- palingenesi

di _happy_04
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** da zero ***
Capitolo 2: *** soufflé e muffin al cioccolato ***
Capitolo 3: *** homo novus ***
Capitolo 4: *** colori di petali ***



Capitolo 1
*** da zero ***


da zero

 

 

Quel giorno, Death the Kid aspettava suo padre.
Nella grande piazza illuminata dal caldo sole delle dieci del mattino, l’aria aveva un profumo di relax e di croissants appena sfornati; i bambini che passavano correvano energicamente, sollevando stormi di pigri piccioni, osservati dai genitori, che tutto quel vigore nel corpo non lo avevano, ma compensavano con l’amorevolezza nei loro occhi. I bar sistemavano i tavolini sui sampietrini, all’esterno, in alcuni casi coprendoli dal sole con grandi ombrelloni di tela chiara, perché in fondo il caffè ha tutt’un altro profumo, quando accompagnato dalla brezza tiepida primaverile. Anche i negozianti stavano all’aperto, appoggiati agli stipiti delle entrate, ridendo con i colleghi, quasi dimentichi del proprio reale mestiere, tranne il grassoccio omino nell’edicola, che sfogliava con trasporto un giornale, chissà se per pubblicità o per genuino interesse.
Seduto ad un tavolino dal grazioso piano bianco, Kid si godeva la vista del proprio croissant caldo e della generosa tazza di caffellatte, rimpiangendo di non essere in grado di sentirsi del tutto sereno; continuava a controllare eventuali segni di vita del padre, che ancora non vedeva da nessuna parte, ma tutto ciò di cui le notifiche del telefono lo avvisavano erano le attività su Instagram di Maka – con ogni probabilità, foto della strepitosa colazione preparata da Soul, o qualcosa del genere.
Sospirò. Avrebbe voluto credere che il grande giudice conosciuto come Shinigami volesse semplicemente trascorrere una tranquilla mattinata tra padre e figlio, ma sapeva bene che si trattava di vane speranze. Con tutto lo stress e la fatica che quel corpo di sessantenne accumulava durante la settimana, il sabato mattina era, a meno di processi importanti o emergenze, dedicato al sacrosanto diritto di svegliarsi tardi. Doveva esserci in ballo qualcosa di grosso, se aveva voluto incontrarlo proprio in quel momento.
Accese ancora una volta lo schermo del cellulare, che portava le dieci e trentadue. Con questo, erano già diciassette minuti di ritardo.  Con l’ennesimo sospiro, quantomeno, prese un sorso del caffellatte e diede un morso al cornetto, scoprendolo ancora più buono di quanto si aspettasse, la pasta ancora calda e la crema pasticcera che pareva sciogliervisi dentro.
Fu in quel momento, diciannove minuti dopo l’appuntamento previsto, che Shinigami giunse sul posto, i capelli che non tagliava da forse troppo tempo stretti piccolo codino nero striato di grigio, la camicia azzurro cielo e l’immancabile giacca elegante nera, anche se la spilla appuntata al contrario sul taschino segnalava chiaramente che non aveva speso troppo tempo a prepararsi.
«Oh- Papà!» fece per salutare Kid, per poi rendersi conto a scoppio ritardato di avere ancora il boccone di cornetto in bocca. Ridacchiando appena e strappando un sorriso anche all’uomo seduto davanti a lui, si prese un attimo per deglutire. «Papà, mi fa piacere vederti! Anche se sei in ritardo.»
Quello rise appena, un bonario imbarazzo nella sua voce. «Hai ragione, scusami. Ashura mi ha chiesto all’ultimo secondo di portargli dei documenti importanti, e non potevo negarglielo.»
Kid non riuscì a trattenere un sorriso, al sentirgli nominare il fratello. «Oh, capisco. È un po’ che non lo sento, Ashura come va?»
«Sta aspettando la promozione a maggiore, in questo momento.» spiegò Shinigami, nell’ordinare una brioche con un cappuccino. «Dovrebbe arrivare a breve, non c’è ancora nulla di ufficiale ma è praticamente certo.»
Il ragazzo annuì, pulendosi le mani dalle briciole del croissant. «Mi fa piacere, allora. Uno di questi giorni dovremmo cenare un po’ tutti e tre insieme.»
«Tu, invece? Tutto a posto all’università?» chiese, distraendosi nell’ammirare l’invitante dolce che gli si poneva davanti.
«Niente di nuovo. A breve dovrebbe iniziare la sessione estiva, ma per luglio voglio chiudere, così ci si rivede a settembre. Ho bisogno di un po’ di relax.» Al solo pensiero, strizzò gli occhi, tenendosi per un attimo la radice del naso tra le dita, scuotendo appena la testa per scacciare quell’ombra di emicrania che già si apprestava a sfiorare la sua testa.
«La terapia come va?» Shinigami aveva cercato di tenere un tono di voce normale, mal celando una sfumatura di preoccupazione nelle sue parole.
Kid si irrigidì appena. «Meglio.» si limitò a dire, facendo spallucce, mantenendosi più o meno tranquillo per quella che in fondo era la sua normalità. «Questo ritmo di studio mi sta un po’ stressando, ma Stein dice che non ho avuto una ricaduta particolarmente preoccupante, quindi abbiamo solo aumentato un po’ la frequenza delle sessioni.» concluse, sorseggiando ancora il caffellatte.
«Comunque,» riprese, cercando di riprendere in mano la situazione e i propri pensieri. «sbaglio o volevi parlarmi di qualcosa, che credo non fosse una semplice chiacchierata?»
«Beh, effettivamente no.» ammise Shinigami, con un abbondante morso alla sua brioche. «Vedi, martedì mattina uscirà di prigione Black Star, non so se ne hai sentito parlare…»
Effettivamente, quel nome non era nuovo alle orecchie di Kid, ma ebbe bisogno di scavare nei ricordi risalenti a tanti, tanti anni prima, ed ebbe bisogno di compiere uno sforzo non indifferente per isolare le informazioni che gli servivano. «Intendi l’erede superstite di quella famiglia di sicari? Quello arrestato per spaccio e furto a quattordici anni?»
«Proprio lui.» L’uomo sembrò fare un po’ troppa fatica a trovare le parole, picchiettando con le dita sul tavolino. «So che ti sto chiedendo un grosso favore, ma in questo momento sei la persona di cui mi fido di più… Soprattutto trattandosi di una cosa del genere.»
Una cosa del genere? Kid si morse un labbro, facendo schioccare appena le nocche delle mani, nel tentativo di scaricare quella leggera ansia nel non capire dove volesse andare a parare suo padre. Anche se la parte della persona di cui si fidasse di più non era stata male.
Shinigami fece un respiro profondo, prima di dar veramente voce alla sua richiesta. «Vorrei che lo tenessi d’occhio, quando uscirà, almeno per un po’.»
«Come?» Sperò di aver sentito male. «Papà– Papà, cosa dovrebbe significare? Cioè, tipo, spiarlo mentre cammina in strada? Guardare dove va, cosa fa? Come dovrei fare questa cosa? E poi, lo avete messo in libertà, no? Vuol dire che è un uomo libero. Pulito. Nuovo.»
«Ne sono consapevole, Kid, ma quel tipo ci ha messi tutti, tutti in difficoltà.» Si sporse appena, e il ragazzo vide il giudice che era n lui, probabilmente con gli stessi modi di quando si occupava dal vivo del caso. «La famiglia Star è una famiglia con una tradizione secolare, anche lui è stato cresciuto con un’educazione volta all’assassinio; lui è stato arrestato per spaccio e per furto, oltre ad essere stato accusato di aggressione a civili e a pubblico ufficiale, ma nel suo file non c’è neanche un omicidio, neanche uno non premeditato. È assurdo.»
Kid si accarezzò il mento con le dita. Avrebbe potuto pensare che semplicemente non avesse voluto continuare l’attività di famiglia, da una parte; ma il fatto che non avesse ucciso alcuna persona neanche inavvertitamente, pur avendo delle aggressioni a proprio carico, era strano davvero. Fuori da ogni schema, quasi. In fondo, per quanto si potesse plasmare la propria persona, il DNA esisteva, e lui lo sapeva bene.
Si grattò appena la testa, con uno sbuffo. «In pratica, tu vuoi che io lo controlli, così da capire il perché di questa incongruenza nella sua fedina penale?»
«Proprio così.» Shinigami lo guardò negli occhi, cercando di individuare eventuali ripensamenti il figlio avesse avuto e – lo aveva imparato bene – non gli avesse detto. «So bene che sei affidabile, quando si tratta di controllare qualcosa… anche se mi rendo conto che può essere pesante per te, quindi… Non so, che ne pensi?»
Kid sollevò gli occhi al cielo, scandagliando ogni possibilità. Quello che era vero, da una parte, era che probabilmente dover controllare ogni attività di un ex-criminale con dei dati simili nel curriculum avrebbe potuto portargli ulteriore stress, e che forse conciliare quella situazione con i propri impegni non sarebbe stato affatto facile; d’altro canto, però, avrebbe mentito se avesse detto che tutta quella situazione non lo intrigasse, e a questo punto sarebbe stato impossibile per lui uscirsene e lasciar perdere per sempre quel puzzle. Oltretutto, forse c’era un modo per controllarlo senza dovergli stare troppo dietro e distrarsi troppo dai suoi impegni.
Rivolse al padre un mezzo sorriso, incrociando le braccia. «Si può fare.» Vide il suo volto distendersi, la schiena abbandonarsi di nuovo sulla sedia, mentre si infilava in bocca la metà della brioche che ancora aveva tra le mani. «Se qualcosa va male, in ogni caso, ti avverto e vediamo come risolvere. A proposito, papà, per caso è molto lunga la procedura giudiziaria perché una persona venga a vivere, tipo, ufficialmente con qualcuno?»
Shinigami parve affogare sulla propria colazione, per un attimo, gli occhi sbarrati. «Dici sul serio?»
Sollevò le spalle, Kid. «Perché no?»
 
