The traces of your magic

di _ A r i a
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Encounter ***
Capitolo 2: *** Disclosure ***
Capitolo 3: *** Researches ***
Capitolo 4: *** Fears ***
Capitolo 5: *** Idolatry ***
Capitolo 6: *** Fight ***
Capitolo 7: *** Quiet ***



Capitolo 1
*** Encounter ***


writing-week

Non c’era mai molto da fare in bottega.

Soprattutto il pomeriggio, a dir la verità.
Quando il sole iniziava a calare e i suoi raggi aranciati s’infrangevano contro i mobili del negozio, l’atmosfera diventava in un secondo più solenne. Come se ogni cosa s’animasse di vita propria, sangue che pulsa ad una velocità impazzita in invisibili arterie.
Anche se, in realtà, quasi tutto ciò che era presente all’interno della bottega era già dotato di vita propria.
Kageyama sfogliò un’altra pagina del libro di rune. Quando aveva aperto la bottega non si era aspettato di avere successo e, in effetti, era andata esattamente così. O meglio, aveva una sua clientela, ma non certo ampia come quella di alcuni bazar magici noti in tutto il mondo. Ciononostante, per quanto cercasse di dare a vedere all’esterno che di quell’impiego non si curasse poi tanto, aveva passato gli ultimi vent’anni della sua vita a dedicarsi unicamente ad esso, investendo la sua intera anima nel curarlo. Reiji era fatto così, dopotutto: detestava l’approssimazione, e, se decideva d’impegnarsi in qualcosa, sapeva che avrebbe dovuto farlo finché non fosse riuscito a primeggiarvi, di qualsiasi attività si trattasse.
Così, la sua bottega era diventata un piccolo punto di riferimento per tutti i maghi e le streghe di Tokyo, per quanto fosse restio ad ammetterlo. Amava essere gratificato per il proprio operato, tuttavia preferiva che le lusinghe fossero esternate senza essere indotte. Aveva cercato sempre, nel suo piccolo, d’investire nella qualità dei prodotti, che, sebbene costassero un po’ di più, arrivavano direttamente dai prestigiosi mercati di Rabat, e proprio il loro pregio li faceva apprezzare maggiormente dai suoi clienti. Per cui, se avesse dovuto individuare il segreto del suo successo, l’avrebbe indicato in quello.
Tuttavia, la comunità magica era da sempre una minoranza rispetto alla popolazione globale.
Per anni, lotte intestine s’erano succedute, seppur lontane dai resoconti bellici. A quanto pareva, gli umani non avevano mai nutrito simpatia per quelli che vedevano come mostri. A Kageyama piaceva pensare che l’ignoranza generasse paura e, da quella stessa paura, era stata scaturita la scintilla che per anni aveva ingenerato soprusi e vessazioni ai danni di chi possedeva un potere da parte degli umani. Probabilmente doveva essere difficile comprendere qualcosa che non si possiede e che, potenzialmente, può costituire un pericolo. Non che la comunità magica avesse mai pensato di intraprendere una guerra contro gli umani, certo. Paradossalmente, invece, questo era ciò che gli umani avevano invece fatto con loro: perseguitati, torturati, infine uccisi. Reiji aveva perso il conto di quanti aveva visto perire.
Col tempo, tuttavia, comunità magica e genere umano erano arrivati ad un accordo: ciascuna delle due stirpi avrebbe dovuto continuare a vivere in sintonia con l’altra, senza però immischiarsi mai più nelle faccende altrui. Quella grande tregua durava ormai da un centinaio di anni e, con grande sorpresa ma anche un immenso sollievo, sembrava reggere.
Non passava mai nessuno a quell’ora della sera. La clientela di Kageyama era composta principalmente da habitué e, pertanto, Reiji ne conosceva ormai orari e abitudini. Sapeva quando sarebbero passati in negozio, con quale frequenza si presentavano, perfino quali ingredienti erano soliti acquistare. Probabilmente, vista dall’esterno, la sua vita appariva monotona e noiosa, tuttavia Reiji sapeva che non avrebbe mai potuto chiedere niente di meglio: una vita tranquilla e senza sorprese.
Almeno fino a quel momento.
Mentre si soffermava su un incantesimo, tornando indietro a rileggerlo diverse volte, aveva afferrato con nonchalance il manico della tazza che aveva accanto a sé, portandoselo alle labbra e prendendo un piccolo sorso di tè. Probabilmente avrebbe dovuto chiudere, iniziava a farsi tardi.
Era allora che era successo.
La campanella sopra alla porta d’ingresso della bottega aveva trillato, annunciando l’arrivo di un nuovo cliente. Il che era insolito, perché Kageyama non aspettava nessuno, sul serio.
Aveva capito fin dal primo momento, proprio grazie all’orario, che non si trattava di uno dei suoi clienti di fiducia. Non appena aveva posato lo sguardo sul nuovo arrivato in negozio, poi, ne aveva avuto la conferma definitiva.
Era certo di non averlo mai visto prima di allora. Se così fosse stato, se ne sarebbe senza ombra di dubbio ricordato.
Sapeva di non trovarsi di fronte a una persona comune. Tutto, nella figura esile che s’era ritrovato davanti, sembrava gridarlo: gli abiti di seta nera, dalla fattura evidentemente preziosa più di qualunque introvabile ingrediente per pozioni Reiji potesse celare in negozio, il lungo e pesante mantello purpureo, che ora strisciava con garbo sulle vecchie assi di legno del pavimento della bottega. E poi quegli occhi. Rossi come il sangue, come quelli di un demone.
Così estremamente magnetici.
Reiji non avrebbe saputo dire per quanto tempo fosse rimasto a fissare quel cliente. C’era qualcosa di misterioso in lui, potente, pericoloso. Lo sapeva, lo percepiva.
Aveva un’aura forte e definita, di un rosso brillante. Sembrava che quest’ultima, col suo solo bagliore rubizzo, fosse in grado di uccidere chiunque, in maniera sprovveduta, ci si fosse avvicinato troppo.
Forse avrebbe dovuto cacciarlo, dirgli di andare via, perché in fondo stava per chiudere il locale, ma c’era qualcosa di forte e sinistro che glielo impediva.
Lo sconosciuto teneva lo sguardo basso. S’aggirava furtivo tra gli scaffali, cercando di non dare troppo nell’occhio, ma era evidente che fosse impossibile, per lui.
«Ehm, buonasera» aveva cercato di richiamare la sua attenzione Kageyama. «C’è qualcosa che posso fare per lei…?»
L’altro mago aveva inclinato la testa di lato, osservando Reiji di traverso. Sotto quello sguardo rosso e inquisitore, Reiji non era riuscito a fare a meno di deglutire, sentendosi a disagio. Era come se riuscisse a leggere dentro di lui. Uhm, forse non avrebbe dovuto parlare…
Lo sconosciuto aveva sospirato pesantemente, per poi abbassare le palpebre. Sembrava… stanco.
«Sì, forse farei prima a chiedere» aveva convenuto, raddrizzando il capo e facendo scrocchiare il collo, muovendolo con piccole rotazioni che lo portavano a sfiorare le spalle.
Reiji non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, sembrava come ipnotizzato da quelle iridi rubizze. Non ne aveva mai viste di così belle e particolari, era innegabile. Per di più, il suo misterioso cliente sembrava irradiare fascino da ogni angolazione, e ciò lo portò a desiderare ancor di più di non perdersi nemmeno un minimo movimento dell’altro.
Camminava in modo sinuoso. Mentre si avvicinava al bancone, con calcolata lentezza, Reiji riusciva a sentire ogni millimetro di stoffa del mantello strisciare a terra.
Non appena gli fu davanti, Reiji si sentì quasi schiacciare da tutto il suo potere. Sembrava un mago estremamente potente, possibile che non ne avesse mai sentito parlare?
«Sto cercando un cristallo»
La voce del suo interlocutore parve ridestare Reiji da una catarsi. Non s’era neppure accorto d’essersi incantato ad osservare ancora una volta l’altro. Sembrava incredibilmente giovane, non gli avrebbe dato più di vent’anni. Come diavolo era possibile che una magia tanto potente risiedesse in un ragazzo così giovane…?
Reiji s’era portato un dito alla base del collo, grattandolo nervosamente. «Che… che genere di cristallo?»
«Per un rituale»
La risposta era arrivata repentina, breve, secca. Spiazzante, in un certo senso: gli aveva detto tutto, ma al tempo stesso niente.
Oh.
Più i minuti passavano, e più Kageyama si convinceva di avere a che fare con uno stregone estremamente potente. Nonostante ciò, Reiji si limitò a voltarsi: alle sue spalle, infatti, si trovavano diversi scaffali. Su ciascuno di essi, erano impilate decine e decine di scatole, ognuna contenente materiali differenti: alcune custodivano radici, altre ali di pipistrello, altre ancora piume di corvi. Una, infine, conteneva i cristalli.
Ce ne erano di ogni tipo: lucidi, grezzi, opalescenti… possedevano ogni tipo di sfumatura di colore, dal blu profondo dei lapislazzuli al verde smeraldo. C’era perfino il rosso rubino, così simile alle iridi della persona che gli stava davanti.
Quest’ultimo, tuttavia, non sembrava interessato a nessuna delle pietre precedenti.
Poco dopo, infatti, aveva sollevato dalla scatola alcuni cristalli, dalle dimensioni assai minute. Erano scuri, di un nero assai intenso.
Reiji aveva osservato con preoccupazione la merce: quelle erano pietre estremamente rare, utilizzate solamente per un determinato tipo di magia.
«Questi andranno bene» aveva mormorato lo sconosciuto, lasciandoli cadere nel palmo di Reiji senza sfiorarlo.
Kageyama avrebbe voluto chiedere. Avrebbe voluto informarlo… ma sapeva che, con ogni probabilità, sarebbe stato inutile. Se davvero quel giovane mago era tanto potente quanto la sua aura prometteva, allora era perfettamente conscio di ciò che aveva scelto.
E Kageyama dubitava di sbagliarsi.
Si era limitato a preparargli una piccola confezione con i suoi cristalli, con carta color sabbia, simile a quella che di solito si usava per ricoprire i pacchi destinati alla spedizione, e corda sottile. Quando aveva comunicato il prezzo al suo acquirente, decisamente dispendioso sia per la qualità dell’artefatto sia per ciò in cui generalmente veniva adoperato, quest’ultimo non aveva battuto ciglio, estraendo da una tasca del pantalone nero giusto le monete d’oro che gli servivano per saldare il suo conto.
Intascato l’importo, Reiji aveva porto il pacchetto al cliente. Quest’ultimo l’aveva recuperato direttamente dal palmo della sua mano e, per un singolo e apparentemente insignificante istante, le loro pelli si erano sfiorate.
La sensazione che Reiji aveva provato era simile a una scossa elettrica. Era intensa, quasi travolgente.
Era quella la sua magia?
Gli occhi di Reiji erano subito saettati alla ricerca di quelli dell’altro. Sul volto del ragazzo aveva trovato l’accenno di un sorriso. Divertito, sarcastico… malizioso?
«La ringrazio» aveva concesso in conclusione, ossequioso. Si era poi voltato, cominciando a muoversi lento e sinuoso lungo il percorso che aveva già solcato, in direzione dell’uscio, seppure quella volta a ritroso. Reiji stava quasi per lasciare andare un sospiro – non s’era accorto d’aver trattenuto il fiato fino a quel momento –, ma il giovane si arrestò di colpo, un momento prima di uscire finalmente dal locale, la porta già aperta.
«Negromanzia, eh?»
Reiji aveva finito per strozzarsi con il suo stesso respiro. Nell’aria risuonava ancora il trillo della campanella.
«C-che…?»
«Il libro. L’ho riconosciuto, so leggere il runico» aveva replicato il ragazzo, come se stesse constatando qualcosa di ovvio.
«Tutti… tutti i maghi sanno farlo» gli aveva fatto notare Reiji.
«Già» il ragazzo aveva sospirato, uscendo finalmente dalla bottega. Un momento dopo, era già sparito nel nulla.
Il tempo, che era parso fermarsi nell’attimo in cui quel giovane misterioso aveva messo piede all’interno del negozio, sembrò riprendere a scorrere solo in quel momento.
Kageyama non ne comprendeva ancora il motivo, ma aveva come l’impressione che avrebbe rivisto molto presto quel ragazzo.



▬ note

L'avevo detto che sarei tornata presto, lol.
Se qualche anno fa m'avessero detto che avrei scritto una long in meno di una settimana probabilmente non c'avrei creduto. Dark Necessities l'ho ultimata in sei mesi, il suo seguito giace marcescente nell'archivio del mio pc da non so nemmeno io quanto tempo. È capitato, tuttavia, che lunedì scorso 
– okay, era già martedì visto che era passata la mezzanotte, ma dettagli  –, scorrendo la home di Facebook, m'imbattessi in un post della pagina Fanwriter.it: in esso, si annunciava che, dal 27 aprile al 3 maggio, si sarebbe tenuto un evento, chiamato Writing Week. In cosa consiste? È presto detto: ogni giorno, durante questa settimana, si dovrà postare una storia – che sia essa una drabble, una flash, una os o il capitolo di una long –, purché segua il tema di una delle sedici liste proposte. Per ogni giorno, sono presenti due prompt, di cui ne va scelto solo uno e, attorno ad esso, dovrà ruotare la trama della storia. La lista, infine, può essere personalizzabile, scegliendo un prompt a giornata dalle diverse opzioni.
Per quanto mi riguarda, ho deciso di seguire la lista a tema Witchcraft. I prompt tra cui scegliere oggi erano candela e cristallo, e io, come credo che si evinca già abbastanza chiaramente dal testo, ho optato per cristallo.
Era da un po' di tempo che l'idea di scrivere una witch!au 
– o wizard!au che dir si voglia – mi solleticava. Quando ho visto la lista non c'ho pensato due volte, sembrava un segno del destino. Fin dal primo momento le parole sono fluite dalla mia mente al foglio di Word con una facilità sorprendente, e ne sono lieta, perché è un progetto a cui tengo davvero tanto.
La cosa che mi diverte di più in tutto ciò è che, compresi prologo ed epilogo, questa storia ha sette capitoli, esattamente come Dark Necessities. Allora è vero che sette è il numero massimo di tutte le cose.
Pensavo avrei avuto più cose da dire, invece ho già finito. Dubito che qualcuno recensirà, ma nel caso in cui aveste delle perplessità non esitate a farmi domande!
E niente, ci si rivede all'incirca tra ventiquattr'ore, mi sa.

