Piratessa

di Sophie_Wendigo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incendio e Inferno ***
Capitolo 2: *** Really Bad Eggs ***
Capitolo 3: *** Non tutti i Pirati nascono Pirati ***
Capitolo 4: *** Teuta d'Illira ***
Capitolo 5: *** Porto ***
Capitolo 6: *** Cerchio ***



Capitolo 1
*** Incendio e Inferno ***



Era subito tornata a sedersi al suo posto, scompostamente, lo sgabello che gemé quando vi si abbandonò sopra di nuovo, troppo stanca per rimanere in piedi, la testa completamente svuotata, lo stomaco intrecciato e un peso sul petto che, ne era certa, presto o tardi l’avrebbe soffocata.
Elizabeth Swann non si curò dell’entusiasmo degli altri, che inebriati dalla prospettiva di salvare il loro capitano perduto già si avviavano alle scialuppe, ormeggiate fuori dalla baracca di Tia Dalma, guidati da niente meno che il Capitan Barbossa ritornato dalla terra dei morti.
Neppure lo sguardo insistente di Will la scosse dal suo torpore, sentiva i suoi occhi preoccupati su di lei, qualsiasi donna non avrebbe potuto desiderare di meglio: Il suo amore per lei era come miele, dolce, dolcissimo, l’avvolgeva, viscoso, le colava addosso, fino a sommergerla, le scivolava in bocca, negli occhi, nel naso, la faceva sua, tutta sua in un tiepido mare di melassa che l’avrebbe protetta, salvata, annientata, avrebbe ovattato ogni dolore, per sempre.
Si aspettava da un momento all’altro che la raggiungesse, che la baciasse, e l’aiutasse ad alzarsi e a raggiungere il resto della ciurma, ma lei non si sarebbe mossa, si sarebbe sgretolata come una scultura di sabbia sotto le sue labbra, e si sarebbe sparsa a terra, scomparendo nelle fessure del pavimento rovinato. 
Questo desiderava: pagare per quello che aveva fatto, non meritava altro. 
Ma forse la punizione che le spettava non era di sparire, polvere fra le crepe nel pavimento, era di rimanere intatta, e continuare a tormentarsi per aver condannato a morte Jack Sparrow, per essersene pentita, e per non desiderare di affogare nella melassa come qualsiasi ragazza della sua età.
Ma Will non tentò di salvarla, non ancora, dissuaso da un cenno della Sciamana che lo invitò a raggiungere gli altri e lasciarle sole. 
Tia Dalma si inginocchiò di fronte alla ragazza, i suo occhi neri, profondissimi, invasero il suo campo visivo, costringendola a riemergere dal vortice di pensieri in cui si stava lasciando trasportare. Ancora non sapeva cosa, ma c’era qualcosa di spaventoso e attraente in quegli occhi.
“Pensavo saresti stata felice di poterlo salvare, Bambina, di poter disfare ciò che è stato fatto.”
Elizabeth sentì il respiro fuggirle dai polmoni, e il peso sul petto schiacciarla ancor più forte. “Non so di cosa tu stia parlando.” Sussurrò a corto di fiato.
“Non mentirmi Bambina, non ce n’è bisogno. Ciò che hai fatto non è sbagliato, il motivo per cui l’hai fatto lo è.” Si alzò, torreggiando su di lei ancora seduta sul basso sgabello, che la guardava con gli occhi gonfi spalancati, già carichi di lacrime e rabbia. “Non è giusto affidare alla morte una tua scelta. Non è giusto per te, né per William, né per Jack.”
“L’ho fatto per salvarci tutti.” La voce uscì come un sibilo dai suoi denti.
“L’hai fatto per non decidere.” Quelle parole caddero come macigni nel silenzio della stanza. “Riposa la tua mente, riposa il tuo cuore, Bambina, ti aspetta un lunghissimo viaggio. Arriverà un momento in cui la tua mente non ti riconoscerà più tanto sarai cambiata, ma il tuo cuore saprà ciò che è giusto fare ed essere, il cuore non mente mai.” Le carezzò i capelli biondi ancora incrostati di sale, poi scendendo con la punta delle dita sul suo viso madido di lacrime e sudore, le tracciò ghirigori misteriosi sulle labbra, le palpebre, la fronte, al ritmo cantilenante della sua profezia.
Elizabeth era accecata da quelle accuse, da quelle parole così dolorosamente schiette, ma il tocco dei suoi polpastrelli sembrò ammansire il turbinio di pensieri che di lì a poco l’avrebbe fatta esplodere distruggendola, le lasciò la mente più silenziosa, intorpidita ancora, ma non dal dolore, da una stanchezza profonda, che le chiedeva solo di dormire e riposare.
 
Non riusciva a respirare, l’aria calda faticava ad entrarle nei polmoni, sentiva il petto e il ventre costretti, come da uno sgradevole abbraccio. 
La luce l’accecava, iniziava a girarle la testa, annaspò un ultima volta e poi il vuoto, il vento che le sferzava i capelli perfettamente acconciati sotto al suo cappellino col nastro di raso, il vestito preziosamente ricamato si agitava nell’aria come se volesse strapparglisi di dosso, e poi, l’acqua, fredda, salata, la luce che riverberava in mille sfaccettature sopra di lei, il peso del mare addosso, che la spingeva sempre più in basso.
Poi niente, e poi una presa salda l’afferrò per le spalle, un braccio le scivolò attorno alla vita, senza tante cerimonie, sgraziatamente. 
Due occhi neri puntati sul suo viso, incorniciati da capelli corvini fittamente intrecciati che fluttuavano nell’acqua agitata da mille bolle, non la persero mai di vista, come nella puerile convinzione che non sarebbe scappata fra le braccia della morte fintanto che non avesse smesso di guardarla.
Non respirava da minuti ormai, ma se morire significava continuare ad essere guardata ancora per un pò da quegli occhi, tutto sommato le andava bene.
Di nuovo buio, e all’improvviso, quell’abbraccio soffocante che le impediva di respirare, si sciolse. L’istinto le ordinò di prendere ossigeno, di riempirsi i polmoni, tossì fuori fiotti d’acqua salata, e finalmente respirò, l’aria le bruciò la gola, svegliandola da quelle visioni brumose. 
Un volto spigoloso, cotto dal sole, gli occhi neri che ancora non si erano staccati da lei, quando riuscì a mettere a fuoco le sembrò di annaspare di nuovo in quello sguardo profondo, in cui vorticavano preoccupazione, sollievo e curiosità.
Un infinito attimo di calma, subito interrotto da voci concitate, passi pesanti, uniformi, lame, fucili, suo padre. 
Si ritrovò con una catena al collo, nelle mani dell’uomo misterioso che l’aveva salvata, che adesso cercava di salvare se stesso.
“Siamo pari adesso.” Quella voce soffiata le rimbalzava fra le tempie, pochi centimetri li separavano, non era mai stata così vicina a qualcuno, tantomeno ad un uomo, tantomeno ad un pirata. 
Il cuore le batteva impazzito, l’odore di salsedine mischiato ad un accenno di rum le pizzicava il naso, fissava quegli occhi furbi in cui sarebbe volentieri annegata un istante prima, e adesso era furiosa, spaventata, forse no, forse eccitata, si sentiva viva, era mai stata così viva? Ed era giusto sentirsi vivi nelle grinfie di un pirata? Lei, una giovane dama indifesa, figlia del governatore, con un brillante futuro d’avanti, con spasimanti degni delle migliori favole che le leggevano da bambina, non poteva che essere terrorizzata, e furente per un simile affronto. 
Eppure lei, da bambina, di nascosto, leggeva storie di mare, di assalti, di tesori, di pirati, e si sentiva più viva che mai.
Jack Sparrow sembrò cogliere che quell’ira stava mascherando qualcosa, dietro quel viso d’angelo intravide una scintilla che aspettava solo di essere resa incendio e inferno, quindi continuò a sfidarla con lo sguardo, chissà quanto avrebbe resistito? Si sarebbe divertito a giocare all’infinito con una tale meraviglia, ma il tempo stringeva, quindi si limitò a saziarsi la vista con quella creatura tremante e in bilico, e come sempre razziò ciò che potè: la strinse ancor di più a sé e godé nel sentirla fremere, fra rabbia ed eccitazione, annusò i suoi capelli e distinse sotto la salsedine il profumo di balsami pregiati, gettò lo sguardo sul suo corpicino perfettamente delineato dalla sottoveste bianca ancora zuppa di acqua di mare, e infine, con un ghigno soddisfatto, sussurrò:
Piratessa
Poi la baciò, un bacio che si prese il suo tempo, la lingua calda e dolciastra che le leccò via l’acqua salata dalle labbra, i baffi arricciati che le solleticavano il viso. E poi fuggì.

