L'incrocio

di _camus_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Vicolo cieco ***
Capitolo 2: *** II. Strade parallele ***



Capitolo 1
*** I. Vicolo cieco ***


Vicolo cieco

Nome (EFP e Forum): _camus_ / Pain au chocolat

Titolo: L’incrocio

Pacchetto scelto: Gli amanti

Genere: AngstIntrospettivoSentimentale

Rating: Verde

Fandom: Naruto

Note: Complice la gran quantità di tempo libero a disposizione, ho deciso di cimentarmi con un nuovo contest, stavolta organizzato da _Vintage_ e intitolato “Tarocchi narranti”.

I vari pacchetti disponibili – ognuno corrispondente a una carta dei tarocchi – prevedevano tutti un prompt e una frase da utilizzare obbligatoriamente; quello da me scelto – “Gli amanti” – comprendeva il prompt “Attrazione” e la citazione dello scrittore Antoine de Saint-Exupery “Amare non è guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione”.

Fatte le doverose (?) premesse, vi lascio a “Vicolo cieco”, primo capitolo de “L’incrocio”; come sempre, vi aspetto dabbasso per eventuali chiarimenti e spiegazioni!

 



L’incrocio

 

 

 

[…] e da cent’anni nella penombra

corro dietro a te.

Nazim Hikmet

 

 

 

 

I. Vicolo cieco

 



Soltanto chi abbia avuto a che fare con l’aria immobile e asfissiante di Suna, con le umide lande di Kiri o col perenne rigore del Paese del Ferro può davvero rendersi conto di quanto sia dolce l’estate, a Konoha.

Di giorno ci si può riparare dalla calura rifugiandosi all’ombra del bosco, dove le fronde verdissime lasciano filtrare i raggi solari quel tanto che basta a illuminare la via; di notte, invece, giunge dalla costa lontana un refolo gentile che culla il sonno degli abitanti come una nenia sussurrata a mezza voce.

Per riscoprirlo Sasuke aveva dovuto viaggiare molto, attraversando a piedi le zone più inospitali e impervie delle cinque grandi terre ninja; si era sforzato di dimenticare così a lungo e così intensamente che, negli anni, gran parte dei suoi ricordi aveva finito per sbiadire dietro a una spessa patina scura.

In quel momento, però, le luci dondolanti del Villaggio della Foglia stese sotto di lui gli stavano riportando alla memoria immagini mai davvero sopite: figure di visi amati incorniciati da folti capelli neri, profili di una casa elegante col portico in legno e pannelli dipinti che, nei mesi più caldi, venivano tenuti aperti perfino di notte.

La sontuosa dimora di Fugaku Uchiha era laggiù da qualche parte, a languire nel buio di un quartiere disabitato da decenni; la sua, invece, si stagliava nitida sul ciglio di una delle nuove strade del paese, leggermente discosta dagli altri edifici.

Era stato Naruto a insistere perché Sasuke e Sakura acquistassero una casa dove poter vivere insieme dopo il matrimonio.

«Non potete continuare ad abitare in due posti diversi. Siete sposati, che cavolo!» aveva esclamato, la mano destra a grattarsi la nuca e un sorriso imbarazzato sul volto; poi, in risposta al suo sguardo tagliente, era tornato improvvisamente serio: «Abbiamo dei precisi doveri nei loro confronti adesso, Sas’ke. È nostra responsabilità prenderci cura di Hinata e Sakura».   

Dinanzi alla ferma presa di posizione del futuro Hokage – ineluttabile, come tutte le sue risoluzioni – Sasuke non aveva potuto far altro che rimanere in silenzio e accettare, benché entrambi già sapessero che, in quella casa, lui ci avrebbe vissuto davvero molto poco.

Si era trovato del tutto impreparato ad affrontare una cosa del genere, così lontana dal mondo di combattimenti, astio e morte che conosceva.

Non era pronto, all’epoca, e probabilmente non lo sarebbe mai stato.

Avendo trascorso gran parte della propria esistenza a pianificare vendette e a rifuggire qualsiasi sentimento che non fosse l’odio, pensare al “futuro” non era mai rientrato tra le sue priorità; in verità, aveva sempre creduto che sarebbe morto presto, ucciso in battaglia o giustiziato per tradimento.

L’idea di costruirsi una famiglia tutta sua non gli era passata per la testa neppure una volta conclusa la guerra, allorquando, a dispetto di ogni pronostico, si era ritrovato miracolosamente vivo e graziato da tutti i crimini commessi; soltanto le inaspettate nozze tra Naruto e Hinata Hyuuga avevano suggerito a Sasuke che il matrimonio avrebbe dovuto essere anche il suo destino.

