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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Capitolo 1: Loyal, Brave and True *** Capitolo 2: *** Capitolo 2: Reasons I drink *** Capitolo 3: *** Capitolo 3: Never give up *** Capitolo 4: *** Capitolo 4: Hunter's Moon *** Capitolo 5: *** Capitolo 5: Courage of change *** Capitolo 6: *** Capitolo 6: The River *** Capitolo 7: *** Capitolo 7: Blood on my hands *** Capitolo 8: *** Capitolo 8: Not your monster *** Capitolo 9: *** Capitolo 9: Our solemn hour *** Capitolo 10: *** Capitolo 10: Don't lie to me *** Capitolo 11: *** Capitolo 11: Go high *** Capitolo 12: *** Capitolo 12: Masters of destiny *** Capitolo 13: *** Capitolo 13: The Reckoning *** Capitolo 14: *** Capitolo 14: Neverending ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1: Loyal, Brave and True ***
LOYAL, BRAVE AND TRUE
Capitolo primo: Loyal, Brave and True
Will I be stronger
Or will I be weak
When you're not with me?
Who am I without my armor?
Standing in my father's shoes
All I know is that it's harder
To be loyal, brave and true.
(“Loyal Brave True”- Christina Aguilera)
Juan Borgia era ormai
in vista del castello del Re di Napoli e si sentiva molto combattuto.
Una parte di sé era
compiaciuta, poiché il padre, invece di rimproverarlo per la condotta
sconsiderata che aveva tenuto durante l’assedio di Forlì, gli aveva affidato
una missione importante, con grande scorno del fratello Cesare; l’altra parte,
però, quella del suo orgoglio ferito, bruciava. Aveva avuto l’impressione che
Papa Alessandro lo avesse voluto allontanare da Roma proprio per tenerlo
lontano dai guai… e poi, a dirla tutta, si infuriava ancora quando ripensava al
modo in cui, più di tre anni prima, il Principe Alfonso e la sua sorellastra
Sancha si erano presi gioco di lui. A quel tempo Re Ferrante era ancora vivo,
sebbene ormai ridotto a un vegetale, Alfonso di Napoli era sicuro del suo Regno
e desideroso di allearsi con i Borgia per rafforzare la sua posizione. Proprio
per questo la sorellastra Sancha era stata promessa in sposa al giovanissimo
Goffredo e lui, Juan, era andato a Napoli per organizzare il matrimonio, come
Gonfaloniere e Capitano Generale della Chiesa. Per tutto il tempo, tuttavia,
Juan era stato oltraggiato e deriso dal Principe e dalla sorellastra, che
avevano fatto più volte accenno alle origini bastarde di tutti i figli del Papa e lo avevano ridicolizzato, come
se la sua parola valesse meno di niente. Sancha, poi, lo aveva continuamente
provocato per divertirsi con lui come avrebbe fatto con un qualsiasi garzone…
Sì, l’ego smisurato
di Juan era ancora ferito da quel lontano ricordo. E non moriva dalla voglia di
rivedere quel ragazzino spocchioso e insolente!
Tuttavia adesso la
situazione era rovesciata e sarebbe stato lui a ridicolizzare il Principe
Alfonso, che ormai era un regnante solo di nome.
“Juan,
è giunta l’ora che tu dimostri di essere un Borgia a tutti gli effetti” aveva
detto suo padre, Rodrigo Borgia, il Papa di Roma. “Hai ventitré anni e io non
posso continuare a concederti delle occasioni perché tu le distrugga. Ti avevo
mandato in Spagna perché ti sposassi e tu invece sei partito con i
Conquistadores per le Americhe; ti avevo affidato il comando dell’esercito che
assediava la fortezza di Caterina Sforza e tu hai fallito ancora, lasciando a
Ludovico il Moro tempo a sufficienza per giungere in soccorso della cugina e
sbaragliare le nostre truppe!”
“Sembrate
dimenticare, padre, che io stesso sono rimasto ferito in quell’occasione. Sarei
potuto morire!” aveva reagito Juan, indignato.
“Difficile,
visto che sei scappato dopo che eri stato ferito alla gamba, lasciando l’esercito
in balia di Ludovico Sforza…”
“Allora
sono un fallito che non merita niente, è questo che volete dire, padre? Vi
siete pentito di non aver scelto Cesare per questi incarichi, non è così? Oh,
lui sì che sarebbe stato valoroso, vi avrebbe reso fiero… non come me che, a
quanto pare, non faccio altro che deludervi!” Juan non sapeva se dovesse
sentirsi più offeso o amareggiato per i rimproveri del padre.
“Non
è questo, è soltanto che non so più come fare con te, per farti diventare l’uomo
che potresti e dovresti essere” aveva sospirato il Papa che, nonostante tutto,
continuava a credere in quel figlio scapestrato e disobbediente. “Per questo ho
deciso di affidarti un nuovo incarico molto importante, ma questa è l’ultima
volta, ricordalo. Come Gonfaloniere e Capitano Generale della Chiesa, ti
recherai a Napoli con un buon numero di truppe dell’esercito papale per offrire
la protezione dei Borgia al Principe Alfonso…”
Già, le cose erano
davvero cambiate nel regno di Napoli dall’ultima volta in cui ci era stato,
pensò Juan sogghignando tra sé. I Francesi, guidati da Re Carlo, avevano
tentato di invadere l’Italia e proprio il Papa aveva concesso loro di passare
da Roma e di prendersi Napoli, pur di non essere destituito. Re Carlo aveva
conquistato la città senza colpo ferire visto che, nel frattempo, Re Ferrante
era morto e quel ragazzino viziato e insolente di Alfonso era scappato. Quello che
era accaduto, poi, era frutto di voci e supposizioni. Si sapeva che il Re
francese era riuscito a catturare Alfonso e a farlo prigioniero e poi, quando
gli Stati italiani si erano uniti per cacciarlo dalla penisola, era tornato in
Francia portando con sé il prezioso ostaggio. Si diceva che il braccio destro
di Re Carlo, un valoroso Generale di mezza età, si fosse preso particolarmente
a cuore il destino del Principe. *
Due anni prima, nel 1495, il sovrano francese aveva deciso di rimandare Alfonso
e il suo Generale a Napoli: il Generale avrebbe tenuto il Regno in
rappresentanza del suo Re e Alfonso… beh, Alfonso sarebbe stato semplicemente
il Re fantoccio, tanto per non
scontentare la Spagna. **
Il problema era sorto
perché, sei mesi prima, il Generale si era gravemente ammalato ed era morto
poco più di un mese prima. A quel punto, Re Carlo non aveva più un suo uomo di
fiducia a guidare il Regno di Napoli e Papa Alessandro temeva che potesse
inviare nuovamente un esercito in Italia: si era mosso in anticipo e aveva
fatto in modo che fossero i Borgia a offrire la protezione necessaria al
giovane Principe.
“Se
saprai giocare bene le tue carte e conquistarti la fiducia di quel Principe
giovane e inetto, sarai tu a governare il Regno di Napoli, anche se
ufficialmente la corona apparterrà ad Alfonso” gli aveva spiegato Rodrigo
Borgia. “Nel caso dovessi fallire anche questa volta, allora il tuo compito
sarà di uccidere il ragazzo e non credo che la cosa ti creerà problemi, mi
sbaglio per caso? A quel punto, in mancanza di altri eredi diretti, saranno
Goffredo e sua moglie Sancha a trasferirsi a Napoli e il regno sarà loro. Sancha
è comunque una figlia illegittima di Re Ferrante.”
Rodrigo Borgia
avrebbe vinto in entrambi i casi, pensò Juan. Il regno sarebbe stato degli
Aragonesi agli occhi del mondo, ma dei Borgia nella realtà dei fatti: Alfonso e
Sancha erano solo delle pedine in quel gioco…
Ma, questa volta,
Juan era ben deciso a non fallire. Non avrebbe dato l’ennesima delusione al
padre e a se stesso, sarebbe riuscito a manipolare il Principe Alfonso e
avrebbe governato lui il Regno di Napoli. Non poteva farsi passare avanti anche
da Goffredo, l’ultimogenito della famiglia!
Nel frattempo, nel
suo castello di Napoli, il Principe Alfonso guardava apatico e sconsolato i
preparativi per l’arrivo del Gonfaloniere Juan Borgia e delle sue truppe. Sarebbero
arrivati nel primo pomeriggio ed era stato organizzato un grande banchetto in
loro onore.
Ad Alfonso non
importava assolutamente niente. Sapeva benissimo, ormai, che quella che i
Borgia chiamavano protezione era solo
un altro modo per dire che sarebbero stati loro a governare il Regno di Napoli,
così come avevano fatto i Francesi prima di loro. Questa volta non avrebbe
nemmeno cercato di ribellarsi, gli era bastato ciò che era accaduto l’unica
volta in cui ci aveva provato… se non fosse stato per l’intervento del
Generale, lui sarebbe morto tra torture atroci e spaventose che Re Carlo aveva
fatto in modo di prolungare per ore e ore.
Il Generale, già. L’uomo
che gli aveva salvato la vita tre anni prima e che lo aveva preso sotto la sua
protezione. L’uomo che, unico tra tutti i Francesi, si era interessato
veramente alla sua situazione e che lo aveva aiutato a riprendersi, lo aveva sempre
difeso, era stato accanto a lui, lo aveva fatto sentire importante anche quando
sapeva bene di non esserlo più. Il Generale era stato sempre gentile, era un
uomo valoroso e leale e gli aveva voluto bene. Sì, certo, si era anche preso
delle libertà eccessive nei suoi
confronti, cose che lui non era sicuro di avere accettato né capito bene fino
in fondo… Eppure era stato per tre anni il centro del suo mondo, vicino a lui
non aveva più paura e sapeva di poter contare sempre sul suo appoggio e sul suo
affetto.
Quando, sei mesi
prima, il Generale si era ammalato e il dottore aveva detto che c’erano poche
speranze, Alfonso si era sentito gelare il sangue. Non poteva, non poteva
lasciarlo solo! Cosa avrebbe fatto senza di lui? No, non lo poteva accettare,
non era giusto!
Il Principe aveva
trascorso gli ultimi mesi senza praticamente muoversi dalla stanza del
Generale, era lui ad occuparsene, a curarlo, a cercare di farlo mangiare… come
aveva fatto anche con suo padre, ma con tanta disperazione in più, perché, pur
non essendo innamorato di lui, sapeva che il Generale era l’unica persona al
mondo alla quale voleva davvero bene. Se all’inizio si era affidato a lui solo
per sentirsi al sicuro, più passava il tempo e più sentiva di provare un
affetto vero e sincero per quell’uomo. Così, in quegli ultimi mesi, oltre a
occuparsi di lui, aveva voluto passare ogni istante in sua compagnia, straziato
al pensiero che sarebbero stati gli ultimi giorni, le ultime settimane. Si
arrampicava sul letto accanto a lui e gli leggeva dei libri, gli parlava,
cercava di mostrarsi forte e sereno per non farlo preoccupare.
Solo quando, alla
fine, il Generale era morto, Alfonso si era lasciato andare alla disperazione.
Aveva pianto tutte le sue lacrime, si era gettato sul suo corpo ormai privo di
vita supplicandolo di non lasciarlo solo, di non abbandonarlo, gridando e
singhiozzando come un bambino. Non era stata la reazione più adeguata per un
Principe, tanto meno per un giovane di diciotto anni com’era ormai lui, ma il
dolore era troppo forte e non gli importava niente di ciò che avrebbero pensato
guardie e servitori.
“Mi avevate promesso
che sareste stato sempre con me, che mi avreste protetto” aveva gridato tra le
lacrime, stringendosi al corpo del Generale e divincolandosi da quelli che
volevano portarlo via. “Me l’avevate promesso, dovete tornare da me, non mi
potete abbandonare, no, non voglio!”
