Odore di bruciato, vernice e...

di Nina Ninetta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Odore di bruciato ***
Capitolo 2: *** 2. Vernice ***
Capitolo 3: *** 3. E... ***



Capitolo 1
*** 1. Odore di bruciato ***



Odore di bruciato,
vernice e…
 

 

1.
Odore di bruciato

 

 
«Che succede?»
Ron Weasley si materializzò all’interno dell’ufficio del Primo Ministro della Magia Harry Potter. Hermione Granger era poco distante, proprio dinnanzi alla scrivania dove il Ministro sedeva. Quando Ron comparve davanti a lui – suo vecchio amico, nonché cognato dopo aver sposato la sorella Ginny – si alzò in piedi e gli si avvicinò. Ron aveva addosso il pantalone del pigiama, di un brutto e sbiadito blu, e un maglioncino a collo alto color arancio che sembrava partire direttamente dalla testa, senza staccarsi dai capelli.
«Che succede?» Ripeté Ron, notando lo scambio imbarazzato tra Harry e sua moglie Hermione.
«I Mangiamorte sono tornati» disse tutto d’un fiato il Primo Ministro, aveva la barbetta ispida di qualche giorno e occhiaie profonde.
«Tornati? Non se ne sono mai andati» controbatté Weasley con tono sarcastico, abbozzò un sorriso che nessuno gli restituì.
«Questa notte hanno attaccato Villa Malfoy…»
«Non c’è nessuno di indispensabile laggiù…» di nuovo Ron provò a sorridere, guardando sua moglie Hermione, la quale teneva lo sguardo fisso sul pavimento. Seria.
«… Draco è riuscito a fuggire appena prima che il fuoco distruggesse l’intera abitazione, portando suo figlio Scorpius in salvo. Come sapete Lucius e Narcissa sono in un luogo segreto, sotto la protezione degli Auror» spiegò Harry Potter.
Da quando la guerra contro Voldemort si era conclusa, i Malfoy avevano annunciato di voler collaborare con il Ministero della Magia, rivelando i nomi di coloro che si erano schierati con il Signore Oscuro ed eventuale nascondiglio. Questa collaborazione aveva ovviamente scatenato una caccia all’uomo che aveva permesso di scovare e arrestare diversi maghi, ora prigionieri di Azkaban e in attesa di giudizio. D’altro canto la famiglia Malfoy era stata etichettata quale traditrice dell’ordine e i pochi maghi oscuri rimasti in libertà avevano promesso che gliel’avrebbero fatta pagare. In particolare negli ultimi mesi, la vita dei Malfoy era diventata un inferno. Le continue minacce di morte avevano portato Lucius e Narcissa ad accettare la protezione del Ministero, trasferendosi in un luogo assolutamente segreto e sorvegliato dagli Auror. Tuttavia Draco aveva rifiutato di nascondersi con i genitori, preferendo restare a Villa Manor con suo figlio Scorpius. Dopo la morte prematura di sua moglie Astoria, a causa di una malattia che neanche la magia era stata in grado di guarire, Draco si era dichiarato incurante del proprio destino. A Harry Potter e agli Auror che si erano presentati a casa sua per portare con sé i propri genitori, aveva detto che se i Mangiamorte lo avessero scovato si sarebbe divertito un po’ con loro. Inoltre, accettare di trasferirsi nel luogo segreto designato dal Ministero avrebbe significato sacrificare la sua vicinanza a Scorpius, unico figlio nato da quel matrimonio maledetto. Hogwarts si era detta ben lieta di accogliere e accudire Scorpius, già studente di magia da circa un anno, ma Draco si era opposto. Dopo la morte della madre tutto ciò che non giovava al povero ragazzo era sentirsi abbandonato anche dal padre, nonostante il rapporto fra i due non fosse dei migliori. In fondo era Astoria quella che ci sapeva fare.
Eppure, quando quella notte i Mangiamorte avevano attaccato Villa Malfoy e Draco era riuscito appena in tempo a correre nella camera di Scorpius – già raggiunta dalle fiamme – per afferrarlo e smaterializzarsi nella piazza antistante il Ministero, aveva capito che a essere minacciata non era solo la sua vita, ma anche quella del figlio.
Svegliato nel cuore della notte, Harry Potter era corso in suo aiuto, come si farebbe per un vecchio amico. Lui e Draco non erano propriamente compagni, ma gli anni avevano attutito gli screzi del passato, per di più Potter adesso ricopriva un ruolo fondamentale e non poteva certo lasciarsi sopraffare dai sentimenti.
«Scommetto che ora vuole andare da mammina e papino» sghignazzò Ron, ma ancora una volta nessuno sembrò divertito dalle sue battute.
«No, va protetto individualmente» spiegò Harry, sapendo che la parte difficile – ossia far capire le ragioni della sua scelta a Ron – era imminente.
«Quindi dovremmo sprecare un Auror solo per quello?» Ron Weasley allargò le braccia. «Perché?».
«Perché se i Mangiamorte decidessero di attaccare lo farebbero su più fronti e per noi sarebbe più facile affrontarli» era stata Hermione a rispondere e il Primo Ministro annuì, non avrebbe potuto spiegarlo meglio. Ron la guardò, ma lei non ricambiò lo sguardo. Le cose tra loro si erano incrinate da mesi ormai, nonostante la nascita del secondo figlio Hugo nulla era tornato come ai vecchi tempi. Ron aveva sperato con tutto sé stesso che l’arrivo di Hugo colmasse il vuoto tra loro, peccato che le speranze fossero rimaste tali. Più per assecondare la moglie che per convinzione, Ron disse di avere capito, che si trattava di un ragionamento “geniale” e si proclamò pronto ad assumersi quell’incarico in qualità di Auror. Nessuno rispose.
«Che c’è adesso?» chiese.
«Scusa Ron, ma ho scelto Hermione per questo compito» prima o poi doveva dirglielo e Harry non trovò parole gentili per farlo.
«CO-SA?» Il volto di Ron divenne paonazzo. «Tu rischieresti la vita di Hermione per difendere quella di Draco Malfoy? Stiamo parlando di uno spregevole, misero, sleale, vigliacco, fottuto Malfoy! E tu? TU!» Gli puntò un indice contro. «Metteresti in pericolo la vita di mia moglie per-per».
«È proprio per questo motivo che ho scelto Hermione» lo interruppe Harry. «So che lei porterebbe a termine il suo lavoro nonostante il pericolo, nonostante sia uno come Draco Malfoy da dover difendere. E ha già un piano».
Ron fece per riprendere le sue ingiurie, ma Hermione fu più lesta nel precederlo e chiedere:
«Lui dov’è?».
 
Draco era nella stanza adiacente all’ufficio del Primo Ministro. Probabilmente aveva ascoltato ogni singola parola che si erano scambiati i tre compagni d’avventura. Chiedere aiuto ad Harry Potter, doveva esser caduto proprio in disgrazia per fare una cosa simile. Guardò Scorpius addormentato sul divano, un lembo della maglia del pigiama era bruciacchiato, i capelli biondi pieni di fuliggine e il volto arrossato a causa della vicinanza alle fiamme. Non che lui avesse un aspetto migliore a dirla tutta. Si specchiò nel riflesso della libreria: i capelli scompigliati, il volto sporco in più parti, la camicia scura abbottonata alla bell’e meglio. Tentò di slacciare i bottoni per chiuderli correttamente, ma si accorse che le dita tremavano troppo. Strinse le mani a pugno e ne sferrò uno contro il muro, digrignando i denti e mantenendo a stento una maledizione. Proprio in quel momento la porta si aprì, piano, rivelando il famoso trio di Hogwarts che tanto aveva detestato una vita fa. Harry fu il primo a entrare, seguito da Hermione Granger e infine Ron Weasley, quest’ultimo con la testa bassa e rosso di rabbia. Draco si porto le mani nelle tasche dei pantaloni scuri, sebbene fosse in evidente disagio e vestito alla stregua di un mendicante teneva ben saldo quel suo incrollabile fare saccente, come se gli altri fossero sempre e comunque essere inferiori.
«Draco» Harry si schiarì la voce, se far entrare nella zucca di Ron le motivazioni che lo avevano spinto a scegliere Hermione fra i tanti Auror, farlo con l’ex studente di Serpeverde sarebbe stata un’impresa più che ardua.
«No» disse Draco. Accettare l’aiuto del Ministero era un conto, essere protetto da un Weasley equivaleva a un disonore pubblico.
«No?» Ripeté Harry, aggrottando la fronte.
«È ciò che ho detto. Che c’è, sei sordo? No».
«Ehi, damerino, guarda che è con il Primo Ministro della Magia che stai parlando» intervenne Ron, ma Harry lo tenne indietro toccandogli un braccio. Un litigio fra quei due, stile Hogwarts, non sarebbe servito a niente.
«Oh Weasley, ci sei anche tu».
Ron tentò di saltargli addosso, ma questa volta fu Hermione a mettersi fra i due, letteralmente. Si piazzò di fronte a Draco, il quale la sovrastava di diversi centimetri, senza tuttavia lasciarsi sopraffare dalla differenza di altezza o dal suo sguardo di ghiaccio che la scrutava manco fosse un insetto.
«Non sei tu a decidere, Malfoy. Hai chiesto l’aiuto del Ministero e questo ti ha dato la sua piena disponibilità. Tuttavia, non hai l’autorità di poter scegliere l’Auror o il luogo che ti è stato assegnato».
«Non posso sce-».
«Inoltre» continuò Hermione notando solo allora il piccolo Scorpius addormentato sul divano, «poiché non sei nelle condizioni di difendere tuo figlio da eventuali attacchi nemici e dato che il Ministero della Magia tiene molto all’incolumità dei giovani maghi, se dovessi rifiutare ora il supporto del Ministero, Scorpius verrà affidato a un tutore che se ne prenderà cura fino al conseguimento dell’età adulta».
«Ma che… ?»
«Articolo 25, comma 3 del paragrafo VI: Minori e…».
«Per Merlino, va bene! Non mi serve una lezione di studi giuridici» Draco sbuffò, sempre la solita saputella quella Granger.
Ron si accostò ad Harry e gli chiese se esistesse davvero quella legge e quando lui gli rispose che non ne era certo, gli fece notare che avrebbe dovuto saperlo in qualità di Primo Ministro.
«Papà» Scorpius si svegliò, così conciato sembrava anche più piccolo della sua età. Era coetaneo di Rose – primogenita di Ron ed Hermione – e anche di Albus, figlio di Harry e Ginny. Draco si inginocchiò di fronte a lui, l’espressione gli si era addolcita. Solo allora i tre amici sembrarono notare i segni evidenti dell’incendio dal quale erano scampati. Abiti stracciati e bruciacchiati, capelli spettinati e scuriti dal fumo, la pelle arrossata e sporca di fuliggine.
«Papà» ripeté Scorpius guardandosi attorno, l’aria frastornata. «C’era un incendio, non riuscivo più a respirare e…» all’improvviso comparve un bicchiere di succo di carota davanti al suo viso. Scorpius alzò lo sguardo e incontrò quello di Hermione. Anche Draco la osservò dal basso, chiedendosi perché fosse così cordiale con suo figlio. Lei si chinò in avanti, verso il ragazzino.
«Adesso sei al sicuro. Il tuo papà ti ha portato in salvo giusto in tempo» la ragazza gli porse la bevanda color arancio. «Spero ti piaccia. È la preferita di mia figlia».
«Lei è la signora Weasley? La mamma di Rose?» Scorpius parve illuminarsi.
«Si, sono io. Ma chiamami Hermione.»
«Ok, signora Hermione. Rose sta bene?» Finalmente bevve un sorso di succo e quando Hermione lo tranquillizzò sulle condizioni di Rose, Scorpius parve rasserenarsi.
Draco Malfoy osservò suo figlio bere lunghe sorsate, perché non ci aveva pensato lui? A quelle cose pensava Astoria, era lei quella brava.
Capì in quel momento di doverlo a sua moglie morta: accettare l’aiuto del Ministero della Magia equivaleva non solo a proteggere la vita di suo figlio, ma anche permettere che non rimanesse orfano. Aveva passato l’intera giovinezza a prendere in giro Harry Potter per il fatto che i suoi genitori fossero morti, e adesso suo figlio rischiava di fare la stessa fine. Senza guardare Hermione alla sua sinistra, chiese dove fosse il luogo predisposto per la sua clandestinità.
«Casa mia» rispose l’Auror con fare serio. «Il mondo dei babbani».
«CO-SA?» Le voci di Draco e di Ron si sovrastarono, mentre Harry Potter se la rideva di sottecchi.
«Fiiicooo!» Esclamò Scorpius beccandosi un’occhiata perplessa del padre.
  

