Lazzaro, vieni fuori

di iron_spider
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1


 
Accade tutto insieme, ed è straziante.

Viene riassemblato come nuovo, mentre qualcosa o qualcuno torce le lancette del tempo facendo in modo che niente sia mai accaduto. La decomposizione si riavvolge, la tinta verdastra della sua pelle si schiarisce, il gonfiore rientra, i bulbi oculari e i capelli ricrescono. Come se la morte non l’avesse mai toccato, come se la sua salma non fosse mai stata ricomposta e non ci fosse stato alcun funerale, nessuna lacrima.

Solo che è ancora sottoterra.

Accade tutto insieme, in un lampo. Come un fulmine che lo colpisce inviando una scossa nel suo corpo per riportarlo in vita, e si sveglia come nuovo – esattamente com’era prima, intero, vivo – con dei rantoli spezzati, il panico che gli pompa nelle vene, il suo debole cuore che va a singhiozzo, sul punto di fermarsi ancor prima che la sua seconda vita possa iniziare.

Ha ancora il tanfo della morte appiccicato addosso, al completo tre pezzi in cui l’hanno sepolto.

La sua mente è un caos infernale, ma ricorda il momento: ricorda la propria morte, ricorda il dolore rosso e scottante e Peter che urla, Rhodey che accorre al suo fianco. Ricorda di aver saputo che non avrebbe rivisto Pepper… ma ce l’avevano fatta. Avevano aggiustato il mondo, cancellato il tempo perso, risolto le cose. E il ragazzino era tornato. Piangeva, quel ragazzino che lo odiava per ciò che aveva fatto, ma era tornato. Era vivo.

Tony Stark era morto. Ma adesso respira di nuovo mentre cerca di pensare, annaspando, con le mani che tastano le pareti che lo circondano, che lo racchiudono, che lo soffocano.

È in una bara. È sottoterra. È sottoterra, cazzo.

Cerca di urlare, di chiamare aiuto perché è sepolto vivo, maledizione, perché non è più morto, non è morto, non è morto… ma non ha voce. Riesce solo a emettere un gracidio, degli ansiti disperati che quasi lo strozzano. Ci riprova, ci prova e riprova ancora. Niente. Per una volta, è senza parole.

È completamente buio. Buio puro. Panico, panico, panico e terrore, del tipo che si radica a lui e lo immobilizza, e sta rantolando, artiglia le pareti troppo morbide che lo attorniano. La voce nella sua testa sta urlando, implorando, e sente di non riuscire a respirare – morirà di nuovo e non lo saprà nessuno – nessuno saprà che era tornato, che si era risvegliato sconfiggendo la morte per poi cadere di nuovo nelle sue grinfie altrettanto rapidamente…

Calmati, pensa: ha la testa piena di statico, ma cerca di focalizzarsi sulla propria voce, persa da qualche parte dentro di lui. Calmati, sei ancora te stesso. Sei ancora Tony Stark, calmati, puoi cavartela.

Una parte di lui non ne è così certa. Non gli è mai capitato di essere sepolto vivo, né di tornare dall’aldilà. Il silenzio è opprimente. Riesce ad alzare solo un poco la testa, e cerca a tentoni attorno a sé – è così buio, maledizione – trovando un fiore secco sul proprio petto che si sbriciola al suo tocco, con un paio di occhiali da sole accanto… e un guanto repulsore vicino alla sua coscia. Ne segue il contorno e schiaccia un pulsante. Emana una luce azzurrina che dissipa un poco il buio.

Lo fissa, cercando di capire se sia un’allucinazione. Tenta di respirare appena. Vi poggia sopra la mano: è reale. Reale quanto tutto il resto.

Segue il perimetro della sua bara grazie a quella nuova fonte di luce. Sta piangendo: non vorrebbe, ma sta piangendo e si copre il volto con le mani. La disperazione è un peso che lo schiaccia come la terra sopra di lui. Non sa da quanto tempo sia morto, quanto a lungo può sopravvivere qua sotto, come sia il mondo adesso, chi sia rimasto… gli sfugge un singhiozzo e si preme le dita negli occhi.

Il momento della sua morte si ripete a loop nella sua testa. Ancora e ancora. Il momento che l’ha condotto fin qui, che l’ha portato a questo. Riesce quasi a sentire il braccio che pulsa violentemente come allora. Riesce quasi a sentire il sangue in bocca. Riesce a sentire Rhodey che gli parla, sottovoce. Sente Peter che piange, implorandolo di non andare.

Deve uscire di qui. Potrà rivederli. Rivedere Happy. La squadra.

Pepper.

Si ricompone. Prende il fiore, secco e friabile, e lo mette dentro la giacca elegante. Vede un paio di buste da lettera cacciate in quella stessa tasca e le fissa per un lungo istante: un altro incentivo per uscire di lì. Risucchia un respiro, enorme, perché sa che il terreno gli franerà addosso non appena sfonderà il coperchio, e deve essere pronto.

Ringrazia silenziosamente chiunque gli abbia lasciato il repulsore. Gli sembra il tipo di cosa che farebbe Peter.

Infila la mano nel guanto, che si attiva a un suo gesto emettendo una luce più intensa. Non ha lo spazio per stendere il braccio ed è lieto di non essere anche claustrofobico, tra le altre cose. Posiziona il gomito accanto al costato e punta il palmo verso l’alto. Poi spara un raggio.

La terra si riversa su di lui come un’onda anomala e ne spara un altro, serrando gli occhi. Tira calci e pugni, allargando il foro che ha creato, e grugnisce mentre si dà la spinta verso l’alto, dimenandosi e aggrappandosi qua e là e scivolando indietro, con la terra negli occhi e in bocca e in gola, sotto le unghie mentre si dimena, e spara un colpo sotto di sé per provare a sospingersi fuori. Riesce a malapena a pensare e la terra lo sta soffocando – sta annegando nella morte, tutt’intorno a lui, con il terriccio che si comprime mentre cerca di oltrepassarlo. Si sente troppo debole, ma non può arrendersi. Non può, non può. Loro devono essere là fuori, da qualche parte. Deve tornare da loro.

Riesce a vedere la luce, dei movimenti, e continua ad avanzare sforzando i muscoli in fiamme, e gli sembra che gli stia per cedere il cuore. Gli fa male tutto, ogni osso, si sente nudo ed esposto, con la disperazione e il dolore che lo attanagliano. Non sa se ce la farà o se si stia muovendo nella direzione sbagliata, finendo per scivolare via – con la terra che lo metterà a tacere, estinguendolo.

Poi qualcuno lo afferra. Afferra la mano libera dal guanto e a Tonynon importa chi sia: il sentire qualcuno, chiunque sia, gli dà speranza, e scalcia e lotta con più energia attraverso la ragnatela di terra mentre lo sconosciuto lo issa verso l’alto. Sente l’aria, la assapora, tossisce nel raggiungere la superficie, mentre l’altro lo trascina per l’ultimo tratto quando lui si accascia esanime per lo sfinimento. Tossisce, quasi si strozza, ma è qui. Il terreno cede sotto di lui.

Ce l’ha fatta.


«Oddio,» dice una voce familiare. «Oddio, oddio, o– oddio.»

Peter.

«Oh, mio Dio,» singhiozza Peter, e Tony sente le sue mani sulla schiena. «Cosa– cosa– oh– oh, mio Dio–»

Tony ha l’impressione che il proprio corpo pesi un milione di chili, e sa che la sua mano scoperta sta sanguinando, ma indirizza ogni energia residua nel sollevare il capo.

Peter è rimasto lo stesso. Ha i capelli un po’ più lunghi, ma tant’è. È l’unica differenza.

È una delle cose più belle che Tony abbia mai visto in vita sua. In entrambe le vite. È reale. Una persona in carne ed ossa, lì con lui. Il ragazzo. Una persona a cui vuole bene, una persona per cui aveva dato la vita. Avrebbe potuto essere un estraneo, un guardiano del cimitero qualunque, ma diamine, questo è un altro miracolo. Peter ha gli occhi pieni di lacrime ed è aggrappato a lui, spazza via il terriccio dai suoi vestiti come se non sapesse nemmeno quello che sta facendo.


«Sto– me lo sto sognando, oddio,» dice, in un respiro. «Oh, mio Dio.»

Tony si ricorda che non può parlare. Non ha la sua cazzo di voce. Ci prova di nuovo, ma non esce nulla, solo un lamento flebile e terrificante. E lui è terrorizzato, si sente sulla soglia di un infarto.

«Tony,» lo chiama Peter, stringendolo forte per le spalle. «Tony, stai… oddio, non ci credo… Tony, Tony–»

Tony sta per avere un attacco di panico. Sta tremando incontrollabilmente, col terrore che gli scorre nelle vene, e fa il gesto di rimettersi in piedi. Peter lo prende delicatamente per gli avambracci e cerca di aiutarlo. Non appena raggiunge una posizione vagamente verticale, Tony collassa contro di lui, avvolgendolo in un abbraccio e stringendolo con forza. Non vuole sconvolgerlo ancor di più, ma non riesce a pensare razionalmente, sta tremando come un bambino ed è così felice che sia Peter, dannazione, è così contento che sia lui. Chiude gli occhi.

«Sono qui,» balbetta Peter. «Sono– sono, sono– sono qui, è– oddio– va tutto bene, va tutto bene.» Gli sfrega la spalla, gli dà delle pacche sulla schiena e Tony cerca di calmarsi, di riprendere il controllo. Di non pensare al fatto che fino a venti minuti fa era morto.

Cerca di respirare.


«Chiamo– chiamo– chiamo Pepper… Bruce e Rhodey sono già qui– ci vengono a prendere, capiremo cosa fare… ci sono io, va tutto bene. Tony, va tutto bene.»

Tony capisce che Peter sta cercando di essere forte per lui. Si chiede quanto spesso venga qui. Perché abbia avuto la fortuna di averlo qui proprio stasera. Riapre gli occhi: il cielo è scuro, tinto del rosa di un tramonto morente. Vede l’Empire State Building in lontananza, e la Stark Tower. È ancora lì.

Vede la propria lapide oltre le spalle di Peter.
 
ANTHONY EDWARD STARK
29 MAGGIO 1970 – 18 SETTEMBRE 2018
PER SEMPRE NEI NOSTRI CUORI
 
“No stop signs, speed limit
Nobody’s gonna slow me down”

Cristo Santo.

Chiude di nuovo gli occhi e si stringe al ragazzo. Si sente folle, con questo completo addosso, ricoperto di terra, con un guanto dell’armatura su una mano e l’altra che sanguina.  Ma è vivo. È vivo.

Sente Peter che tira fuori di tasca il telefono, una mano che ancora lo tiene saldamente.


«Bruce?» dice nella cornetta. «Bruce, devi– devi venire qui da me– ho… sì, sono ancora qui, ma mi serve– è successa una cosa, una cosa… Dio, non lo so. È importante. Vieni e basta. Porta Pepper.»


 
§



Tradotto da Lazarus, come forth - Chapter 1 di iron_spider da _Lightning_


Note della Traduttrice:

Salve e buon anno in ritardo!
Avevo promesso la pubblicazione di una nuova long tradotta nel periodo natalizio... ma purtroppo il fato ha voluto altrimenti, e riesco ad arrivare solo ora con una delle storie di iron_spider che amo di più. Sottolineo il fatto che l'autrice l'ha scritta molto prima di Endgame, anche se immagino che tutti noi vorremmo veder tornare in vita Tony adesso, a fattaccio compiuto *sigh*

Come sempre cerco di rispettare lo stile dell'autrice in traduzione senza imporre il mio: qualunque scelta di punteggiatura, ripetizioni, termini e struttura dei dialoghi è voluta in modo da essere quanto più possibile fedele all'originale, con cambiamenti (indicati di solito nelle note) volti solo a renderla più fruibile in italiano senza intaccarne l'intento di base. EDIT: Ho corretto il titolo, poiché avevo messo quello della bozza in cui non avevo riportato l'esatto versetto biblico a cui si fa riferimento.

Se volete, fatemi sapere che ne pensate, ma soprattutto andate a lasciare kudos alla storia originale per mostrare il vostro apprezzamento all'autrice! Trovate sempre il link ai rispettivi capitoli a piè di pagina, subito prima delle note, assieme a quello al mio account personale (se voleste contattarmi, lo controllo molto più spesso di questo) <3

Al prossimo capitolo, ovvero tra una settimana esatta,

-Light-

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 


Non si sente così da anni. Non si sente così da quando stava morendo per l’intossicazione da palladio. Ricorda tutto ciò che gli è accaduto, ogni singolo dettaglio – la morte, la resurrezione, e si chiede se ne abbia ancora addosso i marchi. Riesce a muovere il braccio sinistro meglio di quanto riuscisse a fare in quei pochi momenti prima di andarsene per sempre. In un certo senso, si sente di nuovo un bambino.

Ciò include il puro, assoluto terrore che lo spinge ad aggrapparsi a Peter Parker come se fare qualunque altra cosa potesse ucciderlo. Non sa nemmeno cosa gli direbbe se potesse effettivamente parlare, se una qualche forza cosmica non l’avesse privato di un qualcosa di perfettamente normale che dovrebbe essere in grado di fare quando vuole. Parlare. Si sente fuori di sé, messo all’angolo, e forse sta per avere un attacco, sta per collassare del tutto. Non sa cosa lo tenga ancora insieme. Ha caldo e freddo al contempo, è bloccato tra una temperatura cadaverica e il bollore della superficie del Sole. Sente l’aria fresca attorno a loro, e le domande che iniziano a incombere sul retro delle sue palpebre, come locuste che annunciano la tempesta in arrivo.

Che mese è?

Quanto tempo è passato?

Come diavolo è potuto succedere?

Ce l’hanno fatta tutti, dopo che lui è scomparso?

Sa che Peter ce l’ha fatta, e anche Pepper, Rhodey e Bruce. Ma l’ultima volta che ha visto Steve, stava sanguinando quanto lui, e aveva in volto quell’espressione conosciuta. Una maschera di paura, quella di solito sotterrata e nascosta per non essere mai notata. Tony si fa domande, e trema scosso da brividi di freddo e spavento. È una morsa che lo stritola, e cerca di concentrarsi su Peter. Su questo ragazzo incrollabile, perfetto, ancora dalla sua parte a dispetto di tutto, anche quando non ce ne sarebbe più stato bisogno. Cerca di ricordarsi per cosa ha combattuto. Il ragazzo è il migliore, lo adora. Il ragazzo sta facendo un lavoro pazzesco nel non dare completamente di matto, in questo momento. Tony sa che, a ruoli invertiti, il povero Peter risorto avrebbe probabilmente dovuto trascinarlo di peso in ospedale per via di qualche infarto multiplo.

Si sente così debole, maledizione. Si detesta. Peter non se lo merita.

«Tony,» lo chiama Peter, tremando. «Puoi… puoi, Dio, non so… puoi parlare, sai – riesci a–»

Vorrei, ragazzo. Scuote la testa. Si scosta un poco, riluttante, cercando di domare i capogiri. Il contatto umano è l’unica cosa che lo stia facendo sentire vivo, e non un uomo morto che è appena uscito dalla propria tomba. Incontra lo sguardo lucido di Peter e si tocca la gola. Scuote la testa, e spera che recepisca il messaggio.

Peter sembra confuso per un istante, come se stesse analizzando il problema.

«Non ci riesci?» chiede, seguendo i suoi movimenti. «Non puoi parlare?»


Tony fa cenno di no.

Peter lo fissa per qualche istante, per poi annuire. «Okay,» dichiara, sempre fissandolo ad occhi sbarrati. «Okay, okay… ci penseremo, risolveremo tutto, andrà tutto bene.» Spazza via un po’ di terra dai suoi capelli e Tony non può trattenersi dallo sbuffare una piccola risata per l’assurdità della situazione.

La morte è stata un’ombra per tutta la sua vita. Non ha mai preso forma, non ha mai avuto una data o una causa, anche pochi minuti prima che avvenisse per davvero. Se la sentiva comunque attaccata alla schiena nei momenti più bui, mentre era in quella grotta, quando quel reticolo si espandeva sul proprio petto annunciando il suo arrivo. Non sapeva quando sarebbe accaduto, se sarebbe stato solo, se avrebbe fatto male… sa solo che gli pendeva dal collo come un fardello. Un qualcosa dal quale è sempre scappato.

Non si è mai figurato un ritorno, una volta avvenuta. Non si è figurato quello che sta accadendo ora. Era al di fuori di ogni possibilità. Per qualche motivo, a dispetto delle circostanze, vedere la propria lapide gli sembra un qualche amaro scherzo del destino.

La guarda. La lapide. La guarda per davvero. Si sente straniato, con l’unica àncora che prende forma nella stretta di Peter sul suo braccio.

È a Green-Wood [1]. Il suo lotto è recintato, con due panchine in pietra ai lati della tomba. Vede quella di sua madre dall’altro lato, accanto a Howard, e gli si rivolta lo stomaco a pensare a quanto fosse stato loro vicino mentre si arrampicava fuori. La sua lapide è grande, giusto una spanna sotto l’opulenza, ed è un grande fan del testo degli AC/DC al posto di qualche scialbo verso biblico. Pepper gli ha reso giustizia, anche quando non c’era più. Non avrebbe mai dovuto dubitarne.

Sposta lo sguardo di fianco alla lapide e vede una massiccia cassetta in pietra. È straripante di fiori, modellini, lettere, piccoli doni chiaramente fatti da bambini. Sente la gola restringersi solo a guardare il tutto, e gli si riempiono di nuovo gli occhi di lacrime.

«Oh, oh,» realizza Peter, alternando lo sguardo tra lui e la cassetta. Sta piangendo anche lui mentre cerca di attirarlo più a sé. Tony si volta, risucchiando un respiro. Vorrebbe riuscire a concentrarsi. Peter si schiarisce la voce. «Sì, uh… la gente viene spesso qui per… lasciarti delle cose, delle lettere… ho fatto delle foto ogni volta che potevo, sto… sto lavorando a un progetto per scuola, su quello che ha fatto Iron Man per il mondo. Ho un sacco di materiale, e raccogliamo le lettere e i regali quando diventano troppi… dovevamo… dovevamo farlo domani…» All’improvviso, sembra nervoso. Come se non sapesse cosa dire. «Uh… la mia lettera. È nel… nella tua giacca… nella tasca della giacca.»

Tony continua a fissarlo, cercando di dare un senso a ciò che sente. Si tasta il petto e sente ancora la sagoma delle buste. Non le ha perse, le sente ancora lì e, Dio, può solo immaginare cosa gli abbiano scritto. Sente già il cuore che va di nuovo in pezzi. Non riesce a pensare, il caos continua a crescere. Si piega in avanti, premendo la fronte contro la spalla di Peter.

Il ragazzo. Una luce in fondo al tunnel. Una luce, sempre, dappertutto. Anche ora, anche qui. Nell’oscurità, un luogo in cui non ha mai creduto di potersi trovare.

«Va tutto bene,» dice Peter. Tony chiude gli occhi, respirando a fondo. «Uh… è tardi,» dice poi. «Sono circa le nove… non… non preoccuparti, sto sempre attento… ho il costume addosso, giusto… uh, in caso. Non c’è nessun altro qui, nessuno… nessuno ha visto che tu…» sospira, dandogli delle pacche sulla spalla, e sembra che stia cercando di riempire il silenzio, di rispondere a tutte le domande che potrebbe avere in testa. Tony sorride appena. Cristo, niente ha più un senso.

«Beh… oddio, qualcuno ti vedrà… presto, qualcuno… ma, uh… beh, okay. Okay, faremo… ci faremo i conti quando arriveranno gli altri. Ci aiuteranno, ci… ci daranno una mano. Sapranno…»

Tony alza lo sguardo su di lui. Si sente orribile, gli sembra di mandarlo nel panico, quel ragazzo. Non vuole che Peter vada nel panico. Nessuno di loro due, in realtà. Ma lo stanno facendo comunque.

Pepper andrà decisamente nel panico.

Tony cerca di non pensarci, per ora. Il cuore gli sussulta solo nel pensare a lei. Guarda Peter e solleva un pollice. Vorrebbe intenderlo come un gesto d’incoraggiamento, ma Peter spalanca la bocca alla vista del sangue e delle sue unghie spezzate. Gli copre la mano con la propria e la stringe con forza, con un dolore che gli segna ogni lineamento.

«Tony,» sussurra. «Dio, mi– mi sei mancato. Mi sei mancato tantissimo, mi manchi… tantissimo

Tony nota il modo in cui formula quell’ultima frase e lo vede scosso dai brividi. Non riesce a immaginare cosa gli stia passando per la testa. Si toglie il guanto dell’armatura con la sua buona dose di brividi e lo poggia sull’erba, poi preme il palmo sul petto di Peter, facendogli un cenno col capo. Cercando di dirgli anche tu. Mi sei mancato anche tu. Non hanno avuto molto tempo per parlare, con tutto quello che stava accadendo una volta che Tony l’aveva riportato indietro. Non ha mai avuto l’opportunità per dirgli quanto – quanto, maledizione – gli fosse mancato. Di come avesse rivoltato il mondo intero e avesse fatto tutto ciò che poteva, e anche di più, per riaverlo indietro.

E poi aveva capito cosa doveva fare perché accadesse. Anche se significava lasciare questo mondo per sempre.

E adesso “per sempre” non significa nemmeno più “per sempre”. Il che, per una volta, va a suo vantaggio.

«Perché non ci, uh– alziamoci,» lo invita Peter. «Va bene?»

Tony annuisce. Gli sembra una buona idea. Non sa come diavolo farà a camminare, quindi si appoggia di peso a Peter quando lo aiuta a mettersi in piedi, e raccoglie il guanto. Barcollano fino alla panchina e Tony sente le gambe che formicolano per la lunga immobilità, così arriccia le dita dentro le sue scarpe eleganti firmate Testoni. Gli hanno messo il suo completo preferito, le sue scarpe migliori, l’orologio e la cravatta più belli. Anche gli occhiali da sole nel taschino sono quelli che ha indossato più spesso.

Solleva il guanto dell’armatura in direzione di Peter, inarcando le sopracciglia.

«Oh,» dice lui, con un braccio ancora posato sulle sue spalle. «Già, uh… sono stato io. Mi sembrava ingiusto lasciarti andare via senza, uh– un pezzo dell’armatura. Visto che tu e l’armatura siete… lo sai. Sei Iron Man. Sempre e per sempre.» Peter reclina la testa, chiudendo gli occhi. «Dio, non… Dio. Non so cosa sta succedendo.»

Tony si sente in colpa per il fatto che Peter si senta in dovere di parlare perché lui non può. Ci prova ancora ma, di nuovo, non emette alcun suono, e scuote la testa frustrato. Cerca di catalogare tutto ciò che gli sta accadendo dal punto di vista fisico e, sorprendentemente, non è grave quanto si aspetta. Ha un bizzarro mal di testa, le sue gambe sono di gelatina, gli fa male la mano e forse ha un po’ di fame… ma il suo cuore non sta galoppando, respira normalmente. Non sa come dovrebbe sentirsi qualcuno che è appena tornato in vita. Ma non pensa che dovrebbe sentirsi così bene.

Guarda di nuovo Peter. Sorride appena, e visto che non può parlare, maledizione, si limita a inclinarsi verso di lui e ad abbracciarlo di nuovo. Peter ride, ricambiando.

«Puoi avere tutti gli abbracci che vuoi, puoi avere… cavolo, ne puoi avere mille, non– non la smetterò più di abbracciarti, Tony, hai– hai cominciato tu e non puoi fermarmi.»

Tony ride, facendo caso per davvero al fatto che lo stia chiamando Tony, e non signor Stark. Si chiede se vi sia una ragione, poi sente una voce.

«Giuro su Dio, se qualcuno– se una singola persona ha vandalizzato la tomba, lo uccido.»

«Sono con te Pep, cavoli. Se anche fosse, Peter li ha presi.»

«Magari non dovremmo uccidere la gente, magari potremmo… spaventarli.»

Pepper. Rhodey. Bruce.

Tony non sa perché un fiotto di paura gli attraversi il cuore, ma stringe con più forza Peter, che risucchia un respiro.


«Bene,» dice, strizzandogli la spalla. «Va bene, okay, stanno… tutti e tre, okay… daranno di matto, usciranno di testa… uh, uh, uh… non so, dovremmo… no, non nascondiamoci, solo… insomma… cavoli, va bene– bene, bene…»

Il cuore di Tony prende a tambureggiare. Si scosta da Peter ed è la prima volta che prova l’impulso di nascondersi da loro, dalle persone più importanti della sua vita, perché non crede che reagiranno allo stesso modo di Peter. Non ha idea del perché il ragazzo non abbia ancora avuto un collasso nervoso.

«Bene, stanno…»

Le voci si fanno più forti.

«Peter!» chiama Pepper. «Caro, stai…»

Tony alza lo sguardo. Li vede, tutti e tre, e vede loro che vedono lui. Si stavano avvicinando in tutta fretta, ma adesso si arrestano a singhiozzo, e Rhodey artiglia il braccio di Bruce. I loro volti sono una maschera di shock, e Pepper non si muove, è completamente paralizzata. Bruce si copre la bocca con la mano. L’aria diventa densa, di sgomento e meraviglia di fronte alla situazione inaspettata.

Gli fanno male gli occhi per l’intensità con cui li sta fissando.


«Ragazzi,» esordisce Peter, lentamente, senza lasciare la presa su di lui. «Non– non è un trucco, è– è successo, lui– me ne stavo seduto qui e lui– è semplicemente…»

«Cristo Santo,» esala Rhodey. «Cristo… Cristo Santo.»

Tony riesce a fissarli e basta. Pepper indossa una delle sue magliette dei Black Sabbath, e ha i capelli raccolti in un morbido chignon. Sia Rhodey che Bruce hanno la barba, e i loro vestiti sono troppo larghi.

Sono loro. I migliori. La sua famiglia.


«Non riesce a parlare,» dice Peter. «Non so… non so perché… non…»

Tony lo afferra per la spalla. Vuole alzarsi in piedi, andare da loro, ma ha paura a muoversi da solo. Ha paura di affrontarli, di inciampare e cadere a terra. Peter lo guarda, e segue immediatamente il suo esempio quando fa per mettersi in piedi.

«Tu,» balbetta Bruce. «Tu, tu… aspetta– è uscito fuori e tu… tu, tu hai visto… tu…»

Si avvicinano, all’esterno del suo lotto recintato.

«Sì, l’ho visto… l’ho aiutato, uh… a uscire…»

La luce si posa delicata sul volto di Pepper e Tony si sente sul punto di implodere. Peter sembra percepirlo, e aumenta la stretta.

«Cristo Santo,» esala di nuovo Rhodey, e gli si rovesciano gli occhi. Si accascia a terra e Tony segue con gli occhi la sua caduta. Non avrebbe scommesso su Rhodey, per svenire. Aveva supposto che qualcuno, forse, sarebbe svenuto, ma non sapeva chi, e di certo non aveva escluso se stesso dal conto.

«Uh,» balbetta Peter, continuando ad avanzare un centimetro alla volta con lui. «Uh, forse dovremmo… dovremmo…»

«Bruce,» dice Pepper, con gli occhi che luccicano. «Puoi… Rhodey…»

«Uh, certo,» replica lui, e fissa Tony per un lungo secondo prima di accostarsi a Rhodey e inginocchiarsi di fianco a lui.

Pepper annulla la distanza tra loro, fermandosi proprio di fronte a lui. Gli sembra un angelo sceso dal cielo, e non riesce a credere di averla davvero lasciata qui. Non riesce a credere che sia qui, qui, proprio di fronte a lui. Lei scuote la testa, e allunga una mano esitante a sfiorargli il viso. Lui la stringe contro la guancia.

Sente Peter che lo lascia andare. È in piedi, senza alcun supporto. Sta piangendo – di nuovo – e ciò la riscuote.


«Tony,» sussurra, con gli occhi che seguono i suoi lineamenti. «Cosa… come…»

Lui scuote la testa, e ruota il volto contro la sua mano. Le bacia il palmo, chiudendo gli occhi, e la sente rilasciare un lieve respiro.

«Oddio,» dice. «Non– non può essere. Non puoi essere–»

«No, è qui,» interviene Bruce, scrutandoli dalla sua postazione, accanto a un Rhodey ancora incosciente. «Lo vedo.»

Tony riapre gli occhi, e lei fa scivolare la mano a cercare il battito sulla sua gola. Lo fissa per un singolo istante, poi la sua maschera crolla. Le lacrime scorrono sulle sue guance e lui gliele asciuga. La sfiora con delicatezza, e non riesce a credere di poterlo fare. Le lacrime continuano a scorrere e lui continua ad asciugarle, avvicinandosi ancora a lei.

«Lacrime di gioia,» dice lei, tirando su col naso. «Odio cercare nuovi fidanzati.»

Tony ride, sentendosi incorporeo e pesante al contempo, con la vista che gli si sfoca per il sovraccarico emotivo. Lei fa un passo avanti, abbracciandolo, e lo stringe più forte di quanto chiunque abbia mai fatto. Si scioglie contro di lei, aggrappandosi alla sua schiena, e non vuole lasciarla andare, mai più. È qui, lui è qui, è vivo, ce l’ha fatta, lei è qui, è con lui. Non è più sottoterra, non è morto, non è morto.

«Non ci credo,» sussurra lei. «Non ci credo, non ci credo.»

Gli bacia la guancia ancora e ancora e, dannazione, vuole parlare, vuole dirle quanto la ama, quando avrebbe voluto averla accanto alla fine, che andarsene senza poter vedere un’ultima volta il suo viso è stata una delle cose più stupide che abbia mai fatto.

«Tony,» sussurra. «Tony, Tony. Dio, oddio. Tony. Come è… come…»

Lui si scosta appena, le prende il viso tra le mani. Scuote la testa, alzando un poco le spalle con un sorriso. Dio, è bellissima. Tutto, ogni singola cosa di lei, è un uomo fortunato. Si china su di lei e la bacia con impeto, cercando di metterci tutto se stesso.

«Tony,» dice la voce di Rhodey.

Lui rompe il bacio con riluttanza, sfiorandole in naso col proprio. Abbassa lo sguardo.

Bruce issa in piedi Rhodey e barcollano entrambi sul posto, limitandosi a fissarlo. Lui si apre in un ampio sorriso, scuotendo la testa, e quasi collassa addosso a loro, abbracciandoli entrambi, insieme. Sente la mani di Pepper tra i capelli.


«Dio, non ci credo,» ripete lei.

«Com’è possibile?» mormora Bruce, contro la sua spalla.

«Cristo,» dice di nuovo Rhodey. «Cristo Santo.»

Tony sa che il fatto di non riuscire a parlare diventerà ben presto seccante.

«Peter,» dice Pepper, con una mano premuta contro la base del suo collo mentre si muove alle sue spalle. Rhodey e Bruce non sembrano intenzionati a lasciarlo andare, e ha l’impressione che Rhodey stia per svenire di nuovo. «Qui non c’era nessuno?» chiede.

«No,» risponde lui. «Solo… solo io.»

«Non c’era nessuno che faceva cose strane?» chiede ancora.

«No,» replica lui. «E non ci ha visto nessuno… forse dovremmo, uh… andare, così possiamo evitare che accada.»

«Giusto,» concorda Pepper. «Giusto, giusto– sì… ragazzi, lasciatelo andare, lo portiamo al Complesso.»

«Un attimo, prendo il guanto,» dice Peter. Tony si volta, vedendolo tornare di corsa nei pressi della tomba per recuperarlo, e smuovere un po’ di terra qua e là come se stesse rimettendo in ordine in fretta e furia la propria stanza.

Rhodey si stacca da lui, mentre Bruce mantiene la stretta per qualche secondo in più per poi fissarlo come se fosse un qualche esperimento scientifico. Tony conosce quello sguardo e inarca un sopracciglio, mentre lui aggrotta la fronte. Sono io, Brucie. Sono io.


«Cristo,» sbuffa Rhodey, e Tony vorrebbe buttare lì un qualche commento sarcastico riguardo al nominare invano il Signore, ma non può parlare, cazzo. Sta diventando la sua preoccupazione principale, dopo la sua brusca resurrezione. «Mi sento come se stessimo avendo un’allucinazione collettiva. Insomma, merda… sapete… quando vedi la cosa che vuoi di più al mondo? Non è successo a qualcuno?»

Tony sorride, chinandosi verso di lui e premendo la fronte contro la sua. La cosa che vuole di più al mondo. Dio, se gli vuole bene.

«Devo esaminarlo… cioè, non esaminarlo… beh, fare… insomma, uh– un check-up medico completo, al Complesso,» balbetta Bruce. Stringe rapidamente il suo braccio per poi ritrarsi, come a verificare che esista realmente.

«Andiamo,» dice Peter, riavvicinandosi e prendendolo per il braccio sinistro, mentre Pepper lo prende per il destro. Rhodey e Bruce lo fissano ancora per qualche secondo, prima che Peter dia un colpetto sul petto del primo, facendolo ripiombare coi piedi per terra.

«Giusto, giusto,» reagisce lui, dando a sua volta un colpetto a Bruce, e prendono entrambi a camminare, lanciandosi occhiate alle spalle verso di lui. Tony sorride, fissandoli, e si lascia guidare da Peter e Pepper. Sta andando via, sta uscendo dal cimitero. Non è più sottoterra, è uscito, è vivo. È qui, è qui… deve continuare a ripetersi che è qui. È qui con loro.

«Tony,» lo chiama Pepper. La guarda e lei assottiglia gli occhi, come se non si fosse aspettata di vederlo reagire al proprio nome. Poi guarda Peter. «Perché… Dio, perché… Dio.»

«Lo so,» risponde Peter, stringendogli con più forza il braccio. Deglutisce a forza e abbassa lo sguardo a fissarsi i piedi, mentre aggirano altre tombe. Rhodey e Bruce continuano a guardarsi alle spalle, parlottando tra loro. Tony odia il fatto di non poter spiegare nulla – è quello che fa di solito: risolve le cose, le scompone pezzo per pezzo fino al loro nucleo – ma niente di tutto ciò ha senso. Né il fatto di risvegliarsi nella bara, né l’esserne uscito, né il non poter parlare. Né il fatto di essere vivo.

«Perché pensi che non riesca a parlare?» chiede Pepper.

«Non so,» risponde Peter. «Magari è lo shock? Spero sia quello.»

Pepper annuisce, poi scuote la testa. Annuisce di nuovo. «E come– come ha fatto a–»

«Si è aperto la strada coi repulsori,» spiega Peter, in tono orgoglioso. «Con il guanto dell’armatura. Quando ho visto la sua mano che usciva dal terreno non… non ci ho nemmeno dovuto pensare, io… è come se avessi avuto un blackout. L’ho afferrata e basta, l’ho tirato fuori. Non ho pensato.»

Pepper stringe con più forza Tony e allunga la mano libera, posandola sulla guancia di Peter. «Grazie,» sussurra. «Grazie a Dio hai messo quel guanto là dentro.»

Tony annuisce, inclinandosi verso il ragazzo. Già, grazie a Dio. Non vuole nemmeno immaginare come avrebbe fatto a uscire senza quello. Un brivido gli corre lungo la schiena ogni volta che ripensa a quel luogo, là sotto, e vorrebbe smettere di concentrarsi sul ricordo. Deve concentrarsi sul qui, sulla terra nuova e solida sotto ai propri piedi, sull’aria fresca nei suoi polmoni, sulla sua famiglia attorno a lui. Il mondo ronza, nuovo di zecca, vivo, tutt’intorno a lui. Gli alberi ondeggiano al vento, le prime stelle si affacciano nel cielo. È qui, è tutto qui, è tornato al mondo.

Il proprio silenzio inizia davvero, davvero a infastidirlo. Gli serve un pezzo di carta, cavolo, o uno stupido robot che gli legga nel pensiero. Sa di averne inventato uno, una volta.


«Prendo la macchina,» annuncia Rhodey, scattando in una corsa e scomparendo un momento dopo oltre i cancelli del cimitero, che incombono come le rovine dissestate di un antico castello. Le guglie proiettano lunghe ombre, sprofondando quel luogo nel buio, e Tony vuole solo uscire di qui. Rivolge lo sguardo a Pepper: ha la mascella contratta, le labbra compresse, e le scende qualche lacrima lungo le guance. Si inclina verso di lei, posandole un bacio sulla tempia. Lei ride, la voce un po’ velata, facendogli un cenno col capo.

«Dio, non ci credo,» ripete. «Non riesco a…»

«Neanch’io,» concorda Peter, schiarendosi la gola. «Tony, non hai caldo, vero? Cavoli, non te l’ho chiesto prima, scusa.»

Tony è vestito decisamente troppo pesante per tutto quello che sta succedendo adesso, ma fa cenno di no. Pensa di potersi comunque togliere la giacca in macchina, che proprio in quel momento svolta l’angolo fermandosi a qualche passo da loro con uno stridio di gomme.

«Complesso?» chiede Bruce, girandosi a guardarli mentre cammina all’indietro. «Complesso,» conclude, prima che qualcuno possa dire qualcosa.

«Noi due stiamo dietro con lui,» decide Pepper, mentre varcano gli imponenti cancelli verso la macchina. «E, Rhodey,» chiama poi, quando lui abbassa il finestrino. «Guida più veloce che puoi senza attirare l’attenzione della polizia. Non voglio che… che qualcuno lo scopra prima che decidiamo come annunciarlo.»

Furba. Ha una fidanzata incredibilmente furba.

«Ricevuto,» risponde Rhodey.

Bruce apre la portiera posteriore e Pepper sale per prima, prendendo per mano Tony per aiutarlo. Peter lo sostiene con una mano sulla schiena, e lui si sente un po’ un vecchio attempato per tutte queste premure. Si sfila subito la giacca, abbandonandola per terra, e si ostina a volersi allacciare da solo la cintura, mentre Pepper e Peter lo fissano attentamente, rifiutandosi di fare lo stesso finché lui non ha finito.

Si poggia al sedile quando Rhodey parte, rilasciando un profondo sospiro. Gli sembra che tutto stia sfrecciando attorno a lui alla velocità della luce, e non riesce a razionalizzare nulla. Spera che questo non sia un purgatorio, spera che non sia colpa del suo cervello che va fuori fase nei suoi ultimi istanti di vita. Quando Pepper gli prende di nuovo la mano, sa di essere davvero qui. È qui con loro. In qualche modo, per chissà quale ragione, gli è stata concessa una seconda possibilità. Ha bisogno di una spiegazione, cazzo, e si dibatte nell’incertezza. Prova a rilassarsi. Prova, parola chiave. Si focalizza su di loro, su tutti loro.


«Dio, Tony, le tue dita,» esclama Pepper. «Bruce, hai qui un kit di primo soccorso?»

«Uh, forse,» risponde lui, aprendo il vano portaoggetti di fronte a lui. «Fammi controllare.»

