Dragonball Alternative Story: Piccolo and Lyrica

di Malanova
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo incontro ***
Capitolo 2: *** Il mio nome... ***
Capitolo 3: *** Non sono come quei marmocchi! ***
Capitolo 4: *** Compleanni ***
Capitolo 5: *** Il primo bacio di Lyrica ***
Capitolo 6: *** Salvata ***
Capitolo 7: *** Goku entra nel King Castle ***
Capitolo 8: *** Il sapore della libertà ***
Capitolo 9: *** La stanza sotterranea ***
Capitolo 10: *** Il Torneo di Arti Marziali ***
Capitolo 11: *** Gelosia ***
Capitolo 12: *** Un'altra sconfitta ***
Capitolo 13: *** Nel deserto di pietra ***
Capitolo 14: *** Una strana metamorfosi ***
Capitolo 15: *** La nascita di Drak ***
Capitolo 16: *** Una nuova minaccia ***
Capitolo 17: *** Sull'isola ***
Capitolo 18: *** Ied kuurt ***
Capitolo 19: *** La navicella del Supremo ***
Capitolo 20: *** Il ritorno sulla Terra ***
Capitolo 21: *** L'arrivo di Re Cold su Leviathan ***
Capitolo 22: *** Verso la città di Zout ***
Capitolo 23: *** Piani ***
Capitolo 24: *** Proposta di fratellanza e matrimonio ***
Capitolo 25: *** Uno scherzo mal riuscito ***



Capitolo 1
*** Il primo incontro ***


Era giunto il tramonto quando Piccolo stava passeggiando lungo la spiaggia caraibica dell’isola di Kiwi.

Aveva soltanto sette anni ma l’espressione dura e irosa, perenne sul suo viso, intimidiva chiunque incrociasse il suo cammino. In realtà, tutta la sua persona suscitava terrore: la pelle verde e priva di qualsiasi peluria, le orecchie appuntite, le quattro dita delle mani munite di artigli e le antenne leggermente carnose rivelavano palesemente la natura non umana.

La lunga tunica violacea sfiorava i granelli bianchi di sabbia, intrappolandone qualcuno nel tessuto e lasciando dei sottili solchi paralleli alle impronte dei piedi, che venivano poi inghiottite ritmicamente dalle onde dell’oceano. Ogni tanto scalciava con aria pensosa una conchiglia finché essa non scompariva tra i flutti. La spiaggia era deserta per via del coprifuoco che obbligava gli abitanti dell’isola a starsene rinchiusi nelle loro case e, anche se non fosse mai esistito, nessuno avrebbe osato venirci quando lui era presente. Perché lui era Piccolo Junior, l’unico figlio del Grande Mago Piccolo, il Re-Dittatore della Terra, un demone dotato di enormi poteri oscuri che centinaia d’anni prima si era imposto con la forza in quel pianeta dai deboli abitanti e che attualmente deteneva il controllo assoluto di ogni cosa. Con una sola mano era capace di spazzar via un continente intero, se voleva, e il bambino, degno erede del padre, non era da meno. Nessuno avrebbe osato rivolgergli la parola e disturbarlo.

Arrivato nei pressi di una scogliera, il bambino si fermò e guardò l’orizzonte. Per un momento rimase ad osservare il placido movimento delle onde che avevano assunto il colore dei melograni maturi e venne colto da un profondo senso di solitudine. Se avesse un amico con cui… La rabbia e l’orgoglio che da sempre lo caratterizzavano spazzò via quel pensiero impuro ed egli si rimproverò: lui era il figlio del Grande Mago, il futuro re del mondo! Il suo unico scopo nella vita era quello di creare il caos e terrorizzare quegli esseri inferiori che lo popolavano! Al diavolo tutti quei marmocchi che, appena lo vedevano, se ne scappavano via, inorriditi dal suo aspetto demoniaco. Nessuno di quei luridi mocciosi meritava i suoi favori.

Se ne stava andando da quel luogo, ormai divenuto fin troppo tranquillo per i suoi gusti, quando all’improvviso avvertì una presenza poco distante da lui. Si voltò, sussultando. Da dove era arrivata quella bambina e da quanto tempo si trovava lassù? Come mai non l’aveva notata prima?

Lei era lì, a guardare l’orizzonte come stava facendo lui prima, sopra a uno dei grossi scogli che delineavano il breve tratto della riva est dell’isola, all’apparenza inconsapevole della presenza di Piccolo a pochi metri di distanza. I capelli corvini dai riflessi violacei erano lisci e corti alla nuca ma lunghissimi fino al busto ai lati e si muovevano alla brezza oceanica, sfiorando con le punte la maglia di seta in stile asiatico color azzurro cielo, con delle cuciture sulle maniche lunghe ed ampie che ritraevano rametti fioriti, stretta in vita da una cintura anch’essa di pregiata seta blu. A fasciarle le gambe magre aveva un semplice pantalone nero, di cotone, che le arrivava alle ginocchia il cui l’orlo si poteva regolare con delle clip. I piedi erano nudi e sembravano aderire leggermente sulla superficie della roccia.

“E-Ehi t-tu!” la chiamò il bambino, riprendendosi dallo stupore “Non dovresti essere in giro… Non lo sai che a quest’ora è in vigore il coprifuoco? Vedi di tornartene a casa prima che i miei servitori ti trovino e decidano di farti a pezzi!”. Appena ebbe finito di dire quelle parole, Piccolo sorrise in modo sadico, mostrando i denti aguzzi: ora quella mocciosa se la sarebbe data a gambe strillando dalla paura. Invece…

La bambina si voltò verso di lui, lentamente, finché non si ritrovò a guardarlo. Il cuore del bambino accelerò. Quegli occhi… erano di un giallo sorprendente! Era come vedere delle pepite d’oro luccicare sotto la luce del sole! Ella rimase a fissarlo attentamente per un paio di minuti, studiandolo con un’espressione cinica, poi tornò a guardare l’oceano e mormorò, gelida “Ritornerò a casa quando sarò in grado di farlo, Tola’at”.

Piccolo spalancò gli occhi e la bocca, sorpreso e furioso allo stesso tempo. Come osava quella marmocchia rispondergli in quella maniera e con un tono così impertinente? Non si era resa conto con chi stava parlando? Era pazza oppure stupida? Le stava per insegnare a rispettare il suo principe quando sentì le campane di una chiesa lì vicino rintoccare per sei volte. Era giunto il momento di ritornare al King Castle altrimenti suo padre lo avrebbe rimproverato. Si librò nell’aria e le lanciò un’ultima occhiata. La bambina continuava a fissare davanti a sé, ignorandolo. Per ripicca le fece una linguaccia, si voltò e se ne andò via.

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Capitolo 2
*** Il mio nome... ***


Erano passati alcuni giorni da quell’incontro e Piccolo rimuginava ancora su quella strana bambina dagli occhi dorati che aveva incontrato sulle spiagge di quell’isola lontana, chiedendosi chi potesse essere. Conosceva tutti i bambini che abitavano nella zona, poiché era sua abitudine sorvolare per i cieli di quell’isola nelle ore più disparate, attento a non esser visto dal popolo, però lei non l’aveva mai notata prima. Che venisse da un altro continente? In un primo momento era stato tentato di consultare l’enorme libro dei censimenti, dove erano trascritti a mano dal demone Pianoforte, il servitore dalle fattezze di pterodattilo, il più vecchio e saggio dei demoni creati da suo padre, il nome di tutti gli abitanti del mondo, che annualmente veniva modificato a seconda delle nascite e delle morti, rinunciandoci quando si ricordò che con esso non erano allegate foto. Non sembrava neanche la figlia di uno di quei criminali che depredavano l’arcipelago, la postura che aveva assunto nonostante fosse in piedi sulla cima di uno scoglio era senz’altro frutto di mesi di educazione di portamento… Mmh… Beh, da come si era comportata, poteva benissimo esserlo: i boss della malavita che suo padre invitava a corte erano fissati con il galateo. Doveva convincersi che non l’avrebbe mai più rivista e che era da stupidi rimuginarci ancora.

In quella fredda mattina lui e suo padre, un demone mastodontico alto più di due metri dal volto solcato dalle rughe, stavano giocando a Shogi nell’immensa sala del trono, una stanza assai spartana rivestita di marmo blu notte, che la rendeva cupa e lugubre anche nelle ore diurne, con solo due enormi troni di pietra bianca e un piccolo tavolino di ossa di dinosauro a formare la mobilia. Ad un certo punto, mentre Piccolo stava sollevando la pedina del Drago blu che lo avrebbe messo in una posizione di vantaggio, delle urla echeggiarono nella sala. Entrambi i demoni sollevarono la testa dalla scacchiera e il Grande Mago ringhiò, infastidito “Cos’è tutto questo baccano?”. Si mise in ascolto e le estremità delle orecchie appuntite si mossero leggermente “Mmh… Sta succedendo qualcosa in giardino…” borbottò alla fine, seccato “Forse un altro di quegli umani imbecilli che si è messo in testa di farmi fuori…”. Si alzò dal trono e, insieme al figlio, si diresse verso uno dei balconi posti nei quattro punti cardinali della stanza, costruiti in quella maniera affinché il Re potesse osservare tutto ciò che circondava il King Castle.

Il balcone verso cui il Re era diretto, quello posto a sud, si affacciava anche su una parte dei giardini reali dove il tiranno aveva fatto impiantare alberi da frutto di vario tipo, che provenivano da ogni angolo del mondo. In quella stagione alcuni aranci e mandarini avevano raggiunto la perfetta maturazione e rilasciavano nell’aria un profumo invitante. Non era insolito in quella stagione che qualche abitante della Città Centrale, vinto dalla fame, avesse l’ardire di scavalcare le spesse mura dell’edificio e provasse a rubare qualche frutto, ma i guardiani demoniaci li avevano puntualmente fatti fuori non appena raggiungevano il cornicione. Di norma, riuscivano a farlo senza far troppo rumore. Per cui il sovrano si sorprese non poco quando assistette a quella scena.

Tamburello, uno dei più forti demoni creati dal Grande Mago, che aveva le fattezze e la pelle di un rettile antropomorfo munito di due grosse ali da pipistrello, stava inseguendo insieme a due inservienti umani una bambina. Quando uno di loro riusciva ad acciuffarla, ella urlava, tirava calci, graffiava e mordeva finché non riusciva a liberarsi.

Piccolo la riconobbe subito: nonostante ora l’elegante vestito fosse sporco e strappato in più punti tanto da poter intravvedere la pelle nivea sotto di essi ed i capelli erano unti e arruffati, era lei! La mocciosa della spiaggia! Furente, strinse tra le quattro dita la pedina del gioco che si era dimenticato di riporre sulla scacchiera, rischiando di sbriciolarla. Che cosa ci faceva nel suo giardino?

Il Grande Mago, invece, era quasi divertito da quella scena e chiese, con tono abbastanza alto da farsi sentire “Tamburello, che cosa abbiamo qui? Sembra un cucciolo di lince da come si dibatte… oppure è una piccola gazzella? E perché nessuno di voi riesce a prenderla?”. A quelle parole, tutti si fermarono. La bambina aveva gli occhi che scintillavano e il fiatone. Tamburello si inchinò profondamente e prese parola “Mio Re! Ho trovato questa piccola peste intenta a rubare delle arance dai vostri alberi…”. Cercò di afferrare la ragazzina ma ella schivò la sua presa e gridò “Mifletset smerig! Allontana quelle luride mani squamose da me!” e gli tirò un calcio agli stinchi, colpendolo con forza non comune per una bambina “Tu… Piccola bastarda!” urlò il demone, furioso. Con una mano riuscì ad afferrarle la testa con l’intento di farla sbattere a terra ma lei, pronta, poggiò le mani sull’erba e, stando in equilibrio su di esse, sollevò le gambe e gli tirò un altro calcio che lo colpì dietro le ginocchia, così che il mostro cadde al suo posto.

Il sovrano si mise a ridere di gusto “Ah, ah, ah! Incredibile! Tamburello che viene messo sotto da una mocciosa che puzza ancora di latte!” esclamò. Poi si librò in aria, scavalcò il cornicione, e si calò lentamente giù, fino a che non atterrò davanti alla piccola intrusa. Il viso scarno e rugoso sfoggiava un sorrisetto inquietante, che si allargò di più quando vide i servitori umani ritrarsi, terrorizzati e con le teste chine, mentre lei era rimasta dritta e perfettamente immobile, guardandolo con diffidenza e malcelato odio “In quanto a te… i tuoi genitori non ti hanno insegnato che davanti al Re del mondo ci si inchina?” “Da dove provengo io…” rispose la bambina senza scomporsi “Ci si inchina solo al cospetto degli Dei e della Morte”. Il Grande Mago si mise a ridacchiare. Aveva coraggio, la pulce. Si avvicinò di più a quella minuscola creatura che, a differenza di tutti, non arretrò di un solo passo né abbassò lo sguardo “Perché rubavi le mie arance?” “Perché ho fame e non sono l’unica in questa terra a patirla” rispose lei con furore. Allargo le braccia e aggiunse “Al di fuori di queste mura il vostro popolo è in costante sofferenza: la siccità che ha colpito le terre sud-ovest tre mesi fa ha decimato il raccolto e prosciugato i pozzi cittadini. I briganti fanno da padroni e rubano di tutto, spezzando le ossa e l’animo di coloro che provano a difendersi! In più i demone come il moccio volante qui…” indicò Tamburello, che intanto si era rialzato e la fissava con uno sguardo omicida, con la gamba colpita un po’ sollevata “Se vedono qualcuno infrangere il coprifuoco anche per il più insignificante dei motivi, lo torturano e lo ammazzano senza alcuna pietà!”. Poi puntò il dito contro il Grande Mago. I suoi occhi brillavano come due sfere elettriche e concluse, sprezzante “E voi ve ne state rinchiuso dentro al vostro castello, fregandovene di tutto ciò che vi circonda! Come potete considerarvi un sovrano?!?”.

Il Re la schiaffeggiò senza usare troppa forza ma quell’abbastanza da farle voltare la testa da una parte e la guancia colpita diventare rossa. La bambina fece una piccola esclamazione di dolore ma tirò su di nuovo la testa e lo guardò con odio. Vedeva le lacrime inumidirle gli occhi e un rivolo di sangue uscirle dal naso e dalla bocca ma ella non dette segno di cedimento. Il Grande Mago si accorse di provar simpatia per quella marmocchia “Sei una piccola insolente ma devo ammettere che hai del fegato a parlarmi ed a guardarmi in questo modo… Sai che intendo fare? Per premiarti del tuo coraggio e del tuo ardore non ti farò uccidere dai miei demoni come faccio di solito con gli altri intrusi, ma sarò io stesso a darti il colpo di grazia…”. La afferrò per un braccio così velocemente che ella non fece tempo a scansarsi. Poi si chinò su di lei e le accarezzò il viso, la guancia colpita, in un gesto quasi dolce “Se avessi avuto una figlia avrei voluto che fosse come te…” le sussurrò in un orecchio, in modo impercettibile, che sentì solo lei le parole. Poi posizionò la mano libera a pochi centimetri dal naso e fece scaturire l’energia sul suo palmo, che si illuminò di luce viola e produsse delle piccole scariche elettriche. I capelli corvini si gonfiarono per l’elettricità statica e la bambina chiuse gli occhi e strinse i pugni, preparandosi al colpo fatale. Fu allora che si udì una voce gridare “Fermatevi!”.

L’aria smise di crepitare ed ella si voltò verso il palazzo reale, sorpresa. Solo allora si era accorta che, ad osservare la scena da un balcone, c’era anche quell’arrogante bambino incontrato sulla spiaggia.

Il sovrano fu sorpreso dal comportamento del figlio. Non gli aveva mai detto di fermarsi durante un esecuzione, anzi, certe volte l’aveva anche incoraggiato. Piccolo lo raggiunse e disse “Padre, non uccidetela. E’ da tempo che sto cercando uno schiavo personale da utilizzare per i miei allenamenti…”. Le diede un’occhiata fugace ed aggiunse “… E lei mi sembra adatta a questo scopo…” “Questa volta non posso esaudire il tuo desiderio, Junior…” sospirò il genitore “Questa ragazzina si è insinuata nel nostro castello con l’intento di derubarci e, di questo ne sono certo, che avrebbe tentato anche di ucciderci se solo ci avesse pensato…”. La guardò in tralice “Bambini come lei, figlio mio, possono rivelarsi una vera seccatura…”. Piccolo incrociò le braccia e ribatté “State tranquillo, padre, non ho intenzione di essere indulgente con questa piccola stracciona: se non starà al passo con i miei allenamenti potete star pur certo che ella morirà di fatica nel giro di pochi giorni…”. Il Grande Mago sospirò, senza riuscire però a nascondere un sorriso. Non sapeva dir di no al suo figlio prediletto. “E sia” borbottò egli scuotendo la testa. Tornò a prestare la sua attenzione alla bambina “Sei una bimba molto fortunata”. Le afferrò il mento e le alzò la testa, fino a quando il nero dei suoi occhi non si incrociò con l’oro dei suoi “Però ti avverto: se mio figlio dovesse pronunciare anche solo una parola contro di te andrai a fare compagnia agli angeli…”.

“Ehi! Perché mi hai salvata?” domandò la bambina a Piccolo, appena furono da soli. Il bambino demoniaco l’aveva condotta in un altro giardino, dove lui era solito allenarsi. Esso era una perfetta riproduzione di una zona desertica posta tra la Città dell’Ovest e la Città del Sud, con tanto di alberi e fiumi. La ragazzina era stata accuratamente pulita e vestita con abiti nuovi, una tunica sportiva sempre di foggia asiatica che variava dal rosso per la maglia e il rosa per i pantaloni con l’orlo nero. I piedi però erano rimasti nudi, rispondendo alle polemiche delle servitrici con un “Dalle mie parti ci si mette le scarpe solo quando fa freddo e c’e la neve” “Mfh! Non credevo che tu fossi sorda...” rispose l’altro, seccato, riscaldandosi i muscoli delle gambe. Le diede un’occhiata truce e aggiunse “Ho notato che conosci qualche nozione base delle arti marziali ed avevo proprio bisogno di qualcuno con cui allenarmi che fosse più o meno della mia altezza…”. Si mise in posizione d’attacco e ringhiò “Avanti… Fatti sotto!”. Lei socchiuse gli occhi “Come ti chiami?” “Cosa?!?” esclamò il bambino, scioccato. “Se devo stare qui dovrò conoscere il tuo nome…” “E’ assurdo… Tutti quanti lo sanno! Non c’è uomo, vecchio, donna o bambino che non tremino di paura al mio cospetto!”. Vedendo che lei continuava a fissarlo Piccolo mostrò i denti aguzzi, fece un ironico inchino e si presentò “Sono Piccolo Junior, figlio del Grande Mago Piccolo, futuro re del mondo!”. Subito dopo, scattò verso la sua direzione e le tirò un calcio ma la bambina riuscì a schivarlo facilmente, facendo un passo indietro.

Iniziarono a combattere, o meglio… Piccolo continuava a sferrare pugni e calci mentre lei schivava e parava. “E tu? Chi diavolo sei?” domandò il bambino sferrandole un calcio diretto alla testa ma che ella parò con un braccio “Che cosa ti importa? Per voi gli schiavi non posseggono un nome!”. Lui arrossì leggermente. Le sferrò un pugno diretto allo stomaco ma l’altra si scansò con facilità. E questa volta reagì. Allungò la gamba, toccandogli con un piede la caviglia, e la ritirò con forza facendogli uno sgambetto. Piccolo iniziò a cadere in avanti. La piccola corvina sorrise trionfante e abbassò la guardia. Fu un grave errore.

Dimostrandosi all’altezza della fama di suo padre, Piccolo non si fece cogliere impreparato: con un braccio le cinse il collo e la fece cadere insieme a lui. La bambina cercò di toglierselo di dosso ma Piccolo era molto più esperto nel combattimento corpo a corpo così le prese agilmente il braccio e glielo torse dietro la schiena. La corvina urlò delle proteste, a cui venne risposta con una serie di ghigni e con un ordine “Dimmi il tuo nome!”. Per tutta risposta lei fece un verso rabbioso e gli tirò una gomitata con il braccio libero, colpendolo con forza allo stomaco. Lui incassò il colpo senza, però, riuscire a trattenere un gemito di dolore. Furioso le torse ancora di più il braccio, facendola squittire, e ripeté, ringhiando “Dimmi il tuo stupido nome!”. La bambina gli tirò un’altra gomitata ma vedendo che il bambino non mollava rantolò “Va bene… te lo dico… ma lasciami andare, mi stai facendo male!”. Lui obbedì e incrociò le braccia, come faceva spesso il padre, con un sorrisetto vittorioso dipinto sulle labbra. La bambina gli lanciò un’occhiata carica di disprezzo e borbottò “Il mio nome è Lyrica”. Si prese il polso e iniziò a massaggiarselo “Solo Lyrica”.

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Capitolo 3
*** Non sono come quei marmocchi! ***


“Lyrica…” mormorò Piccolo tra sé, come se stesse studiando ogni lettera che lo componeva “Un nome insolito per una bambina insolita”. Erano passati più di quattro mesi da quando quella misteriosa bambina dagli occhi color oro divenne, obbligatamente, la sua compagna d’allenamenti e lui non riusciva ancora a capire con chi avesse a che fare. Lyrica era così diversa dagli altri bambini e dai servitori che lavoravano nel King Castle: quando non doveva allenarsi con lui si muoveva con molta grazia per le immense sale del palazzo, quasi come se fosse a casa sua, svolgendo i più svariati compiti che il padre e Pianoforte le imponevano, senza proferire parola almeno che non fosse interpellata. Però il suo spirito ribelle non si era mai assopito. Lei era l’unica che non si inchinava davanti a lui, al Grande Mago o ai demoni creati da quest’ultimo, quella che disubbidiva se riteneva un ordine ingiusto oppure privo di senso, colei che arrivava persino ad alzare le mani quando qualcuno cercava di umiliarla e deriderla. In più rispondeva, il più delle volte, con cinismo. Con i servitori umani, invece, mostrava il suo lato dolce e socievole. Spesso e volentieri li aiutava nelle faccende, soprattutto quelle di fatica, riuscendo a conquistare in pochi giorni le loro simpatie e diventando la loro beniamina. Ogni tanto, di notte, la sentiva cantare in quella strana lingua che spiccava quando era arrabbiata o esaltata. Allora si metteva sul tetto sopra alla finestra della sua stanza, senza farsi vedere (visto che era diventata la sua serva personale, aveva diritto a una stanza sua) e l’ascoltava, rapito. Qualche volta gli era venuto il dubbio che ella fosse una Kitsune sotto mentite spoglie.

Piccolo si sdraiò sul tetto di una delle torrette del King Castle e fissò le nuvole bianche nel cielo, assorto nei suoi pensieri, quando udì un suono che non aveva mai sentito dentro a quelle mura: risate di bambini. Si alzò di scatto. Erano risate cristalline, fatte con euforia. Sembrava di sentire dei sassolini che rotolano lungo un ruscello. Chi erano?

Incuriosito, egli seguì quel suono fino a trovarsi in una radura poco lontana dal castello. Essa era circondata da alti e possenti alberi di sequoia e, qui e là, spuntavano delle rocce ricoperte di muschio. Era l’area dove i figli degli schiavi andavano a giocare nel loro tempo libero ma non li aveva mai sentiti ridere così di gusto. In verità, non li aveva mai sentiti ridere.

Quando fu abbastanza vicino si nascose dietro a uno degli alberi e osservò la scena. C’era una bambina dai capelli rossi poco più grande di lui, la figlia di una lavandaia se non si sbagliava, in cima a una roccia particolarmente alta. Si tormentava tra le mani una delle sue lunghe trecce e guardava in basso con timore. I suoi occhi color nocciola erano inumiditi di lacrime. Gli altri bambini, di ambo i sessi, si erano radunati in un punto poco lontano e l’incitavano a saltare. “Sono diventati scemi?!?” si domandò Piccolo, incredulo, vedendo la bimba avvicinarsi all’estremità della roccia “Se quella mocciosa si butta da quell’altezza si spezzerà la spina dorsale!”. La bambina era titubante. Guardò di sotto, fece un respiro profondo ed infine si tuffò. Il piccolo demone già immaginava di sentire il tremendo impatto che avrebbe fatto il corpo della ragazzina con il terreno, spezzandole le ossa, ed il sangue rosso che avrebbe vomitato a fiumi per via degli organi interni squarciati, contaminando il color smeraldo dell’erba, ma con suo sommo stupore tutto ciò che aveva pensato non accadde. Il terreno era diventato così morbido da avere la stessa consistenza di un tappeto elastico e la bambina, dopo esser sprofondata, era sbalzata fuori ed ora saltellava avanti e indietro tutta allegra. Presto anche gli altri bambini si unirono a lei e iniziarono a fare capriole ed a buttarsi di schiena senza farsi neanche un graffio.

Piccolo era allibito… Non poteva essere vero! Com’era possibile che il terreno fosse diventato così morbido? Non potevano essere sabbie mobili… Tutto ciò sfuggiva dalla sua comprensione! Con le unghie graffiò la corteccia della sequoia lasciando dei sottili solchi sul tronco. Voleva avvicinarsi e provare sulla sua pelle questo bizzarro fenomeno ma non riusciva a lasciare il suo nascondiglio… Che nervi!

Dopo qualche minuto Shift, il figlio del capo cuoco di corte, un bambino di dieci anni dai capelli biondi e gli occhi scuri, saltò più in alto degli altri e intravide Piccolo dietro l’albero. Cacciò un urlo e quando fu a terra avvisò gli altri “Scappiamo! C’e il figlio del Demonio!”.

Piccolo lo guardò indispettito ma uscì comunque dal suo nascondiglio e si avvicinò al gruppo. Tutti i bambini avevano smesso di giocare e si stavano rannicchiando l’uno contro l’altro ai piedi della roccia, tremanti di paura. Tutti tranne una: Lyrica. Ella si frappose tra lui e il gruppo e lo guardava in cagnesco.

Piccolo ricambiò lo sguardo, poi ringhiò, rivolto agli altri bambini “Che cosa state aspettando, piccoli vermi? Smammate prima che decida di ridurvi in cenere!”. Il gruppetto non se lo fece ripetere due volte. Si affrettò a raggiungere il castello ma Shift si voltò verso Lyrica, preoccupato. Le sfiorò con le dita una spalla, un gesto che diede un po’ fastidio al piccolo demone, ma la bambina si limitò a fargli un cenno ed a mormorare “Vai…”. Quando, infine, furono rimasti solo loro due, la bambina incrociò le braccia e sbottò “Perché ci hai interrotto? Ci stavamo divertendo così tanto…” “Ti sei dimenticata che tu e tutti quegli altri marmocchi siete soltanto dei miserabili servi? Posso interrompere qualsiasi attività che si svolga sulle mie terre!”. Fece qualche passo in avanti e sibilò “Ringraziami piuttosto: non andrò a riferire a mio padre quello che ho visto…” “Perché non sia mai che scambi un gioco per bambini in un attacco terroristico alla sua persona…” si mise a borbottare l’altra. Egli mostrò i denti aguzzi e ringhiò “Stavo parlando della magia, cretina!”. Prima che Lyrica potesse ribattere lui la incalzò “So che sei stata tu! Mio padre sceglie personalmente i servitori del King Castle da quasi 300 anni ed ha sempre selezionato esseri umani semplici, incapaci di combattere o di usare magie”. Piccolo si avvicinò ancora “A parte me e mio padre, solo i nostri demoni hanno il permesso di utilizzare la magia per cui evita di cambiare la materia del terreno e qualsiasi altro giochetto stupido che ti viene in mente” stette in silenzio per un attimo, riflettendo, poi aggiunse “Anzi, facciamo così. La potrai usare solo in mia presenza e durante i nostri allenamenti…”.

Stettero un po’ in silenzio. Piccolo poteva percepire la sua rabbia, che le faceva brillare gli occhi, come percorsi dalla corrente elettrica. La bambina strinse i pugni e… dei sottili fili elettrici iniziarono a scorrerle tra le dita, crepitando, mentre i capelli corvini iniziarono a gonfiarsi. Il demone ghignò a quella vista “Cos’è? Mi stai sfidando?”. Senza attendere risposta, si mise in posizione d’attacco “Te ne farò pentire amaramente”.

Era arrivato il tramonto. Il cielo si era tinto con tutte le sfumature arancio che stavano pian piano spegnendosi all’eclissarsi del sole. Piccolo si sdraiò per terra, ansimando, ma con un sorriso di trionfo stampato in faccia. Sapeva che la vittoria era stata fortuita, in parte: Lyrica non sapeva ancora controllare i suoi poteri, influenzabili dalle emozioni particolarmente forti, come aveva supposto sagacemente. Gli era bastato farla sfogare un po’, incassando volontariamente qualche colpo, e aspettando che la sua rabbia scemasse. Poi, quando la magia si era indebolita parecchio, aveva passato al contrattacco. Non aveva calcolato, però, che quei quattro mesi passati con lui avessero migliorato le doti fisiche della bambina. Così, anche se senza poteri, gli aveva dato del filo da torcere finché lui non riuscì a stenderla con un colpo alle spalle. Ora anche lei era stesa a terra, rannicchiata da un lato, immobile, rivolgendogli la nuca che aveva pesantemente colpito.

Per un attimo Piccolo si preoccupò e sussurrò “Ehi! Sei morta?”. Per tutta risposta la ragazzina afferrò una manciata di terra molle e gliela tirò addosso. La zolla lo colpì in bocca e lo fece sputacchiare. Lyrica si mise a ridacchiare. Appena si fu calmata sussurrò “Non saresti comunque andato a dirlo a tuo padre…” “Ah si? E cosa te lo fa credere?” “La faccia che facevi mentre ci stavi spiando”. Il bambino si ammutolì. Quando si era accorta della sua presenza? Fece un risolino irrisorio, mentre si puliva le labbra e disse “Ora sentiamo un po’ di assurdità… Come vi avrei guardato?” “Come un bambino che voleva unirsi a noi ma che aveva anche paura di non essere accettato…”. Piccolo arrossì così violentemente che anche le orecchie appuntite si colorarono di un tenue viola. Lyrica si tirò su e, faticosamente, riuscì a mettersi seduta e a guardarlo “Non c’è niente di male a voler…”. Piccolo strinse le mani a pugno e sibilò, furioso “Per chi diavolo mi hai preso?!? Non volevo giocare con voi pezzenti… Io non sono come quei mocciosi con cui ti divertivi prima… Io sono il futuro Grande Mago!”. Lei lo fissò con tristezza e disse “Devi sentirti molto solo…”.

Lui la fissò negli occhi, in silenzio, per un lungo istante. Era pietà quella che le leggeva?!? Tremando dalla rabbia le sibilò “Vattene… Stammi lontano… E non scomodarti di venire agli allenamenti!”. Lyrica, contro ogni sua previsione, lo prese per i polsi e lo tirò su a sedersi. Poi, prima che il bambino potesse protestare, lo abbracciò “Mi dispiace che la verità faccia così male…” gli disse “Se solo tu volessi… le cose potrebbero andare in modo diverso…”. Lo lasciò andare, si alzò in piedi e, vacillando un po’, si diresse verso il castello mentre lui era rimasto lì, immobile, confuso.

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Capitolo 4
*** Compleanni ***


Per i due mesi successivi Piccolo si allenò da solo e Lyrica occupò quel tempo vacante a leggere, imparare la meccanica dai macchinisti ed a aiutare gli altri servi nei lavori manuali. Le uniche volte che i due bambini si vedevano erano le ore di studio svolte nella biblioteca (dato che era la serva personale del figlio, il Re le aveva imposto la stessa istruzione scolastica) ma anche in quei casi Piccolo evitava di parlarle. Il Grande Mago se ne accorse ma decise di non interferire. In un certo senso, si esilarava nel vedere la cocciutaggine dei due bambini. Poi un giorno, come se niente fosse successo, il bambino mandò a chiamare Lyrica da una serva, dicendole di raggiungerlo nelle sue stanze. Ella arrivò dopo qualche minuto e rimase ferma sulla soglia, mentre la serva, una giovine di sedici anni dai capelli castani piuttosto carina, la annunciava.

La camera del bambino doveva essere stata ammobiliata dallo stesso architetto che aveva pensato al design della sala del trono: stesso marmo blu a ricoprire le pareti e il pavimento, un letto e una scrivania d’avorio con intagliato su l’ideogramma dei Daimao e una libreria che conteneva almeno un centinaio di tomi e dei campioni minerali. Alla bambina le piacevano tutti quei pezzi di roccia messi in modo meticoloso in modo che i minerali cristallizzati venissero colpiti dalla luce e quelli dalla superficie liscia facessero risplendere i loro colori. La sua preferita era una pietra calcarea bianco latte grande quanto un palmo della mano, con il dorso coperto da incisioni. Appena la si sfiorava con le dita essa produceva un suono delizioso, simile all’acqua che scorre. Era una delle rare passioni che Piccolo aveva e che li accumunava. La ragazza le disse di entrare e, facendo un ultimo inchino verso il principino, ritornò alle sue faccende.

Lyrica lo trovò mentre guardava fuori dalla finestra con le mani giunte dietro la schiena, come faceva spesso Pianoforte prima di iniziare una lezione. Quando fu abbastanza vicina, lui non si voltò e si limitò a dirle “In vista a questo giorno molto speciale ho deciso di perdonare le tue continue subordinazioni: passerai con me tutta la giornata e, da domani, torneremo ad allenarci insieme…”. Lei borbottò un “Va bene” non troppo convinto poi, colta dalla perplessità, gli domandò “Senti… ma oggi che giorno è?”. Piccolo si voltò di scatto, con gli occhi spalancati dallo stupore, ed esclamò con voce acuta “Cosa?!? Non sai che giorno è oggi?!?”. La guardava come se le fosse spuntata un’altra testa, così intensamente che la bambina sbottò, imbarazzata “Smettila! Lo sto chiedendo a te perché tutta la servitù si è chiusa in silenzio mormorante già da un paio di settimane e ogni volta che chiedevo il motivo di questo comportamento si sono limitati a guardarmi come stai facendo tu adesso…” “Come fai a non sapere che cosa accade ogni anno in questo giorno?!?” urlò l’altro, ancor più sbigottito “E’ il mio compleanno!”. Il viso della bambina si illuminò ed esclamò “Davvero?!? Allora tanti auguri! Sai che…” “Mi stai prendendo in giro?”. Lyrica fece un’espressione accigliata “Per una volta che…”.

Piccolo non le fece finire la frase. La prese per mano e la trascinò per una serie di corridoi fino ad arrivare nella sala riunioni dei demoni. Prima che il Grande Mago usurpasse con la forza la corona del Re Del Mondo doveva esser stato un magnifico teatro, ancor oggi i muri erano coperti di affreschi che rappresentavano creature fantastiche e drammi amorosi anche se ormai sbiaditi e un po’ scrostati dal tempo. Il tiranno aveva fatto demolire sia il palco che i balconcini, risparmiando alla distruzione solo quello designato ai reali, e aveva installato un megaschermo che ricopriva metà parete. La sala era immersa nel buio tranne per le due luci che erano ai lati del televisore. Gran parte dei servitori del King Castle avevano già preso posto sulle sedie insieme alle loro famiglie, che rimanevano a capo chino e con l’aria rassegnata mentre i nuovi arrivati venivano spinti malamente dai demoni del Re. Invece loro erano raggianti.

Piccolo la scortò fino all’unico balconcino, dove c’era un enorme trono d’oro con cuscini rossi, si sedette e la intimò a fare altrettanto. Ella fece come le era stato richiesto e, dovette ammettere, che la vista da là sopra non era affatto male. Fu un po’ contagiata dall’euforia del bambino e si mise a scrutare l’enorme sala. Cembalo, il grosso demone che assomigliava ad un drago, azzurrino e con un paio di corna, si era posizionato davanti alle porte da dove erano entrati i servitori, incrociando le braccia ed esprimendo chiaramente con la mimica del corpo che era inutile cercare di uscire. Tamburo, il demone obeso simile a Tamburello, sbranava senza troppe cerimonie un’enorme stinco oleoso che gli imbrattava le guance e le mani. La bimba fece un’espressione disgustata, che aumentò quando i suoi occhi si soffermarono appunto su Tamburello, il più infido dei mostri. Il demone stava molestando la ragazza che era venuta a chiamarla. La poveretta singhiozzava e cercava di allontanarsi ma lui la tratteneva per un braccio. La mano libera pizzicò prima le gote rosse e umide, poi scivolò lungo il collo fino ad arrivare al primo bottone del vestito. La giovane balbettò “La prego… No…” “Stai zitta!” ordinò lui, acido, e continuò con il suo operato. Stava per infilare la mano nel decolté quando fu colpito alla schiena da una tremenda scarica elettrica, così forte da fargli stridere i denti.

Mollò la ragazza, che ne approfittò per scappare, e si mise a cercare il colpevole con gli occhi iniettati di sangue. Se l’avesse trovato…

Piccolo stava trattenendo Lyrica per i polsi, mentre cercava di farla arretrare e risedere sul trono, e le sibilò in modo che nessun’altro sentisse “Ma sei pazza?!? Perché l’hai fatto?!?” “Lasciami!” gli sibilò l’altra, furiosa “Lo riduco in polvere quel…” “Fermati! Sta venendo qui…”. I due bambini si affrettarono a sistemarsi sul trono, appena in tempo prima che Tamburello arrivasse. “Vostra altezza, va tutto bene?” domandò il demone facendo un mezzo sorriso “La mocciosa vi sta creando problemi?” “Ti sembra che abbia bisogno d’aiuto per trattenere una mocciosa del genere?” si limitò a rispondere Piccolo, acido.

