Pentapsiche

di Rose Heiner
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Informazioni ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Billie Luc Heiner ***
Capitolo 4: *** Chloe Ellis ***
Capitolo 5: *** Mike Decker ***
Capitolo 6: *** Elijah Capaldi ***
Capitolo 7: *** Rose Heiner ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Informazioni ***


Pentapsiche
La verità è che ognuno di noi ha qualcosa che non va. Ognuno di noi ha subito un trauma, ha la psiche marcia. Complessi silenziosi che sibilano nell'ombra. Pensieri erranti e vagabondi che strisciano fuori direttamente dall'inconscio. Ecco cinque brevi racconti di fantasia, ciascuno con un punto di vista differente, in cui i protagonisti si trovano a dover fare i conti con i  loro problemi. Questa è la seduzione dell'impulso, il fascino della psicanalisi.
 
***
Avvertimento: i seguenti personaggi molto spesso agiscono in maniera impulsiva e assumono modi di fare e/o pensare nocivi a loro stessi e alle persone che li circondano. Se ti dovessi identificare in queste azioni e idee deleterie cerca di approfondire e seguire le raccomandazioni a piè di pagina. Se non dovessi condividere  appieno i suggerimenti da me proposti, ricorda che non sono una psicologa (ahimè), né una scrittrice (doppiamente ahimè) e che le mie opinioni scaturiscono da un modesto studio personale della mente e dei suoi “inganni e magagne”. A seconda del brano vengono trattati argomenti vari, alcuni più morbidi e approcciabili con tranquillità, altri da considerare con totale serietà.
 
***
Contesto e insight:  San Francisco, USA, giorni nostri. In un arco di tempo di qualche mese cinque ragazzi che frequentano la stessa compagnia di amici vivono una serie di esperienze che ci apriranno uno spiraglio sulla loro psiche e sull’approccio che hanno nei confronti del mondo esterno. Billie è un eccentrico musicista di ventitre anni. La sua ragazza Chloe, ex-vittima di fat-shaming e bullismo, si dedica all’arte, disegnando per le copertine degli album del fidanzato e per blog online. Mike, nuovo amico del gruppo, è un appassionato giocatore di football, ligio alle regole del gioco. Rose, sorella minore di Billie, si ritrova per una seconda volta a San Francisco dopo aver lasciato la città cinque anni prima, con lo storico migliore amico El, giovane promessa del cinema e ragazzo dal cuore d’oro sotto i lineamenti taglienti. 
Precisazione logica: Gli eventi, nonostante osservino una linea cronologica rispettata e riportata nel racconto, non devono essere letti in funzione l’uno dell’altro, ma come accadimenti distinti e separati.
 
Sperando di aver fornito tutte le informazioni necessarie, auguro una buona lettura! Per qualunque curiosità e/o domanda sono disponibile a rispondere nei commenti.

 

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Capitolo 2
*** Prologo ***


Epilogo
-Buongiorno.-
-Buongiorno, benvenuto al Blackbird Guitars Store! La posso aiutare?-

 
***
Drin drin. Drin driiiin.
-Un attimo! Arrivo! Sto arrivando!-

 
***
-Ti prego di chiamarlo... Questa doveva essere una giornata di festa, siamo tutti insieme, Billie doveva presentarci sua sorella e il suo amico. Per favore, puoi chiamarlo?-

 
***
-Smettila di guardarmi come se fossi impazzito!-
-Stai dicendo un sacco di sciocchezze, non sai quello che dici!-

 
***
-Stai dicendo un sacco di sciocchezze, non sai quello che dici!-
-Non è vero, non è vero! So cosa dico e cosa provo. Sei tu che hai paura. E io non ci posso stare ancora qua se tu devi avere quell'espressione sconvolta ogni volta che mi guardi!-
 
 
 

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Capitolo 3
*** Billie Luc Heiner ***


Billie Luc Heiner
“Il disturbo da stress post-traumatico si può definire come l'insieme delle forti sofferenze psicologiche che conseguono ad un evento catastrofico o violento, o che l’individuo affetto ha vissuto come traumatico.”

