Shaman

di Isabelle_Mavis
(/viewuser.php?uid=841184)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo dell'inizio e della fine ***
Capitolo 2: *** Incontri sgradevoli ***
Capitolo 3: *** Scomode verità ***
Capitolo 4: *** Febbre ***



Capitolo 1
*** Prologo dell'inizio e della fine ***


Prologo dell'inizio e della fine

Aprii gli occhi, ritrovandomi catapultata dall'oscurità delle mie palpebre a quella del bosco in cui mi trovavo. 
Le foglie secche scricchiolarono quando mi alzai in piedi. I miei vestiti avevano assorbito l'umidità del terriccio. Mi sforzai di ricordare come fossi finita lì, ma nella mia mente albergava il vuoto totale. 
Mi guardai intorno. 
Non ero a La Push.
Lo capii dall'ostilità con cui i rami degli alberi sembravano pronti a graffiarmi, a catturarmi. 
Non ero a casa mia. 

Sussultai quando sentii lo schiocco di alcuni rametti spezzati, alle mie spalle. L'ansia e la paura mi sussurravano di scappare via, ma c'era qualcosa dentro di me che mi suggeriva di stare immobile. 
Istinto. 
Lo stesso istinto di un cervo braccato da un puma. 
L'istinto della preda contro il predatore. 
Sapevo che se mi fossi mossa, sarei morta. Era irrazionale e senza logica, ma lo sapevo. Lo percepivo. 
Il mio tentativo di camuffarmi tra le ombre risultò vano, perché delle dita mi toccarono una spalla. Una carezza delicata quanto il volo di una farfalla. Feci del mio meglio per non trasalire, ma non potei nulla per la pelle d'oca che mi venne. Stavo sudando freddo. Il cuore mi batteva così forte che ero pronta a giurare che mi sarebbe scappato via dalla gabbia toracica. Quando l'uomo, perché ero sicura si trattasse di un uomo, si avvicinò tanto da annusarmi i capelli, il mio autocontrollo venne meno, si sbriciolò. In una frazione di secondo decisi che valeva la pena tentare la fuga. Tanto sarei morta ugualmente. 

Con uno scatto repentino mi strappai dalla sua presa quel tanto che bastava per permettermi di scappare. Comandai alle mie gambe di sforzarsi al massimo, ma non sentivo nessuno alle mie spalle. Non mi stava inseguendo. 
E fu quando mi fermai a riprendere fiato che compresi di aver commesso un errore che mi sarebbe costata la vita. La mia fuga aveva attivato il suo istinto da predatore durante una caccia. L'uomo mi aveva lasciata andare per divertirsi di più. Feci appena in tempo a chiedermi che razza di creatura fosse quella che aveva deciso di porre fine alla mia esistenza, quando una morsa di ferro mi stritolò, soffocandomi senza che potessi combattere o urlare aiuto. Il dolore era così intenso che fui costretta a chiudere gli occhi, senza fiato. Qualcosa di appuntito mi sfiorò il collo. Ero pronta a morire, non c'era niente che potessi fare per evitarlo. 

Poi un ululato squarciò il silenzio inquietante del bosco.
Aprii gli occhi giusto in tempo per vedere un grosso animale correre nella mia direzione. Ero sicura che fosse venuto a salvarmi, sebbene non ci fosse un motivo valido che potesse dimostrarlo. Il predatore alle mie spalle mi spinse via con violenza. Sbattei la testa contro il tronco di un albero e questa volta urlai. La vista mi si appannò, ma fui comunque in grado di scorgere un lupo, nero quanto le tenebre che lo avvolgevano, che si avventava sul mio aggressore, mordendo qualsiasi parte del corpo gli capitasse a tiro. L'uomo, che fino a qualche minuto prima si gustava trionfante la mia morte, in quel momento stava cercando di difendersi come meglio poteva, soffiando come un gatto. 
Cercai di fare forza sulle braccia per alzarmi, ma sentivo di star diventando sempre più debole e meno lucida ogni secondo che passava. Guardai un'ultima volta in direzione del grosso lupo, rendendomi conto che aveva affondato le zanne nel collo del mostro, staccandogli la testa. Avrei voluto ringraziarlo per avermi salvato la vita, ma tutto ciò che uscii dalle mie labbra tremanti fu un grido di terrore. 
L'uomo aveva la testa rivolta verso di me, gli occhi ancora aperti. 
Erano rossi come il sangue. 

Poi fu il buio, di nuovo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Incontri sgradevoli ***


 

1- Incontri sgradevoli

-Signorina Clearwater, se la mia lezione non le interessa può tranquillamente uscire dall'aula-
Una gomitata mi raggiunse prepotentemente nelle costole. Mi misi dritta di colpo. Avevo le braccia indolenzite, dal momento che c'avevo dormito sopra, usandole come cuscino sul banco. Puntai lo sguardo verso la cattedra, ma notai che era vuota. 
-Destra- mi sussurrò Embry Call, uno dei miei migliori amici, seduto vicino a me.
Era stato lui a svegliarmi. Stava ghignando, probabilmente perché sapeva che gli dovevo un altro favore. 
Mi voltai nella direzione suggeritami e trovai il professore con il libro aperto tra le mani, fermo trai i banchi. Era famoso per le sue passeggiate durante le spiegazioni. Una volta io ed Embry avevamo scommesso: per me faceva mezzo chilometro ogni lezione, secondo lui invece almeno uno. Misurare la stanza e contare quanti giri facesse era stato più divertente che ascoltare i suoi monologhi. Meno divertente era stato dover sborsare cinque dollari a Embry. Non perdeva mai, quello sbruffone. 
Mr Thompson mi guardava da dietro i suoi occhiali spessi come fondi di bottiglia. Lo avevo sempre associato a una talpa, con quei capelli grigio topo e il naso all'insù. 
-Saprebbe dirmi di cosa stavamo parlando giusto qualche attimo fa?- mi chiese, perfido. 
Aprii la bocca per rispondere, ma non sapevo cosa dire. Era convinto del fatto che non stessi seguendo, e aveva ragione. Non sapevo cosa inventarmi, perciò decisi che dire la verità sarebbe stato meno doloroso, e meno umiliante. Poi però Embry improvvisò un colpo di tosse. 
-Fort Sumter- 
Non lo guardai per non tradirlo, ma sorrisi. Era un argomento che conoscevo bene. 
-Guerra di secessione, attacco a Fort Sumter, 13 aprile 1861- 
Mr Thompson mi guardò dall'alto in basso, valutando la mia risposta. 
-È stato il 12 aprile, non il 13- puntualizzò. 
Sentii qualcuno dei miei compagni trattenere una risata. Mr Thompson era un osso duro. 
-Molto bene, le andrebbe di...- 
Proprio in quel momento suonò la campanella e mi ritrovai a sospirare di sollievo. L'avevo scampata per un pelo anche quella volta. 
Sistemai nello zaino tutte le mie cose e mi affrettati a sgusciare fuori dall'aula, seguita da Embry. La mia fu una fuga breve. 
-Signorina Clearwater, può aspettare un minuto?- mi chiese retoricamente l'uomo. Annuii, facendo segno a Embry di andare senza di me. 
-Ci vediamo da Jacob- gli feci. Embry guardò dubbioso il professore, prima di annuire. 
-Ciao, Will- 
Lo vidi uscire con la coda dell'occhio. Mi avvicinai alla cattedra, dove Mr Thompson stava riordinando i propri libri.
-Senta professore, mi dispiace molto... - iniziai, convinta che fosse il modo migliore per sbarazzarmi di lui al più presto. 
-Oh, lasci perdere, non le ho chiesto di fermarsi perché volevo delle scuse- 
Sistemai meglio lo zaino sulla spalla destra, a disagio. 
-Allora perché?- 
Thompson finì di impilare tutti i volumi di storia e si girò a guardarmi, sistemandosi gli occhiali sul naso. 
-Volevo solo farle notare che è la terza volta che si distrae durante le mie lezioni. Non ce ne sarà una quarta, intesi?-
Improvvisamente pensai che i lacci delle mie scarpe fossero più interessanti di qualunque altra cosa nella stanza, perciò presi a fissarli intensamente. 
-Sì-
Sentii il professore sospirare. 
-Non voglio fare la parte del cattivo, ma glielo sto dicendo perché nella mia materia ha sempre avuto buoni voti e sarebbe un peccato rovinare una media alta come la sua per delle sciocchezze, non trova?- 
Mi sentii sprofondare. Il suo era un modo carino per dirmi che non potevo permettermi errori. Non se volevo la borsa di studio per il college. Ne aveva parlato con mia madre l'anno prima, durante un incontro scolastico. Le aveva detto che avevo buone possibilità, e che dovevo mettercela tutta. Alla fin fine Mr Talpa non era male, solo un po' pesante. 
-Ha ragione, professore. Le prometto che non capiterà più- dissi con convinzione. Quella borsa di studio mi serviva, se volevo avere qualche possibilità di mettere il naso fuori dalla riserva. 
-Bene, mi fa piacere sentirlo. Anche perché non credo che il signor Call potrà coprirla per sempre- 
Annuii, sebbene trovassi assurda l'ultima affermazione. Salutai e me ne andai, ragionando sul significato di "per sempre.
                                                                   ***
-Leah, vado da Jake. Avvisa tu la mamma, okay? Torno per cena- quasi urlai, per farmi sentire.
Mi infilai le scarpe e uscii dalla mia stanza, per affacciarmi in quella affianco, di mia sorella. Entrambe piccoline, dal momento che erano venute su dividendone una grande, che fino a qualche anno prima condividevamo. Mio fratello invece ne aveva sempre avuta una tutta sua.
-Leah?-
Mia sorella se ne stava sul letto, con le gambe stese e un libro in grembo.
-Sì, ho capito- mi rispose semplicemente, senza neanche alzare lo sguardo. Il tono di voce era incolore. Vederla in quel modo, impassibile, mi faceva sempre male. Non era la Leah a cui ero abituata, quella allegra e spensierata. Mi chiesi se sarebbe mai tornato tutto come prima. Prima che... Sospirai.
-Grazie. A dopo-
Mi rispose con un cenno.
Scesi al piano inferiore, infilando prima un braccio e poi un altro nella giacca. Ero praticamente alla porta, quando venni investita da quel tornado di mio fratello, che scendeva gli scalini due alla volta per raggiungermi. 
-Will! Vai da Jake?-
Alzai gli occhi al cielo. Eccolo che ricominciava.
-Sì, Seth, vado da Jake-
Il piccoletto mi si piazzò davanti, con gli occhi che gli brillavano. Era già più alto di me.
-Posso venire?-
Lo guardai con un sopracciglio alzato.
-C'è davvero bisogno di risponderti?-
Seth sbuffò, sgonfiandosi come un palloncino.
-Non è giusto- si lamentò. Sapeva benissimo che i miei genitori lo consideravano ancora troppo piccolo per uscire quando gli pareva, eppure ogni volta cercava di svignarsela. Pensava che se fosse uscito insieme a me, mamma e papà gli avrebbero dato il permesso.
Gli scompigliai i capelli con una mano.
-Saluterò Jake da parte tua, d'accordo?-
Gli tornò improvvisamente il sorriso. Scossi la testa, sorridendo a mia volta. Seth, neanche a dirlo, adorava Jacob.
-A più tardi, Seth. E vedi di non far arrabbiare Leah- raccomandai, uscendo di casa. Prima di chiudermi la porta alle spalle lo senti borbottare.
-Come se fosse facile-
***
Conoscevo la strada per la casa di Jacob a memoria. Non dovevo neanche stare lì a pensarci, tante erano le volte in cui me l'ero fatta a piedi. Comprare una macchina era troppo costoso, e le moto non andavano a genio ai miei. E di certo non potevo chiedere loro dei passaggi ogni volta che dovevo vedere i miei amici. Così, mi toccava camminare. Non che mi dispiacesse, anzi. Uno degli aspetti che preferivo del vivere a La Push era lo stare sempre a contatto con la natura.
Presi una bella boccata d'aria, alzando la zip della giacca fino al collo. Forse era per quello che nei miei sogni mi trovavo sempre in mezzo agli alberi. Un pezzo di realtà riflesso nella mia mente mentre dormivo. Quello che non mi spiegavo, invece, era la presenza dei lupi. Non ne avevo mai visto uno dal vivo, eppure sapevo che quelli che sognavo era esageratamente grandi. Tre in totale, sempre uguali: uno grigio, uno marrone e, il più grande di tutti, uno nero. La maggior parte delle volte comparivano insieme, ma capitava anche che li sognassi uno o due alla volta. Raramente non li sognavo affatto. Facevano quello che fanno di solito i lupi: correvano, ululavano, cacciavano. Ma non mi davano mai fastidio. Anzi, sembravano non rendersi per niente conto della mia presenza. Ero una spettatrice invisibile.
Non era sempre stato così. Un tempo facevo sogni normali, con personaggi e situazioni normali. Poi, di punto in bianco, iniziai a svegliarmi nel cuore della notte, sudata e con un ululato che mi rimbombava nella testa. Il primo lupo a raggiungermi nei sogni fu quello nero. In seguito, fu il turno di quello marrone. Solo negli ultimi mesi si era aggiunto anche quello grigio, l'ultimo. Con il passare del tempo mi ero abituata, considerandoli parte della mia quotidianità.
Il problema era che a volte quei sogni si presentavano più intensi del solito. Come se dormendo, invece di riposarmi, consumassi energie. Era ridicolo, ma quando accadeva poi mi capitava di appisolarmi durante la giornata, nei momenti meno opportuni. Com'era capitato quella mattina, durante la lezione di storia. Molto fastidioso, in effetti.
La notte prima avevo sognato di correre con quei lupi. Ovviamente, ero riuscita a tenere il passo solo perché era, appunto, un sogno. Nella vita vera non sarei mai stata così veloce. Certo, non ero una schiappa, anzi, durante le ore di educazione fisica me la cavavo. Ma un gruppo di adolescenti non erano minimamente paragonabili a un branco di lupi. No, decisamente un altro paio di maniche.