«La tua scelta di prendere le distanze dal villaggio per scongiurare eventuali mire sui poteri oculari del Rinnegan e dello Sharingan è stata sicuramente apprezzabile, ma nell’attuale momento di pace tale precauzione appare ormai superflua. Di contro, è innegabile che a seguito della Quarta Guerra Ninja Naruto sia diventato estremamente popolare in ogni Paese: siamo convinti che la credibilità della sua figura ne risentirebbe, se il suo compagno più fidato – per giunta, ex nukenin – non stabilizzasse la propria posizione all’interno di Konoha, continuando ad agire come una mina vagante pronta ad esplodere».

Stabilizzarsi.

Mettere radici.

Costruire legami.

Per compiacere le malelingue che lo seguivano ovunque andasse, per amor di apparenza.

«Per il bene di Naruto».

Ed ecco che, appena tornato dall’ennesima missione in mezzo al nulla, ora si ritrovava a guardare dall’alto un’anonima villetta a schiera il cui unico tratto distintivo era il ventaglio Uchiha disegnato sopra la porta d’ingresso: piuttosto che continuare a portarselo impresso sulla schiena aveva preferito dipingerlo sul muro, in un posto dove non pesasse tanto da incurvargli di nuovo le spalle.

Gli bastarono pochi attimi per raggiungere il giardino posteriore, delimitato da una staccionata tinta di fresco – probabile opera di quel Sai, artista da strapazzo.

La finestra della camera da letto era leggermente dischiusa: sottili tende di lino bianco danzavano sui vetri come fantasmi evanescenti nella notte blu.

Sasuke spiccò un balzo sul davanzale, in un movimento meno agile del consueto che, per un attimo, rischiò di minare il suo altrimenti perfetto equilibrio; anche se non l’avrebbe mai ammesso, non si era ancora abituato del tutto a fare a meno del braccio sinistro.

La stanza era illuminata soltanto dal fioco chiarore proveniente dall’esterno, ma l’oscurità per lui non aveva mai rappresentato un problema; nonostante il buio, infatti, riusciva perfettamente a distinguere la figura di Sakura distesa sul letto.

A giudicare dall’espressione serena del volto – assai differente da quella lievemente imbarazzata che di solito gli rivolgeva –, sua moglie stava dormendo sonni tranquilli; aveva la faccia parzialmente affondata nel cuscino e le mani poggiate sul ventre ancora piatto.

L’aveva appreso appena un mese addietro, grazie a una nota di Kakashi posta a margine del suo rapporto debitamente vidimato.

“Ps: Sakura è incinta. Congratulazioni!”

Che la formalità non rientrasse tra i punti forti del Sesto Hokage era ormai di dominio pubblico, dunque Uchiha non si era stupito troppo per il mezzo di comunicazione utilizzato; ciò che l’aveva spiacevolmente sconvolto, semmai, era stata la sua totale assenza di emozioni alla notizia.

Nessun fremito gli aveva scosso le mani; nessun pensiero, bello o brutto che fosse, gli aveva attraversato la mente: una volta letto il visto si era semplicemente limitato ad appallottolarlo e inghiottirlo, così come prescritto dal protocollo per le informazioni secretate. Non aveva provato nulla allora, nulla provava adesso – se non orrore, al pensiero che il figlio avrebbe ereditato il suo cognome e i suoi stessi sciagurati occhi rossi.

Eppure non c’era niente che non andasse, in Sakura: era bella, lo era sempre stata. Persino da ragazzina, con le sue forme acerbe e quell’atteggiamento petulante che gli dava sui nervi.

Aveva i capelli dello stesso colore di certe albe serene, e gambe tanto lunghe da sembrare infinite; vi era, in lei, una determinazione sopita che esplodeva accecante non appena venivano minacciate le sue stelle fisse – Konoha. I compagni di una vita. E lui stesso.

Sasuke, a suo modo, le voleva bene: conservava bei ricordi dei tempi del team 7, che Sakura aveva contributo a rendere tali, e le era grato per la sua incondizionata, imperitura dedizione.

Tuttavia, a differenza di qualcun altro, la ragazza non era mai stata capace di accendere il suo interesse; dopo aver lasciato la Foglia per raggiungere Orochimaru, la figura della compagna si era velocemente ridotta all’immagine sfocata di un universo che aveva dapprima ripudiato, e poi giurato di distruggere.

