Quella maledetta volta che Mordecai ha deciso di andare al Laberinto

di adrienne riordan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day 1: Possessione ***
Capitolo 2: *** Day 2: Terrorizzato ***
Capitolo 3: *** Day 3: Vicini tranquilli ***
Capitolo 4: *** Day 4: Cimitero ***
Capitolo 5: *** Day 5: Decapitazione ***
Capitolo 6: *** Day 6: Realtà ***
Capitolo 7: *** Day 7: Mostri ***



Capitolo 1
*** Day 1: Possessione ***


Questa storia partecipa a #TheWritingWeek di Fanwriter.it
 Lista: HORROR
 Prompt: Possessione
Avvertenza: la storia è ambientata nel mondo de La calaca de azùcar, dove le divinità azteche sono reali e vivono tra noi.




Non era abitudine di Mordecai frequentare locali notturni. Qualche volta l’aveva fatto, in occasione di qualche festa universitaria, ma aveva deciso che non era il genere di divertimento che gli andasse a genio. Il biondino era un tipo tranquillo, riflessivo, educato, forse un po’ noioso, e aveva stabilito che la musica spaccatimpani, le luci psichedeliche e l’alcool che girava a fiumi non facessero proprio per lui. Senza contare il fatto che doveva risparmiare fino all’ultimo centesimo per pagarsi gli studi, e tra corsi all’università e lavoretti part time, il poco tempo libero che aveva era decisamente dedicato al riposo, onde evitare di ammalarsi  per i troppi impegni.
Ormai la nuova vita a Esqueleto era entrata su binari piuttosto tranquilli, fatta ovviamente eccezione per le prove a cui era sporadicamente, ma ineluttabilmente, chiamato da Emanuel, divinità azteca che teneva in ostaggio tutti gli abitanti, non permettendo loro di uscire dalla città. A ogni prova, Mordecai rischiava puntualmente di perdere la vita in modo piuttosto orribile e doloroso, e se non fosse per il prezioso aiuto dei suoi nuovi amici e alleati, la sua storia si sarebbe conclusa assai precocemente.
Ritornando alla vita quotidiana, non passò molto tempo prima che Mordecai fosse invitato a passare una serata nell’unico locale notturno di Esqueleto, situato in una zona della città che ancora non aveva avuto modo di visitare. El Laberinto, questo il nome del locale, aveva due caratteristiche piuttosto peculiari. In primo luogo, il gestore era un ragazzo davvero particolare: non solo a Mordecai aveva dato una strana sensazione, la prima volta che lo aveva incontrato, ma Franklin e Thomas gli avevano sconsigliato di andare a pernottare nel suo motel Los nidos de colibrì, senza contare il fatto che, con molta probabilità, anche Alejandro stesso era una divinità azteca, almeno questo aveva ricavato Mordecai dalle parole neanche tanto vaghe di Emanuel. In secondo luogo, El Laberinto era uno dei tre luoghi di tutta Esqueleto in cui la maledizione di Emanuel non funzionava e gli abitanti potevano mantenere l’aspetto umano.
Non avendo motivo di rifiutare l’invito, dopo il turno di lavoro Mordecai si era recato al locale in compagnia di Artemisia, Lesath, Moravich e Jason.
Si sarebbe presto pentito di averlo fatto.
 
Un’altra cosa che Mordecai non amava fare era bere alcolici. Non che fosse astemio, sia chiaro, ma la sua avversione era tale da non andare oltre al Martini, o al Crodino. Era sicuro di aver ordinato un drink analcolico, eppure avrebbe dovuto fidarsi del suo istinto quando non fu il barman a servirlo, bensì lo stesso Alejandro. Il sorrisetto beffardo del ragazzo a cui si era accompagnato, Felipe, gli aveva messo un brivido lungo la schiena. Ma quale motivo aveva di pensare male di Alejandro? Nel timore di fare una brutta figura, aveva accettato il drink che non aveva mai assaggiato prima. Non aveva percepito l’alcool – o c’era altro dentro? Non lo sapeva. Era troppo buono, dolce… e lo aveva bevuto tutto.
E tutto attorno a lui era cambiato. Non riusciva a mettere bene a fuoco le cose davanti ai suoi occhi. Si sentiva languido. I suoni erano attutiti, ma le parole di Alejandro… quelle no, non erano attutite ma… erano terrificanti. Quelle parole non potevano essere davvero uscite dalla sua bocca. Le avrebbe dimenticate, una volta tornato lucido? Ma se lo avesse fatto non avrebbe potuto avvisare la polizia…
Dai, doveva averle sicuramente immaginate. Quale persona sana di mente si sarebbe autoaccusato di omicidio con tale noncuranza? A meno che non avesse intenzione di far fuori anche lui, scomodo testimone..?!
Aveva biascicato allarmato qualche scusa e si era allontanato, dicendo che doveva andare al bagno. Non aveva trovato una scusa più decente ma Alejandro, Felipe e il ragazzo strambo attaccato al moro che guardava da tutt’altra parte, lo avevano salutato con aria sornione.
Mentre avanzava piano alla finta ricerca delle toilette, si chiese nuovamente come diavolo avesse fatto a perdere di vista Moravich. Suo fratello era sempre così protettivo con lui, e per quanto sia un fatto comune perdersi nella calca di un locale, gli sembrava insolito che Moravich lo avesse permesso.
Invece di trovare i compagni, ironia della sorte, trovò proprio la toilette. La razionalità che non lo abbandonava nemmeno da ubriaco lo convinse che tanto valeva andare a rinfrescarsi con un po’ di acqua corrente.
Rimase però impietrito sulla soglia. Emanuel, fissandolo dal vetro dello specchio, si stava lavando le mani dandogli le spalle. La serata andava di bene in meglio, pensò sarcastico.
“Non dovresti rimanere solo con Alejandro” disse con una certa severità il ragazzo vestito di nero.
“Non ero da solo. C’è gente nel locale” biascicò il Mordecai, avvicinandosi barcollando lievemente al lavabo più distante da quello in cui si trovava Emanuel.
Emanuel ignorò la provocazione e si voltò a guardarlo. “Dovresti andartene, Mordecai. Ora.”
“Grazie tante. Non si esce da Esqueleto” ribatté il biondo prima di sciacquarsi il viso.
“Sai cosa intendo. Andartene dal locale. E comunque si dice Itlazcoliuhqui-Ixquimilli” continuò Emanuel con una punta di inconsueto risentimento.
Mordecai, senza voltarsi, prese ad asciugarsi con la carta assorbente a disposizione.
Già, quello scioglilingua… Alejandro lo aveva pronunciato e aveva riso ai diversi tentativi di Mordecai di ripeterlo, per chiedergli cosa significasse… non aveva proprio idea del suo significato. E, beninteso, non aveva ottenuto risposta.
“Itlazcoliuhqui-Ixquimilli” scandì questa volta senza alcuna esitazione il biondo, cogliendo quasi di sorpresa Emanuel. Nessuna esitazione stavolta, nessun inciampo della lingua, nessun biascicamento. Persino il tono era insolito. Era… più tagliente.
Era difficile cogliere di sorpresa la reincarnazione della divinità del gelo e del giudizio. Ora, quest’ultima si ritrovava a fissare qualcuno che non era Mordecai e che mai si sarebbe aspettato di vedere. Non quella sera perlomeno.
Quello che non era Mordecai si voltò lentamente, con calma, fino a incontrare gli occhi di Emanuel. L’espressione da animaletto spaurito e sbronzo aveva lasciato il posto a un’espressione imperscrutabile e severa. Per la prima volta dopo tanto tempo, Emanuel non sapeva come comportarsi. Sapeva chi stava davanti a lui in quel momento. Quetzalcóatl.
“Itlazcoliuhqui-Ixquimilli” ripeté il serpente piumato, attirando l’attenzione di Emanuel su di sé. “Lascialo in pace” ordinò.
“No”.
L’ordine di Quetzalcóatl si fece più perentorio. “Lasciami in pace” .
Emanuel non vacillò. “No”.
“Se non ci lasci in pace, non ti perdonerò mai”
“Vivrò anche senza il tuo perdono, ma tornerai a prendere il posto che ti spetta, che tu lo voglia o no”  esclamò il moro, avvicinandosi al biondo.
“Dovrai passare sul mio cadavere per ottenerlo”.
“Già fatto. E rifatto. Un’infinità di volte”. Emanuel non aveva battuto ciglio nel rivelarlo. Dal canto suo, nemmeno Quetzalcóatl lo fece.
“Per ben cinquecento anni. C’è da perdere il conto. Non ti sei ancora stancato?” una domanda beffarda, a irridere il tormento che sapeva aver perseguitato le reincarnazioni di Itlazcoliuhqui-Ixquimilli per quelle morti necessarie ma evitabili, se solo Quetzalcóatl lo avesse voluto.
“Te l’ho già detto: tornerai a prendere il posto che ti spetta, nell’Era del Sesto Sole, che tu lo voglia o no”
“Auguri allora. Ti resta ancora un’ultima possibilità. 21 dicembre 2012. Ma preferirei che lasciassi perdere e lasciassi in pace Mordecai” lo sguardo severo del serpente piumato si velò di tristezza “Niente tornerà come prima. Non ti perdonerò mai per quello che hai fatto”
Emanuel si irrigidì. Avrebbe preferito continuare a sostenere uno sguardo accusatorio che quello triste, malinconico. Non lo aveva mai tollerato, non lo tollerava nemmeno adesso.
“Non mi importa. Questa volta, non mi fermerai. Nessun sacrificio mi fermerà”.
“Quindi…potrei facilitarti il lavoro, che ne dici?” Quetzalcóatl distolse lo sguardo e mosse qualche passo verso l’uscita, pensieroso. “Quella droga che Huitzilopochtli ha dato a Mordecai ha permesso il risveglio temporaneo della mia coscienza… fortunatamente per me, senza poteri. Potrei avere abbastanza tempo per togliere la vita a Mordecai e i giochi sarebbero finiti”.
“NO!” gridò Emanuel. Afferrò Quetzalcóatl, lo trattenne a sé. Senza potere, non avrebbe potuto divincolarsi dall’abbraccio.
“Come osi” sibilò la divinità. Ma non vi era rabbia o indignazione nella voce. Sbuffò. “Mi conosci così poco? Non verserò più sangue, né lo esigerò come tributo. La vita di Mordecai non terminerà a causa mia” .
“La vita di Mordecai terminerà comunque. E la tua ricomincerà”.
“Vedremo” il dio non si mosse dall’abbraccio, né aggiunse altra parola. Il tempo sembrava essersi fermato.
Mai nella sua vita, Emanuel aveva avuto modo di parlare con Quetzalcóatl. Ricordava le vite passate. Ricordava la sua vera vita, da divinità. Ricordava Quetzalcóatl. E quando lo faceva, la nostalgia lo sovrastava. Ricordava ogni singola volta in cui ritrovava una sua reincarnazione, ammesso che fosse così fortunato da ritrovarla: la speranza che fosse la volta buona; la delusione, per essere stato dimenticato; la rabbia, quando constatava che le caratteristiche di Quetzalcóatl percepibili nel carattere e nell’aspetto della nuova reincarnazione si attenuavano nella moltitudine delle differenze provocate da abitudini ed esperienze diverse.
Quetzalcóatl aveva ragione: aveva un’ultima possibilità per realizzare i suoi piani. Stavolta doveva assolutamente farcela.
“Emanuel..?!” il biondo si staccò freneticamente dall’abbraccio ed Emanuel non gli rese difficile l’impresa. L’animaletto sperso era tornato.
“Ma cosa..?” non ottenne mai risposta. Emanuel, preferì andarsene senza proferire parola.
Era una serata davvero fuori da ogni logica – finiva sempre così, quando compariva Emanuel. Prima si era sbronzato a una festa e non ricordava nulla di quanto successo, poi si era svegliato direttamente tra le braccia di Emanuel, e questo era già abbastanza inquietante. Sperava vivamente di non aver fatto cose imbarazzanti! Fu in preda a queste pare mentali che venne ritrovato da Moravich.
“Eravamo tutti preoccupati. Si può sapere cosa ti è successo?” esclamò avvicinandosi preoccupato.
Lo stomaco di Mordecai decise che era giunto il momento di ribadire, in modo più tangibile, che il ragazzo non era abituato a bere alcolici. “Non lo soourgh!” . La preoccupazione di Moravich per lo stato di salute del ragazzo venne presto accantonata dalla preoccupazione di dover rassicurare Mordecai che no, non era arrabbiato per il fiotto di vomito che era andato dritto sulle sue scarpe e che sì, era decisamente il momento di fare ritorno a casa.
A mai più, El Laberinto
Oppure no?