 
Elizabeth trasalì, quel nomignolo che echeggiava ancora tutt’attorno, si sarebbe voluta gettare al suo inseguimento, picchiarlo fino a farlo pentire di averla provocata, e baciarlo fino a pentirsene. Al diavolo Port Royale, il Commodoro, suo padre, Will, la sua vita da principessa.
Ma ciò che vide, non fu Port Royale, o la silhouette di Jack in lontananza mentre tentava una rocambolesca fuga, ma piuttosto il cielo stellato, lo sguardo indecifrabile di Tia Dalma che si stagliava in mezzo ad alcune facce preoccupate della ciurma, e Will accanto a lei ma più distante che mai. 
Era sulla scialuppa, in viaggio verso il primo porto in cui trovare una nave con cui partire per la fine del mondo, aveva sognato.



La quarantena gioca brutti scherzi: tipo la voglia di scrivere dopo ANNI che non scrivi, tipo la pazza idea di ricominciare a scrivere proprio con una sottospecie di studio introspettivo di Elizabeth post maratona di POTC, e poi ma sì, dai, facciamolo anche Sparrabeth già che ci siamo :D

Auguro buona fortuna a coloro che si spingeranno fino in fondo a questa strana creatura/creazione <3 
 
PS: Recensioni molto molto molto ben accette, mi farebbe davvero piacere avere dei pareri dopo così tanto tempo che non scrivo qualcosa!
 

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Capitolo 2
*** Really Bad Eggs ***


Ce l’avevano fatta, erano riusciti nell’impossibile. 
Una volta naufragati sulle bianche e terribili sponde del Forziere di Davy Jones, vedere la sagoma di Jack arrampicata sugli alberi della Perla Nera, che lenta scivolava sulla polvere fino al mare, sembrò come un miraggio per tutti i membri della ciurma, come una dolce allucinazione che calma gli animi inquieti di un folle. 
Per Elizabeth non fu così, non riuscì a crogiolarsi in quella visione come gli altri. 
Una piccola parte di lei sperava ancora che essere arrivata fino alla fine del mondo, per riportarlo indietro, sarebbe bastato a redimere i suoi errori, che magari solo vederlo sano e salvo sarebbe persino bastato a sciogliere il peso che le schiacciava il cuore nel petto.
Ma più si avvicinava, più i sensi di colpa aumentavano e più sarebbe voluta scappare lontano, per non doverlo mai più guardare negli occhi. Era convinta che avrebbe capito, era un pirata dopotutto.
Invece era arrivato il momento in cui non solo avrebbe dovuto affrontare l’uomo che aveva condannato a morte, ma anche render conto delle proprie azioni a Will.
 
Il giovane Turner la scoprì sottocoperta, nel ventre umido e oscuro della nave, dove era andata a rintanarsi nel tentativo di posticipare ancora di un istante quegli scomodi confronti.
La testa fra le mani, e i pensieri in tempesta. 
Da quando aveva lasciato Jack al suo destino, si era rotto qualcosa fra di loro, sempre più distanti, alla deriva l’uno dall’altra.
Sembrava che quel tragico evento li avesse entrambi svegliati dalla favola che andavano raccontandosi da quando erano piccoli, da quando la principessa bambina salvò un piccolo pirata naufragato in mezzo al mare, cresciuto in un fabbro dal buon cuore che l’aveva conquistata mantenendosi virtuosamente a distanza, con dei pudici sguardi d’attenzione. Una fiaba scritta dal destino, in cui entrambi volevano credere con tutte le loro forze, anche quando la vita li aveva cambiati e allontanati: lui divorato dalla visione di un padre sfigurato dal mare, prigioniero su una nave fantasma, lei incapace di capire il suo posto nel mondo, a dibattersi fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
E ne aveva fatti di sbagli: condannando Jack a morte, e non dicendolo a Will, per paura che la guardasse con occhi diversi, o forse per paura che intuisse i suoi sentimenti confusi. 
Adesso ne stava pagando le conseguenze, perché, come temeva, lui la gelò con occhi diversi, e indagò i suoi veri sentimenti fra le menzogne che raccontava, persino a se stessa. 
Scappare, questo le ordinava ogni fibra del suo corpo.
“Se fai le tue scelte da sola, come posso fidarmi di te?”
“Non puoi.” Disse scivolando via dalla sua presa, lasciandolo con nuovi terribili dubbi nel cuore della nave.
Avrebbe voluto cancellare tutto quanto, tornare a Port Royal, nei suoi preziosi alloggi, a vestire i suoi preziosi vestiti, magari avrebbe persino sposato il Commodoro e reso fiero suo padre, tutto pur di non perdere il suo preziosissimo Will.
 
Quella stessa notte, si meravigliò del silenzioso sciame di piccole piccole scialuppe che incrociò la rotta della Perla Nera, su una di queste, scoprì suo padre, a lasciarsi cullare oltre la fine del mondo, sospinto dalla morte nella direzione opposta alla sua. 
In quel momento, quando distinse il suo viso pallido, le fu chiaro che poteva non esserci una fine al suo tormento, e che c’era ben altro in lei che poteva ancora frantumarsi. 
Il dolore, lo stupore e le lacrime le offuscarono la vista e la mente, si sarebbe gettata senza timore in quelle acque infestate da anime senza pace pur di riportare il suo amato padre indietro, pur di incollare insieme ciò che rimaneva di sé per non sparire del tutto. 
Ma di nuovo l’abbraccio di Will la costrinse a sé, la salvò di nuovo, certo, ma a quale prezzo? 
Non meritava niente di ciò che aveva, neppure la sua vita, l’avrebbe volentieri scambiata con quella del padre, si sarebbe spenta su quella piccola barchetta in mezzo al niente: niente più rimorsi, niente più rimpianti, niente più dolore, solo riposo e silenzio.
Invece si ritrovò premuta al petto di Will, scalpitante di dolore, e di una furia sconosciuta, che le ordinava di ucciderlo, distruggerlo con le sue stesse mani per essersi ancora permesso di salvarla da se stessa. 
Era ormai evidente che c’erano angoli insondati del suo animo che faticava a riconoscere come suoi.
All’improvviso però, senza che riuscisse a trovarvi un motivo, nella sua mente riecheggiò quella parola, Piratessa, e le forze le fuggirono dal corpo, lasciando solo un dolore sordo.
 
