rover che non vedevo da un pò e che ormai doveva essere cresciuto, non lo sapevo, ma ad essere sincera, non importava. L’unica cosa a contare era che fosse divertente, e che mi strappasse un sorriso mentre mi preparavo a sorseggiare il mio caffè. “Credo di sì. Ancora chiusa nella sua nuova stanza, sai?” in quel momento, fu una voce alle mie spalle a parlare, e colta alla sprovvista, trasalii. “Chris! Santo cielo, mi hai quasi spaventata!” esclamai, con il cuore già in tumulto. “Quasi?” replicò lui, con in volto un sorriso beffardo. “Già, quasi.” Risposi soltanto, per nulla incline ai suoi soliti scherzi. Non che mi avesse davvero offesa, ovvio, pensavo solo che a volte il modo che aveva di puntualizzare ogni cosa fosse come superfluo. “Dicevi?” tentai poco dopo, stringendo la presa sulla mia tazza di ceramica già colma di quella deliziosa bevanda scura. Come al solito, lui neanche la toccava, ma lasciandomi fare, parlò. “Nulla. Silenzio radio, come diremmo noi umani. Chiusa nella camera degli ospiti. Non vuole vedere nessuno.” Seppur tranquillo, il suo tono mi colpì come una delle tante palle di neve che avevo visto, creato e soltanto in pochi casi lanciato a mia volta. “No, non di nuovo.” Pensai, sconvolta. Non era possibile. Dopo tutto questo tempo mia sorella ritornava nella mia vita, riusciva a calmarsi, e poi? Stando alle parole del mio amato, questo. Una posizione di stallo, una nave che viene colpita e affonda, abbandonandosi alle profondità prima di raggiungere un faro e poi un porto. Nervosa, mi mordicchiai senza volerlo il labbro inferiore, e prendendo un altro sorso di caffè, sperai di ritrovare la calma ormai persa. Accorgendosene, Cosmo mi strofinò il naso umido contro la gamba, e abbassando lo sguardo, sospirai. Non proferendo parola, lo ignorai, e non riuscendo a tollerare quella quiete tanto lugubre, azzardai una sola domanda. “Credi che uscirà? Ormai è ora di colazione.” Chiesi, completando quella frase con quella forse inutile ovvietà. “Lo so Kia, ma per come si sente finirà per saltarla.” Rispose Christopher, calmo come sempre. “Perché? Come si sente?” non potei evitare di chiedergli, insistendo senza accorgermene. “Sta bene, tranquilla. Solo... è molto silenziosa, ecco.” Si limitò a spiegarmi, il tono sincero mentre prendeva il primo morso di un toast appena pronto. Frugale come pasto, dovevo ammetterlo, ma per sua fortuna insaporito da un misto di burro d’arachidi e marmellata. Simile alla mia strana fissazione per i Fairy O’s, che a volte ancora assaggiavo e che ricordavo di aver mangiato per quasi tutta la mia gravidanza, una delle poche abitudini che non aveva perso neanche dopo la fanciullezza, e che sorprendendomi, mi faceva sorridere. Tiranno e incapace di perdono, il tempo era spesso crudele, e il suo scorrere non si sarebbe certo mai arrestato, ma era bello sapere di poterci provare, tenendo vivi ricordi e rimembranze come quella. Semplice eppure colmo di significato, quel pensiero mi accese un sorriso sul volto e una nuova, piccola speranza nel cuore. Per un attimo quello di Sky mi scivolò fuori dalla mente, e abbassando lo sguardo, lo fissai sulla sua mano libera, che senza esitare, presi delicatamente. “Tutto bene, signorina?” azzardò poco dopo, deglutendo prima di parlare. “Ora sì, grazie, custode.” Replicai, felice e più calma, sentendo la sua stretta farsi più salda attorno alle mie dita già intrecciate alle sue. “Dì, vuoi andare dai piccoli?” propose, sicuro che una distrazione fosse ciò che più mi serviva. Sorridendogli, mi ritrovai ad annuire, e seguendolo, non dissi altro. Il passo lento e felpato di Cosmo ci accompagnò per tutto il corridoio, tradito soltanto dal costante ticchettio delle sue unghie sul pavimento. Camminando, mi voltai a guardarlo, e portandomi un indice alle labbra, lo vidi prima sedersi, poi sdraiarsi in terra. Tornando a comportarsi da vero soldato, strisciò sul pavimento senza il minimo rumore, e non appena le nostre due piccole sfere di luce entrarono nel suo campo visivo, si rialzò, pregando mutamente di essere preso in braccio. “Dolce Dea, ti prego!” sussurrai, esasperata. Grande o piccolo era sempre adorabile, non lo negavo, e capivo le sue buone intenzioni nel di vedere e salutare quelli che credeva suoi fratellini, ma quando avrebbe capito che alla sua età non era poi più così piccolo e leggero? Speravo accadesse presto, ma non appena uggiolò, la realtà finì per farmi alzare gli occhi al cielo. Probabilmente mai, era quella la vera risposta. Con un altro sospiro, mi voltai fino a dargli le spalle, ma lui non demorse, e facendosi più vicino al nostro letto, e così alle lanterne, si alzò su due zampe. “Trova sempre un modo, visto?” commentò Christopher, facendosi quasi sfuggire una piccola risata. “E come si fa a non notarlo?” non tardai a rispondere, ormai abituata alle stramberie di quel cane. Nel farlo, per poco non risi a mia volta, e toccando lievemente le due catenine d’oro, vidi le due lanterne aprirsi. Secondo Amelie reagivano alla mia magia, mentre Aster era pronta a sostenere che percepissero quella e il mio amore per i bambini, e in totale onestà pensavo che entrambe avessero ragione. Certo, una guardava i fatti e la verità nella sua nuda e cruda essenza, l’altra dava al mondo uno sguardo più ingenuo e gioioso, e pensandoci, mi scoprivo simile a lei. In fin dei conti, Aster ed io avevamo quasi la stessa età, e come se non bastasse condividevamo anche lo stesso elemento, e felice a quel solo pensiero, ne rivolsi uno a lei al suo amato Carlos, che come Danny e Leara non vedevo da tempo, ma al quale speravo la vita stesse sorridendo. Respirando a fondo, tornai ad essere me stessa, e avvertendo il mio calore e la mia presenza, il mio piccolo Darius fu il primo a tentare di avvicinarsi, svolazzandomi intorno, o almeno provandoci come era solito fare. Ancora addormentata, Delia tardò ad imitarlo, e sorridendo, Christopher le offrì un palmo su cui posarsi. “Buongiorno, dolce fatina.” Le sussurrò, riservandole ogni volta la solita premura. A pensarci, la stessa che regalava a me nei nostri momenti di quiete e intimità, dando vita a una scena che rischiò di farmi versare calde lacrime di gioia. Sempre in piedi e in equilibrio su due zampe, Cosmo si sporse per osservare ciò che accadeva, e pasticcione come al solito, starnutì. In un solo istante, decine di piccoli fiocchi di neve volteggiarono per la stanza, dissolvendosi in una cascata di luci azzurre come parte del suo pelo non appena si ridusse al silenzio, portandosi una zampa accanto al muso come a voler scacciare quella magia. Del tutto ignari di quello scoppio luminoso, i piccoli non si mossero, e anzi, tornarono al sicuro nelle proprie lanterne solo dopo averci deliziati con una sorta di balletto. A spettacolo finito, battei le mani, e pronta alle solite faccende da mamma, diedi loro qualche goccia di latte per far colazione. Come sempre, il loro pasto non durò molto, e non appena furono sazi, Christopher ed io lasciammo la stanza. Ora avevano appena due settimane, quindici giorni per l’esattezza, ma avendo già cerchiato una data esatta sul calendario, non vedevo l’ora che la raggiungessero, così da compiere due mesi e subire la loro prima trasformazione. Mi toccava aspettare, ed era vero, ma già immaginavo come sarebbe stato bello tenerli davvero fra le mie braccia, stringerli a me e continuare a fare tutto ciò che faceva una mamma. Lenta, attraversai di nuovo il corridoio seguita da Christopher e Cosmo, e ancora una volta, il mio pensiero andò ad Isla. A quanto sembrava, il fato ci stava ignorando, e nonostante lo volessi, non avevo ancora avuto modo di rivederla. Pensosa, mi mordicchiai di nuovo un labbro, e scuotendo brevemente la testa, aiutata anche da Cosmo e da uno dei suoi soliti uggiolii, accompagnato stavolta da uno sbadiglio, mi riscossi. Erano tante le persone che avevo in mente, e poche, ma buone e giuste, quelle che avevo accanto. In breve, il mattino divenne pomeriggio, e quei pensieri svanirono nel vento invernale e nel rumore dei miei passi nella neve in parte sciolta e tuttavia ancora presente, nascosta sotto gli alberi o nei punti più ostici dei vialetti di alcune case, le cui porte erano ancora decorate nonostante il Natale fosse ormai passato. Ad essere sincera non sapevo se questo mese portasse con sé qualche altra festività, ma in cuor mio speravo che fosse così. Era strano a dirsi, forse perfino infantile, ma la mia parte umana sembrava parlarmi ogni volta che scorgevo dettagli del genere, lasciandomi sempre avida di conoscenza e novità. Non avevo la minima idea di cosa avrei scoperto con l’andar del tempo, e con o senza l’aiuto di Christopher, non vedevo l’ora di scoprirlo. Ad ogni modo, contrariamente a ciò che pensavo, la passeggiata del mio amico Arylu fu più breve del previsto, e quando in mezzo al verde gelato dal bianco scorsi una piuma nera, sentii piovere su di me, una per una, piccole e deboli gocce di speranza. Secondo le credenze di noi fate, veder nero era una sorta di maledizione, ma almeno ora, io non ci credevo. Curioso, Cosmo annusò in terra, e sedendosi davanti a me, mi porse qualcosa. Stranita, rigirai quel morbido oggetto fra le dita. Per altri esseri magici diversi da me nero significava sfortuna, dolore e cattivo auspicio, e nonostante una parte di me fosse d’accordo, un’altra dissentiva, riportando alla mia mente una sola parola, o per meglio dire, un nome. Midnight. Il fido merlo di mia sorella, che solcando i cieli ancora candidi come la neve che aveva ormai smesso di cadere, di sicuro la cercava, comunicando forse con lei in un modo che solo lei riusciva davvero a capire, squarciando con ogni battito d’ali l’aria e il suo silenzio.  
 
 
Sera a tutti, lettori miei. Ancora una volta, un capitolo serale con leggero ritardo rispetto al solito, ma di nuovo, come ripeto per chi non ne abbia idea, il motivo della mia assenza non è certo voluto. Qui abbiamo calma e preoccupazione insieme racchiusa in uno splendido quadretto familiare, e mentre aspetto di sapere cosa pensate del capitolo, posso solo sperare che vi sia piaciuto. Il prossimo vedrà la luce solo fra circa dieci giorni, ma intanto grazie ad ognuno di voi e a tutto il vostro supporto, e a presto,
 
Emmastory :)

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Capitolo 9
*** Un cuore fra mille pagine ***


Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
 
Capitolo IX 
 
Un cuore fra mille pagine 
 
Altri cinque giorni, e gennaio stava finendo. Del vento e dei poteri di mia sorella ancora nessuna traccia, ma ormai non mi preoccupavo. Non che la ignorassi, ovvio, ero solo sicura che presto le acque si sarebbero calmate ancora, e che la nera piuma che ancora tenevo nascosta in una tasca della giacca ne fosse soltanto una fra le tante prove. Seduta in cucina, bevevo il mio caffè nella pace di quest’ancora bianco inverno, mentre Chris, innamorato dei suoi giochi logici come di me, mi sedeva davanti, dividendosi fra un’altra fetta di pane e marmellata e un ennesimo indovinello. “Difficile?” gli chiesi, concedendomi il primo sorso. “Già. Non riesco proprio a capire quale numero manchi.” Bofonchiò, parlando a bocca piena. Nel farlo, sputacchiò senza volere briciole di pane ovunque. Svelto, il nostro caro Cosmo non si fece attendere, e prendendo subito posto accanto a lui, rimase seduto sul pavimento ad aspettare. “Posso averne anch’io? Sembra buono, per favore!” anche stavolta, una frase immaginaria, che mi divertii ad attribuirgli soltanto osservando l’espressione che aveva dipinta sul muso. Pura tristezza, convincente come mai l’avevo vista, ma solo perché figlia di un’ormai solita rappresentazione teatrale tutta sua. Ormai era con noi da molto tempo, così tanto che avevo letteralmente perso il conto, ed era diventato un vero membro della famiglia, ma se la perdita delle abitudini era difficile per gli umani, ora capivo che lo stesso valeva anche per gli animali, normali o magici che fossero. “L’Arylu perde il pelo ma non il vizio, vero, bello?” commentò Christopher, regalandogli un lieve sorriso. Confuso, il cane si voltò a guardarlo piegando la testa di lato, e in silenzio, non chiese che lumi. “Che stai dicendo? Io non perdo il pelo, e non ho nessun vizio, ritiralo subito!” parve rispondere, stringendo le labbra in un ringhio sordo. Contrariamente a ciò che poteva sembrare, in quel momento tutt’altro che indice di aggressività, e anzi, di confusione. “Sta calmo, Cosmo, non voleva offenderti.” Replicai, non esitando a difenderlo come potevo. Alle mie parole, l’Arylu si voltò ancora, muovendo qualche passo solo per sedermisi accanto, e in quel momento, notai un particolare. Era strano a vedersi, eppure era così. Stranita, dovetti sforzarmi e osservare al meglio prima di capire davvero, ma se prima da seduto riusciva a sfiorarmi appena le ginocchia, ora invece se ne stava lì, calmo, intelligente e fiero, nonché decisamente più grande di quanto lo ricordassi. Chiusa nel silenzio dei miei dubbi, non seppi cosa pensare, e non proferendo parola, mi scambiai una veloce occhiata con Christopher, che alzò le spalle. “Ne so quanto te.” Mi lasciò intendere, per poi scuotere la testa e tornare al più arduo dei suoi soliti enigmi, ancora irrisolto. Tornando a guardarlo, cercai spiegazioni, e in un gesto quasi automatico, mi alzai per controllare il vecchio calendario, non ancora staccato dal muro e appeso accanto a quello nuovo. Attenta, controllai le pagine una per una, e trovando ciò che cercavo, annuii a me stessa. Era lì che avevo segnato la data in cui Chris ed io l’avevamo adottato, tracciando una piccola croce e improvvisando un piccolo disegno che ricordava tanto una zampa canina. Sorridendo a quel dettaglio, per poco non risi, e confrontando ognuna di quelle due linee temporali, finalmente capii. In un istante, tutti i pezzi di quel metaforico mosaico trovarono un posto, e sempre in silenzio, tornai a sedermi. Una parte di me si rifiutava di crederci, ma ormai era davvero passato circa un anno dall’arrivo di Cosmo in famiglia, se non perfino qualcosa di più, e all’improvviso, il cucciolo che ricordavo era cresciuto, restando però nascosto sotto la superficie. Di lì a poco, ripresi a bere il mio caffè fino a finirlo, posando la tazza sul tavolo e concedendomi una manciata di biscotti, tutti presi da un solo pacco, l’unico che davvero contenesse i miei preferiti. Leggeri, certo, ma non per questo meno gustosi, e con un nome che non avrei dimenticato facilmente. “Pan degli Astri.” Recitava la confezione, non fallendo mai nel farmi sorridere e sentire un pò bambina. Ad essere sincera, non li avevo mai assaggiati durante l’infanzia, ma qualcosa, forse il disegno, forse il nome stesso, non sapevo davvero quale delle due, mi spingeva a pensare che fossero stati creati apposta per soddisfare il palato dei più piccoli. Stando ai miei ricordi, il mio primo assaggio risaliva a mesi prima, durante gli ultimi di attesa che mi separavano dai miei piccoli, in un momento in cui, accantonata la voglia di fragole, avevo inspiegabilmente iniziato a chiedere dolciumi e cioccolata. Divertita da quel ricordo, mangiai con gusto, scacciando via Cosmo e Willow con rapidi gesti della mano libera. “Indietro.” Ordinai, deglutendo quasi a forza. Drizzando le orecchie, il mio amico non se lo fece ripetere, mentre la gatta, più decisa e determinata e non certo abituata a prendere ordini da noi padroni, tentò di arrivare ai miei dolci mattutini a modo suo. Seduta come Cosmo, si preparò a saltare, e per poco non raggiunse davvero il tavolo, ma solo perché Chris fu lì per fermarla appena in tempo. Poco prima che ci riuscisse però, sentii bruciare, e non appena abbassai gli occhi, la vidi. Piccola ma visibile, bruciava come fuoco vivo, e come se non bastasse, sanguinava anche. Grazie al cielo non copiosamente, ma abbastanza da macchiarmi leggermente la pelle di rosso. Stringendo i denti, sopportai il dolore, e avvicinandomi in fretta al lavello, bagnai la mano. “Contenta adesso, ladruncola?” al mio fianco come al solito, Chris non mancò di riprenderla, e poi, preoccupato, mi offrì un fazzoletto. “Tranquilla, non è niente. Fa pressione, e sparirà subito.” Mi disse soltanto, aiutandomi in quel compito con mani delicate. Annuendo, feci ciò che mi era stato chiesto, e in breve, quella piccola macchia cremisi passò dalla mia mano al panno. “Meglio?” azzardò poco dopo, con il suo istinto di protettore sempre fine e ben allenato. “Meglio.” Tardai a rispondere, distratta per qualche attimo dal breve luccichio delle sue iridi speranza. Tutt’altro che sorpreso, il mio amato mi sorrise, e stringendomi a sé per un abbraccio, posò lentamente le labbra sulle mie. Colta alla sprovvista, mi irrigidii come marmo, ma allo scadere di un attimo, mi sentii al sicuro fra le sue braccia. “Christopher...” chiamai, senza fiato non appena ci staccammo. “Dimmi, Kia.” Concesse, dolcissimo. “N-Niente.” Mi affrettai a replicare, sentendo le guance bruciare e tingersi di un rossore puramente emotivo. Distratto da qualcosa che non riuscimmo a vedere, Cosmo scelse di ignorarci, mentre Willow, ancora scottata dal rimprovero, si voltò a osservarci, per poi girare sui tacchi e andar via, con la coda in alto e il fare impettito di una bimba capricciosa. “Visto? Tanto rumore per nulla.” Replicò Christopher a quella vista, divertito dal personale modo della gatta di fare i capricci. Abbozzando un sorriso, mi unii alla sua ilarità, e poco dopo, qualcosa spezzò la magia fra di noi. Un rumore nel corridoio, nulla che inizialmente riuscissi a riconoscere, ma che poi scoprii essere opera di Cosmo, già avviatosi a passo svelto e sparito nel corridoio. “No, aspetta!” lo pregai, scoppiando a ridere e affrettando il passo per raggiungerlo. Come al solito, arrivai tardi, e avvantaggiato dalle quattro zampe, lui raggiunse per primo la porta della nostra stanza da letto, sua prima cuccia fino all’avvento di quella che tenevamo in salotto assieme ai suoi giocattoli, con i quali di tanto in tanto si divertiva ancora. Stava crescendo, certo, ma una minima parte della sua essenza di cucciolo era ancora in lui, e potevo letteralmente sentirlo. In piedi su due zampe, provò a spingere per aprirla, ottenendo invece come unico risultato quello di graffiarla, anche se per fortuna le sue unghie non lasciarono segni. Scoprendola chiusa, implorò il mio aiuto mugolando, e pregandolo di farsi da parte con un solo gesto, abbassai lentamente la maniglia. Fu quindi questione di attimi, e il suo desiderio fu esaudito. Fatti pochi passi, mi avvicinai alle lanterne dei miei figli, e seguendomi senza parlare, Christopher decise di imitarmi. “Insieme?” azzardò, incerto sul da farsi. “Ovvio.” Mi limitai a rispondere, ormai abituata al mestiere di genitore almeno tanto quanto lui. Tranquillo, sfiorò la catenina d’oro che teneva chiusa quella di Darius, mentre io mi occupai di Delia. Incuriosito, Cosmo non attese oltre, e avvicinandosi, quasi mi fece perdere l’equilibrio. Veloce, mi aggrappai alla cassettiera lì accanto, e fulminandolo con un’occhiata, gli indicai l’angolo. “E sta fermo.” Aggiunsi, con il solito tono che fra noi chiudeva all’istante qualunque discussione. Ovvio era che non parlasse, ma lo facevo spesso quando disobbediva, se non addirittura sempre, e quasi adulto o meno, quel principio avrebbe avuto un valore per il resto della sua vita. Rimanendo fermo e inerme, l’Arylu si rifiutò di obbedire, e colpendomi gentilmente la mano libera con il muso, sperò nel mio perdono. “Kia, non fare così. Non voleva, e tu non sei caduta, sbaglio?” premuroso come sempre, Christopher si intromise istintivamente, e frapponendosi fra me e quel peloso ostacolo, si abbassò per fargli il dono di una carezza. “Cercavi solo di capire che succedeva, giusto, bestione?” gli disse, prendendolo bonariamente in giro mentre lo accarezzava. Lasciandolo fare, Cosmo chiuse gli occhi, e mugolando appena, stavolta in segno di felicità, agitò la coda. Ancora impegnata con la bambina, ebbi occhi solo per lei, ma quando mi voltai, anche se solo per un istante, notai qualcosa di simile a un largo sorriso stampato sul suo bel muso. “Ti voglio ancora bene, cucciolone. Sarà sempre così, capito? Sempre così.” Non riuscii a non dirgli, come sempre intenerita dal suo modo di fare, a volte strano e goffo ma ugualmente divertente e pieno d’amore. Sentendomi, molti avrebbero detto che esageravo, proiettando su quel cane sentimenti ed emozioni non realmente suoi, ma Chris ed io non saremmo stati d’accordo. Ciò che era appena successo non era stato che un incidente, e tutt’altro che arrabbiata, lo coccolai a mia volta, abbassandomi quanto bastava per grattargli la pancia. Desiderosi di scoprire altro del mondo attorno a loro, per ora ancora ristretto alla camera da letto, Darius e Delia ci svolazzarono intorno, e rotolando fino a sdraiarsi per terra, Cosmo lasciò che si avvicinassero anche a lui. Piccoli com’erano, temevo che potesse fargli del male, e proprio quando tentai di dirgli qualcosa perché restasse fermo, Christopher mi prese per mano. “Tesoro, no. Lascia che accada, sarà buono con loro.” Mi rassicurò, sincero. Indecisa, cercai conferme nel suo amore e nei suoi occhi, e guardandolo, decisi di fidarmi. Senza dire altro, lo sorpresi con un bacio, e per un breve momento, una nuova magia fra noi due, il tempo parve fermarsi. Ignari di tutto, Cosmo e i bambini continuarono a divertirsi insieme, e quando arrivò l’ora di tornare alle loro piccole basi, lasciammo che il nostro amico a quattro zampe restasse con loro, in parte per noia e in parte perché restasse di guardia. “Torniamo subito, tu resta.” Gli dissi, tranquilla ma seria come in ogni sessione d’addestramento. Limitandosi a guardarmi, il mio amico Arylu agitò piano la coda, poi ruppe il silenzio abbaiando una volta sola. “Ricevuto!” sembrò volermi dire, già preso dal nuovo incarico. Rimettendomi in piedi, mi voltai fino a dargli le spalle, e riaperta la porta per uscire, mi guardai indietro un’ultima volta prima di richiuderla, sicura che con Cosmo come amico, ai bambini non sarebbe accaduto nulla. Tornata in corridoio, sentii un peso svanirmi dalle spalle e dal cuore, e diretta in salotto, passai per la cucina, dove ciò che vidi mi lasciò senza parole. La tazza da cui avevo bevuto non era più sul tavolo ma nel lavello, e raccolte in un fazzoletto, minuscole briciole di biscotti. Avvicinandomi, le ispezionai cautamente, e pur guardandomi intorno, non vidi traccia della gatta. Pensandoci, capii che non poteva essere stata opera sua, altrimenti avrei visto quelle briciole anche per terra, e fu allora che ricordai. Sky. Ancora chiusa nella camera degli ospiti, non sembrava desiderare nulla di dissimile da pace, quiete e solitudine, ma solo oggi, armata di coraggio, aveva varcato i suoi stessi confini per un rituale che acquistava tutto un altro significato. Probabilmente soltanto fame, magari il suo modo di mostrare che era pronta a unirsi a noi e lasciare quella stanza, o in altre parole, continuare da dove la sua vita sembrava essersi interrotta. Lentamente, un passo per volta, come capii anche a sera dopo un pomeriggio di tranquilla lettura. Come ogni volta, la storia era appassionante, ma non certo quanto quella di mia sorella, volontariamente rinchiusasi in quattro mura per giorni, fino al mattino in cui aveva deciso di uscire allo scoperto, anche se solo per far colazione. Sbadigliando, mi scoprii stanca e pronta per andare a dormire, ma attratta come una falena da uno spiraglio di luce proveniente come un invito da quella porta leggerissimamente aperta, mi avvicinai, scoprendo ai miei piedi la presenza di un biglietto. Abbassandomi, lo raccolsi da terra, e dispiegandolo con cura, lo lessi. “Sono pronta a riprovare.” Diceva, interrompendosi poi di colpo. Semplici eppure forti, soltanto quattro parole impresse da una penna nera come il carbone, formavano un messaggio che uno stupido pennuto si era rifiutato di consegnare. In quel momento, rabbia e dolore iniziarono a dibattersi nel mio animo, così spietate che quasi piansi, ma che aiutata da Christopher, dominai perfettamente. Proprio grazie a lui ritrovai la calma che credevo persa, e prima di dormire, imitando mia sorella in un gesto importante ma simbolico, mi portai una mano in tasca, estraendone quella piuma e posandola a terra. “Fate che l’aiuti.” Sussurrai appena contro la porta di legno, nella forse vana speranza che riuscisse a sentirmi. In completo silenzio, Christopher mi lasciò agire, e con l’arrivo della notte, il calore delle coperte unito a quello del suo dolce abbraccio mi aiutò a dormire, decisamente più serena ora che sapevo cosa Sky aveva per così tanto, tenendo il suo giovane cuore ben chiuso fra una e mille pagine.  


Salve, lettori! Come avevo detto, ecco a voi un nuovo capitolo pieno di novità. Siamo come sempre ad Eltaria, ancora immersi nella gioia familiare di Chris e Kaleia, accompagnata al turbamento interiore della cara Sky, che forse finalmente pare intenzionata a far pace con i propri problemi di cuore. Ci riuscirà? Lei e Noah si chiariranno davvero? Questa e altre risposte nel prosieguo della storia, ma intanto grazie di cuore di tutto il vostro supporto,
 
Emmastory :)

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Capitolo 10
*** Sagge sorelle ninfe ***


Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
 
Capitolo X 
 
Sagge sorelle ninfe  
 
E con l’andar del tempo, iniziava febbraio. Contrariamente a quanto mi aspettassi, non avevo avuto altre notizie di Sky dopo aver lasciato quella piuma davanti alla porta della stanza che ora occupava in casa mia, ma ad essere sincera, non importava. Il messaggio che avevo fugacemente letto per ora mi bastava, e significava che davvero era pronta a riprovare, a rimettersi in piedi e riprendere in mano la propria vita anche dopo quell’infinita tempesta, che per fortuna di entrambe sembrava finalmente cessata. Ligio al dovere come sempre, Christopher mi aveva spiegato cosa accadeva se e quando una fata o qualunque essere magico rilasciava fin troppa magia nel mondo, e a pensarci, poteva essere stato quello a causarla, almeno per ciò che riguardava il senso letterale della cosa. Sforzandomi di restare tranquilla, stamattina mi affido a Chris e alla sua innata dolcezza, la stessa che traspare in ogni momento di intimità. Silenziosa, resto sdraiata sul letto scalciando lentamente da me le coperte, abbandonandole e trovando molto più caldo, e comodo, c’è da dirlo, un suo abbraccio. Ancora addormentati, Delia e Darius non si fanno sentire, ma essendoci alzati più volte per controllarli l’altra notte, io e lui siamo tutt’altro che sorpresi. A occhi chiusi, mi godo il tempo e la permanenza fra le sue braccia, mentre il primo scorre e la seconda si fa sempre più piacevole. “Che c’è, ancora preoccupata?” mi chiede, la voce dolce e calda come il contatto che ci unisce. “No, amore. Per una volta non avere notizie equivale ad averne di buone, non credi?” sorprendentemente, anche stavolta tardo a rispondere, ma solo perché rapita dal suo sguardo di verde speranza e dalla figura che ha tatuata sul petto. Ancora visibile e non certo rovinata dal tempo, una spada e una rosa incrociate, su un fondo nero che tanto mi ricorda uno scudo. Non la vedo, ma accarezzandolo la sento appena sotto le dita, e con le guance già bollenti e imporporate da un improvviso rossore emotivo, permetto a un debole sorriso di spuntarmi in volto. Silenzioso, lui si limita a imitarmi, e quasi all’improvviso, mi bacia. Ciò che ne segue è un contatto lieve e affatto duraturo, ma al momento davvero non m’importa. Quello che conta è che siamo insieme, e che stamattina tutto sembri andar bene. So che non dovrei, ma continuo a parlare per ipotesi, sicura che ben presto qualcosa, forse il vento, forse il nostro avvenire, cambierà. È ancora presto, il sole è spuntato da poco e il mio fido ciondolo sembra sentirlo, iniziando infatti a brillare di luce propria da sotto la coperta. “Ti dà fastidio? Vuoi toglierlo?” non può fare a meno di chiedere il mio Chris, preoccupato e premuroso come sempre. “No, sta tranquillo.” Rispondo soltanto, accennando a un secondo sorriso che in un attimo ci calma entrambi. Innamorata, mi perdo ancora nei suoi occhi, e nonostante la finestra sia aperta e la natura viva appena fuori, basta un suo sguardo, e tutto perde d’importanza e spessore. Mi sento benissimo, improvvisamente non esistiamo che noi e il nostro amore, e del tutto presi l’uno dall’altra, non riusciamo a smettere di guardarci. Sembra incredibile, ma d’un tratto anche il tempo rallenta, e io stessa non sento altro che il battito del mio cuore unito al suo. Affamata d’amore come d’attenzioni, reclamo le sue labbra per un altro bacio, e quasi leggendomi nel pensiero, lui mi stringe a sé. Seppur sorpresa, lascio che accada, e in breve, divento sua. Come sempre, ogni momento con lui è pura magia, e la scia dei suoi baci, rovente sulla mia pelle, l’ennesima dimostrazione del suo amore. “Tesoro...” lo chiamo, la voce tremante quanto e forse più del corpo. “Sì, amore mio?” risponde, sicuro di sé e di ciò che mi sta facendo. Pur provando a replicare, non ci riesco, e ben presto, anche il respiro mi abbandona, mentre senza aver modo di accorgermene, perdo lentamente il controllo di me stessa. Non riesco a calmarmi, quasi non voglio, e reagendo ai miei sentimenti e al mio cuore ormai impazzito, stille di polvere magica del colore del mio elemento si liberano nell’aria come polline. Sorprendentemente, non ci tange ma luccica sotto al sole del mattino, e dopo un’eterna lotta, al tempo stesso dolce, accesa e tristemente impari, depongo le armi, sfinita da ciò che mi unisce al mio Christopher.  Stanca e ansimante, riapro appena gli occhi, e solo allora mi accorgo di quella sorta di strano spettacolo, accentuato da quello che mi sembra uno starnuto. “Santo cielo, Chris, mi dispiace, io non...” ho appena la forza di biascicare, di nuovo rossa in volto e piena di vergogna. “Kia, andiamo, non preoccuparti.” Replica in fretta il mio amato, affatto sorpreso ma già immensamente divertito da quella vista. Confusa da quella risposta, provai a ragionare, e abbassando lo sguardo per sfuggire al suo, ben sapendo che non poteva inseguirmi, mi rintanai nel silenzio. Ad essere sincera, non avevo idea di cosa fosse appena successo, né di come fosse accaduto, solo che le emozioni tendevano spesso ad avere la meglio rovinando tutto, perfino momenti come quello. Sveglia da poco, non avevo desiderato altro che il suo tocco e la sua dolcezza, ed ero felice di averla ottenuta, ma non se il mio stesso corpo insisteva nel tradirmi in quel modo. Stando ai miei ricordi, non era certo la prima volta che accadeva, e almeno ora volevo vederci chiaro. “Sei sicuro? Insomma, è così imbarazzante.” Risposi, la voce sempre bassa e corrotta dal dolore che provavo, nascosto fino ad allora nelle profondità della mia anima. “Posso solo immaginarlo, ma sappi che è comunque del tutto normale. Pensaci, mi ami?” mi disse allora, cingendomi lentamente un braccio attorno alle spalle. Ancora sdraiata, mi avvicinai a lui, e senza più proferire parola, annuii. “Perfetto, allora sta tranquilla. Ricordi quando hai riempito di fiori la caverna di Aster?” semplice ma inaspettata, una domanda alla quale non mi aspettavo di dover rispondere, proprio come la precedente, ma che ascoltando senza interrompere, risolsi in fretta. “Sì, ma... scusa, cosa c’entra?” provai a chiedere, più confusa di prima. “Kia, tesoro, concentrati. Ha senso, se ci pensi. Allora eri felice, emozionata dal lago e dai boccioli, e ora è successa la stessa cosa, solo che a emozionarti...” lunga ma semplice, una spiegazione che ascoltai in silenzio come un’attenta scolara, e con la cui fine, non potei fare a meno di sorridere. “C’eri tu.” Risposi poco dopo, finalmente più tranquilla. “Esatto.” Fu l’unica risposta del mio amato, che sorridendo a sua volta, mi strinse ancora a sé, per poi avvicinarsi e lasciarmi un bacio delicato sulla fronte. “Chris, forse... forse sei magico anche tu.” Azzardai, quasi sicura di quel ragionamento, veloce e affrettato ma privo di grinze. Alle mie parole, Christopher rise di cuore, e dando con la mano un veloce verso ai capelli biondi e spettinati, non esitò a parlare. “Non più magico di Cosmo, fatina.” Disse soltanto, virando l’intera conversazione, fattasi pesante come l’atmosfera attorno a noi su qualcosa di molto più divertente. Svegliato dal suo sonno ai piedi del letto, l’Arylu aprì un occhio, e pur agitando lentamente la coda, non si mosse. “Si può sapere che vuoi? Stavo dormendo.” Sembrò dire, lamentandosi con uno sbadiglio misto a un debole latrato. Divertita, risi a mia volta, e calmata dalle parole del mio protettore e dalla sua dolcezza, restai al suo fianco ancora per qualche minuto, salvo poi decidere di stiracchiarmi come una gatta. “Che fai, imiti Willow?” azzardò, sorpreso. “Sì, qualcosa in contrario, caro protettore?” gli risposi, stando al gioco e sforzandomi per trattenere una risata. “No, assolutamente, fatina mia. Ero curioso, nient’altro.” Rispose allora lui, sincero come al solito. “Davvero?” insistetti, sorridendo debolmente nell’avvicinarmi a lui. Decisa, contai e calcolai ogni passo con lentezza felina, finché, colto alla sprovvista nonostante la mia immagine riflessa nello specchio, lui non si arrese, lasciando che l’abbracciassi. Felice, ricambiai ogni stretta ricevuta in precedenza, e ammirando il suo riflesso, giocai distrattamente con qualche ciocca dei suoi capelli. Un modo di divertirmi tutto mio, inaspettato e goliardico insieme, dettato dall’improvvisa malizia nascosta nell’azzurro dei miei occhi. Il tempo al suo fianco mi aveva insegnato ad essere me stessa senza aver paura dei miei sentimenti, la lezione odierna non era stata che un ripasso, e malgrado non lo sapesse, quello era solo uno dei tanti modi che avevo di ricordarglielo. “Allora, davvero?” ritentai, riducendo la voce a un sussurro calmo e suadente. “Davvero, amore mio.” Non esitò a replicare, offrendomi le redini del gioco e il totale controllo su quel momento. Completamente rapita, mi lasciai irretire dal suo sguardo magnetico e perfetto, e alla ricerca di altri attimi d’amore, unii le nostre labbra in un bacio che mozzò il fiato ad entrambi. Proprio come prima, non m’importava di non essere del tutto sola con lui, l’unica cosa a contare era il sentimento che ci univa da anni, e tutto appariva perfetto, finché qualcuno non decise di disturbarci. Scocciata, sentii la scintilla fra noi sfumare, e voltandomi in direzione di quel dannato rumore, per poco non imprecai. “Dolce Dea, proprio adesso?” commentai, stizzita. Triste, Cosmo ruppe il silenzio calato nella stanza con un debole uggiolio, e non riuscendo proprio ad arrabbiarmi, lo consolai con un sorriso. “Non ti preoccupare, cucciolone. Ora andiamo, va bene?” gli dissi soltanto, avendo ben presto il piacere e la fortuna di vedere una sorta di sorriso stamparglisi sul muso. “Fa con calma, io aspetto.” Parve voler dire, molto più calmo di quando era un cucciolo, anche se non meno energico di allora. Sorridendo, annuii per dargli sicurezza, e fortunatamente veloce a vestirmi, mi assicurai di non farlo attendere troppo. Grazie al cielo nel tempo Chris ed io l’avevamo educato bene, e gli incidenti in casa erano merce rara, ma nonostante questo eravamo convinti che non si potesse mai essere troppo sicuri. Pronta, uscii dalla stanza aprendo la porta, seguita sia da lui che da Christopher, e dopo il mio solito caffè mattutino e qualche goloso biscotto Pan degli Astri, che avevo ormai eletto a miei preferiti, mi preparai ad uscire. Ormai abituata a quella sorta di routine, trovai il guinzaglio di Cosmo appeso all’attaccapanni assieme alla giacca che indossai quasi subito, ma poco prima di potermi davvero allontanare da casa, sentii un altro rumore. Sicura che si trattasse di lui, mi fermai a guardarlo, ma da parte sua solo silenzio. Muta come un pesce, rimasi in ascolto, e fu allora che li udii di nuovo. Passi. Leggeri e trascinati, probabilmente per via del sonno, ma passi. Incerta sul da farsi, mi scambiai con Christopher una veloce occhiata d’intesa, alla quale rispose alzando le spalle. “Forse non è niente.” Si limitò a dire, tutt’altro che colpito. “Sono io, geni.” Disse allora una voce alle nostre spalle, cogliendoci alla sprovvista. “Sky! Santo cielo, avvisa la prossima volta!” quasi urlai per lo spavento, con la rabbia nella voce e l’occhio invelenito. “Avvisare? Io? E voi allora? Perché tanta segretezza per portar fuori un cane?” ci fece notare, nervosa. “Cosmo è un Arylu, Sky.” Corresse gentilmente Christopher, con quello di risultare pignolo come ultimo desiderio. “Sì, sì, Arylu, Raylu, come vuoi. Uscite pure senza problemi, mi basta restare da sola.” Replicò in fretta lei, per niente in vena di scherzi. Colpita, alzai le mani in segno di resa, e stringendomi nelle spalle, andai per la mia strada. “E prima che andiate, non preoccupatevi. Baderò io ai mostriciattoli.” Ci tenne ad aggiungere, anche in quel caso pungente e senza modi. “Grazie!” le dissi soltanto, sincera e felice di aver trovato ai piccoli quella che credevo un’ottima babysitter. Erano passati anni da quel periodo, e lo sapevo bene, ma nonostante tutto ricordavo ancora quasi ogni istante dei nostri tempi di pixie, tempi in cui Sky era come stata costretta a crescere prima del tempo per occuparmi di me anche se aveva soltanto otto anni, poiché io, a sei, comprendevo ancora poco dei pericoli nascosti nel bosco e nel mondo. Non mentivo nel pensarlo, il fatto che si fosse offerta di badare ai miei figli era positivo, ma con una mano ferma sulla maniglia della porta ormai in procinto di essere aperta, sospirai. Confuso, Christopher chiese mute spiegazioni, ma io non ne diedi. Mantenendo il silenzio, mi concentrai su quell’ormai solita passeggiata, parte di una routine che non avrei mai voluto cambiare. Per alcuni Cosmo era solo un cane, e forse esageravo, ma anche solo portarlo a spasso mi rilassava, e dopo quanto era accaduto stamattina, sentivo di meritare del tempo lontano dai pensieri più insistenti e fastidiosi. Lento, il tempo continuò a scorrere e ignorarci, e tenendo la mano di Christopher con quella libera, mi godetti ogni passo nella natura ancora viva e presente, anche se provata o gelata dal freddo. Tranquillo, Cosmo camminava senza più tirare il guinzaglio, procedendo spedito verso numerosi spiazzi d’erba solo per i suoi bisogni, e poco dopo, allertato da qualcosa in lontananza o forse semplicemente da un odore nell’aria, puntò dritto verso una grotta già conosciuta. Allungando il passo, mi sforzai di seguirlo, e quasi inciampando in una roccia, rischiai di perdere l’equilibrio. “Stai bene?” non esitò a chiedere Christopher, preoccupato. “Sì, sì, tranquillo, stavo scivolando.” Risposi soltanto, per poi stringere di più la presa sulla sua mano e riprendere il cammino. Rinfrancato da quel gesto, il mio amato sorrise, e dopo quella che parve un’eternità, eccoci. Sicura che non sarebbe successo nulla, lasciai andare il guinzaglio, e con esso un sospiro di puro sollievo. Il mio elemento era proprio la verde natura, e pur sapendolo, a volte faticavo a spiegare perché la caverna di Aster e delle sue sorelle mi infondesse un così vasto senso di pace. A calmarmi forse era la gentilezza del vento, la quiete dell’acqua che scorreva tranquillamente nel laghetto al suo interno, o il nuotare dei due cari cigni, che alla mia vista, date le loro leggiadre movenze, appariva più come una danza. Respirando a fondo, sentii odore di fiori, frutta e resina fra gli alberi poco distanti, e improvvisamente, anche di fumo. Sconvolta, riaprii subito gli occhi, rischiando però di scoppiare a ridere quando vidi e sentii Cosmo sfiorare con la zampa i vestiti di Carlos, o più propriamente il gilet che portava. Come riuscisse a indossarne uno in pieno inverno senza sentire freddo era incredibile, certo, ma forse la folta pelliccia di cui era quasi totalmente ricoperto agiva da scudo contro certe temperature. “Te molesta?” gli chiese subito Christopher, notando a sua volta il cane e il suo modo di salutare prima di fare le feste. “No, no, Chris, no, e anzi, hola.” Rispose lui, calmo e tranquillo. Scivolando nel silenzio, regalò a Cosmo qualche carezza, e poco dopo, anche Aster fece la sua comparsa sulla scena. “Hola!” ripetè, imitando il fidanzato nell’uso dello spagnolo, lingua che stavo imparando a capire e speravo di imparare. “Hola, Aster!” ripetei a mia volta, ormai certa che si trattasse di una formula di saluto. Andando però alla ricerca di conferme, guardai il satiro, che mi sorrise. “Stai imparando, veo.” Commentò, piacevolmente. “Noi diciamo vedo, Carlos con la “d”.” Non tardò a dirgli Christopher, correggendolo così che ricordasse. “Già, perdona, non ricordavo.” Replicò a sua volta il satiro, mescolando sapientemente le due lingue, con un accento che, e speravo Aster non mi sentisse, avrebbe unicamente potuto definirsi sensuale. “Allora, cosa vi porta qui da noi?” tentò la mia amica dopo una pausa di silenzio, nel tentativo di spezzarlo e far tornare la serenità svanita. “Chiedilo a lui.” Scherzai, ridacchiando divertita e indicando Cosmo con uno sguardo e un cenno del capo. “Ah, perro aventurero!” esclamò Carlos, sorprendendoci entrambi. “Avventuriero? Tesoro, forse ha pensato che il fumo nascondesse qualcosa di buono. Vero, golosone?” spiegò allora Aster, prendendo le difese di Cosmo e facendone le veci mentre lo accarezzava. Contento di tante attenzioni, lui si rotolò per terra fino a mostrarle la pancia, e chiudendo gli occhi, prese a muovere ritmicamente una zampa. Un modo come un altro per dire che la cosa gli piaceva, e di fronte al quale ridemmo tutti di cuore. Di lì a poco, il silenzio tornò a regnare nella grotta, spezzato poi da una voce che riconobbi all’istante, alta e solenne. “Christopher, Kaleia! È mai possibile che questo Arylu vi porti sempre da noi?” era Amelie, che probabilmente disturbata dal nostro fracasso, si era personalmente avvicinata per controllare. “Così pare, cara.” Mi limitai a risponderle, sperando che scherzasse. Per mia fortuna, la ninfa sorrise, poi si incamminò verso un punto nascosto dal buio, dove, grazie a un gesto della sua mano seguito da un respiro di fuoco, scoprii un’altra presenza. Rossa come il fuoco appena visto, una creatura enorme dal corpo ricoperto di squame del medesimo colore, e denti lunghi e aguzzi come spilli o lame. “È stupenda...” sussurrai sottovoce, meravigliata. Sapevo bene che il nostro mondo era pieno di creature magiche, ma non ne conoscevo molte, e la lista di quelle che sapevo nominare si esauriva sulle dita di una mano. Ricordavo bene i jackalope, conigli con le corna da cervo, gli Slimius, ranocchie in tutto simili a quelle normali se non per lo strano modo che avevano di appiattirsi fino a somigliare a sassi, e gli Arylu come Cosmo o Rover, ma ero più che certa di non aver mai visto una creatura come quella. Senza più parole, la osservai a bocca aperta, e con me anche Christopher, ugualmente meravigliato. “Già, ed è una madre. Da poco ha deposto delle uova, e ai Pyrados serve un posto caldo per averle a dovere.” Spiegò, indicandola con un plateale gesto della mano. Nel buio, rischiarato soltanto dall’alito fiammeggiante di quella sorta di mostro, la sua pelle sembrava più scura del solito, ma non ci badai. “Che dici, potremmo...” azzardai, desiderosa di avvicinarmi. “No, meglio non toccarle.” Intervenne subito lei, precedendomi. Silenziosa come poco prima, non dissi altro, e annuendo, indietreggiai di qualche passo. “Buona, bella, buona.” Dissi in un sussurro, mostrandole le mani tese così da farle capire che non ero una minaccia. Scavando nelle mie esperienze, ricordai di essermi comportata in modo simile quando Anya, la compagna di Red, si era ferita a un occhio e proteggeva i suoi cuccioli nonostante il dolore, e per fortuna, la draghessa rimase dov’era. Incuriosita, fissò lo sguardo color oro nella mia direzione, e pur notandomi, non mosse un muscolo. Mi guardava, e in silenzio, sopportava la mia presenza. Fu questione di istanti, e si concentrò su Cosmo. “Indietro.” Gli ordinai, con un gesto secco della mano. Veloce, il mio Arylu non se lo fece ripetere, e così com’era calato, il buio cessò d’esistere. Fu allora che vidi davvero quella madre e i suoi piccoli non ancora nati, e ai quali, sotto muto consiglio di Amelie, riuscii ad avvicinarmi. “Ecco, ora ti vede, il troppo buio li disorienta.” Disse semplicemente Aster, esperta quanto la cugina. “Se fai piano, forse riesci a sfiorarli.” Aggiunse poco dopo, fiduciosa. “Non adesso, ma grazie.” Replicai in tutta fretta, onestamente spaventata da quell’enorme animale. Nonostante questo, però, aguzzai la vista, e solo allora contai tre uova. Grandi e ben nascoste sotto il corpo della madre, erano lisce ma apparivano ruvide, e i gusci sembravano aver dipinti sopra dei motivi a scaglie, tinti di un sapiente misto di oro e rosso. Emozionata, mantenni il silenzio, e quando il mattino divenne pomeriggio, e la madre sembrò addormentata, mi sedetti con Aster, Amelie e le loro sorelle sul pavimento di roccia, ma non prima di aver usato i miei poteri per renderlo meno duro e più ospitale facendo crescere dell’erba. Fra noi, Amelie fu la prima a trovare posto, e imitandola, incrociai le gambe. Non volendo sembrare scortese o mancare loro di rispetto, anche Christopher si sedette come me, mentre a Cosmo venne concesso di sdraiarsi. “Parlaci, fata, sentiamo che qualcosa ti turba.” Iniziò la ninfa, leggendomi il pensiero e l’anima. “Non molto è cambiato, cara. Si tratta sempre di mia sorella, e in parte anche dei miei bambini.” Esordii a mia volta, incerta sul modo più giusto di spiegare ogni cosa. “Elabora, allora.” Mi incalzò lei, seria e decisa ad ascoltarmi. “Da qualche tempo, amore e sorte hanno smesso di sorriderle, e i miei figli crescono, ma temo per il loro futuro. Saranno davvero al sicuro, con me come madre?” provai a spiegare, per poi azzardare quella domanda. In totale onestà non sapevo davvero perché l’avessi posta, solo che l’attesa di averli e vederli al mondo era stata un cammino lungo e tortuoso, e malgrado non sentissi i malvagi spiriti della foresta tormentarmi da ormai molto tempo, quello era forse l’unico pensiero che non riuscivo a scacciare. “Mi dispiace, Kaleia, ma noi ninfe non vediamo nel futuro. Non intendiamo angosciarti, ma per ora sappi questo. In un mondo come il nostro, luce e ombra lottano su tutto. Abbi fiducia in chi ami, e solo una delle due prevarrà. La scelta sta a chi a sua volta sceglie di combattere.” Criptico e pieno di significato, un discorso che mi lasciò confusa e senza parole, e al termine del quale, ripulendo al meglio la mia veste con le mani e richiamando a me Cosmo così che potessimo tornare a casa, mi rialzai e andai via, anche se non certo prima di aver ringraziato la più importante di loro con un abbraccio che in quel momento ebbe un valore meno affettivo e più simbolico. Al calar della sera, il viaggio di ritorno non fu breve, e con ogni passo, pensosa, mi ripetei nella mente ognuna di quelle parole, cercando quelle più importanti da analizzare come indizi, così da riuscire a risolvere quello che ora mi sembrava un vero enigma, ma che era solo parte dell’aiuto delle sagge sorelle ninfe. 




Un saluto a tutti, voi, miei lettori. A voi un capitolo appena scritto, che avrebbe dovuto essere pomeridiano e poi è diventato serale. Come se non bastasse, è venuto perfino più lungo di quanto mi aspettassi, ma minuzie del genere a parte, spero che sia stato di vostro gradimento, così come, fra l'altro, il resto della saga di Kaleia. Solo il tempo sa cosa accadrà ora, e fino al suo giudizio, ringrazio ognuno di voi per l'incrollabile supporto. A presto,


Emmastory :)

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Capitolo 11
*** Amore in bilico ***


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Capitolo XI 
 
Amore in bilico 
 
Il freddo febbraio aveva da poco iniziato a farci visita, e non avevo ancora ringraziato Sky per aver fatto da babysitter ai piccoli mentre Chris ed io non eravamo in casa. Certo, doveva ancora abituarsi alla loro presenza e al solo fatto di essere diventata zia, e a riprova di ciò li chiamava mostriciattoli, ma la conoscevo, sapevo che scherzava, e che quel suo essere tanto dura era un comportamento appreso nel tempo, una sorta di meccanismo di difesa da tutto il dolore che il mondo sembrava averle inflitto. Pensierosa, mi abbandonai a un lieve sospiro, e alzandomi dalla sedia in cucina, mi avvicinai al piano cottura, già pronta a mettere sul fuoco la caffettiera ancora fredda. Lenta e metodica, mi assicurai di non fare troppa confusione così presto al mattino, e proprio quando afferrai la caffettiera, metallica e gelida come al solito, notai qualcosa. Piccolo e probabilmente scritto in fretta, un biglietto con un messaggio. “Sono stati veri angeli, e in cambio non mi devi nulla... stavolta.” Come al solito, semplice e di poche parole, ma senza firma. Divertita, lo rilessi una seconda volta, e fu allora che capii. “Sky.” Pensai, ridacchiando fra me e me. “Che ti succede?” chiese all’improvviso una voce alle mie spalle, divertita quanto e forse più della mia. “Niente, niente, scusa, leggevo.” Risposi appena, la voce bassa a causa di un’abitudine che l’essere madre doveva avermi portato a imparare. Voltandomi, mi scambiai una veloce occhiata con Christopher, arrivato come me in cucina per la colazione, poi gli passai il biglietto. “Tieni, guarda tu stesso.” Gli dissi, trattenendo a stento una seconda risata. Annuendo, lui non se lo fece ripetere due volte, e silenzioso, lesse quelle poche righe senza scomporsi. “Sempre la solita, vero?” commentò a lavoro finito, sul volto la chiara espressione di chi la sapeva lunga. “O non sarebbe lei, non credi?” replicai, sicura di conoscere mia sorella come il palmo delle mie stesse mani. “Hai ragione.” Non tardò a rispondermi, metaforicamente sconfitto a parole. “Ma ora... dov’eravamo?” disse poi, regalandomi una carezza sulla guancia e un lieve sorriso. “Stavamo per far colazione. Sicuro di non volere un po' di caffe?” mi limitai a dirgli, tentando quell’offerta per l’ennesima volta in chissà quanto tempo. “No, tesoro, non oggi, grazie.” Rispose come ogni volta, non sorprendendomi affatto. “Sei proprio sicuro?” continuai, ronzandogli intorno come una mosca. “Sì, ma forse un giorno potrei provare, chi lo sa?” replicò a quel punto, per poi ridursi ancora al silenzio e aprire il frigo per estrarne un cartone di succo di frutta. Non era caffè, ovvio, ma era buono lo stesso, e se gli piaceva, non ero nessuno per impedirgli di berne qualche sorso. “Per ora non sai cosa ti perdi.” Non mancai di dirgli, mentre sollevavo la caffettiera ora calda per versarmi la prima tazza di quella scura bevanda, sempre deliziosa. “E per ora non voglio saperlo.” Fu svelto a rispondermi, sempre deciso ad avere l’ultima parola. Da parte di entrambi un’abitudine infantile, dovevamo ammetterlo, ma comunque tutta nostra, che a nostro dire dava carattere alla coppia che formavamo. A detta di alcuni sicuramente quello sbagliato, ovvio, ma non ci importava. Guardandoci metaforicamente indietro, ricordavamo spesso tutto quello che avevamo passato, quanto avessimo sofferto e quanta fatica avessimo fatto prima di riuscire ad amarci l’un l’altra senza alcun remore, e decisi, entrambi, ma io per prima, eravamo pronti a vivere il nostro amore per ciò che era, sincero, profondo e a volte anche goliardico, sicuri di non dover certo dar troppe spiegazioni a nessuno. Erano questi i pensieri che mi calmavano quando a volte non dormivo, o quando le voci di quei dannati spiriti tornavano a farsi sentire. Grazie al cielo, ora non accadeva più così spesso, anzi di rado, ma solo perché avevo seguito il consiglio di un’amica e tenuto vicino un cristallo bianco anche dopo la nascita dei miei bambini. Inizialmente, avevo stentato a crederci, ma a quanto sembrava, quel gioiello era in realtà un potente oggetto magico, forse l’unico, ma non ne ero sicura, in grado di proteggermi dal loro tetro apparire e da tutte le loro menzogne. Una vera reliquia secondo mia madre, della quale speravo di ottenere notizie al più presto. Impegnata com’ero con i piccoli e con il mistero di Sky, ero stata così distratta da non riuscire neanche a scriverle una lettera, e intendevo rimediare, ma non oggi. Era strano, forse stupido, lo sapevo, ma nonostante lei fosse stata l’unica persona oltre a Sky a prendersi cura di me e credere in me quando nessuno mi voleva né sembrava volermi bene, prima volevo far luce sugli strani comportamenti di mia sorella. Per fortuna ora usciva dalla camera degli ospiti, ci parlava anche se con il suo solito sarcasmo pungente e privo di modi, e mangiava, anche se, c’era da ammetterlo a giudicare dalle briciole che lasciava e non ripuliva, lo stretto necessario. Preoccupata, finii il mio caffè e gustai appena mezzo biscotto, poi, con una sorta di nodo alla gola e allo stomaco, guardai Chris. “Credi che stia bene?” azzardai, tornando senza volere a mordermi un labbro. “Come? Sì, tranquilla. L’hai vista ieri, era sempre sé stessa, o sbaglio?” mi rispose, calmo e tranquillo come al solito. “Christopher, lo so, e voglio crederci, ma sono preoccupata.” Confessai, seriamente in pena per lei. “Kaleia, amore...” mi chiamò, tristissimo. Nel farlo, si avvicinò di qualche passo, e non appena lo fu abbastanza da toccarmi, cercò la mia mano, poi me la strinse. Non contenta, mi voltai e allargai le braccia, e annuendo, mi strinse a sé. “Kia, è tua sorella. È normale preoccuparsi. Sarebbe strano il contrario, non credi?” continuò poco dopo, la voce a metà fra un sussurro e un incoraggiamento. Chiusa nel mio silenzio, mi limitai ad annuire, e con una debole luce azzurra a circondarmi il corpo come un’aura, sentii gli occhi ardere di dolore. Succedeva sempre quando ero sul punto di piangere, e non riuscivo mai a farci nulla, e aiutata da Christopher, non mi trattenni. Di lì a poco, calde lacrime bagnarono il mio viso e la maglietta del suo pigiama, ma lasciando che mi sfogassi, lui non ci badò. “Ecco, così. Va meglio, ora?” chiese, quando finalmente riuscii a calmarmi. Con gli occhi ancora velati dalle lacrime, annuii ancora, e tirando su col naso, cercai un fazzoletto. “Tieni.” Lasciò intendere, porgendomene uno. Grata, gli sorrisi appena, poi mi asciugai le lacrime e soffiai il naso. A lavoro finito, respirai a fondo, e colpita da uno strano mal di testa, attesi solo che passasse. Per fortuna non ci volle molto, per quanto ne sapevo non era un malanno magico, e dopo altri attimi di silenzio, la voce del mio amato mi distrasse di nuovo dai miei pensieri. “Che intendeva Sky con stavolta?” indagò, sinceramente curioso e con un mezzo sorriso a increspargli le labbra. “Niente di che, soltanto una sciocchezza di quando eravamo bambine, ma come mai?” risposi semplicemente per poi azzardare quella domanda, confusa. Per tutta risposta, Christopher alzò le spalle, poi sorrise ancora. “Così, per sapere. Mi è parso strano nient’altro.” Spiegò, senza più aggiungere altro e ridursi al silenzio. “Strano? Se vuoi sapere qualcosa di strano, lei non ha mai aperto un libro di narrativa in vita sua.” Scherzai, sforzandomi di sorridere nonostante le lacrime, la voce e la lingua impastata. “Cosa? Ma davvero? Mai una storia, o un romanzo?” non potè evitare di chiedermi lui, meravigliato. “Esatto! È così da quando eravamo piccole. Sempre e solo libri di magia.” Spiegai tranquillamente, ridacchiando tanto per quella strana abitudine quanto per il suo sconcerto a riguardo. “Cielo, siete così diverse...” commentò, sconvolto. “Sorelle, non gemelle, ricordi?” ci tenni a puntualizzare, sempre scherzando e con il respiro ora più regolare. “Vero.” Disse appena in risposta, per poi stringermi ancora e godere di quel contatto, caldo nonostante il freddo di questo periodo dell’anno unito a quello della mia tristezza. Sorridendo, lo lasciai fare e scostandomi quanto bastava mi accoccolai a lui su quella sedia, finchè ad occhi chiusi non lasciai che il buio mi avvolgesse e che il resto del mondo svanisse. In breve, al mattino seguì il pomeriggio, e nuovamente più calma e con indosso una veste più pesante, ma non per questo meno comoda, mi sedetti tranquillamente sul divano. A Darius e Delia avevo già badato poco prima di vestirmi, avevano mangiato e ora dormivano profondamente, mentre io e Chris avevamo finalmente modo di rilassarci. Distratta dal tomo di magia bianca della sua famiglia, ne rileggevo in silenzio le parti più importanti mentre lui mi stringeva la mano, e senza accorgermene andai avanti fino a sera, o per meglio dire fino al momento in cui un suono non ci distrasse. Almeno stavolta non si trattava di Cosmo, e stranita e allarmata, mi precipitai alla porta. Confusa, non vidi nulla di strano, e fu solo aguzzando la vista che riuscii a notarli. Poco più grandi del biglietto che avevo ricevuto, fogli di carta appallottolati che si muovevano brevemente nel vento che da poco aveva ripreso a spirare e che non reputavo certo naturale, salvo poi arrendersi e finire per terra, fra l’erba e il gelo senza alcun rumore. Decisa, afferrai la giacca, e anche senza Christopher al seguito, uscii di casa. Il sole era ormai sceso, e probabilmente avrei visto ben poco, ma ero certa che fosse opera di Sky, e malgrado parte di me non volesse, un’altra, governata dalla preoccupazione, mi spinse ad andare subito a controllare. Camminando lentamente, raggiunsi a piedi la finestra della camera degli ospiti, e solo allora, ecco la verità. Frustrata come e più delle altre volte, mia sorella aveva ricominciato a scrivere messaggi a Noah, così da guarire dal malumore o almeno provarci, e alla mia vista, arrabbiata, richiuse la finestra con uno scatto rabbioso, per poi tirare con malagrazia anche le tende, tutto al solo scopo di nascondersi così che non potessi vederla né chiederle nulla. Non la giudicavo, se indagavo era per aiutare, ma in quei momenti, lei mi ricordava Anya. Sola, ferita e spaventata, un animale selvatico e in gabbia, che colto dalla paura, non riconosce alcun soccorritore. Abbassando lo sguardo, raccolsi uno di quei fogli accartocciati, e dispiegandolo, lessi le stesse parole che avevo visto davanti alla porta di quella stanza. “Sono pr​onta a riprovare.” Proprio come prima, anche quella volta, solo quattro parole, e assieme ad esse, la volontà di salvare quello che lei considerava un amore ancora vivo ma finito troppo presto, e ora come ora, sospeso fra il vero e il falso, il tanto e il niente, ovvero, come anche gli umani avrebbero detto, rimasto in bilico.   

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Capitolo 12
*** Il merlo del buon auspicio ***


Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
 
Capitolo XII 
 
Il merlo del buon auspicio 
 
Dopo la scoperta dei messaggi di Sky, ero tornata in casa a dormire, protetta dalle calde coperte del mio letto e dall’abbraccio di Christopher. “Non preoccuparti, si riprenderà, lei e Noah risolveranno.” Mi aveva detto, stringendomi a sé e lasciandomi un bacio fra i capelli prima che mi addormentassi. Lasciandolo fare, non avevo avuto il tempo né la forza di rispondergli, limitandomi invece a ricambiare la sua stretta, chiudere gli occhi e scivolare in fretta nella grigia incoscienza. Ormai da tempo abbracciarci prima di dormire era diventato una sorta di abitudine, un rituale dal quale non riuscivamo a staccarci. Era strano a dirsi, a volte ridevamo solo a pensarci, ma lo stesso discorso era valido al mattino, quando la sveglia di metallo accanto al letto, sul comodino ma lontano dalle lanterne dei piccoli, ci riscuoteva dal torpore in cui cadevamo. Come mi aspettavo, stamattina non è accaduto nulla di diverso dal solito, eccezione fatta per la brillante idea del nostro caro Arylu di saltarci addosso non appena ci ha scoperto svegli. “Cosmo... santo cielo...” mugugno, affatto in vena dei suoi soliti scherzi. È un cane, il nostro cane, ed è giovane, lo capisco benissimo, ma nonostante tutto ancora non sembra capire quanto sia diventato grande, anzi enorme rispetto ai suoi tempi da cucciolo. Non che fosse passato molto tempo, se i miei calcoli erano esatti ora aveva circa un anno, e pur sforzandomi per alzarmi, quasi schiacciata dal suo dolce peso, non fui abbastanza veloce da evitare un saluto colmo di bava. “Cosmo!” sbottai, seccata. Per tutta risposta, l’Arylu non si mosse, e continuando a leccarmi, rimase dov’era, deciso a farmi scendere dal letto proprio come quando era più piccolo. Non mentivo nel dire che allora fosse divertente, ma a quanto sembrava, viziare un animale aveva spesso risultati come quelli, e solo ora me ne pentivo. “Dolce Dea, scendi prima che...” provai a dirgli, troppo agitata per riuscire a finire la frase. Ignorandomi, il cane si limitò a guardarmi, e poi, finalmente soddisfatto, smise anche di agitare la coda. Per mia sfortuna, però, rimase sdraiato dov’era, e piena di vergogna, mi preparai all’inevitabile. Disturbato da tanta confusione, Christopher finì per svegliarsi, e strofinandosi gli occhi assonnati e cisposi, attese finché il mondo attorno a lui non riprese forma e spessore. “Kia? Che... ci fa il cane qui?” chiese, la voce ancora spezzata e rovinata dal sonno. “Chris, amore, scusa. Voleva svegliarmi, sai che è incorreggibile.” Spiegai, facendomi pena da sola. “Sai, è la parola giusta.” Rispose allora lui, trattenendo appena uno sbadiglio. Annuendo, forzai un sorriso pieno della vergogna che già provavo, e spostando lo sguardo su Cosmo, gli intimai ancora una volta di obbedire con un gesto secco della mano. Non volevo essere cattiva, chiaro, ma all’improvviso i punti di vista di tanti altri padroni acquistavano un senso. Non mi piaceva, ovvio, ma di tanto in tanto serviva usare la mano pesante. Visibilmente dispiaciuto, Cosmo alzò lo sguardo color del cielo verso il mio, ma seria, non cedetti. “Scendi.” Ripetei forse per l’ennesima volta, ormai vicina a perdere la pazienza. Poteva sembrare sciocco, stupido, forse addirittura folle, ma nonostante fra noi io fossi l’unico essere magico della coppia, ero fermamente convinta che Christopher avesse bisogno di molto più riposo rispetto a me. Non che non dormissi, certo, ma da ciò che vedevo, i nostri figli stavano crescendo, tanto che a breve si sarebbero trasformati in veri neonati, e a giudicare da ciò che avevo visto negli occhi e sul volto di Sky, ovvero un’altra maschera di dolore, o forse la stessa mai caduta, le cose in tutta Eltaria sarebbero presto cambiate, ne ero sicura. A disturbare e impedire il sonno del mio amato per ora c’era solo la disobbedienza di un Arylu come Cosmo, ma qualcosa, un sesto senso o una voce nella mia testa mi spingeva a credere che la stabilità che vivevamo sarebbe presto scomparsa come un’ombra nella nebbia. Le stelle e la fortuna avevano fatto in modo che non soffrissi d’ansia, e appena sveglia, non avevo che pensieri. “Mi dispiace.” Biascicai, sinceramente dispiaciuta. “Tesoro, non fa niente. Dormivo bene, ma non sono più stanco.” Rispose a quel punto Christopher, cingendomi un braccio intorno alle spalle mentre stava seduto sul letto. “E poi, non vogliamo certo dare tutta la colpa al cane, vero?” scherzò poco dopo, abbozzando il solito sorriso di cui mi ero innamorata. “No?” tentai a quel punto, confusa. “Esatto, no, ma sei gentile a preoccuparti.” Rispose, calmo e tranquillo come al solito. Rinfrancata dalle sue parole, non riuscii a non sorridere, e posando per qualche attimo la testa sulla sua spalla, chiusi gli occhi, felicissima. “Tu invece? Dormito bene?” Seppur semplice e ordinaria, la sua domanda finì per colpirmi come una delle tante palle di neve che avevo visto più di un bambino usare come finti proiettili gelati, e che più di una volta avevano rischiato di colpire qualcuna delle nostre finestre. Distratta, non risposi in tempo, e per nulla sorpreso dal fatto che avessi la testa fra le nuvole, ormai una sorta di costante nel nostro rapporto, Chris non esitò a ripetersi. “Allora? Dormito bene?” riprovò, alzando di poco la voce perché lo ascoltassi. “Come? Certo, grazie.” Mi affrettai a rispondere, veloce e precisa al solo scopo di evitare l’argomento. Non mi piaceva mentire, ancor meno litigare, eppure l’avevo appena fatto. Aveva dormito, sì, ma non bene, e malgrado non mi fossi svegliata continuamente di notte, cosa che reputavo una fortuna data anche la presenza dei bambini, mi ero comunque rigirata fra le coperte, almeno fino a quando non ero riuscita a calmarmi e Cosmo non aveva ben pensato di interrompermi. Al solo pensiero, ora ridevo, e più tranquilla che arrabbiata, non me la sentivo più di incolparlo. Chi lo sapeva, forse in cuor suo aveva avvertito qualcosa, e leccarmi in quella maniera così ossessiva era un modo di svegliarmi, e ripensandoci, sorrisi ancora. “Meglio così, sono contento.” Mi lasciò intendere il mio lui, azzardando un abbraccio nel quale mi crogiolai quasi subito, beandomi del suo calore. Paziente, Christopher non si mosse, e proprio allora, il sole decise di spuntare dal suo letargo dietro ai monti, illuminando a giorno la stanza e circondando i nostri corpi come un’aura. Era ancora presto, la sveglia ora troppo lontana perché potessi controllare l’ora esatta, ma già mi sentivo benissimo. In fin dei conti, Christopher era al mio fianco, e il tempo, gli allenamenti e gli studi di magia mi avevano insegnato che se avessimo continuato a sostenerci l’un l’altra fino a diventare una cosa sola, saremmo stati imbattibili, e nulla avrebbe potuto separarci. D’un tratto i miei cupi pensieri che m’infestavano la mente vennero esiliati, e riaprendo gli occhi per il tempo necessario a guardarmi intorno senza lasciare le braccia del mio amato, notai che anche Cosmo si stava rilassando al sole, seduto poco lontano da noi e dalla sua cuccia, con gli occhi chiusi e una sorta di sorriso compiaciuto sul muso. Contenta per lui, rimasi a guardarlo, e quando l’arrivo di una nuvola bianca come crema spezzò quella magia, mi drizzai a sedere. “Hai fame?” provai a chiedere, ormai sicura che fosse ora di colazione. “Non adesso, cara.” Replicò semplicemente Chris, per poi scivolare nel silenzio e continuare a stringermi. Ad essere sincera non sapevo perché stesse accadendo, ma non volendo indagare, lasciai correre. Mi conoscevo, conoscevo il mio cuore e sapevo di amare quell’uomo con tutta me stessa, e come ogni volta, il suo amore si rivelava un sortilegio perfino più potente di quelli che io, Sky e la mia amica Marisa fossimo in grado di scagliare. Chiaro, la mia magia aveva toni curativi e difensivi, non certo offensivi come molti credevano, a meno che non si trattasse di situazione d’emergenza o esplosioni emotivi. Ormai era passato molto tempo da allora, ma il ricordo del mio incidente con Zaria Vaughn era ancora vivo e nitido nella mia memoria. Come altri, incluso quello della figlia, non vedevo il suo viso da quella che mi sembrava un’eternità, e in totale onestà, nonostante i nostri trascorsi, non aspettavo altro. Stentavo a crederci, e come anche Christopher, ma la croce che mi aveva inciso sulla pelle era stato un suo personale modo di aiutarmi a sopravvivere, come mi aveva fatto capire alla mia relazione con lui, e anche se alla fine non aveva funzionato, sapevo che aveva provato. Chiaro era che avessi molta più fiducia in sua figlia, ma quella era un’altra storia. Intanto, il nostro bacio parve durare all’infinito, o almeno fin quando non mi accorsi di qualcosa. Passi. E rumori. Fino a quel momento Chris ed io eravamo stati gli unici svegli anche se chiusi in camera nostra, e Cosmo era con noi, il che poteva significare solo una cosa. “Chris, è Sky!” esclamai, già emozionata, interrompendo bruscamente quel contatto e tutta la sua dolcezza. “Cosa? Sei sicura?” azzardò lui, confuso da tanta agitazione. “Sicurissima! Vieni, vedrai che ho ragione!” insistette, grata di essere finalmente riuscita a risolvere il mistero dietro le sue continue sparizioni e i suoi ritiri nella camera degli ospiti. Velocissima, non badai a vestirmi, e spalancando la porta con Christopher al seguito, mi precipitai in cucina. “Sky! Stai bene! Ascolta, mi dispiace per ieri, ma devi sapere che...” quasi urlai, decisamente troppo nervosa per badare al tono che utilizzai nel parlare o per regolarlo in alcun modo.  Felice alla sola idea di rivederla, Cosmo mi arrancò accanto, la folta coda in continuo movimento mentre correva. Arrivato in cucina, si costrinse a fermarsi sedendosi accanto al posto a tavola di mia sorella, che ignorandolo, continuò a mangiare il suo toast al burro di arachidi come se nulla fosse accaduto. “Kia, lo so, sta tranquilla e lasciami mangiare. Anzi, vestiti ed esci, una certa Isla continua a passare di qui chiedendo di te. Si può sapere chi è?” quella la sua unica risposta, peraltro bofonchiata a bocca piena. Un’abitudine nata in passato, di cui nostra madre Eliza l’aveva avvertita più volte, ma che ora sembrava essere rimasta radicata in lei. Confusa, fui vicina a strofinarmi gli occhi per l’incredulità, poi ricordai. “Aspetta, hai detto Isla?” chiesi, volendo sincerarmi di quanto appena sentito. “Esatto. Continua a dire che le sue principessine devono andare a scuola, e voleva che le accompagnassi. Chris può accompagnarti, se vuole, e sono certa che le signorine ameranno questo bel cucciolone.” Spiegò, sintetizzando le parole della mia amica fata e quel suo desiderio, che felice, non mi sognai di negarle. “Intendi Cosmo? Sky, santo cielo, allora t’importa e gli vuoi bene!” commentai, sorpresa. “Al cane? Ovvio! Io e il vento potremo anche essere freddi, ma anche l’aria è capace di scaldarsi, non lo sapevi?” replicò lei, seria e giocosa al tempo stesso, contenta come non la vedevo da molto, anzi, troppo tempo. “Buon per te, ma... baderesti a Darius e Delia mentre siamo via? L’altra volta è stato un caso, ma stavolta è un favore.” Mi limitai a dirle, ancora confusa dal vero significato di quelle parole, in quel momento simultaneamente vuote e piene di significato. Non avevo ancora capito cosa volesse dire, ma ci avrei riflettuto più tardi, ora avevo due pixie da accompagnare a scuola, e come se non bastasse, molto altro a cui pensare. Fortunatamente nulla di infausto, o almeno non per il momento. Silenziosa, Sky si limitò ad annuire, e mandato giù l’ultimo boccone del suo pasto, bevve in fretta un bicchiere di latte freddo. “Chissà, forse i miei nuovi baffi piaceranno ai piccoli. In fondo non avete anche una gatta?” scherzò, per poi alzarsi e dirigersi verso la stanza da letto che Chris ed io condividevamo. Divertita, mi lasciai sfuggire una piccola risata, e scelta dall’armadio una veste colorata ma pesante abbastanza per sopportare i rigori della stagione, sparii subito nel bagno di casa. Non avendo altro da fare, Chris ingannò il tempo con l’ennesimo sudoku, mentre l’acqua della doccia, calda e invitante, mi scivolava sul corpo, svegliandolo dal torpore della notte da poco trascorsa. Una volta pronta, uscii per dargli modo di cambiarsi, e non appena anche lui fu pronto ad uscire, mi decisi. “Andiamo, Cosmo.” Dissi soltanto, afferrando il guinzaglio dall’attaccapanni e assicurandolo al suo collare. Quasi annuendo, il cane non si fece attendere, e tirando leggermente, mi accompagnò oltre l’uscio di casa. Seguendolo senza fiatare, mi ritrovai come al solito immersa nel verde, e dopo qualche minuto, alla piazza principale. “Kia!” sentii, sollevando lo sguardo per rispondere a quella voce. “Siamo qui!” disse poco dopo, sorprendendomi. Confusa, non seppi dove guardare, e sotto muto consiglio di Cosmo, che si sedette e grattò un orecchio, confuso almeno quanto me, abbassai di nuovo gli occhi. “Qui sotto.” Disse ancora quella voce, dolce e quasi angelica. Sorpresa, sentii un nuovo sorriso spuntarmi in volto e nel cuore, poi la vidi. “Lunie, ciao!” salutai, felice di vederla. “Ciao!” Replicò in fretta, rispondendo a quel saluto. Sempre sfoggiando quel saluto, le presi la mano facendo attenzione a non farle male, e in breve, anche sua sorella si unì al nostro cammino verso la scuola. “Kia, che bello! Cosmo è cresciuto!” osservò, con gli occhi scuri colmi di meraviglia infantile. “E anche Rover!” ci tenne a farmi notare la sorellina, abbozzando un sorriso a metà fra felicità e orgoglio. “Davvero? Siete fortunate, ora potrete fare tanti giochi diversi.” Disse allora Christopher, rivolgendosi ad entrambe. “Cavalluccio?” provò a dire in quel momento, Lunie, tanto piccola quanto adorabile. Con l’andar del tempo, il suo quinto compleanno si avvicinava sempre di più, e nonostante non fossi sua madre, ora già lontana e ben felice di averle lasciate a me e Chris fino all’arrivo a scuola, dovevo ammettere che sentirla parlare era una vera gioia. Certo, costruiva ancora frasi semplici e piccole come lei, ma stando ai ricordi che avevo, incluso uno in cui si mordeva le mani nel tentativo di autopunirsi per il suo silenzio, i suoi, per quanto lenti rispetto a quelli degli altri bambini, erano pur sempre progressi. Orgogliosa di lei, strinsi appena la presa sulla manina che teneva nella mia, e guardandola, la vidi sorridermi. “Grazie.” Mi sussurrò appena, tenendo bassa la voce perché nessun altro la sentisse. “Di niente.” Le feci capire, strizzandole l’occhio. Grata, la piccola non smise di sorridere, e dopo un lungo cammino, eccoci. Davanti a un vialetto, a un cancello in ferro e a una grande P. Incerta sul da farsi, guardai per un attimo Christopher, che annuendo in silenzio, si espresse chiaramente. “È ora di andare.” Mi disse infatti, unendo quel gesto a uno sguardo colmo d’eloquenza. Annuendo a mia volta, però, non me la sentii di lasciarle, e proprio quando credetti di doverlo fare, la prima campanella della giornata suonò chiara e perentoria, invitando tutti i piccoli scolari a entrare nell’edificio. Finalmente più tranquilla, pregai Lucy di accompagnare la sorella oltre quel punto, e con una stretta di mano e una promessa, la pixie ne fu più che felice. Da allora in poi, considerai il mio lavoro finito, e sulla via di casa, in alto in cielo e in mezzo alle nuvole, la sorpresa più bella e grande di tutto. Una macchia nera seguita da una bianca, che non appena aguzzai la vista, osservando lungamente, scoprii essere un uccello ormai conosciuto con qualcosa di grosso legato a una zampa. Ci volle qualche istante, ma non appena virò verso un albero, scendendovi in picchiata per tornare al suo nido o forse riposare, scoprii la verità. Dopo una lunga assenza, Midnight era tornato a volare, dimostrandosi, nel suo ruolo di messaggero e viaggiatore, un merlo di buon auspicio.  