Aria

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Capitolo 2
*** Disclosure ***



Continuava a piovere da giorni.
L’autunno era arrivato da appena una settimana, eppure non aveva perso tempo e aveva cominciato subito a farsi sentire.
Lok continuava ad agitarsi scompostamente sul trespolo dorato fin da quella mattina. Il suo famiglio mal sopportava la pioggia e, peraltro, di tanto in tanto prendeva a svolazzargli intorno, così, giusto per infastidirlo ancor di più.
Kageyama sospettava che quel corvo non l’avesse mai sopportato.
Reiji era chino come sempre su uno dei suoi manuali pieni di rune. Continuava a leggere di incantesimi, di cerchi magici, senza tuttavia riuscire a concentrarsi del tutto su ciò su cui i suoi occhi cadevano.
L’incontro con quel ragazzo misterioso era ormai diventato il suo tormento da giorni. Non riusciva a smettere di pensarci, e il fatto che la pioggia non avesse mai smesso di cadere dal momento in cui era uscito dalla bottega non aiutava affatto.
Era chiaro che avesse a che fare con un potere non comune. Quell’aura, quell’energia così forte non potevano appartenere ad un mago di ordine comune. Non riusciva a spiegarsi per quale motivo un mago tanto potente avesse messo piede proprio nella sua umile bottega – uno stregone tanto abile avrebbe potuto benissimo girare in uno dei più noti mercati magici del mondo – né perché avesse deciso di acquistare proprio dei cristalli di tenebra. Erano degli artefatti magici rari ed estremamente potenti, Kageyama lo sapeva bene: li aveva sempre tenuti in negozio con la consapevolezza che mai nessuno li avrebbe acquistati. Utilizzarli era rischiosissimo, e di solito erano indicati come uno dei principali ingredienti di incantesimi assai rischiosi e, ormai da molto tempo, proibiti.
Reiji sospirò. Chissà perché continuava a pensare a quel ragazzo. Dopotutto, se fosse stato abbastanza fortunato, non l’avrebbe mai più rivisto.
Un tuono squarciò l’aria, mentre Kageyama tornava ad osservare il suo libro.
In quel momento, la porta del negozio si aprì.
Impossibile. Con quel diluvio nemmeno il mago più folle avrebbe sfidato le condizioni atmosferiche avverse per procurarsi qualche ingrediente magico. O almeno, Kageyama conosceva fin troppo bene la sua clientela, e dubitava che qualcuno di loro l’avrebbe fatto.
Reiji si era sporto un poco in avanti da dietro il bancone, osservando la persona che era appena entrata. Indossava un pesante mantello nero, e aveva il cappuccio calato sul volto.
La cappa era completamente fradicia di pioggia, ma bastò una rapida folata di vento caldo per farla asciugare del tutto. Reiji non aveva idea del luogo da cui fosse provenuta quell’aria, e ci mise qualche istante per comprendere.
Magia.
Una magia molto forte, per di più.
La figura si abbassò il cappuccio del mantello e, da sotto di esso, comparve il ragazzo dei cristalli di tenebra. Era perfettamente asciutto nonostante fosse stato sotto al diluvio universale fino ad un momento prima, il che dimostrava ancora una volta quanto la sua magia fosse potente.
Era vestito in maniera differente dalla prima volta che l’aveva visto. Più informale, quasi, eppure egualmente affascinante. Camicia di seta di un grigio scuro, pantaloni neri e stivali di pelle nera che non arrivavano sopra alla caviglia. Il mantello, però, era decisamente su un altro livello: un tessuto plumbeo e pesante, decorato con ricco filo aureo.
Non tutti i maghi si potevano permettere tanto sfarzo, Reiji lo sapeva bene. Solo quelli potenti e, ovviamente, ricchi. E questo era un altro motivo che rendeva Kageyama incredibilmente perplesso: che ci faceva quel ragazzo nella sua bottega, che, per quanto ben fornita, restava sempre umile?
«Sapevo che saresti tornato»
Reiji s’accorse d’aver pronunciato quelle parole solo quando ormai erano irrimediabilmente scivolate fuori dalle sue labbra. S’immobilizzò sul posto, sconvolto: che gli era preso?
Il ragazzo, dal canto suo, sorrise. Come se s’aspettasse che Reiji gliele avrebbe rivolte.
«Ah, sì?» gli domandò poco dopo, cominciando ad avvicinarsi. «E come mai, di grazia?»
Reiji si strinse nelle spalle. «Beh» ammise, «i cristalli di tenebra non sono materiali di facile utilizzo. Scommetto che il rituale non sia andato a buon fine.»
Il giovane inclinò la testa di lato. «Mi sta forse sottovalutando?» domandò – e nel suo tono sembrava esserci una nota di sdegno.
«Non mi permetterei mai. So riconoscere un’aura potente quando ne vedo una» replicò Reiji, appoggiando i palmi sul bancone e sporgendosi in avanti. Il ragazzo gli era ormai arrivato davanti, e da quella posizione Reiji sentiva quasi di riuscire a sfiorarlo con la punta del naso. Le loro aure stavano collidendo, rosso purpureo che avvolgeva in spire venefiche nero d’ombra.
«Kageyama Reiji» mormorò il ragazzo, in un sussurro ammaliante. Reiji sussultò. Per qualche strana ragione, il suo nome suonava in maniera melodiosa e accattivante, se pronunciato da quel ragazzo.
«Ho fatto delle ricerche sul suo conto, spero che la cosa non la infastidisca» riprese il giovane dagli occhi rubizzi poco dopo.
Reiji scosse istintivamente la testa, poco dopo tuttavia si ritrovò a domandarsi se fosse davvero così. Come doveva sentirsi al pensiero che un perfetto sconosciuto si mettesse a ficcanasare sulla sua vita? Lusingato? Imbarazzato? Furioso?
Il ragazzo, tuttavia, non sembrava volergli dare il tempo di riflettere.
«Mago erborista, questa risulta essere la sua qualifica» continuò infatti. «Esperienza pluriennale in questa bottega, tutti i suoi clienti parlano bene di lei. Se non fosse per quell’unico, piccolo dettaglio.»
Reiji si sentì gelare sul posto.
«Non c’avrei neppure fatto caso se non fosse esattamente ciò che stavo cercando. Che diavolo ci fa un mago erborista con un testo di rune antiche sulla negromanzia? Ho fatto finta di bermi la sua scusa, l’altro giorno, ma sia io che lei sappiamo che certe rune sono incomprensibili per dei maghi comuni.»
«Mi piace tenermi informato su vari argomenti, tutto qui» s’affrettò a giustificarsi Reiji.
«Crede che non sappia niente di quella storia di quarant’anni fa?»
Silenzio. Un altro tuono squarcia l’aria.
Reiji sente un moto di panico montargli dentro, mentre un mare di domande gli affollano la testa. Chi era quel ragazzo? Come faceva a sapere tutte quelle cose su di lui?
«Che cosa vuoi da me, ragazzo?» gli domanda Reiji, infastidito.
Il giovane dagli occhi rossi ghigna, vittorioso, come se avesse appena intascato un milione di monete d’oro. «Non ha idea di chi io sia, eh?»
Un nuovo tuono riempì l’aria, e a esso seguirono dei rumori curiosi. Quello che sembrava un fruscio di stoffe e poi, poco dopo, scricchiolii di legno.
Reiji fissò dubbioso il bancone, finché, poco dopo, non vide spuntare sopra di esso la figura sinuosa di un gatto nero. Sembrava elegante e raffinato, proprio come il suo padrone.
Peccato che Lok non sembrasse gradirlo particolarmente.
Il famiglio di Kageyama, infatti, iniziò a gracchiare infastidito in direzione del gatto che, di rimando, si mise in posizione di difesa, guardingo, soffiando e fissando con astio il corvo.
«Aëir…!» il giovane dagli occhi rossi si lasciò sfuggire un mugolio di disapprovazione nei confronti del suo famiglio, afferrandolo di peso e prendendolo in braccio.
«Lok, no!» gli fece eco Kageyama, cercando di tenere a bada il corvo – con l’unico risultato di finire per essere il bersaglio dei suoi attacchi, rimediando diverse beccate sul capo.
Il ragazzo si limitò ad osservare la scena, non senza un leggero sorriso sul volto. Aëir s’era accoccolato tra le sue braccia, e ora aveva ripreso a fare le fusa, mansuetamente.
Poco dopo, Kageyama si voltò non appena la voce del ragazzo gli giunse alle orecchie.
«Credo che io e lei abbiamo diverse cose di cui parlare, Kageyama-san.»


Non era strano per Reiji appendere il cartello che indicava la chiusura del locale prima dell’orario a cui genericamente corrispondeva. Capitavano spesso giornate vuote di clienti come quella, e il diluvio là fuori di certo contribuiva a quella situazione.
Il proprietario della bottega era seduto a terra, dietro al bancone, e stava ancora cercando di riprendersi dalle beccate del suo famiglio. Il suo unico cliente di giornata, invece, era ancora lì con lui. Era stato lui ad esporre il cartello della chiusura al pubblico, non prima d’aver messo a scaldare l’acqua per il tè nel bollitore con un semplice gesto della mano. Ah, quante incredibili cose era in grado di compiere la magia.
Lok s’era ritirato di nuovo sul suo trespolo dorato. Guardava ogni cosa con sospetto, e di tanto in tanto si lasciava sfuggire un gracchio infastidito. Aëir, dal canto suo, seguiva il proprio padrone come un ombra, senza mai staccarsi da lui. Gli camminava tra le gambe e il ragazzo non sembrava per niente in difficoltà, probabilmente ormai ci aveva fatto l’abitudine, strofinava il capo contro il suo stinco e si lasciava sfuggire fusa a profusione. Sembrava il gatto più tenero e innocuo del mondo, ma Lok non pareva dello stesso avviso, visto che stentava ancora a calmarsi.
Il bollitore prese a fischiare e, in un battito di ciglia, il ragazzo lo fece sollevare dalla stufa su cui l’aveva messo a scaldare con un semplice movimento del dito. L’acqua calda colò in delle tazze, in cui era già stato predisposta sempre dal giovane cliente la miscela per l’infuso. Il ragazzo s’incamminò verso il retro del bancone, e le due tazze lo seguirono in volo, come dotate di vita propria, mentre l’acqua al loro interno si mesceva da sola assieme alla polvere di tè.
Reiji lo sentì accomodarsi accanto a lui. La loro magia riprese a liberare nell’aria scintille, proprio come prima, durante il temporale, assieme ai tuoni. Kageyama si vide la tazza di tè caldo volargli direttamente tra le mani.
«Un mago qualunque non sarebbe in grado di fare una cosa del genere» commentò, piuttosto sconvolto.
«Oh, andiamo, chiunque saprebbe preparare un buon tè…» cercò di replicare il ragazzo.
«Lo sai che non è al tè che mi riferisco» lo interruppe Reiji. «O meglio… mi riferisco anche a quello, in realtà, diciamo però che non era ciò su cui mi ero maggiormente concentrato.»
Il ragazzo inclinò il capo di lato, come a volergli domandare “e allora a che cosa?”, ma non ci fu realmente bisogno di esplicitare le sue parole. Era come se fossero già lì, sospese nell’aria tra loro, e a Kageyama sembrava di riuscirle a sentire nitidamente.
«La tua aura» si affrettò a spiegare Kageyama. «È incredibilmente potente, per un ragazzo giovane quanto te. Riguardo al tè, invece… un mago comune non sprecherebbe tante energie per prepararlo. La magia è preziosa, ma stancante. Se la si usa troppo a lungo, si finisce per restare a corto di forze. E poi ci sarebbe anche un’altra cosa…»
«I cristalli di tenebra» concluse il ragazzo, come leggendogli nella mente. «Può dirlo, sa? Non c’è problema.»
«Io…» Reiji esita ancora per un momento. «Non mi è mai capitato di venderne uno in vent’anni di attività. Inoltre, di solito si adoperano per…»
«Rituali di magia nera. Lo so.»
Calò di nuovo il silenzio. Aëir prese a strusciarsi contro il fianco del ragazzo, prendendo a fare le fusa non appena lo stregone le accarezzò il capo.
«Avevi ragione, prima»
«Mh?» Il ragazzo voltò la testa di scatto, sorpreso.
«Quando hai detto che non avevo idea di chi tu fossi. È vero, è così. Non ce l’ho» si ritrovò ad ammettere Kageyama, quasi deluso da se stesso.
Il giovane sogghignò. «Lo sospettavo» commentò. «In realtà mi ha fatto piacere. Di solito dovunque io vada sono preceduto dalla mia fama… ma personalmente non la chiamerei così. È più una gravosa nomea.»
Kageyama si ritrovò ad aggrottare le sopracciglia. «A che… ti riferisci?» domandò, confuso.
Il ragazzo alzò lo sguardo al cielo. «Un bambino così potente da non riuscire a controllare la sua energia magica. Un sinistro incidente, in cui persero la vita una coppia di giovani sposi. La casa in cui abitavano fu completamente distrutta da un’esplosione di forza inaudita. Fu trovato un unico superstite, tra le macerie, nel bel mezzo di quel disastro» conclude, un velo di tristezza che, man mano che va avanti con quel racconto, scende sempre di più sul suo sguardo.
D’improvviso Kageyama comprese. Tutti i pezzi s’incastrarono e, davanti ai suoi occhi, compare un quadro ben più chiaro di tutta quella situazione.
«Kidou Yuuto» mormorò, esterrefatto.
Il giovane stregone inclinò la testa di lato, rivolgendogli un sorriso mesto. «Ci è arrivato, finalmente.»
Se avesse chiesto a qualunque mago in circolazione quale fosse lo stregone più potente al mondo, Kageyama non avrebbe ricevuto risposta differente dal nome di Kidou Yuuto. Tutti conoscevano la storia del bambino sopravvissuto al disastro di Yokohama, ma il resto della sua vita era avvolta nel mistero. Dopo la morte improvvisa dei suoi genitori, il bambino ancora piccolissimo – non aveva più di sei anni – era stato preso in un orfanotrofio, dal quale era scappato quattro anni dopo, senza lasciare dietro di sé alcuna traccia. Ogni tanto qualcuno diceva di averlo avvistato presso il mercato magico di Damasco, oppure in quello di Samarcanda. Non si sapeva mai quale fossero le informazioni vere e quali quelle false, ma ogni dettaglio in quella vicenda era velato da un alone di mistero, il che rendeva il tutto decisamente più avvincente. Un piccolo brivido sorgeva al pensiero che tutti i luoghi in cui qualcuno diceva d’averlo scorto fossero covi potentissimi di magia nera.
Che c’entrava quel ragazzo con un potere tanto oscuro?
Le storie su di lui non mancavano di certo. Si diceva che avesse vagato a lungo per l’est europeo e che addirittura, più di una volta, si fosse scontrato con delle pericolosissime creature magiche, uscendone sempre vincitore. Col tempo doveva essere diventato in grado di controllare il suo enorme potere, senza ombra di dubbio.
Anche il suo aspetto, come in ogni leggenda che si rispetti, era incerto. Ora che ce l’aveva davanti, tuttavia, Kageyama non avrebbe esitato a descriverlo come meraviglioso. Aveva un profilo regale, maestoso, e ogni particolare in lui gridava nobiltà, partendo dagli occhi rossi come fiamme fino ad arrivare alla carnagione candida come la neve. Un principe, di certo. I suoi occhi erano uno degli argomenti più discussi: alcuni non avevano indugiato a discriminarlo, chiamandolo “figlio del demonio”.
Reiji non aveva dubitato nemmeno per un momento di quelle parole. Era impossibile, dopotutto: nessun altro stregone al mondo avrebbe potuto avere un’aura tanto potente.
«Credevo ti trovassi nei Balcani» ammise Kageyama, in un sussurro.
«Beh… ero lì, in effetti. Sono rientrato da poco perché avevo bisogno di alcuni artefatti che potevo trovare solo qui in Giappone. Ero nella periferia di Tokyo quando ho sentito parlare per la prima volta della sua bottega, così mi sono incuriosito e ho deciso di passare di qui» spiegò Yuuto. «Credo sia stata la decisione migliore della mia vita.»
«Prego?» domandò Kageyama, incredulo.
«Ha capito benissimo» si affrettò a rassicurarlo Kidou. «Ha una vaga idea di quanto sia difficile trovare un negromante ai giorni nostri?»    
Kageyama si strozzò con il tè. «Non… non credo di aver capito bene…»
«Vuole farmi credere di avere problemi d’udito solo quando le fa comodo o cosa?» Yuuto fece roteare gli occhi, spazientito. «Il libro di rune sulla negromanzia. Gli artefatti oscuri che vende nel suo negozio. Infine, quella storia su suo padre risalente a quarant’anni fa…»
«Lascia mio padre fuori dalla discussione, ragazzo» tagliò corto Reiji, in un sibilo.
«Sì, ma… era un negromante, no? Di sicuro anche lei saprà…»                
«No. Scordatelo. Sono un mago erborista, l’hai detto tu stesso.»
«Ma…»
Kageyama s’alzò in fretta in piedi, d’improvviso stanco di tutta quella stuazione. C’erano cose di cui non parlava mai volentieri, e il suo passato era chiaramente una di queste. «Fine della conversazione, ragazzo» decretò, irremovibile.
Yuuto non s’oppose in alcun modo. Si limitò ad alzarsi a sua volta. Aëir, che nel mentre s’era accoccolata di nuovo tra le sue braccia, sembrò rivolgergli uno sguardo torvo, soffiando da sotto il mantello del suo padrone.
Dal trespolo, Lok gracchiò rabbioso.
Kageyama s’aspettava che da un momento all’altro sarebbe scoppiato un putiferio – dopotutto, Yuuto sarebbe stato in grado d’incenerirlo con un solo sguardo, ne era certo. Invece, non successe nulla.
Kidou prese la strada della porta senza rivolgergli la parola. Lok ricominciò a gracchiare sempre con maggiore foga, ma Aëir non gli rispose in alcun modo, né Yuuto si voltò o indugiò nemmeno per un secondo. Un attimo dopo erano in strada, e non appena la porta si chiuse i due sparirono di nuovo nel nulla.
In quel momento, Kageyama avrebbe voluto provare solo rabbia. Invece, una voragine di solitudine s’era già aperta dentro di lui.