Ero così immersa nei miei pensieri che non mi ero resa conto di essere arrivata a casa di Jacob. Anziché bussare, puntai direttamente verso il retro, dove c'era il garage. Sapevo di trovarli lì. E infatti, quando fui abbastanza vicina, sentii l'inconfondibile voce di Quil. 
-Embry, amico, fidati del vecchio Quil. Buttati, ti dico-
Non potei vedere l'espressione di Embry, ma avrei scommesso che stesse alzando gli occhi al cielo. 
Spinsi l'enorme porta del capanno ed entrai. 
-Di che state parlando?- chiesi, salutandoli con un sorriso.
Embry e Quil per poco non ebbero un colpo, vedendomi. 
-Di niente-
-Di ragazze- risposero in coro.
Li guardai confusa. Perché si comportavano in quel modo strano? 
-Stavo consigliando al nostro Embry di essere meno timido con le ragazze e di provarci di più- specificò Quil, beccandosi un'occhiata di fuoco da parte di Embry. Sbaglio o era arrossito? 
-Parli proprio tu, Casanova?- lo presi in giro, guardandomi intorno -anche quest'anno verrai al ballo con tua cugina?- 
Alla risata di Embry se ne aggiunse una più roca, un po' sommessa. 
-Dov'è Jake?- domandai, riconoscendone il timbro ma non vedendolo da nessuna parte. 
-Qui sotto- rispose lui stesso, uscendo da sotto la macchina.
Si alzò, stiracchiandosi. Aveva i capelli legati. 
-Bell'acconciatura, Raperonzolo- lo presi in giro. 
Lui mi guardò con un sopracciglio alzato. 
-Sempre meglio della tua- 
Quando intuii le sue intenzioni era già troppo tardi. Mi bloccò con un braccio, mentre con l'altro strofinò le nocche sulla mia testa. I miei tentativi di fuga erano vani contro la sua forza. Certo che fare il meccanico ripagava bene. 
-Jake, no!- esclamai.
-Jake, sì!- mi fece eco Quil -così impara a mettere in discussione le mie abilità con le ragazze-
Jacob mi lasciò andare ridendo. Lo vidi dare il cinque a Quil.
Mi sedetti sopra uno dei tanti sgabelli presenti nel garage. Iniziai a sciogliere la treccia per farne una più ordinata. 
-Grazie per l'aiuto- borbottai, in direzione di Embry. Fece spallucce. -Non c'è di che-
Non ero offesa, faceva tutto parte del gioco. Certo, stare loro dietro risultava sempre più difficile, dal momento che ero l'unica ragazza del gruppo, ma non mi dispiaceva. Eravamo amici da una vita, neanche me lo ricordavo un mondo senza di loro. La mia memoria non andava così indietro. Leah mi chiedeva spesso, quando ancora non si era trasformata in un limone acido, se sentissi la mancanza di qualche amicizia al femminile. La risposta era stata sempre la stessa. Come potevo sentire la mancanza di qualcosa di cui non sentivo la minima necessità? Era come chiedere a un pinguino se sentisse il bisogno delle rocce del Grand Canyon. No, decisamente no. Due realtà diverse, due habitat diversi. A quel punto mia sorella alzava sempre gli occhi al cielo, dicendo che ero proprio un maschiaccio. Eppure non mi consideravo tale. Non che uscissi pazza per trucchi e vestiti, ma di certo non partecipavo alle gare di rutti dei ragazzi. Tanto per dire. In effetti, però, per mia sorella, con i suoi lunghi capelli lucenti, non dovevo sembrare il massimo della femminilità. Secondo lei non avrei trovato un ragazzo finché avessi avuto Jacob, Embry e Quil che mi "ronzavano intorno". Se avere un ragazzo significava soffrire come stava soffrendo Leah, tanto di guadagnato. Non mi interessava rimanere scottata in quel modo. Avevo i miei amici, e mi bastava. 
Improvvisamente mi venne in mente una cosa. 
-Allora, Embry, chi devi conquistare?- buttai lì. 
Avevo finito di farmi la treccia, così alzai lo sguardo. 
-Cosa?- quasi balbettò Embry.
-Quil ti stava dando consigli, no? Dai, chi è la fortunata? Giuro che non glielo dirò- promisi, facendomi una croce sul cuore.
-No, immagino di no- concordò Embry, un po' imbarazzato.
Quil e Jacob, che fino a quel momento si erano azzuffati come al solito, si misero sull'attenti, curiosi. Anch'io lo guardai in attesa. Si alzò, infilando le mani in tasca. 
-Nessuno, sul serio, Quil stava solo scherzando- 
-Già, proprio così- fece Quil, ammiccando nella mia direzione.
Si guadagnò un ceffone sulla nuca da Jacob.
-Non ti impicciare tu- lo rimproverò -se Embry dice che non gli piace nessuno, allora non gli piace nessuno-
Quil trattenne una risata -Certo, come no-
Altro ceffone. 
Quil si lamentò, massaggiandosi la nuca. Poi il suo viso si illuminò, come se avesse avuto un'illuminazione. 
-E tu, Jacob, che fai tanto l'avvocato del diavolo? Anche a te non piace nessuno?-
Non colsi l'allusione, ma dall'espressione imbarazzata di Jacob doveva aver fatto centro. 
-Non so di cosa tu stia parlando- cercò di difendersi Jake, prendendo una bottiglietta d'acqua in mezzo a tutti quegli attrezzi. 
-Ah, no?- continuò Quil, con un sorrisone. Anche Embry sorrideva, ora. 
-Bella Swan non ti dice niente, allora?-
Jacob per poco non si strozzò. Devo ammettere che feci fatica a trattenere le risate. Embry e Quil, invece, non si fecero scrupoli. 
-Bella Swan? La figlia di Charlie?- domandai, sbalordita. Embry annuì -Proprio lei-
-Ma non ha già il ragazzo?- 
L'avevo conosciuta qualche mese prima, durante una delle solite serate all'insegna del baseball e delle patatine fritte. Charlie ed Harry, mio padre, erano molto amici. Insieme a Billy formavano un trio vincente. Bella, da quel che sapevo, si era trasferita a Forks da neanche un anno, scegliendo di vivere con Charlie per non pesare a sua madre. C'avevo parlato poco, non era un tipo di molte parole, ma non mi era sembrata male. 
-Già- rispose Jacob -sta con Edward Cullen-
Ahia. Come ogni volta che veniva nominato un Cullen, seguivano smorfie e commenti a mezza voce poco lusinghieri. Non avevo mai capito perché, ma non erano molto ben voluti qui alla riserva. Una faida tra clan, qualcosa del genere. Roba antica, sicuramente. I Quileute erano famosi per l'importanza che davano alle storie, perciò non mi era mai meravigliata dell'astio ancora nutrito per i Cullen. 
-Ma fa lo stesso, è solo un'amica- disse Jacob, spezzando quel silenzio imbarazzante che si era creato. Ma ormai nessuno aveva più voglia di scherzare. 
-Okay, basta- intervenne io, alzando le mani in segno di pace -ne ho abbastanza di questo confessionale di cotte segrete. Vi va di fare un salto al negozio?-
Embry si strinse nelle spalle -Ci sto-
-Anch'io- si unì Jacob -lavorare mi mette fame-
Avrei voluto rispondere che lui aveva sempre fame, indipendentemente da quello che faceva, ma Quil mi si piazzò vicino, guardandomi furbo.
-Tanto lo sappiamo che in realtà è tutta una scusa per non parlare della tua, di cotta-
Alzai gli occhi al cielo -Oh no, mi avete scoperta-
Quil rise, infilandosi la giacca. Eppure, mi sentii i suoi occhi addosso, indagatori. Di sfuggita, vidi Jacob ed Embry scambiarsi uno sguardo d'intesa, complice. Tana per Willow.
***
-Quindi ti sei addormentata durante la lezione di Thompson- ripeté Jacob per l'ennesima volta, sgranocchiando delle patatine. Eravamo arrivati al negozio a piedi, dal momento che nessuno di noi aveva ancora né la patente né i mezzi, e durante il tragitto era uscito fuori ciò che era accaduto quella mattina a scuola. In quel momento ce ne stavamo appoggiati al muretto fuori dal negozio. 
-Non è da te, secchiona- 
Feci una smorfia. Ero considerata la secchiona del gruppo, solo perché ero più brava di tutti loro messi insieme. Non che ci volesse molto, sia chiaro. In realtà non mi ero mai considerata un tipo studioso, anzi, al solo pensiero di passare ore intere sui libri mi veniva il mal di testa. Ero più una che faceva quello che andava fatto. Massimi risultati con sforzi minimi, più o meno. E poi, ero molto motivata, a differenza dei miei amici. Anche se cercavo di non pensarci troppo, la borsa di studio per il college era allettante. 
-Avreste dovuto vederla- disse Embry, sghignazzando- aveva anche un po' di bava- 
Lo spinsi con la spalla -Ma piantala-
In risposta, mi tirò la treccia. Era una cosa che faceva dai tempi dell'asilo, quando di trecce ne facevo due anziché una. Non tirava mai forte, era solo un modo per stuzzicarmi. Lo trovavo familiare quanto un abbraccio. 
-Quante storie per una volta che non devo essere io a coprire te- mi lamentai, prendendo una pattina dal pacchetto, prima che finissero. 
-È la terza volta, in realtà- precisò Embry. 
-Fa lo stesso- risposi.
Feci una smorfia di disgusto. Odiavo la paprika. 
-Bleah. Ma come fate a mangiare questa roba?- 
Quil, che fino a quel momento non aveva fatto altro che ingozzarsi, si sentì chiamato in causa. 
-Siamo adolescenti in pieno sviluppo- rispose, come se fosse ovvio. 
Lo guardai scettica.
-Anche io sono un'adolescente- 
Quil mi guardò con sufficienza.
-Ma tu sei una femmina, non è la stessa cosa- 
Stavo per ribattere a tono, quando Embry si mosse a disagio, mettendosi le mani nelle tasche. 
-Oh, no- gemette. 
Lo guardi preoccupata -Cosa?- 
Fece segno di guardare alle mie spalle. Sentii Jacob sbuffare -Eccoli che arrivano-
Mi girai, e strinsi i pugni quando li vidi. 
Erano Sam e i suoi "seguaci", Jared e Paul. Camminavano vicini, con passo sincronizzato, come se fossero tre menti in un corpo solo. Emanavano un'aria di sicurezza a dir poco fastidiosa. Li trovavo insopportabili. I miei amici la pensavano come me. Secondo loro erano degli sbruffoni che cercavano sempre di mettersi in mostra. Quel giorno, tanto per cambiare, stavano sfoggiando i loro muscoli. Come se il freddo invernale non li scalfisse neanche, indossavano tutti e tre delle maglie a mezze maniche sopra ai jeans strappati. 
E quel che era peggio, era che stessero venendo dritti verso il negozio. 
Mi voltai di nuovo verso i miei amici. 
-Andiamo via- li pregai. 
Jacob socchiuse gli occhi, fissandoli intensamente -Neanche per sogno. C'eravamo prima noi qui- 
-Giusto, fratello. Non me ne vado solo perché sono arrivati loro- lo appoggiò Quil, accartocciando il pacchetto di patatine e buttandolo in un cestino dei rifiuti lì vicino. 
-Embry?- lo chiamai, sperando che almeno lui mi desse retta.
Invece scosse la testa, guardandomi a malapena. Sbuffai. Odiavo quando dovevano comportarsi da duri a tutti i costi. 
Stavo prendendo in considerazione l'idea di andarmene da sola, quando una voce mi bloccò letteralmente sul posto. 
-Ciao, Willow- 
Lanciai un'occhiata di fuoco ai miei amici, che neanche notarono, prima di voltarmi. Sam mi sorrideva con educazione. Avrei tanto voluto tirargli un pugno su quel bel faccino abbronzato. 
-Ciao, Sam- sputai, sperando che il disprezzo che provavo per lui gli arrivasse con la stessa potenza di uno schiaffo.
Aveva una bella faccia tosta a parlarmi dopo tutto quello che era successo. Aveva spezzato il cuore di Leah, trasformandola nella ragazza acida che rispondeva male a chiunque. Non potevo biasimarla, non sapevo cosa avrei fatto o come mi sarei comportata al suo posto. Lei e Sam erano stati insieme tre anni, era praticamente uno di famiglia. O almeno, io lo consideravo come un fratello maggiore. Stavano così bene insieme che pensavo che avrebbero frequentato lo stesso college e che, forse, con il tempo, si sarebbero anche sposati. Ma poi Sam aveva rovinato tutto. Era sparito per un paio di settimane, facendo quasi impazzire Leah. Quando ritornò non era più lo stesso. Lo notai appena lo vidi. C'era qualcosa di diverso nel suo sguardo. Una consapevolezza nuova, un segreto oscuro. Doveva averlo notato anche mia sorella, perché cercò di lasciargli il suo spazio, credendo che sarebbe stato lui a fare il primo passo per risolvere la soluzione. Ma più il tempo passava, più le cose tra loro peggioravano. E poi, il colpo finale. La lasciò così, di punto in bianco, senza neanche una spiegazione. Leah era distrutta, ma il suo dolore era ancora nulla in confronto a quello che seguì. Come scoprimmo in seguito, Sam aveva lasciato Leah per Emily, nostra cugina. Da quel momento Leah aveva eretto un muro di indifferenza e acidità intorno a sé, come per proteggersi. Mi ero sempre considerata una pacifista, ma se c'era qualcuno che potevo dire di odiare, era proprio Sam Uley.
Guardavo Leah e sentivo la terra tremarmi sotto i piedi. Mia sorella era sempre stata il mio più grande pilastro, ciò che feriva lei feriva anche me. 
Guardavo Sam e sentivo la rabbia ribollirmi nelle vene, come fuoco liquido. Non lo avrei mai perdonato. 
Sam ebbe un attimo di esitazione, prima di fare un cenno di saluto ai miei amici dietro di me. Notai che il suo sguardo si era soffermato un po' troppo su Jacob, guardandolo come se si aspettasse qualcosa da lui. O come se volesse accertarsi che stesse bene. Che cosa ridicola.
Jared e Paul, dietro di lui, erano impassibili. Aspettarono che Sam proseguisse verso il negozio, per seguirlo.
-Esibizionisti, ecco cosa sono. Si comportano come se la riserva fosse loro. Palloni gonfiati- sbuffò Quil, guardandoli storto.
Jacob stava per ribattere qualcosa, quando sentimmo un grugnito quasi animalesco. Ci girammo tutti a guardare. Evidentemente, Quil era stato poco discreto, come al solito. Maledissi la sua lingua lunga.
Paul Lahote se ne stava lì, poco lontano da noi, tremando dalla testa ai piedi. Fece marcia indietro e ritornò da noi. Puntava Quil, guardandolo come se fosse un sacco da boxe. 
-Che hai detto, moccioso?- sbottò. 
Jared, che non si era reso conto di niente fino a quel momento, diede un colpetto a Sam. Sembrava allarmato. Vidi Sam annuire, poi il mio campo visivo venne occupato dalle spalle massicce di Paul. Ormai ci era praticamente addosso. 
Quil non si fece intimidire, spalleggiato da Jacob ed Embry. 
-Oltre che stupido sei anche sordo?- lo provocò. 
Paul a questo punto tremava così tanto da sobbalzare. Respirava anche a fatica, il suo fiato usciva tra i denti digrignati con un sibilo minaccioso. Alzò una mano stretta a pugno. A quel punto l'istinto prese il sopravvento sul mio corpo. Quil era stato un idiota a provocarlo volontariamente in quel modo, ma questo non significava che dovesse prenderle. 
Mi misi in mezzo, posando una mano sul petto di Paul, per spingerlo via. Sentivo il battito impazzito del suo cuore. La sua pelle era... bollente.
Tolsi la mano di scatto, come se mi fossi ustionata. 
-Lahote, ma che...-
Lo sguardo di Paul mi inchiodò. Era selvaggio, animale, non umano.
Per chissà quale motivo, però, si calmò quel tanto che bastava per permettere a Sam di intervenire. 
-Paul, calmati!- lo ammonì.
Lui e Jared lo afferrarono per le spalle. 
Sam ci guardò, severo.
-Andate via- 
Suonava più come un consiglio che come un ordine. Un avvertimento. 
Non ce lo facemmo ripetere due volte. Prendemmo le nostre cose in silenzio e mettemmo più distanza possibile tra noi e loro.
Qualcuno mi tirò la treccia. Ovviamente era Embry. 
-Stai bene?- 
Si stava sforzando di sorridere, ma si vedeva che era preoccupato. 
-Sì-
Poco più avanti, Quil non faceva altro che lamentarsi, dicendo che avrebbe potuto battere Paul anche a occhi chiusi. Non sembrava essersi reso conto di star parlando da solo. Jacob, al suo fianco, annuiva, ma aveva lo sguardo perso nel vuoto. Mi chiesi a cosa stesse pensando. Probabilmente anche lui aveva notato l'occhiata che gli aveva lanciato Sam.
Prima di girare l'angolo della strada mi voltai. Sam aveva ancora una mano sulla spalla di Paul, era di spalle perciò non potevo vedere la sua espressione. Jared, invece, stava gesticolando molto. Quando mi concentrai su Paul per poco non mi venne un colpo. Mi stava fissando. Non tremava più, si era calmato, e anche i suoi occhi erano tornati più normali, umani. Eppure... 
Distolsi lo sguardo per riportarlo dritto davanti a me. 
Forse la mancanza di sonno mi stava giocando brutti scherzi e mi ero immaginata tutto. 
-Sì, sto bene-
***
Ero in un bosco.
La pallida luce della luna illuminava delicatamente gli alberi. I miei occhi si abituarono velocemente a quell'oscurità.
Stranamente, ero tranquilla. Sapevo di essere in un sogno, lontana dalla realtà.
Mi guardai intorno e poi inizia a camminare. Mi muovevo in un modo così spontaneo e agile che per un momento mi chiesi se fossi davvero io. Evitai buche, rami, cespugli, radici. Sembravo essere un tutt'uno con la natura che mi circondava.
Non sapevo dove stessi andando, ma i miei piedi mi condussero in una piccola radura, come se avessero volontà propria. All'inizio mi sembrava vuota, poi riconobbi le sagome di tre enormi lupi. Uno nero, uno marrone e uno grigio. Se ne stavano seduti lì, senza fare niente. Di solito erano molto più attivi.
Non mi feci domande sul loro strano comportamento. Pensai, piuttosto, che magari sarebbe stata la volta buona per guardarli più da vicino. Così, senza rifletterci troppo, mi avvicinai. Mi fermai solo quando potei vederli più nitidamente. Erano davvero bellissimi, maestosi, eleganti nel loro modo di essere selvaggi. Eppure, rimasi un po' delusa dalla loro immobilità. Decisi di tornare indietro, pensando che magari li avevo solo colti nel momento sbagliato, quello del pisolino. 
Poi, però, uno dei lupi iniziò ad agitarsi, annusando freneticamente il terreno, scavandolo con gli artigli. Stava cercando qualcosa. Probabilmente la scia olfattiva di una preda. Lo guardai interessata.
Improvvisamente alzò la testa, drizzando le orecchie. Si voltò verso di me, trapassandomi con lo sguardo. Se prima non l'avevo riconosciuto, in quel momento ne fui certa.
Era il lupo grigio.
E stava venendo verso di me.