 
Fischiare. Una cosa che non aveva mai imparato a fare, ma che in quel momento gli sarebbe tornata molto utile. Mentre la ragazza nuova cercava impacciata tra gli scaffali stracolmi dietro alla cassa, lui avrebbe potuto fischiettare un motivetto e far vagare lo sguardo nel negozio di strumenti per metterla a suo agio e farle capire che non aveva fretta.
Quando finalmente Sara -così diceva il cartellino che aveva sulla maglia- esibì un sorriso soddisfatto e gli mostrò la scatola rossa di plettri, Billie trasse un silenzioso sospiro di sollievo. Adesso non c’era molto altro da fare, poteva tornare a casa da Chloe e passare finalmente una serata tranquilla.
-Quanto ti devo?- domandò soddisfatto. Già lo sapeva il costo, otto dollari per trenta pezzi di buona fattura. Una spesa buona, conveniente. Si aspettava che la commessa ci impiegasse un po’ di tempo per trovare l’adesivo del prezzo - lo nascondevano sempre abbastanza bene sul fondo del cofanetto, lo aveva scoperto per esperienza e lunghi pomeriggi di ricerca nello store musicale-, ma qualcuno dal retrobottega strillò il suo nome. -Sara! Vieni da me, per favore?-
Lei sbuffò sonoramente e alzò gli occhi al cielo.
Billie avvertì un vago senso di disgusto e abbassò lo sguardo sul pavimento. Vieni da me. Vieni con me. No. La voce sconosciuta era maschile, poteva appartenere a un ragazzo più grande di qualche anno di quella Sara che gli stava di fronte. Non andare. Dovevano avere un rapporto stretto quei due, c’era dimestichezza tra di loro,  altrimenti non si sarebbero permessi una certa confidenza. Non andare. Magari erano amici. Anzi no, qualcosa in più. Migliori amici. Billie si avvicinò una mano al collo, un fastidioso formicolio gli bruciava la gola.
Magari erano il tipo di migliori amici cresciuti insieme e inseparabili. Magari lei aveva anche un fratello, un musicista, amante del rock, che una volta al mese andava a comprare una scatola di plettri al negozio e non sapeva fischiare.
-Vado ad aiutare il mio amico e torno, ok? Ci metto un attimo.-
Un attimo. Non di nuovo. Non andare. Dove vuoi andare? Billie non riuscì a rispondere, sapeva di doverlo fare, ma non ne era capace. Rose, non andare. Gli sembrava di avere le corde vocali annodate e che l’aria fosse troppo immobile attorno a lui per essere respirata. Quello che voleva fare, invece, era scattare in avanti, oltre la cassa. Afferrare la ragazza, stringere forte. Impedirle di scappare ancora. Non era Sara. Quella non era Sara. Sara era scomparsa. Al suo posto c’era Rose. Rose stava andando di nuovo via per un attimo. Resta qui. Dove vai? Perché vai?
Billie si premette una mano sulla bocca con veemenza quando un conato di vomito lo sorprese. Basta. Basta, per favore. La situazione era diventata insostenibile. Voltò le spalle precipitosamente e riuscì a raggiungere l’uscita, proprio mentre alcuni puntini luminosi cominciavano a ballargli davanti agli occhi.
Quando la pesante porta di vetro gli si richiuse dietro, sentì una brezza fresca pizzicargli il viso e diffondersi nei polmoni, calmando la nausea. Un attimo. Rose gli aveva assicurato che sarebbe stato un attimo.
Brancolò fino ad una panchina lì accanto e ci si abbandonò sopra. Però non è stato un attimo. Gli aveva detto che il suo migliore amico aveva bisogno di lei,  era in macchina fuori e aspettava che lei uscisse di casa per parlare un attimo, prima di partire. Le pulsazioni alla testa lo costrinsero a piegarsi in avanti e strofinare con forza le tempie dolenti. Rimase così almeno per dieci minuti, probabilmente, pensò, attirando l’attenzione di qualche passante.
Poi trasse un respiro profondo e puntò gli occhi sulla strada. San Francisco era tranquilla quel giorno, si passeggiava con piacere. Doveva trovare un altro store per comprare i plettri.
Si alzò piano, infilò le mani in tasca e riprese a camminare, prendendo a calci i suoi ricordi. Cinque anni. Erano cinque anni che non vedeva sua sorella Rose. Aveva detto un attimo. Solo un attimo.
 



Tip: Si parla di trauma psicologico come la conseguenza di un evento, o una sequenza di eventi, con caratteristiche tali da modificare la percezione del soggetto della continuità, normalmente avvertita, tra esperienza passata ed intenzionalità. Da questo spaventoso giro di paroloni possiamo dedurre l’importanza che ha per l’individuo il passato e l’elaborazione degli avvenimenti in esso accaduti. Non lasciare mai che le tue esperienze passate si inseriscano con prepotenza nel tuo presente, influenzandolo negativamente. Se ti succede, o già è successo, è un chiaro segnale che la tua psiche non è in grado ancora di superare un certo evento.
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Chloe Ellis ***


Chloe Ellis
“Il disturbo narcisistico di personalità è un disturbo della personalità che si caratterizza per idee di grandiosità e costante bisogno di ammirazione. Molti narcisisti mostrano la convinzione di essere l’oggetto e la causa del pensiero e delle attenzioni di tutti coloro che li circondano. Uno dei sintomi più particolari è l’ossessiva convinzione di essere un individuo speciale e unico e di poter essere capito solo da persone altrettanto speciali.”
 
