The traces of your magic di _ A r i a (/viewuser.php?uid=856315)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Encounter ***
Capitolo 2: *** Disclosure ***
Capitolo 3: *** Researches ***
Capitolo 4: *** Fears ***
Capitolo 5: *** Idolatry ***
Capitolo 6: *** Fight ***
Capitolo 7: *** Quiet ***
Capitolo 1 *** Encounter ***
Non
c’era mai molto da fare in bottega.
Soprattutto
il pomeriggio, a dir la verità.
Quando
il sole
iniziava a calare e i suoi raggi aranciati s’infrangevano
contro
i mobili del negozio, l’atmosfera diventava in un secondo
più solenne. Come se ogni cosa s’animasse di vita
propria,
sangue che pulsa ad una velocità impazzita in invisibili
arterie.
Anche
se, in
realtà, quasi tutto ciò che era presente
all’interno della bottega era già dotato di vita
propria.
Kageyama
sfogliò un’altra pagina del libro di rune. Quando
aveva
aperto la bottega non si era aspettato di avere successo e, in effetti,
era andata esattamente così. O meglio, aveva una sua
clientela,
ma non certo ampia come quella di alcuni bazar magici noti in tutto il
mondo. Ciononostante, per quanto cercasse di dare a vedere
all’esterno che di quell’impiego non si curasse poi
tanto,
aveva passato gli ultimi vent’anni della sua vita a dedicarsi
unicamente ad esso, investendo la sua intera anima nel curarlo. Reiji
era fatto così, dopotutto: detestava
l’approssimazione, e,
se decideva d’impegnarsi in qualcosa, sapeva che avrebbe
dovuto
farlo finché non fosse riuscito a primeggiarvi, di qualsiasi
attività si trattasse.
Così,
la
sua bottega era diventata un piccolo punto di riferimento per tutti i
maghi e le streghe di Tokyo, per quanto fosse restio ad ammetterlo.
Amava essere gratificato per il proprio operato, tuttavia preferiva che
le lusinghe fossero esternate senza essere indotte. Aveva cercato
sempre, nel suo piccolo, d’investire nella qualità
dei
prodotti, che, sebbene costassero un po’ di più,
arrivavano direttamente dai prestigiosi mercati di Rabat, e proprio il
loro pregio li faceva apprezzare maggiormente dai suoi clienti. Per
cui, se avesse dovuto individuare il segreto del suo successo,
l’avrebbe indicato in quello.
Tuttavia,
la comunità magica era da sempre una minoranza rispetto alla
popolazione globale.
Per
anni, lotte
intestine s’erano succedute, seppur lontane dai resoconti
bellici. A quanto pareva, gli umani non avevano mai nutrito simpatia
per quelli che vedevano come mostri. A Kageyama piaceva pensare che
l’ignoranza generasse paura e, da quella stessa paura, era
stata
scaturita la scintilla che per anni aveva ingenerato soprusi e
vessazioni ai danni di chi possedeva un potere da parte degli umani.
Probabilmente doveva essere difficile comprendere qualcosa che non si
possiede e che, potenzialmente, può costituire un pericolo.
Non
che la comunità magica avesse mai pensato di intraprendere
una
guerra contro gli umani, certo. Paradossalmente, invece, questo era
ciò che gli umani avevano invece fatto con loro:
perseguitati,
torturati, infine uccisi. Reiji aveva perso il conto di quanti aveva
visto perire.
Col
tempo,
tuttavia, comunità magica e genere umano erano arrivati ad
un
accordo: ciascuna delle due stirpi avrebbe dovuto continuare a vivere
in sintonia con l’altra, senza però immischiarsi
mai
più nelle faccende altrui. Quella grande tregua durava ormai
da
un centinaio di anni e, con grande sorpresa ma anche un immenso
sollievo, sembrava reggere.
Non
passava mai
nessuno a quell’ora della sera. La clientela di Kageyama era
composta principalmente da habitué e, pertanto, Reiji ne
conosceva ormai orari e abitudini. Sapeva quando sarebbero passati in
negozio, con quale frequenza si presentavano, perfino quali ingredienti
erano soliti acquistare. Probabilmente, vista dall’esterno,
la
sua vita appariva monotona e noiosa, tuttavia Reiji sapeva che non
avrebbe mai potuto chiedere niente di meglio: una vita tranquilla e
senza sorprese.
Almeno
fino a quel momento.
Mentre
si
soffermava su un incantesimo, tornando indietro a rileggerlo diverse
volte, aveva afferrato con nonchalance il manico della tazza che aveva
accanto a sé, portandoselo alle labbra e prendendo un
piccolo
sorso di tè. Probabilmente avrebbe dovuto chiudere, iniziava
a
farsi tardi.
Era
allora che era successo.
La
campanella
sopra alla porta d’ingresso della bottega aveva trillato,
annunciando l’arrivo di un nuovo cliente. Il che era
insolito,
perché Kageyama non aspettava nessuno, sul serio.
Aveva
capito
fin dal primo momento, proprio grazie all’orario, che non si
trattava di uno dei suoi clienti di fiducia. Non appena aveva posato lo
sguardo sul nuovo arrivato in negozio, poi, ne aveva avuto la conferma
definitiva.
Era
certo di non averlo mai visto prima di allora. Se così fosse
stato, se ne sarebbe senza ombra di dubbio ricordato.
Sapeva
di non
trovarsi di fronte a una persona comune. Tutto, nella figura esile che
s’era ritrovato davanti, sembrava gridarlo: gli abiti di seta
nera, dalla fattura evidentemente preziosa più di qualunque
introvabile ingrediente per pozioni Reiji potesse celare in negozio, il
lungo e pesante mantello purpureo, che ora strisciava con garbo sulle
vecchie assi di legno del pavimento della bottega. E poi quegli occhi.
Rossi come il sangue, come quelli di un demone.
Così
estremamente magnetici.
Reiji
non
avrebbe saputo dire per quanto tempo fosse rimasto a fissare quel cliente.
C’era qualcosa di misterioso in lui, potente, pericoloso. Lo
sapeva, lo percepiva.
Aveva
un’aura forte e definita, di un rosso brillante. Sembrava che
quest’ultima, col suo solo bagliore rubizzo, fosse in grado
di
uccidere chiunque, in maniera sprovveduta, ci si fosse avvicinato
troppo.
Forse
avrebbe
dovuto cacciarlo, dirgli di andare via, perché in fondo
stava
per chiudere il locale, ma c’era qualcosa di forte e sinistro
che
glielo impediva.
Lo
sconosciuto
teneva lo sguardo basso. S’aggirava furtivo tra gli scaffali,
cercando di non dare troppo nell’occhio, ma era evidente che
fosse impossibile, per lui.
«Ehm,
buonasera» aveva cercato di richiamare la sua attenzione
Kageyama. «C’è qualcosa che posso fare
per
lei…?»
L’altro
mago aveva inclinato la testa di lato, osservando Reiji di traverso.
Sotto quello sguardo rosso e inquisitore, Reiji non era riuscito a fare
a meno di deglutire, sentendosi a disagio. Era come se riuscisse a
leggere dentro di lui. Uhm, forse non avrebbe dovuto parlare…
Lo
sconosciuto aveva sospirato pesantemente, per poi abbassare le
palpebre. Sembrava… stanco.
«Sì,
forse farei prima a chiedere» aveva convenuto, raddrizzando
il
capo e facendo scrocchiare il collo, muovendolo con piccole rotazioni
che lo portavano a sfiorare le spalle.
Reiji
non
riusciva a togliergli gli occhi di dosso, sembrava come ipnotizzato da
quelle iridi rubizze. Non ne aveva mai viste di così belle e
particolari, era innegabile. Per di più, il suo misterioso
cliente sembrava irradiare fascino da ogni angolazione, e
ciò lo
portò a desiderare ancor di più di non perdersi
nemmeno
un minimo movimento dell’altro.
Camminava
in
modo sinuoso. Mentre si avvicinava al bancone, con calcolata lentezza,
Reiji riusciva a sentire ogni millimetro di stoffa del mantello
strisciare a terra.
Non
appena gli
fu davanti, Reiji si sentì quasi schiacciare da tutto il suo
potere. Sembrava un mago estremamente potente, possibile che non ne
avesse mai sentito parlare?
«Sto
cercando un cristallo»
La
voce del suo
interlocutore parve ridestare Reiji da una catarsi. Non s’era
neppure accorto d’essersi incantato ad osservare ancora una
volta
l’altro. Sembrava incredibilmente giovane, non gli avrebbe
dato
più di vent’anni. Come diavolo era possibile che
una magia
tanto potente risiedesse in un ragazzo così
giovane…?
Reiji
s’era portato un dito alla base del collo, grattandolo
nervosamente. «Che… che genere di
cristallo?»
«Per
un rituale»
La
risposta era
arrivata repentina, breve, secca. Spiazzante, in un certo senso: gli
aveva detto tutto, ma al tempo stesso niente.
Oh.
Più
i
minuti passavano, e più Kageyama si convinceva di avere a
che
fare con uno stregone estremamente potente. Nonostante ciò,
Reiji si limitò a voltarsi: alle sue spalle, infatti, si
trovavano diversi scaffali. Su ciascuno di essi, erano impilate decine
e decine di scatole, ognuna contenente materiali differenti: alcune
custodivano radici, altre ali di pipistrello, altre ancora piume di
corvi. Una, infine, conteneva i cristalli.
Ce
ne erano di
ogni tipo: lucidi, grezzi, opalescenti… possedevano ogni
tipo di
sfumatura di colore, dal blu profondo dei lapislazzuli al verde
smeraldo. C’era perfino il rosso rubino, così
simile alle
iridi della persona che gli stava davanti.
Quest’ultimo,
tuttavia, non sembrava interessato a nessuna delle pietre precedenti.
Poco
dopo,
infatti, aveva sollevato dalla scatola alcuni cristalli, dalle
dimensioni assai minute. Erano scuri, di un nero assai intenso.
Reiji
aveva
osservato con preoccupazione la merce: quelle erano pietre estremamente
rare, utilizzate solamente per un determinato tipo di magia.
«Questi
andranno bene» aveva mormorato lo sconosciuto, lasciandoli
cadere nel palmo di Reiji senza sfiorarlo.
Kageyama
avrebbe voluto chiedere. Avrebbe voluto informarlo… ma
sapeva
che, con ogni probabilità, sarebbe stato inutile. Se davvero
quel giovane mago era tanto potente quanto la sua aura prometteva,
allora era perfettamente conscio di ciò che aveva scelto.
E
Kageyama dubitava di sbagliarsi.
Si
era limitato
a preparargli una piccola confezione con i suoi cristalli, con carta
color sabbia, simile a quella che di solito si usava per ricoprire i
pacchi destinati alla spedizione, e corda sottile. Quando aveva
comunicato il prezzo al suo acquirente, decisamente dispendioso sia per
la qualità dell’artefatto sia per ciò
in cui
generalmente veniva adoperato, quest’ultimo non aveva battuto
ciglio, estraendo da una tasca del pantalone nero giusto le monete
d’oro che gli servivano per saldare il suo conto.
Intascato
l’importo, Reiji aveva porto il pacchetto al cliente.
Quest’ultimo l’aveva recuperato direttamente dal
palmo
della sua mano e, per un singolo e apparentemente insignificante
istante, le loro pelli si erano sfiorate.
La
sensazione che Reiji aveva provato era simile a una scossa elettrica.
Era intensa, quasi travolgente.
Era
quella la sua magia?
Gli
occhi di
Reiji erano subito saettati alla ricerca di quelli
dell’altro.
Sul volto del ragazzo aveva trovato l’accenno di un sorriso.
Divertito, sarcastico… malizioso?
«La
ringrazio» aveva concesso in conclusione, ossequioso. Si era
poi
voltato, cominciando a muoversi lento e sinuoso lungo il percorso che
aveva già solcato, in direzione dell’uscio,
seppure quella
volta a ritroso. Reiji stava quasi per lasciare andare un sospiro
– non s’era accorto d’aver trattenuto il
fiato fino a
quel momento –, ma il giovane si arrestò di colpo,
un
momento prima di uscire finalmente dal locale, la porta già
aperta.
«Negromanzia,
eh?»
Reiji
aveva finito per strozzarsi con il suo stesso respiro.
Nell’aria risuonava ancora il trillo della campanella.
«C-che…?»
«Il
libro. L’ho riconosciuto, so leggere il runico»
aveva
replicato il ragazzo, come se stesse constatando qualcosa di ovvio.
«Tutti…
tutti i maghi sanno farlo» gli aveva fatto notare Reiji.
«Già»
il ragazzo aveva sospirato, uscendo finalmente dalla bottega. Un
momento dopo, era già sparito nel nulla.
Il
tempo, che
era parso fermarsi nell’attimo in cui quel giovane misterioso
aveva messo piede all’interno del negozio, sembrò
riprendere a scorrere solo in quel momento.
Kageyama
non ne comprendeva ancora il motivo, ma aveva come
l’impressione che avrebbe rivisto molto presto quel ragazzo.
▬
note
L'avevo
detto che sarei tornata presto, lol.
Se qualche anno fa m'avessero detto che avrei scritto una long in meno
di una settimana probabilmente non c'avrei creduto. Dark Necessities
l'ho ultimata in sei mesi, il suo seguito giace marcescente
nell'archivio del mio pc da non so nemmeno io quanto tempo.
È
capitato, tuttavia, che lunedì scorso –
okay, era già martedì visto che era passata la
mezzanotte, ma dettagli
–, scorrendo la home di Facebook, m'imbattessi in un post
della pagina Fanwriter.it:
in esso, si annunciava che, dal 27 aprile al 3 maggio, si sarebbe
tenuto un evento, chiamato Writing
Week. In cosa consiste? È
presto detto: ogni giorno, durante questa settimana, si
dovrà postare una storia –
che sia essa una drabble, una flash, una os o il capitolo di una long –,
purché segua il tema di una delle sedici liste proposte. Per
ogni giorno, sono presenti due prompt, di cui ne va scelto solo uno e,
attorno ad esso, dovrà ruotare la trama della storia. La
lista,
infine, può essere personalizzabile, scegliendo un prompt a
giornata dalle diverse opzioni.
Per quanto mi riguarda, ho deciso di seguire la lista a tema Witchcraft.
I prompt tra cui scegliere oggi erano candela e cristallo, e io, come
credo che si evinca già abbastanza chiaramente dal testo, ho
optato per cristallo.
Era da un po' di tempo che l'idea di scrivere una witch!au –
o wizard!au
che dir si voglia –
mi solleticava. Quando ho visto la lista non c'ho pensato due volte,
sembrava un segno del destino. Fin dal primo momento le parole sono
fluite dalla mia mente al foglio di Word con una facilità
sorprendente, e ne sono lieta, perché è un
progetto a cui
tengo davvero tanto.
La cosa che mi diverte di più in tutto ciò
è che,
compresi prologo ed epilogo, questa storia ha sette capitoli,
esattamente come Dark Necessities. Allora è vero che sette è il numero
massimo di tutte le cose.
Pensavo avrei avuto più cose da dire, invece ho
già
finito. Dubito che qualcuno recensirà, ma nel caso in cui
aveste
delle perplessità non esitate a farmi domande!
E niente, ci si rivede all'incirca tra ventiquattr'ore, mi sa.
Aria
|
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Capitolo 2 *** Disclosure ***
Continuava a piovere da giorni.
L’autunno era arrivato da appena una settimana, eppure non
aveva perso tempo e aveva cominciato subito a farsi sentire.
Lok continuava ad agitarsi scompostamente sul trespolo dorato fin da
quella mattina. Il suo famiglio mal sopportava la pioggia e, peraltro,
di tanto in tanto prendeva a svolazzargli intorno, così,
giusto per infastidirlo ancor di più.
Kageyama sospettava che quel corvo non l’avesse mai
sopportato.
Reiji era chino come sempre su uno dei suoi manuali pieni di rune.
Continuava a leggere di incantesimi, di cerchi magici, senza tuttavia
riuscire a concentrarsi del tutto su ciò su cui i suoi occhi
cadevano.
L’incontro con quel ragazzo misterioso era ormai diventato il
suo tormento da giorni. Non riusciva a smettere di pensarci, e il fatto
che la pioggia non avesse mai smesso di cadere dal momento in cui era
uscito dalla bottega non aiutava affatto.
Era chiaro che avesse a che fare con un potere non comune.