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Capitolo 2
*** Day 2: Terrorizzato ***


Giorno 2: Terrorizzato

Allen era solito abbracciare Ebenezer dopo aver fatto l’amore con lei e non lasciarla andare. L’accarezzava in silenzio e la donna si lasciava cullare, ricambiando quelle tenerezze fino a quando non cadeva addormentata tra le sue braccia. E allora Allen la guardava intensamente, imprimendo nella sua memoria ogni singolo millimetro di pelle delicata e bianchissima, così diversa dalla sua, bruciata e screpolata dal sole. Era bassa e bellissima, la sua Ebi. Il suo aspetto non era praticamente cambiato da quando l’aveva conosciuta e sposata – tanto tempo fa.

L’era del Quarto Sole, per la precisione. Per il dio Xochipilli aver avuto quella dea incantevole come sua sposa gli era sembrato una benedizione… e una disgrazia allo stesso tempo, perché non gli sembrava possibile che una tale meraviglia del Creato potesse amare davvero… beh… una divinità come lui. Senza lode e senza infamia, Xochipilli era una divinità di tutto rispetto, ma poteva essere sufficiente per Mayahuel? Le avrebbe donato il sole e le stelle, se avesse potuto… invece poteva darle solo... fiori. Sospettava inoltre che la venerazione degli umani fosse dovuta solo alle speciali piantine, sua creazione, che donavano effetti allucinogeni ai sacerdoti… Per dirla in modo conciso e brutale, Xochipilli soffriva di senso di inferiorità. Cosa piuttosto patetica per un dio.

La paura di Xochipilli era perdere Mayahuel. Come avrebbe potuto quindi non preoccuparsi dell’amicizia che la sua sposa aveva instaurato con Quetzacoatl, con cui aveva in comune l’interesse per gli abitanti della Terra? Come avrebbe potuto non soffrire, quando i due si nascosero tra gli umani? Come avrebbe potuto non sospettare che fossero amanti?

Non ebbe mai la possibilità di chiarire, di accusare la moglie, di battersi con Quetzacoatl. Li aveva rintracciati, ma solo per trovare Mayahuel trucidata dalle Tzitzimime governate dalla zia di lei, Tzitzimitl. Quetzacoatl stava piangendo come fosse stato lui il marito. Totalmente dimentico dei diritti dello sposo di Mayahuel almeno sulle  spoglie della dea, l’aveva trasformata nella prima pianta di agave, per darle nuova vita e onorare la sua memoria in eterno. Fu il marito a ricavare da quella pianta qualcosa che l’avrebbe resa indimenticabile e amata dagli umani. Alcool. Cos’altro di buono sapeva fare, dopotutto? Xochipilli, col cuore ribollente di dolore, aveva giurato vendetta nei confronti del dio del vento. E l’aveva avuta, ma non gli aveva dato nemmeno una magra consolazione.

Quando Allen aveva incontrato Ebenezer per la prima volta, non era sicuro di cosa fare. Tenerla lontana? Fingere di non ricordarsi di lei? Fu lei ad andare da lui. Sembrava così innamorata. Come non assecondare il suo cuore? Cosa poteva andare storto, vivendo come due semplici umani, in un’epoca tutto sommato pacifica?

Sembrava andare tutto per il meglio. La vita a Esqueleto era davvero tranquilla e piacevole. Era stato felice.