▬ note

Ed ecco qui anche il secondo capitolo!
Oggi la scelta del prompt era tra famiglio e demone, e io ho optato per il primo. Lok e A
ëir sono nomi completamente inventati da me, ma mi piace immaginare che nella lingua della magia della storia significhino rispettivamente tenebra e sogno. Rispecchierebbero in pieno le personalità dei due maghi, inoltre anche la loro natura mi sembra – almeno secondo il mio gusto personale – adattarsi bene ai personaggi. Un gatto dai modi eleganti per Yuuto, e un corvo decisamente bisbetico per Kageyama. Sì, Lok è il comic relief di questa storia, lo amo.
Venendo al capitolo vero e proprio, finalmente abbiamo svelato il misterioso
– neanche tanto – cliente del capitolo precedente. Sì, si trattava di Yuuto, ma dubito ci fossero molti dubbi in merito sta anche nella lista dei personaggi della long, voglio dire
Anche in questa storia il passato del mio amato Kidou, proprio come nell'anime, non è affatto rosa e fiori. Una volta risolto il mistero sul suo conto, tuttavia, se ne apre un altro, riguardante Kageyama questa volta. Questa storia non è nata per lasciare il lettore tranquillo, lo ammetto.
Per sapere cosa sta nascondendo Reiji vi toccherà aspettare qualche giorno in più, ve lo dico!
Per oggi credo di avervi detto tutto. Qualora notaste qualche errore
– le mie preoccupazioni riguardano principalmente i tempi verbali non sono abituata a scrivere al passato, rip e il passaggio dal lei al tu nei confronti di Kageyama deve rimanere tutto invariato fino a un determinato punto della storia – non esitate a farmelo notare!
Spero che la storia vi stia piacendo, ci vediamo domani!


Aria

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Capitolo 3
*** Researches ***



Le giornate d’autunno trascorrevano con estrema lentezza.
Kageyama, dalla vetrina della bottega, passava il tempo ad osservare le foglie degli aceri giapponesi cadere dai loro alberi e affollare i cigli del viale e a prepararsi tazze su tazze di tè. Il momento più esaltante della giornata era quando si ritrovava ad imbustare semi per i rari clienti che passavano in locale, ma negli ultimi dieci giorni solo un paio di maghi avevano avuto l’ardire di addentrarsi nel nugolo di vicoli secondari di Akihabara dove si trovava la bottega.
In effetti, il tempo non era stato dei migliori: il cielo era sempre grigio e un vento gelido soffiava di continuo, come se un’enorme tempesta fosse in procinto di abbattersi sulla zona da un momento all’altro.
Era un clima strano, innaturale. Il modo in cui le nubi erano condensate nel cielo faceva sospettare che ci fosse un incantesimo dietro a tutto ciò. Inoltre, Lok continuava ad essere irrequieto da giorni, come se anche lui percepisse che qualcosa non stava funzionando nel modo corretto.
O forse, semplicemente, aveva avvertito nell’aria il malumore del suo padrone.
Kageyama, infatti, non era riuscito a togliersi dalla testa l’ultimo incontro tra lui e Yuuto. Si sentiva un mostro, non avrebbe dovuto rispondere in un modo tanto sgarbato al mago più potente in circolazione. Perché, poi? Reiji conosceva bene la risposta a quella domanda, sebbene continuasse a negarla a se stesso.
Detestava parlare di suo padre. L’idea di riportare a galla ricordi che credeva ormai sepolti da tempo lo urtava oltremodo.
Stava mentendo a se stesso ancora una volta, però, lo sapeva bene. Avrebbe voluto davvero essersi lasciato alle spalle quei ricordi, eppure non c’era giorno in cui non lo tormentassero. La visita di Yuuto non aveva fatto altro che riaprire una ferita mai sanata, e se l’aveva allontanato dalla bottega era stato solo per cercare di non pensarci, salvo poi ottenere l’effetto opposto.
Non aveva proprio modo di sfuggire al proprio passato, eh?
Non avrebbe dovuto cacciare il ragazzo. Per qualche buffa ragione, la compagnia che quel giovane era riuscito ad offrirgli nei pochi momenti che avevano trascorso insieme l’aveva rinfrancato. Forse trascorrere tutti quegli anni in completa solitudine non era stata poi una scelta così brillante.
Dopo l’incidente, Kageyama non ricordava d’aver avuto accanto mai nessuno, se non le sporadiche visite dei suoi clienti e il petulante gracchiare di Lok. Incontrare Yuuto, invece, era stato come scoprire un mondo nuovo, o tornare a vedere i colori dopo molto tempo in cui la realtà era stata solo in bianco e nero. Era venuto a conoscenza di sensazioni che non avrebbe mai immaginato esistere, aveva scoperto che il peso di un vuoto o di un silenzio era più facile da colmare se si era in due.
Adesso, però, era tutto finito.
Era calata la sera, e Kageyama stava aggiornando il suo vecchio inventario. Avrebbe dovuto ordinare delle nuove piume di corvo dal fornitore di Tel Aviv da cui era solito approvvigionarsi, e apparentemente intuendo i suoi pensieri Lok si lasciò sfuggire un verso più stridulo del solito.
Pennuto malefico.
La campanella sopra la porta del negozio trillò. Reiji non ci diede troppo peso, ritrovandosi a sbuffare. Strano, eppure era certo d’aver già esposto il cartello di chiusura anche quella sera.
«Siamo chiusi» borbottò, senza staccare gli occhi dall’inventario.
«Lo so.»
Per un momento credette di esserselo sognato. Eppure era impossibile, non avrebbe mai confuso quella voce così melliflua e cristallina con nessun’altra al mondo.
Gli occhi di Kageyama schizzarono verso l’alto. Mentre la porta si chiudeva, Kidou Yuuto era lì, immobile sulla soglia d’ingresso del locale, perfettamente in ordine come al solito.
Camicia di seta verde giada, jeans neri, scarpe da ginnastica dalle stesse sfumature della cenere. Sembrava così irreale, eppure era lì, vero, in carne ed ossa. Senza l’imponente mantello pareva mancargli qualcosa, tuttavia sarebbe stato impossibile non adorarlo anche in quella versione più sobria.
«Yuuto…» si era ritrovato a mormorare Kageyama, forse con fin troppa enfasi nella voce.
Il ragazzo aveva sorriso nella penombra della sera, prendendo a scendere giù dai gradini lignei dell’ingresso.
«Kageyama» aveva replicato, senza distogliere le iridi cremisi da quelle nere d’inchiostro di Reiji, ormai reciprocamente incatenate in maniera irrimediabile. «Sembra che abbia sofferto la mia mancanza.»
Reiji aveva deglutito a vuoto. «È così, a dir la verità» s’era ritrovato ad ammettere. «Dopo l’ultima volta temevo che non volessi più avere niente a che fare con me…»
Yuuto sorrise di nuovo ed espirò, quasi come trovando del sarcasmo nelle parole di Kageyama. Aveva ormai raggiunto il bancone. «Perché avrei dovuto?» gli domandò. Sembrava non riuscire sul serio a comprendere le ragioni di Reiji.
«Non sono stato cortese con te la volta scorsa» Kageyama abbassò lo sguardo in fretta – perché non riusciva a non sentirsi colpevole, sotto lgli occhi attenti e rubizzi di Yuuto? «Perdonami, non avrei dovuto rivolgerti quel tono…»
«Non fa niente» lo interruppe Yuuto, perentorio. Pareva aver già rimosso quella mezza discussione con cui avevano terminato la loro ultima discussione. «È acqua passata, sul serio. Non mi sarei neppure dovuto permettere di tirare fuori un argomento del genere, dopotutto ci conosciamo da fin troppo poco tempo.»
Reiji tornò ad osservare il ragazzo, questa volta con espressione confusa.
«Allora… perché sei qui?» gli chiese, senza veramente riuscire a vedere dove Yuuto volesse arrivare.
A quella domanda, il sorriso sul volto di Yuuto parve ampliarsi.
«È vero, lei è un mago erborista» aveva replicato, facendo riferimento alla frase con cui Reiji aveva chiuso il discorso, durante la loro ultima conversazione. «Però ho come l’impressione che abbia conservato da qualche parte alcuni libri di negromanzia. Ci ho visto giusto?»
Dannazione.
Avrebbe dovuto saperlo. Si sarebbe dovuto liberare di quei manuali molto tempo prima, quando ne aveva avuto la possibilità. Invece no, li aveva tenuti, considerandoli un ricordo caro che non era pronto a lasciare andare. Stupidi sentimentalismi.
Reiji eluse la domanda, e per Yuuto quella fu una risposta fin troppo eloquente.
«La negromanzia è una strada pericolosa, Yuuto» lo redarguì. «È meglio lasciar riposare chi non c’è più. Nessuno scende a patti con la morte senza rischiare qualcosa di grosso.»
«E se il rischio fosse minore del previsto?»
Quelle parole fecero voltare Kageyama di scatto verso il ragazzo.
«Se non si dovessero andare necessariamente a scomodare i morti… se ci fosse il modo di richiamare qualcuno che è rimasto bloccato tra due mondi…»
Kageyama non riusciva a comprendere. Qualcuno bloccato tra il mondo dei vivi e quello dei morti? Come poteva essere possibile?
«Che… che condizione sarebbe mai questa?» chiese Reiji, incredulo.
Yuuto puntellò un gomito sul bancone. «Un’esplosione di magia pura è diversa da un incantesimo, no? La prima è energia latente, allo stato più primordiale e incontaminato della sua forma. La seconda è veicolata, una pietra non più grezza, ma raffinata. In questo caso non hai vie d’uscita, perché la magia sgorga fuori attraverso una modulazione, della voce o delle mani che sia. Ma una magia incontrollata… no, è tutt’altra cosa. A questo punto… se non c’è stato un vero e proprio incantesimo, se dietro la magia non c’era un’intenzione… allora, in teoria, è possibile che non abbia avuto un effetto vero e proprio, giusto?»
Follia. Quella era una follia vera e propria, senza ombra di dubbio. Kageyama iniziava a comprendere cosa Yuuto desiderasse davvero, e questo lo spaventava tremendamente. Perché rivedeva in lui la stessa disperazione di suo padre, e sapeva bene a cosa avesse portato quest’ultima. Certi desideri sembrano ricoperti da una patina dorata, poi, però, se li si osserva da una distanza ravvicinata, scopri che in realtà sono marci, e che ti stanno logorando dall’interno. Rischiano di farti impazzire, di portarti a compiere gesti insensati.
Era quello che era successo a suo padre. Era quello che, probabilmente, stava capitando anche a Yuuto.
«Yuuto…»
«La prego» l’aveva supplicato il ragazzo. «Tecnicamente ho ragione, non è vero?»
Reiji sospirò pesantemente. Sì, probabilmente c’era la possibilità di aggirare la morte. L’aura di Yuuto era la più potente che conoscesse, non aveva mai incontrato uno stregone forte quanto lui. Inoltre, se l’avesse tenuto d’occhio probabilmente avrebbe potuto impedire che quel desiderio lo divorasse. Avrebbe potuto salvarlo, sarebbe riuscito in ciò in cui aveva fallito con suo padre.
E poi era anche una buona occasione per averlo al suo fianco. Gli era mancato terribilmente, non aveva mai mentito a se stesso in merito.
Reiji chiude gli occhi. Sarebbe stato difficile, sarebbe stato pericoloso. Sapeva che, in buona parte, la risposta che stava per dargli conteneva un’abbondante dose di egoismo, ma non poteva farci niente.
«E va bene» cedette infine. «Che cosa vuoi da me, ragazzo?»
Yuuto aveva sogghignato, vittorioso. «Potrei cominciare dando uno sguardo a quei famosi libri?»