Era l’ultima notte concessagli nel Forziere, se non avessero trovato presto una soluzione sarebbero rimasti prigionieri per sempre, eppure non era quel cupo pensiero a tenere Elizabeth sveglia.
Si alzò dalla sua branda sotto coperta, cercando di fare il minor rumore possibile attraversò il buio più totale e si spinse fuori, e una miriade di stelle la investì assieme all’aria fresca della notte. Passeggiò sul ponte fino a raggiungere il parapetto di destra, vi poggiò i gomiti e affondò il volto nelle mani, lasciando piccoli spiragli fra le dita così che potesse ancora vedere le stelle riflesse sull’acqua nera e placida.
Rimase lì, il tempo che sembrava dilatarsi all'infinito, talvolta cercando senza posa di distinguere la linea dell’orizzonte, talvolta chiudendo gli occhi nella speranza di soffocare quel groviglio di pensieri che le si agitava dentro, ma senza mai riuscirci.
“Con me di solito funziona.” Una voce soffiata, come le fusa di un gatto, preceduta solo dal rumore della bottiglia di rum che le poggiò di fianco sul parapetto. “Boo.” Sogghignò Jacksotto i baffi perfettamente arricciati vedendola trasalire.
Elizabeth rimase in silenzio, ancora incredula per non averlo sentito avvicinarsi nel silenzio della notte, con le labbra dischiuse e la mente che tutto d’un tratto si era fatta silenziosa, incapace di trovare le parole giuste per rispondere a quell’uomo che aveva lasciato a morire. 
Era a piedi nudi, i calzoni sdruciti allentati alla vita, la solita camicia leggera era ancor più aperta sul petto, non portava neppure il suo cappello, e i contorni dei suoi capelli scuri si confondevano nel cielo notturno facendolo sembrare un’apparizione quasi demoniaca.
Sperò che capisse il suo silenzio e semplicemente distolse lo sguardo, afferrando il collo della bottiglia lasciata aperta e portandola di fronte a se, per assicurarsi che non finisse in acqua al dondolare della nave. 
“Non penso che basti un pò di rum, Jack.” Si prese il suo tempo per osservare il liquido, che ora rimandava inaspettati bagliori verdastri per via della luce di quella notte senza luna. 
“Allora ci vorrà più rum.” Fece spallucce l’altro, mentre si sistemava accanto a lei ma con le spalle rivolte al mare, guardando dal lato opposto al suo, con le mani intrecciate all’altezza dello stomaco e i gomiti puntati sul corrimano, in una posizione spavalda e sbilenca al tempo stesso che gli si addiceva.
“Sono contenta che tu sia qui, insomma, che tu non sia più…”
“Sbaglio o mi avevi detto che non ti dispiaceva, e che non avresti chiesto scusa?” La punzecchiò lui, per il puro gusto di punzecchiarla.
“Non sono più sicura di ciò che ho fatto.” Rispose ignorando l’aria di scherno, decisa a non distogliere lo sguardo dalla bottiglia di rum. “ Non sono più sicura di niente.”
“Non ti dona neanche un po’ quest’aria tormentata e pensierosa, sai?”
“Jack mio padre è morto, per me. Per me che invece di essere rimasta a Port Royal a proteggerlo, sono qui su questa maledetta nave. Avevo tutto ciò che si potesse desiderare lì, un futuro brillante, un ottimo partito, non avrei perso mio padre, non avrei allontanato Will, e non ti avrei mai lasciato a morire.” Fu costretta a prendere un lungo respiro, le parole che tremavano “Pare che in qualche modo sia riuscita a rovinare tutto.”
“Oh, ma smettila.” Lo sbuffo annoiato del pirata la colpì come uno schiaffo in pieno volto.
“Perdonami?” Chiese in un soffio, la voce ancora incrinata e un sopracciglio alzato per lo stupore.
“Non dubito che tu sia distrutta per la perdita di tuo padre, che possa riposare in pace.” Si soffermò per una calcolata reverenza.
“Ma?” Lo incalzò lei, con una punta di stizza che iniziava a farsi strada nella sua voce.
“Gioia, non fraintendermi, comprendo bene. Comprendo bene che sarebbe stato tutto molto più semplice per te, a Port Royal.” Di nuovo una pausa, calcolata, e fastidiosa. “Chiusa nelle tua bolla di vestiti ricamati, balsami pregiati, la servitù, con tutti i riguardi e le riverenze del caso, sposata al buon Commodoro e moglie adultera nel letto del fabbro - a dir poco un clichè -, di questo tuo padre sì che sarebbe andato fiero.” Elizabeth s’irrigidì. “Tutto secondo i piani. Ma ti sarebbe piaciuto tanto quanto solcare le onde su questa maledetta nave?” Con quella provocazione, la sfida si era ufficialmente aperta.
“Darei la vita pur di poter tornare indietro.” Mentì fra i denti, guardandolo dritto negli occhi. 
Jack tenne il suo sguardo, sperò fino all’ultimo di vedere anche la più piccola espressione che la tradisse, ma ben presto capì che non avrebbe ceduto tanto facilmente. Un sorriso gli si aprì piano sul volto.
“Bene, allora puoi tornare a piangerti addosso, perdona l’interruzione, Tesoro.” Si mise in piedi di scatto, senza preavviso, allontanandosi con il suo solito passo dondolante e misurato verso la cabina del capitano.
Elizabeth quasi tremava per la rabbia che le montò, che le ribolliva nelle vene fino a bruciare, come veleno. Tentò fino all’ultimo di trattenersi, ma non voleva, non poteva lasciarlo andar via così.
La bottiglia di rum, finora stretta nelle sue mani, precipitò di sotto dal parapetto agitando le acque placide di quella notte calda.
“Come ti permetti?!” La voce le uscì come un sibilo dalle labbra mentre si voltava di scatto, già il viso rigato da delle lacrime che non capiva, pestando appena due passi furiosi e incerti sul ponte. 
“Mi permetto perché sono un pirata.” Si girò di nuovo, senza quasi farle finire la frase, aspettava a gloria quella reazione e lo sapeva che non avrebbe resistito, la conosceva bene ormai. “E in quanto pirata, mi posso permettere di fare e dire tutto ciò che voglio, già solo perché lo voglio.” Cantilenò beffardo, estinguendo la distanza che aveva prima messo fra di loro.
“Smettila.” Stavolta suonò più come una supplica, e Jack poté leggerle nei suoi tratti illuminati dalle lacrime il disappunto per essersi lasciata sfuggire quel tono.
“Ne abbiamo già parlato, ricordi? Puoi raccontarti tutte le idiozie che preferisci, ti crederanno tutti presto o tardi, persino il tuo Will tornerà a leccare le tue ferite immaginarie, ma in fondo, io e te, sappiamo bene qual’è la tua vera natura, Piratessa.” Che fosse quella l’ultima impietosa stoccata? L’ultimo schiaffo che l’avrebbe fatta crollare? Si chiese Jack.
Quella dannata parola, Piratessa, ebbe il potere di catapultarla in quello che aveva tutto l’aspetto di un incubo.
“Mio padre non è morto per vedermi diventare un pirata. L’ha fatto per proteggermi e permettermi di tornare a Port Royal con Will, perché lo sposassi e fossi felice.” L’ultima resistenza, le lacrime ormai si erano fermate.
“Tuo padre è morto perché ti amava, e voleva che fossi felice, è vero. Quindi, vuoi davvero buttare alle ortiche il suo sacrificio con queste menzogne?” La prese per le spalle, per fare in modo che sollevasse lo sguardo dalle assi nere del ponte e lo guardasse dritto negli occhi, non le diede scampo. “Hai avuto la fortuna di vederlo un ultima volta, qui, dove non c’è più tempo per le mezze verità. Ti ha guardata negli occhi, su una nave pirata nelle acque oltre la fine del mondo, e ti ha detto che è fiero di te. È fiero di te Elizabeth, quindi perché tu non riesci ad essere fiera te stessa?”
“Sei crudele.” 
Sfida persa. 
Gli occhi puntati nei suoi, niente più lacrime, niente più rabbia, niente più pensieri aggrovigliati, al loro posto, una chiarezza disarmante. 
Incredibile quanto dare un nome ai propri demoni li rendesse subito più docili.
“No, tu sei crudele. Come hai potuto far cadere il rum?” Il pirata si esibì uno dei suoi soliti accessi di pathos per il liquore perduto, poi, in una frazione di secondo si fece serio. “Dunque, Gioia, per concludere, che ti piaccia o no questa è la tua natura, quindi fa' e di' ciò che più ti aggrada, scegli e accetta le tue scelte, accettale in tutto e per tutto, perché un pirata non deve render conto a nessuno se non a se stesso.” 
Finalmente allentò la presa dalle sue spalle, e si concesse di lasciar scivolare le mani inanellate lungo le sue braccia esili, abbandonate lungo al corpo, fino a cingerle i polsi solo con la punta delle dita. Senza preavviso e senza slacciare il loro sguardo, l’attrasse più vicina a sè, e quando l’ebbe ad una manciata di centimetri dal viso, si aprì in un sorriso soddisfatto che gli spaccò il volto a metà, e lei gliel’avrebbe volentieri cancellato con morsi e baci quel sorriso adesso. “Buonanotte.” Le sussurrò ad un soffio dal naso, quindi le liberò anche i polsi, e la lasciò lì, da sola in mezzo al ponte rischiarato dalle stelle, per dirigersi dondolante verso la sua cabina, canticchiando: -devils and black sheep and really bad eggs-.
 
 

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Capitolo 3
*** Non tutti i Pirati nascono Pirati ***