Come credi che dovrebbe essere la scritta sulla vetrina?
Io direi in dorato, sul vetro magari
Kid inviò il messaggio a Soul, ma lui sembrava essere già uscito da Whatsapp. Sorrise, pensando all’impegno che quei due stavano impiegando per avviare quell’impresa. Poi, il suo occhio cadde sull’orario, in alto nello schermo – le undici e tre minuti. Ritardo, anche qui.
Spense il cellulare, guardando di nuovo il portone del carcere, che, ancora, era chiuso, né si intravedeva la presenza di anime vive dietro. Era un quarto d’ora che aspettava, appoggiato in piedi alla propria automobile, in un martedì mattina già pieno di pensieri. Vero che lui era arrivato in anticipo, ma non c’era nulla che odiasse più dell’aspettare oltre gli orari che erano programmati. Già stava per avviare un esercizio di respirazione per placare quel leggero misto tra panico e irritazione che avvertiva nello stomaco, quando il cancello si aprì, due guardie dietro di esso, mentre ne usciva un ragazzo dalla carnagione scura, i muscoli ben definiti, lasciati scoperti dalla maglietta bianca a maniche corte, e i capelli di un singolare azzurro cielo, una piega che somigliava in modo inequivocabile ad una stella. Frugava nervosamente nel borsone che portava sulla spalla, mentre camminava; si vedeva fin dalla postazione di Kid quanto tutto in quella borsa fosse stato gettato praticamente alla rinfusa, e stavolta dovette veramente prendere un respiro.
Poi il ragazzo si fermò e tornò indietro, gridando alle guardie «Lo spazzolino, ho dimenticato lo spazzolino, cazzo!», sfoggiando un ampio vocabolario di volgarità quando i poliziotti non lo fecero rientrare e le porte gli furono chiuse in faccia. Rimase ad insistere davanti al cancello per almeno due o tre minuti, fino a che tirò un pugno alle sbarre, con un sonoro clang di metallo, e si diresse verso Kid. Il ragazzo, doveva ammetterlo, avrebbe avuto come primo istinto mantenere una distanza quanto più larga possibile, oppure infilargli le mani nella borsa per riordinarla almeno un po’; invece, si limitò a dirgli, secco: «Salta su, ci fermiamo al supermercato e te ne compro uno nuovo.», già passando dall’altro lato della macchina per sedersi sul sedile del guidatore.
Non vide la sua espressione quando Black Star gli rispose un «Oh– beh, grazie», sistemando il proprio borsone sui sedili posteriori e sedendosi al posto del passeggero.
Kid ebbe a malapena il tempo di uscire dal parcheggio, prima che il nuovo arrivato chiedesse: «Tu sei quel tipo, vero? Death the Kid, il figlio del giudice. Quello con cui dovrei andare a vivere?»
«Proprio così.» Il ragazzo mantenne un tono secco, anche se neanche lui era sicuro del perché. «E tecnicamente, è solo per tenerti un po’ d’occhio, finché non ti sarai trovato un modo per sistemarti da solo.»
«Capisco.» Si portò le mani dietro il collo, accavallando le gambe con un ghigno divertito. «Mi è capitato di andare a vivere con persone, anche se mai con il figlio di un giudice.»
«Non farti strane idee.» lo fulminò Kid, netto, senza neanche sbilanciarsi sull’ampliare la risposta.
Ci fu qualche secondo di silenzio, prima che Black Star borbottasse un «Era una bugia. Volevo solo vedere come avresti reagito se ti avessi messo a disagio.»
Stavolta, furono le labbra di Kid a piegarsi appena all’insù. «Allora hai a che fare con la persona sbagliata. Sono piuttosto bravo a controllare le mie emozioni.»
L’espressione dell’altro parve indurirsi, come se qualche bottone fosse stato premuto dentro di lui. «Scemo. Forse puoi controllare le reazioni, ma le emozioni fanno tutto da sole. Schifezze.»
In qualche modo, la risposta di Black Star lo destabilizzò. Strinse le dita sul volante, un treno di pensieri che investiva la sua psiche in quel modo che tanto odiava; cercò di concentrare lo sguardo sulla strada, sperando che la corsa di quel convoglio finisse in fretta, respirando a fondo e ripetendo quelle tecniche che aveva speso tanti anni ad imparare.
Sentì lo sguardo dell’azzurro posarsi confuso su di lui, come se non si aspettasse una reazione del genere. «Che hai?»
Anche se sentiva ancora i pensieri un po’ intorpiditi, scosse la testa, essendo più o meno riuscito a riprendere in mano se stesso. Sollevò il mento,rilassando le mani sul volante, la fronte corrucciata che tornava a distendersi. «Nulla. Ora scendiamo, piuttosto, dobbiamo prendere lo spazzolino, no?» domandò, accostando la macchina al marciapiede e già scendendo.
Per qualche motivo, Black Star parve sorpreso. «Quindi dicevi davvero!»
«Certo.» Aprì il portello anche allo sbigottito compagno. «Non faccio mica promesse a vuoto. E a proposito, prima potrò aver usato la parola sbagliata, ma le reazioni sono in grado di gestirle davvero.»
Il ragazzo lo fissò per un attimo, ancora più sorpreso da quelle affermazioni; poi, il suo viso si contrasse in un ghigno intrigato. «Devo dire la verità, non ho una passione per gli sbirri e i loro compagni, ma tu mi piaci.» Si sollevò in piedi sul marciapiede, e contro ogni aspettativa gli tese una mano. «Io sono Black Star, è un piacere conoscerti.»
Kid guardò per un attimo quella mano, vagamente confuso. In qualche modo, era un modo per ricominciare da zero, per far davvero partire quel rapporto che almeno un po’ sarebbe stato quasi forzato. Era la volontà di accettarsi l’un l’altro, di trovare un punto d’incontro, a metà tra quei due mondi opposti, un ponte, anzi.
Sorrise, e gliela strinse a sua volta. «Death the Kid, il piacere è tutto mio.»
 