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Scomode verità ***


 

2- Scomode Verità

 

Gennaio arrivò in un baleno.
I mesi erano passati velocemente, senza che me accorgessi. Avevo deciso di mettermi sotto con lo studio, dopo il richiamo di Mr Thompson, non solo nella sua materia ma anche in tutte le altre. I risultati non si erano fatti attendere. I miei genitori ne erano rimasti piacevolmente sorpresi, pensando che forse mi ero finalmente decisa a impegnarmi per ottenere la borsa di studio. In realtà, cercavo solo di pensare poco e di stancarmi il più possibile. Così facendo, non avrei dovuto trascorrere l'intera notte ad agitarmi nel letto. Avevo scoperto che la fatica era un buon rimedio contro i sogni indesiderati. Tutto sommato stancarsi di giorno per stare tranquilla la notte era un buon compromesso. Questo perché i miei sogni si erano fatti più intensi del solito. Non sapevo stabilire un motivo preciso, così come mi era impossibile ricordare quando fossero iniziati. Era così e basta. Nonostante ce la mettessi tutta per evitarlo, qualche volta mi capitava ancora di finire in quel mondo onirico fatto di boschi e lupi. E quando accadeva mi ritrovavo automaticamente con un mal di testa così forte da spaccarmi il cranio. Avevo smesso da un pezzo di interrogarmi sul perché.
Non l'avevo detto a nessuno, pensando che fosse troppo strano. Ci pensava già Leah a dare noie alla mia famiglia. Parlarne con i ragazzi, invece, sembrava allettante. Tuttavia, ogni volta che pensavo di essere pronta e aprivo la bocca poi ci ripensavo. Il problema non era che avessi paura delle loro prese in giro, oppure che, peggio ancora, non mi fidassi di loro. Il problema ero io. Sentivo di non poterlo fare perché era un segreto soltanto mio. Dopo ogni occasione persa di parlarne con loro mi davo della stupida e giuravo a me stessa che la volta successiva sarebbe stata quella decisiva. Cercavo di autoconvincermi e di infondermi coraggio, ma era inutile. Tornavo sempre al punto di partenza. Così, semplicemente, avevo rinunciato. 
I ragazzi, dal canto loro, avevano notato che qualcosa non andava, ma erano sempre stati molto discreti nelle domande. Mi conoscevano troppo bene, perciò sapevano che se avessi voluto parlare con loro, lo avrei fatto senza problemi al momento più opportuno. Perciò continuavano a comportarsi normalmente.

-....invitarla a uscire- stava dicendo Quil, di fronte a me.
Se ne stava seduto a cavalcioni sulla sedia di plastica della mensa, i gomiti sullo schienale. Con lo sguardo puntava una ragazza poco distante, che parlottava con le sue amiche. Carina, ma decisamente fuori dalla portata di Quil. Embry, al mio fianco, scosse la testa.
-Lascia perdere- gli disse, facendo eco ai miei pensieri.
Quil sbuffò, continuando a guardare la povera malcapitata. Era così, lui. Gli piaceva una ragazza diversa ogni settimana.
-Io dico che andrà bene. Me lo sento, è la volta buona-
Jacob lo guardò dubbioso. 
-L'hai detto anche l'ultima volta- gli fece notare.
-Ora è diverso- insistette, non dandosi per vinto.
Un'idea si fece strada nella mia mente. Sarebbero state risate assicurate.
-Scommettiamo, allora- proposi. Tre paia di occhi si posarono su di me. Era troppo facile attirare la loro attenzione.
-Io scommetto che non lo guarda neanche- disse Jacob, con un ghigno.
-Per me gli molla un bel due di picche, invece- rilanciò Embry, incrociando le braccia e rilassandosi sullo schienale della sedia. Se avesse vinto un'altra scommessa non avrei sopportato quel suo sorrisetto strafottente.
-Grazie tante per la fiducia- borbottò Quil, -begli amici-
Gli sorrisi, sporgendomi verso di lui sul tavolo.
-Io punto su di te, campione. Cinque dollari che riesci a farla ridere-
Quil si alzò in piedi, travolto dall'emozione.
-Andata. Auguratemi buona fortuna-
Lo vidi avvicinarsi al tavolo occupato dalla ragazza e dalle sue amiche. Non si resero minimamente conto di lui, neanche quando si fermò proprio lì davanti.
-Ho vinto io- affermò Jacob.
-Aspetta a dirlo- fece Embry, dal momento che alla fine una delle ragazze lo aveva notato, avvisando le sue compagne dando loro dei colpetti con un piede.
Quil si schiarì la voce, o almeno supposi che lo avesse fatto. Ero troppo lontana per sentire. Dovevo concentrarmi per leggere il labiale.
-Ecco che glielo chiede...- commentai.
La ragazza gli disse qualcosa con un'espressione imbarazzata sul viso.
Vidi Quil alzare le spalle e rispondere con il sorriso stampato sulle labbra.
La ragazza guardò le sue amiche come se non avesse creduto alle sue orecchie, e poi scoppiò a ridere. Gli disse qualcos'altro, ma a quel punto non mi interessava più.
-I soldi, prego- mi vantai, mostrando il palmo aperto della mia mano ai miei amici. Jacob alzò gli occhi al cielo, Embry invece mi sorrise enigmatico.
-Non cantare vittoria-
Quil ritornò al nostro tavolo e si sedette.
-Non è andata tanto male-
Jacob lo guardò sorpreso -Ti ha detto di sì?-
Qui scosse la testa, sconsolato -Lo avrebbe fatto, se non avesse già un ragazzo-
Sapevo, senza neanche guardare, che Embry stava ridendo sotto ai baffi.
-Però l'hai fatta ridere- constatai.
Quil fece spallucce -Bhe, sì, ma...-
Mi bastava. Mi voltai verso Embry, per affrontarlo.
-È un pareggio-
Embry sbuffò -Sei perfida-
Sentii Jacob ridacchiare, dicendo che ci avrebbe offerto qualcosa al negozio, la prossima volta che ci saremmo andati, per ripagare il suo debito.
-Ora ti tocca sperare che il suo ragazzo non lo venga mai a sapere- disse Embry.
-O che non sia un tipo geloso- continua io.
-O che non sia il doppio di te- concluse Jacob.
Quil ci guardò storto uno per uno, prima di tornare a far vagare lo sguardo in giro per la mensa. Forse in cerca di un'altra ragazza.
Avevamo finito di mangiare da un pezzo, ma non andava a nessuno di noi di andare già in classe. Personalmente, le due ore di trigonometria che mi aspettavano non mi entusiasmavano molto. Era uno dei pochi corsi che non avevo in comune con nessuno dei miei amici.
-Will- mi chiamò Quil, d'un tratto di nuovo allegro - per caso Paul Lahote ha una cotta per te?-
Lo guardai scandalizzata, spalancando gli occhi.
-Ma come ti viene in mente?-
-È da un po' che non ti toglie gli occhi di dosso- constatò, facendomi l'occhiolino.
Jaboc fece finta di vomitare, Embry invece guardò in direzione del tavolo solitamente occupato da Paul e Jared. Lo trovai facilmente anche io. Era quello più vicino alle finestre. Con loro c'era anche Kim, la ragazza di Jared. Se ne stavano vicini, lei e Jared, sussurrando a turno qualcosa nell'orecchio dell'altro. Erano una strana coppia. Sapevo per certo che Kim era segretamente innamorata di lui da molto tempo, ma Jared non l'aveva mai neanche degnata di uno sguardo, nonostante fosse la sua compagna di banco. Poi un giorno li avevo visti insieme, lui con un braccio sulle spalle di lei. Per uno che fino al giorno prima non si era mai neppure preso la briga di presentarsi, quello sguardo innamorato era alquanto strano. Forse addirittura anomalo. La guardava come se fosse la sua unica ragione di vita. Se da una parte lo trovavo terribilmente sdolcinato e nauseante, dall'altra mi chiedevo come ci si sentisse a essere guardati in quel modo. Sicuramente non come mi sentivo in quel momento, con lo sguardo di Paul che lanciava scintille verso di noi. Nonostante fossero passati mesi, evidentemente non aveva dimenticato la mancata rissa.
-Sicuro che stia guardando Will? Secondo me è te che punta- ipotizzò Jacob, -vorrà pareggiare i conti-
Quil si scrocchiò le dite -Che si faccia avanti, non ho paura-
Embry esibì una smorfia contrariata.
-Non sono cose da prendere alla leggera, queste. Ho sentito dire che qualche settimana fa si sono sbarazzati di quel tizio che spacciava droga-
Jacob annuì, pensieroso.
-Sì, l'ho sentito dire da mio padre-
Quil si sporse verso di lui, curioso.
-E che ha detto?-
Jacob alzò le spalle, sospirando. 
-Il solito. Secondo lui, Sam e i suoi sono come la manna dal cielo- 
Il suo volto rifletteva alla perfezione le nostre espressioni disgustate.
-Già- mormorai -Il consiglio li considera dei "protettori", o una cosa del genere- 
Mio padre la pensava esattamente come Billy, il padre di Jake. Facevano entrambi parte del consiglio degli anziani del villaggio. Nonostante quel ragazzo avesse spezzato il cuore di sua figlia, rimaneva ugualmente una specie di supereroe per lui. Incredibile.
Proprio in quel momento suonò la campanella, cancellando da ognuno di noi la stessa espressione assorta. Mettemmo in ordine, prima di alzarci. Presi il mio zaino e seguii gli altri fuori dalla mensa.
-Ci vediamo da te, Jake?- chiese Quil.
Jacob scosse la testa -Ho da fare con Billy-
-Anche io non ci sono oggi, ho promesso a Seth che lo avrei aiutato a studiare biologia- esclamai, portandomi una mano sulla fronte. L'avevo ricordato proprio in quel momento.
-Allora ci vediamo domani- decretò Embry.
Ci salutammo e ci dividemmo, ognuno diretto verso la propria aula.
Una volta entrata in quella di trigonometria, occupai il mio solito posto. Presi il libro e iniziai a ripetere qualcosa. Quel giorno avremmo fatto esercitazione, perciò il prof ci avrebbe chiamati a turno alla lavagna.
Tuttavia, mi ritrovai a pensare a Paul, a come ci aveva giardati. Che avesse una cotta per me, come sosteneva Quil, era escluso. Il suo sguardo, più che innamorato, sembrava scocciato. Come se non riuscisse a capire qualcosa. Era un'enorme seccatura. Sperai che mi stessero alla larga, lui e i suoi compari. Avevo problemi più seri a cui pensare. 
Quella volta in cui il lupo grigio del mio sogno si era avvicinato avevo pensato solo a correre via. Ero scappata, perché mi ero sentita tremendamente fuori posto. Da quella volta non era più accaduto, ma non ero comunque tranquilla. I lupi non avevano mai fatto caso a me, cos'era cambiato? 