Quella notte, l’ultima notte nel forziere di Davy Jones, fu la prima in cui Elizabeth riuscì a riposare. Da quando aveva condannato Jack, i sensi di colpa e i pensieri la tenevano sveglia tutta la notte, o quando era fortunata, si dibatteva nella sua branda in quella sorta di dormiveglia difficile da distinguere dalla realtà, che la faceva svegliare più stanca di quando si era coricata.
Anche se per poche ore, finalmente poté riposare la sua mente affaticata in un sonno profondo e senza sogni, interrotto solo quando le prime luci dell’alba si fecero largo fra le fessure nel legno nero della Perla, andando a posarsi sulle sue palpebre.
Si concesse il suo tempo, senza aprire gli occhi stirò le sue membra finalmente rilassate dalla notte, poi, quasi per gioco, tese i suoi sensi ad indagare lo spazio attorno sé: distinse i diversi respiri della ciurma, lenti e profondi, incatenarsi e sovrapporsi l’uno sull’altro, qualcuno più lontano ancora russava sommessamente; poi si concentrò sul placido dondolare della nave, sullo scricchiolio delle assi di legno, sulle acque calme di quel mare sconosciuto che si aprivano docili al passaggio della prua; infine sentì sopra coperta i passi di qualcuno, probabilmente la prima guardia, quella che solitamente dava il cambio al turno di notte, e che si occupava di controllare che la nave non fosse minacciata da qualcuno o dal cattivo tempo. 
Buffo, pensò, visto che erano bloccati in quel luogo dimenticato da dio e dagli uomini. Che pericolo mai poteva attenderli, se non un lento e inesorabile oblio?
Una sottile angoscia l’avvolse per la prima volta, non riuscire a tornare indietro adesso era un pensiero che la spaventava, mentre fino alla sera prima quell’oblio suonava come un sollievo.
Dopo la chiacchierata di quella notte, non si sentiva più vittima dei suoi pensieri e dei suoi stessi istinti, al contrario, Jack le aveva fatto un dono prezioso: le aveva fatto capire che le era concesso di scegliere, e le era concesso di accettare le sue scelte. 
Quindi non le restava che scegliere. E per quanto sapesse che sarebbe stato estremamente complicato, il solo fatto di avere quella possibilità le aveva dato nuova vita.
Finalmente aprì gli occhi, la luce che l’aveva svegliata era flebile e pallida, segno che il sole non era ancora sorto del tutto. 
Si mise a sedere sul bordo della branda, facendo attenzione a non svegliare nessuno, soprattutto Will, che dormiva in un’amaca accanto a lei. Avrebbe tanto voluto condividere con lui ciò che le passava per la testa, eppure era convinta che non avrebbe capito, che l’avrebbe giudicata, e che così facendo l’avrebbe davvero perso per sempre.
Col dorso delle mani stropicciò via gli ultimi stralci di sonno dagli occhi e quel pensiero dalla mente, poi si passò le dita fra i capelli, ormai indomabili per via della salsedine, un ultimo respiro profondo, si alzò in piedi e salì sopra coperta.
 
Le bastò giusto un istante per abituare gli occhi alla luce dell’esterno, e subito si accorse che la nave sembrava navigare esattamente lungo la linea immaginaria in cui sulla volta celeste si davano battaglia giorno e notte: a sinistra ancora brillavano le ultime stelle, l’orizzonte di un indaco scurissimo, a destra il profilo luminoso del sole si sollevava lento e inesorabile dal mare, rischiarando quella porzione di cielo in una tenue gradazione fra il verde e l’azzurro, tingendo timidamente le sottili nuvole della mattina sparse più in alto.
Le labbra le si dischiusero appena in un sorriso mentre si godeva quello spettacolo, senza più negare a se stessa che la vita in mare aveva un forte ascendente su di lei.
Quando la meraviglia fu sostituita dal cupo pensiero che quell’alba segnava la loro ultima possibilità di tornare a casa, distolse lo sguardo, voltandosi in cerca del proprietario dei passi che aveva sentito poco prima sottocoperta. 
Sul ponte di poppa, rivolto verso l’alba, incontrò l’incombente figura di Barbossa, che sembrava non essersi accorto della sua presenza.
Salì le scalette in silenzio, e si fermò accanto al grosso timone nero.
“Possibile che di tutta una ciurma di pirati, l’unica a svegliarsi prima dell’alba, come si dovrebbe, sia una donna?” Bofonchiò il Capitano, senza distogliere lo sguardo dall’orizzonte. Dunque l’aveva notata, non si aspettava niente di meno da lui dopotutto.
“Sono stanchi credo, non mangiano da giorni, e anche l’acqua sta finendo.” Sorrise mestamente, iniziando a far correre inavvertitamente le dita lungo il profilo del timone, l’uomo si limitò a sbuffare, poi finalmente si voltò verso di lei.
“Non ho avuto occasione di farvi le mie più sentite condoglianze per la vostra perdita, Miss Swann.” Si tolse educatamente il cappello per quella reverenza, che sembrò cadere nel vuoto.
“Come mai siete sveglio così presto? In queste acque non dovrebbe servire la prima guardia.” Cambiò argomento con la prima domanda che le venne in mente, convinta che avrebbe capito che apprezzava il suo gesto, ma che in quel momento tornare sul pensiero di suo padre era troppo doloroso.
“Oh per me non serve la minaccia di un pericolo, o l’ordine di un superiore, per essere sopra coperta prima dell’alba. Anche da Capitano ho sempre ricoperto il turno della prima guardia, è il momento che più preferisco, la calma prima di una lunga giornata che potrebbe essere tutto meno che calma.” Era chiara la passione che lo legasse a quella nave e alla vita di mare.
“Non sarebbe meglio se almeno per questa mattina vi concentraste a trovare una soluzione per tornare a casa?” Lo punzecchiò lei, e suonò molto più come un rimprovero di quanto avesse voluto.
“Sono settimane che perdo la testa su quelle maledette carte. Penso possiate immaginare quanto mi duole dirlo, ma ora non resta che sperare in Jack e nei suoi lampi di genio.” Capitolò.
“Sarà meglio buttarlo giù dalla sua branda allora, non abbiamo tempo.”
“Non temete Miss Swann, difficile a credersi quando si parla di lui, ma talvolta pare che abbia dei barlumi di responsabilità nascosti sotto quei ridicoli capelli intrecciati. Non si è mai coricato questa notte. L’ho trovato sopra coperta quando il sole non si era ancora affacciato all’orizzonte, solo adesso si è ritirato in cabina con le sue carte. Temo che abbia più paura di tutti noi messi assieme al pensiero di rimanere bloccato qui.”
Mentre parlava, la sua mente iniziò a creare un’immagine vividissima del pirata, quasi senza il suo consenso. 
Le parve di poterlo vedere, seduto a terra sul ponte avvolto dalla notte, dove l’aveva lasciata pochi minuti prima al termine della loro chiacchierata, una lanterna accanto a sé, piegato sopra l’antica mappa di quelle acque sconosciute, alla ricerca di una via di fuga. 
La camicia ancora slacciata che in quella posizione lasciava vedere gran parte del suo petto e persino i tatuaggi sul ventre, le dita inanellate che sfioravano la pergamena con una leggerezza tale da sembrare carezzarla, seducendola, e così gli intarsi parevano slittare fra loro mossi da volontà propria, dischiudendosi a quel tocco come il corpo di una donna che in preda al desiderio si apre al suo amante, mostrandogli i suoi segreti.
“Posso farvi una domanda?” Chiese Elizabeth, sforzandosi di distaccarsi da quella visione indesiderata, e sperando con tutta sé stessa che le sue espressioni non l’avessero tradita a loro volta. 
Come il mare, anche Jack aveva un forte ascendente su di lei, ma in questo caso ancora faticava ad accettarlo. 
Barbossa le rispose con un silenzio di assenso, tornando a scrutare l’orizzonte.
“Siete molto educato, sapete parlare bene e sapete come comportarvi. Mi rendo conto che potrebbe essere una domanda troppo personale, ma ho sempre voluto chiedervelo, come siete diventato pirata?”
“Non tutti i pirati nascono pirati.” Rispose, con una punta di fierezza nella voce, poi però si prese qualche secondo, in cui parve sperare che Elizabeth gli desse segno di essersi accontentata. “Sono cresciuto in una contea di Bristol, figlio di un mercante. Ad un certo punto la terra ferma iniziò ad andarmi stretta, o forse la rigidità della mia famiglia, di fatto da ragazzo presi il mare e divenni un onesto marinaio. Tale rimasi finché non scoprii che essere un pirata era più divertente, e soprattutto molto più remunerativo.” Concluse con un ghigno soddisfatto, il sole si era coagulato in una sfera appena sopra la linea del mare, e solo allora Barbossa si concesse di avvicinarsi al timone dove era rimasta la ragazza.
“Non ve ne siete mai pentito? Eravate un uomo rispettabile, avevate dei principi.”
“Ora sono un pirata rispettabile, poco cambia, mia cara. La vita è troppo breve e incerta per potersi incatenare nella propria stessa morale, o dio non voglia, in quella di qualcun altro.”
Quell’uomo le ispirava da sempre tanto timore quanto una sorta di rispetto. Pur essendo un fuorilegge, o forse proprio per quello, aveva sempre pensato che fosse carismatico, e più di una volta dai frenetici eventi che li avevano fatti incontrare per la prima volta, aveva dimostrato di avere un’intelligenza sopraffina nascosta sotto la maschera rozza e crudele del pirata.
“Se non sapessi chi ho di fronte, potrei pensare che state meditando sul diventare un pirata voi stessa.” Insinuò Barbossa, di nuovo cogliendola immersa nei suoi pensieri, mentre ancora continuava distrattamente ad esplorare i bracci del timone con le dita.
“Solo curiosità.” Rispose celando l’imbarazzo, e subito ritrasse le mani.
“L’importante è che non siate interessata alla mia nave, c’è già un pretendente di troppo.”

