Prefazione:
I sogni sono il rifugio ideale quando la realtà diventa
opprimente.
In
un mondo in cui la violenza gratuita sembra dominare anche le persone
più insignificanti, i Governi hanno trovato il modo di
usarli, a
loro vantaggio, come terapia di riprogrammazione degli istinti umani.
Thomas
Bourbon ha commesso un errore irreparabile e per questo
verrà punito
con la rieducazione del comportamento, per renderlo un uomo migliore.
Ma si è rivelato un osso duro, un soggetto capace di
resistere alla
manipolazione governativa.
Cosa
succederà al suo rilascio? Sarà in grado di fare
la scelta giusta?
O il rimorso prevaricherà su tutto?
Scelgo
te
Le
decisioni sono un modo per definire se stessi. Sono il modo per dare
vita e significato ai sogni. Sono il modo per farli diventare
ciò
che vogliamo. (Dalai Lama)
Thomas
Bourbon nacque il 29 febbraio del 1988 in una cittadina a nord di
Edinburgo. Mentre il suo primo vagito riempiva di gioia i suoi
genitori, in un punto imprecisato del pianeta, l’ingegnoso
Anacleto
Perdinci mise a punto un intruglio che, somministrato a più
riprese
alla moglie depressa, le fece tornare la voglia di vivere.
Qualche
anno dopo, Perdinci fu lasciato dalla moglie che vendette la formula
Sogni d’oro a una spietata multinazionale
che ne migliorò
le prestazioni.
Così,
divenne possibile comprarla nei centri specializzati, in formato
capsule, contro la depressione. Inoltre, poteva essere iniettata
direttamente nel collo per vivere un momento da sballo,
come
piaceva dire ai giovani. Oppure, inalata con l’aiuto di
speciali
nebulizzatori (aerosol) che, a seconda del dosaggio degli
ingredienti, aiutavano a creare scenari ad hoc
nella mente del
ricevente.
I
negozi autorizzati crebbero come funghi in ogni parte del globo
mentre alcuni Governi pensarono di sfruttare il ritrovato come
sedativo per i criminali, che ne uscivano devastati e profondamente
cambiati nella psiche.
Una
notte, Thomas Bourbon, troppo ubriaco per rendersi conto delle
proprie azioni, investì un passante con l’auto. La
rabbia e la
frustrazione, che covava in corpo da tempo, esplosero
all’improvviso.
Dominato da una furia cieca, massacrò di botte il corpo
inerme
lasciandolo privo di vita sulla strada.
Risalito
in macchina, viaggiò in tralice fino a casa dove, due giorni
dopo, i
poliziotti lo prelevarono. Venne condannato, senza
possibilità di
appello, alla rieducazione attraverso un processo chiamato R.E.M.,
dove il soggetto veniva ciclicamente bersagliato da sogni positivi
per cancellare qualsiasi forma di negatività.
Ben
presto, si scoprì che Thomas Bourbon era un Onironauta
puro, in grado di manipolare a proprio piacimento i sogni indotti.
Così, lo isolarono in una stanza illuminata a giorno in
fondo al
tunnel che i condannati avevano soprannominato “il
Miglio”,
ininterrottamente immerso nell’irrealtà.
Chiunque
lo percorreva, lasciava dietro di sé ogni cosa, pensiero o
emozione
che fosse. A lungo andare, la percezione di se stessi si diluiva
negli intrugli iniettati in vena che li costringevano a sognare a
occhi aperti situazioni idilliache e stucchevolmente melense. Un
bombardamento onirico che distruggeva qualsiasi velleità di
ribellione futura.
Thomas
Bourbon andò ben oltre. Rinchiuso in quel circolo vizioso,
riuscì a
scindere ogni stimolo e a incapsulare i sogni, che faceva apparire
secondo le proprie esigenze. Così facendo, mantenne stabile
la
propria coscienza e intatti i volti a lui familiari.
Ma
a lungo andare, anche per lui, ciò che conosceva si era
confuso con
ciò che pensava di sapere. L’assuefazione a
quell’intruglio
propinatogli giocò un ruolo importante, perché
chiunque nel proprio
intimo ha il desiderio di ricercare la serenità.