Tamburello si forzò a continuare a sorridere e annuì. Odiava con tutto il cuore quel marmocchio e avrebbe dato qualunque cosa pur di spiaccicargli la testa contro il muro ma, oltre ad essere il figlioletto prediletto del Re, il moccioso era cento volte più forte di lui. Un solo gesto di ammutinamento e lo avrebbe spazzato via dalla Terra con un solo gesto della mano.

Stava per andarsene quando notò che la mano del bambino stringeva ancora il polso della corvina. Piccolo se ne accorse e fece scivolare la mano su quella di lei e gliela strinse. Poi guardò malamente il mostro, come a ribattere sul gesto che aveva appena compiuto. Tamburello si inchinò ancora e se ne andò. Lyrica si sentì stranamente imbarazzata da quel gesto. Prima che ella dicesse qualcosa le due luci si spensero.

La sala rimase nel buio per pochi attimi, facendo azzittire il più piccolo borbottio, poi l’enorme schermo si accese. In diretta c’era il Grande Mago in persona, ripreso in primo piano, all’interno della sala del trono. Il Re rivolse un sorriso alla telecamera e disse “Come tutti sapete, oggi ricorriamo a due eventi importanti della storia…”. Si sedette sul trono e continuò “Il primo è il mio 300° anniversario della mia conquista del mondo”. Si sentirono degli applausi e la telecamera inquadrò rapidamente il resto della sala, ghermita di persone di ambo i sessi e di animali antropomorfi. “Ogni anno tutti i capi della mala e i più ricchi criminali vengono a onorare mio padre” spiegò il bambino con un sorriso a trentadue denti “Possono fare qualsiasi cosa desiderino purché rimangano fedeli al Re e contribuiscano a far rimanere i popoli sottomessi ai Daimao…”. Quando gli applausi furono finiti, il Re continuò “Ah! Ricordo con nostalgia il momento in cui presi la testa del sovrano precedente e glielo spappolai di fronte alla moglie e le urla di quella gallina quando, con la grazia di un vero cavaliere, la gettai dalla cima dell’area pilotaggio posta sul tetto…” “Si è dimenticato del –Dopo aver spezzato la sua virtù più volte-“ mormorò uno dei servi umani più anziani con ferocia ma venne azzittito da Cembalo. Il Re fece un sospiro nostalgico, poi si ricompose e aggiunse, con enfasi “E il secondo, quello più importante…”. Lì il suo sorriso divenne raggiante “E’ l’ottavo compleanno di mio figlio, il mio adorato erede e vostro futuro re! Se pensate che la vita sotto al mio dominio sia terribile aspettate che egli prenda il mio posto… La vostra vita diventerà un inferno!”. Dopo aver annunciato questo, e fatto ridere gli ospiti del castello, si diresse verso di lui Pianoforte. Egli gli porse con un inchino una scatola a forma di cubo con su stampato l’ideogramma dei Daimao e un foro rotondo sulla parte superiore. Il tiranno ci infilò dentro la mano e aggiunse “Vi ricordo, come ogni anno, che chiunque vorrebbe farmi fuori è benvenuto nel mio palazzo e che può tentare con ogni arma che gli venga in mente”. Tirò fuori la mano e mostrò il biglietto alla telecamera “E’ uscito il quartiere numero 16 della Città del Nord. Abitanti della zona, ora iniziate pure a scappare…”. Dopo aver pronunciato quelle parole i seguaci del Grande Mago che erano rimasti nel castello esultarono mentre tutti gli schiavi chinarono di nuovo le teste, alcuni piangendo ed altri trattenendo a stento la propria rabbia.

Piccolo seguiva ogni scena saltellando sul posto e prese Lyrica per un braccio, giubilante “Ora guarda di che cosa è capace di fare mio padre!”. E lei non distolse lo sguardo dallo schermo, né osò dire una sola parola mentre assisteva, impotente, alla follia del Grande Mago. La città fu rasa al solo dopo otto, interminabili, ore. La bambina era conscia dei poteri del sovrano, volendo egli poteva ridurre tutto in polvere in un solo battito di ciglia, eppure aveva preferito prolungare la loro agonia torturandoli sia fisicamente che psicologicamente. Ad un certo punto non riuscì a reggere più la visione. Scese dal trono e corse verso la porta “Dove stai andando?” le domandò Piccolo ma lei lo ignorò ed uscì fuori, sbattendo la porta.

Il sovrano ritornò al castello con aria molto soddisfatta. Anche quest’anno era riuscito a seminare terrore e disperazione tra gli umani e nessuno lo avrebbe fermato. La folla di criminali altolocati lo circondò, festante, Cembalo fece un profondo inchino e disse in tono adulante “Mio signore! Come ogni anno siete stato eccezionale…”. Il Re si compiacque degli elogi e fece gesti di apprezzamento rivolto ai suoi ospiti, che scandivano il suo nome. Poi i presenti fecero passare il figlio del sovrano. Piccolo gli corse incontro con un sorriso smagliante e gridò “Bentornato a casa padre! Siete stato fantastico quando quell’uomo vi ha aggredito con la pistola: ve l’ha puntata dritta sulla fronte e quando ha premuto il grilletto non solo siete riuscito a fermare quel proiettile con due sole dita ma lo avete utilizzato per ucciderlo!”. Il padre scoppiò a ridere e prese il bimbo in braccio, per farlo sedere sull’ampia spalla “Ah, ah, ah! Figlio mio! Ti prometto che dal prossimo anno verrai insieme a me a distruggere la zona!” “Sarebbe strepitoso!”. I criminali applaudirono.

Il tiranno ridacchiò ancora, poi i suoi occhi cercarono la bambina. Ella era in disparte, intenta a fissare un piccolo globo di vetro che aveva imparato a fare da un artigiano e che ogni tanto lo faceva roteare tra le dita, meglio di un giocoliere. Il Re le andò incontro e quando Lyrica sollevò lo sguardo dall’oggetto le ricordò “Non avevi detto che dalle tue parti era usanza inchinarsi davanti alla Morte?”. Lyrica alzò ulteriormente lo sguardo fino a incrociare gli occhi del Re e mormorò con voce calma e profonda “Ora lei gioisce nell’aver dimostrato al mondo il suo smisurato potere ma la sua fine è vicina: fra sette anni, a partire da oggi, un ragazzo con la coda scimmiesca e il cuore puro quanto questa sfera di vetro, la distruggerà e la Terra saprà finalmente che cosa significa la parola pace…”. Sia il Re che suo figlio guardarono Lyrica mentre la folla di criminali iniziò a borbottare sottovoce.

Il Grande Mago venne colto dalle risa “Ah, ah, ah! Questa piccola riesce ancora a rispondermi in modo impertinente, come al solito! Nessuno è in grado di sconfiggermi, tantomeno un miserabile ragazzino… Cembalo! Vieni qui!”. Appena vide il demone, ordinò “Rinchiudi questa mocciosa in prigione per una settimana, senza cibo né acqua”. Si rivolse di nuovo alla bambina “Oh… Consideralo un piccolo rimprovero per la tua lingua troppo lunga”. Il mostro fece come gli era stato ordinato e, quando furono arrivati alla cella, le strappò via dalle mani il globo di vetro “Questo me la prendo io…” e gliela sbriciolò davanti ai occhi prima di rinchiuderla dietro le sbarre. Quando quello se ne fu andato via Lyrica prese dalla tasca del vestito una piccola pietra blu e se la mise in bocca. Si sedette nella posizione del loto e rimase così per ore, in meditazione.

Arrivò la notte. Nel castello si stava ancora festeggiando. Lyrica era ancora in quella posizione quando sentì dei passi avvicinarsi. Senza far rumore si tolse la pietra dalla bocca e la nascose prima che Piccolo arrivasse davanti a lei, con una borraccia in mano. La bambina gli rivolse un sorrisetto tirato “Tola’at… Mi sembra un po’ tardi per le visite” “Nonostante tutto hai ancora il coraggio di fare la spiritosa?” ribatté lui avvicinandosi ulteriormente. Le porse la borraccia e le ordinò “Prendila” ma Lyrica scosse la testa “Non la voglio. Ora vai a festeggiare la morte di tante persone innocenti, quelle che tuo padre si è divertito a falciare come grano d’estate…”. Lui ringhiò, furioso “Sei soltanto un’ottusa e stupida ragazzina!”. Le porse di nuovo, con prepotenza, la borraccia “Prendi questa maledetta borraccia e non osare pensare che lo sto facendo perché sono mosso da insulsi sentimenti da femminuccia” “Allora perché sei qui a disobbedire agli ordini di tuo padre?”. Piccolo si irrigidì tutto e il sorriso di Lyrica divenne più ampio: aveva colpito nel segno. Il bambino ritirò il braccio e urlò tra i denti “Sei impossibile!” e, sbuffando, se ne stava per andare quando la bambina disse “Per quanto ti sforzi, non sarai mai crudele come il Grande Mago”. Piccolo le lanciò un’occhiata carica d’odio ma si voltò subito e se ne stava per ritornare nella sala del trono quando si fermò e le chiese “Tu… quando compi gli anni?”. Lyrica poggiò la testa sulle sbarre e mormorò “Oggi è anche il mio compleanno…”. Piccolo si voltò di scatto ma la bambina non gli prestò più attenzione.

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Capitolo 5
*** Il primo bacio di Lyrica ***


Dopo sette anni…

Lyrica era alla guida di un piccolo aeroplano rosso e si stava dirigendo verso Yahoi, un villaggio abbandonato cento anni fa a causa di una guerriglia, che si trovava molto lontano dalla Città Centrale. Il Re-Tiranno l’aveva incaricata di trovare, in quella terra, una Sfera del Drago, un incredibile monile dotato di poteri inimmaginabili. Aveva trovato qualche nozione su di esse in un antico tomo nella biblioteca reale, qualche giorno fa: “…In tutto queste prodigiose sfere ambrate sono sette, fatte di un materiale sconosciuto su questo mondo. Esse sono grandi quanto un pugno di un uomo e numerate con delle stelline rosse. Riunite tutte nello stesso punto e urlata la formula magica, apparirà un gigantesco drago serpentino chiamato Shenron, capace di far avverare qualsiasi desiderio…”.

La ragazza guardò il navigatore e virò leggermente verso ovest. Il Grande Mago, in quest’ultimi giorni, era diventato nervoso. Gli era giunto alle orecchie che nei precedenti tornei clandestini di arti marziali, quelli svolti sull’isola tropicale Papaya, uno dei pochissimi piaceri che concedeva al popolo, avevano partecipato guerrieri molto forti e capaci, in grado di utilizzare il loro Ki come faceva lui. Il suo timore era che tra di essi ci fosse qualcuno in grado di utilizzare la Mafuba, l’unica tecnica marziale che più di trecento anni fa lo aveva quasi sconfitto, decimando il grosso del suo esercito demoniaco. Ed ora, che era diventato così vecchio, quella tecnica poteva annientarlo. Aveva triplicato le ronde al castello, ingaggiato spie per tenere sotto controllo la popolazione dalle più grandi città fino al più piccolo dei villaggi ed aveva pensato personalmente a insegnare a suo figlio le VERE arti marziali e le arti magiche. Ora Piccolo aveva quasi quindici anni era diventato un ragazzo forte, intelligente e spietato come voleva suo padre, che gli abitanti del mondo potevano vederlo in azione quando si univa al padre per decimare le città scelte ogni 9 maggio.

Il Re divenne anche il maestro di Lyrica, per un po’. Non si poteva dire che si fosse affezionato alla fanciulla, ma aveva intravisto delle potenzialità in lei: con il suo addestramento speciale sul campo della magia, aveva risvegliato delle capacità strabilianti che l’avevano resa una temibile avversaria per chiunque, se ella avesse voluto e non fosse così devota alle tradizioni della sua sconosciuta patria. Però anche questo non lo rassicurò del tutto… Per sconfiggere la Mafuba doveva tornare giovane… doveva tornare ad essere invincibile.

Dopo due ore di volo Lyrica atterrò nei pressi del villaggio. Yahoi era quasi interamente inghiottita dalla natura: alcuni alberi erano cresciuti, indisturbati, anche all’interno di ciò che rimaneva delle case, le piante rampicanti avevano coperto i vialetti piastrellati e l’erba era cresciuta ed è diventata alta tra le fenditure delle strade. I sentieri non erano più piani a causa delle radici degli alberi e, tra le crepe formate dalle piogge, erano sbocciati denti di leone e soffioni. I raggi del sole filtravano attraverso le fronde e tutto l’insieme faceva ricordare alla ragazza un paesaggio fatato. Si sedette sopra al cornicione di un pozzo e tirò fuori dalla sua borsa da viaggio una serie di mappe che iniziò a studiare con perizia. Se la Sfera del Drago si trovava qui da quando questo posto era abitato, poteva iniziare le ricerche nei ruderi delle case. Tirò fuori un pennarello rosso dalla tasca della borsa e segnò tutte le abitazioni con un cerchio. Per sua fortuna, Yahoi era un villaggio piccolissimo, formato da una cinquantina di edifici in tutto mentre il resto era un’infinita foresta naturale già esistente quando fu fondato. Alzò lo sguardo dalle carte e lo indugiò sulla distesa d’alberi. Rabbrividì al pensiero che il monile potesse trovarsi infognato lì, ancora non era del tutto pratica nel comunicare con la natura. Al primo pomeriggio, dopo essersi riposata dal lungo volo, si mise all’opera. Varcò la prima soglia e sentì che la fortuna era dalla sua parte…

Dopo tre ore… “Stront!” Lyrica stava lanciando una serie di imprecazioni nella sua lingua madre “Tso’a!”. Si lasciò cadere a terra, esausta sia dall’infruttuosa ricerca che dalla sfuriata, e tirò un sospiro d’esasperazione. Odiava dover servire i Daimao, erano dei mostri senza cuore che uccidevano le persone per puro divertimento, facendo vivere nel terrore i sopravvissuti e le spremevano come limoni nei lavori finché non morivano di fatica. Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Non c’era momento che non pensasse ad un modo per tornare a casa… Scosse la testa, afflitta. Il Re avrebbe fatto di tutto per rintracciarla, compreso far del male a tutti i servitori del castello che l’avevano accolta tra loro come una di famiglia. E, anche se fosse riuscita a sconfiggere i tre demoni guerrieri, aveva pochissime possibilità contro Piccolo e nessuna contro il Grande Mago. Alla fine non era altro che una bambolina nelle loro mani. Una voce le domandò “Ehi, stai bene?”.

La giovane aprì gli occhi, scattò a sedersi e fece un sussulto quando vide chi era a rivolgerle la parola. C’era un ragazzo al suo fianco, più o meno della sua età, dai folti capelli neri così spettinati che le ricordava le fronde di una palma, vestito solo con una pelliccia di tigre gialla che gli avvolgeva i fianchi. Così conciato le ricordava parecchio Peter Pan. Lyrica notò che l’insolito ragazzo, oltre ad avere un bastone legato dietro alla schiena e un sacchetto legato attorno alla vita, aveva una lunga coda scimmiesca dal pelo castano, che si muoveva a destra e a sinistra, irrequieta. D’improvviso si ricordò della profezia che aveva visto nel suo piccolo globo di cristallo, sette anni fa. Era…

Lui si accovacciò in modo che i loro visi fossero alla stessa altezza e borbottò “Hai l’aria di una che ha visto un fantasma…” “No! E’ solo che… ecco…”. La ragazza si morse il labbro inferiore ammutolì. L’antica legge magica le vietava di proferire presagi futuristici ai fautori di tale destino. Il ragazzo inarcò un sopracciglio e la guardò perplesso ma lei fu rapida a cambiare argomento “Pensavo che fosse disabitato…” “Ah! Ma io non sono di queste parti!” esclamò lui con una smorfia “Abito vicino alla cima del monte Paoz. Sono qui solo per allenarmi…” “Allenarti?”. Il giovane annuì, sorridendo “Fra cinque giorni parteciperò al torneo clandestino dell’isola di Papaya”. Le tese una mano e si presentò “Mi chiamo Son Goku”.

Le ore che seguirono furono stranamente piacevoli per entrambi, che si ritrovarono a parlare del più e del meno. La ragazza omise di essere al servizio del Re, casomai si scoprisse che Goku apparteneva a qualche gruppo ribelle, dicendo di essere una semplice ricercatrice di piante curative, che operava in segreto per non destare i sospetti dei demoni. Tuttavia, il ragazzo si sentiva attratto da Lyrica anche se non riusciva a capirne il motivo. Durante le sue avventure era stato a contatto con splendide donne tra cui una dispotica ma geniale turchina di nome Bulma e l’imprevedibile ladra dalla doppia personalità che si chiamava Lunch, eppure nessuna di loro era riuscito ad incantarlo come ci riusciva lei.

Goku le raccontò del bellissimo panorama che si vedeva da casa sua, delle avventure vissute con Bulma, di Yancha e Pual, del suo maestro di arti marziali Muten, del suo migliore amico Crilin ed, infine, del famigerato Red Ribbon. Lyrica lo ascoltava affascinata. Conosceva la spietatezza di quell’esercito, lo stesso generale Red era uno degli assidui ospiti del castello, e lui aveva sconfitto centinaia di uomini preparati alla guerra… da solo?!? Ora capiva perché l’uomo non veniva più a far visita al Grande Mago…

Senza che se ne rendessero conto arrivò il tramonto. Lo stomaco del ragazzo iniziò a gorgogliare “Urca, che fame!” “Ho lasciato la mia borsa con delle provviste dentro ai resti di quel negozio…” disse lei indicando il punto “Potremo mangiare insieme”. Di solito Lyrica non invitava a mangiare insieme a lei persone che conosceva da poco ma, con lui, non riuscì a farne a meno. Il ragazzo sorrise e disse “Per me va bene. Però ti devo avvisare che mangio tantissimo…”. Mentre Goku stava andando a recuperarle la borsa, Lyrica iniziò ad andare avanti e indietro, agitata “Cosa mi è saltato in mente? Perché l’ho invitato? Poi, offrirgli una cena a base di panini… che figuraccia!”. Nel suo andirivieni la ragazza inciampò su una radice d’albero. Ella cadde con un tonfo e imprecò, voltandosi a guardarla. Quasi non credete ai suoi occhi: tra le spire della radice c’era una Sfera del Drago! Velocemente, la prese e la mise nella tasca della giacca prima che lui ritornasse.

Mangiarono in silenzio, lei dei piccoli tramezzini e lui un intero stegosauro che aveva catturato una decina di minuti fa. Sotto a quell’occhiata sbigottita, il giovane borbottò “Te l’avevo detto che mangio tantissimo…” per poi mettersi a ridere, seguito dalla ragazza. Dopo cena parlarono ancora un po’ finché Lyrica fece un sospiro “Meglio che vada a dormire… Domani devo fare un lungo volo…”. Lui annuì, pensieroso, poi arrossì e domandò “P- Perché non vieni a vedere il torneo? Ti farei conoscere Muten, Crilin e tutti gli altri!”. La ragazza arrossì a sua volta “Wow... m-mi piacerebbe tantissimo…”. Goku sorrise, soddisfatto “A quel giorno allora…”.

Stava per inoltrarsi nel folto della foresta quando egli tornò indietro e le diede un bacio sulle labbra. Fu dolce, casto, quasi a stampo. Quando i due si separarono il loro viso era in fiamme. Lei lo osservò mentre si allontanava arrampicandosi come una scimmia sugli alberi, e , per la prima volta nella sua vita, Lyrica si lasciò trasportare in fantasie amorose tipiche di una adolescente.

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Capitolo 6
*** Salvata ***


Quando Lyrica tornò al King Castle, incrociò uno dei demoni al servizio del Re, Tamburello, che la stava aspettando all’ingresso principale dell’edificio. Da un po’ di tempo quell’infido e ripugnante mostro verde le stava riservando delle attenzioni che non le piacevano. “Bentornata Lyrica… Ti stavamo aspettando… con molta impazienza…”. Lei decise di ignorarlo. Entrò dentro al castello e si diresse a passo spedito verso la sala del trono, seguita dal demone “Mmh… Sei proprio carina vestita così…” continuò lui, imperterrito. Ispirò e aggiunse in tono lascivo “Ed hai anche un buon odore…”. La ragazza alzò gli occhi al cielo ed affrettò il passo. Ora che aveva quasi quattordici anni il suo corpo si era modellato in armoniose forme, che la maggior parte delle serve della sua età le invidiavano. I vestiti che aveva messo poi, anche se casual, lo facevano risaltare di più: la maglietta bianca le stava aderente ed aveva uno scollo a vi che lasciava intravedere un po’ di seno mentre i pantaloncini di jeans blu facevano mostra delle gambe lunghe e agili ed risaltavano il fondoschiena. La giacca, anch’essa in jeans, davano una forma armoniosa alle ampie spalle. Un vestiario insolito da parte sua, avendo la preferenza ad indossare tonache asiatiche e ad andare completamente scalza ma aveva preferito indossare questa mise nel caso doveva confondersi con qualche cittadino.

Il mostro, dietro di lei, si leccò in modo osceno le labbra carnose e allungò una mano per afferrarle il sedere ma Lyrica si voltò e lo colpì con un pugno dritto allo stomaco. Tamburello si piegò in due dal dolore. “Non provarci più se ci tieni alla tua pelle squamosa” lo avvertì la ragazza, glaciale. Lo piantò in asso e proseguì il suo cammino.

Trovò il Grande Mago seduto sul seggio reale, con aria assorta, insieme a suo figlio e a quel strano ometto simile ad uno gnomo dalla pelle azzurrina, accompagnato da una ragazza dai capelli neri e da una volpe umanoide. Se ricordava bene, il suo nome era Pilaf. Quello strano trio si era presentato al Re circa sei mesi fa, portando un mappamondo elettronico in grado di localizzare l’energia delle sfere. In cambio del loro aiuto il Grande Mago gli aveva promesso immensi tesori e un terzo del mondo. Quando la giovane l’aveva sentito aveva inarcato un sopracciglio. Sicuramente lo aveva detto solo per avere i loro servigi senza troppe storie ma appena avrebbe avuto ciò che voleva… Beh, sarebbero già molto fortunati se sarebbero rimasti vivi.

La ragazza andò dal sovrano e gli disse “Ho trovato la sfera…” e gliela porse. Ma il Grande Mago non parve soddisfatto “Pilaf dice che a Yahoi si trovavano DUE sfere… Dov’è l’altra?” “Come?!” esclamò lei, sorpresa “Prima di partire mi era stato riferito di una sfera sola! Non è possibile che ce ne fosse un’altra! Ho setacciato tutto il villaggio e la foresta!”. Piccolo, che fino a quel momento stava fissando il radar con aria assente, si voltò verso di lei e la guardò dritto negli occhi. La ragazza sostenne il suo sguardo senza remora. Sapeva cosa stava tentando di fare: cercava di leggerle la mente. Ella erse uno scudo mentale, non le piaceva quando Piccolo cercava di carpirle informazioni in questo modo. Dopo un attimo di silenzio, il giovane borbottò “Potrebbe esser arrivata lì in un secondo momento, magari trasportata da qualche pterodattilo attratto dalla sua lucentezza oppure è arrivato un altro viaggiatore…”.

Alla parola –Viaggiatore- lo scudo mentale di Lyrica vacillò un po’ “N-Non ho i-incontrato nessuno!” balbettò lei spiccia e arrossendo un pochino. Gli occhi scuri del giovane demone si assottigliarono, sospettosi. Vedendo la sua espressione la ragazza aggiunse con un borbottio “E dubito fortemente che i pterodattili sia attratti da simili oggetti…”. Poi diede un’occhiata in tralice al radar di Pilaf e borbottò “Forse è quell’affare a non funzionare bene…” “Fandonie!” replicò il nano blu abbracciando il globo elettronico “Non c’e niente di più preciso del mio…” li si interruppe. Il suo amato radar fece vedere sulla sua superficie un sacco di puntini luminosi, che lampeggiavano ovunque. La ragazza socchiuse gli occhi d’oro e sibilò in modo ironico “Ma le sfere non sono solo sette?”. Il Grande Mago batté un pugno sul bracciolo del trono e ringhiò, rivolto a Pilaf “Riparate subito quell’affare!”. Quelli lo spensero e lo portarono via, terrorizzati. “Se non avete altro da ordinarmi, mi ritiro…” disse la ragazza rivolta al Re, che rispose con un distratto “Si, vai…”. Il tiranno ammirò la sfera da tutti i lati, girandosela tra le lunghe dita, e mormorò “Magnifica…”.

Lyrica uscì dalla sala del trono e si diresse verso la torre est, dove si trovavano le sue stanze. Per sua fortuna il Re era talmente preso dalle sue fantasie che non si era minimamente accorto che aveva rilasciato una scossa elettrica per far impazzire il radar. L’unico che poteva causarle problemi e sospettare qualcosa era il figlio, che non avrebbe tardato a porle domande su domande, anche a costo di strapparle dalla mente, finché non avesse ceduto. Stava per aprire la porta della sua camera quando Tamburello sbucò all’improvviso alle sue spalle e riuscì a bloccarle le braccia prima che lei potesse reagire. La sbatté contro ingresso della stanza e le sussurrò all’orecchio “Prima non sei stata molto gentile con me…”. Con la mano libera cercò di strapparle i pantaloni ma Lyrica continuava a tirargli calci e tentò di scrollarselo di dosso. Tamburello allora le prese la testa e la fece sbattere contro il legno massiccio della porta, provocando una crepatura sulla superficie liscia e un taglio su un sopracciglio, ridendo malignamente quando vide il sangue fuoriuscire. La ragazza urlò furiosa “Lasciami andare schifoso bastardo!” e si dimenò con più foga. Sentì la lunghissima e viscida lingua del demone, lavarle via il sangue sulla tempia e scendere fino alla linea del collo, rilasciando un filo di saliva come una lumaca… Una delle mani riuscire ad rompere il bottone e la cerniera ed a insinuarsi tra le sue… La schiena venne ustionata da un raggio d’energia, che polverizzò sia il retro della giacca che della maglietta e colpì il demone in pieno, scagliandolo contro una parete con una tale forza che si sentì la pietra creparsi.

Lyrica si voltò, dolorante e lacrimando, e vide Piccolo, poco lontano, furioso. Il servo si accorse di lui, si inginocchiò in fretta e pigolò “Mio signore! Non è come voi pensate: questa piccola puttana mi ha sedotto e non sono riuscito a resisterle…” “Stai zitto!” urlò il ragazzo, interrompendolo “Non credere che sia così scemo! Ho visto tutto!”. Tamburello si inchinò ancora di più, portando le mani giunte sulla testa e supplicò con un pigolio “Pietà! La prego!”. L’altro emise un sibilo, facendo un’espressione disgustata “Vattene immediatamente e se provi a toccare la MIA schiava ancora una volta farò si che la tua morte sia lenta e dolorosa!”. Il mostro non se lo fece ripetere due volte.

Appena quello ebbe voltato l’angolo, Piccolo si girò verso Lyrica “Sono lacrime quelle che vedo agli angoli dei tuoi occhi?” “Fanculo” sbottò l’altra con voce flebile. Si tirò su a fatica e si pulì la faccia alla ben che meglio con il palmo della mano. Poi si trascinò all’interno della stanza. Il ragazzo, senza pensarci troppo, la seguì. Non era la prima volta che entrava nelle sue stanze ma ancora riusciva a stupirsi di trovarla così caotica. Il muro delle pareti non si vedeva, ricoperte quasi fino al soffitto da una grossa libreria e da una moltitudine di mappe celesti, schizzi di navicelle e appunti scritti in una lingua che non conosceva. La libreria aveva incorporata una scrivania con su ampolle piene di liquidi colorati, erbe di vario genere che rilasciavano un forte odore, un calderone con un fornelletto ad olio alla base e un mortaio con il pestello. Le quattro mensole erano piene di sacchetti di velluto pieni di pietre di vario tipo, altri libri e nastri di stoffa colorata. Nella stanza c’era anche una cassettiera e uno specchio, resi quasi invisibili da tutte le bottiglie di vetro colorato di diversa grandezza, che contenevano un altro vasto assortimento di liquidi, radici, sassolini e sali colorati. Il letto era a due piazze, disfatto, come se la sua proprietaria si fosse alzata solo cinque minuti fa.

La ragazza si diresse verso la scrivania, prese il mortaio di legno e alcune bottigliette dalla specchiera. Poi si voltò verso Piccolo e, vedendo la sua faccia, chiese “Che ti prende?” “Pulisci qualche volta qui dentro?!? Ci saranno almeno due centimetri di polvere, per non parlare del pavimento che è una crosta unica di roba che potrebbe essere radioattiva!” “Ehi! Non mi sembra che ti abbia detto che potevi accomodarti!”. I due fecero all’unisono versi di esasperazione, poi si azzittirono e ognuno guardò da una parte. Mentre Lyrica cincischiava con le boccette e il mortaio, Piccolo diede un’occhiata alla schiena “Sembra che la ferita sia seria… Dovresti andare in infermeria…”. Lei non rispose e continuò a mescere gli elementi che aveva preso finché non divennero una crema color perla dal forte odore di menta. Ne prese un dito, lo spalmò sul sopracciglio ferito, poi ne prese tre e le spalmò sui tagli sul fianco che le avevano procurate le unghie del demone alato quando era stato catapultato via, poggiò le ginocchia sul letto e porse il mortaio a Piccolo “Potresti aiutarmi a spalmarmela sulla schiena?” “Cosa?!?” “Questa poltiglia non sarà più efficace se aspetto troppo”. Lyrica si mise a pancia in giù, facendo molta attenzione a non rovesciare la crema e voltando la testa per non far togliere quella applicata sulla fronte, scostò i capelli e attese “Se devi stare nella mia stanza almeno fa qualcosa di utile…” “Maledetta serpe…” ringhiò il ragazzo, ma si avvicinò comunque e studiò il composto “Cos’è?” “E’ una crema in grado di far accelerare il processo di guarigione delle piastrine in modo che una ferita come la mia si rimargini in breve tempo… Però diventa una specie di silicone se rimane ad asciugare per cui vorrei che ti sbrigassi a mettermela…” “Sta zitta, stronza ingrata!”.

Piccolo le spalmò la crema con la grazia di un bisonte, tanto che lei squittì dal dolore diverse volte. Quando il mortaio fu vuoto, il giovane si alzò a rimirare il suo operato, poi sbuffò “Finito!” “Meno male! Mi stupisco che il buco sulla schiena non sia diventato una voragine!” “Ma va all’inferno!”. Il giovane scattò verso l’uscita, irritato. Ma appena sfiorò con la punta delle dita la maniglia della porta, udì la ragazza sussurrare “Grazie…”. Era molto flebile, quasi uno sbatter d’ali di farfalla, ma lui la sentì ugualmente come se glielo avesse detto a pochi centimetri dall’orecchio. Si voltò con un sorrisetto sulle labbra, pronto a prenderla in giro, ma ciò che vide gli fece passare la voglia. Il corpo di Lyrica aveva preso a tremare e grosse lacrime le irrigavano il viso come una cascata. La ragazza si abbracciò le gambe e poggiò la fronte sulle ginocchia ed emise un paio di singulti. Piccolo non sapeva che fare.

In quel momento entrò una delle lavandaie, una donna di mezz’età dall’aspetto giunonico e antropomorfo di una pecora, che aveva legato molto con Lyrica “Lily, cara? Sono riuscita ad rattoppare…”. Emise uno squittio quando vide il giovane demone e si stava rapidamente allontanando quando lui la prese per un braccio e la spinse in malo modo all’interno della stanza, uscendo a sua volta, ma la serva poté giurare di aver sentito la parola “Consolala”.

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Capitolo 7
*** Goku entra nel King Castle ***


“Maledizione! Piccolo non poteva trovare un altro modo per togliermi dalle grinfie di Tamburello?” si stava chiedendo Lyrica mentre si studiava la ferita attraverso uno specchio. La pelle si era rimarginata quasi del tutto ma le sarebbe rimasta una grossa cicatrice, che le copriva entrambe le scapole ed aveva la forma di un paio di ali da angelo. Era rimasta senza parole quando l’aveva vista. Era così ironico… Così sembrava un angelo in mezzo ai demoni. Però, nonostante sentisse ancora la pelle bruciare ad ogni tocco, si ritrovò a sorridere: il ragazzo era stato brutale ma l’aveva comunque salvata, per la seconda volta. Fece un sospiro, si avvolse la schiena con delle bende pulite e si rimise la maglietta.

I cinque giorni erano passati in un lampo, per lei, e si stava preparando per il fatidico incontro con Goku nell’isola Papaya. Forse un po’ di trucco non sarebbe guastato… Mise un filo di rossetto e un leggero fondotinta. Mentre si stava mettendo un po’ di mascara sulle ciglia, Piccolo fece irruzione nella sua camera. Per poco la stanghetta del trucco non le andò nell’occhio, talmente che l’aveva colta di sorpresa. “Non si usa più bussare?!?” urlò ella, stizzita “Che diavolo ci fai qui?”. Lui rimase per un attimo fermo sulla soglia con un’espressione strana sul viso, come se fosse oltraggiato dalle sue parole (Lui era il principe! Per lui non esistevano porte chiuse!) ma allo stesso tempo si sentisse a disagio in sua presenza. Lyrica inarcò un sopracciglio “Allora?”. Piccolo socchiuse gli occhi, accigliato, e poi grugnì “Gli ordini di mio padre sono cambiati: devi dirigerti nella grande capitale della Città dell’Est e recuperare dei documenti che riguardano il Clan Pigeon e dei loro traffici. Dovrai modificare il loro contenuto affinché non risultano coinvolti nella faida dei Meow…” “Che cosa?!?” esclamò Lyrica, incredula. Si avvicinò al giovane e protestò vivacemente “Non può cambiare idea all’ultimo minuto! Mi sono fatta un culo così per riuscire a raccogliere tutte le informazioni sugli atleti del Torneo…” “Ora la situazione è cambiata” disse l’altro, molto infastidito dal linguaggio della coetanea “Mio padre non vuole più rimanere a guardare… Ha deciso di estirpare anche la più piccola minaccia della Mafuba, farà uccidere tutti gli esseri viventi che hanno superato il livello umano e che sanno usare il proprio Ki a piacimento. Ha passato quest’incarico a Tamburello, sarà lui ad andare all’isola…” “Ma… è una follia!”. Piccolo le rivolse le spalle e, prima di varcare la soglia, le ringhiò “Ora sbrigati a raggiungere la Città dell’Est e togliti quella merda dalla faccia! Non voglio che il Boss del clan scambi un nostro emissario per una volgare prostituta!”.

Dopo qualche ora… Lyrica era ritornata al King Castle. Aveva completato la missione con facilità e con successo ed era riuscita anche a stipulare un accordo con il Clan Meow. Un patto che avrebbe fatto piacere al Grande Mago. Stava per entrare nella sala del trono quando sentì attraverso il legno delle porte delle flebili voci. Cautamente, la ragazza girò la maniglia ed aprì uno spiraglio, in modo da poter vedere Tamburello e il tiranno senza che essi si accorgessero della sua presenza. Il mostro sfoggiava un sorriso a trentadue denti mentre, inchinato al cospetto del suo creatore, raccontava “Ho eliminato già dodici guerrieri ed ho recuperato questa al Torneo dell’isola…”. Mostrò una Sfera del Drago e la porse davanti a sé. Il Re prese il monile dalle sue mani squamose, compiaciuto e piacevolmente sorpreso. Una serie di sussulti le fecero capire che i due non erano da soli. Infatti quell’ometto, Pilaf, aveva notato uno dei documenti in mano al demone alato e aveva balbettato qualcosa di troppo flebile per riuscire a capire. “Ah! Questo ragazzo… Son Goku” mormorò il mostro. Si sentì il rumore della carta che si strappava “Di lui non ci dobbiamo preoccupare: l’ho già fatto fuori…”.

La ragazza si mise una mano sulla bocca e cercò di soffocare un grido ma dalle sue labbra riuscì a sfuggirle un suono. “Chi è là?” gracchiò il sovrano, puntando gli occhi alla porta. Ormai la ragazza era stata scoperta, così fece un respiro profondo ed entrò nell’enorme stanza. “Lyrica…” borbottò giulivo il Grande Mago “Non si origlia alla porta…” “Stavo solo aspettando il momento giusto per farle il mio rapporto” ribatté lei, spiccia. Il sovrano scosse la testa, divertito, ma la fece comunque avvicinare “Ahi, bimba mia… Non imparerai mai la lezione?”.