Di quel mondo ormai perduto soltanto un volto aveva continuato imperterrito a deturpare il buio quasi perfetto della sua follia; un volto – ben diverso da quello della Haruno – che non aveva mai smesso di attrarlo verso cieli più limpidi, in direzione ostinata e contraria rispetto alla via di sangue da lui intrapresa.

Sposare Sakura era stata la scelta più facile, il modo più sicuro di adempiere a ciò che il mondo si aspettava dal redento braccio destro di Naruto Uzumaki: nient’altro che questo.

Sasuke le voleva bene, sì, ma non l’amava; la cosa peggiore, tuttavia, era la quieta rassegnazione con cui lei l’aveva accettato.

«Le alte sfere del villaggio hanno lasciato intendere che, oltre a quello di Naruto, vedrebbero di buon occhio anche un mio eventuale matrimonio».

«E da quando ti importa di ciò che pensa la gente, Sasuke-kun?»

Prima di rispondere Sasuke aveva abbassato la testa, visibilmente a disagio: «Da quando ciò che faccio – o non faccio – potrebbe danneggiare la reputazione di quel cretino».

«Adesso capisco la ragione di questo incontro: stavi pensando a me, neh?»

La rapidità con cui era giunta alla conclusione non lo aveva affatto sorpreso: la stupidità non rientrava di certo fra i difetti che a Sakura si potevano rimproverare.

«Esatto. Sarebbe la scelta migliore».

Sakura era rimasta zitta, gli occhi apparentemente persi sulla linea dell’orizzonte e le spalle rigide appoggiate alla panchina.

Non sapendo come interpretare quel silenzio, lui aveva proseguito: «Se tu rifiutassi, lo capirei. So di non meritarmi nulla, e-»

«Non dire altro. Accetto».

Nel dirlo, il suo sguardo – ora fisso in quello di Sasuke – si era acceso di una luce nuova, e tuttavia meno brillante di quanto sarebbe stato legittimo attendersi.

«Ne sei sicura, Sakura? Non credo di poter ricambiare i tuoi sentimenti».

A quel punto, la ragazza si era presa il volto fra le mani per un lunghissimo momento; poi, lentamente, aveva cominciato a parlare: «C’è un vecchio detto, che recita: “Amare non è guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione”.

Io ho sempre guardato a te, Sasuke-kun. Sempre, anche da prima di entrare a far parte del team 7. Ho mosso i miei primi passi nel mondo degli shinobi seguendo i tuoi; ho tarato le mie scelte in base a ciò che tu dicevi, benché la tua attenzione fosse perennemente rivolta altrove.

Dopo che hai lasciato Konoha, non ho trascorso giorno senza rimproverarmi di non essere riuscita a trattenerti: mi sono allenata duramente per fortificarmi, ripetendo a me stessa che non avrei più commesso un errore del genere.

È stato a Oto, quando ho visto i tuoi occhi scurissimi animarsi appena soltanto alla vista di Naruto, che ho iniziato a capire ciò che soltanto adesso mi è completamente chiaro: anche se abbiamo percorso insieme alcuni tratti dello stesso sentiero, non c’è mai stata coincidenza tra i nostri orizzonti. In tutti questi anni io ho fissato unicamente la tua schiena, mentre tu, beh… tu fissavi Naruto».

Di fronte a tale lapidaria constatazione l’Uchiha avrebbe voluto poter replicare con sdegno che no, non era vero niente; che si trattava di una delle sue solite fantasie, buona soltanto per quell’abominevole fumetto al quale Kakashi era tanto affezionato.

Ma a che pro continuare a prendersi in giro da solo?

Rammentava fin troppo bene l’episodio menzionato dalla ragazza, l’inspiegabile smania di avvicinarsi a Naruto che, per un attimo, aveva preso il sopravvento sul suo desiderio di toglierlo di mezzo.

Ogni volta che Uzumaki gli si era improvvisamente parato dinanzi c’era sempre stato qualcosa che aveva impedito a Sasuke di ucciderlo lì su due piedi, senza dargli il tempo di toccarlo in qualche modo – che fosse con una parola, un gesto, oppure uno sguardo.   

Come non fare il paragone con gli eventi successivi al suo scontro con Danzo, allorquando nessuna esitazione l’aveva frenato dal tentare di trafiggere il cuore di Sakura con un kunai?

Sarebbe stato ipocrita negare l’evidenza e, benché avesse avuto ottimi maestri da cui apprendere, Sasuke non eccelleva nell’arte della dissimulazione; aveva quindi evitato di rispondere, scaricando la propria frustrazione in un movimento convulso della mano – l’unica che gli era rimasta.