Durante il funerale,
Alfonso era svenuto e il dottore lo aveva trovato in preda a una febbre
altissima. Aveva trascorso le due settimane seguenti tra la vita e la morte e
tutti avevano iniziato a pensare che il giovane Principe avrebbe ben presto
seguito nella tomba il suo protettore… ma non era andata così. A poco a poco
Alfonso si era ripreso, la febbre si era abbassata e poi era scomparsa e il suo
fisico aveva reagito. Ma la consapevolezza della solitudine aveva steso un’ombra
scura sul volto di quel ragazzo un tempo vivace, irriverente e ironico.
Il Principe Alfonso
aveva perduto ogni illusione, non credeva più in niente e attendeva soltanto il
prossimo invasore, colui che, ancora una volta, lo avrebbe circuito o peggio
per portargli via il Regno di Napoli. E adesso stava per arrivare Juan Borgia.
Se lo ricordava, lo aveva preso in giro e umiliato senza pietà quando le cose
erano ben diverse, quando lui era l’erede di Re Ferrante e Juan Borgia solo il
bastardo del Papa.
Adesso si sarebbe
voluto vendicare, Alfonso ne era certo, ma non gli importava più di tanto. Si
prendesse pure il Regno di Napoli, se lo voleva.
Bastava che non gli
facesse del male…
Non aveva paura di
morire, non più ora che era rimasto da solo, ma ricordava troppo bene ogni
secondo delle orribili torture subite nelle segrete, quando era stato
sottoposto alle peggiori sevizie, straziato dai dolori, lacerato anche nelle parti
più delicate del suo corpo. No, non avrebbe mai potuto sopportare un’altra
volta simili atrocità. Se Juan Borgia era venuto per ucciderlo e prendere il
potere che lo avvelenasse, allora. Non erano famosi per avvelenare la gente, i
Borgia?
Dunque, nessuno dei
due era del suo umore migliore quando, quel pomeriggio, si incontrarono.
Lasciati i cavalli
alle cure degli stallieri e i soldati a ristorarsi nei locali destinati alla
servitù, Juan Borgia si fece scortare fino alla sala del trono, di cui
conservava ricordi piuttosto negativi, al cospetto di Alfonso.
“Il Gonfaloniere e
Capitano Generale della Chiesa, il Duca di Gandia
Juan Borgia” annunciò il maestro di palazzo all’ingresso del giovane nel
salone.
Un
nome meno pretenzioso non poteva trovarlo, eh? Sembra che siano entrate almeno
tre persone, pensò Alfonso con un’ombra dell’antica ironia pungente,
mentre Juan entrava nella sala del trono con passo disinvolto e si inchinava
con l’aria di ritenere che, caso mai, sarebbe dovuto essere il contrario. In
passato Alfonso non si sarebbe fatto scrupoli a dire ad alta voce quello che
aveva pensato, ma non erano più quei tempi.
“Benvenuto,
Gonfaloniere” si limitò a mormorare. “Spero che apprezzerete l’ospitalità del
mio castello.”
“Lo spero anch’io,
visto che sono venuto qui per offrirvi la protezione della mia famiglia, Vostra
Maestà” rispose Juan. “Pertanto mi auguro di apprezzare questa ospitalità per
un periodo di tempo molto lungo.”
E poi entrambi
alzarono lo sguardo e rimasero in silenzio per un lungo istante.
Juan si era aspettato
una versione un po’ più adulta del ragazzino egocentrico e impudente che
ricordava, ma quel Principe pallido dai grandi occhi neri e tristi pareva l’ombra
malinconica di ciò che era stato. E Alfonso restò ancora più sorpreso, perché
Juan era cambiato davvero tanto rispetto a tre anni prima: allora sembrava un
ragazzo, ma ora era diventato decisamente un uomo, con i capelli castano dorati
ormai lunghi fino a sfiorargli le spalle e i baffi e il pizzetto che, assieme
allo sguardo penetrante degli occhi castani e al sorrisetto malizioso appena
accennato, contribuivano a renderlo decisamente un personaggio da cui
guardarsi.
A disagio senza
sapere bene perché, Alfonso si alzò dal trono con la vaga idea di accompagnare
lui stesso il giovane Borgia nella sala da pranzo dov’era stato allestito il
banchetto, senza attendere che lo facessero i servitori. Beh, se era venuto per
portargli via il trono, tanto valeva che iniziasse ad abituarsi, no?
“Venite da questa
parte, Gonfaloniere, vi prego. Ci sarà un banchetto in vostro onore e… sì,
naturalmente anche i vostri capitani potranno partecipare” disse il Principe, consapevole
del fatto che si stava comportando da sciocco senza un motivo.
Certo
che lo so, il perché, si disse, cercando di spiegare il
suo turbamento. Questa è la stessa
situazione di tre anni fa, con il re di Francia e, magari, se mi mostro docile
e arrendevole, Juan Borgia non mi farà del male come… come avvenne allora. Ora
non c’è più nessuno a difendermi!
Ma era davvero questa
la ragione del turbamento di Alfonso di Napoli?
Fine capitolo primo
* Tutta questa vicenda è una mia libera interpretazione
della storia reale, tratta dalla fiction TV The Borgias.
Nella serie, in realtà, il Principe viene fatto torturare a morte da Re Carlo
ma io l’ho fatto salvare da questo Generale. La storia è raccontata per intero
nella mia long fic Shadows and lights.
** Anche questa parte di storia è una mia invenzione, che
però si lega agli eventi della fiction TV The Borgias
che, a sua volta, cambia non di poco la storia reale: quindi, in pratica, io
faccio la fanfiction di una fanfiction
e mi prendo tutte le libertà che voglio! xD In realtà Alfonso di Napoli era un
uomo adulto (combatté contro l’esercito di Lorenzo il Magnifico al fianco di Riario…)
e fu suo figlio Ferrandino a riconquistare il Regno nel 1495.
Nothing can give reprieve like they do
Nothing can give me a break from this torture like they do
Here we are
I feel such rapture and my comfort is so strong, oh
One more sip
It feels so helpful in my need for some long overdue respite
And these are the reasons I don't even think I would quit
And these are the reasons I can't even see straight, and
And these are the ones whom I know it so deeply affects
And I am left wondering how I would I function without it…
(“Reasons I drink” – Alanis Morissette)
Il Principe Alfonso
aveva imparato a sue spese, tre anni prima, a non concedere più tanto
facilmente la sua fiducia a qualcuno e, dopo la dolorosa perdita del Generale,
era diventato ancora più sospettoso e pronto a pensare il peggio di chiunque.
Pertanto si aspettava brutte sorprese dal giovane Borgia, che era venuto, a suo
dire, per proteggere il suo Regno da eventuali altre invasioni da parte dei
Francesi o di chissà chi.
Erano ben altre le
ragioni della sua presenza a Napoli, riteneva Alfonso.
Ricordava bene
quando, durante il viaggio verso la Francia, due anni prima, Re Carlo e il suo
seguito, del quale anche lui faceva parte seppure come ostaggio, erano stati
ospitati nel palazzo del Papa Borgia. Oh, sì, il pontefice aveva ostentato una
grande cortesia nei confronti del sovrano francese e anche del giovane
Principe… eppure lui sapeva benissimo che Re Carlo aveva proseguito
indisturbato la sua marcia verso la conquista del Regno di Napoli proprio con
la benedizione di Papa Alessandro VI. E per tutto il tempo in cui erano stati
suoi ospiti, Rodrigo Borgia non aveva fatto altro che dissimulare e tentare di
manipolarli, tutti quanti, cercando di tenere in piedi un doppio gioco che solo
per caso non era andato a buon fine. Il vero scopo del Borgia, infatti, era
quello di mettere sul trono di Napoli suo figlio Goffredo, sposato con Sancha,
la figlia illegittima di Re Ferrante. Rodrigo Borgia non lo aveva mai perdonato
per aver rifiutato, anni prima, la proposta di matrimonio con Lucrezia,
definendola una figlia illegittima indegna
di unirsi a un Principe aragonese… *
Juan Borgia non era
venuto a Napoli per proteggerlo, come
affermava.
Juan Borgia era
venuto per assassinarlo, su ordine del padre. Era stato mandato a fare il
lavoro sporco in cambio di chissà quale ricompensa, e sarebbero stati Goffredo
e Sancha, sotto l’egida del Papa, a governare Napoli.
L’unica cosa che
restava da scoprire era come e quando il giovane Borgia avrebbe fatto la sua
mossa. Era ospite nel castello reale già da due giorni e non aveva ancora
tentato niente, ma Alfonso era convinto che non avrebbe atteso oltre. Lui,
però, cosa poteva fare? Non aveva né amici né protettori, adesso che il
Generale era morto. Le famiglie nobili di Napoli lo odiavano come avevano
odiato suo padre e non avrebbero mosso un dito per salvarlo, pensando magari di
approfittare della situazione per ottenere privilegi e benefici.
Questi erano i
pensieri del ragazzo mentre, quel mattino, ammirava la straordinaria bellezza
del Golfo di Napoli, appoggiato ad una delle colonne del loggiato. Era talmente
assorto nei suoi pensieri e nella contemplazione del paesaggio da non
accorgersi che Juan si era avvicinato silenziosamente a lui; quando si accorse
della sua presenza, trasalì. Sentì che il cuore gli arrivava in gola e quasi
gli impediva di respirare, il sangue gli pulsava violentemente nelle vene e le
gambe parevano cedergli…
Certo, era la paura,
cos’altro poteva essere? Sapeva bene che il giovane Borgia era una minaccia per
lui.
Ma l’agitazione che
lo aveva invaso non si calmò, anzi parve addirittura aumentare quando Juan,
senza alcuna intenzione di nuocergli, gli si mise accanto e sembrò lasciarsi
anche lui incantare dal panorama offerto dal Golfo di Napoli.
“Mio padre aveva
ragione, questo Regno è davvero un paradiso di bellezza e di piaceri” commentò,
con un sorrisetto che, per qualche motivo, fece accelerare ulteriormente le
pulsazioni già impazzite di Alfonso. “Capisco perché Vostra Maestà vi sia tanto
legato e anche perché in tanti lo desiderino. Tuttavia non dovete più temere
un’invasione nemica ora che godete della protezione della mia famiglia.”
“Quando mio padre era
vivo bastava il suo nome a far tremare chiunque. I suoi metodi non erano sempre
giusti, questo è vero, ma forse era l’unico modo che aveva per mantenere il suo
Regno” rispose Alfonso. “Penso che ricordiate bene la sala da pranzo del Re che
vi mostrò mia sorella Sancha, quando veniste qui, sebbene siano passati più di
tre anni.”
Juan, in realtà,
ricordava ben poco di quella stanza, perché Sancha ce l’aveva portato, sì, ma
poi gli era saltata addosso ed avevano fatto di tutto meno che osservare come Re Ferrante trattava i
suoi nemici. Però, magari, quello non poteva dirlo ad Alfonso. O forse sì?
“Devo ammettere che
era buio e che alla tenue luce di una candela non potei rendermi conto
pienamente della disposizione della
stanza. Inoltre vostra sorella era… come dire… non molto informata su come si
erano svolti i fatti” replicò il giovane, con una luce maliziosa negli occhi.
“Perciò sarei molto lieto di potervi fare ritorno insieme a voi, che
sicuramente sarete in grado di raccontarmi l’origine della stanza.”