Infine arrivò quel fatidico giorno, quello che Lyrica aveva predetto sette anni fa. Piccolo si stava sistemando il mantello sulle spalle facendo sì che la stoffa coprisse alla perfezione le spalline ampie e, allo stesso tempo, cadesse senza pieghe o risvolti indesiderati. I suoi pensieri, però, erano altrove. Sia Tamburello che Cembalo avevano incontrato la morte per mano di quello strano ragazzo con la coda scimmiesca, portando gioia tra il popolo e, per la prima volta dopo centinaia di anni, suscitando della paura a suo padre. Si infilò il turbante e si guardò nell’enorme specchio che aveva sulla parete. Si diceva che quel straordinario ragazzo fosse a sua volta morto per mano del sovrano ma… c’era qualcosa che lo rendeva particolarmente ansioso al riguardo. Non dubitava della forza del genitore, non ne aveva mai dubitato in precedenza quando era ancora anziano e mai lo avrebbe fatto ora che aveva recuperato la sua gioventù, ma… Qualcuno bussò alla porta. Il ragazzo distolse lo sguardo dalla superficie riflettente e borbottò un secco “Avanti”. Un servitore anziano fece il suo ingresso nella stanza, a testa china, e disse “Mio signore… Vostro padre vi attende nella sala del trono…” “Lo raggiungerò subito, vai alla sala cinematografica con il resto della servitù…” “Sissignore”.

Lyrica si stava spostando verso la sala cinematografica insieme a Shift ed a una bimba di quattro anni di nome Murine. Fuori era accaduto qualcosa, la servitù era entusiasta e tra le ragazze più giovani scoppiavano gridolini eccitati “E’ anche carino!”. La ragazza si voltò verso il diciassettenne e domandò “Allora è vero? Qualcuno è riuscito ad entrare nel castello?” “Si” rispose l’altro, eccitato e con gli occhi che brillavano “Credevamo che fosse morto ma…”. Giunsero davanti al televisore acceso, insieme agli altri servi, e… Goku era là, in mezzo al cortile, e guardava in cagnesco il Re e Piccolo. La voce che un ragazzo con la coda aveva messo alle strette il terribile sovrano e sconfitto i mostri della Famiglia Demoniaca si era sparsa per il King Castle come una macchia d’olio. Alcuni avevano mille progetti nella testa e sapevano già dove se ne sarebbero andati appena la tirannia fosse finita. Alla ragazza non rimaneva altro che osservare… Non sarebbe stato facile per Goku riaffrontare il Grande Mago. Adesso che egli era ritornato giovane, la sua forza era aumentata. In più, al suo fianco, c’era anche Piccolo. Il giovane di quindici anni era molto bravo nell’arte della guerra ed aveva lo stesso potenziale del padre. Due nemici così potenti… e lui li doveva affrontare da solo!

“Lyrica, che ti prende? C’è qualcosa che non va?” domandò il ragazzo, preoccupato. Lei gli sorrise, rassicurante “Non è nulla…” sussurrò. Poi ritornò a guardare lo schermo.

Qualche minuto fa… Goku si guardò intorno. Era riuscito ad entrare nel giardino del King Castle senza troppe difficoltà. Sapeva che Tensing lo aveva preceduto, credendo che lui fosse morto dopo il duello che aveva avuto con il Grande Mago e sapeva che il diciannovenne si era esercitato parecchio per poter utilizzare l’unica tecnica che il sovrano temesse: la Mafuba. “Non potrà mai farcela da solo…” pensò Goku mentre raggiungeva di soppiatto la torre ovest “Oltre ad essere un guerriero terribile, il Re è accompagnato dal figlio, che lo eguaglia sia nelle arti marziali che nel possedere un’anima contorta…”. Arrivato presto al cortile tutti i suoi dubbi furono fondati: Tensing era steso a terra, ferito gravemente, e c’era l’ultimo dei loro mostri che stava per dargli il colpo di grazia. Strinse le sue mani a pugno e ringhiò “Non posso permetterglielo... Non lascerò morire un altro mio amico”. Si lanciò alla carica e con un calcio spedì Tamburo cinque metri più lontano dal triclope. I due demoni erano stupiti e lo stesso valeva per Tensing, che balbettò verso il moro “G– Goku! Non c-ci posso credere… ma t–tu sei…” “Sapevo che ti avrei trovato qui…” disse l’altro, sorridendogli. Piccolo osservava il nuovo arrivato. Aveva un’energia incredibilmente forte, molto diversa da quella che aveva qualche giorno fa. Studiò attentamente il ragazzo fino a vedere la lunga coda, che si agitava, nervosa. Allora si ricordò. Si voltò a guardare verso il palazzo “Perché mi vengono in mente proprio ora le sue parole?” pensò agitandosi. Si avvicinò di più al padre e gli bisbigliò in un’altra lingua “Padre… Credo che questo sia il ragazzo di cui parlava Lyrica sette anni fa… quello della profezia”. Il Grande Mago gli diede una rapida occhiata e scrollò le spalle “Non credevo che ti facessi intimidire da stupide superstizioni e da quattro parole buttate al vento da una smorfiosa…” lo schernì il genitore. Poi si rivolse al suo servo e ringhiò “Tamburo! Sai cosa fare… Uccidilo” “Con immenso piacere” rispose il mostro. Si avvicinò a Goku con una velocità portentosa ma il ragazzo non solo non si fece prendere dalla paura, ma con un solo e terribile calcio spappolò la testa del demone. Poi si voltò verso il tiranno e suo figlio. Gli occhi riflettevano il suo animo assetato di giustizia. Piccolo digrignò i denti, sconcertato. Il Grande Mago, invece, sorrise “Credi davvero che riuscirai a sconfiggerci? Ah, ah, ah! Ci basteranno cinque secondi per farti fuori!”. Goku strinse i pugni e ringhiò “Voi mi avete portato via il mio maestro e il mio migliore amico”. Si mise in posa da combattimento “Non vi perdonerò mai!”.

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Capitolo 8
*** Il sapore della libertà ***


Iniziò lo scontro. Sia il Grande Mago che Piccolo avevano serie difficoltà a tener testa al ragazzo: era incredibile di quanta forza racchiudeva quel corpo minuscolo. Tensing guardava il suo amico senza parole: da quando loro due si erano affrontati al Torneo, Goku era diventato potentissimo! Intanto nella sala delle riunioni del Castello si sentivano urla di gioia e di incitamento. Gli schiavi non perdevano di vista neanche per un solo attimo l’arduo combattimento tra i due demoni e il giovane ragazzo. La loro speranza aumentava di minuto in minuto.

Al vertice del combattimento, però, Lyrica fu presa da una strana e soffocante inquietudine. Si mise una mano sul petto e sentì il cuore batterle velocemente. Ritornò a guardare la televisione e allora capì: mentre Piccolo e Goku erano presi in uno scontro corpo a corpo sulla terra, il Grande Mago stava galleggiando in aria. Stava accumulando molta energia e si stava circondando di una tenue luce rossastra. La ragazza mormorò, inorridita “Oh, no…”. Poi si mise ad urlare “Dobbiamo uscire di qui… subito!”. I servi non la sentirono. Erano troppo presi dallo scontro tra i due adolescenti e ignoravano completamente il Re. Poi urlavano così forte da soffocare le sue parole, come se le stesse gridando contro una tempesta di sabbia. Esasperata, Lyrica scosse violentemente il braccio di Shift, che le stava accanto, finché non ebbe a sua attenzione. “Shift” gridò lei per sovrastare le voci degli altri “Il Grande Mago sta accumulando un’incredibile energia: se la sparerà distruggerà l’intero castello! Dobbiamo andarcene via, subito!”. Il ragazzo la guardò scioccato per qualche secondo, poi lentamente annuì e iniziò a riferire alle persone al suo fianco ciò che gli aveva detto Lyrica.

Le mura del palazzo iniziarono a tremare e le luci saltarono insieme alla televisione. Presto ci fu il panico “Maledizione!” urlò la ragazza “E’ troppo tardi! Sta per rilasciare l’energia!”. Murine si strinse alle gambe della giovane e pianse “Sorellona! Ho tanta paura!”. Lyrica si chinò e abbracciò la bambina, che le circondò le braccia attorno al collo, stringendo al petto il suo coniglietto di peluche. All’improvviso la ragazza ebbe un’idea “Ascoltatemi!” gridò rivolta alla folla “Ora dovete radunarvi tutti intorno a me e stringetevi l’uno contro l’altro!”. Vedendo che erano titubanti aggiunse “Se non volete morire fate ciò che vi ho detto!”. Il soffitto iniziò a creparsi e le scosse si fecero più violente. “Sbrigatevi! Non abbiamo più molto tempo!”. Allora tutti le si radunarono intorno e si strinsero come aveva detto, formando una cupola di persone. Intanto Lyrica si concentrò intensamente, con gli occhi chiusi. “Spero che sia abbastanza resistente…”. Il soffitto crollò insieme alle mura e in pochi attimi, sia il castello che la Città Centrale furono spazzate via dal raggio di energia del Grande Mago.

Piccolo fece appena in tempo a librarsi in aria quando suo padre rilasciò quella terribile energia distruttiva. Deglutì. Pur di sconfiggere quel fastidioso ragazzino, l’uomo era arrivato fino a questo punto. Si guardò attorno. Ora, al posto di un palazzo imponente e di una florida città, c’era un deserto composto da detriti e terra bruciata. Doveva essere tutto finito adesso… nessuno poteva sopravvivere a un colpo simile. Fu percosso dai brividi. I suoi occhi si fermarono su una chiazza scura, dove prima c’era il castello. “Lyrica” pensò subito “Dov’è finita quella stupida? Non sarà rimasta nel…” e lì i suoi pensieri si bloccarono di colpo: l’ultima volta che l’aveva vista era nel palazzo! Sentì qualcosa rompersi dentro di lui. Un dolore sordo ma allo stesso tempo così acuto che lo costrinse a planare verso terra e mettersi in ginocchio. Che cos’era questo dolore così intenso? Che il nanerottolo lo avesse colpito al petto e gli avesse danneggiato qualche organo vitale? Iniziò ad ansimare ed allo stesso tempo gli venne da vomitare.

Il Grande Mago, vedendo le condizioni del figlio, gli si avvicinò e chiese preoccupato “Che ti prende, Junior?”. Gli posò una mano sulla schiena “Quel bastardo ti ha ferito?” “Ehi, io sono quassù!” urlò una voce dall’alto. I due demoni alzarono lo sguardo. Goku, sorretto da Tensing, stavano galleggiando a mezz’aria. “Non è possibile!” urlò il sovrano, per la prima volta nella sua vita impaurito “Quel ragazzino è un mostro!”. Piccolo non era sorpreso dalla sua incredibile fortuna e, stranamente, sembrava non importargli nulla. I due tornarono a terra. Tensing si accasciò al suolo subito dopo: aveva utilizzato le sue ultime energie per prendere l’amico e volare velocemente in alto, al sicuro. “Continuiamo lo scontro!” disse Goku cercando di tenersi in equilibrio su una gamba sola. All’improvviso una fortissima luce verde acqua pulsò dal terreno.

I combattenti si fermarono e fissarono lo strano evento incapaci di capirne la natura. La terra bruciata iniziò a spaccarsi e ne uscì un enorme globo semitrasparente. All’interno c’era Lyrica con tutti gli schiavi del castello. La ragazza spostò la grandissima sfera in modo che tutti fossero fuori e poi, chiudendo le mani e ritirando le braccia, la fece sparire. Era calato un lungo momento di silenzio prima che Goku si accorgesse di lei ed esclamasse con stupore “Lyrica!”. Piccolo si voltò a guardare il suo avversario. Come faceva a conoscerla? La ragazza aprì la bocca ma prima che riuscisse a dire qualcosa Piccolo attaccò l’altro ragazzo con ferocia. Presto si unì anche il genitore e lo scontro continuò come se nulla fosse successo.

Intanto gli schiavi si stavano allontanando velocemente ma Shift e la piccola Murine rimasero vicini a Lyrica, momentaneamente senza forze per via della barriera. “Andiamocene anche noi” disse alla fine la ragazza “Siamo solo d’intralcio…”. Prese la bimba per mano e cinse le spalle dell’amico con un braccio, che l’aiutò a sorreggersi. Si voltò soltanto una volta verso i combattenti e fu quando raggiunsero i boschi che si trovavano fuori da quella che prima era la Città Centrale. Fu allora che gli schiavi dettero libero sfogo alle loro emozioni. Un urlo giubilante echeggiò nell’aria. Molti piansero, altri si abbracciarono forte e molte coppie arrivarono perfino a baciarsi. Finalmente erano liberi.

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Capitolo 9
*** La stanza sotterranea ***


Goku era riuscito a vincere anche se era gravemente ferito: il Grande Mago era morto grazie al braccio che non gli aveva spezzato e con quello gli aveva trapassato il corpo con un pugno. Il colpo fu talmente forte che il tiranno era esploso in mille pezzi. Piccolo, invece, era steso per terra, gravemente ferito, incosciente ma ancora vivo. Attorno a loro il vento soffiava sui miseri resti del King Castle e della città Centrale. Goku sorrise. Finalmente il mondo era libero dalla loro tirannia e l’anima di tutti quelli che avevano perso la vita per mano della Famiglia Demoniaca poteva riposare in pace, vendicata.

Yajirobei, un ragazzo vestito da samurai che Goku aveva conosciuto qualche giorno fa ed aveva battuto Cembalo con un solo fendente della sua katana, lo trascinò delicatamente verso la macchina volante in suo possesso e lo accomodò sul sedile. Tensing, intanto, gli riferiva che anche il drago Shenron era morto, ucciso dal Grande Mago poco dopo aver ottenuto l’agognato desiderio. Il moro abbassò lo sguardo e divenne malinconico mentre affiorarono i ricordi più belli che aveva di Crilin e del maestro Muten. Ad un certo punto udirono dei passi e il terzetto si voltò verso il rumore.

Lyrica, dopo aver recuperato un po’ di forze, era ritornata indietro. Sul suo viso c’era un sorriso mesto, che scomparve per un breve attimo quando posò lo sguardo sul corpo esanime di Piccolo. Goku notò il suo stato d’animo e fece un sospiro. Il diciannovenne, appena l’aveva vista, si era messo in posizione di guardia. L’aveva vista uscire dalle rovine del castello e non ci aveva messo molto a capire che la ragazza fosse al servizio del Grande Mago. Doveva essere per forza una simpatizzante dei Daimao, solo loro potevano usare la magia al cospetto del Grande Mago senza ripercussioni. Sarà venuta per vendicare i suoi padroni.

“Ciao Lyrica…” la salutò Goku in tono gentile e sorridendole debolmente “Chissà perché non sono tanto sorpreso di vederti qui…” “Oh, mi dispiace così tanto…” ribatté lei con afflizione “Non avevo altra scelta che mentirti, quel giorno…”. Il ragazzo scosse leggermente la testa e socchiuse gli occhi, stancamente “Non fa niente… Sono ancora dell’idea che tu sia una brava ragazza… Altrimenti non saresti tornata indietro…” “Eh?”. Goku indicò con un cenno della testa Piccolo “So che tu sai che lui è ancora vivo, ma è conciato troppo male per potersi difendere da qualche cittadino furioso così sei venuta a portarlo via…”. Il suo sorriso divenne più ampio “Fallo, ti copro le spalle” “Sei diventato scemo a furia di sbattere la testa per terra?!?” urlò Yajirobei “I Daimao ci hanno fatto patire le pene dell’inferno e tu vuoi salvargli la vita?” “Questo ragazzo ha ragione!” si aggregò il triclope con furore “Pensi che quando si riprenderà non tenterà di prendere il posto di suo padre?” “Se ci proverà, sarò pronto a fermarlo” disse Goku guardando seriamente i suoi amici. Poi guardò Lyrica e le domandò “Tu cosa farai poi? Continuerai a servirlo?”. Ella gli prese la mano, guardò Piccolo, e rispose “Non sarò più una serva ma… Devo ripagare un debito di vita…” “Lo immaginavo”. La mano del ragazzo strinse quella di lei. La mano libera di Lyrica accarezzò il viso di Goku con gentilezza e gli diede un lieve bacio sulle labbra, come se lo erano scambiati a Yahoi, e il moro fece lo stesso. I due diciannovenni distolsero lo sguardo dalla coppia, leggermente rossi in viso. Poi Goku si risistemò al suo posto e la giovane gli mormorò “Be binnenkort, sheli waarde yedid…” “Eh?”. La ragazza si mise a ridacchiare e ripeté, questa volta in modo comprensibile “A presto, mio valoroso amico…”.

Piccolo aprì lentamente gli occhi e si guardò intorno. Si trovava in una stanza sotterranea, non sapeva dove. Nel soffitto erano incastonate delle gemme di vari colori e grandezze, tutte perfettamente tonde, sparse qui e là ed erano circondate da migliaia di piccole conchiglie bianche. Nel guardarlo meglio, il ragazzo si accorse che era una fedele riproduzione astrologica delle stelle e le sue costellazioni. Portò la sua attenzione al resto della stanza. Era steso su un letto piuttosto comodo, probabilmente fatto di quel materiale molto simile alla spugna e dal nome impronunciabile, con lenzuola di cotone beige e una coperta di lana leggera fatta a mano. Nell’aria si sentiva un intenso odore di vaniglia. Sentiva dolori lancinanti su tutto il corpo e non riusciva ad alzarsi. Al suo fianco, con la testa appoggiata sul materasso e seduta per terra, ci stava Lyrica, profondamente addormentata. Adesso la ragazza aveva i capelli lisci come la seta e lunghi fino alle scapole e una ciocca era finita sul dorso della sua mano. Ammirò il contrasto di colore che faceva sulla sua pelle e per un lungo attimo accarezzò la ciocca con il pollice, pettinandola con la punta dell’unghia appuntita. Poi decise che era giunto il momento di avere delle risposte così gliela tirò, facendo attenzione a non strappargliela. Lei aprì con fatica gli occhi e lo guardò. Assonnata, aveva un’espressione così…

“Dove mi trovo?” domandò lui, arrossendo lievemente e distogliendo lo sguardo da quello dorato “Al sicuro” fu la secca risposta della ragazza. Poi ella sbadigliò “Ti ho portato in una delle stanze sotterranee del castello che scoprì anni fa e che usavo per starmene in pace. Questa è l’unica che tuo padre non è riuscito a distruggere con il suo raggio…”. Piccolo allora ricordò tutto: lo scontro… suo padre che distrugge la Città Centrale… e l’odioso ragazzino che, nonostante era gravemente ferito, sprigionava un intensa energia e con un… maledetto Goku! Aveva ucciso suo padre! Lyrica, intanto, si era alzata ed aveva preso da un tavolino di legno bianco poco distante uno straccio umido ed un paio di forbici, che utilizzò per tagliare le bende sporche di sangue violaceo e sudore. Pazientemente, gli pulì le ferite passandole con lo straccio umido “Gran parte dei miei prodotti curativi sono andati perduti con la distruzione del castello… Per fortuna sono facili da reperire e non devo andare molto lontano… Per il momento te le pulirò con l’acqua…”. Le tastò lievemente e domandò “Non riesco a capire… Hai un fattore rigenerante decisamente più sviluppato degli umani eppure queste ferite non guariscono…” “Devo aver subito delle pesanti ferite alla testa, tipo un trauma cranico o qualcosa del genere…”. La ragazza gli visitò gli occhi e borbottò “Sarà ma a me sembra che tu stia meglio…”. Lui cercò di alzarsi ma un dolore terribile alla testa lo fece ristendere di nuovo sul letto, gemendo “Ho detto che stai meglio, Tola’at, non che sei completamente guarito!” lo rimproverò lei “Vuoi farmi perdere i sei giorni che ho passato -senza neanche dormire tra l’altro- per curarti?” “Sei giorni?” ripeté lui, ansimando “Già…” confermò lei prendendo delle bende pulite sempre dal tavolo “E’ stato difficile portarti qui e curarti, anche perché sei diventato piuttosto pesante…”.

Lui chiuse gli occhi e lasciò che la ragazza finisse di medicarlo. Si sollevò appena per consentirle di mettergli le bende attorno all’ampio torace. Lyrica dovette appoggiare la testa sul suo petto per far passare il tessuto dietro alla schiena e per un attimo le sembrò che il cuore del demone battesse più veloce del normale. Alzò lo sguardo, leggermente preoccupata “Tutto bene?” “Muoviti con quelle bende!” le rispose lui, scontroso “Non riesco a rimanere in questa posizione ancora per molto!” poi, dopo qualche minuto, tranquillizzandosi, le domandò “Perché?”. Lei gli poggiò il mento sul torace “Eh?”. Lo guardava con innocenza e disse “Perché cosa?” “Perché sei ritornata indietro? Perché, invece di darmi il colpo di grazia, mi hai portato qui e mi hai curato?” domandò lui cercando di rimanere calmo. Lyrica finì di sistemare la benda, si separò da lui e dette una scrollata alle spalle “Per quanto faccia fatica ad ammetterlo, ho dei debiti nei tuoi confronti…”. Incrociò le braccia e fece la vocina in falsetto “… E non pensare che lo faccio perché sono mossa da insulsi sentimenti da femminuccia!”. Mentre pronunciava queste parole fece una smorfia così buffa che lui non riuscì a trattenere una piccola risata. Stettero in silenzio per un minuto, poi lui disse “Ti rendi conto che hai salvato la vita ad un demonio? Appena guarito potrei decidere che sei obsoleta e farti fuori” “Dovevi pensarci durante questi anni” lo interruppe lei, acida “Ora ti tocca sopportarmi ancora per un po’…”. Prese da una cesta che stava a terra una mela e un coltellino. Tagliò uno spicchio dal frutto e lo porse a Piccolo “Ti va?”.

Passò un mese prima che Piccolo si riprendesse completamente dalla battaglia. Le ferite alla testa erano gravi, credeva che non sarebbe mai tornato come prima, ma Lyrica era stata davvero portentosa nel curarlo con la magia, radici, frutta e polvere di pietra mischiate all’acqua. Era notte fonda quando lui uscì dalla stanza sotterranea. Nel cielo brillavano migliaia di stelle e il vento scuoteva gli alberi in lontananza. L’erba era cresciuta, alta, ed aveva ricoprendo la terra bruciata. Il vento primaverile portava con sé anche il profumo dei fiori in boccio. “E’ una bella notte per andarsene via…” pensò lui. Si librò in aria e dette un’occhiata alle rovine del castello. Immaginò Lyrica che dormiva su un pagliericcio per terra, esausta, raggomitolata su se stessa come un gatto. Quella ragazza non si rendeva conto di quello che aveva fatto salvandolo… Poteva sentire nella sua testa, quasi come se fossero i suoi, i pensieri del Supremo, l’alter ego di suo padre che era diventato il Dio della Terra. Stava allenando il suo nemico personalmente nella speranza di riuscire ad estirpare il male definitivamente. Nella speranza che, crescendo, Goku mettesse da parte la pietà e lo uccidesse una volta per tutte. Ma lui non sarebbe rimasto con le mani in mano: sarebbe andato nel deserto di pietra delle terre del Sud e lì si sarebbe sottoposto ad un durissimo allenamento e poi, nel torneo di cui aveva sentito parlare, ora simbolo del giorno della liberazione, avrebbe vendicato la morte di suo padre e riconquistato il mondo. In quanto a quella stupida… che se ne andasse dove più desiderava! Non aveva più bisogno di lei... Se ne volò via sapendo che, in fondo, quella ragazzina gli sarebbe mancata.

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Capitolo 10
*** Il Torneo di Arti Marziali ***


Dopo tre anni…

Piccolo si era appena iscritto al Torneo di Arti Marziali che si teneva sull’isola Papaya e aveva gli occhi puntati su Goku, che era circondato dal suo gruppo di amici falliti. Nella sua mente pregustava il momento in cui, con le sue mani, gli avrebbe strappato il cuore dal petto e riconquistato il suo regno, ora governato da un vecchio e patetico cane umanoide. Dopo qualche minuto distolse lo sguardo e si avviò verso le eliminatorie, una serie di ring posti nel retro dell’edificio. Mentre si stava dirigendo lì, totalmente assorto nelle sue fantasie di conquista, urtò la spalla di una ragazza, che si stava dirigendo dalla parte opposta. Senza fermarsi, egli continuò il suo cammino ma quell’altra gli gridò, irritata “Ehi! Guarda dove vai, cretino!”. Scuro in viso, Piccolo si fermò e si girò per affrontarla, sicuro che sarebbe bastata una sola occhiata truce per azzittire quella gallina. Era una bella ragazza dai lunghi capelli neri, lisci come la seta, raccolti in una formale coda di cavallo bassa che lasciava libere solo due grosse ciocche ai lati del viso niveo. Indossava una camicetta bianca semi-aderente con i primi bottoni aperti, dei pantaloncini gessati neri, collant, stivaletti neri con borchie d’oro ed una elegante borsa di pelle a tracolla. I suoi occhi erano due pepite d’oro purissimo, che prima si spalancarono quando incrociarono il nero di quelli del giovane demone, poi con una leggera nota di divertimento e malizia. Lui rimase senza fiato: Lyrica!

“Piccolo…” disse lei inarcando una delle sopracciglia e elargendogli un breve sorriso. Il diciottenne arrossì e se ne sorprese. Che cosa gli prendeva? Era solo la sua ex-schiava! Si avvicinò a lei e domandò “Che diavolo ci fai qui?” “Non ti sembra ovvio? Sono venuta a vedere il torneo” rispose l’altra ridacchiando e facendo le spallucce “Non ti porrò la stessa domanda… Ho intravisto Goku mentre tornavo dalla toilette…”. Fece un passo in avanti e gli sussurrò “Pensi davvero di poterlo sconfiggere?” “Rimani fino alla fine e vedrai...”. Passarono pochi minuti in totale silenzio, a fissarsi trucemente, quando una voce roca e maschile chiamò la ragazza “Ehi, Lily! Alla fine sei riuscita a venire! Brava ragazza!”. Lei si voltò e Piccolo guardò nella stessa direzione: un energumeno dalla pelle nera, più alto del demone di diversi centimetri, vestito come un atleta della boxe, stava salutando Lyrica con entusiasmo e agitando una grossa mano fasciata. Ella sgranò gli occhi verso il nuovo venuto, poi urlò ricambiando il saluto con enfasi “Abu!”. Corse verso l’uomo, che intanto l’aveva raggiunta a sua volta, e si strinsero in un caloroso abbraccio.

Piccolo assisteva alla scena poco lontano e si sentiva rodere dalla rabbia: era per lui che era venuta a vedere il torneo?!? “Ma non sei nervoso? Ho sentito dire che parteciperanno anche i due finalisti dello scorso torneo…” disse la ragazza, sciogliendosi dall’abbraccio “Non preoccuparti dolcezza” la rassicurò lui “Quest’anno sarò io il vincitore, non ci sono dubbi!”. Le afferrò una mano e mormorò “Ma lasciati guardare per un secondo…”. La fece girare su sé stessa e mugugnò “Mmh… Mi viene voglia di intingerti nel caffè…” “Dai, smettila Abu…” lo rimproverò la ragazza, ridendo. Piccolo strinse i pugni e digrignò i denti. Quel maledetto bastardo si stava prendendo troppe libertà. Prese la giovane per un braccio e la tirò verso di sé “Lyrica, io e te dobbiamo fare quattro chiacchiere…”. Guardò Abu e aggiunse “In memoria dei vecchi tempi, amico, spero che non ti dispiaccia…” e senza aspettare una risposta, la trascinò lontana dal lottatore per dirigersi verso il retro dell’edificio “Ehi, Verdone! Come ti…” iniziò a dire l’uomo ma lei gli disse “Va tutto bene, ci vediamo dopo… Parlo un attimo con lui e poi ti raggiungo” “Non ci sperare!” le ringhiò all’orecchio il ragazzo. Appena furono abbastanza lontani le gridò “Non dirmi che sei venuta per quello?!? Ma lo hai visto? Gli arrivi a malapena ai fianchi! E poi lo hai sentito?” lì imitò la voce di Abu “Sarò io il vincitore, non ci sono dubbi… Quello lo posso buttare giù solo sputandogli addosso!”.

Lei lo guardò per un lungo momento, in silenzio, poi fece qualcosa che lui non si aspettava: scoppiò a ridere. “Oh, cielo! Questa sì che è bella!” balbettò tra le risate “S-Sei geloso!” “Io… GELOSO?!?” gridò lui, rosso come un peperone “Perché d-dovrei esserlo? Geloso… L’ennesima stronzata che è fuoriuscita dalla tua bocca...”. La fissò con malignità “Quando diventerò il Re del mondo avrò un centinaio di schiave disposte a servirmi…” fece un sorriso malizioso prima di aggiungere “… In tutti i sensi…”. Un’ombra passò sugli occhi di Lyrica ma non le fece inclinare il suo sorriso “Meglio così, padrone… Perché Abu, ieri, mi ha chiesto di sposarlo…”. Piccolo ebbe un fremito ma prima che potesse dire qualcosa gli altoparlanti annunciarono a tutti gli atleti che erano iniziate le eliminatorie. Lui, dopo averle lanciato un’ultima occhiataccia, si diresse a passo svelto verso i ring posti all’interno della struttura.

Le parole di Lyrica si ripetevano in modo perpetuo nella sua mente e non riusciva in alcun modo a toglierle da lì. Quando, infine, si ritrovò proprio Abu come ultimo avversario delle eliminatorie, le parole aumentarono spropositatamente di volume finché ci fu il gong. Allora, con un gesto fulmineo, lo prese per il collo e lo sollevò di peso. L’uomo si dibatté, spaventato a morte, e bofonchiò “Basta! Mi arrendo! Ti… prego…”. Piccolo sorrise malignamente “Non ti avvicinare più a Lyrica… Sono stato abbastanza chiaro?” gli sussurrò all’orecchio subito dopo averlo mollato. Il cronista deglutì e urlò nel microfono “Si arrende! Anche il numero 51 è ammesso alle semifinali!”.

Lyrica non poteva crederci. Stava aspettando il suo amico fuori dall’edificio, consapevole che contro Goku e i suoi amici non avrebbe mai vinto ma pronta a consolarlo, quando Abu le passò fulmineo al suo fianco e fece per uscire dall’area del torneo senza guardarla in faccia né a rivolgerle la parola. Lei si voltò verso l’uomo e lo chiamò “Abu? Ma che…”. Si guardò intorno, come se qualcuno potesse all’improvviso rivelarle che cosa era successo. Vedendo che lui non tornava indietro e che non sapeva a chi rivolgersi per avere notizie, prese dalla sua borsa una sfera di cristallo e la strinse nel palmo della mano. Essa si illuminò debolmente e delle immagini le apparvero sulla superficie del monile come riflettute da una pozza d’acqua. Subito dopo ripose la sfera al suo posto, furiosa. Piccolo aveva preso per il collo Abu e gli aveva incitato ad non avvicinarsi più a lei. “Ma che cosa gli è passato in quel cervello bacato?”. Una voce, dietro alle sue spalle, ridacchiò e disse “Piccolo odia quando qualcuno cerca di togliergli le sue proprietà... Eh, eh, eh! In questo è uguale a suo padre”. A parlare era stato un ometto magro, un po’ curvo, con gli occhiali e l’aria patetica. Ma non era riuscito a ingannare la ragazza.

“Così è venuto anche lei…” sospirò quando l’uomo si mise al suo fianco. Si era accorta che quello che vedeva non era solo un uomo qualunque. Dentro di lui si celava il Supremo, la parte buona del Grande Mago. Qualche anno fa Piccolo le aveva accennato il passato di suo padre con riluttanza, alla fine esasperato dalle perpetue domande di lei sul suo conto. “So per certo che Goku non avrà mai il coraggio di ucciderlo così sono venuto di persona a completare l’opera…”. Stettero in silenzio per un po’. “Supremo…” iniziò a dire lei ma si ammutolì subito “Non avere paura di me… Puoi dirmi ogni cosa…” la rassicurò l’uomo mettendole una mano sulla spalla con fare paterno. Lei lo guardò intensamente e mormorò “Lui… non è come suo padre. E’ vero, certe volte il modo in cui si comporta può ricordarlo ma non è come lui. Lo so… lo sento…”. Il Supremo la guardò per un secondo e poi fece un sospiro esausto “Sai che la mia mente e quella di Piccolo sono, in qualche modo, collegate… Non siamo in grado di sentire totalmente i nostri pensieri, come le parole, ma uno sa quel tanto da saper cosa sta facendo l’altro e cosa sta provando in quel momento. In particolar modo riusciamo a percepire le nostre emozioni più intense”. Indicò sé stesso “Grazie a questo corpo che ho preso in prestito, il nostro contatto mentale si è affievolito molto e non riuscirà a percepire la mia presenza prima che lo affronti sul ring…”. La lasciò andare e aggiunse “Però prima di scendere dal mio santuario ho sentito la sua brama di potere, il desiderio quasi morboso di uccidere Goku e di seguire le orme paterne nello spargere il terrore tra gli umani. Se il mio allievo non dovesse farcela…”.

La ragazza, dopo essersi congedata dal Supremo, si recò a vedere le semifinali. Ma c’era così tanta gente che da dove si trovava non riusciva a vedere il ring. Sbuffò. “Accidenti! Non si vede nulla!” esclamò una ragazza affianco a lei, dando voce ai suoi pensieri. Si voltò. La donna in questione era giovane, dai capelli e gli occhi turchini e l’aria civettuola. Era molto bella. Ma non era da sola: al suo fianco c’era un’altra ragazza, anche lei molto carina, dai capelli scuri e mossi, un anziano dalla barba bianca che inforcava dei occhiali da sole e due animali antropomorfi. A un certo punto la turchina prese un soffione e fece starnutire la mora. Con suo grande stupore, la mora divenne bionda. “Lunch … Potresti pensarci tu?” chiese l’altra donna con un sorriso a trentadue denti. In meno di due secondi la neo bionda sparò in aria con due mitragliette militari, aprendo un varco tra il pubblico terrorizzato. Senza pensarci due volte Lyrica approfittò della situazione e decise di seguire la strana combriccola.

Dopo i primi due incontri, che videro vincitori Tensing e Goku, arrivò il turno di Piccolo. Il suo sfidante sarebbe stato uno degli amici del suo nemico, un tipo piuttosto basso, pelato e senza naso. Aveva anche un nome assurdo: Crilin. Dette un’occhiata verso il pubblico e intravide Lyrica in prima fila. Le rivolse un sorriso accattivante. Lei si appoggiò sul muretto e gli rispose a sua volta con un sorriso saccente, socchiudendo gli occhi e scuotendo lievemente la testa. Poi mosse le labbra in modo che solo lui potesse sentire le sue parole “Che cos’hai da guardare, Tola’at?”. Il sorriso del giovane demone si allargò e tornò a guardare Crilin “Che presuntuosa…”. Il ragazzo umano, intanto, si era accovacciato ed aveva stretto i pugni contro i fianchi. Lo scontro stava per iniziare.

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Capitolo 11
*** Gelosia ***


Lyrica guardò l’incontro rimanendo senza parole: a parte Goku, non aveva mai visto nessuno che sapesse resistere e reagire agli attacchi di Piccolo! E si era preoccupata parecchio quando il giovane demone si era posizionato alle sue spalle con la tecnica dell’immagine residua e lo aveva colpito violentemente alla base del collo. La forza del colpo fu tale da farlo precipitare a terra come una bomba e creare un considerevole buco sulle piastrelle bianche del ring. Se non l’aveva ucciso, doveva aver certamente subito un gravissimo danno cerebrale. Però, contro ogni aspettativa sia del pubblico che del suo stesso avversario, il diciannovenne si era rialzato e dichiarò la sua resa. Si mise ad applaudirlo con le lacrime agli occhi mentre la folla lo elogiava. Quel ragazzo era stato eccezionale nonostante tutto. Poi il suo sguardo finì su Piccolo. Egli la fissava, con un sorriso da sbruffone stampato sulla faccia ed incrociando le braccia al petto. Sembrava in attesa. “Non crederà, ora, che lo elogi per la sua vittoria…” pensò scettica. Così ad alta voce si mise a gridare “Bravo Crilin!”.

Sia il pelato che Goku, che era salito sul ring per aiutarlo a raggiungere le quinte, si voltarono verso il pubblico. Lei agitò la mano verso il moro “Ehi!”. Goku le sorrise, raggiante, e la salutò a sua volta. “Accidenti! Ma com’è che conosci tutte queste ragazze carine?” sbuffò Crilin, un po’ invidioso “Non mi dire che hai promesso anche a lei di sposartela…” “No!” esclamò l’altro, diventando rosso, portandolo dall’altra parte “Io e Lyrica ci siamo conosciuti tre anni fa, prima dello scorso torneo… Ci siamo soltanto scambiati un paio di baci… niente di più se…” “SOLTANTO UN PAIO?!? DAI GOKU! NON TI FACEVO COSI’ INTRAPRENDENTE!” urlò Crilin, divertito, ma il moro gli tappò la bocca prima che Chichi potesse sentire qualcosa “IH! Ma che te urli?!? Mi vuoi far passare dei guai?!?” e indicò con un cenno della testa la sua novella fidanzata, che si era girata verso di loro e lo guardava stranita, rispondendole con un sorriso forzato e con un cenno della mano.

All’improvviso i ragazzi sentirono dietro alle loro spalle una potente aura minacciosa: Piccolo squadrava il moro con occhi iniettati di sangue. I due si voltarono e lo fissarono a loro volta. Dopo qualche secondo, il demone si girò dall’altra parte e si allontanò velocemente. Crilin borbottò “Quello lì deve avere qualche rotella fuori posto… Ti guarda male da quando ci siamo incrociati alle eliminatorie…” “…”.