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Capitolo 4
*** Teuta d'Illira ***


Port Royal, agosto 1708
 
La luce flebile di una lanterna, coperta con una leggera sottogonna ricamata, illuminava appena la stanza buia della bambina. L’aria calda del giorno iniziava a barattare il suo posto fra le quattro mura con quella frizzante della notte, che si faceva strada all’interno attraverso la grande finestra spalancata, facendo frusciare le tende bianche.
Sedeva alla sua scrivania, le gambette che dondolavano dall’alta sedia intarsiata, di fronte a sé un libro dalle pagine ingiallite che riempiva gran parte del piano in ebano. 
Indossava un grosso cappello tricorno, con due lunghe e folte piume a lato, che aveva rubato molto tempo fa a suo padre, tanto grosso che ogni istante doveva tirarlo all’indietro perché non le finisse sugli occhi.
Non mancava sera in cui, una volta sistemata per la notte dalla balia, sgattaiolasse fuori dalle coperte ben rimboccate, una veloce rovistata nel baule dei giochi sotto al letto, e subito inforcava il suo amato cappello, poi provvedeva ad issare il suo libro preferito sulla scrivania, accendeva la lanterna e svelta svelta la copriva con la prima stoffa che trovava vicino a sé, così che nessuno si accorgesse che era ancora sveglia.
In quella calda estate era riuscita a scovare molti libri interessanti nella libreria di casa, leggendo aveva imparato che non tutto ciò che le raccontava suo padre era vero, soprattutto riguardo ai pirati: aveva scoperto che non sempre erano sporchi e ineducati, e di certo gambe di legno, uncini e bende nere non erano così comuni come si potesse pensare, al contrario, spesso vestivano alla moda per sfoggiare le loro ricchezze, e ogni Capitano che si rispetti portava un grosso cappello. Certo, magari erano crudeli e spietati come le diceva suo padre, ma cionondimeno vivevano tantissime avventure entusiasmanti, e agli occhi di Elizabeth, ancora piccola e innocente, certi dettagli perdevano di importanza in confronto a tutto quel mondo affascinante e misterioso raccontato nei suoi libri.
Chiuse la pesante copertina del suo libro, il titolo impresso nella pelle risaltò alla luce della lanterna: My Lyfe Amonge The Pyrates, by Capt. J. Ward.
Se c’era un’altra cosa che aveva imparato da quelle pagine, era che i pirati non se ne stavano sempre in alto mare, come insisteva nel sostenere suo padre, anzi spesso sbarcavano nei porti per spendere gli averi conquistati in rum o in donne, e da quando l’aveva scoperto, era diventata una sfida personale riuscire ad incontrarne finalmente uno. 
Quindi anche quella notte, come molte altre prima, continuò a leggere finché tutti i rumori della casa non cessarono, e quando le ultime luci si spensero e finalmente la chiave nella serratura della camera patronale scattò, segnale che il Governatore Swann si stava coricando, scivolò giù dalla sua sedia, infilò sopra la vestaglia da notte il suo sdrucito vestitino marrone con cui era solita giocare in giardino, indossò le scarpette più vecchie che aveva, si arrampicò sul bordo della finestra e si calò giù, dove sapeva esserci i rami di un solido albero ad attenderla.
Forse era proprio per quello che suo padre cercava in ogni modo di mitigare la sua eccessiva curiosità con bugie e storie spaventose, ma evidentemente, senza successo.
Benché la giovanissima età la rendesse avventata, non era certo una sciocca, da sempre si era dimostrata molto più intelligente di quanto ci si potesse aspettare. Sapeva bene che la sua città, la sua Port Royal, che conosceva a menadito, poteva sempre celare brutte sorprese per una bambina da sola, soprattutto per la figlia del Governatore, quindi prendeva tutte le precauzioni che una ragazzina di 8 anni potesse pensare: indossava i vestiti più lisi che avesse a disposizione, nascondeva i capelli lunghi sotto al grosso cappello di suo padre, e si premurava di non percorrere mai le strade principali.
Era la sua grande avventura, ogni notte in cui sgattaiolava fuori si sentiva come i personaggi dei suoi libri, come una pericolosissima ricercata che si nascondeva dalle guardie in una mirabolante evasione.
Scesa dall’albero si ritrovò nel giardino laterale, era la notte più buia che avesse mai visto, il cielo sopra di lei si era barricato dietro una fitta coltre di nuvole, ma il suo itinerario era lo stesso da molte notti e avrebbe potuto ripercorrerlo ad occhi chiusi ormai. 
Si fece spazio in un punto preciso nelle fitte siepi che correvano lungo le mura perimetrali della proprietà del Governatore, proprio in quella zona la parte alta del muro in pietra si era sgretolata, fornendole l’appiglio giusto per issarvisi sopra e scivolare dall’altro lato, verso la libertà.
Proseguì sul declivio che scendeva verso la città, rimanendo ben nascosta nell’erba alta finché non incontrò le prime abitazioni, e ancora avanti, scivolando nelle intercapedini fra le varie costruzioni, evitando vicoli e strade principali e tenendosi ben lontana da chiunque.
Continuò a destreggiarsi nella selva di edifici fin quando non raggiunse il suo obbiettivo: la vecchia taverna del porto. 
Se aveva una chance di incontrare un pirata, quello sarebbe stato il posto, che sembrava uscito direttamente dalle descrizioni dei suoi libri.
Raggiunto il retro della taverna già poteva sentire le voci concitate di marinai e cortigiane, quindi si sistemò sopra il cassone di legno in cui i proprietari gettavano i rifiuti dopo la chiusura del locale, da lì, senza essere notata, poteva avere una buona visuale sull’interno attraverso le fessure fra le vecchie assi della parete. 
Le bastarono pochi istanti per capire che quella sera un argomento ben preciso era sulla bocca di tutti.
Intravide da subito un tavolo attorno a cui si erano riuniti gran parte degli avventori: da un lato sedeva un omone rubicondo, le labbra nascoste da folti baffi giallastri, in una mano un boccale e nell’altra una penna d’oca, con cui scribacchiava svogliatamente su un taccuino; dall’altro lato del tavolo, in piedi, c’erano un marinaio e quella che sembrava la sua giovane consorte, visibilmente turbata.
Racimolando stralci di frasi nel clamore della taverna, intuì che doveva trattarsi di un capitano di qualche nave mercantile alla ricerca di nuovi membri per la sua ciurma, il giovane pareva essersi appena arruolato, e la sua compagna sembrava averlo colto sul fatto e non esserne troppo felice.
“Vi prego signore, fatemi partire con voi. So stare su una nave, mio padre era marinaio, pulirò e cucinerò per voi, vi prego!” Cantilenava la ragazza, prima sbattendo le mani sul tavolo, poi aggrappandosi al fidanzato. “Non puoi lasciarmi qui da sola, non di nuovo! Diglielo anche tu, sarà come non avermi a bordo, so come comportarmi.” Lui di tutta risposta distoglieva lo sguardo, rosso in viso, ma non per l’alcol. 
“Non se ne parla.” Sbottò infine l’uomo baffuto, dopo essersi concesso un ultimo sorso di quello che con tutta probabilità doveva essere rum. “Ve l’ho già detto, non voglio donne sulla mia nave.”
Tutt’attorno si levarono molti commenti d’assenso: porta sventura, diceva qualcuno, non avrete giorno senza tempeste con una donna a bordo, faceva eco qualcun altro. La ragazza iniziò a singhiozzare, ma rimase inascoltata fra i mille strambi aneddoti sull’argomento che si accavallavano fra loro.
Fra tutte, si levò una voce, che per qualche ragione sembrò catturare l’attenzione di tutta la taverna.
“Sapete la vera ragione per cui non si accettano donne a bordo?” Seduto ad un tavolo sul fondo della sala, poco più di vent’anni a giudicare dal tono e da quel poco che Elizabeth riuscì a intravedere, era vicinissimo a lei ma le dava le spalle, aveva i capelli piuttosto lunghi, scurissimi, legati sulla nuca da un nastro rosso, sul tavolo un tricorno di pelle.
“E tu che ne sai, ragazzo?” Biascicò qualcuno che aveva bevuto un bicchiere di troppo.
“E’ una storia antica, in pochissimi ne conservano memoria. Me l’ha raccontata una strega cui ho visto fare magie inspiegabili, ben più incredibili di questa storia. È una fonte certa.” Sapeva destreggiarsi bene con le parole, notò divertita la bambina, che sempre più curiosa cercava di rubare quanto più possibile dalle fessure da cui sbirciava. Il ragazzo buttò giù una sorsata dal suo boccale, giocando sapientemente con l’aspettativa che aveva creato, mai quella taverna era stata così silenziosa e attenta.
“Immagino che non molti di voi conoscano Teuta, Regina d’Illiria. Che non sia d’offesa a nessuno di voi gentiluomini, sia chiaro. Colpa del tempo, che non è stato clemente con questa storia che ha il sapore della leggenda.” Si sistemò meglio sulla sedia, poggiandosi allo schienale con un fare spavaldo che Elizabeth non aveva mai visto prima.
“L’Illiria è una regione sulle coste della Grecia, e ai tempi di questo racconto era popolata da tante piccole tribù di pescatori, Teuta finì in sposa al re di quelle terre, che morì poco dopo lasciandole in mano un regno povero e affamato. La giovane donna non era una sprovveduta, figlia di marinai, era scaltra e di carattere forte, e si concentrò sull’unica forza che aveva a disposizione: il mare. Fu la prima a promuovere la pirateria, e così facendo il suo popolo si arricchì a dismisura, fino ad essere notato dall’Impero Romano.” Tutta la taverna pendeva dalle labbra di quel ragazzo, anche Elizabeth ascoltava meravigliata, e quando quella storia iniziò a parlare di pirati, si aggrappò alle travi entusiasta e incredula.
“Inviarono una prima flotta per spodestarla e rubarle le sue ricchezze, ma fu accolta da venti sfavorevoli e tempeste spaventose, tanto che valse alla Regina Pirata anche il nome di strega fra i Romani, i cui sacerdoti ritennero che questa avesse assoggettato il mare stesso al suo servizio. Nonostante le difficoltà, le grandi e potenti flotte romane riuscirono comunque a circondare le sue coste, e la superba Regina Teuta, consapevole dell’imminente sconfitta, si giocò l’ultima carta che aveva. Ordinò ai suoi uomini di preparare la sua nave, e di fondere quanto più oro e metalli preziosi riuscissero a trovare nel suo palazzo. Una volta sulla sua imbarcazione, senza il minimo ripensamento e senza neppure un lamento, si fece colare addosso i metalli fusi, che la cristallizzarono per sempre sul ponte. Infine, come ordinato, i suoi uomini avviarono la nave verso la flotta romana. Si immolò per il suo popolo: face leva sulla superstizione dei suoi avversari, che vedendo arrivare quella nave vuota, capitanata dalla spaventosa statua della sua superba regina suicida, pirata e strega, la interpretarono come un cattivo presagio, e per non aizzare ancora il mare suo servo, si allontanarono per giorni, dando il tempo al popolo d’Illiria per mettersi in salvo.” Terminata la storia, il ragazzo inforcò il cappello di pelle e si alzò, il boccale sempre stretto in una mano. Attraversò la taverna ancora avvolta in quel silenzio vigile, e con un passo dondolante e al tempo stesso irriverente raggiunse il tavolo dove la giovane fidanzata aveva finalmente smesso di singhiozzare. 
“Teuta era forse una strega? No di certo, la verità è che quelle acque sono tutt’oggi odiose da navigare, imprevedibili come i venti che scendono da nord portando continuamente tempesta. Da quegli eventi nacque la tradizione di tenere sempre ben lontane le donne dalle navi, quando in verità, la loro unica colpa è che sono più scaltre di noi, e sanno sempre il modo migliore per fregarci. Ma conviene di certo dire che portano sventura e che causano l’ira dei mari. Dovete ammetterlo, suona molto meglio così.” Commentò con leggerezza, e non curante del malcontento che iniziò a serpeggiare fra gli uomini, si posizionò al fianco della ragazza, i cui occhi si erano illuminati per la prima volta da un sorriso.
“Ciò detto, mia cara, potete scordarvi che vi facciano imbarcare. Oltretutto, visto come non vi ha difesa, temo che il vostro innamorato non desideri poi molto la vostra compagnia. Non piangete, troverete di certo un modo per fargliela pagare.” Le mise fra le mani di nuovo tremanti di rabbia il suo calice ancora pieno, fece una breve reverenza a lei e al suo compagno calandosi un po’ di più sugli occhi il cappello, e tornò indietro verso il suo tavolo, mentre la taverna esplodeva nel consueto clamore assordante.
Elizabeth era rimasta a bocca aperta per tutto il tempo, affascinata da quel ragazzo misterioso, che poteva sembrare come uno dei soliti frequentatori del posto, ma che invece si era dimostrato una nota stonata nella sgraziata sinfonia di quella bettola, con modi di fare insoliti, capace di fare discorsi carismatici con parole che non si addicono ad un semplice marinaio, e che per giunta parla con disinvoltura di pirati… un pensiero iniziò a farsi strada nella testa della bambina.
Adesso il giovane era ad un passo dal suo tavolo, il volto basso coperto dal bordo del grosso cappello, Elizabeth premé il naso contro le assi di legno cercando di migliorare la sua visuale attraverso la fessura più grossa che riuscì a trovare, sperando di potergli strappare altri dettagli che avvalorassero il suo pensiero. 
All’improvviso, poco prima che raggiungesse la sua sedia, il ragazzo cambiò direzione di scatto. 
La piccola ci mise un istante a capire, e incredula, si tappò la bocca con entrambe le mani.
Gli occhi di lui, iridi scure come quella notte nuvolosa, si puntarono in quelli di lei, attraverso la fessura nel legno che fino ad allora l’aveva celata. 
“Piaciuta la storia?” Come diavolo avesse fatto a scovarla, Elizabeth non se lo spiegò mai. Non si mosse, gli occhi spalancati in un misto di paura ed eccitazione, la mente che correva veloce, che si dibatteva sul da farsi. Era un occasione più unica che rara, lo sapeva, e non riuscì a trattenersi oltre.
“Sei un pirata?” Quella domanda le uscì come un soffio dalle labbra. 
Poté giurare che l’altro sorrise.
“Secondo te?”

