Ci sarà il Sole dopo la tempesta

di Ang_V97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


«C'era una volta una bellissima principessa che abitava con i suoi genitori, il re e la regina. Entrambi amavano la loro bambina e i suoi due fratellini, i principini...» Hope sapeva che quasi tutte le favole iniziavano in questo modo, o almeno lo sperava. Ormai erano anni che non ascoltava una fiaba, né tanto meno l'aveva mai raccontata lei. Eppure ora si trovava a doverlo fare ogni notte, più e più volte nella speranza che i suoi tre nipotini si addormentassero e non si svegliassero nel cuore della notte invocando la presenza dei genitori che purtroppo non c'erano più.
«Zia ma non possono essere tre principi? Le principesse sono sciocche e antipatiche!» Nicholas sapeva bene che al solo udire quelle parole la sua adorabile sorellina Alexis sarebbe andata su tutte le furie, difendendo a spada tratta le principesse, le quali erano le sue eroine e il suo rifugio specialmente in quel periodo di transizione. «Nick non sfottere le mie plincipesse! Sono meglio loro di quegli stupidi 'ottatori che piacciono a te!!» Lexi aveva solo cinque anni – vale a dire cinque in meno del fratello maggiore – e alcune parole faticava ancora a pronunciarle correttamente; questo ovviamente fece ridere ancor di più quel bricconcello di Nick che, con le sue risatine soddisfatte, fece svegliare Lucas, ovvero il più piccolo dei tre, il quale aveva da poco compiuto due anni. «Tia... che ore sono? È già oa di azzarsi?» Se Lexi non scandiva bene alcune parole e si mangiucchiava delle lettere, per Luke era decisamente peggio e peggiorava maggiormente quando Nick e Lexi infierivano su di lui, il primo per divertimento e la seconda per “vendicarsi” della tortura subita dal fratello maggiore. «No tesoro, rimettiti a dormire. E voi due smettetela di tormentare vostro fratello e dormite anche voi, sono le nove passate, su...» Hope non riusciva ad essere dura e severa, sia perché non lo era mai stata con loro tre, sia perché aveva paura: paura di essere accusata dai nipoti di non essere la madre e quindi non avere il diritto di sgridarli; paura di essere vista come “il nemico”; paura di fallire nel tentativo di emulare sua cognata. Fortunatamente per lei, però, i suoi tre nipotini erano più o meno ubbidienti e in quel frangente ne diedero prova nascondendosi completamente sotto le coperte; dalla sua posizione, ovvero dal centro della stanza e quindi con tutti e tre i lettini di fronte a sé, Hope riusciva a vedere quelle tre piccole figure rannicchiate in posizione fetale strette ai loro peluche e non poté non sorridere dolcemente e tristemente all'idea che quelle creaturine ancora così piccole e innocenti avessero già conosciuto tanto dolore.
Non aveva ancora finito di raccontare la sua fiaba inventata sul momento quando sentì che tutti e tre erano entrati nel mondo dei sogni e stavano addirittura russando, leggermente, ma lo stavano facendo, quindi si alzò e fece per uscire dalla camera nel modo più silenzioso possibile quando un rumore non molto forte, proveniente dalla sua camera da letto – la quale era proprio di fronte alla stanza dei bambini – la fermò. In un primo momento sospettò di un'intrusione, ma quando vide il lampadario oscillare e i peluche ordinatamente disposti sulle mensole cadere ad uno ad uno capì che ciò che stava accadendo era un fenomeno naturale devastante: un terremoto.
Di quale entità? Non lo sapeva e nemmeno le interessava. L'unica cosa che in quel preciso instante le attraversò la mente fu quella di urlare, così i bambini si sarebbero svegliati e lei avrebbe avuto la certezza che stessero bene. Ovviamente non avrebbe dato di matto a meno che non fosse necessario, ma la scossa non si fermava e tutto in quella cameretta così ordinata e linda era sottosopra. «Bambini? Nick, Lexi, Luke... svegliatevi ragazzi, su! Non preoccupatevi, la zia è qui.» Non sapeva quanto quelle parole potessero suonare come una rassicurazione, ma stava davvero cercando di mantenere la calma così da trasmettere sicurezza e protezione a quei tre bambini che ormai nel mondo non avevano altro che lei. Il primo a svegliarsi fu Luke il quale saltò fuori dal box come un leone del circo salta un cerchio infuocato e tenendo ben stretto il suo peluche a forma di dinosauro si gettò tra le braccia di Hope, la quale capendo che si era svegliato si era prontamente avvicinata al lettino; anche Nicholas si svegliò pochi istanti dopo e scendendo dal lettino senza troppa fretta, poiché probabilmente non aveva capito cosa stesse succedendo, andò a mettersi sul letto della sorella – ovvero accanto al suo – e così facendo finalmente anche Alexis fu sveglia. «Ma zia... che succede? È buio ancora.» La piccola aveva appena finito di sbadigliare quando si rese conto che la sua camera era totalmente a soqquadro e senza pensarci troppo su si girò verso il fratello maggiore nascondendo il viso nella sua spalla. Lui, in quel momento, preso alla sprovvista non la toccò nemmeno, ma quando l'ennesima scossa fece tremare il letto sul quale erano accucciati strinse la sorellina con tanta forza da farle quasi mancare il respiro. «Ti proteggo io Lexi, tranquilla!!» Battendosi una mano chiusa a pugno sul petto si sentì come un vero principe azzurro che salva la principessa di turno in quel momento; ovviamente l'eroismo svanì non appena si rese conto che la situazione in cui si trovavano era decisamente più grande di lui. A salvarlo dall'imbarazzo di non essere abbastanza grande per essere l'eroe della situazione fu sua zia, la quale li fece stendere a terra così da proteggere almeno le teste sotto al letto, tenendo sempre tra le braccia Lucas così da proteggere tutti e tre con il proprio corpo in caso fosse caduto loro addosso qualsiasi oggetto più o meno pesante; certo si rese subito conto che era una scelta non era propriamente idonea, poiché così si sarebbe fatta male e in caso di vera emergenza i bambini sarebbero rimasti totalmente soli. Quindi non appena la scossa fu terminata la ragazza si alzò dal letto e controllando che tutti e tre i suoi nipoti stessero bene fece un respiro profondo. «Ascoltate bambini questa casa è solida, sicura ma… Che ne dite di vestirvi, raccogliere giusto il necessario e andare fuori di qui?» Lo disse con tono così rassicurante e così materno che nessuno dei tre batté ciglio o disubbidì all'ordine, poiché era molto efficacemente mascherato da consiglio. «Io vado un momento in camera mia a fare esattamente ciò che fate voi. Visto? Fate le cose dei grandi! Tornerò qui tra cinque minuti. Se avete bisogno urlate e correrò da voi.» Dopo aver baciato la fronte a tutti e tre si allontanò dal lettino dirigendosi nella camera di fronte; avendo lasciato entrambe le porte aperte era facile sentire, per Hope, i discorsi dei tre bambini che cercavano di rassicurarsi tra di loro con frasi come “non vi preoccupate, non è niente di grave” o “finché siamo noi tre va tutto bene e poi c'è zia con noi”; quest'ultima frase fu come un colpa al cuore per Hope, la quale era sì felice che i suoi nipotini fossero uniti fra di loro e fiduciosi nelle cure che sarebbero state loro riservate da lei, ma ebbe una profonda paura di deludere sia quelle tre creature sia suo fratello, il quale aveva affidato a lei la cura dei suoi figli. Quando, però, guardandosi attorno notò che il suo cellulare era fortunatamente ancora attaccato alla presa e quindi completamente carico, si disse che non era affatto il momento per farsi prendere dallo sconforto e che anzi doveva darsi una mossa; avvicinandosi al cellulare compose molto velocemente il numero di Sebastian, ovvero il suo fidanzato, e per fortuna trovò subito la linea; lui rispose in pochi istanti. «Hope grazie al cielo! Stai bene?» «Seb... sì sto bene, credo. Solo un po' spaventata. Ho avuto paura per te e per i bambini… Non puoi capire, questi bimbetti sono super coraggiosi sai? Ma tu come stai? Perché non vieni qui? Noi ci stiamo preparando per una fuga improvvisa...» In effetti non stava mentendo: non essendosi ancora spogliata era ancora vestita con gli abiti che aveva portato tutto il giorno, il che le permetteva di stare comoda ma calda, l'ideale per il clima che iniziava a diventare rigido essendo fine ottobre. Così mentre parlava a telefono, stava raccogliendo in un borsone alcuni cambi di abito oltre che a tutti i soldi in contanti che aveva in casa e alcuni oggetti di poco valore economico ma di enorme valore affettivo a cui non avrebbe mai rinunciato per nulla al mondo. «Io sto bene e anche noi ci stiamo preparando. Questo weekend c'è Meredith a casa mia, ricordi? Non posso lasciarla.» «Lasciarla lì? Sei impazzito? Porta anche lei, è ovvio! Senti... prendimi per pazza ma ho un pessimo presentimento. Come se la scossa di prima non fosse solo una scossa.» Le parole che susseguirono furono poche e di poco conto così la venticinquenne rimise il telefono in carica, attaccando all'altra presa il caricatore portatile del cellulare.
