Longing

di Dragon_Flame
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Haiku. ***
Capitolo 2: *** Sakura. ***
Capitolo 3: *** Rinzu. ***
Capitolo 4: *** Momiji. ***
Capitolo 5: *** Yugen ***
Capitolo 6: *** Aware. ***
Capitolo 7: *** Shibumi. ***
Capitolo 8: *** Komorebi. ***
Capitolo 9: *** Kawaii. ***
Capitolo 10: *** Ikigai. ***
Capitolo 11: *** Fuubutsushi. ***
Capitolo 12: *** Shoganai. ***
Capitolo 13: *** Otsukaresama. ***
Capitolo 14: *** Taihen. ***
Capitolo 15: *** Karma. ***



Capitolo 1
*** Haiku. ***


Haiku.
 

 

Noia. E l’incredibile frustrazione di un’attesa che pareva non finire mai.
Le lezioni di calligrafia erano sempre state per Rin una fonte di distrazione. Dopo il suo ritorno dall’epoca futura, Kagome si era velocemente abituata alla vita dura e semplice del villaggio. Tuttavia a volte le mancava quella vita passata, eppure futura, e questo bisogno di rivivere i ricordi della sua infanzia e adolescenza l’avevano spinta, un giorno, a prendere la bambina da parte e chiederle se le sarebbe piaciuto imparare a scrivere. Lei, che prendeva sempre tutto con entusiasmo e curiosità, aveva accettato con gioia la proposta, sperando che l’avrebbe aiutata a far trascorrere più velocemente il tempo tra una visita di Sesshomaru e l’altra. Il demone le mancava tantissimo, ciononostante sapeva perfettamente che non si sarebbe mai fermato lì, in quel villaggio, definitivamente. E quindi lo attendeva, e anelava a quei momenti in dolce e impaziente trepidazione.
I caratteri giapponesi erano difficili da imparare, ma le molte ore trascorse ad esercitarsi, l’impegno e la costanza mostrati avevano dato i loro frutti. Più difficile per lei era stato apprendere i concetti matematici. Non le piacevano quelle piccole, seppur terribili, operazioni che Kagome le chiedeva di risolvere. A lei piaceva osservare la natura, in silenziosa contemplazione. Con lo studio dei caratteri, aveva scoperto di amare mettere per iscritto le impressioni e i sentimenti che le suscitavano il mondo intorno a lei e le sue molteplici sfaccettature.
Imparando a scrivere, aveva trovato una personale valvola di sfogo alla sua attivissima mente. Le parole esercitavano su di lei un’attrattiva irresistibile, ed erano diventate il mezzo tramite cui Rin dava voce ai suoi più reconditi pensieri. E la poesia, la più alta forma letteraria, si sposava alla perfezione con le sue aspirazioni.
Quell’attesa interminabile non sembrava voler finire mai. E lei nutriva il disperato bisogno di porvi fine, perché i confusi sentimenti per l’ineffabile demone maggiore che albergavano nel suo cuore avevano da poco trovato una propria forma sotto le sembianze di un componimento breve ma pregno di significato. Un haiku. Il suo primo haiku.
E lei non vedeva l’ora di leggerglielo. Perché non narrava i suoi sentimenti, ma dava voce alle sue più tenere speranze segrete, ai suoi sogni più belli. Nutriva i suoi più urgenti desideri di sedicenne innamorata. E, nel profondo del suo cuore, Rin sapeva che quei tre versi contenevano un brandello di verità di cui lei attendeva con impazienza di essere messa al corrente.
 
Nemmeno la distanza incolmabile
Impedisce alla gelida luna di anelare
L’abbraccio caldo della terra.


 

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Capitolo 2
*** Sakura. ***


Sakura.
 

 
Quell’anno Rin avrebbe danzato in quella cascata di petali di ciliegio senza che i suoi impenetrabili occhi ambrati potessero coglierne le goffe movenze di adolescente.
Non era ancora scomparsa l’ultima neve quando Sesshomaru si era recato a farle visita. In quel loro ultimo incontro era stata felice. Lei aveva a lungo giocato con i fiocchi che scendevano lenti dal cielo, sotto lo sguardo impercettibilmente intenerito del demone. Infreddolita, si era lasciata premurosamente avvolgere dalla soffice coda di lui, che con la scusa di scaldarla aveva potuto tenerla vicino a sé e saggiare la sua pelle, solitamente morbida, intirizzita dal gelo del tardo inverno. Non aveva avuto bisogno di motivare quel gesto, adducendo una scusa plausibile senza rivelare eccessivamente il profondo affetto nutrito nei confronti della ragazzina.
Aveva approfittato il più a lungo possibile di quel contatto, reprimendo una smorfia di contrarietà quando la sera era giunta. E gliel’aveva confessato. Sarebbe rimasto lontano da lei per qualche tempo. Importanti affari lo reclamavano a ovest, dove un potente demone arrivato dal continente aveva portato scompiglio e causato già gravi disordini. Era suo dovere ristabilire la propria supremazia su quelle terre che gli appartenevano di diritto. E non sapeva quanto a lungo sarebbe rimasto lontano, poiché l’invasore si era dimostrato forte abbastanza da obbligare la Signora Madre, solitamente restia a tirare in ballo il figlio, a richiedere l’immediato intervento di Sesshomaru per ristabilire l’ordine. Era a repentaglio il suo onore, e lui non avrebbe mai permesso a nessuno di prendersene gioco.
In tutto ciò, le conseguenze le subiva Rin. E in quel turbinio delicato di petali odorosi non c’era spazio per la sua gioia.
Il sapore salato di una lacrima solitaria arrivò a carezzarle le labbra schiuse, tracciandone silenziosamente i contorni, e un sospiro rassegnato uscì da esse, mentre i pensieri di Rin si persero ancora in quella danza silente di corolle e nei teneri ricordi di una chioma argentea che lei da bambina, con la passiva accettazione del suo demone preferito, aveva in più di un’occasione ornato di ghirlande di fiori di ciliegio.