Appena l’aveva vista, in piedi sulla porta, con uno dei suoi vestiti corti di stoffa leggera e la valigia tra le ginocchia, Chloe aveva percepito un leggero fastidio. Quando poi Rose le si rivolse, dichiarando con una sicurezza spiazzante -Cerco Billie.-, le fu chiaro che la ragazza non poteva che starle antipatica.  Eppure -alta, viso pulito, bellezza semplice- non era affatto il tipo di donna che Billie era solito frequentare prima di lei. Allora chi era? E che cosa voleva? Che cosa vuoi dal mio ragazzo?
Prima che potesse controbattere, Rose entrò in casa e si  sfilò le scarpe. Camminava scalza, come se fosse una vecchia abitudine e non lasciava trapelare alcun dettaglio di sé. Chloe la osservava esterrefatta e la detestava. Odiava il suo incedere con armonia, la sua vita stretta sotto l’abitino blu, i suoi piedi nudi sul pavimento freddo del suo fidanzato. Le ragazze belle le facevano quell’effetto. In verità le ragazze in generale le facevano quell’effetto. Tutte le ragazze.
Si ritrovava sempre in competizione con loro. Era certa che la trattassero con un velato disprezzo: quelle che erano gentili con lei, in realtà, la prendevano in giro e la deridevano appena voltava loro le spalle, quelle che erano fredde e distaccate almeno avevano la faccia tosta di mostrarle un po’ di sincerità. Sanno che sono grassa.
Chloe non aveva più un peso inadeguato. Era dimagrita molto, ne era consapevole. In due anni aveva perso moltissimi chili. Aveva baciato, ballato, messo un bikini in pubblico e sorriso nelle fotografie. Aveva conosciuto Billie, aveva fatto l’amore. Aveva scoperto la sua vita a percorrere un pendio scosceso e impensabile d’improvviso. Aveva cercato la sua rivalsa sulle compagne, quelle attraenti e magre che durante gli ultimi anni al college ammiccavano al suo passaggio. Aveva sputato veleno sulle poche amiche che le erano sempre state accanto, le aveva fatte allontanare perché non l’avevano mai aiutata ad essere attraente. Una volta aveva addirittura spinto una ragazza per averle strappato dalle mani un vestito che voleva provare per prima. Non le aveva fatto male, si erano solo spaventate molto entrambe.
Teoricamente Chloe comprendeva di non essere sovrappeso. Però era brutta. Brutta perché una dottoressa aveva scritto sulla sua cartella clinica “disturbo narcisistico della personalità”. Perché l’aveva origliata confessare ai suoi genitori che loro si erano semplicemente convinti che l’inattesa nuova aggressività del suo comportamento fosse il frutto del cambiamento fisico in cui si era rifugiata per sfuggire ad un massacrante e costante fat-shaming adolescenziale. Ma Chloe non si era trasformata mentre il suo corpo si asciugava. Chloe era sempre stata così: egoista, vendicativa, con un io fuori dalla norma. Brutta dentro. E quindi, dato che la società insegna che grasso è sinonimo di orribile, deforme, lei si definiva ancora grassa. E tutte le donne che incontrava dovevano considerarla tale, non riusciva a non pensarla così, tutte le donne che incontrava erano sue nemiche. Sanno che sono grassa, lo sanno.
Fu riportata alla realtà dal suono di sei semplici parole. Dopo essersi infilata in cucina, Rose si stava presentando: -Sono la sorella di Billie.- Oddio.
Chloe rimase zitta, sbalordita. La ragazza che le stava di fronte ad armeggiare con la teiera non assomigliava affatto al suo fidanzato. E da quel che Billie le aveva raccontato, non aveva motivo di essere lì. Doveva essere in Nuova Zelanda con il suo migliore amico da circa sei anni, da quando era fuggita di casa.
Perché era lì? E perché continuava a rimanere lì con lei, pur non essendo ancora tornato Billie?
Si accorse che Rose la osservava di sottecchi: cercava due tazze nella credenza e la studiava in silenzio. Sei qui per me? Chloe vide i suoi occhi verdi che le indugiavano addosso e provò una familiare sensazione di compiacimento misto ad allerta. Mentalmente sbeffeggiò le false convinzioni di quella passata psicologa visionaria.
“La percezione della realtà di vostra figlia è alterata. Crede fermamente che tutte le persone con cui entra in contatto abbiano un’elaborata opinione di lei e che da questa derivi qualunque loro azione. C’è una prima fase in cui crede di essere studiata, analizzata. E’ una sfida, le piace.” Oh no, stavolta no, stavolta  lei mi vede per davvero. E’ reale.
-Niente zucchero, giusto?- Rose le porse una tazza piena. Giusto.
Sembrava che potesse leggerle dentro. -Come lo sai?-
Rose alzò le spalle, buttò giù un piccolo sorso. -Non lo so, lo immagino.- le rispose e sorrise. -E così tu sei lei.-