***
 
 
Quella stessa notte Draco e suo figlio Scorpius furono ospitati a Hogwarts, dove la mattina seguente li avrebbero raggiunti l’Auror Hermione Granger e il Primo Ministro della Magia Harry Potter. Com’era facile intuire Draco non chiuse occhio, mentre suo figlio si appisolò quasi subito dopo essersi dato una ripulita. L’alba pareva non voler più sorgere in quella notte infinita, mentre il vento gelido sferzava il castello facendo scricchiolare le vecchie mura. Anche a occhio nudo il giovane Malfoy poteva vedere le barriere protettive che avvolgevano l’intero perimetro della zona. Si era deciso di tenerle sempre innalzate e attive dopo la Seconda Guerra Magica, ma quella notte in particolare erano state intensificate e il motivo era facile da intuire: cautelare loro.
Acconsentire di essere protetto da Ron Weasley era già un brutto rospo da ingoiare, addirittura essere protetto da una Sanguesporco come la Granger era un sacrificio bello e buono. E cosa si era inventata quella strega? Vivere nel suo mondo babbano, fra esseri inferiori e irritanti. L’aveva fatto di proposito, per fargli pagare tutti gli affronti che le aveva riservato negli anni, ne era certo!
L’esile corpicino di Scorpius al suo fianco si mosse, pur continuando a dormire. Draco gli scostò i capelli dalla fronte, non doveva perdere di vista l’obiettivo: difendere lui. Il resto contava poco.  


 
***
 
 
«È in ritardo» sbuffò Draco.
«Di solito è puntuale» rispose Hermione Granger con un po’ di apprensione, nonostante si trattasse solo di pochi minuti, Harry Potter era sempre stato uno puntuale. Ron le si avvicinò di soppiatto, attento a non farsi sentire da Malfoy. Sebbene lei gli avesse detto che non c’era davvero bisogno che l’accompagnasse, lui aveva insistito.
«Puoi ancora tirarti indietro, Hermione. Nessuno ti sta costringendo a fare questa cosa».
«Lo so».
«E allora non farlo. Torna a casa da Rose e Hugo… e da me.» Ron le posò una mano alla base della schiena, lei si allontanò infastidita. Lo detestava quando usava i suoi figli per farla sentire in colpa delle proprie scelte.
«Signora Hermione» Scorpius pulito e pettinato era la copia sputata di suo padre, ma con lo sguardo decisamente meno cinico. «Rose quando torna a scuola?»
«Dopo le vacanze» gli sorrise Hermione, quando finalmente scorse Harry Potter risalire lungo la strada che portava alla Foresta Proibita e con lui c’era Hagrid. I capelli e la folta barba del Mezzogigante erano diventati quasi del tutto bianchi, eppure restava l’omone buono e gentile che avevano imparato a conoscere e ad amare.
«Scorpius, Hagrid sarà il tuo tutore» proclamò Harry.
«Siii!» Il piccolo Malfoy corse ad abbracciarlo e l’ex guardiaccia parve commosso da quell’improvvisa manifestazione d’affetto.
«Hagrid come tutore di mio figlio? E cosa dovrebbe insegnargli? A tagliare legna? Oh, andiamo Potter, è ridicolo!».
Hermione Granger tossì e con una sola occhiataccia gli sembrò dire che lui non aveva autorità decisionale in quella faccenda.
«Bene» il Primo Ministro batté le mani, «nessun contatto fino a quando non riterremo Draco fuori pericolo. Nessuno!» Guardò Ron sottolineando l’ultima parola e l’amico parve incupirsi ancor di più.
«Ricevuto» rispose Hermione, quando suo marito le fece cenno di doverle parlare si scostarono qualche metro più in là. La Granger scosse la testa più volte, in realtà non parlò mai, era un monologo alla Weasley, e nel momento in cui le accarezzò la guancia lei si tirò indietro, dandogli un buffetto sul dorso della mano. Quindi raggiunse Draco, il quale si stava congedando da suo figlio Scorpius, l’unico felice di tutto ciò.
«Siamo pronti» affermò Hermione. «Effettuerò io la smaterializzazione poiché tu non conosci la zona da raggiungere.» Draco si chiese ancora una volta come avesse fatto a trovarsi in quella situazione paradossale, come se non bastasse l’aiuto dei vecchi nemici ora sarebbe stato costretto a vivere con Hermione Granger nel suo mondo ripugnante.
«Signora Hermione, dice a Rose che l’aspetto trepidante?».
«Ma certo che glielo dico» Hermione gli fece l’occhiolino, ovviamente non avrebbe avuto occasione di dire a sua figlia che un Malfoy l’aspettava trepidante, ma aveva la sensazione che lei lo sapesse già.
Certe cose le donne le sanno e basta…
Con un cenno del capo salutò Harry e Hangrid, poi si posizionò alla destra di Draco:
«A quanto pare tuo figlio ha una cotta per la mia» Hermione a stento trattenne un sorrisetto beffardo.
«Un Malfoy e una Granger? Impossibile» fu la risposta di Draco, poi lei lo afferrò per un avambraccio e senza neanche avvertirlo effettuò la smaterializzazione.
Harry Potter sospirò rumorosamente e senza rivolgersi a nessuno in particolare si augurò di non aver fatto una grande cazzata.
«Questa volta Harry, mi sa che l’hai fatta proprio grossa. Miseriaccia!» Gli fece eco Ron.

 

***
 
 

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Capitolo 2
*** 2. Vernice ***


2.
Vernice
 

 
Comparvero dal nulla in un vicolo cieco. Draco dovette poggiare una mano contro il muro sudicio di un palazzo e chino in avanti sperò di non vomitare. L’odore nauseabondo che permeava l’aria non lo stava di certo aiutando. Notò dietro di lui delle enormi buste nere, ricordavano vagamente la divisa dei Mangiamorte,  sembrava che il tanfo arrivasse proprio da quelle.
«Cosa sono, per Merlino?» Tossì.
«Spazzatura. I babbani devono pur liberarsene in qualche modo. Stai bene?».
«No!» Draco avanzò di qualche metro, aveva bisogno di aria, ma pulita. Inoltre la smaterializzazione di Hermione era stata così potente e improvvisa da scombussolargli lo stomaco. Un giorno aveva sentito dire da sua madre che Hermione Granger era una tra gli Auror più forti, ancora ricordava suo padre Lucius ridere e affermare che fosse impossibile per una Sanguesporco essere un mago migliore di un Purosangue. Eppure Draco aveva sempre saputo, fin dall’adolescenza, che in uno scontro tra lui e la Granger non sarebbe stata lei a essere messa in ridicolo.
Poi ciò che vide scacciò immediatamente quei ricordi. Enormi palazzi si ergevano ai lati della strada. Al centro, fra le abitazioni alte metri e metri, c’erano veicoli fermi, di ogni colore e forma, da alcuni sembrava provenire un rumore simile a quello di una tromba, mentre rilasciavano del fumo denso che si alzava verso un cielo grigio. Decine di persone gli sfrecciavano davanti, qualcuna apparentemente parlava da sola, con un filo che dalle orecchie terminava chissà dove, altre camminavano in maniera così lesta che parevano fuggire da qualcosa. Si sentiva un gran vociare, uno vestito in modo strano gridava di fermarsi per assaggiare il miglior hot-dog della città. In mano teneva un forchettone enorme che ricordava vagamente il Tridente di Nettuno.
«Benvenuto nel mondo dei babbani» Hermione Granger si guardò attorno, tornare lì la metteva sempre di buon umore poiché riaffioravano alla mente gli anni spensierati trascorsi con i genitori.
«Cosa sono gli hottog?».
«Magari ne assaggerai uno un giorno».
«Cibo babbano? No grazie, potrei morire».
«Ci vuole molto di più per ammazzarti, Malfoy».
Draco seguì Hermione per diversi metri, mentre decine di babbani gli passavano accanto, qualcuno lo scrutò con interesse, altri sembrarono non notarlo neanche. Se da una parte ciò che vedeva gli pareva vagamente familiare al mondo in cui era nato e cresciuto, dall’altro era completamente diverso, a cominciare dai veicoli colorati a quattro e due ruote che si muovevano, sicuramente per opera di una magia a lui sconosciuta. All’ennesimo sguardo insistente di un passante, Draco bofonchiò fra i denti una piccola fattura e quello cadde lungo disteso sul marciapiede. Hermione lo guardò malissimo e tornò sui suoi passi per aiutare l’uomo a rimettersi in piedi.
«Mi fissava come se avesse visto un molliccio».
«Sono i tuoi abiti. Ma non hai nulla di diverso da giacche nere abbottonate fin sotto il mento? Sembri un becchino».
«Un che?»
«Lascia stare. Siamo arrivati».
Hermione Granger si fermò dinnanzi a una piccola villetta a schiera a due piani, con il tetto spiovente e ampie finestre. Draco notò la commozione nei suoi occhi e gli parve il momento migliore per sfruttare quella vulnerabilità e affondare una piccola lama nel fianco che teneva in serbo da quando avevano lasciato Hogwarts.
«Per un attimo ho creduto che saresti bruciata di passione quando quella nullità di un Weasley ti ha toccato».
«Sai una cosa Malfoy? Non sarai più il bulletto di un tempo, ma resti comunque un miserabile». Hermione aprì il cancelletto ed entrò nel piccolo spiazzo antistante la casa, c’era un sentiero pavimentato circondato da cespugli ben curati.
«Tasto dolente Granger? Le cose con mister Lenticchia non vanno bene?».
Hermione lo ignorò, alzando la propria bacchetta al cielo e recitando come un mantra i tre incantesimi di protezione:
«Protego Maxima. Repello Inimicum. Fianto Duri». Una cupola trasparente avvolse silenziosamente l’abitazione babbana della maga, la quale si incamminò verso la porta d’ingresso senza attendere che Draco le stesse dietro.
 