Per tutto il viaggio in macchina fino all’appartamento, Black Star, ormai a suo agio, raccontò la “strepitosa storia” di quando uno dei suoi fratelli maggiori si era infilato uno spazzolino su per il naso, e ci erano voluti sia nonni che genitori che un paio di fratelli per tirarlo fuori e farlo riprendere dal dolore e dall’emorragia. Per un attimo, Kid si chiese se sarebbe mai stato più in grado di lavarsi i denti senza provare il desiderio di vomitare.
Fun quindi ben felice di parcheggiare nel suo posto del garage condominiale, e di accompagnare Black Star nell’appartamento. Lo condusse nella camera degli ospiti, attraverso il corridoio e le stanze decorate da soprammobili e di quadri alle pareti; non era una casa molto grande, ma aveva compensato alle dimensioni ristrette con un certo senso dell’estetica.
Aprì le tende bianche della stanza, e la luce del sole mattutino inondò lo spazio. «Per il momento, questa sarà la tua camera da letto. Nel frattempo…» Fece per uscire, fermandosi invece sullo stipite. «Benvenuto.»

 

angolino dell'autrice ||


Buonasera a tutti!!
Questa è già la seconda fanfiction su Soul Eater che pubblico qui, nonché la prima long da... non so, un sacco di tempo!! Era molto che non facevo neanche un tentativo, non avendo la costanza di pensare una trama complessa e portarla a termine, ma eccoci qui. Spero di finire, oof, anche perché ho dalla mia 1. il fatto di essere in quarantena e avere un bel po' più di tempo libero, e 2. due beta readers che mi motivano giorno per giorno ad andare avanti nella scrittura. Incrociamo le dita!
Spero di ricevere feedback, e che la storia piaccia! Sì, il primo capitolo è abbastanza liscio, un po' basic... l'ho fatto apposta. Giuro. Cioè, sarà una sottospecie di slice of life, quindi comunque non aspettatevi alieni che cadono dal cielo o sparatorie con esplosioni fighe, ma ho lavorato con attenzione alle backstories e ho già progettato lo scheletro della storia, quindi... sono ottimista, suppongo?
Per chiudere, anche se nel fandom italiano non li conosce nessuno, io amo questi due idioti. Punto.
Ci si vede nel prossimo capitolo!

_choco

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Capitolo 2
*** soufflé e muffin al cioccolato ***