Ora
che il termine del rilascio era giunto, doveva scegliere a quale
realtà appartenere, decidere quale dei mondi
creati era la
giusta verità. Perché
là fuori, lui non era più nessuno, e
avrebbe dovuto lottare per riottenere ciò che era suo di
diritto,
per cercare nella moltitudine ogni viso sognato. Una volta destato,
non ci sarebbe stata nessun’altra opzione e, se la
realtà sarebbe
risultata diversa, avrebbe pagato caro il proprio errore.
Il
suo sguardo era intenso come se volesse memorizzare ogni imperfezione
sul volto di Asper. Eppure, – Considerò nella sua
testa – quel
viso così bello e angelico era troppo perfetto, quasi
inumano e
sbagliato.
Cacciò
il pensiero inopportuno e si avvicinò lentamente,
trattenendo il
respiro, elettrizzato alla sola idea che stava per baciarla.
Asper
aprì la bocca invitante, in un gesto fin troppo meccanico,
ripetitivo. Thomas inarcò un sopracciglio, disturbato da un
fischio
che giungeva da lontano. Non demorse e, mentre le sue labbra
sfioravano le sue…
Il
risveglio fu tremendo, come accadeva da sei anni a quella parte.
«Denzel!»
ringhiò Thomas. «Non potevi aspettare ancora un
secondo?» chiese
stizzito al commesso del negozio ‘I sogni sono desideri
accessibili
a tutti A&Z Company’.
«Non
faccio io le regole,» rispose monocorde allungandogli la
tessera
magnetica. «Hai esaurito il credito. Eh, attento! La strega
è sul
piede di guerra,» aggiunse sottovoce indicando una donna
bassa e
grassa con gli occhiali dalle lenti spesse.
«Signor
Bourbon!» la voce della titolare era esasperatamente stridula
e
flaccida come l’enorme addome che dondolava a ogni suo
respiro.
Thomas si districò dalla poltrona su cui aveva passato
l’ultima
ora, prese la tessera, strizzò l’occhio a Denzel e
si precipitò
fuori dal negozio.
«Brutto
screanzato! Stia certo che la cancellerò dalla banca
dati,» gli
urlò dietro la megera, smozzicando le parole per
l’affanno.
Thomas, per nulla preoccupato e sicuro di sé,
oltrepassò le porte
scorrevoli a testa alta giusto per finire nelle accoglienti braccia
di due energumeni dalla pelle olivastra.
«Lasciatemi!
Sono un onesto cittadino, oltretutto invalido. Non avete diritto di
trattarmi così!» strepitò senza
successo mentre veniva trascinato
dentro l’ufficio della direttrice. Dall’altra parte
del negozio,
coperto da un Distributore Automatico di Sogni, Denzel osservava la
scena scuotendo la testa.
«Grazie,
Abul e Zabal. Non ho più bisogno di voi.» La
signorina Wendy Cooper
guardava con sdegno l’uomo seduto al di là della
scrivania. «Ho
perso la pazienza, signor Bourbon. Non siamo un’opera
umanitaria,
per quello dovrebbe rivolgersi al P.I.P.P.E.S.
La mia azienda le ha fatto credito per troppo tempo...»
«Troppo
Tempo? Sì, sì, certo. Come dice lei, vecchia
bagascia senza cuore,»
borbottò tra i denti Thomas, scimmiottando la sua voce
stridula.
«Quindi
saldi il conto immediatamente o sarò costretta a cancellare
il suo
nome dalla lista.»
«Senta,
questa conversazione è imbarazzante e si ripete da quando ho
messo
piede qui quasi sei anni fa. Abbiamo un contratto che saldo
regolarmente il ventotto di ogni mese. Ma lei, puntualmente, il
ventisei mi dà la caccia quasi fossi un
criminale,» sputò
risentito.