Proprio quest’ultimo si meravigliò di notare come i genitori della Granger fossero banalmente normali. La madre con il suo caschetto biondo gli ricordava vagamente Narcissa, ma più lussureggiante nelle forme e bonaria nell’espressione del viso. Il signor Granger invece era totalmente diverso da suo padre Lucius. Innanzitutto era calvo, con qualche ciuffetto grigio che sbucava ai lati della testa – quindi niente chioma bionda lunga oltre le spalle – occhiali sulla punta del naso e appena qualche spanna più alto della moglie e della figlia. Li accolsero con il sorriso sull’orlo della porta, abbracciarono Hermione e rimasero un attimo interdetti quando videro Draco alle sue spalle.
«Mamma, papà, vi ricordate di Draco?» L’Auror mosse impercettibilmente la bacchetta e i suoi genitori all’improvviso sembrarono ricordare una cosa che per un momento gli era sfuggita di mente. Il padre si batté una mano sulla fronte:
«Draco, ma certo! Il figlio dei Malfoy, i nostri vecchi vicini di casa! Come stai?». L’uomo lo abbracciò con affetto, Draco non ricambiò seguendo con lo sguardo la Granger che era già sparita con la madre nella penombra della casa.
L’abitazione era per certi versi simile a Villa Manor, ma la mobilia e i soprammobili davano un tocco di calore e di famigliarità che nella sua casa scarna e fredda non aveva mai percepito. In particolare sostò dinnanzi alle decine di fotografie disposte cronologicamente lungo una parete. Nelle prime appariva una piccola Hermione fra le braccia dei giovani coniugi Granger, poi il tempo passava e la maga da neonata si trasformava nella bambina prima e nell’adolescente dopo – adolescente che lo stesso Draco aveva conosciuto e odiato negli anni. Le ultime foto ritraevano Hermione Granger in abito da sposa mentre ballava con suo marito Ron Weasley e infine i signori Granger con i propri nipotini al mare.
L’Auror si accostò e mormorando qualcosa fece sparire dalle foto i figli – che furono sostituiti da cagnolini – e lo stesso Ron, il cui posto fu preso dal padre. Draco la scrutò dall’alto.
«Per adesso è meglio così» disse la maga, lui non rispose. «Vieni, ti mostro la tua camera da letto».
Hermione era stata combattuta sulla scelta della stanza da lasciare all’ospite, alla fine aveva optato per la propria vecchia camera, sebbene a malincuore. Il discorso era molto semplice: la sua stanza era la meglio protetta, semmai i Mangiamorte avessero attaccato quella sarebbe stata una delle camere più difficili da raggiungere.
«Perché devo dormire in una stanza per femminucce?».
«Perché ho deciso così» la risposta di Hermione non prevedeva repliche, fece per uscire dalla stanza, poi si voltò verso Draco e gli puntò la propria bacchetta contro: «Se ti trovo a frugare fra le mie cose ti oblivio».
Una scintilla attraversò gli occhi di Draco, come se gli fosse appena venuta un’idea brillante, tuttavia si limitò a mostrarle i palmi in segno di resa.
 
Quella stessa sera a cena Draco mangiò pochissimo. Non che il cibo babbano non gli piacesse, dall’odore non sembrava così orrendo come suo padre gli aveva sempre fatto credere, ma era il pensiero in sé che lo spaventava. Un pomeriggio Lucius lo aveva beccato a mangiare un dolce babbano: Narcissa disse che si trattavano di ciambelle alla crema, una bontà di cui non poteva fare a meno e appena poteva le comprava al mercato nero. Lucius però quella volta lo aveva sorpreso sul fattaccio e si era infuriato, affermando che mangiando cibo babbano avrebbe perso i suoi poteri magici. Eppure, pensò in quel momento notando come Hermione mangiasse tutto ciò che le veniva servito, alla Granger i poteri magici non erano mai venuti meno.
«Come sta Ron?».
All’improvviso il signor Granger pose quella domanda alla figlia e il sorriso sparì dal volto della ragazza, la moglie guardò il marito stranita, manco avesse detto un’assurdità.
«Evidentemente cancellarlo dalle foto non è servito» ghignò Draco e di nuovo vide Hermione ondeggiare pacatamente la bacchetta verso il padre, il quale scosse il capo come a voler scacciare una mosca fastidiosa e chiese:
«Caffè?».
Nel frattempo la moglie fece una cosa inaspettata: accese la televisione. Il telegiornale era quasi giunto al termine, la giornalista a mezzo busto stava salutando i suoi telespettatori dando loro appuntamento all’edizione mattutina. Draco non aveva mai visto una scatola parlare, si spaventò simile a un ragazzino del primo anno di fronte a un molliccio, scattò dalla sedia che cadde sul pavimento provocando un tonfo sordo, estrasse dalla tasca la propria bacchetta e la puntò verso la TV.
«No, Draco, non…» Hermione fece per afferrargli l’arma allungandosi sul tavolo, non voleva disarmalo con la magia davanti ai suoi.
«BOMBARDA!».
«… farlo!».
La televisione esplose con violenza, riducendosi a un cartoccio fumante. Entrambi i coniugi Granger rimasero in assoluto silenzio, osservando ciò che rimaneva della loro vecchia scatola parlante. Il papà di Hermione fece spallucce:
«A volte dovevo darle una forte botta sul lato destro per farla funzionare. Ne comprerò un’altra» disse più per incoraggiarsi che a qualcuno in particolare. A Hermione si strinse il cuore.
«Mi dispiace tanto» si tirò giù dal tavolo sopra il quale era salita con un ginocchio per allungarsi verso Draco, inutilmente. «Draco ve la comprerà personalmente».
«Cosa? Quell’affare parlava!».
Hermione Granger lo ignorò, aiutando sua madre a sparecchiare mentre suo padre si premurava di gettare via la carcassa della TV.
 
Quella stessa notte Hermione s’intrufolò nella camera da letto che era stata il suo rifugio da bambina, celando al suo interno i sogni e la paura di essere una diversa rispetto ai suoi coetanei. Sebbene la stanza fosse in penombra non le fu difficile riconoscerne le forme e tutto ciò che la circondava. Poi la figura celata dalle coperte la riportò con la mente al presente. Ora era un’Auror con il compito di proteggere Draco Malfoy dalla minaccia concreta dei Mangiamorte. Difendere Draco Malfoy? Ma come le era venuto in mente. Forse Ron aveva avuto ragione, forse davvero avrebbe dovuto rinunciare a quell’incarico, ma sarebbe ancora stata in grado di guardarsi allo specchio ed essere soddisfatta del proprio operato? Quando aveva deciso di diventare un’Auror sapeva che avrebbe dovuto accettare anche incarichi poco piacevoli, eppure lo aveva fatto, aveva superato l’esame e avuto l’abilitazione a lavorare per il Ministero della Magia. Ron non era stato affatto contento di quella sua scelta, diceva che bastava lui a lavorare rischiando la vita, che l’avrebbe preferita a casa, a occuparsi di Rose, saperla al sicuro. Sua madre Molly aveva posto dinnanzi a tutto il bene della famiglia Weasley, eppure era una donna appagata e una maga potente. Hermione Granger aveva sempre saputo di non essere fatta per quella vita, il potere magico che era in lei urlava a gran voce di essere sfruttato, sentiva come il bisogno di sfogare, per non parlare della sua intelligenza che pareva scalciare simile a un animale in gabbia. I problemi matrimoniali erano nati proprio a seguito di quelle parole che Ron le aveva rivolto, con il suo solito fare bonario e sempre prudente quando si trattava di andare contro il volere della moglie.
Hermione si sforzò di ricacciare indietro quei pensieri, era lì per prelevare la bacchetta di Draco e preferiva farlo con lui dormiente. Sull’uscio della porta sussurrò:
«Accio!» Non successe nulla, ci provò di nuovo ma niente, poi notò le coperte sussultare appena prima di udire la risata di Malfoy. Era sveglio. Lei sospirò e si accostò al letto, porgendogli la mano:
«Dammi la tua bacchetta».
Draco si asciugò le lacrime agli angoli degli occhi a causa del troppo ridere, teneva la bacchetta stretta con entrambe le mani.
«Expelliarmus!» Esclamò, ma Hermione fu scaltra a deviare l’incantesimo. Ne scaturì una piccola battaglia a suon di incantesimi di disarmo.
«Malfoy, devi darmi la tua bacchetta! Quello che hai fatto stasera a cena è stato molto pericoloso, oltre che stupido e insensato. Non posso permetterti di combinare altri guai!».
«Ho bisogno della mia bacchetta! E se i Mangiamorte mi attaccassero?».
«Non lo faranno. Non qui».
«E se lo facessero? Se mi trovassero?».
«Se rispetti le regole, ad esempio senza far esplodere televisioni dal nulla, non potranno mai trovarti. E adesso dammi quella bacchetta! Expelliarmus!».
Draco deviò l’incantesimo contro la biblioteca alle sue spalle e diversi libri caddero sul pavimento.
«Ho notato che tu ricorri spesso alla magia, perché io non posso? Impedimenta
Questa volta toccò all’Auror evitare l’incantesimo che l’avrebbe rallentata, quindi a sua volta lanciò una fattura gambemolli che – evidentemente – Draco non si era aspettato, perciò lo vide cascare a terra, con la schiena contro il letto. Così conciato le fu semplice disarmarlo.
«Dannazione Granger! Non puoi prenderti la mia bacchetta! Non puoi lasciarmi vulnerabile di fronte a un pericolo tanto grande!».
«E invece posso. Buonanotte Draco» furono le ultime parole di Hermione che lasciò la stanza con un sorriso di palese soddisfazione stampato sulle labbra. Sapeva di aver battuto Draco Malfoy in quello che si poteva definire il loro primo e vero duello.
«Ehi, toglimi almeno questa fattura!» Le urlò dietro il ragazzo, ma in tutta risposta l’Auror gli chiuse la porta in faccia e lui dovette fare affidamento esclusivamente sulle proprie forze per rimettersi a letto. 
 

***

 
I giorni trascorsero lenti e immutati. Senza novità né contatti dal mondo magico. Hermione Granger cominciava a soffrire per la mancanza di Rose e di Hugo, anche per quella dell’amico Harry Potter a essere sinceri, ma non si meravigliò di non provare nulla per la lontananza da suo marito. Se si fosse sforzata un po’ si sarebbe resa conto che gli mancava come compagno e confidente, nulla di più.
Draco Malfoy invece era ogni giorno più insofferente, minacciava di andarsene non appena lei si fosse distratta e prontamente l’Auror gli faceva notare, con tono calmo e quasi di presa in giro, che non sarebbe mai accaduto che un suo protetto le sgusciasse sotto il naso. Draco aveva accolto quella risposta come un guanto di sfida e una mattina di fine ottobre sgattaiolò fuori di casa. La ragazza sembrò sprofondare in una abisso cupo e denso, corse in strada con la bacchetta in mano, guardandosi a destra e a manca, chiedendosi dove potesse essere andato quel maledetto di un Malfoy, mentre sua madre le spiegava che semplicemente aveva accompagnato papà a comprare la vernice per la staccionata.
«Quale staccionata?» Chiese Hermione senza smettere di fissare la strada.
«Quella sul retro della casa, tesoro. Si sono messi all’opera da quando sono rientrati».
«Rientrati?».
«Si, venti minuti fa. Forse quindici…».
L’Auror non attese che sua madre aggiungesse altro e a grandi falcate – nonostante il suo metro e sessantacinque, o giù di lì – raggiunse la zona posteriore della villetta. In effetti vide suo padre con le mani suoi fianchi, mentre osservava il giovane Malfoy chino sulle ginocchia a spennellare i pali di legno della recinzione. Hermione si avvicinò.
«Oh, cara, ti piace? Ho pensato di ridipingerla verde acquamarina perché ho notato che quest’anno è particolarmente in voga».
«Bellissimo papà, ma ti prego di non portare più Draco con te quando esci per le tue commissioni» il signor Granger aprì la bocca per replicare, ma lei non gliene diede tempo. «Malfoy, devo parlarti».
Draco sbuffò e lasciò il pennello nel secchio, strizzò l’occhio all’uomo evidentemente offeso dalle parole della figlia, dicendogli a fior di labbra di aspettarlo, avrebbero continuato insieme, quindi seguì la maga diversi metri più in là.
«Non ti ho dato ordine di lasciare la casa» esordì l’Auror.
«Tuo padre aveva bisogno di una mano per comprare-».
«Non mi interessa. Sei sotto la mia protezione e la mia responsabilità!».
«Cosa può succedermi? Che un babbano mi metta lo sgambetto. Andiamo Granger, ho bisogno di cambiare aria ogni tanto e se uscissi anche tu non ti farebbe male».
«Credi che sia una vacanza? Credi che tu sia qui per visitare un mondo nuovo?».
«Comincio a ricredermi, sai? Non siete così male, avete inventato le macchine, la televisione, gli aerei… Una specie di magia, a modo suo, certo, ma comunque una sorta di magia. Fantasiosi».
Hermione scosse la testa.
«Esci di nuovo e giuro che ti rinchiudo nella tua stanza» così dicendo gli diede le spalle e si allontanò.
«È diventata la mia stanza adesso?» Rise lui.
 