«Non mi illudo di riuscire a farti innamorare di me grazie a chissà quale dote, Sasuke-kun: ci ho rinunciato molto tempo fa. Ma se sposarti a queste condizioni è l’unico modo che ho per esserti finalmente utile, ebbene, non mi tirerò indietro. Sarò tua moglie».

Si erano uniti in matrimonio nella primavera dell’anno precedente, a seguito di una semplice cerimonia alla quale avevano preso parte solo pochi intimi – al contrario di quanto avvenuto per la Hyuuga e Naruto, il cui sposalizio era stato celebrato in maniera monumentale.

Manco a dirlo, lo scemo aveva sfoggiato il sorriso più ampio di tutti; talmente ampio, in effetti, da risultare addirittura forzato.

Conoscendolo come le sue tasche, Sasuke sapeva bene che le emozioni di Uzumaki partivano anzitutto dagli occhi, per poi espandersi a macchia d’olio perfino oltre il volto; in quella occasione, invece, l’azzurro delle sue iridi era apparso insolitamente cupo, quasi fosse oscurato da pensieri troppo pesanti perché un soggetto così limpido potesse riuscire a mascherarli completamente.

Il turbamento del futuro Nanadaime assomigliava molto a quello che, tempo addietro, aveva spinto Uchiha a disertarne le nozze; ciò che lui trovava così evidente era tuttavia passato inosservato al resto dei presenti, sposa compresa: Sakura, bianca e radiosa nel suo kimono di seta, aveva infatti abbracciato il proprio migliore amico col medesimo viso disteso che ora mostrava nel sonno.

Sasuke fece per varcare la finestra ed entrare finalmente nella camera da letto, quando qualcosa lo trattenne; improvviso come il guizzo di una scintilla tra le braci, il filo di chakra l’aveva toccato per poi svanire subito dopo, lasciando nell’aria un vago sentore arancione che sembrava volerlo avocare a sé con gentile ma, al contempo, decisa persistenza.

Sporse appena la testa all’esterno, aguzzando la vista verso nord.

Eccettuato il fioco barlume dei lampioni, l’unica luce a rischiarare i volti di pietra proveniva dal Palazzo dell’Hokage; nonostante l’ora tarda, Kakashi doveva essere ancora in ufficio – quasi certamente in compagnia di un poco entusiasta Naruto, a cui era stato caldamente suggerito di iniziare a far pratica.

Probabilmente quest’ultimo aveva percepito la sua presenza a Konoha e, adesso, lo stava chiamando.

Lo shinobi rivolse ancora un’occhiata alla schiena della moglie, giratasi nel frattempo dall’altra parte: nulla ne turbava il dolce movimento delle spalle, scandito dal ritmo regolare del suo respiro.  

«Scusa, Sakura. Sarà per la prossima volta» pensò, prima di scivolare nuovamente fra le ombre della notte.




 .


 

 

Note dell’autore

Come anticipato poco sopra, eccomi qui!

La storia è ambientata nel periodo successivo alla fine della Quarta Guerra Ninja; Sasuke, terminato il suo viaggio di espiazione, ha già avviato la missione volta a reperire le tracce di Kaguya, mentre Naruto si sta preparando a prendere il posto di Kakashi quale Settimo Hokage.

In questa sede l’avvertimento “What if?”, più che agli eventi in sé per sé, si riferisce piuttosto alle dinamiche relazionali e psicologiche intercorrenti fra i personaggi: personalmente, ritengo che le coppie formatesi nella parte conclusiva di Naruto Shippuden – e stabilizzatesi definitivamente in Boruto – non abbiano molto fondamento logico ed emotivo, ma è solo una mia interpretazione.

Stesso dicasi per l’atteggiamento vagamente bigotto che ho addossato agli organi di vertice di Konoha: all’indomani del conflitto, ho immaginato che la società della Foglia fosse ancora permeata di un certo grado di conservatorismo, nonché dalla convinzione che  valori quali quelli del matrimonio e della famiglia siano assolutamente fondamentali e imprescindibili – specie per chi aspiri a ricoprire il ruolo di Hokage.

Con riguardo agli aspetti più “tecnici”, mentre l’utilizzo del corsivo vorrebbe servire a rafforzare un concetto o un pensiero di natura più personale, il grassetto corsivo indica invece flash-back et similia.

Probabilmente lo saprete già, ma io lo preciso lo stesso:

- “Suna” e “Kiri” indicano, rispettivamente, il Villaggio della Sabbia e il Villaggio della Nebbia;

- “Chidori” è il corrispondente giapponese dell’italianizzato “Mille falchi”;

- “Nanaidame”, invece, sta per “Settimo (Hokage)”.