***

Aiutare mio fratello a studiare si rivelò essere più difficile del previsto.
Iperattivo e con la concentrazione che volava via ogni tre secondi, era un'impresa anche solo tenerlo fermo sulla sedia, chinato sui libri. 
-Siamo qui da ore- si lamentò -facciamo una pausa?- 
-Prima devi finire il capitolo- fui intransigente. Lo vidi sbiancare
-Ma non sono neanche a metà!- esclamò. 
-Allora cerca di sbrigarti. Come pretendi che ti aiuti a ripetere se non hai studiato la teoria?-
Seth sbuffò.
Appoggiò il mento sul palmo della mano e riprese a leggere da dove si era interrotto.
Ci eravamo sistemati sul tavolo della cucina, per stare più comodi. Anche io avevo portato qualcosa da studiare, ma ero riuscita a fare anche meno di Seth. Alzavo continuamente lo sguardo dal libro per controllare che stesse studiando e a intervalli regolari lui mi chiamava per spiegargli qualche passaggio più complesso. Mi ero fatta convincere ad aiutarlo, intenerita dalla sua espressione da cucciolo in difficoltà, ma se si fosse trattato di un'altra materia probabilmente gli avrei detto di no. Invece biologia mi piaceva, e anche tanto. La trovavo interessante, a differenza di letteratura o trigonometria. Mia madre mi chiedeva spesso se per caso non volessi studiare proprio quello, una volta al college. Sarebbe stata orgogliosa se mi fossi specializzata nell'ambito scientifico, visto che lei per prima era un'infermiera. Non avevo mai pensato troppo seriamente al futuro, mi consideravo troppo giovane ancora. Avevo sedici anni, dopotutto, non diciotto. Potevo ancora permettermi il lusso di cambiare e ricambiare idea finché non avessi trovato la cosa giusta per me. Al momento, mi piaceva vivere giorno dopo giorno.
All'improvviso iniziò a squillare il telefono di casa. Vidi Seth scattare, sollevato che ci fosse una scusa per distogliere l'attenzione dallo studio.
-Vado io, tu studia- gli raccomandai. Mio fratello si fece ricadere sulla sedia, sconsolato. Il telefono era in soggiorno, quando lo raggiunsi era già al quarto squillo.
-Pronto?-
-Ciao, Willow-
Sentii il sangue congelarmi nelle vene. Perché aveva chiamato? 
-Ciao, Emily-
Seth tornò a ignorare il libro per guardarmi. Anche lui, come me, era preoccupato. Questa volta non lo rimproverai per essersi distratto.
-Disturbo? - mi chiese mia cugina, gentilmente.
-N-no, no, figurati. Stavo aiutando Seth con lo studio- risposi. Non sapevo mai come comportarmi con lei. Essere troppo gentile mi faceva sentire in colpa nei confronti di Leah, ma Emily rimaneva mia cugina. Non potevo trattarla come un'estranea. Eravamo molto legate, prima che si fidanzasse con Sam.
-Oh, immagino la fatica allora- la sentii ridacchiare dall'altro capo del telefono. Poi si schiarì la voce.
-Senti... Leah è in casa?-
Aveva esitato, come se si stesse avventurando in territorio nemico, pieno di esplosivi. 
-Sì, perché?-
Seguì un breve silenzio. 
-Potresti passarmela, per favore?-
Ecco che invece aveva sganciato la bomba.
-Emily, non credo sia il caso...-
Seth si fece guardingo. Probabilmente si stava chiedendo cosa avesse detto Emily. 
La sentii sospirare. 
-Will, ti prego, è importante- 
Esitai. Non sapevo davvero cosa fare. Emily ormai chiamava poco, e si presentava a casa nostra raramente. Voleva lasciare a Leah lo spazio di cui aveva bisogno per riprendersi. Nonostante ciò, tentava spesso di riallacciare i rapporti. Mi ero chiesta spesso se stare con Sam fosse valso il magnifico rapporto che aveva avuto con Leah, un tempo. 
Guardai Seth, mordendomi il labbro, insicura. Lo vidi annuire. Seth era tante cose ma non stupido, e sicuramente non insensibile. Se c'era una persona in famiglia che cercava sempre di far stare bene tutti, quello era lui. 
-Va bene, le porto il telefono- 
-Grazie, Will-
Non potevo vederla, ovviamente, ma ero sicura che stesse sorridendo. Provai a immaginarmela, quella pelle lucida tesa per lo sforzo di sorridere. Emily era stata molto bella, prima dell'incidente con l'orso. Ricordo di aver sentito da mio padre che Sam era quasi impazzito dal dolore. Doveva amarla molto. Era stata guarita da mia madre. La cicatrice non sarebbe mai sparita, come un monito inquietante. Mi chiesi se fosse stata una specie di punizione per ciò che avevano fatto a mia sorella. Mi resi conto di non volerci pensare.
Salii le scale e bussai alla porta di Leah. Nessuna risposta. Bussai di nuovo, ma questa volta aspettai solo qualche secondo prima di aprire direttamente la porta. Mia sorella era seduta alla scrivania, la testa china sui libri di scuola. 
-Se non ho risposto non è perché non ho sentito- sottolineò lei. 
Non mi feci intimidire. 
-Leah, c'è una persona per te al telefono-
Leah si voltò subito verso di me, gli occhi ridotti a due fessure. 
-Dille che non voglio parlare con lei- 
Ovviamente, aveva già capito chi fosse al telefono, senza che glielo dicessi. Scossi la testa.
-Dice che è importante- insistetti. 
Leah alzò un sopracciglio, come a dire "e a me che importa?". 
Rimasi lì, immobile, porgendole il telefono. 
Lei sostenne il mio sguardo finché poté, poi si arrese. Allungò una mano e afferrò il telefono, portandoselo all'orecchio. Mi fece segno di andare via. Per quanto ne sapevo, avrebbe anche potuto chiudere la chiamata appena mi fossi girata. La guardai con sospetto, ma non sembrava avere cattive intenzioni. Così uscii dalla stanza, chiudendomi la porta alle spalle. Per poco non mi venne un colpo quando trovai mio fratello spalmato contro il muro, che cercava di origliare. 
-Che diavolo ci fai tu qui?- bisbigliai, per evitare che Leah mi sentisse. 
Seth mi guardò come se fossi stupida. 
-A te cosa sembra?- 
Gli tirai un pugno sulla spalla. 
-Dovresti essere giù a studiare. Forza, andiamo-
Seth scosse la testa. 
-Questo è cento volte più interessante-
Accidenti, aveva ragione. Avrei potuto comportarmi da brava sorella responsabile e costringerlo a scendere al piano di sotto, oppure avrei potuto mandare al diavolo tutti i miei buoni proposito e imitare Seth. Non ci fu bisogno di pensarci troppo. Accostai l'orecchio al legno della porta. Cercai di non fare caso al sorriso soddisfatto di mio fratello, concentrandomi sui suoni all'interno della stanza. Per quanto mi sforzassi, riuscì a captare solo frasi sconnesse. 
-Ma non mi dire!- 
Questo, invece, visto il tono furioso di Leah, lo sentii benissimo. Seth aveva perso il sorriso. 
Ciò che seguì furono dei borbottii incomprensibili e frasi di convenzione, che in alcun modo mi aiutavano a capire la situazione. 
Alla fine, dopo quelli che erano sembrati minuti interminabili, Leah salutò e chiuse la chiamata. Sentii i suoi passi svelti. Prima che potessi afferrare Seth e scappare di sotto, la porta si aprì. 
-Sapevo di trovarvi qui, ficcanaso- disse Leah, appoggiandosi allo stipite, con le braccia incrociate. Non sembrava arrabbiata, ma esausta. 
-È andata tanto male?- chiese Seth, facendosi piccolo piccolo al mio fianco. 
Leah guardò prima lui e poi me. Infine, il suo sguardo si posò sul pavimento. 
-Si sposano- 
Se gli occhi avessero potuto uscirmi fuori dalle orbite dalla sorpresa, avrei potuto considerarmi praticamente cieca. 
-C-cosa?- balbettai.
Leah sospirò e annuì. 
-Emily ha chiamato per questo. Voleva dirmelo di persona- 
Mia sorella sembrava calma, ma in un modo inquietante. Come se ormai nulla fosse in grado di scalfirla. Sentii il mio cuore incrinarsi. La ragazza che conoscevo avrebbe urlato e pianto. Non riuscivo ad associare quel guscio vuoto a mia sorella. 
-C'è dell'altro, vero?- intuii. 
Leah annuì, senza guardarci. 
-Mi ha chiesto di farle da damigella d'onore- 
Seth, che fino a quel momento era rimasto in silenzio a metabolizzare la notizia, questa volta reagì. 
-Ma... non è giusto! Come ha potuto chiederti una cosa del genere?- 
Leah alzò lo sguardo e lo puntò sul viso di Seth, ma sembrava guardarci attraverso. 
-Sarà un giorno importante per lei, vuole avere le persone che ama al suo fianco-
-Quando?- chiesi solamente. 
Leah alzò le spalle -Non l'hanno ancora deciso- 
Seth spostò il peso del suo corpo da un piedi all'altro, a disagio. 
-Tu cosa le hai risposto?-
Mia sorella prese un bel respiro. 
-Le ho detto che mi serve un po' di tempo per pensarci-
Restammo in silenzio per un po', poi non ce la feci più. 
-Tu... tu come stai?- le chiesi, stringendo le labbra subito dopo. Mi aspettavo che Leah rispondesse che non erano affari nostri, sbattendoci la porta in faccia, invece distese le labbra in quello che sembrava il tentativo di un sorriso. Ma non rispose. Forse perché neanche lei lo sapeva. Così, senza neanche pensarci due volte, l'abbracciai. All'inizio sentii Leah irrigidirsi, e temetti che volesse spingermi via. Poi però mi circondò le spalle, stringendomi.
Mi separai solo per agguantare Seth e trascinarlo nell'abbraccio con noi.
-Oh, dai!- si lamentò.
Lo strinsi più forte.
-Sta' zitto, Seth-

L'argomento "matrimonio" non fu più toccato, neanche a cena con i nostri genitori. Anche se, dalle occhiate ansiose che lanciavano a Leah, sospettavo che ne fossero già a conoscenza. Leah, dal canto suo, fece del suo meglio per comportarsi normalmente. Seth e io la assecondammo, decidendo di fare finta che nulla fosse mai successo.
Non fu una cena particolarmente loquace. Mangiammo velocemente, per poi filare ognuno nelle proprie stanze.
Cercai di leggere un po' il libro che ci avevano assegnato a scuola: Il mercante di Venezia, di Shakespeare. Tentativo fallito miseramente. Mi addormentai quasi subito, sopra le coperte, con i vestiti e la luce accesa. Non seppi definire quanto tempo passò, ma venni svegliata da mia madre, che si premurò di farmi indossare il pigiama e di chiudermi la luce. Con gli occhi che mi si chiudevano, ricordai di tutte le volte che da piccoli raccontava a me e ai miei fratelli le antiche leggende Quileute per farci addormentare, e poi ci dava un bacio sulla fronte ciascuno, prima di augurarci la buona notte. Aveva sempre avuto un buon profumo, mia madre. 
Prima che mi addormentassi definitivamente la sentii bussare alla porta della camera di Leah, entrando subito dopo. Chissà se...


