Broken

di Darlene_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***



Capitolo 1
*** I ***


Storia scritta per

la challenge Portatrici di Fandom nasosti 
di Marica Ciarrocchi
sul forum di efp 

e per 
l’Easter Advent Calendar
gruppo hurt/comfort
 


Parola chiave: 36
Legame affettivo
 


Fandom:
Deception
 
Personaggi:
Jonathan e Cameron Black
 
 

Broken
 
 
 
“Aspetta! Non puoi andare da lui. Sei solo un consulente, bisogna seguire un protocollo…” Le parole di Kay furono trasportate via dal vento, ignorate da Cameron, che aveva afferrato le chiavi della macchina lasciandola sola su un marciapiede della cinquantaquattresima. “Cam!” Tentò di richiamarlo l’agente, ma ormai lui era già sfrecciato via, lontano da lei.
 
 
“Ha un badge?” Gli domandò la guardia, impedendogli il passaggio.
Cameron sfoderò il suo miglior sorriso, sperando che funzionasse. “Sono un consulente, ho bisogno di parlare con il detenuto, potrebbe essere di grande aiuto nelle indagini e lei non vuole intralciare, vero?” Ammiccò, ma il poliziotto non cedette.
“Ma almeno sa chi sono io?” Tentò ancora una volta e rimase deluso di fronte all’ennesima risposta negativa.
Si aggiustò meglio il bavero del suo blazer, con aria di superiorità. “Non ha mai visto i miei special? Perché, come dico sempre nel mio show, nulla è impossibile.” E mostrò al suo interlocutore il badge che aveva fatto comparire con un trucco di magia. L’uomo, sorpreso, controllò il taschino della camicia a cui lo teneva appeso e si rese conto di non averlo. Non si era nemmeno accorto che quello sbruffone glielo avesse sottratto. Allungò una mano per riaverlo indietro, ma Cameron si allontanò di qualche passo, cominciando la contrattazione.
“Potrei chiamare ora il suo superiore e fargli sapere che lei” puntò un dito contro il poliziotto “non è nemmeno in grado di tenere al sicuro il suo pass, figuriamoci i detenuti.”
L’altro serrò le labbra, per trattenere una smorfia rabbiosa. Avrebbe voluto sbattere Black in cella.
“Oppure…” Cameron giocò con la tessera plastificata, facendola scomparire dalle mani per ritrovarla nella tasca della giacca, in modo da mantenere desta l’attenzione dell’uomo e, soprattutto, per impedirgli di sottrargliela. “Mi lascia passare, mi fa vedere come sta mio fratello, e chiudiamo qui la faccenda. Cosa ne pensa?”
Con un grugnito la guardia si scostò dall’uscio, lasciandogli un passaggio. Il prestigiatore gli passò accanto senza nemmeno guardarlo, ridandogli il maltolto. “Vedi? Non era poi così difficile.” Sibilò con arroganza, sistemandosi il colletto della camicia. Non si sarebbe dovuto comportare così, ma era più forte di lui: sfidare gli altri, raggirarli, riempirli di meraviglia, quello era il suo mestiere e nonostante tutto, gli piaceva.  
 