Finché Quetzacoatl, nei panni di un’inconsapevole Mordecai, non mise piede al Pavo de Corral, sancendo la sua prigionia nella cittadina, proprio a una manciata di mesi  dalla fine dell’era del Quinto Sole. Ebenezer aveva ripreso a frequentarlo ma sembrava più ispirata dalla tenerezza materna per quell’imbranato senza memoria del passato che non dalla passione di un’amante. 

Da allora gli incubi del passato tornarono a far visita spesso ad Allen. Non aveva saputo salvare Mayahuel dalla morte e le immagini degli occhi vitrei e del sangue sul suo corpo erano più dure della paura del tradimento. Ora che era solo Allen, provava il terrore di veder morire di nuovo la donna che amava più della sua stessa vita. Avrebbe tollerato il peso del tradimento e dell’abbandono, piuttosto.

Ogni notte, mentre guardava la sua fidanzata, si addormentava adombrato da questi cupi pensieri, consapevole che gli incubi sarebbero tornati a fargli visita non appena avesse chiuso gli occhi.

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Capitolo 3
*** Day 3: Vicini tranquilli ***


Giorno 3: Vicini tranquilli

Lo spettacolo che Mordecai, Moravich e Jason stavano offrendo ai pochi abitanti ancora per le strade era piuttosto comico. “Vi dico che riesco a camminare da solo, non serve che mi reggiate!”. Un daino parlante e mezzo traballante tenuto ben sorretto dai gemelli. Fortunatamente a Esqueleto le bizzarrie abbondavano e nessuno diede davvero importanza a quanto stava per accadere.

“Non c’era bisogno di accompagnarmi a casa! Davvero! Ormai sto bene” esclamò imbarazzato Mordecai.

“Ovvio che stai bene, hai vomitato tutto!” esclamò Moravich, provocando un’ulteriore ondata di imbarazzo al giovane.

Jason fece cenno a Mordecai, prontamente tradotto dal gemello “Jason ha provveduto a informare Artemisia e Lesath prima di lasciare il Lab. Non c’è alcun problema” .

Jason ridacchiò, guardando sottecchi il fratello con malizia.

“Sì, mi stavo annoiando e ti ho usato come scusa per andarmene” confermò Moravich.

“Ah ecco” commentò il biondo.

Ormai erano quasi arrivati al numero 13 quando….

“ALLEN, NOOOOO!” una voce di donna e lo schianto di vetri infransero il silenzio della notte e fece ammutolire i tre ragazzi.

Mordecai riconobbe la voce “Ebenezer!” e si voltò verso la porta della vicina di casa. “Lascia stare, Mordecai” Moravich cercava di mantenere un tono neutro mentre Jason tentava (senza successo) di non mostrare preoccupazione.

“Ma non esiste proprio!” battè lo zoccolo contro la porta. “Ebenezer! Apri la porta!”. Nessuno giunse ad aprire.

“Moravich, apri!” il ragazzo non capiva perché il fratello non fosse preoccupato per l’amica come lo era lui.

“Mordecai, davvero, Ebi non è in pericolo. Sta bene, credimi”. Ma Mordecai viveva da troppo poco tempo a Esqueleto per… sapere. Jason aprì la porta per lui, dando un’occhiata significativa al fratello, che comprese. Era meglio che il ragazzo si rendesse da conto da solo che le preoccupazioni per l’incolumità della ragazza erano infondate.

“Ebi, siamo noi. C’è anche Mordecai” disse Moravich a voce alta mentre i tre entravano nell’ingresso della casa.  

“Oh, Mordecai, caro..! Non venite in cucina per favore… è tutto sotto controllo!” la voce di Ebenezer, resa più acuta dalla preoccupazione e dalla tensione, dava alle parole un risultato decisamente opposto al loro significato letterale. In sottofondo, si udivano le lamentele sommesse di Allen.

“Ebenezer… hai bisogno di aiuto?” chiese con cautela Mordecai.

“Ebi, Mordecai ti ha sentito gridare e si è preoccupato” aggiunse Moravich.

“Ah capisco. Allen, tesoro… tieni stretto lo strofinaccio… ecco così. Arrivo subito”. La ragazza entrò nell’ingresso e Mordecai soffocò un grido: era coperta di sangue.

“Stai tranquillo Mordecai: il sangue non è mio”.

“È di Allen? È ferito? Devo chiamare l’ambulanza?”.

“Un incidente con una bottiglia. Forse serviranno dei punti ma non è una ferita grave. Ci penso io. Andate a casa, per favore. Ci vediamo al Pavo domani” sembrava padrona della situazione ma anche preoccupata.

Mordecai era tutt’altro che convinto.

“Ma tu stai bene? Voglio dire…” abbassò il volume “serve la polizia?”

Ebenezer si lasciò sfuggire una bassa risata di liberazione dalla tensione “È di là la polizia. Stiamo bene. Ora andate, buonanotte”.

Alla fine, la determinazione della ragazza fecero rassegnare Mordecai “Domani al Pavo Ebenezer, promettimelo”.

“Ma certo sciocchino! Vai! Ho la polizia che dissangua, di là!” abbozzò un sorriso mentre lo spingeva fuori gentilmente. “A presto, tesori! E grazie per esservi preoccupati per me!” e richiuse la porta, lasciando i tre sullo zerbino.

“Mordecai, davvero, non è il primo incidente domestico che coinvolge Allen. Lui è un tipo piuttosto… maldestro”.

“Maldestro..?”

“Ebenezer si preoccupa tanto per lui, per questo sembra sempre una questione di vita o di morte, quando si ferisce. Ma non farne parola con Allen: è un tipo piuttosto orgoglioso”.

Mordecai rimase silenzioso per i pochi metri fatti per raggiungere la porta della propria casa. Jason gli appoggiò la mano sulla groppa, nel tentativo di tranquillizzarlo. Nessuno era in pericolo.

Entrarono in casa e nessuno toccò più l’argomento.

 

Ebenezer tornò in cucina con la cassetta del pronto soccorso. Scrutò il volto pallido di Allen. “Perché ti fai questo, Allen?” ma il ragazzo si rifiutò di rispondere. Come poteva confessarle che il dolore fisico lo aiutava a non pensare al dolore del suo cuore provocato dagli incubi? Come poteva confessarle che preferiva vedere scorrere il suo sangue piuttosto che quello della sua amata?

… Come confessarle che stava praticando in segreto dei sacrifici di sangue, risalenti agli antichi riti, per proteggerla?

 

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Capitolo 4
*** Day 4: Cimitero ***


Giorno 4: Cimitero

Di cose strane a Esqueleto ne aveva viste tante. Ormai a Mordecai risultava impossibile trovare qualcosa che lo stupisse ancora. Eppure, quel giorno ne aveva trovata un’altra. L’ordine del pranzo a domicilio… al cimitero.

Nessuno al Pavo de Corral lo aveva informato, ma tutti i giorni c’era da portare il pranzo a una persona che viveva proprio lì e che aveva un conto aperto al locale. Mordecai, in quanto contabile, era a conoscenza di quel conto aperto che veniva periodicamente saldato ma ignorava la singolare destinazione dell’ordine fisso perché non era mai stato incaricato di portare i pranzi nell’orario di mezzogiorno. Gli era capitato di fare commissioni al supermercato o di portare qualche ordine durante il turno serale, ma il suo lavoro principale restava la contabilità e aiutava i colleghi solo quando questi erano troppo oberati di lavoro per occuparsene di persona. Ebbene quel giorno era uno di essi.

Seppur con reticenza, Thomas aveva chiesto a Mordecai quel grandissimo favore durante l’ora di punta. Il biondo sapeva bene dove si trovassero chiesa e cimitero, essendo a pochi metri dalla sua abitazione. Per sua sfortuna, provava una fifa nera per quel tipo luogo. All’orfanotrofio era la prova di coraggio per eccellenza: scavalcare i cancelli e visitare da solo le cripte, ovviamente rigorosamente di notte. Mai, neppure davanti alla minaccia di essere tacciato di codardia anche dai bambini più piccoli, il giovane Mordecai aveva osato affrontare la sfida. Non sapeva spiegarlo a parole, eppure… anche le visite al cimitero locale per onorare i defunti alla Festa di Ognissanti gli avevano sempre lasciato addosso la costante sensazione di essere osservato da occhi diversi da quelli dei presenti alla cerimonia. E comunque, tutto ciò che aveva a che fare con l’Aldilà lo inquietava molto. Chissà cosa avrebbero detto i suoi compagni se avessero saputo delle sfide in cui era invischiato ora, per colpa di Emanuel, oltretutto per sua scelta.