«È
solo che voglio essere sicura che lei paghi. Comunque, se lei mi
concedesse le sue credenziali, signor Bourbon, questa spiacevole
situazione cesserebbe all’istante,» disse melliflua
mentre si
leccava le labbra in un invito volgare. Thomas, schifato, si
alzò
facendo perno con i palmi aperti sulla scrivania, abbassò il
capo
per essere all’altezza del volto della donna e la
guardò dritto
negli occhi porcini.
«Qui
tutti sanno cosa ne fa dei dati personali dei suoi clienti, di come
li ricatta per ottenere dio solo sa cosa. Quindi, da me non
riceverà
niente di più che il pagamento dovuto.»
Girò sui tacchi e uscì in
strada sotto il sole impietoso del mezzodì.
«Dovresti
smetterla di venire in negozio.» Denzel era appoggiato al
palo in
fondo al vicolo, la sigaretta che gli pendeva dalle labbra secche.
«Non serve a niente rifugiarsi nei sogni, Thomas,
e dimenticarsi di vivere,»
disse triste.
«Vuoi
farmi la predica? Non sei mica mia madre, sai?» lo
aggredì astioso.
«Fai tanto il moralista e poi tu li vendi quei
sogni!»
«Lo
dici come se ci speculassi sopra.» Scosse la testa
amareggiato
mentre spegneva la sigaretta schiacciandola contro il muro. Poi, con
un movimento calibrato, la fece volare nel cestino del bar
lì
accanto. «Ti offro un caffè, ti va?»
propose avviandosi
all’interno del locale.
Denzel
era un ragazzo come tanti, dal corpo ben delineato e una zazzera
indomita in testa. Portava gli occhiali dalle lenti perennemente
sporche di ditate e una fila di piercing rotondi su entrambi i lobi.
Fumava solo quando era nervoso e beveva quantità industriali
di
caffè aromatizzato alla cannella. Secondo Thomas, aveva un
solo
difetto: pretendeva di insegnargli come vivere.
L’arredamento
era in stile anni cinquanta con grandi stampe colorate sui muri e
foto in bianco e nero di qualche divo dell’epoca. In un
angolo, un
jukeboxe cromato in color oro e ottone diffondeva la migliore musica
in voga a quei tempi.
Si
sedettero a un tavolino appartato, dagli alti sgabelli foderati in
finta pelle rossa. In quel mentre, si avvicinò una ragazza
minuta
con in testa un foulard a scacchi, ingabbiata in una tuta di jeans
troppo larga con una bretella che le penzolava su un fianco. Aveva un
viso aperto, e vagamente familiare, mentre segnava
meticolosamente l’ordinazione su un block-notes.
«Torno
subito,» disse civettuola ficcandosi dietro
l’orecchio la penna.
«Perché
ti ostini a venire ogni giorno?» cominciò senza
preamboli. «Lo sai
che crea dipendenza assumere quell’intruglio.»
Thomas sbatté le
ciglia, sorpreso dalla veemenza con cui Denzel parlava. «Ti
sta
friggendo il cervello. Sono pronto a scommettere che cominci a
dubitare quale sia la realtà.»
L’arrivo
della ragazza interruppe quel fiume di parole ma non lo sguardo
bellicoso di Denzel.
«Ma
di cosa stai ciarlando? Sono in pieno possesso delle mie
facoltà,»
rimbeccò secco.
«Ne
sei sicuro? Dimmi, da quanto tempo vieni al negozio?»
Alzò la mano
per fermare la sua risposta. «Perché chiedi sempre
di visionare
quel sogno? Cosa ti ha spinto verso quel
particolare sogno?
Sentiamo.» Appoggiò la schiena alla vetrata dietro
di lui e
incrociò le braccia al petto, in attesa.
«Queste
sono questioni personali a cui non sono tenuto a rispondere.
Però,
il tuo sguardo mi suggerisce che non è ciò che
vuoi sentirti dire,»
aggiunse piccato. Per un momento, lo guardò ribelle negli
occhi
chiari, poi, sbuffando, si decise a rispondere. «Il 30 luglio
saranno sei anni da quando ho messo piede per la prima volta nel
negozio. Non puoi ricordare perché non eri stato ancora
assunto,»
precisò, quando lo vide alzare un sopracciglio.