Lyrica raggiunse Piccolo al retro dell’edificio, scocciata. L’aveva chiamata telepaticamente e con un tono di voce così autoritario da darle subito sui nervi, le aveva ordinato di raggiungerlo immediatamente lì. Con le finali in pieno corso, quell’area era deserta. Lui camminava avanti e indietro, furioso, e smise soltanto quando sentì la voce della ragazza rimproverarlo aspramente “Si può sapere perché mi hai fatto venire qui? Per colpa tua ho perso il posto in prima fila!”. Piccolo si piazzò davanti a lei e le urlò in faccia “Dimmi un po’, sei venuta al torneo per vedere chi? Il tuo gigantesco rincoglionito, quella testa a palla di prima o Goku… Il mio nemico mortale CON CUI TI SEI SBACIUCCHIATA PER BEN DUE VOLTE?!?”.

Lyrica stava elaborando una spiegazione ma l’altro non glielo permise. La afferrò per il colletto della camicia e continuò “Tu, piccola e lurida traditrice! Scommetto che è stata una tua idea aizzare quel mostro con la faccia da bambino contro di noi tre anni fa!”. Un fortissimo schiaffo lo colpì sulla guancia con violenza tale da fargli voltare la testa. Il corpo della giovane era leggermente coperto da elettricità statica che le faceva brillare gli occhi come due soli. Portò rapidamente le mani sul petto di lui e gli diede la scossa, non troppo forte da fargli male ma quell’abbastanza da farlo retrocedere di qualche passo. Nel farlo il ragazzo perse l’equilibrio e le dita si serrarono di più sull’indumento di lei e, quando cadde a terra con un tonfo, portò con sé un pezzo di camicetta. Piccolo la guardò a bocca aperta e gli occhi sgranati. Ella stava fluttuando a pochi centimetri da terra, la chioma resa libera dalla costrizione dell’elastico e anch’essa fluttuante, gli occhi pervasi da una luce che pareva liquida. Davanti a lui c’era una creatura sconosciuta. “Io…” sibilò lei “Posso essere stata un’incompetente, maleducata, rozza schiavetta che non sapeva tenere a freno la lingua e rispettare voi pezzi di merda, ma MAI ho pensato un solo istante a tradire la famiglia Daimao! Non sputo nel piatto in cui mangio!”. Gli puntò un dito contro e lo picchiettò su una spalla, dandogli una scossa ad ogni tocco “Per cui ti conviene a ricacciare quella tua fottuta lingua in gola altrimenti te la strappo e te la ficco su per il…”.

Venne interrotta dal boato della folla e dalla voce del cronista che annunciò “E’ uscito dalla pedana! Divo ha vinto!”. L’aspetto di Lyrica tornò normale e scese a terra. Alzò lo sguardo e ringhiò, mentre si legava i capelli “Ti conviene raggiungere gli altri atleti…”. Tornò a guardare il giovane demone, che stava ancora seduto a terra e la fissava stranito. Gli rivolse un sorrisetto beffardo “Cos’è? Hai bisogno di una mano per rialzarti?”. Lui si affrettò a tornare su e ringhiò furioso “Tu… Tu… Stai giocando con il fuoco, come al solito…”. La fissò con uno sguardo omicida “Potrei ucciderti in questo istante… Non sarebbe difficile per me…”. Lyrica lo fissò, divertita “Ho sentito le tue minacce così tante volte nella mia vita e non sei riuscito mai a mantenerne nessuna! Ma se vuoi…”. Piegò la testa all’indietro e, con gli occhi socchiusi, mormorò “Fallo. Non c’è nessuno e sono così indifesa…”. Pronunciò l’ultima parola con sarcasmo.

Piccolo digrignò i denti: quella ragazza era capace di farlo impazzire. E il suo viso era così vicino… gli sarebbe bastato chinarsi un po’ per poter arrivare alla sua bocca, socchiusa in un sorrisetto malandrino… sentiva il profumo vanigliato della sua pelle… Il boato lo riportò al presente. Si allontanò bruscamente dalla ragazza e se ne andò via.

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Capitolo 12
*** Un'altra sconfitta ***


Piccolo rimase a rimuginare per tutto il combattimento tra Goku e Tensing. In fondo sapeva che Lyrica non aveva mai tradito lui e suo padre, anche se aveva avuto più di un’occasione per farlo, ma quando aveva sentito che ella aveva avuto una specie di relazione con quel bastardo… Il solo pensiero gli ritorceva lo stomaco tanto da causargli la nausea. Cercò di concentrarsi sull’incontro. Il triclope era un ragazzo pieno di risorse e talento ma Goku era almeno di una spanna superiore. Con una velocità straordinaria gli aveva sfilato la cintura dai pantaloni e, quando il tizio si era sdoppiato in quattro entità, il moro aveva sorpreso tutti con una specie di –attacco solare-, poi colpì il ragazzo e le sue copie in rapida successione facendoli cadere tutti e quattro dal ring. Piccolo incrociò le braccia al petto e sorrise in modo sprezzante. Odiava ammetterlo ma quel ragazzo era in gamba.

“Ah! Sei grande Goku!” esultò Lyrica dal tetto dell’edificio. Dato che non era riuscita più ad arrivare al suo precedente posto, usò la sua magia per rendersi invisibile e, con un solo balzo, era riuscita ad arrivare là sopra. Osservò Piccolo con perplessità, mentre il giovane planava lentamente sul ring per affrontare il suo avversario, ancora assente. Venne colta da un profonda tristezza quando, infine, vide l’uomo arrivare. Aveva sperato fino all’ultimo che il Supremo avesse cambiato idea e riposto tutte le sue fiducie al suo promittente allievo. Possibile che non provasse nemmeno un briciolo di disagio nell’affrontare Piccolo? Era la parte buona del Grande Mago e, in un certo senso, quel ragazzo era suo figlio! I suoi occhi si velarono momentaneamente di lacrime e, per un attimo, si ritrovò da un’altra parte...

Piccolo era rimasto spiacevolmente sorpreso nell’apprendere che l’omuncolo che aveva davanti fosse il Supremo. Perché quel vecchiaccio si trovava qui? Aveva perso completamente la ragione? Poi lo vide poggiare a terra qualcosa. “Divo ha messo una boccetta per terra…” stava dicendo il cronista “Chissà cosa accadrà…”.

Lyrica chiuse gli occhi e sospirò. La Mafuba. Piccolo, ormai, era spacciato. Nemmeno suo padre avrebbe potuto contrastare la potenza di quell’attacco. Sentì un forte vento provenire dalle sue spalle e concentrarsi al centro del ring. Il Supremo tese le mani davanti a sé, concentrato, e urlò con tutto il fiato che aveva “Mafuba!”, scagliando un’incredibile energia verdastra contro l’altro. Con suo stupore il giovane demone ridacchiò a quella vista “Torna indietro Mafuba!”. Lyrica si portò una mano alla gola e vide il ragazzo portare a sua volta le mani in avanti e intrappolare con la stessa energia il vecchio monarca. Prima che venisse rinchiuso, il Supremo fece una supplica al suo allievo “Goku, uccidilo! Devi pulire il mondo!”. La potentissima luce verde scomparve all’interno della boccetta e tra la folla calò il silenzio. Per terra c’era rimasto solo il misero uomo che il Supremo aveva posseduto per celare il suo aspetto e iscriversi indisturbato al torneo.

Quando l’incontro si concluse con la vincita di Piccolo, Goku si parò davanti a lui appena ebbe raggiunto le quinte “Che cosa gli hai fatto?!? Dammi quella boccetta!” gli stava urlando il moro tendendo una mano verso di lui. Il giovane demone ridacchiò “Vuoi scherzare?”. Gli sventolò la boccetta davanti al naso “Qui dentro c’e rinchiuso un rompiscatole…”. Detto questo, Piccolo si ingoiò la boccetta e sghignazzò.

Mentre si allontanava dal gruppo, una flebile voce gli arrivò alle orecchie “Sei un pezzo di merda”. Lui si voltò, tranquillo, finché non vide Lyrica. Camminava al suo fianco con disinvoltura ma poteva percepire la sua rabbia. Sospirò. Non era la prima volta che la ragazza appariva improvvisamente al suo fianco e lo insultava. Scrollò le spalle e le ringhiò “Quando la smetterai di fare la parte del Grillo Parlante?” “Vuoi dire che mi stai paragonando alla tua coscienza ed, in fondo, ti senti davvero un pezzo di merda?” ribatté l’altra sbattendo le ciglia. Piccolo fece un verso esasperato “Sto dicendo che sei un impicciona e che, se non la smetti di far la parte dell’angioletto che appare magicamente sulla spalla delle persone e gli rompe l’anima con il suo sproloquiare a vanvera, potrebbe causarle un mucchio di grane!”. Lei sbuffò e i due continuarono a camminare fianco a fianco in silenzio. Poi il ragazzo sbuffò “Sei ancora qui?” “Piccolo, per favore, lascia perdere tutto!”. Lui si voltò di scatto e la guardò basito “Libera il Supremo, ritirati dal torneo… Rinuncia al dominio della Terra!” “Chi ti credi di essere per darmi simili ordini?!?” scattò il demone, furioso “Il mio è un consiglio, non è un ordine” ribatté la ragazza “Perseguire le orme di tuo padre non ti porterà altro che alla sconfitta… Potresti anche morire!” “Sei pazza…” “Perché, per una volta, non ascolti una voce che non sia la tua?!?” “Senti da che pulpito vien la predica!” urlò lui “Ti credi diversa da me? Quante volte ho dovuto proteggerti per colpa della tua linguaccia?!?”.

Il gong suonò nell’aria, annunciando sia al pubblico che ai atleti presenti l’inizio della finale. “Finalmente è giunto il momento di vendicarmi del torto subito…” “Piccolo non…”. Il ragazzo la azzittì con un brusco cenno della mano “Non ti conviene assistere… Potrei imbrattare il tuo bel visino con il sangue sporco del tuo spasimante…” “Goku ti sconfiggerà” sibilò lei, dura. Piccolo ridacchiò di fronte a quell’espressione “Vedremo”. Lyrica lo seguì ma dovette fermarsi a pochi passi dalle quinte, riservate solo agli atleti. Il giovane demone si divertì a creare un’ulteriore tensione al gruppo “… Non sono più quello di tre anni fa!” “Neanche io sono più lo stesso!” ribatté Goku con aria di sfida. Piccolo incrociò le braccia e sghignazzò “Eh, eh, eh… Datti delle arie finché puoi ma quando sarai morto, ritornerà il magnifico mondo demoniaco! Ah, ah, ah!”.

E’ iniziato il gran finale del torneo Tenkaichi, che avrebbe deciso le sorti non solo della gara ma anche quelle del pianeta, e già dai primi colpi scambiati tra i due finalisti si preannunciava ardua. Nessuno dei due riusciva a sottomettere l’altro, come era successo tre anni fa. Dopo aver ricevuto un potente calcio da parte di Goku, Piccolo si diede una spinta verso l’alto e tese le braccia. Il moro capì subito le sue intenzioni. Saltò a sua volta in alto, in modo che il demone cambiasse la sua traiettoria, ed il primo colpo energetico esplose a molte miglia di distanza dall’arena. Vedendo che non aveva sortito nessun effetto, il giovane demone si preparò a lanciarne un altro, più potente, in modo da spazzar via il suo rivale e tutte le persone presenti nel torneo. “Sei un vigliacco!” gridò Goku, furioso “Sono io il tuo avversario! Gli spettatori non c’entrano!” “E cosa me ne frega?”.

Lyrica sentì il corpo percorso da brividi familiari. Quest’energia distruttiva… L’aveva già sentita! Era la stessa che utilizzò il Grande Mago quando distrusse la Città Centrale! Saltò sul tetto e si guardò intorno, scioccata. C’era troppa gente… Non sarebbe mai riuscita a produrre una cupola protettiva come quella che creò per salvare gli schiavi del castello abbastanza grande da coprire tutti! Lo scontro tra l’Onda Maligna e la Kamehameha la accecò per qualche istante e temere sia per la propria vita che quella degli altri. Si coprì gli occhi con le braccia, per proteggerli dall’accecante luce.

Dopo il torneo… Piccolo era steso a terra, privo di forze ed a malapena cosciente. Son Goku aveva vinto un’altra volta e questa consapevolezza bruciava più del dolore fisico. Sentì Lyrica che si avvicinava a lui, impossibile confondere il suo passo leggero con quello di chiunque altro, e fermarsi a poca distanza da lui, in silenzio. Intanto sbucò dal terreno Yajirobei che diede a Goku, ancora steso a terra, uno strano fagiolo verde pallido. Appena lo ebbe mangiato egli si librò in aria urlando di felicità. Socchiuse leggermente gli occhi e vide un’ombra avvicinarsi alla ragazza. “Lyrica…” la chiamò il Supremo, con dolcezza “Hai visto quel che ha fatto… Non può rimanere ancora in vita…” “E’ suo figlio, in un certo senso… Come può volere la sua morte?” ribatté lei, gelida. In quel momento planò fra loro Goku e diede manforte alla ragazza “Se lui muore, anche voi seguirete il suo destino…” “Potrete sempre resuscitarmi con le Sfere del Drago” “Il Dio della Terra non dovrebbe mentire… Se voi morite, anche le Sfere sparirebbero…”. Così Goku, insieme al Genio, riuscì a convincere il Dio a risparmiare il ragazzo. “Alla fine ci rincontriamo” disse il moro, rivolto a Lyrica “L’offerta di tre anni fa è ancora valida... Saremo felici se tu venissi con noi!” e gli mise una mano sulla spalla. Sentirono un borbottio provenire dal demone. Lei ridacchiò “Ti ringrazio Goku ma passo anche questa volta…” e gli strinse la mano posata sulla spalla prima di toglierla dolcemente. Si sorrisero. Poi lui gridò alle sue spalle “Ehi! Ce l’hai un altro senzu?”. Il ciccione gli tirò un altro fagiolo e lo fece mangiare a Piccolo. In pochi secondi lui spalancò gli occhi e saltò in piedi, lontano dal gruppo. Dopo aver promesso a Goku che la prossima volta lo avrebbe sconfitto se ne volò via. Lyrica lo seguì con lo sguardo finché non scomparve tra le nuvole, sentendosi stranamente euforica.

Si tolse la polvere dai vestiti. “E’ vero che hai prestato servizio alla famiglia dei Daimao?”. A porle questa domanda fu Bulma che, dopo aver scoperto la sua identità da Goku, voleva assicurarsi che tipo di indole avesse. La ragazza annuì e non fece altro. Rimase a fissare il gruppo come a sfidarli a proseguire. Goku ridacchiò ed alleggerì la tensione “Avanti, ragazzi! Stiamo parlando di cose successe anni fa! Lyrica non è né un demonio né una persona malvagia… Sapete che, chi prestava servizio al King Caste, non aveva altra scelta…”. Gli altri annuirono, sentendosi un po’ in colpa, ma la ragazza liquidò le loro scuse con un cenno della mano. Augurò alla nuova coppia un felice matrimonio, salutò tutti e si diresse verso il porto dell’isola.

“Merda! Ora che ci penso, non ho più una casa dove tornare!”. Lyrica stava camminando da ore tra le coste del porto. Dopo l’incontro Abu l’aveva chiamata al cellulare e le aveva esplicitamente detto che non aveva più desiderio di sposarla e che doveva venire a prendersi la sua roba da casa sua, che ella aveva preso in affitto tre anni fa proprio sulla riva ovest dell’isola, altrimenti l’avrebbe denunciata alla polizia per essere una simpatizzante dei Daimao. Al principio si era infuriata (“Ero obbligata a prestar servizio dai Daimao, come migliaia di altre persone per oltre trecento anni! Il simpatizzante è quello stronzo di tuo nonno, altrimenti come avrebbe fatto a tenersi tutte quelle case senza che la mafia ci mettesse mani?!?”), al chiedere scusa (“Senti, mi dispiace per quello che ho detto… In fondo, anni fa, eravamo tutti degli schiavi…”) fino all’imploro (“Abu, ti prego… Dammi almeno il tempo di cercarmi un altro posto! Un paio di settimane… non di più!”) ma fu tutto inutile. Dopo aver preso la sua roba e rinchiusa in una capsula Hoi Poi stava cercando un alberghetto super economico perché, oltre che alla casa, Abu era il suo datore di lavoro e l’aveva licenziata in tronco, lasciandola a secco di soldi. Intanto delle nuvole nere avevano coperto il cielo un’altra volta e delle grosse gocce di pioggia iniziarono a cadere. Non aveva neanche l’ombrello, disintegrato insieme all’arena del torneo.

La pioggia si trasformò in pochi attimi in acquazzone e, completamente zuppa, cercò un riparo nei dintorni. Si stava dirigendo sotto il balcone di un palazzo quando si sentì afferrare per la vita da due mani grandi e forti, sollevandola da terra, e cacciò un gridolino sorpreso quando si accorse che stava fluttuando. Una donna urlò, isterica “Il Mago Piccolo ha rapito una ragazza! Chiamate la polizia!”. Lyrica si voltò di scatto e gridò “Che stai facendo?!? Mettimi subito giù, bastardo!” “Smettila di urlarmi nelle orecchie, idiota! Ti sto portando al riparo!” ribatté lui, acido. Con velocità spaventosa, volarono al di là dell’isola e di diressero verso le terre del Sud, nel deserto di pietra.

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Capitolo 13
*** Nel deserto di pietra ***


Al principio, Lyrica aveva tempestato di pugni l’ampio torace del ragazzo in modo che la lasciasse andare “Come ti permetti di mettermi le mani addosso? Lasciami subito andare altrimenti smetterò di prenderti a pugni e passerò ai calci sulle palle!” “Fa pure ma, se fossi in te, non ci proverei… Guarda a che altezza ci troviamo…”. Ella si voltò verso terra e cacciò un altro urlo. Erano troppo in alto, almeno un cinquecento metri di distanza da terra. Il demone sghignazzò “Vuoi ancora che ti lasci andare?” “Maledettissimo stronzo” sbuffò lei con un borbottio, ma si strinse di più al suo corpo affinché non la lasciasse cadere.

Dopo oltre due ore i due riuscirono a raggiungere il deserto e Piccolo la portò verso una montagna davvero bizzarra: sembrava un castello molto rudimentale, scolpito nella roccia, con tanto di verande, balconi, finestre e ingressi. Lyrica era sorpresa di trovare una simile struttura in questo posto così desolato. “Non potevamo trovare un riparo più vicino? Sono tutta zuppa e gelata!” si lagnò, infine, mentre stavano atterrando su un terrazzo posto tra i piani più alti. “Che gratitudine!” ringhiò lui “Ti porto in un posto dove vivere dopo che Afro-cazzone ti ha sfrattato di casa e tu non solo non ti dimostri grata ma hai il coraggio di lamentartene pure?”. Nel vedere la sua espressione sorpresa, il giovane spiegò “Mentre sorvolavo il cielo ti ho visto ed ho sentito, grazie al mio udito, la tua telefonata, dove lo imploravi di farti rimanere finché non trovavi un’altra abitazione… Eri così patetica…”. Lei lo guardò sconcertata mentre il ragazzo le latrò contro “Ora tappa quella boccaccia ed entra!”.

La ragazza fece quello che le fu detto, sfregandosi le braccia mentre l’altro la seguiva a poca distanza. Più la osservava attraverso la penombra, più ella si accorgeva che la montagna era stata scavata da mano umana. C’erano pure dei rudimentali caminetti intagliati nella roccia. “Dove ci troviamo?” “Centinaia di anni fa la grotta fu costruita per dare un riparo ai monaci che sceglievano la vita da eremita…” rispose Piccolo senza guardarla “Ma, già da prima che mio padre conquistasse la Terra, era caduta in disuso così quando l’ho trovata, tre anni fa, la utilizzai come casa…” “E sei rimasto qui in tutti questi anni?” domandò lei iniziando a gironzolare per la stanza. Lui annuì, serio. Dopo un attimo di silenzio e di ispezione, Lyrica si girò verso il demone e gli domandò “Perché sei tornato a prendermi? Potevi lasciarmi lì e ritirarti per escogitare un piano per vendicarti…” “Non lo so…” rispose l’altro, secco, prendendo della legna da un angolo della stanza e la buttò dentro al caminetto. Lei si morse le labbra, pensierosa “Prima cerchi di uccidermi e poi mi porti al riparo dicendo che questa sarà la mia nuova casa… E l’unica risposta che mi dai è non lo so…”. Lui accese il fuoco con un sottile raggio di energia proveniente dall’indice e si voltò verso la ragazza “Tu sei pazza… Dopo il nostro piccolo testa a testa dietro i spogliatoi non ti ho torto neanche un capello!” “E quando hai lanciato quei raggi d’energia per distruggere la platea?” domandò Lyrica incrociando le braccia. Presto la grotta si illuminò e lui poté vedere la ragazza in viso. Per un secondo lesse nei suoi occhi lo sconforto ma, come al solito, lei era brava a cancellare le emozioni dalla faccia. Ritornò a guardare il camino, sentendosi stranamente in colpa. “Ero troppo concentrato su Goku…” ammise, tornando a fissare le fiamme.

Il fuoco aveva illuminato anche gli angoli più scuri e Lyrica notò che c’erano due grossi zaini da campeggio arancioni vicino al camino “E quelli?” ridacchiò “Non dirmi che hai dei coinquilini…” “No… Li ho rubati a due predoni del deserto, probabilmente avevano avuto la mia stessa idea di venire a vivere qui…” borbottò l’altro alzandosi da terra. Piombò tra di loro un pesante silenzio. La ragazza prese gli zaini e ci frugò dentro. Trovò quattro coperte di lana sottile color metallo, del cibo sottovuoto, acqua, due scatole di capsule Hoi Poi e molte altre cianfrusaglie. Tirò fuori le coperte e, con gesti veloci, iniziò a spogliarsi.

Piccolo la fissava allibito “Che diavolo stai facendo?” “Non ho nessuna intenzione di ammalarmi…” disse lei togliendosi la camicia strappata e i pantaloncini fradici “Dovresti farlo anche tu…” “Ti sei bevuta il cervello?” urlò lui, rosso dall’imbarazzo “Scordatelo!” “Cazzi tuoi se ti viene la febbre”. Piccolo alzò gli occhi al cielo, sbuffò, e poi borbottò sempre più rosso “Allora passami una coperta…”. Voltandosi le spalle l’uno all’altra si spogliarono completamente. La coperta capitata al demone era un po’ troppo piccola per coprirlo per intero così la legò ai fianchi. Iniziò a tremare per il freddo. Lyrica notò i suoi brividi così, dopo essersi avvolta nella sua coperta, si avvicinò al ragazzo con un’altra e gliela mise sulle ampie spalle. Nel fare quel gesto, però, il nodo del tessuto che le avvolgeva il corpo si sciolse e iniziò a scivolare. Piccolo, per istinto, la bloccò prima che le scoprisse anche i fianchi.

Il profumo di vaniglia gli invase l’olfatto mentre la vista era rimasta ammaliata da ciò che la caduta del tessuto mostrava, impreziosito dalle gocce di pioggia che scendevano dai capelli. La pelle, sotto la luce delle fiamme, aveva il colore dell’avorio con sfumature dorate, che non tardò a toccare, sentendola leggermente ruvida a causa del freddo. L’attirò a sé, preso da un intenso desiderio, e le scoprì con foga il resto del corpo. Si guardarono intensamente negli occhi. Lei cercò debolmente di divincolarsi dall’abbraccio, senza troppa convinzione, lui la tenne contro al suo corpo ma era incapace di continuare. Dopo un lungo momento, che parve quasi infinito, le loro bocche si unirono in un bacio violento dove l’uno tentava di ferire le labbra e la lingua dell’altra con i denti. Si staccarono dopo un paio di minuti, ansimanti. Piccolo si chinò per baciarla ancora ma Lyrica si separò da lui in malo modo, lasciandolo disorientato, riprese la coperta che le aveva tolto e la stese bene per terra, vicino al camino. Poi ci si sdraiò sopra e sussurrò “Vieni”.

Piccolo non se lo fece ripetere due volte. Non si era mai sentito così eccitato nei confronti di una ragazza. La accarezzò per tutto il corpo, stupendosi di quanto fosse piccola in confronto a lui. Le andò a baciare i seni, indugiando sui capezzoli, poi passò sul collo mordicchiandole la pelle con i canini ed infine tornò al viso e alla sua bocca. Si slacciò la coperta dai fianchi con impazienza e la penetrò. Lyrica sussultò e si strinse di più a lui con le gambe, muovendosi in sincronia con il bacino del partner. Non ci furono parole d’amore né frasi oscene. Lo fecero quasi in silenzio ed evitando di guardarsi negli occhi troppo a lungo. Dopo qualche minuto arrivarono al culmine del piacere. Lyrica prese a dare dei piccoli baci lungo la linea del collo e della spalla del demone mentre lui si stringeva di più contro il suo corpo e le accarezzava la vita, la cui pelle era divenuta vellutata e bollente grazie alle sue carezze ed ai baci. Poi Piccolo avvicinò la bocca all’orecchio della ragazza e sussurrò, appena gli ansiti si calmarono “Non credere che questo significhi qualcosa…” “… Perché quando avrai riconquistato il mondo avrai uno stuolo di donne pronte ad assecondare ogni tuo perverso desiderio e tanti bla, bla, bla…” Lui si appoggiò sui gomiti facendo aderire il resto del corpo a quello d’avorio della ragazza e la fissò, con odio. Lei ricambiò con un lieve sorriso e guardandolo con un pizzico di sfrontataggine. Il desiderio di entrambi si accese.

Il demone la odiò con tutta l’anima mentre entrò di nuovo in lei e la possedeva ancora, stringendola con forza, graffiandole il corpo esile ed apparentemente fragile, imprimendole con violenza il ritmo con il bacino e ansimandole all’orecchio, seguiti dai gemiti di Lyrica, finché non si addormentò, stremato, tra le sue braccia.

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Capitolo 14
*** Una strana metamorfosi ***


Lyrica si trovava in mezzo ad un immenso campo di grano, con qualche fiore di papavero sparso qui e là che spuntavano tra gli steli facendoli sembrare più dei folletti che dei fiori. Era calato il tramonto e il profumo di quei grossi fiori dai colori sgargianti riempiva l’aria, mentre le nuvole rosate si muovevano in veloci spirali nel cielo, dirette verso l’orizzonte, come attirate da qualcosa. A un certo punto vide correre verso di lei un bambino. Era identico a Piccolo quando lo aveva incontrato, vestito con quella stessa tunica viola, ma Lyrica era consapevole che non poteva essere lui. Sentiva che quel bambino aveva anche qualcosa di suo: il modo in cui sorrideva, come se la sapesse lunga su qualcosa e si divertisse a tenerti sulle spine, oppure come accarezzava gli steli del grano ed il modo in cui gli si illuminavano gli occhi quando aveva alzato la testa e aveva visto le nuvole avanzare. Poi il bambino aveva posato lo sguardo su di lei e le aveva sorriso. La diciottenne sentì il cuore riempirsi di un amore così intenso che sentiva gli occhi pizzicarle per le lacrime. Allora lui si avvicinò di corsa e le buttò le braccia attorno al collo, urlando “Mamma!”. Fu allora che Lyrica si svegliò.

Era lì, stesa su un letto a due piazze, posto in una delle stanze più grandi del castello di pietra, con Piccolo profondamente addormentato al suo fianco. Mancava poco all’alba. Erano passati tre mesi dal fatidico torneo ma le cose, tra loro, non erano cambiate poi così tanto: Piccolo si svegliava all’alba, andava verso la parte più desolata del deserto e si allenava per tutto il giorno. Ritornava solo a tarda notte, portando con sé qualche provvista e qualche pezzo di minerale che trovava durante i suoi viaggi, che lei vedeva solo di mattina, quando lui se n’era già andato via da un pezzo. Allora Lyrica aveva iniziato al pomeriggio a perlustrare il deserto, a studiarne le rare piante e gli animali, ad allenarsi con le arti marziali e la magia. Inoltre, di mattina, lavorava part-time in una erboristeria nel paese vicino. Le rare volte che il demone veniva durante il pomeriggio, difficilmente le rivolgeva qualche parola che non fossero monosillabi o delle domande brevi, tutte formulate con tono scontroso, come se anche la sua voce gli desse fastidio. L’unico cambiamento che c’era stato tra i due era che, qualche volta, facevano sesso. Solo allora lui diveniva leggermente tenero nei suoi confronti, attento a darle piacere ad ogni carezza e bacio, tormentandola dolcemente finché entrambi non raggiungevano il culmine. Poi tutto ritornava com’era prima. Dopo i orgasmi lui non la guardava neanche negli occhi. Si scostava andando dalla sua parte del letto e si addormentava. La giovane sospirò. Non immaginava in questo modo la sua vita sentimentale.

Si voltò verso il demone e non riuscì a trattenere un sorriso. Però… Come le sembrava carino mentre dormiva… Lui si mosse nel sonno, borbottando, e si strinse contro il suo corpo, poggiando la testa sul suo petto appena sopra i seni e cingendola per i fianchi con un braccio. Quando ebbe assunto quella posizione, egli fece una specie di sospiro di sollievo, continuando a dormire. “Mi ha scambiata per un cuscino” pensò Lyrica, divertita. Dato che non riuscì più a riaddormentarsi, la ragazza decise di organizzarsi la giornata “Potrei gironzolare per la metropoli con qualche amica, se riuscirò a contattarne una, e mangiarmi un grosso, cremoso e bel gela…”. Un fastidioso prurito la strappò dai suoi pensieri. Si grattò la testa e sentì tra i capelli qualcosa di morbido “Ma che…”. Si portò la mano davanti ai occhi, che quasi le uscirono dalle orbite quando vide che stringeva una manciata di petali di margherite “E queste da dove sono saltate fuori?!?”.

Si toccò ancora la testa e si accorse, con raccapriccio, che le margherite spuntavano dal suo cuoio capelluto, come i suoi capelli naturali, ed erano anche grosse “Oddio!”. I raggi del sole filtrarono attraverso le finestre e Piccolo si mise a grugnire “Si sta svegliando!” urlò nella sua testa Lyrica “Non deve vedermi in questo stato! Mi sfotterà a vita!”. Prese il cuscino da sotto la nuca e se lo schiaffò sul viso, in modo che tutta la testa, dal mento in su, fosse coperto. “Spero che Piccolo mi ignori come al suo solito…” pregò mentre lo sentiva muoversi. Dapprima lo sentì scostarsi da lei con inconsueta lentezza, indugiando la testa contro il suo petto. “Sente i battiti cardiaci accelerati! Devo inventarmi qualcosa altrimenti non si scollerà più di dosso!”. Allora la ragazza fece un grugnito e si girò su un lato, costringendo Piccolo a scostarsi del tutto. Il letto cigolò, segno che si era seduto, ma egli non scese. Anche se non lo poteva vedere in faccia, sentiva gli occhi del demone fissi sulla sua persona.

“NONPORTIDOMANDENONPORTIDOMANDENONPORTIDOMAND”.

Piccolo fissava stranito la ragazza. Ella aveva messo la testa sotto il cuscino, talmente stretto che rischiava di soffocarsi, con una manciata di petali di margherite strette in una mano. Effettivamente… tutto il suo lato era ricoperto di petali bianchi. Si guardò attorno ma non vide da nessuna parte i fiori.

“Cazzo! I petali! Sono così cretina! E ora che faccio?!?” pensò lei. Un attimo dopo sentì la voce del demone chiamarla “Lyrica?” “Mmh…” rispose, facendo finta di essersi svegliata in quel momento, senza togliersi il cuscino “Perché ci sono dei petali?” “Petali?” “Si… ci sono dei petali di margherita sparsi ovunque sulla tua parte del letto”. Lei fece finta di pensarci su “Ah! Tranquillo, dopo pulisco… Un colpo di aspira briciole ed è fatta…” “Ma perché ci sono?” “Bella domanda…” “Che?”. A quel punto, Lyrica fece finta di perdere la pazienza “Tola’at, con molta probabilità sono le cinque del mattino! Voglio dormire!”. Sentì una lieve pressione sulle tempie ed aggiunse “E non azzardarti a leggermi nella mente!” “Và al diavolo!” esclamò il demone, saltando giù dal letto, schioccando le dita per vestirsi e uscì, sbattendo la porta.

La ragazza aspettò che lui fosse uscito anche di casa, impossibile non sentirlo visto che stava imprecando nella sua lingua, poi si precipitò in bagno e guardò la situazione. Stava decisamente peggiorando. Delle grosse margherite bianche le erano spuntate su tutta la calotta cranica, salvandole solo la frangia, ed ora era spuntati anche dei rami d’edera sotto la nuca, che si era attorcigliata attorno ai capelli più lunghi, formando dei rasta. Però ciò che la lasciò senza parole furono le macchie, bianche con contorni marroni, sotto agli occhi a mo di lentiggini e… le corna da cervo che le stavano crescendo a vista d’occhio. “Devo sapere che mi sta succedendo…” si disse, dopo essersi ripresa dallo choc “Potrebbe essere qualche rara malattia oppure, a furia di stare con Piccolo, sto diventando un demone anch’io… Ci dovrà essere un motivo!”. Entrò di nuovo nella stanza, si preparò un bagaglio a mano e una mise adatta per il viaggio. La stanza ora, rispetto a quando era arrivata, era molto più ammobiliata, molto confortevole e molto pulita (Se Piccolo vedeva qualcosa fuori posto diventava isterico… Aveva imparato quasi con la forza ad essere una brava casalinga). Oltre ai mobili che aveva preso dal suo vecchio appartamento, dentro a una capsula posta in una trousse di uno dei zaini campestri, aveva trovato una casa portatile che lei successivamente aveva trasformato in un laboratorio per le sue pozioni, ma alcuni mobili li aveva trasferiti nell’edificio come gli armadi, le cassiere e gli attrezzi da cucina. Come al solito trovò su uno dei comodini un po’ di frutta fresca.

Mangiò una mela con avidità, da qualche giorno era sempre affamata, e si affrettò ad uscire dall’edificio. Si era messa una tunica dalle maniche lunghe che le arrivava alle caviglie, di cotone, provvista di tasche ai fianchi, verde chiaro con bordi dorati, e dei sandali alla schiava dai lacci dello stesso colore. La testa era coperta dal cappuccio dell’abito, talmente ampio che il bordo le arrivava quasi agli occhi, saldato da qualche molletta affinché non scivolasse ad ogni folata di vento. Accarezzò con le dita uno degli stipiti dell’ingresso dove aveva inciso la parola “Huis”, che nella sua lingua natia significava “Casa”, come augurio e tirò fuori una capsula Hoi Poi dalle tasche. Pigiò il tasto e la gettò a terra. Quando la nuvola di fumo si dissipò, al suo posto c’era una motocicletta da corsa, bianca argentea, con due grosse ruote adatte ad attraversare su quel terreno accidentato e pieno di sassi. Si mise subito a cavalcioni sul mezzo e partì alla volta della città più vicina.

Quando vide la moto della ragazza partire, Piccolo si lanciò al suo inseguimento, tenendosi a debita distanza in modo che la sua stessa ombra non lo tradisse durante il tragitto. Lyrica gli stava nascondendo qualcosa, questo era poco ma sicuro, ed era anche convinto di sapere cosa. Quella piccola stronza… Quell’ingrata… Quella sgualdrina… si era trovata un amante! “Tranquillo, dopo pulisco, un colpo di aspira briciole ed è fatta” la scimmiottò il demone, con gli occhi iniettati di sangue “So io cosa farò con il tuo fottuto aspira briciole: lo utilizzerò per strappare la lingua a te e al tuo spasimante!”. Era così preso dalla sua smania di vendetta che non si accorse subito che la ragazza era sparita. Non sentiva più nemmeno la sua aura! Frenò di colpo e si guardò intorno “Com’è possibile?!? Non può essere sparita così!”. Cercò di concentrarsi meglio ma era come cercare un ago in un pagliaio. A quel punto subentrò, nella sua mente, un ricordo.

Aveva dieci o undici anni. Lui e Lyrica stavano giocando a nascondino nel giardino del King Castle. Piccolo l’aveva cercata per ore tra i cespugli e tra le fronde degli alberi, perfino nelle acque del lago artificiale, ma lei sembrava che fosse stata inghiottita dalla terra. Solo quando aveva urlato, sul colmo dell’esasperazione “Mi arrendo!” era spuntata fuori, all’improvviso al suo fianco, facendogli prendere un colpo. “Come hai fatto?!?” disse allora il ragazzino “Magia” rispose il Piccolo di adesso. Strinse le mani a pugno ed urlò con quanto fiato aveva in corpo “LYRICA!”.