Almeno, al piccolo cimitero di Esqueleto si sarebbe dovuto recare di giorno, e il fatto di doverci andare per consegnare un burrito e dei churros col cioccolato fondente rendeva meno inquietante la cosa. Insolita, quello sì, ma sicura.

Mordecai fece per varcare la soglia ma si sentì come trattenuto.

“Chiedi il permesso, o non ti faranno entrare!” sentì gridare da chissà dove. Non che in quel momento gli importasse. Mordecai temeva le stranezze, soprattutto al cimitero, soprattutto al cimitero di Esqueleto.

“Chi non mi fa entrare?” esclamò con vocetta acuta il biondo.

“Il miglior sistema di sicurezza di Esqueleto: i miei amici!” rise la vocetta squillante.

“E se venissi tu a prendere l’ordine?” implorò.

“Fifone” commentò vivace la sconosciuta. Una mano spuntò da dietro a una tomba, provocando un sussulto in Mordecai, anche se era più propenso a chiamarlo infarto. Reggendosi alla lapide, fece la sua comparsa una ragazzina esile e pallida, vestita da giardinaggio e con attrezzi appuntiti legati alla cintura, che saltellò canticchiando burrito burrito burrito a me! verso il desiderato Mordecai. Si fermò proprio all’ingresso, ma non accennò ad oltrepassare il confine.

“Chiedi il permesso di lasciare il pranzo oltre il cancello”.

Col cavolo che entro, pensò il biondino “Burrito della casa e churros con cioccolato fondente. E succo d’ananas.”

La ragazzetta non si mosse “Amico, non posso allungare le mani. Devi allungare tu le tue”.

“Sì, ma i tuoi amici mi fanno impressione”

La ragazzina (quanti anni aveva? Dodici? quattordici?) sospirò “Tranquillo, cuor di leone, nessuno dei miei amici ti torcerà un capello. Non ci tengo a morire di fame e raggiungerli nella tomba” attese qualche istante e voltò i palmi delle mani per ricevere l’agognato pranzo. “Dai, ora puoi allungare le braccine”.

Mordecai allungò il cestino di cartone ma “PRESO!” le mani della ragazzina afferrarono i polsi del biondo che, sbilanciandosi per la sorpresa, venne attirato dentro lo spazio del cimitero.

Mordecai strillò e, mollando per terra il cestino, si strattonò all’indietro provocando, inspiegabilmente, un grido di paura della ragazzina, che lasciò immediatamente i polsi del ragazzo. Mordecai la guardò stupefatto: era ammutolita per lo spavento.

“Ho detto che TU puoi entrare. Ma IO…” mormorò agitata “non… posso … USCIRE!” prese le forbici da giardinaggio attaccate alla cintura e si recise una ciocca di capelli neri. La appallottolò e la lanciò verso Mordecai. Si trasformò in cenere nell’istante stesso in cui varcò il confine esterno. Ok, quello era decisamente più inquietante degli amici della stralunata.

Si voltò indietro “Come ti chiami?” si inchinò a recuperare il cestino.

“Mordecai”.

“Mordecai… non venire più tu, per favore” e, senza salutare, corse dietro alle tombe, e lì si nascose.

Non ci volle che qualche secondo, dopo l’ovvio spavento, perché Mordecai si sentisse uno schifo. Aveva appena spaventato una bambina quando lei non gli aveva fatto, in effetti, nulla di male.

“Posso entrare?” chiese all’aria e fece un passo avanti. Sentendo che nulla lo tratteneva, raggiunse la ragazzina.

“Mi dispiace. Non volevo spaventarti, né tantomeno farti del male”. La ragazzina era seduta dietro la lapide col burrito in mano ma con poca voglia di scartarlo.

“Non fa niente. Dovevo lasciarti in pace. Si vede che non ti hanno detto nulla” prese a scartare svogliatamente il burrito.

È un posto inconsueto per consumare il pranzo, pensava Mordecai.

“A loro non dà fastidio” rispose la ragazzina, come leggendo nella mente del biondo.

“Loro chi?” chiese nuovamente Mordecai.

“I miei amici” rispose di nuovo “Loro riposano qui da centinaia di anni. Questo cimitero è ben più antico di Esqueleto stessa”.

“Capisco”. Spiriti o meno, la ragazzina appariva comunque una bestiolina immersa nella solitudine.

“Mi chiamo Mordecai” anche se aveva già detto il suo nome, gli sembrò giusto presentarsi come si deve.

“Alma” rispose guardandolo di sottecchi per una frazione di secondo, poi addentò il suo burrito.

“Mmmmh, Aindreas io non ti conosco ma credo di amarti!” esclamò con tono di estasi.

“Devo tornare al Pavo. Piacere di averti conosciuta, Alma” fece per andare ma la ragazzina lo richiamò.

“Mordecai”

“Cosa?

“Non sono i miei amici a barrare la strada, sono io. Quando avrai bisogno di stare da solo per un po’, potrai venire qui”.

 

 

“Avrei dovuto avvisarti prima Mordecai, ma ero oberato di lavoro per spiegarti per bene la cosa e Alma è inoffensiva. Mi dispiace” si scusò Thomas quando Mordecai fece ritorno al Pavo e dopo che il biondino aveva raccontato quello che gli era successo al cimitero.

“I primi giorni qui ti eri domandato come mai tutti quanti qui temessero così tanto Emanuel. Lui ci tiene prigionieri a Esqueleto e ci trasforma in animali la notte, ma per il resto ci lascia liberi di fare quello che vogliamo. Ma quando arrivò a Esqueleto cinque anni fa, Alma osò insultarlo pesantemente. Emanuel non ebbe pietà del fatto che, all’epoca, fosse solo una bambina di otto anni: la trascinò al cimitero e la confinò in quello spazio. O almeno, questo è ciò che si raccontava in giro all’epoca. Non si trasforma in alcun animale, nemmeno la notte. Ma se oserà uscire dalla sua prigione, diventerà cenere. Da quel giorno, sono passati cinque anni”.

“Ma è… orribile” mormorò con orrore Mordecai. “Ma non possiamo fare niente per lei..?” .

“Cosa possiamo fare contro Emanuel, Mordecai?

“Ma come ha fatto a finire qui una bambina? I suoi genitori..?”

“Non sappiamo nulla dei suoi genitori. Non ce ne fu il tempo, visto che Emanuel la rinchiuse al cimitero il giorno stesso del suo arrivo, e lei non fa parola su quel giorno. In quello stesso periodo era arrivato anche un adulto, Dorian, ma non credo sia un suo parente. Ma non angustiarti troppo: ti stai impegnando nelle sfide per farci ottenere la libertà: molto probabilmente anche Alma ne beneficerà”.

Se vincerò”

Quando vincerai. Sono sicuro che ce la farai. Noi siamo tutti dalla tua parte. E non preoccuparti per Alma: noi tutti a Esqueleto facciamo in modo che non le manchi nulla”.

Sorrise appena. Quando vincerai. Thomas era davvero sicuro che sarebbe successo. Ma quel quando gli fecero tornare in mente anche le parole di Alma.

Quando avrai bisogno di stare da solo per un po’, potrai venire qui”.

Cos’avrà voluto dire?

 

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Capitolo 5
*** Day 5: Decapitazione ***


Giorno 5: decapitazione

“Allora Mordecai, cosa prendi da bere?” chiese Alejandro con voce squillante, chiamando con un cenno della mano uno dei barman liberi al bancone.

“Allora Mordecai, come diavolo hai fatto a perdere di vista il tuo gruppo? Non ne imbrocchi una giusta!” pensava piuttosto il biondo mentre richiedeva un analcolico della casa.