 

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Capitolo 3
*** Rinzu. ***


Rinzu.*
 


 
Quando aprì l’involto in cui era stata accuratamente ripiegata quella pregiata stoffa, mai Rin si sarebbe aspettata di stringere tra le dita sottili un tessuto così particolare.
Il nuovo kimono che Sesshomaru le aveva donato – l’ennesimo, dacché ne aveva memoria – superava di gran lunga tutti gli altri. La fattura era superba, i colori vividi, e la serica lucentezza della seta catturava ogni infinitesimale bagliore di luce, catalizzando su di sé gli sguardi ammirati di Kaede e Kagome, presenti al momento dell’apertura di quel regalo inatteso.
Nonostante la lontananza, nonostante la guerra personale intrapresa con quell’ignoto demone del continente di cui lei non sapeva assolutamente nulla, Sesshomaru si era ricordato di lei.
Rin accarezzò con tocco leggero la meravigliosa stampa blu notte tempestata di stelle argentate e lucenti, immacolati fiori di loto, rapita dai ghirigori complessi che percorrevano il tessuto. Osservava minuziosamente ogni più piccolo particolare, soffermandosi con ammirazione sul fogliame verde scuro e sulle scure acque immote da cui nascevano quei nobili fiori in cerca di luce purissima ed elevazione ultraterrena. Provò il kimono su di sé, stupendosi ancora una volta di come il demone avesse azzeccato le misure giuste. Le calzava a pennello, fasciandola elegantemente ma senza opprimerla.
Infine rimise a posto il raffinato abito, riponendolo nel baule in cui custodiva gelosamente tutti i preziosi regali che le aveva fatto Sesshomaru. Lisciò le ultime pieghe, ammirando ancora una volta quel meraviglioso tessuto, e sospirando lo sistemò tra gli altri abiti. Aveva in mente solo un’unica occasione in cui avrebbe fatto sfoggio di quello splendido kimono, ma timorosa non osò pronunciare ad alta voce quella speranza radicata in lei. Perché, nonostante la certezza del suo affetto, mai avrebbe avuto la conferma dei suoi sogni segreti.
 
 
 
 
 
 
 
 
*seta jacquard damascata, un tessuto pregiato e costosissimo usato anche per kimono nuziali
 

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Capitolo 4
*** Momiji. ***


Momiji.* 

 
 

Il pennello autunnale aveva già tinto di rosso acceso le fronde degli alberi quando Sesshomaru ritornò al villaggio. Erano passate otto lune dall’ultimo incontro, e maledicendo silenziosamente il demone che l’aveva tenuto lontano per così tanto tempo, rivelandosi più impegnativo e infido del previsto, la figura imponente dai lunghi capelli argentati continuò ad incedere con passo impercettibile lungo le vie del villaggio avvolto dalla coltre del sonno notturno.
Passo dopo passo, Sesshomaru si inoltrò nel cuore del piccolo centro abitato, seguendo l’odore dolce e fresco di Rin, appena attutito dagli odori dell’autunno avanzato. Entrò silenziosamente in quella che era diventata la nuova casa della ragazza, affidata anni prima da lui stesso alla vecchia e saggia sacerdotessa del villaggio. Sotto la sua guida ferma e affettuosa, la sua piccola Rin stava crescendo nel migliore dei modi, lontano dai campi di battaglia e dalle lotte di potere che affollavano i numerosi secoli di vita del demone. Un giorno sarebbe stata chiamata a decidere della propria sorte, e nonostante Sesshomaru desiderasse fortemente l’arrivo di quel giorno, sentiva in cuor suo di non poterle impedire di vivere una semplice e tranquilla vita tra gli umani, qualora lei lo avesse desiderato.
Il grande, inflessibile, spietato Sesshomaru, che cede all’affetto per una piccola e fragile bambina umana, sacrificando il proprio egoismo e i propri desideri per il bene di quest’ultima.
Accennando un mezzo sorriso – lui, che non sorrideva mai se non per manifestare intenzioni particolarmente negative – il demone rifletté ancora una volta sull’incantesimo che Rin aveva gettato su di lui. Quel cucciolo d’uomo, che ora s’era fatta grande, e bella, forte, inarrestabile. Dolce e spontanea, e sincera, come sempre, ma arricchita da un fascino tutto nuovo. Aveva diciassette anni umani, ormai. Forse era grande abbastanza per prendere la sua decisione.
Sesshomaru contemplò a lungo il profilo del suo volto addormentato e sereno, vegliando per tutta la notte sulla sua protetta e sulla donna che l’aveva affettuosamente cresciuta. Poco prima dell’alba, un movimento impercettibile delle palpebre di Rin catturò l’attenzione del demone, che tornò alla solita espressione impenetrabile. Nessuno, al di fuori della ragazza, avrebbe dovuto leggere nel suo cuore.






*foglie d’acero/foglie autunnali, che si tingono del tipico colore rossiccio

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Capitolo 5
*** Yugen ***


Yugen.*
 
 