«Bambini? Siete pronti? Va tutto bene?» Mentre stava chiudendo il borsone fece un respiro profondo e cercò di sforzarsi di sorridere per dare l'idea che tutto andasse bene. «Zia io ho portato un sacco di cose, vuoi vederle?» Nicholas si avvicinò ad Hope ch'era sul ciglio della porta e la trascinò nella cameretta ancora disastrata dalla scossa precedente; una volta dentro le indicò la propria borsa e la ragazza notò, notevolmente stupita, che in effetti nella borsa c'erano diverse cose utili: una torcia elettrica con annesse ben due pile di riserva, vestiti per tre giorni (biancheria compresa!), un giubbotto più o meno pesanti e ovviamente la foto dei genitori dei tre bambini. Ah, beh, naturalmente Nick ci stava infilando anche un pupazzo di peluche dentro, ma chi mai avrebbe potuto negarglielo? «Bravissimo Nick, sono proprio orgogliosa di te!» Un sorriso dolce ed affettuoso dipinse il viso della ragazza dai capelli castani e facendogli una piccola smorfia passò a controllare la borsa degli altri due bambini che, probabilmente, avevano seguito le direttive del fratello maggiore perché avevano tutti dei vestiti, delle foto e dei giocattoli. L'unica differenza era che Alexis aveva messo, al posto della torcia, due bottiglie d'acqua che teneva sempre nascoste sotto al letto per non doversi alzare di notte e Lucas un cuscino, ovvero il suo cuscino preferito. «Siete stati tutti e tre bravissimi e– » Si interruppe quando sentì suonare al campanello della porta d'ingresso principale, sicuramente era Sebastian quindi osservò i visetti sorridenti e soddisfatti dei suoi nipotini e li esortò a portare le rispettive valige al piano di sotto: meglio tenere tutto a portata di mano. Anche perché quel dannato nodo alla bocca dello stomaco non voleva passare e si sentiva fin troppo nervosa e scettica nel pensare che quella scossa fosse solo una semplice scossa. 
Raccolse velocemente il proprio borsone, il proprio telefonino e il relativo caricabatteria portatile e in un lampo fu al piano di sotto pronta ad accogliere il suo ragazzo e sua cognata. Con quest'ultima non aveva mai avuto modo di legare poiché vivendo fuori città non poteva vederla spesso, inoltre Meredith era molto legata a Sebastian e quindi molto gelosa di lui, infatti non vedeva di buon occhio nessuna delle ragazze precedenti del fratello. «Seb! Meredith! Prego, entrate. Scusate il disordine ma… beh, immagino casa vostra sia nelle stesse condizioni.»
Li fece entrare, dando uno sguardo a ciò che fuori dalla loro villetta si apprestava a succedere: erano molti i vicini che uscivano in giardino, chi ancora con gli abiti della giornata e chi già con il pigiama. Tutti erano spaventati.
Sospirò, cercando di calmare ogni pensiero negativo e sorrise ai suoi nipotini, rivolgendosi verso di loro. «Nicholas, Alexis, Lucas, loro sono Sebastian, che già conoscete e Meredith, sua sorella minore. Seb, Meredith, questi sono i miei nipotini.» Fatte le presentazioni, la padrona di casa invitò i suoi ospiti a sedersi dove fosse possibile, dato che la casa era completamente sottosopra, come se fosse passato un piccolo tornado, ma il divano era più o meno libero così Luke ci si stese e accese la TV sperando di beccare un cartone animato, eppure tutte le reti davano il TG, il quale a sua volta riportava sempre la stessa notizia: un terremoto di entità tanto forte da aver sballato i sismografi, uragani, trombe d'aria e piogge torrenziali si stavano abbattendo su tutto il pianeta. Sembrava essere la fine del mondo.
«Seb che diavolo sta succedendo? Cioè secondo te è vero?» «Il tuo sesto senso non sbaglia mai, lo sai. Ma vedrai che ne usciremo, okay? Stai tranquilla. Mer puoi stare per qualche minuto con i bambini? Noi torniamo subito.» La diciassettenne annuì senza fare troppe storie, ma solo perché lei i bambini li adorava e quei tre sembravano essere in gamba e intelligenti, quindi si sedette sul divano accanto ad Alexis e Nicholas, tenendo Luke sulle gambe. Nel frattempo Hope e Sebastian andarono in cucina per raccogliere qualche provvista di cibo e acqua. «Tu resta qui, io vado in cantina: taniche di benzina, acqua e quella roba che va nel motore delle auto... olio! Mio fratello aveva scorte di tutto fortunatamente.» Non gli diede il tempo di rispondere che era già sparita oltre la porta che, tramite le scale strette e non molto stabili, conducevano alla cantina. Hope odiava l'idea che suo fratello non ci fosse più, lui era tutta la sua famiglia, la sua vita, il suo migliore amico e il suo 'Grillo Parlante' e vivere quella situazione senza di lui, ch'era il re degli scenari post-apocalittici, ma anzi facendone le veci, le sembrava lo schifo più schifoso del mondo.
L'ultimo scalino era stato superato, la luce era appena stata accesa con uno di quei fili penzolanti e aveva appena individuato i fusti di acqua e benzina quando una nuova scossa, molto più forte della precedente, si fece largo sotto terra provocando un boato assordante e il buio più totale. 

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Capitolo 2
*** 2. ***


«Hope?! Hope come stai? Rispondimi... Hope!» Sebastian era terrorizzato: la scossa, ch'era durata una quindicina di secondi, aveva fatto saltare la luce e alcuni pezzi di intonaco dal soffitto. «Mer... stai bene? Mer?» Prima ancora che la sorella gli rispondesse Sebastian l'aveva sentita tossire, come a schiarirsi la voce dopo aver rischiato di strozzarsi con qualcosa che va di traverso in gola, probabilmente aveva inalato un po' di polvere. «S-Seb... Sto bene, mi fa solo un po' male la testa. Tu stai bene?» Più lei parlava più lui si sentiva tranquillo, anche se notò che la sorella biascicava. Era nascosto sotto al grande tavolo da pranzo mentre la casa attorno a lui crollava e così, non appena ebbe sentito la voce della sorella, uscì dal riparo dirigendosi verso di lei; quando dopo pochi istanti ebbe percorso la breve distanza tra la cucina e il divano si rese conto che un pezzo del soffitto, seppur piccolo, era caduto proprio di fianco al bracciolo del divano, dal lato in cui Mer era seduta con i bambini. «Io sto bene. Ehi, ma i bambini? Dove sono? Su ragazzi, venite fuori vi prego...» Stando in piedi davanti alla sorella, leggermente curvo verso di lei e con le braccia pronte a proteggerla da eventuali crolli, cercava con lo sguardo i tre bambini ma solo i capelli neri di Lucas spiccarono a gli occhi del ventottenne. «Sono sotto al tavolino, stanno bene. E anche Luke. Seb, dov'è Hope?» Meredith sembrava tranquilla e per niente terrorizzata dal fatto che un'enorme maceria caduta dal soffitto a causa di un terremoto le avesse quasi spaccato la testa, era solo contenta per aver protetto un bambino con il suo corpo ed essere riuscita a mandare altri due bambini sotto al tavolino in tempo. «Hope... Lei è di sotto. Ora vado a controllare ma voi quattro dovete uscire da qui. Meredith ma tu sanguini. Oddio. Ora vi porto via da qui, subito.» Non le permise nemmeno di obbiettare che già l'aveva presa per un braccio, anche se lei protestava Seb la tenne stretta fra le braccia fino a quando non la mise fuori alla porta dell'ingresso; poi fece lo stesso con tutti e tre i bambini, i quali erano finalmente usciti dal loro nascondiglio sicuro. «Prendete le borse e mettetele in auto, io e Hope arriviamo subito.» Sicuro di sé e del fatto che tutto stesse andando bene, ecco come voleva e doveva apparire per non far andare in panico i tre bambini. Meredith non protestò per niente, anzi incoraggiò i tre fratellini a stare tranquilli e a seguire le istruzioni sue e del fratello maggiore.