Ancora una volta
Alfonso trasalì. Il sorrisetto storto e lo sguardo penetrante con cui Juan lo
fissava lo facevano sentire ancora più strano, come se non fosse in grado di
muovere un passo; inoltre non era più tornato in quella stanza da quando il Re
francese ve lo aveva rinchiuso per punirlo,
una terribile sera di più di due anni prima. Troppi ricordi dolorosi erano
legati a quel posto, ormai…
“Io… penso che
abbiate visto comunque abbastanza per poter capire…” tentò di obiettare il
ragazzo, ma Juan gli circondò le spalle con un braccio (causandogli un
principio di fibrillazione…) e lo spinse con una sorta di amichevole insistenza
verso il corridoio.
“Io invece penso di
no e ci terrei molto a vederla con la luce del giorno” ripeté il giovane
Borgia.
Cosa poteva fare
Alfonso? Annuì, perché non riusciva nemmeno più a parlare, e si incamminò
lentamente verso la famigerata sala da pranzo di Re Ferrante, con Juan che non
si staccava da lui.
Nella mente confusa
da tante emozioni, il povero Principe si convinceva sempre più che le manovre
di Juan Borgia somigliassero in modo inquietante al modo di fare di Re Carlo e
che, con ogni evidenza, sarebbe andata a finire allo stesso modo. Altrimenti
perché tanta curiosità per quella stanza che, in fondo, aveva già visto?
Tuttavia lo
accontentò e, non appena giunti nella sala, la prima cosa che Alfonso fece fu
andare a spalancare tutte le finestre che, per fortuna, davano sul mare. Non
sarebbe rimasto in quel posto al buio nemmeno per cinque secondi, ricordava fin
troppo bene il terrore e l’angoscia provati quando Re Carlo lo aveva fatto
legare ad una di quelle sedie, come se fosse uno dei commensali, e lo aveva tenuto lì per ore.
Mentre il Principe
restava appoggiato al davanzale di una delle finestre, Juan Borgia camminava lentamente
per la stanza, guardando insieme affascinato e disgustato lo spettacolo dei
nobili nemici del Re Ferrante fatti uccidere, mummificati e disposti a tavola
come se fossero Gesù e i suoi Apostoli durante l’Ultima Cena. Cominciava a
pensare che crescere con un padre come il Re di Napoli fosse stato anche peggio
che crescere come un bastardo di Papa Borgia… Però non c’era dubbio che
difficilmente qualcuno avrebbe deciso di mettersi ancora contro quel sovrano.
Fatto il giro della
stanza, Juan andò a sistemarsi accanto ad Alfonso, davanti alla finestra. Si
rendeva conto che la sua vicinanza turbava oltremodo il giovane Principe e la
cosa lo incuriosiva e lo divertiva. Juan Borgia era abituato a piacere alle
donne ma, a dire il vero, la cosa non gli interessava più di tanto, anzi si era
sempre ben guardato dall’instaurare una relazione seria con qualcuna: quello
che voleva lui era il piacere che trovava nei bordelli, senza legami e senza
complicazioni.
Eppure, adesso,
vedere che Alfonso si imbarazzava e si sentiva a disagio in sua presenza gli
provocava un piacere diverso, più profondo… Beh, meglio così, si disse, visto
che il padre voleva che il Principe finisse per dipendere da lui!
Juan si appoggiò con
i gomiti al davanzale e rivolse uno sguardo accattivante ad Alfonso, che da
parte sua cercava accuratamente di evitare di guardare tanto il giovane Borgia
quanto i nobili avversari di suo padre.
“Dunque, Vostra
Maestà, quale sarebbe la storia di questa stanza?” chiese, come se stesse
parlando del tempo.
Alfonso si tormentava
le maniche del farsetto e non sapeva dove rivolgere lo sguardo.
“Le famiglie nobili
del Regno di Napoli non accettavano il dominio di mio padre, erano abituate ad
avere privilegi e favori speciali e si coalizzarono per impedire lo sviluppo di
una nuova organizzazione politica ed economica che avrebbe tolto loro potere.
Così ordirono una congiura contro di lui, ma mio padre la scoprì” iniziò poi a
raccontare. “Saputi i nomi di tutti coloro che avevano partecipato alla
congiura, mio padre li invitò ad un banchetto proprio in questa sala, fingendo
di voler festeggiare con loro le nozze di una sua nipote. In realtà, però, li
fece catturare dalle sue guardie, torturare a morte nelle segrete e, alla fine,
ordinò che fossero mummificati e messi in posa qui, come monito per chiunque
altro avesse tentato di ribellarsi a lui. Io allora avevo sette anni e ricordo
poco, ma mio padre mi ha raccontato molte volte questa storia. Certe sere lui
si dilettava a cenare qui, in compagnia degli antichi avversari…” **
Ancora una volta,
Juan si trovò a pensare che non doveva essere stato affatto facile crescere
come figlio di Re Ferrante!
“Immagino sia per
questo che Re Carlo, quando conquistò Napoli e mi catturò, pensò bene di
punirmi allo stesso modo” mormorò il Principe, talmente piano che Juan dovette
avvicinarsi ancora di più per riuscire a sentirlo. “Ordinò che fossi portato
nelle segrete e che fossi torturato con tutti gli strumenti più atroci e
terribili… e lasciò il dottore a sorvegliare le torture perché non voleva che
morissi subito… ogni volta che perdevo i sensi, il dottore doveva risvegliarmi
perché il supplizio continuasse… Non so quante volte… Suppongo che il Re
francese ci vedesse una qualche forma di giustizia
poetica.”
Questa volta anche
Juan, che non si era mai tirato indietro di fronte a risse, omicidi e brutali
assassini, sentì una specie di brivido lungo la schiena. Che razza di bestia
era quel Re francese? Torturare a morte un ragazzo, divertirsi a farlo soffrire
per una notte intera senza motivo alcuno… Lui stesso non aveva esitato a
rapire, torturare e minacciare di uccidere Benito, il giovanissimo figlio di
Caterina Sforza, ma lo aveva fatto davanti agli occhi di lei e solo per indurla
ad arrendersi. Ciò che il sovrano francese aveva fatto ad Alfonso, al
contrario, era una crudeltà gratuita e immotivata che non gli avrebbe arrecato alcun
vantaggio.
“L’idea di Re Carlo
era mettere anche il mio cadavere qui, in questa sala, nel posto vuoto in cui
dovrebbe esserci Giuda” le ultime parole di Alfonso furono quasi un sospiro.
“Se non fosse intervenuto il Generale, se non avesse convinto il suo Re a
risparmiarmi la vita e a tenermi come ostaggio, io sarei…”
Non poté finire la
frase, ma non ce n’era bisogno.
Lo sguardo di Juan
cadde sul polso destro del Principe che spuntava dalla manica del farsetto che
il ragazzo aveva tormentato fino a quel momento: vi spiccava una cicatrice
profonda che faceva pensare ad una ferita molto grave.
“Cosa vi siete fatto
al polso, Vostra Maestà?” chiese, incuriosito.
Il sorriso amaro che
sfiorò le labbra di Alfonso fece raggelare Juan, che non era solito lasciarsi
impressionare facilmente.
“Mi avevano
incatenato e mentre mi straziavano con… con uno strumento che mi avevano messo
in… beh, il dolore era talmente atroce e insopportabile che io, per tentare di
sfuggire a quella tortura, cercavo di sfilarmi le manette e il ferro… mi tagliò
quasi fino all’osso” rispose Alfonso, ora con uno strano sguardo fisso nel
vuoto. “Ma non me ne accorsi nemmeno, anzi, se avessi potuto mi sarei staccato
le mani a morsi pur di scappare…”
Ancora una volta Juan
circondò con un braccio le spalle del Principe, ma questo fu un gesto
spontaneo, non calcolato. Il racconto di Alfonso lo aveva veramente scosso e
sentiva il bisogno di stringerlo a sé. Nemmeno nelle sue esperienze più
violente, crude ed efferate aveva mai pensato ad una cosa del genere. Alfonso
non era un nemico, non era un ostacolo, e quando il Re lo aveva sottoposto a
simili sevizie era solo un ragazzino di nemmeno sedici anni…
“Non pensateci più,
nessuno oserà nemmeno immaginare una cosa del genere” gli disse. “Anzi, dovremo
fare in modo di essere temuti esattamente come lo era vostro padre, perché non
ci sia più pericolo di un’invasione. Siete sotto la protezione dei Borgia e mia in particolare, ma adesso voglio che
il mio e il vostro nome siano di nuovo il terrore di Napoli, come lo era quello
di vostro padre. Nessun nobile del Regno e nessun altro invasore straniero
dovrà metter piede nelle vostre proprietà, in ciò che vi spetta di diritto!”
Alfonso non sapeva se
si sentiva più sconvolto per aver ricordato l’orribile notte delle torture, per
le parole di Juan Borgia o… per il modo in cui lo aveva attirato a sé, per
incoraggiarlo o chissà cosa. Sapeva solo che non aveva mai provato nulla di
simile e non ne capiva il motivo!
“Vostra maestà,
dovrete portarmi a vedere anche queste segrete di cui avete parlato” riprese
Juan, “come vostro protettore e Capitano Generale dell’esercito papale che vi
difende devo conoscere ogni angolo del castello e credo che le segrete
rappresentino un luogo importante anche come deterrente per i vostri nemici.”
A queste parole, il
giovane Borgia sentì il corpo di Alfonso irrigidirsi e cominciare a tremare, ma
non poteva sapere quale incubo stesse passando per la mente del ragazzo e aveva
detto quelle frasi in tutta sincerità.
Ecco,
lo sapevo, è proprio come quella sera con Re Carlo, urlò
dentro di sé Alfonso, agghiacciato dal terrore. Anche il Re aveva finto di volermi al suo fianco e di parlarmi
amichevolmente per poi ingannarmi e farmi portare nelle segrete! E Juan Borgia
vuole fare lo stesso, vuole che le sue guardie mi strazino ancora in quel modo
e portino a termine il lavoro. Sono stato un idiota, eppure ormai dovrei aver
capito che non devo fidarmi di nessuno e tanto meno dei Borgia, sono loro i
primi a volere il Regno di Napoli! Lo sapevo che mi avrebbe ucciso, ma così…
così no, non posso sopportarlo ancora una volta, non così, non così…
Sempre tremando,
Alfonso inizio a piangere silenziosamente e a guardarsi intorno cercando
disperatamente un modo per sfuggire alla presa di Juan (ora capiva, finalmente,
perché lo avesse abbracciato… che stupido a credere che volesse solo fargli
coraggio!). Se avesse potuto, si sarebbe perfino gettato dalla finestra aperta:
meglio morire spezzandosi il collo che nella camera delle torture! Ma Juan non
lo lasciava e, a dirla tutta, lo guardava stranito, senza capire la reazione
esagerata del Principe. I ricordi di quelle segrete erano senz’altro
spaventosi, ma non c’era ragione di essere così atterriti…
Non poteva sapere
quanto il suo modo di fare gli avesse involontariamente ricordato la tremenda
farsa portata avanti da Re Carlo quella sera di tre anni prima!
Fine capitolo secondo
* Ho
raccontato questo episodio, da me inventato, nella mia long fic Shadows and lights… ma chi può dire che
queste non fossero le vere intenzioni di Rodrigo Borgia?
** La storia della congiura dei Baroni di Napoli contro
Re Ferrante è vera e anche la parte relativa alla vendetta (1486), non so però
se sia vera anche la storia della sala da pranzo…
Oh yeah, I'm
haunted by the distant past
Called to the skies but she was she overcast
But I won't
never give up, no, never give up, no, no
No, I won't never give up, no, never give up, no, no
And I won't let
you get me down
I'll keep gettin' up when I hit the ground
Oh, never give up, no, never give up no, no, oh…
(“Never give up” – Sia)
Non poteva essere vero, doveva essere un
incubo, pensava Alfonso, travolto dal terrore, mentre si lasciava condurre da
Juan lungo le scale che portavano alle segrete. Non poteva finire così, non un’altra
volta! Ormai non vedeva nemmeno più bene, le lacrime gli offuscavano la vista,
e poteva solo affidarsi, suo malgrado, al giovane Borgia, nonostante lo stesse
portando verso l’orrore.