Rhodey continua a fissare Tony dallo specchietto retrovisore. In tutta risposta, lui si punta due dita verso gli occhi, per poi indirizzarle verso di lui, e l'altro sgrana lo sguardo. Cristo, ha bisogno di vederli comportarsi in modo normale, più di ogni altra cosa. Sa che la propria voce costituisce la metà di quanto sia come persona, e deve offrire loro qualcosa che funga da prova, per dimostrare che non è solamente un guscio vuoto di cui avere paura. È lui, è ancora lui, deve far loro capire che è tornato davvero. Il vero Tony Stark, in carne ed ossa, che è tornato contro ogni aspettativa perché la morte non era ancora pronta per lui.
 
Tony richiama l’attenzione di Peter con una lieve pacca sul ginocchio, poi mima un telefono portandosi una mano all’orecchio.


«Vuoi un telefono?» chiede lui. «Vuoi il mio telefono?»

Tony annuisce.

«Va bene, solo– un attimo,» tartaglia lui, e si tasta quasi freneticamente le tasche, tirandolo fuori. Lo sblocca e glielo porge.

Tony lo prende con la mano libera e apre l’app degli appunti, digitando rapidamente un messaggio da mostrare a Pepper. Finisce di scriverlo e glielo mostra quando Rhodey si ferma a un semaforo rosso.

Pepper legge la prima riga, per poi schiarirsi la voce. “Uh… bene, ha scritto un messaggio sul telefono di Peter. Ecco. Puoi leggere ad alta voce. Prima di tutto, vi voglio bene. Voglio un bene dell’anima ad ogni singola persona presente in questa macchina, così tanto che sto per esplodere. Rhodey, bella performance con quello svenimento, lieto di avere ancora quest’effetto su di te. Non so perché stia accadendo tutto questo, ma sto bene, mi sento le gambe un po’ strane e la mano che mi stai stringendo mi fa male, ma sto bene… non sto affatto pensando a ciò che è successo, per niente. Mi sono solo svegliato. Tutto qui. Ho tutti i miei ricordi. Cazzo, sono semplicemente… felice di essere di nuovo qui. Non so come, o perché, ma sono felice. Voi eravate al Complesso? Come siete arrivati così in fretta? Quanto tempo è passato?” Pepper gli stringe con forza la mano durante tutta la lettura per poi guardarlo con occhi inteneriti.


«Trovato,» annuncia Bruce, tendendole il kit di primo soccorso. Gli si incrina un po’ la voce.

«Beh, credo che tutti…» comincia Pepper, per poi scuotere il capo. «Ti vogliamo tutti un bene dell’anima.»

«Già, sul serio,» concorda Rhodey, e si uniscono tutti al coro sovrapponendosi. «Cristo, certo che ti voglio be–»

«Ti vogliamo bene, Tony.»

«Ti vogliamo un mondo di bene-»

«Ci sei mancato–»

«È stata una tortura–»

«Dio, davvero–»

«Tesoro, è stato–»

«Sto pensando… non so, magari abbiamo pregato così tanto che Dio ci ha dato tregua, per una volta–»

Pepper prende un po’ di tintura di iodio e delle garze dal kit di primo soccorso. «E, uh, non eravamo al Complesso. È una ricorrenza, ecco… ogni mese ci vediamo, andiamo a cena fuori questo giorno. Peter ha deciso di farti visita stasera– sono… oggi sono sette mesi, Tony.» Si schiarisce la voce e gli posa un bacio sulla spalla.

Sette mesi. È stato morto per sette mesi. Peter emette un sospiro lì accanto, poggiandosi a lui.

Sette.

Mesi.

Sette in teoria è un numero fortunato.


«Ma adesso andiamo a casa,» dice Rhodey, con la voce che gli si spezza mentre il semaforo si fa verde. «Ti portiamo a casa.»

 
§


 
Tradotto da Lazarus, come forth - Chapter 2 di iron_spider da _Lightning_

Note:

[1]
Green-Wood è un cimitero monumentale a New York.


Note della traduttrice:

Ed ecco qui, con un po' di ritardo, il secondo capitolo. Spero abbiate apprezzato e che la storia vi stia appassionando; come sempre, trovate i link all'originale e al mio account a piè di pagina <3
Grazie a tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle loro liste, e a presto col prossimo capitolo!

-Light-

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 



Tony si assopisce in macchina e i sogni sono pronti a ghermirlo. In quei sogni non ce la fa, in quei sogni la decomposizione permane, gli resta addosso, si infiltra in lui e aggiunge anni e anni e anni alla sua condanna a morte. È un cadavere, è marcio, ha vermi nelle orbite e la pelle che si sfalda dalle ossa, è morto, è morto, è morto–

Risucchia un respiro e si sveglia sulla spalla di Pepper.


«Ehi,» lo chiama, una mano tra i suoi capelli. «Ehi, ehi.»

«Sta bene?» chiede Rhodey, al volante. Bene, sono ancora in macchina. È ancora vivo, ce l’ha fatta. Prova numero uno, sonnellino: passata. Magari non a pieni voti, ma se lo farà bastare. È bravo a cavarsela sotto pressione, a mettersi in gare contro se stesso.

«Tony,» mormora Pepper.

Lui fa un cenno del capo, girando il viso contro la sua spalla. Cerca di scacciare la paura a colpi di palpebre, e di imporre al proprio cuore di rallentare e battere normalmente. Riusciva a gestire abbastanza bene gli attacchi di panico, prima… beh, prima di morire, ma adesso stanno avendo una recrudescenza, e ritiene giustamente. Annuisce di nuovo, calmando il respiro, e si raddrizza un poco a sedere. Sente Peter che si muove e nota che anche lui sta dormendo, con la faccia premuta contro il suo braccio.

Tony si trova bloccato tra il bisogno di essere accudito e quello di volersi prendere lui cura degli altri. Si sposta delicatamente, sfilando il braccio dalla stretta di Peter e posandolo sulle sue spalle. Lo stringe saldamente e il ragazzo si riassesta nel sonno, ora con la testa sul suo petto mentre respira dalla bocca. Tony alza lo sguardo, notando Pepper che li osserva, e intuisce anche solo dal suo sguardo che i due si sono avvicinati, da quando se n’è andato. Lei incontra i suoi occhi, facendolo sorridere dolcemente: non pensa che si stancherà mai di guardarla. Deve ricordarsene più spesso. Deve memorizzare ogni centimetro del suo viso.

Si poggia di nuovo sulla sua spalla chiudendo gli occhi, con lo sfinimento che gli appesantisce le ossa. Lei gli tiene la mano ferita in grembo, e adesso ci sono vari piccoli cerotti a coprire le lesioni. Fa un gesto di OK col pollice, rendendolo visibile a Rhodey e Bruce.


«Mancano un paio di minuti,» annuncia Rhodey. «Ho mandato un messaggio a Happy…»

Tony apre di scatto gli occhi e Rhodey se ne accorge.

«Uh… gli ho solo detto di aspettarci,» specifica. «Dovrebbe già essere al Complesso. È difficile dirlo per messaggio… Ehi, il nostro migliore amico è resuscitato, facciamo festa.»

Tony sorride appena, concordando con un cenno. Festa, già. Una festa… piccola, raccolta, ma comunque una festa. Crede di meritarsela. Si merita anche un centinaio di ore di sonno privo di sogni. Una doccia calda. Un panino col tonno. Un cheeseburger. Un milk-shake alla fragola. La sua voce, dannazione.

«Rimarremo tutti lì per la notte,» dice Bruce, girandosi a guardarlo. «Ti visiterò, cercheremo di capire cosa ti succede, e poi… poi vedremo.»

Tony annuisce, risucchiando un respiro. Bruce gli sta rivolgendo uno sguardo strano, e suppone che dovrà abituarsi a riceverne per un po’, ma questo in particolare sembra carico di domande che non sa come formulare. Tony solleva le sopracciglia e scuote la testa nella sua direzione.

«Uh,» balbetta Bruce, tamburellando le dita sul cruscotto che divide lui e Rhodey. «Vuoi che… che dica agli altri… merda, non saprei, dovremmo aspettare? Non è tipo... come quando scopri che avrai un bambino, cioè, non si aspetta, insomma, un po'?»

Tony sbuffa dal naso. Un bambino. Un bambino, cazzo. Libera un paio di risate silenziose e vede Rhodey che dà uno spintone a Bruce. Pepper scuote la testa. Tony cerca di non pensare alle implicazioni del perché la gente preferisca aspettare prima di annunciare una gravidanza a famiglia e amici, perché lui ha intenzione di rimanere qui. Non accadrà un bel niente che possa mandare tutto all’aria.

Ha ancora il telefono di Peter sulle gambe. Lo prende cautamente con la mano ferita e apre di nuovo gli appunti, cercando di non fare troppi errori di battitura mentre scrive con la sinistra. Completa il messaggio e lo mostra a Pepper.


«Vediamo, dice… sono al settimo mese, direi che è anche troppo per dirlo alla squadra. Ce l’hanno fatta tutti, giusto? Steve, Tasha, Thor, Clint? Strange? Possiamo dirlo anche alla zia del ragazzo, visto che probabilmente lui rimarrà qui per un po’.» Pepper lo guarda. «Sì, stanno tutti bene… c’è stata la, uh, questione della gamba di Steve…»

Tony inclina di lato la testa, mentre entrano nel perimetro del Complesso. Pepper gli restituisce il telefono.

«Sta bene,» interviene Bruce. «Lui e Bucky vivono a Montreal, in effetti…»

Tony scuote la testa, preso in contropiede, e Bruce sembra leggergli nel pensiero.

«Lo so… Capitan America in Canada, esatto. Così stanno le cose.»

«A lui lo diremo quando ci saremo sistemati,» dice Rhodey, e si irrigidisce nel superare il primo checkpoint. Tony non prova davvero a nascondersi, ma si volta comunque verso Peter mentre Rhodey mostra rapidamente il badge dal finestrino. Vorrebbe che l’intero processo del suo ritorno avvenisse alle sue condizioni, dai gemelli che indosserà durante la prima conferenza stampa alle pubblicità che trasmetteranno subito dopo. Non vuole che la notizia venga diffusa perché una delle loro guardie notturne l’ha scorto nel retro del furgone di Banner. Mentre Rhodey è al volante. Non è una situazione pulita, non ha alcun senso, e si chiede se la gente non stia già esprimendo dubbi al riguardo. Le persone in questa macchina, inclusa Pepper, sono dei supereroi, ma nessuno di loro riuscirebbe a pensare e reagire razionalmente, se colto alla sprovvista. Una volta ha visto Bruce cadere di testa dalla tromba delle scale. E le cose folli che ha visto fare a Peter… è agile, quando vuole, ma per il resto è un disastro ambulante.

«Tony, va… va bene se andiamo dritti in ambulatorio?» chiede Bruce, guardandolo.

Tony fa cenno di sì. Rivolge una piccola preghiera al riavere la propria voce, ed è lieto che non loro possano leggergli nel pensiero.

Rhodey si dirige verso il retro, così da poter accedere subito alla zona abitabile, e si ferma sotto il mezzo portico. Spegne il motore e se ne stanno seduti lì per qualche momento, limitandosi a respirare e guardarsi attorno, come se qualunque cosa potesse spezzare l’incantesimo.

Tony esala un sospiro. Peter sta ancora dormendo e lo riscuote piano, stringendogli la spalla. Il ragazzo emette un piccolo verso di protesta, aggrottando le sopracciglia, e Tony gli scosta qualche ciocca dalla fronte, inclinando il capo per guardarlo. Peter alza lo sguardo su di lui mentre si sveglia, con un moto di confusione che si diffonde sul suo volto nel secondo prima di ricordare tutto. Tony gli sorride e lui lo fissa. I suoi occhi sono accesi e intenti a scrutarlo, e Tony scorge il suo dolore. Tutto ciò che gli ha inflitto quando l’ha lasciato solo. Vorrebbe fare un discorso individuale ad ogni persona nella macchina, dire loro che non avrebbe mai voluto lasciarli e che non ha intenzione di farlo di nuovo.

Ma non può. Quindi si limita ad arruffare i capelli di Peter rivolgendo un cenno verso l’edificio; Peter sorride lievemente, ricambiando il gesto. Tony gli restituisce il telefono. Pepper si sposta verso la portiera e lui la segue, accettando la sua mano quando si offre di aiutarlo. Sta sudando, adesso, e non vede l’ora di togliersi di dosso quel completo. Si chiede se all’interno sia rimasto tutto come prima, se i suoi vestiti siano ancora nei cassetti o se li abbiano messi da parte. Immagina già il sottile strato di polvere su tutto ciò che gli è appartenuto, apparentemente congelato nell’istante in cui l’ha toccato per l’ultima volta.

Peter recupera la sua giacca e stringe con forza il guanto dell’armatura mentre scende dall’auto, chiudendo la portiera dietro di sé. Rhodey rivolge a Tony un’altra, lunga occhiata prima di fare strada direttamente verso l’ascensore, e lo seguono in un gruppo serrato. Tony stringe ancora la mano di Pepper e se le porta alle labbra, baciandole le nocche.

Lo circondano anche quando salgono sull’ascensore, come se si aspettassero una minaccia da un momento all’altro, pronti a respingerla. Non gli dispiace quella vicinanza; in realtà la vuole, la vuole davvero, e pensa che, in qualche strano modo, possa renderlo più forte. Bruce pigia il pulsante con un pugno, e iniziano a salire.


«Peter, tu rimani, giusto?» chiede Rhodey.

«Ovvio,» replica lui.

«Manda un messaggio a tua zia, avvertila,» si raccomanda. Lancia un’occhiata a Tony. «Cioè. Dille che rimani a dormire qui. Abbiamo stabilito che questa non è una notizia da dare per messaggio.»

«Va bene,» concorda Peter. Digita rapido un messaggio e lo invia, facendo scivolare di nuovo il cellulare in tasca. Si schiarisce la voce. «Potremmo, uh… fare un abbraccio di gruppo? Credo che ne abbiamo bisogno. Io ne ho bisogno.»

Si guardano a vicenda con dei lievi, esitanti sorrisi in volto; Tony annuisce, sorridendo invece a tutto spiano.

«Già, buona idea…»

«Hai ragione…»

«Okay, venite qui; Tony, tu stai al centro…»

Tony li abbraccia meglio che può e chiude gli occhi, con loro che gli si stringono contro. Pepper nasconde il volto nel suo collo e lui inspira il suo profumo; Rhodey e Bruce lo stringono così forte che gli stanno quasi incrinando le costole. Ma ne vale la pena. Peter gli cinge il busto con le braccia e sembra rattrappirsi su se stesso, tremando appena.

Le porte dell’ascensore si aprono.


«Ma che diavolo state facendo, voi?» chiede la voce di Happy. «Vi siete ubriacati? Non pensavo che avessimo intenzione di farlo di nuovo, dopo…» la sua voce si affievolisce quando loro si scostano e Tony solleva lo sguardo, incontrando i suoi occhi. Happy sbianca totalmente, e spalanca la bocca. «Che succede?» chiede, con voce estranea. «Cosa… cosa–»

Rhodey si fa avanti per impedire alle porte di chiudersi, e Tony sente il cuore che batte più rapido. Happy è un concentrato d’incredulità, e non può assolutamente dargli torto. Alza le mani, come in segno di resa, e gli altri rimangono vicino a lui. Come se Happy potrebbe mai fargli qualcosa, se anche pensasse che fosse uno zombi.

«Happy,» esordisce Pepper, avanzando verso di lui. «È lui, è Tony… non sappiamo come, o perché, ma Peter gli stava facendo visita al cimitero quando è… è uscito dalla sua…» lo guarda quando sta per dire tomba, come se fosse qualcosa di sporco, e scuote la testa concentrandosi di nuovo su Happy. «È davvero lui, e dobbiamo… dobbiamo capire cosa è successo, ma è… è lui.»

«Non riesce a parlare,» dice Peter. «Non sappiamo perché.»

«Faremo luce anche su questo,» aggiunge Bruce, strizzando la spalla di Tony. Grazie a Dio. Speriamo.

Escono tutti dall’ascensore mentre Happy rimane piantato sul posto; scruta Tony da capo a piedi, con la bocca che forma parole mute. Continua a battere le palpebre e ha già le lacrime agli occhi quando Tony gli si avvicina, abbassando lentamente le mani.


«Questo… non è possibile,» balbetta, con la voce che gli si ferma in gola.

«Già,» concorda Bruce. «Nemmeno Hulk dovrebbe essere possibile, eppure sappiamo bene che–»

«Non posso– non–»

A Tony fa male il cuore e piazza le mani sulle spalle di Happy, cercando di ritagliarsi un momento di normalità. Solleva le sopracciglia, cercando di contenere le lacrime perché il suo mal di testa sta peggiorando. Ma Happy risucchia un respiro tremante e porta le mani a stringergli i polsi, ed è abbastanza per fargli perdere di nuovo il controllo.

«Dio, oh mio– Cristo Santo, Tony…» china la testa, per poi rialzarla altrettanto rapidamente. «Seppellirti è stata la cosa peggiore che mi sia… che mi sia mai capitata…»

Tony scuote la testa e si fa avanti per abbracciarlo, con Happy che gli singhiozza contro la spalla. Cerca di non fare lo stesso e sospetta che queste riunioni potrebbero essere in grado di ucciderlo giusto dopo essere miracolosamente scampato alle grinfie della morte.

«Su, Hap,» dice Rhodey, avvicinandosi per dargli una pacca sulla spalla. «Stiamo andando in ambulatorio.»

Tony non è esattamente disposto a lasciarlo andare, ma sa che è solo l’inizio di quella che sarà una lunga notte.
 
§
 

Si sente un po’ una cavia da laboratorio. Si sente decisamente una cavia da laboratorio. Se ne stanno tutti attorno a lui, parlottando tra loro mentre Bruce controlla tutto il controllabile. Cuore, cervello, polmoni, reni, e passa una buona dose di tempo a cercare di capire se ci sia qualcosa che non va nella sua laringe, senza risultato. Non sa se questo fatto lo faccia sentire più o meno nervoso riguardo all’inconveniente del suo insopportabile silenzio.

Si toglie la cravatta, il gilet, si slaccia i primi due bottoni della camicia e prende un’aspirina per il mal di testa. Bruce medica meglio la sua mano, ora che non sono limitati da un kit di pronto soccorso mezzo vuoto, poi punta talmente tante luci e lucette nei suoi occhi che è sicuro di stare per perdere anche la vista.

Ci vogliono due ore, e alla fine sono tutti sull’attenti davanti a lui, come fossero un plotone militare.


«Sta bene,» conclude Bruce, quasi deluso. «Sta bene… ha un’emicrania. È un po’ disidratato. Ma sta bene, cioè, è… è folle. Io mi sento folle, sto andando fuori di testa.»

«E la questione della voce?»

«Non saprei,» dice Bruce, e sembra a corto di parole. «Sembra tutto a posto, spero che sia solo… lo shock, lo stress... non lo so, dovrò fare altre ricerche. Non che ci siano ricerche da fare per questa… situazione specifica, ma farò… farò il possibile.»

Tony non vuole pensarci. Vuole solo che si risolva. Sta già rimuginando su delle soluzioni momentanee da mettere in atto. Si sfrega gli occhi e punta l’indice contro Peter, trattenendo l’impulso di schioccare le dita per richiamarne l’attenzione. Lui si avvicina subito, con occhi grandi e colmi d’aspettativa.

«Che succede?» gli chiede. Gli tende il telefono prima ancora che lui inizi a gesticolare per averlo, e gli scompiglia i capelli senza nemmeno tentare di camuffare quel gesto d’affetto. Digita un appunto rapido, in caps lock, ingrandisce il font e lo mostra loro. Quasi si strozza con la sua stessa saliva quando li vede socchiudere gli occhi e leggerlo ad alta voce ognuno per sé, con la stessa cadenza atona.

HO DISPERATAMENTE BISOGNO DI UNA DOCCIA.

Si riscuotono all’istante e Pepper annuisce, accostandosi a lui.
«Va bene, ecco… uh… va bene, andiamo, faccio– cioè, siamo nella stessa stanza, ma io non–»
Lui le fa un cenno divertito per troncare il suo imbarazzo.

«Cibo!» esclama Happy. «Vuoi del cibo? Sicuro ne hai bisogno.»

Tony lo indica, annuendo con entusiasmo. Digita ciò che vuole sotto al messaggio della doccia, cambiando idea sul panino al tonno e sentendo di volere di più un cheeseburger. Lo completa mostrandolo a Peter, e gli altri si sporgono per leggere.

«Niente patatine fritte? Non le vuoi?» chiede Rhodey.

Tony fa cenno di no.


«Nemmeno le patatine ranch al formaggio? Quelle ti piacciono.»

Tony inclina di lato la testa, con un sorriso. E va bene, non suonano male, Rhodey lo conosce troppo bene. Annuisce, facendolo sogghignare.

«Perfetto, pensateci voi due,» dice Bruce, facendo un gesto verso Rhodey e Happy. «Pepper lo aiuta con la doccia e, Peter, tu puoi darmi una mano a capirci qualcosa qua.»

«Va bene,» concorda Happy. «Inviami l’ordinazione, ragazzino.»

Sembrano sul punto di avviarsi rapidamente fuori di lì, quando i loro sguardi tentennano fino a ritrovare Tony, ed è come se venissero sopraffatti di nuovo dall’emozione di averlo lì. Lui sorride appena, con gli occhi che viaggiano da un volto all’altro.

«Inviata,» annuncia Peter, con gli occhi ancora fissi su di lui.

«Torniamo subito,» conclude Rhodey.

«Subito,» sottolinea Happy.

Tony non può fare a meno di sorridere apertamente al loro entusiasmo. Ha l’impressione che nessuno sia mai stato così felice di averlo attorno.
 
§
 

In vita sua, Tony ha avuto la sua buona dose di momenti imbarazzanti con Pepper. La maggior parte dei quali risale a quando non erano ancora in una relazione impegnata, quando era impegnato a procedere in punta di piedi come un idiota attorno al loro rapporto prima di trovare quel tetto fortuito, ma adesso sente l’imbarazzo che gli fuoriesce da ogni poro mentre la segue come un’ombra, avanzando come un fantasma nella propria camera. La loro camera, qui, nel posto che era il loro e che è poi diventato di Pepper, se non fosse per il fatto che ci sono ancora tutte le sue cose in giro.

Non ha cambiato molto. Sono cambiate le lenzuola, nonostante le altre siano riposte nell’angolo della stanza sulla sua poltrona, ordinatamente piegate come se potessero essere usate da un momento all’altro. Quelle nuove sono nere, in contrasto con le altre di un beige chiaro, e lui si chiede se abbia qualcosa a che vedere con l’umore in cui era quando le ha comprate. E anche la poltrona: è chiaro che abbia relegato le vecchie lenzuola là perché era quella in cui lui si sedeva più spesso, in cui oziava, sulla quale si appisolava quando si lasciava prendere troppo dalle sue ricerche, o era troppo stanco dopo aver fatto chissà cosa e si ritrovava a schiantarsi là sopra. I suoi effetti personali però sono ancora sul comodino, e ha l’impressione che nessuno li abbia toccati. La sua colonia di Gendarme, le chiavi della sua Audi, il suo pettine, il suo portafogli e il suo telefono. Lo fissa, mentre lei apre dei cassetti e sceglie dei vestiti, mormorando tra sé. Non gli sembra più suo.


«Bene,» dice lei, girandosi. «Ti ho preso i pantaloni della tuta, quella maglietta grigia che ti piaceva, i tuoi boxer preferiti…» segue il suo sguardo. «Oh, il telefono… non– non è più attivo… insomma, puoi riaccenderlo e ripristinarlo. Posso– cioè, lo farò di certo, sei qui. Quando– quando potrai di nuovo parlare, intendo, cioè– allora ti servirà.» Sospira, sfregandosi la fronte, e gli è chiaro che sia in conflitto.

Si avvicina a lui, sospingendolo verso il bagno con un braccio sui suoi fianchi.
«Qui è un po’ diverso,» annuncia, aprendo la porta. In effetti è diverso – molto diverso, decisamente. Nuove piastrelle, nuovo pattern, una doccia più ampia. Due lavandini. «Questo perché, forse… ho dato un pugno al muro e l’ho sfondato? E mi sono rotta un polso. Forse, non saprei, è quello che ha detto il Daily Star.» [1]

Tony si volta verso di lei, inarcando le sopracciglia. Pepper alza le spalle.


«L’ho fatto ristrutturare poco dopo,» conclude.

E quell’affermazione gli proietta in testa l’immagine di un gruppo di muratori nerboruti dentro al suo bagno, nella sua camera da letto, vicino alla sua fidanzata, ovvero la sua fidanzata da poco vedova–


«Natasha è sorprendentemente brava in questo genere di faccende,» continua Pepper. «Anche Clint e Maria ci hanno dato una mano, ma non erano decisamente bravi quanto Natasha. Happy ha fatto da supervisore, il che si traduce nel sedersi su una sedia da ufficio e additare ciò che non gli piaceva.»

Perfetto. Adesso si sente meglio.

Pepper si schiarisce la voce e lo supera, posando i suoi vestiti sul piano del bagno.
«Non farò finta di non avere il tuo shampoo, là dentro, o quel sapone verde che ti piace, quindi, ecco, dovresti avere tutto ciò che ti serve.» Si volta a guardarlo, mordendosi il labbro. «Ti prego, non chiuderti a chiave, e ti prego esci se ti serve qualcosa, qualunque cosa. Rimango qua fuori.»

Lui annuisce. Una parte di lui vorrebbe che rimanesse lì, l’altra prova uno strano imbarazzo. Odia quella sensazione e il fatto che al momento stia avendo la meglio su di lui. Pepper si avvicina, prendendogli il volto tra le mani, e ha di nuovo quell’espressione triste negli occhi. Non dice nulla, si limita a passargli delicatamente i palmi sul collo e lungo le spalle.

«Questi vestiti, che ne dici se… so che adori questo completo, ma… mettiamolo via… in un angolo… mettilo via e basta.»

Lui concorda con un cenno. È vero: adorava questo completo, queste scarpe. L’hanno messo letteralmente negli abiti che avrebbe scelto per essere seppellito. Ma non vuole mai più vedere questo maledetto completo in vita sua.

Si sporge verso di lei, baciandola sulla guancia, perché sente che se la baciasse davvero potrebbe dare inizio a qualcosa per il quale non è ancora esattamente pronto. Lei sorride e si poggia contro di lui, strofinandogli le braccia, poi si scosta per guardarlo negli occhi.


«Sul serio, Tony,» insiste. «Per qualunque cosa, se ti serve qualunque cosa, esci fuori. So che è passato un po’ di tempo, ma ti ho visto nudo migliaia di volte. Ricordati che sono sempre io.»

Non se lo scorderà mai, morte o non morte.

Lo bacia sulla guancia e lui intuisce che vorrebbe dirgli dell’altro, altre cose che sta tenendo per sé, ma lo supera senza esternarle. Tony lancia un’occhiata alla porta che si chiude e sospira tra sé. Scalza via le scarpe, lascia cadere il resto dei suoi vestiti da uomo morto in un mucchio ai suoi piedi. Toglie le lettere dalla tasca della giacca: ci sono tre buste, due delle quali leggermente più spesse. Le posa delicatamente da parte, accanto ai vestiti puliti, e ripone lì anche la rosa frantumata e gli occhiali da sole. Entra nella doccia, chiudendo la porta scorrevole smerigliata.

Gli ci vogliono un paio di secondi per regolare la temperatura dell’acqua, ma non appena si mette sotto il getto sente la terra staccarsi via dalla pelle, scivolando lungo le gambe e venendo risucchiata dallo scarico. Chiude gli occhi, passandosi le dita tra i capelli. Sente la garza sulla mano ferita che si bagna, ma al momento non gli importa. Ha l’impressione che l’acqua calda lo stia ponendo sotto un incantesimo, e realizza adesso che è la prima volta in cui è da solo da quando è uscito da sottoterra.

Abbassa lo sguardo, vedendo che le cicatrici sono ancora lì, parallele e incurvate verso il fantasma del suo reattore arc. Sembrano più vecchie di quanto dovrebbero, e non sarebbero dovute guarire così sul corpo di un uomo morto. Si chiede se qualunque cosa l’abbia riportato in vita abbia anche smorzato i danni lasciando però i marchi, come un memento. Due grosse ferite frastagliate al centro del suo petto, in rilievo e tirate, nette e bianche, come un nitido tatuaggio dell’agonia che a ha provato in quell’attimo. Il dolore che si infiltrava dentro di lui, la scossa che gli ha ustionato la pelle. Passa le dita sopra alle cicatrici, quasi temendo di scatenare chissà quale reazione solo a toccarle nel modo sbagliato. Ma non succede nulla e anche l’acqua vi scorre sopra, con dei rigagnoli che si raccolgono sulla pelle lesa per poi continuare per la loro strada.

Anche le ustioni sono ancora là sul braccio, solo sul sinistro, anche se sono molto più tenui di quando se l’è inflitte. Gli risalgono le vene come fumo. Ha usato quel congegno per un istante, un solo, drammatico istante, ma l’ha dilaniato.

Sospira, girandosi e inarcando la schiena all’indietro. Non vuole pensare a quello, non vuole ricordare, e avrebbe voluto che al suo ritorno gli fossero stati cancellati quei ricordi. Sarebbe stato meglio così. Si passa le mani sul volto cercando di concentrarsi sui lati positivi, su ciò che ha adesso, sulla sua famiglia, il suo sistema di supporto, quello che lo ha sempre soccorso ogni volta che si è cacciato nei guai. Cioè molto spesso.

Gli si costringe la gola a pensarci. Non li ha mai guardati abbastanza, prima. Non ha ascoltato abbastanza la loro risata, la cadenza delle loro voci, il modo in cui pronunciavano il suo nome. Non si è mai soffermato a guardare nulla: si è sempre mosso troppo in fretta, cercando di tenere il passo con se stesso, con il ricordo di Howard da inseguire. Tutto ciò per il quale doveva essere all’altezza lo circondava sempre, lo consumava, e si dimenticava che aveva anche bisogno di vivere davvero. Gli era stato fatto il dono di avere delle persone che lo amavano dal profondo del cuore e che lui amava allo stesso modo, e nulla di ciò che faceva era abbastanza.

Si chiede cosa sia esattamente tutto questo. Chi l’abbia scatenato, cosa, se abbia degli effetti collaterali o se questa sia solo… una seconda possibilità. Un vero e proprio miracolo. Si gira di nuovo e poggia la fronte contro le piastrelle tiepide, col vapore che fluttua attorno a lui. Non sa perché stia avendo dei dubbi, perché tutto questo gli sembri così fuori dal mondo. Ha già visto cose che non dovrebbero essere possibili. Ha viaggiato in altri mondi, ha incontrato degli alieni… ma non è il suo ritorno dalla morte che lo sta mettendo in crisi.

È il fatto che qualcuno lo abbia salvato.

C’è una moltitudine di altri eroi. Lui era tra i più deboli. Steve è ancora vivo. Lui, Tony Stark, non serviva a nessuno.

Si pianta i pollici nelle palpebre e fa pressione contro il muro. Pepper lo prenderebbe a schiaffi fino alla fine dei tempi se sapesse cosa sta pensando, soprattutto ora, dopo essere letteralmente tornato dall’aldilà, dopo essere stato un dannato cadavere. Anche Peter lo farebbe. E anche Rhodey, decisamente. Merda, lo farebbero tutti.

Non può gettare via questa opportunità. Deve essere migliore per la sua famiglia, per la sua squadra. E deve smetterla di odiarsi, deve smetterla con questa stronzata. Qualcuno… chiunque abbia fatto tutto questo ha ritenuto di poter scommettere su di lui.

Deve smetterla di piangere, cazzo.

Deve capire come è tornato qui.

Stringe i denti, voltandosi per afferrare lo shampoo, perché non può stare sotto la doccia in eterno.

Deve riprendersi la sua cazzo di voce.

 
§

 
Si siede di fronte all’iPad mentre squilla e dà un grosso morso al suo secondo cheeseburger. Si sono tutti raccolti attorno a lui e, in qualche modo, sono riusciti a entrare nell’inquadratura. Si sente dieci volte meglio dopo la doccia e il cibo, ma il suo cuore fa le bizze alla prospettiva di parlare con Steve.

Parlare. In realtà intende “fissare Steve come un idiota mentre gli altri spiegano cos’è successo”.

Nell’ultima mezz’ora ha dato un’occhiata al linguaggio dei segni sul telefono di Peter e ha già imparato quaranta parole e una manciata di frasi. Si chiede se gli altri lo imparerebbero per lui.


«Lo sa, vero?» chiede Peter, suonando un po’ ansioso dal suo posto accanto a Tony. «Nel senso… quando risponderà alla chiamata si ritroverà Tony seduto davanti come se niente fosse.»

«Gli ho detto che era importante,» dice Bruce. Sospira. «Farà meglio a rispondere.»

«Gli farai venire un infarto,» protesta Peter, scuotendo la testa,

Tony soffoca una risata, prendendo un altro morso del panino e un rapido sorso del suo milk-shake alla fragola.

E poi Steve risponde alla chiamata. Anche lui ha la barba, di nuovo, e risucchia un respiro spezzato come se fosse stato sul punto di dire qualcosa, ma quel qualcosa gli fosse morto sulla lingua. La connessione non è il massimo e non è molto nitida, ma Tony lo vede abbastanza bene, e anche Steve lo vede, è chiaro dall’espressione che ha in faccia. Tony sorride – è così bello vederlo – e lui rimane a bocca aperta.


«Steve,» comincia Pepper. «Ehm, come vedi…»

«È successo qualcosa,» continua Rhodey, sporgendosi col volto tra lui e Pepper. «Qualcosa di serio, ma abbiamo… abbiamo di nuovo qui il nostro amico.»

Tony fa un piccolo cenno di saluto, sorridendo ancor di più. Gli rimbomba il cuore nel petto.

Steve lo guarda fisso, con gli occhi che si fanno lucidi, poi lo schermo si fa sfocato, infine diventa nero. Rimangono tutti in silenzio, e Peter aggrotta le sopracciglia.


«Cos’è successo?» chiede Pepper. «Si è spento di colpo.»

Rhodey si allunga e aggiorna la pagina, ma non succede nulla. Chiude la finestra e la fissa perplesso. «Non… non sono sicuro…»

Tony continua a mangiare il suo panino, e non dice ciò che sta pensando. Beh, non può neanche dirlo, ma non lo direbbe neance se potesse. Perché pensa che Steve abbia spaccato il suo iPhone da mille dollari, visto che è così che un super-soldato reagisce nel rivedere un amico morto di nuovo vivo. Si sente stranamente lusingato.

«Gli hai fatto venire un infarto,» dice Peter, incrociando le braccia. «Lo sapevo.» Non si sta chiaramente rivolgendo a lui, ma sta sgridando gli altri, e Tony prova un certo interesse nel capire come le dinamiche interne del gruppo siano cambiate in questi suoi sette mesi di assenza.

«Non risponde,» dice Pepper, col telefono premuto contro l’orecchio.

Tony continua a bere il suo milk-shake finché non arriva al fondo, e cerca di calmare il respiro. Il suo cuore è fuori controllo. Perché diavolo è così nervoso al pensiero di parlare con Steve Rogers? Cavoli, è imbarazzato perché è morto? Anche Steve è morto una volta, più o meno. Essere sepolti nel ghiaccio è quasi come essere sepolti sottoterra.


«Qualcuno può chiamare Barnes?» chiede Bruce. «So che ha un telefono. Non penso di avere il suo numero…»

L’iPad prende a squillare di nuovo, con un numero sconosciuto che lampeggia sullo schermo.

«Credo sia lui,» conclude Pepper, sporgendosi per accettare la chiamata.

La stessa schermata di prima appare davanti ai loro occhi, solo che Steve è un po’ più distanziato e c’è un Bucky Barnes dall’aria molto più composta in piedi accanto a lui. I suoi occhi trovano Tony, si sgranano appena ed esce prontamente dall’inquadratura. Tony trattiene uno sbuffo, finendo il suo panino. Non essere nervoso. Siete entrambi vivi. Va tutto bene.


«Cos’era successo?» chiede Rhodey.

«Ho… ho rotto il telefono,» risponde Steve, scuotendo la testa. «Non importa, cosa– cosa sta succedendo?» I suoi occhi si puntano su di lui, e non crede di averlo mai visto così in preda al panico. «È un… è un clone? Una trappola? Vi serve… posso venire lì. Posso.»

Tony ride appena. Non lo biasima per essere sospettoso. È l’unico tra tutti loro a non essersi fidato all’istante, probabilmente a causa dei suoi trascorsi con Barnes e i lavaggi del cervello. Tony è lieto di riferire che il proprio cervello è esattamente lo stesso di sempre, e che non c’è bisogno che Cap lo metta sulla lista di cose di cui preoccuparsi.

Se solo potesse dire lo stesso per la sua voce...


«Non è un clone, né una trappola,» dice rapida Pepper. «È lui, è il nostro Tony.»

«Ed è… beh, non riesce a parlare,» aggiunge Peter.

Tony ne ha fin sopra i capelli con questa cazzo di storia del mutismo. Vuole essere in grado di spiegarsi a parole sue; si sente come un bambino dell’asilo circondato da una schiera di insegnanti. È raro che ci sia una dinamica nella quale ha bisogno che altre persone parlino per lui e, assieme al fatto di essere una persona recentemente defunta, non si è ancora abituato a questo nuovo risvolto della sua vita. Abbassa lo sguardo sul telefono di Peter e inizia una ricerca nell’app store.

Il ragazzo prende a raccontare da capo la storia, e Tony cerca di captare le vibrazioni della sua voce. Vuole essere sempre al corrente di come si sentano tutti: solo perché adesso è l’ultimo arrivato non vuol dire che conti solo ciò che prova lui. Peter si stringe le mani in grembo, Pepper tiene una mano sulla spalla di Tony. Happy sembra incapace di decidere se rimanere seduto o in piedi, e continua ad alzarsi per camminare avanti e indietro prima di riprendere il proprio posto. Rhodey e Bruce continuano a scambiarsi sguardi di sottecchi, come se avessero sviluppato una sorta di linguaggio muto, sul quale deve assolutamente fare luce. Trova finalmente un’app che potrebbe fare al caso suo e la scarica, sperando che a Peter non dia fastidio.

Steve, mentre ascolta i dettagli di Peter che lo tira fuori dalla propria tomba, sembra sul punto di svenire. In vita sua ci sono state molte occasioni in cui avrebbe voluto sapere cosa passasse per la testa di Cap, e questa è decisamente una di quelle. Spera di poter riconquistare la sua fiducia – di nuovo – e dimostrargli che non è un qualche robot o un clone o uno zombie, o qualunque altra cosa si stia immaginando. In qualche modo, chissà come, è se stesso. Ed è tornato. Ha davvero bisogno che Steve ci creda, per quanto il tutto possa suonare incredibile.