Dopo quella vicenda Hermione Granger effettuò un ulteriore incantesimo gnaulante che l’avrebbe avvertita se Draco Malfoy avesse lasciato nuovamente l’abitazione o anche solo la propria camera da letto. Oltre all’eventuale attacco nemico.
Spesso si ritrovava a fissare il soffitto durante la notte, a ripensare alla propria vita e a ciò che stava facendo, senza capacitarsene. Poi le parole di Draco le riaffioravano alla mente – non siete così male – sollevandole l’animo, portandola a credere che se un essere spregevole come Malfoy potesse ricredersi, allora c’era speranza per tutti.
E se inconsciamente avesse accettato quell’incarico proprio per redimerlo? Una sorta di vendetta covata negli anni. Lo ricordava con i jeans sporchi di vernice verdina – per convincerlo a indossare quei jeans c’erano volute una serie di minacce di malocchio non indifferenti – con le mani colorate della stessa tinta e i capelli biondi scompigliati simile a un mago qualunque, senza la spocchia tipica dei suoi avi. O meglio: troppo simile a un babbano qualsiasi.
Hermione socchiuse gli occhi pensando ai suoi figli, come ogni notte prima di addormentarsi, quando un fischio assordante le risuonò nella testa.
In un attimo fu in piedi, discese velocemente le scale, la bacchetta ben salda nel pugno destro, fece per aprire la porta dell’ingresso ma si arrestò di colpo. Dalla cucina proveniva una tenue luce e rumori sommessi. Con la punta della bacchetta puntata in avanti camminò piano, i piedi scalzi si alternavano lenti come in un passo di danza. Vide un’ombra china dinnanzi al camino, la tenue luce del fuoco giocherellava sui muri creando forme misteriose. Vide la figura intrufolare una mano nella tasca dei pantaloni e certa che ne avesse estratto una bacchetta – molto probabilmente aveva intenzione di usare il camino come ingresso per i Mangiamorte – balzò in avanti per premerle contro la punta della bacchetta. Tuttavia la sagoma fu più scaltra di lei e in un attimo le afferrò entrambi i polsi con tale forza che l’Auror fu costretta a lasciare la presa sulla bacchetta che cadde sul pavimento e rotolò via. Hermione sentì le spalle sbattere contro la parete, d’istinto strizzò gli occhi, mentre il piccolo ritratto dei suoi genitori in viaggio di nozze si staccò, mandano in frantumi il vetro della cornice. La ragazza risollevò le palpebre, pronta a urlare, invece si ritrovò dinnanzi il viso di Draco, a pochissimi centimetri dal suo, gli occhi dello stesso colore del ghiaccio fissi sui suoi – o dentro i suoi, come se la infilzassero – le labbra sottili arricciate ai lati in un sorriso sghembo.
Hermione cercò di divincolarsi, ma la presa ai polsi non si allentò.
«Lasciami» disse e quando lui non lo fece – possibile che si fosse avvicinato ancora di più? – pensò che fosse in preda a un maleficio. «Malfoy, lasciami!».
Finalmente il giovane sciolse la stretta e indietreggiò di qualche passo, il sorriso si era ampliato.
«Anche senza bacchetta sono più forte di te, Granger» disse altezzoso, sembrava tornato il ragazzino insolente dei tempi della scuola. Hermione intanto si strofinava i polsi arrossati e doloranti, ma quando lui si chinò a raccogliere la bacchetta quasi le mancò il respiro.
«E sai perché?» Chiese studiando l’arma dell’Auror per poi puntargliela contro.
«Perché sono una Sanguesporco?» Ecco, pensò, ci risiamo. Quella parola, la sua discendenza, le sue origini, l’avrebbero perseguitata fino alla morte e poco importava se rischiava la vita per un Malfoy, lei sarebbe sempre rimasta la ragazzina So-tutto-io di Hogwarts. La Sanguesporco indegna di far parte del mondo magico.
Draco Malfoy mosse la punta della bacchetta in direzione del portafotografie rotto, il vetro si ricompattò e quindi tornò al suo posto, appeso al muro.
«No, Granger, è perché sei troppo tesa». Questa volta puntò l’arma della ragazza in direzione del camino, qui una nuova fiamma rianimò il braciere quasi spento, poi porse l’arma magica alla rispettiva padrona che la prese con diffidenza. «Hai così tanta paura di fallire questa missione che vedi Mangiamorte ovunque».
Hermione rilasciò tutta l’aria che inconsapevolmente aveva trattenuto fino a quel momento. Draco pareva essere tornato… normale. O quanto meno non più minaccioso. Lo osservò sedersi pesantemente nella poltrona che di solito occupava suo padre. Alla luce vivida del fuoco notò sul suo volto qualche ruga in più intorno agli occhi, mentre le occhiaie erano ben evidenti. Si chiese se dormisse bene.
«Immagino tu abbia paura di fare una brutta figura». La voce di Draco interruppe quel flusso di pensieri incoerenti.
«Come?» La ragazza si sedette nella poltrona di fronte a lui, quello era il posto di sua madre.
«Dicevo: penso che il problema sia la sfiducia nelle tue capacità».
«Prima dici che sono una So-tutto-io e poi non avrei autostima?».
«Sei sicura su quello che studi, su ciò che puoi dimostrare con prove concrete. Ma se dovessi essere ucciso dai Mangiamorte come faresti a dimostrare di aver fatto le scelte giuste, ma di aver perso perché loro sono più potenti? Ciò che ne resterebbe sarebbe solo il risultato finale. La sconfitta».
Hermione abbozzò un sorrisetto nervoso:
«Tu non-».
«Morirai? Forse no, ma se dovesse accadere te ne daresti la colpa, giusto Granger?».
Lei non rispose, si sistemò meglio nella poltrona, a disagio. Hermione amava il confronto verbale, per anni aveva sofferto la mancanza di dialogo con Ron e a volte anche con Harry: due che preferivano evitare di discutere con lei. Con Draco però era diverso. Sembrava in grado di dare voce e forma ai suoi pensieri, soprattutto i più cupi, quelli che lei cercava in ogni modo di tenere giù, in fondo. E adesso parevano reclamare una risposta.
Perché sei qui?
Sai cosa stai facendo?
«Dopo aver passato una vita a prenderti in giro, a odiarti e a combattermi, potresti sentirti in colpa per la mia morte» Draco rise. «Non è divertente?».
«No Malfoy, non lo è».
Lui tornò seriò, in realtà la risata di pocanzi era parsa più forzata che mai.
«Perché hai accettato di difendermi, Granger?».
«È il mio lavoro» rispose lei.
«No, non è solo per quello. Perché?».
Si fissarono per un periodo di tempo indeterminato, nessuno dei due abbassò o deviò lo sguardo. Il fuoco sulla guancia di Hermione era particolarmente caldo, eppure sentiva una sorta di brivido percorrerle la schiena.
«Se avessi rifiutato questo incarico, se avessi rifiutato di difenderti, sarei stata una tua simile. Una spregevole e vile maga che fa delle differenze di classe. Io non sono così. Mi sono detta: io sono più forte e so andare oltre i pregiudizi e gli screzi e all’odio che mi hai sempre dimostrato, fino all’ultimo. Fino a quando nell’ufficio del Primo Ministro, quella notte, ho capito che avresti preferito Ron a me. Ho pensato che accettando di darti protezione ti avrei inferto una lezione di vita, insegnandoti la correttezza, l’onestà e l’integrità morale che mi contraddistingue dai Purosangue come te».
Hermione parve tornare in sé, senza accorgersene si era alzata in piedi e parola dopo parola si era protesa sopra di lui, puntandogli l’indice contro. Lui la osservò senza battere ciglio, poi disse:
«Io non l’avrei mai fatto al posto tuo».
«Lo so» rispose lei, all’improvviso si sentì stanca. «Riesci a dormire?».
«Come?» Draco parve disorientato dal repentino cambio di argomento.
«Dormi la notte?».
«Non tanto a dire il vero» ammise il giovane mago, passandosi una mano sul volto e fra i capelli. La vide allontanarsi e pensò che stesse andando via, invece tornò e gli allungò una tazza con un liquido verdastro fumante.
«È una pozione?».
«Una pozione babbana, sì» sorrise lei sorseggiando dalla sua tazza e notando di sottecchi Draco bere un poco alla volta, mentre prendeva confidenza con il sapore acre della valeriana.
D’un tratto l’Auror non riuscì a trattenere una ristata scomposta, nonostante cercasse di reprimerla con una mano schiacciata sulla bocca. Draco la guardò aggrottando la fronte.
«E adesso che ti prende, Granger?».
«Oh per Merlino, scusami» si sforzò di tornare seria, ma riprese a ridere.
«Sei più strana di quello che credevo».
«Adesso passa… » Hermione respirò profondamente, trattenne un nuovo attaccò d’ilarità e aggiunse:
«Pensavo a quanto fosse assurdo il fatto di noi due a chiacchierare davanti a un camino, in piena notte, con una tisana, nel mondo babbano. Se lo raccontassi in giro non mi crederebbe nessuno» la maga scosse il capo, ancora divertita da quella situazione surreale, poi Draco disse qualcosa che le fece scemare il sorriso dalle labbra.
«”Chi vuole nascondere la verità non ha che da esprimerla apertamente, non verrà creduto da nessuno”».
L’espressione dubbiosa sul volto di Hermione fu un vero toccasana per Malfoy, era evidente che non si sarebbe aspettata una citazione simile da lui.
«Talleyrand» bisbigliò lei. «È uno scrittore babbano, tra i preferiti di mio padre, ma come…?».
«Esponente del Camaleontismo, vescòvo, politico e diplomatico francese» dopo un primo mento di soddisfazione personale, Draco chiese:
«Cos’è un vescòvo, Granger?».
 