soufflé e muffin al cioccolato

«Buongiorno, mondo, il dio del Sole è in piedi!»
Kid era al computer, a ricontrollare i documenti per il prossimo esame, quando un Black Star in pantaloncini del pigiama uscì dal corridoio, urlando trionfante.
Il corvino balzò sulla sedia per la sorpresa, constatando con dispiacere che avrebbe dovuto abituarsi a sopportare l’energia di quel moccioso troppo cresciuto; poi, storse il naso, sorseggiando il caffè nella tazzina accanto alle sue mani. «Potresti evitare tutta questa confusione alle dieci di mattina, e, possibilmente, metterti qualcosa addosso?»
Il ragazzo sembrò rendersi solo conto allora di essere a torso e a piedi nudi. Indietreggiò nuovamente verso la sua nuova camera da letto, ma ghignò, le braccia al petto. «Però ammettilo, ti piace quello che vedi.»
Kid si morse la lingua per evitare di suggerirgli la destinazione del suo prossimo viaggio, optando per un non propriamente fine ma almeno non scurrile «Chiudi quella fogna.»
«Non hai negato, però!» replicò vittorioso quello, con una risata così energica da essere quasi sguaiata.
A quella evidente provocazione, le guance vagamente imporporate per diversi motivi, Kid scattò in piedi, come un gatto a cui fosse stata pestata la coda. «Sentimi bene, tu…»
Fu mentre si voltava, che lo notò. Sulla spalla dell’altro c’era un pallido tatuaggio, una stella, ma era solcato da una profonda cicatrice, quasi a spezzare quell’astro che biancheggiava sulla pelle di bronzo.
Forse lo fissò un po’ troppo a lungo, perché Black Star parve accorgersene; con un gesto talmente delicato da essere probabilmente inconscio, sfiorò quel segno sulla propria pelle, e nei suoi occhi comparve una luce indecifrabile. Fissavano quelli di Kid con un’intensità sconcertante, una violenza che pareva mirare a sviscerare ogni barriera, scoprire ogni debolezza del proprio avversario e schiacciarla sotto i propri piedi, finché non fosse rimasto altro che i brandelli.
Come una belva feroce che puntava la gazzella, pur ancora indeciso se inseguirla o meno. Ma c’era qualcosa, in fondo a quelle pozze oscure, dietro a quelle luci sinistre, qualcosa che Kid non era in grado di distinguere, non ancora, almeno.
Decise di far cadere lì l’argomento, passandosi una mano sul volto. «Lasciamo perdere. Piuttosto – primo, ci dovrebbe essere ancora del caffè che ho fatto stamattina, quindi se vuoi puoi prenderne una tazzina. Secondo, il venerdì è il giorno in cui faccio i dolci per il weekend, quindi tra dieci minuti devo andare a fare la spesa. Se ti va di venire, possiamo decidere insieme.»
Quell’ombra che era comparsa sul volto del coinquilino scomparve, sostituita da una genuina luce di entusiasmo. «Fai i dolci?»
«Certo!» Kid non riuscì a fare a meno di impettirsi, un sorriso che andava da un orecchio all’altro. «E, modestamente, sono anche piuttosto bravo. La pasticceria è una delle arti culinarie più complesse, e sono orgoglioso delle mie capa…»
«Che figata!» Come un bambino dell’asilo impaziente, quello scappò in camera e ne uscì con una t-shirt degli Hollywood Undead infilata ancora per metà, senza neanche aver finito di allacciarsi le Converse rosse. «Diamoci una mossa, che aspetti, cazzo?»
«Cosa non ti è chiaro di “dieci minuti”? Beh, ora otto, in realtà.» precisò, una scintilla negli occhi nel pronunciare il suo numero preferito. «E poi, ce la fai a comporre una frase di senso compiuto senza doverci mettere almeno una parolaccia?»
«Scusa, è che è una figata davvero, maledizione! Non ricordo neanche da quand’è, che non faccio dolci – merda, non credo neanche di averli mai fatti, ora che ci penso!» Trangugiò senza troppi complimenti il caffè rimasto nella macchinetta. Kid tenne per sé un “Oh, ma allora sai pensare”. L’azzurro incrociò le braccia al petto, un sorriso smagliante. «Andiamo?»
Il corvino guardò l’orologio. «Quattro minuti.»
 
«Sappi che non ti perdonerò mai.» borbottava Kid, mentre trascinava il carrello con una mano e controllava la lista della spesa sul telefono.
«Oh, andiamo!» Black Star sbuffò sonoramente, anche se non sembrava davvero interessato alle lamentele del compagno, quanto piuttosto a navigare con lo sguardo tra tutte le confezioni colorate sugli scaffali. «Erano tre minuti!»
«Tre minuti!»  Kid cercò di prendere un respiro, recuperando la calma e non ben sapendo come rispondergli. «Lasciamo stare. Invece, cos’è che vogliamo preparare, come dolce? Potremmo fare dei profiteroles, o dei soufflé, o se preferisci…»
«Che ne dici dei muffin?»
L’altro sbatté le palpebre, come destabilizzato da una richiesta simile. «Eh?»
Black Star si voltò verso di lui, la genuinità della proposta leggibile nell’espressione naturale. «Non dovrebbero essere troppo difficili, no? Ho sempre desiderato cucinare i muffin.»
«Beh, quello no.» Kid si accarezzò appena il mento. Negli ultimi anni si era abituato a cercare ricette di complessità sempre maggiore, completamente disabituandosi a quelle così semplici da sembrare fatte apposta per i bambini; non era neanche in grado di quantificare il tempo che era passato dall’ultima volta che aveva preparato i muffin, che era stata forse quando ancora viveva con entrambi i genitori e il fratello.
Ma in fondo, si disse, magari non era poi così una terribile idea.
Sorrise. «Va bene, si può fare.»
 
Black Star sembrava letteralmente incantato, accovacciato sulle mattonelle marmoree a fissare lo sportello del forno, o per meglio dire quello che c’era dietro il vetro; irradiati dalla luce calda dell’elettrodomestico, la pasta dei muffin si stava pacatamente gonfiando, come piccole mongolfiere in fase di accensione, a formare morbide cupole marroni e sprigionando un dolce profumo che si diffondeva anche all’esterno.
«Black Star, ti dispiace darmi una mano?» La voce di Kid si fece appena stridula nel momento in cui si alzò in punta di piedi per posare lo zucchero nella credenza. Si piazzò le mani sui fianchi, con uno sbuffo; ogni angolo della cucina era invaso da ingredienti, posate e scodelle, alcuni persino rimasti inutilizzati, e il tavolo della cucina al centro della stanza, così come il pavimento, era disseminato da tracce di miscugli non meglio identificati, neanche sperassero di far crescere qualche piantagione.
Era così disturbante, il disordine.
L’azzurro guardò il timer del forno, che però segnalava ancora più di un quarto d’ora di attesa; non avendo scuse per evitare l’onere, si sollevò in piedi, con un grugnito, e afferrò il sacchetto di farina stravaccato sulla superficie del tavolo. Poi, senza alcun preavviso, ne raccolse una manciata e la lanciò sulla spalla di Kid, in poco più di una frazione di secondo.
Atterrito, il corvino si immobilizzò, gli occhi strabuzzati volti verso quella chiazza che gli imbiancava la clavicola pallida e parte della manica nera. «Bastardo…» sibilò, gli occhi ambrati si accesero appena di furia, con tutta l’aria di poterla rilasciare da un momento all’altro. «Ti rendi conto della perfetta simmetria che hai rovinato, con questa farina su una sola spalla?»
L’altro rispose con un sorrisetto pestifero. «Allora facciamo così, se preferisci!» e, con uno scatto felino, tutta la farina rimanente nella confezione fu rovesciata sulla testa di Kid, colorandogli l’intero torso esile di candido.
Ora sì, che aveva toccato il limite. Con un grido degno di un guerriero in pieno campo di battaglia, agguantò il pacco di riserva e ne scagliò una grande parte sull’azzurro, in una dolce, dolce vendetta.
Quello parve prendersi qualche attimo per metabolizzare l’accaduto. «Sai che questa è un’edizione limitata della merce di American Tragedy, e che se non torna come prima ti faccio passare le ossa che hai in corpo da duecentosei a quattrocentodieci, vero?» intimò, mantenendo un tono forzatamente lento.
«Quattrocentododici!» lo corresse Kid, sentendo le labbra piegarglisi in un sorriso carico di adrenalina. «E non venire a dirmi che non te la sei cercata!»
«Tu ti stai gettando nelle braccia della morte.»
Nel giro di non più di dieci secondi, la stanza si trasformò in un campo di battaglia, i due ragazzi che correvano intorno al tavolo e per la cucina, afferrandosi e sfuggendosi, immersi nella densa polvere della farina che fluttuava nella stanza, alleggerita dalle risate incontrollate. Sembravano due bambini, come se stessero cercando di riprendersi un’infanzia persa tra le mani forse troppo presto, o forse un’adolescenza rovinata.
Si fermarono solo quando tutta la farina fu esaurita, i pacchi abbandonati sul tavolo e loro due seduti per terra, le schiene appoggiate ai cassetti ai lati del forno; ansimavano, ridevano e tossivano, coperti di un disomogeneo strato di farina su tutto il corpo, che chissà se avesse invaso anche i polmoni, ma non riuscivano a non sentirsi assurdamente allegri.
«Però ho vinto io.» ridacchiò Black Star, attraverso il fiatone nella sua voce, puntando il dito sulla guancia di Kid. Il corvino gliela spinse via con un leggero schiaffo, sogghignando scherzosamente. «Non ci sperare.»
Si sollevò in piedi, porgendo la mano all’altro. «Ora datti da fare, che grazie alla tua strepitosa idea abbiamo il doppio del lavoro da fare.»
Quello gettò il mento all’insù, con un verso lamentoso, ma si lasciò tirare da Kid e si apprestò a prendere la scopa; gettò uno sguardo al timer, e seppe che anche il compagno stava facendo lo stesso – cinque minuti e avrebbero potuto anche gustare il prodotto di quell’assurdo venerdì pomeriggio.