«Quel
sogno è stato creato apposta per me,
secondo delle mie
specifiche richieste. Ogni giorno rivivo gli ultimi istanti di vita
di Asper, la mia ragazza, prima che muoia per colpa della bomba
esplosa alla Maratona di Boston. Ogni dannatissima volta, mi invento
un nuovo modo per salvarla,» berciò con occhi
lucidi mentre si
massaggiava inconsciamente la gamba mutilata.
Rimasero
in un silenzio teso per alcuni istanti, poi Denzel scattò e
portò
le proprie labbra a un soffio da quelle di Thomas, il cui cuore prese
a battere come un forsennato mentre inspirava bruscamente il suo
odore di maschio.
«Risposta
sbagliata.» E lo baciò.
L’aria
era frizzante e solleticava piacevolmente la pelle. La grande
città
era rumorosa e gli alti edifici impedivano al sole di lambire le
strade con il proprio calore. C’era una folla immensa,
trattenuta a
stento dalle transenne lungo il tragitto della maratona, quasi giunta
alla sua conclusione.
Thomas
aveva il cuore in fermento e lo strascico di un languore che gli
intorpidiva la mente. Teneva gli occhi serrati, come a volere
rimanere aggrappato a quelle sensazioni il più a lungo
possibile. Il
vociare dei passanti lo distrasse tanto da sentirsi costretto ad
aprirli.
Il
suo sguardo si posò immediatamente su una ragazza minuta il
cui
sorriso era capace di illuminare il mondo, teneva una sigaretta in
bilico dietro l’orecchio.
«Come
sono eccitata,» stava dicendo Asper, mentre le sue mani
applaudivano. «È tutto così perfetto.
Grazie, grazie mille
Thomas.» Stava per rispondere quando una spalla
sfiorò la sua e
l’eco delle sue emozioni riprese vigore.
«Ecco
il vostro drink,» disse gentile il cameriere. Era un ragazzo
alto,
dai capelli castani e gli occhiali storti sul naso. Portava una serie
di piercing su entrambi i lobi. Thomas l’osservò
incantato,
respirando appieno il suo alito che sapeva di sigaretta appena
fumata, caffè e cannella.
Non
riusciva a capire perché quel cameriere lo turbasse
così tanto.
Abitava in una città sconosciuta, a mille miglia di distanza
da casa
sua con un intero oceano che li divideva.
Eppure,
il suo volto aveva un che di convissuto e i suoi occhi tristi
sembravano consapevoli del tafferuglio che si dibatteva nel suo
petto.
«Cameriere!
Cameriere!» urlò una voce acida tre tavolini
più in là. «Sono
ore che aspetto la mia ordinazione!» Una donna grassa, con un
vistoso alone di sudore sotto le ascelle, i capelli crespi e le dita
ingioiellate livide, si sbracciava sbuffando il proprio disappunto.
Poco distante, due energumeni neri discutevano tra loro reggendo il
The Boston Globe
davanti a due tazze di caffè.
«Grazie,»
riuscì a biascicare Thomas prima che il ragazzo si
allontanasse
sbuffando.
«Ti
amo,» gli disse inaspettatamente Asper prendendogli le mani,
e
qualcosa ai bordi della sua visuale sfrigolò.
Divenne
tutto irreale, metallico. Era come guardare il sole attraverso il
riflesso di uno specchio opaco. I suoni, i colori e gli odori persero
d’intensità fino a diventare vaghi ricordi. Ebbe
uno spasmo di
paura e, al contempo, la calma si impadronì di lui, come se
tutto
ciò fosse normale, un’abitudine a cui non era in
grado di
rinunciare.
Cercò
di focalizzare il pensiero sulla ragazza che sedeva davanti, ma le si
sovrappose un’altra figura. Era alta, mascolina,
completamente
immersa nel bagliore solare e sapeva di casa. Una fitta dietro
l’orecchio gli fece chiudere gli occhi mentre le immagini si
assottigliavano e sfumavano in un cono di luce che lo
inghiottì.