Quell’aura, quell’energia così forte non
potevano appartenere ad un mago di ordine comune. Non riusciva a
spiegarsi per quale motivo un mago tanto potente avesse messo piede
proprio nella sua umile bottega – uno stregone tanto abile
avrebbe potuto benissimo girare in uno dei più noti mercati
magici del mondo – né perché avesse
deciso di acquistare proprio dei cristalli di tenebra. Erano degli
artefatti magici rari ed estremamente potenti, Kageyama lo sapeva bene:
li aveva sempre tenuti in negozio con la consapevolezza che mai nessuno
li avrebbe acquistati. Utilizzarli era rischiosissimo, e di solito
erano indicati come uno dei principali ingredienti di incantesimi assai
rischiosi e, ormai da molto tempo, proibiti.
Reiji sospirò. Chissà perché
continuava a pensare a quel ragazzo. Dopotutto, se fosse stato
abbastanza fortunato, non l’avrebbe mai più
rivisto.
Un tuono squarciò l’aria, mentre Kageyama tornava
ad osservare il suo libro.
In quel momento, la porta del negozio si aprì.
Impossibile. Con quel diluvio nemmeno il mago più folle
avrebbe sfidato le condizioni atmosferiche avverse per procurarsi
qualche ingrediente magico. O almeno, Kageyama conosceva fin troppo
bene la sua clientela, e dubitava che qualcuno di loro
l’avrebbe fatto.
Reiji si era sporto un poco in avanti da dietro il bancone, osservando
la persona che era appena entrata. Indossava un pesante mantello nero,
e aveva il cappuccio calato sul volto.
La cappa era completamente fradicia di pioggia, ma bastò una
rapida folata di vento caldo per farla asciugare del tutto. Reiji non
aveva idea del luogo da cui fosse provenuta quell’aria, e ci
mise qualche istante per comprendere.
Magia.
Una magia molto forte, per di più.
La figura si abbassò il cappuccio del mantello e, da sotto
di esso, comparve il ragazzo dei cristalli di tenebra. Era
perfettamente asciutto nonostante fosse stato sotto al diluvio
universale fino ad un momento prima, il che dimostrava ancora una volta
quanto la sua magia fosse potente.
Era vestito in maniera differente dalla prima volta che
l’aveva visto. Più informale, quasi, eppure
egualmente affascinante. Camicia di seta di un grigio scuro, pantaloni
neri e stivali di pelle nera che non arrivavano sopra alla caviglia. Il
mantello, però, era decisamente su un altro livello: un
tessuto plumbeo e pesante, decorato con ricco filo aureo.
Non tutti i maghi si potevano permettere tanto sfarzo, Reiji lo sapeva
bene. Solo quelli potenti e, ovviamente, ricchi. E questo era un altro
motivo che rendeva Kageyama incredibilmente perplesso: che ci faceva
quel ragazzo nella sua bottega, che, per quanto ben fornita, restava
sempre umile?
«Sapevo che saresti tornato»
Reiji s’accorse d’aver pronunciato quelle parole
solo quando ormai erano irrimediabilmente scivolate fuori dalle sue
labbra. S’immobilizzò sul posto, sconvolto: che
gli era preso?
Il ragazzo, dal canto suo, sorrise. Come se s’aspettasse che
Reiji gliele avrebbe rivolte.
«Ah, sì?» gli domandò poco
dopo, cominciando ad avvicinarsi. «E come mai, di
grazia?»
Reiji si strinse nelle spalle. «Beh» ammise,
«i cristalli di tenebra non sono materiali di facile
utilizzo. Scommetto che il rituale non sia andato a buon
fine.»
Il giovane inclinò la testa di lato. «Mi sta forse
sottovalutando?» domandò – e nel suo
tono sembrava esserci una nota di sdegno.
«Non mi permetterei mai. So riconoscere un’aura
potente quando ne vedo una» replicò Reiji,
appoggiando i palmi sul bancone e sporgendosi in avanti. Il ragazzo gli
era ormai arrivato davanti, e da quella posizione Reiji sentiva quasi
di riuscire a sfiorarlo con la punta del naso. Le loro aure stavano
collidendo, rosso purpureo che avvolgeva in spire venefiche nero
d’ombra.
«Kageyama Reiji» mormorò il ragazzo, in
un sussurro ammaliante. Reiji sussultò. Per qualche strana
ragione, il suo nome suonava in maniera melodiosa e accattivante, se
pronunciato da quel ragazzo.
«Ho fatto delle ricerche sul suo conto, spero che la cosa non
la infastidisca» riprese il giovane dagli occhi rubizzi poco
dopo.
Reiji scosse istintivamente la testa, poco dopo tuttavia si
ritrovò a domandarsi se fosse davvero così. Come
doveva sentirsi al pensiero che un perfetto sconosciuto si mettesse a
ficcanasare sulla sua vita? Lusingato? Imbarazzato? Furioso?
Il ragazzo, tuttavia, non sembrava volergli dare il tempo di riflettere.
«Mago erborista, questa risulta essere la sua
qualifica» continuò infatti. «Esperienza
pluriennale in questa bottega, tutti i suoi clienti parlano bene di
lei. Se non fosse per quell’unico, piccolo
dettaglio.»
Reiji si sentì gelare sul posto.
«Non c’avrei neppure fatto caso se non fosse
esattamente ciò che stavo cercando. Che diavolo ci fa un
mago erborista con un testo di rune antiche sulla negromanzia? Ho fatto
finta di bermi la sua scusa, l’altro giorno, ma sia io che
lei sappiamo che certe rune sono incomprensibili per dei maghi
comuni.»
«Mi piace tenermi informato su vari argomenti, tutto
qui» s’affrettò a giustificarsi Reiji.
«Crede che non sappia niente di quella storia di
quarant’anni fa?»
Silenzio. Un altro tuono squarcia l’aria.
Reiji sente un moto di panico montargli dentro, mentre un mare di
domande gli affollano la testa. Chi era quel ragazzo? Come faceva a
sapere tutte quelle cose su di lui?
«Che cosa vuoi da me, ragazzo?» gli domanda Reiji,
infastidito.
Il giovane dagli occhi rossi ghigna, vittorioso, come se avesse appena
intascato un milione di monete d’oro. «Non ha idea
di chi io sia, eh?»
Un nuovo tuono riempì l’aria, e a esso seguirono
dei rumori curiosi. Quello che sembrava un fruscio di stoffe e poi,
poco dopo, scricchiolii di legno.
Reiji fissò dubbioso il bancone, finché, poco
dopo, non vide spuntare sopra di esso la figura sinuosa di un gatto
nero. Sembrava elegante e raffinato, proprio come il suo padrone.
Peccato che Lok non sembrasse gradirlo particolarmente.
Il famiglio di Kageyama, infatti, iniziò a gracchiare
infastidito in direzione del gatto che, di rimando, si mise in
posizione di difesa, guardingo, soffiando e fissando con astio il corvo.
«Aëir…!»
il giovane dagli occhi rossi si lasciò sfuggire un mugolio
di disapprovazione nei confronti del suo famiglio, afferrandolo di peso
e prendendolo in braccio.
«Lok, no!» gli fece eco Kageyama, cercando di
tenere a bada il corvo – con l’unico risultato di
finire per essere il bersaglio dei suoi attacchi, rimediando diverse
beccate sul capo.
Il ragazzo si limitò ad osservare la scena, non senza un
leggero sorriso sul volto. Aëir s’era accoccolato
tra le sue braccia, e ora aveva ripreso a fare le fusa, mansuetamente.
Poco dopo, Kageyama si voltò non appena la voce del ragazzo
gli giunse alle orecchie.
«Credo che io e lei abbiamo diverse cose di cui parlare,
Kageyama-san.»
Non era strano per Reiji appendere il cartello che indicava la chiusura
del locale prima dell’orario a cui genericamente
corrispondeva. Capitavano spesso giornate vuote di clienti come quella,
e il diluvio là fuori di certo contribuiva a quella
situazione.
Il proprietario della bottega era seduto a terra, dietro al bancone, e
stava ancora cercando di riprendersi dalle beccate del suo famiglio. Il
suo unico cliente di giornata, invece, era ancora lì con
lui. Era stato lui ad esporre il cartello della chiusura al pubblico,
non prima d’aver messo a scaldare l’acqua per il
tè nel bollitore con un semplice gesto della mano. Ah,
quante incredibili cose era in grado di compiere la magia.
Lok s’era ritirato di nuovo sul suo trespolo dorato. Guardava
ogni cosa con sospetto, e di tanto in tanto si lasciava sfuggire un
gracchio infastidito. Aëir, dal canto suo, seguiva il proprio
padrone come un ombra, senza mai staccarsi da lui. Gli camminava tra le
gambe e il ragazzo non sembrava per niente in difficoltà,
probabilmente ormai ci aveva fatto l’abitudine, strofinava il
capo contro il suo stinco e si lasciava sfuggire fusa a profusione.
Sembrava il gatto più tenero e innocuo del mondo, ma Lok non
pareva dello stesso avviso, visto che stentava ancora a calmarsi.
Il bollitore prese a fischiare e, in un battito di ciglia, il ragazzo
lo fece sollevare dalla stufa su cui l’aveva messo a scaldare
con un semplice movimento del dito. L’acqua calda
colò in delle tazze, in cui era già stato
predisposta sempre dal giovane cliente la miscela per
l’infuso. Il ragazzo s’incamminò verso
il retro del bancone, e le due tazze lo seguirono in volo, come dotate
di vita propria, mentre l’acqua al loro interno si mesceva da
sola assieme alla polvere di tè.
Reiji lo sentì accomodarsi accanto a lui. La loro magia
riprese a liberare nell’aria scintille, proprio come prima,
durante il temporale, assieme ai tuoni. Kageyama si vide la tazza di
tè caldo volargli direttamente tra le mani.
«Un mago qualunque non sarebbe in grado di fare una cosa del
genere» commentò, piuttosto sconvolto.
«Oh, andiamo, chiunque saprebbe preparare un buon
tè…» cercò di replicare il
ragazzo.
«Lo sai che non è al tè che mi
riferisco» lo interruppe Reiji. «O
meglio… mi riferisco anche
a quello, in realtà, diciamo però che non era
ciò su cui mi ero maggiormente concentrato.»
Il ragazzo inclinò il capo di lato, come a volergli
domandare “e allora a che cosa?”, ma non ci fu
realmente bisogno di esplicitare le sue parole. Era come se fossero
già lì, sospese nell’aria tra loro, e a
Kageyama sembrava di riuscirle a sentire nitidamente.
«La tua aura» si affrettò a spiegare
Kageyama. «È incredibilmente potente, per un
ragazzo giovane quanto te. Riguardo al tè,
invece… un mago comune non sprecherebbe tante energie per
prepararlo. La magia è preziosa, ma stancante. Se la si usa
troppo a lungo, si finisce per restare a corto di forze. E poi ci
sarebbe anche un’altra cosa…»
«I cristalli di tenebra» concluse il ragazzo, come
leggendogli nella mente. «Può dirlo, sa? Non
c’è problema.»
«Io…» Reiji esita ancora per un momento.
«Non mi è mai capitato di venderne uno in
vent’anni di attività. Inoltre, di solito si
adoperano per…»
«Rituali di magia nera. Lo so.»
Calò di nuovo il silenzio. Aëir prese a strusciarsi
contro il fianco del ragazzo, prendendo a fare le fusa non appena lo
stregone le accarezzò il capo.
«Avevi ragione, prima»
«Mh?» Il ragazzo voltò la testa di
scatto, sorpreso.
«Quando hai detto che non avevo idea di chi tu fossi.
È vero, è così. Non ce
l’ho» si ritrovò ad ammettere Kageyama,
quasi deluso da se stesso.
Il giovane sogghignò. «Lo sospettavo»
commentò. «In realtà mi ha fatto
piacere. Di solito dovunque io vada sono preceduto dalla mia
fama… ma personalmente non la chiamerei così.
È più una gravosa nomea.»
Kageyama si ritrovò ad aggrottare le sopracciglia.
«A che… ti riferisci?»
domandò, confuso.
Il ragazzo alzò lo sguardo al cielo. «Un bambino
così potente da non riuscire a controllare la sua energia
magica. Un sinistro incidente, in cui persero la vita una coppia di
giovani sposi. La casa in cui abitavano fu completamente distrutta da
un’esplosione di forza inaudita. Fu trovato un unico
superstite, tra le macerie, nel bel mezzo di quel disastro»
conclude, un velo di tristezza che, man mano che va avanti con quel
racconto, scende sempre di più sul suo sguardo.
D’improvviso Kageyama comprese. Tutti i pezzi
s’incastrarono e, davanti ai suoi occhi, compare un quadro
ben più chiaro di tutta quella situazione.
«Kidou Yuuto» mormorò, esterrefatto.
Il giovane stregone inclinò la testa di lato, rivolgendogli
un sorriso mesto. «Ci è arrivato,
finalmente.»
Se avesse chiesto a qualunque mago in circolazione quale fosse lo
stregone più potente al mondo, Kageyama non avrebbe ricevuto
risposta differente dal nome di Kidou Yuuto. Tutti conoscevano la
storia del bambino sopravvissuto al disastro di Yokohama, ma il resto
della sua vita era avvolta nel mistero. Dopo la morte improvvisa dei
suoi genitori, il bambino ancora piccolissimo – non aveva
più di sei anni – era stato preso in un
orfanotrofio, dal quale era scappato quattro anni dopo, senza lasciare
dietro di sé alcuna traccia. Ogni tanto qualcuno diceva di
averlo avvistato presso il mercato magico di Damasco, oppure in quello
di Samarcanda. Non si sapeva mai quale fossero le informazioni vere e
quali quelle false, ma ogni dettaglio in quella vicenda era velato da
un alone di mistero, il che rendeva il tutto decisamente più
avvincente. Un piccolo brivido sorgeva al pensiero che tutti i luoghi
in cui qualcuno diceva d’averlo scorto fossero covi
potentissimi di magia nera.
Che c’entrava quel ragazzo con un potere tanto oscuro?
Le storie su di lui non mancavano di certo. Si diceva che avesse vagato
a lungo per l’est europeo e che addirittura, più
di una volta, si fosse scontrato con delle pericolosissime creature
magiche, uscendone sempre vincitore. Col tempo doveva essere diventato
in grado di controllare il suo enorme potere, senza ombra di dubbio.
Anche il suo aspetto, come in ogni leggenda che si rispetti, era
incerto. Ora che ce l’aveva davanti, tuttavia, Kageyama non
avrebbe esitato a descriverlo come meraviglioso. Aveva un profilo
regale, maestoso, e ogni particolare in lui gridava nobiltà,
partendo dagli occhi rossi come fiamme fino ad arrivare alla carnagione
candida come la neve. Un principe, di certo. I suoi occhi erano uno
degli argomenti più discussi: alcuni non avevano indugiato a
discriminarlo, chiamandolo “figlio del demonio”.
Reiji non aveva dubitato nemmeno per un momento di quelle parole. Era
impossibile, dopotutto: nessun altro stregone al mondo avrebbe potuto
avere un’aura tanto potente.
«Credevo ti trovassi nei Balcani» ammise Kageyama,
in un sussurro.
«Beh… ero lì, in effetti. Sono
rientrato da poco perché avevo bisogno di alcuni artefatti
che potevo trovare solo qui in Giappone. Ero nella periferia di Tokyo
quando ho sentito parlare per la prima volta della sua bottega,
così mi sono incuriosito e ho deciso di passare di
qui» spiegò Yuuto. «Credo sia stata la
decisione migliore della mia vita.»
«Prego?» domandò Kageyama, incredulo.
«Ha capito benissimo» si affrettò a
rassicurarlo Kidou. «Ha una vaga idea di quanto sia difficile
trovare un negromante ai giorni
nostri?»
Kageyama si strozzò con il tè.
«Non… non credo di aver capito
bene…»
«Vuole farmi credere di avere problemi d’udito solo
quando le fa comodo o cosa?» Yuuto fece roteare gli occhi,
spazientito. «Il libro di rune sulla negromanzia. Gli
artefatti oscuri che vende nel suo negozio. Infine, quella storia su
suo padre risalente a quarant’anni fa…»
«Lascia mio padre fuori dalla discussione, ragazzo»
tagliò corto Reiji, in un sibilo.
«Sì, ma… era un negromante, no? Di
sicuro anche lei
saprà…»
«No. Scordatelo. Sono un mago erborista, l’hai
detto tu stesso.»
«Ma…»
Kageyama s’alzò in fretta in piedi,
d’improvviso stanco di tutta quella stuazione.
C’erano cose di cui non parlava mai volentieri, e il suo
passato era chiaramente una di queste. «Fine della
conversazione, ragazzo» decretò, irremovibile.
Yuuto non s’oppose in alcun modo. Si limitò ad
alzarsi a sua volta. Aëir, che nel mentre s’era
accoccolata di nuovo tra le sue braccia, sembrò rivolgergli
uno sguardo torvo, soffiando da sotto il mantello del suo padrone.