***

 
Fu così che Hermione scoprì l’intenso scambio di libri che suo padre e Draco Malfoy stavano avendo. In effetti era stato proprio il signor Granger a far nascere in lei l’amore per la letteratura, e ora sembrava stesse coinvolgendo anche il suo ospite. Erano soprattutto libri babbani, per questo motivo Malfoy stava imparando a conoscere ogni sfumatura del mondo che fino a quel momento aveva disprezzato. I loro incontri davanti al camino, in piena notte, erano diventati un’abitudine, sebbene nessuno dei due avrebbe mai avuto il coraggio di ammetterlo. Hermione sedeva sulla poltrona di sua madre, mentre Draco occupava quella del padre, chiacchierando di storia babbana, letterati e filosofi, mentre il fuoco scoppiettava sornione e le tazze fumanti ben presto venivano dimenticate.
Una di quelle sere però Hermione trovò suo padre accomodato al proprio posto e Draco in quello riservato a lei. Non stavano discutendo di libri, ma brindavano fra loro. Li vide mentre lasciavano cozzare i loro bicchieri di vetro e ingurgitare in un sol sorso ciò che contenevano. Whisky o Scotch a giudicare dal colore ambrato. Il signor Granger riempì di nuovo i bicchieri e di nuovo giù, in un unico sorso. Ben presto l’Auror comprese che erano più che brilli, evidentemente Draco non era abituato ai liquori babbani. O forse non vi era abituato e basta.
«Ehi Granger, unisciti a noi!» Disse il ragazzo con troppa enfasi e quando l’uomo gli versò ancora da bere Hermione fu lesta a togliergli il bicchiere di mano.
«Ok, va bene così» lo aiutò ad alzarsi dalla poltrona e lui si aggrappò letteralmente a lei, non riusciva neanche a reggersi sulle gambe. «Papà dovresti andare a letto anche tu» aggiunse, portandogli via la bottiglia. Era Whisky.
Salire al piano superiore sostenendo Malfoy non fu impresa semplice. Sebbene fosse magro, era più alto di lei di almeno venti centimetri, inoltre continuava ad abbarbicarsi sulle sue spalle come se fosse un albero.
«Accidenti Malfoy, smettila di aggrapparti!».
Avrebbe potuto usare la sua bacchetta, ma si era ripromessa di limitare al minimo la magia, un po’ per solidarietà nei confronti di Draco, al quale aveva sequestrato l’arma magica già dalla prima sera, un po’ perché temeva che i Mangiamorte potessero captarne il segnale.
L’atmosfera nella sua vecchia cameretta era calma, immobile, decisamente più fresca di quella riscaldata dal camino. Le bastò una solo occhiata per capire che Draco aveva ficcato il naso nelle sue cose, soprattutto aveva frugato fra i libri che non erano più disposti in ordine alfabetico così come li aveva sempre tenuti.
«Ti avevo detto di non toccare niente!».
Lui in tutta risposta emise un mugolio, con tutta probabilità era sul punto di addormentarsi. Il Whisky l’aveva ridotto proprio male. Se non fosse stata costretta a trasportarlo letteralmente di peso fin dentro la stanza, Hermione avrebbe riso per settimane intere. Con delicatezza lo adagiò sul letto e inevitabilmente ci finì con lui. Riuscì in ogni caso a evitare di sdraiarsi sul suo corpo puntellandosi sui gomiti. Rimase qualche secondo – forse minuto – a osservarlo da vicino. Dormiva, il respiro regolare, il viso rilassato e la carnagione ancora più eterea per effetto della luce pallida della luna che filtrava dalla attraverso le tende schiuse. D’improvviso fu presa dalla voglia di passargli una mano sulla guancia, anche solo la punta di un dito, per toccarlo e tastare la sua pelle. Si ritrovò a chiedersi se avesse sentito la barbetta ruvida oppure una cute liscia.
Lo fece.
Senza preavviso, senza avere il tempo per pensarci su, senza prevederlo. Lo sfiorò una volta con i polpastrelli e subito tirò via la mano, provando una sensazione di imbarazzo e insieme estraneazione. Cosa stava facendo, per l’amor di Merlino? Cosa le stava succedendo? Il cuore batteva impazzito, ma quella voglia di sentirlo ancora contro la propria pelle non era passata, non si era dissolta. Allora lo fece di nuovo, questa volta gli posò l’intera mano sulla guancia sinistra. Era leggermente ruvida. Le labbra si distesero in un sorriso dolce e appena accennato che, tuttavia, scomparve per lasciare posto a una specie di spavento, misto a disagio.
Draco Malfoy le afferrò il polso della mano che teneva contro la sua guancia e sollevò le palpebre, piano. Dietro di esse i soliti occhi color ghiaccio, grigi, fermi, si fissarono nei suoi – trapassandola. Hermione fece per tirare via la mano, ma la presa si fece più salda.
«Mi-mi dispiace, credevo dormissi e volevo accettarmi che… ».
«Resta con me».
«Che non fossi… che?».
«Solo per questa notte» ripeté lui. «Resta con me».
La condusse a sdraiarsi al suo fianco, senza lasciarle andare la stretta sul polso, chiudendola nel proprio abbraccio.
Hermione rimase con gli occhi spalancati sulla luna piena, ripetendosi che doveva trattarsi di un sogno/incubo, non poteva accadere davvero.
«Un Malfoy e una Granger? Impossibile!». Le aveva detto lo stesso Draco prima di lasciare Hogwarts.
Appunto, pensò, impossibile!
 

***

 
Il ticchettio si faceva sempre più insistente. Era simile a quello di unghie che tamburellano su un piano rigido. No, ricordava più il rumore di sassi lanciati contro una finestra. O, per meglio dire, quello di un becco.
Hermione aprì piano gli occhi, il sole sembrava sorto da un pezzo. Provò a mettersi seduta al centro del letto, ma qualcosa – come un peso – pareva impedirglielo. Con la fronte accigliata vide un braccio circondarle il suo e una mano avvolta intorno al polso. Non ebbe il coraggio di voltarsi per avere conferma dei ricordi inerenti alla sera precedente, perché sapeva che avrebbe visto Draco Malfoy sdraiato al suo fianco. Pensò di rimanere in quella posizione, perfettamente immobile, fin quando lui non si fosse svegliato e forse sarebbe uscito dalla stanza prima di lei. Magari incontrarsi con i suoi genitori in casa sarebbe stato meno imbarazzante, ma il ticchettio che l’aveva svegliata non era ancora cessato e ciò la portò a guardarsi attorno. Vide un gufo bianco volteggiare proprio davanti alla finestra e capì l’origine di quel picchiettare. Convinta che fossero notizie da parte di Harry Potter si divincolò dall’abbraccio di Draco e andò alla finestra. Aprì le ante e il gufo volò all’interno della stanza, lasciando cadere una lettera fra le mani di Hermione. Malfoy si svegliò, confuso. Vide Hermione seduta a gambe incrociate sul letto, se avesse allungato una mano le avrebbe toccato il ginocchio. Stava leggendo una lettera e man mano che andava avanti non sembrava contenta.
«Granger…?» Anche lui si issò a sedere.
L’Auror gli rivolse un’occhiata spaventata e insieme delusa.
«Hai scritto a Scorpius?».
«Dovevo sapere come stava, non ce la facevo più senza avere sue notizie».
«Hai-scritto-a-Scorpius?» Ripetè lei, come se non riuscisse a capacitarsene.
«Sì Granger, ho scritto a mio figlio! Sta bene?».
«Oh, lui sta benissimo! Noi… non credo… » Hermione fece per scendere dal letto, ma Draco le tirò via la lettera e la lesse velocemente. Scorpius stava bene, le lezioni a Howgarts procedevano come al solito, tra un compito e uno scherzo ai professori. Anche Rose stava bene e salutava sua mamma con affetto.
«Vedi, ho anche chiesto di tua figlia. Non ti interessa sapere come sta?»
«Certo che mi interessa come stanno Rose e Hugo, ma c’è Ron con loro, il mio compito adesso è un altro». Così dicendo si avvicinò alla porta. «Prendi le tue cose, dobbiamo andare via, qui non siamo più al sicuro».
«Non lo capisci proprio, eh Granger?»
Hermione si fermò, una mano sulla maniglia e ogni nervo del corpo teso.
«È questa la differenza fra Rose e Scorpius. Lei può contare su quel demente di un padre, Scorpius non ha nessuno oltre me».
«Non parlare così di Ron!» L’Auror strinse con forza il pomolo della porta.
«Che c’è? Ti senti in colpa per aver passato la notte con me? A tal proposito, mi chiedo cosa penserebbero di te i tuoi cari amichetti se lo sapessero?».
Meschino. Subdolo. Viscido.
Ma come aveva potuto credere davvero che fosse cambiato? Possibile che l’avesse abbindolata come una mocciosa?
«Preparati. Partiamo subito».
 
Hermione uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle. Respirò profondamente, per un attimo le era sembrato che tutto l’ossigeno fosse stato risucchiato dai polmoni. S’incamminò a testa china lungo il corridoio, doveva recuperare la bacchetta di Draco che aveva nascosto in un cassetto, e ovviamente la sua mini borsa incantata. Prelevò l’arma del mago, la studiò rigirandosela fra le mani. Era esile nella forma, leggera, eppure solida. Il termine esatto per definirla era caparbia, inevitabilmente ricalcava le caratteristiche del suo padrone. Una volta Ollivander aveva detto che è la bacchetta a scegliere il mago e non viceversa, come erroneamente molti credevano. Sentì il tonfo di una porta che si chiudeva, quindi la voce di sua madre che chiedeva se avesse voglia di tè o caffè. Malfoy rispose che avrebbe preferito del caffè. Hermione sospirò, infilò la bacchetta di Draco nella tasca posteriore dei jeans e fece per incantare la borsa senza fondo che poi avrebbe riempito con tutto l’occorrente che poteva servire per il viaggio. Non aveva ancora idea di cosa avrebbe fatto. Tornare al Ministero o a Hogwarts significava arrendersi e dimostrare di aver fallito. Le sarebbe venuto qualcosa in mente, come al solito, quando udì un boato tremendo e l’incantesimo gnaulante cominciò a strillare simile a una sirena impazzita. Si tappò le orecchie e corse sul pianerottolo, l’intero piano inferiore era oscurato da fumo e macerie. Riuscì appena a intravedere due sagome sull’orlo della cucina, molto probabilmente Draco e sua madre. Provò a chiamarlo, ma una voce sovrastò la sua.
«Bene bene bene. Draco Malfoy! È stata una vera notizia saperti qui. Se il caro Lucius lo sapesse… gli si spezzerebbe il cuore, poverino». Era impossibile non riconoscere il tono raschiante di Fenrir Greyback. A Hermione si rizzarono i capelli sulla nuca. «Inviare un gufo a Hogwarts è stato stupido sai, ma tremendamente commovente».
Nella foschia nebulosa si fecero avanti tre sagome, una delle quali teneva una quarta avanti a sé, la bacchetta puntata contro la nuca e le mani legate dietro la schiena dall’incantesimo Incarceramus. Era il signor Granger in lacrime, sporco di fuliggine e con un rivolo di sangue lungo la guancia.
Una rabbia incontrollata parve scuotere l’Auror che li maledisse e scese un paio di scalini, ma Travers, l’altro Mangiamorte insieme a Greyback e Rowle, le mostrò la bacchette.
«No, no, no. Non ci provi neppure signora Auror, o il suo paparino qui farà… BOOM!» E mimò l’esplosione con le mani. Hermione si arrestò di colpo.
«Ehi, Mangiamorte» Draco richiamò la loro attenzione, con le mani accompagnò la signora Granger all’interno della cucina e le sussurrò di restarvi nonostante tutto ciò che fosse accaduto. La donna fece cenno di sì con il capo, era spaventata a morte.
«Siete qui per me, giusto? Allora perché non vi confrontate con me e basta?».
Greyback fece schioccare la lingua contro il palato.
«Uno scontro impari, in quanto voi siete in tre e io solo uno… » Hermione tentò di replicare, c’era anche lei in ballo, perché non la considerava, ma Draco la fermò mostrandole il palmo e proseguì: «Lontano da qui. Scegliete voi dove e io vi seguirò».
I tre Mangiamorte non dissero nulla, ognuno immerso nei propri calcoli. Doveva esserci una fregatura da qualche parte, per forza. Draco Malfoy non era di certo il tipo di mago da immolarsi per un bene comune più grande, così come suo padre Lucius…
 
Hermione era ancora immobile sulle scale, indecisa sul da farsi. Se non ci fossero stati i sui genitori molto probabilmente avrebbe già lanciato un incantesimo per distrarli e si sarebbe smaterializzata lontano con Draco. Ma i suoi in quella faccenda complicavano tutto. Stava ancora riflettendo sulla prossima – e prima – mossa, quando sentì distintamente la voce di Draco nella sua testa. Lo guardò, ma lui teneva gli occhi ben saldi sui nemici.
«La bacchetta Granger, mi serve la mia bacchetta».
Hermione allontanò le mille domande che si stavano formando dentro di sé, estrasse la bacchetta di Draco dalla tasca dei jeans e gliela lanciò, chiamandolo per nome. Poi fu un attimo: i Mangiamorte si lanciarono all’attacco con incantesimi di schianto, mentre Fenrir urlava ai suoi collaboratori di prenderlo vivo, il figlio di Lucius lo voleva vivo! L’Auror discese velocemente le scale, protetta dallo scudo invocato da Malfoy, quest’ultimo allungò la mano libera verso di lei, urlandole di sbrigarsi. Hermione la afferrò al volo e appena prima di smaterializzarsi riuscì a liberare suo padre dalle catene magiche, quindi sparirono nel nulla.
 