Era proprio come quella sera maledetta in cui
Re Carlo lo aveva fatto condurre nelle segrete dal Generale, per poi
consegnarlo ai soldati che avrebbero straziato il suo corpo senza pietà. Le immagini
e il terrore mortale di allora si confondevano con ciò che stava accadendo
adesso… solo che il Generale non c’era più e, questa volta, nessuno sarebbe
arrivato in suo soccorso, nessuno avrebbe interrotto le torture.
Juan Borgia che, evidentemente, non aveva la
più pallida idea di cosa stesse passando per la mente del Principe, continuava
a sostenerlo mentre entravano nella camera degli orrori e si guardava intorno
con sincera curiosità. Quella era una cosa che gli mancava, non aveva mai
visitato una stanza delle torture e pensava che Re Ferrante, nella sua follia,
avesse avuto comunque una buona idea perché minacciare qualcuno di trascorrere
anche solo un’ora tra quei tormenti era un deterrente molto convincente.
“Vostra Maestà, posso capire che non vi
faccia piacere tornare in questo luogo di dolore, specie dopo quello che mi
avete raccontato” disse ad un certo punto. “E’ stato morboso e crudele da parte
del Re francese farvi una cosa del genere, specialmente considerando che non
aveva motivo di farlo, non dovevate confessare niente, non costituivate una
minaccia per lui… una malvagità gratuita che, in tutta sincerità, non riesco a
comprendere. Però non c’è bisogno di reagire così, insomma! Adesso siete voi il
Re di Napoli e sarebbe opportuno che imparaste a gestire tutte le armi di cui
siete in possesso per spaventare i vostri nemici, così come faceva vostro
padre.”
Vedendo che Alfonso non aveva intenzione di
calmarsi, Juan lo fece sedere sui gradini all’ingresso della stanza e si mise a
osservare quegli strumenti spaventosi per conto suo, riflettendo su quanto
sarebbero stati utili per consolidare il suo
potere sul Regno di Napoli. Perché, a dirla tutta, non aveva nessuna intenzione
di fallire, questa volta, e non avrebbe lasciato che fossero Goffredo e Sancha
a prendersi tutta la gloria. Toccava a lui e non gli dispiaceva affatto
lasciare che, ufficialmente, fosse Alfonso a governare. In fondo, il giovane
Principe dava prova ogni giorno di più di essere debole, spaventato e del tutto
dipendente da chiunque si prendesse la briga di guidarlo. E, in particolare,
stava dimostrando di essere molto vulnerabile in sua presenza… Juan non avrebbe
mai pensato di finire per esercitare il suo fascino su un Principe aragonese
piuttosto che su una prostituta ma, tutto sommato, era pure meglio così! I
vantaggi che una prostituta poteva dargli erano immediati e di breve durata, ma
quanto avrebbe potuto ottenere come protettore
del giovane Re di Napoli?
Ma, per fare questo, doveva innanzitutto fare
in modo che tutti lo temessero, così come temevano Re Ferrante. Se si fosse
fatto un nome in quel senso, il padre avrebbe lasciato che fosse lui a
governare il Regno, tenendo Alfonso sotto tutela, e Goffredo e Sancha avrebbero
dovuto arrangiarsi.
E chissà quanto si sarebbe infuriato Cesare!
Sarebbe schiattato d’invidia, quel guastafeste…
Juan sorrise tra sé mentre si crogiolava in
quei pensieri di soddisfazione e trionfo, finché non si accorse che Alfonso non
aveva la minima intenzione di tranquillizzarsi e, anzi, continuava a
singhiozzare sempre più forte. Adesso aveva iniziato anche a supplicare, come
se qualcuno lo stesse realmente seviziando. Ma che accidenti gli prendeva?
Gli si avvicinò per cercare di calmarlo, ma
fu anche peggio.
“No, vi prego… vi prego, non fatemi del male…
Farò tutto quello che volete, Gonfaloniere, vi supplico, non portatemi là…”
piangeva Alfonso, le parole spezzate dai singhiozzi.
“Che vi prende, Vostra Maestà? Perché mai
dovrei farvi del male o, peggio, torturarvi? Ma non avete capito che… Oh, ma
che diamine!” Juan non era un uomo molto paziente e si stancò presto di quel
tono deferente. Si sedette accanto al ragazzo e lo strinse a sé. “Non sono qui
per farti del male, lo vuoi capire sì o no? Insomma, Alfonso, vuoi ascoltarmi
una buona volta?”
Il tono spazientito ma tutto sommato più
confidenziale del giovane Borgia riuscì finalmente a scuotere Alfonso che,
cercando di soffocare i singhiozzi e di fermare il pianto, parve uscire dall’incubo
nel quale era precipitato e ritornare alla realtà.
“Voi… Gonfaloniere, non mi avete portato qui
con l’inganno per torturarmi a morte?” domandò, con un filo di voce.
“Va bene che la mia fama mi precede, ma che
idea ti sei fatto di me, si può sapere?” esclamò Juan, esasperato ma al
contempo intenerito da quella reazione da ragazzino e decidendo di abbandonare
una volta per tutte la messinscena del Vostra
Maestà… “Non ho nessuna ragione di farti del male, anzi, ti ho già detto
mille volte che sono qui per proteggerti e per difendere questo Regno. E,
comunque, non sono certo così meschino da portarti qui con l’inganno per seviziarti,
se pure avessi qualche motivo per volerti eliminare. Dammi retta, se avessi
voluto davvero farti del male te ne saresti accorto. Questi non sono certo i
miei metodi: i miei avversari li pugnalo o taglio loro la gola, non ho bisogno
di assurde sceneggiate!”
E, per quanto la cosa fosse tranquillizzante
solo fino ad un certo punto, Alfonso si calmò davvero a quelle parole, si
asciugò le lacrime e riuscì anche a guardare Juan dritto in faccia.
“Ma io… credevo che mi aveste portato quaggiù
per…” mormorò, senza fare caso al fatto che Juan Borgia lo avesse chiamato per
nome e fosse passato disinvoltamente ad un più familiare tu, “come successe quella sera… Re Carlo mi chiese di mostrargli le
segrete di mio padre, ma poi mi consegnò ai suoi soldati e mi… ordinò che mi
torturassero per tutta la notte! E questa volta non ci sarebbe stato nessuno a
salvarmi, perché il Generale mi ha lasciato solo, mi ha abbandonato anche lui!
Io credevo che…”
“Credevi male, Alfonso” rispose Juan, disgustato
dalla codardia e dalla crudeltà mostrata da Re Carlo. Adesso capiva perché il
giovane fosse rimasto così sconvolto all’idea di tornare a visitare la stanza
delle torture. Non era, come aveva pensato lui, il ricordo dei passati tormenti
a straziarlo, ma la paura che quello che era accaduto allora stesse avvenendo
di nuovo, nello stesso identico modo.
Quanto devi aver sofferto, povero Principe abbandonato da
tutti, pensò, con uno slancio di tenerezza e di
empatia che non erano sicuramente sentimenti a lui familiari.
Ma Alfonso, a quanto pareva, gli aveva
toccato il cuore… o quello che aveva da quelle parti, più o meno. Juan Borgia
era abituato a seguire i suoi istinti, sempre e comunque, e in quel momento l’istinto
lo portò a stringere più forte il giovane Principe tra le braccia, ad
affondargli una
mano tra i capelli e a baciarlo profondamente, intensamente, incollandosi al
suo corpo, esplorandolo con la lingua avida e prepotente. Quel bacio così
intimo e inaspettato aveva accelerato i battiti del cuore del giovane Principe
e gli aveva incendiato il sangue nelle vene, Alfonso si era sentito fremere in
tutto il corpo come mai gli era avvenuto prima: anche il Generale l’aveva baciato
più e più volte e aveva fatto ben altro con lui ma… ma non era mai stato così.
Cosa gli stava succedendo? Per lunghissimi frammenti di tempo Alfonso desiderò
che quei baci profondi e appassionati non finissero mai e dimenticò perfino che
si trovava nella stanza che più lo terrorizzava, perduto tra le braccia del
giovane Borgia non aveva più paura e nient’altro sembrava esistere.
In
qualche modo, Juan riprese il controllo di sé, si staccò dal Principe e cercò
di recuperare un certo contegno, mentre Alfonso continuava a guardarlo come
incantato. Bene, il Principe si era tranquillizzato, poteva essere il momento
giusto per parlargli, si disse, mentre continuava a chiedersi che diavolo gli
fosse preso per afferrarlo e baciarlo in quel modo. Non si era mai interessato
al suo stesso sesso, prima di quel momento e, a onor del vero, anche il sesso
opposto gli interessava solo in base alla quantità e alla qualità del piacere
che poteva procurargli.
Ritenne che fosse giunta l’ora di passare a
discorsi più seri. Avrebbe pensato poi a ciò che lo aveva spinto a baciare
Alfonso con tanto ardore…
“Io sono venuto qui per ordine di mio padre,
è vero. Ed è vero anche che la protezione dei Borgia sul Regno di Napoli
significa al contempo una sorta di controllo su di esso” riprese Juan,
decidendo di essere completamente sincero con il Principe. Del resto, a quel
punto aveva raggiunto una certa intimità con lui e tanto valeva arrivare fino
in fondo. “Tuttavia ciò non vuol dire che voglia farti del male o che tu sia in
pericolo con me, al contrario: sono qui per proteggerti e la tua salvaguardia è
anche nel mio stesso interesse, per questo non hai alcun motivo di temermi.”
“Mi… mi dispiace, io… per me è stato come
rivivere quella sera…” fece Alfonso a voce bassissima, ancora fortemente scosso
dal modo in cui era stato stretto e baciato.
“E io non me ne sono accorto” replicò il
giovane Borgia, in tono più leggero. “Non sono famoso per essere un uomo
sensibile… Ma di una cosa puoi essere sicuro: io non ti farò mai del male e non
lascerò che nessun altro si azzardi anche solo a pensare di fartene. Tu credi
di essere solo e abbandonato a causa della morte del tuo Generale, ma non è
così, ci sono io a proteggerti e non ti lascerò solo, hai la mia parola.”
Alfonso continuava a fissare Juan come se non
potesse credere a ciò che gli stava dicendo. Era così abituato ad aspettarsi
sempre il peggio da tutti che quell’improvvisa gentilezza del giovane lo
coglieva alla sprovvista e lo turbava: era tutto così strano e surreale, Juan gli
parlava con pazienza e cordialità e poi lo aveva baciato in un modo che gli
faceva tremare le gambe e i polsi anche solo a ripensarci!
“Il Generale mi aveva promesso che non mi
avrebbe mai lasciato solo, ma poi anche lui mi ha abbandonato” obiettò il
Principe, chiaramente dicendo la prima cosa che gli era passata per la testa in
tanto sconvolgimento.
“Non per sua volontà” ribatté Juan. “Non ho
avuto modo di conoscerlo personalmente, ma da quello che mi hai raccontato ho
capito che ti era davvero molto affezionato e che sicuramente, quando si è
ammalato, la sua preoccupazione maggiore è stata che saresti rimasto solo.
Credo che sarebbe sollevato nel sapere che c’è qualcuno a prendersi cura di te
anche adesso.”
Ovviamente il Generale francese non sarebbe
stato per niente contento di sapere che il Principe si affidava alla protezione
di un Borgia e che avrebbe finito per dipendere da lui, ma questo non c’era motivo
di dirlo ad Alfonso, no?