Dal trespolo, Lok gracchiò rabbioso.
Kageyama s’aspettava che da un momento all’altro
sarebbe scoppiato un putiferio – dopotutto, Yuuto sarebbe
stato in grado d’incenerirlo con un solo sguardo, ne era
certo. Invece, non successe nulla.
Kidou prese la strada della porta senza rivolgergli la parola. Lok
ricominciò a gracchiare sempre con maggiore foga, ma
Aëir non gli rispose in alcun modo, né Yuuto si
voltò o indugiò nemmeno per un secondo. Un attimo
dopo erano in strada, e non appena la porta si chiuse i due sparirono
di nuovo nel nulla.
In quel momento, Kageyama avrebbe voluto provare solo rabbia. Invece,
una voragine di solitudine s’era già aperta dentro
di lui.
▬
note
Ed
ecco qui anche il secondo capitolo!
Oggi la scelta del prompt era tra famiglio e demone, e io ho optato per
il primo. Lok e Aëir
sono nomi completamente inventati da me, ma mi piace immaginare che
nella lingua della magia della storia significhino rispettivamente
tenebra e sogno. Rispecchierebbero in pieno le personalità
dei due maghi, inoltre anche la loro natura mi sembra –
almeno secondo il mio gusto personale –
adattarsi bene ai personaggi. Un gatto dai modi eleganti per Yuuto, e
un corvo decisamente bisbetico per Kageyama. Sì, Lok
è il comic relief di questa storia, lo amo.
Venendo al capitolo vero e proprio, finalmente abbiamo svelato il
misterioso –
neanche tanto –
cliente del capitolo precedente. Sì, si trattava di Yuuto,
ma dubito ci fossero molti dubbi in merito sta anche nella lista
dei personaggi della long, voglio dire
Anche in questa storia il passato del mio amato Kidou, proprio come
nell'anime, non è affatto rosa e fiori. Una volta risolto il
mistero sul suo conto, tuttavia, se ne apre un altro, riguardante
Kageyama questa volta. Questa storia non è nata per lasciare
il lettore tranquillo, lo ammetto.
Per sapere cosa sta nascondendo Reiji vi toccherà aspettare
qualche giorno in più, ve lo dico!
Per oggi credo di avervi detto tutto. Qualora notaste qualche errore –
le mie preoccupazioni riguardano principalmente i tempi verbali non sono abituata a
scrivere al passato, rip e il passaggio dal lei al tu nei
confronti di Kageyama deve
rimanere tutto invariato fino a un determinato punto della storia
–
non esitate a farmelo notare!
Spero che la storia vi stia piacendo, ci vediamo domani!
Aria
|
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Capitolo 3 *** Researches ***
Le giornate d’autunno trascorrevano con estrema lentezza.
Kageyama, dalla vetrina della bottega, passava il tempo ad osservare le
foglie degli aceri giapponesi cadere dai loro alberi e affollare i
cigli del viale e a prepararsi tazze su tazze di tè. Il
momento più esaltante della giornata era quando si ritrovava
ad imbustare semi per i rari clienti che passavano in locale, ma negli
ultimi dieci giorni solo un paio di maghi avevano avuto
l’ardire di addentrarsi nel nugolo di vicoli secondari di
Akihabara dove si trovava la bottega.
In effetti, il tempo non era stato dei migliori: il cielo era sempre
grigio e un vento gelido soffiava di continuo, come se
un’enorme tempesta fosse in procinto di abbattersi sulla zona
da un momento all’altro.
Era un clima strano, innaturale. Il modo in cui le nubi erano
condensate nel cielo faceva sospettare che ci fosse un incantesimo
dietro a tutto ciò. Inoltre, Lok continuava ad essere
irrequieto da giorni, come se anche lui percepisse che qualcosa non
stava funzionando nel modo corretto.
O forse, semplicemente, aveva avvertito nell’aria il malumore
del suo padrone.
Kageyama, infatti, non era riuscito a togliersi dalla testa
l’ultimo incontro tra lui e Yuuto. Si sentiva un mostro, non
avrebbe dovuto rispondere in un modo tanto sgarbato al mago
più potente in circolazione. Perché, poi? Reiji
conosceva bene la risposta a quella domanda, sebbene continuasse a
negarla a se stesso.
Detestava parlare di suo padre. L’idea di riportare a galla
ricordi che credeva ormai sepolti da tempo lo urtava oltremodo.
Stava mentendo a se stesso ancora una volta, però, lo sapeva
bene. Avrebbe voluto davvero essersi lasciato alle spalle quei ricordi,
eppure non c’era giorno in cui non lo tormentassero. La
visita di Yuuto non aveva fatto altro che riaprire una ferita mai
sanata, e se l’aveva allontanato dalla bottega era stato solo
per cercare di non pensarci, salvo poi ottenere l’effetto
opposto.
Non aveva proprio modo di sfuggire al proprio passato, eh?
Non avrebbe dovuto cacciare il ragazzo. Per qualche buffa ragione, la
compagnia che quel giovane era riuscito ad offrirgli nei pochi momenti
che avevano trascorso insieme l’aveva rinfrancato. Forse
trascorrere tutti quegli anni in completa solitudine non era stata poi
una scelta così brillante.
Dopo l’incidente, Kageyama non ricordava d’aver
avuto accanto mai nessuno, se non le sporadiche visite dei suoi clienti
e il petulante gracchiare di Lok. Incontrare Yuuto, invece, era stato
come scoprire un mondo nuovo, o tornare a vedere i colori dopo molto
tempo in cui la realtà era stata solo in bianco e nero. Era
venuto a conoscenza di sensazioni che non avrebbe mai immaginato
esistere, aveva scoperto che il peso di un vuoto o di un silenzio era
più facile da colmare se si era in due.
Adesso, però, era tutto finito.
Era calata la sera, e Kageyama stava aggiornando il suo vecchio
inventario. Avrebbe dovuto ordinare delle nuove piume di corvo dal
fornitore di Tel Aviv da cui era solito approvvigionarsi, e
apparentemente intuendo i suoi pensieri Lok si lasciò
sfuggire un verso più stridulo del solito.
Pennuto malefico.
La campanella sopra la porta del negozio trillò. Reiji non
ci diede troppo peso, ritrovandosi a sbuffare. Strano, eppure era certo
d’aver già esposto il cartello di chiusura anche
quella sera.
«Siamo chiusi» borbottò, senza staccare
gli occhi dall’inventario.
«Lo so.»
Per un momento credette di esserselo sognato. Eppure era impossibile,
non avrebbe mai confuso quella voce così melliflua e
cristallina con nessun’altra al mondo.
Gli occhi di Kageyama schizzarono verso l’alto. Mentre la
porta si chiudeva, Kidou Yuuto era lì, immobile sulla soglia
d’ingresso del locale, perfettamente in ordine come al solito.
Camicia di seta verde giada, jeans neri, scarpe da ginnastica dalle
stesse sfumature della cenere. Sembrava così irreale, eppure
era lì, vero, in carne ed ossa. Senza l’imponente
mantello pareva mancargli qualcosa, tuttavia sarebbe stato impossibile
non adorarlo anche in quella versione più sobria.
«Yuuto…» si era ritrovato a mormorare
Kageyama, forse con fin troppa enfasi nella voce.
Il ragazzo aveva sorriso nella penombra della sera, prendendo a
scendere giù dai gradini lignei dell’ingresso.
«Kageyama» aveva replicato, senza distogliere le
iridi cremisi da quelle nere d’inchiostro di Reiji, ormai
reciprocamente incatenate in maniera irrimediabile. «Sembra
che abbia sofferto la mia mancanza.»
Reiji aveva deglutito a vuoto. «È così,
a dir la verità» s’era ritrovato ad
ammettere. «Dopo l’ultima volta temevo che non
volessi più avere niente a che fare con
me…»
Yuuto sorrise di nuovo ed espirò, quasi come trovando del
sarcasmo nelle parole di Kageyama. Aveva ormai raggiunto il bancone.
«Perché avrei dovuto?» gli
domandò. Sembrava non riuscire sul serio a comprendere le
ragioni di Reiji.
«Non sono stato cortese con te la volta scorsa»
Kageyama abbassò lo sguardo in fretta –
perché non riusciva a non sentirsi colpevole, sotto lgli
occhi attenti e rubizzi di Yuuto? «Perdonami, non avrei
dovuto rivolgerti quel tono…»
«Non fa niente» lo interruppe Yuuto, perentorio.
Pareva aver già rimosso quella mezza discussione con cui
avevano terminato la loro ultima discussione. «È
acqua passata, sul serio. Non mi sarei neppure dovuto permettere di
tirare fuori un argomento del genere, dopotutto ci conosciamo da fin
troppo poco tempo.»
Reiji tornò ad osservare il ragazzo, questa volta con
espressione confusa.
«Allora… perché sei qui?» gli
chiese, senza veramente riuscire a vedere dove Yuuto volesse arrivare.
A quella domanda, il sorriso sul volto di Yuuto parve ampliarsi.
«È vero, lei è un mago
erborista» aveva replicato, facendo riferimento alla frase
con cui Reiji aveva chiuso il discorso, durante la loro ultima
conversazione. «Però ho come
l’impressione che abbia conservato da qualche parte alcuni
libri di negromanzia. Ci ho visto giusto?»
Dannazione.
Avrebbe dovuto saperlo. Si sarebbe dovuto liberare di quei manuali
molto tempo prima, quando ne aveva avuto la possibilità.
Invece no, li aveva tenuti, considerandoli un ricordo caro che non era
pronto a lasciare andare. Stupidi sentimentalismi.
Reiji eluse la domanda, e per Yuuto quella fu una risposta fin troppo
eloquente.
«La negromanzia è una strada pericolosa,
Yuuto» lo redarguì. «È meglio
lasciar riposare chi non c’è più.
Nessuno scende a patti con la morte senza rischiare qualcosa di
grosso.»
«E se il rischio fosse minore del previsto?»
Quelle parole fecero voltare Kageyama di scatto verso il ragazzo.
«Se non si dovessero andare necessariamente a scomodare i
morti… se ci fosse il modo di richiamare qualcuno che
è rimasto bloccato tra due mondi…»
Kageyama non riusciva a comprendere. Qualcuno bloccato tra il mondo dei
vivi e quello dei morti? Come poteva essere possibile?
«Che… che condizione sarebbe mai
questa?» chiese Reiji, incredulo.
Yuuto puntellò un gomito sul bancone.
«Un’esplosione di magia pura è diversa
da un incantesimo, no? La prima è energia latente, allo
stato più primordiale e incontaminato della sua forma. La
seconda è veicolata, una pietra non più grezza,
ma raffinata. In questo caso non hai vie d’uscita,
perché la magia sgorga fuori attraverso una modulazione,
della voce o delle mani che sia. Ma una magia incontrollata…
no, è tutt’altra cosa. A questo punto…
se non c’è stato un vero e proprio incantesimo, se
dietro la magia non c’era un’intenzione…
allora, in teoria, è possibile che non abbia avuto un
effetto vero e proprio, giusto?»
Follia. Quella era una follia vera e propria, senza ombra di dubbio.
Kageyama iniziava a comprendere cosa Yuuto desiderasse davvero, e
questo lo spaventava tremendamente. Perché rivedeva in lui
la stessa disperazione di suo padre, e sapeva bene a cosa avesse
portato quest’ultima. Certi desideri sembrano ricoperti da
una patina dorata, poi, però, se li si osserva da una
distanza ravvicinata, scopri che in realtà sono marci, e che
ti stanno logorando dall’interno. Rischiano di farti
impazzire, di portarti a compiere gesti insensati.
Era quello che era successo a suo padre. Era quello che, probabilmente,
stava capitando anche a Yuuto.
«Yuuto…»
«La prego» l’aveva supplicato il ragazzo.
«Tecnicamente ho ragione, non è vero?»
Reiji sospirò pesantemente. Sì, probabilmente
c’era la possibilità di aggirare la morte.
L’aura di Yuuto era la più potente che conoscesse,
non aveva mai incontrato uno stregone forte quanto lui. Inoltre, se
l’avesse tenuto d’occhio probabilmente avrebbe
potuto impedire che quel desiderio lo divorasse. Avrebbe potuto
salvarlo, sarebbe riuscito in ciò in cui aveva fallito con
suo padre.
E poi era anche una buona occasione per averlo al suo fianco. Gli era
mancato terribilmente, non aveva mai mentito a se stesso in merito.
Reiji chiude gli occhi. Sarebbe stato difficile, sarebbe stato
pericoloso. Sapeva che, in buona parte, la risposta che stava per
dargli conteneva un’abbondante dose di egoismo, ma non poteva
farci niente.
«E va bene» cedette infine. «Che cosa
vuoi da me, ragazzo?»
Yuuto aveva sogghignato, vittorioso. «Potrei cominciare dando
uno sguardo a quei famosi libri?»
Il fuoco avvolse le torce dello scantinato, che illuminarono il pelo
lustro e nero di Aëir.
Erano quattro fiaccole, piazzate ai rispettivi angoli della stanza
principale. Ampia, calda, accogliente. Le fiamme conferivano una
sfumatura simile a quella d’un tramonto infuocato alle pareti
violacce, mentre ogni mobile era rimasto esattamente nella posizione in
cui Kageyama ricordava di averlo lasciato l’ultima volta in
cui era sceso lì. Le poltrone e il divano in pelle dello
stesso colore della terracotta al centro della stanza, resi morbidi e
lisi dal tempo e dall’usura, il grande tappeto verde e ovale
sotto di essi, infeltrito e pieno di polvere. Le librerie erano cinque,
una lunga appoggiata alla parete davanti a loro, due poste ciascuna sul
rispettivo lato corto di quel locale dalla pianta rettangolare, e le
ultime due premevano proprio contro il muro a cui erano più
vicini in quel momento, divise solamente dalla fenditura
dell’ingresso. Reiji andava particolarmente fiero del suo
assortimento di manuali, curato nel corso degli anni.
Alla loro sinistra c’era anche una piccola scrivania,
anch’essa ricolma di volumi e sulla quale compariva perfino
un mappamondo dalle sembianze antichissime. Nell’angolo
più lontano rispetto a dove si trovavano adesso, invece,
spiccava la presenza di un leggio dorato, all’estrema destra.
Lok volò a posarcisi sopra.
«Non me la immaginavo così grande»
ammise Yuuto, muovendo qualche passo in avanti all’interno
della stanza. Reiji rimase immobile sulla soglia, intento ad osservarlo
attentamente.
Kidou sembrava perfettamente a suo agio all’interno di quello
scenario. Aëir, come al solito, lo seguiva come
un’ombra, incapace di allontanarsi più del dovuto
da lui. Il suo padrone l’aveva portato in braccio
giù per le scale che conducevano allo scantinato, e lui
s’era lasciato trasportare con compiacenza, in una profusione
di fusa. Le scale, in effetti, non erano ridotte meglio della stanza in
cui si trovavano ora: l’umidità aveva invaso
entrambi gli ambienti e, nel caso specifico della scalinata, i gradini
erano diventati umidi e scivolosi, pressoché impercorribili.
Alcuni rischiavano perfino di cedere da un momento
all’altro… era un miracolo che fossero arrivati
lì tutti interi.
Il famiglio di Yuuto si lasciò cadere sul tappeto,
rotolandosi su di esso. Inevitabilmente, una nuvola di polvere
s’alzò nell’aria.
«Dovrei dare una risistemata…»
constatò Reiji, sconsolato.
Yuuto, dal canto suo, non sembrava altrettanto preoccupato. Si
voltò verso Kageyama con un’espressione
interrogativa e, un secondo dopo, schioccò le dita.
In un istante, una forte folata di vento si alzò nella
stanza. Reiji chiuse gli occhi, Aëir conficcò gli
artigli nel tappeto per non farsi spazzare via e Lok cercò
di dominare in volo quella corrente improvvisa come meglio poteva. Non
appena la raffica sembrò essersi placata, Reiji
provò a sollevare cautamente le palpebre.
Come immaginava, buona parte della polvere sembrava essersi
volatilizzata nel nulla.
«Bene» commentò Yuuto, facendo per
prendere posto su una delle poltrone. «E anche questa
l’abbiamo sistemata.»
Kageyama avrebbe voluto borbottare qualcosa sul fatto che se ne sarebbe
potuto occupare benissimo da solo, tuttavia decise di trattenersi:
aveva appena avuto la conferma di quanto i poteri di Yuuto fossero
straordinari, e gli aveva dato una mano non indifferente. E oh,
andiamo, meglio non rischiare per una volta di venire fulminati, no?