“Poi arriva il momento in cui quelle attenzioni fittizie la spaventano, si sente attaccata.”
Chloe la guardò senza capire. Provò a ripetersi che la ragazza che le stava di fronte non la stava criticando, che era semplicemente curiosa. Lei chi? Che ne sai di me?  
-Lei chi?- ripeté ad alta voce. Vide Rose ridacchiare e passare un dito sul bordo della tazza.  Cosa vuoi?
 -Quella che ha cambiato Billie.-
“Dopodiché, solo con alcune persone in particolare però, può sviluppare l’idea di essere capita al meglio, di aver trovato chi riesce a cogliere la sua vera essenza.”
Oh. Chloe cercò di mantenersi neutra, di non mostrare sorpresa. La ragazza che centellinava tranquillamente un tè con lei, appena conoscendola, non era stupida, la comprendeva profondamente. Sai chi sono. Nessuno capiva mai veramente la natura di Chloe, fraintendevano le sue intenzioni. Ma tu? Tu cosa pensi di me?
Stava per chiederglielo quando Rose abbandonò  inaspettatamente il tè a metà. -Bene! - esclamò senza più degnarla di uno sguardo. Che succede? -Appena Billie si fa vivo, digli che sono passata.- continuò e si avviò a grandi falcate verso l’ingresso. Cosa? Devi dirmi cosa pensi. Dove vai?
Ma Chloe è fin troppo intelligente. Alla fine si accorge che c’è qualcosa che non va. E quando lo fa, ne è terrorizzata. Vorrebbe che l’illusione fosse reale, che la persona con cui si relaziona continuasse a nutrire quella visione.”
Chloe scattò in piedi e la seguì, come poteva lasciarla andare? -Aspetta...- non riuscì a trattenersi.
Rose si bloccò e le restituì un occhiata incuriosita. -Sì?-
Perché adesso fai così? Fino ad ora mi hai osservato, tu... -Che ne pensi di me?- le domandò istintivamente.
-Come scusa?- Smettila. Lo sai di che sto parlando.
-Tu mi stavi analizzando... tu lo sai chi sono, cosa sento...-  provò a rispondere.
Rose le sembrava fortemente a disagio. -Ma di che stai parlando?- Non mentire, stavi provando a cogliere la mia personalità, lo so. Chloe le afferrò il polso e la sentì tremare, ma non voleva minimamente impaurirla. Il the...
-Il the... come facevi a sapere altrimenti che non lo prendo con lo zucchero?-
In quel momento il campanello trillò rumorosamente e spezzò la tensione fra di loro.  Rose si tirò bruscamente le mani al petto, liberandosi dalla presa. Aspetta, Rose... Subito quella si voltò ad aprire la porta per ritrovarsi davanti il ragazzo dagli occhi luminosi. Chloe intuì che gli stava sorridendo, cercando di tranquillizzarsi e regolarizzare il respiro. Anche lui sa di me?
Rose disse qualcosa sommessamente e lui annuì. Non appena la ragazza oltrepassò la soglia, Chloe vide che si girava a guardarla. E fu come se le rivolgesse lo sguardo per la prima volta. Ma io le ho viste le altre occhiate, erano vere, non lo erano? Non erano solo nella mia testa.  
-Non so chi sei. E non mi interessa.- fu l’ultima cosa che sentì dire a Rose, prima che si sbattesse la porta alle spalle.
No, no, no.
“E a questa realizzazione, quando la parte razionale e la psiche danneggiata si oppongono, corrisponde un picco di alta confusione, molto simile ad una crisi di identità.”
Chloe si accasciò sul divano del salotto. Provò a chiudere gli occhi, ma la testa le pulsava dolorosamente. Non so chi sei e non mi interessa. Sì, invece. Lo so che stavi provando a leggermi. A dieci anni la sua prima analista le aveva detto che non doveva preoccuparsi di leggere ad alta voce le poesie in classe, che non tutti i bambini le prestavano attenzione. Sua madre qualche anno dopo le aveva gridato qualcosa di molto simile: “Chloe Ellis, tu non sei il centro del mondo, non sei il centro di nulla, va bene? Nessuno passa il suo tempo a pensare  a te!”. Chloe Ellis, sono Chloe Ellis. Piacere, sono Chloe Ellis, soffro di un disturbo di personalità. Potrei afferrarti per il polso, ma giuro che tu stavi pensando a me. Non è vero? Chloe Ellis, sono Chloe Ellis. Accese la tv, cambiò canale cinque o sei volte. Non le restava che aspettare che Billie tornasse a casa dalle prove. Magari sarebbe arrivato con i suoi occhi grandi, e l’avrebbe salutata con fare snervato. Lei gli avrebbe piazzato un bacio su una guancia e gli avrebbe accarezzato i capelli. Perché sembrava così irritato? Hai pensato a me tutta la giornata? Forse ti sono mancata. Volevi che ti chiamassi, amore? Avrei dovuto farmi sentire di più. Sì, ti sarò mancata. Ti sono mancata non è così? Chloe Ellis...
“Mentre il nostro modo di vivere i pensieri e le emozioni è una freccia, il suo è un loop.”
E sarebbe ricominciato il loop.
 