«Bentornato,
Thomas,» la voce preoccupata di Denzel attraversò
la nebbia dove
stava annegando e l’agguantò, trascinandolo a riva.
«Ti
avevo avvertito,» continuò alterato.
«Sei appena entrato nella
fase acuta. Al tuo cervello basta poco per trasportarti nella
prigione che ti sei creato con i tuoi stupidi sogni.
Alla fine
il tuo subconscio ha creato una dipendenza e, a breve, non sarai
più
in grado di distinguere la realtà dalla fantasia. Quindi fai
la tua
scelta e falla in fretta, perché lasciare libero arbitrio al
fato
potrebbe essere deleterio. Rimarresti prigioniero e cosciente del tuo
errore senza alcuna possibilità di rimediare.»
Dopo avergli passato
un dito lunga la mascella ben rasata, uscì dalla sua visuale
strappandogli un pezzo di cuore.
«Ti
ho portato un punch caldo,» gli disse la barista porgendo una
tazza
fumante. «Che spavento. Sei diventato tutto pallido e il tuo
amico
non riusciva a svegliarti,» gli confidò agitata.
«Ma poi, come
nelle favole ti ha baciato e…» Thomas si
alzò di scatto, facendo
rovesciare il contenuto bollente sul pavimento. «Ehi! Che
modi.»
Ignorando le vertigini, e la zelante barista, che per qualche strano
motivo sapeva chiamarsi Asper, Thomas si fiondò sulle tracce
di
Denzel.
Thomas
rabbrividì. Tutt’intorno a lui il Tempo era
consumato come una
vecchia ciabatta mangiucchiata da un cane. Si sentiva stanco,
appesantito nell’anima da un bagaglio non suo. Aveva le
vertigini e
lo stomaco gorgogliava come un ruscello ingrossato dalle acque
piovane.
Per
un breve istante ebbe paura. La sua mente abbracciò
l’infinito
spingendosi fino a sfiorare l’eternità del Tutto.
Era così
innaturalmente vasto che la sua coscienza stridette come un unghia
intenta a graffiare l’ardesia. La sua essenza si espanse
troppo in
fretta, rischiando di collassare e perdersi nel nulla.
Strinse
i denti e si aggrappò al ricordo di un volto mascolino dal
sorriso
sincero e gli occhi tristi.
Denzel.
Quel
nome esplose nella sua testa, abbagliante come il sole estivo.
Sbatté
le ciglia e gli occhi misero a fuoco un muro grigio. Avvertiva le
membra rigide, pesanti come se fosse fatto di pietra. A fatica, mosse
il mignolo destro mentre un dolore acuto e pungente gli
perforò la
carne.
«Non
si agiti, signore. Ci vorrà un po’ prima che il
suo risveglio sia
completo e ogni movimento inutile le porterà solo
sofferenza.»
Davanti a lui si insinuò il volto paffuto di una donna.
«Sono la
dottoressa Cooper. Secondo i dati diagnostici in mio possesso,
l’intera operazione è andata a buon fine. Lei
è un uomo libero,
congratulazioni.»
Thomas
la guardò come se le fosse cresciuta un’altra
testa. La donna
piegò le labbra all’insù mentre dalla
bocca le sfuggì una specie
di grugnito.
«È
normale essere un po’ disorientati, ma vedrà che
nel giro di
qualche ora tutto le apparirà più chiaro. Per ora
le consiglio di
riposare.» La donna uscì dalla sua visuale e,
subito dopo, sentì
spostare degli oggetti metallici. Allungò il collo fin che
poté, ma
l’unica cosa che riuscì a scorgere furono due
energumeni
incastrati dentro una divisa militare con tanto di mitragliatore tra
le braccia.
«Non
faccia caso a loro,» disse la dottoressa. «Sono
innocui. Ora le
somministro un antidolorifico. Ecco fatto, tornerò
più tardi a
vedere come sta.» Ammiccò verso i due uomini e se
ne andò.