Il fuoco avvolse le torce dello scantinato, che illuminarono il pelo lustro e nero di Aëir.
Erano quattro fiaccole, piazzate ai rispettivi angoli della stanza principale. Ampia, calda, accogliente. Le fiamme conferivano una sfumatura simile a quella d’un tramonto infuocato alle pareti violacce, mentre ogni mobile era rimasto esattamente nella posizione in cui Kageyama ricordava di averlo lasciato l’ultima volta in cui era sceso lì. Le poltrone e il divano in pelle dello stesso colore della terracotta al centro della stanza, resi morbidi e lisi dal tempo e dall’usura, il grande tappeto verde e ovale sotto di essi, infeltrito e pieno di polvere. Le librerie erano cinque, una lunga appoggiata alla parete davanti a loro, due poste ciascuna sul rispettivo lato corto di quel locale dalla pianta rettangolare, e le ultime due premevano proprio contro il muro a cui erano più vicini in quel momento, divise solamente dalla fenditura dell’ingresso. Reiji andava particolarmente fiero del suo assortimento di manuali, curato nel corso degli anni.
Alla loro sinistra c’era anche una piccola scrivania, anch’essa ricolma di volumi e sulla quale compariva perfino un mappamondo dalle sembianze antichissime. Nell’angolo più lontano rispetto a dove si trovavano adesso, invece, spiccava la presenza di un leggio dorato, all’estrema destra. Lok volò a posarcisi sopra.
«Non me la immaginavo così grande» ammise Yuuto, muovendo qualche passo in avanti all’interno della stanza. Reiji rimase immobile sulla soglia, intento ad osservarlo attentamente.
Kidou sembrava perfettamente a suo agio all’interno di quello scenario. Aëir, come al solito, lo seguiva come un’ombra, incapace di allontanarsi più del dovuto da lui. Il suo padrone l’aveva portato in braccio giù per le scale che conducevano allo scantinato, e lui s’era lasciato trasportare con compiacenza, in una profusione di fusa. Le scale, in effetti, non erano ridotte meglio della stanza in cui si trovavano ora: l’umidità aveva invaso entrambi gli ambienti e, nel caso specifico della scalinata, i gradini erano diventati umidi e scivolosi, pressoché impercorribili. Alcuni rischiavano perfino di cedere da un momento all’altro… era un miracolo che fossero arrivati lì tutti interi.
Il famiglio di Yuuto si lasciò cadere sul tappeto, rotolandosi su di esso. Inevitabilmente, una nuvola di polvere s’alzò nell’aria.
«Dovrei dare una risistemata…» constatò Reiji, sconsolato.
Yuuto, dal canto suo, non sembrava altrettanto preoccupato. Si voltò verso Kageyama con un’espressione interrogativa e, un secondo dopo, schioccò le dita.
In un istante, una forte folata di vento si alzò nella stanza. Reiji chiuse gli occhi, Aëir conficcò gli artigli nel tappeto per non farsi spazzare via e Lok cercò di dominare in volo quella corrente improvvisa come meglio poteva. Non appena la raffica sembrò essersi placata, Reiji provò a sollevare cautamente le palpebre.
Come immaginava, buona parte della polvere sembrava essersi volatilizzata nel nulla.
«Bene» commentò Yuuto, facendo per prendere posto su una delle poltrone. «E anche questa l’abbiamo sistemata.»
Kageyama avrebbe voluto borbottare qualcosa sul fatto che se ne sarebbe potuto occupare benissimo da solo, tuttavia decise di trattenersi: aveva appena avuto la conferma di quanto i poteri di Yuuto fossero straordinari, e gli aveva dato una mano non indifferente. E oh, andiamo, meglio non rischiare per una volta di venire fulminati, no?
Yuuto stava giusto per sedersi, quando finì per urtare una sfera di cristallo poggiata sul basso tavolino. Il ragazzo l’afferrò appena in tempo, un momento prima che potesse infrangersi a terra, restando per qualche secondo incantato ad osservare le sfumature violette del cristallo.
Kageyama evitò di farglielo notare.
«Dunque» Reiji mosse un dito in direzione di una delle librerie, e subito alcuni tomi s’alzarono in volo, dirigendosi verso il tavolino posto in mezzo alle poltrone. «Come saprai, la negromanzia fa parte di quell’area della magia che viene identificata con il termine di magia nera…»
«Oh, ho un professore tutto per me?» commentò Yuuto, malizioso.
Reiji si voltò nella direzione del ragazzo. C’era qualcosa di strano nel suo tono di voce. Stava forse… flirtando con lui?
Reiji decise di non darci troppo peso. Mosse di nuovo la mano, facendo aprire uno dei volumi accanto a Yuuto. Una porta in fondo alla stanza, inoltre, si spalancò, e una lavagna corse nella loro direzione.
«Ci sono un mare di incantesimi che si possono pronunciare» continuò Kageyama. «Per il tipo di rituale che ci interessa, sarà anzitutto fondamentale studiare il tipo di cerchio di sale che dovremo disegnare…»
Reiji iniziò ad abbozzare sulla lavagna alcune linee accennate con un gessetto, studiando un possibile progetto per il cerchio. La voce di Yuuto, tuttavia, lo interruppe nuovamente.
«Professore, dove posso prendere qualche appunto?» chiese, la voce di nuovo leziosa.
Kageyama inclinò la testa nella sua direzione. «I libri di mio padre sono pieni di appunti» ammise. «Era solito segnarsi formule, annotazioni sulle migliorie per i rituali praticamente in qualunque angolo di quel manuale… puoi farlo anche tu, se vuoi.»
Era strano parlare di Tougo così spontaneamente. Reiji non ricordava neppure più l’ultima volta in cui l’aveva fatto.
Yuuto gli rivolse un nuovo sorriso, questa volta di una dolcezza sorprendente.
«Grazie» mormorò.
Kageyama non sapeva quanto tempo fosse passato da quando aveva sentito il cuore riempirsi di un tale calore.
Tornò a voltarsi verso la lavagna, cercando di annegare quei sentimenti che tentavano di riemergere.
«La negromanzia è, notoriamente, la branca più oscura e pericolosa della magia nera. Qualche anno fa la comunità magica l’ha praticamente messa al bando, redarguendo tutti i maghi più deboli dal praticarla. Le anime hanno una forte avvenenza, riescono a convincerti di cose per cui, da solo, non opteresti mai. Resistere a quelle tentazioni è quasi impossibile, ecco perché è bene che chi non ha abbastanza potere se ne tenga a distanza» spiegò Reiji. Finì di scrivere la parola “pericolo”, marcandola con particolare enfasi, e lasciò cadere la mano con il gessetto verso il basso. «Uno dei tanti motivi per cui ho sempre cercato di tenermene a distanza.»
«Sul serio?» mormorò Yuuto alle sue spalle.
Reiji si voltò nella sua direzione. «Perché la cosa ti stupisce tanto, ragazzo?» chiese, incapace di trovare da solo una risposta a quella domanda.
«Beh» Yuuto si strinse nelle spalle. «Ha detto che la mia aura è molto forte… però secondo me sottovaluta la sua. È più potente di quello che crede, sa?»
Reiji roteò gli occhi, una risposta più che eloquente. No, non ci credeva, e forse non c’avrebbe mai creduto. Fece per voltarsi nuovamente verso la lavagna, tuttavia la voce di Yuuto, quel canto di sirena a cui finiva per cedere ogni volta, lo attirò nuovamente.
«Comunque se la cava meglio di quanto voglia ammettere con la magia nera» gli fece notare infatti, questa volta senza alcun tipo di malizia nella voce, come se si stesse limitando a constatare un dato di fatto.
Ormai Kageyama era totalmente abituato alla sua quotidianità che quasi se n’era dimenticato. Aveva studiato per diventare un mago erborista proprio perché gli sembrava la cosa quanto più lontana possibile dalla negromanzia. Voleva tenersi alla larga da ciò che era stata la causa di tutti i suoi mali.
Yuuto, però, ce lo stava facendo riavvicinare. E la cosa spaventava Reiji, non tanto per se stesso quanto per il ragazzo: ormai temeva di avere una specie di maledizione addosso, della serie che ogni volta in cui s’avvicinava – suo malgrado – alla magia che suo padre aveva praticato, finiva per perdere qualcuno a cui teneva.
Era per questo che non avrebbe voluto far conoscere a Yuuto quei rituali. La magia nera esige sempre un pegno, ma Kageyama non era pronto ad offrirne uno, né voleva che una cosa del genere accadesse a Yuuto. Tuttavia, se aveva intuito almeno un poco come quel ragazzo era fatto, Kageyama avrebbe scommesso tutte le scarse ricchezze di cui era in possesso sul fatto che avrebbe girato per l’intero globo terrestre pur di trovare un altro negromante che l’aiutasse nel suo proposito. E avrebbe potuto trovare qualcuno che non nutriva alcun interesse per lui, che l’avrebbe buttato in mezzo a un cerchio di sale senza provare minimamente ad aiutarlo davvero, lasciandolo da solo e impreparato in pasto alle anime.
Per il bene del ragazzo non poteva permettere che una cosa del genere accadesse. Reiji cercava di convincersene, che quello fosse solo un atto di buon cuore e nulla di più, ma i suoi sforzi non producevano molti effetti.
«La verità è che per un periodo della mia vita ho avuto una buona familiarità con la negromanzia» ammise, tornando ad osservare Yuuto. «Finché mio padre era ancora in vita avevo perfino cominciato a studiarla, nonostante la disapprovazione di mia madre. Poi, dopo l’incidente, non ho più voluto averne a che fare.»
E invece eccoti di nuovo qui, si prese beffa di lui la vocina subdola nella sua testa.
Solo per il ragazzo, ribatté Reiji, sebbene senza troppa convinzione.
Kageyama si lasciò sfuggire un colpo di tosse, cercando di ricacciare i ricordi che prepotenti cercavano ora di risalirgli alla mente, e di concentrarsi piuttosto su quanto aveva segnato alla lavagna.
Aveva pur sempre una lezione da portare avanti.
«L’incantesimo, come al solito, viene formulato in latino e varia di caso in caso…»




▬ note

Okay, oggi ci ho messo un po' di più perché ho deciso di controllare in maniera più scrupolosa il testo. Ieri stavo rileggendo il testo dei due aggiornamenti che avevo già caricato online e m'è presa una sincope notando che c'erano diversi errori sparsi qua e là. Ho già provveduto a correggere quelli più evidenti, però ammetto che sono tipo alla terza o quarta rilettura e vedere che continua sempre a skpparmi qualcosa mi secca un po'. Rip me e il mio essere fallibile.
Parliamo di questo capitolo, che finora credo sia il più lungo di quelli già postati e, tra l'altro, al suo interno succedono un sacco di cose importanti. Reiji ha deciso di aiutare Yuuto, plot twist! Oddio, diciamo che lo è parzialmente, un plot twist, perché comunque immagino che si potesse prevedere che sarebbe andata così voglio dire, altrimenti non ci sarebbe stato modo di far procedere la trama, no? O almeno, io non lo vedo--
In ogni caso! Oggi la scelta dei prompt era tra magia bianca e magia nera, e penso sia evidente che abbia optato per quest'ultima. Uh, è così bello vedere Kageyama calato in questa dimensione, paradossalmente ce lo trovo molto a suo agio.
Come dicevo, questo è stato un capitolo alquanto denso. Il prossimo sarà un po' più di passaggio, ma i successivi... oh, aspettatevi delle vere e proprie montagne russe di emozioni!
Bene, credo di essere a posto anche con le note di oggi. Ci vediamo domani, e grazie a chi ha inserito la storia tra le seguite ♡


Aria

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Capitolo 4
*** Fears ***



Da quel momento in poi, fu come se avessero stabilito una tacita consuetudine.
Yuuto arrivava sempre nel primo pomeriggio, sorprendendo un Kageyama drammaticamente solo, intento a spazzare via la polvere dalle assi di legno del pavimento o a sistemare qualche barattolo di occhi di troll su uno scaffale. A volte Reiji si chiedeva ancora perché avesse deciso di tenere quei bulbi in vasi di vetro trasparente. Mentre lavorava aveva sempre la percezione che qualcuno lo stesse osservando, ma in realtà non c’era nessuno se non quegli occhi che, di tanto in tanto, si muovevano perfino un po’.
In ogni caso, nell’esatto istante in cui vedeva entrare il ragazzo, non esitava ad esporre il cartello che annunciava che, ancora una volta, il locale era chiuso al pubblico. Dopodiché, scendevano assieme nello scantinato.
Stavano lavorando su due fronti diversi. Reiji si adoperava per trovare il cerchio di sale migliore, mentre Yuuto studiava con estrema concentrazione gli incantesimi. Kageyama aveva cercato di replicare diverse volte che sarebbe stato meglio se fosse entrato lui all’interno del cerchio, Yuuto però era stato irremovibile: a suo avviso, infatti, doveva essere lui a pronunciare l’incantesimo. Erano i suoi cari che stava cercando di richiamare indietro, non quelli di Reiji. E poi tra i due era pur sempre Yuuto lo stregone più potente.
Così, l’unica cosa che il ragazzo gli aveva delegato era stato il cerchio. Reiji restava l’unico ad avere un briciolo di esperienza di negromanzia, per cui, a detta di Yuuto gli sarebbe dovuto riuscire più facile un compito come quello.
Almeno in teoria.
Reiji non poteva di certo negare, in effetti, che si sentisse sotto pressione a causa di tutta quella situazione. Non aveva mai compiuto un rituale, e se avesse sbagliato anche solo il più microscopico dei dettagli… non aveva neanche il coraggio di pensarci.
Ottobre era entrato da pochi giorni, ma aveva già portato piogge abbondanti e temperature più rigide. Yuuto si strinse le braccia attorno al corpo: quel giorno indossava un maglione bianco, candido come la sua carnagione, eppure continuava a sentire freddo, nonostante nel camino che la stanza ospitava la fiamma fosse accesa e scoppiettante. Probabilmente avrebbe potuto riscaldarsi con la sua magia, tuttavia Kageyama l’aveva messo in guardia: se davvero avesse dovuto pronunciare lui l’incantesimo, allora era necessario che conservasse le sue energie quanto più possibile.
L’unica cosa su cui si erano trovati d’accordo era stato quando svolgere il rituale. Non avevano avuto molti dubbi: Samhain si avvicinava sempre più, e sarebbe stata un’occasione irripetibile. Mai in nessun’altra giornata dell’anno, infatti, il velo era tanto sottile.
Il velo non era un argomento di facile comprensione. Tecnicamente era una barriera metafisica, invisibile e intangibile, che separava il mondo dei vivi da quello dei morti. Durante la notte di Samhain, però, il velo sembrava calare, permettendo alle anime defunte di tornare, almeno per una volta all’anno, sulla terra.
Non esisteva momento più propizio di quello. Se davvero le anime dei genitori di Yuuto erano intrappolate tra la terra e il mondo dei morti, allora Samhain era l’unica occasione che avevano per attirarle completamente da una delle due sponde.
Questo, tuttavia, metteva in moto un milione di variabili di cui dovevano tenere conto. Per di più, avevano davvero pochissimo tempo a disposizione.
Ciononostante, Reiji faticava davvero a restare concentrato, soprattutto quel pomeriggio. Era una vera e propria tragedia, considerando il pesante macigno che incombeva sopra di loro, pronto a piombare giù da un momento all’altro.
Eppure non voleva proprio saperne di restare concentrato. Quel pomeriggio aveva deciso di consultare i tarocchi, nella speranza di ricevere qualche presagio incoraggiante sull’impresa che s’apprestavano a compiere, tuttavia all’ennesimo segno di morte e pericolo aveva gettato la spugna.
Non aveva bisogno di brutte notizie, in quel momento. Doveva essere positivo, se desiderava che tutto andasse per il meglio, altrimenti non avrebbe mai funzionato.    
Reiji lasciò cadere la testa all’indietro, mentre un lungo sospiro gli sfuggiva dalle labbra. C’era un altro motivo per cui continuava a distrarsi così frequentemente, lo sapeva fin troppo bene.
Ormai per lui stava diventando impossibile non pensare a Yuuto. Non si perdeva neppure uno dei suoi movimenti, che ormai letteralmente beveva con lo sguardo, e averlo sempre così a stretto contatto rendeva le cose decisamente più difficili.
Si sentiva così mostruoso. Quel ragazzo era la prima persona che entrava a far parte della sua vita dopo anni, eppure aveva già sviluppato una sorta di dipendenza nei suoi confronti. Quando la sera lo vedeva lasciare la bottega, sentiva un vuoto opprimente montargli nel petto; al contrario, vederlo arrivare e trascorrere del tempo assieme era quanto di più elettrizzante Kageyama avesse provato negli ultimi quarant’anni.
Ed era sbagliato, lo sapeva bene, soprattutto perché di colpo i suoi cinquant’anni erano diventati impossibili da non sentire. Non aveva mai creduto di essere vecchio, o stanco, e non lo percepiva neppure adesso, poi però si voltava e incontrava con lo sguardo il corpo giovane di Yuuto. Non poteva reggere in alcun modo il confronto, e forse era anche giusto e naturale che fosse così.
Il problema sorgeva nel momento in cui si ritrovava a pensare a ciò che provava nei confronti di quel ragazzo. I suoi sentimenti erano accresciuti giorno dopo giorno, era evidente, tuttavia sapeva che non valevano più di fiori appassiti. Yuuto era giovane, bello e intelligente, oltre che estremamente potente. Avrebbe potuto avere letteralmente qualunque cosa avesse desiderato, e non sarebbe stato di certo un burbero mago erborista di Akihabara a farlo capitombolare, soprattutto se il mago in questione era un uomo di mezza età di trent’anni più vecchio di lui, senza alcun particolare talento e, perlomeno a suo avviso, per nulla avvenente.
Sempre che fosse interessato agli uomini, poi.
Non voleva nemmeno illudersi per quelle frecciatine in numero sempre crescente che Yuuto continuava a lanciargli o per i suoi sguardi che, spesso, trovava ricambiati. Nel secondo caso si trattava sicuramente di una casualità e, quanto al resto… non doveva equivocare, punto. Probabilmente stava solo viaggiando troppo con la fantasia.
Pessimo errore. Avrebbe dovuto concentrarsi unicamente sulle sue ricerche, come se il tempo non fosse sempre meno, invece la sua mente continuava a vagare…
No. Doveva aiutare Yuuto. Non poteva permettersi di abbassare la guardia in un momento come quello.
Solo un’ultima volta…
Ancora in un’occasione, aveva permesso al suo istinto di avere la meglio. Pessima scelta, sul serio. Tuttavia Reiji non s’oppose, e lasciò che il suo sguardo si posasse di nuovo sulla figura di Yuuto.
Il ragazzo era seduto sul divano, un libro di negromanzia aperto in grembo. Aveva passato tutto il pomeriggio a studiare su di esso, adesso però la stanchezza che aveva accumulato in quei giorni sembrava aver deciso di farsi di colpo sentire, e le sue palpebre s’erano abbassate in un placido riposo.
Kageyama non sarebbe riuscito ad immaginare una scena più tenera di quella.
Reiji s’alzò in piedi, muovendosi piano per non fare rumore. Attraversò la stanza, sempre facendo attenzione a non destare il ragazzo, fino a raggiungere la vecchia sedia, da sempre collocata accanto alla scrivania. Come ricordava, lì c’era una coperta di tweed ben ripiegata: quando ancora era solito passare le notti a studiare nello scantinato, quella era stata la sua fedele compagna.
Kageyama riprese la sua traversata, e stavolta s’arrestò solo quando giunse davanti al divano. Avvolse il corpo di Yuuto nella coperta pesante, sempre facendo ben attenzione a non svegliarlo. Quando fu soddisfatto, si sollevò dal corpo del ragazzo. Stava per allontanarsi, ma, colto da un moto improvviso di tenerezza, accarezzò i capelli del giovane, dreadlocks castani dorati raccolti in un’intrigata acconciatura. Un sorriso gli spuntò sul volto.
Non avrebbe mai potuto averlo, ma si sarebbe accontentato.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di tenerlo al sicuro.