Tip: Loop. Parola che dovrebbe limitarsi all’ambito informatico e non sfiorare mai la sfera emozionale. Come sostiene la psicologa di Chloe, il nostro modo di pensare assomiglia ad una freccia di azione-reazione che si allunga, si sposta, cambia direzione... Quando, invece, lo sviluppo dei processi cognitivi è simile ad un cerchio chiuso, dobbiamo riconoscere che c’è un problema e rivolgerci a chi ha le competenze necessarie.

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Capitolo 5
*** Mike Decker ***


Mike Decker
“In genere si parla di sensibilità emotiva quando la mente umana reagisce a degli stimoli esterni che si ricollegano a fatti, cose, avvenimenti e discorsi che possono toccare l'emotività di una persona. Il soggetto con una estrema sensibilità emotiva vive gli eventi in modo molto più intenso. Le sue emozioni forti sono identificabili più facilmente rispetto alla popolazione media. Non si limita solo ad ascoltare le parole pronunciate dagli altri, ma coglie anche le sottigliezze nei gesti e nel tono della voce.”
 
-Ma che problema hai?-
Mike rimase senza parole, come se qualcuno lo avesse colpito forte. Guardò il ragazzo che gli aveva quasi gridato contro. Io non ho nessun problema...
-Voglio solo aiutare.- rispose flebilmente. Fu come se una farfalla gli si fosse posata sul petto, le ali nere e leggere, l’impressione del ticchettio inesistente delle zampe. Non poteva cacciarla via, non poteva semplicemente cacciarla via la sensazione di incomprensione.
- Mike, senti, io e Billie litighiamo in continuazione per delle sciocchezze. Lui mette il muso e sbatte la porta di casa, io dico che non lo voglio più vedere. Ma alla fine torna sempre.-
Mike rivide Billie e l’amico spingersi a vicenda e mollare la presa solo per allontanarsi furiosi. Ripensò all’impulso istintivo di seguire uno dei due che lo aveva afferrato e lo aveva spinto istantaneamente ad agire. Quella avrebbe dovuto essere una giornata allegra, di festa. Avevano ordinato la pizza e quasi per miracolo si era presentata l’intera compagnia. Che senso aveva rimanere fermo ed ignorare l’atmosfera di irritazione nell’aria?
-Credo che la tua reazione sia abbastanza esagerata. Davvero, fratello, dovresti smetterla di inseguire le persone in questo modo, di cercare di risolvere tutti i problemi. Mica sei uno psicologo.-
Mike lo fissò in silenzio. Dopo aver provato a portare un po’ di equilibrio, ad assicurare un po’ di tranquillità, passava per quello con le reazioni eccessive. In generale alla fine succedeva sempre così. Gli davano del debole, dell’esagerato, a volte addirittura dell’ipocrita. Mike che vuole a tutti i costi l’amore e l’amicizia. Mike che non si dà pace se qualcuno litiga. Mike che fa l’eroe, Mike che sta male per gli altri e che è felice per gli altri. Mike il sensibile. Iniziò a ridere, debolmente, per il nervosismo, per la costante delusione che il mondo era per lui e che lui era per il mondo. Si coprì il viso con le mani. Cosa aveva di sbagliato? Perché non riusciva ad essere come tutti? Incurante, rilassato, anonimo.
Si morse la lingua e cercò di calmare il respiro sotto lo sguardo sorpreso dell’amico, forse credeva che fosse pazzo. E pure se lo fosse stato? Mike aveva sempre pensato che la società analizza più i “pazzi”, i casi clinici veri, capisce i meccanismi nelle loro teste, giustifica le loro azioni, che le persone qualsiasi. Nessuno si chiede mai perché quella ragazza all’ultimo banco non alza neanche una volta la mano, ma mormora la risposta corretta tra sé. Nessuno studia gli occhi nuvolosi del ragazzo dai capelli ricci giù in salotto  passare inespressivi da un volto all’altro e si domanda perché continuano ad incespicare impotenti sulla sua migliore amica. Nessuno è disposto a scambiare una briciola del proprio comfort per l’armonia di tutti. Tranne Mike.
Ma che problema hai? Io? Che problema ho io... Magari un problema, sì, lui ce l’aveva. Che lo faceva andare a dormire a volte con un peso sul cuore, altre con un sorriso spensierato. Che gli faceva porgere una mano per rialzare e una spalla per condividere il peso di un dramma. Che in fondo non era altro che veleno e antidoto insieme.
Sento tutto troppo.
 
Tip: E’ triste quanto oggi la gente si soffermi poco sui dettagli, come afferma Mike. Ma è risaputo che esistono persone che sono più in grado rispetto alle altre di capire e connettersi ai sentimenti umani. Avere una sensibilità estrema è al contempo una maledizione e una benedizione, ma come sempre la chiave della felicità è abbracciare il proprio essere ed imparare ad apprezzare le proprie inclinazioni.
 
 

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Capitolo 6
*** Elijah Capaldi ***


Elijah Capaldi
“La bassa autostima influenza l’individuo che ne soffre fin dalla tenera età e lo porta a giudicare le sue capacità di relazionarsi insufficienti e far fronte ai problemi della sua vita. In alcuni casi tale meccanismo di pensiero lo induce a non affrontare direttamente le conseguenze delle proprie azioni, evitandole e rinunciando a qualunque possibile soluzione.”
 