Si alzò in piedi e aiutò il Principe a fare
altrettanto, notando con piacere che il ragazzo era rimasto veramente
scombussolato dal suo bacio e da quel modo di fare più affettuoso. Era
soddisfatto. In tutta la sua vita aveva sempre desiderato sentirsi importante
per qualcuno ed era sempre rimasto frustrato in questo suo desiderio: adesso
Alfonso pareva dipendere da lui per più di un motivo, proprio come voleva suo
padre, e il bello era che lui non aveva fatto nulla di speciale per ottenere la
sua fiducia.
“Credo di avere visto abbastanza di questa
camera delle torture” disse poi, prendendo Alfonso per un braccio e
conducendolo per le scale. “Non era mia intenzione turbarti, riportandoti
quaggiù. Certo immaginavo che per te sarebbe stata dura, ma non credevo così
tanto. In realtà vorrei farti capire che non devi più temere questo luogo,
perché saranno i tuoi avversari a doverlo temere, così com’era ai tempi di tuo
padre. Non avevo capito che stavi addirittura rivivendo quella notte.”
“Non è colpa vostra, nessuno avrebbe potuto
saperlo” replicò il giovane, rabbuiandosi. “Una cosa del genere è… inimmaginabile,
finché non ci si trova a viverla. E forse nemmeno allora. Quando scappai dal
castello, sapendo che i Francesi stavano arrivando, non so fino a che punto
sperassi di cavarmela. Ero a piedi, da solo, senza cibo né acqua… Il mio era un
tentativo disperato, ma ero certo che, se fossi rimasto al castello, sarei
morto comunque.”
“Sei scappato a piedi dal castello?” Juan era
incredulo. Che ingenuo ragazzino era, quel Principe? Era ovvio che lo avrebbero
catturato facilmente!
“Credo di non averci pensato più di tanto, ho
fatto quello che mi è venuto istintivo. Mi hanno ritrovato un paio di giorni
dopo, i soldati mi hanno mandato contro i cani” era come se il ragazzo stesse
raccontando le disavventure di un’altra persona. “In quel momento ho capito di
aver fatto una sciocchezza, ma era tardi. E le pensai tutte, ve l’assicuro:
immaginai che mi avrebbero fatto sbranare dai cani, che mi avrebbero catturato
per poi uccidermi o rinchiudermi in una cella per il resto della mia vita… ma
mai, nemmeno in mille anni, avrei potuto indovinare che cosa passava per la
testa di Re Carlo. Una cosa del genere…”
“Basta, adesso, non pensarci più” lo
interruppe Juan. Cominciava ad avercela a morte con quel maledetto Re francese.
Già lo odiava per averlo umiliato in battaglia nella sua prima missione come
Gonfaloniere dell’esercito papale, ma sentiva di detestarlo sempre di più ogni
qual volta ripensava a quanto quel tronfio bastardo avesse fatto soffrire
Alfonso senza alcun motivo. Era strano, non gli era mai capitato prima di
provare compassione per i patimenti di qualcuno. Evidentemente la meschinità e
la crudeltà immotivata di Re Carlo erano eccessive anche per lui… oppure c’era
qualche altra ragione? “D’ora in poi sarà tutto diverso. Ben presto tutti
sapranno che sei sotto la protezione dei Borgia e saranno loro a temerci.”
“Perché i Borgia avvelenano la gente?” la
domanda scappò di bocca al giovane prima che potesse rendersene conto, ma Juan
la prese bene. Scoppiò a ridere come non gli capitava da un pezzo (aveva avuto
anche lui i suoi guai, ultimamente…), la qual cosa contribuì ulteriormente a
turbare parecchio Alfonso, che rimase a fissarlo come incantato.
“E’ questo che si dice in giro? Beh, non è
del tutto falso, ma diciamo che è un po’ riduttivo”
replicò, in tono disinvolto. “Abbiamo molti modi per farci rispettare dai
nostri nemici… e per difendere i nostri amici.”
Alfonso sussultò.
“Ah, siamo… amici, adesso?” domandò, intimidito e affascinato al contempo da
quel giovane scanzonato e baldanzoso.
Juan gli circondò le spalle con un braccio e
lo attirò a sé, scherzoso.
“Direi proprio di sì, non ti pare, Principe
Alfonso?”
Sì, era decisamente riuscito a conquistarsi
la totale fiducia di quel ragazzo solo al mondo e spaurito.
Aveva fatto ciò che suo padre voleva da lui,
questa volta non lo aveva deluso.
Ma non era soltanto per questo che Juan
Borgia si sentiva così soddisfatto e sereno…
Will I endure?
If not with you
The midnight sun
The hunter's moon
No days and nights
Of solitude
I'll walk with the reaper
You peril of desire
Now, you sweetest misery
Oh you, you are on my mind
Now time again, time again…
(“Hunter’s Moon” – Delain)
I Baroni di Napoli,
che da tanti anni non tolleravano il dominio aragonese e che erano stati ostili
già a Re Ferrante, al momento attuale erano ancora più infuriati. Quando il Re
era morto e i Francesi avevano invaso Napoli non avevano offerto alcun aiuto al
povero Principe Alfonso, anzi sarebbero stati ben felici se Re Carlo lo avesse
ucciso. Ovviamente non volevano essere soggetti nemmeno al dominio francese,
tuttavia erano convinti che questo non sarebbe durato in eterno, bene o male
prima o poi Re Carlo sarebbe dovuto tornare in Francia e, a quel punto,
speravano di essere loro a gestire il governo del Regno.
In realtà, poi, Re
Carlo aveva posto il suo Generale come reggente del Regno di Napoli, tutelando
e proteggendo il legittimo erede Alfonso. I nobili, tuttavia, non si
preoccupavano più di tanto del Generale francese e tanto meno di Alfonso e, nei
loro feudi, avevano continuato a fare il bello e il cattivo tempo, come era
sempre piaciuto loro fare… e come Re Ferrante non permetteva assolutamente, per
i successivi tre anni!
Quando il Generale
era morto i nobili Baroni avevano esultato, pensando che a quel punto il
Principe Alfonso avrebbe avuto la stessa importanza del due di briscola… ma
poi, inaspettatamente, il Papa Borgia aveva mandato a Napoli suo figlio Juan
come protettore del Principe e tutto
era andato in malora.
La mossa del Borgia
era chiara: il Regno di Napoli sarebbe diventato un nuovo dominio dello Stato
Pontificio e di certo un tipo come Juan Borgia non avrebbe lasciato ai Baroni
le libertà che avevano quando il reggente era il Generale.
Questo non doveva accadere.
La cosa peggiore, per
quei nobili, fu vedere che, a differenza di ciò che si aspettavano, Juan e
Alfonso stavano instaurando un rapporto sempre più confidenziale. Il giovane
Borgia aveva chiaramente incantato e affascinato il Principe e quell’inetto di
Alfonso faceva tutto quello che voleva Juan, era chiaramente un burattino nelle
sue mani. Alcuni dei Baroni o i loro servitori li avevano visti cavalcare o
passeggiare insieme per le tenute attorno a Napoli e per le campagne
circostanti ed erano sembrati particolarmente affiatati. Addirittura quello
stolto di Alfonso pareva aver ritrovato l’allegria e il sorriso perduti dopo la
morte di quel Generale con cui andava perfino a letto… Certo, di sicuro adesso
quella sciagura di Principe andava a letto pure con il giovane Borgia! Si era prostituito prima a i Francesi e adesso
ai Borgia e, di fatto, era dunque il Papa, attraverso Juan, a governare il
Regno di Napoli.
I nobili Baroni non
potevano assolutamente accettarlo.
Fu così che
iniziarono a inviare spie in tutta l’Italia centrale e, in particolare, a Roma
e a Forlì, per scoprire il più possibile sulle depravazioni e i loschi scopi di
Juan Borgia. Avevano udito delle voci secondo le quali, durante l’assedio di
Forlì contro Caterina Sforza, Juan aveva fallito su tutta la linea, dando il
peggio di sé, torturando un ragazzo innocente e finendo per scappare come un
vigliacco non appena l’esercito papale era stato attaccato dalle truppe di Ludovico
Sforza. I Baroni dovevano fare in modo che quelle voci divenissero informazioni
vere e proprie, parlare con chi era stato davvero presente, magari addirittura
far spiare il Papa stesso che, forse, aveva spedito il figlio a Napoli proprio
per allontanarlo dal suo ennesimo fallimento. Una volta ottenute tutte le
informazioni necessarie e provate senza ombra di dubbio, alcuni dei più nobili
signori del Regno, in particolare il Conte di Tricarico Sanseverino, il
Principe di Melfi Caracciolo, il Marchese di Caggiano Gesualdo e il Duca di Bari
Caldora, avrebbero chiesto di essere ricevuti dal Principe Alfonso e gli
avrebbero aperto gli occhi sulle reali mire del suo caro amico Juan.
Ovviamente i Sanseverino,
i Caldora, i Gesualdo e i Caracciolo erano i discendenti di coloro che, anni
prima, avevano partecipato alla Congiura dei Baroni contro Re Ferrante e il
loro vero intento non era certo mettere in guardia Alfonso dal pericolo che
potevano rappresentare i Borgia: era una chiara vendetta per ciò che suo padre
aveva fatto ai loro (la famosa Sala da pranzo con i nobili mummificati e
disposti come per l’Ultima Cena…) e una giusta (secondo loro!) rivendicazione
dei privilegi e benefici che spettavano di diritto alle famiglie più antiche
del Regno. Avrebbero fatto in modo che Alfonso si staccasse dall’influenza del
giovane Borgia e poi sarebbero stati loro a manovrarlo e a governare al suo
posto… ma questo non avevano sicuramente intenzione di dirlo al Principe!
E così, mentre i
nobili del Regno di Napoli inviavano spie e ordivano trame per riprendersi i
poteri che ritenevano appartenere a loro, Alfonso e Juan continuavano a familiarizzare
sempre di più. Il giovane Borgia si trovava a Napoli ormai da più di due
settimane e, se l’inizio era stato piuttosto difficoltoso per via della diffidenza
di Alfonso contro la sua famiglia, dopo l’episodio nella sala delle torture e l’opportuno
chiarimento le cose erano proseguite sempre meglio.
Juan aveva capito che
il Principe era solo e spaventato, che la morte del Generale lo aveva privato
di tutto ciò che gli rimaneva al mondo e che aspettava solo qualcuno di cui
potersi fidare. Gli era bastata un po’ di gentilezza per farsi accettare da lui
e, cosa che non guastava affatto, Alfonso sembrava subire il suo fascino in
modo particolare, sebbene non se ne fosse nemmeno accorto!
Era la prima volta in
tutta la sua vita che Juan Borgia si sentiva veramente soddisfatto di sé. E non
soltanto perché era finalmente riuscito ad accontentare suo padre, che aveva
continuato a offrirgli opportunità anche quando era chiaro che non sarebbe
stato il caso… no, in realtà si sentiva così bene perché Alfonso contava
davvero su di lui, lo considerava una guida, un modello, ed era una cosa che a
Juan non era mai capitata. Sì, suo padre gli aveva dato molte possibilità, ma
aveva anche preteso sempre tanto da lui, per non parlare di quell’invidioso di
Cesare che si sentiva defraudato del suo diritto di primogenito e lo detestava.
Nessuno lo aveva mai fatto sentire importante, aveva sempre avuto qualcosa da dimostrare. Con Alfonso non era così,
non doveva dimostrargli niente, soltanto essere se stesso e quel ragazzo lo
seguiva e lo ammirava senza riserve.
Per la prima volta
nella sua vita non si sentiva giudicato e messo sotto esame, bensì rispettato e
ammirato… e forse anche qualcosa di più.