Appena furono usciti dalla porta d'ingresso oltre le scale della piccola ma graziosa veranda c'erano due donne che sembravano conoscere abbastanza bene Nick e i suoi fratelli. «Lola, Ginny! State bene anche voi allora, meno male.» Lexi lasciò la mano del fratello maggiore per dirigersi correndo verso le due donne e in quel momento Ginevra lasciò la mano della sua compagna per poter prendere in braccio la piccola Alexis e darle un tenero bacio sulla guancia. Alla vista di quella scena Meredith si bloccò per qualche secondo, non avendo idea di cosa fare o come comportarsi: i bambini conoscevano le due donne, questo era chiaro, ma erano persone affidabili? Poteva lasciare la piccola Lexi tra le braccia di Ginny? Se fosse successo qualcosa a quella piccola creatura non avrebbe avuto scuse poiché era stata lei ad avere l'incarico di badare ai tre bambini e sempre lei a lasciare che Alexis stesse con quella che per lei era una sconosciuta. «Tranquilla Mer, Ginny è la nostra vicina. È simpatica ed io mi fido a lasciare Lexi con lei.» La ragazza rimase positivamente stupita dalle parole del bambino, ma si rese presto conto che aveva percepito il suo nervosismo dalla presa della mano, decisamente più stretta di pochi istanti prima, cosa che segnalò il suo essere tesa e nervosa. Inoltre Meredith aveva capito fin da subito che Nicholas non avrebbe mai permesso alla sua sorellina, tanto amata, di avvicinarsi a qualcuno di cui non si fidava e il suo istinto era buono, almeno per ciò che aveva visto. «Ciao, piacere. Io sono Meredith.» Un sorriso accennato e un lieve gesto con la mano, ecco cosa ottennero le due vicine di casa come presentazione dalla diciassettenne. «Lexi perché non prendi la borsa e fai come ha detto mio fratello? Anche tu Luke, e Nick badi tu che mettano le borse nel portabagagli? Ci sono già anche le nostre. Io torno tra un secondo.» Aveva appena messo giù Lucas e aveva rivolto a tutti e tre un sorriso dolce quando si rese conto che suo fratello e sua cognata tardavano ad arrivare. Cercando di evitare che Luke e gli altri si preoccupassero troppo decise di andare a dare un'occhiata all'interno della casa prima che chiunque potesse fare una qualche domanda inopportuna. «Scusate se ve lo chiedo ma... potreste dare un'occhiata ai bambini? Ci metto davvero pochissimo.» Lo sguardo freddo e distaccato che aveva rivolto alle due donne appena conosciute venne trasformato in uno più umile, umano, quasi a volerle supplicare di darle una mano cosicché i tre marmocchi davanti a loro non venissero investiti da un'onda di paura e senso di solitudine. «Ci pensiamo noi, tranquilla, vai pure. Ma tu cerca di medicare quella ferita.» La ferita alla testa; Meredith l'aveva quasi dimenticata tanti erano i pensieri che le passarono per la testa. Ad ogni modo, sapeva che l'unica cosa da fare in quel momento era rientrare in casa e capire che razza di fine avesse fatto Seb. Così lasciò i bambini a Lola e Ginny, le quali erano così tranquille e sorridenti che sembrava quasi che non fosse accaduto nulla, come se quella fosse una normale serata da passare fuori con gli amici e non la sera in cui le peggiori calamità naturali stavano letteralmente distruggendo il pianeta intero.
Mer ci mise davvero pochi istanti a girare i tacchi per tornare in casa ma a bloccare il movimento quasi meccanico delle sue gambe fu la vista, non appena fu sul ciglio della porta, di quel soggiorno totalmente devastato e distrutto che sembrava essere scoppiata una bomba. Si chiese, in quel momento, come avesse fatto a sopravvivere al macigno che l'aveva quasi uccisa; i ricordi erano un po' confusi e la testa le faceva ancora male, quindi non riusciva nemmeno a ragionare lucidamente. «Seb sei ancora qui? Mi senti? Seb...» Dieci secondi. Erano passati dieci secondi da quando era riuscita ad entrare in casa, dieci secondi da quando aveva iniziato ad urlare il nome del fratello e non aveva ricevuto risposta alcuna. Dieci secondi di puro panico. «Mer? Che ci fai qui dentro? Esci. Subito. Da. Qui.» Ogni parola scandita perfettamente, impartite come fossero un ordine dato da un generale ai suoi subordinati; l'ordine più bello che le fosse mai stato impartito. «Oh meno male, sei vivo. Ma che cazzo stai combinando e dove cazzo sei?» «Ehi mostriciattolo, modera il linguaggio. Sono qui sotto, in cantina. Le scale sono crollate a metà e sto cercando di scendere per salvare Hope. Ha la gamba bloccata e non riesce a muoversi.» Con passo veloce ma cauto la giovane Meredith si era avvicinata alla porta della cantina, osservando suo fratello che cercava di scendere di sotto e sua cognata, della quale si vedeva solo mezzo busto, incastrata tra diverse macerie. «Se tuo fratello mi ascoltasse sarebbe più facile e meno rischioso! Mer ma... Nick, Luke e Lexi dove sono?! Ti prego dimmi che stanno bene...» Hope aveva improvvisamente cambiato tono di voce, passando da esasperata e dolorante a isterica e preoccupata, quasi supplicante. Non si sarebbe mai perdonata se uno dei suoi nipoti si fosse fatto male, o peggio. «Tranquilla Hope, sono fuori con le tue vicine: Lola e Ginny. Ho fatto male? Vado subito da loro se vuoi!» Anche la ragazza aveva il tono della preoccupazione nella voce, si sentiva pur sempre responsabile di quei tre marmocchi. Hope, in ogni caso, le disse che non c'era da temere e che anzi aveva fatto bene; soprattutto le serviva una mano a convincere Sebastian a passare per l'entrata del garage, quindi nel viottolo esterno della casa, e tirarla fuori. «No, è pericoloso. Se nel tirare su la saracinesca uno dei barili di benzina si aprisse o esplodesse? Sarebbe pericoloso. Il tutto qui è riuscire a scendere senza fratturarmi una gamba.» «Bene, per te sarà anche scendere qui giù il problema, ma per me è uscirne. Ho la gamba che a stento me la sento, non è fratturata ma sicuramente è lesionata. E poi Seb... esplodere? Ma come? Mica aprirai il garage con un lanciafiamme! Smettila di fare il bambino capriccioso e tirami fuori di qui, subito!» Il ventisettenne rimase senza parole: un po' perché non era abituato a sentirla urlare e impartire ordini, ma in gran parte restò ammaliato dal modo in cui con poche parole era riuscita a districare ogni suo dubbio o paura dandogli la forza di rischiare e salvarla; seppur fosse innamorato di lei da ormai sette anni in quel momento si sentì più preso che mai. Quando si alzò all'in piedi indicò a sua sorella alcuni oggetti come torce e piccole cassette di ferro sul bancone della cucina e le chiese se poteva riporre tutto in uno dei borsoni che avevano preparato e messo in auto cosicché lui potesse andare, con una chiave inglese e un crick, ad aprire la porta che circoscriveva la cantina.