 



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(© elyxyz)

 

 

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Capitolo 2
*** II. Strade parallele ***


 

II. Strade parallele

 

 

Nonostante il suo indiscusso peso all’interno dello scacchiere politico, Konoha non brillava certo per la maestosità della propria sede di governo.

Fino a poco tempo addietro il Palazzo dell’Hokage era stato l’edificio più imponente della città, ma adesso stava rapidamente cedendo tale primato agli immobili di nuova costruzione; non v’erano statue all’ingresso, né decorazioni o stucchi di qualche genere che ne impreziosissero le pareti.

A contraddistinguerlo rimaneva ormai unicamente il colore, di un rosso acceso e sfavillante come la Volontà del Fuoco che rappresentava.

Poi, naturalmente, c’era la Montagna degli Hokage.

In un passato non troppo remoto Sasuke avrebbe guardato quei volti disgustato, desiderando soltanto di poterli sbriciolare tutti insieme con un unico, sfolgorante Chidori; una volta salvati i suoi resti bruciacchiati dall’ossessione della vendetta, invece, la stessa vista ora gli comunicava un vago senso di malinconia – come di sogni incompiuti.

Per Naruto, al contrario, l’effige degli antichi protettori del Villaggio della Foglia era un simbolo sacro, tanto che neppure la consapevolezza di essersi ritagliato un futuro posto tra loro ne aveva scalfito l’ammirazione.

Ai tempi della squadra 7 lo scemo aveva l’abitudine di rintanarsi a pensare – «pensare, certo. Come se ne fosse capace» – appollaiato su uno spuntone di roccia proprio in cima alla testa del Quarto, col villaggio ai piedi e null’altro che il cielo a fare da tetto.

«Sei cervelli sono meglio di uno, neh? E poi, da lassù Konoha toglie il fiato» diceva, col solito atteggiamento semplicistico così disarmante che non sapevi mai se sorridere con lui oppure prenderlo a pugni.

Nonostante fossero passati anni – lunghi duecento vite o, forse, solo una manciata di secondi –, Uchiha non dubitava che quello fosse ancora il suo rifugio prediletto: è risaputo che le volpi tendono ad affezionarsi alla propria tana. Non come i serpenti, che sguisciano via dal nido alla minima fonte di disturbo.

«Data l’ora in cui Kakashi ha deciso di congedarti, avresti fatto meglio a tornartene a casa. Cosa vuoi?»

«Ciao anche a te, Sas’ke!» rise Naruto, come se Sasuke avesse detto qualcosa di particolarmente divertente «Noto con piacere che la lontananza dal mondo civilizzato non ha per nulla intaccato il tuo proverbiale garbo».

La luce della luna si rifletteva sul suo nuovo copri fronte tirato a lucido con un leggero luccichio metallico; portava i capelli più corti dall’ultima volta che l’aveva visto, e una casacca nera che gli abbracciava con grazia le ampie spalle di giovane uomo.

Ma lo sguardo, lo sguardo era rimasto lo stesso di sempre – «insolente. Irritante. E fin troppo azzurro».

«Non sono qui per sorbirmi le tue stupide battute». Già. Perché era lì, quindi? «Allora, ti decidi o no a dirmi per quale motivo ti sei messo in contatto con me?»

«Ho sentito che eri in città e volevo vederti, che cavolo! Ti avrei cercato anche prima, ma il maestro Kakashi mi ha costretto ad aiutarlo fino a qualche momento fa. E non ero affatto sicuro che ti avrei trovato ancora, domani mattina».

«L’idea che io potessi essere a letto non ti è passata neppure per l’anticamera del cervello, vero?»

«Non dire stupidaggini: so benissimo che ti fermi a casa una volta su mille. A proposito,» disse poi, fissandolo con aria inquisitoria «sei andato a trovare Sakura?»

«Sì, certo».

«Nel senso che anche lei se n’è accorta, giusto?»

«Stava dormendo, quando sono arrivato; l’avrei volentieri imitata, se qualcuno non avesse avuto la brillante pensata di scocciarmi nel bel mezzo della notte!» sbuffò Sasuke, infastidito da quell’insinuazione così amaramente fondata.

Non di rado gli era capitato di limitarsi a osservare sua moglie da lontano, semplicemente per accertarsi che stesse bene, e poi ripartire senza scambiare con lei una sola parola.