“Buongiorno giovane fanciulla, come può aiutarti la Vecchia Sibilla?”. Lì per lì Lyrica non riuscì a spiccicare parola. Appena era entrata in città aveva sentito il bisogno di dirigersi verso determinate strade, alcune principali ed altre un po’ celate da vicoli, finché non arrivò in quest’enorme edificio che sembrava fuori dal mondo. Ad aspettarla c’era una vecchietta vestita di nero, con capelli a caschetto color lillà e piccolissima di statura. Era seduta a cavalcioni su un grosso globo di cristallo, che fluttuava a mezzo metro da terra. Nonostante l’aria affabile, gli occhi scuri dell’anziana trasudavano furbizia. Era cresciuta circondata da gente del genere, sicuramente avrebbe voluto qualcosa in cambio dei suoi servigi. Doveva stare molto attenta. “Sono venuta da te, ahot heks, per chiederti di aiutarmi a risolvere questo mistero…” sospirò la giovane, cauta. Si tolse tutti i fermagli del cappuccio e mostrò la testa alla vecchietta, che fece un sobbalzo sulla sfera, e aggiunse “Questa mattina mi sono svegliata che avevo la testa coperta di margherite e, man mano che passa il tempo, sia l’edera che i palchi da cervo, crescono e si avvinghiano ai miei capelli come se volessero sostituirli e causandomi un forte prurito…”. L’anziana donna si avvicinò titubante e, con gesti delicati, studiò la testa della giovane “Incredibile… Non avevo mai visto una cosa del genere…” “Significa che non puoi aiutarmi?” domandò l’altra, sconfortata. La Vecchia Sibilla scosse la testa “Non ho detto questo: anche se non ho l’idea di cosa ti stia accadendo, ho qualcosa che potrebbe aiutarti a far luce su questo mistero”. La prese per mano e la condusse verso un giardino posto all’interno dell’edificio, dove l’anziana aveva piantato un’infinità e più di piante aromatiche. Arrivate lì, la donna lasciò la ragazza e si diresse verso una piccola pianticella che cresceva tra le crepe di una roccia posta al centro del giardino. Essa aveva delle grosse foglie dai bordi seghettati color grigio-blu, cosparse di polverina argentea. I fiorellini bianchi erano appena sbocciati e rilasciavano, insieme ad altre piante, un forte aroma che ricordava l’odore del mare. Lyrica sussultò. Era una pianta che conosceva benissimo. La vecchietta, vedendo la sua reazione, sorrise “Ah! Vedo che sei un’intenditrice di piante”. La tolse delicatamente dalla roccia e gliela portò “Questa è la mistica Peonia Ipnosi, una pianta molto rara dalle proprietà magiche… Si dice che bruciando le sue foglie a mo di incenso si riesca ad avere risposta ad ogni domanda”. Le mostrò meglio la pianta “Come puoi vedere, l’esemplare che possiedo io è interrato e, fra un paio di mesi, quando si sarà essiccata del tutto, sarà pronta a fare i semi…”. Lyrica, con gli occhi pieni di gratitudine, stava per prendere la pianta ma la Vecchia Sibilla rovinò l’entusiasmo con queste parole “Può essere tua al modico prezzo di 30.000 Zeny…” “Cosa?!? Dovrei pagarti?!?” esclamò a voce alta la giovane, scandalizzata. La donna si inacidì “Certo! Che razza di domanda mi fai, ragazza!”. Lyrica era furiosa “E’ inconcepibile! Ridicolo! Da dove venivo io le streghe aiutavano il prossimo con la loro conoscenza e la loro magia senza farsi pagare neanche un centesimo!” “Allora ritorna nella tua Wonderland se hai così tanta premura di essere aiutata…” ribatté spiccia la vecchietta. La ragazza si mordicchiò l’unghia del pollice. C’era da aspettarselo che la megera le chiedesse del denaro, perché si arrabbiava così tanto? Tirò un paio di respiri profondi e domandò “Senti, al momento non sono fornita di denaro ma se mi procurassi la cifra… La potrei comprare senza tante storie?” “E’ una domanda piuttosto stupida visto che mi par ovvia la risposta”. Lyrica mise le mani a mo di supplica “Allora tieni quella pianta per me finché non tornerò con la cifra pattuita… Non venderla a nessun altro, per favore!”. La donna si accarezzò il mento “Posso darti tempo fino a domani, un mio cliente abitudinario e pieno di soldi vuole avere questa pianta, poi dovrai arrangiarti”.

“Brava Lyrica! Sei la solita scema!” si rimproverò la giovane dopo esser uscita dal palazzo della strega “Come farò a procurarmi una simile cifra? Questa volta siamo con il culo a terra! L’incantesimo di offuscamento non durerà in eterno e quando finirà Piccolo mi troverà e, dopo essersi sbellicato dalle risate, farà saltare in aria la città!”. Si appoggiò contro il muro di un negozio lì vicino e sospirò “Questa volta solo un miracolo potrà aiutarmi…”. Una bambina con i capelli violetti e un cappello da baseball con le ali piumate, corse allegramente verso un gruppo di gente che si era raggruppata in un angolo della piazza in fondo alla strada. Era accompagnata da due angioletti dai capelli verdi e una coppia con un bambino di nove anni e una bimba volante di due. “Che bello! Si sta svolgendo un combattimento nella piazza!” “Ehi, Arale! Aspettaci!” gridò il bambino allontanandosi dai suoi genitori e raggiungendo la folla. La ragazza guardò stranita il gruppetto e si disse “Un combattimento stradale?”. Decise di seguirli, curiosa. Arrivò vicino ad un alto muro di mattoni dove c’era un tipo, vestito con gli abiti cinesi, che faceva sfoggio di alcune posizioni d’attacco di arti marziali. Un altro, più basso e tarchiato diceva attraverso il megafono “Chi vuole sfidare il grande Keng Fu? Il vincitore dell’incontro si aggiudicherà ben 50.000 Zeny!”. Un’insieme di voci fece “Oh!”, echeggiando nell’aria.

La giovane squittì dalla gioia “Non ci posso credere a così tanta fortuna! Non devo farmi sfuggire l’occasione!”. Si avvicinò al tappeto che delineava il ring e urlò “Voglio provarci io, se non vi dispiace!”. Tutti si voltarono. Ella si avvicinò a loro, facendo un timido sorriso. L’atleta la guardò canzonatorio e disse “Mi dispiace ma non lotto contro le donne, soprattutto se sono così carine…” “Perché hai paura di fare una figura di merda?” lo provocò lei, scaldando i muscoli. L’altro ringhiò “Perché i miei pugni sono micidiali… con un colpo allo stomaco potrei farti andare all’altro mondo, ma se insisti…” si mise in posizione “Se vinco stasera uscirai con me…” “Se vinco io, invece, voglio 80.000 Zeny…” ribatté l’altra con un ghigno. Per una volta i duri allenamenti che aveva fatto con Piccolo furono molto più che utili. In un secondo il grande Keng Fu venne sconfitto dalla bella forestiera.

Arale si avvicinò alla ragazza, dopo che quest’ultima ritirò l’incasso “Sei stata bravissima! Era da tanto che non vedevo qualcuno così forte!” “Dovevi venire al torneo tre mesi fa sull’isola Papaya… allora si che vedevi gente veramente in gamba…” ribatté Lyrica. Ora con ben 80.000 zeny avrebbe potuto comprare la fatidica pianta che le avrebbe svelato che cosa stesse accadendo al suo corpo. “Arale! Non disturbare la signorina” iniziò a dire l’uomo ma lei lo interruppe “Questa dolcissima bambina non mi sta disturbando per niente…” e gli sorrise allegra. Si fermò a chiacchierare con quella strampalata famiglia per un po’ diventandone subito amica. Insieme a loro ritornò dalla Vecchia Sibilla e prese la pianta. Quando la mostrò ai suoi nuovi amici, spiegandogli il motivo del perché la cercava, Midori si rivolse al marito “Potrebbe essere il regalo perfetto per le nozze di Akane e Ping, Sembei! Cosa potrebbe esserci di più originale di una visione del loro futuro?”. Poi si rivolse alla mora e la pregò “Potresti darci qualche foglia di questa pianta magica? Siamo disposti anche a pagartele…”. Lyrica scosse la testa e disse “Da dove provenivo io le heks, le streghe, usavano la loro conoscenza e la loro magia per aiutare il prossimo…”. Afferrò le mani di Midori e aggiunse “Voglio far io stessa il rito per questa coppia!” “Davvero lo faresti?” domandò Arale, tutta allegra. Lyrica le rispose con un ampio sorriso. “Allora vieni con noi! Abitiamo al Villaggio Pinguino, che è appena venti minuti da qui…”.

La notte arrivò così presto che Lyrica si sorprese. Tra canti, ballate, abbuffate, risate, scherzi e chiacchierate aveva perso la nozione del tempo. Si era divertita tantissimo. Erano appena passate la mezzanotte quando decise che era arrivato il momento di tornare a casa ma prima si diresse verso un boschetto che si trovava ai limiti del paese. Lì compì il suo incantesimo di rivelazione con le foglie che le erano rimaste, mettendo i boccioli piena di semi acerbi con cura nella tasca. Le bruciò nel piccolo fuocherello che aveva acceso e aspirò i fumi violacei che produssero. Subito fu colta dalle vertigini, così forti che si trovò sdraiata a terra senza che se ne rendesse pienamente conto. Le immagini del sogno che aveva fatto la notte precedente le sovraffollavano la mente, così veloci che aumentò il senso di vertigine e scoppiare a piangere, poi una voce che credeva di aver dimenticato da tempo irruppe nella sua testa fermando il fiume di immagini e dandole pace “Mijn klein ankor! Un giorno anche tu avrai un bambino e, quando lo aspetterai nel tuo grembo, il tuo corpo subirà molti cambiamenti. Noi siamo la voce dell’universo e della natura... Noi siamo Noa!”.

Lyrica si riprese che era quasi l’alba. Era stesa a terra, accanto a un gruppetto di braci che rilasciavano un leggero zaffo di mare e con una patina di sudore che rendeva la tunica appiccicosa. Si alzò lentamente in piedi. Dunque era questo il motivo, il perché si stava, poco a poco, trasformando in un fenomeno da baraccone… Aspettava un bambino... Il bambino del sogno!

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Capitolo 15
*** La nascita di Drak ***


Quando ritornò a casa, a tarda mattinata, rimase scioccata da ciò che vide: il pozzo che aveva accuratamente ristrutturato era in frantumi e la terra attorno era bruciata. Da alcune finestre della Huis provenivano fili di fumo, facendola sembrare un immenso porta incenso che invece di odorare di nebbia, odorava di legna e piume bruciate. Entrò con circospezione nell’edificio. Tutti i mobili erano spaccati e bruciati, con i resti sparsi per terra. Sul muro della cucina, in bella vista, erano state impiantate con forza le posate in modo da formare una parola “Puttana… che artista…” borbottò lei sarcastica. Ispezionò le altre stanze trovando solo distruzione, fumo e caos. Salì con cautela una rampa di scale di pietra, che conducevano al piano superiore dove c’erano la camera da letto ed il bagno. Sbirciò nella prima stanza.

Piccolo era lì, con le mani sulla faccia, in mezzo alle macerie, seduto sul letto ormai distrutto. Le piume dei cuscini si muovevano ad ogni spiffero d’aria, facendoli sembrare fiocchi di neve. Lyrica lo guardò come se fosse un bambino capriccioso che aveva fatto una marachella “Si può sapere che cosa ti è preso?” sbottò alla fine. Lui tolse le mani dal viso e si voltò di scatto a guardarla. Non l’aveva visto così furioso da quando combatteva contro Goku. Le fece molta paura ma lo nascose bene. “L’hai proprio conciata male…” continuò con nonchalance “Non credevo di trovare questo bordello solo per una nottata fuori…”. Camminò intorno alla stanza, prese un oggettino che si frantumò fra le sue dita. Lui non distolse gli occhi da lei. Apriva e chiudeva le mani, continuando a osservarla mentre si muoveva. Infine Lyrica si parò di fronte a lui. Si fissarono. “Hai intenzione di continuare a guardarmi come se volessi uccidermi o vuoi passare ai fatti?”.

Lui scattò in piedi, d’improvviso, e prima che la ragazza potesse reagire le afferrò con forza il collo e la costrinse a guardarlo negli occhi “Dove cazzo sei stata?!? Hai idea di quanto sei stata via?!?” “Sono andata in una città qui vicino perché pensavo di avere dei problemi di salute…” rantolò lei, mettendogli una mano attorno al polso cercando di fargli allentare la presa. “Puttanate!” urlò l’altro “Non avresti usato la tua magia per mascherare la tua aura per una cosa del genere, sei una fottuta guaritrice! Lo so perché sei rimasta fuori così a lungo… Ti sei incontrata con qualcuno?”. Mentre diceva queste parole le frugò le tasche della tunica e trovò i soldi che le erano rimasti. Li guardò con gli occhi sbarrati. Anche lei li guardò e già si era immaginata cosa stesse pensando il demonio “Come puoi solo insinuare che io…?!”.

In quel lieve smarrimento, Lyrica si liberò dalla presa del ragazzo e gli strappò via i soldi dalle mani “Li ho vinti in uno di quei stupidi incontri che fanno per strada in città! Poi ho incontrato una famigliola, abbiamo fatto amicizia, mi hanno invitato a una festa…”. Si fissarono per un lungo momento. Poi lei abbassò lo sguardo e borbottò “Davvero vuoi sapere perché sono andata in città?”. Lui incrociò le braccia e fece un cenno assertivo con la testa. Allora la ragazza si sfilò il cappuccio e gli mostrò quello che c’era sotto.

Piccolo rimase basito a tale vista. Fortunatamente le corna non avevano superato gli otto centimetri ma avevano un sacco di ramificazioni, come una tiara fatta di legno muschiato, mentre le margherite facevano cadere i petali più vecchi verso il pavimento. Le foglie dell’edera avevano assunto delle sfumature biancastre e sembrava aver preso posto dei reali capelli. “C-Che cos’è tutta questa roba?” domandò lui ed allungò una mano per toccarle le corna “E’… una reazione che ha avuto il mio corpo a causa… della gravidanza” “Gravidanza?” ripeté l’altro, incredulo. Lei annuì, gli prese la mano e la poggiò sul suo ventre “Aspetto un bambino ed è tuo…”. Lui si concentrò finché non individuò la presenza del bambino. Aveva ragione… Nessun uomo poteva dar vita a una creatura così forte “Sei andata in città perché volevi abortire?” “No!” esclamò lei, inorridita dall’idea “Sono andata in città perché non sapevo che cosa mi stava succedendo! Poi mi sono ricordata che…” “Fammi indovinare…” sbottò Piccolo meditabondo “Da dove venivi le donne, quando erano gravide, le si riempivano la testa di margherite e le spuntavano corna da muflone…” “Sono da cervo” borbottò lei, un po’ offesa “Comunque si… il concetto è quello…”. Lui tolse la mano dal suo ventre e ringhiò “D’ora in poi non dovrai più usare il tuo potere per celare la tua presenza… soprattutto con me!” “Non mi conviene visto che quando ritorno a casa sembra che ci sia passato un tifone!” ribatté Lyrica mettendosi le mani sui fianchi “Ringrazia che sia stato questo posto e non la città dove sei stata”. L’altra si tormentò un rametto d’edera, per poi sbuffare “Ora chi lo mette a posto tutto ‘sto casino?”. Piccolo la guardò male, schioccò le dita e in un attimo tutto ritornò come se la furia del nuovo Grande Mago non si fosse mai abbattuta nella Huis.

Dopo nove mesi…

Il cielo era ricoperto da nuvole fitte e nere, che nemmeno il vento irrequieto dell’inverno riusciva a spazzar via. Lyrica si alzò dal letto, con il viso madido di sudore, e si trascinò con fatica verso l’uscita della Huis. Le doglie erano iniziate, terribili, lasciandola fin da subito quasi senza forze. Quando arrivò fuori dall’ingresso si appoggiò su uno stipite, stremata, e guardò il cielo. Le nuvole si erano fatte ancora più scure e venivano attraversate da lampi abbaglianti e rombi di tuono così forti da far tremare la terra. Se Piccolo sentiva la sua aura non c’era bisogno di chiamarlo ma ispirò l’aria a pieni polmoni e urlò il suo nome, seguito da un gemito di dolore. Dopo due minuti il demone si fece vedere, fluttuando in aria. “Che ci fai fuori? Vuoi morire?” urlò lui sovrastando il rumore del vento. Lei lo guardò sofferente “Il bambino sta per nascere ma non ce la faccio a partorire da sola! Devo andare in un centro ospedaliero… Portami lì!” “Non dire fesserie!” gridò l’altro “Ci penso io a portarti qualcuno, ma ora ritorni dentro e non ti muovi da qui perché se succede qualcosa a mio figlio giuro che ti ammazzo!” e volò via.

Lyrica lo fissò fino a che divenne un punto lontano, poi ebbe delle altre contrazioni e si affrettò a ritornare dentro. Si trascinò di nuovo fino alla camera e, arrivata sul letto, iniziò a fare dei respiri profondi. Per fortuna, il giorno prima, il suo aspetto era tornato quello di prima e non avrebbe più suscitato stupore o paura. Già c’era Piccolo che terrorizzava il prossimo solo con uno sguardo.

Piccolo ritornò un quarto d’ora dopo ed aveva portato con sé tre vecchiette vestite uguali, piccoline e con tante rughe, prelevate da un paesino nei limiti del deserto. Prima di condurle da Lyrica, le aveva minacciate “Se capiterà qualcosa alla donna o al bambino, sappiate che la vostra misera vita giungerà al termine insieme a quella di tutto il vostro patetico villaggio di matusa…”. Le tre annuirono, terrorizzate. Quando furono spinte in camera si aspettavano di vedere un altro mostro verde, ma rimasero ammaliate dalla bellezza della ragazza. Piccolo si avvicinò a Lyrica e con una delle sue enormi mani le toccò il pancione “Ha un’aura molto potente…” disse soddisfatto. Lei gli afferrò la mano e bisbigliò, ansiosa “Ti prego… Non andartene!”. Piccolo la fissò “Starò dietro alla porta…” borbottò alla fine, scostandosi e lasciando che le megere si prendessero cura di lei.

Il parto si rivelò molto difficile e lungo. Intanto fuori si stava scatenando un temporale senza precedenti. Lyrica faceva tutto ciò che le vecchiette le dicevano ma più di una volta urlò a squarciagola dal dolore. Piccolo, nel sentirla gridare così, fu tentato più volte di entrare nella stanza e di ammazzare quelle megere. Il cielo e la terra furono scossi dai fulmini, tanto che uno colpì il terreno vicino alla casa. Fu allora che si udì il pianto di un neonato. Il figlio di Piccolo era venuto alla luce. Una delle vecchine lavò il bambino, un’altra informò Lyrica della nascita di un bel maschietto e l’ultima, terrorizzata e tutta tremante, andò a chiamare il demone. La prima vecchietta portò alla giovane donna il bambino, che lo prese amorevolmente tra le braccia e sussurrò con un filo di voce “Drak”.

Entrò Piccolo, sbattendo la porta e facendo svolazzare il mantello bianco. I suoi occhi puntarono alle nonnine, minacciosi, ed ordinò “Sparite!”. Le tre non se lo fecero ripetere. La giovane sbuffò “Potresti essere più gentile almeno oggi che è nato tuo figlio…” “Il Grande Mago Piccolo odia la gentilezza” replicò lui, seccato, avvicinandosi al letto. Lyrica non era mai stata così bella e, allo stesso tempo, così fragile: i capelli corvini, che ora portava lunghi fino ai fianchi, le si erano appiccicati sulle guance arrossate e il viso era stanco. Gli occhi erano due monete d’oro purissimo, diventati insolitamente dolci. Le sue labbra si curvarono in un dolce sorriso che divenne più ampio verso il figlio.

Piccolo si chinò a vedere il bambino. Identico a lui in tutto e per tutto, tranne per le placche che aveva di un giallo verdognolo invece che rosa scuro. Lyrica guardò il neonato che aveva tra le braccia con così tanto amore e sussurrò flebilmente “Guarda Piccolo… Ha già i denti…”. Allungò un dito verso la bocca del bambino, se lo bucò con uno dei suoi piccoli canini e gli fece bere il sangue ricavato. Fece tutto questo con una tale naturalezza che il demone se ne accorse solo dopo un paio di minuti “Gli hai fatto bere il tuo sangue” constatò sorpreso, sedendosi sul letto accanto a lei “Da dove venivo, le donne fanno bere un po’ del loro sangue ai loro neonati…” “Che cosa stupida…” borbottò lui ma si ricordò che non era la prima volta che lei metteva in pratica una delle sue stupidissime e insolite tradizioni. “Quando sono entrato lo hai chiamato Drak... E’ un’altra parola della tua lingua?” domandò Piccolo, cambiando argomento. La ragazza scosse la testa e rispose “Drak sarà il suo nome…” “No!” ribatté lui “Il bambino si chiamerà Piccolo, come me e mio padre!”. Le prese delicatamente il bambino, avvolgendolo in un’altra coperta pregiata, color blu intenso con ricami in oro che aveva creato in quel momento apposta per lui. “Se trovi stupida la mia tradizione di fargli bere il mio sangue, io trovo stupida la tua di dargli il tuo stesso nome!” borbottò lei lasciandosi cadere sui cuscini, stremata. “Che donna impossibile…” pensò Piccolo dirigendosi verso il balcone che si trovava in camera. “Riuscirà a vederlo da là in alto?” gli domandò lei, intuendo quello che voleva fare. Lui le sorrise malignamente “Certo! E’ o non è il Dio della Terra?”.

Con un violento calcio aprì le imposte. Il neonato si agitò e piagnucolò per quell’improvviso cambiamento di temperatura ma il padre lo coprì meglio e urlò, diretto al cielo “Inizia ad avere paura Supremo! Lui è il mio erede, il mio braccio destro quando conquisterò il mondo, come mio padre fece prima di me! Egli sarà il flagello di ogni miserabile umano su questo pianeta! Quando Goku cadrà per mano nostra, condurrà il mondo nel caos! Ah, ah, ah, ah!”.

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Capitolo 16
*** Una nuova minaccia ***


Dopo cinque anni…

“Drak! Sai dov’è andato a finire tuo padre?” “E’ andato a meditare in mezzo al deserto” “Ancora?!?”. Lyrica stese i panni su una delle corde ben tese tra due pali vicino al lato sinistro della casa. C’erano soltanto i suoi vestiti, le lenzuola e le tende perché sia gli abiti di Piccolo che di suo figlio venivano puntualmente stracciati durante i durissimi allenamenti che impartiva il primo e ricreati dal medesimo come se nulla fosse successo. Fece un sospiro, scostandosi senza successo le ciocche che aveva davanti agli occhi, sfuggite dalla allacciatura dell’elastico con cui aveva fatto una coda di cavallo. Il suo abito da casa, un vestito sobrio color azzurro lungo fino ai polpacci con sopra un grembiule bianco, metteva in mostra le caviglie esili e la pelle color latte. “Da quando è riuscito a creare quella tecnica per uccidere Goku non fa altro… Se continua così diventerà tutt’uno con la roccia” “Ih, ih, ih!”.

Il piccolo demonietto di quattro anni era impegnato a eseguire le mosse insegnatagli da suo padre con abilità e precisione, dando pugni e calci in aria e facendo qualche piccola acrobazia volante, come se fosse davanti a un nemico che solo lui poteva vedere. Fisicamente Drak era identico a Piccolo quando aveva la sua età ma, a differenza del genitore, era più espansivo e le elargiva sempre un sorrisetto malizioso, saccente e furbo. Indossava una tuta simile a quella paterna ma era completamente nera, con la cintura e i contorni dell’ideogramma Ma in giallo oro.

La giovane donna si voltò verso il bambino e gli disse “Ora che ci penso… Non mi hai fatto vedere i compiti…”. Drak si fermò e alzò gli occhi al cielo “Ma mamma! Sono così noiosi! E poi non penso che mi serviranno in futuro… Quando io e il Mago conquisteremo il mondo, la prima cosa che farò sarà quello di abolire ogni tipo di educazione!”. Questa volta fu lei ad alzare gli occhi al cielo “Te l’avrò detto un centinaio di volte: devi chiamare tuo padre Papà o Padre e non il Mago…” “Il Mago dice che tu mi devi chiamare Piccolo o Junior e non Drak…”. Lyrica scoppiò a ridere di gusto. Suo figlio aveva anche una lingua tagliente e la risposta sempre pronta.

Si avvicinò a lui e gli sussurrò, con molta dolcezza “Ti chiamo Drak perché fu questo il nome che sentii nel mio cuore dal primo attimo in cui ti vidi… Invece Mago o Grande Mago è il nomignolo con cui gli schiavi e gli abitanti della Terra chiamavano tuo padre e tuo nonno…”. Il bambino storse la bocca “Sarà… però non riesco a chiamarlo papà…”. Si mise seduto a terra e fissò la madre con insicurezza “Non credo nemmeno che lui mi reputi degno del nome dei Daimao… E’ sempre così arrabbiato con me…” “Tesoro, non è vero!” ribatté la donna. Si inginocchiò accanto al figlio e lo strinse a sé “Sai… Lui è un uomo molto introverso e raramente manifesta i suoi sentimenti, ma è sempre stato orgoglioso di te fin dal giorno in cui sei nato…”. Drak le rivolse un piccolo sorriso, un pochino rassicurato, ma qualcosa, all’improvviso, lo turbò. Si scostò dalla madre e guardò un punto nel cielo.

“Che succede?” si allarmò Lyrica, notando l’espressione che diveniva sempre più terrorizzata di Drak. “Il Mago…” rispose lui “Sento la sua aura ed è molto scossa… Si trova insieme a due persone dall’aura potentissima… Aspetta! Ce ne un’altra ancora ma… è sparita…”. A un certo punto scattò in piedi, sconvolto “Questo è…”. Non finì di parlare che il bambino si librò in aria. “Drak! Cosa fai? Dove stai andando?” “Il Mago sta usando il Makanko Sappo! Sta combattendo contro Goku!” e volò verso l’orizzonte. Lyrica gridò “Non andare, potrebbe essere pericoloso! Torna qui!” ma il bambino era già molto lontano ed a nulla valsero le sue grida.

Quando Drak arrivò, la battaglia era finita. Due uomini dai capelli neri e l’aspetto umano erano stesi a terra con un foro che li trapassava da parte a parte il torace, macchiando l’erba verde con il loro stesso sangue. C’era anche un bambino vicino a loro, vestito con molta eleganza, che doveva avere più o meno la sua età, svenuto, con la coda scimmiesca che si agitava debolmente. L’unico che era rimasto in piedi era suo padre, che li fissava con espressione indecifrabile, pieno di lividi e senza più un braccio. Per il Grande Mago perdere un arto era niente. Bastava aspettare pochi attimi e ne sarebbe cresciuto un altro.

Il bambino si mise a guardare il buco inflitto dal raggio del padre sui corpi dei due tizi che giacevano a terra. Deglutì e balbettò “Q- questo è il M- Makanko Sappo?” “Si, Junior…” rispose Piccolo “E’ una tecnica molto potente e un giorno te la insegnerò…”. Drak deglutì ancora. Non era sicuro di volerla apprendere ma sotto l’occhiataccia del genitore non poté fare a meno di borbottare “Sarebbe un onore…” “Poveri idioti…” biascicò una voce. L’uomo dalla chioma lunga, vestito con un’insolita armatura che non aveva mai visto prima e che sfoggiava anche lui una coda scimmiesca, guardò loro due trucemente e rantolò “I miei compari arriveranno tra un anno e sono molto più forti di me... Mi resusciteranno… grazie… alle vostre… Sfere del Drago…” “Bastardo!” ringhiò Piccolo sputandogli addosso tutta la tensione “Hai tenuto quel maledetto aggeggio acceso!”. Egli sghignazzò, sputando un po’ di sangue “Ormai per voi non c’è più speranza, vermi!”. Poi divenne serio e mormorò, tristemente “Melody… Capsy… Mehila…”. Fece un ultimo sussulto e morì.

Drak fece un lieve sussulto. Mehila… perché gli risuonava così familiare? Dove l’aveva sentita? Stava per chiederlo a suo padre quando sentì arrivare un aereo, che planò ed atterrò in mezzo alla radura, facendo scendere un vecchio con la barba bianca e gli occhiali da sole, un giovane basso e pelato ed infine una giovane donna molto attraente dagli occhi e capelli turchini. Essi si misero vicini all’altro uomo, che solo allora Drak si accorse che era ancora vivo. Egli bisbigliò qualcosa al tipo pelato e poi, alla fine, morì anche lui. Il suo corpo sparì, suscitando lo stupore di tutti i presenti. Piccolo prese parola “Sarà stato il Supremo… solo lui può fare una cosa del genere…” “Il Supremo?” ripeté il bambino, ancor di più stupito. Sua madre gli aveva raccontato che una volta lui e suo nonno formavano lo stesso essere e che un giorno si erano separati. Solo che suo nonno era la reincarnazione del male mentre il Dio della Terra era un uomo giusto e buono, anche se era ottuso in certi casi. E sapeva anche che il Mago era ancora legato vitalmente a questa persona… Se un giorno il Supremo sarebbe morto, anche Piccolo avrebbe seguito la sua sorte. Aveva sempre desiderato conoscerlo e imparare da lui qualche tecnica.

Piccolo andò a riprendersi il mantello e il cappello con i pesi da centinaia di chili. Intanto il gruppo si era accorto del piccolo demonietto e lo avevano circondato, curiosi “Non ci posso credere” disse il vecchio stupito “Non sarai per caso…” guardò Piccolo che a sua volta lo guardò storto. “Sei suo figlio?!?” gridò la turchina spalancando gli occhi e indicando con un dito il Mago. Il bambino annuì, un po’ confuso dalle loro reazioni. In condizioni normali avrebbe sparato una frecciatina ma capì che non era il caso di farlo. Intanto Piccolo fece ricrescere il braccio “E allora? Che cosa c’e di strano?” ringhiò verso il gruppo. “Niente!” si affrettò a dire il ragazzo pelato “Però non credevo che tu fossi il tipo che mette su famiglia… Tutto qui…”. La donna si rivolse a Drak, sorridendo timidamente “Io mi chiamo Bulma e tu come ti chiami?” “Mi chiamo Dr…” stava per rispondere lui ma vedendo l’occhiata penetrante del padre, abbassò gli occhi e bisbigliò debolmente “Piccolo… come mio padre e mio nonno…”. Il Mago si avvicinò al figlio e sbottò “Non ci credo! Tua madre continua imperterrita a chiamarti con quel stupido nome? Quante volte avrò detto a quella donna che ti chiami come me e tuo nonno?!?” “Mamma dice che il tuo nome porta sfiga ed è per questo che mi chiama Drak…” replicò il bambino, non riuscendo a trattenersi.

Bulma, il maestro Muten e Crilin si misero a ridacchiare ma si interruppero subito dopo un’occhiataccia che gli lanciò Piccolo. “Ne riparleremo più tardi” sibilò al figlio socchiudendo gli occhi, e per dare un taglio netto sia all’argomento che alla spiacevole situazione, raccontò i fatti al gruppo. “Il figlio di Goku verrà con noi! Con un adeguato allenamento diventerà molto forte…” disse alla fine prendendo il bambino svenuto in braccio “Ci rivedremo tra un anno…” e volò via. Drak fece per salutarli con la mano ed un sorriso ma il padre gli ordinò, urlando “Muoviti!” così ci rinunciò.

Piccolo e Drak ritornarono alla Huis. C’era Lyrica ad attenderli, visibilmente in ansia. Quando loro atterrarono si avvicinò a Piccolo e notò il bambino svenuto che portava in braccio “Di chi è questo bambino?” “E’ il figlio di Goku… Credo che il suo nome sia Gohan…” rispose lui. Davanti a lei non riuscì a nascondere il turbamento che gli aveva inflitto le ultime parole del Sayan ed era piuttosto pensieroso. Lyrica sapeva che, quando Piccolo era con questo stato d’animo, doveva lasciarlo in pace ma non riuscì a trattenersi “Che cosa è successo prima? Contro chi stavi lottando? Contro Goku? E come mai hai portato qui suo figlio?” continuò a domandare lei ma il demone si voltò verso il figlio e ringhiò, seccato “Junior, spiega la situazione a tua madre e poi preparati. Io intanto vado a svegliare questo moccioso…” e senza degnare di uno sguardo la donna, se ne volò via.

Drak si avvicinò alla madre e le spiegò l’accaduto ed aggiunse “… Il Mago vuole che io e questo bambino ci alleniamo per riuscire ad affrontare i due Sayan che stanno arrivando… Dice che arriveranno più o meno tra un anno…”. Lyrica era sconvolta. Capiva benissimo la gravità della situazione ma perché portargli via suo figlio? Perché non poteva allenarli qui vicino? Avevano un immenso deserto a disposizione! E la moglie di Goku sapeva dov’era il suo bambino? E i Sayan… Possibile che… “Mamma?” la chiamò Drak, riportandola al presente. Lei si riprese e lo stinse forte a sé, cercando di trattenere le lacrime “Drak… voglio sapere che cosa vuoi fare. Ignora gli ordini di tuo padre e dimmi se vuoi andare veramente a combattere contro questi Sayan…”. Il bambino ricambiò il gesto a sua volta, con affetto, e dopo qualche titubanza lui le rispose “Si… Perché se mi tirassi indietro darei una possibilità in più a quei bastardi di prendersi il nostro pianeta…”. Allora Lyrica prese dalla tasca del suo grembiule qualcosa. Era una collanina di corda con una pietra ad occhio di tigre arancio-marrone come ciondolo e glielo porse “Portalo sempre al collo… Può salvarti, anche se per una sola volta, la vita e ti aiuterà nel bisogno…”. Drak prese il monile “Sarà per me un tesoro inestimabile”. Si riabbracciarono con forza e Lyrica lasciò scorrere le lacrime insieme a quelle di suo figlio.

“Come mai ci hai messo tanto? E che cos’hai attorno al collo?” gli domandò Piccolo, quando atterrò affianco a lui nei pressi del grande lago “E’ un regalo che mi ha fatto la mamma… ha detto che mi proteggerà…”. Con una mano toccò il monile e glielo mostrò meglio. L’uomo alzò gli occhi al cielo e borbottò “Lyrica e le sue stupide tradizioni…”. Tornò a guardare il figlio, scocciato “L’unica cosa che potrà proteggerti dai Sayan sarà un severissimo addestramento... Ora va a mettiti affianco a Gohan!”. Il piccolo demone si affrettò di eseguire l’ordine e si mise accanto all’altro bambino e gli diede una rapida occhiata: stava tremando di fronte a suo padre e sapeva benissimo come ci si sentiva. Anche lui aveva segretamente paura del genitore.

“Come stavo dicendo…” borbottò Piccolo “Rimarrete qui, su quest’isola, da soli, per circa sei mesi…”. Si rivolse a Drak e borbottò “Junior, tu sei già avvezzo nell’arte del combattimento ma Gohan deve fare tutto dall’inizio, come a percepire la sua forza e quella degli altri. Tienilo d’occhio…”. Si librò in aria. “Che cosa fai?” urlò il piccolo mezzo Sayan da terra “Vuoi davvero lasciarci qui da soli?”. Lui si innalzò di più e sghignazzò “Non sarete completamente da soli… Qui ci sono un sacco di animali selvatici smaniosi di fare uno spuntino con voi…”. Si rivolse di nuovo al figlio “Tornerò fra sei mesi! Mi raccomando Junior, insegnali quell’abbastanza per farlo sopravvivere e controllare la sua forza…”. Detto questo si allontanò. L’ultima cosa che sentì provenire dall’isola deserta furono i pianti disperati del piccolo Sayan ed i goffi tentativi di Drak di calmarlo.

Quando Piccolo tornò nella Huis trovò una Lyrica a lui conosciuta già qualche anno fa: i suoi occhi sembravano carichi di energia elettrica ed i capelli fluttuavano nel vento. La donna si mise in posa d’attacco e ringhiò “Tu… maledetto Tola’at! Dove hai portato il mio bambino?!?” e senza aspettare una risposta gli sferrò un pugno, che lo colpì con forza sulla guancia, facendolo sanguinare dalla bocca. Iniziò un arduo combattimento. Piccolo riusciva difficilmente a tenerle testa: non per niente era stata la sua compagna d’allenamenti. Evitò per un soffio che le unghie gli graffiassero la faccia ed un pugno diretto al suo stomaco però prese in pieno una potente ginocchiata al fianco, che lo fece gemere di dolore. La donna iniziò a colpirlo al petto con una serie di spinte elettrificate, gridando tra i denti, fino a che Piccolo riuscì a bloccarle le braccia afferrandole i polsi. Lei iniziò a dibattersi ma il demone aumentò la presa e urlò “Adesso smettila!”. Lyrica continuò per un paio di minuti poi, all’improvviso, si fermò e scoppiò a piangere.

Lui la lasciò andare lentamente e mormorò un “Che ti prende ora?” tra il cauto e l’imbarazzato, pulendosi di nuovo l’angolo della bocca con il dorso della mano. Lyrica si gettò tra le sue braccia, per tutta risposta, e gli inondò di grosse lacrime la parte superiore del mantello e della maglietta. Piccolo si irrigidì ancor di più, con le guance che gli andavano a fuoco per l’imbarazzo, ma posò comunque le mani sulle spalle, sentendole fremere ad ogni singhiozzo. Come al solito, rimase sconvolto dalla differenza della statura. Era così piccola e esile eppure quel corpo racchiudeva la tenacia e la forza di una tigre. Fu allora che lei balbettò “M-Madu’a? Niet idan tamelijk Leviathan? Niet idan tamelijk?!?” “Che hai detto?”. Lei tirò su con il naso “Sei un maledetto bastardo… Drak ha solo quattro anni e lo mandi già contro la morte! Se è vero che questi Sayan sono molto più potenti di quello che hai affrontato insieme a Goku…” “Junior è un valente guerriero: la sua forza è di gran lunga superiore di come ce l’avevo io alla sua età… Se lo allenerò come si deve, potrebbe anche superarmi…” “E lo dovevi portare così lontano?” “Non deve avere distrazioni”. La donna pensò “Lui o tu?”.