Il puzzo di sudore misto a disinfettante gli solleticò le narici, costringendolo a pregare di non vomitare su quel pavimento non troppo lindo il pranzo gustato poco prima da Starbucks. Cameron si mise una mano sullo stomaco, pronto ad andarsene, ma la voce del fratello lo trattenne.
“L’hai trovata?” Quella domanda era diventata una costante nelle loro conversazioni e ancora una volta non poté fare a meno si scuotere mestamente la testa avvicinandosi al letto su cui giaceva Jonathan.
“E allora perché sei qui?” Il tono del gemello era tornato piatto, quasi insofferente, e se non lo avesse conosciuto bene non avrebbe saputo che in realtà stava solo mascherando la cocente delusione.
Si sedette poggiando i piedi sul comodino e assunse un’aria rilassata, con cui disse: “Avevo voglia di vederti.”
“Perché?” Insistette Jon, per il puro gusto di sentirgli pronunciare una verità di cui entrambi erano a conoscenza.
“Dovevo sapere come stavi.” Confessò abbassando lo sguardo.
“Beh, sto bene, perciò adesso puoi andartene.” Mentì l’altro, stringendo i denti per non lasciar trasparire la sua sofferenza.
Cam non cedette e domandò ancora se ne fosse davvero sicuro.
“Come vuoi che stia? Vedo il sole tagliato dalla quadrettatura delle sbarre da un anno, tre mesi e due giorni, mentre tu scorrazzi per le vie di New York con la tua nuova amichetta.” Il riferimento a Kay fece sussultare il gemello che ancora negava a se stesso di provare una qualsiasi attrazione verso la partner. Mentre meditava sulla faccenda comprese anche quale fosse il dettaglio stonato di quella conversazione e, alzandosi, domandò: “Perché continui a fissare la parete alla tua destra? È irritante parlare con qualcuno che ti ignora, non lo sai?”
Ad ogni centimetro che compiva, Jon voltava maggiormente il viso, schiacciando la guancia destra contro la federa del cuscino. “Ti vedo tutte le volte che mi guardo allo specchio, non sento il disperato bisogno di osservarti anche quando sei qui in carne e ossa.” Provò ad obiettare, ma nulla avrebbe fatto desistere Cameron che, ormai sopra di lui, gli prese gentilmente il mento tra le dita, facendolo voltare verso di lui. La vista che gli si presentò davanti lo fece sussultare per l’orrore: il lato destro della faccia di Jon era gonfia e tumefatta di un colore tendente al violaceo. Rimase immobile per qualche istante, quindi allentò la presa, strofinandosi i capelli in preda all’agitazione. Percorse la piccola stanza d’ospedale alla ricerca di una soluzione e quando la trovò si illuminò.
“Chiamo subito Kay e le spiego la soluzione, sono sicuro che convincerà chi di dovere a trasferirti da un’altra parte, magari potrebbe…”
Palesemente il fratello non condivideva il suo entusiasmo e lo interruppe prima che potesse comporre il numero della collega.
“Oh certo! Siamo amici dell’FBI, sicuramente mi metteranno in una suite con vista Empire State Building.” Lo canzonò. “Pensi forse che la galera sia un luogo amichevole, dove vanno d’amore e d’accordo? Non c’è una prigione sicura e nemmeno la tua amica può cambiare le cose.”
Cameron sprofondò nello sconforto, voleva assolutamente aiutare suo fratello.
“Dimmi almeno chi ti ha ridotto così.”
“Nessuno.” Borbottò Jon, infastidito.
“Non credo proprio che ti sia preso a pugni da solo.” Il tono assecondante di Cam ebbe un effetto opposto a quello sperato.
“Smettila di giocare al fratello premuroso!” Si passò una mano tra i capelli, la fronte sudata per lo sforzo di trattenere i gemiti di dolore. Ogni respiro era una sofferenza, ma non avrebbe ceduto. “Vuoi davvero aiutarmi? Allora vai a giocare al detective e trova la donna dagli occhi bicolore, solo lei può scagionarmi e lo sai benissimo.”
Dopo quello sfogo il morale di entrambi toccava terra e nessuno dei due proferì altre parole. Su di loro calò un silenzio che sapeva di dolore e preoccupazione, la speranza ormai svanita.
 
“Black tocca a te!” Quell’annuncio riportò entrambi alla realtà. Il poliziotto sulla soglia si avvicinò per sganciare le manette che avevano costretto Jon a letto e gliele chiuse intorno ai polsi.
Il quartetto si avviò verso la stanza delle visite. Ad ogni passo il prigioniero digrignava i denti nel vano tentativo di mascherare il suo dolore. Cameron se ne accorse e domandò se non fosse possibile spostarlo con una barella. Il fratello tentò di redarguirlo, ma nessuno sarebbe riuscito a zittire il presuntuoso mago, che ripeté il quesito all’arcigna infermiera che capeggiava il gruppo.
“Dovrebbe ringraziare che li curiamo, quelli come lui.” Rispose lei autoritaria.
“Quelli come lui?” Sbottò Cam. “Sta parlando di un essere umano, non di uno scarafaggio!”
Lei inarcò uno sopracciglio, evidentemente irritata dalle considerazioni non richieste e disse: “Sono peggio delle blatte, questi schifosi ladri ed assassini.”
“Mio fratello è innocente!” Ribatté ormai al limite della pazienza, mentre il soggetto in questione continuava a dargli delle gomitate per zittirlo.
“Oh certo, ne sono proprio sicura.” La donna non aveva dubbi su chi fosse il cattivo della situazione. “Vi ho visti in tv. Il gemello segreto!” Ridacchiò. “Non deve stupire che sia diventato uno squilibrato, solo un folle crescerebbe suo figlio nell’ombra. Scommetto che ti è pure piaciuto investire quella poveretta.” Non aveva bisogno di chiudere gli occhi per rivedere l’immagine che solo un anno prima aveva sconvolto l’America.
Cameron avrebbe voluto prenderla a schiaffi, ma si trattenne, promettendo a se stesso che avrebbe trovato le prove per scagionare il fratello e allora nessuno avrebbe più avuto dubbi sulla sua innocenza.
Si fermarono davanti ad una porta e, spalancandola, la donna disse: “Spogliati, tra poco arriverà il dottore per la visita.” Poi si voltò verso Cameron e additandolo gli intimò di aspettare in corridoio, quindi girò i tacchi e scomparì dietro l’angolo.