▬ note

Eccomi, ci sono. Capitolo più breve dei precedenti, e in realtà non succede nulla. Questa è la quiete prima della tempesta, vi avviso.
Qualche ora fa mi ero scoraggiata un po' perché, rileggendo il capitolo che ho postato ieri, mi ero imbattuta in degli errori. Questo l'ho controllato, se possibile, ancor più, però inizio a credere che dovrei dar ragione a chi mi dice di non essere troppo dura con me stessa: ho buttato giù una long di 16k+ parole in una settimana, forse ci sta che qualcosa, di tanto in tanto, sfugga.
Oggi la scelta era tra tarocchi e ouija. Ho optato per il primo prompt, però temo di averlo solamente accennato. Quello che mi premeva qui era chiarire un attimo la situazione tra Kidou e Kageyama, visto che sarà fondamentale ai fini della comprensione dei capitoli successivi.
Tra l'altro quello di domani era il capitolo che attendevo di più, quando dovevo scriverlo. Solo che, a fine stesura... vbb, dai, non vi svelo niente. Lo scoprirete solo leggendo, lol.
Bene, non mi resta che ringraziare tutte quelle intrepide persone che stanno seguendo questa storia. See you tomorrow, I guess...?


Aria

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Capitolo 5
*** Idolatry ***



Mancava una settimana a Samhain.
I dettagli del rituale erano ormai definiti. Il cerchio non era più una sagoma incerta e tremolante, bensì le sue linee erano precise e ben definite – e così dovevano essere, se volevano che tutto andasse per il meglio. Yuuto aveva perso il conto delle volte in cui aveva letto e riletto le parole dell’incantesimo. Ormai le sentiva marchiate nella sua mente, e sul libro di negromanzia i suoi appunti rincorrevano quelli di Tougo. Una sera, dopo che Yuuto aveva lasciato la bottega, Kageyama s’era perso per qualche momento ad osservarli: la grafia di suo padre era tozza e sghemba, quella di Yuuto, invece, sembrava della stessa leggerezza di una nuvola, sottile e raffinata. Quel ragazzo non riusciva a non eccellere in ogni cosa, o forse ormai lo sguardo di Reiji non poteva evitare di essere filtrato da ciò che provava per lui.
Da giorni non faceva altro che piovere. Pioggia, pioggia e ancora pioggia, in quantità torrenziali. Le previsioni segnalavano tuttavia un miglioramento per la notte di Samhain, e quello era davvero un sollievo: avrebbero dovuto compiere il rituale in un luogo ampio e, preferibilmente, all’aperto, poiché era più facile richiamare una concentrazione di anime in uno spazio vasto, per cui l’assenza di pioggia sarebbe stata una benedizione.
In effetti, ora che ci stava pensando, Reiji si rese conto che non avevano ancora scelto il luogo preciso per il rituale. Non una mossa sveglia, a pensarci bene. Avrebbero subito dovuto rimediare.
Reiji si voltò in direzione di Yuuto. Come tutti i pomeriggi, da un mese a quella parte, erano nello scantinato, totalmente concentrati sulla sistemazione degli ultimi dettagli in vista del grande giorno. Yuuto era seduto su una delle poltrone, lo sguardo perso nel manuale di negromanzia. Reiji era fin dispiaciuto di interrompere la sua lettura, tuttavia quel nodo era di fondamentale importanza e avrebbero fatto meglio a scioglierlo il prima possibile.
Sorprendentemente, tuttavia, non fu Kageyama a iniziare la conversazione.
«Kageyama?» l’aveva richiamato infatti il ragazzo, gli occhi ancora puntati tra le pagine del sul libro.
Per poco Reiji non finì per strozzarsi con il suo stesso respiro. Assurdo, era come se gli avesse letto nel pensiero.
«S-sì…?» rispose, cercando di usare un tono quanto più casuale possibile – ci mancava solo che il ragazzo si accorgesse che lo stava fissano per l’ennesima volta, in fin dei conti.
Yuuto sollevò lo sguardo dal libro di incantesimi per la prima volta in tutto il pomeriggio. Aveva un’espressione strana, come se stesse provando più sentimenti contemporaneamente: curiosità, sollievo e, impossibile negarlo, stanchezza. Nell’ultimo mese s’era lanciato senza sosta in quegli studi, e probabilmente gli effetti di non risparmiarsi alcuno sforzo cominciavano a farsi sentire.
In quel momento, Reiji non riuscì a non sentirsi tremendamente in pena per lui. Non era giusto che quel ragazzo così giovane si sobbarcasse di colpo di uno stress tanto grande, e per quanto cercasse in ogni modo di alleviare i suoi compiti Kageyama aveva sempre la sensazione di non fare abbastanza per lui. Probabilmente avrebbero dovuto parlare assieme di quella cosa, cercare una soluzione…
La voce di Yuuto lo strappò nuovamente via dalle sue elucubrazioni.
«Dove porta la scala a chiocciola che si trova nella bottega?»
Di tutte le domande possibili, quella era davvero l’ultima che Kageyama si sarebbe aspettato di ricevere. Reiji sobbalzò per un momento sul posto, la bocca socchiusa, cercando di fare mente locale.
«La scala, dici? Oh, ecco… sopra alla bottega c’è il piccolo appartamento in cui vivo, in teoria. Dico “in teoria” perché passo molto più tempo in negozio e, da quando abbiamo cominciato le ricerche, qui nello scantinato. Ormai si potrebbe dire che torno là sopra solo per mangiare e dormire…» ammise, lasciandosi sfuggire un sorriso. «Come mai me lo chiedi?»
«Pura curiosità» rispose il ragazzo, chiudendo il libro sulle sue gambe. «Posso vederlo?»
Era un’altra richiesta strana. Nell’ultimo mese ad attenderli non c’era stato altro che pagine e pagine polverose, e Reiji ormai dava per scontato che quella fosse l’unica dimensione esistente, per loro. Forse, però, aveva dimenticato che Yuuto era pur sempre un ragazzo molto giovane, ed era normale che, di tanto in tanto, si ponesse delle domande, magari anche nel tentativo di evadere da quella realtà così soffocante. E poi c’era anche un altro aspetto, che faceva sentire Kageyama tremendamente in colpa: il tempo a loro disposizione stava per scadere. Nessuno di loro sapeva cosa sarebbe successo a Samhain e, data la possibilità che il rituale potesse andare per il verso storto, non sapevano neppure se ci sarebbe stato qualcosa dopo. Era una consapevolezza destabilizzante, e per la maggior parte del tempo cercavano di non pensarci, ma l’avevano ormai messo in conto entrambi.
Reiji pensò allora che forse glielo doveva, questo e molto altro. Fosse stato per lui, avrebbe messo il mondo intero nelle mani del ragazzo in quel preciso istante, perché era certo che nessuno sarebbe stato in grado di amministrarlo in maniera migliore di lui, né esisteva qualcuno di cui si fidasse di più. Inoltre, nessuno l’avrebbe meritato tanto quanto Yuuto.
Ultima, ma non meno importante, ragione: l’amava. Era innamorato di lui, di un sentimento folle, eppure così puro e sconfinato, e avrebbe fatto qualunque cosa pur di compiacerlo e renderlo felice.
La risposta, pertanto, era pressoché scontata.
«Certo che puoi.»


Salirono dallo scantinato avvolti in un silenzio quasi innaturale, seguiti a breve distanza dai famigli.
La bottega giaceva in uno stato di calma che perdurava ormai da un mese intero. Era avvolta nel buio della sera, e ogni cosa era immobile nella propria consueta posizione. Fuori, invece, in totale contrapposizione con la quiete dell’interno, la tempesta: la pioggia continuava a cadere, anche quella sera.
Aveva trascurato parecchio il locale, di recente. Quando tutto fosse finito, Reiji avrebbe dovuto dare una bella spolverata.
Poi, finalmente, a sinistra del bancone, eccola lì: la scala a chiocciola. Era in ferro battuto nero, e saliva verso il piano superiore attraverso alcune eleganti volute.
Reiji cominciò a salire per primo. Sentiva i passi di Yuuto seguirlo a distanza ravvicinata, lenti e silenziosi.
Era un tragitto che percorreva giornalmente, eppure quella volta sembrava avere un sapore diverso. Kageyama non aveva idea del perché, e l’unica spiegazione che riusciva a darsi era il fatto che Yuuto fosse lì con lui.
Una volta arrivati in cima, lo scenario che trovarono ad attenderli era ben diverso da quello dello scantinato a cui si erano ormai abituati.
L’appartamento era quasi un grande open space. Anche nell’abitazione, come nella bottega al piano inferiore, le tenebre avevano invaso ogni angolo, e sembrava quasi che ogni cosa fosse stata tinta di una tonalità cerulea.
A sinistra c’era la cucina. Piccola, essenziale – e tremendamente in disordine. Un piano cottura elettrico con pochi fuochi, un forno, il frigorifero e un acquaio invaso da pentole e posate arretrate, che non aveva ancora lavato dopo diversi giorni. A lato, una credenza perennemente vuota.
Accanto alla cucina era posto un tavolo di legno, dove Kageyama era solito consumare i suo pasti rapidi e frugali.
Una grande libreria separava la zona giorno da quella notte: non aveva un fondale, così che i libri potessero essere prelevati sia da un lato che dall’altro, ed era divisa in ampi riquadri.
Quanto alla camera da letto, beh… definirla tale era farle un immenso complimento. Un vecchio letto matrimoniale era addossato alla parete che delimitava la fine del modesto appartamento, mentre i vestiti erano conservati in una cassettiera. Per di più, sembrava che una bomba fosse scoppiata di recente: le lenzuola erano decisamente non rassettate, e diversi indumenti erano sparsi a terra.
«Ah, è un disastro…» s’era affrettato a scusarsi Reiji. «Negli ultimi giorni sono stato talmente concentrato sul rituale che non ho avuto tempo di passare a mettere in ordine…»
«Non è un problema» l’aveva tranquillizzato Yuuto. In effetti, il ragazzo sembrava alquanto affascinato da ciò su cui i suoi occhi si erano posati.
Reiji era confuso. Non riusciva a immaginare che qualcuno potesse apprezzare sinceramente il disastro che era la sua vita, men che meno se quella persona era Kidou Yuuto. Più ci pensava, e più faticava a visualizzare uno stregone del calibro del ragazzo in un luogo tanto desolante.
Gli occhi di Kageyama si posarono su una finestra, alla sua destra. Le gocce di pioggia continuavano a colpirla, impietosamente. Erano così abbondanti che sembrava che un torrente in piena stesse per travolgerli, da un momento all’altro.
Reiji distolse lo sguardo, e solo in quel momento parve accorgersi del fatto che Yuuto s’era mosso. Ora, infatti, aveva raggiunto un mobile, alla sua destra, e stava osservando l’oggetto posto sopra di esso.
Oh, Kageyama sapeva fin troppo bene cosa fosse.
Lentamente, aveva percorso lo spazio che li separava, fino ad arrivare alle spalle di Yuuto.
Tra le mani, il ragazzo sorreggeva un portafoto, dalle dimensioni non maggiori di quelle di un foglio di carta. Al suo interno, spiccava uno scatto in cui era stato imprigionato un delizioso momento di quotidianità: tre persone sorridevano in direzione dell’obiettivo, un uomo, una donna e un ragazzo. L’unica figura femminile presente era in dolce attesa.
La foto era in bianco e nero, segno che doveva risalire a diverso tempo prima.
«La sua famiglia» aveva dedotto Yuuto.
«Già» era stato l’unico commento di Kageyama.
Il ragazzo si voltò nella sua direzione. In volto aveva un’espressione preoccupata.
«Ha voglia di parlarmene?» aveva chiesto, col tono più innocente che potesse esistere al mondo.
Reiji aveva inarcato un sopracciglio. «Non avevi detto di aver fatto le tue ricerche, ragazzo?» l’aveva schernito. «Ti credevo più informato.»
Di contro, Yuuto gli aveva rivolto un sorriso. Un semplice, meraviglioso sorriso – e in quel momento Kageyama aveva compreso di essere irrimediabilmente rovinato. «La verità è solo quella che può raccontarti qualcuno che l’ha vissuta, no?» era stata la sua replica.
Reiji era rimasto a corto di parole. Era come diceva lui, e non esisteva modo in cui avrebbe potuto contraddirlo.
Questo e altro, Kageyama. Si merita ogni cosa.
Uno sorriso triste aveva fatto capolino sul volto di Reiji.
«Quello è stato probabilmente l’ultimo momento in cui siamo stati tutti assieme e felici. Non c’erano mai mancate molte cose, a dir la verità: avevamo sempre condotto una vita semplice e modesta, e in fin dei conti quella mediocrità non ci era mai andata stretta. I miei genitori mi avevano sempre amato alla follia, e l’arrivo di un altro bambino aveva riempito il cuore di tutti di gioia. Mia madre era convinta che sarebbe stata una femmina, e aveva già deciso che avrebbe voluto chiamarla Izumi. Qualcosa, però, andò per il verso sbagliato: ci furono delle complicazioni durante il parto, e sia lei che la bambina morirono.» Kageyama prese una pausa, i ricordi che si facevano sempre più dolorosi man mano che andava avanti. «Shizuku era una donna dolcissima, dall’incontaminata purezza. La sua perdita fece scivolare mio padre sempre di più nella follia. All’inizio credevo si trattasse solo di una profonda tristezza, dopotutto entrambi avevamo perso qualcuno di molto caro. Ben presto, però, mi resi conto di quanto il problema fosse assai più grave.»
Un’altra pausa. Yuuto posò una mano su quella di Reiji, cercando di dargli conforto.
«Mia madre aveva sempre cercato di usare la magia per aiutare gli altri, in particolare cercando di curarli. Mio padre, invece, aveva a lungo subito la fascinazione della negromanzia. Shizuku non aveva mai sopportato l’idea che l’uomo che aveva sposato praticasse una magia tanto oscura, e più volte m’aveva messo in guardia, sconsigliandomi di prendere la strada di mio padre. Quando venne a mancare, però, mio padre fu sopraffatto dal dolore, al punto da convincersi che l’unico modo in cui fosse riuscito a stare meglio sarebbe stato riportarla in vita. Decise allora di compiere un rituale, così da riaverla indietro dal mondo dei morti. Le cose, però, non andarono come aveva sperato: lei era già andata avanti, non aveva più motivo di restare sulla terra. La magia di mio padre, inoltre, era troppo debole: le anime lo sopraffecero, iniziando a distruggere ogni cosa si trovasse nei paraggi. Non so bene come feci a salvarmi: corsi via, il più lontano possibile, fino ad esaurire il fiato nei polmoni. Mi sentivo un vigliacco, perché forse avrei dovuto cercare di salvarlo, ma una parte di me continuava a ripetermi che ormai per lui non esisteva più alcuna possibilità di redenzione. Ci fu un’esplosione, poi un silenzio così denso da risultare innaturale. Della nostra casa non era rimasto più niente, stessa sorte era capitata a mio padre.»
Reiji si fermò per un’ultima volta. Chiuse gli occhi, inspirò profondamente, e infine tornò a lasciar posare il proprio sguardo su Yuuto.
«È per questo che all’inizio non volevo aiutarti» concluse. «La negromanzia esige sempre un pegno e, spesso, è fin troppo caro da pagare.»
Per un momento, Yuuto si ritrovò ad abbassare lo sguardo, incapace di sostenere quello di Reiji. C’era qualcosa, però, che spinse quegli occhi rubizzi a sollevarsi ancora una volta e a cercare le iridi nere di Kageyama.
E, in quel momento, Kageyama vide la propria disperazione riflessa nello sguardo di Yuuto.
Fu come se il tempo si fosse bloccato d’improvviso. Reiji prese il volto del ragazzo tra le mani, carezzandolo dolcemente. S’avvicinò con lentezza, come per assaporare meglio ogni attimo. Quando si ritrovarono a pochi centimetri l’uno dall’altro, Kageyama si fermò per un momento, permettendo a Yuuto di allontanarsi, qualora non l’avesse gradito.
La cosa sorprendente, tuttavia, è che Yuuto non fece nulla del genere.
Reiji lasciò allora che le loro labbra s’incontrassero. Sfiorò quelle del ragazzo con una dolcezza incredibile, come se avesse il terrore di sentirle infrangere da un momento all’altro sotto alle proprie. Yuuto si strinse maggiormente a lui, tenendosi ancorato al suo corpo stringendo tra le dita la sua camicia scura.
Aveva temuto che l’avrebbe disprezzato…
Kageyama lasciò scivolare una mano dietro alla schiena del ragazzo, così da poterlo tenere più vicino a sé. Questo gli permise anche di approfondire quel bacio: le loro lingue s’incontrarono subito, cominciando a danzare fameliche.
I loro corpi così vicini sembravano produrre scariche elettriche: la loro magia fremeva, pulsava. Nessuno dei due, però, pareva intenzionato a fermarsi, era tutto troppo belle e coinvolgente per farlo.
Si separarono per riprendere fiato, ma restando vicinissimi, perché la lontananza di colpo era un pensiero insopportabile per entrambi. Respiri e battiti erano già accelerati, ma non era ancora ora di fermarsi.
Kageyama iniziò a spingere Yuuto, affinché camminasse anche se di spalle attraverso la stanza. Nel mentre, continuò a lasciare brevi baci sulle sue labbra, senza sosta, come se non ne fosse mai sazio.
Ed era proprio così, in effetti.
Yuuto, nel frattempo, aveva già cominciato a spogliarlo. Lasciò che la camicia cadesse a terra, senza badare troppo a dove sarebbe finita. Quando le sue gambe premettero contro qualcosa di morbido, Yuuto comprese di aver raggiunto il letto: s’inginocchiò su di esso, senza mai perdere il contatto con le labbra di Kageyama.
Reiji gli sfilò in tutta fretta il maglione, per poi lanciarlo via, lontano. Posò una mano sulla spalla del ragazzo, spingendolo a distendersi. Un attimo dopo, lo aveva già sovrastato.
Scese lungo il collo del giovane, lasciando una scia di baci umidi e ingordi. Yuuto affondò la testa nel materasso e, dalle sue labbra, iniziò a scivolare la melodia più dolce che Kageyama avesse mai udito: gemiti.
Reiji cercò gli occhi di Yuuto, e il suo sguardo fu subito ricambiato. Il ragazzo aveva la bocca socchiusa, travolto da ansimi sempre più affannosi.
Kageyama non aveva mai visto niente di più bello.
Reiji scese ancora a baciargli le labbra, avido, mentre con le dita sfiorava quel petto candido che aveva tanto bramato. I loro fianchi continuavano a sfregarsi, ed entrambi tremavano al pensiero di ciò che sarebbe accaduto a breve.
Gli ultimi strati di indumenti caddero, e Reiji alzò nuovamente gli occhi per fissare il ragazzo. Non l’aveva mai visto così rosso in volto, e immaginare che Kidou Yuuto, lo stregone più potente attualmente in circolazione, potesse provare anche un sentimento come l’imbarazzo era una scoperta che non sapeva esattamente come prendere. Era abituato a vederlo attraverso quella sua maschera altera che era solito indossare per tutto il tempo, e scoprire adesso che c’era anche dell’altro era… emozionante. Seducente.
T’invogliava a desiderarne ancora di più.
«S-se la sta cavando bene…» gli concesse Yuuto, tra un bacio e l’altro, totalmente sedotto.
«Ne dubitavi?» replicò Reiji, scendendo lungo il collo e mordicchiando un poco quella pelle così sensibile.
Sollevando appena il capo, trovò il sorriso sornione di Yuuto ad attenderlo. E quella fu per Kageyama la risposta più eloquente in cui avrebbe potuto confidare.
S’avvicinò al suo volto, e prese a carezzarlo con dolcezza. Sembrava essere fatto di porcellana, e si chiese come un potere tanto forte potesse albergare in un corpo così fragile.
Reiji si rese conto che quella era la prima volta che si lasciava vedere da qualcuno senza alcun genere d’armatura addosso, essendo semplicemente se stesso, ed era felice che la persona accanto a lui in quel momento fosse Yuuto, perché sapeva che era l’unico di cui si potesse fidare, e che non l’avrebbe mai deluso.
Forse era la prima volta anche per Yuuto, valutò Kageyama.
Reiji si sentiva libero, come non lo era mai stato in vita sua.
Yuuto si lasciò essere suo, e la notte si riempì di preghiere e gemiti dolcissimi. Furono l’uno dell’altro, due corpi che si fondevano e ne diventavano uno solo, come se fossero sempre stati destinati ad esserlo.
Dopo che il piacere li ebbe del tutto colmati, Kageyama coprì i loro corpi stanchi con un lenzuolo leggero. Si distesero l’uno al fianco dell’altro, incapaci di spezzare la catena che teneva imprigionati i loro sguardi. Sorridevano entrambi, come se finalmente avessero compreso il significato della parola pace. Perché era solo questa che provavano in quel momento: pace, sia dentro che fuori, la pioggia che ancora cadeva, da qualche parte all’esterno.
«Ti amo» mormorò Yuuto.
«Ti amo» confessò Reiji, e fu certo che quelle non fossero parole gettate al vento.