Lyrica si tirò un po’ all’indietro e lo guardò negli occhi. Poi fece una cosa che l’uomo non si aspettava: si mise in punta di piedi, attirandolo verso di sé e lo baciò sulle labbra. Lui poteva sentire sulle sue labbra il sapore salino delle lacrime. Senza quasi rendersene conto, Piccolo rispose al bacio con foga, aiutandola a reggersi sulle punte, tenendola per i fianchi. Dopo un po’ si separarono. Lei poggiò la testa sul suo petto e mormorò “Scusami… non avrei dovuto…”. Il demone la scostò delicatamente e fece per volare via ma Lyrica riuscì ad afferrarlo per una mano ed a trattenerlo a mezz’aria. Si voltò. I suoi occhi si persero in quel mare d’oro, lucidi di lacrime ma pieni di determinazione. “Allenami” disse con voce ferma “Voglio combattere anch’io contro i Sayan”.

Lui sghignazzò “Chissà perché non ne sono sorpreso…”. Ritornò serio e disse “Scordatelo, non sei all’altezza…” “Come puoi dirlo? Poco fa facevi fatica a contrattaccare i miei colpi!” “Questo significa solo che sei forte quanto me ed io sono riuscito a malapena a vincere contro questo Sayan… figurati se ti ritrovassi di fronte ai suoi due compari” “Per questo…”. Piccolo la azzittì “Non so nemmeno se basterà! Questo potrebbe essere l’ultimo anno di vita che mi rimane! Potrei morire per mano loro oppure quel maledetto vecchiaccio che sta lassù si deciderà a tirare le cuoia, portandomi con sé all’inferno!”. Lei sussultò a quelle parole e lui si morse le labbra. Aveva parlato troppo.

Lyrica gli prese le mani e le strinse fra le sue, intrecciando le dita, e poggiò la fronte contro il petto. Piccolo si irrigidì un po’ ma accettò quel contatto fisico ed arrivò perfino a baciarla tra i capelli. Non ci furono bisogno di parole. Ormai era inutile negarlo… Non riuscivano più a ingannare nemmeno sé stessi.

Lui la condusse dentro casa e, quando furono in camera, senza vestiti e sdraiati sul letto, lasciarono che fossero le loro mani, i loro occhi e il loro baci a parlare. Arrivò il tramonto.

Piccolo stava accarezzando dolcemente la schiena di Lyrica, profondamente addormentata. La sua testa era appoggiata sulla sua spalla e aveva sul volto un’espressione quasi serena. Sarebbe rimasto per ore a guardarla dormire ma non poteva più attardarsi. Doveva allenarsi a sua volta e controllare i bambini che aveva lasciato sull’isola. Si alzò dal letto, attento a non svegliarla, si vestì in un secondo e si diresse verso l’uscita. Sospirò. Era la seconda volta che la stava abbandonando. Scosse la testa. Non era il momento di pensarci. Il destino della Terra era un po’ anche nelle sue mani.

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Capitolo 17
*** Sull'isola ***


Intanto sull’isola…

“UUUAAHHHH! Non voglio stare qui! Voglio tornare a casa mia!” urlò Gohan, piangendo disperato. Erano passati solo quindici minuti che suo padre era andato via che già Drak non sopportava più quel piagnucolante moccioso. All’inizio gli aveva fatto un po’ pena perché gli ricordava sé stesso ai primi allenamenti con il genitore, ma tutto aveva un limite “Piantala! Mi stai perforando i timpani!” gridò, sperando che la sua voce sovrastasse tutto quel rumore e tappandosi contemporaneamente le orecchie appuntite. Il piccolo Sayan si calmò un pochino “C-come fai a rimanere c-così t-tranquillo?” gli domandò tirando su con il naso “Il tuo p–papà ci ha abbandonati su un isola deserta e tu? Non hai paura?” “Certo che ho paura!” gli rispose Drak “Ma non posso mica stare a piangermi addosso come stai facendo tu!”. Gohan si offese ma smise di piangere. “Per prima cosa dobbiamo cercare dell’acqua e fare un rifugio vicino ad essa…” continuò Drak togliendosi le mani dai lati della testa “Per cui andremo ad esplorare l’isola…”. Fece qualche passo ma si accorse che il coetaneo non lo stava seguendo. Era rimasto a fissarlo con un’espressione da cane bastonato, senza muovere un muscolo. “Vuoi startene lì impalato ad aspettare le bestie feroci o vieni con me?”. Il bambino non rispose così Drak si voltò e iniziò ad allontanarsi. Il mezzo Sayan, alla fine, lo chiamò, impaurito “Aspetta, vengo anch’io! Non lasciarmi qui da solo!”.

Drak sbuffò. Sei mesi con questo qui sarebbero stati un’eternità e se c’era una vaga possibilità che lui divenga un guerriero era pari a cavar sangue da una rapa. Dopo un ora di cammino non erano riusciti ancora a trovare niente. “Ehi, tu… Ho sete ed inizio ad aver fame…” “Chiariamo subito delle cose, scimmiotto…” sibilò l’altro bambino, voltandosi. Lo colpì improvvisamente con un calcio allo stomaco, che fece cadere Gohan a terra, lo afferrò per la collottola della canottiera e chiuse una mano a pugno e gliela mise sotto il naso “In primis, io non mi chiamo –Ehi tu-. Se proprio devi rivolgermi la parola, e il Dio della Terra abbia la pietà che sia il meno possibile, puoi chiamarmi anche Drak oppure Junior, non me ne frega quale scegli. Seconda cosa: qua siamo sulla stessa barca per cui ti consiglio vivamente di abbandonare ogni piagnisteo, ordine e ogni tipo di tono vocale che non sia di deferenza… Non sono un cane o il tuo draghetto domestico. Terzo: se mi rompi le scatole, ti rompo le ossa… CHIARO?!?” lo lasciò andare “Ora alzati e vedi…”. Non riuscì a finire di parlare. Un ruggito alle sue spalle lo fece voltare di scatto. A pochi metri di distanza c’era un ferocissimo tirannosauro dalle tre corna. Gohan, nel vederlo, iniziò ad urlare ed a tremare come una foglia. “Bene Gohan! Ora fa quello che ti dico…” gli iniziò a dire Drak, mettendosi in posizione d’attacco, ma l’altro bambino si mise a correre nella direzione opposta, urlando a squarciagola dalla paura. “Stronzo! Me la pagherai questa” borbottò il demonietto e cercò di affrontare il dinosauro da solo. Però l’animale sembrava aver preso di mira il piccolo Sayan e partì al suo inseguimento.

Drak li vide allontanarsi e, ridacchiando, disse “Questa non me la voglio perdere…”. Volò al loro inseguimento fino a quando sentì l’aura del ragazzino e lo trovò in cima ad una altissima montagna ricoperta d’erba, che piangeva come un dannato. Il dinosauro se n’era andato via da un pezzo, confuso. “WAAAA! Adesso come faccio a scendere?!?” strillò Gohan, disperato “Drak, dove sei?!? Aiutami!” “Che tipo…” borbottò Drak avvicinandosi ma una mano sulla spalla lo fermò. Era Piccolo. Il bambino tremò appena “P-Pensavo che saresti tornato fra…” “Ogni tanto dovrò venire a controllarvi ma non dirlo a Gohan”. Lo vide in cima alla montagna, urlante, e ringhiò “E lui sarebbe il figlio di Goku?!?” “Vado ad aiutarlo” borbottò il figlio ma il padre lo trattenne “Fermati Junior! Lascia che se la cavi da solo…” “Ma…” “Non imparerà mai se c’è sempre qualcuno pronto ad aiutarlo!”.

Gohan rimase là in cima per tutto il giorno e, anche quando il sole era ormai sceso all’orizzonte, lui si trovava ancora lì. Calò la notte. In cielo splendevano le stelle come mille lucciole e la luna piena illuminava la landa desolata rendendola magica. Gohan si stese per terra, raggomitolandosi e tremando per il freddo. Perché Drak non era venuto ancora a prenderlo? Iniziò a lamentarsi per la fame. Alla fine Piccolo, stufo di sentire tutte quelle continue lagne, gli lanciò due mele. Entrambi lo videro mangiarsele con avidità, lamentandosi ad ogni morso perché erano ancora acerbe, per poi addormentarsi raggomitolato per terra. “Che tipo…” ripeté il demonietto, fissandolo. Poi padre e figlio iniziarono a meditare. Solo quando si accorsero che Gohan si era svegliato smisero. Dopo aver fatto pipì, il bimbo sollevò la testa e guardò la luna. Subito il suo sguardo si fece assente. Il corpo di Drak ebbe un tremito “Ma che…”.

Gohan si stava trasformando: il suo corpo si stava ingigantendo a vista d’occhio, ricoprendosi di una fitta pelliccia nera. Il viso si allungò e spuntarono nella bocca diverse zanne affilate mentre gli occhi divenivano completamente rossi. Alla fine divenne un grosso scimmione dagli occhi di fuoco grande quanto una montagna. Il mostro ruggì, furioso, e iniziò a distruggere l’area circostante. “Che cosa gli sta succedendo?!?” urlò Drak, schivando per un pelo una grossa sfera di energia che gli era fuoriuscita dalla bocca. “Deve essere il potere nascosto di cui parlava Radish, il Sayan che ho ammazzato!” gridò Piccolo, voltandosi verso la luna “Junior, dobbiamo distruggerla! Altrimenti Gohan distruggerà la Terra prima che arrivino i due Sayan”. Drak si concentrò. Unì le mani e puntò gli indici uniti contro il satellite mentre il padre spalancò una mano e fece altrettanto. Dai indici uniti di Drak spuntò una sfera piccola ma molto potente, che lanciò ad altissima velocità, come un proiettile, inseguita dal raggio di Piccolo. La luna esplose in mille frammenti argentati.

Alla Huis, Lyrica si stava allenando. Era concentrata sulla sua energia spirituale ed ascoltava la natura che la circondava. Il suo scopo era quello di unirsi a Piccolo nella lotta contro i Sayan. Doveva assolutamente vederli e… Si sentì un boato echeggiare nell’aria. Lei guardò il cielo e vide la luna esplodere, fino a diventare polvere argentea nel cielo notturno. Lyrica sentì fin nelle ossa lo sconvolgimento della natura, lasciandola d’improvviso senza forze. Chinò la testa e si mise a contatto con la terra, cercando l’artefice della distruzione del satellite. Quando lì scoprì borbottò “Che esagerazione…”.

Il mattino seguente, Gohan si risvegliò e si accorse di essere steso per terra, con Drak al suo fianco che lo guardava con una strana espressione. Ma la cosa che lo fece squittire di sorpresa fu che al posto dei pantaloni verdi e della canotta, aveva addosso una tutta simile a quella del padre e una spada. E la coda… non c’era più! “Stai bene?” domandò cautamente il demonietto. Il mezzo Sayan lo fissò, confuso “Si perché? Cosa è successo mentre dormivo?” “N-Niente…” balbettò l’altro tenendosi a distanza di sicurezza. Poi si riprese e domandò “Allora? Sei pronto per le lezioni intensive di sopravvivenza?” “Cosa è successo ai miei vestiti e perché non ho più la coda? E poi perché ci hai messo tanto ad arrivare?” “Se tu non fossi scappato come una femminuccia di fronte al dinosauro ti avrei trovato prima! La montagna è crollata durante la notte, tu non ti sei rotto niente ma i tuoi vestiti erano diventati carta straccia così ne ho recuperati degli altri! E mentre ti tiravo fuori dai detriti mi è rimasta in mano la tua stramaledetta coda! Ora se hai finito con le domande sceme possiamo iniziare ad allenarci?!?”. Gohan si irrigidì di fronte alla rabbia del coetaneo, poi borbottò “Scusa io…”. Drak alzò le spalle e borbottò, seccato “Dai… abbiamo un anno difficile davanti a noi…”.

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Capitolo 18
*** Ied kuurt ***


Dopo un anno…

Era arrivato il fatidico giorno. Lyrica sollevò lo sguardo dalla sferetta di cristallo e la ripose nella sacca di velluto blu dove la riponeva ogni volta che finiva di consultarla. Uscì fuori dalla Huis, accarezzandone come al solito l’incisione sullo stipite, prese una capsula Hoi Poi e l’attivò. All’interno c’era la moto più potente del suo inventario: tre volte più grande di una moto normale, essa era di metallo cromato d’argento, dalla forma allungata come la punta di una freccia, quattro fari simili a occhi, e al posto delle ruote c’erano due grossissime eliche antigravitazionali. Salì sul mezzo e si concentrò. Grazie alla collanina che aveva donato al figlio fu facile trovare la loro postazione e partì a tutta velocità verso quella direzione. C’erano tantissime cose che aveva celato sia a Piccolo che a Drak ma… adesso non doveva pensarci. Avrebbe raccontato tutto a tempo debito.

Quando arrivò alla landa desolata, sia i due namecciani che Gohan la fissavano stupiti. “M-Mamma?” balbettò il figlio “C-Che cosa ci fai q- qui?” “Come? E’ così che saluti tua madre dopo un anno che non la vedi?” sbottò lei facendo il finto broncio. Poi, con tono più dolce, gli chiese “Non vieni ad abbracciarmi?”. Drak si avvicinò titubante alla donna, che lo strinse forte a sé “Tesoro… Mi sei mancato così tanto…” “A-Anche tu mi sei mancata…” rispose l’altro, rosso. “E’ incredibile… Sei sempre nei posti dove non dovresti esserci!” le gridò Piccolo avvicinandosi “Come ci hai trovato? Un anno fa non sapevi percepire le aure…” “E non le so percepire neanche ora…” rispose lei sciogliendosi dall’abbraccio “Però sono brava a percepire l’energia delle pietre” e dette un’occhiata eloquente alla collanina attorno al collo di Drak. Piccolo fece un sospiro esasperato. Doveva aspettarselo da lei… perché continuava a stupirsi?

La guardò male e ringhiò “Non ci servono spettatori… Tornatene a casa!” “Chi ti ha detto che sono qui per guardare?” ribatté Lyrica, aspra “Sono qui per combattere insieme a voi…”. Piccolo spalancò gli occhi ed urlò, prendendola per un braccio “Sei impazzita?!? Non ci pensare neanche! Se credi che non ti faranno niente perché sei una donna ti sbagli di grosso!” “Lasciami!” urlò di rimando lei “So benissimo che sono degli esseri spietati e che sono incredibilmente forti, ma anch’io mi sono allenata come tutti voi...” “Se non riesci neanche a liberarti dalla mia presa!” la schernì lui con un sorriso perfido. Allora Lyrica, con lo stesso braccio che Piccolo teneva prigioniero, gli diede una pacca sul gomito con tanto di scossa elettrica. Il namecciano sentì un formicolio al braccio, seguito dall’intorpidimento, e perse la presa sulla donna. Durò per pochi secondi, poi riprese sensibilità al braccio. “Soddisfatto adesso?” gli domandò Lyrica, con aria di sfida. I due si fissarono in cagnesco.

Gohan e Drak fecero dei passi all’indietro “E’ meglio che ci allontaniamo…” “Già… Sento anche da qui che al signor Piccolo gli girano…” ed andarono a sedersi ai piedi di una rupe, a qualche metro di distanza. Piccolo guardò la mise della donna e fece un verso di disappunto: aveva una maglietta blu scuro, senza maniche, in stile asiatico, con l’allacciatura laterale. I pantaloni, anch’essi asiatici, erano di una pregiata seta, bianco perla, che stringevano le caviglie e, come al solito, aveva i piedi nudi. “Non penso che i Sayan ti faranno fare un giro su una passerella…” sbottò infine il namecciano. Poi la prese per le spalle e disse “Ma sei ancora in tempo per tornartene indietro. Va a casa e restaci finché noi non torniamo…” “La vuoi smettere di dirmi di tornare a casa?!?” urlò Lyrica, spingendolo via “Non mi farai cambiare idea!” “Perché devi essere così dura di comprendonio… Potresti morire!” “Anche voi rischiate la vostra vita andando ad affrontarli!” ribatté lei, con rabbia. Piccolo le strinse con più forza le spalle “Junior è un guerriero formidabile ed è bravissimo con l’energia spirituale, a differenza di te… Per quanto ti sia allenata la tua forza è misera in confronto a quella che ho raggiunto in quest’anno…” “Come fai a dirlo se da anni che non mi vedi combattere? Pensi che abbia dimenticato le arti marziali che mi insegnò tuo padre? La mia magia non sarà come il vostro Ki, ma è potente e so fare cose che tu neanche sogni!” “Questa discussione è durata anche troppo! Perché continui ad insistere?!?” “Non torno a casa senza mio figlio e…” lì la donna si interruppe un attimo, rossa in viso, poi lo guardò negli occhi e mormorò a bassa voce “… Senza di te…”.

Piccolo si irrigidì per un secondo. Lyrica capì che i Sayan erano ormai molto vicini al pianeta, visto che Crilin era arrivato ed i due bambini gli erano andati incontro. Stava per fare la stessa cosa ma il namecciano l’aveva trattenuta. La fissò a lungo negli occhi, intensamente “Ti prometto che non succederà niente a Junior… ci sarò io a proteggerlo…”. Lei stava per ribattere ma l’altro la azzittì baciandola sulle labbra. Dopo qualche istante si separarono e lui le accarezzò una guancia con il dorso delle dita. Poi le mormorò dolcemente “Ied kuurkt” “Cosa dia…?!”. Lyrica non riuscì a finire la frase. Piccolo l’aveva colpita di taglio al lato del collo con la stessa mano che le aveva carezzato il viso, così forte da farle perdere i sensi. La prese in braccio e la adagiò in mezzo a dei cespugli poco lontano dalla radura. Si assicurò che i rami delle piante non la graffiassero, le accarezzò la testa e raggiunse gli altri. Quando si avvicinò, Drak gli chiese “Dov’è la mamma?” “Sono riuscito a convincerla ad andarsene…” sbottò lui scontroso. Vedendo l’occhiata scettica, così simile a quella della donna, Piccolo gli ringhiò “Non seccarmi con delle stupide domande e rimani concentrato! LORO sono qui…”.

Lyrica riprese coscienza quasi due ore dopo. Il collo era rigido e le faceva terribilmente male sul punto dove Piccolo l’aveva colpita. “Stronzo bastardo!” pensò furiosa “Fino a questo punto è arrivato! Ah! Ma se pensa che gli faccia fare i suoi comodi si sbaglia di grosso!”. Si alzò e si tolse i fili d’erba rimasti attaccati sugli abiti. Poi fece un respiro profondo, spazzando via i pensieri dalla testa, e si concentrò. Cercò di captare l’energia del ciondolo di Drak ma non la sentì da nessuna parte. Ritornò in sé e ripeté l’operazione aumentando il campo di ricerca ma anche questa volta non percepì niente. Fu colta dal terrore. C’erano solo due motivi per non riuscire a sentire l’energia della pietra: il primo che avesse svolto il suo dovere di amuleto protettivo e quindi si fosse consumata fino a diventare polvere. La seconda ipotesi era che il proprietario della pietra fosse morto.

Si affrettò ad andare a cercarli, stando attenta ad ogni minimo suono. Dopo mezz’ora di accurata ricerca scorse una figura distesa a terra. Il suo cuore perse i battiti “PICCOLO!”. Corse verso di lui, inciampando tra le rocce e le lacrime che le offuscavano la vista. Quando lo ebbe raggiunto, si inginocchiò al suo fianco ed urlò disperata. Piccolo giaceva lì, morto, con profonde ferite e lividi su tutto il corpo e gli abiti strappati. Gli mise la testa sul petto, sperando di cogliere qualche debole battito cardiaco ma fu invano. Scoppiò a piangere. “Tu… Maledetto!” singhiozzò “Perché non mi hai permesso di combattere al tuo fianco? Io… come farò… senza… di te?”. Pianse per un po’ sul corpo del namecciano ma poi un pensiero la fece riprendere “Drak! Devo trovare Drak!” si asciugò le lacrime. Si mise dritta e cercò di comunicare con la terra e la natura che la circondava. Chiuse gli occhi. Fu molto difficile liberare la mente e sentire le voci delle pietre, il dolore la straziava, ma alla fine riuscì a trovare una lieve traccia. Si alzò in piedi e la seguì.

Trovò Drak qualche radura più in là, svenuto ma ancora vivo. Corse verso di lui, ringraziando la natura con un sussurro, e lo prese delicatamente in braccio. Vederlo ridotto così le straziava il cuore ma almeno lui era riuscito a sopravvivere. Poco lontano vide Crilin, in piedi, che guardava un punto fisso nel cielo, serio “C-Crilin?” lo chiamò lei, titubante. Lui distolse lo sguardo e guardò Lyrica, confuso, per poi esclamare “Ti conosco! Sei quella ragazza che era con Piccolo al torneo di arti marziali… Lyrica giusto?”. Lei annuì, sorridendogli appena. “Come sta Junior?” domandò l’uomo, vedendo il piccolo namecciano tra le sue braccia “Ha perso i sensi ma se la caverà…” rispose lei dando un’occhiata al figlio. Tornò a guardarlo e gli chiese “Sei rimasto solo tu?” “Gohan è laggiù… Ha perso i sensi dopo che è diventato uno scimmione ma è ancora vivo…” le rispose l’altro e indicò il bambino che giaceva nudo poco più in là “E Goku è da quella parte. Non riesce a muoversi”. Stettero in silenzio. “E i Sayan?” domandò lei, cauta. Crilin chinò la testa e borbottò “Uno è morto, l’ha ammazzato il suo compare quando non è riuscito a sconfiggere Goku… che è riuscito a scappare con la sua navicella spaziale” “Presumo che fossero Nappa e Vegeta…” mormorò lei, dando un’occhiata nei dintorni e, trovato Goku, gli andò incontro “Come?” urlò Crilin sconvolto “Conosci quei due?!?”.

Lyrica non gli rispose e si avvicinò all’altro “Così hai salvato di nuovo la Terra…” gli mormorò quando arrivò “Ah! Sei tu. Eh, eh…” sussurrò Goku “Non è stato solo merito mio… sia Gohan che Junior sono diventati davvero forti. Piccolo è stato un buon maestro…” la guardò, diventando serio “Mi dispiace”. La donna sorrise amaramente. “E’ morto per una giusta causa” tagliò corto. Crilin le si avvicinò, serio “Non mi hai risposto prima” “Non mi sembrava che tu avessi fatto una domanda ma una constatazione” ribatté lei voltandosi verso il pelato “Ma ogni modo… Lo sentite? Sta arrivando un aereo”. Quando i due furono distratti dal aereo di Bulma, mormorò ad entrambi “Non posso rispondere alle vostre domande… Non ancora…”.

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Capitolo 19
*** La navicella del Supremo ***


Quando il mezzo atterrò, scese anche Chichi, preoccupata a morte per il figlio, che intanto Crilin aveva preso in braccio. Saltò il corpo del marito, prese il bambino guardandolo malissimo e lo avvolse nella coperta, urlando che non l’avrebbe più lasciato. Il suo sguardo si posò infine su Lyrica, sospettosa. Drak intanto si riprese e notò che era tra le braccia di sua madre. “M-Mamma? Ma cosa ci fai qui? P-Papà mi aveva detto che eri tornata a casa!”.

Lei lo guardò sbigottita… Suo figlio aveva chiamato Piccolo Papà?!? “Ehi! Che fine ha fatto Vegeta?” domandò il piccolo namecciano, allarmato “E’ riuscito a scappare…” ripeté di nuovo Crilin, pensieroso. Il gatto parlante che abitava all’obelisco sotto il palazzo del Supremo, Karin, miagolò “I senzu sono finiti e dovremo aspettare un po’ prima che ricrescano… Dovrete dirigervi in un ospedale” “Vieni anche tu?” domandò Goku a Lyrica “No…” rispose lei sorridendo “Non posso portare Drak in un centro ospedaliero… Lo curerò da casa” “Le sue ferite sembrano piuttosto serie…” intervenne il Genio, guardando il piccolo namecciano “Le mie conoscenze mediche sono molto superiori a quelle del vostro medico” ribatté lei “E poi mio figlio è identico a Piccolo e non voglio creare scompigli portandolo in città”. Il gruppetto la guardò sbigottito. “Be? Che vi prende?” “Hai appena detto che Junior è tuo figlio!” sussurrò Bulma sbalordita “Si… E’ mio e di Piccolo…” confermò Lyrica, guardandoli a disagio. Madre e figlio si fissarono negli occhi per qualche secondo. Che gruppo strano! “Eh, eh, eh!” ridacchiò Goku “Così si è risolto il mistero… D’altronde chi, se non lei, poteva andare tanto d’accordo con il terribile Grande Mago?”.

Quando Lyrica e Drak ritornarono a casa, la donna lo portò nella sua stanza e lo adagiò sul letto. I mobili della camera del bambino erano fatti tutti di legno e c’erano anche delle statuine che il piccolo namecciano si era divertito a fare con i rimasugli dei mobili che la madre aveva costruito apposta per lui, con la tanto odiata scrivania dove una pila di libri occupava la superficie. Lei guardò il figlio e gli disse, con un sorriso “Vado un attimo a prendere l’occorrente per curarti. Intanto tu…” andò a prendere un libro dalla scrivania e glielo porse “Farai un po’ di recupero delle materie” e lo lasciò con la bocca aperta. Dopo qualche ora passata a curare le ferite del figlio ed il libro completamente dimenticato al fianco del bambino, Lyrica gli raccontò la verità della sua assenza “…Prima di stendermi, tuo padre mi ha detto -Iod Kirk- o una cosa del genere…”. Vide la faccia di Drak. Aveva gli occhi spalancati e faceva un grosso sorriso “Che ti prende?” chiese lei infastidita “Lo sapevo!” esclamò lui, felice, lasciando che il sorriso si allargasse “Cosa?” domandò la donna, irritata “Ma non capisci?!?” rispose l’altro raggiante “Papà ti ha detto Ied kuurkt! Nella lingua namecciana significa –Ti amo-!”. Si lasciò cadere sui cuscini, estasiato “Gohan mi aveva detto che i suoi genitori si dicevano qualche volta questa parola e mi rattristiva che voi, invece, non ve lo dicevate mai, nonostante fosse palese che voi due vi amate”.

Lyrica gli sorrise, divertita. Se Piccolo lo avesse sentito in questo momento, sapeva che sarebbe diventato viola per l’imbarazzo. Si vede che sapeva che stava per morire altrimenti non glielo avrebbe mai confessato. Ora che le veniva in mente… “Drak... Da quando hai smesso di chiamare tuo padre Il Mago?”. Lui la fissò per un secondo e diventò di colpo serio “Ora tocca a me raccontare”.

“I Sayan… Non saprei descriverti il terrore che provai quando li vidi discendere lentamente dal cielo. Fisicamente non sembravano poi così spaventosi, erano simili a qualunque essere umano tranne per gli abiti con la corazza e la coda scimmiesca che era attorcigliata intorno alla loro vita, ma le loro aure… potevo sentire la terra vibrarmi sotto i piedi senza che loro movessero un solo muscolo… Al principio vollero testare la nostra forza, così, tanto per divertirsi. Crearono dei disgustosi esseri verdi grazie a dei semi, grandi quanto me, con occhi dai bulbi rossi e un sorriso maligno… Ci vollero cinque minuti… cinque, maledetti, minuti e la situazione non fece altro che precipitare…”.

Drak le raccontò dei Saibaman, del piano di Crilin e della morte di Yancha, Tensing e Jaozi “Giocavano con noi come farebbe un gatto con dei topolini. A un certo punto io e Gohan riuscimmo ad attaccare Nappa, facendolo scagliare su una montagna ma quello, più che subire danni, si infuriò come una iena. A causa del nostro attacco io mi ero isolato dagli altri e l’energumeno scelse proprio me per sfogare la sua rabbia. Dalla mano scagliò un raggio energetico ad altissima velocità, che non riuscii ad evitare in nessun modo. Sentii un dolore acutissimo e persi la sensibilità su tutto il corpo, fino a precipitare a terra con un tonfo. Fu allora che sentì la sua voce -NOO! Junior… JUNIOR!- . Nappa sghignazzò, divertito -Povero microbo bastardo… ammetto di aver esagerato… - . Papà si voltò verso l’energumeno, sconvolto e furioso, e quello stava ridendo ancora di più nel vedere la sua reazione, ma smise quando mi vide muovermi e si spaventò quando mi rialzai e mi rimisi faticosamente in piedi. Ero incolume! Un po’ bruciacchiato, ma stavo bene e non capivo che cosa era successo. Papà corse da me e mi guardò stupito, afferrandomi per le braccia e cercandomi le ferite. La collana che mi avevi dato, che tenevo sotto la maglia, mi stava bruciando la pelle così la tirai fuori e la mostrai agli altri. Appena lo feci la pietra si sbriciolò in mille pezzi. Vegeta, appena vide la pietra cadere a pezzi, mormorò – Un maghen… ma guarda un po’… - e si mise a ridacchiare. Anche Gohan mi raggiunse e sussurrò -La collanina che ti ha regalato tua madre… Allora era vero quando ha detto che ti avrebbe protetto!-. A rompere quel momento di stupore fu Nappa che, irato del fatto che lo stavamo ignorando, lanciò un altro raggio ancora più potente di quello di prima contro me e Gohan. Questa volta non ci sarebbe stata la collanina a proteggermi ma… Papà… ci fece da scudo con il suo corpo. Sembrava che il tempo si fosse fermato. Lui cadeva a terra lentamente. Poi sentii Gohan urlare -Signor Piccolo!-. Mi risvegliai dal torpore e andai vicino a papà –Junior… G-Gohan… scappate… almeno voi… -. Lo disse con una fatica immensa e i miei occhi si riempirono di lacrime –No… Non ti lasciamo qui… - gli ho detto -Ti porterò dalla mamma… lei… lei… riuscirà sicuramente a curarti!-. Allora lui mi sorrise -Junior… prenditi cura di lei... sa essere così stupida, certe volte… - chiuse gli occhi e anche lui si mise a piangere -Non avrei mai creduto che avrei sacrificato la mia vita per… due mocciosi… - li riaprì -Sono così fiero di voi… ora andate… dovete… vivere… -. Richiuse di nuovo gli occhi e… Eravamo entrambi accecati dalla rabbia – Pa… Pa… Papà!-. Mi alzai in piedi, puntai due dita sulla fronte e lanciai il mio Makanko Sappo, seguito dal Masenko di Gohan. Sprecammo le nostre ultime energie: l’energumeno le parò senza troppe difficoltà. Mi sentii uno stupido, avevo disobbedito agli ordini di papà in punto di morte e stavo per morire anche io. Però, alla fine, arrivò Goku e…”.

Drak raccontò fino a quando Vegeta si era trasformato in un grossa scimmia e l’aveva colpito con una mano così forte da fargli perdere i sensi. Lyrica ascoltò il figlio senza interromperlo. Così Piccolo era morto per salvare la vita di Gohan e di suo figlio. “Nostro figlio” le ricordò una vocina, nella testa. Gli sorrise tristemente e gli sussurrò “Sei stato bravissimo, tesoro mio… Anch’io sono fiera di te. Hai contribuito a salvare il nostro pianeta e l’hai fatto con molto coraggio…”. Il bimbo arrossì con tutti quei complimenti. Lyrica gli accarezzò la testa “Però adesso devi riposarti e dormire un po’… Appena starai meglio andremo a trovare Gohan in ospedale” “Davvero? Grazie mamma!” e l’abbracciò forte. Poi Drak mormorò “Mamma… Cosa faremo adesso? Senza le Sfere del Drago non potremo far risorgere papà…” “Non lo so…” lo interruppe la madre con le lacrime agli occhi. Lo strinse più forte a sé e ripeté con un sussurro lieve “Non lo so…”.

Il bambino si addormentò poco dopo tra le sue braccia. La donna lo adagiò di nuovo sul letto e gli rimboccò le coperte con amore. Gli accarezzò il viso con delicatezza e sospirò “Alla fine mi hanno trovata… Spero che LUI non lo venga a sapere…”.

Passarono alcuni giorni. Lyrica si affacciò alla stanza del figlio e lo chiamò “Drak! Tesoro, svegliati che oggi andiamo a trovare Gohan e gli altri all’ospedale”. Il namecciano si svegliò e constatò, con stupore, che le ferite più gravi erano guarite perfettamente in pochi giorni. Com’era possibile? “Allora? Vieni?” chiese la donna con un sorriso “La colazione si raffredda…”. Il bambino saltò giù dal letto e uscì dalla stanza. Si voltò verso la madre, che era già pronta per uscire. Quel giorno Lyrica aveva i lunghi capelli sciolti, freschi di lavaggio, ed indossava una maglietta leggera, aderente, bianca, che faceva risaltare il seno prosperoso e l’addome piatto. I pantaloncini neri, invece, risaltavano le gambe affusolate ma forti allo stesso tempo. Ai piedi portava degli anfibi neri e alle mani dei guanti senza le dita. Drak la guardò a bocca aperta. La madre gli rivolse un sorriso e chiese “Che cosa c’è tesoro?” “Non vorrai uscire vestita così spero” “Perché? Cosa c’è che non va?” domandò lei, guardandosi “Tutto!” rispose il bambino, allibito “Quella maglietta è troppo aderente, i pantaloncini sono cortissimi e… sbaglio o ti sei anche truccata?!?” “Ho messo solo un velo di rossetto…” si difese lei e alzò gli occhi al cielo “Piuttosto, sbrigati a fare colazione che devi provare alcuni vestiti che ti ho comprato…” “Come?” “Mi hai sentito bene signorino!” rispose Lyrica “Vedi di darti una mossa altrimenti faremo tardi per l’orario delle visite” “Ma…” “Niente ma! Fila subito a fare quello che ti ho detto!”. Drak andò in cucina, scocciato. Lyrica incrociò le braccia e mormorò “Tutto suo padre”.

Dopo qualche minuto, Drak si era nutrito e vestito di tutto punto con gli abiti scelti da lei: una felpa con le tasche grigio chiaro, pantaloni neri simili a quelli della sua tuta e scarpe da ginnastica. “Stai benissimo!” esclamò lei sfoggiando un sorriso smagliante. Lui arrossì “Mi vergogno” “Ma tesoro… E’ solo per qualche ora…” prese da una borsa una specie di cuffia di lana nera con motivi a lettera grigi “Mettiti questo in testa… serve per nascondere le antenne”. Drak sospirò. “Dai su che facciamo tardi” borbottò Lyrica prendendo la mano del bambino. Fuori c’era parcheggiato un chopper blu mare. Diede al figlio un grosso casco bianco con delle alette di stoffa ai lati “Mi devo mettere anche questo?!?” borbottò lui “Vuoi che la mamma prenda una multa una volta giunta in città?” gli domandò di rimando lei, mentre si metteva un casco di colore rosso con delle orecchie da cocker color arancio. Poi, finalmente, sfrecciarono diretti alla Città dell’Ovest.

“Drak! Come sono felice di rivederti! Pensavo che non saresti più venuto!” urlò Gohan quando vide entrare nella stanza il namecciano, seguito dalla madre. “Ehi Gohan!” lo salutò l’altro, sorridendo, ed avvicinandosi al suo letto “Per quanto tempo rimarrai in ospedale?” “Ancora per qualche giorno poi potrò uscire!” rispose il piccolo Sayan. Durante quest’anno di convivenza forzata sull’isola, i due erano diventati amici inseparabili. Lyrica sorrise verso gli altri e notò che Crilin la stava fissando seriamente. “Mi starà fissando così per via di ciò che ho detto l’altra volta… maledetta la mia boccaccia” pensò lei ma ad alta voce gli disse “Ehilà! Come stai Crilin? Vedo che anche tu ti stai riprendendo in fretta…” “Beh, sai com’è… non c’e pioggia, grandine o neve…” replicò lui atono, senza smettere di guardarla storto. Goku girò la testa, per quanto gli era possibile, verso l’amico e domandò, serio “Crilin che ti prende?” “Niente” rispose lui e si voltò a guardare la finestra.

Lyrica e Drak furono informati da Bulma delle sfere di Namek “Allora papà potrà ritornare in vita!” urlò il namecciano con le lacrime ai occhi, che si mise a saltellare per la stanza ed a esultare insieme a Gohan. “Guarda che cosa ha dimenticato il Sayan…” disse allegra Bulma a Lyrica, mostrandole un piccolo apparecchio elettronico simile a una radiolina “Questo è il telecomando per far partire la navicella aliena che sta apparendo in questo momento al telegiornale!”. Lyrica lo fissò attentamente e le chiese “Sai come azionarlo?” “Certamente! Sono un genio in fatto di macchine”. La turchina puntò il comando sullo schermo del televisore e pigiò un pulsante. La navicella esplose in mille pezzi. Crilin guardava storto Lyrica da un po’ “Sta nascondendo qualcosa… Non so cosa, di preciso, ma deve aver a che fare con il suo passato o roba simile... Il fatto che conoscesse Vegeta e Nappa mi fa venire i brividi…”. Una goccia di sudore gli scivolò dalla fronte e gli andò sul viso “Mi dispiace pensar male di lei… soprattutto perché non mi sembra una persona cattiva ed è la madre di Junior, ma… che cosa ci sta nascondendo?”.