Lei respirava piano, con i capelli sparsi sul cuscino e le labbra schiuse. Una luce delicata filtrava dal bianco delle tende dietro di loro e le dipingeva un striscia dorata sulla guancia. El sorrise. Era bella. Era bella da rimanere per ore a guardarla dormire. Le sfiorò la bocca morbida con il pollice.
-Amore mio...- mormorò - oggi vado via.- Sentì le voce bloccarsi nelle lenzuola tra di loro, affondare pesante  sul materasso. Non voleva, non poteva essere vero. Fu sicuro di avere gli occhi lucidi.
Fissò per qualche altro secondo il viso sereno di Rose ancora assopita. -Lo sai, - disse in un sussurro - non volevo andasse così. Ho sempre fatto il bravo. Non ho mai finto nulla tra di noi.-
El chiuse gli occhi con un nodo in gola, quel discorso era inutile, stupido. Lui doveva solamente andarsene.
Gli passò per la testa un pensiero. E’ meglio liquidare in fretta una storia che rovinarla per sempre: lascia più spazio all’immaginazione. L’aveva letto da qualche parte, una frase da codardi, controversa. Non l’aveva mai capita prima di quel momento.
Le parole che Rose gli aveva lanciato contro come coltelli il giorno del litigio risuonarono ancora nella sua mente. Lui aveva rovinato tutto. Perché doveva rovinare tutto in quel modo? Ogni volta che lei riusciva a guadagnarsi una briciola di felicità, lui puntualmente gliela toglieva. Sentì il sapore sgradevole dell’amarezza, un morso di ruggine sulla lingua. Strinse i denti e continuò.
-Anche se non ci credi, essere il tuo migliore amico è stata la cosa più bella che sia accaduta nella mia vita e non ho mai pensato, neanche per un attimo, di sacrificare il rapporto che avevamo per un capriccio, come dicevi tu, ok? Voglio che tu lo sappia questo.-
Rose continuava a dormire tranquilla. El si accorse di sorridere e pensò, per il male che gli provocava, di avere un sorriso aspro, uno di quelli che si fanno con le lacrime trattenute, mordendosi il labbro inferiore per non gridare.
-Mi sono sempre comportato bene, ho cercato di salvarti da tutto ciò che avrebbe potuto ferirti. Ti ho cresciuto un po’ e ho dovuto imparare ad essere un fratello maggiore. Per il tuo diciottesimo compleanno ho saltato le riprese sul set e di nascosto ti ho portato al mare, ti ricordi?.-
Il cuore gli martellava quasi dolorosamente in petto: se c’erano ricordi così dolci da sfilargli tutta l’aria dai polmoni per la nostalgia erano sicuramente i momenti passati in Nuova Zelanda. -Ho sempre fatto il bravo, non è vero? Non ho preteso nulla, mi bastava avere noi, me e te dopo una giornata di prove svilenti, me e te, la mia unica famiglia.-
Si tirò su a sedere nel letto, senza fare rumore e cercò con gli occhi l’anello che aveva al dito. Era tale e quale, forse solo un po’ più grande, alla coroncina argentata che cingeva il medio di Rose. - E alla fine l’unico errore che ho fatto, l’unico, qual è stato?-
El si strinse tra le braccia e sospirò. Si alzò in silenzio, recuperando la maglietta abbandonata la sera prima sul pavimento. Se la infilò e lasciò che un brivido di freddo gli percorresse la schiena. Lo specchio sulla parete opposta gli rimandò il  suo riflesso grigio. Si sorprese di vedersi uguale al solito, si sentiva  cambiato, maturato di scatto in una notte di follia. Ma doveva essere così che succedeva, uno si sente spezzato dentro e continua ad avere gli stessi capelli ricci e gli stessi occhi, lo stesso naso, le stesse braccia. Uno si sente spezzato dentro e San Francisco continua a fare rumore e pullulare di vita. Uno si sente spezzato, ma lei è sempre mozzafiato.
Infilò una mano nella tasca consumata dei jeans e si diresse verso la porta della stanza. -Scusa, Rose...- Afferrò la maniglia con il cuore pesante. -Scusa se mi sono innamorato di te. -
Quando fu solo nel corridoio, a piedi scalzi, mormorò tra sé qualcosa, un augurio di buona fortuna, e non capì bene se fosse per se stesso o per Rose, per l’epoca che stava per cominciare o per quella che aveva appena lasciato, rannicchiata tra le coperte di una camera non sua. Aveva un aereo da prendere, la Nuova Zelanda da raggiungere. Stavolta da solo.
Meglio liquidare in fretta una storia che rovinarla per sempre, si ripeté. Non ti rovinerò la nostra amicizia perché sono un egoista. Non ti farò pesare i miei sentimenti, non importa. Ricordati di me, del tuo migliore amico, come veramente del migliore amico mai avuto. Non come del ragazzo che ti voleva e non ti ha mai avuto.
 
Tip: E’ meglio liquidare una storia che rovinarla per sempre, come pensa El? Non c’è più idea sbagliata. Nello stesso momento in cui si comincia a provare una certa emozione  romantica per una persona con cui si condivide già un rapporto di amicizia, anche molto stretto, come nel caso di El e Rose, la relazione cambia. Non confessare i propri sentimenti anticipa la distruzione del legame, in quanto quest’ultimo verrà vissuto con le gelosie e le premure di un amore senza che lo sia davvero. D’altro canto, dichiararsi e poi cercare di sparire, non affrontando le conseguenze delle proprie azioni, frustra la propria psiche e ferisce la persona amata. Insomma, El, che ci combini? :(
 

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Capitolo 7
*** Rose Heiner ***


Rose Heiner
“La filofobia è definita come la paura di innamorarsi o di amare una persona. Il soggetto filofobico nutre il timore paura o la convinzione che in futuro possa essere ferito dall'altro soggetto verso il quale prova attrazione fisica e morale. La filofobia è di solito dovuta ad una mancanza di affetto o ad esperienze traumatiche vissute in età infantile e adolescenziale al livello emozionale e/o sessuale che hanno condotto inconsciamente la psiche ad associare all'amore la sofferenza.”
 