 
angolino dell'autrice ||
E chi è l'idiota che pubblica alle undici e mezza di sera? Io, ovviamente!
Sì, questo è il primo vero capitolo; non è particolarmente intenso, ma, di nuovo, è fatto apposta. Sto cercando di muovere la storia in modo graduale, quindi per un po' accontentatevi di non avere novità troppo grandi.
Questo è stato divertente da scrivere, ammetto. E sì, la mia intenzione era di pubblicare ogni venerdì, ma sapete com'è, se non ce l'avessi sul collo dimenticherei pure la testa. 
Boh, la lascio qui. Per il momento ancora nessuna recensione, ma ricordate che se avete anche solo letto i capitoli mi fa piacere! E che avere opinioni di qualunque tipo è sempre bello per me, ahah!
Alla prossima, un bacio!

_choco

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Capitolo 3
*** homo novus ***


homo novus

Con un colpo secco, Kid richiuse la lavastoviglie.
La domenica sera è sempre un momento cruciale, un po’ triste, forse; si tratta degli ultimi momenti del weekend, gli ultimi momenti con un sapore di libertà prima che ricominci un’altra settimana. In qualche modo si pensa sempre al lato negativo, ma a volte la mente suggerisce – esige di godersi gli sgoccioli che restano dei due giorni e mezzo di pace.
E quello era esattamente ciò che voleva Kid quella sera, dopo una settimana decisamente intensa.
Uscendo dalla cucina si appoggiò allo stipite della porta con la spalla, lanciando uno sguardo a Black Star, intento a sbadigliare, stravaccato sul divano con la grazia di uno scimpanzé. Non sapeva se sentirsi disgustato o divertito da quella vista; nel dubbio, entrambi. «Ti va di vedere un film?»
Nell’ascoltare la richiesta, l’altro liberò un altro portentoso sbadiglio, anche se poi si sollevò in piedi, stiracchiandosi. «Perché no? Hai qualche idea? Tipo, qualche DVD?»
«DVD?» Kid rimase per un attimo a sbattere le palpebre, preso contropiede da quella richiesta. «Io pensavo a sceglierlo dalla selezione on demand, ma posso vedere cos’ho qui.»
Si chinò ad aprire il mobiletto sotto la Tv, seguito a ruota da Black Star, che si piazzò seduto a terra dietro di lui, e si rese conto di aver lasciato a casa del padre molto meno di quanto ricordasse. Non gli erano mai sembrati molti, ma ora che le contava notò che le custodie disposte ordinatamente accanto al vecchio lettore erano molte più di otto; erano esattamente sedici, che in fondo pure non erano un brutto numero.
Fece scorrere appena il dito lungo quelle scatole di plastica, sfiorandole appena, ricordi che affioravano ad ogni titolo di film su cui i polpastrelli si soffermavano. Ricordi più e meno belli, persino alcuni che neanche sapeva di avere ancora, segni impressi nella roccia della sua mente ma coperti dalla sabbia del tempo.
«Sono parecchi.» lo interruppe Black Star, strappandolo al filo dei suoi pensieri e facendosi un po’ più vicino. «Sei appassionato?»
Un sorriso sghembo dall’ombra nostalgica si dipinse sul viso del corvino. «Non proprio, ma quando ero ragazzino passavo un sacco di tempo a guardare film. Sì, non sono mai stato una persona… molto socievole» ridacchiò appena; per quanto molte di quelle memorie non fossero essere l’apoteosi della felicità, aveva passato dei gran bei momenti in fin dei conti. E tutti quei film lo avevano certo aiutato. «tranne che per due persone. A volte il sabato sera ci incontravamo, solitamente a casa mia o a casa di questa mia amica, e ci stringevamo tutti e tre sul divano a guardare un film diverso.»
«Ti senti ancora, con quei due tipi?» chiese Black Star; pareva genuinamente curioso, anche se c’era una nota di malinconia in quella domanda. Pareva che si stesse avvicinando ad un mondo sconosciuto, ma che rimpiangeva di non aver mai visto.
Kid sorrise ancora, guardando ancora la serie di DVD poggiata sullo scaffale. Il pensiero dei suoi amici gli accese una scintilla d calore nel cuore; aveva sempre avuto persone intorno, era stato abituato ad avere a che fare con persone più o meno sconosciute, ma gestire i rapporti con i coetanei era sempre stata tutt’un’altra cosa. Quei due erano stati gli unici ad entrare veramente a creare una connessione emotiva con lui, a comprendere e apprezzare il suo mondo interiore, indipendentemente dalla reputazione sociale della sua famiglia. Non era esagerato dire che fossero giunti a diventare una parte della sua vita, di lui. «Certo. Uno di questi giorni potrei presentarteli.»
«Sarebbe veramente figo. Forse potrei anche conoscere un po’ meglio te, con i loro racconti imbarazzanti.» L’azzurro aggiunse una leggera risata ad accompagnare la battuta, ma la sua voce manteneva un tono soffice, ovattato; rimaneva poco di quel tono entusiasta ed energico a cui Kid si era ormai abituato, ma in qualche modo non riusciva a sentirsi infastidito da ciò – anzi. Si voltò appena verso di lui, e gli sembrò di vedere una persona completamente diversa. I muscoli definiti erano rilassati, i gomiti aguzzi adagiati sulle ginocchia, il viso disteso; non gli era ben chiaro se i suoi occhi guardassero lui o qualcosa di più profondo, quasi cercasse di cogliere il nucleo della sua anima con la luce delicata che gli illuminava le iridi verde mare.