“Stai scherzando, spero! Ordinare un analcolico al Lab è blasfemo!” esclamò con finto scandalo il proprietario del locale. Era stato carino, da parte sua, prenderlo sottobraccio non appena lo aveva visto guardarsi intorno spaesato, ma allontanarlo da dove si trovava avrebbe reso ancor più difficile per lui trovare Artemisia, Lesath, Moravich e Jason.

Alejandro stava esortando gli avventori già presenti al bancone. “Felipe, Santos, diteglielo anche voi!”.

“Guarda che ci sono ottimi drink alla carta!” disse Santos, rivolto all’estintore.

“Scusatemi, ma non bevo alcolici. Non insistete” tagliò corto il biondo, sperando di non mostrarsi maleducato.

“Brutte esperienze passate?” mormorò Felipe. Mordecai lo sentì benissimo, malgrado la musica assordante, e non riuscì a reprimere un brivido lungo la schiena. Non ne capiva il motivo ma Felipe non gli andava affatto a genio. Lo metteva in allarme. Alle sue parole, si chiuse a riccio, e Alejandro se ne accorse.

“Nessun problema Mordecai. Fai un analcolico della casa per il mio amico e mettilo sul mio conto!” aggiunse rivolto al barman.

“Mordecai, è così bello che finalmente possiamo chiacchierare un po’! Non abbiamo avuto molte occasioni ultimamente!” aggiunse Santos, sempre rivolto all’estintore.

“Sono qui” si sentì in dovere di rispondere; e decisamente avrebbe voluto essere da tutt’altra parte.

“Ecco qui” Alejandro piazzò in mano al biondo un bicchiere riempito fino all’orlo con una bevanda di un rosso intenso – sembrava quasi sangue.

“Bene, Felipe, Santos, siete dei nostri?” e trascinò Mordecai verso i tavolini vuoti, dove aveva adocchiato quattro posti liberi. Mordecai si ritrovò tra Alejandro e Felipe; Santos, accanto a Felipe, si stava in realtà rivolgendo a quelli del tavolino di fianco, fraintendendo le posizioni dei suoi amici e parlando, senza accorgersene, a dei perfetti sconosciuti che lo guardavano allibiti.

“Beeeene, dove hai lasciato i tuoi amici? Non sei venuto qui da solo, immagino” chiese Alejandro mentre sorseggiava il suo margarita.

“Sì, ma li ho persi nella calca. Dopo proverò a contattarli al cellulare, ammesso che sentano la suoneria con tutta questa musica!”

“Intanto bevi! Dimmi se ti piace!” lo esortò il moro.

“Buono!” Era davvero delizioso. Ne bevve un altro sorso, e un altro ancora.

“Vedo che ti sei ambientato a Esqueleto! Ti piace la tua nuova vita?”

“Sì, abbastanza. Sono tutti straordinariamente gentili, al Pavo. È come se avessi trovato una famiglia!” finì il drink senza nemmeno rendersene conto.

Alejandro scoppiò a ridere. “Spero vivamente di no!”. Persino Felipe sbuffò e alzò gli occhi al cielo.

“Scusa, perché dici così?” iniziava a sentire la bocca un po’ impastata.

“Scusa, non dovrei generalizzare, ma sai, non è che abbia avuto una famiglia… beh… normale, in cui crescere”

“Scusami, non volevo farti venire in mente brutti pensieri” avvicinandosi ad Alejandro per metterlo meglio a fuoco. Perché vedeva tutto sfumato e luccicante?

“I brutti pensieri li ho in testa. Non sono certo le tue parole a evocarli”.

“Non hai nessuno della famiglia qui a Esqueleto… o fuori? Magari ti stanno cercando”

“Mia madre e i miei fratelli sono morti”

Mordecai rimase senza parole. Non si aspettava una piega così seria del discorso, non in un locale, davanti a dei drink.

“Quando mia madre rimase incinta di me, di padre ignoto, i miei fratelli non furono entusiasti. Mia sorella maggiore la definì senza mezzi termini una puttana. E la uccisero. Un delitto d’onore, così lo giustificarono” Alejandro rimase a guardare l’effetto che le sue parole ebbero su Mordecai. Trattenne una risatina: la sua espressione era mista tra incredulità e sconcerto. Alzò il tiro.

“Li uccisi tutti. Uno per uno. Non pensavo che mi avrebbe fatto tanto impressione uccidere mia sorella: era la maggiore, ma era molto più minuta di me. Beh, non ebbi pietà: era colpa sua se io ero cresciuto senza una madre che mi amasse. Ancora oggi, il rumore della sua testa che cade dalle scale mi perseguita tutte le notti, dopo tutto questo tempo. Sogno spesso mia sorella che mi insegue gridando di volere la mia, di testa. E guardando la luna, mi chiedo spesso se la mia vita sarebbe stata diversa, se avessi trattenuto la mia furia omicida”.

“Alejandro, non essere così duro con te stesso. Hai solo fatto giustizia. E se lo ha detto Itlazcoliuhqui-Ixquimilli, puoi star certo che è così”.

“…Chi?” chiese incerto Mordecai, scatenando l’ilarità dei due interlocutori. Santos era perduto in una conversazione su colliri con quelli del tavolino accanto.

“Una vecchia conoscenza, diciamo. Lo hai mai sentito nominare? Dai, prova a dirlo: Itlazcoliuhqui-Ixquimilli”

“Iza… zigulì…”

L’ilarità raggiunse le stelle

“izacogli-zilli?”

“Non ce la posso fare” commentò Felipe.

Mordecai aveva colto la neanche tanto velata presa per i fondelli. “Alejandro… cosa ciera in quel bicchiere?”

“Un delizioso analcolico, ovviamente, arricchito con specialità erboristiche autoctone.. da sballo!” aggiunse sornione.

“Io… devo andare in bagno” e si allontanò senza ascoltare risposta.

“Lo capisco… quelle erbe hanno proprietà diuretiche, tra l’altro” aggiunse Felipe in segno di commiato.

Era decisamente il caso di tagliare la corda…

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Capitolo 6
*** Day 6: Realtà ***


Giorno 6: Realtà

“Come ci si sente ad essere responsabile di un disastro?”

Quetzacoatl aveva sentito le parole del suo interlocutore ma non aveva cuore di prestare loro attenzione. Aveva appena assistito all’epilogo di una storia davvero triste, per chi non era in grado di mantenersi distaccato dalle umane miserie, così lontane dagli interessi delle divinità – di tutte le divinità eccetto Quetzacoatl, naturalmente. Fin dall’inizio dei tempi aveva amato quelle bestioline che erano state create, e che avevano raggiunto la perfezione nell’Era che stavano vivendo in quel momento, quella del Quarto Sole. Le aveva viziate con ricchi doni: mais, cioccolato, pulque… Non c’era da stupirsi che Quetzacoatl fosse quasi il più amato tra gli dei. Ma per la prima volta, il dio si chiedeva se quell’ultimo dono che aveva fatto, quello di provare l’amore, sarebbe stato visto ancora come tale.

Recentemente era stato effettuato un sacrificio a Tlaloc, ed era risaputo quanto quest’ultimo apprezzasse le anime dei bambini, che a lui giungevano mediante  l’annegamento. Tutt’altra storia rispetto agli squartamenti dei guerrieri fatti prigionieri durante le scorribande tra tribù rivali.

“Le donne sfornano bambini come fossero gattini” aggiunse l’interlocutore, non aspettandosi risposta dal serpente piumato “tante piccole bocche da sfamare che talvolta muoiono quando non hanno raggiunto i 5 anni di vita, soprattutto in tempo di carestia. Se Tlaloc può donare cibo e acqua attraverso le sue piogge, il sacrificio di un bimbo ben vale la sopravvivenza di tutti gli altri bambini. Uno scambio tollerabile per qualsiasi madre”.

“Bambini che almeno non andranno nel Mictlan e raggiungeranno direttamente il Reame di Tlaloc” Quetzacoatl doveva ammettere che la sorte di quei piccoli sacrificati non era poi così male rispetto a quella dei bambini destinati a vivere e diventare forti guerrieri che avrebbero continuato ad onorare gli dei e a fornire loro  sacrifici di sangue per mantenere l’ordine del creato.