Rose sentì  Chloe correrle dietro, i suoi passi incerti, le espressioni sbigottite di quelli che si lasciavano alle spalle. Imprecò tra sé per aver alzato la voce. Non era da lei perdere il controllo, non le piaceva, le sue emozioni non avrebbero mai dovuto prendere il sopravvento. In fondo di che stavano parlando tutti per farla irritare così tanto? Che le aveva detto suo fratello per farla scattare in quel modo? Niente, assolutamente niente.
Ma quando qualcuno aveva avanzato l’ipotesi di sfruttare le vacanze di Natale per fare un viaggio, la paura le aveva serrato la gola. Ed El? El che era in Nuova Zelanda da solo? Si erano completamente dimenticati di lui? I compagni che adesso progettavano erano gli stessi che avevano promesso al ragazzo di andarlo a trovare prima che salisse su quel maledetto aereo. Erano forse impazziti? Lei lo voleva vedere El. Non le importava della situazione scomoda in cui si erano incastrati. Non le importava nulla se lui, il suo migliore amico le aveva detto di essersi innamorato di lei e se, dopo aver dormito una notte l’uno accanto all’altra, come facevano da bambini, si erano separati increduli, Rose incapace di perdonarlo - perché l’amore che aveva conosciuto nella sua vita era stato violento, abusivo, perché le aveva sempre fatto paura- e lui col cuore spezzato e lo zaino in spalla. Lei voleva averlo vicino per un po’, doveva averlo vicino. Erano giorni che sentiva il bisogno viscerale di ascoltare anche solo la voce di El, scivolare lentamente nel sonno mentre si tenevano la mano per gioco, mormorando sciocchezze e filosofia, sotto la finestra della sua camera.
Rose strinse i pugni ripensando alla sua reazione brusca, al tono acido che non era riuscita a frenare, ai volti sorpresi dei suoi amici per la risposta inaspettata. Era stata brutalmente sincera, aveva detto cose che non credeva di provare. Era sembrata arrabbiata, infuriata col mondo. Ma la rabbia è solo una maschera, cercò di farsi capace. Cos’hai, Rose? Qual è la radice del problema? Stavolta, però, tutto ciò che riusciva a fare era perdersi in una nebbia opaca che le impediva di analizzare razionalmente i suoi pensieri.
Nella sua stanza si abbandonò sul pavimento, la spalle contro il materasso del letto. Forse era troppo dura con se stessa. Appoggiò la testa sulle ginocchia raggomitolate al petto. Basta. Rimuginare la sfiniva; era umano, si chiese, preoccuparsi ogni volta di ciò che poteva ripetere ad alta voce e ciò che invece doveva rimanere nella sua testa? Basta, basta. Cercare di essere gentile, stare a testa alta, non mostrare mai le incrinature del cuore. Non era quella la chiave della felicità? Non le piaceva pensare di essere forte e indipendente, di poter affrontare qualunque inconveniente? O forse quando ci sono troppe crepe, se non lasci avvicinare nessuno, l’unico destino è spezzarsi. E non ritrovarsi più. Basta, per favore...
Sussultò quando sentì la porta della sua stanza sibilare. Chloe era in piedi sulla soglia e sembrava avere uno sguardo di vero dispiacere. Rose rimase giù, aggiustandosi un ciocca di capelli. Preferì non domandarle da quanto tempo la stava osservando. Per colpa di tutti quei pensieri invasivi non aveva badato all’amica che la inseguiva lungo il corridoio e le chiedeva di fermarsi.
-Scusa...- mormorò. Chloe non c’entrava niente in quella storia. Nessuno in realtà c’entrava.
-Non hai fatto nulla.- rispose la ragazza con un tono dolce. Stava cercando di confortarla? Rose sorrise.
-Ho sonno, lo sai? Credo di dover semplicemente riposare.- le disse. Non voleva crollare di nuovo, non era giusto nei suoi confronti. Non poteva davanti a lei.
-Come va con... - Chloe si interruppe, quasi imbarazzata. Rose le passò addosso uno sguardo curioso. Con?
 -Stai mangiando?-
Oh. Rose rimase in silenzio per un attimo, sorpresa. Oh Chloe, che disastro. Non aver paura di chiamarla col suo vero nome. No, non ti preoccupare. Appena mi sfiora il pensiero, soffoco l’istinto. L’ho cacciata via ormai la bulimia.
-Sì, sto mangiando. Non ti preoccupare.- la rassicurò. Forse Chloe aveva così timore di toccare quell’argomento perché l’unico che era mai riuscito davvero a fare qualcosa per la sua bulimia era El. Chissà come stava El...
Rose si ritrovò senza respiro mentre un ricordo troppo intimo da ignorare le proiettava davanti agli occhi scene passate. Aveva appena sedici anni. Loro due erano soli, la festa era finita. Davanti a lei c’erano un hamburger riscaldato di nuovo e una porzione salata di patatine, la cena che aveva già rifiutato. El le stava di fronte e le scavava dentro con quello sguardo color mare. Doveva mangiare almeno la carne. Il resto lo poteva lasciare, le aveva detto. No, ti prego. Ti prego, El, se mi vuoi un po’ di bene non farmi questo. Ti prego. Ti prego...
El era rimasto fermo a guardarla piangere in silenzio ad ogni boccone. La vergogna e la nausea l’avevano torturata fino al momento in cui il piatto era apparso vuoto. Erano state ore di agonia e di dolore allo stato puro. Era stato il primo pasto normale in mesi e il primo passo verso la libertà. Era stata la notte in cui El l’aveva abbracciata stretta e, tremando, le aveva promesso che l’avrebbe tirata fuori, lui l’avrebbe salvata.
E ci è riuscito davvero. Rose fu sicura che due lacrime le rigavano le guance. El.
Quando si accorse che Chloe la fissava inerme, come se la vedesse davvero per la prima volta, si coprì il viso con le mani. Voleva ridere, ma le uscì dalla bocca un singulto strozzato.
 -Non guardarmi così, Chloe.- si lamentò  -Metterò tutto a posto. - Chiuse gli occhi e le sembrò che l’amica si muovesse dalla porta: adesso le stava accanto, la sua voce spaventosamente vicina. -Lasciati aiutare, Rho. Lasciami capire.-
-Sono stanca...- provò a sussurrare. E pensò ancora ad El. El, aiutami. -Sto crollando...- Al modo in cui le aveva insegnato a prendere in mano le posate e ad affrontare i problemi. Al fastidio che  le dava quando le nascondeva i libri proprio prima dell’ultimo capitolo e al vizio familiare di rubarle le penne. El, è massacrante, dove sei?
Chloe le mise una mano sulla spalla. -Rho, io non so cosa ti fa stare così, ma se è per caso il fatto che El sia andato via...- Oh El. El aveva l’abitudine di tirarle leggermente i capelli per farla innervosire e di passarle due dita sulle labbra per calmarla. -Non fa niente se mi odia ora.-  la interruppe Rose e continuò a parlare, ma non ne era più responsabile. El, per favore... - Non fa niente se non mi vuole più vedere. Voglio solo un abbraccio.- El, dove sei? El, torna.  - E’ scappato senza neanche un bacio...-  
Chloe emise un versetto meravigliato che la costrinse a scoprirsi gli occhi. Aveva capito anche lei? Ecco perché era diventata così suscettibile nell’ultimo periodo, ecco cosa le stava succedendo. La radice del problema...
-Oh, Rose... El... tu lo ami?-
Rose prese un respiro, impedendosi di singhiozzare. El.
Annuì.
 