Sapeva che Sakura non avrebbe avanzato obiezioni né si sarebbe lamentata in nessun caso, ma il velo di tristezza che le scendeva sul viso a ogni nuova separazione lo faceva sentire sgradevolmente in colpa – non più del fatto di trovarsi lì in compagnia di quell’idiota, comunque.

Lo indisponeva in maniera terribile constatare come evitare Naruto continuasse a rappresentare il suo più grande fallimento: ci provava da tutta una vita, eppure nessuna delle barriere erette a difesa della propria integrità si era mostrata in grado di resistere al laccio – «troppo stretto. Troppo largo» – che, prima o poi, finiva per strattonarlo nuovamente verso di lui.

Uzumaki aveva impiegato anni, lacrime e tutta la forza di cui disponeva per riuscire a farglielo accettare – «ti ricordi, Naruto? Ricordi gli schizzi d’acqua tinta di rosso, il sapore ferrigno del sangue sulla lingua, la sensazione di non avere più un solo osso ancora integro? Ricordi che, nonostante la stanchezza indicibile e i denti saltati, continuavamo a girarci intorno come bestie in agonia? A scambiarci pugni più flebili di qualsiasi carezza? Rammenti il momento in cui siamo entrambi crollati in ginocchio e tu, dopo aver appoggiato la fronte contro la mia, mi hai colpito per l’ennesima volta, malgrado i tuoi occhi gridassero che ne avevi abbastanza? Perché io sì, io lo ricordo bene».

Era arrivato a un passo dal sacrificare persino se stesso, salvo poi innalzare fra loro il più definitivo e invalicabile dei muri.

Quella di sposarsi era stata l’unica scelta intelligente che il compagno avesse mai fatto, la più naturale per uno shinobi che aspirava da sempre a diventare guida e modello del villaggio; tuttavia, benché detestasse doverlo ammettere, Sasuke stava faticando non poco a farsi bastare il ruolo di mera spalla.

«Comunque,» esclamò, dopo qualche secondo di silenzio «premesso che il modo in cui gestisci la vita coniugale non è affar mio – e viceversa –, mi risulta che neppure tu passi molto tempo con tua moglie: non vorrai farmi credere che quella di stasera sia stata un’eccezione, Naruto?»

Quest’ultimo, punto sul vivo, arrossì leggermente.

«Hai ragione: tra le missioni e tutto il resto, ultimamente non sono mai a casa» ammise, prendendo a giocherellare con la cerniera della giacca «Hinata ha fin troppa pazienza. È così buona, così dolce che spesso mi chiedo se non abbia commesso un errore ad accontentarsi di uno zuccone come me».

Nel fare quella sorta di confessione le labbra gli si erano piegate in un sorriso tanto tenero quanto fugace, molto simile a un qualcosa di prezioso da mostrare con cautela.

Mai prima di allora Sasuke si era sentito così fuori posto, insieme a Naruto – «come se si fosse smussato un incastro e i pezzi non combaciassero più».

«Visto che non hai nulla di importante da dirmi, io me ne vado» proruppe allora, in modo più accorato di quanto gli sarebbe piaciuto «Ci vediamo, testa quadra».

Si era voltato senza neppure guardarlo, ben deciso a non dargli l’occasione di replicare; stava appunto per saltare nel buio, quando si sentì trattenere per i lembi del mantello.

La mano di Naruto, erroneamente protesa ad afferrare il suo braccio sinistro, aveva annaspato tra la stoffa vuota sino a trovare un qualcosa a cui aggrapparsi.

«Quel braccio te lo sei già preso. Ma c’è pur sempre l’altro, se lo vuoi».

Improvvisamente, gli era venuta una gran voglia di litigare: di sentire il proprio chakra infiammargli i bulbi oculari e scagliare contro quello stupido il più potente dei suoi attacchi, sì da risolvere ogni non detto – perché loro avevano sempre preferito i pugni alle mille parole che non sapevano pronunciare.

«Anche tu ti sei preso il mio, pezzo di idiota! Stavo solo provando a farti restare – senza picchiarti, per una volta. È che… che non mi va di vederti già andar via, cavolo».  

Naruto sorrise di nuovo, stavolta nella maniera sfrontata che Sasuke conosceva così bene; poi, altrettanto sfacciatamente, gli cinse le spalle e lo tirò a sedere accanto a sé.

Uchiha non ebbe neppure il tempo di chiedergli cosa diavolo stesse facendo, che subito quello riprese a parlare.