▬ note

Ormai questo è passato dall'essere "l'angolo dell'autrice" a "l'angolo delle lamentele".
Vbb, facciamo che ci togliamo subito il pensiero. Via il dente, via il dolore.
Ma quanto sono assolutamente incapace di scrivere certe scene? Eh? Quanto?
Chiaramente sto parlando della parte finale del capitolo. La cosa ironica è che all'inizio doveva essere una lemon, solo che, arrivata al punto in cui si doveva scendere un po' più nel dettaglio, track. Credo sia imbarazzo, e la cosa mi innervosisce a dismisura, perché è da una vita che leggo lemon d'ogni tipo senza scandalizzarmi mai, solo che, quando invece devo scriverne, mi blocco. Secondo me è paura di rendere tutto male o di essere troppo volgare. Comunque, alla fine ho deciso di optare per qualcosa di decisamente più soft, una lime che a me pare più un'arancia ammuffita. Quando ho finito di scriverla mi faceva abbastanza pena, soprattutto perché ho fatto una sorta di patchwork tra i vari pezzi e avevo paura che ci fosse una sproporzione di lunghezza tra la parte prima e la parte della roba in sé
– che è venuta decisamente più corta, chissà come mai. A rileggerla oggi mi sembra di avvertire meno questo distacco, quindi boh, magari la roba che scrivo migliora invecchiando, tipo il vino...
No, Aria. Hai solo passato l'ultima settimana a cercare di convincerti che andava bene così e che non avevi tempo di riscriverla perché avevi soltanto altri due giorni per finire una long
Che poi, a pensarci bene, mi sono bloccata scrivendo il seguito di Dark Necessities proprio dopo aver modificato una parte che avevo già scritto e che non mi piaceva più, ed è un blocco che è durato per più di un anno. Quindi uhm, diciamo che questa cosa mi preoccupava, perché essendo così stretti coi tempi non potevo proprio permettermi di bloccarmi. Anyway, fortunatamente non è andata così e oggi mi sembra tutto un pochino più decente, per cui extra stonks.
Non so se ci sia bisogno di specificarlo visto che Kageyama ha passato gli scorsi capitoli a ripeterlo di continuo, ad ogni modo Yuuto ha vent'anni qui !! comunque ho inserito l'avvertimento lime/arancia ammuffita/whatever, perché per quanto sia tutto molto lieve al punto che in certi momenti credo di vedere la cosa solo io, better safe than sorry.
Oggi sto facendo una pappardella, lo so. La verità è che sto ancora cercando di convincermi che vada bene così ! e che la dovrei proprio smettere di essere così dura con me stessa !
Okay, parliamo di altro. Oggi i prompt erano libro incantesimi e divinazione. Io ho scelto il primo, ma come vedete sono andata a parare da tutt'altra par
aehm.
Questo
again, chissà come mai – e il prossimo sono i capitoli più lunghi. Quando dovevo ancora scriverli ero convinta che questo sarebbe stato il mio capitolo preferito, perché c'era tutta questa dose di ammmore che a me piace sempre. Invece, paradossalmente, quelli che mi sono piaciuti di più sono gli ultimi due, ma non posso ancora svelarvi perché.
Abbiamo finalmente scoperto il passato di Reiji lo so, stanno venendo delle note lunghissime, abbiate pietà di me e devo dire che è stata il pezzo che più ho amato scrivere di questa parte di storia. Pensieri in merito?
Concludo dicendo che siamo arrivati al weekend, che oggi è il primo maggio auguri! – e che, nonostante tutto, sono ancora qui ad editare.
Bene, ho concluso vi vedo che esultate. Ci vediamo domani per il prossimo capitolo, in cui succederanno le cose serie, se volete fatemi sapere cosa ne pensate della storia!

Aria

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Capitolo 6
*** Fight ***



La luce grigiastra del mattino filtrava attraverso il vetro della finestra, rischiarando appena l’ambiente.
Kageyama si lasciò rotolare di lato, affondando il volto nel cuscino e sperando, almeno così, di sfuggire a quel richiamo al nuovo giorno.
Non riusciva ancora a svegliarsi del tutto, eppure nella sua mente cominciarono a riaffiorare i ricordi della notte precedente.
Lui e Yuuto s’erano appartenuti, e stentava ancora a crederci. Era stato tutto così bello, così perfetto, così appagante e caldo…
Reiji mosse una mano accanto a sé, alla ricerca del corpo di Yuuto, perché aveva ancora bisogno di sentire quel calore intorno a sé.
Si ritrovò a balzare seduto sul letto quando, tuttavia, trovò la porzione di materasso accanto a sé miseramente fredda.
Do-dov’era Yuuto? Se n’era andato? Lo sapeva, aveva rovinato tutto, probabilmente lo aveva spaventato a morte e…
Alcuni rumori provenienti dalla cucina finirono per attirare la sua attenzione. Reiji si alzò cautamente, rivestendosi in fretta e attraversando la stanza cercando di non farsi notare.
Quando comprese quale fosse stata l’origine di quel trambusto, si sentì incredibilmente sciocco. Il suo cuore, inoltre, si riempì di un calore meraviglioso, dinanzi a ciò che i suoi occhi stavano ora osservando.
Yuuto era lì, in piedi e alquanto indaffarato tra i fornelli. Aveva disposto due caraffe ricolme di bevande sul tavolo, e ora si dibatteva agitando in una padella l’impasto per i pancake.
Era una scena quasi esilarante, perché era evidente che fosse un po’ in difficoltà. Forse non aveva mai preparato dei pancake in vita sua, e la condizione di non potersi servire della magia fino al rituale doveva rendere il tutto decisamente più complicato.
Reiji non riuscì a non trovarlo bellissimo.
S’era infilato una vecchia t-shirt, e Kageyama era abbastanza certo che l’avesse trovata nella sua cassettiera. Anche se si trattava dei suoi vestiti di quando aveva all’incirca l’età di Yuuto, sul corpo minuto del ragazzo sembravano essere comunque enormi.
Yuuto si voltò per lasciar cadere un pancake ormai pronto in un piatto di ceramica, e solo in quel momento s’accorse che Reiji l’aveva raggiunto.
«Oh, buongiorno» l’aveva salutato, le gote che s’imporporarono appena. «Spero di non averti svegliato io»
Reiji aveva inclinato la testa di lato, quasi sfiorando la spalla con una guancia. Come poteva esistere qualcuno così dolce…?
«No, affatto» si era apprestato a rassicurarlo. «Vedo che ti sei dato da fare»
«Sì» aveva ammesso il ragazzo. Sembrava sul punto di saltellare. «Prego, accomodati»
Reiji l’aveva assecondato. Aveva preso posto su una delle sedie, e Yuuto non aveva perso un istante ad occupare quella accanto a lui, porgendogli uno dei due piatti di pancake. In tutto ciò, Kageyama aveva notato che il ragazzo aveva smesso di dargli del lei, e la cosa, a dir la verità, lo rendeva forse più felice di quanto avrebbe dovuto esserlo.
C’erano anche alcuni vasetti di marmellata, Reiji non se ne era accorto prima. Le caraffe, aveva scoperto inoltre, contenevano rispettivamente latte e caffè.
«Non pensavo di avere così tante cose in dispensa» aveva ammesso Reiji, osservando stupefatto tutto quell’assortimento.
«Non c’erano, in effetti» aveva puntualizzato subito Yuuto, mentre stendeva un velo di marmellata di fragole sul suo pancake. «Sono sceso al konbini qua sotto per acquistarle. È stata un’ottima decisione, a ben pensarci»
Kageyama si ritrovò a pensare che era passato così tanto tempo dall’ultima volta in cui aveva vissuto un momento così tranquillo che quasi faticava a ricordare quando fosse stato. Sarebbe stato bello se ogni giorno fosse stato come quello, in cui svegliandosi ritrovava Yuuto lì con lui e si sedevano assieme al tavolo della cucina a fare colazione. Avrebbe dato tutto l’oro del mondo per poter vivere in un futuro come quello.
«Ah, sì?» aveva domandato, versandosi una tazza di caffè. «E per quale motivo, se posso chiedere?»
«Beh» Yuuto si era stretto nelle spalle, ma un ghigno appena accennato era comparso sul suo volto. «Perché ho trovato il luogo perfetto per il rituale»
Kageyama s’immobilizzò, un pezzo di pancake in bocca e il resto della forchetta sospeso a mezz’aria. Aveva quasi dimenticato il rituale. Avrebbe voluto poter pensare per tutto il tempo a Yuuto, a quanto lo amava, a quanto era stata bella la notte appena trascorsa. Purtroppo, però, c’era sempre quel ronzio in sottofondo, come un tarlo che lentamente gli stava mangiucchiando il cervello, ricordandogli che il tempo stava per scadere. Kageyama iniziava a sospettare che il mondo avesse deciso che lui non se la meritava, la felicità.
«E dove sarebbe questo luogo?» s’era limitato a domandare poco dopo, cercando di ostentare una nonchalance che in quel momento non gli apparteneva, mentre prendeva a tagliare un altro pezzo di pancake.
Yuuto si sporse in avanti, avvicinandosi ancor di più a Kageyama.
«A Samhain la comunità magica di Tokyo si riunisce al cimitero di Aoyama, giusto?» lo incalzò il ragazzo, e Reiji avvertiva i suoi occhi rossi ed elettrizzati fissi su di lui.
«Corretto» aveva risposto seccamente Kageyama, afferrando la tazza di caffè e facendo per portarsela alle labbra.
«In tal caso, credo che dovremmo andarci anche noi» aveva annunciato Yuuto, così fiero della sua deduzione. «Quale miglior luogo per un rituale di resurrezione se non un cimitero? Se le anime a Samhain sono così vicine alla Terra, di sicuro in un posto del genere ce ne sarà una concentrazione ancora maggiore. Basterà trovare una zona più in disparte, ampia e isolata dalle celebrazioni e il gioco sarà fatto, no?»
Reiji si ritrovò a fissare il ragazzo ancora una volta. C’era qualcosa che continuava a non tornargli, in tutta quella questione. Sapeva che, se aveva deciso di aiutare Yuuto, era stato principalmente perché, per la prima volta dopo anni, un bagliore di luce s’era affacciato in quella sua vita grigia e monotona. Ora, però, non potevano permettersi alcun tipo di passo falso. Se le cose fossero andate per il verso sbagliato, durante il rituale, le conseguenze avrebbero potuto essere immani e catastrofiche. No, nulla di male doveva accadere, era fuor di discussione.
Tecnicamente, però, non poteva dargli torto. Aoyama aveva tutte le carte in regola per essere lo scenario di quel rituale e, con le dovute precauzioni, le cose avrebbero potuto funzionare. Inoltre, temeva ormai di essere divenuto incapace di opporsi a qualsiasi richiesta del ragazzo – o forse, in maniera più probabile, non ne era mai stato capace.
Yuuto esercitava fin troppo potere su di lui.
Reiji bevve un sorso di caffè. Nero, amaro e bollente, esattamente come piaceva a lui.
«Sì» concesse infine. «Credo che sia la soluzione migliore»