«Non ti sei ancora medicata la ferita? Se vuoi ti do una mano. Meredith, giusto?» Lola, dai lunghi capelli rossi, rasati solo da un lato, con più di un tattoo colorato sul corpo e diversi piercing messi sparsi sul corpo e sul viso; la tipica punk rocker insomma! «Tranquilla, è solo un graffio. Voglio prima accertarmi che Seb stia bene. Seb è-» La interruppe prima che potesse terminare la frase, rivolgendole un sorriso dolce e caloroso, probabilmente per tranquillizzarla. «Tuo fratello. Lo so, o meglio l'ho immaginato. E me lo ha detto Luke.» Una risatina sottile e leggera uscì dalle labbra della donna, la quale però non riuscì a coinvolgere l'adolescente troppo tesa e distratta da tutt'altri pensieri per concedersi una sana risata; infatti con educazione e gentilezza si congedò dalla nuova conoscenza per recarsi sul retro della casa, dove trovò oltre suo fratello anche i tre bambini proprietari della casa stessa. «Mer!! Ora Seb salva zia Hope e poi andiamo via lo sai?» «Sì Luke, lo avevo immaginato.» Cercando di sforzarsi il più possibile nel rivolgere al bambino un sorriso tranquillo e sincero la ragazza lo prese in braccio dandogli un bacio sulla paffuta e rosea guancia mentre gli altri due bambini le si attaccarono alle gambe come se avessero paura di perdere tutto ciò che avevano. E come dar loro torto, pensò Meredith mentre, con fare dolce e quasi materno, accarezzava le testoline dei due bambini che si tenevano stretti a lei; aveva avuto paura lei in primis quando per quella manciata di secondi non aveva avuto la certezza che suo fratello stesse bene, figuriamoci come potevano sentirsi tre bambini così piccoli che stavano ancora cercando di superare il lutto per entrambi i genitori: Hope è tutto per loro e sperava davvero che filasse tutto per il verso giusto. «Seb è un vero eroe, quindi riuscirà a tirar via Hope da lì e tutto andrà benissimo; ve lo prometto.» Non seppe ammettere nemmeno con se stessa se quelle parole le disse per incoraggiare e calmare i piccoli o per far avere l'effetto appena descritto su di sé. L'unica cosa che ammise e che voleva ammettere perché ne era felice era che suo fratello, il suo fantastico e amato fratello era innamorato di quella ragazza e in fondo ne era felice perché aveva percepito lo stesso sentimento da lei.
«Okay.. al mio tre. Pronta? Uno… due… Tre.» La porta fu aperta e tanta polvere si alzò in aria facendo chiudere repentinamente gli occhi a tutti i presenti sul luogo, in special modo la coppia di fidanzati. «Tutto okay baby? Ora ti tiro fuori.» Come un cavaliere dalla scintillante armatura si fa largo nella foresta tra liane e rami, così Sebastian tirò via uno dopo l'altro tutte le macerie piccole o grandi che fossero così da crearsi un passaggio che lo portassero dritto fino alla sua dolce metà. La povera Hope tirò un sospiro di sollievo quando, oltre a Seb, intravide abbastanza chiaramente le figure esili e sfuggenti dei suoi tre nipoti; potersi accertare che stessero davvero bene e che si stavano quasi divertendo ebbe un effetto straordinariamente benefico sulla ragazza, la quale si sentì come rigenerata di forze nuove tanto che, appena Seb ebbe rotto la maceria che le bloccava la gamba, subito scattò in piedi come nulla fosse. Ovviamente dovette immediatamente appoggiarsi al suo ragazzo poiché la caviglia era slogata e gonfia, ma ciononostante si sentiva fiduciosa del fatto che presto quella orribile sensazione alla bocca dello stomaco sarebbe sparita e tutto sarebbe tornato alla normalità. Presto, sì. Ma non in quel momento.
Appena furono usciti dalla cantina Hope si sedette sul sedile del pick-up di Sebastian cercando di tenere la caviglia più alzata possibile e soprattutto ci mise una busta di ghiaccio sopra, una di quelle bustine che danno le infermerie scolastiche. Ne aveva una piccola scorta in una borsa termica che ospitava anche qualche bottiglietta d'acqua, succhi di frutta e birra, e che ora era riposta assieme alle altre borse sul retro del furgone, il quale era, fortunatamente, tutto coperto anche sulla parte posteriore. «Seb la mamma dice che lì per ora è tranquillo, anche se piove incessantemente da ore e l'allerta meteo consiglia di restare in luoghi alti e sicuri. Salutano sia te che Hope e qualcos'altro che non ho sentito.» «Un'efficiente segretaria, come sempre. Mi lasci dare un'occhiata a quella ferita ora? Vieni qua su.» Mer sbuffò e scosse il capo, scocciata dall'idea che suo fratello stesse facendo il così detto “dramma per un nonnulla” ma si lasciò comunque esaminare dallo sguardo attento e amorevole del ragazzo; certo lui non era un medico, ma un paio di cerotti a farfalla avrebbe saputo metterli. Infatti in pochi minuti la ferita era pulita, disinfettata e medicata.
Sembrava davvero che la situazione fosse calma e si stesse stabilizzando, ma una folata di vento fortissima fece tremare persino i vetri del furgoncino e senza troppi problemi ruppe un vetro della finestra della casa. Una nuova calamità naturale stava per abbattersi su quella città e non sapevano dove o come ripararsi, nessuno di loro.
La maggior parte dei vicini si chiuse in casa; Lola e Ginny, che avevano un seminterrato andarono a rifugiarsi lì mentre Hope, Seb, Mer, Lexi, Nick e Luke si chiusero in auto serrando le sicure e i finestrini pregando ogni possibile dio di salvarsi la pelle.
Sebastian mise in moto l'auto e iniziò a guidare in direzione ancora ignota, con l’unica intenzione di trovare un posto in cui ripararsi, mentre altre macchine sfrecciavano al loro fianco e il vento sembrava sradicare gli alberi dalle radici.

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Capitolo 3
*** 3. ***


Una cascata d'acqua stava rendendo ancor più difficoltoso il cammino di quella famiglia molto particolare, battendo con incessante forza sul parabrezza al punto che i tergicristalli faticavano non poco a muoversi e cacciare via i goccioloni dal vetro. «Tia ho fame...» La voce paffuta e impasticciata del piccolo Lucas ruppe un silenzio assordante in cui tutti i passeggeri erano assorti e che solo la pioggia scrosciante disturbava. «Nick puoi andare dietro i sedili? Proprio dietro di te c'è la borsa frigo: lì dovrebbero esserci delle merendine, prendile così fate merenda. Anche se sembra più lo spuntino della mezzanotte...» Il bambino non esitò ad obbedire e subito, scavalcando il sedile con poca difficoltà dopo essersi tolto la cintura di sicurezza, si trovò nell'ampio portabagagli in cui erano state accuratamente riposte le valige contenenti vestiti, cassette del primo soccorso e, per l'appunto, cibo. «Mer ma con chi stai messaggiando da quando siamo entrati in auto?» Sebastian aveva tenuto lo sguardo ben fisso sulla strada per tutto il tempo da quando erano partiti fino a quel momento, poiché furono costretti a fermarsi a causa di un semaforo rosso e non poté non alzare gli occhi verso lo specchietto retrovisore, scoprendo che sua sorella era nella medesima posizione in cui si trovava quando aveva messo in moto. «Mh? Ma che dici? Sto solo controllando su Twitter i disastri nel mondo causati da questa cosa.» Mentiva? Era ovvio, almeno per Seb che conosceva sua sorella meglio di quanto conoscesse se stesso. «Uh, okay....» Non ebbe il tempo di aggiungere altro poiché la macchina dietro la sua iniziò a bussare il clacson per segnalare che il semaforo era diventato finalmente verde; almeno Meredith avrebbe avuto campo libero per un po' e infatti per almeno mezz'ora riuscì a non staccare gli occhi e le dita dal cellulare; però un grosso albero era caduto proprio al centro della strada, rendendola totalmente impraticabile e così un'enorme fila di auto venne a formarsi davanti a quell'ammasso di corteccia e foglie ormai senza vita poiché totalmente sradicato. «Questa non ci voleva. Ed ora?» Hope si allentò un po' la cintura di sicurezza girandosi con metà del busto verso il suo fidanzato, il quale stringeva saldamente il volante con le mani, tant'è vero che aveva le nocche bianche e il viso contratto per lo stress che quella situazione gli stava provocando. «Inversione di marcia e poi... non lo so, cerchiamo prima di tutto un luogo sicuro, non possiamo certo stare in auto fino a quando questo disastro naturale non finisce. Sempre se finirà...» L'ultima frase era stata pronunciata con tono talmente basso che a stento era riuscita a sentirlo Hope, la quale acconsentì all'idea di trovare un rifugio e, in cuor suo, anche alla visione apocalittica e pessimista che il suo ragazzo aveva.