Alla fine di tutto erano riusciti ad essere fianco a fianco, uniti da ciò che avevano perso. Si è sempre sentito più in controllo delle sue emozioni nell’avere Steve al proprio fianco, e non ha paura di ammettere che è felice di saperlo ancora vivo.


«Quindi, ecco, questo è quanto,» conclude Peter. «Adesso siamo qui.»

Si fa silenzio, a quel punto. Steve fissa Tony con tanta intensità che lui non è sicuro che la chiamata sia ancora in corso, poi lo vede lasciar ricadere in avanti il capo ed esalare un paio di respiri profondi.

«E non ci sono… indizi riguardo alla sua voce?» chiede infine. «Bruce?»

«Non ancora,» risponde lui. «Probabilmente chiamerò Helen per sapere che ne pensa.»

«Non abbiamo nemmeno degli esempi a cui rifarci,» commenta Steve.

Tony avvia la nuova app di dettatura che ha appena scaricato e digita rapidamente un messaggio, alzando poi il volume.


«CIAO UOMO A STELLE E STRISCE,» dice la voce robotica. Suona un po’ come Siri, e all’improvviso gli manca terribilmente FRIDAY. Ecco un’altra cosa sulla quale deve mettersi all’opera: fare il reboot del proprio mondo. «MI PIACEREBBE UN INCONTRO FACCIA A FACCIA, SE NON TI DISPIACE.» Solleva l’angolo delle labbra in un sorrisetto, e Steve butta fuori un respiro, annuendo.

«Tony, io… Dio, è bello rivederti,» dice poi. «È bellissimo rivederti. E sì, ci… saremo lì il prima possibile.»

«NON VEDO L’ORA,» dice la sua app, e vede con la coda dell’occhio il sorriso smagliante di Peter.
 
§
 

È difficile chiudere la chiamata. È difficile cercare di andare a letto. È difficile smettere di far dire cose stupide all’app per far ridere gli altri. Peter gli permette di tenere il suo telefono, poi lo abbraccia per quello che gli sembra un intero minuto. Decidono di dirlo a tutti gli altri il giorno dopo, visto che si è fatto molto tardi, ma Tony già immagina che Natasha lo prenderà a calci quando saprà che ha voluto aspettare per diffondere la notizia.

Gli gravitano tutti attorno dopo aver insistito per farlo andare a dormire, comportandosi da perfetti ipocriti, perché lui sarebbe rimasto sveglio con loro tutta la notte, se solo non gli avessero imposto di andare a letto. Odia quell’espressione che hanno in volto, come se non fossero sicuri di trovarlo ancora lì con loro al mattino. È in quel momento che decide di assicurarsi che sia così, a qualunque costo.

E una volta a letto con Pepper, lei lo guarda per lunghi momenti, si baciano come adolescenti per un po’ e infine lui si ferma, colpito da un tipo di paura del tutto diverso, quel tipo che non l’ha mai fatto preoccupare prima. Ma non è mai stato morto prima d’ora, non ha mai avuto una seconda prima notte nello stesso letto della sua fidanzata prima, non ha mai creato lui silenzi imbarazzanti invece di riempirli.

Chiude con forza gli occhi, con la fronte premuta contro la sua.


«Va tutto bene,» sussurra lei, accarezzandogli la guancia. «Stai bene, stiamo bene… hai solo bisogno di dormire. Rilassati e basta.»

Lui annuisce e lei gli si accoccola contro, stringendolo a sé.

«Ti amo,» gli sussurra. «Ti amo tantissimo. Grazie. Grazie per essere tornato da me.»
 
§

 
Quando Pepper si addormenta, lui si rimette in piedi. Prende le lettere e il telefono di Peter e si dirige in laboratorio. La luce si accende con un ronzio un po’ stentato e immagina che nessuno entri qui da un bel po’. La polvere aleggia nell’aria e gli riporta alla mente brutti ricordi, così posa il telefono e le lettere e si mette al lavoro. Si rifiuta – si rifiuta – di farsi prendere dall’emozione per Dum-E e U – ma permette loro di aiutarlo più del dovuto mentre costruisce e programma il nuovo robot che gli starà attaccato alle calcagna per parlare al suo posto finché non sarà in grado di farlo da solo.

Dovrebbe essere felice. Dovrebbe essere al settimo cielo. Invece sente una bizzarra tristezza mista a dolore che lo avvolge e non riesce a spiegarsela, non riesce a scrollarsela di dosso. Guarda i telegiornali. Una notizia su una fuoriuscita di petrolio. Una su un incendio nel Bronx. Una su un rapimento.

Costruisce il robot come se fosse lui stesso una macchina; pondera se lasciargli captare le sue onde cerebrali per poi realizzare che è un’idea stupida, perché finirebbe per dire anche ciò che non vorrebbe fargli dire. Lo rallegra un po’ il fatto che Peter penserà che questo affare sia il suo droide personale, e in effetti somiglia un po’ a BB-8. È una piccola sfera nera che lo segue rotolando; lui ha il telecomando col quale digitare le proprie risposte con delle scorciatoie sui tasti. Conclude che basterà, per il momento, finché non risolveranno il suo problema. I suoi problemi, che sembrano un abisso di disperazione. Buio e vuoto, senza fondo, come la morte. Non sa come riusciranno a risolvere un qualcosa del quale non sanno assolutamente nulla.

Finisce di imparare il linguaggio dei segni, in caso il robot non dovesse funzionare. Gli ci vogliono un paio d’ore per stiparlo nel proprio cervello, per memorizzarlo ed esercitarsi, e osserva le ore che ticchettano via finché la fievole luce del mattino inizia a filtrare a poco a poco dalle finestre. Compila un biglietto riassuntivo per tutti gli altri, con quelle che spera saranno frasi comuni.

Si ritrova a orbitare attorno alle lettere. Si siede per terra contro il muro, e quando comincia ad aprire la prima si sente come se si stesse intromettendo in qualcosa di non suo – come se fossero destinate a una versione di se stesso che non esiste più. Si sfrega la nuca e non si ferma.

C’è una sola lettera nella prima busta, ed è di Pepper. È la sua carta da lettere personale ed è un po’ spiegazzata, come se fosse stata incerta nell’usarla; tra le sue mani gli sembra fragile.


Eri tutto ciò che avevo, questa era la mia paura più grande, e adesso è accaduta e vivo in un mondo nel quale è reale, si è realizzata, e lo odio, Tony, lo odio con tutta me stessa. Lo odio. Volevo passare tutta la mia vita con te. La mia vita non è la mia vita senza di te. Dio, non riesco nemmeno a scrivere, sentivo semplicemente di doverti lasciare qualcosa ma riesco a malapena a respirare, a compiere i gesti per farlo, per fare qualunque cosa, e non riesco a credere di doverti lasciare andare. Non ne sarò capace.
Ti amo con tutta me stessa. Amo il modo ridicolo in cui tieni la forchetta. Amo le tue omelettes, il fatto cha tu ci metta tantissimo a preparare qualsiasi piatto. Amo quando porti le magliette a maniche lunghe che ti coprono le mani. Amo quando dici il mio nome. Amo la tua dolcezza, la tua bontà, la tua forza. Il fatto che ci provi sempre con tutto te stesso.
Ti rivoglio qui. Ti voglio qui, ti voglio qui. Voglio fare quella stupida vacanza sulle Alpi che dovevamo ricreare. Non respiro senza di te, Tony. Non ci sarà mai un altro te. Mai, mai, mai e poi mai. Quando chiuderò gli occhi sarò tra le tue braccia.
Ti amerò per sempre.
Tua Pepper.



Risucchia un respiro compresso, ed è lui a non respirare, ora. Si sente annegare. C’è l’impronta di un bacio accanto al suo nome e rilascia un colpo di tosse, cercando di controllarsi, di non essere morto, di non essere quella persona che hanno messo in una cassa sepolta sottoterra. Non riesce a dormire, perché somiglia troppo all’essere morti.

Maneggia la sua lettera con cura e la posa sul pavimento accanto al suo ginocchio, vicino al robot che, chissà come, sembra fissarlo con aspettativa.

Apre l’altra busta e dentro ci sono tre fogli distinti: il primo è di Happy. Sono solo due righe.


Non smetterò mai di guardarti le spalle, amico mio. Grazie per avermi dato una casa.
Con tutto il mio affetto,
Happy.



Tony serra la mandibola e scuote la testa. Odia se stesso sempre di più con ogni parola che legge. Di solito Happy ha molto di più da dire e, se pensa alla sua reazione di oggi, si sente come se avesse ucciso qualcosa dentro di lui quando se n’è andato. La lettera successiva è di Rhodey, e sembra che sia stata accartocciata più di dieci volte prima che qualcuno gliela sottraesse per sigillarla nella busta.


Ricordi il nostro secondo anno? Della triennale? Quando qualcuno ha riempito la Kia della Professoressa Hick con della schiuma da barba e hanno dato la colpa a te, e hai dovuto pagare la pulizia e sei andato su tutte le furie perché era uno scherzo stupido e assolutamente non al tuo livello? Beh, sono stato io, e ho fatto apposta uno scherzo cliché e patetico perché avevi detto a Colleen Henderson che dormivo con gli orsacchiotti. Eri il peggiore e ti volevo un bene dell’anima.
Eri il mio migliore amico. Non so come affrontare i giorni che mi aspettano. Ho sempre pensato che avresti continuato a schivare la morte per un soffio, ma alla fine ti ha preso. Ma quel bastardo è morto, Tony. È morto, è morto grazie a te, ed è qualcosa. So che mi prenderesti in giro per quello che sto dicendo, ma per me è stato un onore poter essere lì per te, alla fine. Sono grato di essere stato lì accanto a te. E so che sarai lì quando verrà la mia ora, ad aspettarmi su una soffice nuvoletta o qualcosa del genere, pronto a farmi da guida.
Mi manchi da morire. Ci manchi così tanto da far male. Grazie per essere stato parte della mia vita.
Ti voglio bene, amico mio. Per sempre.
Rhodey.



Tony la mette da parte sopra alla lettera di Happy e si copre il volto con le mani. Lacrime bollenti gli scivolano lungo le guance e le lascia scorrere. Ha pianto più nelle ultime sette ore che in tutta la sua vita. Una nuova vita, piena di sensi di colpa e pianti. Almeno i sensi di colpa sono familiari. Gli batte forte il cuore per la prossima lettera, perché sa che è da parte del ragazzo. Sospira asciugandosi gli occhi, e abbassa lo sguardo per leggerla.


Caro Tony,
Non so cosa dire. Sei stata la mia persona preferita da quando ero bambino. Sei sempre stato il mio idolo, l’ideale al quale ho sempre aspirato, quindi avere la possibilità di averti nella mia vita mi è sembrato un sogno, e mi ha fatto sentire più forte di quanto non mi sia mai sentito prima. Anche di quando ho capito di essere un supereroe. Ma sono abbastanza sicuro di essermi affezionato troppo, perché mi sento come se qualcosa mi stesse strappando in due.
Mi dispiace che tu sia morto per colpa mia. Vorrei non essere mai scomparso perché così forse saresti rimasto, forse le cose sarebbero andate diversamente. Mi dispiace tantissimo. E mi dispiace di aver pianto così tanto, quando stavi... quando stava succedendo. Mi dispiace tanto. Ma non riuscivo a realizzarlo, non riuscivo ad accettarlo, ancora non ci riesco. Eri come un padre per me, mi hai fatto sentire più forte di quanto avrei mai creduto di poter essere, hai ritagliato del tempo nella tua vita frenetica e mi hai fatto sentire importante. Come se valessi il tuo tempo. Ho perso i miei genitori, ho perso Ben, e ora ho perso anche te. Non so cosa ci sia di sbagliato in me, perché l’universo continui a portarmi via le persone che amo. Adesso ho paura di perdere May. Anche lei è triste che tu non ci sia più. Ha pianto, ma non tanto quanto me.
Mi manchi già tantissimo e sono passati solo due giorni. Non riesco a immaginare il resto della mia vita senza di te, con la distanza tra noi che cresce. Farò tutto ciò che posso per essere migliore.
Mi dispiace. Mi dispiace tantissimo, mi manchi e ti voglio bene, Tony. Grazie per tutto ciò che hai fatto, per me e per Spider-Man. Grazie per essere stato il mio eroe.
Peter.



Tony rivolge lo sguardo al soffitto. Forse sta per svenire. Questo povero ragazzino che si prende tutta la colpa. Non riesce a crederci. Si sente male. Gli serviranno almeno ottocento abbracci da parte di tutti loro, domani, e spera che apprezzeranno questa nuova versione migliorata e iper-affettuosa di Tony Stark.

Apre l’ultima lettera, perché adesso deve arrivare fino in fondo. È una foto. Con lui e i Vendicatori, scattata a quella festa a cui si sono ubriacati tutti e Thor ha sfondato un tavolino. Aveva rifilato a Steve la roba forte di Asgard, e Steve non riusciva a smettere di ripetere che adorava i loro vestiti e le stelle nel cielo quella sera e il modo in cui Tony aveva sistemato il pavimento del soggiorno. Natasha e Clint si erano quasi uccisi a vicenda giocando a Mario Kart e Tony aveva portato in giro Bruce a cavalluccio mentre lui gli rideva come un bambino nell’orecchio. Nella foto sono in salone, addossati gli uni agli altri, Thor con la testa sulle sue gambe, Bruce che schiocca un bacio sulla guancia a Steve, Natasha piazzata dietro Tony con il chiaro intento di prenderlo per il collo e Clint accoccolato addosso a Steve mentre dorme beato.

Tony la fissa, col cuore che incespica. Sa che l’ha scattata Pepper, ed è una delle sue foto preferite. L’hanno stampata in bianco e nero, piegandola delicatamente per farla entrare nella busta; quando la tiene in una certa angolazione nota il messaggio sul retro. La gira.


Saremo sempre con te.


È la grafia di Steve. La riconoscerebbe ovunque. Scuote la testa, continuando a fissarla finché non ha l’impressione di sprofondare tra le maglie del tempo. Crede che niente potrebbe distoglierlo dalla sua bolla di felicità, dolore, morte e rinascita, e la vera portata di quello che tutti provano per lui, venuta alla luce quando lui era morto e sepolto teoricamente per sempre.

Solo che poi vede con la coda dell’occhio lo schermo della TV in muto.

Il titolo recita TONY STARK È RISORTO DALLA TOMBA? e la frase sottostante VIDEO MOSTRA EVENTI SCIOCCANTI IN ATTESA DI VERIFICA ALLA TOMBA DI TONY STARK.

Quasi sente il cuore che gli cade fuori dal petto. È un video sgranato dalla fotocamera di un telefono, ripreso da qualche parte tra i cespugli del cimitero, ma è chiaro cosa stia accadendo. Hanno ripreso tutto. Peter là in piedi che fissa la terra smossa, nel panico. Poi la mano di Tony che sbuca fuori dal terreno. Peter che lo tira fuori e rimangono seduti lì; poi il video passa a Pepper, Rhodey e Bruce che arrivano per portarlo via. Mostrano il filmato all’infinito.

Tony serra gli occhi e preme accidentalmente uno dei tasti-scorciatoia sul telecomando del robot.


«Oh, cazzo,» dice la piccola sfera nera.


 
§



Tradotto da Lazarus, come forth - Chapter 3 di iron_spider da _Lightning_


Note:

[1] Daily Star: una rivista di gossip britannica.


Note della traduttrice:

Cari Lettori,
arrivo ad aggiornare fuori tempo massimo; perdonatemi ma è stato un mese crudele nonostante non fosse Aprile e ho favorito altri progetti alle traduzioni.
Ringrazio tutti voi che leggete, seguite e aggiungete alle liste: non dimenticate di lasciare kudos all'autrice originale!
Alla prossima, spero con più puntualità,

-Light-



 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 


Tony rimane a guardare per un po’ il servizio, dando silenziosamente addio alla sua privacy, poi sale con riluttanza al piano di sopra per svegliare Pepper e trovare un modo per gestire la situazione. Il tutto divampa come un incendio, cresce e cresce finché non sente ne il peso che lo comprime da tutte le parti, schiacciandolo a terra.

Circa un’ora dopo la fuga di notizie, scopre chi l’ha tradito: un guardiano del cimitero di nome Randall Dour. Non è un supercattivo, né Thanos in persona tornato per vendicarsi in modo subdolo, né una sua ex spuntata fuori solo per gettar fango sulla sua tomba… no, solo un innocuo guardiano con un occhio pigro che inizia a rilasciare interviste, che parla troppo. Tony, in vita sua, ha visto in Pepper le più svariate sfumature di rabbia, ma non l’ha mai vista così furiosa. La stanchezza che le cerchia gli occhi è evidente, e lui in parte si sta pentendo di aver passato mezza nottata sveglio deprimendosi a morte. Le parole delle lettere gli echeggiano in testa, e quando pensa troppo a ciò che gli hanno detto si sente un bambino intrappolato in fondo a un pozzo mentre cerca disperatamente di arrampicarsi fuori.

Ha iniziato a fare brutto tempo da quando la notizia si è diffusa, e i rombi dei tuoni continuano a farlo sobbalzare. A volte, si chiede se il mondo voglia davvero il suo ritorno.

“Bene, è stato licenziato,” dice Pepper, digitanto meticolosamente sul computer. “E sto anche cercando di accusarlo per aver filmato un minore senza consenso.”

Tony alza lo sguardo. Peter è in cucina con Rhodey; osserva entrambi mentre cercano di cucinare delle uova alle cinque del mattino solo per lui. Si sente in colpa per il fatto che adesso siano tutti svegli a causa di questo sviluppo idiota in una situazione già abbastanza folle. Vorrebbe solo sentirsi di nuovo normale. Vuole la normalità. Odia quest’imbecille che si è lasciato prendere la mano decidendo di diventare ricco sfruttando la sua resurrezione, e odia – odia – il fatto di non avere il controllo su come il tutto è venuto alla luce.

Non sanno ancora abbastanza, ci sono ancora troppe domande irrisolte perché il mondo venga a conoscenza di questo casino. Ma sa che Pepper non ha né confermato né negato nulla… non che possano effettivamente negarlo, soprattutto ora. Nonostante la scarsa qualità del video, è maledettamente chiaro cosa sia successo. È chiaro che sia proprio lui, Tony Stark, e che sia sbucato fuori dalla propria tomba. Detesta vedere Peter coinvolto in tutto ciò, col suo volto diffuso ovunque in questo giro di gossip particolarmente nocivo.

La TV in salotto è spenta perché è già stufo di guardarla, anche se immagina che dovranno riaccenderla, prima o poi. Osserva Pepper che manda e-mail e scrive messaggi, con una linea corrucciata tra le sopracciglia. Controlla il robottino in modo che rotoli accanto a lei, dandole poi dei colpetti alla gamba per richiamare l’attenzione.

Scusa, scusa,” gli fa dire, rotolando avanti e indietro sul posto. Lei abbassa lo sguardo, fissando il congegno in cagnesco per un secondo prima di passare a lui. Non è certo che le piaccia, quel robot. Non riesce a capirlo, visto che l’intera situazione è sottosopra, al momento.

“Non osare scusarti per qualcuno che ha violato la nostra privacy,” dice poi, le parole aguzze. “Non m’importa se ha visto un raggio d’energia che sbucava dal sottosuolo; è un cimitero, è… insomma, è quello che è!” gesticola con veemenza, con le mani che tagliano l’aria fino ad atterrare in grembo con uno schiocco. Le si stanno infiammando le guance, coi solchi sulla fronte sempre più profondi. La ama quando è arrabbiata, soprattutto quando non è arrabbiata con lui, ma adesso cerca di non soffermarsi troppo su quel pensiero. “Non sono affari suoi! Come si permette di condividere qualcosa del genere col mondo intero e scatenare questi pettegolezzi? È rivoltante.”

Tony sospira. Il robot dice “pettegolezzi?” e Pepper serra la mascella.

“Non m’importa se sono veri,” replica. Le si incrina un poco la voce e poi scuote la testa. Fissa il robot, come se lo stesse analizzando, per poi incontrare i suoi occhi. “Non è giusto. E so che non sempre tutto è giusto, ovviamente, ma… odio… la razza umana. In questo momento. E la maggior parte delle volte.”

Tony annuisce. La capisce. Stava già covando la sua buona dose di timori per ciò che sarebbe accaduto in futuro: gestire le reazioni, i contraccolpi, la gente che avrebbe voluto dissezionarlo e usarlo per i suoi esperimenti, ma adesso devono giostrarsi con la stampa che si dà alle speculazioni prima ancora che lui abbia dato la notizia di persona. A volte vorrebbe non essere Tony Stark. A volte pensa che un banale Joe Smith sarebbe meglio. Se fosse un Joe Smith, a nessuno fregherebbe nulla nel vederlo tornare dalla tomba. Potrebbe morire e resuscitare più volte e nessuno lo saprebbe mai.

Essere famosi fa schifo.

“Per ora terremo la bocca chiusa,” dice Pepper, distogliendo rapidamente lo sguardo, e Tony sa che sta pensando che, adesso, lui ha sempre la bocca chiusa. “A chi importa quello che dicono? Non importa. Non volevamo esporci al riguardo, e quindi non lo faremo. Finché non vorremo. Voglio solo mandare a gambe all’aria questo stronzo.”

Non fa niente,” dice Tony, tramite il robot. “Il video ha già fatto un milione di visualizzazioni su YouTube, e sono in salita. Sono nei trend di Twitter. E anche tu. E anche War Machine e Hulk.” Tony è terrorizzato al pensiero che qualcuno scopra chi sia Peter. È un pensiero che gli pesa in testa ed è un macigno, esattamente come tutto il resto, e ha impostato una decina di allarmi per informarlo nel caso qualcosa dovesse trapelare.

Fuori, la tempesta imperversa.

Pepper sospira, sprofondando nel divano e pizzicandosi il ponte del naso. Tony si avvicina scalando di un posto, accostandosi e premendole un lungo bacio sulla guancia. Le fa il solletico sul collo col naso e a lei scappa una risatina, lasciando scorrere una mano sul suo fianco. Vuole dirle che la ama. Vuole dirlo lui stesso, e non con la voce metallica e acuta di un adorabile robottino nero.

“Okay, questo è decisamente, uh… troppo cibo,” annuncia Peter, avvicinandosi con un vassoio gigante e facendone tintinnare il contenuto ad ogni passo. Rhodey è subito dietro di lui, con un vassoio simile.

“Pepper,” interviene Rhodey. “Sono furioso. Il ragazzo sa cucinare e ce l’ha nascosto per mesi.”

Peter scrolla le spalle, ma non dice nulla e posa il vassoio sul tavolinetto di fronte a loro. È una colazione enorme, con uova al tegamino, toast alla cannella, pancakes, waffles, hash browns [1] e bacon. Pepper la fissa a bocca aperta, ridendo mentre Rhodey ne serve ancora, e regala un sorriso meraviglioso a Tony, che dal canto suo lo salva immediatamente in una foto mentale.

“Wow, ragazzi,” commenta Pepper. “Grazie… farete meglio ad aiutarci a finirla.”

“Ovvio,” replica Peter, scansandosi con aria fiera. Getta uno sguardo verso la mattinata piovosa. “Ho pensato che ci meritassimo qualcosa di bello, oggi.


Ben fatto, ragazzino,” dice il robot, e Peter s’impettisce. Tony è lieto che Pepper sembri abbastanza distratta dalla colazione da distogliersi per un attimo dall’urlar dietro alla gente per la questione della notizia. Lui è stressato, sono entrambi stressati, ed è bello poter pensare alle uova e ai pancake per qualche minuto, invece che alla morte e ai giornalisti idioti. Cerca di fingere che questo sia un momento del prima – prima di Thanos, prima che Peter sparisse. Un puro, perfetto momento nel quale non ci sono cattivi: solo le persone che ama e la sua colazione. E se volesse, potrebbe parlare. Ha ancora la sua voce.

“Dove sono Bruce e Happy?” chiede Pepper, allungandosi per prendere un toast.

“Happy sta facendo la doccia, e ha detto che sarebbe stata la doccia più veloce di sempre,” risponde Rhodey, aggirando il tavolino e collassando sul divano. “E Bruce sembrava al telefono, quando l’ho cercato prima.”

“Con chi?” chiede Pepper.

“Non sono sicuro,” dice Rhodey, afferrando uno dei bicchieri di succo d’arancia. “Ma stava alzando un po’ la voce.”

Tony ha un paio di ipotesi, la prima delle quali Natasha che, probabilmente, se la sta prendendo con lui per non aver condiviso il segreto. Questa notizia si sta rivoltando contro di loro. Sprofonda ancora un po’ nel divano e assottiglia lo sguardo verso Peter, ancora in piedi. Il ragazzo sembra stranamente sulle spine ogni volta che crede di non essere osservato. Incrocia il suo sguardo e lui si stampa in faccia un sorriso, così gli fa cenno di sedersi. Lui acconsente, non prima di aver dato un paio di pacche affettuose al robot.

“Tony, uh,” comincia poi, tormentandosi le mani ed evitando il contatto visivo. “Volevo solo dirti che mi dispiace, uh… avrei dovuto accorgermi di quell’idiota che ci filmava al cimitero. Ero distratto, non ero attento, avrei dovuto e, insomma… mi dispiace, volevo solo dirtelo.”

È come ricevere un pugno in pieno stomaco.

“Peter, no–”

“Non avresti potuto prevederlo.”

Tony gli dà una secca pacca sulla gamba. Gli frulla in testa quella dannata lettera e gli fanno male gli occhi per le lacrime solo al pensiero. Non vuole usare il robot per dire nulla, adesso, perché non gli sembra giusto, né abbastanza significativo, e pensa che non riuscirà mai a scardinare quel senso di colpa dalle mani imploranti di Peter. È inciso nel suo DNA, adesso. Quindi lo guarda e basta, gli passa un braccio sulle spalle e scuote la testa, sostenendo i suoi occhi. Cercando di dirgli, non penserò mai e poi mai che sia colpa tua.

Peter replica con un cenno d’assenso e Tony spera che gli dia ascolto, almeno su questo. È solo colpa di quello stronzo di Dour, e di nessun altro. Soprattutto, non di Peter.

Tony sente i passi di Bruce prima di poterlo vedere, per poi udire un “va bene!” sonoro quasi quanto il tuono che lo segue.

Tony si volta a guardare, così come gli altri. Bruce è al telefono, e sembra sofferente.

“Che succede?” chiede Rhodey, assottigliando gli occhi in direzione di Bruce mentre questi si avvicina a passo di marcia. “Qualcuno ti sta pressando? Se è la stampa, falli parlare con a Pepper, ha passato la mattinata a demolirli uno ad uno.”

Bruce si limita ad alzare lo sguardo, scuotendo la testa. Scosta il telefono dall’orecchio, preme un paio di tasti e volta poi lo schermo verso di loro. Porge a Tony una chiamata di Skype in corso con Natasha e Clint. Tony si affretta a ritirare il braccio dalle spalle di Peter, prendendo il telefono con entrambe le mani. Peter si fa piccolo, uscendo dall’inquadratura.

“Ecco a voi,” dice Bruce, dietro di lui e poggiato allo schienale così da essere visibile. “Adesso piantatela di strepitare, o finisce che mi arrabbio.”

“Cristo santo,” esclama Clint. Natasha rimane in silenzio. Entrambi si limitano a battere le palpebre per un paio di secondi, e Tony si apre in un sorriso sincero. Ogni volta che vede qualcun altro a cui vuole bene, quel dolore ineffabile emerge di nuovo dal centro del suo petto, con il comprensibile ma imbarazzante bisogno di tenersi stretto a tutti loro e non lasciarli mai andare. I capelli di Natasha sono cresciuti, e quelli di Clint sono tagliati corti. Lo fissano entrambi come se fosse un fantasma, e non può fargliene una colpa. È una definizione appropriata per ciò che dovrebbe essere.

Vorrebbe poter dire qualcosa. Qualunque cosa. Riesce quasi a contare tutte le volte che quel pensiero gli si è formato in testa, ribollente, espandendosi fino a conquistare tutta la sua materia grigia con una sola, singola preghiera: voce, voce, voce. Pepper si accosta a lui e inclina lo schermo così da essere nella ripresa, e le loro ginocchia si scontrano. Per un momento, Tony si sente come se potesse cantare. Recitare odi alla sua pelle, alla sua voce, a quello sguardo fiero e protettivo che riserva solo a lui. Per un momento, ha tutto sulla punta della lingua. Quando riporta lo sguardo a Natasha e Clint, ai loro occhi colmi di aspettativa che chiedono risposte, lo sente di nuovo. Come un vetro che si incrina. Come se ci fosse un muro nella sua testa che lui sta abbattendo, lento ma costante, un frammento alla volta.

Il robot si muove avanti e indietro sul posto, come se riuscisse effettivamente a leggere le sue onde cerebrali, la sua pressione sanguigna, e fosse in attesa di qualcosa.

“Scusate se non vi abbiamo chiamato prima,” dice Pepper, poggiando il mento sulla sua spalla. “Non, uh… non ci aspettavamo che la notizia diventasse pubblica. Vi avremmo chiamato stamattina per farvi venire tutti qui e decidere come muoverci, ma il signor Dour ha dovuto complicare le cose.”

“Idiota,” brontola Rhodey.

“Come sta? Tony?” chiede Natasha, sporgendosi verso lo schermo. Deglutisce visibilmente, con gli occhi che scattano tra lui e Pepper. “Tony, come… oddio, come stai?”

Lui scrolla appena le spalle. Ha la tentazione di stringere il robot in braccio come un peluche e lasciar parlare lui: qualunque cosa pur di riempire quel dannato vuoto di silenzio che si sente addosso e lo inghiotte. Alza lo sguardo nel vedere Happy che entra nella stanza, con gli occhi che si fissano su di lui come se non si fosse aspettato di rivederlo lì. Tony alza le sopracciglia verso di lui, sorridendo, e Happy ricambia. Sente Bruce sussurrargli qualcosa riguardo al robot.

“Com’è potuto succedere?” esala Clint, prima che Pepper possa rispondere. “Che diavolo… non credevo questa potesse essere un’opzione ma, merda, l’avremmo scelta da tempo, se solo l’avessimo saputo.”

“Già, davvero,” mormora Peter, quietamente. Tony gli sorride, spingendolo appena con la spalla.

“Sta bene,” dice Pepper. “Solo che non ha voce. Ma ci stiamo lavorando.”

Natasha socchiude gli occhi, scuotendo la testa. “Peter è lì?” chiede.

“Proprio qui,” risponde Peter, appoggiandosi alla spalla di Tony.

“E, uh… Steve lo–”

C’è un tuono particolarmente forte, e Tony se lo sente nelle ossa. Sembra quasi che sia dentro la stanza.

“Dio, questa tempesta è assurda,” commenta Rhodey. “Non si sa nemmeno da dove spunti fuori, non era sui radar.”

Happy a quel punto stringe gli occhi, fissando il proprio telefono. Incrocia lo sguardo di Pepper. “L’hai ricevuto?”

“Sì,” replica secca lei.

Tony si dà un paio di pacche sul ginocchio, cercando di attirare la loro attenzione.

“Uh, l’avviso dice che… la porta sul tetto; qualcuno l’ha aperta. Stando ai filmati si sorveglianza, non c’è nulla fuori dell’ordinario.

“Che succede?” chiede Natasha, avvicinandosi ancora allo schermo.

Tony le rivolge una scrollata di spalle. Qualcuno sta cercando di entrare lì a forza? Ci mancava solo quella.

“Diamine, ora dice che c’è qualcuno nell’ascensore,” esclama Happy, alzandosi.

“Okay,” interviene Bruce. “Rhodey, perché non–”

“Vengo anch’io,” dice al contempo Peter, facendo per imitarlo, ma Tony scuote la testa, trattenendolo.

“Un attimo, Pep, c’è un ritardo nel–”

“Tony!” esclama una voce roboante, e si voltano tutti di scatto. Tony sente il cuore che cade a precipizio per lo shock, ma non per la paura, perché riconoscerebbe quella voce ovunque. Si gira e si ritrova davanti a Thor Odinson che si avvicina a larghe falcate. Non indossa il suo tipico abbigliamento da divinità. Ha un paio di… di jeans, e una t-shirt bianca. Ha ancora i capelli corti, ma la sua barba si è allungata e un po' selvaggia. Quando si avvicina, Tony nota che ha ancora l’occhio di vetro che gli ha dato Rocket.

“Porca miseria, Thor,” esala Bruce, portando una mano al cuore mentre si sorregge con l’altra allo schienale. “Cristo, mi hai quasi ucciso.”

“Maledette falle nella sicurezza,” borbotta Happy, scuotendo la testa e finendo quasi per inciampare nella poltrona davanti a loro. “Dobbiamo sistemare quelle dannate telecamere… sì, assolutamente.”

Anche Rhodey sembra sufficientemente sconvolto, ma Tony è piuttosto felice di realizzare che il tempo non era un segno dell’universo che tentava di rifiutarlo, ma solo Thor irritato per non essere stato messo parte al loro segreto.

“Evidentemente, la Terra ha trovato una cura alla morte,” esordisce Thor, con gli occhi fissi su di lui mentre si avvicina al divano che li ospita.

“Ehi, è Thor quello?” chiama Clint, dal telefono che Pepper gli sottrae di mano. “Non è giusto, così.”

“Ha…” comincia Peter, poi raccoglie le ginocchia al petto come un bambino, sorridendo a tutto spiano all’avvicinarsi di Thor. “Ha fatto irruzione al Complesso!”

“Arriviamo,” conclude Natasha, lapidaria.

“Aspettate,” dice Pepper, “non vi abbiamo nemmeno spiegato–”

E poi la chiamata si chiude. Tony scuote la testa, posando il telefono. Stanno accadendo fin troppe cose insieme, al momento.

“Mannaggia,” soffia via Pepper. “Thor, hai veramente fatto irruzione? Perché non c’era bisogno.”

“Ah, no?” chiede Thor. Sembra che abbia ancora tracce di fulmini sulla punta delle dita.

“Sistemiamo le telecamere,” sospira Pepper.

“Sì, va bene,” risponde Happy. “E dobbiamo arrangiare qualche letto. Penso che saremo presto al completo.”

Tony rilascia un respiro e si alza, approcciando Thor, che ha un’espressione di infantile meraviglia in volto nel vederlo, come se neanche lui riuscisse a credere ai propri occhi.

Annulla rapido la distanza che li separa e lo abbraccia con slancio, sollevandolo in aria. Tony emette uno sbuffo divertito e si aggrappa a lui mentre lo fa volteggiare in cerchio come una bambola di pezza, stringendolo con forza mentre ride roco tra le esclamazioni degli altri. Tony non ha mai veramente avuto la sua dose di bambinerie come questa quando era piccolo, e decisamente non da Howard, e per un istante sente di avere cinque anni, almeno finché Thor non lo posa di nuovo a terra. Gli vuole bene, a questo gigante. Thor l’ha sempre fatto sentire un po’ più vivo, e anche stavolta non fa eccezione.

“È incredibile,” dice il dio, con le mani piantate sulle sue spalle mentre ghigna raggiante. “È incredibile, stupefacente.”

“Non riesce a parlare,” interviene Peter, affiancandosi a Tony. “Non sappiamo perché. Ma per il resto, sta bene.”

Il sorriso di Thor si spegne in fretta, anche mentre arruffa i capelli di Peter a mo’ di saluto. “Questo non va bene,” commenta, guardando alternatamente i due. Il suo sguardo si fissa su Tony e sembra profondamente preoccupato. “Hai sempre così tanto da dire.”

Tony quasi si strozza e gli rivolge un sorriso. Solleva un indice e si volta, allungandosi per prendere il telecomando oltre lo schienale del divano. Sia Pepper che Rhodey lo osservano con sguardi affettuosi, e Tony deve ricordarsi che deve un abbraccio a entrambi anche solo per averlo guardato a quel modo.

Il robot si avvicina rotolando oltre l’angolo del divano e si ferma davanti alla punta degli stivali di Thor.

Però ho costruito questo piccoletto, per il momento,” fa dire al robot. “Quindi… ciao Thor! Mi sei mancato!

Thor lo fissa come se fosse effettivamente mancato a quel congegno, e non a Tony, e Bruce scoppia a ridere, lasciando ricadere il capo in avanti. “Sei molto bravo, con queste cose,” commenta l'asgardiano, spostando l’attenzione su Tony. I suoi occhi si illuminano, brillanti, e lo fissa con intensità, la mascella contratta. Gli stringe la spalla. “Sono– sono immensamente lieto che la notizia sia vera. Che tu sia tornato. Mi dispiace di aver fatto irruzione qui. Se può farti stare meglio, è stato facile solo perché io sono io. Ho fatto in modo di… ricalibrare le vostre serrature e gli impianti di sicurezza. Ero solo molto scontento per non aver ricevuto un messaggio–”

“In nostra difesa,” interviene Peter, proprio mentre Pepper e Rhodey stanno per fare lo stesso. “Quel tipo in TV ha spifferato tutto prima che decidessimo di renderlo pubblico.”

La rabbia ribolle negli occhi di Thor, che si rivolge a Bruce. “Ho visto quell’uomo. Dour, era questo il suo nome? Dobbiamo ucciderlo? Io credo che dovremmo.”

Bruce piazza una mano sulla sua spalla. “Non penso che ci metterebbe in buona luce.”

“Thor, pensiamo alla colazione,” dice Rhodey. “L’ha preparata quasi tutta il ragazzo.”

“Oh,” replica Thor, voltandosi verso quest’ultimo. “Devo preoccuparmi?”

“No,” risponde lui, suonando offeso. “È buona. L’ho assaggiata.”

Thor sorride, e sorride ancor di più quando guarda di nuovo Tony. Gli getta un braccio sulle spalle e Tony sente di nuovo quella sensazione, mentre lo accompagna verso gli altri, mentre Thor chiede altri dettagli sulla sua resurrezione e continua a guardarlo come se fosse davvero importante, come se riaverlo indietro fosse una delle cose più belle che potesse accadere. Vedere insieme lui e Bruce, in questo esatto momento, rievoca il fantasma di quelle notti passate con i Vendicatori, e riesce a sentire l’eco della loro gioia prima che tutto andasse in malora. È la ragione per cui porta la sua squadra così vicina al cuore, per cui li sente come anime affini, come una famiglia. Sente anche l’eco della propria voce, della propria risata. Ci sono così tanti echi nella sua testa, che riverberano e gli si condensano in gola, pronti ad essere ripetuti.

Non vede l’ora di riavere tutti loro assieme. Non vede l’ora che Peter ne faccia parte. Già riesce a vedergli sbrilluccicare gli occhi. Sa che hanno passato del tempo insieme, mentre lui non c’era, ma la reazione di tutti nel riaverlo qui l’ha infine convinto che è proprio lui stesso, l’ultimo pezzo del puzzle. Che forse, senza di lui, era incompleto.