Yuuto stava giusto per sedersi, quando finì per urtare una
sfera di cristallo poggiata sul basso tavolino. Il ragazzo
l’afferrò appena in tempo, un momento prima che
potesse infrangersi a terra, restando per qualche secondo incantato ad
osservare le sfumature violette del cristallo.
Kageyama evitò di farglielo notare.
«Dunque» Reiji mosse un dito in direzione di una
delle librerie, e subito alcuni tomi s’alzarono in volo,
dirigendosi verso il tavolino posto in mezzo alle poltrone.
«Come saprai, la negromanzia fa parte di quell’area
della magia che viene identificata con il termine di magia nera…»
«Oh, ho un professore tutto per me?»
commentò Yuuto, malizioso.
Reiji si voltò nella direzione del ragazzo. C’era
qualcosa di strano nel suo tono di voce. Stava forse… flirtando con lui?
Reiji decise di non darci troppo peso. Mosse di nuovo la mano, facendo
aprire uno dei volumi accanto a Yuuto. Una porta in fondo alla stanza,
inoltre, si spalancò, e una lavagna corse nella loro
direzione.
«Ci sono un mare di incantesimi che si possono
pronunciare» continuò Kageyama. «Per il
tipo di rituale che ci interessa, sarà anzitutto
fondamentale studiare il tipo di cerchio di sale che dovremo
disegnare…»
Reiji iniziò ad abbozzare sulla lavagna alcune linee
accennate con un gessetto, studiando un possibile progetto per il
cerchio. La voce di Yuuto, tuttavia, lo interruppe nuovamente.
«Professore,
dove posso prendere qualche appunto?» chiese, la voce di
nuovo leziosa.
Kageyama inclinò la testa nella sua direzione. «I
libri di mio padre sono pieni di appunti» ammise.
«Era solito segnarsi formule, annotazioni sulle migliorie per
i rituali praticamente in qualunque angolo di quel manuale…
puoi farlo anche tu, se vuoi.»
Era strano parlare di Tougo così spontaneamente. Reiji non
ricordava neppure più l’ultima volta in cui
l’aveva fatto.
Yuuto gli rivolse un nuovo sorriso, questa volta di una dolcezza
sorprendente.
«Grazie» mormorò.
Kageyama non sapeva quanto tempo fosse passato da quando aveva sentito
il cuore riempirsi di un tale calore.
Tornò a voltarsi verso la lavagna, cercando di annegare quei
sentimenti che tentavano di riemergere.
«La negromanzia è, notoriamente, la branca
più oscura e pericolosa della magia nera. Qualche anno fa la
comunità magica l’ha praticamente messa al bando,
redarguendo tutti i maghi più deboli dal praticarla. Le
anime hanno una forte avvenenza, riescono a convincerti di cose per
cui, da solo, non opteresti mai. Resistere a quelle tentazioni
è quasi impossibile, ecco perché è
bene che chi non ha abbastanza potere se ne tenga a distanza»
spiegò Reiji. Finì di scrivere la parola
“pericolo”, marcandola con particolare enfasi, e
lasciò cadere la mano con il gessetto verso il basso.
«Uno dei tanti motivi per cui ho sempre cercato di tenermene
a distanza.»
«Sul serio?» mormorò Yuuto alle sue
spalle.
Reiji si voltò nella sua direzione.
«Perché la cosa ti stupisce tanto,
ragazzo?» chiese, incapace di trovare da solo una risposta a
quella domanda.
«Beh» Yuuto si strinse nelle spalle. «Ha
detto che la mia aura è molto forte…
però secondo me sottovaluta la sua. È
più potente di quello che crede, sa?»
Reiji roteò gli occhi, una risposta più che
eloquente. No, non ci credeva, e forse non c’avrebbe mai
creduto. Fece per voltarsi nuovamente verso la lavagna, tuttavia la
voce di Yuuto, quel canto di sirena a cui finiva per cedere ogni volta,
lo attirò nuovamente.
«Comunque se la cava meglio di quanto voglia ammettere con la
magia nera» gli fece notare infatti, questa volta senza alcun
tipo di malizia nella voce, come se si stesse limitando a constatare un
dato di fatto.
Ormai Kageyama era totalmente abituato alla sua quotidianità
che quasi se n’era dimenticato. Aveva studiato per diventare
un mago erborista proprio perché gli sembrava la cosa quanto
più lontana possibile dalla negromanzia. Voleva tenersi alla
larga da ciò che era stata la causa di tutti i suoi mali.
Yuuto, però, ce lo stava facendo riavvicinare. E la cosa
spaventava Reiji, non tanto per se stesso quanto per il ragazzo: ormai
temeva di avere una specie di maledizione addosso, della serie che ogni
volta in cui s’avvicinava – suo malgrado
– alla magia che suo padre aveva praticato, finiva per
perdere qualcuno a cui teneva.
Era per questo che non avrebbe voluto far conoscere a Yuuto quei
rituali. La magia nera
esige sempre un pegno, ma Kageyama non era pronto ad
offrirne uno, né voleva che una cosa del genere accadesse a
Yuuto. Tuttavia, se aveva intuito almeno un poco come quel ragazzo era
fatto, Kageyama avrebbe scommesso tutte le scarse ricchezze di cui era
in possesso sul fatto che avrebbe girato per l’intero globo
terrestre pur di trovare un altro negromante che l’aiutasse
nel suo proposito. E avrebbe potuto trovare qualcuno che non nutriva
alcun interesse per lui, che l’avrebbe buttato in mezzo a un
cerchio di sale senza provare minimamente ad aiutarlo davvero,
lasciandolo da solo e impreparato in pasto alle anime.
Per il bene del ragazzo non poteva permettere che una cosa del genere
accadesse. Reiji cercava di convincersene, che quello fosse solo un
atto di buon cuore e nulla di più, ma i suoi sforzi non
producevano molti effetti.
«La verità è che per un periodo della
mia vita ho avuto una buona familiarità con la
negromanzia» ammise, tornando ad osservare Yuuto.
«Finché mio padre era ancora in vita avevo perfino
cominciato a studiarla, nonostante la disapprovazione di mia madre.
Poi, dopo l’incidente, non ho più voluto averne a
che fare.»
E invece eccoti di nuovo
qui, si prese beffa di lui la vocina subdola nella sua
testa.
Solo per il ragazzo,
ribatté Reiji, sebbene senza troppa convinzione.
Kageyama si lasciò sfuggire un colpo di tosse, cercando di
ricacciare i ricordi che prepotenti cercavano ora di risalirgli alla
mente, e di concentrarsi piuttosto su quanto aveva segnato alla lavagna.
Aveva pur sempre una
lezione da portare avanti.
«L’incantesimo, come al solito, viene formulato in
latino e varia di caso in caso…»
▬
note
Okay,
oggi ci ho messo un po' di più perché ho deciso
di controllare in maniera più scrupolosa il testo. Ieri
stavo rileggendo il testo dei due aggiornamenti che avevo
già caricato online e m'è presa una sincope
notando che c'erano diversi errori sparsi qua e là. Ho
già provveduto a correggere quelli più evidenti,
però ammetto che sono tipo alla terza o quarta rilettura e
vedere che continua sempre a skpparmi qualcosa mi secca un po'. Rip me
e il mio essere fallibile.
Parliamo di questo capitolo, che finora credo sia il più
lungo di quelli già postati e, tra l'altro, al suo interno
succedono un sacco di cose importanti. Reiji ha deciso di aiutare
Yuuto, plot twist!
Oddio, diciamo che lo è parzialmente, un plot twist,
perché comunque immagino che si potesse prevedere che
sarebbe andata così voglio dire,
altrimenti non ci sarebbe stato modo di far procedere la trama, no? O
almeno, io non lo vedo--
In ogni caso! Oggi la scelta dei prompt era tra magia bianca e magia
nera, e penso sia evidente che abbia optato per quest'ultima. Uh,
è così bello vedere Kageyama calato in questa
dimensione, paradossalmente ce lo trovo molto a suo agio.
Come dicevo, questo è stato un capitolo alquanto denso. Il
prossimo sarà un po' più di passaggio, ma i
successivi... oh, aspettatevi delle vere e proprie montagne russe di
emozioni!
Bene, credo di essere a posto anche con le note di oggi. Ci vediamo
domani, e grazie a chi ha inserito la storia tra le seguite ♡
Aria
|
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Capitolo 4 *** Fears ***
Da quel momento in poi, fu come se avessero stabilito una tacita
consuetudine.
Yuuto arrivava sempre nel primo pomeriggio, sorprendendo un Kageyama
drammaticamente solo, intento a spazzare via la polvere dalle assi di
legno del pavimento o a sistemare qualche barattolo di occhi di troll
su uno scaffale. A volte Reiji si chiedeva ancora perché
avesse deciso di tenere quei bulbi in vasi di vetro trasparente. Mentre
lavorava aveva sempre la percezione che qualcuno lo stesse osservando,
ma in realtà non c’era nessuno se non quegli occhi
che, di tanto in tanto, si muovevano perfino un po’.
In ogni caso, nell’esatto istante in cui vedeva entrare il
ragazzo, non esitava ad esporre il cartello che annunciava che, ancora
una volta, il locale era chiuso al pubblico. Dopodiché,
scendevano assieme nello scantinato.
Stavano lavorando su due fronti diversi. Reiji si adoperava per trovare
il cerchio di sale migliore, mentre Yuuto studiava con estrema
concentrazione gli incantesimi. Kageyama aveva cercato di replicare
diverse volte che sarebbe stato meglio se fosse entrato lui
all’interno del cerchio, Yuuto però era stato
irremovibile: a suo avviso, infatti, doveva essere lui a pronunciare
l’incantesimo. Erano i suoi cari che stava cercando di
richiamare indietro, non quelli di Reiji. E poi tra i due era pur
sempre Yuuto lo stregone più potente.
Così, l’unica cosa che il ragazzo gli aveva
delegato era stato il cerchio. Reiji restava l’unico ad avere
un briciolo di esperienza di negromanzia, per cui, a detta di Yuuto gli
sarebbe dovuto riuscire più facile un compito come quello.
Almeno in teoria.
Reiji non poteva di certo negare, in effetti, che si sentisse sotto
pressione a causa di tutta quella situazione. Non aveva mai compiuto un
rituale, e se avesse sbagliato anche solo il più
microscopico dei dettagli… non aveva neanche il coraggio di
pensarci.
Ottobre era entrato da pochi giorni, ma aveva già portato
piogge abbondanti e temperature più rigide. Yuuto si strinse
le braccia attorno al corpo: quel giorno indossava un maglione bianco,
candido come la sua carnagione, eppure continuava a sentire freddo,
nonostante nel camino che la stanza ospitava la fiamma fosse accesa e
scoppiettante. Probabilmente avrebbe potuto riscaldarsi con la sua
magia, tuttavia Kageyama l’aveva messo in guardia: se davvero
avesse dovuto pronunciare lui l’incantesimo, allora era
necessario che conservasse le sue energie quanto più
possibile.
L’unica cosa su cui si erano trovati d’accordo era
stato quando svolgere il rituale. Non avevano avuto molti dubbi:
Samhain si avvicinava sempre più, e sarebbe stata
un’occasione irripetibile. Mai in nessun’altra
giornata dell’anno, infatti, il velo era tanto sottile.
Il velo non era un argomento di facile comprensione. Tecnicamente era
una barriera metafisica, invisibile e intangibile, che separava il
mondo dei vivi da quello dei morti. Durante la notte di Samhain,
però, il velo sembrava calare, permettendo alle anime
defunte di tornare, almeno per una volta all’anno, sulla
terra.
Non esisteva momento più propizio di quello. Se davvero le
anime dei genitori di Yuuto erano intrappolate tra la terra e il mondo
dei morti, allora Samhain era l’unica occasione che avevano
per attirarle completamente da una delle due sponde.
Questo, tuttavia, metteva in moto un milione di variabili di cui
dovevano tenere conto. Per di più, avevano davvero
pochissimo tempo a disposizione.
Ciononostante, Reiji faticava davvero a restare concentrato,
soprattutto quel pomeriggio. Era una vera e propria tragedia,
considerando il pesante macigno che incombeva sopra di loro, pronto a
piombare giù da un momento all’altro.
Eppure non voleva proprio saperne di restare concentrato. Quel
pomeriggio aveva deciso di consultare i tarocchi, nella speranza di
ricevere qualche presagio incoraggiante sull’impresa che
s’apprestavano a compiere, tuttavia all’ennesimo
segno di morte e pericolo aveva gettato la spugna.
Non aveva bisogno di brutte notizie, in quel momento. Doveva essere
positivo, se desiderava che tutto andasse per il meglio, altrimenti non
avrebbe mai funzionato.
Reiji lasciò cadere la testa all’indietro, mentre
un lungo sospiro gli sfuggiva dalle labbra. C’era un altro
motivo per cui continuava a distrarsi così frequentemente,
lo sapeva fin troppo bene.
Ormai per lui stava diventando impossibile non pensare a Yuuto. Non si
perdeva neppure uno dei suoi movimenti, che ormai letteralmente beveva
con lo sguardo, e averlo sempre così a stretto contatto
rendeva le cose decisamente più difficili.
Si sentiva così mostruoso. Quel ragazzo era la prima persona
che entrava a far parte della sua vita dopo anni, eppure aveva
già sviluppato una sorta di dipendenza nei suoi confronti.
Quando la sera lo vedeva lasciare la bottega, sentiva un vuoto
opprimente montargli nel petto; al contrario, vederlo arrivare e
trascorrere del tempo assieme era quanto di più
elettrizzante Kageyama avesse provato negli ultimi
quarant’anni.
Ed era sbagliato, lo sapeva bene, soprattutto perché di
colpo i suoi cinquant’anni erano diventati impossibili da non
sentire. Non aveva mai creduto di essere vecchio, o stanco, e non lo
percepiva neppure adesso, poi però si voltava e incontrava
con lo sguardo il corpo giovane di Yuuto. Non poteva reggere in alcun
modo il confronto, e forse era anche giusto e naturale che fosse
così.
Il problema sorgeva nel momento in cui si ritrovava a pensare a
ciò che provava nei confronti di quel ragazzo. I suoi
sentimenti erano accresciuti giorno dopo giorno, era evidente, tuttavia
sapeva che non valevano più di fiori appassiti. Yuuto era
giovane, bello e intelligente, oltre che estremamente potente. Avrebbe
potuto avere letteralmente qualunque cosa avesse desiderato, e non
sarebbe stato di certo un burbero mago erborista di Akihabara a farlo
capitombolare, soprattutto se il mago in questione era un uomo di mezza
età di trent’anni più vecchio di lui,
senza alcun particolare talento e, perlomeno a suo avviso, per nulla
avvenente.
Sempre che fosse interessato agli uomini, poi.
Non voleva nemmeno illudersi per quelle frecciatine in numero sempre
crescente che Yuuto continuava a lanciargli o per i suoi sguardi che,
spesso, trovava ricambiati. Nel secondo caso si trattava sicuramente di
una casualità e, quanto al resto… non doveva
equivocare, punto. Probabilmente stava solo viaggiando troppo con la
fantasia.
Pessimo errore. Avrebbe dovuto concentrarsi unicamente sulle sue
ricerche, come se il tempo non fosse sempre meno, invece la sua mente
continuava a vagare…
No. Doveva aiutare Yuuto. Non poteva permettersi di abbassare la
guardia in un momento come quello.
Solo un’ultima
volta…
Ancora in un’occasione, aveva permesso al suo istinto di
avere la meglio. Pessima scelta, sul serio. Tuttavia Reiji non
s’oppose, e lasciò che il suo sguardo si posasse
di nuovo sulla figura di Yuuto.
Il ragazzo era seduto sul divano, un libro di negromanzia aperto in
grembo. Aveva passato tutto il pomeriggio a studiare su di esso, adesso
però la stanchezza che aveva accumulato in quei giorni
sembrava aver deciso di farsi di colpo sentire, e le sue palpebre
s’erano abbassate in un placido riposo.
Kageyama non sarebbe riuscito ad immaginare una scena più
tenera di quella.
Reiji s’alzò in piedi, muovendosi piano per non
fare rumore. Attraversò la stanza, sempre facendo attenzione
a non destare il ragazzo, fino a raggiungere la vecchia sedia, da
sempre collocata accanto alla scrivania. Come ricordava, lì
c’era una coperta di tweed ben ripiegata: quando ancora era
solito passare le notti a studiare nello scantinato, quella era stata
la sua fedele compagna.
Kageyama riprese la sua traversata, e stavolta
s’arrestò solo quando giunse davanti al divano.