Rin aveva sempre saputo in cuor suo che il signor Sesshomaru sarebbe tornato da lei. E dopo otto lune di distanza fisica non aveva ancora gettato la spugna, certa del profondo affetto nutrito dal demone per lei.
Stropicciandosi gli occhi ancora appannati dalla coltre nebulosa dl sonno, la diciassettenne mise a fuoco la figura impassibile ed eterea di Sesshomaru nella penombra dell’unica stanza della casa. Il gridolino di gioia che risalì dalla gola alle sue labbra rimase un gemito strozzato fra i denti, mentre dal suo futon colorato la ragazza si gettava tra le braccia del demone, aperte ed accoglienti per lei, solo per lei.
La vecchia Kaede, da sotto la pesante coltre del suo giaciglio, pensò bene di continuare a fingersi addormentata, sebbene fosse cosciente già da ore della presenza di Sesshomaru a causa della sua potentissima aura, impossibile da ignorare per chi possedeva poteri demoniaci o spirituali.
Quell’espressione di altero distacco tipica dei suoi occhi ambrati si spostò per un momento sulla figura dell’anziana sacerdotessa, ammorbidendosi un poco. In fondo, se Rin stava crescendo così serena, doveva dire grazie a lei soltanto. E la vecchia Kaede, aprendo l’occhio buono, intuì la gratitudine del demone, e altrettanto silentemente accettò il ringraziamento muto, guardando poi con affetto la ragazza accoccolata tra quelle due braccia, sfiorata con tenera delicatezza da quelle mani lunghe, affilate e perfette che si erano bagnate volontariamente di così tanto sangue e, in modo altrettanto intenzionale, avevano impugnato la terribile Bakusaiga, la cui lama dalla luce sinistra aveva trapassato da parte a parte così tanti corpi di avversari e nemici.
Ciononostante, Rin non aveva mai nutrito alcun tipo di timore per Sesshomaru. Nonostante la sua natura di demone, nonostante la spietata crudeltà per cui era famoso tra creature umane e demoniache, nonostante l’apparenza gelida e distaccata e il profondo disprezzo per gli umani, Rin era riuscita a scavare una breccia nella sua corazza, a risvegliare un po’ di compassione e affetto nel suo cuore freddo e allergico a qualunque sentimento positivo. Ciononostante, lei aveva saputo cogliere la bellezza in lui, a trovare la luce nella sua tenebra e ad amarlo incondizionatamente per quello che era, senza mai giudicarlo, né pretendere di cambiarlo. E, inconsciamente, aveva addomesticato quello spirito libero e svincolato, legandolo a sé, rendendogli indispensabile la propria presenza ed esistenza.
 
 
 
 
*letteralmente “leggermente scuro”, indica il fascino delle cose in penombra;  è la consapevolezza della bellezza nascosta dell’universo, delle persone, delle cose e di tutto ciò che sta al di sotto della superficie; è intuire la bellezza di ciò che è al di fuori della nostra conoscenza.

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Capitolo 6
*** Aware. ***


Aware.
 


 
Rin era certa che non sarebbe riuscita a godere della presenza di Sesshomaru per tanti giorni. Era come la sabbia, impossibile da tenere stretta in una mano, con i granelli che scivolavano tra le dita. La sua presenza era libera e ineffabile, e in quanto tale sarebbe ripartita, prima o poi.
Non si aspettava certo che sarebbe accaduto così presto. Restò molto delusa quando il demone, la cui soffice coda sfiorava giocosamente la pelle candida e liscia del volto della ragazza, le comunicò la sua partenza di lì a breve. La mattina successiva.
Fu talmente delusa da rimanere in un silenzio crucciato ed ostinato, che ferì Sesshomaru, restio a lasciarla sola ancora una volta ma ligio al suo dovere di Principe dei demoni.
Fu altrettanto naturale per lui, incapace di reggere lo sguardo rattristato e fortemente contrariato della sua pupilla, dirle che quella notte le avrebbe fatto compagnia. Avrebbe dormito insieme a lei – vegliato su di lei, per rendere meno dolorosa la loro separazione imminente.
La temperatura notturna non era ancora abbastanza rigida da fargli temere per la salute di Rin, quindi Sesshomaru optò per trascorrere le loro ultime ore insieme in una radura poco distante dal villaggio, da dove avrebbero potuto osservare il cielo e le costellazioni. Rin giacque tra le sue braccia forti, stringendo tra le dita sottili la pesante stoffa pregiata del suo kimono, refrattaria a lasciar cadere quell’ultimo contatto. Chissà quando lo avrebbe rivisto, pensò amareggiata.
La pungente scia dell’odore salato delle lacrime fu colta immediatamente dall’olfatto infallibile del demone, che si limitò a stringerla più forte tra le se braccia. Con suo sommo stupore, Rin nascose il volto tra le pieghe del suo kimono, lasciandosi sfuggire un unico singhiozzo per poi tacere a lungo. Quel silenzio prolungato, inconsueto per la natura ciarliera e allegra di Rin, innescò una reazione altrettanto atipica per il carattere freddo e distanziato di Sesshomaru, che, chinando le labbra contro il volto della giovane, sussurrò al suo orecchio le proprie scuse, promettendole che sarebbe tornato presto.
Non le spiegò il motivo del suo viaggio, troppo difficile da spiegare e troppo delicato e personale da esternare con facilità. Ma quelle parole bastarono per consolarla, e Rin levò gli occhi lucidi a contemplare lo sguardo dorato del demone, ora privo del solito sguardo altero e sfumato dalla dolcezza e dall’intenerimento che, a dispetto di quanto si credeva di lui, quella piccola e fragile umana risvegliava in lui. E la felicità di Sesshomaru fu completa quando, con un accenno di sorriso sulle labbra soffici e scarlatte, la sua piccola Rin si accoccolò nuovamente contro il suo petto ampio e solido come roccia, addormentandosi cullata dal battito del proprio cuore e dal calore emanato da quel corpo possente.
 

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Capitolo 7
*** Shibumi. ***


Shibumi. 
 

 