***
 

Il giorno seguente andai da Jacob. 
Avevo aspettato che finisse di piovere, per non dover chiedere a mio padre di accompagnarmi. Ero sicura che avrebbe colto l'occasione per salutare Billy, finendo per rimanere più del necessario, ed era un problema dal momento che Embry mi aveva promesso un giro sulla sua moto. Aveva preso la patente da poco ed era su di giri all'idea di poter guidare finalmente la moto su cui lui e Jacob avevano lavorato ogni tanto. 
Tuttavia, mi ero pentita della mia decisione alla vista dei miei scarponcini sporchi di fango. 
Quando vidi la casa di Jacob, sospirai sollevata. 
-Hey, Will!- 
Mi guardai intorno, sentendomi chiamare. 
Proprio in quel momento Embry e Quil stavano scendendo dalla moto. Che tempismo. 
Mentre Embry abbassava il cavalletto, Quil si tolse il casco e mi venne incontro. 
-Com'è?- chiesi, indicando con il mento la moto. 
-Da paura!- rispose Quil, euforico. 
-Dopo tocca a te- disse Embry, infilandosi le chiavi in tasca. 
-Ci conto- gli sorrisi. Vidi Quil alzare gli occhi al cielo. Poi, all'improvviso, si fece serio. 
-Ma Billy non si era sbarazzato del pick up?- 
Lo notai solo in quel momento. Un vecchio pick up di un rosso sbiadito era parcheggiato sul vialetto di casa Black. Lo riconobbi anch'io. 
-Sì, l'aveva venduto a Charlie- concordò Embry. 
-Charlie l'aveva comprato come regalo di benvenuto per la figlia- feci notare. Quando arrivarono alle mie stesse conclusioni spalancarono gli occhi dalla sorpresa. 
Senza dire più una parola andammo spediti verso il capanno devi attrezzi. 
-Jacob?- gridai, sperando che mi sentisse -Jake, sei lì?-
Quil mi guardò con un sopracciglio alzato. 
Mi strinsi nella spalle -È meglio avvisarli della nostra presenza. Non si sa mai- 
Embry sembrò arrossire un po', in imbarazzo.  Quil, invece, sghignazzò. 
Sentimmo la voce di Jacob che ci rispondeva con un semplice "Sì!".
Così, entrammo. 
Jacob ere impegnato a smontare i pezzi di una Harley rossa abbastanza vecchie e malridotta. 
Poco distante, sul sedile della Golf di Jacob, c'era Bella Swan. L'avevo vista una volta sola, di sfuggita, ma ricordavo i suoi capelli scuri e la pelle chiarissima. Quello che non ricordavo era quello sguardo ottenebrato. 
Sembrava meno in imbarazzo di Jacob, comunque. 
-Ciao, ragazzi- salutò il mio amico, senza entusiasmo. 
-Ciao, Jake- disse Quil, fissando Bella come un cane fissa un osso. Le fece pure l'occhiolino. Alzai gli occhi al cielo. Embry, invece, faceva settare lo sguardo tra i due. 
-Questa è la mia amica Bella- presentò Jacob -Bella, loro sono i miei amici Quil, Embry e Will- 
Quil non perse tempo e strinse la mano della ragazza, facendo flettere i muscoli del braccio. Guardai Embry, stupida. Lui mi rispose con un'alzata di spalle. 
-Io mi chiamo Quil Ateara- 
-Piacere di conoscerti, Quil-
Quil tornò vicino a noi, continuando a mettere in mostra i muscoli. Gli diedi un pizzicotto sul fianco, ma lui sembrò non notarlo neppure. 
Embry la salutò con la mano, infilandola in tasca subito dopo. Era sempre un po' timido con le ragazze che non conosceva.
-Io sono Embry, Embry Call. Ma a questo punto l'avrai capito da te- 
Bella rispose che era un piacere conoscere anche lui, poi posò il suo sguardo su di me. 
-Ciao, Bella. Io sono... - 
-Willow Clearwater, la figlia di Harry- completò. 
Io le sorrisi -Esatto!- 
La vidi annuire, con un mezzo sorriso. 
-Mi ricordo di te- 
Quil, che evidentemente si sentiva escluso dalla conversazione, si fece avanti. 
-Che stavate facendo di bello, ragazzi?-
A quel punto i ragazzi iniziarono a parlare di moto, euforici. All'inizio cercai di stare loro dietro, ma non ero abbastanza esperta di motori per inserirmi nella conversazione. Così mi avvicinai a Bella, che sembrava nella mia stessa situazione. 
-Posso giurati che non fanno sempre così- 
Lei mi guardò come se non ci credesse. Poi tornò a guardare i ragazzi. Notai che il suo sguardo sembrava cercare sempre Jacob, involontariamente. Come se volesse accertarsi che fosse ancora lì. Dava l'impressione di una che non era ancora uscita del tutto da un brutto periodo. 
-Quindi sei all'ultimo anno?- le chiesi, per rompere il ghiaccio. 
-Sì. Tu invece al secondo, come Jacob, giusto?-
Annuii, poggiandomi al fianco della macchina. Parlammo un po' di scuola, dell'amicizia che legava i nostri padri, della sua passione per la lettura, dei miei fratelli, della mia amicizia con i ragazzi. Era facile parlare con lei. Non era poi così riservata come avevo pensato all'inizio. Bisognava solo prenderla dal verso giusto. Nonostante ciò, continuavo a pensare che ci fosse qualcosa che non andava. 
-Come mai da queste parti?- le chiesi, alla fine, - se pensi che La Push sia meno noiosa di Forks, allora rimarrai delusa-
Abbozzò un sorriso -Sarà, ma almeno le persone sono più simpatiche-
Ricambia il sorriso. Probabilmente era un modo un po' strano per dire che ci trovava simpatici, tutto sommato. Mi chiesi che razza di amici dovesse avere a Forks.
-Perciò...- iniziai -...tu e Jake siete solo amici?- 
Bella alzò gli occhi di colpo, fissandomi stupita. 
-Certo, cosa dovremmo essere altrimenti?-
Alzai le spalle, sorridendo sorniona. Aveva colto perfettamente la mia allusione. Si sistemò meglio sul sedile. Bingo. L'argomento "ragazzi" era un tasto dolente. Mi chiesi se fosse per colpa del suo ragazzo, quel Cullen. Forse si erano lasciati, per questo sembrava così giù di morale. Non feci più domande, non volevo girare il coltello nella piaga o peggio sembrare invadente. 
-E che mi dici di te?- mi chiese, d'un tratto. 
-Come?- feci, confusa. 
Lei guardò i ragazzi davanti a noi, immersi ancora nella conversazione sulle moto. 
-Jacob ha parlato di voi, prima che arrivaste. Dice che tu sei un po' la mascotte del gruppo-
-Ha detto così?- domandai, sorpresa. Lei annuì. 
-Testuali parole: senza di te non saprebbero dove sbattere la testa-
Mi venne spontaneo sorridere, guardando a mia volta i ragazzi. Volevo loro un bene indescrivibile. In tanti anni di amicizia, tuttavia, non era mai successo che ce lo dicessimo esplicitamente. Tra noi era così, le cose si dimostravano con i fatti, non c'era spazio per le parole. Era stato così quando mi ero rotta il braccio cadendo da un albero, quando alcuni bulli avevano preso di mira Embry perché non si sapeva chi fosse suo padre, o ancora dopo la morte del padre di Quil e della madre di Jacob. C'eravamo sempre stati gli uni per gli altri, e sarebbe stato così anche in futuro. Ne ero sicura.
-Jacob esagera sempre- dissi, però.
-Esagerava anche quando diceva che uno di loro ha un cotta per te?-
Per poco non mi prese un colpo. Mi girai verso di lei, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata.
-Cosa?-
Bella si girò a guardarmi, mortificata.
-Non dirgli che te l'ho detto-
Io risi, incrociando le braccia al petto.
-Non gli dirò niente perché non c'è niente da dire, è tutto falso-
Bella tornò a guardare i ragazzi. Sembrò analizzarli uno per uno, scavando dentro di loro, nel profondo. Mi fece quasi paura. 
-Non mi ha detto chi, ma io scommetto su Embry-
Questa volta sbuffai.
-Che cosa ridicola- commentai, scuotendo la testa.
-Invece penso che sia vero. Da come mi guardava, non penso che a Quil piaccia seriamente una ragazza. Non per più di un minuto, intendo. E Jacob... bhe, è Jacob, l'avrei capito mentre parlava se fosse stato lui. Perciò è abbastanza logico che sia Embry-
Il suo ragionamento non faceva una piega. Filava liscio come l'olio, ma proprio per questo era assurdo.
-Se a Embry fosse piaciuta una ragazza, l'avrei saputo- risposi, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. 
Bella sorrise -Ne sei sicura?-
Questa volta non aprii bocca. Mi era appena tornata in mente quella volta in cui, qualche mese prima, in quello stesso casotto, io e i ragazzi avevamo parlato proprio di questo. Mi sforzai di ricordare. Quil stava dando consigli a Embry sulle ragazze, ma non aveva specificato il perché. Mi ricordai le loro facce imbarazzate quando ero entrata. Non aveva il minimo senso. No, era semplicemente impossibile. Doveva esserlo. Ne valeva della nostra amicizia.
All'improvviso Bella guardò l'ora e si alzò.
Jacob lo notò subito e iniziò a scusarsi per averci fatto annoiare, ma Bella lo bloccò subito.
-Invece mi sono divertita. È stato bello parlare tra ragazze- mi sorrise. Cercai di ricambiare, ma ero troppo sconvolta.
Jacob e Bella si misero d'accordo per vedersi il giorno seguente, ma le loro parole venivano filtrate dalle mie orecchie. Vidi solamente Embry e Quil scambiarsi occhiate che la dicevano lunga.  Quil si sporse per sussurrare qualcosa a Embry. A quel punto Jacob lo colpì alla nuca, rimproverando entrambi. Vidi Bella sorridere in imbarazzo e salutare tutti con un gesto della mano, prima di andare via. Appena varcò la porta i ragazzi presero ad azzuffarsi, come al solito.
Mi riscossi solo quando Quil passò una mano davanti al mio viso.
-Terra chiama Will- disse -pronto, ci sei?-
Lo spinsi via, ritornando in me -Idiota-
Quil sghignazzò -Tranquilla, Bella ha fatto questo effetto a tutti. Dico bene, Jake?-
Jacob scattò per colpirlo di nuovo, ma Quil fu più veloce, scartandolo in modo tale che la moto fosse tra loro. 
-Scherzo, scherzo!- disse, per poi borbottare un "o forse no". 
Embry trattenne a stento le risate solo per via dello sguardo fiammeggiante di Jacob. Poi si risolse a me, curioso. 
-Hey, Will, che ti prende?- 
Arrossii un po' al pensiero di quello che mi aveva detto Bella, ma cercai di non darlo a vedere. Insomma, era sempre il solito Embry, giusto? 
-Niente, cosa vuoi che mi prenda?- quasi sbottai.  Mi pentiti subito del mio tono, simile a quello di Leah in modo inquietante, guardando l'espressione confusa e anche po' ferita di Embry.
Quil fischiò -Ho capito. Ora che Bella e Jake stanno insieme, hai paura di non avere più l'esclusiva come ragazza del gruppo- 
Alzai un sopracciglio. Certo che straparlava quel ragazzo. Jacob lo guardò minaccioso. Il messaggio era molto chiaro. 
Decisi di dare un taglio a quella commedia. 
-Okay, è ora anche per me di tornare a casa. Ci vediamo- li salutai, cercando di svignarmela il più in fretta possibile. Era la prima volta che scappavo da loro. Sperai che fosse anche l'ultima, mi sentivo tremendamente sbagliata. 
Embry tirò le chiavi della moto fuori dalla tasca. 
-Ti accompagno. Dovevo farti fare un giro, no?-
Sentii lo stomaco attorcigliarsi. Lo guardai dubbiosa. 
-A quest'ora i miei saranno già a casa...- tentai, giocandomi la carte dei genitori contrari alla moto. 
Embry fece spallucce -Ti lascio sul viale- 
Eccomi lì, con le spalle al muro. Non avevo più nessuna scusa. Rifiutare sarebbe stato come ammettere che c'era qualcosa che non andava. 
Così, sospirai -Va bene, ma non ho il casco- 
-Quil ti darà il suo- rispose, tranquillo. 
Quil, sentendosi chiamato in causa, annuì. Afferrò il casco e me lo porse. Me lo rigirai tra le mani, poi salutai Jacob e Quil, uscendo dal casotto. Con la coda dell'occhio li vidi scambiarsi un'occhiata. Lo stomaco mi si strinse ancora di più. Sperai di non vomitare lungo il tragitto. 


Nonostante tutto, dovetti ammettere che Embry guidava benissimo, come se non avesse fatto altro nella vita.
All'inizio l'imbarazzo di sentirmi così vicina a lui mi fece irrigidire, ma in poco tempo mi rilassai, tanto da farmi chiudere gli occhi per godermi la sensazione del vento e della velocità. Mi ritrovai a stringere la giacca di Embry. Quello che aveva detto Bella non aveva smesso di tormentarmi. Non riuscivo a considerare plausibile la possibilità che potessi piacere a Embry. Ci conoscevamo da troppo tempo perché mi notasse di punto in bianco. Ai miei occhi lui era il solito Embry, lo stesso bambino che esibiva un sorriso sdentato ogni qual volta facesse uno scherzo. Ai suoi occhi, invece, io ero cambiata? Non ero più la bambina con le trecce spettinate che si comportava come un maschiaccio? 
Ci eravamo sempre detti tutto, perciò avevo dato per scontato che avremmo parlato di qualsiasi cosa senza problemi. Mi ritrovai a pensare che, forse, aveva fatto bene a non dirmi niente. Se l'avesse fatto il nostro rapporto sarebbe inevitabilmente cambiato, e questa possibilità mi spaventava così tanto da farmi tremare le ginocchia. Sarebbe stato imbarazzante essere consapevoli dei reciproci sentimenti, di qualsiasi tipo essi fossero. Qualcosa si sarebbe incrinato. Non saremmo stati più i soliti Embry e Will, e ne avrebbero risentito anche Quil e Jacob. Sentii mancarmi l'aria. 
-Will, siamo arrivati-
Aprii di colpo gli occhi. Non mi ero minimamente resa conto del fatto che Embry si fosse fermato, spegnendo addirittura il motore. Poco distante si intravedeva la mia casa, nascosta parzialmente dagli alberi. Embry aveva scelto un ottimo posto: da lì i miei genitori non mi avrebbero mai vista. C'era la loro macchina, perciò erano già tornati. 
Mi staccai da Embry, ricordandomi di avere ancora la sua giacca stretta tra le mani. Scesi cautamente dalla moto. Sfilai il casco, imitando Embry.
-Ti eri addormentata?- chiese, sorridendo. 
Scossi la testa, non sapendo dove posare lo sguardo. Alla fine decisi che fare finta di studiare la moto fosse era una saggia scelta. Embry seguì il mio sguardo. 
-Allora, cosa ne pensi?- chiese, esitante. 
Alzai lo sguardo, incrociando il suo. Mi sentii in colpa per aver cercato di evitarlo. Presi un bel respiro profondo. 
-È forte, ci sai fare- ammisi, con un sorriso timido. Embry sembrò rianimarsi di colpo, gli occhi che brillavano. Non potevo sopportare quel peso, perciò mi feci forza. 
-Embry, senti...- iniziai, spostando il peso del corpo da un piede all'altro, a disagio.
Lui mi guardò, in attesa. 
-Se ti piacesse qualcuno, me lo diresti, vero?- 
Vidi il suo sorriso vacillare un po'. 
-Come ti viene in mente proprio ora?-
-Dai, rispondi- insistetti. 
Embry giocò con le chiavi della moto, ancora attaccate. 
-Sì, certo che te lo direi- 
-Perciò se non mi hai detto niente è perché per ora non ti piace nessuno, giusto?- 
Ora era lui a evitare il mio sguardo. Mi agitai.
-Ti piace qualcuno, Embry?- chiesi, senza giri di parole. 
Embry mi guardò, allarmato. 
-Non ha importanza- rispose, eludendo la domanda. 
-Ne ha per me- dissi. 
Embry sospirò.
-Se ti dicessi che, sì, mi piace una ragazza, avremmo risolto qualcosa?- 
Esitai, mordendomi l'interno della guancia. 
-Dipende da chi è la ragazza-
Embry strinse le labbra, sbuffando. 
-Davvero non lo capisci?- 
Strinsi i pugni, avvicinandomi a lui. 
-No, devi dirmelo tu-
Embry distolse lo sguardo, puntandolo lontano, tra gli alberi. 
-Fidati, non vorresti saperlo-
Mi si bloccò il respiro. Potevo considerarla una conferma? 
-L'unica cosa che non voglio, Embry, è che le cose tra di noi cambino- 
Embry sorrise, ma era un sorriso triste.
-Appunto. Facciamo finta che questa conversazione non ci sia mai stata, d'accordo?- disse, prima di infilarsi il casco.
-Embry...-
-Ciao, Will- mi salutò, accendendo il motore della moto e scappando letteralmente via da me. Fu come se un uncino immaginario attaccato alla moto mi stesse tirando dall'ombelico. Tuttavia, rimasi immobile.
-Embry!- urlai, ma ormai era solo un puntino nero in mezzo agli alberi.