Avvolse il corpo di Yuuto nella coperta pesante, sempre facendo ben
attenzione a non svegliarlo. Quando fu soddisfatto, si
sollevò dal corpo del ragazzo. Stava per allontanarsi, ma,
colto da un moto improvviso di tenerezza, accarezzò i
capelli del giovane, dreadlocks castani dorati raccolti in
un’intrigata acconciatura. Un sorriso gli spuntò
sul volto.
Non avrebbe mai potuto averlo, ma si sarebbe accontentato.
Avrebbe fatto qualsiasi
cosa pur di tenerlo al sicuro.
▬
note
Eccomi,
ci sono. Capitolo più breve dei precedenti, e in
realtà non succede nulla. Questa è la quiete
prima della tempesta, vi avviso.
Qualche ora fa mi ero scoraggiata un po' perché, rileggendo
il capitolo che ho postato ieri, mi ero imbattuta in degli errori.
Questo l'ho controllato, se possibile, ancor più,
però inizio a credere che dovrei dar ragione a chi mi dice
di non essere troppo dura con me stessa: ho buttato giù una
long di 16k+ parole in una settimana, forse ci sta che qualcosa, di
tanto in tanto, sfugga.
Oggi la scelta era tra tarocchi e ouija. Ho optato per il primo prompt,
però temo di averlo solamente accennato. Quello che mi
premeva qui era chiarire un attimo la situazione tra Kidou e Kageyama,
visto che sarà fondamentale ai fini della comprensione dei
capitoli successivi.
Tra l'altro quello di domani era il capitolo che attendevo di
più, quando dovevo scriverlo. Solo che, a fine stesura...
vbb, dai, non vi svelo niente. Lo scoprirete solo leggendo, lol.
Bene, non mi resta che ringraziare tutte quelle intrepide persone che
stanno seguendo questa storia. See
you tomorrow, I guess...?
Aria
|
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Capitolo 5 *** Idolatry ***
Mancava una settimana a Samhain.
I dettagli del rituale erano ormai definiti. Il cerchio non era
più una sagoma incerta e tremolante, bensì le sue
linee erano precise e ben definite – e così
dovevano essere, se volevano che tutto andasse per il meglio. Yuuto
aveva perso il conto delle volte in cui aveva letto e riletto le parole
dell’incantesimo. Ormai le sentiva marchiate nella sua mente,
e sul libro di negromanzia i suoi appunti rincorrevano quelli di Tougo.
Una sera, dopo che Yuuto aveva lasciato la bottega, Kageyama
s’era perso per qualche momento ad osservarli: la grafia di
suo padre era tozza e sghemba, quella di Yuuto, invece, sembrava della
stessa leggerezza di una nuvola, sottile e raffinata. Quel ragazzo non
riusciva a non eccellere in ogni cosa, o forse ormai lo sguardo di
Reiji non poteva evitare di essere filtrato da ciò che
provava per lui.
Da giorni non faceva altro che piovere. Pioggia, pioggia e ancora
pioggia, in quantità torrenziali. Le previsioni segnalavano
tuttavia un miglioramento per la notte di Samhain, e quello era davvero
un sollievo: avrebbero dovuto compiere il rituale in un luogo ampio e,
preferibilmente, all’aperto, poiché era
più facile richiamare una concentrazione di anime in uno
spazio vasto, per cui l’assenza di pioggia sarebbe stata una
benedizione.
In effetti, ora che ci stava pensando, Reiji si rese conto che non
avevano ancora scelto il luogo preciso per il rituale. Non una mossa
sveglia, a pensarci bene. Avrebbero subito dovuto rimediare.
Reiji si voltò in direzione di Yuuto. Come tutti i
pomeriggi, da un mese a quella parte, erano nello scantinato,
totalmente concentrati sulla sistemazione degli ultimi dettagli in
vista del grande giorno. Yuuto era seduto su una delle poltrone, lo
sguardo perso nel manuale di negromanzia. Reiji era fin dispiaciuto di
interrompere la sua lettura, tuttavia quel nodo era di fondamentale
importanza e avrebbero fatto meglio a scioglierlo il prima possibile.
Sorprendentemente, tuttavia, non fu Kageyama a iniziare la
conversazione.
«Kageyama?» l’aveva richiamato infatti il
ragazzo, gli occhi ancora puntati tra le pagine del sul libro.
Per poco Reiji non finì per strozzarsi con il suo stesso
respiro. Assurdo, era come se gli avesse letto nel pensiero.
«S-sì…?» rispose, cercando di
usare un tono quanto più casuale possibile – ci
mancava solo che il ragazzo si accorgesse che lo stava fissano per
l’ennesima volta, in fin dei conti.
Yuuto sollevò lo sguardo dal libro di incantesimi per la
prima volta in tutto il pomeriggio. Aveva un’espressione
strana, come se stesse provando più sentimenti
contemporaneamente: curiosità, sollievo e, impossibile
negarlo, stanchezza. Nell’ultimo mese s’era
lanciato senza sosta in quegli studi, e probabilmente gli effetti di
non risparmiarsi alcuno sforzo cominciavano a farsi sentire.
In quel momento, Reiji non riuscì a non sentirsi
tremendamente in pena per lui. Non era giusto che quel ragazzo
così giovane si sobbarcasse di colpo di uno stress tanto
grande, e per quanto cercasse in ogni modo di alleviare i suoi compiti
Kageyama aveva sempre la sensazione di non fare abbastanza per lui.
Probabilmente avrebbero dovuto parlare assieme di quella cosa, cercare
una soluzione…
La voce di Yuuto lo strappò nuovamente via dalle sue
elucubrazioni.
«Dove porta la scala a chiocciola che si trova nella
bottega?»
Di tutte le domande possibili, quella era davvero l’ultima
che Kageyama si sarebbe aspettato di ricevere. Reiji
sobbalzò per un momento sul posto, la bocca socchiusa,
cercando di fare mente locale.
«La scala, dici? Oh, ecco… sopra alla bottega
c’è il piccolo appartamento in cui vivo, in
teoria. Dico “in teoria” perché passo
molto più tempo in negozio e, da quando abbiamo cominciato
le ricerche, qui nello scantinato. Ormai si potrebbe dire che torno
là sopra solo per mangiare e dormire…»
ammise, lasciandosi sfuggire un sorriso. «Come mai me lo
chiedi?»
«Pura curiosità» rispose il ragazzo,
chiudendo il libro sulle sue gambe. «Posso vederlo?»
Era un’altra richiesta strana. Nell’ultimo mese ad
attenderli non c’era stato altro che pagine e pagine
polverose, e Reiji ormai dava per scontato che quella fosse
l’unica dimensione esistente, per loro. Forse,
però, aveva dimenticato che Yuuto era pur sempre un ragazzo
molto giovane, ed era normale che, di tanto in tanto, si ponesse delle
domande, magari anche nel tentativo di evadere da quella
realtà così soffocante. E poi c’era
anche un altro aspetto, che faceva sentire Kageyama tremendamente in
colpa: il tempo a loro disposizione stava per scadere. Nessuno di loro
sapeva cosa sarebbe successo a Samhain e, data la
possibilità che il rituale potesse andare per il verso
storto, non sapevano neppure se ci sarebbe stato qualcosa dopo. Era una
consapevolezza destabilizzante, e per la maggior parte del tempo
cercavano di non pensarci, ma l’avevano ormai messo in conto
entrambi.
Reiji pensò allora che forse glielo doveva, questo e molto
altro. Fosse stato per lui, avrebbe messo il mondo intero nelle mani
del ragazzo in quel preciso istante, perché era certo che
nessuno sarebbe stato in grado di amministrarlo in maniera migliore di
lui, né esisteva qualcuno di cui si fidasse di
più. Inoltre, nessuno l’avrebbe meritato tanto
quanto Yuuto.
Ultima, ma non meno importante, ragione: l’amava. Era
innamorato di lui, di un sentimento folle, eppure così puro
e sconfinato, e avrebbe fatto qualunque cosa pur di compiacerlo e
renderlo felice.
La risposta, pertanto, era pressoché scontata.
«Certo che puoi.»
Salirono dallo scantinato avvolti in un silenzio quasi innaturale,
seguiti a breve distanza dai famigli.
La bottega giaceva in uno stato di calma che perdurava ormai da un mese
intero. Era avvolta nel buio della sera, e ogni cosa era immobile nella
propria consueta posizione. Fuori, invece, in totale contrapposizione
con la quiete dell’interno, la tempesta: la pioggia
continuava a cadere, anche quella sera.
Aveva trascurato parecchio il locale, di recente. Quando tutto fosse
finito, Reiji avrebbe dovuto dare una bella spolverata.
Poi, finalmente, a sinistra del bancone, eccola lì:
la scala a chiocciola. Era in ferro battuto nero, e saliva verso il
piano superiore attraverso alcune eleganti volute.
Reiji cominciò a salire per primo. Sentiva i passi di Yuuto
seguirlo a distanza ravvicinata, lenti e silenziosi.
Era un tragitto che percorreva giornalmente, eppure quella volta
sembrava avere un sapore diverso. Kageyama non aveva idea del
perché, e l’unica spiegazione che riusciva a darsi
era il fatto che Yuuto fosse lì con lui.
Una volta arrivati in cima, lo scenario che trovarono ad attenderli era
ben diverso da quello dello scantinato a cui si erano ormai abituati.
L’appartamento era quasi un grande open space. Anche
nell’abitazione, come nella bottega al piano inferiore, le
tenebre avevano invaso ogni angolo, e sembrava quasi che ogni cosa
fosse stata tinta di una tonalità cerulea.
A sinistra c’era la cucina. Piccola, essenziale – e
tremendamente in disordine. Un piano cottura elettrico con pochi
fuochi, un forno, il frigorifero e un acquaio invaso da pentole e
posate arretrate, che non aveva ancora lavato dopo diversi giorni. A
lato, una credenza perennemente vuota.
Accanto alla cucina era posto un tavolo di legno, dove Kageyama era
solito consumare i suo pasti rapidi e frugali.
Una grande libreria separava la zona giorno da quella notte: non aveva
un fondale, così che i libri potessero essere prelevati sia
da un lato che dall’altro, ed era divisa in ampi riquadri.
Quanto alla camera da letto, beh… definirla tale era farle
un immenso complimento. Un vecchio letto matrimoniale era addossato
alla parete che delimitava la fine del modesto appartamento, mentre i
vestiti erano conservati in una cassettiera. Per di più,
sembrava che una bomba fosse scoppiata di recente: le lenzuola erano
decisamente non rassettate, e diversi indumenti erano sparsi a terra.
«Ah, è un disastro…»
s’era affrettato a scusarsi Reiji. «Negli ultimi
giorni sono stato talmente concentrato sul rituale che non ho avuto
tempo di passare a mettere in ordine…»
«Non è un problema» l’aveva
tranquillizzato Yuuto. In effetti, il ragazzo sembrava alquanto
affascinato da ciò su cui i suoi occhi si erano posati.
Reiji era confuso. Non riusciva a immaginare che qualcuno potesse apprezzare sinceramente il disastro che era la sua vita, men che meno
se quella persona era Kidou Yuuto. Più ci pensava, e
più faticava a visualizzare uno stregone del calibro del
ragazzo in un luogo tanto desolante.
Gli occhi di Kageyama si posarono su una finestra, alla sua destra. Le
gocce di pioggia continuavano a colpirla, impietosamente. Erano
così abbondanti che sembrava che un torrente in piena stesse
per travolgerli, da un momento all’altro.
Reiji distolse lo sguardo, e solo in quel momento parve accorgersi del
fatto che Yuuto s’era mosso. Ora, infatti, aveva raggiunto un
mobile, alla sua destra, e stava osservando l’oggetto posto
sopra di esso.
Oh, Kageyama sapeva fin troppo bene cosa fosse.
Lentamente, aveva percorso lo spazio che li separava, fino ad arrivare
alle spalle di Yuuto.
Tra le mani, il ragazzo sorreggeva un portafoto, dalle dimensioni non
maggiori di quelle di un foglio di carta. Al suo interno, spiccava uno
scatto in cui era stato imprigionato un delizioso momento di
quotidianità: tre persone sorridevano in direzione
dell’obiettivo, un uomo, una donna e un ragazzo.
L’unica figura femminile presente era in dolce attesa.
La foto era in bianco e nero, segno che doveva risalire a diverso tempo
prima.
«La sua famiglia» aveva dedotto Yuuto.
«Già» era stato l’unico
commento di Kageyama.
Il ragazzo si voltò nella sua direzione. In volto aveva
un’espressione preoccupata.
«Ha voglia di parlarmene?» aveva chiesto, col tono
più innocente che potesse esistere al mondo.
Reiji aveva inarcato un sopracciglio. «Non avevi detto di
aver fatto le tue ricerche, ragazzo?» l’aveva
schernito. «Ti credevo più informato.»
Di contro, Yuuto gli aveva rivolto un sorriso. Un semplice,
meraviglioso sorriso – e in quel momento Kageyama aveva
compreso di essere irrimediabilmente rovinato. «La
verità è solo quella che può
raccontarti qualcuno che l’ha vissuta, no?» era
stata la sua replica.
Reiji era rimasto a corto di parole. Era come diceva lui, e non
esisteva modo in cui avrebbe potuto contraddirlo.
Questo e altro,
Kageyama. Si merita ogni cosa.
Uno sorriso triste aveva fatto capolino sul volto di Reiji.
«Quello è stato probabilmente l’ultimo
momento in cui siamo stati tutti assieme e felici. Non
c’erano mai mancate molte cose, a dir la verità:
avevamo sempre condotto una vita semplice e modesta, e in fin dei conti
quella mediocrità non ci era mai andata stretta. I miei
genitori mi avevano sempre amato alla follia, e l’arrivo di
un altro bambino aveva riempito il cuore di tutti di gioia. Mia madre
era convinta che sarebbe stata una femmina, e aveva già
deciso che avrebbe voluto chiamarla Izumi. Qualcosa, però,
andò per il verso sbagliato: ci furono delle complicazioni
durante il parto, e sia lei che la bambina morirono.»
Kageyama prese una pausa, i ricordi che si facevano sempre
più dolorosi man mano che andava avanti. «Shizuku
era una donna dolcissima, dall’incontaminata purezza. La sua
perdita fece scivolare mio padre sempre di più nella follia.
All’inizio credevo si trattasse solo di una profonda
tristezza, dopotutto entrambi avevamo perso qualcuno di molto caro. Ben
presto, però, mi resi conto di quanto il problema fosse
assai più grave.»
Un’altra pausa. Yuuto posò una mano su quella di
Reiji, cercando di dargli conforto.
«Mia madre aveva sempre cercato di usare la magia per aiutare
gli altri, in particolare cercando di curarli. Mio padre, invece, aveva
a lungo subito la fascinazione della negromanzia. Shizuku non aveva mai
sopportato l’idea che l’uomo che aveva sposato
praticasse una magia tanto oscura, e più volte
m’aveva messo in guardia, sconsigliandomi di prendere la
strada di mio padre. Quando venne a mancare, però, mio padre
fu sopraffatto dal dolore, al punto da convincersi che
l’unico modo in cui fosse riuscito a stare meglio sarebbe
stato riportarla in vita. Decise allora di compiere un rituale,
così da riaverla indietro dal mondo dei morti. Le cose,
però, non andarono come aveva sperato: lei era
già andata avanti, non aveva più motivo di
restare sulla terra. La magia di mio padre, inoltre, era troppo debole:
le anime lo sopraffecero, iniziando a distruggere ogni cosa si trovasse
nei paraggi. Non so bene come feci a salvarmi: corsi via, il
più lontano possibile, fino ad esaurire il fiato nei
polmoni. Mi sentivo un vigliacco, perché forse avrei dovuto
cercare di salvarlo, ma una parte di me continuava a ripetermi che
ormai per lui non esisteva più alcuna possibilità
di redenzione. Ci fu un’esplosione, poi un silenzio
così denso da risultare innaturale. Della nostra casa non
era rimasto più niente, stessa sorte era capitata a mio
padre.»
Reiji si fermò per un’ultima volta. Chiuse gli
occhi, inspirò profondamente, e infine tornò a
lasciar posare il proprio sguardo su Yuuto.
«È per questo che all’inizio non volevo
aiutarti» concluse. «La negromanzia esige sempre un
pegno e, spesso, è fin troppo caro da pagare.»
Per un momento, Yuuto si ritrovò ad abbassare lo sguardo,
incapace di sostenere quello di Reiji. C’era
qualcosa, però, che spinse quegli occhi rubizzi a sollevarsi
ancora una volta e a cercare le iridi nere di Kageyama.
E, in quel momento, Kageyama vide la propria disperazione riflessa
nello sguardo di Yuuto.