Si ritrovarono nel cuore di un bosco. La fitta vegetazione non consentiva ai raggi del sole di filtrare, perciò l’aria era molto umida e il terriccio acquoso. Qualche uccello volò da una parte all’altra dei rami, lasciando cadere al suolo alcune foglie secche.
Hermione era carponi, ancora scossa dalla situazione, chiedendosi se fuggire e abbandonare i propri genitori fosse stata la scelta giusta. Si sentì afferrare da sotto l’ascella e tirare su con violenza:
«Forza Granger, dobbiamo circuire l’aria, tra non molto saranno qui» così dicendo vide Draco invocare gli incantesimi di protezione. Lei gli diede le spalle e lo imitò.
«I miei genitori… ».
«Ho lasciato un’elevata pista magica, ci saranno corsi dietro come lupi affamati».
Gli incantesimi non erano ancora stati compiuti che i tre Mangiamorte si materializzarono dinnanzi a loro, proprio come aveva predetto Draco Malfoy li avevano seguiti senza metterci molto a raggiungerli. Ne scaturì una violenta battaglia, ma sia l’Auror sia il suo protetto non poterono fare altro che provare a difendersi - con scarsi risultati. Greyback, Rowle e Travers erano troppo forti per loro due soltanto ed era chiaro che l’obiettivo primario fosse quello di mettere fuori gioco la ragazza, per poi fare di Draco ciò che desideravano.
«EXPULSO!».
Scariche elettriche frustarono il terreno ai piedi di Hermione, la quale riuscì a evitarle indietreggiando o balzando di lato. L’odore di terra bruciata le solleticò il naso, ma Travers parve non badarci e continuò a sferzare l’aria e il terriccio, mentre Draco provava a tenere a bada Rowle e Greyback che lo attaccavano con ogni tipo di incantesimo offensivo. Proprio come era accaduto nella casa dei genitori, la Granger sentì di nuovo e nitidamente la voce di Draco nella sua testa che le diceva di dover andar via e subito. Malfoy aveva ragione: dovevano trovare il modo di fuggire o li avrebbero massacrati. Tra l’altro Hermione aveva la sensazione che i tre si stessero divertendo un po’ con loro, senza fare sul serio. Non ancora. Forse quei pensieri, forse la ricerca di un modo per scappare, la distrassero e sentì un dolore lancinante al polso destro che le fece lasciare la presa sulla bacchetta. Si chinò per raccoglierla con la sinistra, ma un’ombra si allungò su di lei. Alzò lo sguardo e vide il volto soddisfatto di Fenrir, sembrava divertito. Teneva la bacchetta puntata contro di lei, sicura che l’avrebbe uccisa sul colpo, invece l’allontanò da sé e dalla propria arma con un calcio. Hermione rotolò per un paio di metri, tossendo cercò di rimettersi in piedi ma di nuovo fu colpita allo stomaco con una ginocchiata, questa volta infertale da Travers.
«Arrenditi Draco, se non vuoi che l’Auror muoia a suon di calci. In modo babbano, per rendere omaggio alle sue origini». Greyback digrignò i denti ingialliti in quello che secondo lui sarebbe dovuto essere un sorriso. Travers colpì nuovamente Hermione quando questa si mosse in un tentativo goffo di alzarsi.
Malfoy mostrò i palmi in segno di resa, sollevandoli fino alla testa e chinando lo sguardo. Rowle fece per togliergli la bacchetta eseguendo il comando di Fenrir, ma venne schiantato dallo stesso Draco.
«ARDEMONIO!» Invocò Malfoy e alle sue spalle si innalzò un serpente di fuoco, simbolo evidente della Casa di Salazar Serpeverde. L’animale infuocato strisciò lungo il terreno fino a separare Hermione dai due Mangiamorte che maledicendo Draco erano indietreggiati temendo che l’incantesimo li avesse attaccati. Invece, il serpente si trasformò in un muro di fiamme alto tre metri. Hermione si issò su gambe tremanti, muovendosi a tentoni per cercare la sua bacchetta, ma nel momento in cui la vide Draco era già al suo canto.
«La mia bacchetta… » l’Auror si allungò per recuperare l’arma.
«Dobbiamo andarcene, Granger».
Greyback e Travers erano quasi riusciti a ricavare un passaggio attraverso il muro di fuoco con incantesimi acquatici e quando Draco scorse i loro volti stravolti dalla rabbia attraverso le fiamme, capì che anche un secondo in più sarebbe potuto costare la vita. Afferrò Hermione per un braccio e si smaterializzarono insieme.
 

***

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Capitolo 3
*** 3. E... ***


3.
E…

 
 
Ciò che inizialmente Draco sentì fu lo sciabordio delle onde del lago. Era quasi sprofondato nella sabbia scura e densa, la bacchetta ancora salda nella mano destra. Alle sue spalle si ergeva imponente la casa dove si recava da ragazzo con la sua famiglia per le vacanze estive. E, soprattutto, dove aveva trascorso gli ultimi mesi di agonia di Astoria. Da quando sua moglie era morta non ci aveva più messo piede, eppure era stato il primo luogo che gli era venuto in mente per rifugiarsi da Greyback e i suoi scagnozzi. Poi le urla di Hermione lo destarono da quei ricordi. La cercò con lo sguardo, la chiamò non vedendola, quindi si issò sulle gambe non proprio ferme, scivolando un paio di volte, temendo che i Mangiamorte li avessero seguiti fin là. Lasciandosi guidare dalla voce dell’Auror la trovò raggomitolata su sé stessa ai piedi dei pini che si ergevano sul lato sinistro dell’abitazione. Si inginocchiò al suo fianco, senza capire bene cosa le prendesse, perché urlasse in quel modo, per Merlino! Ma sollevato di non scorgere i nemici nei pressi. Passandole una mano sotto al collo la voltò verso di lui. Hermione aveva il viso bagnato dalla lacrime, si mordeva il labbro inferiore fino a farlo sanguinare per evitare di gridare, quando poi il dolore era troppo forte lo lasciava andare e riprendeva a mordersi.
«Dannazione Granger, che cos’hai?» Draco cercava di tenere il viso puntato verso il suo quando lei provava ad allontanarlo. Soffriva tantissimo e temette che fosse vittima di una maledizione oscura, poi biascicò due parole.
«Il piede? Come il piede?» Ripeté lui, facendo scendere lo sguardo fin sugli arti inferiori e capì: la caviglia destra era in una posizione innaturale, completamente piegata verso l’esterno a formare una specie di macabro angolo retto. Si era spaccata durante la smaterializzazione, forse per afferrare la sua bacchetta la caviglia era come rimasta indietro, separata dal resto del corpo e quello era il risultato.
Un uccello volò sopra le loro teste, Draco trasalì, dalla pineta si sentivano strani rumori, dovevano spostarsi all’interno della casa prima che accadesse l’irreparabile. Osservò la ragazza, il taglio sul labbro inferiore era diventato più profondo e adesso il rivolo di sangue le aveva macchiato anche il mento.
«Forza Granger, dobbiamo metterci al riparo» sospirò e si mise la bacchetta fra i denti, poi si portò un braccio di Hermione sulla propria spalla mentre le passava l’altra mano nell’incavo delle ginocchia, ma quando si mise in piedi lei urlò di dolore e affondò le unghie nella sua pelle. Le lacrime gli bagnarono la base del collo, lo maledisse e lo scongiurò di metterla giù, faceva troppo male. Dopo quei pochi metri, che parvero non finire mai per entrambi, entrarono in casa. L’aria all’interno era piatta, non si udiva nulla, esclusi i singhiozzi convulsi dell’Auror. Draco l’adagiò sul divano – lo stesso divano dove Astoria aveva chiesto di essere seduta quando l’aveva portata lì. Tutto in quella casa gli parlava di lei, ma non era quello il momento per lasciarsi andare a sentimentalismi o ricordi tristi. Tre Mangiamorte erano sulle loro tracce ed Hermione soffriva le pene dell’inferno. Sforzandosi di tenere lontano quei pensieri le sistemò un cuscino sotto alla testa, ormai il corpo della ragazza era scosso da spasmi, talvolta violenti, che la facevano tremare tutta. Era bagnata di sudore, quasi sicuramente per colpa della temperatura che cominciava a salire. Draco Malfoy non sapeva bene cosa fare, era lei quella che aveva avuto idee brillanti finora, ma qualcosa doveva inventarsi. Si inginocchiò e le voltò il viso verso il suo, parlandole a pochi centimetri:
«Granger, cosa posso fare? Dimmi cosa ti serve».
Hermione non rispose, aprì gli occhi, erano velati, il ragazzo si chiese se fosse cosciente.
«Granger…» la chiamò piano, «aiutami» le scostò i capelli incollati alle guance e poggiò la fronte contro la sua.
«La… mia… bacchetta… ».
Già, la sua bacchetta. Era rimasta nel bosco, forse il muro di fuoco l’aveva addirittura bruciata. Lui scosse il capo e lei socchiuse le palpebre per un attimo.
«Il dolore è… troppo… grande» continuava a sudare, sembrava far fatica perfino per respirare e parlare.
Il dolore, ma certo! Innanzitutto era quello che doveva sedare e probabilmente in casa aveva qualcosa che faceva al caso loro. Si alzò, con nuova enfasi, ma Hermione lo trattenne per una mano, anche il colorito pareva scemare dal suo viso. Tornò a inginocchiarsi per passarle nuovamente la mano sul volto grigiastro:
«Fidati Granger. Fidati». Le lasciò un energico e durevole bacio sulle labbra, quindi si allontanò.
Hermione rimase sospesa in una sorta di limbo per un tempo imprecisato. Aveva un gran caldo, era come se il suo corpo stesse bruciando dall’interno, eppure continuava a tremare scossa da brividi incontrollati. Le era rimasto impresso il senso di sollievo che aveva provato quando Draco aveva adagiato il palmo fresco sulla sua pelle, poi era accaduto qualcosa di inspiegabile: l’aveva baciata. Ma forse quello era stato solo l’effetto del disorientamento dovuto al dolore.
Draco Malfoy tornò con una boccetta di vetro, attraverso una vista velata lo osservò mentre si lasciava cadere un paio di compresse nella mano e le spiegava che erano di sua madre, Narcissa, la quale aveva sempre sofferto di insonnia. Diceva che era stata la stessa professoressa Sprite a fornirgliele dopo la guerra contro Voldemort. Hermione le ingoiò senza capire realmente cosa stesse farneticando Draco, lo vedeva solo muovere le labbra. Socchiuse gli occhi e li riaprì, sbatté le palpebre un paio di volte, provò di nuovo quella sensazione di frescura e benessere sulla pelle del viso, poi il buio.
 