«Visto che stai sempre con il cellulare tra le mani perché non chiami mamma e papà?» «Va bene... e non sto sempre con- Ah, lasciamo stare.» Senza protestare troppo, anche perché sapeva che non l'avrebbe fatta franca, la mora premette il numero due sulla tastiera delle chiamate e subito partì quella per il numero della madre. Questo spinse Lexi a sporgersi un po' in avanti per tirare il lembo della manica della maglietta della zia così da attirare la sua attenzione. «Piccola dimmi!» «Tia ma noi i nonni non dobbiamo chiamarli?» I nonni, già. Hope non ci aveva minimamente pensato poiché troppo presa a pensare ai bambini; o semplicemente aveva chiuso i rapporti con i suoceri del fratello nel momento in cui quest'ultimo e sua cognata erano morti. «Facciamo così: voi chiamate Emily e Noha, io chiamerò i miei genitori. Tenete il mio cellulare. Amore mi presti il tuo?» Mentre Seb indicava alla fidanzata la tasca destra in basso dei pantaloncini, nella quale era tenuto il cellulare, Mer interruppe la coppia affermando che a nessuno dei numeri ai quali era possibile rintracciare i genitori vi era risposta. «Seb... non penserai che...» Non aveva nemmeno il coraggio di finire la frase, Mer, che il fratello maggiore le diede una risposta che sperava davvero potesse calmarla: «Sono sicuramente nel bunker anti-panico nel seminterrato Merry, tranquilla.» Magari oltre che a calmarla l'avrebbe anche distratta chiamandola con quel nomignolo che lei, fin da piccina, detestava e che lui usava nei momenti in cui decideva di torturarla. «Bimbi copritevi le orecchie e tu Seb. Vaffanculo! Però grazie…» Fece una piccola smorfia arricciando il nasino, come a voler dissimulare la gratitudine provata per il fratello in quel momento. «Allora… i miei stanno bene e mandano saluti a tutti voi, specialmente al loro amato Sebastian che è il ragazzo perfetto!» Hope rise divertita pronunciando quell'ultima frase, anche se davvero i suoi genitori pensavano che fosse il ragazzo d'oro e che alla ragazza non potesse capitare di meglio; in effetti lei era la prima pensarlo: aveva conosciuto Sebastian otto anni prima, quando stava affrontando gli esami di fine anno del quarto anno del liceo e, avendo problemi con la chimica, cercò un insegnante privato che certamente non immaginava sarebbe diventato l'uomo della sua vita. Un ventenne con i capelli riccioluti e castani, alto e magro, con gli occhiali e con il senso dell'umorismo da puro nerd: questo era Seb otto anni prima e certo Hope non ha preteso che lui cambiasse, anzi, ma facendo palestra e spostando il suo interesse verso la Giurisprudenza invece che verso la Medicina ha acquistato un modo di fare più sicuro di sé. «Amore a che pensi?» «A quanto sei bello, a quanto ti amo e quanto sono fortunata ad averti nella mia vita da otto anni.» Un sorriso dolce andò ad illuminare il viso provato della ragazza dai lunghi ricci castani che a sua volta contagiò il suo fidanzato, il quale allungò una mano verso quella di lei stringendola con poca forza così da non farle male e incrociando le dita con le sue. «Sei la meraviglia baby.» Portando la sua mano all'altezza della propria bocca Seb lasciò una serie di piccoli baci sul dorso della mano della ragazza lasciando i quattro ragazzini seduti sul sedile posteriore un po' schifati e sconvolti. «Seb, per favore! C'è un pubblico minorenne qui, non so se te ne sei accorto.» Stava alzando gli occhi al cielo sospirando esasperata nel momento preciso in cui Nick indicò il suo cellulare annunciando che lo schermo era illuminato e che il messaggio di una certa “Ellie” era appena arrivato; questo fece diventare il viso di Meredith rosso come un peperoncino maturo al punto giusto e affettandosi a coprire lo schermo del cellulare tentò di nascondere anche il suo viso capendo di essere arrossita davanti a suo fratello, cosa più unica che rara. «Da quando diventi così rossa, Merry?» «Io arrossita? Ma che dici?! Pensa a guidare va'!» Più tentava di dissimulare meno ci riusciva e più Sebastian era curioso di scoprire la verità; a stare dalla sua parte Mer trovò sua cognata, la quale diceva al suo ragazzo di concentrarsi sulla strada e lasciare in pace la sorella poiché a diciassette anni si è abbastanza grandi da poter messaggiare con chiunque e per qualsiasi motivo. «Mi sono accorto ora che vicino al suo nome ci sono tre cuoricini... Vuol dire che state insieme? Anche tu zia hai il cuoricino vicino al nome di Seb!» «Nick... taci! Non sono cuoricini, hai visto male. Lasciatemi in pace!» Con la stessa agilità che aveva avuto poco prima Nick anche Meredith aveva scavalcato lo schienale del sediolino per andare a sedersi sul retro del furgoncino, accovacciandosi in un angolo e mettendo le cuffiette che trasmettevano musica a tutto volume come a voler dire al resto delle persone in auto di lasciarla davvero in pace. «Nicholas dopo va' a chiederle scusa, okay?» «Sì zia, scusa... Ero solo curioso…» Seb stava per fare il grosso errore di dargli manforte, dicendogli che aveva fatto bene, ma uno sguardo truce di Hope gli fece repentinamente cambiare idea. «Ragazzi che ne dite di fermarci qui per 'sta notte? Sembra una caverna, ma almeno non dovrebbe crollarci addosso nulla.»
Quella che “sembrava una caverna” in effetti era una caverna: una caverna intagliata nella roccia di una solida montagna, poco nascosta e lontana dalla strada, coperta solo da qualche alberello rinsecchito o forse appena nato. «Abbiamo le tende da campeggio quindi non dormiremo propriamente per terra. Ma come ci arriviamo lì?» La domanda fu più che lecita considerando che la pioggia era incessante e non accennava minimamente a diminuire, figuriamoci a smettere. «Seb, ma se entri nella cavenna con la macchina? È tanto sciocco?» Se il quesito di Hope era forse un po' banale, quello posto da Lexi fu invece preso molto seriamente dal guidatore, il quale elogiò la sua ipotesi facendo restare sbalordito Nick, che già si preparava a prendere in giro la sua sorellina.
Sebastian fece un respiro profondo e premendo molto cautamente sulla retromarcia si trovò ad entrare nella caverna, la quale era non poco ampia, con il portabagagli infatti la prima ad uscire fu Meredith, che iniziò a “scaricare” l'auto favorendo anche il passaggio ai bambini e alla cognata. «Inizi a montare la tenda Mer, per favore? E voi bambini cercate di mettere in un angolo le borse. Seb dai vieni dentro così mi aiuti a cercare legna da ardere.» Mentre i tre fratellini obbedivano all'ordine impartitogli dalla zia scoprirono che la caverna nella quale alloggiavano era molto più profonda di quanto si aspettassero, tant'è vero che se nella parte “esterna” c'era molta profondità e ampiezza, nella parte “interna” c'era solo un enorme corridoio fatto di terriccio e foglie attaccate a ramoscelli abbastanza secchi: inutili per qualsiasi cosa, tranne che per accendere il fuoco. «Tia, tia!! Guarda.» Luke era così emozionato di aver trovato un 'tesoro' che continuava a saltellare a destra e sinistra provocando l'ira del fratello maggiore che in quel momento si sentiva il più inutile, tanto da andarsene verso l'uscita della caverna, dove Meredith stava montando una tenda di tessuto sintetico blu e rossa. «Scusa per prima Merm non volevo farti arrabbiare, davvero…» «Tranquillo piccolo, sei perdonato. E scusa anche tu per come ti ho zittito. Pace fatta?» Lei gli porse la mano, ma lui si fiondò tra le sue braccia per stringerla forte e riempirle il viso di bacetti. Ovviamente lei si scansò il prima possibile e subito si rimisero a lavoro per montare tende e piastra e fornellino da campeggio: almeno avrebbero provato a mangiucchiare qualcosa.