Fu come se il tempo si fosse bloccato d’improvviso. Reiji
prese il volto del ragazzo tra le mani, carezzandolo dolcemente.
S’avvicinò con lentezza, come per assaporare
meglio ogni attimo. Quando si ritrovarono a pochi centimetri
l’uno dall’altro, Kageyama si fermò per
un momento, permettendo a Yuuto di allontanarsi, qualora non
l’avesse gradito.
La cosa sorprendente, tuttavia, è che Yuuto non fece nulla
del genere.
Reiji lasciò allora che le loro labbra
s’incontrassero. Sfiorò quelle del ragazzo con una
dolcezza incredibile, come se avesse il terrore di sentirle infrangere
da un momento all’altro sotto alle proprie. Yuuto si strinse
maggiormente a lui, tenendosi ancorato al suo corpo stringendo tra le
dita la sua camicia scura.
Aveva temuto che
l’avrebbe disprezzato…
Kageyama lasciò scivolare una mano dietro alla schiena del
ragazzo, così da poterlo tenere più vicino a
sé. Questo gli permise anche di approfondire quel bacio: le
loro lingue s’incontrarono subito, cominciando a danzare
fameliche.
I loro corpi così vicini sembravano produrre scariche
elettriche: la loro magia fremeva, pulsava. Nessuno dei due,
però, pareva intenzionato a fermarsi, era tutto troppo belle
e coinvolgente per farlo.
Si separarono per riprendere fiato, ma restando vicinissimi,
perché la lontananza di colpo era un pensiero insopportabile
per entrambi. Respiri e battiti erano già accelerati, ma non
era ancora ora di fermarsi.
Kageyama iniziò a spingere Yuuto, affinché
camminasse anche se di spalle attraverso la stanza. Nel mentre,
continuò a lasciare brevi baci sulle sue labbra, senza
sosta, come se non ne fosse mai sazio.
Ed era proprio così, in effetti.
Yuuto, nel frattempo, aveva già cominciato a spogliarlo.
Lasciò che la camicia cadesse a terra, senza badare troppo a
dove sarebbe finita. Quando le sue gambe premettero contro qualcosa di
morbido, Yuuto comprese di aver raggiunto il letto:
s’inginocchiò su di esso, senza mai perdere il
contatto con le labbra di Kageyama.
Reiji gli sfilò in tutta fretta il maglione, per poi
lanciarlo via, lontano. Posò una mano sulla spalla del
ragazzo, spingendolo a distendersi. Un attimo dopo, lo aveva
già sovrastato.
Scese lungo il collo del giovane, lasciando una scia di baci umidi e
ingordi. Yuuto affondò la testa nel materasso e, dalle sue
labbra, iniziò a scivolare la melodia più dolce
che Kageyama avesse mai udito: gemiti.
Reiji cercò gli occhi di Yuuto, e il suo sguardo fu subito
ricambiato. Il ragazzo aveva la bocca socchiusa, travolto da ansimi
sempre più affannosi.
Kageyama non aveva mai visto niente di più bello.
Reiji scese ancora a baciargli le labbra, avido, mentre con le dita
sfiorava quel petto candido che aveva tanto bramato. I loro fianchi
continuavano a sfregarsi, ed entrambi tremavano al pensiero di
ciò che sarebbe accaduto a breve.
Gli ultimi strati di indumenti caddero, e Reiji alzò
nuovamente gli occhi per fissare il ragazzo. Non l’aveva mai
visto così rosso in volto, e immaginare che Kidou Yuuto, lo
stregone più potente attualmente in circolazione, potesse
provare anche un sentimento come l’imbarazzo era una scoperta
che non sapeva esattamente come prendere. Era abituato a vederlo
attraverso quella sua maschera altera che era solito indossare per
tutto il tempo, e scoprire adesso che c’era anche
dell’altro era… emozionante. Seducente.
T’invogliava a desiderarne ancora di più.
«S-se la sta cavando bene…» gli concesse
Yuuto, tra un bacio e l’altro, totalmente sedotto.
«Ne dubitavi?» replicò Reiji, scendendo
lungo il collo e mordicchiando un poco quella pelle così
sensibile.
Sollevando appena il capo, trovò il sorriso sornione di
Yuuto ad attenderlo. E quella fu per Kageyama la risposta
più eloquente in cui avrebbe potuto confidare.
S’avvicinò al suo volto, e prese a carezzarlo con
dolcezza. Sembrava essere fatto di porcellana, e si chiese come un
potere tanto forte potesse albergare in un corpo così
fragile.
Reiji si rese conto che quella era la prima volta che si lasciava
vedere da qualcuno senza alcun genere d’armatura addosso,
essendo semplicemente se stesso, ed era felice che la persona accanto a
lui in quel momento fosse Yuuto, perché sapeva che era
l’unico di cui si potesse fidare, e che non
l’avrebbe mai deluso.
Forse era la prima volta anche per Yuuto, valutò Kageyama.
Reiji si sentiva libero, come non lo era mai stato in vita sua.
Yuuto si lasciò essere suo, e la notte si riempì
di preghiere e gemiti dolcissimi. Furono l’uno
dell’altro, due corpi che si fondevano e ne diventavano uno
solo, come se fossero sempre stati destinati ad esserlo.
Dopo che il piacere li ebbe del tutto colmati, Kageyama
coprì i loro corpi stanchi con un lenzuolo leggero. Si
distesero l’uno al fianco dell’altro, incapaci di
spezzare la catena che teneva imprigionati i loro sguardi. Sorridevano
entrambi, come se finalmente avessero compreso il significato della
parola pace. Perché era solo questa che provavano in quel
momento: pace, sia dentro che fuori, la pioggia che ancora cadeva, da
qualche parte all’esterno.
«Ti amo» mormorò Yuuto.
«Ti amo» confessò Reiji, e fu certo che
quelle non fossero parole gettate al vento.
▬
note
Ormai
questo è passato dall'essere "l'angolo dell'autrice" a
"l'angolo delle lamentele".
Vbb, facciamo che ci togliamo subito il pensiero. Via il dente, via il
dolore.
Ma quanto sono
assolutamente incapace di scrivere certe scene? Eh? Quanto?
Chiaramente sto parlando della parte finale del capitolo.
La cosa ironica è che all'inizio doveva essere una lemon, solo che,
arrivata al punto in cui si doveva scendere un po' più nel
dettaglio, track.
Credo sia imbarazzo, e la cosa mi innervosisce a dismisura,
perché è da una vita che leggo lemon d'ogni tipo
senza scandalizzarmi mai, solo che, quando invece devo scriverne, mi
blocco. Secondo me è paura di rendere tutto male o di essere
troppo volgare. Comunque, alla fine ho deciso di optare per qualcosa di
decisamente più soft, una lime che a me pare più
un'arancia ammuffita. Quando ho finito di scriverla mi faceva
abbastanza pena, soprattutto perché ho fatto una sorta di
patchwork tra i vari pezzi e avevo paura che ci fosse una sproporzione
di lunghezza tra la parte prima e la parte della roba in sé –
che è venuta decisamente più corta,
chissà come mai. A rileggerla oggi mi sembra di avvertire
meno questo distacco, quindi boh, magari la roba che scrivo migliora
invecchiando, tipo il vino...
No, Aria. Hai
solo passato l'ultima settimana a cercare di convincerti che andava
bene così e che non avevi tempo di riscriverla
perché avevi soltanto altri due giorni per finire una long
Che poi, a pensarci bene, mi sono bloccata scrivendo il seguito di Dark
Necessities proprio dopo aver modificato una parte che avevo
già scritto e che non mi piaceva più, ed
è un blocco che è durato per più di un
anno. Quindi uhm, diciamo che questa cosa mi preoccupava,
perché essendo così stretti coi tempi non potevo
proprio permettermi di bloccarmi. Anyway, fortunatamente non
è andata così e oggi mi sembra tutto un pochino
più decente, per cui extra
stonks.
Non so se ci sia bisogno di specificarlo visto che Kageyama ha passato
gli scorsi capitoli a ripeterlo di continuo, ad ogni modo Yuuto ha
vent'anni qui !! comunque ho inserito l'avvertimento lime/arancia
ammuffita/whatever, perché per quanto sia tutto molto lieve al punto che in certi
momenti credo di vedere la cosa solo io, better safe than sorry.
Oggi sto facendo una pappardella, lo so. La verità
è che sto ancora cercando di convincermi che vada bene
così ! e che la dovrei proprio smettere di essere
così dura con me stessa !
Okay, parliamo di altro. Oggi i prompt erano libro incantesimi e
divinazione. Io ho scelto il primo, ma come vedete sono andata a parare
da tutt'altra par–
aehm.
Questo –
again,
chissà come mai –
e il prossimo sono i capitoli più lunghi. Quando dovevo
ancora scriverli ero convinta che questo sarebbe stato il mio capitolo
preferito, perché c'era tutta questa dose di ammmore che a me
piace sempre. Invece, paradossalmente, quelli che mi sono piaciuti di
più sono gli ultimi due, ma non posso ancora svelarvi
perché.
Abbiamo finalmente scoperto il passato di Reiji lo so, stanno venendo
delle note lunghissime, abbiate pietà di me e
devo dire che è stata il pezzo che più ho amato
scrivere di questa parte di storia. Pensieri in merito?
Concludo
dicendo che siamo arrivati al weekend, che oggi è il primo
maggio –
auguri! –
e che, nonostante tutto, sono ancora qui ad editare.
Bene, ho concluso vi
vedo che esultate. Ci vediamo domani per il prossimo
capitolo, in cui succederanno le
cose serie, se volete fatemi sapere cosa ne pensate della
storia!
Aria
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Capitolo 6 *** Fight ***
La luce grigiastra del mattino filtrava attraverso il vetro della
finestra, rischiarando appena l’ambiente.
Kageyama si lasciò rotolare di lato, affondando il volto nel
cuscino e sperando, almeno così, di sfuggire a quel richiamo
al nuovo giorno.
Non riusciva ancora a svegliarsi del tutto, eppure nella sua mente
cominciarono a riaffiorare i ricordi della notte precedente.
Lui e Yuuto s’erano appartenuti, e stentava ancora a
crederci. Era stato tutto così bello, così
perfetto, così appagante e caldo…
Reiji mosse una mano accanto a sé, alla ricerca del corpo di
Yuuto, perché aveva ancora bisogno di sentire quel calore
intorno a sé.
Si ritrovò a balzare seduto sul letto quando, tuttavia,
trovò la porzione di materasso accanto a sé
miseramente fredda.
Do-dov’era
Yuuto? Se n’era andato? Lo sapeva, aveva rovinato tutto,
probabilmente lo aveva spaventato a morte e…
Alcuni rumori provenienti dalla cucina finirono per attirare la sua
attenzione. Reiji si alzò cautamente, rivestendosi in fretta
e attraversando la stanza cercando di non farsi notare.
Quando comprese quale fosse stata l’origine di quel
trambusto, si sentì incredibilmente sciocco. Il suo cuore,
inoltre, si riempì di un calore meraviglioso, dinanzi a
ciò che i suoi occhi stavano ora osservando.
Yuuto era lì, in piedi e alquanto indaffarato tra i
fornelli. Aveva disposto due caraffe ricolme di bevande sul tavolo, e
ora si dibatteva agitando in una padella l’impasto per i
pancake.
Era una scena quasi esilarante, perché era evidente che
fosse un po’ in difficoltà. Forse non aveva mai
preparato dei pancake in vita sua, e la condizione di non potersi
servire della magia fino al rituale doveva rendere il tutto decisamente
più complicato.
Reiji non riuscì a non trovarlo bellissimo.
S’era infilato una vecchia t-shirt, e Kageyama era abbastanza
certo che l’avesse trovata nella sua cassettiera. Anche se si
trattava dei suoi vestiti di quando aveva all’incirca
l’età di Yuuto, sul corpo minuto del ragazzo
sembravano essere comunque enormi.
Yuuto si voltò per lasciar cadere un pancake ormai pronto in
un piatto di ceramica, e solo in quel momento s’accorse che
Reiji l’aveva raggiunto.
«Oh, buongiorno» l’aveva salutato, le
gote che s’imporporarono appena. «Spero di non
averti svegliato io»
Reiji aveva inclinato la testa di lato, quasi sfiorando la spalla con
una guancia. Come poteva esistere qualcuno così
dolce…?
«No, affatto» si era apprestato a rassicurarlo.
«Vedo che ti sei dato da fare»
«Sì» aveva ammesso il ragazzo. Sembrava
sul punto di saltellare. «Prego, accomodati»
Reiji l’aveva assecondato. Aveva preso posto su una delle
sedie, e Yuuto non aveva perso un istante ad occupare quella accanto a
lui, porgendogli uno dei due piatti di pancake. In tutto
ciò, Kageyama aveva notato che il ragazzo aveva smesso di
dargli del lei, e la cosa, a dir la verità, lo rendeva forse
più felice di quanto avrebbe dovuto esserlo.
C’erano anche alcuni vasetti di marmellata, Reiji non se ne
era accorto prima. Le caraffe, aveva scoperto inoltre, contenevano
rispettivamente latte e caffè.
«Non pensavo di avere così tante cose in
dispensa» aveva ammesso Reiji, osservando stupefatto tutto
quell’assortimento.
«Non c’erano, in effetti» aveva
puntualizzato subito Yuuto, mentre stendeva un velo di marmellata di
fragole sul suo pancake. «Sono sceso al konbini qua sotto per
acquistarle. È stata un’ottima decisione, a ben
pensarci»
Kageyama si ritrovò a pensare che era passato
così tanto tempo dall’ultima volta in cui aveva
vissuto un momento così tranquillo che quasi faticava a
ricordare quando fosse stato. Sarebbe stato bello se ogni giorno fosse
stato come quello, in cui svegliandosi ritrovava Yuuto lì
con lui e si sedevano assieme al tavolo della cucina a fare colazione.
Avrebbe dato tutto l’oro del mondo per poter vivere in un
futuro come quello.
«Ah, sì?» aveva domandato, versandosi
una tazza di caffè. «E per quale motivo, se posso
chiedere?»
«Beh» Yuuto si era stretto nelle spalle, ma un
ghigno appena accennato era comparso sul suo volto.
«Perché ho trovato il luogo perfetto per il
rituale»
Kageyama s’immobilizzò, un pezzo di pancake in
bocca e il resto della forchetta sospeso a mezz’aria. Aveva
quasi dimenticato il rituale. Avrebbe voluto poter pensare per tutto il
tempo a Yuuto, a quanto lo amava, a quanto era stata bella la notte
appena trascorsa. Purtroppo, però, c’era sempre
quel ronzio in sottofondo, come un tarlo che lentamente gli stava
mangiucchiando il cervello, ricordandogli che il tempo stava per
scadere. Kageyama iniziava a sospettare che il mondo avesse deciso che
lui non se la meritava, la felicità.
«E dove sarebbe questo luogo?» s’era
limitato a domandare poco dopo, cercando di ostentare una nonchalance
che in quel momento non gli apparteneva, mentre prendeva a tagliare un
altro pezzo di pancake.
Yuuto si sporse in avanti, avvicinandosi ancor di più a
Kageyama.
«A Samhain la comunità magica di Tokyo si riunisce
al cimitero di Aoyama, giusto?» lo incalzò il
ragazzo, e Reiji avvertiva i suoi occhi rossi ed elettrizzati fissi su
di lui.
«Corretto» aveva risposto seccamente Kageyama,
afferrando la tazza di caffè e facendo per portarsela alle
labbra.
«In tal caso, credo che dovremmo andarci anche noi»
aveva annunciato Yuuto, così fiero della sua deduzione.
«Quale miglior luogo per un rituale di resurrezione se non un
cimitero? Se le anime a Samhain sono così vicine alla Terra,
di sicuro in un posto del genere ce ne sarà una
concentrazione ancora maggiore. Basterà trovare una zona
più in disparte, ampia e isolata dalle celebrazioni e il
gioco sarà fatto, no?»
Reiji si ritrovò a fissare il ragazzo ancora una volta.
C’era qualcosa che continuava a non tornargli, in tutta
quella questione. Sapeva che, se aveva deciso di aiutare Yuuto, era
stato principalmente perché, per la prima volta dopo anni,
un bagliore di luce s’era affacciato in quella sua vita
grigia e monotona. Ora, però, non potevano permettersi alcun
tipo di passo falso. Se le cose fossero andate per il verso sbagliato,
durante il rituale, le conseguenze avrebbero potuto essere immani e
catastrofiche. No, nulla di male doveva accadere, era fuor di
discussione.