Era una bella
sensazione per lui, una sorta di rivincita, ma non solo. Juan era davvero più
sereno e contento in quella situazione e stava cominciando a trovare veramente
simpatico Alfonso, adesso che la sua ironia pungente si era smussata e,
soprattutto, non era più rivolta contro di lui!
Inoltre, il Regno di
Napoli, con la sua tranquilla bellezza e i piaceri che offriva, era il luogo
perfetto per uno come Juan Borgia. Sembrava proprio che, a ventitré anni, il
giovane avesse finalmente trovato il suo posto nel mondo e la sua
realizzazione.
Quel pomeriggio erano
andati a fare una lunga gita a cavallo nelle campagne, raggiungendo quasi il
Vesuvio, e Alfonso era parso finalmente più tranquillo e rilassato. Aveva
scherzato con lui, mostrandosi felice di stare in sua compagnia e di fidarsi
ormai totalmente, senza quella reticenza iniziale che, comunque, era anche
comprensibile, considerando ciò che aveva subito a causa di quel perverso e
sadico Re francese…
Tutto pareva procedere
splendidamente, dunque.
Quella sera, però,
rientrati dalla cavalcata, Alfonso aveva notato che Juan sembrava trascinare la
gamba destra, come se sentisse dolore nel camminare normalmente.
“Gonfaloniere, vi
sentite bene?” gli domandò.
Juan si voltò a
guardarlo stupito.
“Io? Sì, certo che mi
sento bene, perché me lo chiedi?”
Era davvero sorpreso. La ferita alla gamba
destra, la famosa ferita ricevuta durante l’assedio di Forlì per una freccia
scoccata da un arciere della stramaledetta Caterina Sforza, lo aveva fatto
soffrire per un bel po’ a Roma. Da un paio di mesi stava meglio, però gli
capitava ancora di provare dolore nell’appoggiare il piede a terra e a volte
zoppicava se si affaticava troppo, ma ormai ci si era abituato. Forse quella
cavalcata era stata troppo lunga…
“Perché mi sembrava di vedervi zoppicare
leggermente” rispose Alfonso. “Vi siete fatto male durante la cavalcata?”
Diamine, ma Alfonso si stava davvero preoccupando per lui? A nessuno fregava
un bel niente della sua gamba, nessuno gli aveva mai chiesto come si sentisse,
se fosse guarito dalla ferita, era una situazione del tutto nuova per Juan.
“No, è solo la ferita alla gamba che ogni
tanto si fa sentire” rispose il giovane, ancora perplesso. Non era proprio
abituato a ricevere simili attenzioni. “Sono stato colpito da una freccia
durante l’assedio di Forlì e… beh, è stata una lunga storia, il dottore mi
aveva detto addirittura che potevo perdere la gamba. Per fortuna pian piano la
ferita si è rimarginata, ma a volte si infiamma e mi fa male se sforzo la
gamba.”
“Oh, mi dispiace, allora è stata colpa della
cavalcata, vi siete sforzato troppo?” insisté Alfonso.
Juan si avvicinò al Principe con una strana
sensazione di tenerezza che non aveva mai provato prima.
Quel ragazzo era veramente preoccupato per
lui e voleva aiutarlo.
“Alfonso, stai tranquillo, non è niente, non
rischio più di perdere la gamba” gli rispose, scompigliandogli affettuosamente
i capelli. Era buffo, a volte il Principe gli sembrava un fratellino minore,
altre volte invece sentiva qualcosa di più intenso, un calore nel cuore che non
sapeva riconoscere, non avendolo mai sperimentato in precedenza.
“Sentite, facciamo così e staremo tutti più
tranquilli” disse Alfonso, con un’aria decisa. “Dopo cena chiamerò il mio
dottore e lui vi esaminerà la ferita, così avrete anche il suo parere e il suo
consiglio.”
Juan era stranamente imbarazzato e tentò di
schermirsi.
“Ma non ce n’è bisogno, davvero, ormai la
ferita è guarita, è solo quando carico eccessivamente la gamba che…”
Alfonso gli prese un braccio, una stretta
affettuosa ma decisa, e lo fissò negli occhi, questa volta senza sentirsi a
disagio. Era troppo preoccupato per le condizioni di salute di Juan per pensare
al proprio turbamento.
“Niente ma, ormai ho deciso. Prendetela come
un fatto personale: se non siete in perfetta salute non potrete nemmeno
proteggermi adeguatamente, non credete?” insisté. “Vi assicuro che il mio
dottore è veramente molto bravo, mi ha saputo curare dopo… dopo quello che mi
avevano fatto… e quelle ferite erano sicuramente molto più gravi e in punti più
delicati… ma lui mi ha guarito perfettamente. Pensate che Re Carlo voleva
portarlo in Francia con sé perché nemmeno là ne aveva di così preparati.
Fidatevi e vedrete che non ve ne pentirete.”
Cosa poteva rispondere Juan? Colpito e
affondato dalla premura di Alfonso, così insolita per lui, accettò. Quella
sera, subito dopo cena, il medico di corte si recò nella stanza del giovane
Borgia per esaminare la sua ferita, accompagnato dal Principe che voleva sapere
tutto sulle condizioni di salute del suo nuovo amico.
Il dottore controllò accuratamente la lesione
sulla gamba di Juan, osservò il gonfiore, l’arrossamento e si accorse che, pur
premendo delicatamente sulle parti circostanti, il giovane sussultava per il
dolore.
“Scusate se mi permetto, mio signore, ma in
che modo avete curato questa piaga?” domandò poi il dottore a Juan.
Il giovane fece una smorfia sprezzante.
“Il mio medico, a Roma, ha detto che sperava che la ferita non andasse in
cancrena, altrimenti sarebbe stato costretto ad amputarmi la gamba e, dopo
avermi così sollevato il morale, mi ha suggerito di usare l’oppio per curarmi”
rispose. *
Il medico si scandalizzò.
“Ma che razza di ciarlatano avete consultato,
mio signore? Perdonatemi l’ardire, ma siete stato davvero fortunato a salvare
la gamba. Oppio? Quello poteva
servire, al massimo, a lenire il dolore, ma certo non combatteva l’infezione”
esclamò. “Purtroppo la ferita è guarita solo apparentemente, ma all’interno c’è
ancora un’infezione in corso ed è per questo che vi tormenta ancora quando la
sforzate. Dovrò effettuare un piccolo intervento, se mi date il vostro
consenso.”
Juan Borgia non sembrava affatto contento, ma
l’alternativa era peggiore. Si guardò intorno con un’aria un po’ sperduta (non
era poi così impavido di fronte al dolore…).
“Che altra scelta ho?” replicò, poco
convinto. “Fai quello che ritieni opportuno, dottore.”
“Allora inciderò la ferita per far uscire
tutto il pus e l’infezione, dopo di che la ripulirò con cura e la curerò con
delle erbe medicamentose molto efficaci, che hanno guarito anche le terribili
lacerazioni subite dal Principe” spiegò il medico. “Alla fine vi spalmerò un
unguento disinfettante e la benderò e per i prossimi dieci giorni cambierò la
medicazione e la fasciatura mattina e sera fino alla completa cicatrizzazione.”
Che gran bella differenza rispetto al dottore
che lo aveva curato (si fa per dire)a Roma! Il giovane Borgia, seppure
vagamente intimorito dalla frase inciderò
la ferita, comprese subito di essere in ottime mani. Però c’era ancora una
cosa che voleva chiedere…
“Resteresti qui con me, Alfonso?” fece.
Oddio, non gli piaceva fare la figura del codardo, ma era effettivamente spaventato, si vedeva chiaramente dai suoi occhi e
dall’espressione del viso, e magari un po’ di sincerità non avrebbe fatto che
rafforzare il legame con il Principe.
Il ragazzo era combattuto: da un lato voleva
restare, anche per rassicurarsi sul fatto che Juan non corresse alcun pericolo;
dall’altro, però, una cosa del genere gli ricordava troppo da vicino quello che
aveva dovuto subire durante le sevizie… Tuttavia si fece forza, si avvicinò al
letto dove il giovane Borgia era sdraiato e gli prese la mano.
“Sono qui, non me ne vado. Solo… credo di non
farcela a guardare…” mormorò.
“Non importa che tu guardi, nemmeno io ho
intenzione di guardare niente” replicò Juan. “Quello che conta è che sia il
dottore a osservare bene quello che fa!”
Il medico sorrise. Era molto affezionato ad
Alfonso e aveva sofferto moltissimo nel vederlo straziato dalle torture e
adesso gli faceva piacere vederlo di nuovo sereno e in buoni rapporti con il figlio
del Papa. Aveva sentito parlare malissimo dei Borgia, come tutti, ma, ora che
lo conosceva di persona, il giovane Juan pareva solo un ragazzo, poco più
grande del suo Principe e anche piuttosto divertente. Era contento di poter
fare qualcosa per lui.
Fine capitolo quarto
* Nella serie TV avviene proprio così, anche se poi Juan sembra
tormentato maggiormente dalle conseguenze della sifilide che dalla ferita alla
gamba. Tuttavia in questo caso preferisco rifarmi alla verità storica secondo
la quale Juan Borgia non aveva affatto la sifilide, di cui era invece affetto
Cesare. Così basterà curare la ferita alla gamba per riavere il nostro Borgia
in perfette condizioni!
See, I let the light in the darkest places
Let the sun shine, pain goes away
Nothing is permanent for me, yeah
Flowers, they bloom and fade away
The beauty, it happened inside of me
Even if it's a memory, yeah
Rain, it pours, rain, it pours
It's pouring on me
The rain, it falls, rain, it falls
Sowing the seeds of love and hope, love and hope
We don't have to stay, stuck in the way
Have I the courage of change?
Have I the courage of change?
Have I the courage of change today? (Oh)
(“Courage” – Pink)
Il dottore incise la
ferita di Juan e il giovane strinse più forte la mano di Alfonso, sforzandosi
di non gridare troppo per non fargli tornare in mente gli atroci momenti delle
sue torture, quando era lui a urlare disperatamente senza nessuno che lo
aiutasse. Confuso dal dolore e da altre strane emozioni, Juan si rese vagamente
conto del fatto che cercava consapevolmente di non turbare il Principe, che si
mostrava più forte di quanto non fosse realmente per lui… ma del resto Alfonso
era stato l’unico a preoccuparsi sinceramente delle sue condizioni, se adesso
il medico di corte curava la sua ferita era solo merito suo, qualcosa gli
doveva, no?
L’intervento non durò
così a lungo come Juan temeva, il dottore dei regnanti aragonesi era veramente competente
(e lui che si era affidato a quella specie di macellaio, a Roma… era davvero un miracolo che non avesse perduto
la gamba!). Dopo aver ripulito e medicato con cura la ferita, il medico la
bendò e disse che avrebbe cambiato le medicazioni e la fasciatura la mattina
seguente.
“Grazie, io… ti
ricompenserò per quello che hai fatto per me” Juan sembrava a disagio anche nel
ringraziare il dottore, evidentemente non era abituato nemmeno ad essere
cortese, ma nessuno lo era mai stato con lui. Era strano, per la prima volta in
tanti mesi, dopo che era stato colpito dalla freccia, la gamba non gli faceva
più così male e non sarebbe stato costretto a prendere l’oppio per dormire.
Certo, aveva appena subito un’operazione e sentiva la ferita che pulsava, ma
era un dolore diverso e molto più sopportabile delle fitte che partivano da lì
per poi irraggiarsi per l’intera gamba.
“Non dovete
ringraziarmi e nemmeno ricompensarmi, mio signore, ho fatto solo il mio lavoro
ed è stato Sua Maestà a chiedermelo” si schermì il dottore. “Bene, ora vi
auguro una buona notte di riposo e domattina tornerò per cambiarvi la
medicazione.”