Le labbra gli si piegarono in un leggero sorriso, e seppe che quello era un istante magico. Avevano scoperto se stessi, lo sentiva, ora erano le loro stesse anime a comunicare, un linguaggio silenzioso, ma più eloquente di mille parole. Come un filo, che li legava, ma senza stringerli; li avvolgeva, con delicatezza, e li portava a capirsi.
Fu lo stesso Black Star, a rompere con delicatezza quell’incantesimo – si schiarì la gola, tentando evidentemente di non fare troppo forte. «Beh, quindi ora che film ti va di vedere?»
«Oh, giusto.» Sbattendo gli occhi, come risvegliato da un sogno, raddrizzò appena le spalle, tornando a leggere i titoli. «Non so, ne vedi qualcuno che ti ispira?»
Con un “uhm” di riflessione, il ragazzo inclinò appena la testa, per adattarsi alle scritte in verticale. «E quello? “300”? Cos’è?»
Il corvino estrasse la custodia consumata del film indicato dall’altro, rigirandoselo tra le mani. «Ah, sì, ricordo. Soul aveva insistito per vederlo, ma a me non è piaciuto troppo. Troppe incongruenze storiche.»
«Incongruenze storiche?» ripeté Black Star, come se fosse un concetto che necessitava di metabolizzare prima.
Kid annuì, con una smorfia. «La battaglia delle Termopili, quella degli Spartani contro i Persiani. La battaglia vera è una delle cose più… perfette della storia. Ma nel film ci sono tantissime cose che non corrispondono, più che altro nei ruoli politici dei personaggi.»
«Oh. Bleah.» L’azzurro scosse la testa. «Odio gli Spartani, se ho capito chi sono. Era tipo… una prigione, alla nascita. A parte che già se da neonato non eri abbastanza forte da fare il soldato, eri buttato via, come maledetta spazzatura. E poi, il tuo destino era già deciso. A sette anni iniziavi l’addestramento, e se non ti andava di combattere? Se volevi fare qualcosa di diverso? Via, via. Perdevi ogni dignità, ogni fottuto diritto o apprezzamento. l’unica strada da percorrere era quella che ti imponevano. Li odio.» Arricciò il naso, facendo piegare la lunga cicatrice che attraversava il volto da una guancia all’altra. In qualche modo, Kid fu in grado di riconoscere la durezza della sua voce – era la stessa che aveva assunto al loro primo incontro, quando lo aveva rimproverato per le parole che aveva scelto.
E, di nuovo, si chiese quale sofferenza si celasse dietro quel sorriso smagliante che brillava come il sole. Si chiedeva quali travi di legno risalissero a galla nella sua mente, strappati dal relitto che giaceva nel profondo dell’oceano dentro di lui.
«Capisco…» si limitò a mormorare, rendendosi improvvisamente conto della violenza che si ergeva dietro la facciata di onore e potenza che ai suoi occhi aveva sempre avvolto la società spartana. Non credeva di poterne essere così turbato – eppure, stavolta Black Star gli aveva davvero aperto gli occhi su qualcosa di nuovo.
«Sai chi erano veramente fighi? Voglio dire, non sono propriamente andato a scuola, ma questo sì che me lo ricordo.» Il suo sguardo cambiò rotta nel giro di un attimo, come una bandiera mossa dal vento. «I Romani, quelli dell’epoca repubblicana. Sai, no, il concetto di homo novus. Non importava da quale fetente contadino o calzolaio fossi nato – se avevi il coraggio e la forza di spaccarti la schiena e darti da fare, nessuno avrebbe potuto impedirti di scalare la società. Avresti potuto impiegare anni, ricevere sputi in faccia a destra e a manca, essere abbattuto dai commenti e dagli sgambetti degli altri; ma se stringevi i denti e andavi per la tua strada, verso l’obiettivo, potevi arrivare letteralmente dove volevi. Potevi diventare console, e nessuno poteva avere nulla da ridire, perché quel fottuto ruolo te lo eri sudato, guadagnato, ed era innegabile.»
Kid non poté evitare di fissarlo ad occhi spalancati. Il fuoco dentro di lui emanava luce propria, travolgendo la sua voce di emozione e ammirazione. Aveva parlato con un trasporto assoluto, riversando come tutto se stesso in quel discorso. Sembrava percepirlo sulla propria pelle, nelle proprie carni, e sfruttarlo come combustibile per la fiamma del proprio vigore, viverlo. Era qualcosa di irresistibile, di impossibile da ignorare, che in nessun modo poteva lasciare indifferenti.
Solo dopo qualche secondo di fiatone Black Star parve realizzare l’espressione con cui Kid era rimasto, e scoppiò a ridere, con la sua caratteristica spigliatezza e spavalderia. «Ammettilo, sei rimasto sbalordito ancora una volta dal grande me!»
In risposta, Kid gli sbatté la custodia del film sulla fronte, anche se non riusciva proprio ad apparire imbronciato. «Ma fammi il piacere, dio dei miei stivali! Scegli un film, adesso, che se no non vediamo proprio nulla.»
Quello rise ancora, per niente scalfito dalla botta né dal giocoso insulto; alla fine, selezionarono un classico Ghostbusters, già all’epoca usato, consumato fino a sembrare provenire direttamente dal 1984, che strappò loro le risate più per il terribilmente primitivo CGI che per le battute inserite per comicità – almeno, secondo le idee dei produttori originali.
Però, quella sera, quando si infilò nel letto e si coprì con la sottile coperta di cotone, il tessuto soffice gli ricordò quella sensazione che aveva provato poco prima, quel calore nel cuore che gli avevano trasmesso gli occhi cristallini di Black Star. Pensò che in fondo non gli sarebbe dispiaciuto, lasciarsi conoscere un po’ di più da lui.