Spiegano a Thor i dettagli. Fanno colazione. La tempesta scema perché Thor non è più irritato per essere stato escluso. Happy continua a fissare Tony come se non riuscisse a credere che sia davvero lì, e alla fine lui quasi lo manda gambe all’aria con un abbraccio per farlo smettere. Pepper continua a seminare devastazione tra i giornalisti e Tony tenta di non pensare all’inevitabile conferenza stampa che dovrà fare senza la sua cazzo di voce. Istiga il robot a rappare per distrarsi e per far ridere gli altri, e Peter ride così forte da farsi uscire il succo d’arancia del naso, e poi ha l’aria di qualcuno mezzo annegato per il paio di minuti successivi, con orrore di Tony. Il telefono del ragazzo prende a squillare quando May vede il telegiornale, e Peter è costretto a parlarci a lungo, fino a dare il telefono a Tony, che la sente piangere nel suo orecchio senza essere in grado di risponderle; pensa che dovrebbero farla venire qui, così che possa vederlo, e riesce a malapena a sentire qualcosa oltre i suoi singhiozzi. Ricevono degli aggiornamenti da Natasha e Clint quando sono a circa tre quarti d’ora da lì e, alla fine, scoprono cosa sta accadendo all’esterno solo quando Happy accende la
TV.

“Cristo,” impreca Pepper, ribollendo d’ira. E ribolle davvero, sembra sul punto di sputare fuoco. Tony prova solo un senso di rassegnazione mentre fissano tutti lo schermo
, e Peter corre a guardare fuori dalla finestra.

Il telegiornale mostra una ripresa da un elicottero fuori dal Complesso, dove la stampa è sciamata accalcandosi ai cancelli. A quanto pare sono tutti accorsi in un’ondata nel corso dell’ultimo quarto d’ora, e da quell’altezza sembrano una miriade di formiche… il tipo di formiche che Tony spazzerebbe volentieri via con un litro di Raid.

Si passa le mani sul volto e vorrebbe urlare, fare qualunque cosa pur di sfogare la frustrazione. Non gli piace questa sensazione, il modo in cui stiano tutti premendo su delle ferite fresche, scavando nella sua psiche, inventando la loro versione dei fatti e degli eventi mentre lo usano come il loro bambolotto zombie personale da vestire a piacimento.

“La sicurezza è già impegnata a sbarazzarsi di loro,” dice Happy, controllando il telefono.

“Non li vedo, da qui,” replica Pepper, digitando qualcosa sul portatile.

Magari dovremmo trasferirci in Canada, come ha fatto Steven,” dice il robot, e Tony solleva le sopracciglia, indicandolo coi palmi come se avesse detto qualcosa di intelligente per conto proprio.

“Non sono sicurissimo che lì gli piaccia,” commenta Thor, affiancandosi a Peter per guardare fuori dalla finestra.

Tony si volta verso Bruce, che scrolla le spalle, negando col capo.

Peter rilascia un sonoro sbuffo. “Posso andare laggiù?”

No.

“No.”

Un coro di no.

Peter incrocia le braccia.

“Però non gli do torto,” dice Rhodey, burbero. “Pure io ho una certa voglia di andare là in armatura e dare loro una lezione.”

Dai il buon esempio,” lo redarguisce Tony, tramite il robot. Sia Rhodey che Peter lo guardano storto.

Rimangono in osservazione in pesante silenzio per un paio di minuti, mentre la sicurezza riesce a rispedirne indietro un paio, ma non intaccano minimamente la mandria di circa cento giornalisti assembrati là fuori, come maledette sanguisughe.

“Steve è qui,” annuncia Pepper, leggendo un messaggio sul telefono. “Lo faccio entrare dal retro.”

“Uh,” Bruce tentenna, fissando la
TV a braccia conserte. “Sei sicura?”

“Sì,” risponde Pepper, stringendo il telefono con così tanta forza che Tony teme possa romperlo come ha fatto Cap. “Perché, cosa–”

“Quella è la sua auto,” dice Thor. Indica la
TV
e poi fuori dalla finestra, avanti e indietro per un paio di volte. Tony non è certo di cosa riesca a vedere, da qui. Probabilmente non molto.

“Cosa?” chiede Peter, spostandosi sulle punte dei piedi.

Tony respira sonoramente dalla bocca, con la ruga in mezzo alle sopracciglia che si fa così profonda da dolergli, quasi. Osserva la telecamera che cambia angolo, più vicino, in mezzo al caos: l’auto di Steve è un SUV nero con vetri oscurati, e avanza direttamente in mezzo alla folla, scansando da parte loro e le telecamere.

“Beh, ormai è arrivato al cancello,” dice Rhodey. “Quindi–”

Tony sente un battito mancato.

Sta scendendo,” fa dire al robot, che non esprime neanche lontanamente il suo sbigottimento.

Tutti i giornalisti prendono a vociare rivolti a Steve non appena esce dall’auto, e lui ha in faccia quell’espressione che ricorda a Tony un genitore deluso. Indossa un completo e si erge più alto di tutti gli altri mentre apre la portiera del guidatore.

Si ritrova circa dieci microfoni puntati in faccia.

“Dovreste vergognarvi, tutti voi,” dice, e parla più forte di quanto Tony si sarebbe aspettato. Le grida scemano attorno a lui mentre guarda in cagnesco la folla. “Come osate presentarvi qui a questo modo? Come avvoltoi? Dopo tutto ciò che quest’uomo ha fatto per voi, per il mondo? Nessuno di voi sarebbe vivo se non fosse stato per lui. Ha letteralmente dato la vita per voi, e voi siete qui, a cercare di spremere fuori una storia dalle sue sofferenze. Questo è vergognoso, è opportunismo–”

“Esatto,” grida Bucky, sporgendosi dal sedile del passeggero per affacciarsi dalla portiera. “Quindi, levatevi dal cazzo.”

Il filmato viene oscurato e passa di nuovo ai reporter stazionati all’esterno, che sembrano significativamente più imbarazzati di prima.

“Ho l’impressione che Steve si sia appena dichiarato a te in diretta,” commenta Rhodey.

Tony sorride tra sé, scuotendo la testa. Apprezza anche l’aggiunta di Bucky, considerando che conteneva una parolaccia, il che è decisamente un tabù per le telecamere. E crede che lui lo sappia, così come l’impatto che avrebbe avuto. È stato un bel gioco di squadra.

“Speriamo che le ramanzine di Capitan America convincano tutti a farsi gli affari propri,” commenta torvo Peter, tornando indietro per sedersi di nuovo sul divano.

Pochi minuti dopo, l’ascensore si apre lasciando uscire Steve. Tony si volta, e lo vede inchiodare in fondo al corridoio. È stata più o meno la distanza da cui l’ha visto quando ha subito il colpo finale – in quell’ultimo paio di istanti in cui ha avuto l’impressione di vedere più chiaramente, come se fosse imbevuto in tutti coloro che lo circondavano, nei loro pensieri ed emozioni, e riusciva a vedere l’esatto punto occupato da ognuno di loro. E ricorda di aver visto Steve, lontano, agghiacciato dall’orrore. Ha condiviso con lui il campo di battaglia in molte occasioni e l’ha anche affrontato, a volte, ma quel momento è scolpito nella sua memoria sopra tutti gli altri, chiaro e brillante. Forse perché è stato l’ultimo.

Si alza, lancia un’occhiata agli altri e nessuno apre bocca, si limitano a fissarlo sorridendo stupidamente. Alza gli occhi al cielo, mentre il robot rotola avanti e indietro di fronte a Happy come un cane da guardia. Tony si avvicina a Steve per salutarlo, come se fosse un giorno come tanti altri in passato, e non il giorno dopo essersi risvegliato dalla morte. Solo un banale martedì.

Anche Steve è silenzioso. Si scansa da parte quando gli si avvicina, facendo perno con una mano sul muro e portando l’altra al petto, e Tony teme che stia per avere un infarto, come aveva detto Peter. Bucky è accanto a lui, con indosso una camicia e un paio di pantaloni formali, e il tutto è fottutamente strano. Ha ancora i capelli lunghi, legati in una coda morbida all’indietro, e fa un sorriso impacciato prima di rivolgergli un cenno col capo.

“Tony,” dice, e il suo sorriso si fa più sincero quando lo guarda davvero. “Sono… sono davvero felice che tu non sia morto.”

Tony ricambia con un lieve cenno d’assenso. Anche lui è felice che Bucky non sia morto, perché sa quanto questo fatto tenda a sconvolgere Steve. Steve, che ha ancora l’aria di qualcuno sul punto di svenire. Ha le guance decisamente verdognole.

Bucky si schiarisce la gola. “Ho, uh– quello che è successo là fuori–”

Non riesce a completare la frase, perché Steve si fa avanti di colpo, avvolgendo Tony in un abbraccio. Si sono abbracciati forse un paio di volte in vita loro, ma Tony chiude gli occhi e si concentra su questa perché, e la cosa non lo sorprende, l’uomo più forte del mondo dà degli abbracci superlativi.

Direbbe di certo qualcosa, se solo potesse. È decisamente uno di quei momenti in cui direbbe qualcosa. Ma non sa cosa diavolo direbbe, se riuscisse a parlare. Steve gli dà un paio di pacche sulla schiena, scuotendo la testa.

“Non dirò niente neanch’io.”

Queste lacrime arrivano rapide e le combatte con tutto se stesso – non può piangere sulla spalla di Capitan America con mezza stampa mondiale fuori dal cancello; hanno sicuramente nascosto un drone da qualche parte.

“È un problema se rimaniamo?” chiede Bucky. “So… so che lui vuole chiederlo, ma non vuole nemmeno imporsi. Specialmente perché, insomma, con tutto quello che…”

Tony si ritrae, guardando negli occhi Steve, e lui scuote la testa, abbassandoli. Tony fa un cenno del capo, e il robot si avvicina, fermandosi impaziente ai loro piedi. Tiene una mano sulla spalla di Steve, digitando sul telecomando.

Potete rimanere quanto volete. PS Questo l’ho fatto io. PS Ho anche imparato il linguaggio dei segni, ma tutti gli altri ancora no.”

Steve ride, ancora commosso. “Devi sempre stare un passo avanti a tutti, eh?”

Cerco solo di stare al passo con voi,” [2] dice il robot, e Tony solleva appena un angolo della bocca.
 
§


Natasha e Clint si fanno vivi una mezz’ora dopo. Tony non può dire di aver fatto molto in vita sua per sorprendere Natasha, in vita sua, e anche stavolta ha la stessa impressione. Anche se hanno parlato, prima, si sarebbe aspettato di vederla più turbata, sulla falsa riga di Clint che sviene quando gli si avvicina troppo e lo guarda meglio – Rhodey la considera una vittoria. Ma Natasha si limita a prendergli il volto tra le mani e a baciarlo sulla guancia, per poi stringerlo come se il suo sollievo cancellasse qualunque altra emozione. Clint riesce finalmente ad alzarsi, pungolato da Thor, e poi gli piange sulla spalla abbracciandolo a lungo. Natasha li osserva e basta, da sopra la spalla di Clint, e Tony non riesce a leggere il libro del suo volto. Abbraccia a lungo anche Peter, e Tony si chiede da quanto non si vedano.

La stampa si è sfoltita poco dopo la strigliata di Steve, e il resto leva le tende quando si fa viva la polizia. Il tono dei notiziari cambia, in seguito: non sono più tanto incentrati sulle speculazioni, quanto sull’empatia, e Tony non riesce a capire se gli piaccia o meno. Non vuole la pietà di nessuno, è l’ultima cosa che vuole dopo un’altra presentazione alla signora Morte, ed è per questo che non vuole fare una conferenza stampa finché non riavrà la sua voce. Sa come deve apparire dall’esterno – piccolo, insignificante, rotto – e non somiglia affatto all’uomo che era. Queste persone – la sua famiglia – hanno il permesso di vederlo in questo stato perché lo rendono più forte, perché lo stabilizzano, perché ogni singolo sorriso di Peter e Rhodey cancella i singhiozzi e l’orrore dei momenti in cui lui stava morendo – e così si sente sulla strada giusta. Hanno il permesso di vedere il suo silenzio, di viverlo con lui, di guardarlo costruire robot e imparare il linguaggio dei segni – e Tony fa una foto di Pepper e Peter che compongono il segno per “ti amo” e cerca di non piangere di nuovo di fronte a tutti loro.

Lo capiscono. Sono comprensivi, gli importa, lo perdonano. Il vasto pubblico, invece, è tutta un’altra storia. Così come la stampa, e ne hanno dato dimostrazione oggi, più volte.

Tony riesce a sentire la propria voce. La sente quando Natasha gli chiede dell’idiota che ha divulgato il video. La sente quando Steve gli racconta del trasloco in Canada. La sente quando quella di Thor si spezza nel parlare del primo mese senza di lui. Lo consolano, condividono ciò che prova, parlano della volta in cui sono andati a mangiare fuori alla prima ricorrenza, al Double Eagle Steakhouse, e si sono ubriacati così tanto che li hanno buttati fuori dal locale. Ovviamente, la notizia ha fatto il giro del mondo, ovviamente Happy ha dato di stomaco in un vicolo, ovviamente Rhodey è stato quasi investito e Peter è stato quasi arrestato per aver bevuto ancora minorenne. Tony cerca di alzare il volume del robot per sgridarli nel sentire che hanno rimediato a Peter un documento falso – fatto veramente male – e sente la propria voce salirgli in gola. È così vicino, così dannatamente vicino, ma non abbastanza da sfondare il muro. È ancora in piedi, con le crepe che si allargano.

Vorrebbe iniziare a condurre qualche ricerca, ma iniziare è la parola chiave. Cosa dovrebbe cercare? Dove? Ha la sensazione che, in passato, gli bastasse lanciarsi nel vivo della questione, ma adesso tutto gli sembra velato, nascosto, come se fosse perso in mezzo alla nebbia senza alcuna via d’uscita.

Deve ricordarsi che è Iron Man. Ma, soprattutto, è Tony Stark. Non c’è problema che non possa risolvere. Deve solo trovare la forza per farlo.

“Quello era il terzo pic-nic,” racconta Clint, poggiando i piedi sul tavolino.

“Sicuro?” chiede Pepper, guardandolo a malapena mentre digita qualcosa sul portatile. “Pensavo fosse il quarto.”

“No, il quarto è stato l’ultimo che abbiamo fatto,” dice Bruce, in piedi dietro la poltrona mentre mangia un sacchetto di patatine “Quando quel paparazzo si è rotto il naso.”

Happy trattiene una risata. “Si è rotto, certo,” commenta. “Tutto da solo.”

“Non è colpa mia se è corso incontro al mio pugno,” scrolla le spalle Natasha. Rhodey sogghigna, annuendo attorno a una cucchiaiata di gelato. Tony adora il fatto di starsene semplicemente seduti insieme a parlare e mangiare. Adesso che la stampa se n’è andata, la giornata è tornata a girare per il meglio.

“Noi eravamo già in Canada, quando è successo,” commenta Steve, scambiando un’occhiata con Bucky. Una cappa di senso di colpa gli cade addosso, in quel momento, ed evita il contatto visivo con gli altri. Il robot oscilla vicino al suo piede come se fosse lui, a voler porre delle domande, e si chiede che storia ci sia dietro quel fatto. Tutti sembrano avere una personale porzione di rimpianti e rimorsi, anche Peter, che se ne sta vicino alla finestra da quando l’ultimo tizio della NBC [3] se n’è andato.

“Immagino che fare pic-nic nel cimitero non sia una grande idea,” osserva Clint, serrando la mandibola.

“Quando sarà tutto sistemato,” interviene Thor, con voce più morbida del solito,
dobbiamo farne un altro. Tutti quanti. Non al cimitero, da qualche altra parte più… bella. Tipo il vostro Central Park.”

“Sarebbe un campo di battaglia per le telecamere,” commenta Steve, ma sta sorridendo

“Ha ragione, però,” dice Bucky, di colpo. “Uh… dovremmo farlo.” Si schiarisce la voce. Tony sorride.

Non pensavo ti importasse,” dice il robot, avvicinandosi alla sua gamba.

“È solo che… mi piacciono i pic-nic,” butta lì Bucky, senza guardarlo.

Tony trattiene una risata e rialza lo sguardo. Peter è stato piuttosto silenzioso, il che non è da lui, e gli ricorda fin troppo la propria versione attuale e sottotono. Spedisce il robot verso di lui, facendolo rotolare proprio contro il suo piede.

Peter Parker. Sei pregato di tornare alla festa. Sei stato convocato.

Peter ride, abbassando lo sguardo sul robot per poi tornare in salotto.

“Il progetto scolastico di Peter, Tony,” riprende a parlare Pepper, guardandolo con occhi brillanti. “È la cosa più bella che–”

“Già, è davvero una roba strappalacrime,” sbuffa Happy, lanciando un’occhiataccia a Peter mentre si siede accanto a Tony. “Me ne ha fatto vedere una parte quando lo sono venuto a prendere a scuola il terzo mese e a momenti ci mando a sbattere in macchina.”

Di nuovo quell’affetto. Lo sente irradiarsi da lui ogni volta che guarda il ragazzo. Tony vorrebbe dare a Peter il mondo, aiutare May a crescerlo e presentargli opportunità che lui stesso non ha mai avuto, solo per dimostrargli quanto lui sia buono e importante. Il cuore di Peter è troppo grande di dieci taglie, e vorrebbe solo vederlo al sicuro, felice. Non vuole che provi il dolore che ha già messo suo malgrado sulla sua strada.

Peter fa segno di no. “Non è ancora fatto per bene. Devo… beh, adesso avrà un finale migliore.”

Tony gli arruffa i capelli e gli strappa un piccolo sorriso.

Poi un portale di apre proprio accanto a Thor. Un portale, in salotto.

“Ma che diavolo..?” esclama Happy, sobbalzando e quasi cadendo dalla sedia.

Tony sa cosa sta succedendo. Ha già visto questo genere di trucchi, e li ha visti fare a un certo mago stronzo… e il suddetto mago stronzo sbuca dal portale, spolverandosi le vesti e guardandosi attorno come se non fosse sicuro di essere nel luogo giusto.

“Bene,” dice Happy, guardando Pepper. “Abbiamo davvero bisogno di un protocollo per i supereroi. Che succede, se uno di quelli che sa fare questo genere di cose viene controllato mentalmente? Il caos, ecco. Tony è tornato, e dobbiamo proteggerlo–”

Che dolce,” commenta il robot, su input di Tony.

“Sono qui proprio per Tony,” dice Stephen Strange, chiudendo il portale dietro di lui con uno svolazzo. Non è cambiato dall’ultima volta che l’ha visto, con mantello e tutto. Si alza, ma Strange gli si sta già facendo incontro, aggirando il divano nello stesso momento senza prestare attenzione a nessun altro.

“Uh, sì, non sono sorpreso, è per questo che siamo tutti–” comincia Rhodey.

“Tony,” esordisce Strange, interrompendolo e un po’ a corto di fiato. “Dobbiamo parlare.”

Tony assottiglia gli occhi.

Niente shock?” chiede il robot, suonando accusatorio mentre sbuca da dietro l’angolo. “Niente abbracci? Niente monologhi su quanto mi ami? So che non abbiamo passato molto tempo insieme, Dottore, ma–

Strange si limita a fissare la piccola sfera nera come se non ne fosse minimamente impressionato. Incrocia di nuovo i suoi occhi. “Dobbiamo parlare da soli.”

Da soli?” gridano tutti quasi all’unisono. Anche Bucky. Tony cerca di non sbottare a ridere. Si sente di nuovo fuori di testa. Ci si sta quasi abituando.

“Uh…” comincia Peter, alzandosi e accostandosi a Tony. “Quello che stava dicendo Happy, riguardo al controllo mentale…”

“Ti assicuro che sono nel pieno possesso delle mie facoltà mentali,” dice Strange, guardandolo a malapena.

“Tony non riesce a parlare,” interviene Pepper, alzandosi ma rimanendo immobile dietro al divano. “Non può, fisicamente. È per questo che ha un, uh, robot, nel caso te lo stessi–”

“Va benissimo,” dice Strange, e sembra serio, motlo serio, anche più del solito. Tony trova il tutto fin troppo strano, e inizia a innervosirsi un po’. Cerca di non darlo a vedere, e di nascondere anche il fatto che condividerà comunque qualunque informazione Strange gli dirà. Almeno con Pepper. Si gira, facendo un cenno d’assenso a quel gruppo di volti ansiosi, e poi fa cenno a Strange di seguirlo, afferrando il telecomando del robot mentre quello gli tiene dietro rotolando.

Tony fa strada lungo il corridoio e poi dentro una delle stanze degli ospiti, che è sicuro finirà per essere occupata stanotte. Entrano e il robot si inceppa mentre cerca di salire sul tappeto. Chiude la porta dietro di sé. Non si è mai immaginato da solo in una camera da letto con Stephen Strange, ma a quanto pare in questo nuovo mondo tutto è possibile.

Lo stregone si pianta i palmi sui fianchi e sembra stordito per un istante, il che lo stupisce, considerando quant’era concentrato poco fa. poi scuote la testa e sospira.

“Prima di, uh… sono contento, sono… molto contento di vederti, Tony,” dice, annuendo tra sé. “il tuo sacrificio, è stato… sei… insomma, sono contento che questo sia stato il risultato.”

Tony non sa come dovrebbe sentirsi, adesso, faccia a faccia con lui, e la sua mente sta sfrecciando in troppe direzioni differenti, come in uno di quei libri a scelta multipla in cui si perdeva per ore da piccolo durante i lunghi viaggi in auto. Intuisce che, qualsiasi cosa Strange debba dirgli, e che deve davvero dirgli al di là di tutto il suo imbarazzo e quell’esordio sentito, è importante.

Cosa è successo?” fa dire al robot. “Sono contento di essere tornato. Molto lieto di non essere morto, ma ho l’impressione che ci sia del marcio in Danimarca [4], dalle tue parti.

Strange sospira. “Circa una settimana fa, c’è stata un’effrazione nel Sanctum. Di solito siamo in grado di fermare questi episodi prima ancora che avvengano, ma questa persona – o persone, non ne siamo certi – sapevano ciò che facevano. Hanno fatto piazza pulita di tutta la sicurezza, si sono mossi come ombre nottetempo e non ho capito cosa avessero rubato fino a quasi un intero giorno dopo. Poi ho capito cosa fosse successo.

Tony sente il cuore che batte furiosamente.

Cosa hanno rubato?” chiede il robot, rotolando avanti e indietro con ansia di sua iniziativa.

“Un libro,” risponde Strange.

Tony sente cadergli la mandibola.

Un libro?” chiede il robot, e sembra quasi che stia cercando di urlare. “Stai dando di matto per un mucchio di scartoffie?

“Un libro di incantesimi,” aggiunge Strange. “Il tipo che non hai mai visto né sentito prima. Il tipo che mi fa sentire estremamente negligente ad aver perso di vista il libro, anche se potrebbe essere proprio il motivo per cui sei tornato da noi.”

Tony lo fissa, mettendo insieme i pezzi.

Aspetta,” dice il robot, e Tony percepisce la sua voce impennarsi ancora. Come un geyser che sobbolle preparandosi ad eruttare verso il cielo. Quasi si sente speranzoso. “Aspetta,” dice di nuovo il robot, e Tony darebbe qualunque cazzo di cosa per poterlo dire lui stesso.

“Non lo so per certo,” dice Strange. “Ma mi sembra la conclusione più logica. Sto ancora lavorando con alcuni miei file di backup criptati, ma sono convinto che chiunque abbia rubato quel libro l’abbia fatto con l’intento di lanciare l’incantesimo di resurrezione per riportarti in vita.”

Quella frase rimane appesa nell’aria come l’alba che preannuncia una tempesta. Tony si sente congelato, privo di forze e bloccato nel momento in cui sa qualcosa di più, ma non abbastanza, e ci sono solo dei piccoli spiragli di luci che fendono il buio. Ma non riesce a connetterli.

Magia. Ovvio, doveva essere per forza magia.

“Si dice che sia l’incantesimo che recitò Merlino per riportare in vita Artù. Quindi sei in buona compagnia, se ho ragione. E la coincidenza di questo tempismo mi porta a pensare di avere ragione.”

Tony scuote la testa e sente un po’ di nausea.

“Ma questo incantesimo,” ricomincia Strange, col chiaro scopo di farlo sentire peggio, “insomma... dalle storie che lo circondano, è pericoloso. Gran parte delle informazioni è andata perduta e sto cercando di reperirne altre, ma non è stato usato per un millennio per un motivo. So un solo dettaglio per certo: mette alla prova la forza della persona che è stata riportata in vita. Se sia degna di essere tornata al mondo, dopo averlo abbandonato. E sapendo della tua voce, ecco… è in sostanza una conferma, almeno per me. Chiunque conosca un briciolo Tony Stark, sa che è un ottimo oratore.”

Tony fa un verso senza volerlo, quasi strozzandosi per la seconda volta in un giorno, anche se, cazzo, stanno parlando di magia, e incantesimi e resurrezioni e Re Artù, maledizione, e di Merlino e di un mucchio di altra roba assurda. Si sente. Completamente. Folle. È tornato dalla morte, e ha lasciato la propria sanità sottoterra.

Quindi pensi…” comincia il robot, anche se non lo sta controllando – la maggior parte delle volte crede che parli per conto suo, e sente quasi un involontario e irrazionale moto di gelosia. “Quindi pensi,” gli fa ripetere, “che chiunque abbia rubato questo libro…

“… sapesse che conteneva l’incantesimo di resurrezione,” completa Strange, facendo brevemente avanti e indietro tra l’armadio e la sua posizione iniziale. “Sapevano che lo avevo io, conoscevano abbastanza bene le mie difese da poterle aggirare e intendevano riportarti in vita, a dispetto dei rischi che comporta l’incantesimo. È troppo, per essere una coincidenza, che accada tutto questo e poi tu torni in vita. È stato per forza rubato per te.”

 
§

 
Non c’è molto altro da dire, dopo. Non ci sono state né conferme né smentite su nessun fatto per tutto il giorno, e quest’ultimo della lista non fa differenza. C’è solo un’aria di forte sospetto, unita a nuove idee e possibilità. Sa che il quartier generale di Strange è strettamente sorvegliato e sprangato, col suo arsenale di sortilegi che tiene praticamente tutto sotto controllo, e si chiede chi diavolo sia stato in grado di aggirarne le difese senza farsi scoprire. Si chiede se abbiano rubato altre cose, se abbiano davvero rubato il libro per lui, per riportarlo in vita, o per qualche altra ragione, e abbiano pensato a lui solo in un secondo momento. No, non può essere: è una decisione troppo enorme, a meno che non stiano riportando in vita la gente a casaccio, ma in quel caso non crede che finirebbe mai nella lista di nessuno.

Strange se ne va, e gli assicura che lo terrà informato nel caso di ulteriori sviluppi. Tony sta già progettando di scansionare
i filmati della scorsa settimanale delle telecamere di sorveglianza sulla strada del Sanctum, e di mettersi alla ricerca di impronte digitali che potrebbero aver lasciato; poi, deve compiere qualche ricerca concreta su questo incantesimo di resurrezione, o qualunque cosa sia, e vedere quali nefandezze salteranno fuori.

Ma prima ha bisogno di una boccata d’aria nei polmoni 
prima di morire lì sul posto. Decide di andare sul tetto senza dirlo agli altri: l’elicottero della stampa se n’è andato e sa comunque che lui non si tratterrà a lungo. Lascia il robot nell’ascensore e gli sembra quasi che lo stia osservando, quando le porte si chiudono. Sente la tentazione di dargli un nome, e continua a oscillare tra uno da cane, tipo Ginger, e uno da umano, tipo Arnold. Ha anche l’impressione di dover sottoporre le proposte al giudizio di Peter, prima di compiere decisioni avventate.

Gli piace pensare a quelle scemenze, invece che alla magia e alla morte e ai misteri irrisolti. A chissà quale incantesimo che sta cercando di metterlo alla prova, visto che è stato riportato in vita. Era ovvio che avrebbe preso la sua voce, era ovvio. Sente che c’è una versione di se stesso imprigionata proprio in mezzo al proprio petto, mentre scuote le catene e si avventa contro le sbarre, urlando per essere liberata fino a farsi mancare l’aria.

Riesce di nuovo a sentire la propria voce. La sente brontolare in gola, sente le vibrazioni sulla punta della lingua. Magari è davvero forte abbastanza. Magari gli serve solo una spinta nella direzione giusta.

E la ottiene quando apre la porta sul tetto e varca la soglia, trovandosi di fronte alla fantastica visione di Peter Parker in piedi sul cornicione dell’edificio, intento a guardare in basso.

Gli balza il cuore in gola ed è come se tutto inizi a scorrere alla velocità dell’iperspazio. Non è Spider-Man, non ha il costume e ciò vuol dire che non ha scusanti, che è solo Peter, Peter in pericolo, Peter vicino alla morte, Peter senza costume, e se cade è finita – è finita – e a Tony servirebbe il suo personale libro di incantesimi di resurrezione, perché non lascerebbe che il ragazzo rimanga morto, assolutamente no, per alcuna ragione al mondo, lo sanno tutti ormai–

Scatta verso di lui con la paura che gli avvolge il cuore, paura di perderlo, di spaventarlo, di fare la mossa sbagliata. Gli fanno male gli occhi e il suo petto è costretto e il suo corpo non ne può più di stare al passo coi suoi continui sbalzi d’umore.

E poi grida. La sua voce ritorna con veemenza, con tutto ciò che ha provato fino a quel momento che vi si aggrappa per poi scagliarla via, nell'aria. Con la parola che in questo momento è più importante di ogni altra, quella che deve essere pronunciata per richiamare l’attenzione di Peter, perché è in pericolo e lui non vola come Tony. Non lo faceva prima. E non lo fa di certo adesso.

Quindi, grida:

“Peter!”

Così forte che a malapena riconosce la propria voce. E Peter si volta, ad occhi sbarrati, stordito dallo sgomento.

E poi sorride. 



§



Tradotto da Lazarus, come forth - Chapter di iron_spider da _Lightning_


Note di traduzione:
 
[1] Gli hash browns sono frittelle di patate comuni nelle colazioni anglosassoni; ho preferito non tradurle in quanto piatto tipico.
[2] Lo “you” inglese può ovviamente voler dire sia “tu” che “voi”. L’ho tradotto come “voi” per mantenere un lieve senso d’ambiguità simile all'originale. Ovvero, Tony potrebbe rivolgersi sia a Steve come singolo, sia a tutti gli altri, includendo comunque Steve nel conto.
[3] National Broadcasting Company, una rete americana.
[4] Citazione all’Amleto di Shakespeare, come da traduzione ufficiale della tragedia.


Note della traduttrice:

Cari Lettori... lo ammetto, mi ero dimenticata di avere questa traduzione in corso.
Ho deciso di riprenderla ora, spinta un po' dalla noia, un po' dal blocco dello scrittore, un po' da quella Guascosaccia di Miryel che mi ha dato l'input mettendo giusto recentemente una sua traduzione (non l'avete letta? Eccola qua!)
Quindi, niente, aspettatevi altri aggiornamenti <3 E non scordatevi di andare a regalare qualche kudos su AO3 all'autrice originale, trovate i link a piè di traduzione!

Grazie a tutti coloro che hanno letto, seguito, aggiunto la storia alle loro liste e/o commentato <3 

-Light-

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


 
Tony non si concentra sul muro che ha appena abbattuto nella sua testa, né sul fatto di aver appena pronunciato una parola – la sua prima parola! – no, adesso la cosa di cui gli importava di più non importa affatto. Adesso si slancia semplicemente in avanti, afferra il braccio di Peter e lo strattona giù dal cornicione.

“Che stai facendo?” urla, trascinandolo lontano, al centro del tetto dove evidentemente è atterrato Thor, visto che c’è un’enorme chiazza bruciata. Ma non gli importa nemmeno di quella. I suoi occhi sono sbarrati mentre cerca risposte sul volto di Peter, ma tutto ciò che trova è sgomento e meraviglia. “Che diavolo stai facendo, Peter? Cerchi di farmi prendere un colpo?”

“Oh, mio Dio, non sono mai stato così contento che tu mi stia urlando contro.”

“Peter!”

“No!” risponde lui, scuotendo con veemenza la testa. “No, no, cercavo di–”

“Cercavi di?” chiede Tony, inclinando di lato la testa. “Di fare… cosa? Cosa, Pete? Di decorare il marciapiede con le tue budella? Di dare alla stampa qualcos’altro di cui parlare?”

“Volevo… spaventarti!”

Tony tace. “Prego? Sono finito in Ai confini della realtà?

Peter risucchia un respiro, aprendo e chiudendo poi la bocca un paio di volte. Ha l’impressione che tutto ciò stia accadendo nel vuoto, e non ha idea di quante volte sia in grado di pensare di essere impazzito prima di perdere definitivamente tutte le rotelle. Ride, perché è assurdo, perché ha davvero funzionato. Scuote la testa e ride di nuovo – ride per davvero, ride davvero perché può. Si sporge verso il ragazzo, prendendolo per le spalle e scuotendolo piano. Peter sembra interdetto, sembra un cervo davanti ai fari di una macchina, ma sorride quando lui continua a ridere.

“Sei… sei uno stronzetto, Parker,” dice infine, dandogli un leggero pugno sul braccio. “È tutto– sei così– così… e poi come diavolo facevi a sapere che sarei venuto qui?”

“Mi sono tenuto nelle vicinanze dopo che ho visto andare via Strange,” dice Peter, con difficoltà. “Ho capito che, uh… so che ti piaceva venire quassù, quando volevi prendere un po’ d’aria, stare un po’ da solo… ho capito dove saresti andato, quindi ho fatto il giro per arrivare prima.”

Tony serra i denti, scuotendo di nuovo la testa. Poi fa un passo verso di lui, passandogli un braccio sulle spalle e puntandogli un indice in faccia. “Mai più. Mai. Più. Capito?”

“Sì,” replica lui, rapido. “Scusa, mi dispiace, io–”

“No no, niente scuse,” lo ferma Tony. “Ma se mi tocca vederti di nuovo sul ciglio di un palazzo, me ne torno seduta stante in quella deliziosa scatoletta in cui avete deciso di seppellirmi, chiaro?”

“Sì, certo,” dice lui, sembrando terrorizzato. “Male, male, quella è… è l’ultima cosa che voglio.”

Tony lo fissa intensamente. “Sei una peste, un folle, sei– sei tremendo. Assolutamente tremendo.” Lo attira in un saldo abbraccio, e finalmente il mondo sembra aprirsi. La giornata è ancora luminosa, mentre cede il passo a una notte fresca. Peter Parker non sta cercando di buttarsi di sotto, tutti coloro che ama solo lì e ha di nuovo la sua voce.

“Tony,” esala Peter, stringendolo, e s’incrina su quella parola.

“Va tutto bene, ragazzo,” risponde lui, cullandolo appena. “Non preoccuparti, non sono– come potrei essere arrabbiato? Merda… posso di nuovo parlare a ruota libera, come ai vecchi tempi. La mia attività preferita: obbligare gli altri ad ascoltarmi.”

Peter ride piano, scostandosi per guardarlo.

“Andiamo, Spidey,” lo incita, spingendolo verso la porta. “Avresti piacere a intrattenere gli altri col tuo mirabolante piano, o vuoi che mi inventi qualcosa io? Considerando che mi hai fatto tornare la voce, sono disposto ad essere flessibile.”

Peter sospira, abbassando lo sguardo mentre si avviano verso la porta sul tetto, che Thor ha chiaramente rotto quando ha fatto irruzione prima. “Sì, uh… d’accordo… penso che possa dirglielo tu.”

“Perfetto, meritano di sapere che sei un genio del male,” decide Tony, sorridendo a tutto spiano e attirandolo un po’ a sé. “Chi l’avrebbe detto?”

Il robot lo sta ancora aspettando nell’ascensore, ma non ha alcuna intenzione di abbandonare quel piccoletto solo perché ha di nuovo la sua voce. Decide con Peter che Neo è il nome perfetto, e decide che Neo continuerà a fargli da voce per distrarre gli altri prima che lui annunci quel nuovo sviluppo, decisamente più entusiasmante dell’ultimo che ha ricevuto.

Li sente chiacchierare tra loro già dal corridoio, mentre Neo rotola di fronte a loro due.

Pepper si volta a guardarli. “Iniziavamo a preoccuparci,” commenta. I suoi occhi si spostano su Peter. “Dov’eravate, voi due?”

“Sul tetto,” risponde Peter, con un’alzata di sopracciglia.

Volevo solo prendere un po’ d’aria,” fa dire al robot Tony. “PS, il nome del robot adesso è Neo, quindi voglio che gli portiate rispetto. Se somiglia anche solo un po’ a colui da cui ha preso il nome, ci salverà tutti.”

“Me lo segno,” dice Steve. “Quel film mi è piaciuto, sul serio.”

“Tutto bene con Strange?” chiede Rhodey, seduto con le mani dietro la testa come se stesse fingendo di starsene comodo. “Mi sa che se n’è andato via di corsa, non è nemmeno passato a salutare.”

Tony non è decisamente pronto a dire loro ciò che gli ha rivelato Strange, perché, in effetti, sospetta di ogni singola persona presente in quella stanza. Anche di Pepper. Se la immagina, Pepper che si addestra in ogni tipo di arte stramba pur di intrufolarsi non vista nel Sanctum. Cavoli, magari hanno agito tutti insieme.

Sì, tutto bene,” dice Neo. “Voleva solo… porgere i suoi omaggi, aggiornarmi su un paio di faccende, va tutto bene.

Rhodey lo fissa come se non gli credesse, quindi Tony decide di distrarlo con qualcosa di un po’ più esaltante. Scambia un’occhiata sfuggente con Peter, e lui sopprime un sogghigno.

“Quindi,” dice Tony, schiarendosi la gola e sfregando i palmi tra loro. “Dobbiamo organizzare questa conferenza stampa. Voglio assolutamente farla qui, e sceglieremo chi invitare basandoci su chi si è vergognato di più dopo il discorso di Steve e l’uso molto eloquente della parola ‘cazzo’ da parte di Bucky.”

Sorride. Tutti loro si voltano all'istante, come se fosse scoppiato un incendio. Lo stanno fissando, ad occhi e bocca spalancati, e adesso è il loro silenzio ad essere assordante. Vorrebbe conservare quel momento per sempre, vuole farlo dipingere o scolpire da qualche parte. Ride, tossendo lievemente e abbassando lo sguardo. È quasi troppo, vedere tutto ciò indirizzato a lui.

Porca troia, Tony–”

“Oddio, oddio–”

“Tony! Tony!”

“Oh… oh, merda… oh merda–”

“Ma che diavolo? Che è successo, cosa–”

“Ti è tornata adesso? Adesso, in questo momento?”

“Cristo Santo–”

“No– come– cosa–”

“Di’ qualcos’altro! Di’ qualcos’altro!”