L’uomo uscì dalla
camera, mentre Juan, senza accorgersene o forse sì, teneva ancora stretta la
mano di Alfonso.
E, ora che il momento
critico dell’intervento era passato, il Principe ricominciava a sentirsi molto
turbato per la vicinanza con il giovane Borgia…
“Come vi sentite
adesso, Gonfaloniere? Avete bisogno di qualcosa? Adesso… ecco, devo chiamare i
servitori per farvi cambiare le lenzuola del letto, togliere quelle macchiate
di sangue e pus e metterne di pulite” fece il ragazzo, parlando velocemente per
mascherare l’imbarazzo. “Li chiamerò subito, se desiderate qualcos’altro
ditemelo, così ve lo farò portare.”
Juan sorrise,
intenerito dalla goffaggine del Principe e, tanto per divertirsi un po’, decise
di imbarazzarlo ancora di più!
“Beh, dovresti
aiutarmi ad alzarmi, visto che i servi mi cambieranno le lenzuola” gli disse. “Pensi
di riuscire a sostenermi?”
Oddio, non sarebbe stato
tanto facile, dato che in quel momento era già un problema, per Alfonso, rimanere
lui stesso in piedi, tanto si sentiva
tremare tutto… però cercò di dominarsi e di aiutare Juan che non aveva poi così
bisogno di un sostegno, in realtà gli bastava un piccolo appoggio e poi poteva spostare
il peso sulla gamba sinistra. Però il giovane Borgia lo fece apposta a sembrare
più malandato di quanto non fosse e, con la scusa di doversi sostenere, strinse
a sé il ragazzo che, dal canto suo, sentiva il cuore battergli così forte che
si stupiva che non lo udisse tutto il castello.
I servitori
arrivarono pochi minuti dopo, era stato il dottore a mandarli, in realtà, e in
poco tempo cambiarono e ripulirono il letto di Juan. Se qualcuno si accorse
dello sgomento del Principe nello stare praticamente incollato al giovane
Borgia che osservava il lavoro dei servi con un sorrisetto soddisfatto, non ne
fece parola.
“Mio signore, volete
che vi aiutiamo a rimettervi a letto?” chiese uno dei servitori, prima di
lasciare la stanza.
“No, grazie, non c’è
bisogno” rispose Juan, malizioso. “Sua Maestà è così gentile da offrirmi il suo
appoggio, non mi serve altro, potete andare.”
E così Alfonso
riaccompagnò Juan a distendersi sul letto, mentre il giovane badava bene a
tenerselo stretto e provava un sottile piacere nel sentirlo tremare nel suo
abbraccio. Fino a che punto dipendeva da lui quel ragazzo? Anche quella era una
sensazione molto positiva e del tutto nuova.
Quando Juan fu ben
sistemato nel letto, Alfonso, ormai del tutto scarmigliato, turbato e
sconvolto, sebbene non ne capisse il
reale motivo, fece per congedarsi.
“Bene, se non avete
bisogno di altro vi lascio riposare, Gonfaloniere” disse.
“Sto bene, sì, ma
vorrei veramente ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me stasera”
replicò il giovane Borgia. “In realtà dovrei essere io a proteggerti e a
prendermi cura di te, invece sei stato tu a notare che non camminavo bene e a
farmi curare dal tuo medico.”
Quasi distrattamente,
Juan, che non aveva mai lasciato il braccio di Alfonso, lo attirò vicino a sé,
facendolo sedere accanto a lui sul letto.
“In effetti avevo già
notato questo tuo atteggiamento così singolare quando ero venuto a Napoli la
prima volta, più di tre anni fa, per portare la proposta di matrimonio di mio
fratello Goffredo a Sancha” ricordò il giovane. “Quel giorno non mi trattasti tanto
bene, rammento che ti divertivi a provocarmi e a prendermi in giro. Eppure,
allo stesso tempo, a tavola imboccavi tuo padre ormai gravemente infermo. Non
avevo mai visto una premura simile, le persone di rango lasciano che siano i
servitori a occuparsi di certe cose.”
“Sono sempre stato io
a dare da mangiare a mio padre, anche negli ultimi giorni, quando era costretto
a letto” spiegò Alfonso. Ricordava che anche il Generale era rimasto molto
stupito quando lo aveva saputo, ma al Principe pareva una cosa del tutto normale.
* “Ho fatto lo stesso per il
Generale quando è caduto ammalato. Mi viene naturale occuparmi personalmente
delle persone a cui…”
E qui si fermò,
rendendosi conto di quello che stava per dire!
Juan sorrise di nuovo
e gli accarezzò i capelli scompigliati, indugiando sui ricci scomposti sulla
nuca.
“Delle persone a cui
tieni, vuoi dire? Mi fa piacere sapere di rientrare in questa categoria”
sottolineò, divertito nel vedere il Principe arrossire e distogliere lo
sguardo. “E’ comunque una premura insolita, soprattutto in un sovrano, e forse
mi sembra ancora più strano perché nella mia famiglia non funziona affatto
così, almeno per quanto riguarda me. Per questo mi sono stupito quando mi hai
chiesto se stavo bene e ti sei preoccupato di farmi curare la ferita. Sono
stato mesi a Roma, sofferente, spesso non riuscivo quasi a camminare e nessuno
si è mai degnato di chiedermi come stavo o di offrirsi di chiamare un medico
migliore del ciarlatano a cui mi ero rivolto!”
“Beh, scusate se ve
lo dico, Gonfaloniere, ma la vostra famiglia non è certo un esempio luminoso di
affetto e solidarietà” ribatté Alfonso, pungente. “Ho avuto modo di conoscerla
quando vostro padre offrì ospitalità a Re Carlo, durante il viaggio di ritorno
in Francia.”
“Hai conosciuto la
mia famiglia personalmente? Non sapevo che foste stati ospiti di mio padre, in
quel periodo dovevo essere partito per la Spagna” commentò Juan, pensando che,
in effetti, gli sarebbe piaciuto avere modo di incontrare il Principe in quel
particolare frangente.
“Infatti voi non c’eravate”
confermò il ragazzo. “E’ stata davvero un’esperienza spiacevole. Sì, ho avuto
modo di rivedere mia sorella Sancha, ma non potevo dirle niente su quello che
mi aveva fatto il Re francese perché temevo che lo avrebbe riferito a vostro
padre e che Re Carlo sarebbe venuto a saperlo. Ed è stato veramente faticoso
riuscire a tenere testa alle trame di vostro padre… si era messo in testa di
farmi restare a Roma, adducendo come pretesto che ero troppo debole per
viaggiare e che non sarei arrivato sano e salvo fino in Francia. Ma io… eh, no,
non ero contento di andare in Francia con il mio aguzzino, certo, ma almeno c’era
il Generale che si prendeva cura di me. Non sarei rimasto in quel covo di serpi
neanche per… Oh, scusate, sono pur sempre la vostra famiglia!”
Alfonso sembrava
davvero imbarazzato per aver, come al solito, parlato troppo, ma Juan scoppiò a
ridere.
“Covo di serpi mi sembra il modo migliore di definire la famiglia
Borgia, in effetti!” ribatté, divertito. “E’ inutile fingere che le cose stiano
diversamente, noi non siamo brave persone e non ci facciamo scrupoli a prendere
quello che vogliamo. Non c’è un vero affetto tra di noi. Mio padre mi ha sempre
favorito, è vero, ma ha anche preteso molto da me. Adesso mi ha offerto un’opportunità
invidiabile facendomi diventare protettore e reggente del Regno di Napoli, ma ha
anche tenuto a sottolineare che, nel caso le cose non andassero bene, mi
farebbe sostituire da Goffredo e Sancha. Non perde occasione per rinfacciarmi i
miei fallimenti…”
“Beh, credo che anche
mio padre, se vedesse come sono finito, si vergognerebbe di me. Sono stato una
delusione, mentre nei suoi piani sarei dovuto diventare un Re temuto e
rispettato com’era lui” rifletté Alfonso, tristemente.
“Ecco dunque un’altra
cosa che ci accomuna” disse Juan, cercando di alleggerire l’atmosfera e, al contempo,
di creare ancora più complicità con il Principe, “entrambi siamo stati una
delusione per i nostri padri! Comunque, adesso mi hai messo curiosità: hai
avuto modo di osservare la mia famiglia e mi piacerebbe sapere che cosa hai
pensato di loro.”
Alfonso titubava. Era
già consapevole di essere andato oltre il consentito definendo la famiglia
Borgia un covo di serpi, come avrebbe
potuto reagire Juan se avesse detto sinceramente quello che pensava di loro?
Era una domanda che nascondeva una trappola? Forse il giovane Borgia avrebbe
riferito a suo padre le sue parole? Il povero Principe ricordava fin troppo
bene quanto dovesse stare attento a ciò che diceva in presenza di Re Carlo… E
il Gonfaloniere non aveva appena detto che Rodrigo Borgia avrebbe potuto
benissimo sostituirlo con Goffredo e Sancha? In quel caso era chiaro che fine
avrebbe fatto lui, il legittimo erede: con ogni probabilità lo stesso Juan era
incaricato di ucciderlo.
“Alfonso, puoi essere
diretto con me” lo incoraggiò il giovane Borgia, passandogli un braccio attorno
alle spalle. “Come avrai capito, non ho una grande opinione della mia famiglia,
così come loro non ce l’hanno di me. Non ti ho appena detto che nessuno si è
preoccupato della mia ferita? Chissà, magari avrebbero preferito che Ludovico
Sforza mi avesse massacrato… tutto ciò che contava, per loro, era che avevo
fallito nell’assedio di Forlì, e solo perché l’esercito del Moro ci è arrivato
alle spalle!”
Il ragazzo avvertì la
rabbia repressa e l’umiliazione nel tono di Juan, la sua frustrazione per
essere messo continuamente sotto esame e subire la pressione di una famiglia
anaffettiva e troppo esigente e comprese che poteva davvero essere franco con
lui.
“Dunque, se posso
parlare liberamente, vi dirò che vostro padre mi faceva paura quanto Re Carlo”
rivelò Alfonso. “Ero sicuro che, se fossi rimasto a Roma come mi chiedeva, mi
avrebbe fatto uccidere per poi prendere il Regno tramite Goffredo e Sancha. E’
stato lui a benedire l’invasione di Napoli da parte dei Francesi, ha sempre
fatto il doppio gioco con me o forse voleva solo vendicarsi perché ho rifiutato
di sposare la sua preziosa Lucrezia. Non l’avrei voluta in moglie nemmeno per
tutto l’oro del mondo, una spocchiosa ipocrita come quella. Sancha è sempre
stata una ragazza libera e disinibita e io non mi sono mai scandalizzato dei
suoi modi di fare, ma almeno è schietta, sincera. Lucrezia finge di essere una
santa e invece… beh, le cose si vengono a sapere anche quaggiù a Napoli.”
Ora Juan era davvero
interessato e compiaciuto. Nessuno voleva credergli quando insinuava che
Lucrezia fosse una sgualdrina e che
mettesse a repentaglio la reputazione della famiglia, ma a quanto pareva
Alfonso aveva notato le stesse cose e lo avrebbe ascoltato, se gliene avesse
parlato.
Che sensazione
meravigliosa avere finalmente qualcuno che lo stava a sentire!
“Insomma la mia
famiglia ti sembra pericolosa” lo incoraggiò il giovane. “Per questo, dunque,
non ti fidavi di me quando sono arrivato a Napoli?”