«Seb posso parlarti un attimo? E’ importante e personale…» Si erano accampati da un paio d'ore e tutto sembrava arredato perfettamente, manco vivessero lì da tutta la vita: le borse erano state posizionate al centro della “stanza” così che, in qualsiasi direzione fossero dovuti andare, avrebbero potuto afferrarle, il fuoco era acceso e due tende erano sistemate lungo una delle pareti una accanto a l'altra già pronte per ospitare bambini ed adulti in un piccolo pisolino, mentre l'auto era ancora con il portabagagli mezzo dentro la caverna e mezzo fuori così da facilitare l'entrata nel veicolo oltre che usarlo come “porta”. Fu proprio nel furgone che i due fratelli si diressero per parlare di argomenti privati e delicati, mentre Hope si preoccupava di tenere acceso il fuoco e mettere a letto i bambini. «Allora, siamo soli. Mi dici che succede?» «Sai che ti dico? Lasciamo stare... Magari ne parliamo un'altra volta, ora Hope ha bisogno di una mano...» Mentre si alzava per uscire dall'abitacolo Seb afferrò il polso della sua sorellina e con un piccolo strattone la rimise a sedere al suo posto. Qui la ragazza si rassegnò all'idea di parlare e mettendosi a gambe incrociate con il viso rivolto verso il posto guidatore, dov'era seduto Seb; fece un bel respiro e tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans, pochi secondi e qualche “swype” dopo lo mostrò al fratello attendendo una sua reazione. In un primo momento il ventottenne non capì cosa aveva davanti, ma pochi istanti dopo aveva messo a fuoco l'immagine che aveva davanti a gli occhi: era una delle voci della rubrica di sua sorella, quella della pagina della famosa Ellie. «Oh… Beh è carina. Perché non me l'hai detto prima Mer?» «Carina? È bellissima… Avrei voluto farlo questo weekend ma un uragano me lo ha impedito!» Saccente e seccata come sempre la risposta di Meredith non fu del tutto sincera: aveva intrapreso una relazione con Laurel, nome completo di Ellie, da almeno tre mesi e in questo lasso di tempo di occasioni da sfruttare per confidarsi col fratello ce n'erano state ma semplicemente aveva avuto paura di farlo. «Sei una testa di cazzo, lo sai? Dovevi dirmelo, ti avrei portata da lei così saresti stata meno in pensiero. Di dov'è lei?» «È di Philadelphia, ma ora sta a New York.» «Bene, possiamo andare a trovarla allora! Senti Mer non so se tu la ami o meno, ma so che quando c'è stata la prima scossa, dopo essermi assicurato che tu stessi bene il mio primo pensiero era Hope: dovevo vederla a tutti i costi e se fosse stata lontana mille miglia, beh, ci sarei andato comunque. Quindi dimmi, sorellina: vuoi andare a cercarla e farla stare con noi o no? Non è neanche così lontana. E se ti preoccupi del giudizio di Hope o dei bambini allora non devi preoccuparti, loro non hanno pregiudizi su niente» Le parole di Seb risuonavano nella mente di Meredith come un eco: “se la ami o meno”. «Sì. Andiamo ti prego! Le mando un messaggio e ti dico l'indirizzo, okay? E… sei il fratello migliore del mondo.» Altro gesto più unico che raro fu quello per il quale la ragazzina si alzò e con uno scatto quasi felino finì tra le braccia del fratello, il quale la strinse con forza lasciandole un lieve bacio sulla guancia e una scompigliata ai capelli. «Questo è per non averti detto che ti piacciono le ragazze.» Disse con le labbra a pochi millimetri dalla sua guancia appena prima di darle un altro bacio. «E questo è perché ti voglio bene, testa di cazzo.» La ragazza rimase in silenzio a godersi quelle piccole attenzioni che raramente si concedevano, specialmente se in pubblico. «Ti voglio bene anche io coglione. Ora andiamo a dormire visto che ho preparato le tende a posta per questo!» Staccandosi dalla presa del fratello Mer si incamminò verso l'uscita del furgone entrando così direttamente nella caverna, seguita a ruota dal fratello; prima di entrare nella sua piccola tana, dove i tre bambini già dormivano, Meredith si fermò sul ciglio della tenda dove sua cognata e suo fratello avrebbero dormito per dare la buonanotte ad Hope. «Grazie per rendere mio fratello l'uomo felice che merita di essere… Buonanotte!» Col sorriso più smagliante che avesse avuto da quando si erano incontrate la diciassettenne si infilò nella tenda attenta a non svegliare i bambini e, dopo aver mandato un messaggio alla sua ragazza, si addormentò tranquilla con la speranza che il di' seguente le cose sarebbero andate un po' meglio. «Tua sorella mi ha ringraziata perché ti rendo felice… Cos'è successo in quella macchina?» La domanda di Hope fu esposta a Seb pochi secondi dopo che quest'ultimo si era steso accanto a lei sotto una striminzita coperta. «Domani ti racconto tutto, ora lasciami solo do...-» Non finì nemmeno di sbadigliare che era già nel mondo dei sogni, stretto alla donna che amava e con la contentezza di aver conosciuto sua sorella un po' meglio di quanto la conoscesse il giorno prima.

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Capitolo 4
*** 4. ***


«Ciao ciao Boston; salve New York!» Quattro ore di viaggio in auto, senza nemmeno una piccola pausa, ma finalmente erano arrivati. Alexis teneva il visetto premuto contro il finestrino cercando di carpire ogni più piccolo dettaglio, più piccola sfumatura, ogni meraviglia che la Grande Mela aveva da offrire ad una bambina di cinque anni.
Purtroppo per Lexi però non c'erano luci sfavillanti o profumini invitanti; nemmeno suoni magici o zucchero filato d'assaporare: New York sembrava distrutta, colpita e morta peggio del post-11 settembre: se, durante il viaggio che aveva permesso a Lexi e la sua famiglia di attraversare il Massachusetts, poi il Connecticut ed infine New York, il pick-up aveva subito “solo” la pioggia incessante e grandinate agghiaccianti, nello Stato della statua della libertà era appena andato via un devastante uragano. Lo spettacolo era orribile, triste oltre ogni misura.
«Tia.... che butto qui, oglio andare via!!» Hope decise deliberatamente di ignorare le proteste della nipotina decidendo di dedicarsi, piuttosto, a cercare sul navigatore l'indirizzo datole da Meredith, indirizzo al quale avrebbero incontrato la tanto famigerata Ellie. «Mer sicura che sia qui? Il navigatore segna l'arrivo ma... beh... Non c'è nessuno. Proprio nessuno nessuno.» La ragazzina si strinse nelle spalle e prese velocemente il cellulare, ricaricando più volte la pagina dei messaggi di Laurel: niente, nessun SMS, nessun messaggio vocale, nessun messaggio rapido. Meredith provò a chiamarla, ma la linea era staccata. Il panico iniziò ad invadere ogni centimetro della sua pelle, della sua anima, della sua mente: perché non rispondeva? Perché non scriveva? Stava bene? E se le fosse accaduto qualcosa? Gli occhi d'improvviso le si riempirono di lacrime e senza che se ne accorgesse stava piangendo. A poco o nulla servirono le parole dei piccoli Luke e Nick a rincuorarla, l'unica cosa che la fece riprendere da quel momento di puro terrore fu la chiamata in arrivo da parte della ragazza: rispose immediatamente. «Amore ma che fine hai fatto? Dove sei? Cosa? Ehi, ehi aspetta: calmati e raccontami. O-oh... veniamo immediatamente. Sì, sì calmati però ora. Sì, anch’io. A tra poco piccola.» Seb provò una strana sensazione nel vedere la sua sorellina sempre così forte e stoica crollare in lacrime per qualcuno che non fosse il suo cagnolino: era vero amore quello che legava le due ragazze e sicuramente ne avrebbero dato presto dimostrazione. «Mer?» Prima ancora che Sebastian terminasse la domanda sua sorella le stava già raccontando: «Quel coglione di suo fratello piccolo ha trovato il suo cellulare mentre era sotto la doccia e ha letto i nostri messaggi. Un casino: l'ha detto ai genitori e quegli stronzi l'hanno sbattuta fuori mentre la tromba d'aria distruggeva la città. Ti rendi conto?! È fuori dal suo palazzo, davanti al Kirby Plaza… non è lontano, credo. Seb...» Il ventottenne inserì la marcia non appena la sorella, cercando il suo sguardo nello specchietto retrovisore, lo aveva pregato di partire in direzione di Ellie.
Come ipotizzato in un quarto d'ora erano lì, davanti a quella strana quanto affascinante scultura rossa che come sfondo aveva CNB: City National Bank. «Ellie!» Meredith era uscita dall'auto come una gazzella gettandosi letteralmente addosso alla sua ragazza, stringendola a sé con fare amorevole e protettivo mentre le accarezzava i capelli e il viso, scoprendo sul labbro un piccolo taglio provocato, quasi sicuramente, da uno schiaffo datole dalla madre. «Amore… grazie di essere qui. E…» Si alzò in piedi sfoggiando il suo stile tutt'altro che altolocato: jeans strappati, t-shirt a maniche lunghe e felpa a mono-spalla a maniche corte da sopra, il tutto concluso con accessori di bigiotteria e un paio di converse nere. «Grazie anche a voi. Sebastian tu non mi conosci ma fidati io conosco bene te: Mer mi ha parlato di tutti voi, in maniera adorabile. Io, comunque, sono Laurel ma potete chiamarmi Ellie! È un piacere conoscerti e conoscere tutti voi. A proposito. Grazie ancora per essere venuti a prendermi...» Seb non disse granché, anzi non disse proprio nulla; si avvicinò alla ragazza e proprio come spesso faceva con la sua sorellina l'abbracciò affettuosamente lasciandole un leggero bacio sulla tempia ricoperta dalla folta chioma bionda. «Sei la persona ch'è stata in grado di far innamorare mia sorella. Per quanto mi riguarda sei già parte della famiglia!»