Ma questa volta, l’atmosfera era stata del tutto diversa. I legami d’affetto si erano rafforzati enormemente dopo il “dono” di Quetzacoatl. La madre del piccolo prescelto a servire Tlaloc per l’eternità aveva protestato disperatamente, aveva lottato per difendere la vita del figliolo. Per la prima volta, non vi era orgoglio nel bambino, non vi era fierezza nei genitori: solo grida e angoscia. I sacerdoti avevano dovuto abbondare con la droga, per non interrompere il rito, la cui solennità tuttavia venne rovinata dall’atmosfera cupa di amarezza e di compassione.

E adesso, le due divinità stavano assistendo appunto all’epilogo della storia: la giovane madre si era impiccata ad un albero e pianti di lutto si alzavano alti tra gli amici e i familiari della donna. L’impiccagione era un tipo di uccisione inusuale tra gli aztechi: non una singola goccia di sangue era stata versata per coloro che, indirettamente, avevano già goduto del sangue del suo amato bambino. Da lei non ne avrebbero ricevuto altro.

“Spero che almeno ne sia valsa la pena, Quetzacoatl” l’interlocutore sapeva cosa avesse spinto il serpente piumato a concedere agli umani una forza così potente e pericolosa come la capacità di amare. La bionda divinità era piuttosto limpida nelle sue intenzioni, per non dire ingenua, e non aveva fatto mistero di essersi innamorato di una donna mortale (giusto Xochipilli aveva un po’ frainteso la destinataria del suo amore). Ma senza amore tra gli umani, la giovane non avrebbe potuto ricambiare il sentimento del serpente piumato. Fu piuttosto semplice, a quel punto, fare due più due.

“Ti chiederei chi sei tu per giudicarmi, ma sbaglierei approccio” commentò ironicamente Quetzacoatl alla divinità del giudizio.

“Come ci si sente ad essere responsabile di un disastro?”

“Anche tu ti senti così quando accade un disastro, Itlazcoliuhqui-Ixquimilli?”

In quanto divinità che aveva a cuore il benessere degli umani, Quetzacoatl mal tollerava ciò che era per loro fonte di disagio o peggio e, per proprietà transitiva, mal giudicava chi ne era responsabile, fosse esso il fratello Tezcatlipoca, Itlazcoliuhqui-Ixquimilli, che era divinità del giudizio, ma anche del gelo e dei disastri, o qualche altra divinità. Ma adesso che era stato lui stesso responsabile di una tragedia – di piccola entità, avendo coinvolto un numero limitato di persone, ma per chi la viveva, era assoluta – si stava chiedendo per la prima volta se, in realtà, a Itlazcoliuhqui-Ixquimilli quel ruolo gli stesse stretto. Lui era quello che era, talvolta non c’era possibilità di scelta.

Il dio dei disastri rimase in silenzio per qualche momento. Sembrava cercare con cura le parole.

“O ti abitui o soccombi”.

“Dunque è un bene che tu sia anche divinità del gelo: il ghiaccio è una buona corazza per il cuore”.

Itlazcoliuhqui-Ixquimilli non replicò al commento. “Un conto è curarsi degli umani, un conto è lasciarsi coinvolgere. Non porta mai niente di buono”.

Quetzacoatl rimase in silenzio a guardare Itlazcoliuhqui-Ixquimilli che se ne andava via senza aggiungere altro, lasciandolo in compagnia dei suoi pensieri e del suo pentimento.

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Capitolo 7
*** Day 7: Mostri ***


Giorno 7: Mostri

“Non mi aspettavo di rivederti nel mio regno, Quetzacoatl” commentò il signore del Mictlan. E non mentiva. L’ultima occasione in cui il serpente piumato si era presentato a lui con la sua questua, agli albori del Quinto Sole, non lasciava presagire un eventuale ritorno al suo cospetto, e l’atteggiamento nervoso di Xolotl confermava la perplessità di Mictlantecuhtli. Seduta accanto allo scranno, la sua sposa Mictlancihuatl sembrava pensare la stessa cosa ma manteneva il silenzio.

Solo Quetzacoatl non tradiva alcun timore, lui che più di tutti avrebbe dovuto averne. Era inginocchiato, come si conviene quando si è in visita a un sovrano, ma il suo portamento non era affatto quello di un postulante: i suoi occhi fissavano la figura di Mictlantecuhtli.

“Sono venuto a chiedere conto delle ossa di giada che mi hai tenuto nascosto” disse con voce ferma.

“Non ci sono altre ossa. Le hai portate via tutte”

“Questo era l’accordo” convenne il serpente piumato “ma quando l’umanità ha preso vita da quelle ossa, qualcosa mancava”

“Hai danneggiato le ossa: è normale che gli esseri umani non somiglino più a quelli che sono periti nel declino del Quarto Sole”.

“Sono state le quaglie della Vostra Signora a rovinarle, se vogliamo esser franchi. Ma non è questo il punto. Sapevo che gli esseri umani sarebbero stati diversi, e questo ha reso la mia ricerca più difficoltosa. Ma adesso è stato chiarito il motivo: le ossa di Malintzin non sono mai uscite dal tuo regno”.

“Nessuna delle ossa di giada, e di conseguenza nessuna delle anime a esse legate, è rimasta nel Mictlan. Ne avevo io la responsabilità, so quello che dico. A meno che tu non osi insinuare che stia mentendo”.

Quetzacoatl la guardò con minor severità rispetto a quella riservata al suo sposo “Signora, vi credo. Voi avete avuto cura di tutte le ossa. Tutte.”

“Quindi, sei qui a parlare di niente” tagliò corto Mictlantecuhtli.

“Le ossa di Malintzin non erano ai vostri piedi e non sono sulla Terra” argomentò il serpente piumato “Una cosa è certa: Malintzin fu sacrificata in vostro onore, quindi di sicuro è stata portata qui da mio fratello Xolotl.”

“Quella donna non è perita nel cataclisma, ma a seguito di un sacrificio in mio onore. Cosa scelgo di fare con ciò che mi appartiene non è affar tuo”

“Le ossa di giada appartenevano anche ai morti prima del cataclisma, per non dire soprattutto!” protestò Quetzacoatl “La maggior parte degli umani è stata trasformata in pesci, quella affogata si trova da Tlaloc. Dei sacrifici ci si interessa soltanto al cuore e al sangue: l’anima e le ossa restano qui senza problemi e non interessano a nessuno. Quindi… le ossa di Malintzin sarebbero dovute tornare a me!”

“Quetzacoatl…” Mictlantecuhtli parlò lentamente ma con tono spaventoso “sei davvero qui a reclamare per la morte della donna che ti sei preso nel Quarto Sole? Sul serio? Siamo nel bel mezzo del Quinto Sole! Il popolo che ci venera è sul punto di estinguersi per le nuove malattie portate dagli stranieri – e questo si traduce in lavoro extra per il sottoscritto e per tuo fratello -  e TU sei qui per una donna umana?” . Il tono aumentava progressivamente mentre polemizzava con il serpente piumato, facendo desiderare a Xolotl e a Mictlancihuatl di essere da tutt’altra parte, ma Quetzacoatl non cedette.

“Voglio il posto che avrebbe avuto Malintzin nel Quinto Sole”

“Cosa?!” Sbottarono i due consorti e Xolotl. Erano allibiti.

“Voglio avere la vita che Malintzin non ha potuto vivere per colpa vostra” spiegò meglio Quetzacoatl “E non voglio sentir parlare di pagamento. Non ho avuto l’intero ammontare delle ossa. E tu mi hai tolto più di quanto ero disposto a dare! Salda il tuo debito”.

“Per quale motivo dovresti desiderare di diventare un mortale? Ammazzati no? È meno complicato!”. La sorpresa aveva mandato l’aplomb del signore del Mictlan completamente sottoterra.

“Ho i miei motivi” tagliò corto il serpente piumato.