Tecnicamente, però, non poteva dargli torto. Aoyama aveva
tutte le carte in regola per essere lo scenario di quel rituale e, con
le dovute precauzioni, le cose avrebbero potuto funzionare. Inoltre,
temeva ormai di essere divenuto incapace di opporsi a qualsiasi
richiesta del ragazzo – o forse, in maniera più
probabile, non ne era mai stato capace.
Yuuto esercitava fin troppo potere su di lui.
Reiji bevve un sorso di caffè. Nero, amaro e bollente,
esattamente come piaceva a lui.
«Sì» concesse infine. «Credo
che sia la soluzione migliore»
Il tempo non era mai stato gentile con loro. Aveva corso come un pazzo
fin da subito e, prima che potessero trovare un rimedio per farlo
rallentare, la notte di Samhain era arrivata.
Per il resto del mondo sembrava un giorno come un altro. Bambini
mascherati correvano per le strade, sacchetti di carta alla mano,
mentre bussavano di porta in porta alla ricerca di dolcetti.
Kageyama, invece, non riusciva a quietarsi.
Nell’ultima settimana non avevano fatto altro che ripetere
antiche formule in latino e tracciare con il gesso i contorni del
cerchio sulla lavagna. Ormai sentivano di avere tutto impresso in
maniera indelebile nella mente, eppure Reiji continuava a
rimproverarsi. Sapeva che sarebbe dovuto restare più
concentrato possibile, invece nei pomeriggi che avevano preceduto
quella fatidica notte non aveva fatto altro che distrarsi. Yuuto era il
suo pensiero fisso. Avrebbe voluto spingerlo lì, con il
corpo contro la libreria, e impossessarsi ancora una volta di lui.
Ma non poteva farlo.
Aveva bisogno di lui nella sua vita, non avrebbe potuto perderlo per
nessuna ragione al mondo. Gli sembrava di riuscire a stare bene solo
quando ce l’aveva accanto, e proprio per questo il pensiero
che in quella notte tutto sarebbe potuto cambiare lo terrorizzava.
Il ragazzo lo aveva preceduto, partendo nel primo pomeriggio alla volta
di Aoyama. Reiji, invece, non s’era ancora mosso
dall’appartamento di Akihabara. La scusa che aveva offerto al
ragazzo era che aveva bisogno di preparare ancora un paio di cose prima
del rituale. Yuuto, apparentemente, ci aveva creduto, così
si erano dati appuntamento al calar del sole davanti ai cancelli del
cimitero.
La verità, tuttavia, era un’altra.
Affacciato alla finestra del suo appartamento, Kageyama bevve un sorso
del tè che s’era preparato. Quella voce nella sua
mente non aveva mai smesso di parlare dal momento in cui Yuuto era
entrato nella sua bottega per la prima volta e s’era fatta
più insistente quando il ragazzo gli aveva esposto il suo
progetto. Quella sera, tuttavia, era insopportabile: di solito era un
brusio di sottofondo appena percettibile, adesso invece era una
cacofonia stridula e macabra. Il suo istinto cercava di avvisarlo della
presenza di guai in vista, Kageyama però continuava ad
ignorarlo, perché più e più volte
s’era detto che doveva restare positivo e che, se non
l’avesse fatto, allora la riuscita del rituale sarebbe stata
minata in partenza.
Era come se si trovasse davanti a un enorme e meraviglioso mosaico, ma,
al centro, mancasse una tessera, a rovinarne l’aspetto. Un
dubbio l’aveva accompagnato sempre, nel corso di quel mese, e
per quanto Reiji avesse continuato a respingerlo indietro ogni volta,
ecco che lui, continuamente, si ripresentava, quasi con sadismo.
Reiji scosse il capo, affranto. Ormai il tempo per pensare era finito.
Avrebbe fatto meglio a cominciare ad avviarsi in direzione del cimitero.
Trovò Yuuto ad aspettarlo ai cancelli d’ingresso
del cimitero, esattamente come avevano stabilito.
Indossava l’ampio mantello nero in cui l’aveva
visto avvolto in una delle prime occasioni in cui s’era
presentato alla bottega, una camicia candida con un ampio volant sul
davanti e pantaloni e scarpe scure. Era così bello, nella
sua perfezione, e Kageyama avrebbe voluto con tutto se stesso prenderlo
di peso e portarlo via da lì alla velocità della
luce, ma sapeva bene che Yuuto e i suoi immensi poteri non
gliel’avrebbero permesso, e in ogni caso il ragazzo non
l’avrebbe mai perdonato.
Quando lo vide arrivare, il ragazzo gli rivolse un leggero sorriso. Era
ormai l’imbrunire.
«Ehi» l’aveva richiamato, quando giunse
finalmente davanti a lui.
«Eccomi» aveva annunciato Kageyama. Una borsa
pendeva giù dalla sua spalla. Al suo interno, sale, sale e
ancora sale, assieme a un libro d’incantesimi per ogni
evenienza.
Si guardarono negli occhi. Erano tesi come corde di violino, non
c’era neanche bisogno che se lo dicessero.
Come in un tacito accordo, cominciarono ad avviarsi nello stesso
momento oltre la soglia d’ingresso. Sembravano muoversi in
sincronia, come se sapessero esattamente quando l’altro
avrebbe compiuto il passo successivo.
Il cimitero di Aoyama era un’esplosione di luci, quella
notte. Diverse lanterne rossastre erano state accese nei pressi delle
lapidi, inoltre le bacchette d’incenso sprigionavano fumi
soffusi tutt’intorno.
L’ultima volta in cui aveva partecipato a quelle
celebrazioni, Kageyama ricordava che assieme a lui c’erano
ancora i suoi genitori. Avevano portato delle offerte ai loro cari
deceduti, e avevano osservato assieme la festa delle anime.
Dopo l’incidente, tuttavia, per Reiji quella festa non era
divenuta che un ennesimo motivo di sofferenza.
Da sotto al mantello, Yuuto allungò una mano, cercando la
sua. Reiji gliela strinse subito, in apprensione.
Un mare di persone si aggiravano attorno alle lapidi. Quella zona era
decisamente troppo affollata, non sarebbe mai andata bene per il
rituale. Dovevano trovare un’ala più isolata, dove
la confusione non li avrebbe raggiunti.
Reiji era consapevole degli sguardi incuriositi che avevano raggiunto
il suo volto, ed era certo che più d’uno dei
presenti l’avesse riconosciuto. La bottega ad Akihabara, in
fin dei conti, continuava ad essere un punto di riferimento assai
importante per la comunità magica.
«Dobbiamo allontanarci da qui» aveva mormorato.
Un’ala del cimitero era abbandonata. Lo avevano intuito
perché né lanterne né incensi erano
stati accesi lì, inoltre non c’era fortunatamente
nessuno in vista.
Avevano percorso diversi vicoli secondari tra le lapidi,
finché non si erano ritrovati in quel luogo. Un vecchio
mausoleo sorgeva in fondo ad un ampio piazzale, e le tombe nei dintorni
erano ricoperte di ragnatele ed erbacce, segno che nessuno vi aveva
messo piede per molto tempo.
Probabilmente non lo avrebbero fatto nemmeno quella sera.
«Qui andrà bene» aveva decretato Yuuto.
Il ragazzo stava per spingersi in avanti, ma Reiji l’aveva
afferrato per un braccio. Lo attirò a sé,
posandogli un bacio sulle labbra.
«Yuuto, io…» aveva cercato di
richiamarlo Kageyama.
Lo stregone, tuttavia, pareva non avere molta voglia di ascoltarlo. Gli
carezzò una guancia, sorridendogli – eppure sembrava così
distante…
«Ce la faremo, Kageyama» lo rassicurò, e
appariva davvero convinto delle sue parole.
Prima che Reiji potesse lasciarlo andare, il ragazzo s’era
già liberato della sua stretta. Sapeva che ormai non aveva
più possibilità di fargli cambiare idea, e forse,
in fondo, non ce l’aveva mai avuta.
Reiji sospirò. Sconsolato, aprì la borsa,
estraendo il sacchetto in cui aveva riposto il sale.
«Ricorda» cominciò Kageyama, tracciando
i primi accenni dei contorni del cerchio a terra. «Non tutte
le anime hanno voglia di sentir parlare. Dovrai rivolgerti a loro in
tono forte e sicuro, altrimenti…»
«Reiji, ne abbiamo già parlato un centinaio di
volte…» gli rammentò Yuuto, con lo
stesso tono di chi si sta rivolgendo ad un bambino testardo. Il ragazzo
sorrise nella sua direzione.
Kageyama si strinse nelle spalle. «Lo so» ammise.
«Sono solo tanto preoccupato…»
Reiji terminò di disegnare il cerchio a terra. Non appena si
allontanò di qualche passo, Yuuto fece ingresso
all’interno di esso, facendo attenzione a non calpestarne i
confini.
Si osservarono per un lungo, interminabile istante. Quelle iridi rosse
e nere, incontrandosi, si mormorarono cose che, forse, le loro labbra
non avrebbero mai avuto l’ardire di pronunciare.
Poi, tutto cominciò e, al tempo stesso, finì.
«Ignis»
ordinò Yuuto, e il sale sul terreno fu avvolto da fiamme
azzurre.
Kageyama si rese conto che quella era la prima volta in cui lo sentiva
pronunciare l’incantesimo. Di solito, Yuuto era
così potente da riuscire a compiere qualsiasi magia
semplicemente con un gesto della mano. Questa volta, però,
era tutto diverso.
«Numini caelis»
recitò Yuuto «invoco
vobis ut reddatis me quod rapuistis! Animae, surgite!»
La terra tremò. Nubi scure come la notte si addensarono in
cielo e, in lontananza, rimbombò un tuono. Non sembrava
affatto un buon presagio.
Una raffica di vento gelido e furente sferzò lo spiazzo in
cui si trovavano, e fumi buastri cominciarono a scivolare da sotto le
lapidi. D’improvviso, quel tarlo che tanto a lungo aveva
tormentato la mente di Reiji tornò a ripresentarsi, e questa
volta lo sentì come gridato dentro di sé.
E se i genitori di Yuuto
fossero passati oltre?
Non aveva mai pronunciato ad alta voce quel suo timore,
perché sapeva che avrebbe profondamente ferito il ragazzo.
Ora però, tutto sembrava così ovvio,
così pericolosamente chiaro.
Yuuto era cresciuto in maniera eccellente anche senza avere i suoi
genitori accanto. Era diventato il mago più brillante del
mondo, e la loro perdita non sembrava averlo limitato in alcun modo.
C’era la sofferenza interiore, certo, ma ogni perdita ne
comportava una.
Non era possibile richiamare un’anima che avesse accettato il
proprio destino, recandosi serenamente nell’aldilà.
Questo significava che, attraverso l’incantesimo, Yuuto stava
richiamando tutte le anime che invece si trovavano ancora nel limbo tra
il mondo dei vivi e il regno dei morti, quelle cioè che non
s’erano arrese alla propria condizione. Il velo che divideva
i due mondi, a Samhain, era incredibilmente sottile, se
l’erano ripetuti un mare di volte. Dunque, l’unico
effetto che quell’incantesimo stava sortendo era quello di
una calamita, attirandole tutte in un unico punto.
Avrebbero fatto di tutto pur di stracciare il velo.
Aveva letteralmente lasciato Yuuto in pasto a quegli spiriti.
No. Non di nuovo.
Reiji pensò a suo padre, a come era stato sopraffatto,
all’esplosione che ne era conseguita. No, non poteva
commettere lo stesso errore in cui era già caduto in
passato, non avrebbe permesso che la stessa sorte capitasse anche a
Yuuto, se l’era giurato fin dal primo momento.
La magia nera esige
sempre un pegno.
Di nuovo quelle parole. Kageyama digrignò i denti.
Non stanotte.
Doveva riflettere bene prima di agire. Non poteva permettersi un altro
sbaglio. La prima cosa da fare era rompere il cerchio di sale, sperando
che fosse sufficiente ad interrompere la connessione
dell’incantesimo, ma non poteva semplicemente lanciarsi
lì e tirare via Yuuto, come tanto avrebbe voluto. Doveva
individuare il momento giusto.
Le anime erano sospese sopra al cerchio, come avvoltoi che si librano
in circolo nell’aria prima di lanciarsi sulla loro preda. Ci
fu un nuovo tuono, e allora, in un brulichio solenne di morte, si
gettarono in picchiata verso Yuuto.
Ora.
Reiji corse in direzione del cerchio. Noncurante delle fiamme,
tracciò via con un piede parte del confine. Come aveva
temuto, non bastò a fermare gli spiriti, perlomeno
però gli aveva permesso di raggiungere Yuuto. Li avrebbero
affrontati insieme.
Il ragazzo aveva già scagliato un incantesimo scudo, che
avvolse entrambi e li riparò da quel primo assalto delle
anime. Reiji sapeva fin troppo bene che, tuttavia, l’aura
rossa e semisferica del ragazzo non li avrebbe protetti a lungo da quei
colpi violenti.
«Che è successo, Kageyama?» Yuuto
urlò per farsi sentire sopra al ruggito delle energie che si
scontravano. Teneva le braccia tese verso l’alto per
sostenere lo scudo, ma, per quanto la sua magia fosse potente, reggere
ad un attacco del genere era davvero faticoso.
Il ragazzo non lo guardava, troppo impegnato a proteggere entrambi, ma
Kageyama temeva che, se gli avesse detto la verità, quegli
occhi rubizzi non si sarebbero mai più posati sulla sua
persona.
Reiji si morse il labbro, con espressione colpevole.
«Temevo sarebbe potuta andare in questo modo»
ammise, sentendo qualcosa dentro di sé spezzarsi
irrimediabilmente. «Mi dispiace, Yuuto. Se ne sono andati. In
un primo momento ci avevo sperato anch’io, che la tua magia
li avesse trattenuti qui, ma… così non
è stato. Sono mortificato…»
Yuuto ringhiò di rabbia. Kageyama non riusciva a capire se
ce l’avesse con lui o con se stesso, per aver covato tanto a
lungo un desiderio folle e irrealizzabile.
«Non fa niente!» si arrese infine.
«Adesso abbiamo un problema ben più grave, mi
pare. Come facciamo a ricacciarle indietro?»
Kageyama deglutì a vuoto.
«Non… non lo so» confessò,
desolato.
Per un istante, gli occhi di Yuuto si voltarono per fulminarlo.
«Che vuol dire
che non lo sai?» gridò ancora,
furioso. Le anime avevano preso a sferzare una raffica di colpi rapidi
e intensi alla barriera.
«N-non avevo messo in conto un piano di riserva per una
situazione del genere, d’accordo?» si
giustificò Kageyama, il panico che s’impadroniva
sempre più di lui.
«Beh, allora farai meglio a trovarne uno, e anche in fretta,
perché non so per quanto ancora riuscirò a
reggere questo scudo prima che gli spiriti ci uccidano!»
annunciò Yuuto, in tono grave.
Aveva ragione. Per quanto fossero entrambi maghi molto potenti, una
situazione di una simile portata sarebbe stata ingestibile per
chiunque. Dovevano cercare di guadagnare tempo, mentre provavano a
trovare l’incantesimo giusto.
«Yuuto, le lapidi!» esclamò Kageyama,
certo che il ragazzo avrebbe compreso.
Yuuto lanciò un rapido sguardo alla sua destra. Poi,
continuando a sostenere lo scudo, pronunciò un nuovo
incantesimo.
«Lapides
iacere!» ordinò, e i sepolcri furono
all’istante scardinati. Le lapidi si scagliarono in direzione
delle anime e, almeno per qualche secondo, riuscirono a sparpagliarle.
Era il diversivo di cui avevano bisogno. Senza perdere tempo, Reiji
tirò fuori dalla borsa il libro di incantesimi che aveva
portato con sé. Non aveva mai compiuto una magia tanto
potente quanto quella che si accingeva a recitare, ma era
l’unica soluzione che avevano, se volevano uscire sani e
salvi da quella notte.
Le anime ripresero a lanciarsi contro lo scudo, che già in
alcuni punti aveva cominciato a creparsi. Yuuto aveva ragione, il
rituale gli aveva richiesto una quantità di magia immane,
non sarebbe riuscito a proteggere entrambi ancora a lungo.
Bisognava agire in fretta. Reiji aveva trovato una formula che, in
teoria, avrebbe potuto funzionare. Se così non fosse stato,
tuttavia, non ci sarebbe stato scampo per loro.
Non avrebbe potuto sbagliare.
Ora o mai più.
Affondò i palmi nella terra nuda e umida e, facendo appello
a tutte le sue forze, iniziò a recitare il suo incantesimo.
«Dii
immortales, qui nostram terram regitis, ducite vobis has animas, quae
vestrae sunt!» esalò, e
sentì ogni fibra del suo corpo vibrare di
un’energia che non sapeva neppure esistere.