Decisero, date le previsioni, che restare a NYC non era il caso e non avendo alcun legame alla città – in quanto Ellie non voleva né comunque poteva avere rapporti con la famiglia – decisero di andar via: Chicago! A quanto pareva, stando alle notizie di notiziari e internet, la città ventosa era una delle poche capitali americane a non essere ancora stata colpita da nessuna calamità naturale con un’entità tale da distruggerla, quindi perché non mettersi in viaggio?
Risalirono sul pick-up e Nick cedette il suo posto sul sedile a Laurel, andando a sedersi sul retro con bagagli e provviste. «Chicago, stiamo arrivando!» Mormorò il bambino di due anni appena prima di crollare addormentato con la testa sulle gambe della nuova arrivata nella famiglia.
Sia Mer che Ellie rimasero – ma forse neanche così tanto – stupite dall’accoglienza che avevano riservato a quest’ultima. Era vero: era come se fosse già della famiglia.
Seb ed Hope si alternavano alla guida, anche se Hope aveva ancora la caviglia gonfia e il ragazzo cercava di non farla stressare più del dovuto così da farla guarire il prima possibile; i bambini giocavano tra di loro, coinvolgendo anche le due adolescenti in giochi di fantasia, di carte, di musica: cercavano in tutti i modi di riempire il silenzio, di tranquillizzarsi, di non avere paura per quello che c’era fuori da quella macchina. Tutto era così assurdo, però ad Ellie bastava guardarsi attorno per sentire meno il dolore dell’essere stata abbandonata: aveva l’amore, aveva una famiglia, aveva qualcuno che si prendeva cura di lei.
Quando finalmente i tre bambini si furono addormentati, mentre Sebastian guidava e Hope ne approfittava per riposare un po’ gli occhi, Meredith e Laurel si andarono a mettere nel retro dell’auto, con una copertina e le cuffie, parlando, ascoltando musica e rubandosi qualche bacio imbarazzato.
Forse poteva anche essere la fine del mondo, ma loro erano insieme e in qualche modo ne sarebbero uscite, insieme.

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Capitolo 5
*** 5. ***


«Sveglia ciurma, siamo arrivati!» Durante tutto il tragitto l’unica compagnia per Sebastian era stata la radio, dalla quale usciva qualche canzone gracchiata e notizie in cui si diceva che un gruppo di scienziati stava lavorando per capire cosa stesse succedendo al pianeta Terra. Nessuno delle persone in quell’auto ci capiva niente di magnetismi, polarità, nuclei magnetici, ma tutti speravano che chi di dovere fosse più competente e che qualcuno trovasse una soluzione.
«Tia…» Lexi aveva gli occhioni lucidi, il labbro tremolante, sembrava ancora più piccola nel suo sediolino; Hope si girò verso di lei e quando vide che era sull’orlo di una crisi di pianto si slacciò la cintura di sicurezza e scese dall’auto per andare a prenderla in braccio. «Che succede, piccolina?» Scesero tutti, Sebastian era distrutto: guidava incessantemente da ore, contro ogni temperatura e condizione climatica; Lucas e Nicholas si erano appena svegliati ed avevano fame, mentre Meredith e Laurel erano intorpidite per aver dormito una accanto all’altra nel retro del furgone. Alexis aveva avuto un incubo in cui Hope veniva schiacciata da un masso dopo un’esplosione e Nick e Luke si erano persi in un bosco correndo con le biciclette. La ragazza spiegò alla bambina che era stato tutto finto, che come poteva vedere stava bene e che nessuno si era perso o allontanato, le fece un po’ di coccole e per strapparle un gran sorrisone le diede un po’ di cioccolato col riso soffiato – la sua preferita.
Ellie era ancora scossa dalla litigata con i suoi genitori, ogni tanto tremava e si guardava attorno spaventata come se temesse che qualcuno da un momento all’altro potesse colpirla, strattonarla o comunque farle del male, ma cercava di dissimulare tutte le brutte sensazioni, nascondendosi vicina a Meredith; quest’ultima cerava in tutti i modi di tranquillizzare la sua ragazza, di darle forza e coraggio, di dirle che sarebbe andato tutto bene. «Okay fratellone, ora siamo a Chicago, che si fa?» «Eh, bella domanda Merry, non ne ho idea. Per ora questa era la città più vicina meno colpita, pare abbia a che fare con la densità dell’aria, non ho capito bene cos’ha detto la radio. Che ne dite, cerchiamo un posticino in cui andare a mangiare? E magari anche farci una bella doccia?» Tutti annuirono, i bambini erano affamati e Hope non poteva continuare a sfamarli con merendine e sandwich, quindi cercare un ristorante aveva la priorità; cercò su Google, dopo qualche minuto che si guardavano attorno invano, e scoprì che a pochi passi da loro c’era un McDonald’s, forse non era la cosa più sana del mondo, ma dopo tutto quello che stava succedendo pensava che uno strappo alla regola si potesse fare.
«Ho chiamato mamma e papà. Stanno bene, sono chiusi nel bunker, ma la terra trema ancora.» Meredith era stoica, appariva tranquilla ma aveva il respiro corto e le mani le sudavano, se ne accorsero subito sia suo fratello che Ellie. «I miei genitori neanche mi rispondono…» Laurel mormorò senza dar troppo nell’occhio, ma Hope la sentì chiaramente ed una stretta allo stomaco le fece venire gli occhi lucidi: come si poteva essere così crudeli con una figlia? Solo perché amava un’altra ragazza, tra l’altro. Certa gente non meritava il titolo di genitore. «Sapete che vi dico ragazzi? Dobbiamo stare tranquilli: i nonni stanno bene, noi siamo tutti insieme e stiamo per mangiare una marea di patatine fritte! Magari lì fuori fa un po’ paura, ma ehi: a chi non piace l’avventura?» Hope aveva un’allegria contagiosa, sorrideva e tutti erano portati a farlo a loro volta, era una sorta di potere magico. Suo fratello aveva sempre sostenuto che derivasse dal nome: “Hope”, speranza, lei la portava, ovunque andasse, in qualunque situazione. Sebastian acconsentì più volte col capo, come ad enfatizzare le parole della sua ragazza: la guardava e se ne innamorava ogni volta di più.
«Meredith ti posso fare una domanda?» Erano tutti seduti nel locale, chiacchieravano e si godevano la musica di “radio McDonald’s”, non c’era praticamente nessuno tranne loro: strano che fossero aperti, in realtà, pensarono; Nick poi se ne uscì con quella domanda, mentre stava addentando una patatina – infatti sua zia lo sgridò per aver parlato con la bocca ancora piena. Mer si girò verso il bambino, annuendo per dargli il permesso di farle la domanda. «Perché tu stai con una ragazza e non stai con un maschio?» Calò un attimo di silenzio misto a panico; Mer ed Ellie si guardarono senza sapere cosa dire o fare, così entrambe rivolsero lo sguardo ad Hope e Sebastian, come a dire “siete voi gli adulti, risolvetela voi”. Fu Hope ad iniziare il discorso, rendendosi conto che toccava a lei. «Succede spesso Nick, una ragazza può amare un ragazzo come può amare una ragazza. A volte può amare entrambi!» «E vale anche per i maschi?» Forse era un po’ imbarazzante, ma si schiarì la voce e decise che non doveva farsi frenare dalla vergogna: annuì, gli spiegò – a lui ma anche agli altri due bambini – che non c’era assolutamente nulla di strano nell’amare qualcuno che fosse del sesso opposto o meno. Voleva far capire a quei tre bambini, ma forse anche a Laurel e Meredtih, che l’amore non è mai un male, che finché c’è l’amore puro si può sempre trovare una soluzione, che chiunque discrimini qualcuno solo perché ama una persona del proprio stesso sesso non merita altro che compassione. Ogni tanto gettava qualche occhiata ad Ellie, per osservare le sue reazioni, sperava che con il suo discorso non la facesse stare peggio, dato che il suo intento era l’esatto opposto; ed infatti le capitò di vederla con gli occhi un po’ lucidi, ma un sorriso dolcissimo sul viso.
Sebastian osservava la scena con un religioso silenzio: sua sorella era decisamente un’altra persona da quando aveva rivisto Laurel: glielo leggeva in faccia che quelle due si amavano; ed osservava Hope: come poteva non amarla? Così dolce, così forte, così fragile, così coraggiosa. Pensò che, in mezzo a quel caos totale, era paradossalmente fortunato ad avere accanto le persone che più amava.