Si parlano tutti l’uno sopra l’altro come se fossero in un cartone animato, e quell’ultima richiesta arriva da Thor, che si sta alzando dal suo posto con pura esaltazione negli occhi. Iniziano tutti a discutere tra loro, ma stanno ancora sorridendo, ed è una delle scene più ridicole e adorabili che Tony abbia mai visto in vita sua. Peter sorride smagliante accanto a lui.

“Va bene,” li richiama Tony, alzando le mani. “Questo tipo qua, proprio lui,” continua, stringendo la spalla di Peter per attirarlo a sé, “ha deciso di affrontare il problema come se fosse un grave caso di singhiozzo… e mi ha spaventato a morte fingendo di volersi buttare giù dal palazzo.”

A quel punto, tutto il loro shock viene incanalato verso Peter: Natasha e Clint sembrano due genitori delusi, Pepper e Happy virano più sul turbato, Steve sul preoccupato. Gli altri, forse, sono un po’ orgogliosi, Tony non saprebbe dirlo.

“Sentite, ha funzionato!” dice Peter, alzando i palmi. “E ho un ottimo equilibrio!”

Borbottano tutti tra loro, ma Rhodey sembra decisamente fiero di lui.

“Wow, Pete,” si limita a dire, scuotendo la testa. “Wow.”

“Bene, direi che a questo punto mi sono proprio guadagnato un bell’abbraccio di gruppo,” conclude Tony, allargando le braccia. “E preparatevi all’eterno suono della mia voce: non mi zittirò mai più. Mi metterò a cantare, a recitare opere e poesie…”

“Penso che stia bene a tutti,” dice Pepper, mentre si alzano dal divano per andargli incontro a braccia aperte. Con sua sorpresa, anche gli altri mormorano frasi d’assenso.

“Devi cantare di nuovo Donna Summers,” dice Steve, con un gran sorriso. “È uno dei ricordi più belli che ho di te.”

Tony trattiene una risata. Lui se lo ricorda appena. Ricorda solo Steve che soffocava dal ridere e Clint che gli gridava di chiudere il becco.

“Magari qualcuno ti permetterà di finire di cantare, stavolta,” commenta Natasha, dando di gomito a Clint mentre si accostano tutti a lui.

“Già,” concorda Clint. “Stavolta sì.”

“E anche le poesie,” aggiunge Rhodey, con un sorrisetto vagamente malefico. “Tony scriveva delle poesie… molto speciali, al college…”

“Okay,” interviene Tony, afferrandolo e tirandoselo vicino. “Facciamo di no. Facciamo mai.”

Non sono mai stati tipi da abbracci. Tony di certo non lo era, ma non c’è niente che desideri di più in questo momento. Si affollano tutti attorno a lui, e sa che Peter adora questo genere di cose, ama gli abbracci, e gli si preme contro più vicino che può, con Natasha subito dietro. Si stringono forte e rilasciano un sospiro felice, e Tony sorride a tutto spiano, con le guance indolenzite.

“È fantastico,” rimbomba solenne la voce di Thor. “Abbracci di gruppo. Che meravigliosa emozione.”

“Questa è una di quelle situazioni che… in cui non mi sono mai immaginato,” commenta Bucky, da qualche parte dietro Steve.

“Beh, ora sei qui, cowboy,” risponde Tony. E ne è lieto. Passa una mano sulla schiena di Peter, ascoltando Bruce che ride quando Clint gli punzecchia un fianco. “D’accordo. Ancora un minuto così, poi si cena e poi si parla della conferenza. Rapida e sentita, domattina. Niente domande. E stasera, pigiama party.”

Sente il rumore di una macchinetta che scatta, poi Happy che si schiarisce la voce.

“Hap, hai appena fatto una foto?” chiede Tony, sorridendo.

“Esatto,” dice lui, disinvolto. “Un selfie. Per il ragazzino, so che ne vuole uno.”

“Grazie,” mormora Peter, ancora accoccolato contro Tony.

 
§

 
Tony, in seguito… non la smette un attimo di parlare. Dà voce ad ogni pensiero che gli passa per la testa, salta dal commentare le crepe sul muro, a quale tipo di riso sia migliore, al criticare le nuove scelte d’arredamento di Pepper, fino a dissezionare scena per scena vecchi episodi di I Love Lucy, che stanno guardando al posto dei telegiornali. Tony e Peter fanno una videochiamata con May, mentre Pepper e Happy organizzano la conferenza stampa, e Tony non se ne sente più terrorizzato. A quanto pare, ha riconquistato le proprie forze.

Osserva tutti con attenzione e  si sente un po’ in una partita di Cluedo. È stato Peter col candelabro nello studio? Rhodey col revolver nella sala biliardo? Steve con il manubrio nella biblioteca? Thor con un libro nel Sanctum? Non crede che Thor riuscirebbe mai a fare qualcosa non in pompa magna, quindi finisce per escluderlo. Ma gli altri – tutti loro – sono ancora nella lista dei sospettati. Non riesce a capire perché non dovrebbero dirglielo. Senso di colpa per aver commesso un furto? Preoccupazione perché l’incantesimo è antico e pericoloso? Paura che qualcosa possa ancora andare storto?

Tony cerca di carpire i loro sguardi, in cerca di qualunque dettaglio che potrebbe tradirli. Sa che potrebbero essere stati loro – o magari un tizio a caso da qualche parte nel mondo. Un supercattivo che vuole riportarlo in vita solo per ucciderlo di nuovo. Qualcuno intenzionato ad usarlo come cavia da laboratorio. Qualcuno che vorrebbe sapere cosa c’è dall’altra parte.

Gli fa male la testa, se ci pensa troppo.

Ordinano del cibo thailandese da asporto, e il fattorino ci rimane malissimo quando gli permettono di arrivare con la macchina solo fino al primo check-point. Dopo mangiato Tony fa sistemare tutti nelle loro stanze, ed è allora che scopre che Steve e Bucky hanno bisogno di un solo letto.

La cosa lo manda stranamente nel pallone, e quasi sente di stare per perdere di nuovo la voce. “Oh,” commenta, schiarendosi la gola. “Oh, oh… okay, seguite… seguite me, da questa parte, vi fornisco un, uh– due letti alla francese [1]– cioè un kingsize. Un kingsize, ecco qua, fiù, proprio qui dentro.”

“Grazie, Tony,” dice Bucky, senza guardarlo. “Vado un attimo al bagno.”

“Certo, certo,” replica Tony, e quando Bucky se ne va, rimane da solo con Steve. C’è un breve ma intenso silenzio, e Steve ha un sorrisetto in faccia. “Quindi… quindi è ufficiale,” dice Tony, mordicchiandosi il labbro.

“Già, non volevo… non mi sembrava il momento per dirtelo,” dice poi, poggiandosi allo stipite con le braccia incrociate.

Tony imita la sua posa. “E da quanto è ufficiale?”

“Da… circa una settimana dopo che sei m– andato via,” risponde, guardando brevemente a terra. A nessuno di loro piace molto pronunciare le parole “morto” e “morire” riferite a lui, e gli sembra un gesto carino.

Serra la mascella. “Sono felice per voi,” si esprime, annuendo e facendo finta che il tutto non l’abbia lasciato di sasso. “Ve lo meritate, vi meritate... insomma, una relazione. È solo che… cioè, è davvero un mondo nuovo. Capitan America vive in Canada e sta con un uomo. Sai, sono contento che– di essere tornato per vedere tutto ciò. Nel senso, voi. Contento, ecco.”

“Sono contento che tu sia tornato, punto,” ribatte Steve. Per un istante gli sembra giovanissimo, mentre si sente scrutare in volto dai suoi occhi, come se non ci credesse ancora abbastanza. “Diciamo che non, uh… non avevo mai pensato che la pensione sarebbe rientrata tra le mie scelte, ma dopo quello che ti era successo… beh, è stato semplicemente troppo difficile. Bucky non voleva più sapermi in pericolo, Natasha e Sam nemmeno… è ancora– ancora difficile accettare che ci siano delle situazioni in cui potrei rendermi utile e invece me ne sto… in Canada, come uno stronzo–”

“Ti capisco,” lo interrompe Tony, rapido, con la gola un po’ costretta mentre entrambi evitano di guardarsi negli occhi. “Davvero, non so davvero cosa avrei fatto se fosse toccato a te, o a qualcuno degli altri… hai visto cosa mi è successo con Peter–”

 “Sì, anche quello,” dice Steve, alzando infine lo sguardo. “Sento che… in un certo senso, abbiamo tutti vissuto un momento in cui eravamo paralizzati, bloccati nel nostro dolore e in una situazione insopportabile… ma l’abbiamo risolta. E credo che avremmo dovuto… insomma, provo anche un po’ di vergogna. Per il fatto che siamo riusciti a compiere quest’impresa di riportare indietro mezzo mondo, ma non abbiamo– non siamo riusciti a– per te–”

“Ma ci siete riusciti,” commenta Tony. “O meglio, qualcuno ci è riuscito.” Allarga un poco i palmi, con un gesto a indicarsi. “Sono qui in carne ed ossa, pronto a rompere di nuovo le scatole a tutti.”

“Chiunque sia stato,” replica Steve, fissandolo, “siamo in debito con lui. Il mondo… il mondo non era lo stesso, non era completo, senza di te. Non voglio riviverlo.”

“Neanch’io, Cap,” concorda Tony, cancellando a tutti gli effetti il nome di Steve dalla lista dei suoi sospetti. “La morte, semplicemente… non faceva per me.”

 
§

 
Adesso si sente davvero dentro Cluedo. E sente di aver bisogno di una lista vera e propria. Ha intenzione di chiederlo a Pepper, a bruciapelo: sono bravi a leggersi a vicenda, quindi crede di essere in grado di decifrarla non appena le esporrà l’idea. Attraversa il corridoio per dare la buonanotte a Peter, spingendo la porta socchiusa del ragazzo per aprirla del tutto.

“Ehi, sei qui?” chiama all’interno.

“Sì, sì,” risponde lui. “Sono qui.”

Tony varca la soglia mentre Peter si sta giusto infilando la maglietta del pigiama, ed è abbastanza per cogliere delle nuove cicatrici e lividi sul suo petto. Di solito il ragazzo guarisce così in fretta che quasi non hanno il tempo di apparire, così Tony incrocia le braccia e si puntella contro il muro. “Che diavolo è quella roba?” gli chiede. “Sei stato qui per tutto il tempo, che stai facendo? Combatti contro dei cattivi invisibili? Ti picchi da solo? Non picchiarti da solo.” Cerca di parlare con leggerezza, anche se sente il cuore in procinto di cadere nel panico.

“Ah, queste?” replica Peter, dandosi un paio di pacche sul petto ed evitando accuratamente di alzare la maglietta per esporlo di nuovo. “In realtà, me le sono fatte l’altro ieri, a tarda notte. Ho sventato uno scippo, ma quel tipo era un vero criminale, è stato difficile metterlo al tappeto, e alla fine sono riuscito a consegnarlo a una stazione di polizia. Mi ha anche fatto un taglio sulla mano, aveva un coltellaccio!” Peter mostra il palmo, e Tony vede una linea rosa e sbiadita che gli attraversa la pelle, e si rimprovera per non averla notata prima. È così sottile che riesce a vederla solo perché la luce della lampada la colpisce direttamente, e sembra stia guarendo meglio di quelle che ha scorto sul suo petto.

“È stato lui?” chiede conferma, assottigliando gli occhi.

Peter annuisce. “Non è bello,” commenta. “A volte le cose vanno storte… ma dovrebbe sparire tutto entro domani, più o meno.” Se ne sta lì, annuendo. “Cavoli, sono proprio contento di sentirti di nuovo parlare.”

“Anch’io, così posso dirti che spero tu stia facendo attenzione,” ribatte Tony. “Non abbiamo ancora veramente… senti, ragazzo, domani, dopo la conferenza stampa, voglio sedermi a un tavolo con te e parlare di tutto quanto. Voglio che tu mi dica tutto, ogni singola cosa che hai fatto quando non c’ero. I tuoi voti, questo progetto per scuola, e non dovrai fare caso a me se mi vedi piangere come una femminuccia mentre parleremo, perché so già che lo farò.”

Peter trattiene una risata, guardandosi le punte dei piedi.

“E i tuoi piani per il college, dobbiamo parlare anche di quelli… non voglio intromettermi, ma aiutarti.” Cerca di pensare a tutto ciò che lo aveva assillato quando Peter era scomparso e l’intero mondo sembrava perduto, a tutte le cose che non avrebbe mai più potuto fare di nuovo col ragazzo, o fare per la prima volta, quel tipo di pensieri che gli facevano salire il vomito, portandolo vicino a soccombere sotto al peso del proprio dolore.

“Okay,” concorda Peter, con un cenno del capo.

“Voglio sapere di Ned, di MJ, di quell’idiota di Flash e se per caso ha bisogno di una strigliata da Steve o di una ripassata da me; o entrambe, siamo disponibili. E… le tue nuove merendine preferite, se ti piace ancora quel mix assurdo e disgustoso di frutta secca o se hai migliorato i tuoi gusti. Le tue serie TV preferite, libri, film… gli incontri più strani che hai avuto mentre eri Spidey, e se per caso qualcuno dei partecipanti ha bisogno di incontrare anche Iron Man, se capisci cosa intendo.”

Una parte di lui, la più consistente, si pente di come ha trattato Peter all’inizio. Si era già affezionato e non avrebbe voluto, quindi si era messo a raggranellare e conservare dati sul ragazzo come uno scoiattolo, per poi non rispondeva alle sue chiamate. Alla fine quella sua maschera era crollata, e adesso vuole solo ascoltare ogni singola cosa che il ragazzo ha da raccontargli, dai suoi nuovi acquisti nerd con Ned alla disgustosa pizza messicana che gli rifilano alla mensa scolastica, a quel tizio che ha fatto irruzione dell’appartamento della sua ex-mognlie con una maschera di Nixon. Tutto. Ogni singola cosa.

“Iron Man, dici… vuoi– hai intenzione di– di tornare ad essere Iron Man?” chiede Peter, e Tony non capisce, dalla sua voce ed espressione, se sia esaltato o in preda al panico. “Volevo dire: tu sei Iron Man, sempre, come ho già detto, ma– ma–”

“Non ancora,” replica Tony, e in realtà non ci ha davvero pensato, almeno non approfonditamente. Ha compiuto appena un giorno, oggi. Beh, uno e un quarto, quasi. “Però sì, ho intenzione di farlo. Non penso potrei mai rinunciare.” Si schiarisce la gola. Lo riempie di paura, ma anche di un senso di bisogno. Era morto, cazzo, è stato morto per sette mesi e adesso è tornato… e non sarà in grado di tenersene fuori a lungo. Non c’è nulla che non vada, in lui. E anche se ci fosse… lo farebbe comunque. “Adesso, voglio che tu vada a dormire, ragazzino,” continua poi. “Dobbiamo svegliarci presto. Sai già cosa metterti?”

“Sì, ho ancora qui il completo,” dice, abbassando la testa, e dalla sua faccia Tony deduce che quel completo sia il completo che ha indossato al suo funerale. Pensarci gli fa salire la nausea, così evita di farlo.

Fa un passo avanti per guardarlo più da vicino. “Stai bene, vero? Tutta la faccenda sul tetto… stavi solo facendo lo scemo, vero? Non… non c’è altro sotto?”

“No, assolutamente no,” lo rassicura Peter, in fretta, e dal modo in cui lo guarda, Tony capisce che non sta mentendo, almeno non riguardo a questo. Ma non vuol dire che stia bene.

“Me lo diresti, giusto?” gli chiede, preparandosi a leggergli negli occhi. “Se ci fosse– insomma, ragazzo, capisco che sia stato un periodo difficile, davvero, e mi dispiace, non smetterò mai di dispiacermi per–”

“No, non farlo, non è stata–”

“Invece sì,” lo tronca Tony. “Ma adesso sono qui, okay? Non voglio che tu… che tu mi nasconda qualcosa perché pensi che io abbia già abbastanza problemi, o che potrei arrabbiarmi. Non è così, nessuna delle due cose. Questa faccenda… di sicuro mi ricorda quali siano le cose importanti; quelle davvero, davvero importanti. E tra queste non rientra il silenzio, no di certo, ma piuttosto il fatto che un certo Bimbo-ragno condivida con me ogni più piccolo dettaglio della propria vita. Punto e basta.”

Peter ride stancamente, scuotendo la testa. Si accascia in avanti, premendo la fronte contro la sua spalla, e lui gli cinge la nuca.

“Quindi me lo diresti, vero?” chiede di nuovo, ripensando a Peter su quel dannato cornicione, a Peter che piangeva prima di sparire del tutto. A Strange e a quelle chiacchiere sul libro che contiene un qualche antico e pericoloso incantesimo che gli avevano rubato sotto il naso. Gli scompiglia i capelli, colmo di preoccupazione. Per tutto. Tutto quanto.

“Sì,” risponde Peter. “Te lo direi.”

Tony annuisce. Si scosta da lui, sorridendogli, e Peter ricambia, anche se sembra un po’ rattristato. “Buonanotte, ragazzo,” gli augura. “Ci vediamo domattina, freschi e pimpanti.” Peter annuisce e Tony si volta, avviandosi verso la porta.

“Ho avuto paura, stamattina,” dice Peter. “Che, uh… che fosse stato solo un sogno. Che mi sarei svegliato e tu non ci saresti stato, e che quindi avrei… avrei perso di nuovo tutto.”

A Tony sprofonda il cuore nel girarsi verso di lui. Peter abbassa il mento e batte le palpebre, con addosso un’espressione sincera, aperta.

“Non stai sognando,” gli dice, con la voce che si incrina. “E non vado da nessuna parte, Pete. Sei condannato a sopportarmi.”

 
§

 
Tony si sta avviando verso la propria stanza, sentendosi prendere dalla stanchezza, quando incrocia Thor in corridoio. Indossa un accappatoio giallo che è decisamente troppo piccolo per lui – non gli arriva nemmeno sotto le cosce, e lascia intravedere l’orlo dei boxer arancioni. Tony ridacchia alla sua totale mancanza di pudore. Anche se ha scartato Thor dalla lista dei sospetti, un repentino pensiero lo fa fermare nei propri passi.

“Stai bene, Tony?” gli chiede lui, quando vede la sua espressione.

“Sì, sto bene,” risponde lui, mentre si spostano un poco in tondo mentre lui fa un altro passo verso la sua stanza. “Ero solo, uh… curioso, riguardo a tuo fratello, se anche lui fosse tornato. Non siamo riusciti a risolvere la sua situazione quando ero ancora a zonzo, quindi… mi chiedevo…”

Thor s’incupisce di colpo, e non gli ha visto quell’espressione in volto da quando l’ha incontrato di nuovo in Wakanda, dopo la fine del mondo.

“Ti assicuro che non rappresenta più un pericolo per noi,” dice, scuotendo la testa. “È… è confinato lontano, è pentito, e passa la maggior parte del tempo vivendo nella forma di un grosso gatto persiano…”

Tony soffoca una risata, sollevando le sopracciglia. “Oookay, credo di riuscire a figurarmelo. Ma non mi preoccupavo di lui come pericolo. In realtà mi chiedevo se non avesse messo lo zampino in tutta questa faccenda. Sai… questa,” specifica, indicandosi.

Thor si limita a fissarlo, corrugando la fronte. “Oh,” esala. “No, io– anche se sa che ti voglio un gran bene, Tony, non credo farebbe mai qualcosa del genere. E lo tengo d’occhio molto da vicino: non ha fatto nulla di fuori dall’ordinario, ultimamente… beh, fuori dall’ordinario per lui. Ne sono certo.”

Tony annuisce tra sé.

“Sai qualcosa?” chiede Thor, piantandosi le mani sui fianchi. “Strange ti ha detto qualcosa?”

“Più o meno, sì,” confessa Tony, spostando il peso da un piede all’altro. “Sto solo… aspettando prima di dirlo a tutti; voglio prima accertarmi di un paio di cose, ma ve lo dirò, non preoccuparti.”

Thor annuisce, e il suo viso si addolcisce. “Chiunque sia stato, è un eroe.”

Tony sorride. “Grazie, Point Break. Anch’io sono contento di rivederti. E di vedere che porti con classe il vecchio accappatoio di Pepper: il giallo ti dona.”

“Grazie mille,” dice lui, con un sorriso smagliante, guardandosi. “Ha detto che potevo tenerlo per tutta la mia permanenza. È stata veramente gentile.”

“È la migliore,” replica Tony.

 
§

 
“A Thor sta bene il tuo accappatoio,” annuncia Tony, entrando nella loro camera e chiudendosi la porta alle spalle. Pepper è al computer sul letto e fa un verso nasale, coprendosi il volto col palmo. “Non prendermi in giro, lo so che l’hai fatto a tuo vantaggio,” continua lui, indicandola. “È un notevole esemplare d'uomo, non ti biasimo.”

“Ma per favore,” ribatte lei, chiudendo il portatile. “Ho occhi solo per te.”

“Ah-ha, e non per il dio nerboruto che se ne va in giro con una specie di kimono giallo addosso. Certo, ci sto credendo.”

“Sei terribile,” lo rimbecca lei, mettendo via il portatile sul comodino.

“Ne sono consapevole,” replica lui, guardandosi allo specchio. È uno di quei momenti in cui si guarda troppo intensamente e nota le rughe attorno agli occhi, la curva delle labbra, il pizzetto, la dimensione delle sue orecchie… e si chiede chi diavolo sia quel tizio. Tutto ciò che riesce a pensare, per un singolo momento spezzato e brutale, è eri sottoterra, eri sottoterra, eri sottoterra.

“Allora, hai intenzione di dirmi di cosa hai parlato con Strange, o vuoi tenertelo per te?” chiede Pepper, sedendosi a gambe incrociate sul piumino.

Lui si schiarisce la voce, voltandosi a guardarla. “A quanto pare, circa una settimana fa, qualcuno si è intrufolato nel Sanctum e ha rubato questo… antico libro, che contiene un incantesimo di resurrezione. Hanno ripulito il suo sistema di sorveglianza dalle prove, sono entrati e usciti senza che nessuno li vedesse, e io adesso sono qua. Strange non sembra conoscere tutti i dettagli riguardo a quest’incantesimo, ma ci sono molte leggende al riguardo, e a quanto pare cerca di mettere alla prova la persona resuscitata privandola di un suo punto di forza, quindi, per quanto mi riguarda… la mia voce. Per questo Strange crede che chiunque abbia sottratto il libro mi abbia fatto tornare: il tempismo e lo coincidenze sono… sono troppo strani.”

Pepper lo fissa per un istante. “Wow,” esala. “Wow, tutto questo è–”

“Sei stata tu?” chiede Tony, piattamente.

Le cade la mandibola. “Io?”

“Sì, esatto, tu.”

Pepper risucchia un respiro, poi lo rilascia. Lo guarda quasi male. “Vorrei essere stata io,” dice infine.

La sua sincerità è palese, e non vuole dire di essere deluso, però iniziava davvero a piacergli l’idea di Pepper che organizzava quel furto. Ma deve tenere a mente che tutto questo è pericoloso, è folle, e non sa nemmeno se chi l’ha compiuto stia rischiando eventuali effetti collaterali.

“E Rhodey?” chiede poi. “Peter? Happy?”

“Se sono stati loro, non me l’hanno detto.” Sospira, guardandosi le mani. “In tutta onestà, chiunque sia stato… vorrei ringraziarlo. Ha fatto qualcosa che tutti noi avremmo voluto fare.”

“Magari non è una brava persona,” dice Tony, scrollando le spalle. “Magari è un supercattivo con poteri magici che vuole prendermi per il culo.”

Pepper scuote la testa. “Non… non ho questa impressione. Se davvero fosse così, non credo avrebbe aspettato: avrebbe già rivendicato l’atto.”

“Forse,” le concede Tony, con un sospiro.

Rimangono in silenzio per un po’, e Tony sta cercando di mettere ordine tra i suoi pensieri quando lei riprende a parlare:

“Peter è stato qui per tutto il tempo, da quando non c'eri più,” inizia a raccontare. “May lo faceva rimanere qui, a volte veniva qui anche lei. È un tipetto insolente, ma è adorabile, tutti gli vogliono bene. È parte integrante della famiglia, e adesso tutti hanno capito cosa hai visto in lui. Il rapporto tra tutti noi si è… si è rafforzato molto. Anche Rhodey è stato qui tutto il tempo, è come se all'epoca stessimo cercando di… di trattenerti, di alimentare a vicenda i ricordi che avevamo di te. Credo di essere riuscita a conoscere meglio tutti gli altri, tramite il fatto di aggrapparci a te.”

Tony si asciuga gli occhi. È lieto che non fossero soli: è la sua unica consolazione, perché sa come si è sentito lui nel momento in cui ha perso Peter, ed è stato difficile trascinarsi fuori da quel pozzo buio, rimettersi in piedi, rimanere lucido, continuare a mangiare qualcosa. Quindi, sapere che fossero insieme allevia il dolore al cuore. Acuisce anche quanto gli manchino tutti, anche se ora lo circondano sempre.

“Quindi pensi che lo sapresti?” chiede poi, con voce un po’ roca. “Se… se fosse stato uno di noi?”

Pepper si guarda di nuovo le mani. “Non lo so,” risponde. “Spero di sì, ma non… eravamo tutti disperati, potrebbe essere stato chiunque. Potrebbe essere stato uno sconosciuto qualunque, qualcuno che– che ha perso una persona cara nello schiocco, e che tu hai riportato indietro. Tutti ti amano, Tony, e sono… sono semplicemente felice che tu possa vedere quanto.”

Tony annuisce, sfregandosi il petto. L’amore che lo circonda, ultimamente, gli sembra quasi fisico, lo avvolge di un tepore e di una morbidezza a cui non è abituato. Non è abituato a sentirsene sopraffare. Non è forte abbastanza per affrontarlo, proteggerlo, tenerlo al sicuro.

Getta un’occhiata all’orologio e sa che deve essere in forma perfetta, domani. Deve prepararsi per la notte; si toglie i pantaloni e si sfila la maglietta, rimanendo in boxer, e quando alza lo sguardo vede Pepper che gli si avvicina. Si solleva sulle ginocchia quando gli arriva davanti, e lui vede dove è focalizzato il suo sguardo.

Sfiora con leggerezza le sue cicatrici, disegnandone il contorno coi polpastrelli. Lui le accarezza un braccio, per poi scostarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Il suo tocco gli fa venire la pelle d’oca. Lei sembra ipnotizzata, e profondamente triste.

“Quando ti stavo… preparando per la funzione, a un certo punto sono… sono rimasta seduta lì per un po’, con te, e continuavo a toccarti queste cicatrici. Ancora e ancora, come… come se avessi potuto fare qualcosa, come se toccandole abbastanza sarebbero sparite, o ti avrebbero– non so, risvegliato.” Alza gli occhi su di lui, tirando appena la bocca in un gesto per trattenere il pianto che conosce bene. Abbassa di nuovo lo sguardo. “Era come… come se qualcuno mi avesse aperto un buco nel cuore, e non… non volevo smettere di guardarti perché… sapevo che poi non avrei più potuto.”

Tony le inclina il volto verso di lui. Ha gli occhi pieni di lacrime, e sa che è lo stesso per lui: si sporge a baciarla, il viso tra le sue mani. Lei lo segue, si fonde con lui, avvolgendogli le braccia al collo e passandogli le dita tra i capelli. Le accarezza i fianchi fino alla vita, facendo scorrere le dita sulla sua spina dorsale. Ha baciato molte persone, in vita sua, ma non si è mai sentito a casa come si sente con Pepper. Lo bacia come se potesse leggergli la mente, come se sappia già come si muoverà e potesse sentire ogni battito del suo cuore e il modo in cui scorre il suo sangue.

Gli si agita qualcosa nel ventre mentre si accostano vicini e lui sale sul letto, spingendosi entrambi verso i cuscini senza mai interrompere il bacio. Pepper si allunga sopra di lui, e le posa le mani sui fianchi.

“Inizierai a stufarti di guardarmi, adesso,” le sussurra, mordendole il labbro inferiore. “Ho intenzione di… di starti appiccicato tutto il tempo, e diventerò fastidioso, rimpiangerai quei sette mesi tra sette giorni.”

Pepper scuote la testa, muovendosi appena contro di lui. “Non voglio mai starti lontano, Tony,” sussurra in risposta. “Mai, mai. Non voglio mai smettere di guardarti.”

Il mondo è lei, e basta; è quella luce che ha negli occhi e il modo in cui la sente tra le braccia. Inarca il collo, baciandola di nuovo.

 
§

 
Il vociare della stampa arriva sin lì da dietro la porta. Tony non riesce a capire nulla di ciò che dicono, gli sembra una festa andata fuori controllo. E questi sarebbero i giornalisti buoni e rispettosi, non c’è nessuno di quelli che era là fuori ieri, ma dal fracasso sembra comunque che vogliano tirar giù l’edificio. Non ha idea di come riusciranno a uscire di lì una volta finita la conferenza. Ha l’impressione che Rhodey dovrà davvero mettersi l’armatura, esattamente come sta dicendo ansiosamente di voler fare da quando quel gruppo di imbecilli si è presentato alla loro porta, ieri.

“Non hai alcun bisogno di esporti, ragazzo,” dice Tony, dandogli una pacca sulla spalla. “Puoi rimanere qui sulla porta, e ci vediamo dopo. Sentirai comunque tutto.”

“No, no,” si oppone Peter. “Voglio supportarti, voglio essere lì con te.”

“Vuoi stare lì con tutti gli altri?” chiede lui. Non è del tutto convinto, non gli piace il modo in cui tutti guardano di sbieco Peter e si sente particolarmente protettivo dopo quel dannato video. “Non devi.”

“Però voglio,” ribatte Peter. “Non dirò nulla, me ne starò semplicemente lì con gli altri… seriamente, sanno chi sono e che… che sono vicino a te e Pepper e Rhodey. I paparazzi ci hanno pedinato ogni singolo giorno, dopo che ti abbiamo perso e, uh… mi conoscono, non mi sento a disagio.”

A Tony traballa l’occhio al pensiero della stampa che li segue ovunque durante il loro lutto. Si sfrega una mano sul volto. Beh, per una volta Peter ha il diritto di decidere come affrontarli.

“Sei sicuro?” chiede ancora. “Assolutamente sicuro?”

“Sì, sono sicuro,” afferma Peter, alzando il mento. “Voglio… essere lì, ne faccio parte.”

Tony lo fissa, cercando di capire cos’abbia in mente. “Va bene, ma se vuoi uscire, puoi.”

“Uscirò con te,” interviene Natasha, avvicinandosi alle sue spalle. “Così non sembrerà strano.”

“Va bene,” concorda lui, e si scambiano un’occhiata in qualche modo intensa.

“Allora, siamo pronti?” chiede Happy, in piedi di fianco alla porta mentre li osserva. “La sicurezza ha circondato la stanza, sono pronti a sbarazzarsi di chiunque causerà problemi.”

“Spero che ‘sbarazzarsi’ voglia dire rimuoverli dalla stanza e non dal pianeta,” osserva Tony, mentre Pepper gli si fa incontro.

Happy scrolla le spalle, dando un’occhiata alla porta da cui arriva il chiasso. “Non ho specificato.”

Tony sospira, girandosi a guardare gli altri. Sono tutti lì, ben vestiti, mentre lo guardano colmi d’aspettativa, pronti a supportarlo nella sua mossa. Sente il cuore che diventa dieci volte più grande in quell’esatto momento, poi si gira verso Happy. “Bene, andiamo.”

Attraversano la porta e invece di sentire il vociare che si impenna, è come se ogni suono venisse risucchiato dalla stanza. Happy tiene la porta aperta e Tony apre la processione, coi loro passi rumorosi contro il silenzio assoluto. Tutti i membri della stampa lo fissano come se avesse tre teste. Pensa che, forse, sono un tantino esagerati: non è un pluriomicida alieno, ha solo fatto un breve soggiorno sottoterra, tutto qua. È come se non si fossero aspettati di vederlo davvero lì.

Cerca di non lasciarsi turbare dalle loro reazioni. Questa è la prima volta che qualcuno al di fuori della sua famiglia lo vede, per davvero, e lo stanno anche trasmettendo, anche se l’equipe di tecnici ha una presa molto poco salda sulle telecamere mentre lo fissa ad occhi sgranati.

Tony cammina verso il palco e dà un colpetto al microfono per accertarsi che funzioni, poi si volta a guardare gli altri che si stanno allineando alle sue spalle, con Peter stretto tra Natasha e Pepper ad un’estremità. Teme, per un istante, di aver commesso un errore a portarlo con sé qui, facendolo marciare allo scoperto e mettendolo in riga con tutti gli altri supereroi, ma ha una fugace reminiscenza di ciò che gli ha detto lui stesso, di quei maledetti scarafaggi che lo seguivano quando lui non poteva fare nulla per impedirlo, e serra i denti. Si chiede quante speculazioni siano nate riguardo a Spider-Man mentre non c’era, se qualcuno sia arrivato vicino a scoprire chi sia. Sospira, ripetendosi che il ragazzo vuole essere qui, e ignora la vocina nei meandri della sua testa che gli ripete che sarebbe stato meglio non farlo venire.

Immagina che, prima o poi, qualcuno scoprirà chi sia Spider-Man, e il solo pensiero gli appesantisce il corpo, come se fosse un masso che sprofonda nell’oceano e precipita senza volerlo attraversando oscurità e paure che non avrebbe mai voluto immaginare.

Osserva il volto di Peter mutare espressione, divenendo compito, mentre getta un’occhiata alla folla con una maturità che Tony non gli ha mai davvero visto prima.

Si fermano tutti, allineati dietro di lui, e Tony incontra gli occhi di Rhodey, guadagnando quella piccola dose di sicurezza in più di cui aveva bisogno. Si schiarisce la gola e si volta a fronteggiare gli squali.

Sono ancora tutti silenziosi, come se fossero anche loro caduti vittima dello stesso incantesimo che ha colpito lui. Ma in questo caso, è un qualcosa di gradito.

“Bene, uh, vedo che siete una classe educata,” comincia, riaggiustandosi gli occhiali. “Siete stati carini, ad aspettare il professore. Lo apprezzo.” Nessuno ride, ma non lo ritiene scortese, perché lo stanno ancora fissando con quello sguardo strabiliato, come se qualcuno li avesse congelati così.

Tony risucchia un altro ampio respiro, gettandosi un’occhiata alle spalle. Sono tutti qui con lui, come colonne portanti, ognuna preposta a sostenerlo a modo suo, a sorreggere parti diverse del trauma e della paura che si annidano in lui. Clint annuisce nella sua direzione, Thor sorride, Happy gli fa un pollice in su. Tony si volta di nuovo verso il suo pubblico, e vede finalmente Gary del Tribune che osa scattare lentamente una foto, con la faccia che è ancora una maschera sgomenta.

“Uh, prima di tutto… ehilà, sì, sono io. Ve lo dico subito: gli unici medici che avranno il permesso di avvicinarsi a me sono Bruce Banner ed Helen Cho, e se mai mi servirà un dentista sarà Richard Fry a Manhattan; per il resto, se state pensando di voler controllare di persona, capire cosa mi è successo, fare degli esperimenti… beh, ripensateci, perché non accadrà.” Inizia a rimpiangere di non essersi scritto nulla, e si arrabbia col Tony-di-ieri per aver avuto la presunzione di ricordarsi tutto, ma in fin dei conti è ancora un bambino, in senso lato, e ha molto da imparare.

È sorpreso che siano tutti così dannatamente silenziosi. Inizia a turbarlo. “Ehm, seconda cosa… non ho. La più pallida. Idea. Di come sia successo. Zero assoluto. Farò le mie ricerche, sfrutterò i miei contatti e approfondiremo la faccenda per portarla alla luce e capirci qualcosa, ma al momento, se iniziate a pormi domande del tipo ‘perché sono qui’ o ‘cosa ho combinato per essere qui’… beh, non otterrete un bel nulla da me. Ero… ero andato,” conclude schiarendosi la voce. “Ero morto e sepolto, e poi di colpo non lo ero più. E qui arriviamo a cosa avete fatto voi,” riprende, puntando lo sguardo nella telecamera più vicina. Lancia un’occhiata attorno a sé. “Non mi riferisco a nessuno in questa stanza: voi siete le poche anime rispettose a cui è stato dato un permesso stampa per un motivo… ma per colpa di un certo custode del cimitero, che ha deciso di gestire il tutto come meglio credeva, la mia terribile, orrenda, disastrosa prima notte di vita è stata trasmessa a livello globale prima che io fossi anche solo lontanamente lucido.”

Si sta scaldando un po’, e va bene così, ma non vuole farsi prendere un infarto. Cerca di regolarizzare il respiro.

“Vi capisco. Uno vede un raggio di luce che sbuca da sottoterra e inizia a girare un video, poi vede un uomo che esce dalla tomba e continua a filmare perché, oddio, cosa starà mai succedendo, giusto? Avrei preferito che il signor Dour si rivolgesse alla mia gente, invece che alla CNN, ma pazienza. Però vorrei dire a tutti che… uno, avete sfruttato questo ragazzo– questo qua,” specifica, indicando Peter dietro la sua spalla, “che per me è come un figlio, che in quel momento era in lutto e che stava affrontando una delle fasi più difficili e confuse della sua vita… e voi avete deciso di riprendere il tutto, guadagnarci e specularci sopra e spiattellarlo ai quattro venti solo perché vi andava. Spero davvero che vi stiate vergognando. Nessuna di queste persone si è meritata il modo in cui le avete trattate dopo la mia morte, ma questo atto, in particolare… è stato di una bassezza che mi auguro siate in grado di riconoscere.”

Abbassa il braccio, stringendo il bordo del leggio. Tutti hanno un’espressione leggermente diversa, adesso, più dimessa, ma sono ancora silenziosi.

“Seconda cosa: ho visto molte cose in vita mia. Mi hanno rapito, mi hanno torturato, mi hanno letteralmente ucciso, e stavolta… stavolta è stato come vivere l’inferno in Terra, quando mi sono svegliato in quella bara. Ho percepito ogni singolo istante del mio ritorno, ho provato quel che si prova ad essere un cadavere. L’ho provato, ed è una delle esperienze più dolorose e fuori di testa che io abbia mai avuto, e voi l’avete sfruttata. Volevo solo farvelo presente. Se accadrà di nuovo, e spero davvero di no, spero che la gestirete diversamente.” Abbassa lo sguardo, giocherellando coi gemelli della giacca. “Ecco. Come stavo dicendo, ho intenzione… ho intenzione di vederci chiaro e capire come sono tornato, capire se sia fattibile – e intendo fattibile in ogni aspetto: se questo evento segue una logica del tipo ‘una vita per una vita’, non è fattibile, almeno per me. Credetemi, ci sono tantissime altre persone che meriterebbero di essere riportate in vita molto più di me, almeno così penso io, e so che ci state pensando anche voi, e se il modo in cui sono tornato qui è un qualcosa privo di precondizioni, tipo un filtro, o un qualche intruglio che qualcuno ha semplicemente versato sulla mia tomba, ed equivale ad annaffiare un fiore o qualcosa del genere… bene, vedremo cosa si potrà fare. Ma sapete da soli che non può essere così semplice. Quindi, come ho già detto: non voglio che veniate da me a chiedermi come curare la morte. Siete consci che dev’esserci un qualche tipo di pericolo collegato a tutto ciò e a come è avvenuto,” conclude, sperando che chiunque sia stato sia in ascolto e confessi. “L’ultima cosa che voglio è mettere in pericolo delle persone.”