Saluto caldamente tutti voi, lettori, e vi regalo questo capitolo in quello che per noi umani, diciamolo pure, è un giorno di festa. Kaleia e la sua famiglia non hanno idea di cosa sia Ferragosto, ma noi sì, e spero che lo stiate passando serenamente, anche in quest'anno pieno d'insidie e imprevisti. Non sono sicura di quando riuscirò a  scrivere e pubblicare il prossimo, ma farò del mio meglio. Intanto ringrazio tutti indistintamente del vostro supporto, e a presto, o almeno spero, nel prosieguo delle vicende della nostra Kaleia e di coloro che ama,




Emmastory :)

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Capitolo 13
*** L'innamorato prodigo ***


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Capitolo XIII 
 
L’innamorato prodigo 
 
In silenzio e al freddo, febbraio continuava. Lucy e Lune erano a scuola, le avevo accompagnate esaudendo un desiderio della madre Isla, e seduta in salotto, sorseggiavo una tisana. Frutta e cannella, la mia preferita oltre che l’unica in grado di rilassarmi e scaldarmi quando l’aria della stagione trovava il modo di entrare in casa e gelare ogni stanza. Aiutato da un perenne cappotto di pelliccia, Cosmo invece non soffriva affatto certi rigori, e con lui i nostri bambini, placidamente addormentati nelle loro lanterne dopo che Sky aveva di nuovo fatto loro da babysitter. Almeno stavolta l’avevo ringraziata, e limitandosi a sorridermi quasi senza guardarmi, lei si era sistemata una ciocca di capelli ribelle dietro l’orecchio, e afferrata una spazzola, pettinata al meglio delle sue possibilità. Tranquilla, non avevo indagato né chiesto nulla, e attimi dopo, lei era di nuovo sparita nella stanza degli ospiti, portando con sé alcuni biscotti avvolti in un fagotto ottenuto da un tovagliolo. “Non sono per te, cagnolone.” Aveva detto più volte a Cosmo, che non dandosi per vinto aveva provato e riprovato a seguirla lungo il corridoio. Ridendo divertita, l’avevo richiamato a me, per poi stringere forte il suo collare e guardare mia sorella sfuggire dalle sue pelose grinfie. “Tranquillo, bello, hai il tuo piatto preferito lì, non vedi?” avevo azzardato poco dopo, indicando i suoi croccantini e sperando di riuscire a rassicurarlo. Fidandosi, lui non se l’era fatto ripetere, e ora, in casa non si respirava nulla di diverso dalla calma. “Chris, tesoro?” chiamai, stranita dal suo silenzio. Conoscendolo, sapevo che aveva la tendenza a isolarsi se adocchiava anche un solo sudoku, e tutto al solo scopo di risolverlo, ma ormai non lo sentivo da troppo tempo, e preoccupata, aspettavo. “Sì, Kia?” Per fortuna, rispose, e tirando un sospiro di sollievo non appena fece capolino oltre la porta della cucina, sorrisi, a lui come a me stessa. “Che stavi confabulando?” chiesi poco dopo immischiandomi, sinceramente divertita. “Confabulare? Io? Niente, stavo solo provando a risolvere una cosa.” Ammise, fingendosi colpito da quella sorta di accusa. “Un altro sudoku?” azzardai, sicura di conoscere le sue abitudini perfino meglio delle mie. “No, quelli li ho finiti!” replicò, trattenendo a stento una risata. Pur provandoci, finì per fallire, e contagiata, risi a mia volta. Nel breve silenzio che ne seguì, poi, un miagolio. A quanto sembrava, qualcun altro doveva essersi unito al divertimento, o forse aveva semplicemente fame, ma qualunque fosse la verità, volevo vederci chiaro. Per fortuna non si trattava di nulla di così importante, e colta alla sprovvista da me stessa, per poco non scoppiai a ridere di nuovo. “Chris! Che hai fatto? Chiesto aiuto alla gatta?” scherzai, sentendomi come se quella battuta mi fosse stata servita su un piatto d’argento. Non sentendo altro da lui o da Willow, però, scossi la testa, e afferrata saldamente la tazza di ceramica vuota, la portai in cucina, decisa a lavarla. “Allora, mio custode? A cosa lavoravi?” ritentai, più curiosa di prima. “A questi, mia protetta.” Rivelò lui in quel momento, dolce come sempre. Nel farlo, si scostò dal davanzale della finestra, e fu allora che le rividi. Ancora sane, ancora vive e sgargianti, le viole di Lucy. Ricordavo bene di averle ricevute proprio da lei appena ci eravamo conosciute, in un giorno di primavera, se la memoria non m’ingannava, mentre giocavamo insieme, tutti e tre su un prato di fiori e steli d’erba. Allora era più piccoli, ma giocare con lei era stato divertente, specie quando il suo corpicino di pixie non aveva saputo contenere le sue emozioni, e per tutta risposta un’aura dorata aveva finito per incorniciarglielo, rendendola più dolce, tenera e adorabile di quanto già non fosse. Allietata da quel solo ricordo, sorrisi, e regalando alla piantina una ragione per imitarmi e splendere in questo così duro inverno, chiusi gli occhi. Da allora in poi, non vidi che il buio, e poco oltre, il centro della mia magia. Secondo il libro appartenuto a Christopher e alla sua famiglia, qualcosa di molto simile a un’anima, ma allo stesso tempo lontana da quest’ultima, presente in ogni fata sotto la metaforica forma di un seme, che se coltivato con cura, attenzione e cura da parte della fata stessa, affiancata dal suo protettore, poteva crescere e conferirle ogni volta poteri diversi, ma mai, era impossibile, lontani dal suo elemento. Così, ricordandomi improvvisamente del mio, sollevai leggermente una manica della mia veste, e fu allora che lo vidi. Sempre uguale, mai differente da come lo ricordavo, il mio segno. Come inciso sotto pelle, simile al tatuaggio che il mio Chris aveva sulla sua, ma con un grande, grandissimo significato. Non che il suo, chiara effigie di una spada unita e incrociata a una rosa non ne avesse uno, anzi, ma nonostante tutto, quando a volte mi guardavo le mani anche solo per ammirare l’anello che ci univa, non riuscivo a smettere di pensarci, riflettere e ricordare ogni volta quanto fossi fortunata. Stavo bene, ero felice e continuavo a crescere come fata anche da adulta, ed era solo grazie a lui. Felici, permisi a un ennesimo sorriso di spuntarmi in volto, e tornando alla realtà, posai la mano sul davanzale. Colta alla sprovvista, lo scoprii freddo, e sorpresa, la ritirai all’istante. Notandomi, Christopher me lo impedì, e messe da parte la pianta e i ricordi che era capace di evocare, me la strinse. “Che stai facendo?” sussurrò, dolcissimo. “Avevo freddo.” Biascicai, il tono sospeso a metà fra vergogna e imbarazzo. Senza dire altro, lui strinse ancora di più la presa, e sollevandola con delicatezza, se la portò alle labbra, baciandone lievemente le dita ad una ad una. “Adesso?” chiese, con voce bassa, calma e suadente. “N-No.” Riuscii a malapena a dirgli, emozionata. In quel momento, il cuore prese a martellarmi nel petto, e posando la mano libera proprio sul cuore, come a volerne controllare i battiti, sperai ardentemente che si calmasse. Testardo, non volle saperne, e a pochi passi da me, Christopher sembrò avere la stessa opinione. Lento, mi attirò a sé per un abbraccio, e del tutto rapita, non mi sottrassi. Di lì a poco, i miei battiti accelerarono ancora, tanto da poter essere uditi nel silenzio della stanza, e solo per qualche istante, il resto del mondo cessò di esistere. Non pensavo più a Lucy e alle sue viole, a Sky e alle parole che da poco mi aveva rivolto, a Midnight e al pacco che pareva trasportare quasi fosse stato un piccione viaggiatore anziché un merlo, ma a lui. A Christopher, all’uomo che più amavo. Dispettoso e volubile, il sole si era improvvisamente nascosto fra le nuvole, facendo calare nella cucina di casa un’oscurità inaspettata, ma che nello spazio di qualche momento, ebbe su di me uno stranissimo effetto calmante. Ad essere sincera, non sapevo se ad averlo fosse il buio o la presenza del mio amato, probabilmente entrambe, ma in quel pomeriggio così emozionante non avevo voglia di pensare ai segreti. C’erano, ci avrebbero seguiti come ombre, Chris ed io li avremmo affrontati insieme, certo, ma non ora. Non ora, o almeno non subito. Completamente rilassata, scoprii fra le sue braccia il mio porto sicuro, e ad occhi chiusi, sentii anche il mio cuore calmarsi, decelerando fino ad entrare in perfetta sintonia con il suo. Come dotati di vita propria, il mio ciondolo e il mio segno presero a brillare, e non appena si acquietarono, rieccola. Inaspettata e più brillante di quella che osservavo al mattino, tale da accecarci, la luce. Colta alla sprovvista, fui costretta a coprirmi gli occhi oltre che a chiuderli, e spaventata, Willow si rifugiò sul divano, unico luogo, o almeno così sembrava, in cui quel bagliore non era in grado di raggiungerla. Poco dopo, totalmente a mio agio, risi di cuore della sua codardia, mentre anche Cosmo, abituato a me e ai miei poteri, appariva del tutto tranquillo, e anzi, perfino meravigliato. Quasi a bocca aperta, rimase lì seduto a guardarci, e quando finalmente tutto tornò alla normalità e guardai fuori, notai che la mia magia, o una sorta di scoppio emotivo, se proprio dovevo dargli un nome, aveva funzionato. Le viole erano vive e vegete, il sole splendeva di nuovo oltre le nuvole e il loro candore, e in alto nel cielo, di nuovo intento a solcare l’azzurro, proprio Midnight. Incuriosito, Cosmo piantò le zampe sul davanzale della finestra rischiando di far del male a quei fiori, ma veloce, glielo impedii. “Attento!” gli intimai, più preoccupata che nervosa. Voltandosi a guardarmi, il mio amico Arylu si scusò con un uggiolio, e poco dopo, mugolando anche senza guardarmi, parve scoprire qualcosa. Appena oltre la finestra, il solito spettacolo di erba e selciato insieme, o in altre parole la piazza principale di Eltaria, e lì, in mezzo alla calca di fate, folletti e umani del mercato pomeridiano, qualcuno. Incerta e troppo lontana per esserne sicura, aguzzai la vista, ma invano. Spinto dalla curiosità, Christopher provò a fare lo stesso, ma quando anche lui non riuscì a vedere nulla, lasciammo la cucina per tentare la fortuna in salotto. Fatti pochi passi, il soggiorno e il calore del caminetto acceso ci accolsero, e veloci, ci affrettammo per raggiungere la finestra. Per nostra sfortuna, ancora niente, e tutt’altro che in vena di perdere tempo, desistetti. Girando di nuovo sui tacchi, mi ricordai dei bambini, e diretta verso la camera da letto, esitai, ripercorrendo i miei passi così da sincerarmi di avere tutto sotto controllo. Ancora troppo piccoli per piangere e lamentarsi, Darius e Delia non mi stavano chiamando, ma ormai era pomeriggio, per loro ora di merenda, e decisa, mi preparai a raggiungerli. Così, alcuni attimi scomparvero dalla mia vita, e riempiti i loro biberon di latte caldo, attraversai il corridoio. Poco prima che potessi farlo, un rumore alle mie spalle mi distrasse. Nessuno in casa se lo aspettava, ma a quanto sembrava, quel misterioso figuro ci aveva raggiunti, e ora non sentivamo che strani tonfi contro la porta di casa. Per nostra fortuna, il legno sembrava attutirli, ma non era abbastanza. Paralizzata, mi bloccai sul posto, e solo allora, una voce risuonò dalla camera degli ospiti. “Vado io, Kia!” grazie al cielo si trattava di Sky, e tirando un sospiro di sollievo, tornai ai miei doveri di madre. Abbozzando un sorriso, Christopher non esitò a seguirmi, e solo pochi istanti dopo, la porta si aprì. Confusa, mi voltai per controllare chi o cosa ci fosse appena oltre la soglia, e fu allora che lo vidi. “N-Noah?” biascicò mia sorella, incredula. In silenzio e a labbra serrata, anch’io stentavo a crederci, ma ero lì con lei, non stavo sognando, e ne ero sicura, la vista non mi ingannava.  A quanto sembrava, e finalmente, c’era da dirlo, quel giovane ragazzo aveva ascoltato il proprio cuore fino a prendere una vera decisione, e ora, letteralmente in ginocchio da lei, con l’aria stanca e uno zaino sulle spalle, la guardava. Chiuso in un silenzio di tomba, quasi non riusciva a parlare, e nello sguardo color nocciola non scorsi altro che dolore e pentimento. “Che... che ci fai qui? Tu hai...” balbettò a quel punto Sky, confusa come e forse più di prima. Interdetta, non seppi cosa dirle, e sorprendendoci entrambe, Noah si rialzò in piedi con uno sforzo, e respirando a fondo, riprese la parola. “Eden, lo so, ma è questo il punto. Sky, sono tornato da te, davvero.” Confessò, sincero e realmente innamorato. Colpita, mia sorella non fece che guardarlo, il volto contratto in una smorfia di sorpresa mista a stupore. “Che... che cosa? Vuoi dire che...” rispose in un sussurro, ancora sconvolta e quasi incapace di esprimersi. “Esatto. L’ho lasciata, e per sempre.” Si limitò a dirle lui, deciso come e forse più di prima. “Dici sul serio?” azzardò allora lei, con la voce spezzata e le lacrime agli occhi. Emozionato, Noah si richiuse nel silenzio, e sfiorandola appena, posò la fronte contro la sua, prendendole il viso fra le mani in un gesto dolcissimo. “Certo, tesoro, certo. Quell’elfa per me non esiste più. Ci siamo lasciati, non abbiamo avuto modo di spiegarci, i nostri amici hanno provato e fallito, ma ora è tutto diverso.” Riprese a dirle, stringendola a sé per quel contatto al tempo stesso romantico e solenne. “Noah, ti prego, non capisco!” si lamentò lei, con la voce ora rotta dall’emozione mentre rischiava di scoppiare a piangere. “Sky, amore, c‘è poco da capire. È esattamente come ho detto! Insomma, abbiamo sbagliato. Siamo stati gelosi entrambi, tu di Eden e io di...” Continuò lui, zittendosi di colpo. “Di?” lo incalzò lei, nervosa e preoccupata. Colto alla sprovvista, Noah deglutì a vuoto, e tremando leggermente, le strinse ancora le mani, deciso a vuotare il sacco e dirle in un sol colpo tutta la verità. “Di Major, ecco.” In tre parole, la nuda e cruda verità, il germe dell’invidia e dell’insicurezza che si era insinuato in lui divorandolo dall’interno come uno schifoso parassita. Ora tutto aveva senso, solo ora si capiva, e priva di fiato e parole, Sky rimase lì, fredda, ad osservarlo mentre piccole e calde lacrime le scivolarono sul volto. Svelto, lui fu lì per consolarla, e pur lasciandolo fare e stringendosi a lui alla disperata ricerca di conforto e protezione, non riuscì a calmarsi Da allora in poi, il silenzio aleggiò nella stanza, pesante come una cappa di umida nebbia, e arrabbiata come non mai, lei reagì all’istante. “Accidenti a te, Noah!” sbottò, nelle sue parole un misto d’ira, dolore e tensione. “Era ovvio! Era ovvio, non lo capisci?” aggiunse poco dopo, sforzandosi per parlare a dovere e quasi ferendosi da sola, la gola già in fiamme a causa di quel singolo tentativo. “Tu sei umano, forse non ne hai idea, ma è così per ogni fata abbiamo tutte un protettore, maledizione! Ero felice di rivedere Major quella sera, felice e basta! Non l’ho mai amato, non potrei, perché...” una dopo l’altra, le frasi di quel discorso abbandonarono le sue labbra, e scioccati, tutti noi ascoltavamo. Primo fra tutti lo stesso Noah, che ora l’aveva lasciata per darle il suo spazio, e aveva tenuto per un attimo le mani in alto in segno di resa, lasciando che si sfogasse e buttasse fuori tutto quell’astio nei suoi confronti. Sentire quel nome e poi quell’accusa doveva averla ferita, ma la conoscevo, e in genere la rabbia era spesso la sua unica valvola di sfogo in momenti di forte carica emotiva come questi. In breve, il vento attorno a lei aumentò d’intensità, fino a scuotere gli alberi e far tremare le finestre, ma del tutto rilassato di fronte a lei, Noah affrontava quella tempesta, aspettando silenziosamente che passasse. “Non fa niente, Sky. Non succede niente, sei qui con me, d’accordo? Sei qui con me.” Le sussurrò, calmo e tranquillo, respirando piano per farle capire come fare. A quelle parole, lei riaprì gli occhi tenuti chiusi per un breve momento, e tornando ad essere sé stessa, ricominciò a piangere. “Sì, ma tu sei uno stupido idiota.” Gli fece notare, con la voce ancora rovinata dal pianto e gli occhi velati dalle lacrime. Non sapendo come reagire, Noah rimase fermo a guardarla, e azzardando qualche passo verso di lei, si ritrovò di nuovo fra le sue braccia. Così com’era arrivato, il vento cessò e tacque, e nel silenzio, la voce di mia sorella si udì lieve ma chiara e limpida, come rugiada che faceva splendere le foglie al mattino. “Il mio, stupido idiota. In quel momento, una vera e propria confessione, che Christopher ed io ascoltammo senza parlare né interrompere, neanche quando per la sorpresa i due biberon dei miei piccoli rischiarono di cadermi di mano. Orgoglioso e ancora innamorato di lei, Noah le sorrise, e rendendo ancor più puro e solido quell’abbraccio, venne sorpreso dall’irruenza di mia sorella, irruenza che li portò a un bacio colmo d’affetto e d’amore sincero l’uno per l’altra, che armandosi di coraggio e pazienza lui era riuscito a dimostrarle mettendo da parte vergogna e paura, rivelandosi, grazie a quei gesti e alla sua bontà d’animo, proprio come avevo letto in un libro sacro agli umani, in un racconto da loro conosciuto come parabola, una sorta di fedele innamorato prodigo. 




Buon pomeriggio a tutti i miei lettori. Stando alla mia tabella di marcia, questo capitolo avrebbe dovuto essere online ieri, e in effetti era quasi pronto, ma un impegno dell'ultimo minuto mi ha impedito di pubblicare. Rimedio, diciamo, ora che posso, ma sappiate che per un pò di tempo questo sarà l'ultimo che pubblicherò. Arrivata a questo punto della storia mi serve tempo per pianificare il prossimo, ma intanto ringrazio ognuno di voi per l'importante supporto. Ci risentiremo nel prossimo capitolo, che spero di scrivere presto,


Emmastory :)

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Capitolo 14
*** L'amore alla maniera di entrambi i mondi ***


Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
Capitolo XIV 
 
L’amore alla maniera di entrambi i mondi  
 
Tranquillamente seduta in salotto, guardavo fuori dalla finestra, e quasi lo vedevo. Appena fuori spirava un vento che per una volta non era opera di mia sorella, e con in mano l’ennesima tazza di una tisana preparatami da Christopher, sorridevo debolmente. Dopo tanta agitazione, al bosco e in famiglia le cose stavano riprendendo il loro ordine naturale, se così poteva essere chiamato, e silenziosa come al solito, anche Willow osservava. Al contrario di me, comoda sulla poltrona accanto al divano, e muta come i pesci su cui, ne ero sicura, teneva gli occhi durante le sue ormai famose gite fuori porta, e probabilmente al fiume o alla grotta delle ninfe. Divertita da quel pensiero, ridacchiai appena, poi scossi la testa come per scacciarlo. “Tesoro?” udii poco dopo, una voce alle mie spalle che riconobbi subito. “Chris, dimmi.” Risposi, voltandomi a guardarlo. “Che ne dici, usciamo?” improvvisa e inaspettata, la sua proposta mi colse alla sprovvista, e senza volerlo, avvampai. “C-Cosa?” balbettai poco dopo, confusa e con il cuore a battermi impazzito nel petto. “Dai, Kia, non prendermi in giro, mi hai sentito. Usciamo?” ripetè, calmo e paziente anche mentre mi prendeva in giro. Tutt’altro che offesa, risi con lui, e dopo qualche secondo d’incertezza, mi decisi. “Certo, fammi prendere...” provai a dire, completando poi quella frase a gesti e indicando Cosmo, al momento sdraiato nella sua cuccia. “No, lascia stare il cane, andremo noi due, magari con i bambini, ti va?” replicò lui a quella vista, contrariamente a me già deciso sul da farsi. “Certo, Chris, e anche subito.” Concessi, felice alla sola idea. Ancora a casa con noi, Sky avrebbe potuto prendersi cura di loro, certo, ma ormai era accaduto tante, forse troppe volte di seguito, ed ero sicura che se gliel’avessi chiesto ancora si sarebbe rifiutata, o scherzando, chiesto di essere pagata. Sapevo bene che non l’avrebbe mai fatto, e pensandoci sorridevo, ma c’era da dire che mia sorella era a momenti uguale al vento che controllava, ovvero imprevedibile. Ricordavo ancora un giorno in cui, da piccole, avevo accidentalmente fatto appassire una delle piante di nostra madre usando troppo sole e troppa magia, e volendo proteggermi si era presa la colpa, salvo poi provare a comprare il mio silenzio con alcune delle mie caramelle gommose. Strano ma vero, un comportamento simile a quello dei bulli che per fortuna studiando con le anziane non avevamo mai incontrato, ma che allo stesso tempo, complice forse la giovane età, non mi ero sentita di condannare. Difatti, e prima che avessi potuto accettare, aveva cambiato idea, e non più decisa a togliermi le mie caramelle, era stata ben felice di cancellare quel patto. “Puoi tenerle, scherzavo. E poi Eliza non incolperebbe mai te.” Aveva detto quel giorno, a nove anni, poco prima di rincasare per seguire i cartoni animati. Contenta e grata di quel gesto, avevo sorriso, e rimasta fuori assieme a nostra madre per tentare di riparare a quel danno con le mie forze di pixie, l’avevo pregata di non punire neanche lei. Grazie al cielo aveva accettato, e a quel ricordo, sentii gli occhi bruciare e una lacrima minacciare di rotolarmi lievemente lungo la guancia. “Va tutto bene?” chiese allora Christopher, preoccupato. “Sì, sì, scusa, stavo... ricordando.” Fui svelta a rispondere, non volendo destare sospetti. “Era almeno una cosa bella?” tentò, sorridendo debolmente. Nel farlo, mi cinse un braccio attorno alle spalle, e lasciandolo fare, annuii. “Bene. Meglio così, non credi? Su, ora andiamo.” Disse poco dopo, allargando quel sorriso e incalzandomi leggermente. “Già, ma Chris, aspetta.” Lo pregai, sincera e decisa a parlargli. “Sì? Cosa c’è?” concesse allora lui, buono e paziente come al solito. “Niente, amore. Solo... hai detto che oggi è una giornata speciale per voi umani, o sbaglio?” provai a chiedere, ora più calma e sempre curiosa riguardo al suo mondo. “Non sbagli, infatti è per questo che volevo portarti fuori. Oggi è una giornata tutta dedicata all’amore, e a dirla tutta ha anche un nome, sai?” tranquillo e gentile, anche allora mi rispose con la sua solita calma, e sorridendo, cercai inconsciamente la sua mano. Un gesto automatico e forgiato dal tempo, nonché dal legame che condividevo con lui. “No, quale?” azzardai, più curiosa di prima. “San Valentino.” Disse soltanto, per poi guardarmi e ridursi al silenzio. “San chi?” all’improvviso, una voce ci distrasse. Alta, ma non per questo irritante, proveniva dal corridoio, o meglio, dalla camera degli ospiti. “Sky! Ci stavi spiando?” quasi urlai, indignata. Non che Chris stessimo discutendo di chissà quali affari importanti, ovvio, ma nonostante tutto, scoprire che era lì da chissà quanto tempo mi straniva, arrivando anche ad irritarmi. “No, piantina. È solo ora di colazione!” rispose lei, alzando ancora la voce per farsi sentire oltre la porta della stanza. Sospirando, mi imposi di mantenere la calma, e poco più tardi, eccola. Nel mezzo del corridoio, diretta verso di noi e verso il salotto, con le pantofole e i capelli argentati in disordine. “Buongiorno, e scusate, ragazzi.” Bofonchiò, sbadigliando sonoramente. “Buongiorno a te, figlia dell’aria. Noi due stavamo uscendo, pensi di farcela qui da sola?” le dissi, accennando a un lieve sorriso e sfiorandole una spalla mentre parlavo, prendendomi fintamente gioco di lei. “Sì, o almeno credo. Quanto sarà difficile leggere un libro di cucina?” osservò lei, con la voce e la lingua ancora impastate dal sonno. “Solo per far colazione? Sei seria?” scherzò Christopher, non riuscendo a trattenersi e quasi scoppiando a riderle in faccia. “E se anche lo fossi? Non so ancora cucinare così bene, ma dovrò pur imparare, non credi, protettore?” lo rimbeccò lei, nervosa e agitata. “Chris, ha ragione, e poi non sarà sola. Con lei ci sarà Midnight.” Intervenni a quel punto, non riuscendo a non difenderla. Nessuno le stava davvero facendo del male, Christopher voleva solo scherzare, e lo capivo, ma era pur sempre mia sorella, e a volte l’istinto fraterno prevaleva su quello materno. “E anche Cosmo. Sbaglio, bello?” non potei non aggiungere, comprendendola ma volendo comunque divertirmi. Felice di essere chiamato in causa, il diretto interessato drizzò le orecchie, poi abbaiò una volta sola. “Grazie, Kia. Ora sul serio, andate, non volevo rallentarvi.” Disse allora lei, cogliendomi di sorpresa. Fra noi due, anche a causa del nostro passato, lei era sempre stata quella più seria e meno incline agli scherzi, e memore di ciò avevo smorzato quell’atmosfera per lei tanto irritante, e come d’incanto, ecco che mi ringraziava, dimostrandosi, come d’altronde faceva sin da piccola, matura oltre che decisa. Annuendo, Chris ed io non la disturbammo oltre lasciandola ai suoi esperimenti culinari, e raggiunta insieme la camera da letto, ci preparammo a svegliare i piccoli. “Darius, Delia!” chiamai, con voce dolce e flebile. “Avanti, è ora di svegliarsi, tesori miei.” aggiunsi poco dopo, sporgendomi per guardare dentro le loro lanterne. Lenta, sfiorai con dita delicate le catenine d’oro che come al solito le tenevano ben chiuse, e come ogni volta, lentamente, queste si aprirono. Abituata ai miei doveri di madre, tornai in cucina per preparare i loro biberon di latte caldo, e a lavoro finito, tornai da loro. Scambiandomi con Christopher un’occhiata d’intesa, gliene passai uno, e ancora una volta, ci dividemmo quel compito. Volendo variare, lasciai che lui si occupasse di dar da mangiare a Delia, mentre io facevo lo stesso con il fratellino. Felici, i nostri piccoli non si fecero attendere, e malgrado si trattasse di poche gocce di latte, una quantità che aumentavamo man mano che crescevano sotto consiglio di Amelie e delle altre ninfe, specie ora che mancava così poco alla loro trasformazione, si agitarono subito nei loro piccoli nidi, che presto non sarebbero più bastati a contenerli. Silenziosa, non lo dicevo, o ne parlavo solo con Christopher, ma ormai non aspettavo altro. Sognavo il momento in cui li avrei davvero tenuti fra le braccia, in cui gli avrei mostrato la stanzetta già pronta e tutti i loro giochi, ma soprattutto, perché ero già pronta, non vedevo l’ora di vederli crescere. Ad ogni modo, era ancora mattina, gli scherzi di Sky ci avevano fatto perdere tempo, ma a giudicare dallo sguardo del mio Chris, accompagnato da un sorriso mentre afferrava entrambe le lanterne, ormai deciso a portare i piccoli con noi, non era tardi, e potevamo ancora salvare il nostro giorno insieme, o come mi aveva spiegato, il primo che passavamo insieme. Confusa, mi chiedevo perché non me ne avesse parlato prima dato che ormai stavamo insieme da circa tre anni, ma quando capitava, finivo per giustificarlo. Come protettore, teneva al mio benessere prima di tutto, e che senso avrebbe avuto spiegarmelo prima, se poi tediati da spiriti e difficoltà non avremmo potuto goderne appieno. Era così che scacciavo quel pensiero, e che ora, molto più calma, mi concentravo sul nostro avvenire. Ancora in pigiama, mi concessi il tempo necessario a fare una doccia e cambiarmi d’abito, e poi, finalmente pronta e con indosso il mio vestito bianco a fiori, mi sedetti sul divano, ingannando il tempo con un libro mentre anche Chris si preparava. Fu questione di una decina di minuti, e poi eccolo. Indossava una semplice maglietta e un paio di jeans, ed elegante o meno, per me era bellissimo. “Allora, andiamo?” chiese, cercando la mia mano con quella libera. Mantenendo il silenzio, mi limitai a sorridere e annuire, e finalmente, la porta di casa si aprì. Insieme, mano nella mano, ci incamminammo fra l’erba fino alla piazza principale, dove, sorpresa ma contenta, fui ben felice di scoprire che per l’occasione, tutta Eltaria sembrava aver messo in piedi un nuovo festival. Non certo Notteterna, e di sicuro lungo solo un giorno e non cinque, ma quelli erano dettagli, e per ora non importava. Così, con in mano la lanterna che custodiva mio figlio, e l’altra al sicuro in quella del mio amato, gli camminavo accanto, e guardandomi intorno, non riuscivo a smettere di sorridere. Lo amavo, lo amavo tantissimo, e in quel momento, l’intera comunità sembrava riflettere il nostro amore. Così passava il tempo, e più camminavo, più mi meravigliavo. Le bancarelle del festival estivo erano state rimesse in piedi, e se sui palloncini venduti ai bambini dall’elfo Duilin avevano tutti dei motivi a cuori disegnati sopra, e i pupazzi in premio a quella di Roderick lo gnomo sembravano stringere dei cuori o impugnare arco e frecce di Cupido, un dettaglio che trovavo adorabile, anche il fratello Boris cucinava torte alla fragola usando dei cuoricini di pasta di zucchero come decorazione, e facendo talvolta lo stesso anche con dei golosi pasticcini. Felicissima, sentii il cuore battere forte, e quando ci sedemmo a una panchina, non certo stanchi ma solo pronti ad avere un momento d’intimità, Chris ed io non ci lasciammo le mani, e anzi, ci baciammo, concentrando in quel contatto tutta la passione che ci univa. Attorno a noi, quell’idillio continuava, e non appena ci staccammo, ovviamente bisognosi di respiro, notai che perfino alcuni animali sembravano imitarci. Due scoiattoli dividevano una ghianda, una coppia d’uccelli faceva lo stesso con un rametto per costruire un nido, e ultimi, ma mai per importanza, due gatti camminavano vicini, facendo le fusa e tenendo le code intrecciate. Aguzzando la vista, riconobbi Willow, ma non la distrassi, lasciandole trascorrere del tempo con quello che riconobbi come suo compagno. Notandomi, lei parve strizzarmi l’occhio, e divertita, ricambiai. Troppo comoda per alzarmi da quella panchina, ma non abbastanza da non riuscire a cambiare idea, mi accoccolai al mio Christopher, e poco prima di chiudere gli occhi e ascoltare, in silenzio, il battito del suo cuore, finalmente notai altri visi conosciuti. Leara, sua sorella accompagnata dal misterioso ma gentile Danny, Aster, dolcemente stretta al suo amatissimo Carlos, perfino Sky, probabilmente uscita di casa dopo di noi e in compagnia del caro Noah, e sorprendentemente anche Marisa, che camminava invece assieme a un ragazzo che mai avevo visto. Poco più alto di lei, e anche lui mago almeno a giudicare dall’abbigliamento, o se proprio dovevo essere sincera, dal giovane Pyrados che se ne stava tranquillamente appollaiato sulla sua spalla, e che con il suo respiro infuocato ora scaldava una tazza di cioccolata che i due, strano ma vero, riuscivano a dividere bevendo da due cannucce. Contenta per lei, sorrisi debolmente, e poi, intrappolata nella mia personale bolla di calma e romanticismo, non prestai più attenzione a nulla, se non alla quasi totale assenza di differenze nella celebrazione dell’amore fra il nostro mondo, popolato da fate, elfi, gnomi e altre creature magiche, e l’altro, quello che apparteneva a Chris, Noah, e al resto degli umani, scoprendolo con gioia simile e ugualmente veritiero e profondo alla maniera di entrambi. 