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Capitolo 5
*** Porto ***



“Elizabeth Swann.”
“Cosa?!” Non riusciva a credere che Jack avesse pronunciato il suo nome.
“Lo so, curioso, non è vero?” Disse sorridendo sotto i baffi all’altro lato del lungo tavolo, guardandola dritta negli occhi, mentre i Pirati Nobili già iniziavano a rivoltarsi tutt’attorno.
Tia Dalma le aveva detto che avrebbe affrontato un lungo viaggio, che l’avrebbe cambiata radicalmente, ma mai avrebbe pensato di diventare capitano di una nave pirata, né tantomeno di partecipare al Consiglio della Fratellanza come Pirata Nobile del Mare del Sud della Cina.
E adesso, grazie a Jack, era appena stata eletta Re dei Pirati.
Lei, Elizabeth Swann, Re dei Pirati. Non le avessero appena lasciato la responsabilità di una dichiarazione di guerra contro la Marina Militare Inglese, avrebbe avuto del comico.
In un istante, lo stordimento iniziale lasciò il posto ad una sicurezza che pensava non le appartenesse, sostenne lo sguardo di Jack e gli sorrise indietro. Più tempo passava con quell’uomo più si rendeva conto che c’era ben altro sotto la maschera del pirata da strapazzo, e che c’era ben altro in lei della semplice figlia del Governatore di Port Royal.
Persino Will, non avendo raggiunto la Baia dei Relitti come previsto, si dimostrava diverso da ciò che Elizabeth aveva sempre creduto, le aveva mentito, e aveva tradito tutti quanti schierandosi dalla parte del nemico per seguire i suoi interessi. Avrebbe dovuto essere furiosa nei suoi confronti. Eppure, sapere che il suo Will si era macchiato dei suoi stessi errori, che anche lui poteva essere considerato un pirata tanto quanto lei, glielo faceva sentire di nuovo vicino. Il destino continuava ad unirli dopotutto.
Solo qualche giorno prima, quegli eventi, un tale titolo, e le conseguenze che comportava, l’avrebbero terrorizzata, ma adesso per la prima volta dopo molto tempo sentiva che tutti i pezzi erano al posto giusto, che lei era al posto giusto. Era finalmente la protagonista della sua storia, che somigliava sempre più a quelle che leggeva da bambina nei suoi libri.
Era ufficiale, la mattina seguente sarebbe stata guerra contro Cutler Beckett, e lei avrebbe guidato la flotta pirata più temibile che si fosse mai vista.
 