Si era aspettato di venire interrotto più volte, a questo punto, e si sente vicino a un collasso mentale nel vedere come il tutto stia procedendo senza intoppi. Si guarda intorno: alcuni di loro sembrano ancora sconvolti, altri stanno addirittura piangendo. Non sa cosa diavolo stia succedendo. Decide di continuare a parlare.

“Vorrei chiedervi un po’ di riservatezza, sul serio, per tutti coloro presenti su questo palco e le loro famiglie. Non siamo partiti col piede giusto, sotto quell’aspetto, ma credo che possiate rimediare. E voglio ringraziare le persone dietro di me, ciascuno di loro. Sono la mia squadra, la mia famiglia, sono la ragione per cui oggi sono qui in piedi e in grado di parlare,” dice Tony, rivolgendo uno sguardo a Peter, che sorride appena, abbassando lo sguardo. “E sono la ragione per cui non sono morto d’infarto non appena mi hanno portato a casa. Mi hanno guidato attraverso le prime ore della mia nuova vita, e sono qui accanto a me nel mio secondo giorno, e sono portato a credergli, quando mi dicono che non vorrebbero essere da nessun’altra parte. Ho… ho un’enorme fortuna ad avere il loro supporto. Non sarei chi sono se non fosse per loro e, seriamente, gente: lasciateli in pace, lasciateci in pace, lasciatemi affrontare tutto questo coi miei tempi. Non abbiamo alcuna tabella di marcia, quindi se non mi vedete subito là fuori nelle vesti di Iron Man non reagite come se fosse la fine del mondo, e se mi vedete là fuori a ingozzarmi di gelato al biscotto e ingrassare, lasciate che accada, magari è la mia strategia per reagire a tutto questo. Terrò tutti aggiornati se vi comporterete come essere umani, e non come animali idrofobi che mandano in diretta filmati che la gente non dovrebbe vedere. È ovvio che ve l’avrei detto. Non l’avrei tenuto nascosto. Pensate che avrei vissuto per sempre nell’ombra? Che avrei assunto una nuova identità e cambiato taglio di capelli? Se lo pensate, non mi conoscete la metà di quanto credete. Voglio quindi ringraziare tutti coloro che hanno avuto rispetto per questi confini naturali e intuibili; è il motivo per cui ho scelto voi in questa stanza per farvi avere l’esclusiva sullo scoop. Ma non risponderò ad alcuna domanda, non adesso, perché in tutta franchezza non ci riesco, sono solo un bambino.” Suscita una piccola risata con quella battuta, e sorride.

“Quindi, uh, grazie a voi,” conclude. “Per avermi ascoltato e per non avermi sparato a vista, so che effetto fanno gli zombi… e grazie a loro,” aggiunge, con un gesto dietro di sé, “per essere le persone, gli dèi e i super-soldati più forti e meravigliosi dell’intero universo. Bene, vi terrò aggiornati.”

Fa per allontanarsi dal leggio. Non sa esattamente cosa aspettarsi. Magari delle grida, sì, molte grida, domande alle quali non sa rispondere, e l’ha già detto, che non sa rispondere, o stronzate fuori luogo che potrebbero scatenare una di quelle sue emicranie lancinanti, e invece… l’unico evento inaspettato è Janice Nichols, del Times, che si alza cautamente, fissandolo.

“Janice,” interviene Happy, facendo un passo avanti. “Ha detto niente–”

“Non è una domanda,” replica lei.

Non è mai stata troppo severa con lui, in passato, così Tony assottiglia gli occhi, traendo ancora forza da tutti coloro che sono con lui adesso, con Rhodey e Steve pronti a seguirlo giù dai gradini.

“Volevo, uh… volevo solo ringraziarla,” dice lei. “Per tutto ciò che ha– che ha fatto, sempre. Non si merita quel che le è successo e volevo solo… grazie, Tony. Grazie.”

Fa un cenno verso di lui, con gli occhi colmi d’emozione, e poi Allan Boxer dell’Observer balza in piedi e inizia ad applaudire. Dopo appena un paio di secondi, Janice prende ad applaudire con lui, e poi l’intera sezione del Times li imita, e poi la gente della CBS li segue e prende a lanciare fischi e a esultare come se fossero a un concerto, e l’intera stanza esplode e si unisce a loro, come non è mai, mai successo qui.

Tony deve assolutamente uscire di lì.

“Bene, grazie,” grida, sorridendo impacciato mentre raggiunge la porta. Happy la tiene aperta e gli altri lo seguono dappresso, con Rhodey che gli tiene una mano sulla schiena.

Una volta fuori, anche dopo che Happy ha chiuso la porta, Tony li sente ancora applaudire.

“Che diavolo sta succedendo?” chiede, gesticolando. “Cos’è, Invictus? [2] D’ora in poi ci mando Neo, là fuori.”

“È un film dove qualcuno torna in vita?” chiede Thor, suonando entusiasta.

“No,” ribatte Clint, secco, prima che possa farlo Tony. “Magari.”

Tony si stropiccia gli occhi, e si sente strano. Scollegato. Adesso lo sanno tutti. Adesso è ufficialmente di nuovo al mondo. Adesso tutti prenderanno a guardarlo, ad aspettarlo, e non applaudiranno per sempre.

“Tony, voglio farti un controllo, subito,” dice Bruce.

Sente Bucky e Steve che bisbigliano tra loro.

“Stai bene, Tony?” chiede Rhodey.

Riesce ancora a sentirli applaudire. Ma non durerà per sempre. Non per sempre.

“Tony?” lo chiama Pepper.

Tony vuole fare quella chiacchierata con Peter. Vuole sedersi con ognuno di loro, uno alla volta, e interrogarli su cosa abbiano fatto mentre non c’era. La sua mente è sottosopra, nel caos più totale. “Devo iniziare a fare delle ricerche,” dice, lasciandosi scivolare le mani lungo le guance. È già rimasto indietro, deve cercare altre informazioni su quest’incantesimo, se riuscirà mai a trovare qualcosa. E a loro non l’ha nemmeno detto, ancora. E ancora non si fida, sotto questo aspetto. Si figura la lista in testa:

1. Pepper
2. Peter
3. Rhodey
4. Happy
5. Bruce
6. Natasha
7. Thor
8. Loki?
9. Clint
10. Steve
11. Bucky

E dal dodici al quattrocentosessantotto ci sono solo supercattivi a caso di cui non sa assolutamente nulla, e forse un se stesso dal futuro. Sospira. “Devo iniziare le ricerche,” dice di nuovo, guardandoli. “Devo… reperire qualche informazione, leggere scartoffie, vedere quanti nuovi problemi sono saltati fuori, capire se in giro c’è qualcuno che ama un po’ troppo Iron Man e avrebbe potuto–”

“Tony,” dice Natasha, accanto a Peter. “Quello di cui hai bisogno ora è una birra. Una partita a un videogioco. Una pizza. Un po’ di tempo ben speso con noi. Per noi va bene, giusto?” chiede, guardandosi attorno.

“Esatto–”

“Dovresti rilassarti–”

“Però niente birra per Peter,” interviene Steve, inarcando le sopracciglia.

Peter alza gli occhi al cielo.

“Già, ragazzino, ti ho visto ubriaco,” commenta Bucky, e per qualche ragione, a Tony un po’ si scalda il cuore nel sapere che Bucky faceva parte delle loro festicciole di conforto.

“Non reggo bene i margarita, tutto qui,” replica Peter.

“Sì, e le piña colada,” aggiunge Rhodey, col tono di chi ne ha visti, di incidenti con la piña colada.

“E i daiquiri… Gesù, siamo degli irresponsabili,” conclude Pepper, pizzicandosi il ponte del naso. “Mi stupisce che May non ci abbia uccisi tutti.”

“Possiamo cominciare le ricerche domani,” insiste Natasha. “Ma oggi limitiamoci a… è stato sfiancante, tu hai fatto un ottimo lavoro, là fuori, e hai solo… ti meriti un po’ di normalità senza questa spada di Damocle sulla testa.”

Tony distoglie lo sguardo, annuendo. La stampa, oltre la porta, sta seriamente applaudendo ancora, e Happy sta digitando qualcosa sul suo telefono. Peter si fissa ansiosamente le mani. Bruce lo fissa con aspettativa, probabilmente impaziente di visitarlo. Clint dice qualcosa a bassa voce a Steve, e questi sembra accigliarsi. Bucky sembra effettivamente essere in pensiero per lui, adesso, e ciò gli fa chiedere cosa abbia saputo riguardo a lui in quel lasso di tempo. Thor si guarda sereno intorno. Rhodey gli piazza una mano sulla spalla e Pepper gli posa un bacio sulla guancia.

Tony deve sapere chi è stato. Sente il panico risalirgli in gola, perché una parte di lui sa che non è stato un estraneo qualunque, o il presidente del fan-club di Iron Man. Parte di lui sa che è stato qualcuno che ama.

E parte di lui pensa che tutto ciò sia molto più pericoloso di quanto immagina. Molto, molto di più.



 
*
 

Note di traduzione:

[1] Ho operato una modifica nel testo in quanto, lo ammetto candidamente, non ho ben inteso le intenzioni dell’autrice. In originale dice, riferito ai letti, “two Queens”: queen è una misura per i letti che corrisponde a quelli alla francese (e fin qui era chiaro il gioco di parole con kingsize), ma è anche un appellativo volgare per indicare gli omosessuali. Non sono sicura che fosse intenzionale, come gioco di parole, e ho preferito evitare tentativi per riadattarlo mantenendo l’allusione, volendo dare il beneficio del dubbio all’autrice, che da ciò che scrive non mi sembra essere mai scaduta in battute del genere.
[2] Il film originale era Remember the Titans, in italiano Il sapore della vittoria. È un film sul football incentrato sulla discriminazione razziale, ma da quanto ho cercato è poco noto in Italia. Ho preferito quindi citare Invictus, decisamente più conosciuto, che si muove attorno temi simili pur trattando di rugby e non di football. Il nesso è comunque l'esultanza della folla in situazioni molto delicate e stressanti per chi le riceve.

Note della traduttrice:

Cosa? Non sono passati sette mesi dall'ultimo aggiornamento? Quasi non mi riconosco! 
Seriamente, ho accelerato un po' i tempi di traduzione, in quanto ho in mente di portare a breve un'altra long di iron_spider su questi schermi... quindi rimanete sintonizzati!
Grazie a tutti loro che leggono e/o hanno commentato, e a presto, col penultimo capitolo,

-Light-




 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6


 
E quindi, una volta usciti dall’edificio allestito per la stampa, si rilassano. Fanno attività che riportano Tony all’infanzia. Cantano al karaoke, e guardare Thor che si sgola su I Will Survive sale in cima alla lista dei suoi ricordi preferiti. A seguire, con poco distacco, c’è Steve che canta Tik Tok. Mangiano tacos; in affetti, allestiscono una vera e propria taqueria e il tutto li riporta a quelle uscite di gruppo degli inizi, quando i Vendicatori si stavano ancora abituando all’idea di esistere. Tony crede di aver mangiato qualcosa come sei tacos nel giro dei primi venti minuti. Poi perde il conto.

Preparano anche del Daiquiri e Peter ne riceve uno analcolico, anche se Tony è certo di aver intravisto Bucky, proprio lui, che gli passava di nascosto un po’ di tequila. Promemoria: non dirlo a May. Guardano Die Hard e Natasha e Clint si mettono a disquisire sulle varie logistiche dell’infiltrarsi tramite i condotti d’aerazione, cosa che a quanto pare hanno fatto sia separatamente che insieme. Poi per qualche oscuro motivo mettono The Millionaire e si ritrovano tutti a piangere, come se non lo avessero già fatto abbastanza ultimamente. Thor e Bruce danno inizio alla follia quando tentano di ricreare la danza finale, e Rhodey e Happy vi si uniscono mentre Natasha e Pepper si siedono sul bancone limitandosi a giudicarli.

Quindi si rilassano. E quindi se la spassano e mangiano e bevono troppo. E quindi, forse, Tony e Pepper si ritrovano a baciarsi come adolescenti, appartati in corridoio. E quindi, forse, Peter batte tutti a biliardo scatenando una sfida all’ultimo sangue per tentare di superare Spider-Man. Ma tutti – tutti quanti – sorridono, e forse Tony a un certo punto si distrae. Si distrae, per un solo istante, dal fatto che una settimana fa non aveva tutto questo. Neanche la minima parte. Non aveva nulla. Una settimana fa stava marcendo, era pieno di vermi e gli si stava sfaldando la pelle. Una settimana fa mancava ancora a tutti quanti. E adesso c’è questo. Vita. Amore. Quel tipo di amore che stanno finalmente lasciando a briglia sciolta, e lui non riesce a comprenderlo, ne ha paura e allo stesso tempo non ha mai voluto così tanto qualcosa.

Ma c’è un pericolo incombente. Avrebbe dovuto immaginarselo, di tornare a casa e ritrovarsi con un pericolo incombente tra capo e collo. Quando mai non ce n’è uno? Però, in effetti, non sapeva nemmeno che sarebbe tornato a casa. Non ha mai neanche avuto intenzione di morire.

Poi passano un’ora a rispondere ai messaggi di sgomento, empatia e solidarietà che inondano la casella di posta sua e di Pepper, e Tony non ha idea del perché si stia commovendo per il fatto che non abbiano disattivato il suo indirizzo e-mail. Ci sono centinaia di messaggi non letti, e intuisce che alcuni di essi siano della stessa risma di quelli che ha sul comodino, di quelle lettere che vivono nella sua testa, con le parole più dolorose che si ripetono all’infinito, in circolo. Vede una lunga sequenza di Pepper, Pepper, Pepper, poi Peter, Peter, Peter, Peter, Rhodey, Clint, Rhodey, Pepper, Happy, Natasha, Happy, Rhodey, Pepper, Happy, Peter, Bruce, Bruce, Steve. Tony non prende nemmeno in considerazione l’idea di aprirle, non adesso. Ovunque vede le prove di un dolore durato sette mesi, come un velo sottile con troppi fili che lui deve contare. Non ne ha nemmeno sfiorato la superficie.

Pepper gli riattiva il telefono, e non appena finisce di resettarlo riceve una chiamata da Visione, come se avesse percepito quel nuovo mezzo di comunicazione. È poco emotivo quanto l’ultima volta che l’ha visto, e Wanda continua a intervenire in sottofondo per fargli sapere che arriveranno tra un paio di giorni.

Riceve anche una chiamata da Sam Wilson, ma questa gli arriva dal telefono di Bucky, che sta usando Steve, in sostituzione di quello che ha rotto.

“Vuole me?” chiede Tony, e ormai sono le dieci di sera. “Non pensavo nemmeno che sapesse chi sono.” Tony riesce a malapena a sentirsi parlare sullo sfondo di Clint e Happy che cantano il duetto di Grease, e incrocia lo sguardo di Pepper. Lei alza gli occhi al cielo, probabilmente estenuata da quel continuo cantare. Tony sa che Peter ne ha filmato ogni singolo secondo.

“Non ha idea di chi sia nessuno,” replica Bucky, e d è decisamente un po’ rosso in volto per la quantità d’alcol che ha bevuto. Ma, proprio come Steve, niente riesce a renderlo davvero ubriaco.

Tony prende il telefono dalla mano di Steve. “Buonasera, qui è il Polar Express.”

“Parlo col Capotreno Stark?” chiede la voce di Sam.

“Sissignore,” risponde lui, sorridendo. [1]

“Cristo, uh… wow. Wow, davvero. Tutto ciò è fin troppo teatrale, anche per te.”

“Lo so, lo so,” replica Tony, alzando lo sguardo. Vede Natasha che porta a Peter una ciotola di gelato e a Pepper un intero pacco di Oreo, che lei prende con disinvoltura, come se fosse un fatto normale. “Mi conosci, mi piace tenere tutti sulle spine. Spero di avervi sorpreso.”

“Oh, sì, decisamente,” conferma Sam. “Ma, sul serio, mi… mi dispiace se ci ho messo così tanto a chiamarti; sai, la gente ha iniziato seriamente a chiedermi se c’entro qualcosa, visto che non ero con voi sul palco…”

Tony assottiglia gli occhi. “Ah. Davvero?” Fa una pausa. “Ed è così?”

“Ti ho riportato in vita?” Sam ride. “Magari. Merda, non ho mai visto Nat così. E l’ho vista esternare una vasta gamma di emozioni, per tutto il tempo in cui abbiamo fatto squadra con Steve, ma stavolta… perderti l’ha devastata, sul serio. Steve stava male, ma lei stava peggio.”

Tony mugugna tra sé, alzando di nuovo lo sguardo e osservandolo mentre strappa il microfono a Clint per lanciarlo a Peter. Gli è stato difficile leggerla finora, se non per quella primissima espressione di shock commosso. Schiocca la lingua, portandola un po’ più in alto sulla sua lista.

“Quindi sì, l’avrei fatto, per loro. Merda, Tony, se avessi davvero il potere di riportare indietro le persone… beh, lo userei in modo molto liberale, mettiamola così. E come me un mucchio di altra gente. Quello che hai detto, sul fatto che il tutto deve essere fattibile… continua su quella linea o potremmo ritrovarci a gestire dei casini, anche se la gente ha buone intenzioni.”

Tony deglutisce a forza. “Fidati, ci metto una pietra sopra se avrò anche solo il vago sospetto che questa roba sia pericolosa, e ho un brutto presentimento che lo sia. So che la gente si incazzerà con me, ma non…” L’unica cosa che la sua mente continua a ripetere è pericoloso. Pericoloso, pericoloso. Si chiede se non ci sia qualcosa, sepolto nella sua testa, qualcosa riguardo all’incantesimo. Si chiede se ci sia un qualche filo invisibile a legarlo a chi l’ha lanciato, un qualche segno che potrebbe aiutarlo a riconoscerlo.

“Io mi fido del fatto che saprai gestirla, e se manterrai il tutto nella cerchia di persone giuste riuscirai anche a scansare parte delle accuse inevitabili che non ti meriti,” afferma Sam. Lui sospira. “La gente si mette cose strane in testa, quando pensa di poter fare qualcosa che in teoria non dovrebbe essere in grado di fare, soprattutto se è per aiutare qualcuno di amato. Speriamo solo che tutti lo tengano bene a mente quando si dovrà chiarire la questione del come sei tornato qui, e che non si mettano suddette idee in testa,”

“Già,” replica Tony. Sente di essersi rilassato a sufficienza, a questo punto. Deve cercare di vederci chiaro in questo maledetto macello, e cercare di proteggere chiunque l’abbia causato. Se è ancora in tempo.

“Beh, ti lascio libero,” dice Sam. “Sono davvero contento di riaverti tra noi, Tony. So che siamo stati in schieramenti opposti in passato, ma… merda, non ti ho mai voluto morto. Iron man è Iron Man, no? Vorremmo tutti che fossi immortale.”

Tony sorride appena. “Ti stai perdendo in sentimentalismi con me, Wilson?”

“Certo che no. Non so di che parli. “ Soffia nella cornetta e fa un paio di versi ridicoli. “Oh– non ti sento! Non ti sento!”

 “Ci sentiamo dopo,” ride Tony. “Meglio per te che passi da queste parti, o trovo un modo per tarparti le ali.”

“Passare– passerò– ah– ciao Stark!”

“Ciao, pennuto.” Attacca e si volta per restituire il telefono a Steve.

“Sembrava una cosa seria,” dice Steve, stringendo gli occhi.

“Pare che ultimamente tutto lo sia,” commenta Tony, con una scrollata di spalle. Guarda gli altri: Pepper e Tasha che ballano, Peter e Happy che, tra tutte le canzoni, cantano Time of my Life mentre Peter tenta di mangiare comunque il gelato – e Tony non ha idea da dove diavolo sia sbucata quella colonna sonora. Bruce, Thor e Rhodey sembrano intenti in una sorta di gara di bevute, e sa che pagherebbe oro per vedere Thor veramente sbronzo.

“Che c’è che non va?” chiede Steve, avvicinandosi di un passo.

“Niente,” mente Tony. Si figura altre regole assurde che quell’incantesimo potrebbe implicare e che Strange non conosce. La persona che l’ha lanciato che muore sette giorni dopo. L’obbligo di uccidere qualcun altro se la persona riportata in vita vive per un altro anno. Un qualsiasi tipo di sofferenza in arrivo per lui o lei, che magari ha reputato sensata, perché pensava che ne valesse la pena.

Li immagina mentre si dissolvono tutti, come su Titano. Come è successo a Peter.

 
§
 

Tre ore dopo è l’unico ancora sveglio, o almeno così crede. Non sa come a nessuno non sia venuta la smania di uscire, e si sente in difetto per averli costretti in casa. Sarebbero potuti uscire, ma la stampa si sta già trattenendo: Tony non riesce a credere che ci riuscirebbero anche nel vederlo in pubblico. Se li vedessero tutti insieme.

Sa che tutti dovranno andarsene, prima o poi. Peter sta già saltando scuola: prima Rhodey e Bruce l’hanno aiutato a finire rapidamente i compiti così da non dover rimandare la festa, ma May non gli permetterà di rimanere qui per sempre, e la scuola finirà per obbligarlo a non perdere altre lezioni, anche se tutti evidentemente sanno quanto Peter gli sia vicino. L’idea di lasciarli andare via gli fa girare la testa, lo fa sentire debole. Si sente un egoista appiccicoso. Ha ancora difficoltà a concedersi dei momenti di debolezza, anche se sa che in questa situazione sono normali, e dovrebbe probabilmente parlarne con Pepper, per farsi rassicurare.

Sono tutti collassati in salotto. Natasha e Pepper dormono sul divano-letto, Clint e Rhodey tentano di dividere la poltrona estendibile, Bucky ha la testa sulle gambe di Steve, quelle di Thor e Happy sono premute l’una contro l’altra e Bruce è mezzo sdraiato sul tavolo da biliardo.

Peter è per terra tra il divano e il tavolino da caffè, e Tony decide di occuparsi prima di lui, poi di Pepper, concludendo che gli altri possono o dormire qui fino a domattina o raggiungere le loro stanze quando si sveglieranno. Non hanno alcun piano, per domani. O almeno, gli altri non ne hanno. Tony ha un appuntamento col suo computer così da rimettere in sesto FRIDAY e ricercare quante più informazioni possibili riguardo all’incantesimo. Deve aggiornarsi sui nuovi cattivi e su tutti coloro che più hanno risentito della sua morte fuori da questa stanza. È finito il momento di rilassarsi. Nelle ossa, sente l’urgenza di risolvere questo mistero.

Si china vicino a Peter e lo scuote delicatamente per la spalla. “Ehi, ragazzino,” sussurra. “Svegliati, ubriacone.”

Le sopracciglia di Peter si aggrottano e volta la testa di lato. “Non sono ubriaco,” ribatte. “Ho bevuto… due shot di tequila, e basta.”

“Già, e sono due di troppo,” replica Tony, ancorando le mani sotto le sue braccia per issarlo in piedi. Peter emette un lamento ma non si oppone, lasciandosi sostenere quando è di nuovo sulle proprie gambe. “Gesù, hai messo su peso?” chiede Tony.

“Non si chiedono queste cose.”

“Sono tutti muscoli, ne sono sicuro,” sorride Tony. “Dai, devo portare a letto te e Pepper e poi decidere se riservare il favore a qualcun altro. Siete un branco di poppanti.” Lo guida fuori dal salotto e verso il corridoio, mentre Peter è intento a camminare in quel modo strambo di chi ha troppo sonno, trascinando i piedi sul pavimento, con la testa ciondoloni e l
intero corpo sbilanciato contro Tony.

“Puoi lasciarli là,” bofonchia. “Lo facevamo… prima che Steve si trasferisse, ci schiantavamo di là così,” dice, mentre svoltano nel corridoio. Si porta una mano al petto. “Spesso c’era anche May. Era come se… se non volessimo perderci mai di vista.”

Tony si schiarisce la voce. Un altro scorcio su quei mesi sofferti. “L’hai chiamata per darle la buonanotte, vero?”

“Peter annuisce. “Mh. Prima del… del quarto torneo di biliardo.”

Tony trattiene una risata nel naso. Si rende conto di stringerlo troppo forte e allenta la stretta sulla sua spalla. Percorrono il resto del corridoio e si fermano davanti alla porta di Peter. Questi si volta a guardarlo, un po’ più lucido di pochi istanti fa. “Sei stato grandioso oggi, alla conferenza,” afferma. “Sai sempre cosa dire, è stato… è stato forte.”

“Grazie, ragazzo,” replica Tony, e anche lui è piuttosto fiero di se stesso. “Speriamo che quei tizi si diano una calmata, almeno per il momento.”

Peter si getta in avanti, abbracciandolo con forza. Tony posa il mento sulla sua testa e chiude gli occhi. Ti prego dimmi se sei stato tu. Ti prego, ti prego, dimmelo. Non mi arrabbio. Poi risolviamo tutto insieme.

Ma Peter rimane in silenzio. Si stacca da lui, sorridendo. “’Notte, Tony.”

“Ci vediamo domani, Pete.”
 
§

 
Tony accompagna a letto Pepper e poi decide di fare lo stesso per tutti gli altri, il che gli rimedia una buona dose di proteste, anche se non rifiutano il suo aiuto e la sua vicinanza. Nemmeno Bucky, che Tony recupera prima di Steve, guadagnandosi un paio di sorrisi e una sfilza di mi dispiace non collocabili.

Poi dorme per dieci ore. E quando si sveglia, Peter non c’è.

Tony avverte dei dolori bizzarri ancora prima di aprire gli occhi. Ha il petto indolenzito, gli fa male la mano, la testa gli pulsa in un modo che, ne è certo, interesserebbe a Bruce. Ma non vuole che credere che tutto quello che è accaduto sia troppo bello per essere vero, quindi non dice nulla ad alta voce, non ancora. Sposta solo il peso sull’altro lato con un piccolo lamento, verso il punto in cui percepisce Pepper, distesa.

“Hai dormito molto,” dice lei, pettinandogli i capelli. “Prima che tu te ne accorga da solo e inizi a dare di matto, Peter non è qui.”

Tony apre di scatto un occhio. “Perché?” chiede. Lei gli sembra troppo calma per lasciarsi prendere dal panico, ma ne ha decisamente la tentazione.

“Ha fatto un salto qui prima e mi ha detto che andava a trovare May, a prendere un paio di cose a casa e poi sarebbe tornato. Puoi mandargli un messaggio per stare tranquillo, ma sta bene, torna tra poco.”

Tony si sente un dannato egoista per un istante perché vuole che il ragazzo rimanga qui, ma sa che non può tenerlo per sé e toglierlo a May. Però non può fare a meno di sentirsi un po’ più instabile, sapendo che non c’è Peter in giro. Annuisce, sfregandosi il petto. Direttamente sopra le cicatrici. Si chiede se sia normale che gli dolgano così tanto. Quando Bruce lo ha visitato, ieri, ha di nuovo ripetuto in modo quasi frustrato che era perfettamente “a posto”, quindi non ha idea di cosa gli stia succedendo.

“Stai bene?” chiede Pepper, passandogli le dita sulla fronte in un gesto calmante. “Hai una faccia strana.”

“Sì,” risponde lui, e conclude che essere sinceri sia la soluzione migliore. “Ho solo un paio di acciacchi e doloretti, ma lo… lo dico a Bruce e vedo che ne pensa. Gli altri sono ancora qui?”

“Sì,” conferma lei, e sembra leggermente in pensiero. “Magari dovresti alzarti e dirglielo adesso. Magari, per la mia sanità mentale.”

Tony sospira, prendendole la mano per baciarle le nocche e il centro del palmo. “Dici?” chiede, alzando gli occhi per incontrare i suoi.

Annuisce. “Dico.”

Tony si accosta un po’ di più a lei, sbirciandola dal basso. “Ora comincerai a preoccuparti anche quando sbatterò il mignolino, vero?”

Pepper lo fissa incredula. “Una botta al mignolino è un’emergenza di livello cinque.”

Tony sbuffa. “E il livello uno quale sarebbe?”

“Emergenza da unghia spezzata, emergenza da taglietto, emergenza da ginocchia sbucciate.”

“È tutto un’emergenza?” chiede, sorridendo.

Lei annuisce. “E questa è solo la tabella di riferimento fisica. C’è anche quella emotiva.”

Lui scuote la testa, coi nuovi dolori che all’improvviso vengono soffocati da qualcosa di sottile e profondo, acceso di rosso e scintillante. Come lei. Non ha seriamente idea di come abbia convinto questa donna a rimanere con lui. Anche dopo tutti i casini che ha combinato. Anche dopo la morte.

“Pensi di dire agli altri del libro, prima o poi?” gli chiede, sovrappensiero, lasciando scorrere le dita tra le sue.

Deve farlo. Lo sa. Spera solo che, una volta viste le loro reazioni individuali, riuscirà a capire come procedere. “Sì,” risponde. “Penso di farlo oggi.”


 
§

 
Bruce lo fissa interdetto. “Ed è localizzato nella zona delle cicatrici?” gli chiede.

“Esatto,” dice Tony, rimettendosi la maglietta. “E mi fa un po’ male la mano... sembra un crampo, forse? È così strano? Mi sembra che sia tutto strano.”

“In un certo senso, sì,” dice Bruce. “Ma non vuol dire che ci sia qualcosa che non va. Fisicamente sei ancora in piena forma, quindi dev’essere collegato a qualcosa che ci è ancora ignoto. Collegato al tuo ritorno. Magari come il fatto della tua voce, e al perché è successo. Il che è un bene, ma anche un male. Perché non ne sappiamo nulla.”

Tony schiocca la lingua. “Forse, io, uh… avrei qualcos’altro da dirti.”

Esamina la faccia di Bruce mentre gli racconta ciò che gli ha detto Strange riguardo al libro, e lui non è esattamente un tipo in gamba a celare le emozioni che gli scorrono in volto, quindi non gli sembra che stia recitando. Non c’è alcun accenno di rabbia 
 grazie a Dio – ma c’è quel familiare misto di shock e orrore nei suoi occhi che si sgranano, basiti.

“Perché diavolo non l’hai detto prima?” gli chiede. “Te l’ha detto Strange quando è venuto qui?”

“Uh, già,” dice Tony, sentendosi un po’ come un alunno rimproverato dal professore. “Stavo cercando di… tenerlo per me per cercare di capire–”

“Stavi cercando di indagare per conto tuo, eh?” lo interrompe Bruce, facendo un passo indietro e puntandosi le mani sui fianchi. “Cercavi di incastrare uno di noi?”

“Incastrare?” chiede Tony, sollevando le sopracciglia. “Non sto incastrando nessuno. Perché questa parola? Insomma, sì, non riesco a immaginarmi nessuno di voi a fare irruzione da nessuna parte, ma non sto cercando–”

“Non sono stato io,” dice Bruce. “Ma lo sapresti già, se ce l’avessi detto, non credi?”

“Va bene, non fare l’Hulk con me,” ribatte Tony, assottigliando le labbra. “Solo che– non lo so, non voglio che qualcuno dia di matto più di quanto non stiano già facendo tutti. E inoltre, ecco, penso…”

“… che possa davvero essere stato uno di noi,” completa Bruce in un sospiro. “Già… capisco la tua linea di pensiero. E onestamente… sì, probabilmente è così.”

Tony serra la mascella.

“O potrebbe averlo fatto lo stesso Strange, e ti ha mentito per depistarti,” aggiunge Bruce.

Tony aggrotta la fronte. “Ah-ha,” commenta. “Interessante.”

Bruce scrolla le spalle. “In ogni caso sarebbe folle, ma credo… insomma, non so cosa mi aspettassi. Ma davvero, credo che avresti dovuto dircelo prima. Cristo, Tony… lui dice che non sa altri dettagli? A parte quella faccenda della prova da superare?”

“E che l’incantesimo è iper-vetusto e medievale e probabilmente adesso ho una specie di legame di sangue con Re Artù o chissà cos’altro,” dice Tony. “Ha detto che sta indagando, e anch’io devo darmi da fare. L’avrei fatto ieri, se Natasha non avesse insistito con il fatto di rilassarci. Come se cantare il karaoke e bere troppo siano modi per rilassarsi.”

“Per alcuni sì,” replica Bruce. Lo fissa per qualche secondo, come se stesse tentando di risolvere a mente un problema. “Tony, questo… questo cambia completamente l’approccio che avrei dovuto adottare, da un punto di vista medico. Potrebbe esserci… una quantità indefinita di effetti collaterali di cui siamo all’oscuro. Non possiamo prevedere nulla.”

Quelle parole gli fanno ribollire qualcosa sottopelle. “Già, stai riuscendo in toto a farmi capire che devo mettermi all’opera.” Balza giù dal tavolo, sfregandosi il petto. Adesso, per fortuna, il dolore si è un po’ attenuato. Per qualche ragione sa che non dipende dal cuore. “Non, uh, spargere la voce su quel libro,” si raccomanda, da sopra la spalla. “Niente chiacchiere di corridoio.”

“Dovresti davvero dirlo a tutti!” gli dice dietro Bruce. “Dovremmo collaborare!”

“A suo tempo!” grida Tony in risposta, uscendo in corridoio. Prende il telefono dalla tasca e invia un messaggio a Peter.

Che dici, riesci a prendere un po’ di ciambelle mentre torni qui? Ti rimborso! Sono sicuro di avere ancora dei soldi, da qualche parte… :D

 
§

 
Tony fa il reboot di FRIDAY e si ricorda quanto sia fin troppo affezionato ai suoi robot e intelligenze artificiali. Ma Neo sembra fare amicizia con Dum-E e U, e ciò lo rende immotivatamente felice.

Stila una lista dei più recenti cattivi, ed è sorprendentemente corta. Un tizio mutaforma, il che dà adito a prospettive disturbanti. Un tizio che può vivere sott’acqua, il che gli sembra totalmente superfluo. Una donna che può rompere i timpani alla gente solo gridando, il che lo rende un po’ nervoso, ma non si è fatta vedere troppo in giro se non per qualche rapina in banca. Ci sono un po’ di terroristi e geni del male, ma la maggior parte di loro è morta o in prigione, e una parte di questi è stata fatta fuori dalle persone al Complesso. C’è uno stronzetto di nome Osborn che ha dato a Peter del filo da torcere, ma è in prigione da due mesi.
 
Nessuno di loro fa scattare alcun campanello d’allarme, e quella lista gli sembra d’un tratto fuori luogo, vista la situazione. Mette comunque da parte tutti quei dati e si ripromette di monitorarli, giusto per sicurezza.

Nemmeno l’incantesimo di resurrezione dà risultati. Recupera un mucchio di informazioni generiche, nulla che sembra avere a che fare con ciò che contiene il libro rubato. Si fa quasi cadere gli occhi dalle orbite a forza di alzarli al cielo quando trova risultati relativi a World of Warcraft, e a quel punto quasi lascia perdere. Mette a frutto i propri contatti e compie ricerche nei database delle biblioteche, roba top-secret, sezioni governative, e vorrebbe conoscere più gente come Strange e Wong, così da poter compiere un confronto incrociato tra le informazioni più rilevanti. Trova qualche vaga menzione in una sorta di manuale Wiccan, ma l’incantesimo in sé non è lì. Solo il fatto che è “pericoloso”, e che può prosciugare l’incantatore se non lanciato correttamente.

Tony non sa con precisione cosa voglia dire. Gli sorge il dubbio che ci sia qualcuno che è morto, là fuori. Una persona qualunque che ha rischiato il tutto per tutto per lui, da qualche parte, sbagliando, pronunciando erroneamente una qualche parola in latino o chissà quale lingua, ed è caduta nella fossa mentre lui ne usciva.

Odia non sapere. Gli fa venir voglia di strapparsi via la faccia. Passa ore a setacciare archivi, hackerare server criptati, ficcanasare nei forum, connettendosi ad ogni singolo portale che potrebbe nascondere qualche indizio o spiegazione. Ha l’impressione che, forse, avrà bisogno di viaggiare per averli, visitare tombe antiche o castelli diroccati e trasformarsi in un cavolo di Indiana Jones in completo metallico.

Pepper entra un paio di volte per portargli da mangiare, Rhodey e Happy se ne stanno piantonati sulla porta e Tony non dice comunque a nessuno del libro. Inizia a chiedersi perché si stia ostinando a tenere per sé quel fatto. È come se si aspettasse che si facciano avanti di loro sponte, come se avesse paura di dirlo ad alta voce a qualcun altro. Come se avesse paura di ottenere la verità. Non lo sa più, cazzo. Gli fa ancora male il petto e il suo cervello è una poltiglia informe. Gli è difficile mettere insieme qualunque pensiero, e non sa se ciò abbia a che fare col fatto di essere tornato in vita o se sia semplicemente perché lui è lui, ed è come era prima di andarsene e come sarà per sempre.

Vuole sapere chi è stato.

Anche Bruce pensa che sia uno di loro.

Si rende conto di non aver ancora ricevuto risposta da Peter, e quel fatto gli pizzica il nervo sbagliato. Mugugna un po’ tra sé e prende il telefono.

Ehi, ragazzino, so che può essere destabilizzante ricevere messaggi da questo numero, ma vorrei informarti che sarò molto appiccicoso per le prossime due ore per varie ragioni che puoi immaginare, quindi, per favore mandami un messaggio per dirmi che non sei morto. Sharing is caring. [2]

Altre ricerche. Altre pressioni, e stavolta è Thor, che quasi demolisce l’intero laboratorio solo toccando cose con nonchalance, e lo informa che Peter ancora non è tornato. Quando se ne va, Tony trova ancora meno informazioni, chissà perché, e si imbatte in dei siti web dove la gente discute di lui, del come sia tornato in vita. Per fortuna la maggior parte dei messaggi è positiva, lieta che sia tornato, ma nessuno di loro si avvicina lontanamente a scoprire dell’incantesimo. Vorrebbe avere la dicitura esatta per definirlo: renderebbe molto più semplice cercarlo e tracciarlo, ma ovviamente nulla è mai così facile.

Ancora nessun segno da Peter, e ciò fa scattare in modo definitivo l’interruttore del panico nella sua testa, anche se sono passate solo un paio d’ore. Neo gli gironzola attorno come una mamma chioccia nervosa e Tony si affloscia sulla sedia girevole, sospirando nell
’abbassare lo sguardo su di lui.

“Non guardarmi così,” dice, rivolto alla piccola sfera nera.

Si mordicchia il labbro inferiore, per poi chiamare May. Lei risponde al primo squillo.