Quando entrai in casa non salutai nessuno, cercando di correre direttamente in camera mia. Avevo lo stomaco chiuso, perciò quella sera avrei fatto volentieri a meno della cena. Mia madre, però, aveva come sempre un ottimo fiuto per certe cose.
-Will, sei tornata- commentò, comparendo dalla cucina.
Io annuii, senza allegria.
-Sì, sono stata da Jake-
Lei studiò il mio viso. Avrei voluto avere la stessa espressione di certe statute greche.
-Tutto bene? Ti sei divertita?-
Acconsentii nuovamente con un cenno del capo.
-C'era anche Bella Swan-
Quella notizia sembrò sorprenderla. Forse l'avevo distratta abbastanza.
-Ho sentito dire da Charlie che non è un bel periodo per lei. Mi fa piacere che sia stata un po' con voi-
Abbozzai uno dei sorrisi più falsi della storia, prima di tentare nuovamente la fuga. La voce di mia madre mi arrivò forte e chiara proprio mentre salivo il primo scalino.
-È un casco per la moto, quello che hai in mano?-
Abbassai lo sguardo. Avevo ancora il casco di Quil stretto tra le mani. Mi ero dimenticata di restituirlo a Embry.
Oh, no. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Febbre ***


Il giorno dopo lo passai a crogiolarmi tra il desiderio di chiamare Embry e il timore delle conseguenze che avrebbe significato farlo sul serio. Ci eravamo lasciati in un modo troppo brusco perché potessi pensare che le cose tra noi andassero bene. Sentivo che non era così.
Così, quando arrivò sera e mio padre ci avvisò che avremmo cenato dai Black, mi sentii sollevata. Sicuramente Jacob avrebbe potuto aiutarmi a capire quale fosse la cosa giusta da fare.

Quando arrivammo dai Black scoprimmo che c'era anche Charlie. Ci disse che Bella era già lì dal pomeriggio, e infatti comparve poco dopo. Mano nella mano con Jacob. Quando si resero conto del mio sguardo allucinato si separarono, in imbarazzo. Billy ci invitò ad accomodarci, vantandosi della sua ricetta segreta. Finimmo per mangiare in giardino, dal momento che sarebbe stato impossibile farci entrare tutti nel piccolo tavolo della cucina di casa Black.
Io, Jake, Bella e Seth c'eravamo appostati vicini, per parlare lontani dai discorsi sul baseball dei nostri genitori. Avevamo cercato di coinvolgere anche Leah, ma non voleva saperne. Era già un miracolo che avesse accettato di venire. Passò tutta la serata al cellulare. Seth, invece, era una Pasqua, come ogni volta che aveva l'occasione di stare con Jake, il suo idolo. Per quanto mi riguarda, cercai di godermi la serata, per quanto possibile. C'era un pensiero che continuava a tormentarmi.
Approfittai del momento in cui Seth prese a fare domande a raffica a Bella, per poter parlare con Jake. 
-Eravate carini, prima, mano nella mano- gli dissi, ammiccando, -non perdi tempo, eh?-
-Oh, piantala- si lamentò, per poi guardarmi male, -tu, piuttosto. Che diavolo combini con Embry?-
Abbassai la forchetta con gli spaghetti, improvvisamente avevo perso l'appetito. 
-Hai parlato con lui?- 
Jacob sbuffò -certo che abbiamo parlato, è il mio migliore amico- 
Misi il broncio -e io e Quil cosa siamo? Fate madrine?- 
Jake alzò gli occhi al cielo -hai capito cosa intendo- 
Mio malgrado, annuì. Era logico che avessero parlato, mi sarei sorpresa del contrario semmai. 
-Spara- gli feci, posando definitivamente il piatto sulle gambe. Non avrei più mangiato. 
Jake sospirò, gettando un'occhiata a Bella prima di parlare, come se volesse accertarsi che lei non sparisse mentre lui era impegnato. 
-Senti, parlartene sarebbe vietato, in teoria- 
Credevo di sapere di cosa stesse parlando. Tra noi c'era un patto implicito che ci imponeva di non parlare di certe cose. Ne valeva della nostra amicizia. Era stato deciso di tacito accordo all'età di dodici anni, quando ci affacciammo alla pubertà. Fino a quel momento tra noi non c'erano mai state troppe differenze. I ragazzi non c'erano mai andati piano con me durante le zuffe solo perché ero una femmina, e io avevo imparato presto ad adattarmi. Al contrario, io mi divertivo a batterli nella corsa, essendo più alta di loro e avendo, di conseguenza, le gambe più lunghe. Bei tempi. Le cose erano cambiate nel giro di qualche anno. I nostri corpi erano cambiati. Erano diventati tutti più alti di me, facendomi sembrare uno strano folletto in confronto a loro. La voce di Quil era diventata sempre più bassa e profonda, le guance rotonde di Jacob erano state sostituite da tratti più marcati, e le ginocchia di Embry non erano più tanto nodose. Io, invece, che avevo sempre avuto un fisico minuto, ero diventata più morbida. Era cambiato, con il tempo, anche il modo di vedere il sesso opposto. Per questo motivo avevamo deciso che era meglio evitare di parlare tutti insieme di alcune cose. Loro avrebbero parlato delle loro questioni maschili senza di me, così come io non avrei mai aperto bocca sulle mie, di questioni. Non credo ci sia il bisogno di scendere troppo nei dettagli. 
Quello che non mi tornava, però, era perché Jacob avesse tirato in ballo quel patto proprio in quel momento. Non comprendeva certo le cotte, di quello si poteva parlare. 
-Jake, non capisco- iniziai, -perché non puoi parlarne?- 
Jacob si grattò un sopracciglio, sembrava combattuto. Alla fine mi guardò. 
-Embry ci ha chiesto di non dirtelo. Sì, insomma, a me e a Quil. Ma sai com'è Quil, qualche battuta fuori luogo ogni tanto gli scappava- 
In effetti, Quil era solito fare allusioni di ogni tipo, alle quali non avevo mai dato troppo peso però.
Abbassai lo sguardo.
-Quindi è vero- affermai. Jacob non rispose, perché non era una domanda. 
-Senti, perché non parli direttamente con lui?- propose dopo un po', -sono sicuro che chiarirete, come sempre-
Mi chiesi se ci fosse davvero qualcosa da chiarire, ma tutto sommato la sua idea non mi sembrava malvagia.
-Hai ragione. Grazie, Jake- gli sorrisi.
Jacob ricambiò, alzando le spalle.
-Sono qui per questo- si vantò.
Gli diedi un pizzicotto.

***

La mattina dopo mi svegliai presto, perciò mi preparai con calma. Per tutto il tempo mi ripetei mentalmente il piano che avevo ideato per parlare con Embry. Avevamo storia insieme alla prima ora, perciò avrei approfittato del fatto che fossimo seduti vicini per chiedergli di saltare la seconda ora, di solito occupata da matematica per me e biologia per lui. Non una grande perdita per entrambi, insomma. Se si fosse mostrato reticente, lo avrei costretto. Poi, saremmo andati sulle scale anti incendio, quelle sud perché erano meno frequentante, e, finalmente, avremmo parlato. Quella era la parte più difficile. Sapevo quanto fosse riservato e timido Embry, perciò avrei dovuto usare le parole giuste per dirgli che... per dirgli che la nostra amicizia, per me, veniva prima di tutto il resto. Anche prima dei nostri stessi sentimenti. Perché, anche se non l'avrei mai ammesso, mi ero ritrovata a pensare spesso, in quei due giorni, a come sarebbe stato se... se...
-Will, sei pronta?- sentii la voce di Seth chiamarmi, fuori dalla porta del bagno.
Mi riscossi, finendo di sistemarmi i capelli nella solita treccia. Quel giorno avevo più ciuffi ribelli del solito, che mi incorniciavano il viso in modo sbarazzino. Il problema di avere un taglio scalato. Mi guardai allo specchio, decidendo che quello era il meglio che potessi fare. Non mi ero truccata, come sempre. Arrossii al pensiero di dovermi fare più carina per... No, fuori discussione. Prima che potessi avere strane idee, uscii dal bagno.
Trovai mio fratello già pronto, che mi aspettava per andare a scuola.
-Finalmente, lumaca- commentò, entrando nel bagno per lavarsi i denti. Doveva aver già fatto colazione. Gli dedicai un'occhiata di fuoco, prima di andare in camera a recuperare la zaino.
Una volta scesa al piano di sotto, trovai mio padre e Leah intenti a fare colazione. Mia madre, invece, era già uscita.
-'Giorno-
-Buongiorno, Willy. Vuoi del caffè?- mi chiese mio padre.
Feci una smorfia per il modo in cui mi aveva chiamata: nessuno, tranne lui, usava più quel nomignolo da quando aveva 10 anni.
-No, grazie- risposi. Ero già abbastanza agitata.
-Possiamo andare?- domandò Leah, alzandosi e sistemando le stoviglie sporche nel lavabo della cucina.
-Sì!- rispose mio fratello, saltando gli ultimi due gradini della scala.
-Ma sei sempre così euforico, tu?- chiesi all'indirizzo di Seth. 
Lui quasi mi accecò con il suo sorriso.
-Sento che oggi sarà una bella giornata!-
Sperai che avesse ragione.

***

Embry quel giorno non venne a scuola, e tanti saluti al mio piano studiato nei minimi dettagli.
All'inizio avevo pensato che avesse saltato la prima ora, per evitarmi, così l'avevo aspettato fuori dall'aula di letteratura, dove sapevo che sarebbe stato. E invece non si presentò. Fu allora che mi venne il dubbio che potesse non essere presente a scuola. Ebbi la conferma durante la pausa pranzo, dal momento che il posto da lui solitamente occupato era vuoto. Chiesi a Quil e Jacob se sapessero qualcosa, ma anche loro erano sorpresi. Ciononostante, non toccammo più l'argomento: non era poi così strano che qualcuno di noi mancasse a scuola, ogni tanto. Quando arrivò il momento di tornare in classe, Quil ci chiese se ci saremmo visti quel pomeriggio. Jacob, arrossendo, rispose che doveva lavorare alle moto con Bella. Io, invece, dissi di dover studiare. Quil sbuffò, ma non si lamentò. Non era vero che dovevo studiare, avevo già fatto in anticipo tutti i compiti, portandomi avanti. Tuttavia, avevo altri progetti per quel pomeriggio.

***

Stavo facendo avanti e indietro nella mia stanza da quella che mi sembrava un'eternità, con il telefono di casa in mano. Come al solito, ero combattuta. Alla fine, però, mi decisi a fare quel maledetto numero, accostando il telefono all'orecchio.
Primo squillo. 
Continuai a camminare, era un ottimo modo per far andare via un po' di tensione. 
Secondo squillo. 
Se ricordavo bene, a quell'ora sua madre avrebbe dovuto essere a lavoro. 
Terzo squillo. 
Mi torturai una pellicina del pollice.
Quarto squillo.
Probabilmente non avrebbe risposto. Mi sedetti sul bordo del letto con un sospiro.
Quinto squillo. 
Silenzio. 
-Pronto?- 
Saltai in piedi di colpo, come se avessi avuto una molla sulle gambe. 
-Embry!- 
Presi una boccata d'aria, sollevata. Non mi ero neanche resa conto di star trattenendo il fiato. Il cuore mi batteva così forte che sentivo il sangue pulsare sulle tempie. 
-Oh, Will, sei tu- disse lui, con un tono strano, confuso. 
Mi sentii un po' delusa. Aspettava la telefonata di  qualcun altro? Strinsi la mano libera a pugno. 
-Sì. Oggi non c'eri a scuola, perciò ti ho chiamato per...-
-Lo so perché mi hai chiamato- mi interruppe, con un sospiro.
Sembrava respirare a fatica. 
-Ah, sì?- chiesi, insicura. C'era qualcosa che non andava. 
-Non ti devo preoccupare per l'altro giorno, intesi? Dimentica quello che ci siamo detti, è acqua passata ormai- rantolò. Sentii il rumore di qualcosa che cadeva, rompendosi. 
-Embry, cos'è stato?- 
Embry, dall'altro capo del telefono, si lasciò scappare un gemito. 
-Niente, ho rotto per sbaglio uno dei vasi di mia madre- borbottò. 
Fermai la corsa nella mia stanza, aggrottando le sopracciglia. 
-Per sbaglio... Embry, stai bene?- 
-Certo, ho solo un po' di febbre- rispose in fretta, con il respiro affannoso. 
-Allora è per questo che non sei venuto a scuola- dedussi, sentendomi in pace con me stessa perché non mi stava evitando, ma anche tremendamente in colpa per non aver pensato di più a lui. 
Embry non rispose, non c'era bisogno. Sentii qualcosa cigolare e poi il fruscio delle coperte. Doveva essersi messo a letto. 
-Vuoi che venga da te? Finché non ritorna tua madre da lavoro- proposi, arrossendo.
Ringrazia il cielo che non potesse vedermi. Mi sentii ridicola. Ero già stata molte altre volte a casa di Embry, ovviamente. Quando eravamo piccoli gli facevo compagnia mentre sua madre non c'era. Lo chiedeva sempre a me, forse perché si vergognava a farlo con Quil e Jacob. Ricordai con una stretta al cuore di tutte le volte in cui avevamo giocato agli indiani, costruendoci una tenda con le lenzuola, nella sua stanza. Ce ne stavamo lì, a raccontarci vecchie leggende. A Embry piacevano i miti dei Quileute, mi ascoltava  per ore con gli occhi sgranati dallo stupore. Mi ero sempre chiesta se fosse perché si sentiva un po' escluso, essendo l'unico del gruppo a provenire da un'altra tribù. Sua madre, infatti, era originaria dei Makah, come mia cugina Emily. Si era trasferita a La Push quando era incinta di Embry, non specificando nulla sul perché o su chi fosse il padre del bambino. Questo aveva causato un po' di scompiglio tra i membri della tribù, che passavo il tempo a fare ipotesi. C'era chi sosteneva che fosse scappata di casa, chi invece pensava che si fosse trasferita perché il padre del bambino era uno del posto. Queste cose io le scoprii molto tempo dopo, quando ormai Tiffany Call si era già ambientata nella tribù, trovando lavoro al negozio di souvenir sulla spiaggia. Ero troppo piccola per capire certe cose, per me Embry era un bambino come tutti gli altri. Simpatico, un po' timido forse. Fare amicizia con lui era stato naturale come respirare, e valeva lo stesso anche per Quil e Jacob. Il nostro era un legame che andava oltre certe convenzioni. Per questo motivo ero sicura che avremmo superato anche quel piccolo "inconveniente". 
-No, Will, è meglio se non vieni, potrei mischiarti  qualcosa- 
-Sicuro? Guarda che ho gli anticorpi, io. Sono fatta praticamente di ferro- cercai di ironizzare. 
-Sì, sono sicuro. In ogni caso, mia madre dovrebbe tornare a momenti- 
Sospirai, delusa. Nonostante l'imbarazzo, mi sarebbe piaciuto vedere Embry. Lui dovette capirlo, perché cercò di risollevarmi.
-Vedrai che domani tornerò di nuovo a scuola, e poi sì che sarà difficile liberarti di me- 
Mi ritrovai a sorridere, ma era un sorriso incerto. Sentivo di nuovo quella sensazione di smarrimento. Restammo in silenzio per un po', ognuno ascoltando il respiro dell'altro. Quello di Embry era più veloce del mio. 
-Grazie per aver telefonato- disse lui alla fine, la voce ridotta a un sussurro. 
-Era il minimo- feci notare io.
Sentivo lo stomaco sotto sopra, un brutto presentimento che gravava su di noi. 
-Allora ci vediamo domani- 
La testa aveva iniziato a girarmi, fui costretta a sedermi all'angolo del letto. 
-Sì, a domani- mormorai, poco convinta. 
Restammo ancora un po' in silenzio, e quasi temetti che Embry si fosse addormentato, esausto a causa della febbre.
Poi invece lo sentii sospirare. 
-Ciao, Will- 
-Ciao, Embry-  
Ma lui aveva già attaccato. 