Sesshomaru mantenne la propria promessa. Erano poche le settimane passate al loro ultimo incontro, quando Rin avvertì istintivamente l’incedere elegante del Principe dei demoni, seguito dal fruscio dell’erba secca. Era ormai autunno inoltrato e la ragazza si recava giornalmente a raccogliere frutta selvatica nel bosco sacro nei pressi del villaggio.
Abbandonando la cesta in cui aveva faticosamente raccolto i doni succosi e dolci del generoso autunno, la ragazza si voltò repentina nella direzione del demone, scontrandosi con il suo petto ampio, stavolta non adornato dall’armatura che tipicamente cingeva il suo corpo imponente. La foggia dei suoi abiti, sempre molto complessa, era stavolta ridotta ad un semplice kimono di elegante fattura, su cui la coda morbida e lunga di Sesshomaru poggiava molle, scendendo languida lungo il suo corpo statuario. La pelle diafana risplendeva nella luce dorata del tardo pomeriggio, i capelli argentei che brillavano scompigliati dalla brezza leggera.
Nel complesso, la figura di Sesshomaru appariva avvolta da un’aura di bellezza ultraterrena e senza tempo, che non mancò di far perdere un battito al cuore martellante di Rin, bloccata sui propri piedi ed incapace di compiere un altro passo. Non aveva mai visto il demone in vesti domestiche, e il suo portamento, sempre così calmo e pacato, trasudava in quel momento una tensione a stento contenuta. Gli occhi ambrati di Sesshomaru, fissi su di lei, sembravano voler penetrare a fondo nei suoi pensieri, cogliere i suoi segreti, toccare il punto più intimo e profondo del suo animo.
Quella volta, Rin non se la sentì di compiere il primo passo. Inaspettatamente, fu proprio Sesshomaru ad avvicinarsi a lei, impietrita sul posto. Le sfiorò la guancia, rossa per l’emozione e l’imbarazzo, con il tocco delicato delle sue dita, stando ben attento a non graffiarla. E la guardò di nuovo.
Nelle sue iridi d’ambra la ragazza lesse un’emozione indecifrabile, un tumulto interiore che non le era concesso di sviscerare e comprendere, e la sua proverbiale curiosità fece capolino, rendendo impellente il bisogno di sapere, di conoscere la fonte di tale turbamento. Sesshomaru tuttavia la anticipò ancora, senza mai smettere di far vagare i propri occhi sul volto tanto amato e agognato di lei. Un volto che poneva domande, che esigeva risposte. Un volto che avrebbe voluto vedere per tutti i giorni della propria vita, di lì all’eternità.
“Fra un anno. Un anno esatto” sussurrò soltanto, e Rin capì.
La sua attesa avrebbe finalmente avuto una fine.

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Capitolo 8
*** Komorebi. ***


Komorebi.* 






Nonostante fosse inverno inoltrato, il sole risplendeva particolarmente chiaro e vivido in quel giorno di fine gennaio. Immersa nella neve fino a metà polpaccio, ai piedi delle pesanti calzature foderate di pelliccia, Rin giocava con i capelli del suo demone preferito, come amava fare da bambina, fermandosi talvolta ad osservare in silenzio il volto tanto amato di Sesshomaru.
Erano seduti sotto un abete, grande e maestoso, posto al limitare del bosco di Inuyasha. Il borbottio ciarliero di Jaken si udiva lontano e attutito, segno inequivocabile della sua irritazione nei confronti della ragazza per aver portato il suo temuto padrone in un luogo così indegno di lui.
Tuttavia Rin era troppo felice di quella visita inaspettata per lasciarsi indispettire dal kappa. Presa da ben altro, non gli prestò la minima attenzione, dedicandola tutta al suo signore. Aveva sempre amato lo splendore della sua cute demoniaca, i suoi lineamenti aristocratici, la piega sprezzante delle labbra sottili, lo sguardo altero e distaccato. Proprio in quella giornata di metà inverno, il sole inusualmente brillante, infiltratosi tra il fitto fogliame appuntito dell’albero carico di neve, la faceva risplendere come di luce propria, facendone risaltare i caratteri demoniaci violetti e la falce di luna blu posta al centro della sua fronte.
Gli occhi ambrati del Principe dei demoni la studiavano con noncuranza, ma dietro quello sguardo apparentemente disinteressato la mente di Sesshomaru registrava ogni minimo, ma inequivocabile, cambiamento fisico del volto di Rin: le piccole fossette ai lati del suo bel sorriso, lievemente più accentuate; gli occhi scuri, più profondi, più composti, più maturi; e così via, delineandosi un’immagine più nuova e dettagliata dell’umana, che era nel fiore della sua crescita e che, inevitabilmente, sarebbe appassita presto, proprio come un bocciolo che s’apre al mondo e avvizzisce.
Si faceva sempre più prepotente in lui il desiderio, forse vano, forse impossibile da realizzare, di fermare a quell’istante il corso vitale della sua amata Rin, di frenarne in anticipo l’inesorabile declino fisico e mentale, di renderla come lui, creatura ultraterrena e pluricentenaria. L’amava per quello che era, piccola, fragile e dolce umana, ma era proprio quella sua umanità a renderla ineffabile, inaccessibile a un demone come lui. La vita di lei sarebbe stata un battito di ciglia in confronto ai numerosi secoli che ancora gli si prospettavano davanti. L’avrebbe perduta molto presto, e compianta nell’animo per molto più tempo.
E quando lei gli sorrise ancora, con uno sguardo innamorato negli occhi scuri come la terra calda e accogliente, fu in quell’istante che in lui s’instillò per la prima volta una tristezza profonda, dettata dalla paura della morte. Perché lei sarebbe stata come un raggio di sole che penetra il fogliame del bosco: un istante breve e magnifico in un’eternità di vuoto, di nulla.
 






*raggio solare che penetra tra il fogliame.

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Capitolo 9
*** Kawaii. ***


Kawaii.
 
 