Buongiorno, lettori miei! Mi scuso per il ritardo nella pubblicazione di questo capitolo, ma dopo l'ultimo ero parecchio indecisa, e in più mi è servito del tempo per organizzare il resto delle idee. Spero di non bloccarmi più per così tanto, e che le vicende del capitolo di oggi vi siano piaciute. Grazie a tutti del supporto, e a presto, con il prossimo,


Emmastory :)

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Capitolo 15
*** La bambina dei draghi ***


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Capitolo XV 
 
La bambina dei draghi 
 
Lento come il tempo che scorreva per tutti noi, il sole si preparava a spuntare oltre le montagne che potevo osservare dalla mia finestra, mentre, già in piedi di buon mattino, mi guardavo allo specchio. Il famoso San Valentino si era ormai concluso, ma quella notte avevo dormito benissimo, e a giudicare dall’espressione di pura beatitudine dipinta sul volto di un ancora dormiente Christopher, lo stesso doveva valere per lui. Cauta, mi mossi per la stanza avendo cura di non svegliarlo, e poco prima di uscire, mi voltai a guardarlo. Riposava tranquillo, e con quello di disturbare come l’ultimo dei miei desideri, lo lasciai al suo sonno. Per un istante, feci ricorso ai miei poteri di fata, e grazie al cielo, il frenetico battito delle mie ali fu silenzioso. Fuori dal mio controllo, qualche stilla di polvere di fata si liberò nell’aria, e nascondendo appena una risata, sparii dalla sua vista richiudendomi la porta alle spalle. Piano, per non far rumore, mentre un altrettanto cauto Cosmo mi seguiva. Paziente, attesi che mi raggiungesse nel corridoio, e poi, finalmente, l’attraversai. “Cos’è, hai fame?” gli chiesi, notando che continuava a fissare alternativamente me e la porta della cucina ancora chiusa. Memore del mio silenzio in presenza di Chris, lui rimase fermo dov’era, e dopo un attimo di lieve incertezza, forse scandita da una sorta di imbarazzo, si pronunciò in un debole uggiolio. Confusa, non seppi cosa pensare, e strofinandomi gli occhi stanchi e cisposi, respirai a fondo. Fu quindi questione di un attimo, e non appena aprii la porta, l’impensabile. Caos. In una parola, o meglio due, puro caos. Non riuscivo a crederci, mi ero praticamente appena svegliata e la cucina era già in disastro. Un intero sacco di croccantini aperto e rovesciato per terra, ormai quasi vuoto e incapace di reggersi in piedi, tristemente appoggiato contro l’anta sotto il lavello. “Cosmo, no, ma che hai fatto?” piagnucolai, più nervosa che triste. Silenzioso, l’Arylu si limitò a guardarmi, poi uggiolò ancora, lo sguardo color ghiaccio fisso sul pavimento sporco e pieno di croccantini sparpagliati ovunque. “Mi dispiace, è stato un incidente.” Sembrava dire, realmente in colpa. Troppo buona con lui per arrabbiarmi davvero, avrei tanto voluto accarezzarlo, ma sapevo bene che giovane com’era aveva bisogno di disciplina, così resistetti, e sostenni il suo sguardo. Poco dopo, udii un altro rumore, e non appena rialzai gli occhi, vidi Willow zampettare tranquillamente verso di me, fermandosi per annusare una singola crocchetta e toglierla a suo modo dal pavimento. Alla sua vista, Cosmo agitò la coda indicandola con un cenno del capo, poi, impaziente, attese. “Non è solo colpa mia, guardala! C’era anche lei! È stata anche lei!” provava a dirmi, deciso a scrollarsi di dosso almeno parte di quella colpa, come faceva quando terra, fango e pioggia gli sporcavano il pelo. Credendo alle sue mute parole, annuii, e irritata, guardai anche la gatta. Del tutto disinteressata alle sue stesse malefatte, la gatta mi sfilò davanti con tutta la grazia di cui era capace, e più nervosa di prima, avvertii un principio di mal di testa minacciare di debilitarmi. Scuotendola, sperai di scacciarlo, e sicura di poter rimediare, chiusi gli occhi. Calma e tranquilla, o almeno così speravo, concentrai l’energia magica nelle punte delle dita, e concentrandomi, riuscii a ripulire più in fretta di quanto pensassi, facendo levitare ogni traccia di sporcizia fino a depositarla nella pattumiera. Sapevo bene che avrei potuto usare la cara vecchia scopa e la compagna paletta, ma se c’era una cosa che le anziane mi avevano insegnato prima dell’arrivo di Christopher nella mia vita, e che sembrava davvero aver preso a cuore, ogni pixie aveva il diritto di divertirsi con la magia, anche da adulta. Contrariamente a me, più calma e ligia al dovere, da piccola Sky aveva preso quelle parole alla lettera, e a riprova di ciò io e nostra madre Eliza abbiamo ormai perso il conto di quanti guai abbia combinato, dentro e fuori casa. L’incidente con i fiori era sempre il primo a venirmi in mente, a quel solo ricordo ridevo, ma ora le cose erano diverse. Era mattina presto, un colpo di magia mi aveva permesso di rimettere le cose a posto a vero tempo di record, e come c’era d’aspettarsi, avevo le tempie che pulsavano di dolore. Preoccupato, Cosmo fu lì per confortarmi, mugolando e sfiorandomi una gamba con il muso, mentre, sospirando, mi dirigevo verso il piano cottura. Ormai abituata alla mia solita routine, non esitai a prepararmi un caffè, versandolo in una tazzina quando fu pronto e prendendone piccoli, lenti sorsi. Già a tavola, non dissi nulla, e il silenzio fu rotto solo da un breve lamento di dolore, accentuato in quel momento da una delle abitudini del mio amico Arylu. Non più un cucciolo, certo, ma pasticcione come sempre, mi posò le zampe sulle ginocchia, graffiandole senza volere, pur non strappando, per fortuna, la mia veste da notte. “Scendi! Cosa sei, ancora un cagnolino? Si diventa ingombranti crescendo, sai, pelosone?” scherzai, afferrandogliele delicatamente e scostandole da me. Lasciandomi fare, Cosmo non osò lamentarsi, e tornato a terra, si mosse verso la sua ciotola. “Sarebbe piena se non aveste fatto i vandali.” Gli feci notare, ancora scottata e scontenta dell’accaduto. Dispiaciuto, si voltò a guardarmi, poi scodinzolò ancora, forse nella speranza di rabbonirmi, ma io non cedetti. Finito il mio caffè, lasciai la tazza nel lavandino, sicura di lavarla più tardi, poi, dal corridoio, sentii qualcosa. Abituale e caratteristico, un rumore di passi leggeri ma costanti. Curiosa, rimasi in ascolto, poi li vidi. Prima Sky, poi Christopher, arrivati in cucina quasi contemporaneamente. “Buongiorno, fatina.” Salutò lui, dolce come sempre. Avvampando, ricambiai quel saluto con un lieve sorriso, e pur non avvicinandomi, sperai che capisse. Avrei voluto baciarlo, ma non allora e non in presenza di mia sorella. Tempo prima l’avrei fatto senza curarmene, ovvio, ma era proprio grazie a quello che le cose cambiavano, e considerando anche la sua situazione con Noah, sulla via della ripresa ma ancora non del tutto rosea, decisi di astenermi. “Già buongiorno, fatina.” Non evitò di commentare lei stessa, nella voce lo stesso finto astio che usava quando eravamo bambine. Ricordando quei momenti, nostra madre Eliza diceva che erano tempi migliori, quando poteva passare con noi tutto il tempo del mondo senza che altre preoccupazioni la distraessero. Certo, c’erano la vita familiare e i tanti lavoretti in cui si prodigava per far quadrare i conti, ma ad essere sincera, sono contenta di essere stata estranea a tutto questo. A sei anni non ci avrei capito poi molto, e neanche Sky a dirla tutta, e più i giorni passavano, più sentivo la sua mancanza. Sapeva di me e Christopher, della nascita dei piccoli e della loro crescita, ed era in momenti come quello che ringraziavo il cielo di aver avuto la brillante idea di dar vita a una fitta corrispondenza epistolare. Era così che la informavo sui vari eventi, ricevendo le sue risposte almeno una volta a settimana. Per fortuna, Cosmo me le recapitava se ero in giro per casa invece di distruggerle, mentre Willow, totalmente presa da affari felini, le ignorava. Normale per una gatta come lei, la cosa non mi sorprendeva, e ogni volta che leggevo le sue parole, rischiavo di piangere. Scrivendo, si mostrava felice della mia crescita fisica e morale, la stessa che mi aveva permesso di evolvere da pixie in fata e da bambina a ragazza e poi a donna, ammetteva di voler vedere i nipotini e di preparare per loro mille sorprese, che mi avrebbe personalmente mostrato solo quando i problemi economici avessero smesso di tediarla. In totale onestà non sapevo come si mantenesse al momento, e con alla mente soltanto vaghi ricordi d’infanzia al riguardo, non riuscii a immaginare nulla. Numerose erano state le volte in cui Chris ed io c’eravamo offerti di aiutarla, e altrettanto dirette e decise le sue risposte. “Posso farcela da sola.” Non aveva fatto altro che scrivere, sicura di sé stessa e delle sue capacità. Convinti, avevamo smesso d’insistere, ma ormai avvezza alle ingiustizie del mondo, Sky era stata la prima a dubitare. Io la credevo troppo buona e retta per essersi in qualche modo immischiata in affari troppo loschi da raccontare, ma lei non aveva abboccato, certa invece che un attimo di paranoia tracciasse presto il confine fra una vita tranquilla e una tela da cui era impossibile fuggire. Colta alla sprovvista, per settimane non avevo saputo cosa pensare, ma poi lei aveva allegato a una lettera un fiore come prova del suo lavoro, che avevo annusato e affidato a un vaso d’acqua fresca mentre sbucciavo e assaggiavo una mela pescata per caso dal cesto ricevuto in dono dalla mia amica Marisa. Almeno allora, Sky aveva smesso di essere guardinga, e calma come e quasi quanto me, ora si godeva di nuovo l’amore di Noah, buono, dolce e paziente come Christopher, ma a suo dire incredibilmente misterioso, almeno negli ultimi tempi. “Riesci a crederci? Tanto tempo e non mi ha ancora presentata ai suoi. Tu e Chris avete fatto in fretta invece, sbaglio?” inaspettatamente, è proprio la sua voce a riportarmi alla realtà mentre finalmente mi decido a lavare quella tazza, e stringendomi nelle spalle, quasi non so che dirle. “Sky, smetti di preoccuparti tanto. Prima tanto rumore per Eliza, ora per questo? Forse ha in mente qualche sorpresa! Non sarebbe la prima che ti fa, sbaglio?” commentai, mentre armeggiavo con una spugna e regolavo la pressione dell’acqua del lavandino, pensosa ma tranquilla. Nel farlo, la imitai in quel tono di voce, calcando in special modo l’ultima parola, e colpita ma non arrabbiata, lei rise. “Hai ragione. Pensa, conservo ancora tutte le sue lettere, e lui le mie.” Disse poi, felice e trasognata. Contenta di vederla così rilassata, rimisi a posto la tazzina ormai pulita e asciutta, e in quel mentre, qualcuno bussò alla porta. Veloce come un fulmine, Cosmo si precipitò verso l’uscio di casa come se avesse potuto aprire, e divertita, afferrai uno straccio per asciugarmi le mani. “Fermo, fermo!” ridacchiai intanto, guardandolo scivolare sul pavimento tanta era la sua foga. Drizzando le orecchie, si sedette all’istante, e seppur con la coda sempre in movimento, riuscì a calmarsi. Con mille pensieri in mente e altrettante cose da fare, mi voltai per controllare l’orologio appeso al muro, e per poco non trasalii. Mezzogiorno. Stranita, scossi piano la testa per distrarmi, poi, fintamente stufa del mio Arylu e del suo continuo scodinzolare, aprii. Fu questione di qualche istante, e davanti a me, due piccole amiche pixie accompagnate dai genitori. “Ciao Kia!” salutarono, felicissime, parlando all’unisono come gemelle. “Lucy, Lulu! Ciao!” risposi subito, contenta di rivederle dopo quello che mi sembrava troppo tempo. Poco ad essere onesti, era vero, ma non importava. Era strano a dirsi, forse anche a vedersi, ma mente aspettavo e osservavo il crescere dei miei piccoli, ogni giorno più vicini a quei fatidici due mesi, riversavo tutto il mio affetto su di loro, con grande gioia dei genitori. “Scusa, Kaleia, stavamo andando a casa, ma loro hanno insistito per...” provò a dirmi Isla, sempre paziente con le sue piccole. “No, mamma! Glielo dico io, dai!” esplose in quel momento Lucy, decisa a parlarmi di persona. “Va bene, pixie, diglielo tu.” Concesse il padre, Oberon, calmo a sua volta come l’acqua che sapevo fosse capace di controllare. “Ho preso un bellissimo voto a lezione di Pozioni con il signor Ramirez, e prima di andare a casa mami e papi mi hanno promesso un giocattolo nuovo. Al negozio di zio Garrus, ci vieni? Ti prego!” mi spiegò, diventando subito un vulcano di parole. Silenziosa, attesi che parlasse e sfogasse tutta quell’energia, e non appena accadde, per poco non scoppiai a ridere. Con lei, non di lei, ovvio, specie quando Christopher si ritrovò a un soffio dal cadere nella stessa trappola. Sin dall’inizio della nostra relazione, Lucy era stata per noi una piccola e fidata amica, per qualche tempo anche una sorta di figlioletta, e sentendo il cuore sciogliersi, non riuscii a dirle di no. “Come no, pixie, andiamo pure.” Concessi in quel momento, incalzata da un muto ma sorridente Christopher. Legato a lei come a me, anche lui non aveva potuto rifiutare, e infatti ora eccoci lì, per le strade di Eltaria verso quell’ormai famoso negozio con lei e i genitori. “Che dici, viene anche Cosmo?” proposi, prima che fossimo tutti troppo lontani da casa. Distratta da ciò che aveva attorno e che non vidi, Lucy non rispose, e al suo posto, un’altra voce. “Sì, Cosmo, Cosmo!” era Lune, sua sorella, che alla sua giovanissima, e tenera, non potevo negarlo, età, era ancora eccitata da e innamorata di qualunque cosa la circondasse. Annuendo, non la feci attendere, e guardando per un attimo il mio Christopher, lo sentii esibirsi in un fischio ben modulato, al seguito del quale, anche senza guinzaglio, il nostro caro Arylu si unì alla marcia, mostrandosi goffo al solo scopo di far ridere e divertire le bambine. Sicura di non poter lasciare da soli Darius e Delia per troppo tempo, corsi in casa a prenderli, poi tornai indietro. “Va bene, ora sì che andiamo.” Dichiarai, pronta a seguire le mie amiche pixie e la loro famiglia. Avvicinandosi, Lunie cercò la mia mano per stringerla, e io non gliela negai, lasciandola fare e regalandole un sorriso. Così, passeggiammo insieme per circa quindici, forse venti minuti, e lungo il tragitto, ingannai il tempo parlando con Isla. “Allora, Kia, com’è essere anche tu una mamma?” mi chiese, genuinamente curiosa. “Isla, cara, è stupendo. Mi sveglio ogni mattina sapendo di voler dar loro tutto l’amore possibile, e loro ricambiano. Vero, tesoro?” risposi soltanto, camminando lentamente e cercando anche il parere di Christopher. “Vero, amore. Non ricordi ieri? Hanno cercato di uscire dalle lanterne per svolazzarci intorno.” Raccontò, sorridendo a sua volta e dandomi manforte. Felice a quel solo ricordo, allargai il sorriso che già avevo in volto, poi, quando tornai a guardare dritto di fronte a me, mi accorsi che eravamo arrivati a destinazione. “Eccoci! Che bello!” esclamò Lucy, eccitatissima. In un attimo, sparì oltre la porta d’ingresso, salutando lo zio con educazione mista allo stupore tipico dei bambini. “Ciao, zio! Mamma e papà mi hanno promesso un giocattolo, e forse anche a Lulu, ci fai scegliere? Possiamo?” disse, parlando a velocità supersonica e facendolo ridere. “Certamente, piccina, prego! Ecco, ti faccio aiutare anche da Bea, contenta?” le permise lo zio, un folletto come il padre, che già conoscevo ma del quale non avevo ancora capito l’elemento. Per mia sfortuna, non usava mai tanta magia, e il suo star fermo dietro al bancone mi aveva più volte impedito di scoprirlo, ma non era un problema. In fin dei conti, pensandoci, avrei sempre potuto chiedere alle bambine. Lenta, feci il mio ingresso nel negozio assieme a Chris e ai genitori della piccola, e alla mia vista, Bea sorrise. “Kia, ciao! Cielo, e quelli sono i tuoi figli? Dolce Dea, sono così cresciuti!” commentò, sorpresa. Orgogliosa, finii per arrossire, e alla ricerca di conforto, mi strinsi a mio marito. “Già hai ragione. Crescono così in fretta, ormai manca poco ai loro due mesi, sai?” replicai tranquillamente, stando ben attenta a non gesticolare mentre reggevo la lanterna di Delia. Premuroso, Christopher teneva invece quella di Darius, che tranquillo ma sveglio vi si agitava dentro, curioso riguardo al mondo, o meglio, almeno ora al negozio che lo circondava. “Veramente? Di già? E dimmi, sai come saranno?” azzardò ancora lei, sempre più curiosa. “No, mi spiace. Non lo sappiamo ancora, e onestamente non importa. Chris ed io speriamo solo che siano sani, nient’altro.” Dissi a quel punto, del tutto sincera. “Ben detto, Kia.” Rispose subito Oberon, completamente d’accordo. Sorridendogli, lo ringraziai senza dire nulla, finché Beatrice non lasciò cadere l’argomento, dedicandosi invece alla piccola cliente. “Hai scelto, pixie?” provò a dirle, abbassandosi al suo livello davanti a una cesta piena di pupazzi. “Sì, Bea, e voglio questo.” Le disse, sorridente e tronfia nel sollevare e tenere in mano un peluche a forma d’elefante. Divertita da quella scena, trattenni a stento una risata, e con il cuore gonfio di gioia, restai a guardare. Era un bello spettacolo, non potevo negarlo, e forse per l’emozione, forse per gli ormoni ancora fuori posto, o probabilmente un misto delle due cose, quasi piansi. “Bene, un elefantino! E dimmi, hai già scelto un nome?” le chiese ancora la strega, decisamente interessata a quel nuovo, tenero acquisto. Indecisa, la bambina ci pensò sopra mordicchiandosi un labbro, ma priva di idee, rimase in silenzio. “No, non ancora.” Le disse soltanto, per poi scivolare di nuovo nel mutismo. Volendo aiutarla, anche Bea iniziò a pensare, e pochi istanti dopo, le venne in mente qualcosa. “Tino ti piace?” propose, il sorriso onnipresente sulle labbra. “Non tanto, Bea, no.” Rispose la bambina, sincera. “Non offenderti.” Aggiunse poco dopo, sicura di non voler farla star male. “Sta tranquilla, pixie, abbiamo opinioni diverse, tutto qui.” Le disse la giovane strega, scompigliandole amorevolmente i capelli. Lasciandola fare, Lucy arrossì in volto, e guardando il suo nuovo amico di pezza, cercò nei suoi occhietti scintillanti una nuova identità da assegnargli. Era un giocattolo, nulla di più, ma lei era ancora piccola, e per lei era vero, reale, forse anche vivo. “Dumbino, invece?” ritentò la ragazza, con un improvviso lampo di genio negli occhi color miele. “No, no. Mamma e papà me lo fanno adottare perché ho preso un bel dieci a scuola, e il mio professore è spagnolo, quindi vorrei che il nome fosse spagnolo come lui.” Spiegò a quel punto la piccola, sperando di restringere in quel modo il campo di ricerca. “Ora capisco. Spagnolo, dici? Allora perché non... Jorge!” quello il terzo tentativo della cara Beatrice, pronunciato a voce alta nella speranza che fosse quello giusto per la piccola e per il suo nuovo amico pachiderma. “Questo mi ricorda un cagnetto, ed è divertente, brava.” Commentò invece Lucy, ancora indecisa. Abbassando lo sguardo, lo fissò sul pupazzetto, e in quel momento, ecco la risposta. “Aspetta, ho trovato!” quasi urlò, orgogliosa di sé stessa. “Davvero? Diccelo, allora!” la incoraggiò Bea, felice per lei. “Esteban!” gridò subito la piccola, così contenta da non rendersi conto di star per causare un piccolo terremoto. A causa dei suoi poteri, infatti, malgrado l’aura di dorata gioia che le circondava il corpo, alcuni giochi caddero dalle mensole dov’erano sistemati, e imbarazzata, sorrise debolmente. “Ops!” commentò, incrociando i piedi in segno di vergogna. “Non fa niente, bimba, metto a posto io. Tu intanto divertiti con Esteban, d’accordo?” la rassicurò la strega, probabilmente già abituata a incidenti come quello. Finalmente davvero felice, Lucy saltellò verso il bancone con quel giocattolo in mano come un premio, e frugandosi nelle tasche del giacchetto di jeans, leggero ma caldo, perfetto per l’inverno, tirò fuori le monetine che aveva. “Bastano?” chiese poi, insicura. “Appena appena, Lucy, sei fortunata. Hai messo da parte i soldini, c’è da andarne fieri.” Le rispose Garrus da bravo zio, incoraggiando quella giusta abitudine. “Veramente? Allora grazie! Dai, andiamo, a chi arriva prima a casa!” disse velocemente allo zio, per poi dargli le spalle e rivolgersi al suo nuovo elefantino. Vivo solo nella sua fantasia, il pupazzetto non le rispose, e in un attimo, lei ci sfrecciò davanti, già diretta verso l’uscita. “Lucy, aspetta! È il turno di Lunie, di scegliere, non credi?” le disse la mamma, afferrandole saldamente una manina prima che si precipitasse fuori. “Hai ragione, mamma. Scusa, Lulu!” replicò subito lei, sinceramente dispiaciuta. Tutt’altro che arrabbiata, Isla le sorrise lievemente, e con lei anch’io, per poi guardarla e chiamarla a me con un gesto della mano. “Lucy, vieni qui.” La pregai, dovendo quasi inginocchiarmi per arrivare al suo livello. “Ascolta, non c’era bisogno di scappare via in quel modo. Vedrai, ora anche Lunie prenderà un giocattolo nuovo, e poi vi divertirete insieme.” Le dissi soltanto, premurosa come la mamma che da poco ero diventata. Mantenendo il silenzio, la pixie della terra si limitò ad annuire, e tornata dai genitori, attese che la sorellina facesse la sua scelta. Impaziente com’era, i minuti le sembrarono ore, ma allo scadere di pochi, finalmente, eccolo. Un drago di morbida pezza arancione con le ali color del fuoco, proprio come le scaglie sulla schiena. “Questo!” decise in quel momento la bambina, già sicura di quella nuova, futura amicizia. “Va bene, bimba, dallo a papà, così lo adottiamo. “No, è mio! E vola!” protestò subito lei, pestando i piedi per terra. Paziente, il padre lasciò che si sfogasse, e restando a guardare, vidi la piccola tentare di dimostrare che non mentiva, e con un gesto secco della mano, lasciar andare il suo nuovo amico, affidandolo al cielo che lo credeva capace di solcare. “Vola!” ripeté, convinta, la voce alta e squillante. Fu quindi questione di attimi, e per sua sfortuna, il peluche si schiantò al suolo. In quel momento, avrei davvero voluto usare i miei poteri, improvvisare un incantesimo di levitazione, ma dopo il disastro di Cosmo e Willow la testa mi faceva ancora male, e malgrado il mio ciondolo, anche provare a usare la magia fu inutile. A quella vista, la pixie rimase sconvolta, e trasformando il precedente sorriso in un broncio, per poco non pianse. “Tranquilla, Lune, forse... forse non ha ancora imparato.” Provò a dirle Christopher, sperando di salvare la giornata, o quantomeno la situazione. “No, non è vero! Tutti i draghetti volano, anche da piccoli piccoli. Io questo non lo voglio! Non lo voglio!” Inaspettatamente, solo altre proteste da parte della pixie, che culminarono poi in urla e in un’aura rossa come il suo elemento. Confusa e attonita, non seppi come reagire, sicura che se avessi provato a parlarle avrei solo peggiorato le cose, e così, sotto muto consiglio dei genitori, uscii per prima, seguita poi anche da Christopher. “Ci dispiace, Kaleia, davvero. Di solito non si comporta così.” Si scusò Isla, non appena riuscì a raggiungermi. “Figurati, non fa niente. Mia madre mi racconta spesso che ero un ciclone, a volte, da piccola.” Scherzai, comprendendo perfettamente. “Dici sul serio? Ma non era Sky a controllare il vento fra voi, scusa?” replicò allora lei ridacchiando, immensamente divertita. “Esatto! Perciò pensa quante ne combinavo!” continuai, ridendo con lei. Poco dopo, fu la volta di suo marito, che imbarazzato come e forse più di lei, ora stringeva a sé la bambina, che aveva ancora il viso rosso e gli occhi pieni di lacrime. “Assurdo, vero? Articola per bene solo se è arrabbiata.” Disse, nella speranza che l’ironia spezzasse per qualche attimo la tensione. “Oberon! Sta ancora imparando!” lo riprese la moglie, indignata. Silenziosa e in disparte, non intervenni in quella discussione, concentrandomi invece proprio sulla povera pixie. “Lunie?” chiamai, parlando in tono gentile. “Sì?” mi rispose lei, voltandosi a guardarmi. Con un piccolo sforzo, si liberò dalla stretta del papà, e vicina a Christopher, le permisi di avvicinarsi. “Volevi davvero tanto quel draghetto?” le chiesi poco dopo, posandole piano una mano sulla spalla. Troppo timida per parlarmi, e forse ancora preda della vergogna, lei si limitò ad annuire, e proprio allora, l’idea perfetta mi si affacciò alla mente. “Isla, Oberon, so come aiutarla.” Dichiarai in quel momento, riportandola dai genitori con un sorriso sulle labbra. “Come? Ma dici sul serio?” intervenne sua madre, incredula. “Certo! Seguitemi, non ci vorrà molto.” Li rassicurai, tranquilla e già decisa sul da farsi. “Isla, cara, ne sei sicura? Lunie sta già male, e se la sua idea non funzionasse?” osservò invece il padre, ancora in pena per la figlia. “Su, lasciala fare. Se non altro sarà un modo per farla sorridere!” gli rispose la moglie, chiedendogli di smettere con un cenno della mano. Annuendo, Oberon si ridusse al silenzio, e sconfitto a parole dalla donna amata, si convinse a seguirmi. “Zampe in spalla, Cosmo, andiamo!” ordinai al mio amico Arylu, accelerando per un attimo il passo così da incitarlo. A orecchie già dritte, lui abbaiò festoso, e in un istante, il terreno sotto le sue zampe divenne una distesa gelata. Divertita, Lune riuscì a sorridere e poi ridacchiare brevemente, e con lei anche Lucy, che volendo giocare, si era messa in testa alla marcia per farsi inseguire da Cosmo. Lasciandola fare, i genitori la guardavano divertirsi, mentre invece Lune si limitava a camminare, gli occhi bassi sul terreno e nulla più, neanche una parola. Provando pena per lei, provai ad avvicinarmi, ma se prima aveva cercato la mia mano, ora la spingeva via, cercando di fare lo stesso anche con me. “Spero sia vero.” Disse soltanto, scivolando nel silenzio dopo tre parole e nient’altro. “Lulu, è vero. Più vero di quanto pensi. Dai, vieni.” In quel momento, fu Christopher a parlarle, e sorridendogli, mi strinsi a lui per un breve istante. “Grazie, tesoro.” Gli sussurrai, felice e orgogliosa di averlo accanto. “Di nulla, amore.” Rispose lui, emulando il mio tono di voce e sfiorandomi appena una guancia con le labbra. Imbarazzata, arrossii in volto, e dopo altro camminare, finalmente al selciato si sostituì l’erba, e tranquilla, fui la prima ad addentrarmi nella grotta delle ninfe. La trovai buia e silenziosa, come peraltro non mi aspettavo, almeno finché Lune, probabilmente spaventata, non unì le manine per poi separarle, rivelando sul palmo una piccola fiamma. “Meglio?” mi chiese, preoccupandosi per me. Era piccola, certo, ma non per questo meno buona o gentile di altri, e a giudicare dal sorriso che mi rivolse, debole e stentato, forse cercava di scusarsi per quanto accaduto poco prima. Ero certa che non avesse voluto farmi del male, o letteralmente spingermi via, e fornirmi una luce nel buio era il suo modo di cercare il mio perdono. “Sì, Lunie, grazie. “Pietra sopra? Come mamma?” continuò poco dopo, contagiandomi con la sua dolcezza. A quanto sembrava, suo padre aveva detto la verità, e il suo mutismo spariva del tutto solo con la rabbia, mentre, in altre occasioni, parlava ma poco. Pensosa, mi chiesi come questo influisse sulle sue giornate all’asilo, e poi, concentrata su altro, sperai di riuscire a non distrarmi da quella che per me era diventata una missione. Aguzzando la vista, anche se aiutata da quella fiammella e dalla luce offerta anche dai miei bambini, sperai di scorgere almeno una ninfa, e all’improvviso, un latrato di Cosmo ruppe il silenzio. Per fortuna era felice, non certo minaccioso, ma nonostante questo, la terra tremò. Di lì a poco, della polvere cadde dal soffitto della grotta, e anche i rampicanti lì intorno si agitarono. “Sei di nuovo tu, gelido Arylu?” forte e chiara nell’oscurità che cercavamo di scacciare, la voce di Amelie ci colse di sorpresa, e deglutendo sonoramente, mi feci avanti. “Sì, Amelie, siamo noi. Io, Chris e Cosmo. Ho portato i piccoli, e anche degli amici.” Spiegai, sforzandomi di restare tranquilla anche se tremavo. “Amici, hai detto? Bene, ci farebbe piacere conoscerli.” Rispose lei, insolitamente tranquilla, o comunque meno austera di quanto ricordassi. Nel tempo, il rapporto fra noi era cambiato, e nonostante ricordassi ancora la sua rabbia, il suo astio e i suoi gemmei occhi verdi fissi nei miei nel giorno della bugia di Lucy, cercavo di concentrarmi sul nuovo e non sul vecchio. In fin dei conti, dovevo a lei il coraggio che aveva maturato, così come una profonda gratitudine dopo tutti i suoi consigli. Su quello datomi tempo fa stavo ancora lavorando, più per elaborarlo a dovere che per seguirlo, ma al momento non importava. A farlo ora erano due sole cose, ovvero Lunie e la sua felicità. Scivolando in un rispettoso silenzio, attesi l’entrata in scena della ninfa e delle sue compagne, e alla vista di Aster e Carlos, sorrisi. “Bienvenida, Kia.” Mi disse quest’ultimo, felice di vedermi. ”Gracias.“ Replicai appena, sfruttando le poche lezioni di spagnolo ricevute da Christopher. Indecisa, cercai il suo appoggio, e vedendolo annuire, riuscii a calmarmi. “Ebbene, un saluto ai nuovi arrivati. Fatevi avanti, prego.” In quel preciso istante, riecco la voce di Amelie, e quando uscì dalle ombre, anche la sua figura. Alta e slanciata come al solito, quasi regale, e in una parola, bellissima. Sempre in silenzio, Isla e Oberon mossero qualche passo avanti, e come intimorita dalla nuova conoscenza, Lune diede voce a una sola parola. “Darghetto.” Disse appena, scambiando adorabilmente due lettere. “Come?” azzardò la ninfa, confusa. “Credo intenda draghetto, signora Amelie.” Rispose allora Isla, prendendo la parola e facendo le veci della figlia. “Capisco. Capisco perfettamente.” Replicò la ninfa, la voce e lo sguardo improvvisamente più minacciosi. Colta alla sprovvista, indietreggiai, ma sollevando una mano, lei mi fermò. “Non andare, giovane fata. E lei, signora, mi chiami soltanto Amelie, la prego.” Concesse appena dopo quella sorta di ordine, per un attimo più calma. Annuendo, tornai accanto a Christopher e alla bambina, e rompendo ancora il silenzio, lei si preparò a schioccare le dita. “Credo di avere la soluzione adatta a sua figlia.” Disse poi, decisa. “Blaze!” chiamò poco dopo, alzando la voce per farsi sentire. Nella quiete, solo il suo gesto, e poi, incredibilmente, una sorta di boato. Paralizzata dal terrore, non riuscii più a muovermi, e non appena la luce vinse sul buio, eccola. Maestosa e imponente, la draghessa già ammirata in precedenza. Ancora in procinto di diventare madre, e ancora accompagnata, nonché circondata, dalle sue uova. Sempre tre, sempre colorate come ricordavo, e costantemente protette dalla madre. Meravigliati, i miei amici si fermarono ad osservarla, e senza più parole, Lucy e Lune spalancarono la bocca per lo stupore, tenendosi la mano da brave sorelle. Volendo incoraggiarla, Lucy l‘abbracciò, e appena un attimo più tardi, la lasciò andare. “Fatti avanti, piccola pixie.” In quattro soli lemmi, un ordine a cui la bambina non si sottrasse, e che fatti pochi passi, eseguì senza proteste. “Sì?” tentò, inerme ma coraggiosa. “Vieni ancora più vicina, ho qualcosa da farti vedere.” Le rispose Amelie, restando accanto alla bestia calma e rilassata. Annuendo, la bambina non si fece attendere, e dopo altri passetti, non si mosse più. “Bene?” chiese, di nuovo timorosa. “Benissimo. Ora ascoltami, vedi quelle uova lì, vicine alla mamma drago?” Tranquilla e paziente, Amelie sembrava aver cambiato completamente carattere, come un serpente faceva con la propria pelle, e colpita dalla scena che avevo davanti agli occhi, non osai parlare né interromperla. Solitamente goffo e incline alle buffonate, perfino Cosmo sembrava aver compreso la solennità del momento, e seduto composto, ora non muoveva neanche più la coda. “Può essere tuo, sai? Tutti i draghetti hanno bisogno di un bambino che li adotti prima o poi, e sono sicura che saresti perfetta per uno di loro.” Le spiegò, breve, gentile e con un debole sorriso in volto. “Davvero?” non poté evitare di chiedere la piccola, non credendo alle sue orecchie. “Sì, bimba, davvero. Vieni, così ne scegli uno.” Continuò, incoraggiandola. Annuendo ancora, stavolta con convinzione, la piccola quasi corse verso la belva, che alla sua vista, richiuse gli occhi già stretti a due fessure. Attenta, Amelie si avvicinò più lentamente, e con l’aiuto di Aster, le raccolse dal nido. Metodica, le mostrò alla bambina, che mordicchiandosi un labbro mentre rifletteva sul da farsi, alla fine indicò quello in mezzo agli altri due. Orgogliosa, sua madre fu vicina alle lacrime, ma il marito fu lì per confortarla. “La nostra bambina... Oberon, tesoro, è così felice!” commentò, strofinandosi un occhio. “Lo so, cara lo so. E lo siamo anche noi per lei.” Quella l’unica risposta che il suo Oberon le diede e che al ritorno a casa, ormai di pomeriggio, conferì alla piccola e dolce fatina una nuova identità. Ora non era solo Lune Hall, pixie del fuoco e studentessa della prestigiosa Penderghast, ma anche, e come avrebbe sicuramente raccontato anche ai compagni, la bambina dei draghi.     




Un saluto,a voi, miei lettori. Sì, stasera sono di nuovo in ritardo rispetto alla solita "scaletta dei cinque giorni" ma l'ispirazione prima mi mancava, poi mi ha investita in pieno, e questo fra ieri e oggi. Un capitolo di cambiamento, specie per la piccola Lune, che qui fa un'importante e bellissima esperienza. Che ve ne pare? Aspetto di scoprirlo, ma intanto grazie a tutti dell'incrollabile supporto, e al prossimo capitolo, che spero di scrivere presto,




Emmastory :)

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Capitolo 16
*** Il Maggiore di due mali ***