***

Il giorno dopo Embry non si presentò a scuola, e neanche quello dopo ancora. Così per tutta la settimana.
Ogni volta che chiamavo mi rispondeva la madre di Embry, che mi ripeteva sempre la solita cosa: la febbre è ancora alta, ma con le medicine si abbasserà presto, non preoccuparti. Avevo anche proposto agli altri di andare a trovarlo, ma avevano bocciato la mia idea. Secondo loro era solo la solita influenza che girava in quel periodo ogni anno; il mio brutto presentimento, invece, non aveva smesso di farsi sentire. Forse però avevano ragione loro e io ero solo un po' paranoica. 
Tuttavia, non mi arresi, decidendo di giocare un'altra carta, l'ultima che mi era rimasta: mia madre. 

Era venerdì, e stavo cenando con la mia famiglia.
Mio padre e Seth stavano parlando di baseball, mia madre cercava di coinvolgere anche me e Leah, ma mia sorella era taciturna come al solito. 
Stavo rigirando i fagiolini nel mio piatto da un po', quando decisi di parlare.
-Mamma, sei libera domani?- chiesi, sperando che il mio tono fosse sembrato tranquillo e non agitato.
Mia madre mi guardò, evidentemente sollevata del fatto che almeno una delle sue due figlie avesse deciso di aprire bocca.
-Domani mattina io e tuo padre andiamo dai Fuller, ma poi sono libera, perché?-
Continuai a torturare i miei fagiolini, facendo spallucce.
-Mi chiedevo se potessi andare dai Call. È passata una settimana ed Embry ancora non migliora-
Mia madre masticò lentamente, la ruga tra le sopracciglia che si accentuava sempre di più.
-Una settimana, dici? Ma non era solo un'influenza?- mi chiese, dopo aver bevuto un sorso d'acqua.
Io annuì con convinzione, felice che finalmente qualcuno desse retta ai miei dubbi.
-Era quello che sembrava, ma ogni volta che chiamo Tiffany mi dice che la febbre continua a salire. Ormai ha superato i 40 gradi-
Fu come se avessi detto una parolina magica. Mio padre si fermò a metà frase, improvvisamente concentrato più sulla nostra conversazione che su quella con Seth. Anche mio fratello ci guardò, curioso. Probabilmente stava cercando di capire cosa potessi aver detto di così strano da attirare l'attenzione di papà.
Cercavo di capirlo anche io. 
-Ho detto a Tiffany di portare Embry in ospedale per una visita più accurata, ma ha detto che non le sembrava il caso- continuai, scrutando le espressioni imperscrutabili dei miei genitori.
Mia madre si pulì gli angoli della bocca con il tovagliolo, incrociando per un secondo lo sguardo di mio padre. 
-Hai fatto bene a dirglielo, ma non c'è bisogno di preoccuparsi tanto. Se può farti stare meglio, però, domani andrò a controllare, va bene?- mi disse, sorridendomi.
Annuii, ricambiando il sorriso.
Mi sentivo sollevata, tuttavia quello sgradevole nodo allo stomaco non si decideva ad andare via.
La cena proseguì tranquilla, senza toccare più l'argomento. Una volta finito, aiutai mia madre a lavare i piatti, dal momento che era il mio turno, poi salii in camera mia.
Non sapendo cosa fare, decisi di continuare la lettura dei libri assegnati dal mio professore di letteratura, che aveva deciso di farci fare un test a tema Shakespeare. Giusto qualche giorno prima avevo finito Il mercante di Venezia, il prossimo da leggere sarebbe stato Sogno di una notte di mezza estate. Non ero mai stata una grande lettrice, non ne avevo la pazienza, tuttavia cercavo sempre di impegnarmi. Perciò, mi sedetti sul letto, con la schiena appoggiata al muro e le gambe incrociate. Provai a concentrarmi e non pensare a niente che non fosse Sogno di una notte di mezza estate, per non essere costretta a leggere più volte la stessa riga.
La storia mi piaceva molto, sebbene fosse surreale. Innamorarsi di colpo non lo consideravo possibile. Certo, in quel caso si trattava di magia, ma molte persone nella vita vera credevano al famoso colpo di fulmine. L'amore vero non si presentava di colpo, secondo me, ma era il frutto del tempo. Probabilmente, però, le mie erano solo congetture. Avrei capito tutto al momento giusto, quando mi fossi innamorata sul serio di qualcuno. Con un sospiro, continuai la lettura, curiosa di scoprire come continuava l'avventura di quei quattro amanti sfortunati. 
Quando risollevai lo sguardo dal libro, notai con stupore che erano già passate un paio di ore. Tuttavia, non ero ancora neanche a metà e il test sarebbe stato la prossima settimana. Avrei dovuto mettere il turbo, per leggere anche Romeo e Giulietta e Amleto, ma decisi di farlo in altro momento. Gli occhi mi bruciavano leggermente e avevo la gola secca.
Decisi di scendere al piano di sotto per bere un bicchiere d'acqua e sgranchirmi un po' le gambe prima di andare a dormire. Ero sugli ultimi scalini, quando sentii le voci dei miei genitori.
Avevano fatto il nome di Embry.
Mi fermai di colpo, cercando subito dopo di farmi piccola contro il muro. Non sembravano essersi resi conto di me, perciò mi lasciai scappare un sospirò di sollievo prima di affilare l'udito. 
-...è impossibile- stava dicendo mio padre, in un tono che mi sorprese.
Sembrava serio e allarmato allo stesso tempo. Non lo avevo mai sentito così. 
-È improbabile, non impossibile. Inoltre, questo spiegherebbe il motivo per il quale Tiffany si sia trasferita qui sedici anni fa, abbandonando la sua tribù- rispose mia madre, più tranquilla. 
Ma di che diavolo stavano parlando? 
-Sue, se fosse vero... insomma, immagina lo scandalo se si scoprisse che...- 
-Harry, non possiamo rischiare. Devi avvisare Sam- 
Ci fu un attimo di silenzio, poi un sospiro. 
-Sì, hai ragione. Lo chiamo subito- 
Mio padre si diresse verso l'ingresso, probabilmente per recuperare il cellulare dalla tasca della sua giacca, appesa all'appendiabiti. 
Cercai di fare marcia indietro velocemente e senza fare rumore. Origliare la chiamata con Sam, per quanto mi sembrasse allettante, era troppo rischioso. Se i miei genitori avessero scoperto che stavo ascoltando la loro conversazione, sarebbero di certo stati più guardinghi in futuro. E io, invece, mi ero ormai promossa a nuova Sherlock Holmes. Così, ritornai in camera mia, a rimuginare su quanto avevo ascoltato. Ogni cosa mi puzzava terribilmente: le loro espressioni durante la cena, il fatto che avessero tirato in ballo Sam e la questione sul trasferimento di Tiffany, lo scandalo di cui parlavano. Non trovavo un minimo collegamento, o almeno non uno con una briciola di senso. 
Per un momento pensai di essere diventata paranoica. Magari stavo cercando di proiettare la mia tensione su questa faccenda per sentirmi meglio. Eppure... 
Con un sospiro, decisi di andare a dormire, credendo che fosse la cosa migliore. Avevo dimenticato di non avere tregua neanche nella mia testa. 

Quella notte sognai un nuovo lupo. 
Lo avevo trovato seguendo i suoi lamenti, che erano come un richiamo per me nel silenzio del bosco. Sentivo di dover aiutarlo.
Era grande quanto gli altri, forse un po' più magro e con il pelo più lungo, di un grigio scuro macchiato di nero qua e là. Non si era minimamente reso conto di me, impegnato com'era a dimenarsi. Sembrava che stesse lottando contro se stesso. Non riusciva a stare fermo, finendo per cadere ogni volta che cercava di rialzarsi barcollante.
I latrati continuavano e io sentivo il bisogno di avvicinarmi per aiutarlo. Era un bisogno fisico ed emotivo, che mi fece piegare su me stessa, impotente. Mi accovacciai contro un albero, stringendo le ginocchia tra le braccia. Cosa avrei mai potuto fare per farlo stare meglio? Non sapevo neanche quale fosse il problema. Non era mai capitato prima che uno dei lupi stesse male. Sembravano sempre perfettamente a loro agio tra di loro e con se stessi. Anche quelli nuovi, man mano che si univano al lupo nero. Era giusto così, essendo animali. Quel lupo, invece, sembrava avere movenze... umane.
Mi chiesi cosa gli fosse successo. Per un momento pensai di chiamare aiuto, poi mi ricordai che era solo un sogno, non avrebbe avuto senso. 
Un sogno... 
Mi si bloccò il respiro. 
Ricordavo sempre i miei sogni una volta sveglia, ma non mi era mai capitato di essere consapevole di star sognando. Poteva essere in qualche modo collegato all'arrivo del nuovo lupo e al suo comportamento fuori dal normale? 
Improvvisamente, sentii un ululato levarsi nel bosco, non molto lontano. Mentre io riuscii addirittura a riconoscerlo, il lupo grigio non diede alcun segno di aver sentito qualcosa. 
Vedere il lupo nero che prendeva forma nell'oscurità, dalla quale emergeva tra gli alberi, non mi sorprese per nulla. Sapevo sarebbe arrivato.
Lo vidi avvicinarsi lentamente al lupo grigio, con le zanne in bella mostra. Più che in posizione d'attacco, sembrava sulla difensiva. Solo quando furono a un metro di distanza il lupo grigio sembrò notare la sua presenza. Cercò di reggersi sulle zampe, per darsi un contegno, ringhiando contro all'altro lupo. Lo vedeva come una minaccia, era chiaro. Tuttavia, il lupo nero continuava a mostrarsi calmo, sicuro di sé. Prese a ringhiare piano, ergendosi fiero. Il lupo grigio sembrò non apprezzare il gesto, scattando e cercando di azzannarlo come meglio poteva. Tuttavia i due finirono per rotolare per terra.
Dal momento che stavo meglio, cercai di alzarmi in piedi, tenendo ugualmente una mano sulla corteccia dell'albero per sicurezza. Non smisi di guardare neanche per un istante, temendo che potessero farsi male. Nonostante le loro zanne sembrassero affilate e letali, non vidi sangue. Il nuovo arrivato era troppo scoordinato per essere davvero pericoloso, mentre il lupo nero non sembrava voler ferire il compagno, ma solo ammansirlo. Ci riuscì in poco tempo, bloccandoli al suolo con una zampa e ringhiandogli contro. Il lupo grigio cercò un'ultima volta di ribellarsi, poi si calmò, guaendo. I loro sguardi si incrociarono e fui sicura di aver assistito a qualcosa di unico, magico e primitivo.
Il branco aveva appena acquisito un nuovo membro.