“Wow,” esordisce, ridendo un poco. “È molto strano ricevere una chiamata da questo numero.”

“Lo so, scusa, avrei dovuto avvisarti,” dice Tony. Deve davvero farsi un appunto. “Il tuo caro nipote è nei paraggi? Digli che sono più sensibile del solito, quindi ogni volta che ignora un mio messaggio perdo un anno di vita.”

C’è un breve silenzio. “Peter non è qui da un po’,” dice poi. “È passato al volo prima, ha preso un po’ di roba e ha detto che andava da Ned prima di tornare da voi. Non è lì?”

Bandiere rosse. Sirene d’allarme.

“No, non è qui,” risponde, stropicciandosi gli occhi.

“Meraviglioso,” commenta May.

“Devo preoccuparmi?” chiede lui. Si preoccupava, all’epoca, quando succedevano cose del genere. È per questo che monitorava il ragazzo come un maniaco, ed è per questo che aveva preso a chiamarlo ogni volta che il suo battito cardiaco aumentava troppo, o quando non si atteneva alla sua solita routine. Ma sono passati sette mesi, e Tony non sa cosa sia cambiato. Le dinamiche tra Peter e gli altri sono cambiate, e probabilmente anche lui stesso.

“Io mi preoccupo sempre per lui,” risponde May. “Ma… lo fa. Lo fa da quando ti abbiamo perso… è stata dura all’inizio: io lo sgridavo e lui si arrabbiava e… era in sofferenza continua, è stato difficile da gestire. La terapia non ha funzionato e non... sapeva che mi preoccupavo, quindi ci provava, a chiamare, e finiva per dispiacersi e scusarsi quando si dimenticava, ma… dovevo solo– a volte crollavo, altre pregavo solo che stesse bene e mi chiamasse presto. Il fatto di Spider-Man non aiuta, e ci si è dedicato ancora di più… è stato difficile.”

“Cristo,” mormora Tony, con voce incrinata. Ha combinato un casino, morendo. Un casino terribile.

“Volevo parlartene, ma lui è stato sempre presente da quando sei tornato,” dice lei, e sembra rattristata. “Peter… ha perso così tanto, e ogni volta penso che si spezzerà sotto tutta la pressione, ma questa volta è stato davvero vicino a rompersi, credo. È stato un accumulo continuo. Parlava di karma, e cose del genere.”

“Ha un complesso di colpa più grande del mio,” commenta Tony.

“E so che è dire molto,” ribatte May. Sospira. “Insomma, adesso sei tornato e mi è sembrato più allegro da quando è successo, molto più allegro… ieri sera abbiamo parlato e l’ho sentito più ottimista che in tutti questi mesi.”

A Tony fa male il cuore. “Mi dispiace, per tutto.”

“Complesso di colpa,” lo rimbecca May. “Dai, Tony.”

“Avrei dovuto stare più attento.


“Tony,” lo ferma. “Non fare così. Se ti dai la colpa per essere morto vengo lì e ti uccido con le mie mani.”

Lui scuote la testa.

“Speriamo che sia solo con Ned,” continua lei. “Si dimentica in continuazione di caricare il telefono, quindi potrebbe essere per quello. Io gli mando un messaggio, tu chiama Ned e poi confrontiamo gli appunti.”

“Bene,” concorda Tony, con gola costretta.

“E, Tony Stark: non voglio assolutamente che tu ti senta in colpa per tutto questo, capito? O chiamo Pepper e tutti gli altri che sono lì con te e dico loro di prenderti a calci nel sedere.”

Tony trattiene una risata. “Anche Thor?”

“Soprattutto Thor. Ho già parlato altre volte al telefono con Thor. Ci ho bevuto, con Thor!”

“Ci sono fin troppe storie che devo sentire,” commenta Tony.

“Beh, va bene, quando andremo a pranzo insieme te le racconto,” gli assicura lei.

“Affare fatto,” sorride lui. “Ti faccio sapere cosa scopro sul ragazzino.”

“Idem.”

Attaccano, e Tony chiama Ned. Dopo qualche oddio, signor Stark, mi sta chiamando e qualche balbettio sconnesso riguardo alla sua recente resurrezione, scopre che, sì, Peter è stato da lui, ma se n’è andato in fretta circa un’ora fa, il che stressa solo di più i suoi nervi. Chiude la chiamata con Ned e scopre che Peter non risponde nemmeno a May.

Tony è a un passo da un maledetto attacco di panico. Neo sta facendo avanti e indietro così tante volte da poter scavare un solco per terra; Tony si alza, pronto a incontrare gli altri e ad ammettere tutto quanto. Riguardo al libro e a quanto sia preoccupato per Peter. E progetta di rivelare proprio Peter come suo sospettato numero uno. Questa improvvisa scomparsa non fa che battere sul chiodo dei suoi sospetti. Ma forse non vuol dire nulla. Magari si è davvero dimenticato di ricaricare il telefono. Magari è impegnato con faccende da Spider-Man.

Ma in quel caso, perché non dirlo a loro?

Controlla i notiziari e Twitter, ma non trova nulla relativo a Spider-Man.

È troppo, per lui. Ci sono troppe cose di cui è all’oscuro, troppe domande senza risposta, troppo panico e nervosismo e cose impossibili che diventano possibili. Si alza e si sta dirigendo verso l
’uscita, quando sente aprirsi un portale dietro di lui.

Gira su se stesso e vede Strange, col portale che già si è chiuso dietro alle sue spalle. La trova ancora una cosa assurda, ma ora non importa.

“Hai novità?” gli chiede. “Ti prego, dimmi che hai scoperto qualcosa. E preferirei fosse qualcosa di buono, ho bisogno di una bella carica in questo momento.”

Poi, però, guarda bene in volto Strange. Gli ricorda quel momento su Titano, quando aveva visto i loro milioni di fallimenti e la singola possibilità di vittoria che avevano. Una su milioni.

Strange non ci gira intorno: “L’incantesimo si basa fortemente sul numero sette, che è rilevante in molti testi teologici,” comincia, a voce bassa, come se ci fosse qualcuno in ascolto. “Nella Bibbia, sette è il numero perfetto. È il giorno in cui Dio si è riposato. Quindi, questo incantesimo… funziona correttamente solo se è circondato dal numero sette. Sette mesi, sette giorni, sette anni. È un incantesimo preciso, per questo funziona raramente.”

Tony sente il cuore che batte all’impazzata. “Raramente?”

“Questa è una regola non scritta,” dice Strange, standosene in piedi rigidamente. “Un’altra delle ragioni per cui l’incantesimo è così pericoloso. Non si svela facilmente. Altri sono arrivati a queste conclusioni esaminando i casi, quelli che hanno funzionato e quelli falliti. E quelli che non sono falliti… sono tornati in vita mezzi cadaveri. O cerebralmente morti. Tornano e poi soffocano nel loro stesso sangue un’ora dopo. Può succedere di tutto, ed è successo di tutto. Tu hai avuto fortuna. Sette mesi. Lei ha rubato il libro una settimana prima dell’anniversario, avrebbe potuto lanciare l’incantesimo in qualsiasi momento in quel lasso di tempo ed essere comunque nel margine d’errore dei sette mesi. Credo che se l’avesse lanciato una settimana prima o dopo non avrebbe funzionato correttamente.”

“Aspetta,” lo ferma Tony, chiudendo gli occhi prima di riaprirli lentamente. “Lei?”

Strange sembra incupito. Non arrabbiato, ma vede allarme e rassegnazione nei suoi occhi. “È stata Natasha Romanov, Tony. Wong ed io siamo riusciti a recuperare i filmati. Ha reso le cose difficili, ma alla fine li abbiamo trovati. Era da sola. E ora so di dover dover applicare qualche misura di sicurezza in più, per fermare persone del suo calibro.”

Tony scuote il capo. Riavvolge a mente tutti i momenti che hanno passato insieme da quando lei è arrivata qui. Gli riecheggiano in testa le parole di Sam. Perderti l’ha devastata. Il fatto del furto sembra da lei, e tra tutti loro è sicuramente quella più in grado di portarlo a termine. La Terra sembra cambiare, adesso che lo sa, come se la sentisse muoversi sotto ai piedi. L’ha fatto per lui. Ha cambiato le leggi che regolano il mondo per lui. Ci crede e non ci crede. Tutto ciò che sa è che deve parlare con lei.

“Merda,” esala infine, col petto che prende a fargli più male. “Uh, okay. Lei è qui, uh… non saprei, pagherò per qualunque cosa abbia danneggiato, so che hai un mucchio di stramberie magiche in giro, là da te…”

“Tony,” lo interrompe. “C’è altro. Ho… ho scoperto altre cose sull’incantesimo. Il suo costo. E lei lo sapeva, erano esplicitate nel testo.”

Quel momento sembra prolungarsi fin troppo a lungo. “Cosa?” lo incalza. “Cosa? Dimmelo.”

“Prima di tutto, marchia l’incantatore, solitamente in un modo che richiami la morte di chi è stato resuscitato;” spiega Strange. “Quindi, se sono morti in un incendio, l’incantatore subirà delle ustioni. Se è stato un brutto incidente d’auto, avrà le stesse ferite. Di solito negli stessi punti.”

“Cristo,” esala Tony, e gli si rivolta lo stomaco.

“Ma quel che è peggio–”

“Peggio?” esclama Tony. “Andiamo, Doc…”

“L’incantesimo richiede un prezzo da chi lo usa, che abbia funzionato o meno.”

“Che prezzo?”

“Nel tuo caso – e in quello di lei – sette mesi. L’incantesimo esige la durata della morte di chi viene resuscitato e la sottrae alla vita di chi lo usa. Ovvero, se qualcuno è morto da dieci anni, l’incantesimo fallisce, la persona resuscitata torna in vita in modo errato e probabilmente non sopravviverà, e quei dieci anni verrebbero comunque sottratti alla vita dell’incantatore. Quindi la signorina Romanov ha coscientemente sacrificato sette mesi di vita per farti tornare. Ha avuto fortuna col tempismo, perciò non è stato un sacrificio vano. Ruota tutto intorno al sette. Posso solo immaginare coloro che hanno scelto di sacrificare dieci anni di vita solo per fallire. È arduo pensarci.”

Tony… si sente male. Sente che sta per vomitare, svenire. Un mese è troppo, un secondo è troppo… ma, dannazione, sette mesi? Tolti dalla sua vita? Non riesce a pensarci e non è in grado di concepire questa mole folle di informazioni che fino a pochi istanti prima non conosceva. Regole non scritte. Orrori. Sacrifici. Quel senso di fatale minaccia che incombeva su di lui. Eccolo.

Non riesce a crederci. L’incantesimo era troppo pericoloso, avrebbe potuto facilmente diventare un cazzo di incubo: un solo mese fuori tempo e… e… ha dei fugaci lampi di cosa sarebbe potuto accadere. Terra nelle sue orbite vuote. Polmoni malformati. Avrebbe potuto diventare un cadavere ambulante e in decomposizione, prima di morire di nuovo. Non ne ha idea. Ne ha fin troppe.

E sette mesi. Natasha ha sacrificato sette mesi.

“Sapeva che stava rinunciando a sette mesi della sua vita?” chiede. “L’ha… davvero scelto?”

“Sono riuscito a recuperare la dicitura del testo originale,” risponde Strange. “Ne era ben cosciente. Quel passaggio specifico è molto semplice e molto chiaro.”

“Okay,” sbotta Tony, coprendosi il volto con le mani. “Okay, okay. C’è qualcosa che possiamo fare per… per, uh… ridarle indietro quei mesi?” Dio, non gli piace nemmeno dirlo ad alta voce. Tutto ciò gli dà la nausea.

“Non che io sappia,” replica Strange. “Sapevo che l’avresti chiesto, quindi ho fatto delle ricerche. Nessuno ci è mai riuscito, ma ci hanno provato.”

“Beh, non ci hanno provato abbastanza,” ribatte Tony, dirigendosi verso la porta come stava facendo pochi istanti prima che Strange sganciasse questa bomba devastante.

Sente un incendio nelle vene. Il terrore lo incalza. Natasha. Natasha. Deve parlarle adesso, dannazione.

“Seguimi,” dice a Strange, senza nemmeno girarsi a guardarlo. Si sente una macchina, come se avesse dei paraocchi, ed è decisamente sull’orlo di un attacco di panico.

Svolta in corridoio e vede Clint che scende le scale.

“Ehilà,” li saluta. “Stiamo per ordinare le pizze, quindi credo che si ora di darci un tagli a questo tuo isola–”

“Dov’è la tua partner?” chiede Tony, troncandolo. Si sente davvero sul punto di esplodere. Avrebbe dovuto prevedere che sarebbe andato fuori di testa nel vederci chiaro in questa storia. Non è in grado di identificare nessuna delle emozioni che sta provando. Non sa se sia furioso, o grato, o se si senta in colpa. Non sa se sta per avere davvero un attacco di panico, perché l’idea di Natasha che rinuncia a sette mesi per lui è inimmaginabile. Non sa come funzioni, ma percepisce che questo tipo di magia è probabilmente intessuta nell’universo stesso, connessa ad ogni tempo e data ed evento, e ha una visione di una delle loro serate, una qualunque, e di Natasha che, di colpo, cade a terra morta. Tony vorrebbe fermare la morte per tutti loro, non invogliarla ad avvicinarsi, e quasi scoppia in lacrime quando incontra gli occhi di Clint. Perché sa che lei non gliel’ha detto, non nel dettaglio, almeno. Non crede che Clint l’avrebbe mai incoraggiata in una decisione simile, anche se presa per riportare indietro lui.

Clint socchiude gli occhi. “Siamo ancora tutti accampati in salotto; perché, cosa–”

“Devo solo… parlarci un attimo,” dice Tony, avviandosi su per le scale. Non vede Clint che si volta e si accorge di Strange, ma li sente parlare. I suoi pensieri sono sfocati e non si concentra su cosa stiano dicendo, e non sa nemmeno cosa dirà a Natasha: tutto è già compiuto, scolpito nella pietra, e non sa perché vuole che lei lo annulli. È qui, è vivo grazie a ciò che ha fatto, ma sette mesi, sette maledetti mesi della sua vita, non riesce a crederci, deve chiederglielo, deve chiederle perché–

È come se lei sapesse che la sta cercando non appena sbuca fuori dal corridoio, e lui sta perdendo la ragione, si muove come un elefante in una cristalleria, e lo vedono tutti, che è turbato… e Peter ancora non è qui. Cristo, Cristo, deve chiamarlo di nuovo, deve trovare anche lui, ma Natasha– prima Natasha…

“Tony,” lo chiama Pepper, con occhi preoccupati. “Che succede?”

Tony scruta l’espressione di Natasha nel momento in cui vede Strange, come se stesse cercando di non tradirsi. Ma è troppo tardi.

“Ha usato un portale per entrare qui?” chiede Happy, irritato. “Cristo santo, Strange, dai–”

“Tony,” fa per dire Rhodey, ma Tony ormai corre su un binario unico.

“Natasha,” dice. “Possiamo parlare?”

“Tony–”

“Che sta succedendo–”

“Un secondo, ragazzi, va tutto bene,” li ferma Tony, cercando di suonare normale, ma vede rosso, sta andando nel panico, sette maledetti mesi per lui.

Natasha si alza e Tony decide rapidamente, volendo in parte togliersi di dosso quella conversazione e in parte lasciare a Strange l’onere di spiegare tutto, perché non è sicuro di essere in grado di formulare parole coerenti mentre viene mangiato vivo dall’ansia.

“Uh. Strange… puoi, uh… di’ a loro del libro e tutto il resto,” spiccica infine, incontrando i suoi occhi. “Sai spiegarlo meglio di me.” Strange annuisce e il gruppo riprende a parlarsi l’uno sopra l’altro, facendo domande. Natasha lo prende per un braccio e impugna le redini della situazione, tirandolo via lontano dal rumore e dal vocio, fuori, sul balcone posteriore.

Chiude la porta dietro di lei, lasciandoli avvolgere dal silenzio, e si volta a fronteggiarlo.

“Lo sai?” chiede, con occhi intensi.

Tony si sente sfinito, all’improvviso. Cose se, adesso che è davanti a lei, non sapesse come comportarsi, come parlare o discutere della faccenda. Si poggia contro la porta e si pente di tutto – di ogni singola cosa – e vorrebbe essere stato abbastanza forte da non morire affatto, così da evitare questa situazione terrificante.

Abbassa lo sguardo a terra. “Perché l’hai fatto?” chiede, deglutendo a fatica. “Merda, Romanov, sette mesi? Per salvare il culo a me? Ho pensato che potessi essere stata tu, ma sei tra quelli con più buonsenso del gruppo, avrei pensato che questo tipo di scambio ti avrebbe fatta desistere–”

“Tony,” lo ferma lei, e sembra nervosa. “Ho fatto un casino.”

“Uh, beh, sì, hai fatto un casino,” replica lui. “Capisco che ti mancassi, sono toccato, ma–”

“L’ho rubato io,” dice lei, respirando più velocemente. “Ma non era– Dio, Tony, certo che mi mancavi, Mancavi a tutti. Mi sentivo come se avessi fallito, quando tutto è finito ero troppo lontana, non ero lì quando hai avuto bisogno di me e siamo rimasti separati per così tanto tempo… ho molti rimorsi, ho avuto molte occasioni per sistemare le cose e le ho mancate... quindi, quando mi ha detto di questo libro, di dove fosse… quando è venuto a chiedermi aiuto sapevo che dovevo farlo, dovevo aiutare lui ad aiutare te…”

Tutto sembra rallentare.

“L’ha cercato per molto tempo, ha battuto ogni pista in cerca di qualcosa, qualunque cosa, e io l’ho aiutato ed ero l’unica a saperlo, e quando ha scoperto del libro… l’ho rubato e basta, sono entrata là dentro e l’ho trovato,” continua Natasha, con voce intensa, e tutte quelle informazioni gli arrivano addosso come una cascata. “Non ero lucida. Mi sono assicurata che nessuno potesse fermarci o impedirci di farlo, ma non ho– voleva farlo lui, voleva disperatamente essere lui a farlo e io non ho– non ho nemmeno avuto modo di leggere coi miei occhi l’incantesimo–”

“Chi… chi è, lui?” chiede Tony, anche se già lo sa, anche se quella rivelazione agghiacciante gli si sta posando sulla pelle come un sudario. La guarda negli occhi.

“Ho commesso un errore,” risponde Natasha, tremando. “Non avrei dovuto permetterglielo, avrei dovuto farlo io… non ne sapevo abbastanza, ma ho comunque rubato il libro per lui, ho lasciato che–”

“Stai parlando di Peter?” chiede lui, piano, il suo intero corpo prova dolore.

Lei ha le lacrime agli occhi. “Mi sta evitando da allora,” gli dà conferma. “Avevo l’impressione che ci fosse qualcosa sotto, che l’incantesimo… che pretendesse qualcosa da lui, qualcosa che non avrebbe dovuto concedergli... non me l’ha voluto dire: l’ho capito da come si comportava, ho cercato di estorcergli qualcosa ma non vuole cedere–”

Tony barcolla sul posto. Non riesce a respirare. A pensare. Non sta accadendo. Non Peter. Non questo.

“L’abbiamo fatto per te, Tony,” continua lei. “Non potevamo… non potevamo lasciarti morto, non potevamo, cazzo. Quel ragazzino, lui–”

“Quel ragazzino ha dato via sette mesi della sua vita per riportarmi in vita,” sussurra Tony, e la sua voce suona lontana. “E adesso non– non risponde al telefono.” Tutto diventa freddo, e si sente riportare al momento in cui è emerso da sottoterra.

Peter sapeva di dover essere lì.

Il taglio sulla sua mano. Quelle cazzo di ferite sul suo petto. Nello stesso punto delle sue. Oh, cazzo, cazzo, cazzo…

“Sono un idiota,” esala, nascondendo il volto nelle mani. “Sono uno stronzo.”

“Tony, io… Cristo, avrei dovuto farlo io,” sussurra Natasha. “Mi dispiace, mi dispiace tantissimo.”

Tutto ha senso. Il modo in cui si è comportato Peter. Tutto. Il fatto della voce mancante l’ha preso alla sprovvista. Non se l’aspettava. Si aspettava di vederlo tornare, ma non così. Uno scossone nel suo piano. Non conosce le regole non scritte. Non sa quanta fortuna ha avuto col tempismo.

È stato Peter, dannazione. Era abbastanza disperato da andare incontro al pericolo, incontro a questa oscurità, lasciandosi andare in modo sconsiderato, senza alcun pensiero rivolto a sé, o a cosa sarebbe potuto accadergli. A cosa è accaduto. Cazzo. Cazzo.

Voleva solo che lui tornasse.

“Non è colpa– lui– merda, ha conquistato tutti noi, ne sono consapevole,” dice poi, con la voce ovattata dai suoi stessi palmi. “Ha dei marchi sul petto… i miei marchi, li ho visti… Strange dice che anche questo fa parte dell’incantesimo, che infligge a chi lo usa le ferite mortali di chi resuscita, o che so io… Cristo Santo, avrei dovuto capirlo, non sembrava che stessero guarendo bene, ma non ci stavo pensando–”

“Si è tagliato la mano per farlo,” interviene Natasha. “Questo lo so.”

“Però quel taglio è guarito,” replica Tony, e si sente come se stesse perdendo sangue, si sta dissanguando e cadrà a terra da un momento all’altro. Gli gira troppo la testa e gli fa ancora male tutto. “I marchi… merda, probabilmente sono permanenti.” Cerca di respirare. Gli fa ancora male il petto. Adesso capisce anche quei crampi alla mano, come se si fosse tagliato anche lui. Hanno una sorta di legame, adesso. Ma perché si sta accendendo proprio ora? “L’hai visto, quando è andato via?” chiede, lasciando scivolare le mani via dal volto.

“No,” risponde lei. Sembra confusa. “Tony, davvero, mi–”

“No, non sentirti in colpa,” replica lui, scuotendo la testa. Non è una questione di colpa, soprattutto adesso, di fronte a tutto questo, dopo quello che, di base, è un atto puramente altruista da parte loro. Sa com’è fatto Peter, e se vuole fare qualcosa, la farà. “Solo che non mi fido di lui, non mi fido di dove sta andando in questo momento.”

“Chiamalo,” suggerisce lei. “Lasciagli un messaggio particolarmente commovente. Digli che lo sai.”

Tony annuisce. Sanno entrambi che Peter non risponderà.

Sette mesi. Sette mesi della vita di Peter. Tony si sorregge alla ringhiera e risucchia un respiro, sentendo la mano di Natasha sulla spalla. Fa un cenno col capo, con la vista che si appanna. Tira fuori il telefono dalla tasca.

Tre squilli. Poi scatta la segreteria. Lo sta chiaramente ignorando.

“Peter,” dice Tony. “So cos’hai fatto, ragazzino. So cosa hai fatto e ho– so quanto ti è costato.” Delle lacrime gli pizzicano agli angoli degli occhi. “Cristo, Peter… non– non so cosa dirti.” È profondamente triste, e ogni singola parte di se stesso sta annegando nel proprio fallimento. Come ha potuto lasciare che tutto ciò accadesse a Peter? È suo figlio, dannazione. Porta sempre con sé luce e speranza, e Tony l’ha ridotto a questo. Gli ha sottratto qualcosa. “Peter, io–” ha un singulto, e scuote la testa. Non ci sono parole per quanto è successo. È tornato, è tornato dalle persone che ama, e Peter gli ha regalato questa opportunità. Ha sacrificato sette mesi della propria vita. Ha rischiato tutto per lui.

“Ti prego, richiamami,” dice, con la voce che gli si spezza. “Ho bisogno di parlarti, di– che tu torni a casa, capito? Va tutto bene. Va tutto bene, ne parliamo, faremo– risolveremo le cose in un modo che– che mi permetta di rimanere qui, ma non– devo vederti, ragazzo. Torna qui, okay?” Deglutisce attorno al groppo che ha in gola e attacca. Si asciuga gli occhi.

“Stava passando un bruttissimo momento, Tony,” dice a quel punto Natasha. “È un bravo ragazzo, e ha perso così tanto…”

“Lo so,” dice Tony, voltandosi. “Vorrei solo… essere stato migliore, per lui. Non averlo coinvolto in questo macello. È solo che… ogni volta che ci penso…” Scuote la testa. Gli dà la nausea.

Gli vibra il telefono in mano. Il suo cuore ha un sobbalzo e abbassa gli occhi. 
È un messaggio di Peter.

Tony. Sono così felice di riaverti qui. Lo rifarei mille altre volte, non importa il costo. Riporterò qui anche il resto della mia famiglia. Non vedo l’ora che tu li conosca.

“Ehi, ehi,” esclama Natasha, cingendogli la vita con un braccio. “Tony, stai… che succede? È lui?”

Lo sta sorreggendo. Perché gli hanno ceduto le gambe e sta per svenire. Continua a tenere gli occhi fissi sul messaggio per accertarsi di aver letto bene.

Ben è morto da quattro anni.

I Parker. I genitori di Peter. Devono essere passati almeno dodici anni.

“Tony. Tony.”

Sedici anni. Peter sta per sacrificare sedici anni per niente. Perché nessuno dei due incantesimi funzionerà. Torneranno sbagliati, saranno incubi, e Peter si spezzerà, finirà per esserne distrutto. Per colpa di una maledetta regola non scritta di cui lui non è chiaramente a conoscenza, è ovvio che non la conosca, o non rischierebbe, non metterebbe in gioco sedici anni di vita per riavere dei cadaveri, dei morti che camminano, sofferenti, versioni decomposte delle persone che ama e che non potrà riparare, che non rimarranno qui, che lo faranno solo soffrire fino a smembrarlo. Non rischierebbe, se lo sapesse. Non lo farebbe. Non lo sa, non lo sa, è in pericolo e Tony deve salvarlo.

Guarda di nuovo il messaggio. Questo è lo scenario peggiore che potesse capitare. “Ha intenzione di… oddio… ha intenzione di– di riportare in vita suo zio. E i suoi genitori. Sono tipo… sedici anni. Perderà sedici anni. Maledizione. Dio… non funzionerà e sacrificherà comunque tutto quel tempo–”

“Come, non funzion–”

“Non tornano in vita nel modo giusto a meno che… a meno che non ci sia un legame col numero sette; con me ha funzionato solo perché ero morto da sette mesi.” Un impossibile colpo di fortuna. Non se lo merita assolutamente. “Non importa, non posso– merda, devo–” Sta iperventilando, risucchiando aria, ma deve concentrarsi. Si tratta di Peter. Deve risolvere questo casino. Ora. Non c’è tempo per nient’altro.

Si libera della stretta di Natasha e la guarda negli occhi. “Quando l’ha fatto per me, era nel cimitero?”

“Credo di sì.”

“Bene,” replica, serrando la mascella e tornando dentro. “Traccio il suo telefono, ma vado comunque là.”

La sua testa gira. Gli sembra che il mondo stia per finire.

Deve proteggere il ragazzo, prima che sia troppo tardi.



 
§



Tradotto da Lazarus, come forth - Chapter 6 di iron_spider da _Lightning_
 
Note di traduzione:

[1] Il dialogo, anche in originale, è completamente e volutamente nonsense.
[2] “Sharing is caring” è un detto credo ormai abbastanza diffuso anche qui da noi, e ho preferito lasciarlo così (“condividere è amare” mi suonava un po’ sdolcinato e altre perifrasi sarebbero state troppo lunghe nel contesto di un SMS).


Note della traduttrice:

Cari Lettori, ecco che ci avviciniamo al gran finale!
Come sempre ringrazio tutti coloro che leggono, seguono e commentano questa storia, e vi invito a lasciare kudos e complimenti all'autrice tramite il link a piè di pagina <3
Alla prossima, tra pochi giorni,

-Light-

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7



Non appena le parole vengono pronunciate e il sangue tocca terra, gli anni vengono sottratti. È questo, il fulcro di tutto. Tony se lo ripete in testa non appena gli viene riferita, lo gira e rigira nei meandri della propria mente finché le parole non perdono forma e significato, assumendone un altro. Devi salvare Peter Parker.

“Strange, dobbiamo andare,” dice, tornando in salotto di gran carriera con Natasha alle calcagna. “È Peter. È stato Peter.”

“Cosa?” abbaia Happy.

“No, ha detto–”

Strange ha chiaramente appena finito di spiegare quella sequela di assurdità al resto del gruppo, e tutti prendono a parlarsi l’uno sopra l’altro come ormai tendono a fare spesso. Ma Tony scuote la testa. È nelle grinfie del panico, è come se ci fosse un’incudine da cento chili sul suo petto. E la sua testa è in tumulto, colta dal terrore, con ogni pensiero ricoperto da un velo rosso e dalla consapevolezza che non hanno tempo. “Non so cosa vi abbia detto, ma Peter ha intenzione di provare a riportare in vita la sua famiglia,” annuncia. “Non funzionerà, perché suo zio è morto da quattro anni e i suoi genitori da dodici, e sta gettando via sedici anni della sua vita–”

“Ventotto,” dice Strange, cereo in volto. “Dovrebbe – non può sommarli – dovrebbe lanciare l’incantesimo tre volte.”

Tony lo fissa. Tutti smettono di parlare. Si sente informe, come se si stesse sfaldando nel nulla: non crede di aver mai visto un simile orrore sui loro volti. “Cazzo,” esala, con un senso di vertigine nonostante i suoi piedi siano ben piantati a terra. “Cristo, io– cazzo– perdo il senso della matematica quando non– non sono lucido–” si artiglia la gola, non respira, e si fionda oltre tutti loro in direzione della cucina, vomitando poi nel lavello.

Peter non conosce le regole non scritte. Non si comporterebbe così, se le conoscesse. Non sa che il suo sacrificio incalcolabile non servirà a nulla. Servirà a evocare l’inferno, a scatenare un dolore incommensurabile, a dare il via a un contraccolpo che potrebbe distruggerlo. Ci sono fin troppi eventi che Tony deve fermare, adesso. Non può permettere che il ragazzo veda la propria famiglia ridotta in quello stato. Strange ha descritto delle cose orribili, e non le ha nemmeno descritte nel dettaglio. La sua mente gli suggerisce immagini che non vuole vedere, che gli inviano brividi su e giù lungo la sua spina dorsale, e quasi rimette di nuovo. Non può permettere che Peter subisca tutto ciò – non accadrà.

Ventotto anni. Ventotto anni, maledizione, vanno oltre la sua comprensione. Sedici erano già fin troppi, assolutamente troppi, e quel calcolo era frutto del suo cervello perso nel panico che ha sparato numeri a caso... ma ventotto anni sono più di quelli che Peter ha adesso. È un pezzo incalcolabile della sua vita, è come invitare il tristo mietitore alla propria soglia in largo anticipo. È come se si stesse uccidendo da solo.

È… è proibito. Non gli è concesso. È l’ultima cosa che Tony vorrebbe mai permettere.

Deve aiutare il ragazzo. Adesso.

“Al cimitero?” sente Clint porre quella domanda. “Lo farebbe davvero in pieno giorno?”

“È disperato,” replica Natasha. “Si è già comportato così, prima, è come se mettesse dei paraocchi.”

“Dobbiamo andare,” dice Tony. Si ripulisce alla svelta la bocca, si asciuga il volto e torna davanti a Strange. “Saint Mary’s Cemetery, settore ventuno… se non è lì, metto all’opera la mia tecnologia, appositamente pensata per quando Peter mi ignora, e traccerò il cellulare, che ce l’abbia acceso o meno. Adesso ci vuole troppo per farlo, dobbiamo andare… dobbiamo andare, adesso.”

“Tony, stai attento,” dice Pepper, trattenendolo per un braccio e premendogli un lungo bacio sulla guancia. “So che starà bene, lui… lui ha te.”

Tony annuisce, lasciandosi sostenere da lei. Sa che prima, quando tutti sono stati informati, si saranno messi a discutere del ruolo del fato in questa situazione. Ovvero, che il tempismo è stato buono, che tutto è andato bene... ma non può assolutamente dirlo a Peter. Nessuno vorrebbe sentirselo dire, se costretto a fronteggiare morti e perdite simili.

Si volta verso Strange, facendogli un cenno col capo. Non riesce a guardare in faccia gli altri perché è terrorizzato, perché non vuole vedere nei loro occhi la paura che lui possa fallire. Perché pensa che potrebbe spezzarsi sotto il peso di altre rassicurazioni. Niente può davvero calmarlo, adesso, non di fronte a questo. È una delle prove più grandi che abbia mai affrontato in vita sua. In entrambe le sue vite.

“Andiamo,” dice. Volta le spalle agli altri e vede Strange che apre un portale in mezzo al salotto. Vede dall’altra parte il cimitero dove è stato con Peter in più di un’occasione, ma non ha nemmeno un momento per recuperare l’orientamento che già si getta in avanti, perché Peter è lì. È lì, in piedi di fronte alla tomba di Ben.

Tony ha fronteggiato innumerevoli pericoli, incluso il gigante viola che gli ha portato via Peter, ma la linea solenne delle spalle del ragazzo, viste da dietro, lo pietrifica in un modo che non ha mai sperimentato prima. Non riesce a vedere se si sia già tagliato il palmo. Non sa se ha dato inizio a qualcosa che non potrà più arrestare. Si sente di nuovo sul punto di vomitare. Il sole di metà pomeriggio picchia sulla sua testa e lui si sente un nervo esposto, sensibile, messo a nudo di fronte alle sue peggiori paure per esserne annientato. Non ha la squadra a coprirgli le spalle, adesso. Deve farlo da solo: se tutti gli altri fossero qui, annichilirebbero Peter nel giro di un secondo. Peter, però potrebbe farlo prima da solo.

La forte brezza che spazza il cimitero minaccia di farlo cadere.

Sente il portale chiudersi dietro di lui e Peter si volta lentamente. Porta una delle sue felpe, e sembra sul punto di scattare via. Tony abbassa lo sguardo e, decisamente, sta per rimettere di nuovo: Peter ha già iniziato a scavare nella tomba. C’è una pala poco più in là, ha le scarpe coperte di terra e c’è un buco piccolo ma abbastanza profondo alla base della lapide. Tony barcolla appena, con la vista che gli si oscura di macchie gelide e orripilate e non riesce a pensare in modo lucido: tutto ciò che riesce a registrare è che Peter è qui, a scavare nella tomba di suo zio. Se quella non è una prova di devozione totale alla causa, non sa cos’altro potrebbe esserlo. Crede di vedere lì per terra anche il libro, ma non ne è certo perché il suo cervello non funziona correttamente. Niente sembra reale.

Sente il cuore che precipita. Peter sta tremando, si stringe la mano e trema: Tony vede il taglio, il sangue. I suoi occhi corrono ad esaminare il terreno di fronte alla lapide: non vede sangue, lì, non ancora, sta andando fuori di testa ma non c’è sangue né per terra né nel buco né sul terriccio smosso, o almeno non ne vede.

Deve concentrarsi. Devi salvare Peter Parker.

Riporta in alto lo sguardo, deglutendo a fatica, e tende una mano in direzione di Peter. “Ragazzo,” mormora. “Non puoi farlo.”

“Devo,” dice Peter, e il suo volto è arrossato, con le lacrime che già minacciano di uscire. C’è una famiglia, in lontananza, radunata attorno alla lapide di qualcuno di amato, e non hanno idea di cosa stia accadendo quaggiù. Di cosa potrebbe accadere, Ma Tony li esclude. “Tony,” lo chiama Peter, con occhi grandi e fissi su di lui. “Non vedo l’ora che tu li conosca,” dice. “Ben era fantastico, era proprio come te, era bravo coi computer e– e si arrabbiava con la TV ogni volta… è stato solo grazie a lui se ero alla Expo la prima volta che ti ho visto–”

“Peter,” lo interrompe Tony, prendendo un cauto passo in avanti. “Anch’io voglio tanto conoscerli, ragazzo, ma c’è… questo incantesimo, ci sono delle regole che non conosci…”

So che sacrificherò molto tempo,” risponde Peter, con voce spezzata, e si sta ancora artigliando la mano. Tony non riesce a smettere di guardarla, terrorizzato che il sangue possa versarsi. Non sa se abbia già pronunciato le parole. “So che sei… che non vuoi che io lo faccia–”

“Pete, devo– devo dirti una cosa–”

“Tony, ti prego,” dice Peter, con le lacrime che gli inondano il volto. “Ti prego, lasciami… posso farcela, posso finalmente… riavere tutti indietro, posso farlo, posso sceglierlo e– Dio, a malapena ho avuto dei genitori, e Ben– posso restituire Ben a May. E adesso tutti– tutti loro, tu… anche tu– sarete con me e sarebbe come se– se finalmente la mia famiglia fosse completa–”

È strenuamente deciso a farlo. Tony glielo legge negli occhi.

“Devo farlo,” ripete Peter, scuotendo la testa. “Devo–”

“Peter, non funzionerà,” dice Tony. Gli alberi che li circondano oscillano al vento come fiaccole, e il resto del mondo sembra ammutolire – il traffico in strada, le conversazioni distanti, tutto. Niente è più importante che rendere chiaro questo concetto. Niente conta più di questo ragazzo, adesso.

“Perché?” chiede Peter, tirando su col naso. “Ha funzionato con te, tu sei–”

“Funziona solo col sette,” spiega Tony, cercando di controllare il respiro. “Sette giorni, sette mesi, sette anni… è l’unica ragione per cui con me ha funzionato. È per questo che l’incantesimo è così pericoloso: ci sono molti dettagli che non sono esplicitati di proposito. Con me hai avuto fortuna, davvero tanta, tanta fortuna, per via del tempismo.”

Peter fissa un punto alle sue spalle, mordendosi il labbro inferiore.

Tony sa che non deve mollare adesso. “Quando non ci si affida al sette… la persona torna indietro sbagliata. Strange mi ha raccontato dei casi specifici–”

“No,” ribatte Peter, negando col capo. “No, non può essere. Deve funzionare.


Tony sente il cuore che accelera un poco. “Peter…”

“No,” lo tronca lui, spostando il peso da un piede all’altro e guardando la tomba e il lavoro compiuto finora. “No, non– no, guarda, ora lo faccio, poi aspetto e alla fine uscirà fuori – tutti loro, perché farò tutto stanotte – prima Ben, poi i miei genitori... avranno bisogno d’aiuto, perché non hanno un guanto con un propulsore come te, è per questo che ho voluto cominciare in anticipo…”

“Peter…”

“… e li farò uscire, e saremo insieme. Avranno una seconda opportunità per vivere, saranno– potranno ricominciare, fare ciò che non hanno potuto fare, e la cosa degli anni non importa, insomma, non davvero… ventotto anni? Non sono niente, in confronto ad averli di nuovo vivi, ne vale la pena perché torneranno, torneranno tutti e tre, saranno qui e–”

“Peter, cazzo, diventeranno degli zombi,” sbotta Tony, probabilmente a voce troppo alta, ma deve scioccarlo, deve riportarlo indietro, deve convincerlo. Peter fa silenzio. “Non saranno vivi. Saranno malformati, ancora in decomposizione, saranno dei maledetti morti viventi, e sarà– sarà un incubo. E questo incantesimo, questo dannato incantesimo, ti porterà comunque via quei ventotto anni, solo per ricambiarti col nulla. Se non sofferenza,” conclude. Anche i suoi occhi stanno lottando contro le lacrime, adesso, specialmente nel vedere l’espressione sul volto di Peter. C’è così tanto dolore e rimorso, là sopra, e vorrebbe solo strapparglieli via. Non vuole dire queste cose orrende, non vuole sconvolgerlo, ma deve fermarlo. La sua mano sanguina ancora. Potrebbe cambiare il mondo intero da un secondo all’altro, con un semplice, piccolo gesto.