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Capitolo XVI 
 
Il Maggiore di due mali  
 
Qualche giorno dopo, mi ritrovavo di nuovo a casa, comodamente sdraiata a letto. Chiusa nel mio solito silenzio, non facevo altro che fissare il soffitto, bianco e quasi completamente spoglio, eccezione fatta per il lampadario e le sue luci accese. Colta alla sprovvista, dovetti coprirmi gli occhi e poi voltarmi, e nel farlo, sentii qualcosa. Solo la freschezza del mio cuscino, comodo e morbido come lo ricordavo. Sospirando lievemente, sentii un peso svanirmi piano dalle spalle e dal cuore, e con il silenzio che aleggiava nella stanza rotto solo dal suono del mio respiro, ben presto ne udii un altro. Fino a pochi attimi prima ero convinta di essere da solo, ma appena oltre la finestra, chiusa nel tentativo di proteggere me stessa e i bambini dal freddo, un ticchettio. Seccata, mi voltai di malavoglia, pensando che si trattasse di nuovo di Midnight come molto tempo fa, ma per fortuna si tratta di Willow. Il solo pensiero mi fa sorridere, e più tranquilla di prima, mi alzo per lasciarla entrare. Lenta, le apro la finestra, e abbastanza vicina da toccarla, le sfioro appena il pelo. Corto, setoso e lucente, forse perfino più morbido del cuscino, nonché il risultato dei mille trattamenti di bellezza a cui si sottoponeva regolarmente. Ricordavo bene di aver promesso a Marisa di prendermi cura di lei quando l’avevo adottata, così da renderle la vita che sembrava aver perso e salvarla dalle grinfie di sua madre Zaria. Grata, lei aveva accettato, e dopo averla salutata, aveva lasciato che le dessi una nuova casa, del buon cibo, qualche carezza e soprattutto tanto amore. Ora di lei avevo soltanto il cesto di fiori e frutta che mi aveva regalato, nonché il biglietto che ancora conservavo, ma almeno al momento, nulla di più. Chiudendo gli occhi per qualche istante, l’allontanai dai miei pensieri, e spostando l’attenzione sulla gatta, la vidi quasi ignorarmi. Altezzosa come al solito, si distese sul davanzale anziché entrare, del tutto disinteressata all’aria fredda che intanto aveva iniziato a spirare, gelandomi le mani e il viso. “Willow, entri o no? Dai, fa freddo!” mi lamentai, seccata e stizzita dal suo comportamento. In quanto gatta, era come nata per essere menefreghista, e nonostante sapesse essere dolce e sensibile, un aspetto che in lei apprezzavo ogni volta che la vedevo lasciarsi accarezzare facendo le fusa, ma che ora sembrava totalmente assente. “Allora, entri? Non verrai a dirmi che volevi solo che aprissi la finestra?” le chiesi, più nervosa di prima. Per tutta risposta un’occhiata veloce e disinteressata, seguita poi da un solo miagolio. “E ora che significa questo? Insomma, che vuol dire miao?” azzardai, per poi serrare le labbra, confusa e tesa al tempo stesso. Limitandosi a guardarmi, la gatta non disse altro, e la gelida aria del mattino rischiò di ferirmi il viso. “Come cosa vuol dire? Non sei tu la fata capace di parlare con gli animali?” in quell’istante, una voce proveniente da un’altra stanza, e avrei dovuto aspettarmelo, dalla camera degli ospiti. “Sky, per favore, non è proprio il momento.” Replicai, sicura che non potesse trattarsi di nessun altro se non proprio di lei. “Cielo, siamo suscettibili, oggi, vero, piantina?” sarcastica e pungente come al solito, la sua unica risposta, che massaggiandomi le tempie, già dolenti a causa di un principio di mal di testa, mi sforzai di ignorare. Già stremata, gettai completamente la spugna, e decisa a mettere fine a quella farsa, presi in braccio la gatta. Colta alla sprovvista, si lamentò, tentando anche di scalciare per liberarsi, ma più testarda di lei, non osai demordere. A lavoro finito, la rimisi a terra, e comportandosi come se nulla fosse accaduto, lei si sistemò sul pavimento, comoda e tranquilla. Sfinita dal nostro battibecco e dalle sue resistenze unite all’ormai solito sarcasmo di mia sorella, tornai subito a letto, poi richiusi gli occhi, nella speranza che un buon sonno ristoratore potesse aiutarmi e schiarirmi le idee. Ora la camera era gelata, sulla pelle non avvertivo altro che una strana sensazione di freddo, e più che lieta di vedere nero, espirai. Di lì a poco, un quieto e perfetto silenzio mi accolse, permeando la stanza come la nebbia che di questi tempi scorgevo spesso all’orizzonte. Scoprendomi libera delle coperte, me le tirai fin quasi sopra al mento, e poi, finalmente, fui più tranquilla. Andando alla ricerca di una posizione comoda, mi girai e rigirai più volte, e proprio allora, vidi Christopher. Calmo e silenzioso, mi sorrideva appena, e poco prima di avvicinarsi, si richiuse la porta alle spalle. Piano, così che non cigolasse producendo l’unico rumore che in quel momento non avevo alcuna voglia di sentire. Ricambiando il suo sorriso, lo invitai a sdraiarsi con me sfiorando la parte del letto che di solito occupava, e annuendo, lui non si fece attendere. Fu questione d’istanti, e al sicuro fra le sue braccia, mi rilassai completamente. “Il mattino ha l’oro in bocca, vedo.” Scherzò, attraversando cautamente il metaforico campo minato delle mie emozioni fuori posto. “Già, oro falso.” Risposi, stando al suo gioco e stringendomi a lui fin quasi a far male ad entrambi, per poi acquietarmi e posare la testa sul suo petto e ascoltare il battito del suo cuore. Paziente, lui mi lasciò fare, e scostandosi solo per stare più comodo, mi accarezzò piano la schiena e i capelli. “Proprio non ti va di alzarti?” chiese, premuroso come al solito. Mantenendo il silenzio, mi limitai a un semplice cenno di diniego, poi lo baciai, sfiorandogli piano la guancia con le labbra. Innamorato, lui non osò opporsi, e così com’era iniziato, quel contatto ebbe fine. “No, e tu?” chiesi poco dopo, parlando a bassa voce non appena mi staccai. “Io sono in piedi da un bel pezzo, tesoro. Chi credi che abbia strigliato Sky al tuo posto?” sincera ma piena d’umorismo, una replica che mi fece ridere di gusto, e che ignorando un’altra fitta alle tempie, ascoltai senza interrompere. “Davvero? E che le hai detto, sentiamo.” Azzardai poi, curiosa. Ovvio era che si trattasse soltanto di Sky, mia sorella e non certo una nemica, di quelli non volevo certo sentir parlare di primo mattino, ma nonostante tutto, sapere che facesse le mie veci o prendesse le mie difese mi riempiva il cuore di gioia e d’orgoglio. Ancora una volta avevo la conferma di ciò che già sapevo e pensavo, secondo la quale avrebbe fatto di tutto pur di vedermi sorridere e rendermi felice. Così, ora restavo docilmente stretta a lui aspettando di ascoltare quella storia, come una bambina con un libro di favole. “Semplice, cara. Che eri stanca e preferivi riposare, e che parlerete quando anche lei si sarà calmata.” Disse soltanto, per poi scivolare nel silenzio in attesa di una risposta. Confusa, risi ancora, poi realizzai. “Aspetta, che vuoi dire con quello?” non potei evitare di chiedere, fingendo rabbia e risentimento realmente non provati. “Ancora più semplice. Tu sei nervosa perché è mattina presto, lei... avrà i suoi motivi.” Divertito dalla mia reazione, lui non perse tempo nel rispondermi e illuminandomi ancora, mi picchiettò il naso con un dito con fare giocoso. Alzando gli occhi al cielo, non osai replicare, ma poi, nello spazio di un momento, capii ogni cosa. “Un momento, Chris, hai detto...” balbettai, quasi senza fiato né parole. Colto alla sprovvista, lui si scostò da me, e annuendo, mi lasciò lo spazio che credeva meritassi in quel momento. “Kia, ti senti bene?” in un attimo, le sue parole mi giunsero ovattate, e non riuscendo a vedere nulla, mi sforzai per respirare. Un improvviso dolore al petto mi costrinse fra le coperte, e per lunghi, anzi, interminabili secondi, non udii altro che una voce nella mia testa. “Salvarla... vuoi salvarla, e con lei loro, ma non ci riuscirai...” diceva, allungando appositamente quelle ultime parole. Spaventata e con il cuore in gola, mi drizzai a sedere, e reagendo alle mie emozioni, il mio ciondolo prese a brillare come al solito di luce propria. “Kaleia!” Gridò il mio amato, la voce corrotta da un misto di apprensione e spavento. Seppur con le aride movenze di un automa, riuscii a malapena ad annuire, e sconvolta da un ennesimo capogiro, mi presi per qualche attimo la testa fra le mani. “No, no, vattene! Non sei vera, vattene via!” cantilenai, già esausta. Paralizzato dal terrore, Christopher quasi non si mosse, ma poi, animato da una forza che osservai ma alla quale quasi non credetti, mi strinse forte prima un polso, poi entrambi. Me ne stavo lì, quasi immobile e sconvolta da una sorta di visione, in realtà solo l’eco di quella dannata voce e della tetra, spaventosa frase che stavolta aveva portato con sé. Con uno sforzo che mi parve immane, sbattei più volte le palpebre, e finalmente, tornai ad essere me stessa. “Santo cielo, cos’è stato?” provai a chiedere, confusa e senza forze. “Stavi avendo uno di quei soliti episodi. Dimmi, hai sentito qualcosa, stavolta?” legittima eppure enigmatica, una domanda che ascoltai in silenzio, e alla quale, seppur fuori di me per lo sforzo, non esitai a rispondere. “Sì, ed erano quelle dannate voci. Ce n’era solo una, però, ne sono sicura.” Gli dissi, volendo soltanto liberarmi del nuovo peso che mi opprimeva. “A questo punto è più grave di quanto credessimo. Sono sempre qui che ci ascoltano, te ne rendi conto?” commentò lui in risposta, nella voce un’ormai solita ed evidente vena di preoccupazione. “Certo, ed è questo a spaventarmi. Parlano di me, e di come non riuscirò ad aiutare chi mi sta accanto.” Spiegai, sentendo la voce tremare e minacciare di spezzarsi come un fuscello. “Come se non bastasse ho mille pensieri, e ogni volta che accade qualcosa di bello, ogni volta, loro sono qui a rovinare tutto. Non potevano ignorarmi come prima?” spiegai, con il corpo scosso da tremiti sempre più evidenti. Senza volerlo, finii per piagnucolare e farmi pena, ma facendomi forza, mi concentrai sul presente. Non c’era tempo di badare a certe cose. Non volevo crederci, ma quelle voci avevano occhi e orecchie ovunque, e nonostante parte di me fosse convinta della loro identità di spiriti incorporei, la paura aveva già iniziato a giocarmi brutti scherzi, e ora eccomi lì. A letto, alla ricerca di riposo e conforto, ma al contrario intrappolata nella tela di uno o forse perfino più mostri, tutti pronti ad attaccarmi e straziare le mie carni come avevano fatto in passato, in uno che mi inseguiva e dal quale ora non volevo che fuggire. Terrorizzata, lottai per alzarmi, e per qualche istante, mi guardai allo specchio. Fermo e immobile, Christopher non provò a fermarmi, salvo avvicinarsi solo quando alcune lacrime mi pizzicarono gli occhi, facendoli bruciare. Che stava succedendo? Cosa volevano quegli spiriti da me? Era ormai passato circa un anno, forse anche di più, e nonostante gli sforzi, ancora non capivo. Che sarebbe successo da ora in poi? Si sarebbero concentrate solo su di me o sarebbero presto passati anche ai miei cari e a coloro che amavo? Mi stavano forse punendo per quelli che credevano crimini? I loro messaggi al riguardo erano chiari e criptici al tempo stesso, e frustrata, mi liberai dalla stretta di Christopher e lasciai la stanza. Tutt’altro che felice all’idea di essere disturbata, Willow soffiò e mostrò gli artigli, e guardandola con gli occhi colmi di un misto di dolore e disprezzo, non indifferenti, strinsi la mano a pugno, poi la ignorai. I suoi capricci da diva non m’importavano affatto al momento, e asciugandomi le lacrime, andai dritta verso la camera degli ospiti. Forse scusarmi con lei per quel finto diverbio sarebbe stato il primo passo verso il silenzio di quei maledetti spiriti, non ne ero sicura, ma se davvero mi osservavano, valeva la pena tentare. Già decisa sul da farsi, entrai senza neanche bussare, e proprio allora, l’ultima cosa che avrei voluto vedere. Il suo corpo sul letto ancora sfatto, le coperte fuori posto, e al suo fianco, ancora aperto, un diario che avevo già visto. Sulla pagina che mi ritrovai davanti, un messaggio, stranamente scritto con una calligrafia diversa dalla sua. “Hai bisogno di tempo per capire cosa ti sta succedendo e dove la tua lealtà arriva e si ferma. Ti lascio lo spazio che mi chiedi, e fino ad allora, considerati priva di un protettore. Sincero ma professionale, e freddo come spesso mi descrivi, M.” Breve e conciso, un documento che lessi con delle fresche lacrime agli occhi, per poi strapparlo dal diario a cui apparteneva e conservarlo, così che Sky, già addormentata e apparentemente incosciente, non dovesse vederlo ancora. Preoccupata, le afferrai un polso e cercai il suo battito, sospirando di sollievo quando scoprii che c’era. Era debole, ma c’era. Nervosa come non mai, mi morsi e torturai un labbro lasciandovi i segni dei denti, e agendo in fretta, quasi senza pensare, sussurrai più volte uno stesso incantesimo. La mia magia era prevalentemente curativa, lo ricordavo bene, ma debole com’ero, non sapevo se avrebbe funzionato. Sempre più ansiosa con ogni minuto che passava, continuai a provare e a rigarmi il viso di lacrime, finché, dopo innumerevoli tentativi, la vidi muoversi e provare a respirare. Ringraziando il cielo e qualcuno più in alto di me, inclusa la Dea, tirai un sospiro di sollievo. “Sky! Chiamai, sopraffatta dall’emozione. “Kia...” sussurrò lei, frastornata e confusa. “No, non parlare. Risparmia le forze, ti prego.” Le risposi, la voce irrimediabilmente spezzata. Sforzandosi, lei annuì lievemente, e preso un ampio respiro, provò ancora. M-Mage ha... ha deciso di...” ancora una volta, parole sibilate a mezza voce, messe insieme in una frase che non conobbe mai una vera fine. Disperata, scoppiai in un pianto silenzioso, sdraiandomi lì con lei e tenendole la mano per mantenere viva quella magia. Di lì a poco, tutto fu quieto, ma il suo cuore riprese a battere, e in un mattino che lentamente diventava un pomeriggio denso d’eventi, tutte e due brancolavamo nel buio, incapaci di comprendere quale fosse il maggiore di due mali. 




Una buonasera a tutti voi lettori. Finalmente, dopo tanta attesa, riesco a tornare a questa storia e pubblicare questo capitolo, in cui le cose sembrano volgere al peggio per le nostre due sorelle fate. Ognuna ha i propri problemi, e demoni, o meglio, spiriti da affrontare, ma cosa succederà ora? Staremo a vedere. Il tempo conosce già la risposta, e voi dovrete attendere per scoprirla, e anche se non vi assicuro la solita puntualità nello scrivere, sappiate che farò del mio meglio. Al prossimo capitolo, e fino ad allora grazie a tutti di tanto supporto,


Emmastory :)

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Capitolo 17
*** Ali spezzate ***


Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
Capitolo XVII 
 
Ali spezzate 
 
Non riuscivo a crederci. Era appena successo, quella tragedia era davanti ai miei occhi, eppure non riuscivo a crederci. Mia sorella Sky, l’unica che si fosse davvero presa cura di me prima dell’arrivo di Eliza nelle nostre vite, ancora distesa su quel letto come una bambola ormai dimenticata, con gli occhi chiusi e il respiro lieve di chi lottava per restare in vita. “No, no! Dolce Dea, no!” pensai, restandole vicina e stringendole forte il polso, mentre il suo cuore batteva appena e nel silenzio non udivo che i suoi rantoli. Non parole, solo lamenti, tristi e purtroppo fallimentari tentativi di comunicare con me. “Sky, ti prego, risparmia le forze. Starai meglio, te lo prometto.” Le ripetei, restandole accanto e riprovando quell’incantesimo per l’ennesima volta. Una magia di base, nulla di troppo complicato, che per fortuna, o forse grazie all’intervento di qualcuno più in alto di me, funzionò ancora una volta. Forse il Dio in cui Chris ed io credevamo, forse la Dea a cui mi ero già rivolta, non lo sapevo con certezza, ma nonostante tutto fui grata, e alzando gli occhi a un cielo azzurro e così limpido da sembrare irreale, mormorai e dimostrai la mia gioia, che solo pochi istanti più tardi, si spense come una candela. “Kia...” udii a malapena, sconvolta. “Sì, Sky, sono qui. Andrà tutto bene, davvero. È il mio turno di prendermi cura di te, d’accordo?” risposi al suo indirizzo, sentendo gli occhi dolere e bruciare a causa di un pianto che avrei soltanto voluto liberare. Più veloci dei miei pensieri, alcune lacrime mi rigarono di nuovo il volto, e troppo triste per reagire, le lasciai scorrere. “Aiutami... ti... ti prego.” Tentò di nuovo Sky, ormai senza forze. Annuendo, mi rialzai da terra, e non perdendo altro tempo, riaprii la porta della stanza. Non uscii, ma rimanendo ferma e inerme, rivolta verso il corridoio di casa ancora deserto, mi decisi. Disperata, urlai con quanto fiato avessi in gola, e finalmente, dopo quelle che mi parvero ore, un suono diverso da quello della mia voce. Passi, passi umani e animali insieme, che in breve rivelarono la presenza di Christopher e Cosmo. Willow non si vedeva, ma non ci badai. Forse si era spaventata ed era corsa a nascondersi, ma qualunque fosse la verità su di lei, ci avrei pensato più tardi. Al momento avevo ben altro di cui preoccuparmi, e il motivo della mia preoccupazione era ancora lì. Sempre su quel letto, ora sdraiata in modo più dignitoso dato che l’avevo aiutata, ma sempre in quello stato di pietosa semicoscienza. Era viva, mi aveva parlato, sapevo che era viva, ma più il tempo passava, meno ne avevamo per agire. “Kia, santo cielo, che è successo?” non poté evitare di chiedermi Christopher, allarmato. “Non lo so! Ero venuta a parlarle e scusarmi per stamattina, è così che l’ho trovata!” replicai, non badando al tono che usai nel parlare, già nervosa e divorata dall’ansia. Alle mie parole, Chris non rispose, e pregandomi di farmi da parte con un gesto della mano, avanzò poco oltre la soglia della stanza. Lento, le prese la mano, controllando il segno con occhio attento e critico, e nella sua quiete, nessuna vera risposta. Ricordavo di averlo visto fare qualcosa di molto simile proprio con me, anni prima, quando ancora ci stavamo conoscendo e i miei allenamenti erano prove semplici e basilari. Nulla di difficile, al tempo, per una fata alle prime armi, e a giudicare dall’espressione che aveva dipinta in volto, un misto di serietà, rabbia e dolore, nulla, purtroppo, che potesse fare per aiutarla. Seppur paralizzata dal terrore, mi sforzai di avanzare a mia volta, e non appena fui abbastanza vicina da sfiorarlo, mi gettai fra le sue braccia. “Chris, starà bene? Per favore, dimmi che starà bene.” implorai, ancora una volta sul punto di piangere e con la voce che minacciava di spezzarsi con ogni parola. Colta alla sprovvista, liberai un colpo di tosse frutto di quel pianto, poi, aggrappata a una speranza, tornai a guardarlo. “Mi dispiace, Kia. Solo il tempo potrà dire se si sveglierà o meno.” Mi rispose, sincero e tristemente privo di altre parole d’incoraggiamento. Spaventata, sentii il cuore perdere un battito e un nodo attanagliarmi la gola, e andando alla ricerca di conforto, mi strinsi ancora a lui. Piansi fra le sue braccia, parlando con me stessa e tempestandogli nel mentre il petto di pugni. Non reagì, quindi forse non gli feci alcun male, o forse lasciava che mi sfogassi. Che poteva fare? Era il mio protettore, non il suo, e per quanto avesse voluto, non poteva intervenire direttamente. Lo conoscevo, era triste almeno tanto quanto me, glielo leggevo negli occhi, e tristissima, non riuscii a smettere di piangere, neanche quando, stanca delle mie stesse emozioni, mi sforzai e staccai da lui. “Kaleia, se può farti stare meglio...” balbettò poco dopo, distrutto dalla mia vista in quello stato. Con il volto contratto in una maschera di tristezza, non osai più incrociare il suo sguardo, e voltandomi, mi rifiutai di osservare anche la mia immagine riflessa nello specchio. Com’era successo? Come? Perché non avevo provato prima a riparare il nostro legame? Domande che mi ponevo rifugiandomi nei miei pensieri, e che con i pugni chiusi e stretti fin quasi a conficcarmi le unghie nei palmi delle mani e farmi male, ascoltai incessantemente, incolpandomi da sola. Mi sentivo una stupida. Prima non mi ero accorta della sua sofferenza, poi ero arrivata troppo tardi, e ora sembrava non esserci più nulla da fare. Distrutta, diedi ancora una volta sfogo a quel pianto ininterrotto, e nel silenzio, udii qualcosa. Provando pena per me, anche Cosmo si era avvicinato, e seduto al mio fianco, mugolava tristemente. “Non piangere, o lo farò anch’io.” Sembrava dire, guardandomi con i suoi profondi occhi azzurri come i miei. Rinfrancata, dal suo gesto, sorrisi appena, e respirando a fondo, gli regalai una carezza. “Sto bene, Cosmo, non preoccuparti.” Gli dissi, mentendo e sapendo di mentire. Non mi piaceva, ed era vero, ma allo stesso tempo non volevo tediarlo con quel problema, e quasi annuendo, infatti, l’Arylu mi lasciò da sola, muovendosi invece verso il letto di Sky. Sempre lì, sempre lei, sempre apparentemente priva di sensi. Pareva dormire, ma non era addormentata, e nonostante guardarla mi facesse male al cuore, non potevo lasciarla lì a soffrire. “Cosa, Chris?” Provai finalmente a chiedere, con un barlume di ragione nella mente traviata dalla sofferenza del momento. “Le ho trovato della polvere magica addosso, e non è sua. Hai tentato di aiutarla?” spiegò, per poi guardarmi e azzardare quella domanda. Legittima, data la sua assenza sulla scena fino a pochi momenti prima, ma che data la situazione, mi diede sui nervi. “Cosa? Certo che ho provato ad aiutarla, è mia sorella, che domande fai?” sbottai, inviperita. “Domande da protettore serio, Kia. Esattamente ciò che mi è stato insegnato ad essere.” Veloce e decisa, una risposta che non mi aspettai, e davanti alla quale, abbassai la testa, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. “Scusami, Chris, non volevo.” Biascicai, sinceramente dispiaciuta. Che stava succedendo? Perché litigavamo? In genere non succedeva se non in rari casi e per questioni molto più frivole, ma perché ora sembrava che volessimo attaccarci e ucciderci a vicenda? Non lo sapevo, ma volevo capire. Era per caso colpa delle voci? Mi stavano forse controllando? La loro influenza era davvero così potente su di me? Scuotendo la testa, sperai come sempre di scacciarle ancora, e in quell’istante, rieccone una. “Non durerà, debole fata. Il tuo duro lavoro non porterà a nulla, sai? Arrenditi, prima che sia tardi.” Parole, sussurri che ascoltai senza capire, che nella mia testa esplosero all’istante, fredde e inquietanti come gli spiriti da cui provenivano. Frastornata, mi presi la testa fra le mani, e barcollando leggermente, rischiai di cadere. Per mia fortuna, Chris fu lì per sostenermi, e non cercando che la sua protezione, mi crogiolai nel suo abbraccio. In breve, il calore di quel contatto mi aiutò a dimenticare il freddo, e seppur confusa come non mai, scelsi di ritornare al presente, affrontando la realtà e ciò che ora avevamo davanti. Mia sorella e il suo corpo esanime, ma per pura sfortuna, nessuna idea sul da farsi. “Christopher, che sta succedendo? Non può restare lì in eterno. È svenuta, forse ferita, o peggio...” ebbi appena la forza e il coraggio di dire, per poi scivolare nel silenzio in attesa di una sua risposta. Al momento non importava quale, mi interessava solo ottenerla, avere assieme ad essa la soluzione anche temporanea a quest’enigma, così da provare a risolverlo e dormire finalmente sonni più tranquilli. Attorno a noi il tempo sembrava essersi fermato, ma la fioca luce che filtrava nella stanza tanto oscura mi permise di capire che era ancora mattina, e aprendo la finestra, scoprii che c’era il sole. Caldo, splendente, quasi gioioso, sembrava prendersi gioco di noi. Irritata, spostai la tenda, e posando di nuovo gli occhi su mia sorella, cercai e strinsi la mano di Christopher. Lasciandomi fare, lui tornò a guardarmi, poi annuì con decisione. “Esci e chiama Xavros, Kia. Se tutto va bene, dovremmo essere in tempo.” Mi disse, facendo suonare quella frase come l’ordine di un potente monarca. In quel momento, avevo mille domande, ma limitandomi ad annuire, decisi di star zitta e fare ciò che mi era stato chiesto. Veloce, corsi fuori, e giunta fra l’erba, inspirai a fondo per calmarmi. L’incanto che avevo in mente era diventato facile solo grazie al tempo e alla pratica, e ormai pronta e concentrata, strinsi forte il mio ciondolo in un pugno chiuso. Quasi avesse vita propria, il gioiello prese subito a brillare di una luce verde e intensa, e solo pochi istanti più tardi, quando riaprii gli occhi tenuti chiusi fino a quel momento, eccolo. Xavros. Il maestoso unicorno che ormai non vedevo da tanto, troppo tempo, con il manto bianco e un fiore come simbolo appena sotto la pelle, a simboleggiare il suo legame con la natura. Alla sua vista, sorrisi, e approfittando della porta ancora aperta, richiamai a me anche Christopher, sperando vivamente che riuscisse a sentirmi. Incerta sul da farsi, pregai il cavallo di aspettare con un cenno della mano, e tornando in casa, lo rividi. Ancora fermo e inerme in quella stanza, intento a vegliare sul corpo di Sky. Deciso ma delicato al tempo stesso, s’impegnò per sollevarla, e volendo soltanto aiutare, feci di nuovo ricorso alla magia. Anche in quel caso, una già usata, figlia di un giorno in cui, sfidando la strega Zaria e il suo volere, avevo deciso di aiutare sua figlia Marisa, adagiandola dolcemente su un giaciglio più comodo del pavimento di casa sua. Colpita, la donna mi aveva ringraziata, e quasi ignorando la sua gratitudine, mi ero limitata a spiegarle che agivo per il bene della mia amica. Era stato allora che avevo pensato che forse, nel profondo del suo cuore, quella donna non fosse poi così malvagia, salvo poi cambiare ancora idea nel vederla perdere completamente il senno alla sola menzione della mia attesa e dei miei futuri figli. Se ben ricordavo, non avevo sue notizie da allora, e ad essere sincera, andava più che bene. Il mio obiettivo principale ora era il benessere di Sky, e me ne sarei assicurata personalmente, non lasciando, assieme a Christopher, nulla d’intentato. Di lì a poco, la decisione fu unanime. Sky aveva bisogno d’aiuto, e in fretta, e se appellarmi alle magie di una strega era fuori discussione, occorreva tentare con le ninfe. Grazie al cielo la loro grotta non era lontana, e il viaggio a cavallo avrebbe reso tutto molto più veloce, ma fu allora che li ricordai. Darius e Delia, i miei bambini. Con chi lasciarli in quella situazione così delicata? Erano ancora piccoli, sempre più vicini alla loro prima trasformazione, e fortunatamente già abituati al mondo oltre le loro lanterne. Sapevo che portarli fuori quando Christopher ed uscivamo era una buona idea, poiché per i figli di noi fate funzionava proprio così. La loro essenza doveva prima abituarsi al mondo esterno, poi al corpo che l’avrebbe contenuta, e che io non riuscivo a smettere d’immaginare. Passavo ore a fantasticare su di loro, su come sarebbero cresciuti, sugli elementi che avrebbero avuto, ma soprattutto, chi dei due sarebbe somigliato a chi. A quel solo pensiero, sorrisi a me stessa, e giunta in camera da letto, mi mossi piano per non svegliarli. A quanto sembrava avevano il sonno pesante, e data la situazione, non era che un bene. Sky era mia sorella, loro prima babysitter, e forse dormendo, persi nei loro sogni, non avrebbero visto né si sarebbero accorti dello stato in cui versava. “Bene, buona idea. Non potevamo lasciarli qui.” Commentò Christopher, vedendomi tornare nella camera degli ospiti, o meglio, di Sky. Reggendo le due lanterne, annuì appena, e stringendogli la mano, iniziai a camminare con lui. In breve, ci ritrovammo davanti alla porta di casa già aperta, e in un’istante, un’altra decisione fu maturata e presa. “Tu spicca il volo, io prenderò il cavallo. E pensa ai bambini.” Si limitò a dirmi Christopher, serio come mai l’avevo visto. Agendo d’istinto, spiegai e battei le ali, e pochi istanti più tardi, mi ritrovai intenta a solcare i cieli. Come al solito, non toccavo altezze inimmaginabili, ovvio, ma dal mio nuovo punto di vista, Christopher, Xavros e Cosmo mi apparivano quasi minuscoli, ma nonostante questo, ben distinti. Concentrata sul mio volo, avevo rinchiuso i miei piccoli in due magiche bolle protettive simili a sapone, così che se fosse successo qualcosa, o mi fossi distratta, non si sarebbero fatti alcun male. Abbassando lo sguardo, seguii lo stesso percorso del mio amato, dell’unicorno e del nostro Arylu, e dopo poco, all’arrivo a Eltaria del pomeriggio, finalmente, eccoci. Davanti a noi solo la grotta delle ninfe, e al suo interno, le uniche creature magiche che avrebbero potuto offrirci la benché minima possibilità di salvezza. Giunta a destinazione, scesi in picchiata, e lentamente, rallentai, finché un soffio d’aria non ingentilì il mio atterraggio. Di nuovo vicina a Christopher, cercai la sua mano, e con Cosmo e Xavros al seguito, entrammo. Placido e tranquillo, l’unicorno trasportava Sky come un carico prezioso, e orgogliosa di lui, gli regalai un sorriso. “Grazie dell’aiuto, bello.” Gli sussurrai, contenta. Per tutta risposta, lui batté uno zoccolo per terra, poi scivolò nel silenzio. Il suo personale modo di rispondermi senza nitrire, davanti al quale, già grata, non mossi foglia. “È permesso?” tentai poco dopo, ritrovandomi improvvisamente inghiottita dal buio. Come unica risposta, soltanto una battuta di silenzio, interrotto però dal ruggito di una bestia. Colta alla sprovvista, indietreggiai all’istante bloccandomi sul posto, per poi calmarmi quando l’intera grotta s’illuminò della luce prodotta da un breve respiro di fuoco. Voltandomi, scoprii che ad emetterlo era stata Blaze, la madre drago conosciuta solo poco tempo prima durante quello che per Lunie era come stato un rito di passaggio, e che accortasi della mia presenza, aveva deciso a suo modo di accogliermi. Rinfrancata, riuscii a calmarmi, e dopo altri istanti di quiete, riprovai. “Aster? Amelie? Dove siete?” chiesi soltanto, la mia voce un'eco contro le pareti di roccia. “Siamo qui, Kaleia. Tutte pronte a darti udienza.” Rispose una voce, che ben presto ricordai appartenere alla seconda. “Come sapete del nostro arrivo?” azzardò poco dopo Christopher, confuso. “Noi ninfe siamo le prime ad avvertire gli squilibri di questo mondo naturale, protettore caro.” Replicò la ninfa, tranquilla ma sicura di sé stessa. “Capisco, Amelie, speriamo solo che riusciate ad aiutarci. Non è per me, ma per mia sorella.” Spiegai, riprendendo la parola. Da allora in poi, fu questione di soli istanti, e uscendo dall'ombra in cui si nascondeva, la cara ninfa si presentò a noi. Guardandola, notai che Aster la seguiva in silenzio, e che come Amelie stessa, anche lei non era cambiata di una virgola, e anzi, era sempre la solita. Pelle color dell'erba, capelli castani intrecciati di fiori. Sorridendole, la salutai brevemente con la mano, e notando i miei due piccoli, lei sembrò illuminarsi. Felicissima, aprì e chiuse qualche volta le mani, come a farmi capire in qualche modo che avrebbe voluto stringerli e abbracciarli. Capendo al volo, annuii, ma al mio fianco, Christopher smorzò, seppur nolente, il suo entusiasmo. Non era il momento di pensare a quei neonati, adesso. Almeno per ora, una Sky ancora incosciente aveva la massima importanza. Preoccupata, ricontrollai il suo battito, sospirando nello scoprire che era meno debole di prima. “Bene.” Pensai. “La mia magia l’ha aiutata.” Silenziosa, mi limitai a parlare con me stessa, distratta poi dalla voce di Amelie e dal suo eco in tutta la caverna. “Diteci, ragazzi. Cosa le è successo?” chiese, colpita e forse intristita da quel suo così pietoso stato. Annuendo lentamente, provai a parlare, ma all’improvviso sentii di avere la lingua impastata, e in quell’istante, un altro breve e lieve rantolo. Preoccupata quanto e forse più di me, Aster le si avvicinò per controllarla sotto muto consiglio della cugina, e solo allora, la risposta che tanto aspettavo e speravo di ottenere. “Buone notizie, è ancora viva, e avete fatto bene a portarla qui così velocemente.” A quelle parole, quasi piansi di gioia, e abbracciando Christopher, mi godetti qualche prezioso istante del suo calore. “Chris, amore, ce l’abbiamo fatta, siamo arrivati in tempo!” gli sussurrai sulle labbra, come preludio di un bacio che aspettai solo di ricevere. Sorridendo, lui fu ben felice di accontentarmi, e in quell’istante ci stringemmo l’uno all’altra, sollevati e finalmente più tranquilli. “Vi ringraziamo sin d’ora, ma c’è qualcosa che possiate fare per lei?” azzardò il mio amato, staccandosi da me e tornando di colpo a farsi serio. “Certo, Christopher. I suoi sono sintomi comuni a una perdita di fiducia. Quando accade, una fata non riesce ad andare avanti, il suo corpo non regge, e lo svenimento è spesso la sua unica reazione. Voi fate siete creature sorprendenti, Kia, ma la vostra parte umana è resistente. Anche per questo è ancora con noi, sai?” quella la spiegazione di Amelie, complicata ma facile da seguire, a seguito della quale, annuii. “Successe anche a me, e ricordo bene che fui aiutata da mia madre, l’unica donna oltre a mia sorella e a Chris a credere in me. Al tempo ci eravamo allontanati, e mi sono sentita persa proprio come dici, fino al suo arrivo.” Raccontai, memore di quella che in circostanze diverse avrebbe potuto essere, di sicuro lenta e straziante, la mia dipartita. Al solo pensiero, un brivido mi scosse, e agendo d’istinto ma con calma, già decisa sul da farsi, Amelie mosse appena una mano, e levitando, l’esanime corpo di mia sorella si mosse nell’aria. Attonita, rimasi a guardare senza riuscire a proferire parola, sospirando di sollievo quando vidi la ninfa adagiarla delicatamente su un letto di foglie, e poi chiudendo il pugno, in una protettiva bolla di magia simile a quella che ero riuscita a creare poco prima. Confuso e curioso, Cosmo si avvicinò per indagare, ma non appena il suo naso sfiorò la bolla, un moto d’aria lo scagliò indietro. Pronto, reagì abbastanza in fretta da non farsi alcun male, e scivolando sulla roccia, quasi perse l’equilibrio. “Cosmo!” chiamai, sorpresa. “Non preoccuparti, Kia. Ora è sotto nostra custodia, e la bolla la sta proteggendo, andrà tutto bene.” In quel preciso istante, la voce di Aster mi riportò alla realtà, e sospirando ancora, cercai e incontrai lo sguardo di sua cugina. “Sì, ma adesso? Si riprenderà?” non potei evitare di chiedere, con il pensiero sempre fisso sulla povera Sky. “Kaleia, questo non possiamo dirtelo, o almeno non ora, ma sappi che solo un vero atto di fiducia guarirà il suo essere e le sue ali spezzate.” Un discorso che ascoltai senza interrompere, che con l’arrivo della sera mi fece piangere, ma che, confortata dalla presenza di Cosmo, Christopher e dei bambini, riuscii a mandar giù come un boccone aspro e amaro, sicura che mia sorella, la forte e fragile dama dei venti, ce l’avrebbe fatta, rialzandosi da quel letto di foglie con le proprie forze, e assieme a quelle, altre nuove energie.  
 
 
Buonasera a tutti, cari lettori! Appena dopo Halloween, dopo varie mancanze di tempo e ispirazione, nonchè una lite con il wifi, stasera, a voi questo diciassettesimo capitolo, tanto lungo quanto emotivo. Spero che vi sia piaciuto, e che riusciate a mantenere viva la speranza mentre il destino di Sky sembra appeso a un filo. Grazie di tutto il vostro supporto, e al prossimo capitolo,
 
Emmastory :)

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Capitolo 18
*** La famiglia nella selva ***


Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
 
Capitolo XVIII 
 
La famiglia nella selva 
 
Passavano le ore, e non dormivo. Provavo, certo, ma dopo numerosi e infruttuosi tentativi di chiudere gli occhi e abbandonarmi al sonno, avevo smesso di provare. Non ero sola, anche Christopher era sveglio, e sdraiato a guardare il soffitto di roccia, sospirò. “Neanche tu, vero?” mi chiese, parlando a voce bassa per non disturbare ninfe e boccioli. Come tanti altri visi amici, non vedevo neanche loro da moltissimo tempo, e se prima erano piccoli, deboli e alti come piantine, ora erano alti e robusti come gli alberi che spesso mi ritrovavo intorno, e a quella vista, sorrisi. Persa in un silenzio tutto mio, mi limitai a guardarne due scuotere ognuno i propri rami in segno di saluto, ridacchiando divertita nel vedere alcune delle loro foglie finire per terra. “Un giorno diventeranno più grandi, ninfe come noi o satiri come Carlos.” Disse una voce alle mie spalle, che subito riconobbi essere di Amelie. Voltandomi, incrociai il suo sguardo, e regalando un lieve sorriso anche a lei, non posi domande. A quanto sembrava, quella di piante prima e alberi poi doveva essere la loro forma magica, mentre quella di noi fate ci faceva somigliare a lucciole scintillanti e colorate. A quel pensiero, mi distrassi ancora, e guardandomi brevemente intorno, notai le culle dei miei bambini. Ancora una volta, e ancora per poco, c’era da dirlo, le solite lanterne di ceramica ricevute proprio da Amelie e dalle sorelle, che guardai con i veri occhi di chi ama. Sdraiato al mio fianco, anche Christopher si voltò per osservarli, e nel mentre, cercò la mia mano. “Riesci a crederci? Manca così poco!” sussurrò, faticando stavolta a mantenere un tono neutro. Innamorata, ricambiai quella stretta, e facendomi più vicina per un abbraccio mi lasciai stringere. “Già, e i nostri amici sono tutti qui.” Commentai, felice e orgogliosa come ogni vera madre. “Quasi tutti, Kia, ma non importa. Godiamoci il momento, d’accordo?” rispose subito lui, felice quanto e forse più di me. Sollevando lo sguardo, mi persi nei suoi occhi e nella loro chiara sfumatura di speranza, e fu allora che lo vidi. Era davvero contento, anzi addirittura orgoglioso come lo ero io, e all’improvviso, qualcosa entrò, o meglio, tornò nel mio campo visivo. Non i miei piccoli Darius e Delia, ormai vicinissimi alla loro vitale prima trasformazione, ma al contrario, Sky. Mia sorella, la fata di cui più mi fidavo, quella che aveva reso la mia infanzia memorabile nonostante il dolore, la paura dell’abbandono e il freddo della pioggia, ancora, o almeno così sembrava, placidamente addormentata. Fermandomi a osservare il triste spettacolo che il suo corpo offriva, sentii alcune lacrime inumidirmi gli occhi, e scuotendo la testa, mi imposi di non farlo. Non dovevo piangere, non potevo. Respirando a fondo, sperai di riuscire a calmarmi, e proprio allora, nuove voci nella mia testa. Non quelle degli spiriti, grazie al cielo almeno adesso mi lasciavano in pace, e sollevata, ero arrivata a pensare che mi avessero concesso una tregua, e al loro posto, accompagnate proprio da una che conoscevo e non avrei mai dimenticato, nonostante a volte m’irritasse o desse sui nervi, mille e mille scene di altrettanti ricordi nella mia mente. Insieme, c’eravamo proprio io e lei, e tenendoci per mano, correvamo nei prati, felici e sicure di poter sempre contare l’una sull’altra. Ormai estraniatami dal mondo, non vedevo che quelle immagini nella mia mente, e assieme ad esse, quella voce così importante. “Andiamo, Kia, puoi farcela! So che puoi!” era proprio lei, proprio Sky, fermatasi dopo una folle corsa fra l’erba per aiutarmi a rialzarmi dopo che ero inciampata in una radice. Colta in fallo dalle mie stesse emozioni, non riuscii a impedire a una singola lacrima di rotolarmi lungo la guancia, e in breve, mi scoprii senza fiato. Per qualche istante, un nodo alla gola mi impedì di respirare, e tornando ad essere me stessa, libera da quella sorta di visione, provai una stranissima sensazione all’altezza del petto. Faceva male, ma allo stesso tempo era pieno di gioia e speranza, ed ero certa che pur provandoci, non sarei riuscita a capire da cosa dipendesse. Desiderando la calma, respirai ancora, e in quel momento, tutto mi fu chiaro. Felicità e tristezza si dibattevano nel mio animo, unite indissolubilmente alla voglia di non mollare. Se attorno a noi c’era il buio, io e Christopher sembravamo gli unici in grado di vedere la luce, invisibile agli occhi di Amelie, che alzatasi in piedi, osservava il corpo di mia sorella con occhio attento e critico, ma anche, avrei potuto giurarlo, mesto. Confusa, m’interrogai chiedendomene il perché, e quando anche i miei occhi azzurri cercarono risposte, e lei non ne diede. Più esperta di me in quel campo, e dedita alla medicina come il caro Carlos, che da poco si era unito al nostro gruppo avvicinandosi a un’ancora dormiente Aster, forse sapeva cosa sarebbe successo, e forse, nonostante non parlasse, aveva già capito. “Amelie...” chiamai, con voce rotta da un misto di dolore e apprensione. “Si riprenderà, se è questo che vuoi chiedermi, Kaleia.” Precise e veloci, le sue parole finirono per spiazzarmi, e con un nuovo germoglio di letizia a spuntarmi in petto, guardai Chris. “Tesoro, hai sentito? Starà bene! Non era troppo tardi!” esclamai, alzando di qualche tono la voce pur senza curarmene. “Non è mai troppo tardi, fatina mia.” Mi rispose lui, la voce finalmente di nuovo calda e dolce come la ricordavo. “Ha te come sorella, e forse ora non ci sente, ma sono sicuro che sappia quanto tu le voglia bene.” Aggiunse poco dopo, serio e decisamente più tranquillo. Fiduciosa, mi rifugiai di nuovo fra le sue braccia, e alzandosi dal suo personale giaciglio di foglie, anche Cosmo volle stare con noi. “Vogliamo bene anche a te, bello, sappilo.” Gli dissi, guardandolo negli occhi. Con una sorta di sorriso stampato sul muso, il nostro Arylu parve annuire, poi abbaiò una volta sola. Con un rapido gesto della mano, provai a zittirlo, ma purtroppo, senza successo. Amplificato dall’eco della caverna, il suo latrato scosse della polvere, e spaventati, alcuni boccioli diventati alberelli si strinsero gli uni agli altri alla ricerca di conforto, ma lui, dolce e pasticcione come sempre, non demorse. Esibendosi in una sorta di inchino, infatti, abbaiò ancora e ancora, deciso a dimostrare a quelli che già considerava nuovi amici di non essere affatto pericoloso. “Io sono Cosmo, e voi?” sembrava dire, guardandoli e agitando la coda. Confusi, gli alberelli non risposero né si mossero, e poco dopo, qualcos’altro accadde. Troppo distratti, non c’eravamo accorti dello scorrere del tempo, ma a giudicare dal raggio di sole che riuscì a filtrare attraverso una fessura nella roccia, scalfendola pur senza rovinarla, la notte era passata, e ormai era mattina. Colpita da un ricordo, divenni rigida come un’asse di legno, e di nuovo concentrata su Sky, attesi. In quell’ambiente pieno di luce, solo il silenzio, saltuariamente rotto dal brusio dei boccioli più giovani, ma nonostante tutte le mie mute preghiere, ancora nulla. “Sta tranquilla, tesoro, tranquilla. Amelie ha detto che si riprenderà, dobbiamo solo avere fiducia.” Azzardò Christopher, che sembrava aver già notato la mia agitazione. “Fiducia, Chris?” Replicai, stizzita. “Fiducia? Siamo qui da tutta la notte, e non è ancora cambiato nulla. È pur sempre mia sorella, provo troppe emozioni, accidenti!” continuai poco dopo, alzando ancora di più la voce e finendo per urlare, così forte da spaventare il povero Cosmo, che accorgendosi di tutto, si rintanò in un angolo con la coda fra le zampe. A poca distanza da lui, invece, Blaze emise una sorta di ruggito, decisa a proteggere le sue uova da quella che ora considerava una minaccia. “Questo possiamo capirlo, giovane fata, credimi. Ma che succede, non ti fidi più della mia parola? O di quella di mia cugina?” chiese allora Amelie, oltraggiata. “Cosa? No, no, assolutamente, è solo che...” balbettai in risposta, facendomi pena e schifo da sola. Anche in quel frangente, non capivo cosa stesse succedendo, né riuscivo a spiegarmene il perché. Ero presente, viva e lucida, ma nonostante tutto mi sembrava di star lentamente andando alla deriva, come le barchette di carta che facevo galleggiare sul lago di Primedia con l’aiuto di Eliza. Chissà dov’era ora, mentre io, al sicuro in una grotta di ninfe, boccioli neonati e cresciuti, e la mia stessa famiglia di creaturine magiche ma in parte umane, soffrivo tanto. Aveva detto che mi avrebbe raggiunta affidando proprio quelle parole a una lettera, certo, ma data la situazione, le rassicurazioni non bastavano più. Avevo bisogno di stabilità, quiete e certezze, e voltandomi verso Christopher, anzi, correndo di nuovo fra le sue braccia, sperai di ritornare a un porto sicuro. “Va tutto bene, amore mio, sfogati.” Mi disse soltanto, accogliendomi come solo lui sapeva fare. Stremata dalle mie stesse emozioni, sentii la mia rabbia trasformarsi in lacrime, e parte dei fiori ai miei piedi trasformarsi in rovi e spine. Un modo come un altro per i miei poteri di manifestarsi in base a ciò che sentivo, e che Amelie si limitò ad osservare senza una parola. Era esperta, lo sapevo bene, vedevo che capiva, e come Christopher, mi lasciava sfogare. “Allora... allora dicevi il vero?” piagnucolai, parlandole a mezza voce e sperando in una risposta che almeno stavolta non fosse un enigma. “Certamente, cara fata. Io e le mie sorelle capiamo il dolore, ma colei che chiami Sky sta ancora bene. È qui con noi, e anche se non sembra, riesce a sentirci. È debole per reagire, e come ripeto, soltanto un atto di fiducia riuscirà a guarirla davvero.” In quelle parole, due facce della stessa medaglia. Quiete e confusione insieme, impegnati a combattere l’una contro l’altra, ognuna con la stessa speme di vincere quella metaforica battaglia. Confusa come non mai, non sapevo più cosa pensare, e non riuscendo a trattenermi, ripresi la parola. “Siamo la sua famiglia. Siamo tutti qui, cos’altro le serve? Dimmelo, ti prego, vogliamo solo aiutarla.” Implorai, avvicinandomi di qualche passo e quasi cadendo in ginocchio di fronte a lei. Un comportamento patetico, lo sapevo, ma al momento non importava. In fin dei conti, quanto contava il mio onore al momento rispetto alla sopravvivenza di mia sorella? Nulla, ecco quanto. Imitandomi, anche Cosmo prese a mendicare, e finalmente, dopo quella che ci parve un’eternità, la ninfa si decise. “Aster, Carlos, svegliatevi. Credo sia arrivato il momento giusto per una preghiera.” Disse, seria come mai ricordavo di averla vista. C’era stato il nostro primo incontro, e poi il giorno in cui mi aveva liberato dalle grinfie della strega e dall’oscura croce che mi aveva impresso sul polso, ma ora il presente eclissava il passato, e seguendomi senza parlare, anche Christopher si unì a quel momento tanto solenne. Di lì a poco, attorno a noi solo il silenzio di un vero e proprio luogo di culto, e non appena riaprii gli occhi, tenuti chiusi in segno di rispetto, due piccole luci, bianche e splendenti. Meravigliata, non riuscii a smettere di guardarle, e poco dopo, capii. Persa in quel turbine di emozioni forti, diverse e contrastanti, li avevo ignorati per quasi tutto il tempo, ma loro c’erano ancora. Darius e Delia, i miei amati bambini, che a modo loro dovevano aver compreso la gravità e la solennità del momento, e unendo le loro minuscole anime alle nostre, avevano deciso di aiutare, o almeno provarci, dando nuova luce, e soprattutto nuova speranza a tutti noi, che insieme non eravamo altro che un gruppo, o per meglio dire, una famiglia nella selva.  




Buonasera a tutti i miei lettori. Stavolta non mi dilungherò come al solito, specie perchè un capitolo intenso come questo sembra parlare da sè. Spero solo che vi sia piaciuto, che perdoniate il mio ritardo nell'aggiornare questa saga e che continuerete a seguirla, poichè non l'ho dimenticata e non ho certo intenzione di abbandonarla. Grazie a ognuno di voi di tutto il supporto, e al prossimo capitolo,


Emmastory :)

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Capitolo 19
*** Il futuro di una fata ***


Luce-e-ombra-IV-mod
 
Capitolo XIX 
 
Il futuro di una fata 
 
Anche la mattina se n’era andata, e Chris ed io avevamo smesso di pregare. A farci compagnia c’era il silenzio, e se noi c’eravamo allontanati per avere un momento nostro, lo stesso non era valso per Aster, Amelie e le altre ninfe, ancora lì a mani giunte, con gli occhi bassi e in preghiera. A poca distanza dalla fidanzata, anche Carlos pregava a modo suo, in spagnolo anziché nella nostra lingua comune, e guardandolo, sorrisi. Che importanza aveva? Ricordavo ancora il giorno in cui Garrus, fra uno scherzo e l’altro, aveva definito il francese lingua dell’amore. Prima di farlo aveva pronunciato qualche parola, e anche se non avevo davvero capito nulla, la risposta di Christopher a riguardo mi era rimasta impressa nella mente. Falso. Qualsiasi lingua può esserlo se parlata a dovere.” Aveva risposto, spiegando il suo punto di vista e sedando quella che altrimenti sarebbe stata una lite. E in quel momento, quel concetto aveva lo stesso valore, anche se applicato all’atto di fede davanti ai miei occhi. Troppo lontana per sentirlo chiaramente, non capivo cosa dicesse, e voltandomi, tornai dal mio Christopher. “Dici che andrà tutto bene?” non potei evitare di chiedere, ancora visibilmente preoccupata. Erano passati due giorni, era vero, e avevo anche provato a riposare e calmarmi, ma per mia sfortuna, senza successo. “Sono sicuro di sì, fatina. Sky è forte, e sa che siamo qui per lei.” Mi rispose lui, guardandomi negli occhi e cercando la mia mano. Sforzandomi di sorridere, gliela porsi, e quando finalmente la strinse, mi strinsi a lui, sentendomi più calma e al sicuro fra le sue braccia. Quel contatto fra noi non durò molto, ma quando chiusi gli occhi per godermelo al meglio, fu come sentire il tempo fermarsi. Da allora in poi, non udii più nulla. Non il cinguettio di alcuni uccelli appena fuori dalle mura della grotta, il fruscio dei rami degli alberi all’esterno, il brusio dei boccioli sempre più cresciuti e del loro modo di comunicare, e nemmeno le preghiere dei miei amici. Nulla. Soltanto il battito del mio cuore unito a quello del mio amato. “Ti amo.” Gli sussurrai a mezza voce, posando poi sulle sue labbra un bacio lieve e delicato. “Anch’io, fatina.” Fu svelto a replicare, emulando il mio tono di voce non appena ci staccammo. “Ora vieni, non allontaniamoci troppo.” Aggiunse poco dopo, calmo e tranquillo anche nel riportarmi alla realtà. Annuendo, misi fine alle nostre effusioni, e camminando al suo fianco, mi riavvicinai a quel rudimentale luogo di culto e preghiera. Una sorta di altare ricavato nella notte da una lastra di pietra, con inciso il nome di mia sorella e con sopra posati dei fiori e una piuma nera. Grazie al cielo non una lapide, nonostante la somiglianza, e a una seconda occhiata, non una piuma qualunque, bensì una di quelle di Midnight, che preoccupato quanto e forse più di noi, ci aveva raggiunti. Vicino alla sua cara padrona, se ne stava appollaiato sul ramo di uno degli alberelli, che scuotendo gli altri e ridacchiando a modo suo, lo lasciava fare, visibilmente divertito. A quella vista, anch’io trattenni a stento una risata, e notando la mia presenza alle sue spalle, Carlos si voltò. “No va a pasar nada, Kia, veràs que todo irà mejor." Disse, pronunciando parole in spagnolo che capii solo in parte. In quella frase così lunga, solo le prime mi colpirono davvero, riportandomi alla mente il ricordo di uno dei miei eccessi di magia. Un momento orribile, dovevo ammetterlo, durante il quale mi ero sentita vicina a perdere prima i sensi e poi il gioco della vita, ma che poi, a minaccia debellata, era diventato bellissimo. Era stato allora che Amelie aveva deciso di visitarmi per la prima volta, e sempre quello il momento in cui avevo ricevuto la migliore delle notizie. In altri termini, la consapevolezza di custodire sotto al cuore non uno mai due bambini, che ora, dopo aver contribuito a un momento solenne come quello con preghiere tutte loro, dormivano beati nelle loro lanterne, entrambe appese a un albero lontano dagli altri ma vicino a Blaze, la mamma drago impegnata a scaldare con il corpo le sue uova e con brevi sospiri di fuoco i miei piccoli. Un folletto e una pixie, ormai lo sapevo bene, vicinissimi alla loro prima trasformazione. Dormire era stato difficile, ma quando poi, esausta, ero riuscita ad addormentarmi, li avevo finalmente visti, o meglio, immaginati. Erano lì, silenziosi e sorridenti, felici di vederci entrambi, mentre, sopraffatta dalle mie stesse emozioni, piangevo. Accucciato in un angolo tutto suo, invece, Cosmo usava la folta coda come cuscino, e avvicinandosi in silenzio, altri pelosi ospiti non tardarono a fare la loro comparsa sulla scena. Confusa, abbassai lo sguardo, e fu allora che li vidi. Red, Anya e i loro quattro cuccioli, ormai non più tali, a un passo dall’età adulta, e nonostante potesse sembrare strano, sciocco o addirittura folle, tutti con un nome e un’identità. Valiant, primogenito coraggioso come ogni esploratore, Riot, incline al gioco della lotta e ad altre buffonate simili a quelle di Cosmo, Maple, prima delle sorelle, e Ginger, ultima della cucciolata. Notandoci, i sei si avvicinarono, e calmo ma felice, Red fu il primo a farmi le feste, seguito poi dalla compagna e dai figlioletti. “Ciao, bello. È passato molto, vero?” gli dissi mentre l’accarezzavo, contenta di rivederlo. Limitandosi a guardarmi, il mio amico dal pelo rosso non rispose, ma poco dopo, lo stesso non valse per quella che, scherzando, Christopher considerava sua moglie. Sempre allerta, sedeva al nostro fianco ma ci dava le spalle, lo sguardo color nocciola perso nel verde, anzi, puntato su qualcosa che non riuscivamo a vedere. Pur aguzzando la vista, neanch’io notai nulla, e in quel momento, avvertii un brivido. Che stava succedendo? C’era da preoccuparsi? Non lo sapevo, e rigida come un’asse di legno, scrutai l’orizzonte. Con il passare dei minuti, nessun cambiamento, e da parte mia, un sospiro di sollievo. “Rilassati, amore, rilassati. Forse ha soltanto visto qualche preda.” Commentò Christopher, affatto sorpreso da quel comportamento. “Tu credi, protettore?” gli chiese una voce alle sue spalle, seria ma inconfondibile, che subito riconobbi essere di Amelie. Colpito, lui non seppe cosa dire, e dopo pochi istanti, al calar del sole, un nuovo dettaglio. Non una preda come credevamo, ma una figura umana. Sorpresa, fui vicina a strofinarmi gli occhi per l’incredulità, ma non ebbi modo né tempo di farlo, poiché Cosmo, sveglio dal suo riposo e attento a sua volta, mi si avvicinò, sfiorandomi una gamba con il muso. “Vai, ti sta aspettando.” Sembrò voler dire, serio come non mai. Colta alla sprovvista, barcollai leggermente, e ritrovato l’equilibrio, mossi qualche incerto passo in avanti, osservando quella figura farsi sempre più vicina. “Dolce Dea, mamma!” Quasi urlai, incredula. “Kia, tesoro! Ho fatto più in fretta possibile, come sta Sky?” rispose lei, l’attenzione subito rivolta a mia sorella e al suo precario stato di salute. Da allora in poi, la gioia che provai nel rivederla svanì come nebbia nel vento, sostituita invece da un inspiegabile senso di tristezza, dolore e vuoto. Ero felice, certo, la madre che non vedevo da tempo, nonché l’unica donna che considerassi tale era di nuovo al mio fianco, e solo grazie a una lettera che avevo affidato al vento durante una notte insonne, che per mia fortuna, sembrava aver funzionato. Scrivendo, l’avevo pregata di raggiungermi qui alla grotta il prima possibile, spiegandole la situazione senza omettere alcun dettaglio, e ora, grazie anche a qualcuno di molto più in alto di me, le mie preghiere erano state ascoltate. Così, con una nuova speranza a spuntarmi in petto, l’abbracciai, e stringendomi a lei, avvertii tutto il suo calore di mamma. “Mi sei mancata così tanto...” dissi in un sussurro, sforzandomi di non piangere e sentendo la voce tremare e rischiare di spezzarsi con ogni parola. “Mi sei mancata anche tu, pixie. Per fortuna ho ricevuto la tua lettera, e adesso sono qui.” Replicò lei, sinceramente felice, anzi, perfino grata della mia presenza in quel luogo. In quanto umana, non sapeva molto della magia, né del nostro mondo, ma ciò non significava che non avesse fatto le sue ricerche. Forse era anche per quello che era così felice, proprio perché in cuor suo sapeva che la grotta delle ninfe era sinonimo di sicurezza. Limitandomi a guardarla, non seppi risponderle né dissi nulla, e quando, sostenendo il mio sguardo, provò a chiedere ancora, Christopher fu lì per aiutarmi. “Mi spiace dirlo, Eliza, davvero, ma al momento non lo sappiamo. L’unica cosa che possiamo fare è pregare, e se può farti stare meglio, ho avvertito anche la mia famiglia.” Le spiegò, mantenendo la calma per darle un buon esempio da seguire mentre il suo corpo tremava. “C-Cosa? Come? Chris, è la mia bambina!” piagnucolò lei in risposta, disperata. “Lo so, Eliza, ma sta tranquilla. Le ninfe hanno detto che...” provò a dirle allora, non avendo tempo né modo di terminare quella frase. In quel preciso istante, infatti, quest’ultima gli morì in gola, e un grido di dolore echeggiò nella caverna. “Non m’importa! Non m’importa cosa dicono le ninfe, voglio...” era mia madre, che distrutta da un dolore molto più grande della gioia che aveva provato nel vedermi sana e salva, non riusciva più a smettere di piangere, trovando in quell’urlo l’unica possibile valvola di sfogo. Colpiti, Aster e Carlos si fermarono a guardarla, e così il resto dei presenti, inclusi Cosmo e la famiglia di Red, che notandola, cercò di rassicurarla. Lenti e incerti nei loro passi dettati da un misto di istinto e timore, Cosmo e Valiant furono i primi a camminare verso di lei, mentre Riot e le sorelle inscenarono una breve lotta. Uno spettacolo comico e tenero, c’era da dirlo, che per qualche momento sembrò avere su mia madre l’effetto da loro sperato. Un modo come un altro di dirle che tutto sarebbe andato bene, e che con le ninfe ad aiutarci non c’era nulla di cui preoccuparsi. Tesa nonostante tutto, però, mia madre trovò ben poco conforto nel loro modo di giocare, e piangendo, per poco non cadde in ginocchio. Veloce, usai la magia per supportarla prima che cadesse, mentre Christopher, a sua volta agile e galante, si assicurò di sorreggerla cingendole un braccio attorno alle spalle. Fu allora che riuscii a vederla bene in viso per la prima volta dal nostro fuggevole abbraccio. Aveva l’aria stanca, di chi aveva camminato per chilometri, cosa che a pensarci non era poi così lontana dalla verità, data la distanza che separava Eltaria da Primedia. Esigua se si viaggiava in volo o a cavallo come me e Christopher, ma molto più lunga se si camminava o non si avevano altri mezzi. Provando pena per lei, l’abbracciai ancora, e all’arrivo del tramonto, l’accompagnai all’altare eretto per Sky, così che avesse almeno la possibilità di vederla. Preoccupata, Aster le offrì dell’acqua e qualche mora come pasto, e pur accettando, lei non mangiò subito. Silenziosa, scelse di farlo lentamente, così da dare a ogni morso un vero valore. “Voglio solo che mia figlia si riprenda. Voglio crederci, ragazzi, mi capite?” disse poco dopo, portando a termine il discorso lasciato a metà in precedenza. “Certo, e lo vogliamo anche noi, Eliza. Ci basta pregare, e avere fiducia. Tutti quelli che credono in Sky devono farlo.” Quelle le ultime parole del mio Christopher, soppiantate poi da un silenzio rispettoso ma tale da renderci sordi. Senza proferire parola, mi unii in preghiera restando accanto a mia madre, e a sera, altri visi amici si presentarono in quella che da grotta era passata ad essere una sorta di chiesa. C’erano tutti. Lucy e Lune con i loro genitori, Mahel e Harmony con i propri che conobbi proprio allora, e poi, esattamente come aveva detto Chris, anche la sua famiglia. Andrea, Edgar e Leara, seguita come al solito dal caro fidanzato Danny. A quella vista, li salutai con la mano, e distratta da uno strano oggetto che stringeva nelle proprie, lei sembrò non vedermi, e solo ricomponendosi, salutò a sua volta. Tutt’altro che sorpreso, ma non per questo contento di lei, Christopher le lanciò un’occhiata di disappunto, e mettendolo finalmente via, rimase lì ferma, con le braccia lungo i fianchi. “Scusa, Chris, lei non prega?” chiese Lucy, parlando a bassa voce per non disturbare troppo quella religiosa quiete. “No, pixie. Mia sorella Lea è atea, sai?” le spiegò semplicemente lui, buono e paziente. “Sì, lo so che è alta, ma perché non fa come noi?” replicò la bambina, con la solita ingenuità dei suoi quasi otto anni. “Non alta, Lucy, atea.” Le ripeté allora, scompigliandole piano i capelli. “Significa che non crede in Dio o nella Dea, ecco.” Finì di dirle, per poi regalarle un sorriso e scivolare ancora nel silenzio. Annuendo, la piccola non chiese altro, e stringendo a sé il suo elefantino di pezza, rimase muta a rispettare la solennità del momento, avendo cura che come le sue stesse manine, anche le zampine anteriori del pupazzo fossero giunte. Quella notte fu per tutti lunga e stancante, scandita soltanto da un muto coro di preghiere e da altrettante speranze, che più tardi, con la luna e le stelle in cielo, vidi concretizzarsi in centinaia o forse migliaia di lanterne verdi. Dopo l’azzurro dei miei stessi occhi, uno dei miei colori preferiti, che associavo alla natura, al mio elemento e alla sicurezza che ogni volta ritrovavo nello sguardo del mio amato, anche lui chiuso nel silenzio mentre tutti aspettavamo di scoprire il destino e il futuro di una fata.  


Buonasera a tutti voi, miei lettori. Questo capitolo avrebbe dovuto essere stato pubblicato ieri, ma non ho assolutamente avuto tempo di scrivere, perciò spero che mi perdoniate un ormai solito ritardo, anche se si sa, l'ispirazione non ha mai calendario. Spero anche che il capitolo vi sia piaciuto nella sua interezza, incluso l'impatto emotivo che ho cercato di dare. Che succederà ora? Sky ce la farà? Staremo a vedere, al prossimo capitolo, e grazie del vostro continuo supporto,


Emmastory :)

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Capitolo 20
*** Vento che si rialza ***


Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
Capitolo XX 
 
Vento che si rialza 
 
Ancora alla grotta, mi stavo rialzando da terra. Ero rimasta in ginocchio e con le mani giunte per quelle che mi erano sembrate ore, e a giudicare dalla quasi totale assenza di luce nella caverna, dovevano esserne passate parecchie. Non ero a casa, non avrei certo trovato un orologio appeso alle mura della grotta, e scuotendo la testa, decisi di non badarci. Da ormai due, quasi tre giorni, il sole mi faceva da meridiana, e osservando alcune ombre che già si stagliavano contro le pareti di roccia, capii che si stava di nuovo avvicinando la notte. A dirla tutta, anche solo guardare ciò che mi accadeva intorno mi aiutava ad orientarmi nel tempo. Sempre al mio fianco proprio come Christopher, anche Cosmo aveva provato a recitare delle preghiere tutte sue, e ora che mi ero rimessa in piedi, lui restava seduto al mio fianco, silenzioso e impegnato a guardarmi con i suoi grandi occhi azzurri. “Come ti senti? Bene?” sembra chiedere, con un debole uggiolio che ha tutta l’aria di un breve, mesto saluto. Silenziosa quanto e forse più di lui, sul momento non dissi nulla, e poi, con la schiena posata contro uno degli alberi lì intorno, sicuramente piantato da Aster, Amelie o le loro sorelle come parte di qualche rito, molto probabilmente una celebrazione della vita nella foresta nonostante le avversità, sospirai. “Giornata lunga?” mi chiese qualcuno, sorprendendomi. Del tutto impreparata, mi guardai intorno, e proprio allora, tutto mi fu chiaro. “Lea! Santo cielo, non prendermi così alle spalle!” sbottai, fingendo rabbia realmente non provata. Mi aveva spaventata, certo, ma forse l’aveva fatto senza volere, e in più sorrideva, il che significava che non c’erano cattiveria né malizia nel suo gesto. “Hai detto santo? È soltanto una massa di stelle, fatina.” rispose, il suo solito e pungente sarcasmo chiaro come il sole. “Potrà anche esserlo, Lea, ma a volte anche quelle possono essere simbolo di speranza, sai?” le feci notare, parlandole tranquillamente. “Voi e le vostre credenze... per un bel periodo anche Chris e i nostri hanno cercato di inculcarmele. Inutile dire che non abbia mai funzionato. È come diceva alla bambina, lì. Susie, o come si chiama.” Breve e concisa, la sua spiegazione non faceva una piega, e nonostante non fossi del suo stesso avviso, in quanto credente, decisi di non dar peso alla cosa né imporle nulla, e anzi, rispettarla. “Non preoccuparti, non ho alcun problema con questo. Ovvio, io invece credo, al contrario di te, ma non ha poi chissà che importanza. Se anche Chris fosse stato ateo probabilmente ci saremmo innamorati lo stesso.” Commentai, sorridendo lievemente e buttando un occhio a mio marito, ora impegnato a giocare con Lune al caro vecchio Magimani. In quanto umano, era in netto svantaggio rispetto a lei, ma c’era da dire che era anche una bambina, e la cosa più importante che si divertisse. E per qualche attimo restai lì a guardarla, mentre battendo le manine dava ogni volta vita a spettacoli e giochi di luce sempre diversi. Poco dopo, però, la voce di Leara mi riportò al presente. “Ti credo, Kia, davvero. Nonostante sia atea.” Esattamente come prima, un’altra delle sue battute, alla quale, riscuotendomi dal torpore in cui sembravo essere caduta, risi di cuore. “E non alta?” azzardai, stando al suo gioco e trattenendo a stento una piccola risata. “Esatto.” replicò subito lei, mangiando la foglia e scoppiando a ridere a sua volta. “Parola di Lucy.” Conclusi infine, senza smettere di ridere. Chiamata in casa, la pixie si voltò verso di noi, e non appena mi strinsi nelle spalle, tornò a giocare con Esteban, che, ne ero certa, nonostante le orecchie grandi e l’innata goffaggine, l’avrebbe protetta per il resto dell’infanzia. Notandoci, Christopher fu il primo ad avvicinarsi, seguito poi da Danny, che fino a quel momento mi era sembrato perso in un mondo tutto suo, dato il modo in cui studiava le pareti di roccia alla ricerca di chissà cosa. “Non troverai iscrizione alcuna in questo luogo, mio caro.” Gli aveva detto Amelie, seccata dal suo continuo investigare. “Va bene, d’accordo!” si era limitato a rispondere lui, alzando le mani in segno di resa e indietreggiando fino ad allontanarsi definitivamente. Subito dopo aveva sussurrato qualcosa, ma non avevo capito cosa. Scrollando di nuovo le spalle, scelsi di non badarci, e avvicinandomi a Christopher per un abbraccio, gli sorrisi. Ero davvero felice, non mentivo, ma nonostante tutto, il mio fu un sorriso amaro. Era bello avere intorno tante persone, tutte pronte a sostenermi a modo loro, come mia madre, impegnata a discutere con i suoi genitori per distrarsi e quelli di Lucy e Lune, che anche a quell’ora della notte si davano un gran da fare per tenere occupata la più piccola, tutt’altro che stanca e piena di voglia di giocare. A quella vista, lasciai che un secondo sorriso mi spuntasse in volto, e sempre fra le braccia di Christopher, lasciai che mi accarezzasse piano la schiena e i capelli. Memore delle magre figure del passato, anche se in realtà nessuno mi aveva mai giudicata quando succedeva, sperai di non lasciarmi prendere la mano ed esagerare davanti a tutti i presenti, e per fortuna, almeno in quel frangente, il mio cuore sembrò darmi retta. “Cos’è, vi stavate divertendo?” chiese, sfoggiando il solito, luminoso sorriso del quale mi ero innamorata. “Si vedeva così tanto?” gli dissi, rispondendo a quella domanda con un’altra. “Devo dire di sì, tesoro.” Quella la sua replica, di fronte alla quale mi sciolsi come neve al sole, anche se, nonostante la stagione, di quella non ce n’era traccia da tempo. “E io posso dire aria, ragazzi?” intervenne sua sorella, chiaramente a disagio, o forse solo annoiata dal nostro chiacchiericcio. “Lea!” la riprese qualcuno poco distante, quasi richiamandola all’ordine. “Cosa, mamma? Non dirmi che non li sentivi anche tu!” si lamentò lei, in evidente imbarazzo per essere stata sgridata, anche alla sua età. Aveva solo qualche anno più di me e Chris, lo ricordavo bene, eppure ecco che a volte veniva fuori il suo lato più infantile, come in quel caso. “Non preoccuparti, Andrea, non ci ha offesi.” Dissi allora io, intervenendo senza preavviso e correndo metaforicamente in suo soccorso. “Meglio così, Kia cara, a volte mia figlia esagera.” Replicò la donna, sinceramente sollevata. Ad essere onesta, non sapevo se ciò che avesse detto sul conto della figlia fosse vero, e pur fidandomi del suo giudizio, scelsi di lasciarmelo scivolare addosso, lasciando parlare i fatti e osservando da me. In fin dei conti, fino ad ora non mi aveva certo mortificata, e ridacchiando, tornai a concentrarmi su Chris. “Scusa, dicevamo?” tentai, nella speranza di ritrovare il filo del discorso. “No, niente, tranquilla. Ero venuto a vedere come ve la passavate.” Replicò lui, regalandomi ancora quello stesso sorriso. Imitandolo, sentii le guance bruciare, e presa dall’emozione, mi ersi sulle punte per un bacio. “Benissimo, ti ringrazio.” Gli risposi, non appena ci staccammo. “Aspetto ancora il momento dei piccoli.” Sussurrai poco dopo, abbassando la voce per non essere udita che da lui. “Anch’io, fatina, anch’io. Sarà bellissimo, vedrai.” In poche e semplici parole, la rassicurazione che non mi aspettavo di ricevere, ma che prevista o no, mi rese felice. “Ti credo, custode mio, e ti amo.” Dissi poco dopo, con la voce ancora ridotta a un sussurro. Da allora in poi, scivolai nel silenzio, e al sicuro in quell’abbraccio, ascoltai il battito del suo cuore unito al mio. Distratta da qualcos’altro, probabilmente di nuovo la diavoleria da cui Chris l’aveva convinta a staccarsi, Leara non ci stava più guardando, e anzi, con la schiena appoggiata a una delle pareti della grotta, teneva gli occhi bassi. Di tanto in tanto, ridacchiava fra sé e sé, e ormai sicuro che andasse tutto per il meglio, anche Christopher mi lasciò da sola, dirigendosi infatti verso Danny. Solo anche lui, aveva in mano un marchingegno simile a quello della fidanzata, mentre Cosmo, triste all’idea di essere ignorato, e stanco di giocare con Valiant e gli altri volpacchiotti, restava seduto davanti a lui, mugolando nella speranza di attirare la sua attenzione. Troppo concentrato su quello strano oggetto, però, Danny non sembrò notarlo, almeno finché il mio Arylu, che fino ad allora le aveva davvero provate tutte, non gli piantò le zampe sulle ginocchia, come per fare le feste. Un’abitudine tipica di tutti i cani, che nessuno, nemmeno io, gli avrebbe mai tolto. “Ma cosa...” biascicò, confuso. “Scusa!” non potei non rispondere, imbarazzata. Sollevando finalmente lo sguardo, il ragazzo di Leara sembrò capire, e con un lieve sorriso, si rivolse al mio lui. “Chris, che cos’è? Un cane, questo?” azzardò poco dopo, regalando un sorriso al caro Cosmo. Prima che Chris potesse rispondere, però, il diretto interessato prese la parola, e abbaiando, gli si fece più vicino. Sedendosi con lui, scosse anche la testa, e in breve, udii il tintinnio della sua medaglietta. Nulla di speciale a dire il vero, solo un dischetto di metallo con sopra incisi il suo nome, quello della nostra famiglia e l’indirizzo. “Sono Cosmo, e voglio esserti amico.” Pareva voler dire mentre si pavoneggiava, buffo come pochi. “Sì, Dan, quelli come lui si chiamano Arylu. Ovvio, non sono draghi, ma...” Provò a rispondergli Christopher, non riuscendo però a finire quella frase perché distratto da qualcosa, anzi, qualcuno. Desideroso di restare al centro dell’attenzione, proprio Cosmo, che ora, seduto su due zampe, aspettava. Una posa e uno spettacolo teneri, dovevo ammetterlo, per i quali provai anche una punta d’orgoglio dati i risultati del nostro addestramento. “E adesso cos’ha?” non potè evitare di chiedere Danny, nuovamente confuso. “Sempre il solito. È un pasticcione, e vuole giocare. Vuoi avere tu l’onore?” gli rispose il mio amato, sorridendo all’amico quattrozampe e indicando con lo sguardo un rametto lì in terra. Perfetto per una breve sessione di riporto, se Danny avesse voluto. “No, amico, non ora. Ma ascolta, hai davvero detto draghi?” continuò poco dopo quest’ultimo, curioso come non mai. A quanto sembrava, anche il mondo degli umani era istruito sul nostro, e alcuni di loro erano più assetati di conoscenza di altri. Danny era l’esempio perfetto, e lo stesso valeva per Leara, anche se ora se ne stava lì ferma a fissare quello strano oggetto liscio e quasi del tutto privo di pulsanti. Fermandomi a pensare, scavai in fretta e alla rinfusa fra i miei ricordi, e solo allora, capii. Ne avevo già visto uno, apparteneva a Chris e si chiamava cellulare. Divertita, ridacchiai appena, e nel silenzio, calato di nuovo fra tutti noi come una coltre di umida nebbia, solo il mugolio di Cosmo, ancora in attesa di un compagno di giochi. Provando pena per lui, feci per avvicinarmi, ma ancor prima che potessi muovere un passo, qualcos’altro accadde. Inaspettata, ma non per questo sgradita, un’altra ospite si era appena presentata alla grotta, accompagnata da qualcuno che sul momento non seppi se considerare o meno un amico. Confusa, aguzzai la vista, e all’improvviso, un guizzo di memoria mi saltò in mente. Stentavo a crederci, ma era lo stesso ragazzo che avevo visto con lei. Capelli rossi, occhi grigi e mantello nero. Sulla spalla un cucciolo di Pyrados che parve sorridere, e in altre parole, nell’insieme un mago a tutti gli effetti. “Al volo, bello!” gli disse, lanciandogli qualcosa che non riuscii ad identificare. Veloce, il mio amico Arylu non se lo fece ripetere, e spiccando un balzo, afferrò l’oggetto. Preoccupata, sperai che non fosse nulla di pericoloso, ma poi, vedendo come si leccava il muso, tirai un sospiro di sollievo. “Misa, grazie!” esclamai, grata e felice di vederla. Camminando, mi avvicinai di qualche passo, e seppur sorpresa, lei fece lo stesso, fino ad abbracciarmi. “Kaleia, non ringraziare me, è stata un’idea di Robert. Sai, lui adora gli animali.” Rispose, sforzandosi di parlare in tono tranquillo nonostante l’emozione. “Robert?” biascicai, non sapendo cos’altro dire. “Esatto. Vedi, lui è...” iniziò a dire lei, indecisa. Comprendendo appieno l’emozione del momento, annuii per incoraggiarla, e con un cenno del capo, informai mutamente Christopher, occupato come le ninfe a mostrare a Danny e Leara la tana di Blaze, ancora protettiva e gelosa delle uova rimastele. Non sapevo quando, ma un giorno si sarebbero schiuse rivelando i suoi piccoli, e in un certo senso lo stesso sarebbe accaduto ai miei bambini, ragion per cui non la biasimavo affatto. Capendo al volo, Christopher si congedò dalla sorella e dal ragazzo, e raggiungendomi, non esitò a presentarmi. “Marisa, un piacere rivederti. Chi è il tuo amico?” disse soltanto, per poi scivolare nel silenzio in attesa di una risposta. “Chris, lui è più che un amico. È Robert, il mio fidanzato.” Confessò infine, arrossendo in volto per un misto di emozione e imbarazzo. “Cosa? Sul serio? Cielo, congratulazioni!” esplosi in quel momento, con la parte più umana ed emotiva di me a farla da padrone. “Ti ringraziamo, anche se vorremmo tanto che sua madre fosse contenta come voi. Chris e Kia, giusto?” replicò il giovane, sorridendo appena e chiudendosi in un silenzio tutto suo. “Kaleia, a dire il vero, ma rispondo anche a quello, non preoccuparti.” Gli dissi gentilmente, per poi sorridere e lasciar cadere l’argomento. “Davvero?” sussurrai poco dopo, sinceramente dispiaciuta. “Già, al momento non approva di noi e della nostra relazione, ma a me non importa. Se sono nata, significa che anche lei ha conosciuto l’amore, un tempo, no?” confermò, per poi chiudere con un’osservazione semplice e al tempo stesso degna di nota. Poteva sembrare strano, ma nonostante fosse ancora giovane, Marisa era insieme saggia e forte, e malgrado mi spiacesse per lei e per il rapporto con sua madre, che avrei potuto unicamente definire conflittuale, ero anche fiera di lei. Stando a ciò che avevo imparato con il tempo, infatti, specialmente dalle anziane, era giusto ribellarsi e combattere per ciò in cui si credeva, nel caso di Marisa, come nel mio del resto, in nome dell’amore. Un amore che forse la strega Zaria non avrebbe mai visto di buon occhio, o forse sì, eventualmente, ma che per ora avrebbe continuato a crescere ed evolvere, con o senza la sua benedizione. Restando in silenzio, i miei due amici si strinsero la mano, e felice per loro, regalai una carezza al loro cucciolo di drago. Contento di tante attenzioni, il piccoletto mosse il collo come un gattino alla ricerca di coccole, ricordandomi tanto Willow, e incredibilmente, prese ad emettere un verso tutto suo, simile, appunto, alle fusa di un gatto. “E tu chi sei?” gli chiesi, alzando la voce di qualche ottava fino a renderla stridula. Come c’era d’aspettarsi, il draghetto non rispose, e poco dopo, Robert riprese la parola, facendo le sue veci. “Non ha ancora un nome, temo. Misa ed io gliene troveremo uno, con il tempo, anche perché in parte è grazie a lui se ci siamo incontrati. Vero, streghetta?” si limitò a dirmi, per poi voltarsi verso la fidanzata e stringerla a sé in un delicato abbraccio. “Vero. Sapete, ero lì che passeggiavo nella foresta, e lui è spuntato all’improvviso. Era solo e ferito, con un’ala incastrata nel ramo di un albero. Robert l’ha aiutato, e poi abbiamo scoperto di essere entrambi maghi, così mi ha offerto qualche lezione di magia, e il resto... è storia.” Raccontò allora Marisa, parlando per sé e per l’amato che ancora la stringeva. Ascoltando senza interrompere, Chris ed io ci limitammo a sorridere per l’ennesima volta, e in quell’istante, fui distratta da un’altra voce. Nonostante il buio e l’ora tarda, si trattava ancora di Lunie, che seduta in terra con un album da colorare sulle gambe, non si dava ancora pace. Non sapendo cosa pensare, mi scambiai un’occhiata d’intesa con i genitori, e un gesto di Oberon misto all’eloquente silenzio di Isla bastò ad aprirmi gli occhi. “Mi sa che ha già una piccola ammiratrice.” Commentai, scherzosa. “Allora andremo da lei perché lo ammiri ancora meglio.” Rispose subito Robert, capendo al volo. E così, lui e Marisa si allontanarono per presentarsi a Lucy e Lune e giocare con loro, mentre io e Chris, tristemente certi del motivo di quella sorta di riunione, tornammo al piccolo altare dedicato a Sky. Già con lei, mia madre Eliza non aveva smesso di pregare un istante, e come mi aspettavo, alcune lacrime avevano già bagnato quella pietra. “Andrà tutto bene, Eliza, non preoccuparti. È come ha detto Carlos. Non le accadrà nulla e andrà tutto per il meglio.” Le disse Christopher, avvicinandosi per confortarla e traducendo per lei le parole del satiro. Anche lui lì vicino, annuì per dare manforte a mio marito, e abbracciandola, lasciai che si sfogasse. Svegliati da tanto movimento, poi, i miei bambini riprese ad agitarsi, le loro piccole luci veri fari in questa notte di tempesta. Il cielo era scuro ma pieno di stelle, le nuvole grigie e pesanti le nascondevano, e stando almeno al rombo di un tuono in lontananza, stava per piovere. “Crediamo, ragazzi. Crediamoci insieme, tutti quanti.” Biascicò ancora lei, con la voce spezzata e rovinata dal pianto. Annuendo ancora, mi strinsi forte a lei, capendo solo allora quanto stesse tremando, mentre Christopher, a voce o con qualche gesto delle mani, richiamava gli altri ospiti presenti alla nostra veglia. Per nostra fortuna, nessuno di loro si fece attendere, e in breve tutti, ninfe comprese, ci ritrovammo insieme a stringerci le mani e sperare. Volendo partecipare, gli animali del gruppo reagirono a modo loro, ergendosi su due zampe come Cosmo o restando seduti, fermi e fieri come Red, Anya e la loro nidiata di volpacchiotti, e fra un attimo e l’altro, tutti concentrati sulla stessa nenia, pregavamo. Fu questione di pochi istanti, e il buio attorno a noi iniziò a scemare, soppiantato da una luce così forte da costringerci a chiudere o proteggerci gli occhi. Coraggiosa, feci del mio meglio per non soccombere, e finalmente, eccola. La trasformazione che tanto stavo aspettando, il primo traguardo dei miei piccoli Darius e Delia. Se ben ricordavo, il libro della famiglia di Christopher conteneva un capitolo pieno di informazioni a riguardo, e un giorno, piena di curiosità e ansia miste assieme, l’avevo letto. Era stato allora che avevo scoperto una delle grandi verità su noi fate e sul nostro stadio larvale. “Al momento della nascita, fate e altri esseri magici sono estremamente deboli, e proprio come da adulti, sin da allora segnati e formati dalle esperienze e dal mondo che li circonda. Di vitale importanza la loro educazione, che garantirà un corretto sviluppo dei poteri, destinati, a secondi di casi e fattori, a diventare magia bianca, e positiva, o nera, e distruttiva.” In quelle poche righe, l’ultima parola era bastata a spaventarmi, facendomi saltare il cuore in gola, e se non ne avevo parlato con Christopher era stato per non preoccuparlo. L’avrei fatto, certo, ma solo quando mi fossi sentita pronta, nella speranza che il momento da me considerato più opportuno non arrivasse troppo tardi. Lunghi attimi dopo, il bagliore cessò diradandosi come nebbia, e colpita ma silenziosa, Amelie mosse qualche passo verso le due lanterne. “È arrivato il loro momento, giovane fata. I tuoi figli hanno deciso di aprirsi a questo mondo, e starà a te e al tuo protettore prepararli nel tempo a venire. Buona fortuna, e sappi che nel bisogno la grotta vi accoglierà a braccia aperte.” Un discorso che ascoltai senza proferire parola, e al termine del quale, mi ritrovai a piangere come una bambina. Troppo emozionata per calmarmi, cercai rifugio fra le braccia di Christopher, e ben presto a noi si aggiunse mia madre. Commossa, anche lei piangeva in silenzio, poi, alle nostre spalle, un rantolo unito a un altro fascio di luce. “Dolce Dea, Sky!” Biascicai appena, colta alla sprovvista. Veloce come un fulmine, mi precipitai all’altare e alla sua bolla seguita da Christopher e da tutti gli altri, e quando anche il secondo lampo di luce scomparve, e la bolla si dissolse, come fatta di sapone, agii senza pensare. In fretta, protesi una mano in avanti, e di colpo, il colore del mio elemento l’avvolse completamente, permettendole per qualche istante di levitare. Cauta, l’adagiai sul pavimento di roccia perché non si facesse alcun male, e pur senza voltarmi, riuscii a sentire il calore del sole sulla pelle e il sibilo di una gentilissima brezza fra i capelli. Concentrata, non osai spezzare quell’incanto, e poi, finalmente, mia sorella riaprì gli occhi. “Sky!” quasi urlai, chiamandola per nome. “Grazie al cielo!” commentò nostra madre, con il tono sospeso a metà fra stupore e sollievo. Mantenendo il silenzio, lei non seppe cosa dirci, e massaggiandosi piano una tempia indolenzita, si guardò intorno, osservandoci alternativamente uno per uno. Me, Christopher, nostra madre, nessuno escluso. Perfino Cosmo, che irrequieto come al solito, ma mai inopportuno, corse a leccarle il viso. “Ciao! Per fortuna stai bene, ero preoccupato.” Ancora una volta, una delle frasi che potendo avrebbe sicuramente pronunciato, ma che sul momento si tradusse nel modo che aveva di comportarsi. Felice, prese a saltellarle intorno come faceva da cucciolo, e riscuotendosi, lei rise. “Cosmo, cagnolone ingombrante, smettila! Sto bene, d’accordo?” Classica Sky. Apparentemente fredda e senza modi, come l’aria che controllava, alle volte algida e senza controllo, ma segretamente calda, calma e di buon cuore. Seppur con gli occhi ancora velati di lacrime, non riuscii a trattenere una risata, che in breve, amplificata anche dall’ambiente roccioso tutto intorno a noi, si propagò echeggiando apertamente. “Sempre la solita, anche dopo un’esperienza come questa.” Commentò poco dopo Amelie, affatto sorpresa. Pur condividendo il suo pensiero, non dissi altro, e da allora in poi, finalmente davvero felice e libera dalla negatività di quelle dannate voci, che di certo sarebbero tornate, decisi di tornare a casa, e godermi, assieme a Christopher e ai miei amici, il sole, la natura e la sensazione di un vento che si rialza.  