Quando Rin vide il visino morbido e arrossato del neonato Hirotaka pianse di gioia.
Era stato un parto molto difficile, quello di Kagome. Il suo secondogenito aveva impiegato molto tempo per venire al mondo. L’estenuante travaglio era andato avanti per tutta la notte, non senza momenti di panico. La gravidanza stessa era stata piuttosto complicata e la nascita del piccolo era avvenuta con almeno un mese d’anticipo rispetto a quanto previsto. Quando dunque il pianto acuto del bambino riempì il silenzio improvvisamente sceso nella casa, tutti tirarono un sospiro di sollievo.
Dopo averlo pulito dal sangue e avvolto in una coperta calda e morbida, Kagome strinse a sé il figlioletto, accarezzandone con lo sguardo i lineamenti perfetti e sfiorandone con la punta delle dita le piccole orecchie canine che spuntavano dalla testolina, già provvista di una folta chioma di capelli di un grigio scuro intenso.
Rin aveva sempre ritenuto i bambini delle creature noiose, con cui non sentiva di spartire nulla, al limite crudeli e stupide, memore della sua infanzia di reietta al villaggio umano in cui viveva prima di incontrare il Signor Sesshomaru e, successivamente, dell’isolamento in cui aveva vissuto a Musashi durante i suoi primi mesi nel suo nuovo villaggio. Villaggio a cui ora, a distanza di anni e nonostante l’affetto di molte persone, ancora non sentiva di appartenere. Con i bambini di Sango e Miroku prima e di Inuyasha e Kagome poi, si era dovuta ricredere. Forse avevano un modello particolarmente positivo di genitori, forse erano di indole buona già di partenza, ma vedendoli crescere un po’ aveva cambiato idea sui bambini.
Uscendo dalla casa della sacerdotessa e del mezzodemone per prendere una boccata d’aria, quasi sopraffatta dall’emozione per aver assistito una sua cara amica e mentore in un momento tanto delicato e bello, Rin quasi si scontrò contro l’armatura possente che proteggeva l’ampio petto di Sesshomaru. I suoi raggelanti occhi d’ambra la trafissero come sempre, osservandole il volto in muta contemplazione. Aveva fiutato l’odore delle sue lacrime e, allarmato, s’era precipitato da lei. La guardò confuso, in cerca di una spiegazione che lei gli concesse subito.
“E’ nato il vostro nipotino! Si chiama Hirotaka, è un bellissimo bambino!” cinguettò di felicità la ragazza, prendendogli una mano tra le proprie dita sottili. “Venite a vederlo!” lo incoraggiò, incontrando tuttavia la sua resistenza.
“C’è un terribile odore di sangue di mezzodemone” le fece notare. Io non entro lì dentro, le dissero in silenzio i suoi occhi dorati e freddi come il ghiaccio.
Rin s’impuntò, strattonandolo per il braccio.
“Tecnicamente, ha il sangue solo per un quarto demoniaco. E comunque è così tenero! Vi piacerà sicuramente, dovete fidarvi di me” insistette la ragazza, gonfiando le guance a mo’ di bambina capricciosa.
Quell’espressione, capace di toccargli il cuore, sconfisse la reticenza del demone.
“Solo per te” concesse Sesshomaru, seguendo un’entusiasta Rin dentro l’abitazione del suo fratellastro.
Inevitabile fu per lui immaginarsi una Rin adulta con in braccio un piccolo mezzodemone che avrebbe avuto addosso il proprio odore mischiato a quello dell’umana. Un mezzodemone che avrebbe portato il suo nome di famiglia. Un mezzodemone che avrebbe chiamato figlio.
Raggelò all’istante.

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Capitolo 10
*** Ikigai. ***


Ikigai.* 




 
Doverla salutare ancora era stata dura, quella volta. Non aveva saputo darle un’indicazione precisa su quando si sarebbero rivisti. Era un viaggio lungo, senza una meta precisa, ma a differenza delle altre volte questo vagare senza una destinazione non gli piaceva per nulla. Aveva fretta, terribilmente fretta, e quest’incertezza gli avrebbe portato via solo tempo prezioso. Tempo tolto a lei, che era umana e per questo caduca e transitoria.
La vita di Rin era stata aleatoria, molto più di quanto gli piacesse ammettere. Per causa propria, spesso aveva rischiato di perdere l’unica cosa bella della sua pluricentenaria esistenza, e sebbene il senso di colpa non facesse parte della natura demoniaca di Sesshomaru, l’egoistico terrore provato di fronte alla prospettiva di perdere Rin l’aveva spinto a tenerla lontano da sé, pronto ad accettare di separarsene al fine di preservarla da ogni rischio.
E Rin era cresciuta serena, al sicuro, lontano dalle battaglie e dalla morte che, più di una volta, l’aveva già accolta sotto la sua coltre gelida e fatale e da cui lui, più di una volta, l’aveva riportata alla vita.
Ora però Sesshomaru si sarebbe preso il frutto dei lunghi anni di lontananza e separazione sacrificati a questa causa. Nemmeno la transitorietà dell’anima mortale di Rin, destinata a trascendere presto la vita terrena per accedere, come la natura aveva già deciso, al regno dei morti, l’avrebbe fermato dal suo proposito.
Secoli di solitudine e di egoismo lo avevano convinto di bastare a se stesso, di essere completo e pieno in sé, rifuggendo la compagnia altrui, le relazioni e gli affetti in nome di battaglie condotte e vinte da solo, di vittorie celebrate nel silenzio assoluto che lo aveva circondato per decenni.
E poi era giunta la sua dannazione. Già, solo un patetico scherzo di suo padre, il Gran Generale Cane, che gli aveva lasciato in eredità la spada taumaturgica Tenseiga, avrebbe potuto condurlo sulla strada della dannazione. Del crollo delle proprie certezze, del ridimensionamento delle proprie fondamenta, della ricostruzione totale della propria identità, riplasmata e adattata alla misura di una minuscola umana la cui esistenza aveva toccato per caso quella del demone e, altrettanto fortuitamente, aveva fatto nascere in lui per la pima volta assoluta un sentimento di compassione, e poi d’affetto, di protezione, e infine d’amore. Tenseiga, senza la cui lama non avrebbe mai potuto salvare quella piccola e fragile vita, condannando la propria al supplizio più dolce e più agro, l’amore.
E sarebbe stata proprio la sua spada ad indicargli la strada. Tenseiga, la sua arcana zanna demoniaca, l’eredità di un padre tanto stimato quanto, per lungo tempo, incompreso, gli avrebbe rivelato la via verso l’immortalità di Rin. 




*ragione, motivo, obiettivo o speranza di vita, che ci dà la forza di alzarci al mattino e vivere la giornata.