La terra tremò. Inizialmente, sembrò che
l’incantesimo non avesse sortito nessun effetto. Kageyama
trattenne il fiato, incapace di calmarsi. Se non avesse funzionato, allora
cosa…
Poi, però, tutto cominciò a mutare di nuovo.
Una luce bianca e fortissima si diffuse nello spiazzo. Reiji non
riusciva più a vedere niente, ed era certo che lo stesso
valesse anche per Yuuto. Un’aspirazione violenta fu udita
dalle loro orecchie e, un attimo dopo, un’esplosione
fortissima detonò su di loro.
Lo scudo cedette, e lui e Yuuto furono sbalzati all’indietro.
Il ragazzo sentì le forze venirgli meno, e si
lasciò cadere al suolo.
Reiji lo afferrò appena in tempo. Con la stessa
repentinità con cui era apparsa, quella luce scomparve,
lasciandoli soli nel buio della notte. Kageyama stentava a crederci,
eppure anche le anime si erano volatilizzate.
Ce l’aveva
fatta. Lo aveva salvato.
Reiji strinse il corpo privo di sensi del ragazzo a sé.
Respirava ancora.
Era tutto finito.
▬
note
Ed
eccoci qui con il penultimo capitolo!
Per quanto io mi ritenga assolutamente negata nella scrittura di scene
d'azione, devo dire che questa non mi è venuta poi
così male. Certo, avrei preferito che fosse più
lunga, ma credo di essere riuscita a creare una buona dose di suspence.
O almeno lo spero.
Quindi dovendo fare una lista di ciò che riesco a
scrivere meglio e ciò che, invece, mi riesce in maniera
catastrofica, riassumerei così:
sì: angst (e
hurt/comfort), dialoghi, introspezioni
no: lemon/lime,
scene d'azione, fluff
Che comunque, tutto sommato, non è un bilancio
poi così catastrofico, dai.
Ma veniamo a noi. Tra Ostara e Samhain ho scelto il secondo prompt,
semplicemente perché era quello che avevo più
presente, avendone letto altre rappresentazioni in passato, e poi
cronologicamente s'incastrava meglio con i tempi narrativi della long.
Purtroppo, le cose non sono andate per il meglio. Tecnicamente
però potevano essere decisamente peggiori, per cui credo che
ci toccherà farcele andare bene così.
Per quanto riguarda gli incantesimi, spero che la formulazione in
latino sia corretta. Quando ho scritto il capitolo ho passato
più tempo a consultare il dizionario online che a scrivere
il testo vero e proprio. Purtroppo, per la gioia dei miei ex
insegnanti, ho lanciato cinque anni di nozioni nel baratro del
dimenticatoio alla velocità della luce, però,
trattandosi di una ff, magari qualche licensa linguistica posso
permettermela–
e poi oh, andiamo.
Sono giapponesi che, in epoca moderna, recitano incantesimi in latino
antico, non possiamo aspettarci poi tutta questa correttezza.
Bene, credo di aver detto tutto per oggi. Ci vediamo domani con
l'ultimo capitolo, anche se non sono certa di essere pronta a dire
addio per sempre a questa storia.
Aria
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Capitolo 7 *** Quiet ***
Reiji inclinò la testa sul cuscino, cercando di individuare
una posizione più confortevole.
I ricordi della notte precedente gli arrivavano a flussi intermittenti,
tanto da fargli credere che fosse stato tutto un sogno. Akihabara, il
rituale, le anime…
Poi, d’improvviso, si rese conto che non era così.
Si tirò a sedere sul letto, in un sussulto.
Boccheggiò, alla disperata ricerca di aria.
Yuuto…
Ricordava di aver visto svenire il ragazzo tra le sue braccia, quando
tutto era finito. Poi, però, tutto era avvolto nelle tenebre.
Si voltò cautamente di lato. Yuuto era lì,
accanto a lui. Riposava pacatamente, il corpo prono e il viso affondato
nel cuscino.
Reiji cercò di ricordare. Probabilmente, dopo che il ragazzo
era svenuto, aveva fatto appello alle sue ultime forze così
da riportare entrambi a casa. Avevano generato fin troppo trambusto,
era solo una questione di secondi prima che qualcuno arrivasse a
chiedere spiegazioni. Prima di finire entrambi nei guai, Reiji
s’era affrettato a prendere in braccio Yuuto e ad
allontanarsi da lì quanto più furtivamente
possibile.
Oh. Ecco.
Dovevano averla scampata per un soffio. Kageyama si girò in
direzione del comodino, controllando l’orario sul display
della sveglia digitale.
Le tre del pomeriggio.
Aveva riposato così tanto…? Oh, quel rituale
doveva averlo stancato più del previsto.
Reiji si alzò piano, facendo attenzione a non svegliare
Yuuto. In quel momento, il riposo era fondamentale per lui, aveva
bisogno di recuperare le energie.
E poi, finché non si fosse svegliato, Reiji non sarebbe
stato costretto ad affrontare quell’argomento che tanto
temeva.
Kageyama si lasciò scivolare in direzione delle scale. Forse
c’era ancora qualcosa che poteva fare per Yuuto.
Tornare dopo settimane ad occuparsi di magia erboristica fu come
prendere una profonda boccata d’ossigeno. Reiji aveva
scoperto che la negromanzia gli riusciva naturale, come bere un
bicchier d’acqua, tuttavia si sentiva decisamente
più a suo agio quando si trattava di semi e radici dalle
proprietà magiche. Dubitava che avrebbe messo fine a
ciò che, negli ultimi anni, era ormai sempre più
diventata la sua professione.
Reiji aveva schiacciato alcune foglie di menta nel mortaio, unendole ad
estratto di radici di zenzero e semi di lino. Ne aveva ottenuto un
composto omogeneo, simile a un impacco di argilla. Ora,
però, mancava l’ingrediente più
importante: la magia. Reiji agitò le dita sopra al mortaio,
e fili candidi d’energia purissima corsero a mescersi assieme
agli altri ingredienti.
Il gioco era fatto. La stufa aveva continuato a scoppiettare fin da
quando l’aveva accesa, e ormai l’acqua che aveva
messo nel bollitore doveva essersi scaldata. Reiji versò il
composto in una tazza, dopodiché si affrettò a
recuperare il bollitore. Versò l’acqua, e subito
l’infuso cominciò come a prendere vita
all’interno della stoviglia.
Un profumo dolcissimo avvolse l’ambiente, ma Kageyama sapeva
che mancava ancora un ingrediente. Prese il vasetto di miele, che aveva
tenuto accanto a sé sul bancone fino a quel momento, e ne
lasciò cadere alcune gocce all’interno della tazza.
La pozione era pronta. Si era impegnato con tutto se stesso nel
prepararla, e adesso doveva solo aspettare per vedere se avrebbe avuto
effetto.
In cuor suo, tuttavia, era già certo che sarebbe stato
così.
Era pomeriggio inoltrato. Il sole stava ormai scomparendo dietro alle
sagome di grattacieli altissimi.
Reiji era rimasto inginocchiato sul letto per ore, mantenendo
l’infuso caldo con un incantesimo.
Yuuto non s’era ancora svegliato. Dalla posizione prona era
passato a quella supina, e adesso solo una guancia era carezzata
lievemente dalla federa del cuscino.
Reiji era spaventato. No, si disse: quel riposo era un toccasana per
lui, dopotutto la notte precedente aveva provato seriamente il corpo e
l’animo di quel ragazzo.
Doveva avere pazienza. Yuuto era forte, e Kageyama era certo che
sarebbe stato bene.
Quando aprì gli occhi, Yuuto lo fece lentamente, come se
s’aspettasse di essere ferito dalla luce del sole da un
momento all’altro. L’immenso potere che risiedeva
in lui poteva farlo dimenticare, tuttavia Yuuto era pur sempre un
ragazzo di vent’anni: giovane, e inaspettatamente fragile.
Sembrò che un pensiero improvviso lo avesse colto,
portandolo a sbarrare gli occhi.
«K-Kageyama…» ansimò,
respirando di colpo più in fretta.
Reiji parve comprendere al volo quali pensieri si fossero affollati
nella sua mente. Si chinò su di lui, lentamente,
carezzandogli la fronte.
«Va tutto bene» lo rassicurò.
«È tutto finito»
Yuuto non sembrò subito persuaso dalle sue parole. Si
guardava intorno con la stessa espressione di un animale braccato,
aspettandosi che, da un momento all’altro, le anime avrebbero
sferrato un ennesimo attacco.
Era strano però. Non erano più nel cimitero,
bensì erano ritornati a casa di Kageyama.
Tutto intorno a loro era fermo, e sembrava essere avvolto nella pace
più totale. Come… come ci erano arrivati
lì?
«Sono morto?» ipotizzò, trovandola come
la possibilità più credibile. «Sto
sognando?»
Reiji piegò appena la testa di lato. In quella confusione,
Yuuto sembrava più debole. Più… umano, sebbene quel
termine non si addicesse a nessuno dei due.
«Nessuna delle due» gli comunicò,
accarezzandogli la fronte. «Siamo tornati a casa. Siamo
salvi.»
«C-com’è possibile?» chiese,
aggrottando le sopracciglia per lo smarrimento. Le carezze di Reiji
erano così lusinghevoli, abbandonarsi ad esse era
terribilmente piacevole.
Però c’era qualcosa che continuava a non tornare,
nella mente di Yuuto. L’ultimo ricordo che aveva erano loro
due nel cimitero di Aoyama, le anime che aveva evocato che continuavano
a scagliarsi contro il suo scudo e Reiji che pronunciava un incantesimo
nel tentativo di fermarle.
Poi, più nulla.
Reiji sembrò intuire i suoi pensieri. «Siamo
riusciti a fermarle, Yuuto. Insieme.» Gli sorrise, con la
stessa condiscendenza che si offre a un bambino. «Ho portato
entrambi via da lì prima che qualcuno potesse porci delle
domande»
I pezzi cominciarono a ricomporsi nella mente di Yuuto. Il ragazzo fece
per rialzarsi, e Reiji lo aiutò a mettersi seduto.
«Aspetta» lo fermò Reiji.
«Prima bevi questo»
Reiji recuperò la tazza dal comodino, porgendogliela. Yuuto
la fissò con circospezione.
«Cos’è?» domandò,
voltandosi a fissare Kageyama.
«Una pozione curativa» spiegò subito
Reiji. «Ti aiuterà a riprendere le forze»
Gli occhi di Yuuto tornarono a posarsi sulla tazza. Era ancora
dubbioso, ma se la portò comunque alle labbra, prendendone
un sorso.
Era dolcissima. E buona.
Lo invogliava a volerne ancora.
«Grazie» mormorò a fior di labbra.
Reiji abbassò lo sguardo. Sentiva quelle parole premere
sulla sua lingua, spingendo pur di uscire. Forse avrebbe dovuto
aspettare, Yuuto doveva ancora rimettersi in sesto… eppure
non riusciva a chiedersi cosa ne sarebbe stato di loro, dopo quella
notte. Il rituale non era andato come speravano… e questo
cosa significava?
«Mi dispiace, Yuuto» gli disse ancora, proprio come
la notte precedente. Kageyama iniziava a sospettare di non avere parole
migliori da offrirgli. «Ero sicuro che ce l’avremmo
fatta, te lo giuro. Se solo avessi calcolato meglio ogni
possibilità…»
Una mano si posò sul suo braccio.
«Kageyama» lo richiamò il ragazzo.
«Va bene così. Davvero. Avrei dovuto pensarci
anche io, in fin dei conti. È già tanto che io
sia ancora qui, vivo, e se ciò è stato possibile
è solo per merito tuo»
Reiji aprì la bocca, per poi richiuderla un secondo dopo. Le
parole gli morirono in gola. “Sì,
ma…” avrebbe voluto cominciare. Solo che non aveva
altro da aggiungere dopo quel ma.
Non c’era più nessuno da salvare. Non avrebbe
avuto senso cercare altre formule, altri rituali. Erano vivi, e forse
si sarebbero dovuti accontentare di questo.
Da ciò, tuttavia, nascevano mille nuovi interrogativi. Se il
rituale era fallito, cosa sarebbe cambiato per loro? Come sarebbe
proceduta la loro vita, d’ora in avanti?
Reiji aveva paura. Temeva che il fallimento del rituale per cui Yuuto
s’era finalmente fermato, dopo anni di peregrinazioni, lo
avrebbe riportato a partire, alla volta di chissà dove. Solo
che Kageyama non aveva idea di come avrebbe fatto a vivere senza di
lui. Aveva passato così tanto tempo a fantasticare su un
loro possibile futuro assieme che, adesso, ogni scenario che non
comprendesse Yuuto gli sembrava orrendo e privo di ogni colore.
«E adesso?» domandò, prima ancora di
rendersene conto.
Yuuto si voltò a guardarlo, confuso. «In che
senso?» chiese a sua volta.
Reiji si strinse nelle spalle. Nei suoi occhi c’era un misto
di dolcezza e malinconia. «Cosa farai?» si
spiegò, tremando già al pensiero della risposta
che s’aspettava di ricevere.
Un sogghigno comparve sul volto di Yuuto. il ragazzo fece ruotare il
busto, così da ritrovarsi faccia a faccia con
l’altro mago, mentre gli avvolgeva le braccia attorno al
collo.
«Fammi capire» cominciò, gli occhi rossi
che sembravano voler divorare quelli neri. «Davvero pensi che
io abbia passato un mese della mia vita in questa bottega, tra libri
polverosi e famigli scorbutici, abbia donato per la prima volta
interamente il mio corpo e la mia anima a qualcun altro e sia
sopravvissuto alla mia piccola fine del mondo personale salvo poi andarmene come se
nulla fosse? Si può sapere per che razza di persona mi hai
preso, Kageyama Reiji?»
Le guance di Reiji s’imporporarono. Avvertire il corpo di
Yuuto così vicino al suo gli faceva perdere sempre qualche
battito. E poi dannazione, il proprio nome sembrava così
bello se pronunciato dalle labbra del ragazzo.
«In effetti quella dell’altra notte è
sembrata davvero una fine del mondo» aveva convenuto Reiji.
«E comunque il mio famiglio non è
scorbutico»
«Mai quanto il suo padrone» era stata la replica di
Yuuto.
Da qualche parte della bottega al piano inferiore, Lok aveva
gracchiato, come in approvazione.
Yuuto rise, e Kageyama prese il suo volto tra le mani, baciandolo
dolcemente.
«Resti?» gli aveva chiesto.
Yuuto l’aveva fissato, polvere di stelle negli occhi.
«Resto.»
Kageyama l’aveva baciato ancora, e di colpo il futuro che
aveva sognato gli era sembrato più vicino.
▬
note
Premere
la spunta che indica la conclusione di una long mi procura sempre una
certa dose di fiducia in me stessa, devo ammetterlo. Questa volta,
tuttavia, c'è anche un po' di malinconia.
Ebbene sì, siamo già giunti alla fine. La seconda
long conclusa sul mio profilo, e tra l'altro anche la più lunga
(sì, dopo quasi tre anni continuo ancora a credere che DN
abbia sette capitoli anziché sei. In origine effettivamente
dovevano essere sette, però non ci stavo con i paragrafi,
per cui mi era toccato fare un cambio in corsa). Sono soddisfazioni,
dai.
Allora, prima di tutto mi preme ringraziare Fanwriter.it per
aver indetto quest'iniziativa meravigliosa, che mi ha sicuramente
tenuta impegnata in questi giorni di quarantena allietandomi la
permanenza in casa. Mi era mancato partecipare ai vostri eventi, sul
serio ♡ a tal proposito, oggi la scelta era tra bacchetta e pozione. In
un mondo in cui, come ho spiegato in uno dei capitoli precedenti, la
magia si esprime attraverso il movimento delle mani o pronunciando un
incantesimo a voce (anche se i maghi più potenti riescono a
fare a meno della seconda opzione), la bacchetta non aveva molto senso.
La pozione, invece, sono riuscita a ricollegarla più
facilmente, anche pensando a quanto accaduto nello scorso capitolo.
Ad ogni modo, quest'ultimo capitolo è stato molto
tranquillo, soprattutto se confrontato con quello precedente. Un po' di
sana dolcezza non fa mai male, dai.
E così si conclude qui questa nostra avventura all'interno
di un mondo magico creato così, praticamente da zero, nel
giro di pochi giorni. Non escludo di tornare un giorno a pubblicare
qualche os ispirata a questa au, l'ho amata così tanto e non
sono decisamente pronta a lasciarla andare.
Grazie a chiunque abbia letto e seguito la storia, spero che vi sia
piaciuta ♡
Aria
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