I suoi pensieri furono interrotti con l’arrivo di Mr. Popo, l’aiutante del Supremo, che portò su un tappeto volante Bulma per farle vedere un’astronave che era appartenuta al vecchio namecciano. Quando lei tornò indietro era raggiante. Disse che la navicella poteva sopportare il lungo viaggio per Namek, anche se avrebbe dovuto modificare un paio di funzioni, e aggiunse “Però non posso andarci da sola. Qualcuno del gruppo deve venire con me…” poi guardò Drak e disse “Ad esempio tu, Junior. Potrebbe servirci un interprete per comunicare con i namecciani… Piccolo ti ha insegnato la sua lingua natia, giusto?” “Trekas ta ui! (certo che si!)” affermò il bambino, sorridendo, poi si voltò verso la madre, speranzoso. La donna lo guardò severamente “Voglio essere sincera con te Drak… L’idea che tu vada su un pianeta sperduto, di cui neanche tuo nonno serba alcun ricordo, mi preoccupa…”. Tese una mano per zittire sul nascere la protesta del figlio “Potrai essere un valente guerriero ma sono tua madre! Ho tutto il diritto di stare in ansia!”. Rimase per pochi attimi in silenzio e sospirò “Spero che tu sia cosciente che il viaggio che farete non sarà una visita di piacere… I namecciani potrebbero rivelarsi ostili, soprattutto nel voler usare le loro sfere per i nostri scopi…”. Il bambino afferrò la mano della madre e mormorò “Mamma… se c’è anche una piccola speranza per far si che papà torni a casa, voglio prendere la palla al balzo. Non lo faccio solo per me, ma anche per te”. La guardò negli occhi “Anche se non lo ammetti, lo so che vuoi che papà torni…”. La donna arrossì. Poi fece un verso esasperato e sbottò “Discutere con te è diventato impossibile, come con tuo padre! Và se lo ritieni necessario!”. “Quasi, quasi vengo anche io…” disse Crilin “Anche perché Goku, fino a quando non sono pronti i senzu, non potrà uscire di qui…” “Perfetto!” esclamò Bulma schioccando le dita, euforica “Inizio subito a sistemarla! Allora ci sentiamo quando l’astronave sarà pronta!”.

Dopo dieci giorni…

L’astronave bianca superava, con tutto il suo candore, la casa del Genio delle Tartarughe, contrastando il paesaggio tropicale dell’isola. Lyrica e Drak arrivarono laggiù tramite una macchina volante verde bottiglia e con due aluccie in ambo i lati. In lontananza sembrava una manta gigante. Appena videro Bulma e il Genio fermi sulla spiaggia a chiacchierare, la donna si sporse appena dal mezzo e li salutò agitando una mano “Ehilà!”. I due risposero al saluto, il vecchietto con enfasi mentre la turchina con un brusco cenno della mano. Chissà perché era così arrabbiata… Forse centrava il fatto che, anche se faceva particolarmente caldo, si sentiva costretta ad indossare quell’ingombrante tuta da astronauta mentre Lyrica sfoggiava un bel vestito leggero color rosso intenso e con le maniche di pizzo che lasciavano intravedere la pelle nivea delle braccia. Drak, invece, portava una maglietta asiatica senza maniche, nera, con ricamato sul dorso della schiena il simbolo dei Daimao in rosso come i pantaloni.

La mora si rivolse al figlio, porgendogli il bagaglio “Hai messo nella valigia qualcosa di pesante? Non sappiamo che temperatura ci sarà su Namek o che stagione sia in questo momento” “Mamma!” esclamò il bambino, esasperato “Ti ho detto che ho preso tutto! E poi, se dovesse mancarmi qualcosa, lo posso creare con la magia!”. Lei si chinò su Drak e gli sistemò meglio la maglietta “Lo so che sai badare a te stesso ma… lasciami fare un po’ la mamma chioccia…” gli sorrise con amore “Stai crescendo così in fretta…”. Lui arrossì e lasciò che la madre gli allisciasse la maglietta e, prendendo un fazzolettino umido dalle tasche, gli togliesse la polvere dalle guance. Intanto arrivarono Crilin e Gohan.

A Chichi, Lyrica non le piaceva particolarmente. Un po’ perché trovava ridicolo che una donna con figli sfoggiasse così impudicamente il proprio corpo, ma anche perché era venuta a conoscenza che tra lei e suo marito c’era stato del tenero. Però, quando la vide prendersi con così tanta premura del suo bambino, non poté fare a meno di addolcirsi un po’. Crilin e Gohan, invece, si scambiarono una piccola occhiata e si misero a ridacchiare. Drak li guardò storto e incrociò le braccia, come faceva di solito il padre ma quando posò gli occhi su Gohan ridacchiò malignamente anche lui “Bell’abitino che ti sei messo scimmiotto”. Ora era il turno di Gohan ad essere imbarazzato. “Drak! Non essere scortese con Gohan!” lo ammonì Lyrica. Piegò il fazzoletto, rimettendolo in tasca e, d’improvviso, gli scoccò un grosso bacio sulla guancia. Bulma li chiamò. Era arrivato il momento della partenza. “Mi raccomando Drak, fa attenzione. Non correre rischi inutili e ascolta sempre quello che ti diranno Bulma e Crilin”. Lo abbracciò forte “Quando ritornerai, voglio che mi descriva tutto”. Prima di lasciarlo andare, gli diede un altro bacio sulla guancia. “Mamma!” urlò rosso il bambino “Smettila!” “Uh! Se ti imbarazzi per così poco, chissà quando troverai la fidanzata…”.

Intanto nell’aldilà… Piccolo era esausto, nonostante fosse morto. Era arrivato sul pianeta di Re Kaio prima degli altri, mal celando la sua soddisfazione, però sentiva le gambe tremargli per via della gravità, dieci volte più forte di quella terrestre. Si voltò verso gli altri, a qualche metro di distanza. Gli umani stavano boccheggiando come dei pesci fuor d’acqua, sdraiati per terra. Preferiva morire di nuovo piuttosto che far vedere che anche lui risentiva dello sforzo fisico. Aveva già fatto una figura di merda di fronte a loro, era più che sufficiente.

All’inizio si era trovato un po’ spaesato. Ricordava di aver chiuso gli occhi solo per un istante, vinto dal forte dolore che sentiva su tutto il corpo, e quando li aveva riaperti si era ritrovato lì, nell’aldilà, in fila dietro a una moltitudine di fuochi fatui e varie razze con una aureola in testa. Affianco a lui c’erano tutti: Tensing, Jaozi, Yancha e… Lui, il Supremo. L’anziano namecciano non aveva proferito parola. Si avvicinò e lo guardò intensamente. Poi, d’improvviso, il Dio della Terra lo aveva circondato con le braccia e tenuto stretto contro di sé. Gli aveva dato due pacche sulle spalle e, in lingua namecciana, gli aveva sussurrato “Gaj agnam domgoh va gid (Sono molto orgoglioso di te)”. Una minuscola lacrima solcò la guancia di Piccolo mentre, con voce strozzata, stava dicendo “Pa…”. Il suo sguardo saettò verso il gruppetto di umani, che li stavano fissando a loro volta, rompendo il toccante momento. Il namecciano più giovane spinse con poca grazia quello anziano, urlando “Pazzo! Vecchiaccio della malora! Come ti sei permesso di… ARGH!”. Si era allontanato da lui bestemmiando e imprecando ma il Supremo sapeva… Piccolo era cambiato.

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Capitolo 20
*** Il ritorno sulla Terra ***


Dopo un mese e qualche giorno…

Tutti i namecciani, Gohan, Bulma e Vegeta, grazie alle Sfere di Namek, erano stati trasferiti sulla Terra. Piccolo si guardò intorno, perplesso. Questa radura gli sembrava familiare… “Papà?” lo chiamò Drak e, come se gli avesse letto nel pensiero, domandò “Ma qui non è dove la mamma si rifornisce delle sue erbe?”. A sentir quelle parole, i battiti del cuore dell’uomo accelerarono. Dopo la fusione con Nail, oltre ad essere aumentata in modo impressionante la sua forza, sembrava che anche le emozioni fossero diventate più profonde e umane. Come quando aveva visto suo figlio mettere alle strette Vegeta in un combattimento su Namek… Credeva che il suo cuore sarebbe scoppiato di gioia e orgoglio.

“Voi musi verdi mi fate venire il vomito solo a guardarvi…”. A parlare era stato proprio il Sayan che, appoggiando la schiena sul tronco di un albero, fissava con odio il gruppo di alieni dalla pelle verde “Soprattutto quel piccolo, disgustoso meticcio…” proseguì lui ed indicò Drak “Come può quella donna esser lieta di aver partorito quel abominio? Deve essere cieca oppure pazza”. Tutti i namecciani lo guardavano male. “Non parlare così di mia madre!” ringhiò il bambino, alzando i pugni, ma Piccolo lo afferrò per una spalla per fermarlo e si rivolse a Vegeta “Parli solo perché hai avuto paura di lui…”. Vegeta si irrigidì e l’altro, vedendolo, sfoggiò un sorriso maligno e proseguì “Anche se per poco, mio figlio ti ha dimostrato su Namek il vero valore di un guerriero”. Il principe dei Sayan mostrò i denti “Tuo figlio non mi ha sconfitto!” gli gridò furioso “E da allora la mia potenza è aumentata vertiginosamente! Ora posso ammazzarlo con un solo colpo, il tuo bastardo!” e si lanciò all’attacco.

Piccolo e Drak si prepararono allo scontro ma, quando il Sayan era a pochi metri da loro con gli occhi iniettati di sangue, un fulmine cadde dal cielo sereno e lo colpì facendolo cadere a terra, immobilizzandolo con anelli elettrici “Non provare più ad avvicinarti alla mia famiglia” gli ringhiò una voce femminile. Tutti si voltarono verso di essa. La donna in questione portava un quipao color ocra con bordi neri, pantaloni di seta bianca lunghi fino alle caviglie e i piedi scalzi. I lunghi capelli corvini erano legati in una treccia, che lasciavano due grosse ciocche ai lati del viso di porcellana ed i suoi occhi dorati fissarono l’uomo steso a terra con odio. Aveva attaccato ad un braccio un grosso cesto di vimini pieno di erbe e bulbi. Drak spalancò la bocca in un sorriso ed urlò “Mamma!” e le andò incontro correndo. Lei lasciò cadere la cesta, si inchinò ed abbracciò il suo bambino. Gli altri namecciani si commossero a vedere quella scena.

Piccolo rimase a guardarla per un lungo istante: quanto gli era mancata quella stupida donna! Perfino le sue sciocche tradizioni ed il suo terribile caratteraccio. Lei alzò lo sguardo dal viso del bambino e lo vide. La sua espressione divenne seria. Si alzò, prese per mano il figlio e gli andò incontro. Piccolo le rivolse un sorriso caloroso e, quando fu abbastanza vicina, la stava per abbracciare ma lei gli tirò una potente sberla sul viso con la mano libera. Piccolo si toccò la guancia dolorante e le scoccò un'occhiata furiosa e stupita allo stesso tempo. “Come ti permetti di mostrarti davanti a me dopo quello che mi hai fatto?” sibilò lei mostrando i denti a mo di sfida. Piccolo alzò gli occhi al cielo ma un sorriso affiorò sulle sue labbra, seguito dalla donna. Drak li osservò, molto perplesso.

“Ah, ah, ah! A quanto vedo, non sei cambiata molto Leviathana…” disse Vegeta, ancora paralizzato “Sei sempre quella che ha la Luna nel Sangue, come dite voi” “Neanche tu sei cambiato dagul aap” ribatté lei con un sibilo. Tutti li guardarono sorpresi: loro due si conoscevano?!? Lyrica lasciò la mano di Drak e si avvicinò di più al Sayan “Hekhan men matsa mijn gezin?” gli domandò lei, gelida “Io non so parlare il leviamita” rispose Vegeta e le sorrise beffardo “Non ero tra quelli che hanno usato le donne di Leviathan come –Dizionario da letto-” non riuscì a finire la frase che Lyrica gli dette un forte calcio allo stomaco “Ti ho chiesto dove si trova la mia famiglia, pezzo di merda!” urlò lei, furiosa “Cosa è successo in tutto questo tempo? Anche se eri ancora un bambino, eri già uno degli uomini migliori di Freezer, devi saperlo per forza!” “Stai attenta sporca Leviathana…” boccheggiò il principe dei Sayan cercando di rialzarsi in piedi e sputando un po' di sangue. Le dette un’occhiata truce e aggiunse “Potrei perdere la pazienza…” “Io sto già perdendo la mia!” ribatté lei. Caricò le sue mani di energia elettrica finché non furono ricoperte di scintille e le tese in avanti, pronta a colpirlo di nuovo. Piccolo l’aveva già vista così furiosa solo un anno fa, quando le aveva portato via Drak per farlo allenare sull’isola. Il principe dei Sayan la guardò leggermente intimorito, anche perché non era ancora in grado di difendersi visto che il suo corpo era rimasto paralizzato dalla saetta di prima. La magia di un Leviathano poteva essere molto potente.

“Lyrica, cerca di calmati” le sussurrò cauto Piccolo, afferrandola per le spalle e stringendola a sé. Lei tirò un sospiro e si tranquillizzò, lasciando che le braccia del compagno la circondassero e si appoggiò di più al suo corpo. Vedendo quella scena, Vegeta fece una smorfia di disgusto ma borbottò “Quella notte Freezer ha sguinzagliato la squadra Ginew a riprendervi… Ventotto sono morti prima di raggiungere le navicelle, dodici furono presi e riportati nelle loro celle conciati per le feste e, da quanto avevo sentito, solo tu e tua sorella siete riuscite a scappare…” deglutì saliva e sangue prima di continuare “Pensavo che, alla fine, anche tu eri passata a miglior vita finché non sono arrivato sulla Terra ed ho visto con i miei occhi la collana del tuo marmocchio sbriciolarsi”.

Drak sussultò nel sentire quelle parole e si ricordò di un’altra cosa “Mamma… Che significa – Mehila -?” “Perdono oppure, se preceduta da uno o più nomi, diventa Perdonami o Perdonatemi…” rispose lei sovrappensiero. Il bambino le chiese ancora “E conosci qualcuno che si chiama Capsy o una Melody?”. Nel sentire l’ultimo nome, Lyrica si rianimò “Melody! E’ il nome di mia sorella!”. Si voltò a guardare il figlio “Ma come…” “Il Sayan che hanno affrontato il signor Goku e papà ha detto questi nomi prima di morire… Forse l’ha presa con sé…” “Non avrebbe fatto niente del genere senza un suo tornaconto… La prova è Capsy… E’ un nome Sayan… e tra i sopravvissuti del mio popolo non c’e nessuno con questo nome…”.

Vegeta rise, anche se le scariche elettriche gli stavano tormentando i polmoni. Lyrica fece una smorfia e decise di liberarlo dalla sua magia. Fece un lieve gesto con la mano e quelle sparirono. Il principe dei Sayan si mise faticosamente seduto. Lei si sciolse dall’abbraccio di Piccolo ma lui le prese una mano e le chiese “Lyrica cos’è questa storia? Come fai a conoscere questo stronzo?”. Lei chiuse gli occhi e sospirò “Ormai non ho più motivo per nascondervi il mio passato: Freezer è morto, Re Cold non sa che sono ancora viva e non credo che Vegeta andrà a riferirglielo, visto che sarà considerato un traditore appena toccherà il suolo di Lorvo”. Il Sayan incrociò le braccia e sbuffò. Odiosa Leviathana.

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Capitolo 21
*** L'arrivo di Re Cold su Leviathan ***


Quindici anni fa…

Una piccola Lyrica era sdraiata in mezzo a una prateria e sonnecchiava tra l’erba smeraldina alta mezzo metro e costernata da fiori di campo, invisibile a qualsiasi occhio che avrebbe scrutato l’orizzonte, sia dei contadini che lavoravano nei campi vicini che i sei ocelli daltonici della sua educatrice. La bambina socchiuse gli occhi, riprendendosi un poco dal torpore del sonno e si stiracchiò le membra. Essere la figlia della Terza Imperatrice, anche se secondogenita, non era per niente una passeggiata. Il suo ruolo implicava una serie infinita di responsabilità, che le imponevano a sua volta un’infinita serie di lezioni noiosissime da cui fuggiva ogni volta che ne aveva l’occasione. Emise un sonoro sbadiglio e, distrattamente, alzò lo sguardo sul cielo del tardo pomeriggio. Certe volte aveva l’impressione che l’educatrice la odiasse.

Fece per fare un sospiro quando la sua attenzione venne colta da un particolare. “Oggi le nuvole hanno qualcosa di strano”. Lyrica strizzò gli occhi per un paio di secondi, poi tornò a guardare su. Le nuvole erano enormi e cotonose, tanto da darle l’illusione che le bastava stendere un braccio per poterle afferrare e sentire sotto le dita qualcosa di sublimemente soffice, ed erano color carbone. Cumulo nembi, tipiche in quella stagione primaverile, eppure la rendevano irrequieta. Perché? Le scrutò da cima a fondo finché non notò qualcosa che acuì la sua perplessità e la fecero scattare in piedi. Non c’era traccia di vento. Le nuvole temporalesche erano SEMPRE accompagnate da un fortissimo vento… perché queste no? E, nonostante mancasse, esse stavano procedendo spedite verso sud. Globi di luce violacea percorrevano la loro superficie come inquietanti occhi di qualche mostro uscito direttamente dall’inferno, che affioravano per qualche istante per poi immergersi di nuovo nel nero. Quel gioco di luci durò per qualche minuto finché non ci fu una specie di boato che la frastornò. Le nuvole si dissiparono nella stratosfera ed al loro posto apparvero milioni di astronavi dalla forma sferica, bianche e con l’unico oblò dal vetro oscurato, simili a tanti globi oculari, capitanate da un’astronave di forma ovoidale cento volte più grande di esse e munito di grossi rampini sistemati circolarmente sul bordo della parte inferiore mentre quella superiore era fornita di oblò dal vetro nero. Le astronavi più piccole iniziarono a sparpagliarsi in ogni direzione mentre quella gigantesca si stava dirigendo verso sud-ovest, verso le terre della Prima Imperatrice, sua zia.

La bambina scattò in piedi “Accidenti! Mi ero completamente dimenticata che oggi sarebbero arrivati gli ospiti Ander nel castello di zia Ladybird!”. Dopo aver dato un’ultima occhiata al cielo, Lyrica si mise due dita in bocca e produsse un fischio acutissimo, che echeggiò nell’aria. Dopo qualche istante, un gigantesco mestolo di legno scuro atterrò con molta grazia al suo fianco, rimanendo a fluttuare un paio di centimetri dal suolo, in attesa. La bambina accarezzò con tenerezza la testa d’airone intagliata sul manico, che emise versi soddisfatti e socchiudeva gli occhietti di legno, si mise sulla sua groppa e disse “Portami a casa, Hamuts-matok!”. L’essere di legno fece un altro verso, più lungo del precedente, e si librò in aria per poi raggiungere vette più alte ed acquistare velocità. Da lassù, la bimba poteva vedere una piccolissima parte dell’impero governato da sua madre, oltre la vasta prateria e i campi. I Leviathani non erano un popolo che amava particolarmente la tecnologia. Tutti gli attrezzi che possedevano funzionavano gran parte con la magia, il resto con ciò che la natura donava. Neanche il continuo via-vai degli Ander (il termine che il popolo Leviathano usava per indicare tutti gli alieni in generale) erano riusciti a cambiare le loro tradizioni millenarie, rendendoli ai loro occhi molto eccentrici.

Erano un popolo difficile da comprendere per ognuno che non fosse nato sul pianeta ma capitava, ormai da centinaia di anni, che ospiti Ander decidessero di stabilirsi definitivamente su Leviathan, spesso mettendo su famiglia con gli stessi nativi, fino a convertirsi agli stravaganti usi e costumi, facendo sì che l’intero pianeta diventasse una specie di porto spaziale. Perfino lei ed i suoi cugini discendevano da Ander. Lyrica osservò dall’alto la florida città di Gember, formata da migliaia di case ed edifici che rappresentavano al meglio l’unione pacifica tra varie razze dalla cultura e mentalità diversa, e sembrava brillare di luce propria, coprendo la collinetta su cui si ergeva quasi del tutto, e circondando l’immenso palazzo imperiale. Gember, insieme alle città Zout e Karkom, era una delle capitali principali del pianeta. I cittadini usavano dei piccoli zeppelin per il trasporto delle merci e degli rudimentali apparecchi, per lo più fatti di legno e nichel ed alimentati con la magia per la comunicazione, convinti che i turisti Ander che visitavano per la prima volta il pianeta non si sarebbero sentiti troppo spaesati.

La bambina passò vicino ad una delle altissime torri del Tempio della Luna, una struttura cilindrica con il tetto piramidale formato da piccole tegole d’argento con bordi di conchiglia, che accostava al fianco di un’ampia piazza circondata da mura con al centro una fontanella di marmo bianco e un piccolo altare, e salutò il sacerdote, un Ander che si era trasferito insieme alla moglie alcuni anni fa, una specie di rettile antropomorfo rivestito da un esoscheletro bianco che fungeva anche da armatura, che gli lasciava scoperto solo il viso azzurro con striature blu, le mani dalle nocche nodose e la coda da rettile. La testa quasi sferica era munita di due piccole corna ai fianchi delle tempie ed erano formate dallo stesso esoscheletro. Le bio gemme blu mare che erano poste sulla testa, sulle ampie spalle, sui avambracci, sull’addome e sugli stinchi sembravano fatte di resina. Il sacerdote era intento a lucidare energeticamente una delle campane gigantesche fatte d’argento, con intagliate su immagini di sirene, pesci e altri simboli magici che richiamavano in diversi modi le tre lune del loro pianeta, bestemmiando contro gli stormi di Aspi che le venivano a sporcare con i loro escrementi.

“Buon pomeriggio Broeder Ice! Come sta vostra moglie, Nezira Rucol?”. L’Ander alzò lo sguardo finché i suoi occhi azzurri videro la bambina fluttuare vicino al bordo del campanile e rispose, con un lieve sorriso “Oh! Buon pomeriggio principessa Lyrica! Di nuovo in fuga da Madame Brood?” “Quella aracnide non ha alcun senso della misura! Sempre lì a cianciare sui doveri di una buona regnante, per non parlare di tutte quelle noiosissime lezioni di galateo! Non si rende conto che sono solo una bambina di sei anni?”. L’uomo si mise a ridacchiare, ponendo lo straccio nel secchio pieno di acqua sporca, poi voltò la testa nella direzione da cui era arrivata la piccola monarca. Il suo sorriso scomparve dalle labbra. Aveva visto l’astronave Ander. “Re Cold e la sua famiglia... Alla fine sono arrivati. Questo è un giorno infausto per Leviathan e il suo glorioso popolo…” e sputò per terra, amareggiato. “Li devi conoscere bene per parlare così…” osservò la bimba, preoccupata dal tono del sacerdote. Lui si strinse le spalle e borbottò “Un tempo ero membro di una delle famiglie nobiliari che governano Lorvo, il pianeta madre di tutti i Changlong… Si potrebbe dire che è un mio cugino… alla lontana…” “Broeder Ice…” lo chiamò Lyrica con un filo di voce, preoccupata dal tono del pastore “Come mai…”. Broeder Ice scrollò le spalle e disse “Sbaglio o lei e la vostra famiglia dovete incontrarvi con loro al palazzo della Prima Imperatrice? Non indugiate oltre, raggiungete vostra madre e vostra sorella”. Troncò i tentativi della principessa di continuare il discorso con un gesto della mano e si diresse giù per le ripide scale di legno del campanile, dove si trovavano i suoi alloggi. La bambina non poté far altro che dirigersi al castello. Virò il suo mestolo verso sud e invocò il vento per far sì che andasse più veloce.

Dopo un quarto d’ora era riuscita ad arrivare nei pressi della sua dimora. I palazzi delle Tre Imperatrici erano famosi per la loro bellezza un po’ stravagante. Erano una mescolanza architettonica tra una chiesa gotica ed un castello medievale. Le mura erano formate da blocchi di una variante bianca di Sky Gold, che si chiamava Eterne, ed ognuna delle quattro pareti portanti c’era un’infinità di statue di umanoidi, alberi e animali che rappresentavano le mille entità della natura e dei Noa, da cui discendeva tutto il popolo Leviathano. Attraversate le mura, la bimba atterrò nella piazzetta privata che fungeva anche da giardino, congedò il suo mezzo magico, e si mise a correre verso le porte principali, ignorando la donna-ragno con il vestito austero fuso al pelo nero e le guance paonazze che era appostata davanti a esse “Principessa! Dove eravate finita?!? Sono ore che vi sto cercando!”. Lyrica sbuffò, spazientita “Beh, adesso sono qui, Madame Brood”. La donna divenne ancor più paonazza e la scortò nelle sue stanze, ringhiando “Guardate come siete conciata! Siete di nuovo andata nelle paludi a cercare chissà quale schifezza e fra poche ore c’è la cena con vostra zia! Vi rendete conto quanto tempo ci vorrà per togliere il fango dalla seta?!? Potreste almeno scusarvi per il disagio che sono costretta a subire!” “Non ho tempo per le vostre solite ramanzine” borbottò Lyrica, entrando nelle sue stanze, salutata dalle due domestiche.

A quel punto l’educatrice perse la pazienza. Allungò un braccio e prese con la mano scheletrica l’orecchio della principessa e tirò forte. “Madame Brood! Così mi fate male!” “Così le si infilerà un bel po’ di sale in questa zucca vuota una volta per tutte!” ribatté l’altra, feroce “Quando capirete che una regnante non può permettersi di andarsene a zonzo, anche all’interno della sua stessa dimora, quanto più le aggrada? Una buona regnante deve pensare per prima cosa alla burocrazia!” “Non sarò mai Imperatrice, questa sfiga è già capitata a Melody… AHIA!”. La donna aveva strizzato con più forza l’orecchio “Una reale non deve mai esprimersi con frasi scurrili da popolana!” “Ma se il nostro popolo non è nemmeno obbligato a inchinarsi al nostro cospetto, perché allora noi non possiamo usare i loro termini?”. La donna fece un verso esasperato “La vostra lingua vi porterà solo un mucchio di guai… E voi che avete da sghignazzare?!?”. La donna-ragno mollò l’orecchio e zampettò minacciosa verso le due serve che si stavano facendo piccole “Quanto tempo vi ci vuole per scegliere un vestito cerimoniale?” “E che… la principessa ne ha così tanti e per varie occasioni e…” balbettò una di loro, cercando di scusarsi. Madame Brood le spinse lontano dalla stanza che fungeva da armadio, frugò con impazienza una ventina di abiti finché non trovò uno giallo limone con le maniche e le rifiniture di pizzo bianco “Questo andrà bene” borbottò “E’ fatto di cotone ricavato dalla lana delle Amaltea, che è antistrappo. Ideale per la nostra turbolenta principessa”. Poi ringhiò “Cosa state qui impalate galline?!? Avete dimenticato che c’è altro da preparare?!? Che una di voi vada a preparare la vasca da bagno mentre l’altra prepari i cosmetici! Siamo tremendamente in ritardo!”. Le due ragazze si inchinarono, visibilmente in imbarazzo, e corsero a eseguire gli ordini.

Poi l’educatrice si rivolse alla bambina “Mentre aspettiamo le farà bene un po’ di ripasso riguardo il galateo”. Le mise un pesante libro preso dalla scrivania e glielo pose in testa, ordinando “Faccia un giro per tutta la stanza senza farlo cadere”. Lyrica sbuffò ma fece come le era stato richiesto. Mentre camminava a passo leggero e facendo qualche riverenza, domandò “Non dovete assistere anche mia sorella?” “A differenza vostra, sua sorella ha fatto tutti i compiti ed si è preparata per l’evento già nel pomeriggio. In questo momento si trova con vostra madre e saranno già arrivate a Zout…” “Che cosa?!? Sono andate lì senza di me?!?” “Se lei fosse rimasta al castello a fare le sue lezioni invece di andarsene a caccia di unicorni, sarebbe partita con loro” “E adesso come lo raggiungo il castello della zia? Hamuts-matok non può andare così lontano!”. La donna fece un sospiro esasperato “Vostra madre ci ha già pensato: saranno il ciambellano Fennel e vostro cugino Salmo…” “Salmo è qui? Dov’è?” “Sarà sicuramente in biblioteca…” rispose l’educatrice e si tappo la bocca. Maledetta la sua lingua.

La bambina lanciò il tomo che aveva sulla testa sul letto e cercò di correre fuori dalle sue stanze ma la mano di Madame Brood scattò rapida e la prese per la cintura “Dove credete di andare?” “Prima che il bagno e tutti gli strumenti per la toelettatura siano pronti ci vorrà mezz’ora, posso andare a giocare con Salmo intanto” “Non se ne parla! Dovete ripassare le vostre lezioni di galateo! Dovete essere impeccabile davanti ai nostri ospiti Ander. Un gesto sbagliato in loro presenza potrebbe offenderli” “Ma voglio andare a giocare con Salmo!” “Le ho detto di no!”. Allora la bambina fece una smorfia stizzita e giocò l’asso nella sua manica, l’unica cosa che l’educatrice non sapeva gestire a causa del forte imbarazzo che le suscitava: si lasciò cadere a terra a peso morto e si mise a strillare, piangendo false lacrime “VOGLIO ANDARE A GIOCARE CON SALMO! UEEEH!” Madame Brood era a dir poco sconcertata “Siete arrivata a questo punto per i vostri capricci? La smetta immediatamente! Il suo comportamento è molto imbarazzante oltre che disdicevole!” le ordinò la donna-ragno ma Lyrica non demorse “Fammi andare a giocare con Salmo oppure continuerò a urlare a squarciagola! UEEEEEEH!”. L’educatrice gridò tra i denti e si mise le mani tra i capelli, esasperata, ma a peggiorare quel momento fu una voce maschile alle sue spalle “Che cosa sta succedendo qui?!?”.

Entrambe si volsero verso la porta e videro entrare un giovane ragazzo della razza dei Tillimentempibosh, vestito solamente sulla parte superiore del corpo con una giacca in foggia militare e con delle medaglie appuntate sopra e stivaletti neri tirati a lucido. Il resto del corpo era nudo, con le gambe magre color melanzana in bella vista ed il viso azzurrino quasi piatto con gli occhi gialli simili a ocelli. L’educatrice arretrò di qualche passo e mormorò, cautamente “Principe Salmo…” “Ben-dod! (Cugino!)” esclamò la bambina, con enfasi. Gli si buttò tra le braccia e fece la linguaccia all’educatrice “Ben ti sta, brutta stregaccia”. Il giovane ragazzo la ammonì bonariamente “Lily, non essere scortese con la povera Madame… e poi ti avrò detto mille volte che odio essere chiamato con il termine Ben-dod, devi chiamarmi per nome!”. La prese in braccio e si rivolse alla donna “Allora, cosa succede?”.

L’educatrice abbassò gli occhi e gli spiegò tutto. Ella sapeva di aver perso la battaglia ancor prima di cominciare a parlare… Il figlio minore della Prima Imperatrice stravedeva per la cuginetta e la viziava assecondando ogni suo capriccio. Infatti… “Mi stavo giusto annoiando. Che ne dici di fare una partita veloce a scacchi?” “Vostra altezza, se posso dire la mia credo che sia meglio se vostra cugina…” ma dovette azzittirsi quando il Tillimentempibosh le diede un’occhiataccia. Poi egli si rivolse alla bambina, con voce mielosa “Andiamo a giocare nella mini arena posta ad ovest del giardino”. Tornò a rivolgersi all’educatrice, con tono freddo e piatto “La ringrazio Madame Brood. Ora sarò io ad occuparmi di Lyrica. Venite a chiamarci quando tutto sarà pronto”. E, senza dar peso alle sue proteste, il principe portò la bambina con sé.

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Capitolo 22
*** Verso la città di Zout ***


Dopo un paio d’ore, Lyrica era pulita e vestita di tutto punto per l’imminente cena. Salmo le andò incontro in brodo di giuggiole “Quanto sei carina Lily! Mi viene voglia di strapazzarti di coccole!”. La bambina fece un salto all’indietro e mise le braccia a formare una X “Fermo Salmo! Se avrò anche un capello fuori posto quando arriviamo a Zout, Madame Brood mi farà la pelle!”. Il cugino fece il broncio.

La piccola monarca era agghindata come una bambola fatta di porcellana, con i capelli neri allisciati e intrecciati con minuscoli fermagli fatti di brillanti e un velo di cipria per rendere le guance più rosee. E tutto le era costato minuti di atroce dolore. Madame Brood si era vendicata per la figura che le aveva fatto fare con il cugino. Insieme si diressero verso il decimo e ultimo piano del castello, salendo le tortuose scale dove erano sparsi sulle pareti tutte le raffigurazioni possibili della famiglia imperiale.

C’erano mezzi busti, dipinti, fotografie e tra questi c’era anche qualche effetto personale appartenuto a qualche antenato come pietre magiche ormai svuotate dai loro poteri o piccoli anelli. Grazie ai lunghi tappeti magici che coprivano le scale marmoree, salire tutti quei piani non fu affatto faticoso. I simboli dorati sparsi sul tessuto rosso sangue erano intrisi di magia levitante, che permetteva di fluttuare in modo da accelerare sia la salita che la discesa. Però, più si avvicinavano alle stanze della madre dedicate alle riunioni globali, più la bambina diventava ansiosa. Le parole di Broeder Ice le tornavano in mente e non la lasciavano in pace. Chi erano questi Changlong?

Guardò titubante il cugino, che la teneva per mano e si muoveva verso le stanze private della Terza Imperatrice con disinvoltura e leggerezza. Ai bambini, era stato omesso quasi tutto di ciò che riguardavano questi Ander. Un accenno ai loro nomi e un vago motivo del loro arrivo. “Sono qui per passare qualche giorno in pace e serenità” le aveva detto zia Ladybird senza guardala negli occhi. Si chiedeva se Salmo ne sapesse di più visto che aveva raggiunto i quindici anni e, a quell’età, i Leviathani maschi raggiungevano la maggiore età.

Mentre stavano attraversando l’ultimo corridoio, la bambina intravide la parete con su, inciso nella pietra, l’intero e intricato albero genealogico. Tirò leggermente il braccio di Salmo, che si fermò a sua volta e guardò nella sua stessa direzione. Ridacchiò “Dovevo immaginarlo che volevi sostare qui. Ti è sempre piaciuto questo guazzabuglio di nomi”. Posò la mano libera sulla parete e borbottò “Non so cosa ci trovi di tanto interessante” “Non saprei spiegartelo a parole…” ribatté la bambina, assorta “Però mi piace leggere i nomi e le date scolpite sopra. Mentre li leggo ho quasi la sensazione di fare un viaggio nel tempo…”. Passo con le dita la linea principale dell’albero e la percorse tutta, fino a soffermarsi sul nome di sua madre, Carol Angelou. Un’altra particolarità del popolo Leviathano era la capacità miracolosa di poter concepire la propria progenie con tutti gli Ander con cui entravano in contatto e, allo stesso tempo, mantenere viva la propria stirpe, anche se questa dipendeva dalla sessualità del Leviathano. Per esempio, suo cugino era il secondogenito di un arciduca di origini Tillimentempibosh e della Prima Imperatrice Leviathana. La figlia maggiore, Flea, aveva caratteristiche fisiche di una ragazza Leviathana tranne per la capacità di aver bisogno di dormire solo per trenta minuti. Salmo, invece, era identico al padre ma è in grado di utilizzare la magia. Ancor oggi, questo fenomeno era un mistero per gli scienziati di tutte le galassie.

Lyrica sfiorò con le dita lo spazio vuoto dove una volta c’era scritto il nome del padre, fece un sospiro, poi si rivolse al giovane e mormorò “Va bene, ora possiamo andare” “Alla buon ora!” le rispose l’altro. Dopo pochi minuti, i due arrivarono davanti a una porta con due ante, sempre di legno pregiato, con su arabeschi simboli magici sormontati dallo stemma imperiale: un occhio posto in mezzo a una stella a nove punte e un triangolo rovesciato. Salmo stava per bussare quando le porte si aprirono e un Yardar di mezz’età fece la sua apparizione. Egli era molto più alto del cugino, con occhi bulbosi gialli e sporgenti quanto quelli di una rana e con la pupilla piccola e nera. La pelle color rosa acceso era cosparsa di macchie bluastre ed agli angoli della bocca aveva dei baffi formati dalla sua stessa pelle. Era Fennel, il ciambellano della terza corte imperiale.

L’espressione seccata e la palpebra dell’occhio sinistro che tremolava leggermente fecero intuire alla bambina che era stato messo a corrente della scaramuccia avuta con Madame Brood più di un paio di ore fa. Entrambi si sentivano rimpicciolirsi sotto a quello sguardo. Lo Yardar li fissò per qualche secondo, impassibile, poi disse “Altezze! Stavo giusto venendovi a chiamare… Come mai siete così in ritardo?” “Buongiorno Fennel” lo salutò la bambina facendo una piccola riverenza e sfoggiando il sorriso più dolce e innocente del suo repertorio “Avete visto che bella giornata di sole? Si sente che siamo vicini all’estate, e…”. Il sorriso le scemò dalle labbra quando vide l’uomo scoccarle una delle sue occhiate ammonitrici. A quel punto chinò la testa e borbottò “Immagino che Madame Brood vi abbia riferito tutto” “Ogni più piccolo particolare…” rispose seccamente il vassallo mettendo le braccia dietro la schiena. Volse la testa verso Salmo e disse “Principe Salmo, la vostra presenza è ben accetta fra queste mura come se fosse la sua dimora, però vi ricordo che qui siete pur sempre un ospite e che l’educazione di vostra cugina non è di vostra competenza, ma quella di Madame Brood e di vostra zia”. Il giovane Tillimentempibosh si strinse le spalle e chinò la testa, con le guance divenute blu oltremare. Lo Yardar si rivolse alla bambina e sospirò “Con voi non c’è bisogno di girarci troppo intorno: siete arrogante e molto irrispettosa! Madame Brood cerca di fare di lei una vera lady, in modo che possiate gestire indipendentemente la vostra vita sociale una volta diventata adulta. Ricordate che essere la figlia di una delle Tre Imperatrici, anche se non la primogenita, comporta delle responsabilità che possono superare quella di una regnante a carico”. Sospirò un’altra volta “Il minimo che potete fare sarà che porgiate le vostre più sentite scuse a Madame Brood”. Lyrica si tormentò le mani e tenne lo sguardo fisso a terra, mormorando un lieve “Si…”.