Buon pomeriggio a tutti! Sono di nuovo colpevole di un ritardo nell'aggiornamento della storia, ma come al solito tanti impegni e altri imprevisti, fra cui, di nuovo, una mancanza d'ispirazione, mi hanno impedito di portare a termine questo capitolo. Oggi ci sono riuscita, e spero che vi sia piaciuto nella sua interezza fortemente emotiva. Finalmente Sky sembra riprendersi, e le cose tornare alla normalità grazie all'aiuto e alla speranza di tanti visi amici, ma sarà davvero così? Solo il tempo potrà dirlo, ma intanto grazie a ognuno di voi del supporto, e al prossimo capitolo,


Emmastory :)

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Capitolo 21
*** Cattivo sangue ***


Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
Capitolo XXI 
 
Cattivo sangue 
 
Tre giorni. Quello l’esatto lasso di tempo trascorso al capezzale di Sky, fata del vento bloccata, seppur brevemente, per fortuna, in quello che gli umani e la loro medicina avrebbero definito coma o stato vegetativo, ed eravamo ancora lì, nella grotta dove tutto era iniziato. Sveglia da poco, e comodamente sdraiata su un tappeto d’erba, mia sorella non si muoveva, e tenendo gli occhi chiusi, sembrava dormire. Ero stata io a creare quel giaciglio, così che non fosse più a contatto con la nuda e fredda roccia, ma al contrario, con qualcosa di più morbido e accogliente. Aster e le sue sorelle si erano offerte di costruirle una branda intrecciando rami e foglie, e tutti quanti avevamo apprezzato il gesto, anche se poi, sotto consiglio di Christopher, io ero stata più veloce. “Aiutala, è il minimo che tu possa fare, dopo quello che ha passato.” Mi aveva detto, per poi indicarla con lo sguardo e stringermi la mano. Limitandomi ad annuire, quasi non avevo risposto, poiché nello spazio di un momento, guidata forse dall’urgenza della situazione unita ai miei sentimenti, la mia magia aveva fatto il resto. Silenziosa, non emettevo un fiato, ma nonostante potessi sembrare calma e composta all’esterno, dentro stavo ancora male. Sky stava bene, ce l’aveva fatta, Amelie si era anche occupata di visitarla per poterlo confermare, e io ero rimasta con lei per tutto il tempo, eppure non riuscivo a smettere di preoccuparmi. Così, seduta a gambe incrociate in un angolo tutto mio della caverna, osservavo il nuoto dei due cigni Honor e Promise, che sempre vicini, sembravano tenersi per mano come me e Christopher. Seduto con me, lui aveva da fare con Cosmo, che sdraiato proprio davanti a lui, aspettava. Poteva sembrare strano, forse anche sciocco vista la situazione, ma quel mascalzone di un Arylu aveva trovato un altro fuscello, il che poteva significare solo una cosa. Giocare. Non mancando di notarlo, sorrisi, e vedendo come si avvicinava, glielo lanciai. Veloce ed eccitato all’idea che avessi capito, corse a riprenderlo, ma prima che potesse riportarlo indietro e chiedermi di tirarlo ancora, mi distrassi. Fu questione di attimi, e un suono poco distante attirò la mia attenzione. “Kia...” udii appena, in un sussurro forzato. “Sì, Sky, sono qui. Cosa c’è?” le chiesi, rimettendomi in piedi per avvicinarmi. “Ho sete, ti spiacerebbe...” azzardò, con la voce rovinata da quel nuovo sforzo, nonché dalla gola riarsa. “Certo, aspetta.” Le dissi soltanto, stringendola brevemente a me. Pochi istanti dopo, la lasciai andare, e voltandomi, feci saettare lo sguardo in più direzioni alla ricerca di ciò che mi serviva. Per quanto ne sapevo, l’acqua di fiume era potabile se pulita, ma lo stesso forse non valeva per quella del laghetto, e poi, all’improvviso, l’idea. Guardandomi intorno, notai Midnight, e schioccando le dita, gli indicai qualcosa. Appese a un albero poco distante, due o tre pesche mature, che speravo di riuscire a raccogliere con il suo aiuto. Avrei potuto usare la magia, e lo sapevo bene, ma a quanto sembrava, l’incanto di levitazione seguito dalla creazione del letto d’erba mi aveva spossata, e pur provando, non c’ero riuscita. “Bene, ottima pensata, Kaleia.” Commentò Christopher, ignorando Cosmo che intanto aveva preso a giocare da solo, o meglio, con uno strano insetto salterino. A dir la verità non sapevo cosa fosse, probabilmente una formica o qualcosa del genere, e provando troppo ribrezzo per controllare, decisi di non farlo. In breve, e grazie a un colpo di fortuna, era il caso di dirlo dato che Midnight in genere obbediva solo a a lei, il merlo si decise, e virando verso l’albero, si sistemò su uno dei rami, lavorando a lungo con il becco per staccare quei frutti. Annuendo, feci un altro gesto con la mano, e quasi imitandomi, Midnight fece esattamente ciò che gli avevo chiesto, lasciando cadere una delle pesche proprio accanto a Sky, mentre le altre due, per sua sfortuna, rischiarono di colpirla. “Mid! Santo cielo, attento!” quasi urlò lei, indignata. Era strano, ma debolezza o meno riusciva ancora a farlo, e scambiandomi con Christopher un’occhiata colma di eloquenza, per poco non risi. “Sempre la solita, vero, Sky?” scherzai, sperando di farla ridere. “Molto divertente, piantina.” Mi rimbeccò lei, seccata. Fermandomi a guardarla, osservai la sua espressione, e nel giro di qualche istante, finalmente la vidi sorridere. Il suo fu un sorriso debole, nulla di eclatante o di simile ai miei, ma dato il suo carattere, comunque un buon inizio. Felice, mi ritrovai ad imitarla, e solo dopo, la più ovvia delle domande. “Ti sei fatta male? Le chiesi, sinceramente preoccupata. “No, tranquilla, non è niente. Midnight avrà anche una vista perfetta, ma la mira potrebbe essere migliore.” Commentò lei in risposta, massaggiandosi la parte lesa. Non mancando di notarci, nostra madre le si avvicinò, e trovato un panno, che stando a quanto ricordavo le ninfe avevano già usato anche su di me durante uno dei miei eccessi di magia, lo bagnò nell’acqua del laghetto, per poi strizzarlo e posarglielo in fronte. “Ecco, usa questo. Almeno non si formerà un bernoccolo.” Disse soltanto, per poi scivolare nel silenzio e raccogliere da terra una delle tre pesche. Fatti pochi passi, si diresse di nuovo verso il lago, e senza dire altro, le lavò con cura. “Grazie, mamma.” Rispose Sky, grata di quel gesto. “Di nulla, tesoro. Mangia piano, non sei ancora abituata.” Le rispose lei, raccomandandole di fare attenzione. “Sto bene, davvero, non c’è tanto bisogno di preoccuparsi.” Disse ancora la diretta interessata, scuotendo una mano come per chiederle di smetterla. “Lo so, pixie, ma è difficile non farlo. Dai, solo un morso. Per me?” e così, nostra madre continuava a pregarla, e pur restando in silenzio e in disparte, tranquillamente stretta a Christopher, non riuscivo a dire la mia, nè a biasimarla. Come  potevo. Seppur semplicemente umana, era pur sempre nostra madre, e con la mia parte più diversa e lontana da quella magica, capivo. “Mamma, ha detto che sta bene. Lasciamola riposare, le pesche l’aiuteranno a star meglio, vedrai.” Provai a dirle, nella forse vana speranza di convincerla. Per mia fortuna, quella speranza non si rivelò tale, e avvicinandoci l’una all’altra, ci abbracciamo. “Si è presa cura di me quando eravamo da sole, e supererà anche tutto questo, stanne certa.” Le sussurrai a bassa voce, lasciandomi stringere. “Voglio crederti, fatina mia, davvero.” Mi rispose lei, affidando a quelle parole un desiderio mai sopito. Comprendendo perfettamente, mi limitai ad annuire, e indicandole una sorta di panchina di roccia, la invitai a sedersi. Intanto, quasi tutti i nostri amici erano ancora con noi, e per quanto ordinaria, quella parola bastava a rendermi triste. Quasi, ovvero non completamente, un modo come un altro per dire che per poco non si era riusciti a fare qualcosa, o che, sempre per poco, si era sfiorata una tragedia. A riprova di ciò, Lucy era già andata a scuola, con lei anche la sorellina Lune, e mentre, il tempo scorreva, io immaginavo. Ad essere sincera, non sapevo cosa sarebbe successo a Sky. Era ancora fisicamente debole, spossata, ora, mangiava, sì, ma a fatica, e stoica nonostante il dolore e la stanchezza, si sforzava di ridere, sorridere e dar voce alle sue solite battute. Un comportamento nobile, dovevo ammetterlo, messo in atto solo per evitare altre preoccupazioni alla donna che ci aveva dato una seconda possibilità, arricchendo così la nostra vita. Seduta con lei, mi ero allontanata da Christopher, ma non importava. Al momento c'erano cose più serie a cui dar peso rispetto al mio amore per lui. Non che quello non esistesse, anzi, tutt'altro, ma toccava guardare in avanti, al presente, e cosa più importante, senza lenti dipinte di rosa. Andava tutto bene, al contempo tutto male, e nonostante all'esterno sembrassi felice. dentro pensavo ancora, così tanto da torturarmi insieme mente e membra. Poteva sembrare strano, sciocco, o forse addirittura folle, ma era proprio quello a spaventarmi, il non sapere. In altre parole, l'ignoto mi atterriva, e il fatto che mia sorella continuasse a entrare e poi uscire da quello stato d'incoscienza mi terrorizzava. Grazie al cielo per ora non stava accadendo, anzi, era stabile, ma il mio pensiero restava lì, fermo, fisso e immobile. “Kia?”  tentò una voce al mio fianco, cogliendomi di sorpresa. “Sì?” mi affrettai a rispondere, curiosa e confusa al tempo stesso. Era mia madre, che guardando altrove, lontano da Sky, aveva ripreso a sorridere. “Sembra che qualcuno ti stia chiamando.” Mi fece notare, sfiorandomi e accarezzandomi la mano come faceva quando ero bambina. “Ha ragione, sai?” fece qualcun altro, che nonostante la distanza, riconobbi subito. Lenta mi rimisi in piedi, e di nuovo accanto a Christopher, gli presi la mano, camminando con lui fino a un angolo opposto della caverna, dove Aster e Amelie avevano lasciato le lanterne dei nostri bambini. Ora decisamente grandi per quelle, molto presto sarebbero venuti a casa con noi, e giunti nella loro stanzetta, avrebbero conosciuto il morbido conforto delle copertine e delle loro culle in legno di betulla. Non proferendo parola, mi avvicinai alla lanterna di mia figlia Delia, e sfiorando appena con due dita la catenina d'oro, la guardai aprirsi in un tenero sbuffo di polvere magica. Divertita, mi lasciai sfuggire una piccola risata, poi la presi in braccio. “Tesoro della mamma...” biascicai appena, emozionata. “E del suo papà.” Disse invece Christopher, imitando il suo tono di voce mentre l'accarezzava. Felice di vederci, la bambina sorrise, e come lei anche il suo fratellino, che ancora dentro la sua lanterna, teneva una mano premuta contro la superficie, guardandoci come attraverso un oblò. Lasciandosi vincere dalla sua tenerezza, suo padre non aspettò altro, e prendendolo in braccio, iniziò a cullarlo. “Ti vogliamo già un mondo di bene, campione.” Gli disse, concentrando in quelle parole tutta la forza del loro legame. Ascoltandolo, il piccolo non si mosse, e ad occhi chiusi, emise qualche vagito. Rapita dalla loro bellezza, mi ridussi al silenzio per quelle che parvero ore, poi, decisa, tornai da mia sorella. “Sky?” provai, scuotendola leggermente. “Avanti, svegliati, qui qualcuno vuole vederti.” Azzardai a dirle, mentre, frastornata da un sonno breve e agitato, apriva gli occhi. L'avevo vista muoversi nel sonno, ma non ero intervenuta per non spaventarla, e ora eccola lì, in una posizione di scomodo stallo. “N-Noah?” tentò lei in risposta, indecisa. A sentire quel nome, mi bloccai. Come avevo fatto a non pensarci? Erano passati tre giorni, nè lui nè Major le avevano fatto visita, ed era vero, ma cosa dirle in un momento come quello, così fragile e delicato? Non lo sapevo, non ne ero sicura nè potevo esserlo, così, di nuovo chiusa nel silenzio, decisi di non parlare, mostrandole invece ciò che mi aveva spinta a tornare da lei. Mia figlia Delia, ovvero sua nipote, che, ne ero sicura, aveva una gran voglia di rivedere la zia. “Coraggio, Sky, è la tua nipotina, e c'è anche il maschietto!” provò a dirle Christopher, pur sapendo di star andando a toccare un nervo scoperto. Sapevamo bene quanto amasse Noah, quanto il rapporto che avevano avuto e che ora stavano cercando di ricostruire, ma la verità le avrebbe fatto ancor più male dello svenimento, così, mordendomi la lingua, non parlai. “Deve saperlo, ne ha il diritto.” Disse però Christopher, cogliendomi alla sprovvista. "Ma tesoro..." biascicai, colpita. "No, Kaleia, mi spiace, ma sai come la penso sull'onestà." Replicò lui, con il tono che fra noi chiudeva all'istante qualsiasi discussione. Anche lui stesso aveva provato a tenerla all'oscuro della cosa, lo avevo visto bene, ma ora sembrava averci ripensato, e nonostante fossi sempre ferma nelle mie convinzioni, non potevo dargli torto. In fin dei conti, l'onestà stava alla base del nostro rapporto, e a pensarci non c'era ragione per cui non dovesse far parte di quello che avevo e avevamo con gli altri, in special modo fra membri della stesa famiglia. Nervosa, strinsi i pugni fino a conficcarmi le unghie nei palmi delle mani, e respirando a fondo, mi preparai a parlare. "Vedi, Sky... Noah non... non è venuto a trovarti, ecco." Dissi soltanto, veloce e precisa come un arciere con le sue frecce, sempre puntate verso il bersaglio più vicino. Forse una metafora banale per descrivere ciò che avevo appena detto, ma che in breve si rivelò perfetta, specie considerando la sua reazione. Come disorientata, infatti, Sky si drizzò lentamente a sedere, poi, scuotendo la testa, sbattè più volte gli occhi. "Cosa? Come? Neanche una volta?" non potè evitare di chiedere, già distrutta. "No, cara, ci dispiace, davvero." In quel momento, fu Christopher a parlarle, ma il suo tentativo di ammansirla servì a ben poco. All'improvviso ci guardava con la rabbia e il disgusto negli occhi, quasi come se anzichè parlarle l'avessimo schiaffeggiata. Per un istante, sembrò calmarsi, e un'altra domanda trovò la libertà grazie a un soffio di voce. "E Mage?" riprovò, tutta la sua fiducia nelle mani di chi aveva apertamente ammesso di averla abbandonata. Al solo pensiero, la rabbia cresceva in me come una robusta quercia, ma respirando ancora, m'imposi la calma. Avvertendo la tensione già palpabile perfino nell'aria, Cosmo si avvicinò dimenticando il suo minuscolo compagno di giochi, e come lui anche Robert e Marisa. Lucy e la sua famiglia alla fine se n'erano andati, augurando a Sky una buona guarigione e a noi tanta fortuna con i bambini, ma loro invece erano rimasti, come peraltro Dan e Leara, che a loro volta, assistevano alla scena, esterrefatti mentre mago e strega avanzavano. Lentamente, così da non provocare ulteriormente la bestia che Sky ora rischiava di diventare. Era orribile a vedersi, e in parte anche colpa mia. Erano bastati qualche attimo e poche parole, e quella così metaforica freccia aveva abbandonato il suo altrettanto metaforico arco, andando a conficcarsi dolorosamente nel bersaglio che era il suo cuore. Triste e amareggiata a quell'idea, per poco non iniziai a piangere, e consolata dagli sguardi dei miei due amici e del loro draghetto, riuscii a restare composta per il tempo necessario a intervenire ancora. "Sky, ti prego, ascoltami. So cosa stai pensando, e prima che tu lo dica, sappi che non è colpa sua." Proprio come prima, solo poche parole, che nonostante le mie buone intenzioni, sortirono un effetto contrario a quello sperato. "Hai ragione." Rispose infine mia sorella, rompendo il silenzio dopo un tempo che sembrò infinito. Sollevata, tirai un sospiro di sollievo, ma anche quello ebbe vita breve, poichè nulla avrebbe potuto prepararmi al resto del suo discorso. "Non è colpa sua, è vero, ma è colpa di quella dannata elfa. Ha approfittato di lui sin da quel giorno, e io ero troppo arrabbiata, tanto da lasciarla fare. Sono stata stupida, e ora non ho nessuno. Nè chi amavo, nè il mio protettore. Triste, certo, ma allo stesso tempo giusto e crudamente vero. Ricordavo ancora ogni fase della sua rottura con Noah, sapevo bene cosa provasse avendo vissuto io stessa qualcosa di simile con Christopher ormai molto tempo prima, ma non era poi così importante. Non era di me che si parlava, non al momento. Impietrita, non riuscii più a parlarle, pur volendo sentivo di avere la lingua impastata, così, qualcuno di diverso, e forse anche di più saggio, prese il mio posto. "Figlia dell'aria, per favore." Iniziò, raggelandoci tutti. Non sapendo cosa pensare, mi voltai all'istante, e proprio allora, eccola. Marisa. Non riuscivo a crederci. Ormai non vedevo sua madre da molto tempo, forse perfino troppo, ma pessimi rapporti o meno, lei stava comunque dimostrando di voler seguire le sue orme e portare avanti i propri studi di magia. Comunicare con le fate e con le altre creature magiche era uno dei suoi compiti, e ora ci stava riuscendo brillantemente. L'aiuto di Robert poi non era da sottovalutare, dato che sembravano aver trascorso le ultime tre notti ad analizzare insieme un grosso tomo di teoria magica. Uno che non avevo letto, ma che di sicuro un'ora affranta Sky conosceva. "Non ci stai ascoltando. Ti sembra di farlo, ma ti sbagli. Tu stessa hai ammesso i tuoi errori, non commetterli di nuovo." L'avvisò, seria e perentoria quanto e forse più della madre. "Davvero? Credi sia facile? Come ti sentiresti se fossi tu a perdere il mago lì alle tue spalle?" replicò allora mia sorella, sputando veleno. "Malissimo, credimi, ma qui e ora non si tratta di me, ma di te. Perchè respingi i tuoi stessi sentimenti? Di che cosa hai tanta paura?" una domanda che non mi aspettavo, e che anche Cosmo ascoltò a orecchie dritte, quasi sorpreso, o forse addirittura spaventato. Il tempo scorreva lento, la sera stava arrivando, e in quel mentre, io restavo lì, orripilata dalla forza di quello scambio verbali, e da tutti i loro colpi in quel lungo e interminabile botta e risposta.  Appena fuori, anche il cielo si stava agitando, e cullando Delia meglio che potevo, così che non si spaventasse, lo osservavo, ansiosa. A quelle parole, Sky non rispose, e poi, mossa dall'ira, scattò in piedi, protendendo una mano in avanti per non perdere subito l'equilibrio, e al tempo stesso, difendersi. Apparentemente calma, marciò verso Marisa, e poi, a voce bassa e quasi inudibile, sibilò qualcosa. "Mi hai capita benissimo. Ci sono molte cose che possono spaventarmi, ma nulla più di tutto questo. Sperimenta l'abbandono sulla tua pelle, e ne riparleremo." Venefiche come serpenti, parole che ascoltai e alle quali stentai a credere, e un discorso altrettanto incredibile. "Sky..." sussurrai, sconvolta. Per tutta risposta, lei non disse nulla, limitandosi a sollevare quella stessa mano come per zittirmi. Tanto triste quanto colpita, sentii un nodo attanagliarmi la gola, e abbassando lo sguardo, incapace di sostenere il suo, guardai prima il terreno, poi le ninfe. "Non preoccuparti, giovane fata. Tua sorella ha sofferto molto, e la sua rabbia è più che normale. Vogliamo che sappiate che non ce l'aveva con nessuno di voi, non davvero, e vi preghiamo, se potete, perdonatela. Cercate nel vostro cuore la forza di farlo, e sperate, come noi, che le cose cambieranno." Come c'era d'aspettarsi, Amelie era stata la prima a rompere il silenzio, parlando al plurale per esprimere il suo pensiero e quello delle sorelle, che per quanto vero, profondo e sentito, non mi fu di grande conforto. Così, mi limitai ad annuire e ringraziare in silenzio e con le lacrime agli occhi, mentre, con una mano a stringere il ciondolo che avevo da tempo per richiamare Xavros, speravo di ritornare a casa il prima possibile, o meglio prima del temporale che a breve ci avrebbe colpiti, conservando al contempo la speranza di non vedere nè avvertire, fra me e mia sorella, lo scorrere di un cattivo sangue.  


Buonasera a tutti! Come prima cosa mi scuso dell'ennesimo ritardo, mi spiace se mi credevate sparita, ma alla fine sono riuscita a terminare questo capitolo così lungo e denso di emozioni. Non certo il più felice, lo so bene, ma nonostante questo, spero che vi sia piaciuto, e che il primo giorno di questo nuovo anno sia stato sereno e pieno di gioia. A presto, ci risentiremo nel prossimo, sempre in questo 2021 che spero sia pieno di positività, nonostante tutto,
 
Emmastory :)

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Capitolo 22
*** Freddo ma grande cuore ***


Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
Capitolo XXII 
 
Freddo ma grande cuore  
 
Eravamo arrivati a casa. Tristi com’eravamo, ci era sembrato impossibile, il percorso lungo e la strada piena d’insidie, ma alla fine ce l’avevamo fatta. Tornata da poco, avevo avuto cura di accompagnare Sky nella camera degli ospiti seguita da Christopher, e poi, solo dopo esserci assicurati di chiudere le tende perché riposasse al meglio, lui ed io ci eravamo ritirati nella nostra. Ora me ne stavo seduta sul letto con Delia fra le braccia, ma nonostante lei sorridesse felice, io non riuscivo a imitarla. A soli due mesi, lei e il fratello erano troppo piccoli per capire cosa davvero era successo e stava ancora accadendo, sapevano solo che avevo cercato di far conoscere loro qualcuno di nuovo, ovvero la zia Sky. Fra un passo e l’altro del viaggio verso casa, che lei aveva tanto insistito per fare a piedi, non aveva mai proferito parola, e rimasta in silenzio per tutto il tempo, non si era neanche degnata di guardarci. Preoccupato, Chris aveva cercato di farle qualche domanda, e poi anche di farla ridere, ma purtroppo, con scarsi risultati. A dire il vero aveva sorriso, lo ricordavo, ma per nostra sfortuna, amaramente. In altre parole, un sorriso che non le era arrivato agli occhi, e che le era spuntato in volto solo quando aveva notato un cucciolo di jackalope con le corna incastrate nel tronco cavo di un albero. Probabilmente la dimora di qualche allegra famigliola di scoiattoli, che quando controllai scoprii non essere quella di Darlene e Bucky, ai quali forse pianificava di rubacchiare qualcosa. Magari una mora, forse qualche altro frutto, o quasi sicuramente una noce o una nocciola. Divertita, ero corsa ad aiutarlo distraendolo con una foglia perché ci giocasse, e una volta libero, l’avevo lasciato andare. Era stato allora che Sky aveva riso, anche se, mi costava ammetterlo, poi non l’aveva più fatto. Stanca, nervosa e imbarazzata, aveva preferito riposare, e ora dormiva. Rimasta sola con Christopher, alzai lo sguardo per incontrare il suo nel silenzio di quel calmo e quasi tetro pomeriggio, e prima che riuscissi a parlargli, qualcosa, o meglio, qualcuno, ci distrasse. Un vagito lieve, ma allo stesso tempo chiaro e conosciuto. Era Delia, che sveglia dal suo pisolino, ora chiedeva di essere cullata. Intenerita, accennai a un sorriso, e annuendo, realizzai il suo desiderio. Lentamente, la piccola parve calmarsi, e poco dopo, sentii il leggero brontolare del suo stomaco. “Chris, ti spiace?” gli chiesi, indicando con lo sguardo la porta della stanza ancora aperta. Silenzioso, lui negò con la testa, e alzandosi, andò a chiuderla, portando nel mentre con sé anche il piccolo Darius. Del tutto spompato dal viaggio, dormiva beato, mentre la sorellina, sempre al sicuro fra le mie braccia, aveva ripreso a lamentarsi. Sospirando appena, continuai a cullarla, e quando quell’ormai solito stratagemma non parve funzionare, e anzi, sembrò agitarla ancora di più, cambiai tattica. Cauta, me la posai sulle gambe, e in breve, mi scoprii per allattarla. Prima avevo sempre usato il biberon, ed era vero, ma un appunto trovato nel libro della famiglia di Christopher suggeriva il contrario, così ci avevo pensato, e ora eccomi lì a provare. Il primo dei due metodi era più semplice e veloce, non potevo negarlo, ma averla in braccio mi rilassava, e ne ero certa, rafforzava anche il nostro legame. “Ecco fatto, va meglio adesso?” azzardai poco dopo, parlandole con dolcezza. Scivolando nel silenzio, la piccola non provò a dire né mi fece capire nulla, tranne che era contenta, ora che beveva il suo latte ad occhi chiusi e succhiava felice. “Lui dorme, vero?” tentai poco dopo, cercando di non muovermi per non disturbare la bambina. “Sì, Kia, ma non credo andrà avanti per molto.” Scherzò, abbozzando a sua volta un sorriso divertito mentre mi si avvicinava. Lasciandolo fare, osservai nostro figlio fra le sue braccia, e con il cuore già colmo d’amore per entrambi e di speranze per il futuro, mi sporsi per sfiorarlo, facendo sempre attenzione alla bimba che avevo già in braccio. Ancora piccola e maldestra, si stringeva a me con tutta la forza che aveva nei pugnetti già chiusi, serrando una manina proprio intorno a una ciocca dei miei capelli. Incuriosita, prese a tirare, e allarmata da quell’improvviso dolore, storsi la bocca in una breve smorfia, poi tornai a guardarla. “Delia, no, lascia, così mi fai male.” Le dissi, spostandole piano il braccino così che le ricadesse su un fianco. Sorprendentemente, la pixie non oppose resistenza, e già stanca di quel gioco, aprì e chiuse più volte la manina, fino a portarsi il pollice in bocca. A quella scena, sentii il cuore sciogliersi, e non osando fermarla, le scompigliai i capelli. “Però, è già sazia?” commentò Christopher, sorpreso. “Direi più distratta, tesoro.” Gli risposi, alzandomi in piedi e stringendola a me. “Non è vero, piccina?” tentai, il mio tono sempre dolce e tranquilla. Sulle prime, da parte della pixie nessuna risposta, poi un altro vagito, stavolta più forte dei precedenti. Colpita non riuscii a credere alle mie orecchie “E cos’era quello? Un sì? Era un sì?” azzardai, sollevandola leggermente e facendo un breve giro su me stessa. “Amore, è già dolcissima.” Aggiunsi poi, rivolgendomi al mio amato Christopher. “Già, ma c’era da aspettarselo, con te come mamma.” Replicò lui, che intanto aveva assistito, stando in disparte, all’intera scena. “Come hai detto?” tentai in quel momento, fingendomi sorda alle sue parole. “Che sei una madre fantastica, fatina mia.” Breve, concisa, ma onesta, una risposta che in realtà non mi aspettavo, specie dopo tutti i dubbi che gli spiriti e le loro voci mi avevano instillato, ma che accettai di buon grado, con il cuore che batteva e il sorriso sulle labbra. Avrei voluto baciarlo, ma con noi c’erano i bambini, e seppur felicissima, mi trovai costretta a rimandare. Voltandomi per un istante, notai che la sera stava iniziando a calare sul bosco, e tirando le tende con la mano libera, posai piano mia figlia sulla nostra coperta. Divertita, emise qualche versetto, poi sorrise, e agitando gambe e braccia, riempì il silenzio con la sua risata infantile. “Che sta facendo?” non potè evitare di chiedere il padre, confuso. “Non vedi? Gioca. Tienili d’occhio, vado a prendere il suo pupazzo.” Replicai, trattenendo a stento una risata mentre mi allontanavo. “Va bene!” si affrettò a rispondermi, alzando la voce per farsi sentire anche oltre il corridoio. E così, uscii dalla stanza, e diretta verso quella dei piccoli per dar loro qualcosa con cui distrarsi, udii una voce. Attenta, aguzzai l’ingegno e la vista nel corridoio scarsamente illuminato, e accesa una luce, ripresi a camminare. Per qualche istante, il silenzio fu disturbato solo dai miei passi, poi rieccola. Di nuovo quella voce, la stessa di prima. Non apparteneva a uno spirito, né a uno dei miei amici, ma bensì a Sky. Avvicinandomi alla sua porta, scoprii che era rimasta socchiusa, e attratta come una falena dalla fievole luce all’interno, non esitai a controllare. Avvicinandomi, spinsi fino ad aprirla, e in silenzio, bussando con appena tre piccoli colpi contro il legno, entrai. Tutto attorno era buio, all’improvviso non riuscivo più a camminare né a orientarmi, e l’unica fonte di luce, non più il lampadario, era diventata una candela. Debole come una bestiola ferita e ormai conscia del suo destino di preda, illuminava appena lo spazio dello scrittoio, proiettando ombre sul muro accanto al letto. “Sky, ma cosa...” farfugliai, confusa. Da parte sua, però, nessuna risposta, o almeno non subito, dato che inizialmente non udii altro che i suoi lamenti e il suo respiro, entrambi spezzati come un’ormai consunta corda. Provando pena per lei, diedi vita a un incantesimo per orientarmi meglio nel buio, e sedendomi sul bordo del letto, le posai una mano sulla schiena, poi attesi. “Che succede? Ti ho sentita piangere.” Le dissi, andando dritta al punto e sapendo di star per toccare un nervo scoperto. “Scusa, non volevo, è... è tutta colpa mia...” piagnucolò, fuggendo dai miei sguardi mentre teneva il volto nascosto nel cuscino, che abbracciava e stringeva forte. Una scena triste ma tenera e dolce, che per qualche istante mi riportò alla mente vecchi ricordi d’infanzia, ma ai quali decisi di non badare. "No, non dire così, in fondo non hai fatto nulla." Le feci notare, avvicinandomi e facendo del mio meglio per rassicurarla. Calma e sincera, tenevo neutro il tono della voce, così che non pensasse, neppure inconsciamente, che fossi in qualche modo arrabbiata con lei. Una delle tante lezioni di Christopher, dovevo ammetterlo, imparata nel giorno in cui, durante una visita a casa di Isla e Oberon, si era ritrovato a dover consolare la figlia minore, Lunie, triste e spaventata alla sola idea di cambiare casa. "Resto." Aveva detto, per poi inerpicarsi sul lettino e darci le spalle, circondata da tutti i pupazzi che, come quella stanzetta, non voleva abbandonare. Grazie al cielo Chris era riuscito a spiegarle ogni cosa e a farle cambiare idea, ponendo la questione in termini semplici per una bambina come lei, e inaspettatamente, dopo tanto aiuto e un grande abbracciato, la piccola sembrava essersi decisa, stringendo a sè anche quell'idea. Ecco cosa mi ricordava Sky in quel momento, una povera bambina impaurita, ancora in colpa dopo una classica e innocente marachella. Ovvio era che quello non fosse il suo caso, ovvio, ma volendo incoraggiarla le regalai un sorriso, e finalmente, lei si voltò a guardarmi. "Come stanno i bambini?" mi chiese, sinceramente preoccupata per loro. Colta alla sprovvista, esitai nel rispondere, e sfiorando la coperta con una mano, parlai. "Benissimo, non preoccuparti. Ora sono di là con Christopher, e stavano giocando, ma fra un pò andranno a letto." Le spiegai, non riuscendo a nascondere un secondo sorriso, tanto felice quanto orgoglioso. "Meno male, almeno non si sono fatti nulla." Commentò lei in risposta, con la voce ancora rovinata dalla tristezza. "Cosa? Perchè dici così?" provai a chiederle, stranita. "Ieri, lì alla grotta. Ero nervosa e arrabbiata, non ho neanche voluto vederli quando me li hai portati. E se li avessi spaventati?" Un timore legittimo, c'era da dirlo, ma conoscendola, non per una fata come lei. Ascoltandola, non osai interrompere, poi guardandola, ripresi la parola. "Sky, no. Sono piccoli, è vero, ma non gli hai fatto niente. In più dormivano, forse non ti hanno neanche sentita." Riprovai a dirle, avvertendo nelle sue parole e nel tono di voce una paura vera e genuina. Darius e Delia erano i miei figli, ma lei era pur sempre loro zia, e il pensiero di far loro del male sembrava costante. A dirla tutta era più che normale, e con un ennesimo sorriso, le sistemai meglio una ciocca chiara e ribelle dietro l'orecchio. Per un pò fra noi aleggiò il silenzio, specie dopo quel mio gesto, finchè lei non parlò di nuovo. "Posso venire?" azzardò, strofinandosi un occhio per scacciare una lacrima e tirando leggermente su col naso. "Certo! Vieni, ti accompagno." Mi affrettai a replicare, felice come e forse più di lei. Lenta, le tolsi di dosso le coperte, e prendendole la mano, l'aiutai a muoversi nel buio. Era lì in quella stanza da molto più tempo di me, il che significava che forse si era abituata, ma i tre giorni d'immobilità l'avevano indebolita, perciò darle una mano non era certo una cattiva idea. Così, buio o meno, arrivammo alla porta e poi al corridoio, e mentre lei restava appoggiata a me, con la mano libera ritentai quell'incantesimo. Nulla di difficile, solo un pizzico di magia imparato sin da bambina, quando, sola e al buio, cercavo di confortarmi senza svegliare nostra madre. Fatti pochi passi, poi, anche il corridoio ebbe inizio e fine, e raggiunta la porta della mia stanza da letto, mi preparai a tornare da Christopher. "Chris, sono tornata. Non ho i giocattoli, ma non importa. Qui c'è qualcosa di meglio." Gli disse, avvicinandomi per stringermi a lui. Felice di vedermi, lui mi accolse fra le sue braccia, indicando con lo sguardo Darius e la sorellina che ancora giocavano sul letto. A quanto sembrava, Chris aveva trovato un sonaglio dimenticato proprio nella nostra stanza, quando ancora erano piccoli come lucciole e provavo a farli divertire agitandolo davanti a loro. Insieme, i due si muovevano appena, e animate come al solito, quasi fossero dotate di vita propria, le nostre bambole cercavano di farli divertire ballando per loro. Sempre uguali, un folletto e una fatina, in qualche modo una minuscola riproduzione di noi due. Divertiti, i piccoli non riuscivano a smettere di guardarle, e cercando la mano di Christopher, la strinsi. Imitandomi, lui non tardò ad accarezzare la mia, e ormai del tutto ignari della presenza di Sky, ci baciammo. Il nostro fu un bacio dolce e casto, interrotto solo da uno dei versetti dei piccoli. Ignorandoci, Sky si era avvicinata al letto, e ora coccolava Delia, coprendole il pancino di baci mentre le faceva il solletico. Troppo piccola e debole per difendersi, se così si poteva dire, la bambina la lasciava fare, e giocando con lei e con il fratellino, ormai rideva così tanto da restare senza respiro. Poco dopo, Sky si allontanò dal letto di qualche passo, e muovendo piano le dita, sperò di mettere in atto chissà che magia. Controllava il vento, lo sapevo bene, e guardandola, annuii. Ricambiando quel gesto, lei chiuse gli occhi per qualche secondo senza smettere di muovere una mano, ma quando li riaprì, nulla. Un colpo di magia andato a vuoto, nulla di grave in circostanze normali, ma preoccupante nelle sue. Allarmata, mi scambiai con Christopher un'occhiata colma d'eloquenza, e osservandomi, serissimo, non disse nulla. Veloce, tentai di dissimulare, e in silenzio, le consigliai di cambiare gioco, e in fretta. Confusa, Delia continuava a guardarla con i suoi occhioni scuri, come a chiedersi cosa sarebbe successo di lì a poco, e sotto mio muto consiglio, Sky l'attaccò ancora, sollevandola per abbracciarla e fingendo di farla volare per la stanza. Avrebbe potuto farlo davvero, ne ero certa, ma la sua magia non sembrava rispondere ai suoi comandi, perciò era stata costretta a ricredersi. Felice di vederla così calma e rilassata, mi godetti quello spettacolo per altri lunghi minuti, allo scadere dei quali, le ricordai le nostre regole. Ormai si era fatta notte, era ora che i bambini dormissero, e come loro anche noi, così le concessi un'ultima possibilità di abbracciarli prima che riposassero, e dopo un altro turbine di baci, si decise a dar tregua ad entrambi. "Buonanotte, Sky, e a domani, questi piccolini hanno bisogno di dormire, sai?" Le dissi, scherzando e prendendola bonariamente in giro. "Ho capito, piantina, non preoccuparti. Anzi, una buonanotte anche a loro. Specialmente a te, signorina." Rispose lei, con un sorriso stampato in volto mentre parlava alla mia piccola Delia. "Buonanotte, Sky." La salutò Christopher, tranquillo come al solito. Nel farlo, sollevò piano il braccino di Delia, e alzando la voce di alcune ottave, fino a renderla quasi stridula, si ripetè. Uno spettacolo tenero, che a dirla tutta mi fece ridere, e davanti al quale, per poco non mi sciolsi. Di lì a poco, la porta della nostra stanza si chiuse, e con il suono dei passi di Sky a riempire il silenzio del corridoio, scostai le coperte. Sedendomi sul letto, infilai in fretta la camicia da notte, e sdraiandomi lentamente, ebbi cura di non disturbare i piccoli, già sistemati in mezzo a noi e proprio accanto al padre. Alla ricerca di una posizione comoda, mi rigirai più volte, e sempre vicina a Christopher, mi lasciai abbracciare. Confortata dal suo calore, mi addormentai quasi subito, contenta e orgogliosa del nostro presente, del futuro che avremmo vissuto insieme e di Sky, la sorella che tanto amavo e che stasera si era dimostrava diversa. Forte eppure fragile, burbera ma dolce, e soprattutto, con un apparentemente freddo ma in realtà caldo e grande cuore. 