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Capitolo 11
*** Fuubutsushi. ***


Fuubutsushi.*




Rin non comprendeva la ragione di quell’allontanamento. Più cercava di sviscerare la questione per coglierne tutte le implicazioni, più la sua mente rimaneva vittima imbelle della confusione.
Sesshomaru era stato sibillino, come sempre, nelle poche parole impiegate per dirle che sarebbe partito un’altra volta. Tuttavia, quella sfumatura nemmeno troppo velata di preoccupazione nelle sue iridi d’ambra l’aveva turbata profondamente. Perciò ne attendeva il ritorno con trepidazione, pronta a tutto pur di riuscire a penetrare la corazza psicologica del demone e carpire il segreto che custodiva. Si rendeva conto di non riuscire più a farsi bastare l’attesa del suo ritorno. Da bambina, le riusciva facile mettere a tacere la propria curiosità, concentrandosi sui propri ricordi con protagonista il suo demone preferito.
Incapace di sopportare quella tensione, aveva più volte tormentato il povero Jaken, interrogandolo in numerose occasioni circa le intenzioni del suo padrone. Il piccolo demone non aveva saputo darle che qualche vaga risposta, poiché tenuto all’oscuro dell’intera vicenda.
Frustrata, la ragazza cercò riparo dall’intensa luce del sole estivo, rifugiandosi sotto le fronde verdeggianti del Goshinboku. Si appoggiò pesantemente contro la ruvida corteccia dell’enorme dio albero, guardando il cielo azzurrino appena offuscato da una leggera foschia. Probabilmente quella notte avrebbe piovuto.
Il profumo umido e muschiato del bosco salì alle sue narici, scatenando un flusso inarrestabile di pensieri. Come una diga che si infrange improvvisamente, le tornarono alla mente i numerosi ricordi di lei e Sesshomaru in giro per le foreste, i boschi, nelle radure, nelle valli, sui lussureggianti pendii delle alture che solevano esplorare insieme. Fianco a fianco, come una volta. Quell’eco di tempi lontani e dimenticati si riverberò in ogni angolo del suo animo, cantando la sua profonda tristezza, intessendo note di melanconica sospensione che le strussero il cuore.
Levando lo sguardo verso l’albero sacro, le sembrò quasi che il grande Goshinboku, con le sue fronde maestose che danzavano nella brezza leggera, la invitasse a lasciarsi andare ai flutti del destino, accogliendo con accettazione quel che sarebbe successo. Rimuginò a lungo, accoccolata tra le sue grandi radici, osservando il sipario notturno, carico di cupe nubi di tempesta, scendere sulla terra e dare il benservito alla bollente giornata appena trascorsa.
L’autunno sarebbe arrivato in poche lune, si consolò Rin, e lei avrebbe ottenuto una risposta. E, sebbene non fosse sua natura adattarsi passivamente a condizioni che non le piacevano per nulla, la ragazza si costrinse a mettersi il cuore in pace, continuando a giocherellare con il pettinino di tartaruga che stringeva tra le dita, l’ultimo dono di Sesshomaru in occasione del suo compleanno. Il pensiero di lei l’aveva seguito anche oltre il mare, dove lui le aveva detto di volersi recare. Dopotutto, non aveva motivo di sentirsi triste. E con questa piccola consolazione cullò il suo animo immalinconito, accogliendo quasi con un sorriso grato la pioggerellina serale calata a mitigare la calura della sua pelle e lavare via il suo turbamento.




*sentimenti, elementi naturali, profumi che suscitano in noi il ricordo di una nostalgia particolare nell’aria.

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Capitolo 12
*** Shoganai. ***


Shoganai.* 



L’aveva trovato.
Dopo un lungo peregrinare nelle terre del Continente, al di là del mare, lontano dalla sua Rin. In quella terra sconosciuta e ostile, aveva trovato l’elisir di lunga vita per la sua piccola umana.
L’amato volto della ragazza balenò per un istante nella sua mente. Non avrebbe mai potuto chiederle la corruzione e la dannazione della sua umanità per tramutarsi in demone. Non le avrebbe mai potuto chiedere di immolare la sua anima all’immortalità mangiando un frutto di Ninmenka, la pianta che, nutrendosi di esseri umani, produceva il mostruoso pomo succoso che avrebbe garantito una lunga vita al suo mangiatore, divorandone tuttavia la purezza. Rin era destinata ad essere un granello di sabbia pronto a scivolare via tra le sue dita, rapido e inesorabile come il tempo.
Tenseiga l’aveva guidato. Il portentoso potere taumaturgico della spada, in grado di risanare i feriti e riportare alla vita i defunti, l’aveva portato fino alla fonte della vita eterna, le cui vibrazioni magiche avevano richiamato la zanna. Impossessandosi di quel liquido miracoloso, avrebbe ottenuto l’immortalità di Rin, lasciando incorrotta e umana la sua anima.
Varie prove dovette superare. L’ultima, la più dura. L’elisir di lunga vita non poteva essere bevuto da chi aveva brame negative, da chi possedeva un animo cattivo. Sesshomaru fece regredire la propria prorompente aura demoniaca, reprimendo il suo enorme potere ed esponendosi indifeso, senza armatura né spade, alla fonte acquatica. La misteriosa creatura incappucciata posta a protezione della sorgente emerse dalla foschia che avvolgeva l’intero bacino d’acqua dolce. Le sue mani tremule gli penetrarono nelle carni del petto, causandogli un dolore lancinante. Tenne per sé quella sgradevole sensazione, assistendo impotente a quelle lunghe estremità artigliate che gli frugarono nelle carni, toccando il suo cuore e leggendogli l’anima. Videro la sua cattiveria, le numerose barbarie commesse. Ripercorsero i tortuosi sentieri mentali del demone, incontrando volti di avversari fatti a pezzi, di vite spezzate, di eserciti devastati dalla sua forza infernale.
E poi un calore estraneo, eppur connaturato, al gelo asettico che regnava nel suo cuore emerse all’improvviso. In fondo alla sua anima quelle dita toccarono l’origine di quel tepore benefico. Un’umana. Un sentimento. Uno struggimento intimo e disperato per la caducità della vita di lei, che si sarebbe irrimediabilmente spezzata troppo presto. La paura, che non faceva mai emergere, per la morte dell’amata.
Come pegno in cambio dell’elisir, il Principe dei demoni avrebbe avuto tempo fino alla successiva luna nuova per portare a compimento le sue intenzioni. Il prezzo da pagare, in caso contrario, sarebbe stato la separazione eterna dall’umana. La sua vita, o la propria, prese e divise dalla morte che, come aveva imparato a sue spese, non conosceva padroni. Sesshomaru promise. Il responso del giudice fu positivo ed egli fu liberato dalla morsa crudele che lo avvolgeva.
Pochi minuti dopo, l’algido demone si allontanò con il solito passo lento e calibrato, addentrandosi nella fitta boscaglia che circondava la fonte montana. Tra le grandi mani artigliate, un contenitore. Nella mente, un unico obiettivo.