 

angolino dell'autrice ||
 

E niente, questo è quello che succede quando la mia indole da appassionata di storia romana si fa sentire. AHAH: Breve storia divertente, prima di dover scrivere questo capitolo gli Spartani erano i miei preferiti, lol. Anche perché VOGLIO DIRE non è che fossero solo questo.  Maaa mi sto dilungando. Ok.
Anyways. Inutile, non posterò mai con regolarità. Ma sappiate che le recensioni sono sempre gradite, ahah! Anche solo qualche parolina per dire se vi è piaciuto o no, o cosa ne pensate qwq. Abbiamo bisogno di più DeathStar in questo mondo, say yes if u agree.
E niete, ahah, un abbraccio!

 

_choco

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Capitolo 4
*** colori di petali ***


colori di petali

«Grazie, Kid, sono felice che sia voluto venire anche tu!» Dal posto del passeggero, Maka si girò verso Kid, seduto dal lato sinistro dei sedili posteriori. Da quello del guidatore, Soul sorrise a sua volta, i denti aguzzi appena visibili nello specchietto retrovisore. «Già, se ci avessi lasciati da soli avremmo speso secoli a metterci d’accordo.»
La ragazza fece per ribattere, forse cogliendo un riferimento alla sua pignoleria nelle parole del fidanzato, ma Kid estirpò il conflitto sul nascere, liquidando i ringraziamenti con un gesto della mano. «Ah, di nulla! Mi fa piacere darvi una mano. E poi, potremmo anche trovare qualcosa che possa piacere a Black Star per decorare un po’ la sua camera. Anche se è provvisoria.»
«Però ci si sta bene.» ribatté il diretto interessato, le mani intrecciate dietro la nuca. «E se ci dividiamo le spese e rimango?» propose, senza nessun apparente pudore.
Il viso di Kid assunse almeno tre diverse tonalità di colore, preso dalla confusione. «Come, scusa?» si limitò a gracidare. Non sapeva se lo turbasse di più l’inesistente ritegno con cui aveva avanzato il suggerimento o il fatto che intendesse davvero quello che diceva.
L’imbarazzo fu spezzato dalla fragorosa risata di Soul. «Beh, a convenire conviene! Tu, amico, sei uno forte!» L’albino lanciò un’occhiata al ragazzo, gli occhi cremisi che si giravano appena nello specchietto retrovisore. «Come hai detto che ti chiami?»
L’azzurro non sembrava aspettare altro. Si buttò di lato, schiacciando Kid contro il finestrino, così da piazzarsi al centro del sedile, e se l’automobile non fosse stata in movimento probabilmente avrebbe spiccato un balzo per mettersi in piedi. «Sono Black Star, l’unico e inimitabile, più grande di un dio!»
Il corvino cercò di spingerlo nuovamente al suo posto, tornato nel pieno controllo delle proprie facoltà. «Andiamo, placa i bollenti spiriti, ricorda che questa macchina non è tua, non puoi farci quello che vuoi! Cretino!» lo rimproverò, ricorrendo forse involontariamente a quell’insulto che per gran parte dell’infanzia lo aveva accompagnato grazie alle cure di Excailbur. Un tipo un po’ eccentrico, ma niente male come zio.
Maka incrociò le braccia, e Kid non fu in grado di capire se fosse infastidita o divertita – forse entrambi. «A quanto pare ora abbiamo due infanti a cui badare, eh?»
«Non me ne parlare!»
«Dovrei sentirmi offeso, per caso?» Soul si riprese dalle risate incontrollabili che gli aveva strappato Black Star, sghignazzando la domanda retorica che aveva posto a Maka.
«Valuta un po’ tu.»
«Eddai, te la sei presa?» A Soul non sfuggì il tono (forse) forzatamente rigido della ragazza, e le accarezzò teneramente la coscia, nel tentativo di addolcirla. «Dai, non mi mettere il muso. Sembri una bambina scema quando fai così.» sogghignò, beccandosi come conseguenza un pugno sulla spalla. «Ahia!»
La mano di Maka non tornò indietro, procedendo a dargli pizzichi dall’aria vagamente dolorosa sulle guance. Aveva il viso leggermente girato, permettendo di intravedere le gote gonfiate d’aria e un pochino arrossate.
Soul le spostò appena le dita, lasciandole piccoli baci sulle nocche. «Mi faceva ridere. E tu te la prendi per nulla.»
Maka borbottò un sommesso «Idiota», ma non ritrasse la mano fino a che non fu il fidanzato a lasciarla cadere nuovamente lungo i fianchi della ragazza.
Kid non riuscì a trattener un sorriso, davanti a un altro di quei battibecchi che li faceva tanto somigliare ai diciassettenni che erano quando si erano messi insieme, anni addietro. Con il senno di poi, un risvolto del genere era prevedibile fin dalla prima volta che li aveva visti insieme. Poggiò il viso alla mano, un sorriso nostalgico invocato dai ricordi che riaffioravano a pensarci. Era impossibile dimenticare tutte le volte che una frustratissima Maka di quattordici anni si catapultava ovunque Kid fosse durante la pausa pranzo e spendeva almeno cinque minuti buoni a lamentarsi della stupidità del nuovo arrivato. «È insopportabile!» diceva ogni volta, gesticolando fino all’esagerazione. «Non vedo l’ora di vederlo di nuovo per dirgliene quattro!»
E ricordava anche come quell’espressione vuota e cinica che caratterizzava allora l’albino spariva, lasciando posto ad un beffardo ghigno, quando si trattava di bisticciare con la bionda. Era inevitabile, in fondo, che avrebbero finito per attrarsi e avvicinarsi fino a quel punto. Ed era incredibile pensare come non ci fosse arrivato subito.
Si rese conto dello sguardo interrogativo di Black Star, che lo fissava perplesso. Kid sbatté le palpebre e scosse appena la testa, a chiedergli cosa ci fosse di strano; l’azzurro fece per rispondere, ma la macchina si fermò, così che tutti scesero nel parcheggio del grande negozio di arredamenti.
Maka uscì per prima, e, sistemandosi il vestitino giallo limone, si avviò verso l’entrata, aspettando a malapena che Soul chiudesse l’automobile. Il ragazzo le rivolse uno sguardo, strabuzzando gli occhi, ma non fece altro che alzare il viso al cielo, esclamare uno strascicato «Che pazienza!» e raggiungere la ragazza con uno scatto di corsa.
 