***

Il giorno dopo mi svegliai più tardi del solito, non avendo scuola. Feci colazione con calma e mi vestii ancora più lentamente.
Avevo trovato un bigliettino di Leah in cui mi avvisava di essere uscita a comprare il necessario per il pranzo, dato che toccava a lei cucinare. I miei genitori, invece, erano andati dai Fuller, i nostri zii, e Seth lì aveva accompagnati. Probabilmente aveva sfruttato l'occasione per vedere nostro cugino Brady, di tredici anni. Sarebbe piaciuto anche a me passare un po' di tempo con lui, sicuramente era cresciuto ancora. Tuttavia, non avevo chiesto a mia madre di svegliarmi e io avevo scordato di attivare la sveglia, perciò avrei passato il resto della mattinata da sola in casa a studiare.
Contro ogni previsione pessimistica, il mio sonno agitato di quella notte non aveva influito sulle mie capacità intellettive, tant'è che riuscii a finire tutti i compiti in un paio di ore. Così optai di continuare il libro per scuola, almeno l'avrei finito in giornata e avrei potuto leggere anche gli altri, giusto in tempo per il test. Ma, appena dopo aver letto la prima battuta di dialogo, mi resi conto che il mio livello di concentrazione era diminuito drasticamente. Evidentemente non era destino che io studiarsi per quel test. Chiusi il libro, giurando a me stessa che l'avrei riaperto nel pomeriggio, anche a costo di farmi legare alla sedia da Seth. Per quanto avessi cercato di non pensarci, mi tornò alla memoria il sogno di quella notte. Dovevo avere una fervida immaginazione, per creare certe cose. Mi chiesi se fosse normale ricordarsi così bene i sogni e, soprattutto, se si potesse essere consapevoli di trovarsi in un sogno. Mi chiesi anche per quanto tempo sarebbe andata avanti questa storia. Avrei continuato a vedere lupi mentre dormivo per il resto della mia vita oppure prima o poi sarebbero semplicemente andati via? Inoltre, perché il branco diventava sempre più numeroso? Non ero un'esperta, ma non mi sembrava normale.
Senza neanche avere il tempo di realizzare quello che stavo facendo, mi ritrovai ad accendere il computer che stava in camera di mia sorella. Non le avevo chiesto il permesso, ma dal momento che non c'era non avrebbe potuto arrabbiarsi. Avrei eliminato tutte le prove del mio passaggio prima del suo rientro.
Mi pentii ben presto della mia decisione. Internet era un mondo pieno di informazioni, era difficile distinguere quelle vere da quelle false. Tanto per non aver rischiato un rimprovero da parte di Leah per niente, visita un paio di siti, per capirci di più. Nonostante alcune discordanze, tutti dicevano che il lupo era il simbolo della libertà dalla società, l'istinto che aveva la meglio sulla ragione. C'erano anche molte altre interpretazioni che dipendevano dal colore, dal comportamento, dalla grandezza e dal numero dei lupi. Quello nero rappresentava un pericolo in agguato, quelli grigi un periodo particolarmente privo di stimoli, il fatto che fossero enormi simboleggiava le paure da affrontare, mentre il branco era indice di inadeguatezza nella società.
Sbuffai, cercando il significato dell'ultimo fattore ricorrente nei miei sogni: il bosco. A quanto dicevano, stava a indicare il passaggio da una fase all'altra della vita.
Con mio sommo disappunto, le mie ricerche si erano rivelate un buco nell'acqua. Sebbene l'avessi sempre saputo, in realtà un po' avevo sperato che potessi finalmente dare un senso a tutte le stranezze che da un anno si accumulavano nella mia vita.
Quasi caddi giù dalla sedia quando sentii la porta d'ingresso aprirsi. Spensi velocemente il computer e uscii dalla stanza di mia sorella, giusto in tempo per ritrovarmela a meno di un metro di distanza. Mi scappò un gridolino di spavento, e subito mi portai una mano al petto. Il cuore mi batteva davvero forte.
-Leah, che ci fai qui?- chiesi, cercando di regolarizzare il respiro.
Mia sorella mi guardò con un sopracciglio alzato, incrociando le braccia sotto al seno.
-Questo dovrei chiederlo io a te, non ti pare? Che ci facevi in camera mia?-
Infilai le mani nelle tasche posteriori dei jeans, alzando le spalle.
-Cercavo un libro di scuola, ma non ce l'hai, ricordavo male. Tu invece hai comprato tutto?- cercai di cambiare argomento.
Stranamente, funzionò. Leah sospirò.
-Mi dai una mano in cucina?- 
Annuii, contenta di poter fare qualcosa. Avevo bisogno di distrarmi. 
Finimmo per preparare una versione meno raffinata del cedar plank salmon, cucinando il salmone sulla piastra con vino e spezie e non sul legno, come da ricetta. 
-Facciamo anche l'insalata, che dici?- propose Leah. 
-Sì, certo- le rispose, con un sorriso. Se un anno prima avrei trovato normale passare del tempo con mia sorella in quel modo tranquillo, ora mi sembrava strano. Era piacevole vederla senza il solito broncio. Certo, non poteva ancora considerarsi l'emblema della felicità, ma ci stava lavorando. Apprezzavo i suoi sforzi, sperai che le cose potessero tornare alla normalità, prima o poi. Quando sentimmo la porta di casa aprirsi, seguita dal chiacchiericcio del resto della famiglia, io e Leah avevamo praticamente finito di cucinare. 
-Che buon profumo- commentò Seth, entrando in cucina, -mi piace il salmone!- 
Leah alzò gli occhi al cielo. 
-Dimmi qualcosa che non ti piace, Seth- 
Mio fratello sembrò pensarci su, ma non fece in tempo a rispondere perché entrarono anche Harry e Sue, che ci salutarono. 
-Ho due figlie magnifiche- commentò papà, sbirciando il salmone. 
Seth borbottò un "grazie", mia madre invece rise, iniziando ad apparecchiare. 
-Come stanno gli zii?- chiese Leah, a nessuno in particolare. La sua domanda mi sorprese: quel giorno stava dando il meglio di sé. Forse c'era davvero speranza. 
-Benone, direi- rispose mamma, passando i bicchieri a Seth affinché li sistemasse sulla tavola. Mio fratello sembrò ricordarsi improvvisamente di qualcosa che gli fece brillare gli occhi. 
-Avanti, papà, diglielo- 
Leah socchiuse gli occhi. 
-Dirci cosa?- 
Vidi mia madre sorridere di nascosto, mentre papà prendeva un bel respiro. 
-Zio John ha cambiato macchina, sapete? Quella che aveva prima era vecchia, senza contare il problema alla frizione. Gli ho dato un'occhiata, però, e non è niente male- disse, scrutando le nostre espressioni. Probabilmente sperava che a questo punto avessimo capito, ma non era così.
-E allora?- insistette Leah.
-Ho parlato con zio John, dice che potrebbe vendermela per una sciocchezza. Ha solo bisogno di una bella visita dal meccanico e una passata di vernice. Non è un gioiellino, certo, ma ho pensato che come prima macchina potesse andare bene per voi due-
Fissai mio padre, con la bocca spalancata. Non credevo alle mie orecchie. Sorrisi come un'ebete. Leah, invece, prima di farsi strane idee, guardò Harry con sospetto. 
-Che vuoi dire?- 
-Voglio dire che è arrivata ora che voi ragazze siate più autonome. Tu avrai finalmente la tua macchina, e anche Willy potrebbe iniziare a fare pratica- 
Quasi strozzai mio padre, tanto lo avevo stretto forte in un abbraccio. 
-Grazie!-
Anche mia sorella sorrise all'indirizzo di Harry, ringraziandolo. 
Non vedevo l'ora di dirlo ai ragazzi: avevo addirittura battuto sul tempo Jacob! Da non crederci. 
Mi separai da mio padre solo quando sentii Sue schiarirsi la voce, per attirare la nostra attenzione. 
-Almeno ora non dovrete chiedere passaggi ai vostri amici. Vero, Willow?- 
Non capii a cosa si stesse riferendo, così la guardai confusa.
-La moto- mormorò Seth, passandomi accanto per sistemare anche i piatti sulla tavola. 
Io arrossii, guardando mia madre colpevole. Quella volta che mi aveva beccata con il casco di Quil in mano non aveva detto niente di che, tranne la solita predica. A quanto pareva, invece, nella decisione di prendere una macchina c'era anche il suo zampino. Bhe, tanto di guadagnato. Improvvisamente, però, mi ricordai una cosa di vitale importanza. 
-Mamma, alla fine sei passata dai Call?- 
Sue mi guardò di sfuggita. 
-Oh, sì, te l'avrei detto a momenti-
Infilai le mani in tasca, non sapendo dove altro metterle. 
-E...?-
Sue portò in tavola l'insalata. 
-E, come ti avevo detto, non c'era bisogno di preoccuparsi tanto. Tiffany ha detto che Embry sta molto meglio- 
La guardai confusa, corrugando le sopracciglia.
-Non l'hai visto di persona?- 
Mia madre si prese del tempo per rispondere, con la scusa di star affettando un limone. 
-No, era già uscito quando siamo arrivati noi- 
Fu come ricevere un pugno allo stomaco. Dopo giorni passati a preoccuparmi per lui e a telefonare praticamente ogni giorno, era tranquillamente uscito senza farmi sapere niente. Non che dovesse rendermi conto di ogni suo spostamento, ma avrei gradito quanto meno anche solo un messaggio in cui mi diceva di stare meglio. 
-Oh, capisco- fu tutto quello che riuscii a dire. Come la sera prima, vidi i miei genitori scambiarsi un'occhiata. 
-Forza, ragazzi, andiamo a lavarci le mani, così possiamo mangiare- disse mio padre, spingendoci gentilmente fuori dalla cucina. 
-Sì, ho una fame da lupi!- affermò Seth, fiondandosi in bagno. Mentre lo seguivo, percepii più di uno sguardo posarsi su di me. 

***

-Pronto?- 
-Salve, signora Call- 
Alla fine non avevo resistito. Era passato un giorno da quando mia madre mi aveva detto che Embry era guarito, e lui non si era ancora fatto sentire. Imperdonabile. 
-Willow, cara, che piacere sentirti- 
Sorrisi, giocando con l'elastico della treccia.
-È un piacere anche per me, signora Call. Per caso Embry è in casa?- chiesi, senza tanti giri di parole. Dopo averla chiamata ogni giorno per una settimana non c'era tempo per i formalismi. 
-No, è uscito poco fa con i ragazzi. Tu non li raggiungi?- chiese Tiffany. Il suo tono era conciliante, ma non bastò per farmi stare meglio. 
-Sì, certo, volevo solo ricordare a Embry di portarmi un libro per scuola- inventai al momento. 
-Non mi pare avesse un libro con sé quando è uscito, si sarà sicuramente scordato- disse Tiffany. Verso le ultime parole la sua voce si era fatta lontana e poi di nuovo vicina, come se avesse spostato il telefono da un orecchio all'altro. 
-Non fa niente, signora Call, me lo porterà domani a scuola- 
La sentii sospirare. 
-Ultimamente Embry è così sbadato. Penso abbia qualcosa per la testa. A te ha detto qualcosa?- volle sapere lei. 
Mi strappai una pellicina dal pollice. 
-No, niente. Ma vedrà che gli passa- cercai di rassicurarla. Non avevo usato un tono troppo convinto, però. 
-Lo spero. Senti, puoi passare da casa, se vuoi. Così prendi il libro che ti serve e anche la giacca di Embry- propose lei, assumendo un tono di predica subito dopo, -è uscito senza, come se non avesse avuto la febbre per una settimana- 
Mi aveva messa con le spalle al muro, se avessi rifiutato avrebbe capito che il libro in realtà era solo una scusa. 
-Certo, buona idea. A dopo, signora Call- 
-A dopo, Willow-
Attaccai la telefonata, sospirando. Non era nei miei programmi uscire. E poi, non avevo la minima idea di dove fossero i ragazzi. 
Composi un altro numero al telefono, sperando che Jake avesse parlato con suo padre prima di uscire. Billy rispose al terzo squillo. 
-Pronto?-
-Ciao, Billy, sono Will- 
Avevo sempre avuto molta confidenza con lui, sicuramente più che con la madre di Embry o quella di Quil. Era stato lui a insegnarmi ad andare in bici. Ricordo quando era morta sua moglie Sarah, a causa di un incidente d'auto. Al funerale aveva cercato di essere forte per i suoi figli, ma una volta a casa l'avevo visto piangere di nascosto, consolato da mio padre. Volevo molto bene a Billy, lo consideravo uno di famiglia. 
-Oh, Will, a cosa devo questa chiamata?- chiese, con toni allegro. 
-Mi chiedevo se sapessi dov'è andato Jake, magari te l'ha detto prima di uscire- 
Sentii il rumore delle ruote della sedia a rotelle, probabilmente aveva cambiato stanza. 
-Sì, è proprio davanti a me- rispose lui. 
-Non è uscito?- domandai in modo retorico, percependo l'amaro in bocca. 
-No, te lo passo?- 
-Certo, grazie- 
Billy chiamò Jake, avvisandolo che ero io e passandogli il telefono. 
-Hey, Will- mi salutò. 
-Jake, non sei uscito con gli altri?- chiesi velocemente, senza perdere tempo. Avevo un brutto presentimento. 
-No, perché?- fece lui, perplesso. 
-Ho chiamato a casa di Embry, per vedere come stava, e sua madre ha detto che era già uscito con voi. Forse si è confusa ed era solo Quil-
Sperai che fosse così, ma la mia teoria ebbe vita breve. 
-No, posso garantirti che non era Quil- disse, il ton oche si faceva sempre più cupo.
-Come fai a saperlo?- 
Jake, dall'altro capo del telefono, sospirò. Lo immaginai passarsi una mano sul viso, in modo stanco. 
-Probabilmente ti arrabbierai, ma a questo punto non ha senso nascondertelo-
Mi si chiuse lo stomaco. 
-Nascondermi cosa, Jake?- mormorai. Nonostante fosse stato poco più che un sussurro, ero sicura che Jacob avesse sentito ugualmente. 
-Io e Quil siamo andati a casa sua, in questi giorni- 
-Cosa?!- sbottai, urtando il bordo della mia scrivania. 
-Sapevamo che ti saresti arrabbiata, per questo abbiamo deciso di non dirtelo- 
-Ogni volta che proponevo a te e a Quil di andare a trovare Embry mi rispondevate che non c'era bisogno di preoccuparsi tanto- gli ricordai, furiosa. 
-Sì, ecco, in realtà pensavamo che ci fosse dell'altro- cercò di spiegare Jacob, -avevamo il sospetto che la febbre fosse solo una scusa per stare un po' da solo- 
Alzai un sopracciglio, ma era inutile dal momento che Jacob non poteva vedermi. 
-Sua madre diceva che la febbre c'era ed era pure alta- gli feci notare. 
Jacob sbuffò. 
-Esistono tanti modi per far finta di avere la febbre, Will- mi disse, come se stesse parlando a un bambina. 
-Ma non è questo il punto, c'è di peggio- 
Di nuovo, il mio stomaco fece una capriola. 
-Cosa può esserci di peggio di due amici bugiardi e traditori?- chiesi acida. Jacob sembrò non notare la mia provocazione. 
-Ogni volta non c'era nessuno a casa, Will- 
Sbuffai, scocciata. 
-Questo non significa niente. Probabilmente Tiffany era a lavoro ed Embry era a letto a dormire, con la febbre- ipotizzai, sottolineando l'ultima parola. 
Sentii Jacob borbottare qualcosa di incomprensibile. 
-Ti dico che Embry non era in casa. Ascolta, una volta l'abbiamo anche visto mente usciva dalla finestra di nascosto, ma non abbiamo fatto in tempo a raggiungerlo che era già sparito- 
Okay, questo era strano, molto strano. Per la prima volta dall'inizio di quella conversazione assurda, rimasi senza parole. 
-Ieri però l'abbiamo beccato- continuò Jake, totalmente preso dal racconto, -e gli abbiamo chiesto di parlare, di spiegarci la situazione, ma lui non ne voleva sapere. Sembrava terrorizzato, Will. Gli abbiamo detto che la sua era una reazione un po' eccessiva, che presto tu e lui avreste risolto e che tutto sarebbe tornato come prima- 
Avevo la bocca secca, dovetti ingoiare a vuoto. 
-E lui?- chiesi, anche se non era sicura di voler sentire la risposta. 
-Ha dato di matto. Ha detto che non è come crediamo noi, che è più sicuro per tutti se ci sta lontano. Ha continuato a farneticare su cose assurde, tutto quello che diceva non aveva il minimo senso. A quel punto io e Quil ci siamo preoccupati sul serio-
-E poi?-
-E poi niente, è scappato via, letteralmente- concluse Jake, con un sospiro.
Quello che mi aveva appena raccontato non aveva una spiegazione razionale e logica. Non riuscivo a crederci. Cos'era successo davvero a Embry? Perché era così spaventato? Mille domande lottavano tra di loro nella mia testa, tanto che mi pulsarono violentemente le tempie.
Tuttavia, una domanda tra le tante attirò la mia attenzione.
-Jake...- lo chiamai, esitante.
-Sì?-
Presi un bel respiro, cercando il coraggio per esprimere a voce i miei timori.
-Ma se non è uscito con voi, allora con chi è ora Embry?-
Per un bel po' non sentii nessuna risposta da parte di Jacob. Nella mia stanza regnava il silenzio, inquietante e perfido. Alla fine, Jake parlò.
-Non lo so, Will. Non lo so-

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3906720