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Capitolo 2
*** II ***



 
Fandom: Deception
 
Personaggi:
Cameron e Jonathan Black
 
 
 
Broken
 (parte II)
 
 
 
Massaggiandosi i polsi finalmente liberi dalle manette, Jonathan osservò il perimetro della piccola stanza, alla ricerca di una via fuga, ma l’unica finestra presente era sbarrata e il poliziotto di guardia, ci avrebbe scommesso qualsiasi cosa, piantonava l’esterno. Abbandonò il suo proposito di evasione e cercò di sfilare la maglia, come gli era stato ordinato. Si fermò quasi subito a causa delle fitte che partivano dal torace per propagarsi in tutto il corpo. Maledisse quei bastardi che lo avevano conciato così male e promise a se stesso che un giorno gliel’avrebbe fatta pagare. Non capì di avere qualcuno alle sue spalle fino a che due mani gli sollevarono delicatamente la t-shirt.
“Lascia fare a me.” Gli sussurrò Cameron all’orecchio.
“Come hai fatto a…” Non ebbe il tempo di concludere la domanda, che ottenne la risposta.
“Temo che ti sia arrugginito in questi ultimi tempi, un esperto in escapologia non ha problemi ad entrare in una stanza all’apparenza chiusa.” Le sue labbra carnose premevano contro il lobo del fratello, il fiato caldo che gli solleticava la pelle. Jon sorrise, sapendo che il gemello non lo avrebbe potuto vedere, in fondo era felice che fosse lì con lui.
Le mani scorrevano sulla schiena, facendo scivolare il tessuto, fino a che la maglia fu sfilata e gettata a terra. Finalmente a torso nudo, Jonathan si voltò verso Cameron che, con delicatezza, passò i polpastrelli sui numerosi ematomi che costellavano la pelle chiara. Avrebbe voluto riempirlo di domande sul modo in cui se li era procurati, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla, non con quel cocciuto di suo fratello, perciò si limitò a posargli le mani sulle spalle fissandolo negli occhi.
“Troverò quella donna e tu sarai finalmente libero, te lo prometto Jon.”
Il gemello annullò la distanza tra loro e lo strinse in un abbraccio, sussurrandogli: “Lo so.”
 