Maka emise uno schiocco di lingua soddisfatto, disattivando la tastiera sullo schermo dello smartphone. «C’è tutto. Ora possiamo anche andare a fare l’ordinazione. Non sono bellissime le librerie di ciliegio?»
Soul si grattò appena il retro del collo, con un leggero verso seccato gutturale. «Belle son belle, ma dovremo richiedere tutto in massa. E dire come venire, come portare tutto, e calcolare i prezzi…»
La fidanzata annuì, procurandogli un altro colpo, stavolta sul gomito. «Sì, mettiti l’animo in pace! Lo sapevi che sarebbe arrivata questa parte!»
«E sì che lo sapevo!» Il ragazzo si passò le mani sul volto, per poi emettere uno sbuffo e cercare di recuperare un contegno. «Beh, grazie, ragazzi. Vi lasciamo per un po’ a voi. Fate con calma… Il fatto sarà lungo. Che palle, che ho detto stavolta?»
Maka fece seguire un’espressione innocente mentre faceva scivolare le proprie dita tra quelle di Soul, dopo che gli aveva afferrato il polso con forse un po’ troppa energia. «Nulla, ma forse dovremmo darci una mossa, invece di lamentarci e basta.»
«Che celestiale angelo.» commentò il ragazzo, a metà tra il sincero e il sarcastico, seguendola verso un commesso intento a guardare annoiato gli alti scaffali.
Kid li guardò allontanarsi, ridacchiando, dopodiché si voltò verso Black Star; anche lui li guardava con un sorriso sghembo. «Sembrano due fottuti adolescenti. Così maledettamente allegri e spensierati.»
Il corvino non poté che trovarsi d’accordo, ma per qualche motivo si rese conto di qualcosa che non aveva ancora davvero considerato – Black Star non aveva mai vissuto quell’adolescenza. A quattordici anni era già in carcere, ed era stato appurato che aveva trascorso per le strade non più di un anno, prima di essere arrestato. Quelli che avrebbero dovuto essere gli anni più sfrenati della sua vita erano stati bruciati dietro delle sbarre, trascorsi a custodire la propria integrità fisica ed emotiva da altre mani, appartenenti a chissà quale corpo di chissà quale persona.
Per recuperarli era tardi. Ma forse poteva godersi un po’ di quella vita adesso, con la compagnia amica che gli era mancata tanto a lungo.
«Vuoi vedere qualcosa per la tua camera?» propose, cercando di alleggerire l’aria.
L’azzurro fece scrocchiare le nocche delle dita, ignaro delle considerazioni del compagno. «Ma sì, aspettavo solo questo!»
La prima cosa che Kid notò, guardandosi intorno, furono i fiori. Ce n’erano di finti e di veri, di tutti i colori possibili, disposti in perfetto ordine su espositori disposti a formare un rettangolo; non era mai stato un appassionato di giardinaggio, ma se pure lo fosse stato non sarebbe stato in grado di denominare tutte le forme e i colori di quella massa di morbidi petali. Al centro, un commesso armeggiava più o meno continuamente con gli steli dei fiori veri, cambiando le boccette d’acqua in cui le estremità erano bloccate.
Li accarezzò tutti con lo sguardo, beandosi di quel misto di profumi dalle diverse intensità che in qualche modo si compensavano armonicamente tra loro. «Ne vedi qualcuno in particolare, Black Star?» Si avvicinò ad un insieme di eleganti fiori dai larghi petali di un rosso brillante. «Tipo, le camelie?»
Quella parola ebbe un aspetto completamente inaspettato su Black Star – il ragazzo spalancò gli occhi, il fiato sospeso, e si avvicinò come ad un fantasma. «Lo tsubaki, la camelia giapponese…» mormorò, accarezzando i petali con i polpastrelli; li sfiorava appena, come se temesse di romperli, di vederli infrangersi e sanguinare sulle piastrelle di plastica sotto i suoi piedi. «Sembra senza profumo, spesso, simile esteticamente a tanti altri fiori. Probabilmente se te lo trovassi accanto sul marciapiede a malapena lo guarderesti. Ma se ti fermi a guardarlo, capisci che tra i petali di quel rosso così vivo è nascosto un profumo eguagliabile da pochissimi. Sarebbe bello se gli tsubaki sopravvivessero a lungo.»
Kid lo fissò, mille domande sulla punta della lingua. Ecco un altro Black Star, ancora diverso da quelli con cui aveva avuto a che fare finora; gli occhi parevano spenti, dentro le sue mani forti la paura di perdere qualcosa tra le dita. Persino le larghe spalle sembravano fiacche, appena protese in avanti, a proteggere un invisibile tesoro. Provò a chiedere, a bassa voce: «Ma le camelie non vivono molto a lungo? Voglio dire, anche tanti anni…»
L’azzurro serrò le labbra, il viso intero contratto in un’ancestrale sofferenza, fatta di rabbia, di rimorsi, di mancanza. Tutte le cicatrici visibili sembrarono farsi più profonde, come se stessero penetrando nelle sue carni. «Non la camelia che conoscevo io.» Allontanando le mani dal fiore, scosse la testa, cercando di svegliarsi dall’incubo in cui era caduto. «No, niente camelie. Meglio una bocca di leone.»
Anche se le dita tremavano ancora un po’, sollevò un grande fiore bianco, un sorriso che da lieve che era si allargò sul suo volto sfregiato, illuminandolo come da suo solito. «Perché è quello che sono – sono un leone, cazzo! Sono il re della savana, no, il re di tutto!» Liberò una fragorosa risata. Non sembrava forzata, o finta, e poteva sembrare strano, vista la scena a cui aveva appena assistito Kid. Non era stupido, aveva capito che dietro quel fiore rosso c’era qualcos’altro – qualcosa che gli faceva male, che lo bruciava, lo tagliava, come quel tratto sbiadito che spezzava in due la stella sulla sua spalla. Ma non gli era dovuto saperlo, del resto.
Si ritrovò a balbettare appena, ma si schiarì la gola. «In che settore vuoi andare adesso?»
L’azzurro considerò per un attimo la sua domanda, poi guardò il fiore che stringeva tra le mani, come a chiedere silenziosamente a lui la risposta, ma scosse la testa, deciso. «Va bene questo! Mi basta e mi avanza!»
Kid sollevò le spalle, un piccolo sorriso sollevato. «Oh, ok. Andiamo a pagare e poi vediamo che fanno Soul e Maka, mh?»
L’altro annuì, entusiasta per il grande acquisto e seguendo il compagno verso le casse, canticchiando sottovoce. «I am a lion and I want to be free, do you see a lion when you look inside of me?»
Inutile dire che, man mano che camminavano, quel mormorio si trasformò in un concerto in piena regola, e Kid dovette sbattergli una paletta in testa e tirarlo via per l’orecchio, sotto gli sguardi di tutti i presenti.

 
angolino dell'autrice ||
Buonsalve a chi fosse giunto fin qui!
Biscottino a chi ha riconosciuto la canzone che canta Black Star, ihih!! 
E no, non credo sarò mai in grado di pubblicare a intervalli regolari, duh-
_choco

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