Il tempo non era mai stato gentile con loro. Aveva corso come un pazzo fin da subito e, prima che potessero trovare un rimedio per farlo rallentare, la notte di Samhain era arrivata.
Per il resto del mondo sembrava un giorno come un altro. Bambini mascherati correvano per le strade, sacchetti di carta alla mano, mentre bussavano di porta in porta alla ricerca di dolcetti.
Kageyama, invece, non riusciva a quietarsi.
Nell’ultima settimana non avevano fatto altro che ripetere antiche formule in latino e tracciare con il gesso i contorni del cerchio sulla lavagna. Ormai sentivano di avere tutto impresso in maniera indelebile nella mente, eppure Reiji continuava a rimproverarsi. Sapeva che sarebbe dovuto restare più concentrato possibile, invece nei pomeriggi che avevano preceduto quella fatidica notte non aveva fatto altro che distrarsi. Yuuto era il suo pensiero fisso. Avrebbe voluto spingerlo lì, con il corpo contro la libreria, e impossessarsi ancora una volta di lui.
Ma non poteva farlo.
Aveva bisogno di lui nella sua vita, non avrebbe potuto perderlo per nessuna ragione al mondo. Gli sembrava di riuscire a stare bene solo quando ce l’aveva accanto, e proprio per questo il pensiero che in quella notte tutto sarebbe potuto cambiare lo terrorizzava.
Il ragazzo lo aveva preceduto, partendo nel primo pomeriggio alla volta di Aoyama. Reiji, invece, non s’era ancora mosso dall’appartamento di Akihabara. La scusa che aveva offerto al ragazzo era che aveva bisogno di preparare ancora un paio di cose prima del rituale. Yuuto, apparentemente, ci aveva creduto, così si erano dati appuntamento al calar del sole davanti ai cancelli del cimitero.
La verità, tuttavia, era un’altra.
Affacciato alla finestra del suo appartamento, Kageyama bevve un sorso del tè che s’era preparato. Quella voce nella sua mente non aveva mai smesso di parlare dal momento in cui Yuuto era entrato nella sua bottega per la prima volta e s’era fatta più insistente quando il ragazzo gli aveva esposto il suo progetto. Quella sera, tuttavia, era insopportabile: di solito era un brusio di sottofondo appena percettibile, adesso invece era una cacofonia stridula e macabra. Il suo istinto cercava di avvisarlo della presenza di guai in vista, Kageyama però continuava ad ignorarlo, perché più e più volte s’era detto che doveva restare positivo e che, se non l’avesse fatto, allora la riuscita del rituale sarebbe stata minata in partenza.
Era come se si trovasse davanti a un enorme e meraviglioso mosaico, ma, al centro, mancasse una tessera, a rovinarne l’aspetto. Un dubbio l’aveva accompagnato sempre, nel corso di quel mese, e per quanto Reiji avesse continuato a respingerlo indietro ogni volta, ecco che lui, continuamente, si ripresentava, quasi con sadismo.
Reiji scosse il capo, affranto. Ormai il tempo per pensare era finito. Avrebbe fatto meglio a cominciare ad avviarsi in direzione del cimitero.


Trovò Yuuto ad aspettarlo ai cancelli d’ingresso del cimitero, esattamente come avevano stabilito.
Indossava l’ampio mantello nero in cui l’aveva visto avvolto in una delle prime occasioni in cui s’era presentato alla bottega, una camicia candida con un ampio volant sul davanti e pantaloni e scarpe scure. Era così bello, nella sua perfezione, e Kageyama avrebbe voluto con tutto se stesso prenderlo di peso e portarlo via da lì alla velocità della luce, ma sapeva bene che Yuuto e i suoi immensi poteri non gliel’avrebbero permesso, e in ogni caso il ragazzo non l’avrebbe mai perdonato.
Quando lo vide arrivare, il ragazzo gli rivolse un leggero sorriso. Era ormai l’imbrunire.
«Ehi» l’aveva richiamato, quando giunse finalmente davanti a lui.
«Eccomi» aveva annunciato Kageyama. Una borsa pendeva giù dalla sua spalla. Al suo interno, sale, sale e ancora sale, assieme a un libro d’incantesimi per ogni evenienza.
Si guardarono negli occhi. Erano tesi come corde di violino, non c’era neanche bisogno che se lo dicessero.
Come in un tacito accordo, cominciarono ad avviarsi nello stesso momento oltre la soglia d’ingresso. Sembravano muoversi in sincronia, come se sapessero esattamente quando l’altro avrebbe compiuto il passo successivo.
Il cimitero di Aoyama era un’esplosione di luci, quella notte. Diverse lanterne rossastre erano state accese nei pressi delle lapidi, inoltre le bacchette d’incenso sprigionavano fumi soffusi tutt’intorno.
L’ultima volta in cui aveva partecipato a quelle celebrazioni, Kageyama ricordava che assieme a lui c’erano ancora i suoi genitori. Avevano portato delle offerte ai loro cari deceduti, e avevano osservato assieme la festa delle anime.
Dopo l’incidente, tuttavia, per Reiji quella festa non era divenuta che un ennesimo motivo di sofferenza.
Da sotto al mantello, Yuuto allungò una mano, cercando la sua. Reiji gliela strinse subito, in apprensione.
Un mare di persone si aggiravano attorno alle lapidi. Quella zona era decisamente troppo affollata, non sarebbe mai andata bene per il rituale. Dovevano trovare un’ala più isolata, dove la confusione non li avrebbe raggiunti.
Reiji era consapevole degli sguardi incuriositi che avevano raggiunto il suo volto, ed era certo che più d’uno dei presenti l’avesse riconosciuto. La bottega ad Akihabara, in fin dei conti, continuava ad essere un punto di riferimento assai importante per la comunità magica.
«Dobbiamo allontanarci da qui» aveva mormorato.


Un’ala del cimitero era abbandonata. Lo avevano intuito perché né lanterne né incensi erano stati accesi lì, inoltre non c’era fortunatamente nessuno in vista.
Avevano percorso diversi vicoli secondari tra le lapidi, finché non si erano ritrovati in quel luogo. Un vecchio mausoleo sorgeva in fondo ad un ampio piazzale, e le tombe nei dintorni erano ricoperte di ragnatele ed erbacce, segno che nessuno vi aveva messo piede per molto tempo.
Probabilmente non lo avrebbero fatto nemmeno quella sera.
«Qui andrà bene» aveva decretato Yuuto.
Il ragazzo stava per spingersi in avanti, ma Reiji l’aveva afferrato per un braccio. Lo attirò a sé, posandogli un bacio sulle labbra.
«Yuuto, io…» aveva cercato di richiamarlo Kageyama.
Lo stregone, tuttavia, pareva non avere molta voglia di ascoltarlo. Gli carezzò una guancia, sorridendogli – eppure sembrava così distante…
«Ce la faremo, Kageyama» lo rassicurò, e appariva davvero convinto delle sue parole.
Prima che Reiji potesse lasciarlo andare, il ragazzo s’era già liberato della sua stretta. Sapeva che ormai non aveva più possibilità di fargli cambiare idea, e forse, in fondo, non ce l’aveva mai avuta.
Reiji sospirò. Sconsolato, aprì la borsa, estraendo il sacchetto in cui aveva riposto il sale.
«Ricorda» cominciò Kageyama, tracciando i primi accenni dei contorni del cerchio a terra. «Non tutte le anime hanno voglia di sentir parlare. Dovrai rivolgerti a loro in tono forte e sicuro, altrimenti…»
«Reiji, ne abbiamo già parlato un centinaio di volte…» gli rammentò Yuuto, con lo stesso tono di chi si sta rivolgendo ad un bambino testardo. Il ragazzo sorrise nella sua direzione.
Kageyama si strinse nelle spalle. «Lo so» ammise. «Sono solo tanto preoccupato…»
Reiji terminò di disegnare il cerchio a terra. Non appena si allontanò di qualche passo, Yuuto fece ingresso all’interno di esso, facendo attenzione a non calpestarne i confini.
Si osservarono per un lungo, interminabile istante. Quelle iridi rosse e nere, incontrandosi, si mormorarono cose che, forse, le loro labbra non avrebbero mai avuto l’ardire di pronunciare.
Poi, tutto cominciò e, al tempo stesso, finì.
«Ignis» ordinò Yuuto, e il sale sul terreno fu avvolto da fiamme azzurre.
Kageyama si rese conto che quella era la prima volta in cui lo sentiva pronunciare l’incantesimo. Di solito, Yuuto era così potente da riuscire a compiere qualsiasi magia semplicemente con un gesto della mano. Questa volta, però, era tutto diverso.
«Numini caelis» recitò Yuuto «invoco vobis ut reddatis me quod rapuistis! Animae, surgite!»
La terra tremò. Nubi scure come la notte si addensarono in cielo e, in lontananza, rimbombò un tuono. Non sembrava affatto un buon presagio.
Una raffica di vento gelido e furente sferzò lo spiazzo in cui si trovavano, e fumi buastri cominciarono a scivolare da sotto le lapidi. D’improvviso, quel tarlo che tanto a lungo aveva tormentato la mente di Reiji tornò a ripresentarsi, e questa volta lo sentì come gridato dentro di sé.
E se i genitori di Yuuto fossero passati oltre?
Non aveva mai pronunciato ad alta voce quel suo timore, perché sapeva che avrebbe profondamente ferito il ragazzo. Ora però, tutto sembrava così ovvio, così pericolosamente chiaro.
Yuuto era cresciuto in maniera eccellente anche senza avere i suoi genitori accanto. Era diventato il mago più brillante del mondo, e la loro perdita non sembrava averlo limitato in alcun modo. C’era la sofferenza interiore, certo, ma ogni perdita ne comportava una.
Non era possibile richiamare un’anima che avesse accettato il proprio destino, recandosi serenamente nell’aldilà.
Questo significava che, attraverso l’incantesimo, Yuuto stava richiamando tutte le anime che invece si trovavano ancora nel limbo tra il mondo dei vivi e il regno dei morti, quelle cioè che non s’erano arrese alla propria condizione. Il velo che divideva i due mondi, a Samhain, era incredibilmente sottile, se l’erano ripetuti un mare di volte. Dunque, l’unico effetto che quell’incantesimo stava sortendo era quello di una calamita, attirandole tutte in un unico punto.
Avrebbero fatto di tutto pur di stracciare il velo.
Aveva letteralmente lasciato Yuuto in pasto a quegli spiriti.
No. Non di nuovo.
Reiji pensò a suo padre, a come era stato sopraffatto, all’esplosione che ne era conseguita. No, non poteva commettere lo stesso errore in cui era già caduto in passato, non avrebbe permesso che la stessa sorte capitasse anche a Yuuto, se l’era giurato fin dal primo momento.
La magia nera esige sempre un pegno.
Di nuovo quelle parole. Kageyama digrignò i denti.
Non stanotte.
Doveva riflettere bene prima di agire. Non poteva permettersi un altro sbaglio. La prima cosa da fare era rompere il cerchio di sale, sperando che fosse sufficiente ad interrompere la connessione dell’incantesimo, ma non poteva semplicemente lanciarsi lì e tirare via Yuuto, come tanto avrebbe voluto. Doveva individuare il momento giusto.
Le anime erano sospese sopra al cerchio, come avvoltoi che si librano in circolo nell’aria prima di lanciarsi sulla loro preda. Ci fu un nuovo tuono, e allora, in un brulichio solenne di morte, si gettarono in picchiata verso Yuuto.
Ora.
Reiji corse in direzione del cerchio. Noncurante delle fiamme, tracciò via con un piede parte del confine. Come aveva temuto, non bastò a fermare gli spiriti, perlomeno però gli aveva permesso di raggiungere Yuuto. Li avrebbero affrontati insieme.
Il ragazzo aveva già scagliato un incantesimo scudo, che avvolse entrambi e li riparò da quel primo assalto delle anime. Reiji sapeva fin troppo bene che, tuttavia, l’aura rossa e semisferica del ragazzo non li avrebbe protetti a lungo da quei colpi violenti.
«Che è successo, Kageyama?» Yuuto urlò per farsi sentire sopra al ruggito delle energie che si scontravano. Teneva le braccia tese verso l’alto per sostenere lo scudo, ma, per quanto la sua magia fosse potente, reggere ad un attacco del genere era davvero faticoso.
Il ragazzo non lo guardava, troppo impegnato a proteggere entrambi, ma Kageyama temeva che, se gli avesse detto la verità, quegli occhi rubizzi non si sarebbero mai più posati sulla sua persona.
Reiji si morse il labbro, con espressione colpevole.
«Temevo sarebbe potuta andare in questo modo» ammise, sentendo qualcosa dentro di sé spezzarsi irrimediabilmente. «Mi dispiace, Yuuto. Se ne sono andati. In un primo momento ci avevo sperato anch’io, che la tua magia li avesse trattenuti qui, ma… così non è stato. Sono mortificato…»
Yuuto ringhiò di rabbia. Kageyama non riusciva a capire se ce l’avesse con lui o con se stesso, per aver covato tanto a lungo un desiderio folle e irrealizzabile.
«Non fa niente!» si arrese infine. «Adesso abbiamo un problema ben più grave, mi pare. Come facciamo a ricacciarle indietro?»
Kageyama deglutì a vuoto.
«Non… non lo so» confessò, desolato.
Per un istante, gli occhi di Yuuto si voltarono per fulminarlo.
«Che vuol dire che non lo sai?» gridò ancora, furioso. Le anime avevano preso a sferzare una raffica di colpi rapidi e intensi alla barriera.
«N-non avevo messo in conto un piano di riserva per una situazione del genere, d’accordo?» si giustificò Kageyama, il panico che s’impadroniva sempre più di lui.
«Beh, allora farai meglio a trovarne uno, e anche in fretta, perché non so per quanto ancora riuscirò a reggere questo scudo prima che gli spiriti ci uccidano!» annunciò Yuuto, in tono grave.
Aveva ragione. Per quanto fossero entrambi maghi molto potenti, una situazione di una simile portata sarebbe stata ingestibile per chiunque. Dovevano cercare di guadagnare tempo, mentre provavano a trovare l’incantesimo giusto.
«Yuuto, le lapidi!» esclamò Kageyama, certo che il ragazzo avrebbe compreso.
Yuuto lanciò un rapido sguardo alla sua destra. Poi, continuando a sostenere lo scudo, pronunciò un nuovo incantesimo.
«Lapides iacere!» ordinò, e i sepolcri furono all’istante scardinati. Le lapidi si scagliarono in direzione delle anime e, almeno per qualche secondo, riuscirono a sparpagliarle.
Era il diversivo di cui avevano bisogno. Senza perdere tempo, Reiji tirò fuori dalla borsa il libro di incantesimi che aveva portato con sé. Non aveva mai compiuto una magia tanto potente quanto quella che si accingeva a recitare, ma era l’unica soluzione che avevano, se volevano uscire sani e salvi da quella notte.
Le anime ripresero a lanciarsi contro lo scudo, che già in alcuni punti aveva cominciato a creparsi. Yuuto aveva ragione, il rituale gli aveva richiesto una quantità di magia immane, non sarebbe riuscito a proteggere entrambi ancora a lungo.
Bisognava agire in fretta. Reiji aveva trovato una formula che, in teoria, avrebbe potuto funzionare. Se così non fosse stato, tuttavia, non ci sarebbe stato scampo per loro.
Non avrebbe potuto sbagliare.
Ora o mai più.
Affondò i palmi nella terra nuda e umida e, facendo appello a tutte le sue forze, iniziò a recitare il suo incantesimo.
«Dii immortales, qui nostram terram regitis, ducite vobis has animas, quae vestrae sunt!» esalò, e sentì ogni fibra del suo corpo vibrare di un’energia che non sapeva neppure esistere.
La terra tremò. Inizialmente, sembrò che l’incantesimo non avesse sortito nessun effetto. Kageyama trattenne il fiato, incapace di calmarsi. Se non avesse funzionato, allora cosa…
Poi, però, tutto cominciò a mutare di nuovo.
Una luce bianca e fortissima si diffuse nello spiazzo. Reiji non riusciva più a vedere niente, ed era certo che lo stesso valesse anche per Yuuto. Un’aspirazione violenta fu udita dalle loro orecchie e, un attimo dopo, un’esplosione fortissima detonò su di loro.
Lo scudo cedette, e lui e Yuuto furono sbalzati all’indietro. Il ragazzo sentì le forze venirgli meno, e si lasciò cadere al suolo.
Reiji lo afferrò appena in tempo. Con la stessa repentinità con cui era apparsa, quella luce scomparve, lasciandoli soli nel buio della notte. Kageyama stentava a crederci, eppure anche le anime si erano volatilizzate.
Ce l’aveva fatta. Lo aveva salvato.
Reiji strinse il corpo privo di sensi del ragazzo a sé. Respirava ancora.
Era tutto finito.