“E cosa ci ricaverei da questa richiesta? Ciò che chiedi è troppo esoso” ribatté, chiaramente intenzionato a rispedire quel deficiente fuori dal suo regno il prima possibile e dimenticare le sue assurdità.

“Ci ricaveresti in dignità” il commento della sua consorte fu l’ennesima assurdità che le povere orecchie scorticate del dio fu costretto a sentire.

“È vero quello che dice? Abbiamo dei debiti? Questo è disdicevole!” esclamò Mictlancihuatl per giustificare la sua precedente affermazione.

“Questo è troppo!” tuonò il signore del Mictlan. “Xolotl, porta tuo fratello fuori dal mio regno! E se oserai riportarlo al mio cospetto… te la farò pagare cara”

Xolotl colse l’occasione “Fratello, per favore, andiamo… per il bene di entrambi!”

Fu solo per l’incolumità del suo gemello che Quetzacoatl si lasciò guidare fuori dal mondo sotterraneo. Fosse dipeso da lui, si sarebbe battuto con Mictlantecuhtli. Cosa aveva da perdere?

 

I mesi erano passati veloci a Esqueleto e Mordecai aveva cominciato a esser teso: mancava poco alla scadenza del patto fatto con Emanuel. Quante altre calacas avrebbe dovuto recuperare ancora per liberare tutti? Non lo sapeva, anche se sapeva di averne liberate parecchie, nell’ultimo anno. E le anime liberate si erano rivelate essere tutte divinità prigioniere, più o meno potenti, più o meno consapevoli della loro condizione divina. Le sfide di Emanuel erano diventate progressivamente difficili e rischiose, eppure avevano reso Mordecai sempre più forte. Questo, ma anche l’aiuto dei suoi amici, era riuscito a salvarlo dalle sfide successive, ulteriormente pericolose. Artemisia e i suoi fratelli sembravano sereni, seppur comprensivi verso le paranoie del biondino: secondo loro, infatti, non dovevano mancare molte calacas all’appello. In ogni caso, erano le sfide di Emanuel a scandire la frequenza con cui Mordecai poteva intervenire nel loro recupero. I suoi amici lo avevano rassicurato, e conoscendolo meglio se ne era convinto anche Mordecai stesso: per quanti difetti il moro potesse avere, era anche una persona leale e giusta, e non avrebbe mai posticipato qualche sfida a dopo il 2012 per indurre la sconfitta a tavolino di Mordecai.

Per l’anniversario del suo arrivo a Esqueleto, Mordecai era rimasto a sistemare e ripulire il Pavo con Mattie, Thomas e Franklin, alla chiusura del turno serale. Gli sembrava poetico essere dove tutto era iniziato, e quasi nella stessa situazione: Franklin e Mattie stavano ancora battibeccando e Thomas cercava di mettere la pezza tra i due litiganti.

Poi vennero il buio e il familiare ticchettio dell’orologio-medaglione che scandiva la convocazione al cospetto di Emanuel. Riprese i sensi sulla cima di una piramide azteca, con bracieri ai lati a illuminare la notte senza luna. Non era un luogo spaventoso, e nemmeno insolito, se si tralasciava il fatto che solo una magia avrebbe potuto trasportarlo, fisicamente o oniricamente, così lontano dal Pavo de Corral.

“Bentornato, Mordecai” esordì Emanuel. Ecco, erano arrivati al punto. Quale nuova sfida avrebbe richiesto stavolta quella divinità così ambigua e imperscrutabile?

“Niente indovinelli per oggi, Mordecai. Ciò che ti chiedo di fare è una scelta”. Quasi che fosse stato dato un comando invisibile, entrarono nel suo spazio visivo altre presenze. C’erano Mattie e Thomas, svestiti, pallidi e resi muti dalla paura e dall’incredulità. Erano legati e trattenuti da un’altra figura, di statura troppo alta per essere umana, con dipinti blu sul corpo e una corona di piume del medesimo colore in testa, ma dai tratti del viso inequivocabili: era Franklin, apparentemente dimentico del suo compagno e del di lui fratello, e in attesa del comando di Emanuel.

“Mordecai…” si poteva leggere la paura negli occhi di Thomas. Il fratello aveva altri modi per dimostrarla.

“Lo sapevo, LO SAPEVO che saresti stato un problema fin dal primo giorno!”

“La sfida che ti propongo è molto, molto semplice. Soprattutto, non ci sarà alcun rischio per la tua vita” proseguì il moro ignorando i prigionieri. Franklin non aveva ancora battuto ciglio e continuava a tenere saldamente le corde che stringevano i polsi delle sue vittime. Mordecai era molto teso ma rimase a sentire quanto aveva da dire Emanuel. Sarebbe andato tutto bene come sempre, o almeno lo sperava.

“Per liberare tutti, ho bisogno di molte energie, e immagino che, dopo i mesi trascorsi a Esqueleto, sarai venuto a conoscenza di qualche tradizione delle antiche cerimonie azteche”. Per sottolineare il concetto, snudò un pugnale di ossidiana di pregevole fattura, ma che appariva senza tempo.

Mordecai impallidì “N-non starai dicendo quello che penso tu stia dicendo?”

“Non saprei: cosa stai pensando che io stia dicendo?” lo canzonò il moro con l’accenno di un sorriso beffardo.

“Non dirlo più e torniamo a casa?” azzardò con vocetta tenue.

“In questo caso il contratto cesserà”

Giusto….

“Allora” Emanuel si avvicinò e mise in mano a Mordecai il pugnale e lo prese di spalle per voltarlo verso il terzetto.

“La tua sfida consisterà nel consegnarmi il cuore pulsante di uno dei due fratelli”

I suddetti fratelli, come ovvio che fosse, sussultarono, e lo stesso fece Mordecai.

“Tu scherzi!”

“Non sono mai stato più serio di così” replicò l’altro, ed era vero.

“Emanuel, non esiste che io faccia… ciò che tu mi chiedi” esclamò inorridito.

Non riusciva nemmeno a nominare l’atto che era stato chiamato a fare. Mordecai non riusciva a credere che il moro fosse giunto ad ordinargli una cosa del genere! Aveva quasi sperato di aver sentito male! Erano passati tanti mesi, aveva vissuto brutte esperienze, eppure era la prima volta che realizzava quanto la divinità davanti a lui fosse… un mostro. Non era vero, lo aveva pensato anche durante la prima sfida, ma ancora non lo conosceva… e ora si rendeva conto di non averlo mai conosciuto davvero.

Con espressione algida, la divinità continuò il suo discorso “Quale sacrificio porterai al mio cospetto?” alzò il braccio verso Mattie, e Franklin espose il prigioniero alla luce della torcia “Un cuore giovane, fiero e impulsivo”

“NO, NO, LASCIALO! SCEGLI ME, MA LASCIA VIVERE MIO FRATELLO” gridò Thomas.

Emanuel non diede segno di averlo sentito, Franklin non batté ciglio.

“Oppure un cuore saggio e protettivo, che ha conosciuto sia il dolore che l’amore?” fu il turno di Thomas di essere esposto.

“NON OSARE! NON OSARE TOCCARLO! TI UCCIDERÓ EMANUEL, FOSSE L’ULTIMA COSA CHE FACCIO!” minacciò il più giovane dei fratelli. Ma sapevano tutti che erano parole a vuoto, uno sfogo del tutto impotente, frutto della disperazione.

“Scegli la vittima sacrificale, per la libertà di tutti” sentenziò crudelmente la divinità.

Mordecai scosse la testa quasi convulsamente.

“Non posso farlo… non posso…” era quasi sull’orlo delle lacrime. Artemisia, perché non interveniva? Avrebbe saputo dirgli cosa fare!

“Allora moriranno entrambi” decretò Emanuel.

“Cosa..?” sussurrò Mordecai orripilato.

“Puoi scegliere se uccidere una persona – e salvare l’altra – oppure cedere a me il compito, e io sacrificherò entrambe le vite. Che siano uno o due, non fa differenza, ma nessuno uscirà da questa dimensione fino a che non avrò un cuore umano in sacrificio” spiegò il moro.