Il consiglio si era appena sciolto e ormai quasi tutti i Pirati Nobili erano usciti dalla sala, Elizabeth aveva appena congedato gli uomini della sua ciurma, ma prima di ritirarsi a sua volta, in attesa del giorno, le restava soltanto di estrarre la sua spada dal mappamondo all’ingresso del relitto, trafitto da tutte le altre lame del Consiglio come da tradizione.
“Posso avere l’onore di offrire una bevuta al Pirata Re?” Jack le scivolò accanto, sfilando per primo la sua spada dal Mar dei Caraibi. 
“Ci aspetta una guerra all’alba.” Commentò lei con un sopracciglio leggermente sollevato.
“Dove pensi che sia andato ogni buon pirata che si rispetti adesso? E vuoi farmi credere che con quello che ci aspetta domani chiuderai occhio?” Come al solito, aveva ragione.
“Solo un bicchiere.” L’altro sogghignò soddisfatto. “E solo perché voglio vedere meglio questo posto.” La Baia dei Relitti era un luogo affascinante, pochi avevano avuto la fortuna di sentirne parlare, ancor meno di vederlo con i propri occhi, e con tutta probabilità quella sarebbe stata la sua unica occasione.
Uscirono insieme nelle strade affollate ricavate fra le carcasse di navi, e non fu troppo sorpresa quando capì che quella leggendaria baia pullulava di taverne, ma ebbe giusto il tempo di vedere qualche vicolo che il Pirata già s’infilava nella feritoia adibita a ingresso di una chiglia diroccata, in alto campeggiava l’insegna: The Drunken Lady.
Si sistemò in un tavolino sul fondo della sala semi vuota, quel locale sembrava più fatiscente degli altri che avevano incrociato per arrivare lì, e i suoi avventori sembravano persino più ubriachi.
“Un tempo servivano ai tavoli in questo posto, i vecchi proprietari se ne sono andati da un pezzo e con loro gran parte della clientela.” Spiegò Jack, che come al solito sembrava leggerle nel pensiero, di ritorno dal bancone con due boccali. “Resta comunque lo spirito migliore della baia, dico io.” Elizabeth si aspettava già di dover bere il liquore ambrato preferito dal Pirata, ma invece dell’odore pungente del rum, un profumo dolciastro le solleticò il naso, era vino. “Il Porto si addiceva di più all’occasione, Gioia.” Di nuovo le rispose senza che vi fosse bisogno di porre una domanda. La ragazza sorrise, sarà anche stata l’occasione, ma le piaceva pensare che l’altro avesse avuto la gentilezza di non proporle quel liquore che non riusciva a sopportare.
“Al Pirata Re.” Disse sollevando il boccale.
“Alla vittoria di domani.” Rispose lei, e brindarono. 
Il vino, denso e rosso, era molto diverso da quello che aveva assaggiato a Port Royal, più dolce e decisamente più forte, sapeva di pirata e le piaceva.
“Sembra che tu sappia molte cose su questo posto.” Disse intrecciando le dita attorno al suo boccale e poggiando i gomiti sul tavolino.
“Soprattutto sulle bettole. Ho vissuto qui per un po’ da ragazzo.”
“Quindi conoscerai tutti i segreti della baia.” 

“Qualcosa del genere.” Nascose l’espressione furba dietro al boccale, buttando giù un grosso sorso.
Quella sera trascorse veloce, pian piano gli ultimi ubriachi erano barcollati fuori dalla taverna, rimanevano solo l’oste, un giovanotto in un angolo con una chitarra a straziare le note di una vecchia canzone di mare, e loro due. Le tornò alla memoria la volta in cui Barbossa li lasciò soli su quell’isoletta deserta, solo che stavolta non finse di bere, e prima del fondo del boccale si sentiva già più leggera. 
Jack era già passato al rum mentre le raccontava di una spedizione alla volta di un magico tesoro, ma più tempo passava più non riusciva a seguirlo, con lo sguardo fisso sul fondo di porto rimasto, la testa le si riempì di immagini. 
Vide sé stessa nel futuro, e un po’ per l’alcol, un po’ perché stava faticosamente imparando a non giudicarsi, s’immaginò sulla sua nave, in mare da settimane alla ricerca di qualche tesoro perduto, vivere avventure che avrebbero fatto invidia ai suoi libri, gettare l’ancora in porti pullulanti di vita e dissolutezze, a bere porto con la sua ciurma in qualche pittoresca taverna. 
Immaginò anche di incontrare Jack, per caso, durante uno dei loro viaggi. 
Lo poteva vedere attraverso gli occhi della mente con una chiarezza tale da farle correre un brivido lungo la schiena, col suo cappello tricorno ad adombrargli il volto, in piedi sul ponte di poppa, lo vedeva abbassare il suo cannocchiale non appena avesse riconosciuto i suoi colori, e sapeva che si sarebbe fatto scappare un sorriso malizioso, fiero di trovarla in mare, e di poterla ancora chiamare Piratessa.
Avrebbe potuto vivere ogni giorno della sua vita così, da piratessa, senza timori ne rimorsi, libera, facendo e dicendo tutto ciò che voleva solo perché lo voleva, proprio come le disse Jack. Magari si sarebbe persino concessa di assecondare ciò che sentiva per lui, qualsiasi cosa fosse.
Ma per quanto quell’idea fosse allettante, per quanto desiderasse quella vita, si accorse ben presto che in quella visione mancava qualcosa. 
Fu quella sensazione, un dolore sottile, non del corpo ma fin troppo tangibile, che le fece impietosamente capire che anche se per natura sarebbe per sempre rimasta divisa, c’era una costante nella sua vita che non sarebbe mai cambiata. Non importava se avesse vissuto libera per mare, o chiusa per sempre nella sua bella magione a Port Royal, uno scherzo del destino aveva già scritto un capitolo fondamentale della sua storia, legandola indissolubilmente a Will. 
Qualsiasi vita avesse scelto, Will ne avrebbe fatto parte, di questo ne era certa.
Un tempo sarebbe stata incondizionatamente felice di quella chiarissima consapevolezza, ma adesso che aveva conosciuto la piratessa che era in lei, si rendeva conto di quanto quel legame potesse anche suonare come una maledizione.
Per natura, divisa, quindi avrebbe dovuto imparare a convivere con le sue scelte, con il suo futuro, e con il suo destino.
Jack aveva finito il suo racconto da un pezzo, rimase in silenzio ad osservarla, lo sguardo puntato sul fondo del boccale, tanto intenso che sembrava ci si fosse persa dentro. 
Riemerse pian piano dai suoi pensieri, finché non si rese conto che l’altro aveva smesso di parlare, che aveva appena fatto una terribile figura, e che con tutta probabilità adesso le avrebbe chiesto spiegazioni, ma forse non era ancora pronta a dire a voce alta ciò che aveva compreso. Con la testa ancora bassa, sollevò uno sguardo colpevole verso il suo compagno, che contro ogni sua aspettativa, sorrideva, mostrandole tutti i suoi denti d’oro.
“Sembra arrivato il momento di mostrarti qualcosa, Lizy.” 