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Capitolo 23
*** Due uomini e una fata ***


Luce-e-ombra-IV-mod


Capitolo XXIII 
 
Due uomini per una fata 
 
La notte era stata lunga, ma alla fine c’eravamo tutti addormentati. Christopher ed io l’uno accanto all’altra, i bambini proprio in mezzo a noi, e Cosmo e Willow sul tappeto che ancora insistevo nel tenere steso nella nostra stanza. Ci aspettavamo una nottata tranquilla, ed era vero, ma nonostante le nostre speranze, nulla di tutto ciò. Ormai erano passate ore, e il sole già faceva capolino oltre le nuvole e attraverso il vetro della finestra chiusa, ma ancora stanca, proprio non riuscivo ad alzarmi. Non l’avrei mai detto ad alta voce, chiaro, ma la colpa, se così poteva essere chiamata, era tutta da imputarsi proprio ai bambini. Gemelli, certo, che in quanto loro genitori amavamo alla follia, ma che tuttavia non potevano essere più diversi. C’era Delia, più tranquilla, rilassata e incline al gioco quando era sveglia, ma anche molto legata a me e già abituata a stare in braccio e a chiedere attenzioni, anche quando non aveva alcuna fame, o a dirla tutta, nessun bisogno particolare. Soltanto quello di essere cullata unito alla voglia di giocare con un ormai famoso, colorato e rumoroso sonaglio, che, non mi costava ammetterlo, solo nella notte appena trascorsa dovevo aver agitato per lei almeno un milione di volte. Al solo pensiero, ora sorridevo, e il mio sorriso non accennava a svanire, neanche ora che la guardavo starsene lì, sdraiata nel nostro letto nella tipica posizione fetale, con gli occhioni chiusi e il pollice in bocca. Una scena adorabile, c’era da ammetterlo, dalla quale per più di un istante non riuscii a staccare gli occhi. Fu questione di istanti, e la vidi scalciare leggermente, per poi, con la solita lentezza di chi era davvero spossato, svegliarsi. “Ciao, tesoro.” La salutai, parlandole piano e con dolcezza. Nel farlo, le accarezzai piano il visetto, e restando a guardarla, la vidi sorridermi a sua volta. Felice, come se ogni volta per lei vedermi fosse una sorpresa, e fra tante, quella migliore di tutte. Nonostante questo però, un gran silenzio, spezzato solo dal sibilo di un vento leggero, che finestra chiusa o meno, sentivo chiaramente oltre le mura di casa. Un modo come un altro per la natura di dirmi che si stava svegliando, proprio come me e i miei piccoli. In altri termini, e parlarne mi divertiva, l’esatto contrario di Christopher, che del tutto privo di energie, riposava ancora. Intenerita, lo osservai senza una parola, poi mi alzai, avendo nel mentre cura di non disturbarlo. Abituato al mio modo di fare, Cosmo non perse un attimo di tempo, e stiracchiandosi come il gatto che non era, cosa che a volte irritava la sempre silenziosa Willow, si affrettò a portarmi le pantofole, spingendole con il naso nella mia direzione finché non le indossai. “Grazie, bello, ora spostati.” Gli dissi, per poi sollevare una mano e immergerla in quel pelo tricolore. Bianco, nero e azzurro come i miei occhi e i suoi, che ogni volta mi stupivo di vedere, sempre così profondi e attenti al mondo circostante. Non c’era da meravigliarsi, e lo sapevo, ma mi era ancora incredibile. Ricordavo ancora il giorno in cui era arrivato a casa nostra, tutto solo, tremante e spaventato dopo ciò che aveva visto e vissuto nella foresta, mentre adesso eccolo, completamente diverso, eppure sempre sé stesso. Non più un cucciolo, ma un cane, no, un Arylu adulto ma con le sue stesse caratteristiche di pasticcione, che mai avrei corretto né voluto veder svanire. Ad ogni modo, finalmente si fece da parte, così, già in piedi, mi incamminai verso la porta. Al contrario di Delia, Darius dormiva beato, dimostrandosi sin da allora una perfetta copia del padre in quanto a stanchezza e, o almeno così speravo, non pigrizia. Divertita da quel pensiero, ridacchiai sommessamente, e fra un passo e l’altro attutito dalla morbidezza del tappeto sotto i miei piedi, la quiete si spezzò. A distrarmi fu qualcosa di tanto soffice quanto rumoroso. Confusa, ispezionai il pavimento per qualche istante, per poi sospirare e passarmi una mano sul viso, in un misto di noia e incredulità. “Cosmo! Tu e i tuoi giocattoli!” mi lamentai a bassa voce, sentendo la gola dolere e pizzicare, anzi quasi bruciare per lo sforzo. Chiamato in causa, il mio amico mi guardò con occhi pieni di tristezza, e sicuro di essere colpevole di quel misfatto, si coprì il muso con una zampa. “Scusa, non lo farò più.” Sembrò voler dire, sincero eppure comico come sempre. Non riuscendo ad arrabbiarmi, decisi per l’ennesima volta di non badare a quell’innocente marachella, ma ormai era troppo tardi. “Kia? Che... che è stato?” chiese Christopher, svegliandosi e sbadigliando stancamente, stiracchiandosi quasi di malavoglia. “Scusa, ho calpestato qualcosa. Torna pure a dormire, non preoccuparti.” Risposi soltanto, vergognandomi perfino più di Cosmo, che ora se ne stava seduto composto, come in attesa di nuovi ordini. Nel farlo, guardò alternativamente me e la porta della stanza chiusa, per poi avvicinarsi e spiccare un breve balzo, tentando di afferrare la maniglia. “Spostati.” Gli ripetei, lasciandomi sfuggire un ghigno divertito mentre tentavo di restare seria. Quasi annuendo, l’Arylu mi fece di nuovo spazio, e abbassata la maniglia, lasciai la stanza. Intanto, sveglia ma ad occhi chiusi, e sicuramente annoiata da tanto rumore per nulla, Willow saltò giù dal letto, e veloce come un fulmine, saettò fuori, per poi calmarsi e riprendere a camminare per il corridoio. “Però! Qualcuno ha fretta!” commentò il mio amato, che intanto aveva assistito alla scena. “Direi di sì, amore. Resta dove sei, io arrivo subito.” Replicai appena, pregandolo di non muoversi. Scivolando nel silenzio, lui annuì a malapena, poi posò di nuovo la testa sul cuscino. Fermandomi a guardarlo, per poco non sbadigliai, e subito dopo capii. Lo conoscevo, sapevo che non era davvero pigro, e che se davvero faceva così fatica ad alzarsi e a stare sveglio, doveva esserci un motivo. Preoccupata, mi affrettai a lasciare la stanza, ma prima che potessi farlo, qualcosa mi bloccò. Un ricordo, quello dei nostri figli. Due ancora minuscole forme di vita che dipendevano da noi in tutto e per tutto, così fragili da indurmi ogni volta a sfiorarli con la massima cura. Far loro del male era una paura costante, dovevo ammetterlo, specie durante la notte, quando muovendomi a tentoni nel buio rischiarato solo dalla flebile luce emessa dalla polvere magica sulle mie ali, o dal ciondolo dal quale non mi separavo mai, spesso non riuscivo a vedere bene cosa facevo, né a distinguere ciò che avevo intorno. Scuotendo la testa, tornai al presente, e poco dopo, rieccolo. Di nuovo Cosmo, che con un flebile uggiolio cercava di attirare la mia attenzione. “Allora? Andiamo o no?” fra tante, soltanto l’ennesima delle sue potenziali frasi, tutte rivolte sia a me che a Christopher, e che parlando avrebbe sicuramente pronunciato. “Dammi un attimo, bello, arrivo. Tu inizia ad andare, forza.” Mi limitai a dirgli, indicandogli con lo sguardo il corridoio da lui ancora inviolato, oltre il quale la compagna gatta era già sparita. Mantenendo il silenzio, il caro Arylu non fece che guardarmi, poi, voltandosi, sparì a sua volta. “Chris?” chiamai poco dopo, rimasta da sola con lui e con i piccoli. “Sì?” rispose subito lui, sforzando la voce arrochita dal sonno. “Ti senti bene?” provai a chiedergli, sinceramente preoccupata. Non che gli fosse successo nulla, probabilmente era soltanto stanco dopo una notte passata come me a prendersi cura dei bambini, ma la prudenza non era mai troppa, e a giudicare dall’espressione che aveva dipinta in volto, la risposta non poteva essere che negativa. Scivolando nel silenzio, attesi, e proprio allora, la risposta che in parte mi aspettavo e in parte non avrei voluto sentire. “No, tesoro, non oggi.” In quattro parole, una semplice e dura verità. Essere genitori era bellissimo, forse la cosa migliore che ci fosse capitata in quanto coppia, ma allo stesso tempo, almeno per il momento, un compito arduo, se non addirittura deleterio. Avvicinandomi, ebbi modo di osservarlo meglio, e tornando a sedermi, al suo fianco sul bordo del letto, gli regalai un lieve sorriso. “Eppure tu non sei messa meglio, sai?” pochi istanti dopo, un commento che non anticipai, e che proprio per questo mi fece ridere. “Sei sempre il solito.” Gli risposi, trattenendo a stento una piccola risata. Era anche per questo che lo amavo. Prestava attenzione alle piccole cose come quella. Altri non l’avrebbero fatto, parte di me ne era sicura, e fermandomi a guardarlo, sollevai una mano per accarezzargli il viso. Tranquillo, lui mi lasciò fare, e in un attimo gli sfiorai una guancia. Insolitamente calda, c’era da dirlo, ma a dire il vero non mi preoccupai più di tanto. Chiudendo gli occhi, mi concentrai al meglio, e lasciando lavorare i miei poteri, riconobbi in lui i sintomi della comune febbre. Nulla di troppo grave, per fortuna, una scoperta alla quale reagii prontamente, quasi fossi stata un’infermiera, oltre che una fata. “Quando pensavi di dirmelo?” scherzai, sinceramente divertita. “Forse mai, signorina. In fondo sappiamo entrambi quanto ti preoccupi, vero?” Non tardò a rispondere lui, sincero come sempre. Fra una parola e l’altra, parve prendermi in giro, ma non ci badai. Ora come ora aveva solo bisogno di riposare, ma da brava fata, o creatura naturale, come una volta Major mi aveva chiamata, ero già pronta e piena di risorse, nonché decisa ad aiutarlo, e perché no, forse anche guarirlo. “Vero.” Risposi appena, riducendo la voce a un sussurro innamorato. “Ma è sempre così quando si tratta di te.” Una replica sincera tanto quanto lui, alla quale non pensai e che liberai semplicemente, sdraiandomi lentamente al suo fianco senza disturbare la bambina, che ormai sveglia, ci guardava alternativamente ora l’uno ora l’altro, mentre il fratellino ancora sonnecchiava. Forse troppo, lo sapevo, ma a dirla tutta era ancora mattina presto, e chi avrebbe potuto biasimarlo dopo un’intera notte passata a piangere? Non io né Chris, quello era più che certo. Così, il tempo sembrò riprendere a scorrere, e dopo qualche istante di silenzio, lui mi sorprese ancora. “E non dei piccoli?” chiese, riprendendo quel piccolo litigio da dove l’avevamo lasciato. Fintamente indignata, sferrai un pugno al cuscino, e incapace di trattenermi, scoppiai di nuovo a ridere. Contagiato, anche lui rise con me, e insieme, vicini e mai lontani, ci abbracciammo. Da allora in poi, il silenzio cadde nella stanza, solenne ma non pesante, anzi, leggero come una e mille piume. “Christopher Powell, io ti odio...” sussurrai, sarcastica e affatto convinta. Scherzavo, era vero, ma d’altra parte non volevo certo rovinare quel momento. “Così tanto da arrivare quasi a baciarmi?” ancora una volta, una delle sue solite repliche, tutte sempre piene di quel sarcasmo che più volte mi aveva dato sui nervi. Imponendomi la calma, però, restai a guardarlo, per poi convincermi e realizzare il suo desiderio. Lenta, gli coprii le labbra con le mie, e in un istante, dimenticai ogni cosa. Quel contatto fu più breve di quanto mi aspettassi, ma non per questo meno intenso, specie quando lo sentii giocare con le dita fra i miei capelli. Tranquilla, lo lasciai fare, e con il cuore già impazzito, dovetti costringermi a staccarmi, bisognosa d’aria. “Esatto.” Gli dissi poi, quasi senza fiato. Sorridendomi, Christopher non aggiunse altro, indicandomi però qualcosa, o meglio, qualcuno, accanto a noi. Sempre Delia, sempre la bambina. Confusa, non seppi cosa pensare, e di lì a poco, capii. Non riuscivo a crederci, ma più divertita che sorpresa, risi sommessamente. Fu quindi questione di un attimo, e un odore più che caratteristico mi investì le narici. “Cielo, piccola...” sospirai, sconvolta. Com’era possibile che una bambina così piccola fosse capace di un odore del genere. Proprio come il fratello, anche lei era appena una neonata, e c’era d’aspettarselo, e forse lo stesso valeva per il dover aprire la finestra. Grazie al cielo Christopher mi risparmiò anche solo quel pensiero, mentre, con le pantofole portatemi da un’ora scomparso Cosmo di nuovo indosso, mi rimisi in piedi. Una volta fatto ripresi in braccio la bambina, e prima che potessi anche solo pensare di lasciare la stanza e chiudermi in bagno per cambiarla, ecco che qualcos’altro mi distraeva. Qualcuno stava bussando, e dato il momento, non avevo tempo né voglia di ricevere ospiti. “Non è il momento Willow, non grattare la porta!” quasi urlai, alzando la voce per farmi sentire. “Willow? Non mi riconosci neanche più, adesso, piantina?” rispose una voce oltre il legno, seria e speravo fintamente offesa. “Scusa!” mi limitai a rispondere, sicura che si trattasse di mia sorella. Dopo quanto accaduto alla grotta, viveva ancora con noi in attesa di una particolare svolta nella sua vita, ma nonostante fosse logico pensarlo, non dava alcun fastidio, anzi il contrario. Poteva sembrare sciocco, forse infantile o addirittura folle, ma fra lei e i bambini, la casa era letteralmente piena. Piena dei piccoli e delle loro risate, dei loro pianti e dei loro giochi, e allo stesso tempo anche della sua silenziosa, algida presenza. Quel carattere apparentemente freddo poi era diventato nel tempo un vero marchio di fabbrica, e no, non l’avrei certo cambiata con niente e nessuno al mondo. Eravamo diverse sotto tanti aspetti, se non addirittura tutti, ma eravamo comunque sorelle, e a entrambe, anche se lei non l’avrebbe mai ammesso né detto ad alta voce, andava bene così. Lento, il tempo continuava a scorrere, e tornata ai miei doveri di madre, finalmente avevo raggiunto il bagno e il fasciatoio. Non era la prima volta che cambiavo un pannolino a un neonato, e lo sapevo bene, ma nonostante tutto, a volte provavo una strana sensazione. Una sorta di ansia mista alla paura di far loro del male, a lei come al fratellino. Scuotendo la testa, m’imposi di non pensarci, e qualche minuto dopo, mi ritrovai a stringere fra le braccia la mia dolce pixie, ora pulita e profumata. “Visto? Abbiamo finito, ora puoi smettere di scalciare.” Le dissi, notando che continuava ad agitarsi e a muovere le gambette. Dolcissima, la bambina sorrise e basta, limitandosi a guardarmi e a sollevare una manina per portarsela in bocca. Paziente, la spostai perché non potesse farlo, e sicura di aver finito, tornai alla mia stanza. Era lì che tenevo le sue tutine e quelle del fratello, e non avrei certo potuto lasciarla lì in quelle condizioni. Sospirando, mi feci forza, e fatti pochi passi, sentii qualcosa. Di nuovo qualcuno che bussava, e dopo qualche istante, la porta che si apriva. “Guarda chi ti ho portato?” disse una voce alle mie spalle, cogliendomi di sorpresa. Confusa, mi voltai, e fu allora che capii. “Chris, no, non anche lui...” mi lamentai, ancora stanca. “Rilassati, me ne sono occupato io. Ha mangiato e fatto il ruttino, sono venuto a darti i vestiti di entrambi. Basta cambiarlo. Ti do una mano, se vuoi.” Parole semplici, ma che in quel momento di stanchezza furono per me una vera panacea. “Sarebbe fantastico. Delia qui sarà anche piccola, ma non sta ferma un attimo.” Risposi, lasciandomi poi andare a quel commento tranquillo e divertente. Dovette esserlo, poiché vidi il mio amato ridere, anche se il suo sorriso svanì nel momento in cui, occupando lo spazio lasciato libero dalla bambina, posò Darius sul fasciatoio. Silenzioso come al solito, si astenne dal lamentarsi, e da bravo padre, portò a termine anche quel compito tanto ingrato. In breve, entrambi furono vestiti, e le tutine, pulite e bellissime, sembrarono renderli felici. In fondo cosa c’era di meglio che rinfrescarsi e cambiarsi d’abito prima di iniziare al meglio la giornata? Nulla, o almeno così pensavo. “Che ore sono?” chiesi poco dopo, sprovvista di un orologio. “Ora di colazione per tutti e quattro, Kia. Ora vieni, o Sky finirà per offendersi.” Mi rispose Christopher, mentre sollevava il piccolo Darius per prenderlo in braccio. Sorridendogli, lo ringraziai senza una parola, e insieme, ci avviammo verso la cucina. Bastò un attimo, appena il tempo di arrivare, che fummo subito accolti dalla voce di mia sorella. “Ce l’avete fatta, vedo.” Ci disse, come al solito sempre pronta a prenderci in giro. Non voleva essere cattiva, ormai l’avevamo capito, e guardandola, non riuscii a non sorriderle. “Sì, Sky, visto? Scusaci, ma avere dei figli comporta anche far tardi a colazione.” Le feci notare, emulando il suo tono e sistemandomi meglio Delia fra le braccia, mentre con la testina sulla mia spalla, osservava il mondo da tutt’altra prospettiva. A pochi passi da me, Chris faceva lo stesso, e poco dopo, fu Sky ad avere l’idea perfetta. Muta come un pesce, si congedò da noi per qualche istante, e al ritorno, non fu da sola, portandosi infatti dietro entrambe le carrozzine dei piccoli. “Ecco, ora potete lasciarli andare. Riposatevi, e state tranquilli.” Disse poi, sorprendendoci con la sua gentilezza. “Però, grazie!” si affrettò a risponderle Christopher, decisamente sollevato a quella sola idea. Annuendo, finii per imitarlo, e sedendomi, aspettai. “Allora, che ci hai preparato?” chiesi, curiosa oltre che affamata. Stando a quanto ricordavo, non era mai stata brava in cucina, fra noi due ero l’unica a fingermi cuoca da piccola, e proprio per questo mi ero divertita a prenderla in giro, ma sicura che il tempo di scherzare fosse finito, decisi di darle un’occasione. “Toast al formaggio.” Si limitò a rispondere lei, precisa e tranquilla. “Anche se non sono riuscita a far funzionare quel coso.” Aggiunse poco dopo, con lo sguardo rivolto al bancone poco distante. “Quel coso, carina, si chiama tostapane.” S’intromise Christopher, molto più esperto di noi in materia e invenzioni umane. “Carina? Io sono bellissima, ti ringrazio.” Non tardò a replicare lei, pungente e quasi aggressiva. “E anche modesta, direi.” Commentai, tutt’altro che sorpresa. “Kaleia...” mi richiamò lei, con voce bassa e grave. Confusa, mi fermai a guardarla, poi capii. Scherzavo, ma aveva ragione. “D’accordo, scusa.” Le dissi allora, regalandole un sorriso. “Non fa niente.” Mi fece capire, ricambiando quel lieve gesto e stringendosi nelle spalle. Scivolando nel silenzio, prese un toast anche per sé, e riempito un bicchiere di succo di frutta, si sedette. “Sapete...” ricominciò, dopo qualche boccone e pochi, piccoli sorsi. “Sì?” azzardò Christopher, mentre a sua volta gustava quella creazione. “Fino a qualche tempo fa c’era davvero qualcuno che lo pensava.” Poche parole, un discorso semplice, che ascoltai in silenzio e con un improvviso peso sul cuore. Provando pena per lei, le posai una mano sulla spalla, e sorprendentemente, lei mi lasciò fare. In circostanze normali si sarebbe stretta nelle spalle o allontanata, ma ora non l’aveva fatto, e preoccupata, aspettai che riprendesse a parlare. Non sapendo cosa fare, Christopher mi rivolse uno sguardo colmo d’eloquenza, e sempre in silenzio, scossi la testa. E così, attesi per qualche altro istante, ma quando nulla accadde, mi ritrassi. Ognuno al proprio posto in cucina, uno sdraiato sul pavimento, l’altra sul cuscino di una delle sedie, anche il cane e la gatta si fermarono a osservarla, e per poco non risi quando, nello sguardo di Cosmo non lessi altro che un buffo tentativo di farla sorridere. Poteva sembrare strano, ma aveva come incrociato gli occhi, e non ero riuscita a trattenermi. Scottata, lei mi fulminò con un’occhiata, e dopo un altro morso al suo toast al formaggio, buono per una principiante, dovevo dirlo, sembrò calmarsi. “Credo che sia arrivato il momento.” Disse poi, riprendendo finalmente la parola. “Per cosa?” non potei evitare di chiedere, più confusa di prima. Mi conoscevo, sapevo di non farlo apposta, e nonostante sapessi che avrebbe potuto pensarlo, era la verità, e davvero non la seguivo. “Sì, Sky, Kia ha ragione, spiegati.” La pregò Christopher, sperando di non innervosirla. Stando ai ricordi di entrambi, era già successo, e in un periodo per lei così delicato non volevamo che accadesse ancora. “Per decidere, protettore. Mi è ricapitato fra le mani il messaggio di Major, e diciamo che non ha tutti i torti, ecco.” Ancora una volta, un discorso chiaro, che nonostante tutto non riuscivo a seguire né a comprendere a fondo. A dirla tutta non sapevo bene perché, forse era davvero solo colpa della mancanza di sonno, ma annuendo, mi sforzai quanto possibile. “Devo, farlo, o presto non sarò più capace di usare i miei poteri, o peggio.” In quel momento, un’aggiunta particolare, che in attimo parve risvegliarmi i sensi, facendomi dimenticare di tutta la mia stanchezza. Non mancando di notarlo, Christopher fu lì per stringermi la mano, e nel mentre, anche accarezzarla. Un gesto più che normale, al quale fra l’altro ero abituata, ma che in quel momento ebbe un significato più profondo del solito. “Sono qui, non preoccuparti.” Sembrava dire, affidando a quel gesto ogni parola. Non proferendo parola, mi limitai ad annuire, e nello spazio di un momento, così come si era seduta, Sky si rialzò da tavola. Ormai poco le importava di mangiare, della colazione o di quanto fosse presto, anche se l’orologio appeso al muro segnava appena le nove del mattino. “Sapete cosa? Basta aspettare, io direi che è meglio se andiamo.” Dichiarò, decisa come mai l’avevo vista. “Cosa? E dove?” chiesi, incerta sul da farsi. “Non lo so, Kia, ovunque siano. Questa faccenda va risolta, e presto, o io...” provò a dirmi, ma invano, poiché la frase le morì in gola, proprio come era accaduto a me con mille altre. “Sky!” gridai, preoccupata. Fu inutile. Da parte sua nessuna risposta, solo il leggero tonfo del suo corpo che ricadeva sulla sedia come privo di vita. Per poco non scivolò a terra, ma solo perché con un colpo di magia non esitai ad aiutarla, ma anche con il mio incantesimo, e istanti dopo la sua fine, nulla. Paralizzata, quasi non riuscii a muovermi, mentre il tempo scorreva e il terrore prendeva lentamente possesso di me. Era incredibile. Fino a ieri stava bene, e ora sembrava essere svenuta. “Sky, Sky, ti prego, rispondimi!” implorai, precipitandomi da lei. Per mia sfortuna, neanche un rantolo, e anzi, il più completo, perfetto, e in quel caso macabro silenzio. Respirando a fondo, cercai di calmarmi, ma ogni tentativo si rivelava vano. Sconvolta, guardai Christopher, ma anziché coraggio, nei suoi occhi non notai altro che pura confusione. “Kaleia, tesoro, ascoltami, starà bene, d’accordo? Starà bene. L’abbiamo salvata già una volta, il che significa che possiamo rifarlo.” Anche in quel caso, parole sincere delle quali avrei voluto e potuto fidarmi, ma che nonostante tutto non calmarono i miei improvvisi tremori. Spaventata, feci saettare lo sguardo in più direzioni, poi ricordai. Avevo ancora il mio ciondolo con me, lo avevo sempre, e forse un incantesimo curativo avrebbe fatto al caso suo. Scuotendo la testa, cercai di restare calma e respirare a fondo, ma all’improvviso, un ricordo mi bloccò e annebbiò la mente. “Fate, folletti e altre creature, generalmente spiriti buoni, vengono costantemente cambiati, segnati e formati dall’ambiente che li circonda, e lo stesso può accadere al loro vivere, reso in circostanze negative, infauste e sfavorevoli progressivamente più arduo. Sin dalla sua creazione e dall’ingresso in questo mondo, la creatura in questione è come destinata a creare dei legami con coloro che la circondano. Se accade, allora ha fortuna, ma questa scema quando e se si spezzano. Lentamente, in special modo per ciò che riguarda gli esseri leggiadri e alati, la luce dentro di loro si spegne, e dopo un ultimo respiro e un morente sfavillio, forse ultima richiesta d’aiuto o spasmo di vita, nient’altro da fare.” Una delle tante frasi scritte nel libro di magia della famiglia di Christopher, parte di uno dei capitoli che più mi erano rimasti impressi, e che ora mi faceva sperare e al contempo sudare freddo. “Chris, so cosa fare, tu aspettami.” Dissi, nuovamente fiduciosa. Mantenendo il silenzio, lui non fece che annuire, e veloce come un fulmine, mi precipitai nella nostra stanza. Era lì che tenevo il cristallo ricevuto in dono da Marisa prima della nascita dei bambini, proteggendoli dai poteri degli spiriti della foresta, e se avevano aiutato me, allora avrebbero potuto farlo anche con lei. In parte ne dubitavo, ma valeva la pena tentare. Grazie al cielo era ancora lì, sul davanzale della finestra dove l’avevo lasciato così che i raggi della luna lo facessero risplendere ogni notte, proteggendo me, Christopher e i piccoli. Agendo d’istinto, lo afferrai senza pensare, e trafelata, tornai in cucina. Da allora in poi, il tempo parve fermarsi ancora una volta, e inginocchiandomi accanto a un’ancora incosciente Sky, le presi la mano per poi richiuderla, così che stringesse quel gioiello. Memore di un incantesimo in quel preciso istante, lo recitai in silenzio, e dopo un tempo infinito, rieccola. Stanca e confusa, certo, ma di nuovo sveglia e ancora con noi. “Kia, che... che è stato? N-Non... ricordo...” balbettò, la voce venata di dolore e corrotta dallo sforzo. Con un velo di lacrime a coprirmi gli occhi, mi sforzai di guardarla senza piangere, sentendo nel mentre il mio cuore stretto in una morsa. Il libro dei Powell non mentiva, lo sapevo bene, e grazie al cielo la mia tecnica aveva funzionato. Grata, guardai il cielo oltre la finestra, e senza una parola, ringraziai. “Tranquilla, Sky, ora non muoverti, hai bisogno di riposo. I cali come questo possono essere pericolosi.” Le spiegò Christopher, serio come mai prima. “Riposo? No, no, sentite... devo...” provò a rispondere lei, ma invano, dato che le forze le vennero meno. Spossata, sentì le palpebre pesanti, e con gli occhi a chiudersi senza che volesse, non fece più un fiato. Ansiosa, mi morsi e torturai il labbro inferiori fino a lasciarvi i segni dei denti, e preoccupato quanto e forse più di me, Christopher non tardò ad avvicinarsi. In un istante, le nostre mani si sfiorarono, e il mio ciondolo prese a brillare di luce propria. Come tante, un’altra cosa che non accadeva da tempo, e alla quale non riuscii a non prestare attenzione, specie quando lo vidi sorridere. “Visto, amore? Che ti dicevo?” sussurrò, soffiandomi sulle labbra quelle poche parole. “La verità, tesoro mio, adesso lo so.” Risposi, con il cuore pieno d’amore e fiducia. Senza dire altro, lui si voltò verso Sky, che ancora una volta, cercava di svegliarsi. “Risparmia le energie, cara, ti serviranno.” Si limitò a dirle, serio e sincero come al solito. Sorridendole, annuii senza aggiungere altro, e aprendo la bocca per parlare, anche mia sorella si ridusse al silenzio. Aveva appena vissuto un calo di magia, qualcosa di diametralmente opposto a ciò che accadeva a me quando soffrivo di eccessi, così pericolosi che anche il vecchio e ormai perso libro nero li citava, eppure lei sembrava non volersene curare. Era mia sorella, la conoscevo e capivo, comprendevo benissimo quanto potesse essere difficile tacere emozioni così forti. Lo stesso era accaduto a me grazie a Christopher, e al solo pensiero delle battaglie che avevamo combattuto insieme, al contempo reali e metaforiche, sorridevo. Strano, lo sapevo, ma a farmi sorridere era la consapevolezza che ce l’avevamo fatta, che nel tempo non ci eravamo mai separati neanche quando la strada si faceva lunga e il cammino arduo, ed ero certa, mentre Sky riposava sul divano, al quale l’avevo portata grazie a un rapido trucco di levitazione, che anche lei avrebbe lottato e vinto, impetuosa come il vento che era capace di controllare. Fra centinaia, forse migliaia di noi, l’unica che conoscessi così a fondo e che avesse un carattere come il suo. Buona ma forte, decisa e sensibile, e ora divisa in due metà perfettamente identiche, come ad un bivio nonostante a guidarla ci fossero la mente e il cuore, poiché nessuno avrebbe potuto prevedere cosa sarebbe successo fra lei, Noah, e Major, o come un giorno avrei ricordato, guardando metaforicamente indietro alla fine di tutto, fra due uomini e una sola fata.  




Buonasera, miei lettori. Sono finalmente riuscita a tornare e ad aggiornare questa storia, e prima che ve lo chiediate, no, non è un pesce d'Aprile, nonostante la data. Qualcosa di completamente diverso, infatti, il prosieguo per cui vi ho fatto aspettare che è arrivato con un ritardo del quale mi dispiaccio, ma stavolta la stesura non è stata affatto facile, complici mancanza d'ispirazione come di tempo. In realtà avrebbe dovuto essere perfino più lungo di così, ma alla fine ho deciso di spezzarlo, conservando il resto per il prossimo. Come sempre, grazie del vostro supporto, e in questo caso della pazienza, e a presto, spero,


Emmastory :)
 

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