▬ note

Ed eccoci qui con il penultimo capitolo!
Per quanto io mi ritenga assolutamente negata nella scrittura di scene d'azione, devo dire che questa non mi è venuta poi così male. Certo, avrei preferito che fosse più lunga, ma credo di essere riuscita a creare una buona dose di suspence. O almeno lo spero.
Quindi dovendo fare una lista di ciò che riesco a scrivere meglio e ciò che, invece, mi riesce in maniera catastrofica, riassumerei così:
sì: angst (e hurt/comfort), dialoghi, introspezioni
no: lemon/lime, scene d'azione, fluff
Che comunque, tutto sommato, non è un bilancio poi così catastrofico, dai.
Ma veniamo a noi. Tra Ostara e Samhain ho scelto il secondo prompt, semplicemente perché era quello che avevo più presente, avendone letto altre rappresentazioni in passato, e poi cronologicamente s'incastrava meglio con i tempi narrativi della long.
Purtroppo, le cose non sono andate per il meglio. Tecnicamente però potevano essere decisamente peggiori, per cui credo che ci toccherà farcele andare bene così.
Per quanto riguarda gli incantesimi, spero che la formulazione in latino sia corretta. Quando ho scritto il capitolo ho passato più tempo a consultare il dizionario online che a scrivere il testo vero e proprio. Purtroppo, per la gioia dei miei ex insegnanti, ho lanciato cinque anni di nozioni nel baratro del dimenticatoio alla velocità della luce, però, trattandosi di una ff, magari qualche licensa linguistica posso permettermela
– e poi oh, andiamo. Sono giapponesi che, in epoca moderna, recitano incantesimi in latino antico, non possiamo aspettarci poi tutta questa correttezza.
Bene, credo di aver detto tutto per oggi. Ci vediamo domani con l'ultimo capitolo, anche se non sono certa di essere pronta a dire addio per sempre a questa storia.

Aria

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Capitolo 7
*** Quiet ***



Reiji inclinò la testa sul cuscino, cercando di individuare una posizione più confortevole.
I ricordi della notte precedente gli arrivavano a flussi intermittenti, tanto da fargli credere che fosse stato tutto un sogno. Akihabara, il rituale, le anime…
Poi, d’improvviso, si rese conto che non era così.
Si tirò a sedere sul letto, in un sussulto. Boccheggiò, alla disperata ricerca di aria.
Yuuto…
Ricordava di aver visto svenire il ragazzo tra le sue braccia, quando tutto era finito. Poi, però, tutto era avvolto nelle tenebre.
Si voltò cautamente di lato. Yuuto era lì, accanto a lui. Riposava pacatamente, il corpo prono e il viso affondato nel cuscino.
Reiji cercò di ricordare. Probabilmente, dopo che il ragazzo era svenuto, aveva fatto appello alle sue ultime forze così da riportare entrambi a casa. Avevano generato fin troppo trambusto, era solo una questione di secondi prima che qualcuno arrivasse a chiedere spiegazioni. Prima di finire entrambi nei guai, Reiji s’era affrettato a prendere in braccio Yuuto e ad allontanarsi da lì quanto più furtivamente possibile.
Oh. Ecco.
Dovevano averla scampata per un soffio. Kageyama si girò in direzione del comodino, controllando l’orario sul display della sveglia digitale.
Le tre del pomeriggio.
Aveva riposato così tanto…? Oh, quel rituale doveva averlo stancato più del previsto.
Reiji si alzò piano, facendo attenzione a non svegliare Yuuto. In quel momento, il riposo era fondamentale per lui, aveva bisogno di recuperare le energie.
E poi, finché non si fosse svegliato, Reiji non sarebbe stato costretto ad affrontare quell’argomento che tanto temeva.
Kageyama si lasciò scivolare in direzione delle scale. Forse c’era ancora qualcosa che poteva fare per Yuuto.


Tornare dopo settimane ad occuparsi di magia erboristica fu come prendere una profonda boccata d’ossigeno. Reiji aveva scoperto che la negromanzia gli riusciva naturale, come bere un bicchier d’acqua, tuttavia si sentiva decisamente più a suo agio quando si trattava di semi e radici dalle proprietà magiche. Dubitava che avrebbe messo fine a ciò che, negli ultimi anni, era ormai sempre più diventata la sua professione.
Reiji aveva schiacciato alcune foglie di menta nel mortaio, unendole ad estratto di radici di zenzero e semi di lino. Ne aveva ottenuto un composto omogeneo, simile a un impacco di argilla. Ora, però, mancava l’ingrediente più importante: la magia. Reiji agitò le dita sopra al mortaio, e fili candidi d’energia purissima corsero a mescersi assieme agli altri ingredienti.
Il gioco era fatto. La stufa aveva continuato a scoppiettare fin da quando l’aveva accesa, e ormai l’acqua che aveva messo nel bollitore doveva essersi scaldata. Reiji versò il composto in una tazza, dopodiché si affrettò a recuperare il bollitore. Versò l’acqua, e subito l’infuso cominciò come a prendere vita all’interno della stoviglia.
Un profumo dolcissimo avvolse l’ambiente, ma Kageyama sapeva che mancava ancora un ingrediente. Prese il vasetto di miele, che aveva tenuto accanto a sé sul bancone fino a quel momento, e ne lasciò cadere alcune gocce all’interno della tazza.
La pozione era pronta. Si era impegnato con tutto se stesso nel prepararla, e adesso doveva solo aspettare per vedere se avrebbe avuto effetto.
In cuor suo, tuttavia, era già certo che sarebbe stato così.


Era pomeriggio inoltrato. Il sole stava ormai scomparendo dietro alle sagome di grattacieli altissimi.
Reiji era rimasto inginocchiato sul letto per ore, mantenendo l’infuso caldo con un incantesimo.
Yuuto non s’era ancora svegliato. Dalla posizione prona era passato a quella supina, e adesso solo una guancia era carezzata lievemente dalla federa del cuscino.
Reiji era spaventato. No, si disse: quel riposo era un toccasana per lui, dopotutto la notte precedente aveva provato seriamente il corpo e l’animo di quel ragazzo.
Doveva avere pazienza. Yuuto era forte, e Kageyama era certo che sarebbe stato bene.
Quando aprì gli occhi, Yuuto lo fece lentamente, come se s’aspettasse di essere ferito dalla luce del sole da un momento all’altro. L’immenso potere che risiedeva in lui poteva farlo dimenticare, tuttavia Yuuto era pur sempre un ragazzo di vent’anni: giovane, e inaspettatamente fragile.
Sembrò che un pensiero improvviso lo avesse colto, portandolo a sbarrare gli occhi.
«K-Kageyama…» ansimò, respirando di colpo più in fretta.
Reiji parve comprendere al volo quali pensieri si fossero affollati nella sua mente. Si chinò su di lui, lentamente, carezzandogli la fronte.
«Va tutto bene» lo rassicurò. «È tutto finito»
Yuuto non sembrò subito persuaso dalle sue parole. Si guardava intorno con la stessa espressione di un animale braccato, aspettandosi che, da un momento all’altro, le anime avrebbero sferrato un ennesimo attacco.
Era strano però. Non erano più nel cimitero, bensì erano ritornati a casa di Kageyama.
Tutto intorno a loro era fermo, e sembrava essere avvolto nella pace più totale. Come… come ci erano arrivati lì?
«Sono morto?» ipotizzò, trovandola come la possibilità più credibile. «Sto sognando?»
Reiji piegò appena la testa di lato. In quella confusione, Yuuto sembrava più debole. Più… umano, sebbene quel termine non si addicesse a nessuno dei due.
«Nessuna delle due» gli comunicò, accarezzandogli la fronte. «Siamo tornati a casa. Siamo salvi.»
«C-com’è possibile?» chiese, aggrottando le sopracciglia per lo smarrimento. Le carezze di Reiji erano così lusinghevoli, abbandonarsi ad esse era terribilmente piacevole.
Però c’era qualcosa che continuava a non tornare, nella mente di Yuuto. L’ultimo ricordo che aveva erano loro due nel cimitero di Aoyama, le anime che aveva evocato che continuavano a scagliarsi contro il suo scudo e Reiji che pronunciava un incantesimo nel tentativo di fermarle.
Poi, più nulla.
Reiji sembrò intuire i suoi pensieri. «Siamo riusciti a fermarle, Yuuto. Insieme.» Gli sorrise, con la stessa condiscendenza che si offre a un bambino. «Ho portato entrambi via da lì prima che qualcuno potesse porci delle domande»
I pezzi cominciarono a ricomporsi nella mente di Yuuto. Il ragazzo fece per rialzarsi, e Reiji lo aiutò a mettersi seduto.
«Aspetta» lo fermò Reiji. «Prima bevi questo»
Reiji recuperò la tazza dal comodino, porgendogliela. Yuuto la fissò con circospezione.
«Cos’è?» domandò, voltandosi a fissare Kageyama.
«Una pozione curativa» spiegò subito Reiji. «Ti aiuterà a riprendere le forze»
Gli occhi di Yuuto tornarono a posarsi sulla tazza. Era ancora dubbioso, ma se la portò comunque alle labbra, prendendone un sorso.
Era dolcissima. E buona.
Lo invogliava a volerne ancora.
«Grazie» mormorò a fior di labbra.
Reiji abbassò lo sguardo. Sentiva quelle parole premere sulla sua lingua, spingendo pur di uscire. Forse avrebbe dovuto aspettare, Yuuto doveva ancora rimettersi in sesto… eppure non riusciva a chiedersi cosa ne sarebbe stato di loro, dopo quella notte. Il rituale non era andato come speravano… e questo cosa significava?
«Mi dispiace, Yuuto» gli disse ancora, proprio come la notte precedente. Kageyama iniziava a sospettare di non avere parole migliori da offrirgli. «Ero sicuro che ce l’avremmo fatta, te lo giuro. Se solo avessi calcolato meglio ogni possibilità…»
Una mano si posò sul suo braccio.
«Kageyama» lo richiamò il ragazzo. «Va bene così. Davvero. Avrei dovuto pensarci anche io, in fin dei conti. È già tanto che io sia ancora qui, vivo, e se ciò è stato possibile è solo per merito tuo»
Reiji aprì la bocca, per poi richiuderla un secondo dopo. Le parole gli morirono in gola. “Sì, ma…” avrebbe voluto cominciare. Solo che non aveva altro da aggiungere dopo quel ma.
Non c’era più nessuno da salvare. Non avrebbe avuto senso cercare altre formule, altri rituali. Erano vivi, e forse si sarebbero dovuti accontentare di questo.
Da ciò, tuttavia, nascevano mille nuovi interrogativi. Se il rituale era fallito, cosa sarebbe cambiato per loro? Come sarebbe proceduta la loro vita, d’ora in avanti?
Reiji aveva paura. Temeva che il fallimento del rituale per cui Yuuto s’era finalmente fermato, dopo anni di peregrinazioni, lo avrebbe riportato a partire, alla volta di chissà dove. Solo che Kageyama non aveva idea di come avrebbe fatto a vivere senza di lui. Aveva passato così tanto tempo a fantasticare su un loro possibile futuro assieme che, adesso, ogni scenario che non comprendesse Yuuto gli sembrava orrendo e privo di ogni colore.
«E adesso?» domandò, prima ancora di rendersene conto.
Yuuto si voltò a guardarlo, confuso. «In che senso?» chiese a sua volta.
Reiji si strinse nelle spalle. Nei suoi occhi c’era un misto di dolcezza e malinconia. «Cosa farai?» si spiegò, tremando già al pensiero della risposta che s’aspettava di ricevere.
Un sogghigno comparve sul volto di Yuuto. il ragazzo fece ruotare il busto, così da ritrovarsi faccia a faccia con l’altro mago, mentre gli avvolgeva le braccia attorno al collo.
«Fammi capire» cominciò, gli occhi rossi che sembravano voler divorare quelli neri. «Davvero pensi che io abbia passato un mese della mia vita in questa bottega, tra libri polverosi e famigli scorbutici, abbia donato per la prima volta interamente il mio corpo e la mia anima a qualcun altro e sia sopravvissuto alla mia piccola fine del mondo personale salvo poi andarmene come se nulla fosse? Si può sapere per che razza di persona mi hai preso, Kageyama Reiji?»
Le guance di Reiji s’imporporarono. Avvertire il corpo di Yuuto così vicino al suo gli faceva perdere sempre qualche battito. E poi dannazione, il proprio nome sembrava così bello se pronunciato dalle labbra del ragazzo.
«In effetti quella dell’altra notte è sembrata davvero una fine del mondo» aveva convenuto Reiji. «E comunque il mio famiglio non è scorbutico»
«Mai quanto il suo padrone» era stata la replica di Yuuto.
Da qualche parte della bottega al piano inferiore, Lok aveva gracchiato, come in approvazione.
Yuuto rise, e Kageyama prese il suo volto tra le mani, baciandolo dolcemente.
«Resti?» gli aveva chiesto.
Yuuto l’aveva fissato, polvere di stelle negli occhi.
«Resto.»
Kageyama l’aveva baciato ancora, e di colpo il futuro che aveva sognato gli era sembrato più vicino.




▬ note

Premere la spunta che indica la conclusione di una long mi procura sempre una certa dose di fiducia in me stessa, devo ammetterlo. Questa volta, tuttavia, c'è anche un po' di malinconia.
Ebbene sì, siamo già giunti alla fine. La seconda long conclusa sul mio profilo, e tra l'altro anche la più lunga (sì, dopo quasi tre anni continuo ancora a credere che DN abbia sette capitoli anziché sei. In origine effettivamente dovevano essere sette, però non ci stavo con i paragrafi, per cui mi era toccato fare un cambio in corsa). Sono soddisfazioni, dai.
Allora, prima di tutto mi preme ringraziare Fanwriter.it per aver indetto quest'iniziativa meravigliosa, che mi ha sicuramente tenuta impegnata in questi giorni di quarantena allietandomi la permanenza in casa. Mi era mancato partecipare ai vostri eventi, sul serio ♡ a tal proposito, oggi la scelta era tra bacchetta e pozione. In un mondo in cui, come ho spiegato in uno dei capitoli precedenti, la magia si esprime attraverso il movimento delle mani o pronunciando un incantesimo a voce (anche se i maghi più potenti riescono a fare a meno della seconda opzione), la bacchetta non aveva molto senso. La pozione, invece, sono riuscita a ricollegarla più facilmente, anche pensando a quanto accaduto nello scorso capitolo.
Ad ogni modo, quest'ultimo capitolo è stato molto tranquillo, soprattutto se confrontato con quello precedente. Un po' di sana dolcezza non fa mai male, dai.
E così si conclude qui questa nostra avventura all'interno di un mondo magico creato così, praticamente da zero, nel giro di pochi giorni. Non escludo di tornare un giorno a pubblicare qualche os ispirata a questa au, l'ho amata così tanto e non sono decisamente pronta a lasciarla andare.
Grazie a chiunque abbia letto e seguito la storia, spero che vi sia piaciuta ♡

Aria

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