«Ci sono un sacco di stelle stanotte, neh? Mi sono sempre piaciute, le stelle» constatò, alzando gli occhi alla volta celeste d’agosto «Casa mia era un tugurio, ma se ti stendevi sul letto potevi guardarle attraverso la finestra. Da bambino passavo ore intere a fissarle: sicuramente ti suonerà sciocco, però il loro ammiccare mi dava l’impressione di essere meno solo».

No, Sasuke non trovava per nulla che fosse sciocco.

Un tempo a lui succedeva la stessa cosa dinanzi a uno specchio d’acqua: il leggero incresparsi della superficie intorno al suo riflesso soleva regalargli la carezzevole illusione di avere qualcuno accanto. Ovviamente, però, non lo disse.

«Poi sei arrivato tu, e finalmente anch’io ho avuto un volto da cercare in quel marasma di puntini luminosi. Durante gli anni in cui sei stato lontano l’ho fatto così tanto spesso che, a volte, mi capitava sul serio di vederti apparire nel blu; ora che ci penso, devo aver dato il tuo nome a ogni singola stella del firmamento».

Naruto si interruppe un momento, come a sondare l’effetto di tali parole nel suo interlocutore – il quale, se non fosse stato per il respiro che gli muoveva la cassa toracica, si sarebbe potuto confondere con le figure di pietra alle loro spalle.

Quella schietta, impudente dichiarazione era nient’affatto inaspettata, e tuttavia aveva colpito Sasuke più intensamente di un affondo in pieno stomaco; non tanto per il contenuto in sé, quanto per il momento in cui essa giungeva.

Che il “Perché siamo amici” fosse un concetto irrimediabilmente insufficiente a spiegare il loro assurdo gravitarsi attorno sino a collidere era verità ormai chiara a entrambi: un sottinteso che condividevano tacitamente da tempo inquantificabile, palesatosi con evidenza sempre maggiore nel corso degli anni.

Neppure il legame di tipo fraterno si addiceva a descrivere ciò che univa a doppio filo lui e il compagno: Uchiha sapeva bene quante cose potesse rappresentare un fratello – «modello, ostacolo, incubo, rimpianto bruciante. Assenza incolmabile» – e nessuna di queste assomigliava alla scossa sottopelle che il solo pensare a Naruto gli provocava.

Non erano più rivali, ma nemmeno amici o fratelli; men che meno, poi, erano amanti – esistevano troppi motivi per cui mai avrebbero potuto esserlo. Uno su tutti, le rispettive nozze.

Benché cercasse di trattarla alla stessa maniera delle altre – innumerevoli – cicatrici che si portava addosso, imparare a convivere con tale consapevolezza gli stava risultando più difficile del previsto; perché quello stupido, stupidissimo coglione pareva divertirsi a toccare l’argomento?

Perché non riusciva semplicemente a lasciarlo in pace, una buona volta?

Aveva seppellito ogni rancore nei meandri nascosti della propria anima, pur di diventare lo shinobi che il futuro Nanaidame meritava di avere a fianco; per non alimentare pettegolezzi che potessero nuocere al buon nome di questi, si era persino sposato.

Che accidenti pretendeva ancora da lui?

«Arriva al sodo, Naruto. Cosa stai cercando di dirmi?»

«Non mettermi fretta! Sto cercando di dirti… » Naruto aumentò la stretta sulle spalle di Sasuke, fissandolo con una concentrazione tanto intensa da risultare quasi irreale «… che, rispetto ad allora, non è cambiato niente».

«Ma quali idiozie vai cianciando?!» lo aggredì l’ex nukenin, mentre tentava di sottrarsi alla sua presa e, soprattutto, al suo sguardo «Non ti sei accorto che, al contrario di quanto sostieni, è cambiato tutto

Uzumaki reagì a tale prevedibile scatto d’ira bloccandogli una gamba sotto la propria, di modo da impedirgli di alzarsi e portare la discussione su piani meno civili; poi, probabilmente conscio di avere solo pochi secondi prima che l’altro manifestasse la propria insofferenza, sbottò: «Vuoi stare zitto e lasciarmi spiegare, maledetto testone!? Non sono bravo a fare discorsi complicati, lo sai».

«Ma davvero?! Lo sanno tutti».

«Appunto» ghignò in risposta il ninja biondo, per nulla offeso dal suo sarcasmo «Perciò, piantala di interrompere. Vedo benissimo che nulla è più come prima, non sono cieco. Siamo cresciuti, le nostre vite sono profondamente mutate – tu aspetti addirittura un figlio da Sakura, cavolo. Ciò che non è cambiato, però, è quello che sento per te».