Fu risvegliata dallo scricchiolare della legna nel camino acceso. Si sentiva stordita, non riconosceva quella casa né tantomeno la coperta che teneva addosso e quasi sobbalzò quando notò il simbolo della casata dei Malfoy ricamata al centro del plaid. Si puntellò sulle mani, provò una piccola fitta che partiva dalla caviglia fino a risalirle lungo la gamba e scostò la coperta. Il jeans era male tagliato fin sotto il ginocchio destro, la caviglia e il piede erano fasciati. Lentamente i ricordi tornarono ad affacciarsi nella memoria: la fuga dalla sua casa babbana; la lotta con i Mangiamorte nella foresta; il serpente di fuoco; la smaterializzazione; il dolore lancinante e Draco Malfoy che le parlava piano, adagio, vicinissimo. Quest’ultimo era seduto sul pavimento, la schiena nuda contro il divano, le ginocchia tirate al petto e la testa reclinata in avanti sostenuta dalle braccia. Dormiva. Di fronte a lui il camino scoppiettava mentre una camicia bianca era sospesa nell’aria, sicuramente messa lì ad asciugare.
Hermione provò a muoversi, ma una nuova e più profonda fitta le fece cambiare idea. 
«Malfoy» lo chiamò, eppure lui non si mosse. «Ehi, Malfoy!» Niente. «Svegliati, accidenti!» Lo scosse per una spalla e lui scattò in piedi, con la bacchetta già pronta a schiantare chiunque avesse fatto irruzione.
«Granger!» Sembrava meravigliato di vederla lì, con i capelli mossi e scompigliati e il viso sporco di terra gli ricordò per un attimo la ragazzina di Hogwarts.
«Dove siamo?» Gli domandò e lui, in tutta risposta, si sedette pesantemente sul divano.
«È la casa delle vacanze» evitò di dirle che era anche la casa dove era morta sua moglie.
«L’hai incantata con la magia di protezione?».
«Certo Granger, per chi mi hai preso, per un pivello?».
«La mia bacchetta è andata persa?».
«Si» ammise lui.
Per un po’ nessuno dei due parlò, si limitarono a fissare il fuoco vivo e ardente, il suo calore rassicurante.
«Dobbiamo chiedere aiuto a Potter» disse Draco all’improvviso.
«Aiuto?».
«I Mangiamorte potrebbero trovarci da un momento all’altro. Conoscono questo posto, ci sono stati spesso in passato… » Malfoy lasciò cadere lì la frase, facendo intendere appunto il periodo del Signore Oscuro. «E questa volta non avremmo scampo».
«Dobbiamo solo aspettare, magari non ci troveranno. Non hai lasciato tracce magiche come quando siamo scappati da casa mia».
«Non è questo Granger!» Draco la guardò. «Hai una caviglia spaccata, sei senza bacchetta e così debole da non reggerti in piedi. Come pensi possa difenderci io solo contro quei tre?».
Difenderci?
«Io non… » Hermione scosse il capo. Capiva perfettamente il ragionamento di Draco, era lui a non comprendere il proprio disagio. Chiedere aiuto a Harry avrebbe significato ammettere la sconfitta, soprattutto avrebbe dato a Ron l’occasione per farlo sentire dalla parte della ragione quando le aveva detto di lasciar perdere il ruolo di Auror. Suo marito avrebbe potuto avanzare pretese e alla fine, umiliata, avrebbe accettato di rimanere a casa a sfornare torte di carote e crescere figli.
«Non è una sconfitta, Granger» Draco parve leggerle nella mente – e forse l’aveva fatto, ciò le fece venir voglia di piangere, si sentiva mortificata su più fronti. «Non vuoi tornare a casa da Rose e Hugo?».
Certo che voleva riabbracciare i suoi bambini, che domande! Però tornare a casa significava anche tornare alla quotidianità, significava accantonare quell’avventura e tutto ciò che ne era scaturito: i pensieri, i timori, le domande, i sentimenti…
Draco Malfoy si alzò, alla luce del camino la pelle glabra del torso pareva di cera. Lo vide ondeggiare la bacchetta a mezz’aria e bisbigliare:
«Expecto Patronum». Un corvo fatto della stessa sostanza delle nuvole comparve nella stanza, volteggiò sopra le loro teste e quindi volò via, oltrepassando i vetri chiusi delle finestre. Hermione lo osservò fin quando poté, sapeva che sarebbe volato fin dentro l’ufficio del Primo Ministro a portare il messaggio di aiuto di Draco.
«Non cambierà niente» lo sentì dire senza guardarla. «Se lo vuoi».
 
Trascorsero alcuni giorni di totale calma. Hermione dormiva la maggior parte del tempo a causa delle pillole che prendeva dalla riserva di Narcissa per placare il dolore alla caviglia, altrimenti insopportabile. Dolore che si acuiva soprattutto quando Draco la medicava e cambiava le bende. Una volta gli chiese dove avesse imparato quegli incantesimi di cura e lui, con il suo solito fare altezzoso, le aveva risposto che se credeva di essere l’unica ad aver studiato da autodidatta si sbagliava di grosso. Inoltre, molti degli incantesimi che conosceva glieli aveva insegnati sua zia Bellatrix, la quale sosteneva che un buon mago non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno. A volte Hermione pareva dimenticarsi del suo passato, ritrovandosi quindi a osservarlo e a domandarsi cosa avesse provato un ragazzino costretto a uccidere un proprio professore – Silente – per superare quella specie di rito di iniziazione e diventare così un Mangiamorte a tutti gli effetti.
Oramai sicuri che il Patronus evocato da Draco fosse sparito nel nulla, senza giungere a destinazione, un pomeriggio si scatenò l’inferno. Greyback, Travers e Rowle li avevano trovati, non si sa bene come, e si erano disposti su tre latri della casa, minacciandoli di bruciarli vivi se il figlio di Lucius non si fosse consegnato di sua spontanea volontà.
«Dannazione!» Draco aveva digrignato i denti per la rabbia, ciò che più temeva si era avverato e da solo non avrebbe mai potuto tener testa a quei tre. «Dov’è finito quell’idiota di Potter?». Gli incantesimi di protezione avrebbero dato loro un po’ di vantaggio, ma se non fossero giunti i soccorsi erano spacciati. Dovevano temporeggiare, non c’era altro da fare.
Udirono i tre uomini all’esterno invocare in contemporanea una magia di elemento fuoco. Alte fiamme circondarono la casa, qualche finestra esplose.
Hermione si issò sulla gamba sinistra, una fitta acuta le attraversò quella destra simile a una scossa elettrica. Perse l’equilibrio e sarebbe caduta se Draco non l’avesse sorretta, con un braccio intorno al collo cominciarono a salire le scale verso i piani superiori.
«Dobbiamo raggiungere il tetto, una volta lì ci arrangeremo come possiamo. Sperando che quegli sfigati dei tuoi amici vengano a salvarti, Granger».   
Il fumo era penetrato attraverso i vetri infranti, il fuoco stava già divampando nelle camere da letto del primo piano. Draco la lasciò e le disse di proseguire da sola, mentre lui cercava di far indietreggiare le fiamme che parevano cercarli per attorniarli. Hermione si aggrappò al corrimano e saltellando su una sola gamba si sforzò di salire quanto più in fretta poteva, ma non era semplice. Cominciava a credere seriamente che il Patronus di Draco si fosse perso per strada, o forse era stato intercettato dai Mangiamorte?
Sarebbero morti. O peggio.
Finalmente raggiunsero l’ultimo piano e letteralmente si gettarono sul terrazzo, respirando a pieni polmoni l’aria pulita. Le voci gracchianti dei nemici provenivano da lontano, sovrastate dal fuoco che avvampava e distruggeva l’intera abitazione. Draco Malfoy aveva già tentato più volte di Smaterializzarsi, senza risultato. Con tutta probabilità quei tre avevano lanciato un incantesimo per evitarlo. Sorreggendo Hermione si lasciarono scivolare con la schiena contro l’unica parete non ancora minacciata dalle fiamme, ossia quella a est. Presero fiato, seduti spalla contro spalla, mentre il fuoco avanzava minaccioso. Sapevano che prima o poi li avrebbe raggiunti.
«Che brutta fine!» Disse Draco, il viso sudato e sporco di fumo.
«Non possiamo arrenderci, Malfoy! Deve esserci un modo… » Hermione si guardò attorno, studiando l’ambiente e ciò che la circondava. Facendo leva sulle braccia si affacciò oltre il parapetto. Era alto, sicuramente, ma se si fossero lanciati avrebbero potuto attutire il colpo…
«Arrenditi Granger, devi imparare a lasciare andare quando non ci sono più speranze».
«Potremmo lanciarci da qui».
«Non sei contenta di morire con un Malfoy? Sempre meglio di quella nullità di un Weasley».
«Malfoy, non cambierai mai!».
La voce di Harry Potter ebbe un effetto terapeutico su di loro, come una medicina potente che riporta alla vita.
«Harry!» Per la felicità Hermione si mosse verso l’amico, dimenticandosi della caviglia malandata, sarebbe caduta se di nuovo Draco non l’avesse afferrata. Proprio in quel momento Ron fece capolino sul terrazzo, il viso rosso e l’apprensione nella voce.
«Hermione!» Corse verso la moglie e l’abbracciò sotto lo sguardo beffardo di Draco. La ragazza gli lanciò un’occhiata fugace e con fermezza si allontanò da Ron. Nel frattempo anche Harry Potter li aveva raggiunti:
«Mi dispiace se vi abbiamo fatto aspettare» disse, «in realtà eravamo appostati intorno alla casa da giorni, in attesa che Greyback e i suoi tirapiedi cadessero nella trappola». Le fiamme intanto cominciavano a ritirarsi. «Abbiamo fatto in modo che sapessero dove vi trovaste e come previsto si sono precipitati qui, ma hanno trovato una bella sorpresa ad attenderli. Andiamo».
Si smaterializzarono e raggiunsero l’ingresso della casa, ormai ridotta a uno scheletro bruciacchiato e ancora fumante. Greyback, Travers e Rowle erano in ginocchio con polsi e caviglie legate, intorno a loro una schiera di Auror con le bacchette pronte in caso uno dei tre avesse anche solo aperto bocca.
«Portateli ad Azkaban» ordinò il Primo Ministro e un attimo dopo gli Auror e i prigionieri sparirono nel nulla.
Per qualche secondo nessuno parlò, si udiva solo lo sciabordio delle onde del lago e un fruscio sommesso di foglie. Poi Draco Malfoy tese una mano ad Harry Potter, il quale gliela strinse, entrambi seri.
«Cosa farai adesso, Draco?».
«Riabbraccerò Scorpius, poi si vedrà».
«Ricordati che fra gli Auror c’è sempre posto» continuò Harry, ma il giovane Malfoy non rispose e rivolgendosi a Ron le labbra si distesero in un sorriso canzonatorio:
«Mister Lenticchia ti conviene portare tua moglie al San Mungo, ha una caviglia spaccata».
«So perfettamente cosa fare, non ho bisogno che me lo dici* tu!».
[*errore verbale voluto]
Draco rise, facendo irritare ancor di più Ron Weasley. Hermione, sempre aggrappata a suo marito, tentò di fare un passo in avanti quando Draco spostò lo sguardo su di lei. Di nuovo ebbe la sensazione che i suoi occhi, dello stesso colore ferrigno del lago, la oltrepassassero da parte a parte.
«Stammi bene, Granger».
«Draco…» ma lui era già andato via, sparito nel nulla.
 