*tutto ciò che non può essere evitato, che va al di là del nostro controllo e che possiamo soltanto accettare e subire.

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Capitolo 13
*** Otsukaresama. ***


Otsukaresama.*



Sesshomaru era in ritardo. Era successo qualcosa che l’aveva portato ad infrangere la propria promessa?
Rin si strinse ancor di più nelle proprie braccia, sgualcendo del tutto il kimono, blu come la notte e ricco di stelle e fiori di loto, che lui le aveva donato. Il kimono che aveva deciso di indossare al suo ritorno, quando lui sarebbe venuto a reclamare la sua risposta. Il kimono che aveva conservato con cura, in attesa dell’occasione giusta in cui farne sfoggio. Il kimono che aveva un significato del tutto particolare per lei e anche per Sesshomaru.
Jaken la osservava in silenzio, non sapendo bene come consolarla. Lui stesso era molto in pensiero per il suo signor Sesshomaru, poiché aveva lasciato detto che sarebbe tornato presto, dato che il tempo stringeva. Eppure erano passate varie settimane dalla sua partenza, e il vuoto della sua assenza si faceva sempre più grande. Cosa avrebbe fatto senza il suo padrone? Sarebbe stato condannato a vegliare sulla sua umana prediletta per il resto dei propri giorni?
Rin si asciugò le lacrime, incapace di rimanere ferma sul pavimento, piegata su se stessa, a piangere. L’avrebbe cercato. Sarebbe andata anche in capo al mondo per ritrovarlo. Lui l’aveva sempre protetta da ogni pericolo e, in più di un’occasione, l’aveva salvata. Lei, misera, fragile ed effimera essenza umana, avrebbe forse potuto qualcosa contro le correnti di un destino che sembrava farsi sempre più avverso?
I giorni trascorsero, lenti ed inesorabili, aumentando la disillusione e la sofferenza di Rin. Sesshomaru aveva sempre mantenuto le sue promesse. Se in quell’occasione aveva fallito, ciò dipendeva sicuramente da forze esterne alla sua volontà, che l’avevano sopraffatto. Il suo dolore si fece più violento, privandola della possibilità di reagire, perché lo amava, disperatamente, intensamente, profondamente, e non aveva senso trascorrere una vita senza poter incrociare quotidianamente il suo sguardo dorato e altero, affondare le dita nella sua lunga e morbida coda immacolata, giocare con i suoi meravigliosi capelli argentati e stringerli in una treccia, fantasticando con ogni dettaglio del suo volto tanto amato e agognato. Jaken, e Kagome, la vecchia Kaede, Inuyasha, e Sango, Miroku, Kohaku, Shippo… nessuno sapeva come consolarla. Forse solo la morte, da cui con tante difficoltà più volte era sfuggita, le avrebbe offerto il conforto che perseguiva e inseguiva con costernazione.

*

Fu nel cuore di una notte di luna piena che Sesshomaru tornò da lei.
All’inizio le parve solo un’evanescente figura bianca, illuminata dalla forte luce lunare che penetrava dall’uscio lasciato spalancato. Rin lo osservò in silenzio, ricambiandone lo sguardo ambrato, colmo di tenerezza e desiderio. Poi la visione finì, e Rin si ritrovò stretta fra le sue braccia, vere, fisiche, materiali, e il profumo di sottobosco che impregnava la figura di Sesshomaru le arrivò alle narici, penetrandole nella carne, riempendole i polmoni, impregnandole l’anima.
Scoppiò a piangere e, con in cuor suo la gratitudine di cui era colmo il suo spirito e il sollievo per la sorte positiva del suo amato, una preghiera di ringraziamento si levò limpida e sincera al cielo, ai Kami che l’avevano protetto. E a Sesshomaru, che aveva mantenuto la sua promessa.



*ringraziamento per le persone che dimostrano un grande impegno nello svolgere i propri compiti.

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Capitolo 14
*** Taihen. ***


Taihen.*
 
 