Rimasto
solo, ebbe un fremito come se un pensiero infastidisse la sua mente
per farsi acchiappare. Interdetto, cercò di chiudere gli
occhi ma le
palpebre sembravano non rispondere alla sua volontà. Preso
dal
panico, si agitò ma dovette scartare subito l’idea
perché mille
aghi gli perforarono il cervello. Mentre cercava di calmare il
respiro, il suo sguardo si concentrò su una macchia scura
del
soffitto e, pian piano, la visuale si offuscò.
Il
battito accelerato del suo cuore gli giungeva da lontano, un ronzio
insistente come gli insetti d’estate. Si sentiva in pace e
tutto
quel bianco che lo circondava lo avvolgeva come una coperta.
Chi
sono? Cosa faccio? Cosa voglio?
Erano
domande semplici, eppure non era in grado di dare una risposta.
Perché dentro di sé sapeva che c’era un
quesito più importante,
una questione rimasta sospesa che pretendeva la sua attenzione.
Un
punto fermo? Lettere al posto di altre? Un’emozione viva?
Più
si sforzava e più diventava sfuggente. Così si
fermò e azzerò la
mente, mettendosi ad ascoltare il silenzio.
Arrivò
piano, come la brezza serale che accarezzava le pelli accaldate. Da
lontano, come un gabbiano stanco che rientrava dal mare. Grande e
luminoso, come la luna che scavalcava l’orizzonte. Un nome,
l’unico
a fargli battere forte il cuore.
«Denzel...»
sussurrò. Allungò il braccio e premette le sue
labbra su quelle del
ragazzo. «Sono finalmente a casa e rimarrò per
sempre qui con te.
Potrò farti vivere in eterno nei miei sogni.»
«Ma
tu…» Thomas mise un dito sulle labbra gonfie di
Denzel e gli
sorrise sereno.
«È
ciò che voglio.»
Lo
merito per averti ucciso più di sei anni fa,
pensò Thomas
mentre il suo cuore cessava di battere.
Il
corpo di Thomas sobbalzò e mille spie presero a fischiare
all’unisono.
«Che
sta succedendo?» La voce stridula della dottoressa Cooper
irruppe
nella stanza un attimo prima della sua ampia figura. «No! No!
Abul
chiama immediatamente giù in infermeria. Zabel aiutami a
tenerlo
fermo devo iniettargli…»
Ma
Thomas smise di agitarsi e sul monitor fecero mostra di sé
tre linee
piatte.
Se
mi chiedono dove vorrei vivere, rispondo: “Dove vanno i sogni
quando ci si sveglia”. (Fabrizio Cavagna)
Note
dell’autrice: ho voluto dare
un’interpretazione del tutto
personale al prompt che ho scelto per il bando. Infatti ho cercato di
rendere il sognare una cosa concreta, quasi uno
spauracchio di
cui avere paura. Ma al contempo, rimane comunque l’unico
rimedio
fattibile per correggere le imperfezioni
dell’animo umano.
Due facce contrapposte della stessa medaglia.
Spero
di essere riuscita nel mio intento ma soprattutto di non avere
sconfinato con le richieste della giudice.
Questa
storia partecipa al contest ‘Tattoo Studio’ indetto
da wurags,
rilevato da Juriaka, sul forum con i seguenti prompt:
Fandom:
originale.
Tatuaggio:
Acchiappasogni – Il suo intento
è quello di allontanare gli
spiriti maligni dai sogni. Una persona con questo tatuaggio desidera
scacciare l’influenza negativa, pensieri e sensazione
paurosi, o
tristi.
Citazione:
Dito – Non serve a niente rifugiarsi nei
sogni, Harry, e
dimenticarsi di vivere. (Harry Potter e la Pietra Filosofale, JK
Roowling)
Questa
storia partecipa al contest ‘L’enigma
dell’Uroboro’ indetto
da _ Freya Crescent _ sul forum.
Buona
lettura e i commenti sono graditi.
Leggenda
Genere:
drammatico – introspettivo – malinconico.
Rating:
giallo.
Coppie:
het – slash.
Note-avvertimenti:
Missing Moments – Tematiche delicate.
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