L’Ander scosse la testa, seccato. “Non pensiamoci più ed andiamo verso il porto di zeppelin”. Guidò il principe e la piccola principessa verso un’altra rampa di scale. La bambina si avvicinò di più al ciambellano “Fennel, essendo il consigliere personale di mia madre conoscerete almeno di vista tutti gli Ander di rango nobiliare…” “Tutti è un’esagerazione” replicò l’uomo, allisciandosi il mento con una mano “Però credo di poter vantare di una vasta conoscenza, anche per sentito dire, della gran parte di queste persone…” “Cosa potete dirmi su Re Cold?”. La faccia del ciambellano divenne dura “Solo quello che mi è concesso dire: è uno degli Ander più potenti della galassia Nord, famoso nel mondo del commercio, che verrà fare omaggio a vostra zia e passare diversi giorni in vacanza insieme alla sua famiglia” “Broeder Ice è diventato molto triste quando ha riconosciuto la sua astronave. Ha detto che questo è un giorno infausto per noi”.Lo Yardar si passò la mano sul mento “Nelle sue parole c’e del vero, Re Cold sa essere un uomo molto pericoloso, ma l’odio di Ice è scaturito da altro”. Fece un sorriso un po’ forzato “Non dovete temere un attacco diretto dal reale Changlong”. Si rivolse a Salmo “Se non ricordo male, siete giunto qui con il vostro zeppelin personale” “Si. Il mio Thundercloud è capace di percorrere 60.000 chilometri in meno di tre ore!” disse il giovane Tillimentempibosh gonfiando il petto, fiero. Il ciambellano fece un cenno d’assenso.

Uscirono all’esterno, trovandosi in un porto sopraelevato, dove tre zeppelin simili a vascelli erano arenati sulle sporgenze. Quello del cugino era un colosso fatto di legno color bronzo, con le vele bianche come la neve, che sembravano brillare alla luce morente del giorno. L’enormi eliche poste al di sotto della prua e quelle più piccole sui alberi iniziavano a muoversi lentamente. “Gli aeronauti devono averci visto ed hanno iniziato ad avviare i motori” constatò Salmo, guardando il mezzo. Poi si rivolse agli altri “Devo raggiungere il posto di comando, voi accomodatevi in cabina. State tranquilli che raggiungeremo Zout per l’ora di cena”. Dopo dieci minuti il mezzo si sollevò dalla piattaforma dolcemente per qualche metro poi, con slancio, si scagliò verso l’orizzonte.

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Capitolo 23
*** Piani ***


Arrivarono al palazzo di Zout dopo quasi tre ore, quando le prime stelle della sera iniziavano a spuntare nel cielo, che si faceva man mano più scuro. Già dall’alto avevano intravisto l’enorme ufo ovale parcheggiato sulla piattaforma piana posta sul tetto del castello. Gli enormi rampini del velivolo avevano conficcato le loro punte acuminate nella pietra bianca, come se i piloti di tale mostruosità avessero paura che un colpo di vento lo potesse ribaltare. Lyrica trovava l’astronave Ander fin troppo simile ad uno di quei ragni velenosi che aveva visto una volta quando la sua famiglia era andata alla radura di Kaas.

Quando furono scesi dallo zeppelin del cugino, i tre vennero accolti da un gruppo di servitori, che aiutarono gli aeronauti del mezzo ad arenare su un porticato posto affianco alla piattaforma, di solito riservato alle astronavi Ander di piccola cilindrata. Salmo arricciò il naso appena scese a terra “Guarda che astronave orrenda… questi Changlong non hanno un minimo di senso estetico per i loro mezzi di trasporto!” “Vostra altezza” lo chiamò uno dei servi, un canide umanoide con la livrea blu scuro “Se posso permettermi, vi consiglierei di non esprimervi in commenti come questo davanti ai vostri ospiti Ander… Hanno dimostrato di avere un udito molto fine e… di essere particolarmente suscettibili”. Con un piccolo cenno della testa pelosa indicò un punto dove, al principio, sembrava esserci una piccola pila di legna arsa. Però, ora che la bambina la osservava più attentamente e sentiva l’odore della carne bruciata, si accorse che in realtà erano quattro corpi carbonizzati.

“Per la grandiosa Madre Gaia!” esclamò Salmo, disgustato a tal punto che non riuscì a trattenere i conati. Mentre alcuni servitori soccorrevano il principe, Lyrica si strinse d’istinto a Fennel, nascondendo il viso nella sua giubba, e lui ricambiò la stretta “Non temete principessa… Non permetteremo che questi Ander le facciano del male” “L-le zie e l-la mamma…? Melody e g-gli altri?”. Il servitore di prima prese parola “Tutti i membri della famiglia imperiale sono illesi… I corpi che avete visto appartengono ad alcuni soldati Ander che li avevano accompagnati…”. “C-Cosa?” boccheggiò Salmo, pulendosi le labbra con un fazzoletto che gli aveva porto una aeronauta Leviathana “U-Uccidono i loro stessi u-uomini? E’ da barbari!” “E’ da Changlong” ribatté lo Yardar, sprezzante “Non dovete farvi ingannare dal loro aspetto composto e pacato, solo 1% di questa razza ha della nobiltà d’animo ed essi vengono perseguitati fino a che non decidono di trasferirsi in luoghi più pacifici pur di riuscire a sopravvivere… Sono una razza spregevole”.

Lyrica alzò lo sguardo fino a vedere il viso del ciambellano e disse “Allora perché sono qui? Coloro che si macchiano di certi crimini viene condannato dalla legge Leviathana all’esilio sul pianeta Goliath”. Lo Yardar si morse il labbro inferiore “Ho detto troppo… Vi prego di scusarmi per il mio sfogo e di dimenticare questo discorso…”. La bambina si allontanò dall’uomo. Che cosa le stavano nascondendo gli adulti? Appena furono nel palazzo, un paio di cameriere della razza delle Arpie prelevarono Lyrica e la condussero frettolosamente nelle stanze della cugina Flea mentre Salmo si diresse verso le sue per cambiare mise e per accogliere i loro ospiti.

Le Tre Imperatrici erano riunite nel grande salone dei ricevimenti, insieme ai loro fratelli, che erano Re delle sottocittà ed generali delle milizie Leviathane, ed ai loro mariti. Erano molto diverse tra loro ma avevano negli occhi lo stesso cipiglio orgoglioso e fiero.

La Prima Imperatrice, Ladybird, la madre di Salmo e Flea, era una donna bassa e un po’ tarchiata, con i capelli castano scuro dai riflessi rossicci legati in un’enorme cipolla in cima alla testa. Gli occhi, dello stesso colore dei lamponi maturi, di solito sprizzavano d’allegria e malizia ma ora guardavano i Changlong con circospezione e le piccole mani bianchicce tormentavano nervosamente l’orlo della manica di pizzo bianco del vestito in stile elisabettiano color pulce.

La Seconda Imperatrice, Garden, era una donna alta e magra, con lunghi capelli viola tenuti all’indietro da un cerchietto di diamanti che si sposava con l’abito azzurro e il copri spalle di velo bianco. Gli occhi blu scuro, di solito, avevano una dolcezza materna ma ora guardavano gli Ander con freddezza.

La Terza Imperatrice, Carol, la madre di Lyrica, era di statura media e con forme generose, con i capelli neri legati con un fermaglio d’avorio alla nuca ed indossava una tonaca verde chiaro lunga fino ai piedi nudi con fermagli d’oro all’altezza della spallina. Gli occhi grigio argento non avevano mai avuto pietà per nessuno: come guardavano con severità gli ospiti, lo avrebbe fatto anche con la servitù o con i propri parenti.

Davanti a loro c’era Re Cold e la sua famiglia. Sua moglie non era alta nemmeno la metà del marito, bianca come una perla e altrettanto fredda come il gioiello, dalle forme sinuose e quasi senza tratti di un serpente e con le bio gemme rosso fuoco su braccia, gambe e addome. La lunga coda si muoveva nervosa ma con grazia.

Re Cold vantava di due metri e trenta di altezza ed era possente, con le lunghe corna nere ai lati della testa dall’aria minacciosa. Le pelle viola pallido con l’esoscheletro bianco, le bio gemme di un verde scuro e l’aria pacata che aveva sul viso traspiravano solo malvagità.

Poi c’erano i due figli. Il maggiore era alto quanto la spalla del padre ed era molto muscoloso. Aveva la pelle viola che ricopriva quasi tutto il corpo, con qualche interruzione sulla testa, spalle e braccia dove aveva l’esoscheletro bianco con delle bio gemme blu ed aveva due spesse linee rosse che gli percorrevano il viso dagli occhi fino al mento.

Il minore era simile alla madre, con il corpo slanciato, bianco, e le bio gemme viola. Il viso aveva dei tratti quasi femminili, gli occhi affusolati e le labbra dalla tintura scura, ma era lui che faceva più paura rispetto al resto della sua famiglia.

Dietro di loro c’erano le loro guardie personali, formati da uomini provenienti da vari pianeti. Si guardavano in un silenzio astioso, in parte formato dall’omicidio che aveva appena commesso la Changlong. Fu proprio lei a rompere per prima il silenzio “Tsk, oggigiorno è difficile trovare dei servitori che sappiano che cosa sia il galateo” aveva detto, riferendosi ai soldati che aveva ucciso, concludendo poi con una risata sguaiata. I Leviathani rimasero in silenzio ma si vedeva che l’azione della donna Ander li aveva sconvolti e inferociti. Re Cold prese amorevolmente la mano della moglie e sorrise a sua volta “Perdonate mia moglie… Stare per cinque mesi all’interno di una nave, anche se d’elite e fornita di tutti i confort, sono stati tediosi per i suoi nervi” “Certo che lo sono stati! Mentre tu e i nostri figli giocavate a fare i Conquistatori della Galassia, le uniche mansioni che potevo svolgere erano sistemare i vostri innumerevoli documenti e fare lunghe videochiamate di contrattazione per la vendita dei pianeti…” si rivolse alle Imperatrici in modo confidenziale “Saranno anche i guerrieri più forti di tutto l’universo ma, ahimè, sono dei disordinati cronici. Non crederete mai quante pile di scartoffie ho riordinato in questi mesi, c’era da impazzire”. Si scostò una ciocca di capelli rosso fuoco dal viso e la sistemò dietro a una protuberanza circolare che doveva essere l’orecchio. Era rari i Changlong che nascevano con i capelli al posto della bio gemma cranica e, per la loro razza, erano considerati uomini o donne di straordinaria bellezza.

Mentre i loro genitori si scambiavano le solite battutine da marito e moglie, i due giovani Ander si guardavano intorno con occhio critico, in silenzio. Il più giovane fletteva leggermente le dita, nervoso, ma un’occhiataccia da parte del fratello lo fecero smettere. Ritornarono a fissare le regnanti quando Garden, la Seconda Imperatrice, prese parola “Miei signori, dovete essere stanchi per il lungo viaggio. So che il pianeta Lorvo si trova all’estremità della Galassia del Nord”. Tese una mano verso l’estremità del salone, più per abitudine che per gentilezza “Prego… Seguitemi”.

La regina Artica batté le mani e squittì dalla gioia “Oh! Finalmente qualcuno che capisce il bisogno di una donna!”. Congedarono i loro uomini e, mentre si avviarono verso le stanze riservate per loro, la donna Ander si rivolse verso il marito, bisbigliando “Sei sicuro che ne valga la pena? Perché non ci limitiamo a sterminare tutti gli abitanti come abbiamo fatto a Barnum e Yggrasil?”. Diede un’occhiata alla Leviathana “Sono tutti così… così… non mi viene un termine abbastanza dispregiativo, anche perché lo puoi vedere da te… La servitù in questo luogo non esiste? E’ una delle Imperatrici a condurci nelle nostre stanze!” “Nella nostra tradizione, le regnanti devono offrire i loro servigi agli ospiti reali Ander… i nostri servitori hanno già abbastanza compiti da svolgere senza dover aggiungere altri che potrebbero trovare… sgradevoli” disse Garden senza voltarsi, con malcelata freddezza. Artica sussultò a quelle parole. Come osava quell’insulsa donna origliare una conversazione che aveva con suo marito e di ritenere che servirli sia un compito sgradevole? Il dito indice iniziò a brillare alla punta ma Cold la fermò con un cenno “Non lo fare! Te l’ho già detto cosa succederebbe se un membro della famiglia imperiale in carica morisse!”. La moglie fece un gemito di rabbia e rilassò la mano.

Presero una piccola distanza dalla Imperatrice e lui aggiunse, sussurrando affinché solo la moglie lo potesse sentire “Rilassati, mia cara, e guarda la cosa in un’altra prospettiva: finalmente stiamo diventando la famiglia più potente della nostra razza. I Clan Yukimi, Polo e Mentos saranno distrutti con un solo schiocco delle dita e noi, il Clan Shigomi, diventeremo Imperatori dell’intero universo e padroni assoluti di Lorvo, il pianeta-madre!” “Imperatori dell’universo…” mormorò lei, pregustando ogni parola “Mi piace”. La Changlong sorrise con soddisfazione, per poi avvolgere la propria coda con quella del marito in modo sensuale. I due giovani Ander seguivano i genitori assorti nei loro pensieri, osservando qualsiasi cosa pur di non essere costretti a vedere le loro effusioni, quando il maggiore si voltò per guardare meglio una decorazione in oro ed i suoi occhi caddero su una bambina che li spiava, semi nascosta da una grossa colonna d’alabastro blu. Egli si fermò e i due rimasero a fissarsi, studiandosi a vicenda. Nonostante la piccola, accortasi di esser stata scoperta, avesse un po’ paura (e lo dimostrava il lieve tremore che percorreva il suo corpo), ella rimaneva ferma al suo posto e lo guardava dritto negli occhi. L’Ander le rivolse un sorriso e, pensò tra sé e sé, che il piano di suo padre non era poi così insensato. Da quanto ne sapeva, i Leviathani erano sostenitori radicali di una delle culture più primitive che conoscesse e mal tolleravano la scienza meccanica, però… doveva ammettere che era una razza coraggiosa. Nessuno aveva abbassato lo sguardo al loro cospetto e non facevano mistero che il loro arrivo non era gradito. Quello che li tratteneva dall’attaccarli non era solo la consapevolezza che un simile gesto avrebbe potuto scatenare una sanguinosa guerra e ingenti perdite di vite, sia tra la popolazione che all’esercito Changlong, e per loro la vita era una delle cose più sacre del loro creato.

“Cooler?” lo chiamò il fratello minore, con tono scocciato “Per quanto tempo hai intenzione di guardare quella colonna?”. Quell’intrusione fece sì che la piccola decidesse di allontanarsi e di inoltrarsi nei labirintici corridoi del luogo mentre l’Ander riprese la sua strada. Si affiancò all’altro e domandò “Cosa ne pensi, Freezer? Pensi che riusciresti a resistere su questo pianeta senza uccidere qualcuno?” “Invidioso che io abbia un ruolo importante nel piano di nostro padre invece di essere un misero spettatore?”. Cooler fece le spallucce e disse “Puoi pensare a quello che vuoi, fratellino, ma sono dell’idea che nostro padre abbia posto le sue aspettative nel figlio sbagliato. Tu non dai alcun valore alla vita”. Gli diede un’occhiata e borbottò “Sei così simile a nostra madre… siamo sicuri che sei sempre stato un maschio?”. Freezer digrignò i denti e stava per sferrargli un pugno in faccia, giusto per fargli cancellare quel sorrisetto idiota che ci aveva stampato sopra, quando la donna Leviathana annunciò “Queste sono le vostre stanze. Abbiamo pensato che i giovani Changlong avrebbero preferito dormire in due camere separate”. I due fratelli smisero subito di azzuffarsi e si inchinarono rispettosamente all’Imperatrice, che fece un gesto spazientito con la mano “Da noi ci si inchina solo di fronte agli Dei o alla Morte” poi aggiunse “La cena sarà servita alle otto, vi prego di essere puntuali”.

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Capitolo 24
*** Proposta di fratellanza e matrimonio ***


All’ora prestabilita, gli Ander furono scortati dall’Imperatrice Carol verso un magnifico giardino abilitato per il consumo dei pasti nel periodo estivo. Le stelle brillavano nel cielo in tutto il loro splendore, con qualche nebula viola e verde che formavano scie come l’aurora boreale. Tutto era immerso nel buio, tranne per un grosso globo posto al centro dell’enorme tavolo rotondo basso e da alcune sferette azzurre che fluttuavano poco lontano da esso ma erano così soffuse che avrebbero a malapena illuminato i loro visi, una volta giunti al mobile.

La regina Artica era sconcertata “Dovremo mangiare all’aperto come se fossimo un branco di animali?” “Artica, per favore…” l’ammonì il marito “Ne abbiamo già parlato prima…”. La Changlong sbuffò, contrariata, ma lo seguì docilmente verso il tavolo. I due giovani, invece, tornarono ad ispezionare la zona “Certo che hanno delle strane abitudini, questi Leviathani…” “Se pensano di convertirmi al loro stupido culto, si accorgeranno ben presto quanto sia vano”. Cooler schioccò la lingua sul palato, seccato “Smettila di fare il piccolo Lord schizzinoso e fingi di provare un minimo di interesse. Per quanto ti sembrino ignoranti, queste persone possono diventare molto pericolose se vengono provocate… e ce già nostra madre che gioca con la loro pazienza“ “Quanto sei melodrammatico!“ sbuffò il più piccolo. “Ragazzi!“ li richiamò il padre, visibilmente infastidito “Avrete tutto il tempo di ammirare il giardino e di bisticciare dopo la cena. Venite subito qui!“ “Cold, sono solo giovani e sono fratelli… è normale che litighino“ “Sono dei maleducati, Artica!“ ribeccò il capo famiglia “E la colpa è tua… che stai sempre li a viziarli come se fossero appena usciti dall’uovo…“ “Scusatemi…“ intervenne l’Imperatrice Carol, tossendo per richiamare l’attenzione degli Ander “Possiamo capire che avete un… beh… chiamiamolo -problema familiare- ma vorremmo che riusciste ad astenervi, almeno fino a che non avrete raggiunto le vostre stanze“.

Tutti i parenti fissarono la madre di Lyrica con un misto di ammonimento e ilarità. Gli Ander fissarono la Terza Imperatrice con stupore. Non erano abituati ad un confronto verbale così diretto e schietto. Quando i due giovani Changlong ebbero preso posto affianco ai genitori, Cooler notò che seduta vicino ad una bambina bellissima dai capelli bianchi, che stava a sua volta affianco alla Terza Regnante, c’era quella bambina che li spiava qualche ora fa dietro alla colonna. Notò anche che assomigliava alla donna in modo sorprendente. Sorrise. A quanto pareva, la sfacciataggine era un vizio di famiglia. Le fece l’occhiolino e Lyrica fece un sussulto, ma ricambiò la strizzatina d’occhio a mo di sfida. La piccola bambolina albina le diede una gomitata e sibilò, nella sua lingua “Smettila di fare la scema!“ mentre il Changlong violaceo sghignazzava.

Le prime portate furono servite al tavolo da camerieri di varie razze Ander e gli aristocratici si concentrarono sulla loro cena per qualche minuto, giusto per dare a Re Cold il tempo di formulare le parole e di riacquistare un po’ di compostezza. Sorrise e disse “Scusate per questa piccola scaramuccia tra me e mia moglie, se volete passeremo subito al dunque”. Si porse appena e continuò “Da alcuni tomi politici che ho letto nella grande biblioteca di Lorvo, una Imperatrice di Leviathan giunse sul nostro pianeta per stipulare un accordo con la mia gente“ “Penso che voi parliate di Agostana la Splendente, la Prima Imperatrice che governò più di 500 anni fa…“ disse Ladybird, con la bocca piena “Come è di nostra tradizione, i membri femminili della famiglia imperiale quando raggiungono la maggiore età, glup, partono verso pianeti la cui popolazione è quasi a rischio di estinzione e si sposano con un reale affinché possa proliferare e salvaguardare la sua razza“ “Precisamente…“ confermò l’Ander regale, un po’ disgustato. Si schiarì la gola e continuò “Però i Changlong di allora, governati dal mio antenato Lord Chilled, non l’accolsero benevolmente e, dopo un misero tentativo di conversare in modo pacifico, la vostra Imperatrice fu costretta a fuggire per aver salva la vita… Un grave errore da parte dei Changlong visto che, dopo pochi anni, un pericoloso virus ha infettato tre quarti del pianeta… milioni ne sono morti e gran parte dei sopravvissuti sono diventati sterili“. Strinse a sé sua moglie “Il virus non ha intaccato nessun ramo della nostra famiglia ma siamo tra i pochi fortunati“. Le tre Imperatrici si irrigidirono ma attesero che l’uomo finisse di parlare “Sono giunto fin qui per accettare la proposta fatta dalla vostra antenata più di 500 anni fa: voglio stipulare un accordo di fratellanza tra il popolo Changlong e i Leviathani combinando un matrimonio“. Indicò con la mano il secondogenito e concluse “Offro uno dei miei figli, Freezer, in sposo a una delle vostre figlie“.

I membri della famiglia imperiale iniziarono a borbottare tra loro, nella loro lingua, alcuni scioccati mentre altri ne erano entusiasti. “Non è una proposta da prendere alla leggera: stiamo parlando di una delle razze più pericolose dell’universo e questa gente ha dimostrato di esser capace di fare barbarie“ aveva sentenziato Mirmidone, il Primo Generale ed il maggiore della famiglia imperiale. Bear, il più piccolo dei fratelli, ribatté “Però quanti popoli potranno dire di essere imparentati con gli Changlong piuttosto che essere dei schiavi? Se acconsentissimo il nostro popolo diventerebbe ancora più florido, potente e…“ “Quello di diventare potenti non è una priorità Leviathana“ lo interruppe Carol “Ma quello di preservare una specie in via estinzione si… Di individui Changlong ne sono rimasti solo sui 12.000… Maritare una delle nostre figlie con un membro reale di questi Ander potrebbe salvarli!“. A parlare era stato Eel, il Tillimentempibosh marito della Prima Imperatrice, padre di Flea e di Salmo. Fisicamente era quasi identico al figlio, la pelle e gli occhi erano di una tonalità più scura, ma aveva un animo crudele e arrogante. Le altre sorelle ed i due fratelli ancora non si capacitavano di questa sua scelta. La famiglia reale tendeva a scegliersi appunto un membro di una razza a rischio di estinzione mentre la razza Tillimentempibosh era tra quelle più floride nell’universo. Era un vero mistero il motivo della sua scelta, anche perché dubitavano che Eel avesse accettato per amore piuttosto che avere un grado nobiliare più alto, ma nessuno poté far nulla per impedire la loro unione. “Sai che l’unica delle future Imperatrici che fra poco raggiungerà l’età da marito è tua figlia Flea…“ borbottò Carol, seccamente. Il sorriso del cognato si fece più ampio e maligno “Maggior ragione per accettare la loro offerta“.

Si rivolse alla moglie e disse “In fondo non facciamo altro che il volere divino: salviamo una razza quasi estinta, arricchiamo il nostro sangue e la nostra cultura, per non parlare che nessuno oserà più invadere il nostro pianeta“ “Io…“. Flea sbatté con rabbia le mani sul tavolo. Aveva diciassette anni e, fisicamente, assomigliava alla madre solo che era leggermente più alta e meno tarchiata. Gli occhi color lampone della giovane brillarono dalla rabbia “Non potete acconsentire, madre! Non potete decidere della mia vita! Sarò io a scegliere il mio sposo, come abbiamo sempre fatto per millenni!“. Il padre la guardò male e sibilò “Così vuoi far sprofondare nella vergogna la tua famiglia, oltre che condannarci a morte certa?“. Il Primo Imperatore si rivolse agli altri parenti “Forse non ve ne siete resi conto, però conosco molto meglio di voi la fama di Re Cold e dei suoi figli… Rifiutare una loro proposta pacifica farà condannare a morte Leviathan! Sono in grado di utilizzare una specie di energia chiamata Ki e, con quella, possono distruggere un intero pianeta con un solo dito!“.

Mise una mano sul cuore e aggiunse “So che mi odiate, non l’avete mai nascosto, e neanche io provo molta simpatia per voi… Però mi avete accolto lo stesso nella vostra famiglia e Leviathan è diventata la mia casa. Se potrò salvare la vita del nostro popolo grazie al matrimonio tra mia figlia e questo giovane Ander, che Madre Gaia mi assista e benedica questa unione!“. Rimasero in silenzio per un po’, poi Garden mormorò, afflitta “Mi dispiace, Flea… In questo caso tuo padre ha ragione“ “No…“ bisbigliò la giovane mentre la zia continuò “Farti sposare con il giovane Changlong potrebbe salvaguardare sia il nostro pianeta che la sua specie…“ “Vi odio!“ urlò Flea, in lacrime, per alzarsi di scatto e correre diretta al castello. Cold segui la ragazza con lo sguardo finché non entrò dentro le porte del palazzo “Immagino che ella sia la mia futura nuora…“ “Perdonatela, Re Cold…” disse Eel, mellifluo “Flea è una ragazza un po’ impetuosa e testarda ma, quando si sarà celebrato il matrimonio, sarà per vostro figlio una moglie eccellente“ “Non lo metto in dubbio“ replicò il Changlong per niente convinto di ciò. Re Cold Portò le mani giunte sotto il mento e disse “Comunque avrà una settimana, prima del matrimonio, per conoscere ed apprezzare le qualità di mio figlio…“ “Una settimana?“ ripeté Ladybird, leggermente scioccata. Il Changlong annui e disse “Giusto il tempo per fare rifornimento, far riposare le mie truppe e poi ripartiremo alla volta di Lorvo. Avevamo preannunciato agli altri Capo-Clan che mio figlio si sarebbe sposato con una Leviathana… non possiamo portarla con noi senza averla vincolata nel matrimonio“ “Ma… nella nostra tradizione… è lo sposo che…“. L’Ander sollevò una mano “Ne sono al corrente. Sarà solo una cosa temporanea, giusto per presentare la giovane nella società nobiliare Changlong, e poi ritorneranno entrambi su Leviathan“. Alzò il calice colmo di vino e disse “A Freezer e Flea, i futuri sposi, e simbolo della nostra fratellanza“. La moglie e i figli lo imitarono, seguiti dai Leviathani. Lyrica si accorse che, mentre gli adulti non guardavano, che il futuro cugino aveva gettato il suo vino sull’erba.

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Capitolo 25
*** Uno scherzo mal riuscito ***


Il mattino successivo, Flea si era rinchiusa nelle sue stanze e si rifiutava di uscirne. “Sii ragionevole, tesoro mio: se ti soffermi a guardare le sue qualità magari non lo trovi così malaccio… Ha un lavoro redditizio, è aristocratico e poi è molto affascinante…” “Madre, il suo lavoro è quello di vendere i pianeti che non gli aggradano al miglior offerente! Oh! Senza dimenticarci che prima li invade e ne uccide tutti gli abitanti!” “Ti prego parla piano! Lui è qui che ti sta aspettando da più di un’ora…” e dette un’occhiata nervosa al giovane, che stava poco distante con le braccia incrociate. “Allora digli di mettersi comodo perché ho intenzione di rimanere qua dentro fino al giorno del matrimonio!”. All’apparenza Freezer sembrava indifferente alle sue parole ma dentro di sé ribolliva di rabbia.

Il padre della ragazza, che era affianco alla moglie, perse la pazienza. Bussò violentemente alla porta e urlò in leviamita “Ascoltami bene signorina! Se entro quindici minuti non esci di tua spontanea volontà, ti costringerò io a suon di sberle! Anteponi i tuoi stupidi capricci al dovere di una futura Imperatrice di Leviathan!” “A me sembra che sei tu ad anteporre i tuoi interessi alla felicità di tua figlia!” rispose lei in lacrime “Con che coraggio mi obblighi a sposare quel mostro?!?” “Ricordati che sono sempre tuo padre!” Flea si rannicchiò contro la porta e iniziò a piangere. Lyrica, Melody e Fiora, la figlia dell’imperatrice Garden, si chinarono e la abbracciarono. Lei tirò su con il naso e mormorò, cercando di sorridere “Grazie bambine” “Flea! Esci da questa stanza immediatamente!” “Zio Eel! Flea è ancora in camicia da notte! Lasciale ancora un paio d’ore per prepararsi e poi sarà pronta per conoscere chiunque tu voglia!” gridò Lyrica verso la porta. La cugina la guardò sbigottita tra le lacrime. Dall’altra parte lo zio fece un sospiro esasperato e ringhiò “Va bene. Ma se non sarà pronta tra due ore non sarà l’unica a prendersi una sonora sculacciata”. Sentirono i passi allontanarsi.

Prima che Flea potesse dire una parola, la bambina disse, facendo un sorriso maligno “Tranquilla Flea, ho in mente qualcosa che potrebbe far decidere a lui di andarsene di sua volontà”. Melody, la bambina albina di otto anni sorella di Lyrica, prese la sorellina per un orecchio e le lanciò un’occhiataccia con i suoi occhi d’argento “Non ti azzardare! Per quanto sostenga Flea non possiamo far altro che assecondare il volere dei nostri genitori: quelli sono dei mostri che non hanno scrupolo”. Si rivolse alla cugina più grande “Hai visto cosa ha fatto quella donna alla sua stessa servitù… Penso che farebbero di tutto pur di aver ciò che vogliono e il nostro popolo non è in grado di fronteggiarlo” “Ha ragione. Le nostre madri non avrebbero accettato questo patto se il rifiuto non avrebbe coinvolto il nostro pianeta” diede man forte l’altra cugina, della stessa età di Melody. La giovane ci pensò su, poi abbassò lo sguardo e sospirò “Avete ragione, non ho altra scelta…”. Si alzò in piedi e disse “Mi aiutate a prepararmi?”.

Dopo due ore Flea uscì dalle sue stanze come promesso. Il vestito arancione in stile tonaca romana con grossi fermagli d’oro circolari su una delle spalline e sulla cintura la faceva sembrare una fiamma ardente. Ad attenderla c’era sia suo padre che Freezer. Il giovane Changlong le porse la mano affinché lei la prendesse ma la ragazza ringhiò “Grazie ma credo che riuscirò a camminare affianco a te anche senza aiuto”. Lui rimase con la mano sospesa per qualche secondo, poi la abbassò e disse, con voce gelida “I miei parenti ci aspettano in uno dei vostri giardini ormai da tempo” “Mica gli ho detto io che dovevano aspettarmi. Potevano usufruire delle due ore di attesa come più gli aggradava visitando il palazzo e gli altri giardini” ribatté Flea, con altrettanta freddezza. Guardò fuori da una delle finestre e aggiunse “Per fortuna che almeno c’e il sole”. Freezer la afferrò per un braccio, tanta da farla gemere dal dolore, e le sibilò all’orecchio “Trovo il tuo comportamento irritante, oltre che infantile, ma non temere: dopo il nostro matrimonio ti insegnerò ad essere una moglie docile e ubbidiente” “Preferisco crepare piuttosto che sottomettermi a te e alla tua disgustosa famiglia”. L’essere albino aumentò la presa e ribatté “Ogni cosa a suo tempo, mia cara...”.

Lyrica seguì la cugina e gli Ander di soppiatto. Sapeva che erano creature pericolose ma questo non le impediva di essere molesta nei loro confronti. Indossava una tenuta da ninja di tessuto ricavato dalla seta dei bruchi camaleontici, che l’avrebbero mimetizzata con l’ambiente circostante. In più aveva impiastricciato il viso con linfa verde e terra nera, che l’avrebbe mimetizzata ancora meglio. Si sentiva invincibile.

Armata di fionda e di speciali pallottole, seguì il gruppo nel porto degli zeppelin del castello, fino ad arrivare vicino all’astronave Ander. Si nascose tra alcune casse piene di provviste e lì fece una smorfia. Anche se con quella mise sarebbe riuscita ad eludere le guardie all’entrata, potevano essercene altre al suo interno, magari più forti e pericolose. Questo mandava a monte i suoi intenti. Guardò la sacca dove aveva riposto i proiettili e borbottò “Vabbé, almeno uno glielo devo pur tirare”. Ne prese uno grande quanto un’unghia, nero e tondo ed armò la fionda. Chiuse un occhio e mirò al collo di Freezer quando una mano viola le strappò la fionda dalle sue. Lei si voltò e vide davanti a sé Cooler, che la fissò con un sorriso sulle labbra.

“Cosa credevi di fare?” bisbigliò lui e mimando alla bambina di fare altrettanto. “Niente…” rispose lei con il broncio “Un piccolo scherzo innocente…”. Il Changlong osservò la biglia nera “Colpire mio fratello con un proiettile non sembra tanto innocente” “Lo dici come se la vostra pelle potesse essere subire danni per un misero proiettile, quando ho sentito dagli adulti che quella roba bianca simile alle ossa che avete addosso è più dura di un diamante”. La voce di Artica risuonò nell’area “Allora Cooler? Chi è il nostro clandestino?”.

Lyrica impallidì “Sanno che sono qui?!?”. L’Ander sorrise “Sanno che c’è qualcuno ma i nostri Scouter non ci rivelano l’identità della persona”. La bambina lo fissò, leggermente impaurita “Ora cosa fai? Mi vendi?”. Cooler rispose con un sorrisetto “Certo che no, soprattutto per una cosa che avrei voluto fare io”. Le fece l’occhiolino “A proposito, cos’è questo materiale? Mi sembra organico…” “E’ cacca di Carbuncle” “Cacca di che…?!?” “Sono degli animali pelosi che sembrano un incrocio tra un coniglio e un furetto ed hanno anche loro una bio gemma sulla fronte, un po’ diversa dalla vostra. La loro cacca sembra fatta di gomma ma quando si rompe rilascia un liquido molto ustionante per molte cuti” “Mmh…”. “Cooler?!? Si può sapere cosa c’è lì?” urlò di nuovo sua madre. Il Changlong bisbigliò a Lyrica “Meglio che te la fili, a mia madre non piacciono gli scherzi”.

Il giovane tornò dalla sua famiglia e disse “C’era un animale peloso che aveva una grossa bio gemma sulla fronte…” “Un Carbuncle? Qui?” domandò Flea, perplessa. Cooler annuì e mostrò la pallina “Ci ha anche lasciato un ricordino…” “Che cos’è?” chiese il padre mentre la Leviathana si mise a ridacchiare “Meglio che lasci subito quella biglia e ti vai a lavare le mani…” “Perché?”. Mentre faceva quella domanda, il Changlong la schiacciò con le dita. Un liquido verde schizzò dalla massa nera e gommosa e finì su una guancia del purpureo, che urlò dal dolore. Freezer si era piegato in due dal ridere, la madre strillava isterica mentre il padre cercava di farla stare calma.

Dopo un paio di minuti Flea fischiò forte con le dita, azzittendo tutti, e disse “Lo accompagno in infermeria… Non sei il primo Ander che si ustiona con le feci di Carbuncle” “Feci?!?” ripeté l’albino scoppiando di nuovo a ridere. Artica guardò storto il figlio più giovane e ringhiò “Non c’è niente da ridere… Lo stesso vale per te, Cold!”. Flea prese per un braccio Cooler e lo guidò dentro al palazzo. Dopo un paio di porte arrivarono in infermeria, dove la ragazza si dette da fare per preparare la pomata per l’acido dei Carbuncle.

Il Changlong si sedette e aspettò pazientemente che lei finisse di trafficare con gli ingredienti. Quando ebbe finito e Flea gli porse la ciotola piena di crema bianca, il giovane le chiese “Potresti spalmarla tu sulla guancia? Le mie mani sono ancora sporche di…”. La diciassettenne alzò gli occhi al cielo ma l’aiutò a mettere la crema sulla lesione. Mentre l’applicava, Flea disse “Tra le casse non c’era un Carbuncle” “No” “Chi c’era?” “Una delle tue cugine… la bambina con i capelli neri…” “Lyrica!”. Lui le afferrò la mano e disse “Stai tranquilla, non dirò niente ai miei… so più di tutti quanto sono suscettibili”. Flea gli fece un sorriso e esclamò “Grazie!”. Lui le sorrise a sua volta, poi guardò la mano di lei, che era ancora nella sua “Sai, hai un tocco molto dolce e delicato… Neanche mia madre mi ha accarezzato così…”. Intrecciò le dita con quelle della ragazza e mormorò “Si incastrano alla perfezione…”.

Flea arrossì e borbottò “I tuoi… ci stanno ancora aspettando…”. Lui si riprese e balbettò, imbarazzato “Scusa… h-hai ragione… andiamo…”. Quando i due furono usciti, Lyrica uscì a sua volta dal suo nascondiglio. Sbagliava o Cooler ci stava provando con sua cugina?

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