Fu allora che Sasuke smise finalmente di divincolarsi, rassegnato all’idea di dover per forza stare a sentire dove sarebbe andato a parare il discorso; Naruto ne approfittò quindi per rilassare appena i muscoli contratti.

«Giusti o sbagliati che fossero, avevamo entrambi i nostri personali traguardi da raggiungere: tu volevi vendicare il clan Uchiha, io diventare Hokage. Erano obiettivi che non potevano non condurci allo scontro, eppure io non ho mai smesso di sperare che sarei riuscito a fermarti prima; persino il mio desiderio di sedere sullo scranno di Konoha finiva per scolorire, dinanzi alla necessità di riportarti indietro. Quasi che una cosa escludesse l’altra. Tu, dal canto tuo, anziché eliminarmi alla prima occasione e perseguire fino in fondo i tuoi propositi, in un modo o nell’altro ti sei sempre lasciato raggiungere – ed è inutile che ti affretti a negarlo: sai che ho ragione».

Certo che ce l’aveva; anche troppa. Come Sakura prima di lui.

«In tutti questi anni io ho fissato unicamente la tua schiena, mentre tu, beh… tu fissavi Naruto».

«E se anche fosse? Qual è il punto?»

«Oh, insomma! Il punto è che, finché le nostre aspirazioni si sono contrapposte, farci la guerra è stato l’unico mezzo che avevamo a disposizione per tenere vivo ciò che c’è fra di noi; adesso non ne abbiamo più bisogno, ma questo non significa che… che io possa fare a meno della tua presenza. Sapere di condividere con te il sogno di un futuro di pace, finalmente, mi dà la forza di procedere lungo la direzione che, ne sono sicuro, è quella più giusta».

«C’è un vecchio detto, che recita: “Amare non è guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione”».

Mano a mano che Naruto dava voce alla propria – confusa, eppure chiarissima – riflessione, le parole della moglie si erano fatte spazio nella mente di Sasuke con irruenza sempre maggiore, sino ad assumere la consistenza di un’eco eccezionalmente potente.

«Amare non è guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione».

Un avvenire senz’ombre, un mondo pieno di speranza e prosperità dove le future generazioni di ninja avrebbero potuto convivere in pace: questo accendeva gli occhi di Uzumaki, quando egli parlava della propria direzione – che, a conti fatti, era la stessa anche per lui.  

Ma la salvaguardia di Konoha poteva realmente diventare lo scopo della sua vita, il fine ultimo su cui riversare anche quel bisogno di Naruto che proprio il villaggio gli aveva imposto di soffocare?

Sasuke alzò lo sguardo sulla linea dell’orizzonte, dove un vago chiarore si stava innalzando al di sopra delle montagne.

Il futuro era laggiù, da qualche parte oltre quelle cime; probabilmente non l’avrebbe mai raggiunto, ma tanto valeva mettere un piede dietro l’altro e incamminarsi.

Perché, per una volta, lo scemo aveva avuto ragione: qualunque cosa fossero, fra loro non era cambiato niente – e adesso lo sapeva.

«Sarà una strada di doveri e rinunce, la nostra» sussurrò, volgendo appena il viso verso il camerata.

«Hai forse paura, fifone?» sorrise questi, appoggiando la fronte contro la sua esattamente come alla Valle dell’Epilogo, ma senza colpirlo «Costruiremo qualcosa di grande, procedendo insieme verso lo stesso obiettivo! Com’era? Ah, sì: “Amare non è guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione”».

«C-come?»

«Oh, è solo un vecchio proverbio. L’ho sentito dire tanto tempo fa, ma non ricordo proprio da chi». 




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Note dell’autore

Bentrovati sul secondo – e ultimo – frammento de “L’incrocio”!

Le considerazioni sul “What if?” da me svolte nelle note al precedente capitolo valgono a maggior ragione in questa sede: generalmente tendo a lasciare ambigua la natura del rapporto fra Sasuke e Naruto – cosa che, a mio avviso, succede persino a livello canonico –, ma stavolta mi sono vista costretta a esplicitare un poco di più.

Venendo, al solito, agli aspetti più specifici:

- “Chidori” è il corrispondente giapponese dell’italianizzato “Mille falchi”;

- “Nanaidame”, sta per “Settimo (Hokage)”.

Al momento non mi vengono in mente ulteriori precisazioni; spero che, nel complesso, la storia vi sia piaciuta.

Ringrazio tutti coloro che sono passati sul primo capitolo e, altresì, quelli che spenderanno un poco del loro tempo per leggere e/o commentare anche questo!

Irene  

 

 

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