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Capitolo 6
*** Cerchio ***



Jack si alzò di scatto, in un eccesso di energia che prese Elizabeth del tutto alla sprovvista.
“Seguimi.” Disse lanciando un pugno di monete sul tavolo, per poi puntare dritto verso la soglia, senza lasciarle il tempo di controbattere. Perché voleva, controbattere, dopo quella catena di pensieri vedeva in lui tutto ciò che non avrebbe mai potuto avere, e ingenuamente non voleva peggiorare la sua situazione passandoci altro tempo insieme. 
Ma questa parte di sé, quella più assennata, era in netta minoranza adesso, in una battaglia persa contro un boccale di porto e la piratessa che era in lei.
Buttò giù l’ultimo sorso di vino, che sembrò ricordarle che aveva il permesso di sentirsi leggera e disinibita, quindi si alzò tanto goffamente da far cadere all’indietro il suo sgabello, e quando capì che nessuno intorno ci fece troppo caso, si gettò all’inseguimento del pirata.
Aveva compreso il suo destino, che l’aspettava all’alba della mattina seguente, e fino ad allora si sarebbe concessa di non pensare. Per quella sera, per l’ultima volta e forse anche per la prima, avrebbe seguito solo l’istinto.
Si soffermò sulla soglia, i sensi insieme rallentati e acuiti dall’alcol, col mondo che per un istante aveva preso a volteggiarle attorno, e il tempo che sembrava giocare con lei, dilatandosi placidamente per poi contrarsi a velocità folle. Con lo sguardo cercò Jack, e lo trovò infondo alla strada, incorniciato fra un vecchio albero maestro spezzato e la chiglia di un’altra nave-taverna. Per un attimo le sembrò di sognare, i contorni che perdevano di consistenza, i colori che sfumavano l’un con l’altro regalandole una sensazione di calma assoluta. Subito si riscosse da quel torpore e lo raggiunse a passo svelto. Sogno o realtà, che differenza faceva per quella notte?
“Per di qua.” Il pirata scivolò in un vicolo angusto celato dall’albero maestro, le spalle che fregavano su entrambe le pareti, buio eccezion fatta per le uniche luci che di tanto in tanto filtravano dal legno rovinato, che apriva scorci su camere private, osterie e bordelli.
Elizabeth seguiva la sua schiena come ipnotizzata, salivano e scendevano su scale improvvisate, passavano per strade principali ma soprattutto per anfratti, i vestiti che le s’impigliavano nel legno, incespicando sui detriti nel buio fitto, mentre Jack sembrava volare fra quei vicoli.
Camminarono per un tempo che non riuscì bene a definire, e tanto era stato intricato il percorso che non avrebbe neppure saputo dire se fossero saliti o scesi in altezza rispetto al The Drunken Lady.
Di certo però, quel cammino le aveva regalato alcuni scorci della Baia dei Relitti che in non molti potevano vantarsi di aver visto. 
Era un labirinto umido e appiccicoso, fatto di legno e salsedine, un’intricatissima orditura di chiglie, alberi, vele, assi, sartie, nelle posizioni più disparate, talvolta incastrate l’un l’altra in un abbraccio inspiegabile, oppure in bilico in un equilibrio perfetto che toglieva il fiato.
Ben presto le voci attorno a loro, lingue e accenti diversi che si accavallavano frenetici, iniziarono a scemare, sempre più ovattati e distanti, forse perché era notte fonda e molti si stavano coricando, o forse perché si stavano addentrando sempre più nel ventre di quella selva di relitti.
Avevano lasciato l’ultimo vicolo degno di quel nome da tempo, e per minuti interi camminarono nel buio più totale, stretti nell’abbraccio soffocante del legno. 
Senza esitazioni Jack avanzava a passo svelto, non aprirono bocca per tutto il tempo, non gli chiese mai spiegazioni, semplicemente seguì il rumore dei suoi passi che rimbalzava fra le anguste pareti di legno, talvolta aggrappandosi ad una piega della sua camicia per evitare di cadere o per chiedergli di rallentare.
D’un tratto, in un punto imprecisato, il pirata si fermò. Si voltò verso di lei, che aveva le mani ancora protese in avanti per aiutarsi nell’oscurità, e che adesso si ritrovarono a sfiorare il suo addome, poteva sentire il suo respiro ad un soffio da sé, leggermente alterato dal cammino, con una spiccata nota dolciastra di vino e rum che si spandeva attorno. Celata dal buio, si concesse di sorridere e godere dell’effetto che le faceva averlo così vicino.
“Benvenuta nel cuore della Baia dei Relitti.” Le miagolò sul volto, poi tese un braccio nel nero pece dietro di sé, aprendovi come per magia una ferita luminosa. 
Uno spesso strato di vecchie vele si aprì al suo tocco, lasciando filtrare la luce nello stretto anfratto, e permettendo ad Elizabeth di gettare un primo sguardo aldilà. 
La luce era pallida e piacevole, le bastò un istante per abituarvisi e mettere a fuoco l’interno di quella che inizialmente le sembrò solo l’ennesima nave in rovina, che per altro pareva molto più piccola delle altre che aveva visto. 
Mosse un primo passo verso la luce, scivolando sul corpo di Jack, e si ritrovò dentro. 
La bocca le si spalancò per la meraviglia.
Era una piccola nave, stretta e lunga, capovolta. Il ponte, che era sopra la sua testa, era aperto da un grande squarcio, oltre il quale una miriade di relitti si avvolgeva verso l’alto, incorniciando alla sommità solo uno stralcio di cielo stellato, da lì filtrava tenue la luce, che faceva brillare di una strana luminescenza quel legno, come tramutato in pietra, cristallizzato dal tempo.
“Avevo sentito dire che le prime navi posate sulla baia erano greche e romane, ma non pensavo che…” La voce che le tremava per l’emozione, si voltò un istante verso Jack, che aveva fatto un passo all’interno lasciando ricadere le vele dietro di sé, per poi subito tornare a guardarsi avidamente intorno. 
Sul fondo, qualcosa catturò la sua attenzione, e mentre si avvicinava, dalla penombra pian piano emergeva una figura appesa in alto sul ponte. 
“Conosci la storia della regina Teuta d’Illiria?” Domandò il pirata a voce alta, e il respiro le fuggì di nuovo dal petto. 
Sembrava una statua malamente sbozzata, i tratti del volto e i dettagli del corpo nascosti sotto una colata di metallo sporco e ossidato, le caviglie che si fondevano saldamente al ponte in alto sopra la testa di Elizabeth, le braccia appena distaccate dal busto, le mani aperte da cui sembravano scorrere contro gravità gocce di oro fuso.
“La Regina Pirata.” Sussurrò, mentre le immagini di quella lontana notte alla bettola del porto, quando era ancora una bambina nella sua Port Royal, si sovrapponevano al volto di Teuta capovolto di fronte a sé. La storia era stata sepolta nella sua memoria col tempo, etichettata come leggenda, ma la ricordava perfettamente, così come quel misterioso ragazzo che la raccontò… “Eri tu, non è vero?” Quell’idea le trafisse la mente con una forza tale che non riuscì a trattenere le parole. 
Si girò verso di lui, che adesso era in piedi sotto lo squarcio nel ponte, un sorriso aperto sul volto, con i denti dorati che rilucevano sotto la timida luce delle stelle.
“Buffo, eh? Il cerchio si chiude, Gioia.”
Adesso le sembrava talmente ovvio che quasi si sentì stupida per non averlo capito prima.
Il cerchio si stava davvero chiudendo attorno a loro due, e forse proprio il destino li aveva fatti arrivare lì, adesso, nel cuore della Baia dei Relitti, l’uno di fronte all’altra.

- Forse il destino è crudele. - Pensò Elizabeth, poi si fece coraggio, e iniziò.

“Sai Jack, ho seguito il tuo consiglio, ho fatto la mia scelta.” Era serena, gli occhi puntati nei suoi, e iniziò a muovere un passo dopo l’altro verso di lui, lentamente. “Domani, dopo la battaglia, io e Will torneremo a Port Royal. Ci sposeremo, presto metteremo su famiglia, e probabilmente prenderò il posto di mio padre. E sarò felice, perché è quello che ho sempre desiderato.” Ora erano entrambi sotto la luce delle stelle.
“Ma?” La imbeccò Jack, che non aveva ancora smesso di sogghignare. Non le aveva staccato gli occhi di dosso per un attimo, e in quello sguardo si sentiva come riconosciuta.
“Ma adesso so che ad una parte di me mancherà tutto questo, e non me ne vergogno più.” Un altro passo. “E mi mancherai per sempre tu, Jack. Perché sei tutto ciò che sto scegliendo di non avere: andare per mare, vivere grandiose avventure, essere un pirata in mezzo ad altri pirati. Essere libera.” Le parole le scivolavano fuori dalla bocca, con un sorriso indecifrabile a colorarle il viso. Un ultimo passo, e gli fu pericolosamente vicina. “Quindi grazie, Jack. Per avermi portato qui, e per avermi permesso di creare dei bei ricordi per quando mi mancherà tutto questo.” Gli soffiò sulle labbra le ultime parole, perché moriva dalla voglia di farlo, e perché avrebbe strappato fino all’ultimo secondo di quell’ultima notte che le restava per essere libera.
“Potrei lasciarti ricordi molto migliori di questo, sai?” Il pirata le passò il braccio sinistro attorno alla vita sottile, chiudendo le dita attorno alla stoffa della camicia sulla sua schiena.
“Oh, Signor Sparrow, non credo che sia appropriato rivolgersi in tal modo ad una signorina.” Commentò sarcastica, inarcando la schiena al suo tocco, e facendo avvicinare ancor di più le loro labbra in quel gioco straziante che aveva da sempre catturato entrambi.
“Ad una Piratessa, sì.” Con il dorso delle dita le sfiorò il collo, e con le labbra sfiorò appena le sue. “Ma come avete detto, Miss Swann, avete fatto una scelta.” Quindi con un ghigno allentò la presa su di lei e si allontanò. “Vorrà dire che sarò un pirata gentiluomo, e non vi rovinerò in vista del matrimonio col vostro adorato traditore, o quello che è.” 
Elizabeth si leccò le labbra d’istinto, mal trattenendo uno sbuffo divertito, avrebbe giocato a quel gioco all’infinito.
“Torniamo indietro.” Disse l’altro dopo essersi teatralmente arricciato i baffi.
“Torniamo indietro.”

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