«Doccia e poi nanna?» Erano riusciti a trovare un piccolo bed and breakfast ancora intatto in un quartiere tranquillo, non troppo affollato. Era l’ideale poiché non c’era molta gente che si accalcava per strada o nell’edificio stesso quando c’era qualche scossa, ma non erano neanche totalmente isolati; presero due stanze: per quanto Seb non volesse ammettere che sua sorella era ormai un’adulta, dovette riconoscere che aveva bisogno, assieme alla sua ragazza, di un po’ di privacy; così sistemarono i bagagli negli armadi, lasciando comunque tutti gli abiti nelle valige, cercarono un supermercato e fecero un po’ di provviste, la situazione sembrava stranamente tranquilla eppure Hope aveva sempre quella stretta allo stomaco che non la lasciava respirare.
Era notte, i bambini si erano addormentati mentre Hope e Sebastian parlavano sul balconcino della loro stanza cercando di non fare troppo rumore: «Ho paura che stia per succede qualcosa Seb, non so perché, ma ho ancora questa dannata sensazione.» «Cerca di stare tranquilla, okay? Non so se siamo fuori pericolo, ma per ora cerca di non pensarci troppo. So che è difficile, ma pensa a cosa ti avrebbe detto Will.» E Hope sorrise, nonostante le lacrime le rigassero il volto: Will, il suo fratellone, l’uomo più in gamba del mondo. «Raccontami di nuovo perché vi hanno chiamati Hope e Will, ti va?» Solo Sebastian sapeva quanto quella storiella riuscisse a calmare la sua ragazza – forse perché solo a lui l’aveva raccontata. Hope tirò su col naso, respirò a pieni polmoni e poggiando la testa sulla sua spalla iniziò a raccontare. «Sai che i miei sono persone stoiche e piatte, però credono nel potere delle parole. E volevano che i nomi dei loro figli avessero dei significati… buoni.» Fece una piccola pausa, aggrappandosi al braccio del suo compagno come se volesse fuggire da un ricordo doloroso; la voce si fece tremante, era in lacrime ormai, però continuò a parlare, fissando il vuoto come se così fosse più facile restare concentrata «Hope vuol dire speranza, lo sappiamo, l’hanno scelto a posta: pensavano che con un nome così dolce e allegro io portassi un po’ di speranza nel mondo, Will era convinto che io ci riuscissi infatti.» Un’altra piccola pausa, ormai non riusciva a soffocare le lacrime, ma certo non voleva svegliare i bambini. «Will invece è l’ausiliare per i verbi al futuro. Lui doveva essere una sorta di “messaggero”, qualcuno che vedeva sempre avanti con ottimismo. Perché il futuro è incerto, ma proprio per questo può essere bellissimo. Insieme, poi, dovevamo essere appunto questo: messaggeri di speranza per chi orbita nelle nostre vite.» E lì il pianto non fu più gestibile, scoppiò come una ragazzina anche se Seb la strinse forte a sé facendole nascondere il viso nel proprio petto. Non era preoccupato, perché sapeva che stava sì piangendo ma non era un pianto triste: era liberatorio. Da quando il mondo sembrava stesse finendo lei si era sempre mostrata tranquilla e risoluta, perché ovviamente i bambini contavano su di lei, ma ora si stava sfogando ed era perfettamente normale. La coccolò dolcemente, per qualche minuto, pronto a farla sorridere appena ce ne fosse stata occasione; la guardava, così piccola tra le sue braccia eppure così forte da sopportare il peso delle responsabilità che tutto ad un tratto si era ritrovata a dover sostenere. «Hope… mi sposi?» E la ragazza si bloccò: non pianse più, il respiro le si era bloccato in gola, gli occhi erano ancora lucidi ma un sorriso stava nascendo sul suo viso arrossato dalle lacrime. «Assolutamente sì.» Si baciarono, forse ridacchiarono anche, ma cercarono di fare tutto silenziosamente. Sembravano due ragazzini al primo amore.
Andarono a dormire dopo un po’, rendendosi conto che dovevano per forza di cose riposare anche se avrebbero volentieri fatto l’amore tutta la notte, ma i bambini erano in stanza con loro e certo non avrebbero rischiato.
La mattina dopo furono svegliati da una nuova scossa, lunga diversi secondi. I bambini si misero ad urlare, Meredith e Laurel rimasero in camera loro nascondendosi sotto l’arco della porta così da proteggersi, mentre Hope e Sebastian si mossero in fretta verso Lexi e i suoi fratellini per portarli accanto ai muri portanti dove era meno rischioso stare. Erano tutti stanchi di quella situazione, di sentirsi impotenti, ansiosi, ma non ci potevano fare nulla se non aspettare.
Quando la scossa finì si riunirono tutti, Sebastian abbracciò sua sorella, Hope accarezzò il viso di Ellie come se la conoscesse da sempre, i bambini si tranquillizzarono moltissimo. Lessero su un giornale online che era una scossa di assestamento, che le trombe d’aria si stavano placando, che i maremoti erano cessati. Che diavolo stesse accadendo, non lo sapeva nessuno.
La situazione fu critica ancora per diverse settimane, settimane in cui il mondo sembrava paralizzato, terrorizzato dalla possibilità che tutto ricominciasse impetuosamente. La famiglia allargata rimase a Chicago per quasi un mese, quel b&b era ormai diventato una vera e propria casa per loro, i proprietari si univano spesso a loro per cena, forse per avere un briciolo di illusione che tutto andasse bene.
«Tornerai dai tuoi genitori?» era notte fonda, Meredith e Laurel erano nel loro letto, dai corpi accaldati e i capelli arruffati si intuiva che avessero appena finito di fare l’amore, Mer teneva un braccio attorno alle spalle della sua ragazza e quest’ultima si era accoccolata contro il suo petto. «Credo che almeno debba andare a riprendere le mie cose… dove andrò? Mer, sono terrorizzata, te lo giuro» Sospirò flebilmente, gli occhi le erano diventati lucidi, Meredith non poté che stringerla forte a sé. «Andrà tutto bene, troveremo una soluzione. Insieme possiamo farcela. Tranquilla amore.» Si addormentarono così, abbracciate e un po’ tristi, ma insieme.


[…]

Passarono tre mesi.
Erano tutti tornati a casa propria, il mondo era tornato a vivere. Le tempeste erano andate via proprio com’erano arrivate: dal nulla, senza lasciare tracce se non case distrutte, strade lacerate dalle radici degli alberi, negozi distrutti dagli sciacalli. E ovviamente traumi abbastanza profondi nella psiche di chiunque si fosse trovato, almeno una volta, a contatto con la paura di morire (o di veder morire qualcuno a cui tenevano).
«Tutto bene?» Sebastian era appena arrivato in quella che ormai da un paio di settimane era non solo casa di Hope ma anche sua. Si avvicinò alla sua fidanzata e le diede un bacio sulla guancia. «Sì, sono solo un po’ pensierosa…» Non servì che lei aggiungesse altro, Seb sfoderò un gran sorriso e l’abbracciò forte. «So che senza tuo fratello non sarà la stessa cosa, ma ti prometto che sarà bello lo stesso, domani» «Sarà bellissimo, perché ti sposerò e non vorrei nient’altro al mondo»
Il giorno dopo, infatti, tutti i parenti più stretti di Sebastian e di Hope si riunirono a casa dei due, nel loro giardino perfettamente addobbato con lucine e fiori e candele. Sebastian aspettava la sposa all’altare, Hope arrivò con un abito bianco lungo e stretto accompagnata da suo padre mentre Lucas e Alexis portavano le fedi, a Meredith spettò il compito di testimone per suo fratello mentre Lola era la damigella d’onore di Hope. Erano tutti insieme, persino i genitori di Laurel capirono che cacciare la propria figlia solo perché amava un’altra ragazza era da folli e si riunirono, con la promessa di far incontrare le due ragazza più spesso possibile.
I brutti ricordi del disastro mondiale sembravano così lontani e loro erano così felici.
Il sacerdote fece leggere le promesse, poi disse le solite frasi di rito e alla fine disse che potevano baciarsi «Ti amo.» disse lui, «Ti amo.» rispose lei, poi si baciarono e iniziarono i festeggiamenti.
Una nuova vita insieme, con la consapevolezza di aver già affrontato tante sfide che potrebbero sembrare insuperabili.
Un amore che risplende come il Sole dopo una tempesta.

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