Tip: Ebbene, Rose, anche tu sbagli, anche tu sei umana. Purtroppo è molto diffusa, soprattutto tra gli individui particolarmente sensibili o intelligenti, quindi coloro che in qualche modo usano prendersi cura delle persone che li circondano, la tendenza ad isolare i propri sentimenti e rifiutarsi di condividere i problemi, impedendo agli altri di provvedere con alcuna forma di aiuto. Ma la chiave della felicità, cara Rose, sta nel trovare la forza -in se stessi, certo - di riconoscere quando un viso amico ci è necessario per uno sfogo, per una parola o semplicemente per un abbraccio. Dopodiché mi rivolgo al pubblico di più giovani, adolescenti alle prese con le prime cotte o, perché no, romanticoni terrorizzati dal vero amore: Eros fa paura, è normale. E’ completamente giustificato essere terrificati dall’aver perso la testa per qualcuno. L’importante è trovare il coraggio per ammetterlo e non lasciare che l’amore, che è un sentimento ricco e positivo, diventi causa del nostro malcontento e dei nostri scatti d’ira. Finché è amore, va bene. Anche se ti sei innamorata del tuo migliore amico, Rose, eh? Non succede nulla: ti risparmierai di provare tutto l’armadio prima di ogni appuntamento, visto che già sai cosa gli piace!

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


Epilogo
Guardò sua sorella allontanarsi verso il ragazzo di cui si era scoperta innamorata. Era felice per lei, provò a sorridere. Stavolta non va via. Stavolta torna.
 
***
Chloe si strinse nello spazio rassicurante delle braccia di Billie che la stringevano. Sapeva che lui era contento, che qualcosa gli si era aggiustato dentro. Ma lei era ancora rotta, continuava a sentirsi spezzata e sola. Forse gliene avrebbe potuto parlare? Non sarebbe stato bello tradire la voce monodica nella sua testa? Non sarebbe stato adorabile essere libera?
 
***
Forse alla fine non era così male quella sua sensibilità. Gli permetteva di percepire la gioia della vita, lo stupore delle fragilità. Tutti spiavano curiosi solamente le ombre distanti di El e Rose, nessuno li riusciva a sentire. Eppure Mike sorrise. Era sicuro che lei stesse sussurrando al suo orecchio qualche parola dolce, una timida confessione del cuore.
 
***
Dillo ancora. Dillo di nuovo. Le si avvicinò piano, non voleva spaventarla. Mentre le accarezzava la bocca con due dita, Rose chiuse gi occhi e un rossore lieve, che non le aveva mai visto, le tinse le guance.
Rho, piccola Rho.Per quanto provasse, El era incapace di spostarsi. Pensò una cosa folle, romantica, vietata. Quello sarebbe stato un momento tremendamente inadeguato per insegnarle un po’ d’amore. Lì, davanti a tutti, senza pudore. Con una tenerezza disarmante. Quindi le baciò le labbra.
 
***
In punta di piedi. Senza fretta. Avvenne delicatamente. E desiderò che durasse ancora per qualche attimo. Ancora per l’eternità.

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