***

Qualche settimana dopo

 
Il Ballo del Ceppo era una tradizione sempre cara al mondo magico. Quell’anno si tenne in una Hogwarts imbiancata e illuminata da candele sospese e luminarie dai colori caldi, avvolgenti.
Quando Hermione Granger entrò nella sala da ballo le parve di essere stata catapultata indietro nel tempo, decine di anni prima, quando sfilò al braccio di Viktor Krum, sotto lo sguardo invidioso delle coetanee. Essere lì, da sola, senza accompagnatore, la fece sentire dannatamente inadatta e fuori luogo, cominciò a pensare di aver sbagliato ad accettare l’invito della McGranitt. Un cameriere le porse un bicchiere pieno di bollicine, lei lo accettò volentieri, sperando che fosse alcolico. Si guardò attorno, qualche conoscente la salutò da lontano, lei ricambiò educatamente, poi intravide Harry e si sentì sollevata. Fece un paio di passi in avanti, ma quando notò al fianco dell’amico un ciuffo rosso si fermò, interdetta sul da farsi. Potter sollevò una mano, sorridendole, quindi Ron si voltò indietro e il viso gli si illuminò in un sorriso smagliante. Hermione però fece dietro-front e si confuse nella folla, rifugiandosi sul terrazzo. Adesso era davvero convinta di aver fatto una stronzata presenziando al ballo, accidenti!
Ingurgitò la bevanda, era alcolica, grazie a Merlino!
«Spero per te che sia fortuna liquida».
Hermione si volse di scatto nell’angolo in fondo, quasi al buio, notò una figura alta ed esile, vestita di nero (come di consueto). Lanciò un’ultima occhiata all’interno della sala, accertandosi che né Ron né Harry l’avessero seguita, quindi si avvicinò alla balaustra.
«Draco Malfoy» recitò.
«Hermione Granger».
Si fissarono per un attimo, poi si sorrisero.
«Allora? È fortuna liquida?» Domandò lui indicando con un cenno del capo il calice vuoto che la ragazza ancora reggeva.
«Purtroppo no» rispose Hermione lasciando andare il bicchiere che sospeso a mezz’aria tornò all’interno del castello.
Rimasero affacciati al terrazzo a osservare l’immensità delle montagne innevate che si stagliavano tutt’intorno, il lago ai piedi di queste ultime era immobile.
«Come va la caviglia?».
«Decisamente meglio. I medici hanno detto che le cure ricevute hanno evitato danni permanenti».
«Di nulla Granger» disse Draco ed Hermione sorrise, scuotendo il capo.
Di nuovo ci fu silenzio, prima che lei gli chiedesse una curiosità che l’aveva tormentata durante gli ultimi giorni alla villa al lago:
«Draco, devo chiederti una cosa» era tesa, si strinse nel suo stesso abbraccio sperando di smettere di tremare - di freddo, forse. Lui la guardò, Hermione continuò a tenere gli occhi fissi sul fondo del terrazzo.
«Quando i Mangiamorte hanno fatto irruzione a casa dei miei e anche dopo, durante la battaglia nella foresta, ho sentito chiaramente la tua voce nella mia testa. Sei un…?».
«Ah si, Legilimanzia. È una dote ereditata da mia madre» rispose il ragazzo, pareva un po’ deluso da quella domanda, come se si fosse aspettato qualcosa di più sconvolgente. «Una volta Albus Silente mi disse che sarei potuto diventare uno dei più potenti legilimens se solo mi fossi impegnato» sorrise, ma un sorriso triste, di rimpianto. «Sono sempre stato troppo pigro».
«Quindi per tutto il tempo mi hai letto nel pensiero?» Hermione attese con il fiato sospeso la sua risposta, temendo di aver giocato a carte scoperte e si sentì vulnerabile come non mai.
«No» Draco alzò lo sguardo e lo rivolse al cielo. «Ci ho provato a leggerti nella mente, lo ammetto,  ma non ci sono riuscito. Hai delle difese molto alte» le rivolse un sorriso stentato. «L’unica volta che ci sono riuscito è stato quando i Mangiamorte ci hanno scoperto, la paura ti ha fatto vacillare e sono riuscito a parlarti».
La ragazza si sentì sollevata. Restarono ancora un po’ così, senza la necessità di dire qualcosa, poi Draco le chiese se fosse lì con mister nullità Weasley. Hermione gli schioccò un’occhiata di rimprovero:
«No, sono venuta da sola, ma lui ed Harry sono qui».
«Non state più insieme?».
Hermione aprì la mente per permettergli di leggerla:
«No».
«Perché sei qui, allora?».
«La preside McGranitt mi ha offerto la cattedra di Incantesimi» rispose Hermione ad alta voce, averlo nella testa le trasmetteva una strana sensazione, come un solletico superficiale, una specie di carezza tenue che la destabilizzava. «Mi ha invitato al ballo per far rinascere in me il desiderio di tornare a scuola, ha detto».
«Non sei più un Auror?».
Lei scosse il capo: no, non lo era più.
«Tu sei qui per Scorpius?»
«No» ammise Draco. «Sono il nuovo professore di Pozioni» le sorrise, un sorriso vero, sincero, che gli illuminava il volto cancellandogli la sua classica espressione baldanzosa. «Te lo immagini: professor Malfoy!».
Risero insieme, quindi lui tornò improvvisamente serio, si allungò e adagiò l’intero palmo sulla guancia destra della ragazza che a sua volta posò il proprio sulla sua mano. Draco si chinò lentamente in avanti, Hermione si alzò appena sulle punte dei piedi - sebbene avesse indossato scarpe coi tacchi il giovane era decisamente alto -, quando la voce stridula e lagnosa di Ron li raggiunse come un scarica elettrica:
«Heermioooneee!».
Si voltarono entrambi verso di lui, Harry gli era di fianco, sembrava meno meravigliato dell’amico, con l’aria colpevole di chi sa di averci messo lo zampino in una situazione scomoda e comunque non voluta. Il sorriso sornione di Draco Malfoy lo fece ringiovanire di venti anni, afferrò il polso di Hermione e insieme si smaterializzarono, lasciando Ron Weasley in un profondo stato di depressione.
 
Hermione si ritrovò all’interno di una stanza che non conosceva, la sola luce proveniva dalla luna in cielo. Studiò l’ambiente che la circondava: decine e decine di libri antichi erano incastrati nella biblioteca alla sua destra; boccette di vetro – alcune piene di liquidi colorati, altre vuote – erano sistemate senza un apparente ordine preciso sulla scrivania davanti a sé e sulle mensole tutt’intorno; alla parete di sinistra c’era un armadio e ai suoi piedi un letto disfatto, segno evidente che qualcuno vi aveva dormito.
«Accetta» disse Draco tenendola ancora per il polso e avvicinandola a lui.
«Come?» Hermione lo guardò sollevando gli occhi, tentando di mantenere la distanza con i palmi aperti contro il suo addome.
«Accetta l’incarico che ti offre la McGranitt». Così dicendo prese una boccetta tra le tante, contenente un liquido dal colore rosato. «Sai cos’è? Amortentia. Vuoi sentirne l’odore?» Senza aspettare la risposta aprì la fiala di vetro e s’inebriò del suo profumo, lo stesso giunse a stuzzicare anche le narici di Hermione.
«Odore di bruciato, vernice e valeriana». Le sussurrò nella mente.
«Odore di bruciato, vernice e Whisky».
La ragazza indietreggiò da Draco, gli odori erano ancora molto forti e sembravano permeare l’intera stanza, un capogiro improvviso la portò ad afferrarsi allo schienale della sedia dall’altra parte della scrivania.
Il desiderio che provava era sbagliato, credere di esserne innamorata era un insulto al suo passato e alle sue origini. Soprattutto era un affronto ai suoi amici di sempre: Harry e Ron, certo, ma anche a tutti coloro che aveva conosciuto e ai quali si era affezionata dell’Ordine della Fenice. Maghi e maghe che l’avevano accolta e fatta sentire giusta, non una diversa, non una con il sangue marcio, guasto.
Aveva forse dimenticato tutte le volte che Malfoy l’aveva offesa? Ancora doleva la ferita che le aveva provocato quando per la prima volta l’aveva chiamata Sanguesporco davanti a tutti, oppure le occhiate di ribrezzo che sempre le rivolgeva anche solo passandogli accanto.
L’aveva forse dimenticato?
Come poteva provare ciò che stava provando?
Era immorale. Malsano. Perverso.
Draco girò intorno alla cattedra e tentò di sfiorarla, lei si ritrasse.
«No» teneva lo sguardo fisso sulla superficie del mobile, «non è normale quello che proviamo, è innaturale, è contro natura, è… è… ».
«È ciò che voglio e mi basta» le accarezzò la nuca con i polpastrelli, la ragazza si voltò dall’altra parte e strizzò gli occhi, temendo che se avesse incrociato i suoi l’avrebbe ipnotizzata; tuttavia rimase dov’era, le mani letteralmente aggrappate alla sedia. Draco Malfoy non poteva neanche lontanamente immaginare la lotta che si stava consumano dentro di lei, una battaglia antica come il mondo, non dissimile da quella tra il bene e il male. Era la ragione contro il desiderio, il raziocinio contro la bramosia.
«Guardami Hermione. Guardami».
Attese, finalmente si girò a fissarlo negli occhi, provando la medesima sensazione di essere trapassata da quello sguardo impassibile, penetrante come lame di ghiaccio nella carne. Draco sorrise:
«Se per un attimo riuscissi a mettere da parte il tuo astio per i Purosangue e in particolare per noi Malfoy, potresti scoprire che non sono così male. Sono cambiato, sai?!».
«Continui a insultare Ron».
«Si, ma perché è davvero una nullità!»
Hermione gli diede una gomitata leggera, prima di aggiungere:
«Ho deciso».
«Hai deciso?».
«Accetterò la cattedra di Incantesimi».
«Per me?» Draco si chinò su di lei, le bocche vicine, la mano salda sulla sua nuca, poi effettuò la Smaterializzazione e la trascinò con sé sul letto, distesi uno sull’altra.
«Non ti illudere Malfoy, non è per te» mantenere il respiro regolare per non lasciargli intendere la brama e la paura di quello che sarebbe successo non era facile, era come se avesse corso per metri e metri senza mai prendere aria. E lui pareva dannatamente a suo agio.
«È per i libri, So-tutto-io?» Draco percorreva con i polpastrelli l’intera curva del collo, scendendo fino alla scollatura dell’abito per poi rifare il percorso a ritroso. La sentiva emettere respiri lunghi e profondi, eppure continuava a tenere la mente serrata per non permettergli di entrarvi: che grande forza di volontà!
«Esatto, per amore dei libri». Hermione gli sfiorò i capelli, ritirò la mano dopo un primo contatto, temendo che lui potesse obiettare o infastidirsi, poi lasciò che le dita vi sprofondassero dentro, erano morbidi e setosi, il contrario dei suoi insomma.
«Questa volta i libri non ti salveranno, Granger…». Con un colpo di bacchetta Draco le sciolse la complicata acconciatura che le raccoglieva i capelli, perciò Hermione gli prese l’arma e insieme alla sua le adagiò sul pavimento.
«Niente magia».
«Vuoi farlo in stile babbano?» Una scintilla negli occhi gli illuminò il volto perennemente pallido, mentre le labbra s’increspavano agli angoli della bocca.
«Sì».
«E sia». La baciò, con quel fare sfacciato e spudorato che ogni suo gesto, anche il più semplice, trasudava.   
Hermione non sapeva dove l’avrebbe condotta la scelta di assecondare i propri desideri, si chiese cosa sarebbe accaduto il giorno dopo e quello dopo ancora. Nonostante ciò, in un angolo remoto del suo cuore, sapeva – sperava e insieme temeva – che ci sarebbero state altre occasioni in cui avrebbe soddisfatto la voglia e il piacere che stava provando in quel momento. Finalmente libera da ogni inibizione o moralità.
«Un Malfoy e una Granger insieme? Impossibile!» Le aveva detto all’inizio di quell’avventura.
Già, impossibile.
Eppure poteva ancora sentire l’odore di bruciato, vernice e Whisky aleggiare nella stanza.

 


Fine
 

Ndr

Questa storia partecipa al contest Tarocchi Narranti di Vintage, con il pacchetto LA PAPESSA:
Prompt: Rettitudine
Frase: Chi vuole nascondere la verità, non ha che da esprimerla apertamente, non verrà creduto da nessuno (Principe Talleyrand).

Io mi sono divertita a scriverla, spero voi a leggerla ^^
Nina
 

 

 
 
 
 

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