Il giorno dell’addio arrivò presto.
L’inverno avanzava imperituro; le braccia magre degli alberi piegati sotto la coltre nebulosa e stanca dell’autunno inoltrato si apprestavano a resistere al gelo del lungo sonno prima della rinascita primaverile.
L’inverno era la stagione preferita di Rin. La neve immacolata che scendeva dal cielo le ricordava, per lucentezza e candore, la consistenza morbida dei capelli di Sesshomaru, e il fascino algido della stagione richiamava l’animo altrettanto freddo del glaciale Principe dei demoni. Glaciale in apparenza, perché nel profondo del suo animo regnava un calore benefico e sconfinato, un’ardente fiamma, solo per lei. Ghiaccio bollente, pietra tagliente e smussata al tempo stesso, lama mortale e taumaturgica insieme.
Poco dopo lo spegnersi del violaceo crepuscolo, freddo e livido nei colori e nella quiete serale, il demone maggiore discese dalla sua dimora celeste per unirsi ai comuni mortali. L’odore delle lacrime di commozione di Rin toccò particolarmente il suo animo già fremente, incapace di sopportare oltre l’attesa di quel momento cruciale.
La ragazza uscì dalla casa della sacerdotessa che, per molti anni, l’aveva cresciuta, coccolata ed istruita. Seguita dalla figura sempre più curva e affaticata della vecchia e saggia Kaede, Rin incedette sul terreno duro della via principale del villaggio raccolto intorno ai focolari domestici, inoltrandosi lungo il sentiero del proprio destino. Poco in lontananza, la nuova miko, il di lei marito mezzodemone – suo fratello, finalmente accettato come tale dopo anni di dispute e odio –, i due figli di quell’unione – i suoi nipoti, constatò in un contrastante mix di incondizionato affetto e inevitabile ribrezzo per la loro natura ibrida  –, e poi i due sterminatori, il monaco, altri tre ragazzini e il cucciolo di demone volpe. Tutti si erano recati lì per partecipare al momento di gioia della sua piccola Rin e darle il loro personale commiato.
Dopo il rito delle nozze terrene, celebrate con semplicità e raccoglimento nel piccolo tempietto shintoista posto sulla sommità della collina che dominava il villaggio e l’intera vallata, arrivò il momento dell’addio. A turno l’abbracciarono, le accarezzarono il volto, le mormorarono parole d’arrivederci e di buona fortuna che arrivarono cristalline al suo udito sopraffino. Kagome la strinse a lungo a sé, piangendo in silenzio per quella separazione poco gradita. Anche se sapeva che sarebbe stata felice, immortalmente felice – dato che l’elisir di lunga vita, somministratole giorni addietro, e dopo un periodo di osservazione per comprenderne la portata reale, aveva avuto effetto in modo completo ed efficace  –, le sarebbe comunque mancata la bambina, poi ragazza e infine bellissima giovane donna con cui aveva trascorso fianco a fianco otto anni della propria vita, che le aveva fatto da levatrice per il suo secondogenito, che l’aveva tanto aiutata ad ambientarsi nei primi tempi successivi al suo ritorno nell’epoca Sengoku.
Rin, fasciata nel kimono nuziale e velata dal candido tessuto di seta delle spose regali, levò gli occhi accesi di emozione e timore su Sesshomaru, che per l’occasione aveva fatto sfoggio di un kimono tradizionale, tanto da parere una creatura ultraterrena, un dio sceso in terra. Agli occhi della giovane il demone apparve ancor più magnifico di quanto già non fosse, di una bellezza fatale, folgorante, che le strinse il cuore in una morsa di felicità.
Infine, nella notte silente e splendida di stelle, la sposa celeste ascese al cielo col suo nobile signore.




*grande cambiamento.

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Capitolo 15
*** Karma. ***


Karma.
 
 


Il destino sapeva essere davvero beffardo, a volte.
Sesshomaru aveva combattuto spesso contro di esso, vincendo sempre. Ma nulla avrebbe potuto, in tale caso.
Il filo rosso che lo univa a Rin, quello l’aveva percepito fin dal loro primo incontro. L’aveva rifiutato, rinnegato, sbeffeggiato, tentando inutilmente di nascondere quei sentimenti crescenti che provava per lei, per la sua natura insignificantemente, eppure meravigliosamente, umana. Il destino l’aveva legato anima e cuore ad un essere la cui vita si sarebbe spezzata troppo presto, condannandolo all’infelicità, alla solitudine, al dolore. E dunque aveva combattuto di nuovo, portando a casa un risultato insperato: l’immortalità della sua amata.
E poi si erano congiunti spiritualmente, secondo gli sciocchi rituali religiosi degli umani, secondo le regole di quell’infima feccia inferiore che aborriva, e poi l’aveva portata con sé nel suo piccolo dominio celeste. Si erano congiunti in ogni modo possibile, e ora il destino gli remava nuovamente contro.
Ma stavolta Sesshomaru non avrebbe potuto nulla di fronte al mistero più grande della vita, incombente su di lui come una spada di Damocle. Di lì a poche settimane l’avrebbe finalmente guardato in faccia, facendo i conti con sentimenti contrastanti, che s’agitavano come venti di tempesta sotto l’apparentemente tranquilla e gelida corazza della sua indifferenza, stampata come sempre sul volto imperturbabile. Per la prima volta nella sua pluricentenaria vita, il demone aveva paura, senza però poter porre un freno ai suoi dubbi e al contrasto dilaniante di emozioni che lo consumavano da dentro.
Di lì a poche manciate di giorni avrebbe fronteggiato questo nuovo rivale - aveva senso definirlo tale? - e nella sua mente, inspiegabilmente non più tanto fredda e razionale, rimbombò ancora la risata soddisfatta e incredula di Inuyasha. Risata che aveva fatto rabbrividire impercettibilmente Sesshomaru, mai in vita sua così confuso ed insicuro.
Eppure avrebbe dovuto prevederlo, si rimproverò ancora. Sarebbe successo, prima o poi. Era naturale.  Così dannatamente ovvio e naturale, eppure il demone non riusciva a perdonarsi completamente quella svista madornale. Credeva che l’elisir avrebbe modificato tante altre cose in Rin, concedendole in cambio la vita eterna. Ma quell’insignificante dettaglio non era contemplato.
La voce di Rin in lontananza lo ridestò dai meandri delle sue meditazioni. In poche falcate le si avvicinò. Le accarezzò il volto stanco, l’ombra di un sorriso amorevole sulle labbra sottili e solitamente inespressive del volto demoniaco. La di lei figura ingombra era morbidamente accoccolata sotto un grande albero di ciliegio, tra le mani un mazzo di fiori freschi appena colti dal campo davanti a loro. Era cambiata tanto, eppure rimaneva fedele a se stessa, la sua Rin. Si era aggiunta nuova tenerezza al suo sguardo dolce, e nonostante a fatica delle ultime settimana sprizzava gioia da tutti i pori, in attesa del lieto evento.
E così fremeva Sesshomaru, impaziente  e al contempo atterrito al pensiero di diventare padre. Non per la natura di mezzodemone che avrebbe avuto suo figlio, no, quella l’aveva già accettata da tanto tempo, sebbene con molta, molta fatica. Quello che temeva era Inuyasha, che l’avrebbe sbeffeggiato almeno per i successivi cinquant’anni. Perché, prima di Rin, mai Sesshomaru avrebbe accettato un mezzodemone in famiglia, e invece adesso ne sarebbe diventato presto il padre.
Cosa buffa, il destino. Come una ruota che gira e che, inevitabilmente, tocca a tutti, prima o poi.

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