 Ma in questo modo, raggiungere il mio obiettivo non avrebbe più alcun significato”, pensò il biondo in presa all’ansia. Si trovava in una posizione di stallo.

Cosa fare… cosa?!

“Allora, Mordecai?” incalzò il dio. Non aveva tempo da perdere. “Chi scegli?”

Mordecai fissava il vuoto. Non voleva vedere, non voleva sentire. “Thomas” sussurrò, ma venne udito da tutti i presenti.

“NOOOOOO, BASTARDO!” Mattie riprese a gridare a squarciagola e a dimenarsi mentre la corda, con cui era legato, veniva assicurata a un anello. Franklin  trascinò il rassegnato Thomas su una lastra di pietra. Un comune mortale non avrebbe potuto fare quel lavoro da solo, ma Franklin non lo era – oh, proprio no – e Thomas sembrava fin troppo mansueto nel suo ruolo di prescelto. Forse, era grato che tale destino non fosse toccato al suo amato fratellino, o forse era contento di contribuire alla salvezza di tutti, anche se non ne avrebbe mai beneficiato.

Fu solo dopo che Franklin ebbe finito di fissare le corde del prigioniero alla lastra, assicurando che il corpo fosse inarcato a offrire il petto, che Mordecai si avvicinò all’altare, mettendo spazio tra sé e il mostro. Teneva stretto a sé il pugnale.

“Mi dispiace Thomas” mormorò, alzando il coltello d’ossidiana.

Le grida di Mattie si fecero più isteriche quando, al calar della lama, tacquero all’istante.

Mordecai non fu in grado di trattenere i rantoli spezzati e le lacrime di dolore mentre affondava la lama tra le sue carni, cercando di aprire un varco verso il suo cuore.

“U-un cuore umano, Emanuel… p-per liberare tutt…” crollò a terra. Se il mostro voleva così tanto un cuore umano, avesse avuto la decenza di prendere quello che ancora pulsava nel suo petto da solo, visto che il dolore era diventato a tal punto intenso da esserne paralizzato.

“Mordecai…” mormorò Thomas.

Emanuel, dal canto suo, non sembrava minimamente turbato dalla scena. Si fece subito vicino al biondo, guardandolo negli occhi febbrili. Non aveva bisogno di vedere dove affondare i lunghi artigli per estrarre il cuore e mostrarlo al morente.

L’ultima cosa che Mordecai percepì fu il sangue che gli bagnava il volto e il cuore caldo appoggiato alle sue labbra; rivoli abbondanti di sangue scendevano nella sua gola, soffocandolo.

“Non mi sarei aspettato nulla di diverso dalla più misericordiosa tra le divinità azteche” mormorò Emanuel.

Infine giunse il buio.

“Ora sei libero, Quetzacoatl. Torna da me”.

 

 

 

“Il mio sposo può tollerare il peso di un debito, ma io no. Benché sua consorte, non sono certo priva di potere. Avrai ciò che hai chiesto, Quetzacoatl: possano i tuoi desideri realizzarsi, in questa vita o nelle prossime”.

 

 

Mordecai si risvegliò al Pavo sussultando violentemente. Come sempre, al termine delle sfide, sembrava aver vissuto solo un incubo. Era la prima volta tuttavia che l’esito della sfida era stata la sua morte, quindi tutto poteva credere il biondo tranne che si sarebbe risvegliato in un posto che non fosse l’Aldilà.

E invece si trovava al locale, rimasto come lo aveva lasciato. Ma mancavano… dove erano finiti Thomas e Mattie?

“Mordecai” Artemisia, Ebenezer, Thomas e Moravich erano inginocchiati accanto a lui e lo guardavano con attenzione. Ma era strano… erano loro? Mordecai strinse gli occhi, senza rispondere al richiamo. Li vedeva… ma allora perché intravedeva anche la loro forma di divinità, alta eppure impalpabile? Anche Ebenezer, bellissima come sempre ma… aveva una figura eterea alta, dipinta e vestita con penne e fiori che lasciavano poco spazio all’immaginazione… ma Mordecai era troppo turbato per imbarazzarsene; oltretutto, trovava il suo aspetto stranamente familiare.

“MORDECAI!!!” la voce di Franklin irruppe in tutta la sua esuberanza e andò ad abbracciare il biondo da dietro, sollevandolo di peso e facendolo urlare dallo spavento. Sembrava essere come al solito, ma eccessivamente felice di vederlo.

“Bentornato, fratellone! Sono così contento che tu sia tornato” ok, se aveva ricordato la stessa terrificante esperienza che aveva vissuto lui, allora aveva senso tutto quell’entusiasmo; ma da quando in qua lo chiamava fratellone? E quell’eterea corona di piume blu sulla testa?!

Qualcosa stava combattendo per arrivare alla sua coscienza, ma l’istinto gli impose di non occuparsene.

“Franklin, dove sono Thomas e Mattie?”

“Siamo qui” i fratelli erano defilati poco distanti, e per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Mattie non lo guardava più con il solito astio. Questo cambiamento allarmò Mordecai più del dovuto. Ma ciò che più lo destabilizzava… erano le figure eteree, ma più luminose, che emanavano i loro corpi. Quindi anche loro erano… divinità?

 

Quetzacoatl non avrebbe dovuto sentire quella conversazione.

“Anticipare la fine dell’Era del Quinto Sole? Non sarà azzardato?” chiese Itzlapapalotl.

“Sangue ne avremo in abbondanza, con le carneficine degli umani, e il sole non correrà certo il rischio di fermarsi. Ma i Mexica stanno soccombendo. Presto saremo dimenticati e, a quel punto, perché mai dovremmo continuare a fornire loro i nostri doni?” ragionò Huitzilopochtli.

 

Mordecai si scansò da tutti. L’inquietudine cresceva dentro di lui, assieme alla consapevolezza.

“Se non serve altro, io tornerei a casa. Sono molto stanco”.

“Ma come…” Franklin aveva iniziato a protestare ma venne interrotto da Moravich.

“Ti accompagniamo” disse prontamente quest’ultimo, seguito da un cenno silenzioso del gemello al suo fianco.

“Non serve. Vorrei stare da solo”

“E perché mai? Viviamo vicini”.

“Già, viviamo vicini…” si arrese il biondo.

Salutati Franklin, Mattie e Thomas, il gruppetto era sul punto di partire.

A un passo dalla strada, Mordecai esitò. Gli altri lo osservavano. Doveva ignorarli. Nulla accadde quando mise il piede fuori dalla zona sicura del Pavo. O meglio, qualcosa era accaduto: camminava ancora sulle sue gambe umane. Ma aveva paura a guardarsi.

“Mordecai…”

“Andiamo a casa” interruppe il biondo. Non. Voleva. Parlarne.

“Ma..”

“No!”

E si avviarono, in silenzio.

 

“E Quetzacoatl ce lo lascerebbe fare?” chiese Xipe- Totec.

“Ha poco da fare, se le altre divinità non lo appoggeranno” ribatté Tezcatlipoca.

“E comunque si ritornerà al punto di partenza, se Quetzacoatl vorrà ripopolare  - di nuovo! – la Terra in un’eventuale Era del Sesto Sole. Ammesso che la vogliamo veramente” commentò Huitzilopochtli.

“Non accadrà” disse Itlazcoliuhqui-Ixquimilli “Mi avete detto di tenerlo lontano dalle faccende degli umani, perché se ne dimenticasse, e così ho fatto”

“Che fratello fortunato” commentò sarcastico Tezcatlipoca “Ha trovato un amante così appassionato da fargli dimenticare l’umana che Xochipilli ha spedito dritto nel Mictlan”.

Itlazcoliuhqui-Ixquimilli non replicò.

“Vanificando la mia vendetta” brontolò Xochipilli.

 

La tensione si poteva tagliare con un coltello. Mordecai sentiva tutti gli occhi carichi di aspettativa su di lui. Loro sapevano. Loro hanno sempre saputo.

Mancavano pochi metri alla sua casa. In lontananza, poteva vedere le lucine del cimitero.

Quando avrai bisogno di stare da solo per un po’, potrai venire qui”.

Alma…

…Mictlancihuatl…

… Malintzin?

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