“E, Peter,” continua Tony, facendo un altro passo avanti, “loro non vorrebbero mai, mai e poi mai che tu rinunciassi a così tanti anni della tua vita. Mai. Per nulla al mondo. Ti amano, non vorrebbero che tu rinunciassi a un momento – a un solo momento prezioso della tua vita. Anche se funzionasse. Sette mesi per me… Peter io detesto il fatto di averteli rubati. Farò tutto ciò che posso per restituirteli, metterò a soqquadro ogni angolo della galassia per capirci qualcosa, come ho fatto quando quel bastardo ti ha portato via da noi.”

Peter si limita a fissarlo, gli occhi lucidi, e sembra un bambino sperduto. A Tony si sta spezzando il cuore, e non capisce se lo stia davvero ascoltando.

“Tony, ne– ne varrebbe assolutamente la pena,” dice poi, sembrando troppo piccolo. “Per– per riaverli. Ne è valsa la pensa, per riavere te… sono così contento che tu sia di nuovo qui, non puoi immaginarlo, non puoi saperlo–”

“Ventotto anni non dovrebbero mai valerne la pena,” ribatte Tony. “Pete, sono… Cristo, mi sento male solo a pensarci,” mormora, fissando la mano di Peter. Il sangue. “Sei troppo importante.”

Anche Peter abbassa lo sguardo sulla sua mano, adesso. “Sei– sei sicuro che non– non funzionerà?” chiede. “Sei sicuro?”

“Sono sicuro,” conferma Tony. “Dal modo in cui l’ha descritto Strange… sarebbe un’agonia, per te e per loro. Non vuoi vederli ridotti così, Peter, far loro passare… qualcosa del genere. Te ne pentiresti per sempre. Potrebbe ucciderti, non dice. E se uccide te, uccide anche me.

Peter flette le dita della mano ferita. La luce del sole sembra diventare più forte prima che due nuvole dense e scure lo coprano, e una brezza più tesa passa in mezzo a loro. Peter sta tremando, e Tony non sa se stia soffrendo, o se abbia freddo o paura, o tutte quelle cose insieme. Si sente come se fossero sul cornicione di un grattacielo. È terrorizzato.

“Io volevo…” sussurra Peter. Fissa la tomba di Ben, ciò che le ha fatto, e poi riporta gli occhi su di lui. “Volevo solo– pensavo di poterli riportare qui. Quando ha funzionato con te è stato un miracolo, ero così– così contento e pensavo solo– pensavo di potercela fare. Tutti coloro che amo insieme, finalmente…”

“Lo so, Peter,” dice Tony, col cuore che gli duole. “Lo so. Mi dispiace. Mi dispiace.” Ripensa ai marchi sul petto di Peter. A come e dove apparirebbero le ferite dei suoi genitori. Lo sfigurerebbero, come la strada che ha dilaniato i loro corpi. Una ferita da arma da fuoco, quella di Ben. E ventotto anni di vita persi. Per niente. Per l’inferno. Per un incubo di portata cosmica. “Non hai– non hai ancora cominciato, vero? Con l’incantesimo?” gli chiede, la voce che traballa. Non crede, dal modo in cui sta parlando, ma deve esserne certo.

“No,” risponde lui. “Mi sono… solo tagliato la mano.”

“Bene,” esala Tony, rilassandosi appena.

Il volto di Peter crolla del tutto, con le lacrime che rotolano più rapide. “Dio, ero– non posso– non– non– Dio, mi dispiace, mi– mi dispiace– mi dispiace– così tanto–”

“Non devi,” dice Tony, avvicinandosi cautamente, temendo di spaventarlo. “Non devi, ragazzo, lo capisco, capisco il voler… volere così tanto qualcosa da pensare che tutto ne valga la pena, e cavoli, credimi: se trovassimo un modo che non includesse tutte queste regole distorte e oscure, ti aiuterei all’istante, davvero, ci metterei tutto me stesso. Ma questo… non funzionerà, ragazzino, e mi dispiace…” abbassa lo sguardo, con ogni respiro spezzato di Peter che gli fessura un po’ di più il cuore. “Mi dispiace che… che abbia funzionato solo per me e non per loro–”

“No, no,” singhiozza Peter, e sta tremando a dismisura, stringendosi così forte la mano che diventa bianca in modo preoccupante attorno alla punta delle dita. “Ti prego, mi– mi dispiace, non– non voglio–” Sta piangendo, singhiozzando, e Tony non è certo che non abbia davvero ancora pronunciato le parole e non può permettere a quel sangue di toccare terra, non può, non può rischiare…

“Pete, vieni qui,” gli sussurra, andandogli incontro con slancio, e Peter fa lo stesso spezzandosi del tutto, rotto dai singulti. Lo sostiene un attimo prima che cada. Lo sorregge come Howard non ha mai fatto con lui; non c’è mai stato in quei momenti in cui niente sembra reale, niente possibile, e tutto ciò di cui hai bisogno è tuo padre. Howard non c’è mai stato, per lui, non mentre era in vita. E Peter non può avere suo padre, non può avere Ben per colpa del destino così dolorosamente ingiusto che gli è stato assegnato, e adesso anche le sue ultime speranze sono state infrante. Ma se Peter non può avere un padre, di certo può avere lui. Ogni volta che ne avrà bisogno. Ogni singola volta. “Vieni qui…”

“Mi dispiace,” piange Peter.

Tony prende rapidamente un fazzoletto dalla tasca e lo avvolge attorno alla sua mano insanguinata non appena è abbastanza vicino, ma Peter quasi non glielo consente perché gli crolla addosso, aggrappandosi a lui mentre piange convulso, più di quando stava morendo di fronte a lui. Gli assicura velocemente il fazzoletto alla mano e lo avvolge tra le braccia, portandolo via di peso dalla tomba per sicurezza. Poi Peter si accascia contro di lui, scosso da singhiozzi e respiri spezzati, ed entrambi scivolano a terra.

“Sono qui,” gli dice, stringendolo forte e scostandogli i riccioli madidi dalla fronte. “Shh, shh, sono qui.”

Peter emette un respiro interrotto, premendogli il viso contro la spalla e tenendosi al petto la mano ferita. È scosso da brividi, si aggrappa a Tony e lui gli si aggrappa di rimando, chiudendo gli occhi mentre cerca di non pensare a quanto siano andati vicini all’incubo. Stringe Peter con più fermezza, strofinandogli la schiena. Sospira, concedendosi un briciolo di sollievo.

“Mi– mi dispiace,” balbetta Peter, aggrappandosi alla sua spalla. “Mi dispiace, mi– mi dispiace… volevo– volevo solo–”

“Lo so,” ripete Tony. “Lo so, lo so, va tutto bene.” Sa che avrebbe fatto lo stesso. Per sua madre. Per Peter. E se mai fosse accaduto a Pepper o Rhodey o Happy, farebbe quella follia. Natasha aveva ragione, riguardo ai paraocchi. Solo a pensarci, sente il cervello che va in corto. È difficile allontanarsi da quel baratro.

“Oddio, avrei potuto– avrei potuto…” Peter scuote la testa e Tony riesce a malapena a comprendere ciò che dice mentre piange. “Degli zombi, avrei potuto– avrei potuto–”

“È tutto a posto,” sussurra Tony. “Non è successo. Non l’hai fatto, stai bene.” Tony non sa cosa fare, adesso. Il ragazzino sta ancora tremando, piange disperato, e si limita a stringerlo, pettinandogli i capelli con le dita e desiderando solo di potergli risparmiare quel dolore. Vorrebbe, più di ogni altra cosa, aver potuto salvare Ben, e i suoi genitori, e risolvere tutti i suoi problemi. Vorrebbe poter curare la morte, per aiutare quel ragazzo. Vuole fare tutto ciò che è in suo potere.

Gli stringe la spalla, cercando di convincersi che lui è qui, e che l’ha fermato in tempo. “Cristo, mi hai spaventato,” mormora poi. “Avevo paura di non fare in tempo.”

“Mi dispiace,” ripete Peter, stavolta piano, annaspando un paio di volte per rincorrere un respiro. “Mi dispiace, non– non– non ci ho pensato–”

“Non fa niente,” lo ferma Tony. È tentato dal fare promesse che non può mantenere. Una parte di lui è terrorizzata al pensiero che Strange scopra altre regole non scritte di questo maledetto incantesimo, delle regole che potrebbero strapparlo di nuovo via da Peter, dopo tutto ciò che hanno passato. Ma si costringe a non pensarci: non accadrà, è proibito. Ci sono troppe persone che non può abbandonare, soprattutto non ora che gli hanno dimostrato il loro affetto. La sua vera portata, nascosta in vita e rivelata solo quando avevano pensato che se ne fosse andato per sempre.

Non può oscurare questi fatti. Non più. Non quando è consapevole di ciò che può accadere e di cosa c’è in gioco.

“Ti voglio bene, Pete,” mormora, premendo la guancia sulla sua testa. “Non ti lascerò mai più, promesso. Quando ti ho detto che sei come un figlio, per me, era vero, è sempre stato vero e lo sarà sempre. Sei il mio ragazzo, lo sai. Farei qualunque cosa per proteggerti.”

Peter si stringe di più a lui, afferrandolo con la mano ferita. “Anch’io ti voglio bene,” risponde, ancora più piano. “Mi dispiace, mi dispiace.”

“Non dispiacerti,” ribatte Tony. Lancia un’occhiata alla lapide. Ben Parker. Sa che era una brava persona perché anche Peter lo è, e vorrebbe averlo conosciuto. Ora nota tutto ciò a cui non aveva fatto caso prima, troppo accecato dalla paura di cosa stava per accadere. Ai piedi della lapide di Ben c’è chiaramente il libro, seminascosto sotto alla terra smossa, vicino a una dozzina di rose rosse e a una busta di plastica con dentro quello che sembra un plaid. Le tombe di Richard e Mary Parker sono lì accanto, e anche lì c’è una busta di plastica, ma non riesce a vederne il contenuto. Anche lì ci sono dei fiori: un mazzo di margherite e qualche girasole.

Ci è andato così vicino. A perdere tutto.

Si muove appena sul posto in modo da far appoggiare Peter al suo petto: si sta finalmente calmando, anche se ha il singhiozzo e continua ad annaspare. Prende il telefono di tasca e manda un messaggio a Pepper, digitando con una mano sola.

È qui con me. Stiamo bene. May è lì? Ho bisogno di Strange qui entro cinque minuti.

Ripone il telefono e reclina un poco il collo per guardare meglio Peter. Il sole, sopra di loro, tenta di far breccia tra le nubi.

“Ehi,” lo chiama Tony, a bassa voce. Gli scompiglia delicatamente i capelli. “Ragazzo, riesci a seguirmi? Per tornare a casa? May ci aspetta e possiamo riposarci, calmarci, parlare un po’… va bene?”

Peter si copre gli occhi con la mano. “Lei– May sa che–”

“Non nel dettaglio,” dice lui, strofinandogli una mano sulla nuca. “Puoi dirle ciò che vuoi, la scelta è tua.”

“Lo verrà a sapere,” sussurra Peter, accartocciandosi. “Lo capirà non appena– non appena ci vedrà tornare da qui.”

“Peter,” Tony gli inclina il mento per guardarlo negli occhi. “May… capirà. Sarà comprensiva, e tu sei qui, non– non l’hai fatto. È tutto ciò che conta. Sarà solo felice di vederti, come tutti gli altri. Sai che sei il preferito di tutti noi, Pete, almeno quanto vorrebbe esserlo Clint.” Forza un sorriso ma lo sente dolorosamente triste, con la paura che ancora gli vibra nel sangue e gli ricorda che cosa avrebbe potuto affrontare se fosse arrivato solo poco più tardi. “Forza, ragazzo, andiamo a casa. Andiamo.” Gli passa un braccio attorno alla vita e lo issa in piedi, sollevandolo da terra fino a riportarlo sulle proprie gambe. Lui tira su col naso, con gli occhi rossi, e si appoggia di peso a lui.

“Mi dispiace, Tony,” bisbiglia. “Mi dispiace, mi dispiace–”

“Niente più scuse,” lo ferma lui, e alza lo sguardo quando sente aprirsi il portale, a preannunciare l’arrivo di Strange. “Basta così, stai bene. Stai benissimo. Andiamo, ci sono io. Andiamocene di qui.” Guida un Peter molto instabile attraverso il portale, e rivolge un cenno a Strange tentando di comunicargli l’ho fermato, sta bene, perché non vuole esprimere ad alta voce la portata della follia che l’ha colto quando hanno realizzato cosa stava per accadere. Non vuole spaventare ancora di più Peter.

Si sente come se avesse corso una maratona. E deve ancora pensare alla faccenda dei sette mesi perduti. Stringe con forza il ragazzo, e fa un cenno sopra la propria spalla per indicare a Strange il libro e l’occorrente per l’incantesimo, oltre al buco per terra. Strange annuisce e li supera rapido, mentre Tony fa attraversare il portale a Peter facendoli sbucare in salotto, dove li attende May.

Fa un paio di passi avanti, spostando lo sguardo tra loro due, e Peter riprende a piangere quando registra chiaramente il suo volto. Tony lo affida alle braccia di sua zia, e lui le si accascia contro.

“Tesoro,” dice lei, sorpresa. “Piccolo, va tutto bene.”

“Bruce,” chiama Tony, trovandolo nel gruppo e facendogli cenno di avvicinarsi. “Vorrei che dessi un’occhiata alla sua mano, ha un brutto taglio.”

Bruce si limita ad annuire, con una sfumatura verde in volto nell’eseguire.

Tony tenta di imporre al suo cuore di non battere così veloce. Realizza solo in quel momento che non gli fa più male la mano. E nemmeno i marchi. Sospira, arruffando di nuovo i capelli a Peter e superandolo per avvicinarsi a Pepper, in piedi accanto a Rhodey. Gli prende la mano, attirandolo a sé.

“L’hai–”

“L’ho fermato,” sussurra lui. E anche se Peter è solo a pochi passi da lui, si sente cadere in pezzi nel non averlo di fronte a sé. Cede sotto il peso di quell’incubo. Di essere tornato dalla morte e aver dovuto affrontare tutto ciò.

“Tony,” lo chiama Rhodey, gentilmente. “Stai bene?”

“Sì,” si schiarisce la voce e Pepper porta una mano al suo volto, asciugandogli una lacrima. “Sì, sì, ho solo… ce l
ho fatta per un soffio.” Si copre il volto con le mani. Era morto fino a due giorni fa. Era morto. Peter ha trovato un maledetto incantesimo oscuro in un libro diabolico e l’ha riportato in vita. Peter ha sacrificato sette mesi della sua per farlo, e poi… merda, non riesce nemmeno a ripensarci. È folle. Lui è folle. Questo è il Purgatorio e lui è diventato pazzo.

Sente il portale che si chiude e si volta, vedendo Strange col libro tra le mani, e gli altri materiali che Peter aveva preparato sono poggiati sullo schienale del divano. C’è anche un coltello, ma è in una busta di plastica, il che fa pensare a Tony che Peter volesse impedire al sangue di colare a terra finché non fosse stato pronto. “Mi sono occupato io della tomba,” dice, a bassa voce.

Tony indica il libro. “Che ne dici di bruciarlo?” chiede. “Oppure… Thor, potresti, non so… portarlo da qualche parte nello spazio profondo? Tipo una… una remota prigione galattica fatta apposta per i libri? Non so, qualunque cosa va bene, ma lo voglio lontano da questo cazzo di pianeta.” Sta pensando al settimo anniversario della morte di Ben. Deve sbarazzarsi di quel libro. Vorrebbe incenerirlo del tutto, ma è certo che Strange si opporrebbe per via di tutti gli altri incantesimi che contiene, non proibiti e non intenzionati ad uccidere Spider-Man. Ma non gli importa. Al momento, quel libro è il suo nemico numero uno, anche se l’ha riportato in vita.

Forse è stato davvero destino. Ha avuto la sua dose di fortuna, in vita sua, e magari tutto ciò ne fa parte. Non vuole pensare al tempo che Peter ha ceduto come a una fortuna… ma risolverà anche quel problema. Fosse l’ultima cosa che fa.

“Me ne sbarazzo io,” conferma Thor, avvicinandosi a Strange e strappandoglielo dalle mani. Strange glielo permette, il che fa pensare a Tony che sia concorde con quella decisione.

C’è una pesante sensazione che preme addosso a loro, che emana un “e adesso cosa facciamo?” ed è particolarmente forte perché la maggior parte di queste persone hanno passato l’ultimo giorno e mezzo a parlare e divertirsi: adesso c’è solo silenzio, il pianto sconsolato di Peter e le parole rassicuranti di May che risuonano nella stanza. Tony si sente quasi il cattivo della situazione, perché ha rubato a Peter la possibilità di salvare la propria famiglia, mentre lui si è salvato senza pagare alcuno scotto; ma sa che nessuno, non una singola persona, avrebbe mai consentito a Peter di sacrificare tutti quegli anni di vita. Non i suoi genitori, non Ben, decisamente non May. Né nessuno in questa stanza. Né chiunque sia mai stato influenzato da Spider-Man. Di certo non lui stesso. Sacrificherebbe molte cose per ridare indietro a Peter quei mesi. E probabilmente lo farà.

Respinge indietro un attacco di panico guardando a lungo il volto di Pepper e lanciando un’occhiata agli altri: sono ancora qui, pronti a supportarlo. Si volta e si avvicina a Peter, Bruce e May, avvertendo il senso di colpa e il sollievo e tutte le emozioni esistenti al mondo, probabilmente. Preme le mani sulle spalle di Peter e lo guarda in volto, rigato dalle lacrime.

“Signor Stark, io–”

“Ma come, Underoos, stavi andando così bene con Tony: non cambiare di nuovo idea,” lo interrompe. “Uh, May, Bruce, che ne dite di portarlo in infermeria?” Evita nel modo più assoluto di parlare di cosa è successo. Ha detto a Peter che avrebbe lasciato a lui la scelta.

“Buona idea, devo… devo medicarlo,” concorda Bruce.

May fa un cenno d’assenso, ancora sotto shock. Tony li osserva allontanarsi in corridoio e verso le scale, poi si gira ad affrontare gli altri. Strange è ancora lì, accanto a Thor, col libro a separarli. Cerca di mettere a tacere le sirene d’allarme che gli risuonano in testa ogni volta che lo vede anche solo di sfuggita. Si pizzica il ponte del naso, scacciando un’ondata di vertigini. Ha mangiato solo un waffle, prima. E probabilmente l’ha anche vomitato. Una gamma infinita di emozioni lo sta assaltando, coprendo di colpo il distacco che aveva messo tra loro, e risucchia un respiro.

“Uh,” tossisce, schiarendosi la voce. “Uh… vi dispiace se, se…”

Gli si oscura la vista e sviene di schianto.
 

 
§

 
Torna in sé un paio di minuti dopo tra le braccia di Thor... il che, deve ammetterlo, è un’immagine che ha fatto già capolino da qualche parte nei suoi sogni. Gli altri sono già sul punto di richiamare Bruce per farlo visitare, ma Tony giura di stare bene. Vuole che lui rimanga col ragazzo. Si limita a mettersi disteso, con la testa in grembo a Pepper, e costringe tutti a comportarsi normalmente, anche se niente, non una singola cazzo di cosa, è normale, in questo momento.

Si sente esaurito. In bilico sul bordo di qualcosa che non avrebbe mai potuto prevedere, persino nel contesto del suo lavoro. Se ne stanno semplicemente seduti lì per circa un’ora, finché Bruce non torna da solo, per informarli che May e Peter stanno parlando per conto loro, com’è giusto che sia. Forza Tony a bere fin troppa acqua, e Rhodey si mette a cucinare una zuppa. Steve e Bucky tengono d’occhio Tony come falchi, e lui non è certo di cosa si aspettino che faccia.

Thor se ne va insieme a Strange per occuparsi del libro, e non rivelano a nessuno dove lo porteranno. A Tony sta bene così, e anche agli altri. Sa che Peter si chiederà su dove sia finito, e su cosa avrebbe potuto fare tra tre anni, e per questo Tony lo vuole lontano da lui. Vorrebbe quasi poter cancellare l’intero episodio dalla sua memoria.

Assurdamente, questa gli sembra la sua veglia funebre, visto che tutti rimangono raccolti attorno a lui per quasi tutto il giorno. Subito dopo la morte dei suoi, pensava spesso a cose del genere, a come sarebbe stata la sua veglia, nel caso avesse finito per morire anche lui. All’epoca, voleva appendere una sua foto di venti metri sulla facciata della villa. Voleva che ci fosse una modella per ciascuno degli astanti in lacrime, voleva cocaina gratis e fuochi d’artificio, e far sparare il suo corpo nell’Oceano Pacifico.

E poi aveva compreso di essere uno stronzo, e tutti quei pensieri gli avevano fatto ribrezzo. Non ha indagato su come sia stata la sua funzione, ma spera soltanto che fosse una stanza piena delle persone che ama intente a confortarsi a vicenda mentre brindavano alla sua memoria, esattamente come un normale adulto si figurerebbe la propria veglia. Diviene cosciente in quel momento, lì disteso con Pepper che gli accarezza la fronte, che forse si è davvero evoluto in un uomo adulto e normale.

Però, forse, la maggior parte degli uomini adulti e normali non pensa alla propria veglia funebre. E la maggior parte di loro, se mai ci pensa, non ne ha già avuta una.

Oh, insomma. C’era quasi.

Continua a desiderare di salire sul tetto per prendere un po’ d’aria, ma rimane in salotto, in attesa della ricomparsa di Peter. Ma lui non torna, e nemmeno May, e lui è costretto a mandar di nuovo giù l’ansia. Sa che ha progettato un’infermeria confortevole, ma entrambi hanno anche delle camere, quassù, e potrebbero parlare là dentro. Non sa se debba scendere al piano di sotto e tentare di ricongiungerli agli altri, né se debba andare a vedere che diavolo stia succedendo, ma proprio quando sta per cominciare a strapparsi i capelli, May risale di sua sponte. Il che rischia di spedirlo a rotta di collo verso un altro attacco di panico, perché non sa se Peter stia bene, o se non vuole vederlo. Si alza in piedi, avvicinandosi a lei.

Un nuovo tipo di paura gli emerge nel cuore. Una che, logicamente lo sa, è priva di fondamento, ma vi si infiltra comunque. Quel tipo di paura che distorce i volti nella sua testa e fa dire loro cose che non direbbero mai. E ci crede lo stesso, crede a quegli echi, alla voce dissonante nella sua testa che sembra quella di May e che dice è colpa tua, l’hai portato a questo punto.

“Mi dispiace,” dice quindi, faccia a faccia con lei. “Mi dispiace che sia arrivato a fare questo, non ho mai voluto che–”

“Tony,” lo blocca lei, incrociando le braccia al petto. “Ascolta… nulla di ciò che ho detto prima è cambiato. Non era tua intenzione, non eri nemmeno qui, e lo sai… lo sai com’è fatto.”

Tony si schiarisce la voce. “Sta… sta bene?”

May annuisce. “L’ho finalmente convinto a dormire. Ha paura di perderti, e che… beh, l’incantesimo gli ha nascosto delle cose, quindi teme che gliene stia nascondendo altre.”

Tony scuote la testa. Sa che dovrebbe preoccuparsi anche lui per quel motivo, e in effetti ha chiesto a Strange di portare avanti le ricerche, per vedere se salta fuori qualcos’altro. Ma, per qualche ragione, si sente sicuro di sé. Non ha paura per se stesso, ma solo per Peter.

“No, io… io non vado da nessuna parte, poco ma sicuro,” afferma. Si farebbe largo a tentoni dall’inferno fino a qui, per tornare da loro. Libro o non libro.

“Bene,” conclude May. “perché tu sei– Tony, fai parte della famiglia. Non vorrei mai… è difficile, perché darei qualsiasi cosa per riavere Ben, qualsiasi cosa… ma tu hai salvato Peter, fermandolo. Non sarei sopravvissuta, se fosse accaduta una qualunque delle cose che mi ha spiegato Strange. Quindi… semplicemente, grazie al cielo eri lì.”

Tony annuisce. Si sente un po’ sul punto di svenire di nuovo, ed è come se Bruce lo percepisse, perché si alza lentamente dal suo posto, ma lui gli fa cenno di non preoccuparsi. Non sa cosa dire a May, non sa come guardare questa situazione senza venire inglobato dal panico. Quindi si limita ad abbracciarla, e chiude gli occhi.


 
§

 
Tre giorni dopo, è sul tetto del Complesso con Peter. Il cielo è più scuro qua, non è inquinato e macchiato dalle luci cittadine, e si vedono più facilmente le stelle. È più semplice allungare un dito a tracciare le costellazioni, osservare la stazione spaziale in movimento, realizzare che sono qui, dove dovrebbero essere. Che forse, per un momento, sono in pace, anche se Tony si è rimesso l’alloggio per nanoparticelle così da poter usare la Bleeding Edge. [1] Insomma. Se mai ce ne fosse bisogno.

Sono seduti su un paio di sdraio da spiaggia rosa che Tony ha comprato d’impulso un paio d’anni fa, e hanno due bottiglie d’aranciata tra loro. Neo rotola avanti e indietro lungo il perimetro del tetto, e di tanto in tanto fa qualche commento, visto che Tony gli ha insegnato a parlare sempre più spesso di sua volontà. E forse si è anche divertito a usarlo per spaventare Steve e Rhodey quando meno se l’aspettavano. Magari sta facendo pure finta che Neo sia diventato senziente. E forse, fa tutto questo solo perché a Peter fa ridere.

Sprofonda un po’ di più nella sua sdraio, inalando un grosso respiro dal naso. Deve ancora ricordarsi ogni mattina che non è morto. Ma per ora sembra che non lo sarà per molto tempo. Lui e Peter stanno finalmente avendo la conversazione che avrebbero dovuto avere giorni fa, e Tony ascolta attentamente ogni cosa che ha da dire. Ogni singola parola su come si è comportato quando lui non c’era… le verifiche andate male, quella di spagnolo che ha passato per un punto, quella volta che un ragazzo ha fatto dei graffiti in corridoio durante trigonometria. I suoi tentativi di rileggere la saga di Harry Potter, che si sono arrestati con la morte di Sirius, e a quel punto ha lasciato stare. I film che ha visto, i criminali che ha fermato, molte storie riguardo a quel pazzo di Osborn, che sembra aver avuto su di lui molta più influenza di quanto avesse immaginato. Il fatto che ultimamente va matto per il formaggio Gouda, ed è quindi andato con Natasha a una degustazione di vino e formaggi usando il suo documento mal falsificato. Tony si fa un appunto mentale per ridurlo a brandelli.

“Per tutto il secondo mese non ho smesso di cucinare,” racconta, inclinandosi sulla sdraio. “All’inizio ero un disastro…”

“Bruciavi tutto?”

“Ho quasi servito a Ned e MJ del pollo ancora crudo all’interno,” spiega lui, stringendo i denti imbarazzato.

“Tremendo,” commenta Tony. “Ma è stata una battaglia valorosa, ne sono certo. Io non so cucinarlo, il pollo. Non saprei nemmeno da dove cominciare.

Peter soffoca una risata. “Sono sicuro che saresti capace,” replica. “Solo che ti ci vorrebbe molto tempo.”

“Ah, ci metto tre ore a fare un’omelette una volta e non se lo dimentica più nessuno,” sbuffa Tony, alzando gli occhi al cielo.

“È una delle storie preferite di Pepper,” dice Peter, sogghignando.

“Magari dovresti imparare il linguaggio dei segni, come me,” cambia argomento Tony, reclinandosi su un lato della sdraio. “Steve lo conosce già un po’, potrebbe diventare il nostro codice segreto. Potremmo sparlare della gente di fronte a loro e non se ne accorgerebbero nemmeno.”

“Ho iniziato la notte in cui l’hai imparato tu,” risponde Peter, sorridendo. “Non so come cavolo fai a fare tutto così in fretta. Io ci metterei… probabilmente due mesi, per saperlo usare.”

“È semplice: non riesco a spegnere il cervello, mai,” ribatte Tony. “Sono una specie di bidone della spazzatura per le informazioni, è ridicolo.”

“Credi di aver perso qualcosa?” chiede a quel punto Peter, a bassa voce. “Nel senso, quando sei, uh… tornato?”

Tony riesce a malapena a vederlo, qua fuori al buio, distingue solo i suoi occhi grandi, il profilo del suo volto, e i capelli leggermente smossi dal vento. “No, credo che sia ancora tutto qua dentro,” risponde poi. Inclina la testa da un lato e si dà un paio di colpetti sull’orecchio come se stesse cercando di farne uscire dell’acqua finita dentro per sbaglio, e Peter lo fissa socchiudendo gli occhi. Tony sorride. “Confermato: è tutto qua dentro.”

“Te la caverai alla grande, quando avrai un figlio,” commenta Peter. “Sei Iron Man, sei un nerd assurdo e–”

“Wow, Peter, ma grazie,” dice Tony, scuotendo la testa. “Beh, immagino che nerd non sia esattamente un insulto, al giorno d’oggi.”

“Non lo è,” gli conferma Peter. “Decisamente no.”

Rimangono in silenzio per un istante e Tony vede una stella cadente sfrecciare nel cielo e disegnare un arco effimero prima di sparire nell’oscurità.

“Io, uh… venivo spesso qui,” dice Peter, in tono esitante. “Molto spesso, all’inizio. Davvero spesso, perché lo facevi tu, eri sempre qui fuori e mi sentivo come… come se…” la sua voce si spegne, e si mordicchia il labbro.

“A volte ti sembra di poter, uh… essere più vicino a qualcuno, se vai in un posto dove andava spesso,” dice Tony. Con cautela.

“A volte mi mettevo sul cornicione, e mi spaventavo,” continua Peter, senza guardarlo. “Per questo sapevo che avrei spaventato te.”

“Peter…”

“Non ho mai voluto, insomma… non ho mai desiderato morire,” chiarisce Peter, adesso incrociando i suoi occhi per sottolineare quel fatto. “Giuro, è solo che… non lo so. Quella è stata la prima volta che l’ho fatto senza costume addosso, intendo quando tu eri qui. Non so perché lo facessi quando non c’eri, non… non lo so e basta. Per la maggior parte del tempo mi sentivo semplicemente intontito e… era difficile, tutto quanto: quello che mi era successo, vedere voi che ci riportavate indietro e poi… così, all’improvviso, pochi istanti dopo–”

“Stammi a sentire,” dice Tony. “Ti capisco, davvero… capisco il fatto dell’adrenalina, di spingerti verso i tuoi limiti ed escludere tutto il resto… ho fatto la stessa cosa quando ho perso i miei, in modi diversi, ma… sì, stesso concetto, stesse emozioni. Ma, come dicevo prima, non importa chi sia qui e chi no: tu sei troppo, troppo importante.” Molto più importante di quanto io sia mai stato. Per qualche strana ragione, in quel momento, gli diviene improvvisamente chiaro che sono entrambi orfani. Ma Peter ha avuto Ben e May, grazie a Dio. Solo che poi è scomparso anche Ben. Comprende la disperazione, il dolore inarrestabile, la rabbia e il bisogno di cambiare la mano che ci è stata assegnata nel gioco. È ingiusto, e lo detesta.

“Lo so, lo so,” replica Peter, allungandosi per prendere un lungo sorso d’aranciata, e sembra che non gli creda. “Però May… non potrei mai, mai abbandonarla.”

“Esatto.”

“Ma sono contento che tu sia qui,” continua, guardandolo. “Sei stato una parte importantissima della mia vita, per molto tempo. Mi hai reso migliore, sei veramente come– sono fortunato, grazie a te. Sette mesi, Tony, per riaverti… non sono nulla.”

A Tony si contrae il cuore e scuote la testa. Quel problema gli si stringe attorno alla gola come un cappio. Mentre si preoccupava per Peter, si è messo alla ricerca di ogni modo possibile per annullare gli effetti collaterali del più bel regalo che il ragazzo avrebbe mai potuto fargli. “Sarò io a giudicare, piccoletto,” commenta poi, perché se si dovesse esporre sul serio al riguardo finirebbe per piangere di nuovo, come quando Peter gli ha mostrato le bozze del suo progetto finale su Iron Man.

Peter, tanto, lo sa lo stesso. Sa cosa ne pensa. Ma Tony non riesce a smettere di pensare al momento in cui accadrà, a quando la morte lo porterà via con sette mesi d’anticipo.

Non si fermerà finché non avrà trovato una soluzione.

“Quindi, adesso sai praticamente tutto,” dice Peter, sprofondando ancora un po’ nella sdraio e fissando il cielo trapunto di stelle. “Sai del Guerriero Ninja, sai dell’incidente al Gambero Rosso…”

Tony soffoca una risata, e deve decisamente chiedere a Pepper la sua versione dei fatti.

“… del cattivo che si ispirava a Star Wars, del problema con le frittelle… di quel cane adorabile–”

“Ti serve un cane,” lo ferma Tony, indicandolo. “Ti meriti un cane.”

“Certo che sì,” replica Peter, con un sorriso smagliante. “Sul serio.”

Tony sorride di rimando. Ci sono molte cose di cui non hanno parlato, come di cosa gli sia successo mentre era morto e cosa ricorda della morte, e ha intravisto quelle domande sulla punta della sua lingua più volte, da quando le cose si sono calmate. Tony non vuole parlarne con nessuno, perché non lo ricorda e ciò lo spaventa, lo fa preoccupare… si preoccupa così tanto che il panico riesce sempre a farsi strada in lui per inghiottirlo. Non hanno parlato del fatto che è alla ricerca di una magia su misura – cautamente – per tentare di restituire a Peter la sua famiglia. Non ha ancora trovato nulla, ma ha intenzione di organizzare dei viaggi portando con sé Strange. Forse è pazzo, ma lo sguardo negli occhi di Peter in quel cimitero lo perseguiterà per sempre, e vuole dargli ciò che si merita, se solo riuscisse a trovare un metodo che non si basi sull’occhio per occhio. Sa che deve esserci , da qualche parte.

Dopotutto, lui stesso è seduto qui, no? Dev’esserci altro, là fuori.

Ma eviterà di farsi male. Perché l’hanno già perso una volta. Non vuole che queste persone affrontino di nuovo qualcosa del genere, mai più. E l’ha promesso a Peter. Punto e basta.

“Hai addosso l
’armatura, ragazzo?”

Peter lo fissa di sbieco.

“Sì, me ne sono accorto per via della felpa gigante, non puoi fregarmi.” Peter sbuffa, roteando gli occhi. Tony fa un gesto verso l’alloggio nel suo petto. “Vuoi fare un voletto?”

A Peter si accendono gli occhi. “Cosa? Davvero? Ti– ti va? Vuoi essere Iron Man? Voglio dire, tu lo sei sempre, insomma–”

“Sì, lo sono, e sì, mi va,” dice Tony, prima che il ragazzo prenda a balbettare. “È la sola versione di ‘salto dal tetto’ che abbiamo il permesso di fare. Ovvero per un decollo.”

“Sì, decisamente,” concorda Peter. “È la mia preferita.


Tony soffoca una risata, mentre si alzano entrambi. Si preparano, e indossare di nuovo l’armatura per la prima volta da quando è tornato lo riempie di nuova determinazione. Lui è Iron Man. Adesso si sente davvero a casa.

“Sei pronto, Spider-Man?” chiede, avvicinandosi a lui.

“Oh, certo,” replica lui. “Saliamo fino ad arrivare quasi nello spazio. Perché posso andare nello spazio con questo costume, ma… beh, lo sai, l’hai costruito tu.”

“Evitiamo lo spazio,” ribatte Tony. “Non abbiamo esattamente dei buoni precedenti, con lo spazio.”

“Ho detto quasi.”

Tony è quasi rimasto morto per sempre. Peter ha quasi gettato via ventotto anni di vita per niente. Sono un bel paio di quasi, ma adesso sono qui, stanno bene. Stanno ricominciando. Tony, deve ammetterlo, ha degli ottimi precedenti con le seconde possibilità.

“E tanto per fartelo sapere, ho conservato l’incantesimo,” annuncia Peter. Indossa la maschera, e la sua espressione è nascosta.

Sembra farsi un po’ più buio, con un vento freddo che si abbatte sul tetto. “Uh… come, prego?”

“Non sono un idiota,” premette Peter, incrociando le braccia al petto. “E non ho intenzione di… di fare niente di stupido, mai più, per esempio per i sette anni… so che ci stai pensando. Ed è troppo, ho imparato la mia lezione. Ma non mi pento di averti riportato qui.
Non mi pentirò mai. E se muori, se Ned o May o MJ o Pepper o chiunque io ami muore o viene ucciso, aspetterò una settimana e poi agirò. Ti riporterei indietro.”

Tony si limita a fissarlo, e non riesce a capire se stia allucinando quell’intera conversazione. “Ragazzo,” dice, dopo un lungo momento, “mi farai venire un infarto.”

“Beh, se ti uccide, ti riporto qui.”

“Cristo,” sbotta Tony, sentendo un principio di mal di testa. “Okay, andiamo, prima di farmi cambiare idea. Mettiamo in pausa questo discorso, lo continuiamo nella sessione di terapia di gruppo.”

Non vede la sua faccia, ma ha la sensazione che stia sorridendo.

“Va bene,” risponde. “Voliamo.”

Tony afferra Peter più saldamente che può e decolla nella notte, ascoltando la sua risata e unendovi la propria.

Suonano entrambe piene di vita. E Tony non ha intenzione di lasciarsela sfuggire. Non questa volta.



 
F  i  n  e


 


Note:

[1] L’armatura che Tony usa in Infinity War è ispirata alla Bleeding Edge dei fumetti. In traduzione, ho il dubbio che l’autrice intendesse semplicemente “armatura all’avanguardia”, in quanto è il significato letterale dell’espressione, ma ho preferito optare comunque per il nome del modello.


Note della traduttrice:

Cari Lettori, eccoci giunti alla fine del viaggio, almeno per quanto riguarda questa traduzione. Spero che la storia vi sia piaciuta e che l'abbiate trovata tradotta in modo gradevole.
Grazie a tutti coloro che hanno letto, recensito e/o aggiunto la storia alle loro liste!
A presto, di nuovo su questi schermi con altre traduzioni,

-Light-

 

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