Un colpo di tosse li avvisò dell’arrivo del medico. Si staccarono con un certo imbarazzo, sorridendosi con complicità.
“Immagino tu sia Jonathan.” Disse l’uomo con tono gioviale. Indossava un camice troppo largo e portava dei buffi baffetti. Scorse la cartella clinica, annuendo di tanto in tanto. Non appena ebbe concluso fece un cenno a Cam, accorgendosi solo in quel momento della sua presenza e si concentrò sul paziente.
“Qui c’è scritto che c’è stata una rissa e guardandoti direi anche abbastanza violenta.”
Joanthan annuì abbassando il capo come uno scolaretto. Non era un carcerato violento, era sempre rimasto sulle sue, ma da quando in prigione avevano scoperto la sua collaborazione con i federali la sua vita era diventata letteralmente un inferno.
“Bene.” Il dottore strofinò le mani, soddisfatto. “Temo che tu possa avere delle costole rotte e sarà necessaria una lastra. Nel frattempo, se tu sei d’accordo, propongo una visita generale perché so che dalle tue parti non si sta molto bene.” Accennò ad una risatina, per non metterlo a disagio. Jon annuì, un po’ perplesso.
“Perché vuole aiutarmi?” Chiese. Nell’ultimo anno aveva smesso di credere nelle buone azioni degli altri esseri umani. Cam gli mise una mano sulla spalla, a lui non importava il motivo, l’unica cosa che gli importava era la salute del fratello.
Il dottore parve confuso, quindi disse: “Forse non tutti qui dentro pensano che la vita di un carcerato valga quanto quella di un qualsiasi altro individuo, eppure per me non ci sono differenze. Può capitare a tutti di commettere un errore.” Prese qualcosa dalla tasca e indicò a Jon il lettino. “Siediti qui.”
Il paziente avrebbe voluto fare da sé, ma il premuroso gemello lo aiutò a posizionarsi. Il medico gli puntò una luce negli occhi, quindi lo costrinse ad aprire la bocca e constatò con una certa soddisfazione che non vi erano denti rotti nonostante i numerosi pugni che avevano ferito la mandibola.
“Adesso stenditi, voglio capire se hai effettivamente qualcosa di rotto.” Propose lo specialista.
Quando la sua schiena poggiò nuovamente contro una superficie, Jon trasse un sospiro di sollievo che non passò inosservato a suo fratello, che si sedette accanto a lui.
Il medico posò delicatamente un palmo sul torace dando piccoli colpetti con l’altra mano. Jon si morse il labbro, cercando di concentrarsi sul dolore provocato dai denti e non quello alle ossa. Cam gli prese una mano e lui la accettò stringendola con forza. Mentre le mani indiscrete dello sconosciuto tastavano vari punti, via via più dolorosi, il paziente chiuse gli occhi, tentando di ignorare le fitte che lo laceravano come lame di coltello. La sua presa sulla mano del fratello aumentava sempre di più e le nocche diventarono bianche per lo sforzo. Avrebbe voluto gridare, ma era talmente abituato a tenersi tutto dentro che non emise nemmeno un gemito.
Cam avvicinò le labbra al suo orecchio, promettendogli che presto sarebbe finito tutto. Posò la fronte su quella corrucciata del gemello, carezzandogli i capelli, come spesso Jon aveva fatto con lui quando erano solo dei bambini.
Il medico li osservò per qualche istante. Aveva ovviamente sentito parlare di loro alla televisione, e per un po’ aveva creduto che il suo paziente si fosse sacrificato per Cameron, per non minacciare la sua fama, ma ora che li studiava da vicino comprese che il mago non avrebbe mai permesso al fratello di prendere il suo posto in galera, il loro era un legame unico. Si schiarì la voce, leggermente dispiaciuto nel dover spezzare quel momento di intimità, e pronunciò la sua diagnosi. “Da questo primo esame direi che hai due costole rotte, ma dovremo attendere la lasta per conferma. Purtroppo questa mattina il macchinario è guasto e potremo procedere solo nel pomeriggio. Nel frattempo resterai qui. Ti farò una flebo di antidolorifico per calmare il dolore, d’accordo?”
Jon avrebbe voluto obiettare che stava bene, ma per una volta la sua cocciutaggine si fece da parte e si limitò ad annuire.
Il dottore indossò un paio di guanti, avvicinando una flebo. Prese con delicatezza il braccio del paziente, disinfettando con cura la pelle, quindi infilò l’ago. I fratelli Black seguirono con cura ogni passaggio e Cam sospirò di sollievo quando vide la cannula finalmente attaccata all’avambraccio di Jon, sperava che l’antidolorifico agisse nel minor tempo possibile, non riusciva più a vederlo soffrire.
 
L’orologio ticchettava, segnando lo scorrere del tempo. I gemelli erano rimasti soli nello studio del medico e Jon cominciava ad addormentarsi. Ad un certo punto, nel dormiveglia, afferrò la camicia di Cameron biascicando: “Non lasciarmi solo. Non voglio stare qui, portami via con te.”
L’altro sorrise tristemente, quella era la prima volta da anni in cui il fratello mostrava le sue insicurezze, eppure sapeva che non sarebbe riuscito a liberarlo; anche se avesse voluto farlo evadere non ci sarebbe mai riuscito con Jon in quelle condizioni. Diminuì la distanza tra i loro visi e gli disse: “Non ora, ma presto, te lo prometto.” Il suo fiato caldo solleticò le gote livide del gemello, cullandolo verso il mondo dei sogni.
Il telefono di Cameron vibrò nella sua tasca e a quel punto non poté ignorarlo: Kay gli aveva inviato una cinquantina di messaggi in cui lo minacciava di espellerlo dalla squadra per la sua disobbedienza e Black non poteva permetterselo, non dopo aver promesso a Jon di aiutarlo. Si tolse la giacca e la posò sul torace nudo del fratello, baciandogli dolcemente i capelli.
“Tornerò.” Sussurrò prima di voltarsi ed andarsene.

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