“E’ così” ammise
Alfonso, “ma adesso ho capito che voi siete diverso da loro. Voglio dire, non
metto in dubbio il fatto che anche voi possiate essere spietato e che
eliminiate tutti coloro che ritenete un ostacolo, ma almeno non fingete di
essere quello che non siete. Quello che mi ha disgustato della vostra famiglia
è l’ipocrisia. Vostro padre è il Papa, ma a tutto pensa meno che a servire Dio
e fingeva di volermi aiutare quando, in realtà, voleva solo eliminarmi e
prendere il Regno di Napoli. Lucrezia vuole apparire una fanciulla modesta e
timorosa, ma è tutto l’opposto. E vostro fratello Cesare… santo cielo, quello è
il peggiore di tutti e lo dimostrerà non appena ne avrà l’occasione!”
“Cesare ti farebbe
più paura di quanta te ne faccia io?” domandò Juan, che in quel momento provava
una delle gioie più grandi di tutta la sua vita. Dunque non era solo gelosia,
la sua. C’era qualcun altro che aveva visto il marcio dietro la facciata perfettina
della sua famiglia!
“Cesare mi mette i
brividi solo a guardarlo” disse Alfonso in tono grave. “Ha lo sguardo gelido di
un serpente. Appare cortese, elegante, gentile, ma dietro quella facciata non c’è
niente, basta guardarlo negli occhi, non ci sono sentimenti di nessun tipo,
solo odio, invidia e un’ambizione spaventosa. Se solo fosse libero di agire…
non oso nemmeno pensare a cosa potrebbe fare! Credo che sia addirittura più
crudele di Re Carlo… infatti è stato lui ad accompagnare i Francesi fino alle
porte di Napoli, tre anni fa, per poi scappare sapendo benissimo che c’era la
peste!”
Juan era
piacevolmente stupito e si rendeva conto di quanto fosse importante che Alfonso
sapesse la verità sui Borgia. In quel modo avrebbero potuto veramente fare
fronte comune e governare il Regno di Napoli a dispetto delle mire di Cesare.
Inoltre provava una dolce sensazione di calore nel sentirsi finalmente
ascoltato e compreso. D’impulso, prese il Principe tra le braccia e se lo portò
accanto nel letto, per poi baciarlo con un’intensità e un ardore che tolse
completamente il fiato ad Alfonso, mandandogli il cuore a mille e infondendogli
un languore che gli faceva tremare le gambe. Juan continuò a baciarlo a lungo in
modo intimo e profondo, affondando le dita tra i suoi capelli arruffati, accarezzandolo
dappertutto e perdendosi nel suo sapore e nel suo dolce tepore. Era qualcosa
che non aveva mai provato nei tantissimi rapporti fugaci e sbrigativi con
prostitute e donne sposate e in quel momento si rendeva conto di quanto si
fosse perso fino a quel giorno. Non avrebbe voluto fermarsi, ma sapeva che
doveva farlo, almeno per il momento. Con grande fatica si staccò da Alfonso.
“Vorrei che restassi con me, ma so che non
devo sforzare la gamba per qualche giorno, perciò direi che ci dobbiamo fermare
qui” mormorò sulla bocca del ragazzo. “Grazie per tutto quello che fai per me,
non te ne rendi nemmeno conto, Principino…”
Alfonso, smarrito e devastato da mille
emozioni che non conosceva e non capiva nemmeno, per un attimo pensò che sarebbe
davvero voluto rimanere lì, stretto al giovane Borgia, perduto e dissolto nel
suo abbraccio… poi recuperò un minimo di amor proprio, si rialzò, cercò di
rassettarsi alla bell’e meglio e di mostrare una parvenza di dignità.
“Sono… sono molto
lieto che stiate bene, Gonfaloniere e… vi auguro una notte di riposo” disse.
Poi, ancora incredulo
e stravolto, scappò letteralmente dalla stanza sotto lo sguardo divertito e
intenerito di Juan.
Fine capitolo quinto
* Questo dettaglio è vero ed è una delle cose che ha
sempre colpito anche me nella fiction The Borgias: il
Principe Alfonso si occupa personalmente di imboccare il padre ed è particolarmente
tenero nella scena della sua morte, quando gli parla del pericolo di un’invasione
francese, come se lui potesse ascoltarlo e capirlo, e si mette a piangere
quando vede che è morto…
I heard that evil comes disguised
Like a city of angels
I'm walking towards the light
Baptized in the river
I've seen a vision of my life
And I wanna be delivered
In the city was a sinner
I've done a lot of things wrong
But I swear I'm a believer
Like the prodigal son
I was out on my own
Now I'm trying to find my way back home
Baptized in the river
I'm delivered
I'm delivered
La nobiltà del Regno
di Napoli ci mise poco più di una settimana per raccogliere tutte le
informazioni possibili su Juan Borgia e, ovviamente, esse tendevano a metterlo
nella luce peggiore. Così il Conte Sanseverino, il Principe di Melfi
Caracciolo, il Marchese Gesualdo e il Duca Caldora chiesero di essere ricevuti
dal Principe Alfonso e, nel pomeriggio di qualche giorno dopo, vennero accolti
nella Sala del Trono.
I quattro nobili
storsero già la bocca nel vedere che Alfonso sedeva sul trono che era stato di
suo padre, e questo poteva anche andare visto che, almeno ufficialmente, quello
era il suo posto, ma sullo scranno alla sua destra stava proprio quel maledetto
Borgia. Era inaccettabile che il figlio bastardo di un Papa corrotto e
depravato sedesse sullo scranno del legittimo erede del Regno di Napoli! Per
fortuna, pensarono i Baroni con soddisfazione, grazie a quello che loro avevano
da dire, ben presto Alfonso avrebbe cacciato via il Borgia rimandandolo da dove
era venuto e quella riprovevole ostentazione avrebbe avuto fine.
“Buon pomeriggio,
miei signori” li salutò con cortesia il Principe. “Sono molto curioso di
conoscere i motivi che vi hanno spinto a richiedere con tanta insistenza questo
incontro.”
“Vostra Maestà, il
motivo è molto semplice” esordì il Duca Sanseverino. “Da giorni ormai siamo
molto preoccupati per il fatto che il qui presente Juan Borgia, Gonfaloniere e
Capitano Generale dell’esercito papale, abbia raggiunto una posizione di
eccessiva influenza presso la vostra corte. Non è ammissibile che il Regno di
Napoli debba prostrarsi ai piedi del Papa Borgia, di cui il figlio è
chiaramente un tramite.”
Alfonso era solito
dare il meglio di sé quando aveva l’occasione di parlare davanti a persone di
rango: allora sapeva sfoggiare una bella parlantina e anche un modo di fare
sicuro e determinato, da vero sovrano. Questa era una caratteristica che lo
aveva aiutato molto nel periodo in cui era ostaggio del Re di Francia. Pertanto
il giovane sfoderò uno sguardo penetrante e replicò in tono deciso alle
insinuazioni dei quattro nobili (con grande sorpresa di Juan, che decisamente
non si aspettava un Alfonso tanto risoluto).
“L’onorevole Duca di
Gandia Juan Borgia, Gonfaloniere e Capitano Generale dell’esercito papale, non
è affatto qui per conquistare il mio
Regno, bensì per proteggerlo da future nuove minacce da parte di invasori
stranieri. Sappiamo bene, purtroppo, cosa significherebbe un altro assalto da
parte dei Francesi, il cui Re è tuttora convinto di avere diritto a questa corona. E’ dunque un grande vantaggio, per il
Regno di Napoli, che Re Carlo sia al corrente del fatto che siamo protetti
dall’esercito papale che, a sua volta, è alleato alle forze militari del
Marchesato di Mantova, dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo e della
Repubblica di Venezia.”
“Vostra Maestà, siete
ancora molto giovane e inesperto delle reali alleanze politiche” intervenne in
tono suadente il Marchese Gesualdo. “E’ proprio per questo che noi vi abbiamo
chiesto di riceverci. Non potete assolutamente fidarvi del Papa Borgia e della
sua presunta protezione e tanto meno
di quest’uomo! La nobiltà del Regno ha il dovere di proteggere il suo sovrano,
perciò abbiamo mandato i nostri uomini più fidati a Roma, per ottenere
informazioni su Juan Borgia.”
“Informazioni di cui
voi dovete assolutamente essere messo al corrente, per il vostro bene e per
quello del Regno” riprese Sanseverino.
Oh,
certo, volete proteggermi. Magari come mi avete protetto quando Re Carlo ha
invaso il Regno, costringendomi a scappare a piedi, come un vagabondo? Il
vostro aiuto mi è stato veramente prezioso quando il sovrano francese mi ha
fatto torturare nelle segrete, pensò Alfonso, con
un lampo di odio negli occhi. Tuttavia scelse di dissimulare la propria rabbia
e di rispondere con l’ironia.
“Gli uomini fidati di
cui parlate sono quelli che io definirei spie?”
domandò in tono soave.
“Chiamateli come vi
pare, Vostra Maestà, ma ci auguriamo che le informazioni che abbiamo ottenuto
tramite loro servano ad aprirvi gli occhi” ribatté il Duca Caldora. “Questi
uomini, leali servitori del Regno di Napoli, hanno parlato con molti testimoni,
tutte persone che hanno avuto modo di conoscere bene il Duca di Gandia e anche di combattere al suo fianco… se così si può
dire.”
A queste parole un
comprensibile nervosismo iniziò a turbare Juan, che si agitò sul suo scranno.
Maledizione, se quella gente aveva davvero parlato con qualcuno che aveva
partecipato all’assedio di Forlì le cose si sarebbero messe male per lui…
“Immagino che il
valoroso Capitano Generale dell’esercito papale non vi abbia raccontato ciò che
è accaduto durante l’assedio di Forlì” disse il Principe di Melfi Caracciolo,
con un sorriso compiaciuto. “I pochi sopravvissuti a quel massacro hanno
riferito che Juan Borgia è scappato, da codardo qual è, non appena si è visto a
mal partito. Ha abbandonato i suoi soldati alla carneficina compiuta dalle
truppe di Ludovico il Moro, giunto in appoggio alla cugina Caterina Sforza. E
voi riponete la vostra fiducia in un simile vigliacco? Non pensate che farebbe
lo stesso qualora le forze di Re Carlo dovessero tentare una nuova sortita? Del
resto, già una volta Juan Borgia è stato pesantemente sconfitto dall’esercito
francese…”
Juan era sempre più a
disagio, ma Alfonso non si lasciò smontare.
“Avete detto che i
soldati di Ludovico il Moro hanno compiuto un massacro contro l’esercito
papale. Ritenete che la colpa della sconfitta debba ricadere sul Gonfaloniere
Borgia? E’ stato per un suo errore se i suoi uomini sono stati attaccati?”
“No, non ci è stato
riferito questo. In realtà l’esercito di Ludovico Sforza era molto più numeroso
e ben armato delle truppe papali e le ha attaccate alle spalle, tuttavia Juan
Borgia è fuggito senza nemmeno provare ad affrontare il nemico e…” cercò di
replicare Caracciolo
“E dunque cosa mai
avrebbe potuto fare Juan Borgia contro un esercito più numeroso e meglio armato
che, oltretutto, ha attaccato a tradimento le truppe papali? Pensate che
avrebbe dovuto combattere una battaglia persa in partenza? Voi, Principe
Caracciolo, cosa avreste fatto? E voi, Duca Sanseverino? Non è forse vero che,
quando la battaglia è persa, i comandanti cercano di mettersi in salvo? E’ la
stessa cosa che ha fatto Re Carlo quando è stato sconfitto dalla Lega Santa” obiettò
Alfonso con un sorrisetto. “E, come ho detto prima, so bene che non sarà la
presenza del Gonfaloniere Borgia a incutere terrore ai Francesi, quanto l’idea
che il suo esercito, assieme alle forze della Lega Santa, si schiererà per
proteggere il Regno di Napoli da qualsiasi invasore.”
Juan non sapeva bene
se essere soddisfatto perché Alfonso lo aveva difeso o se sentirsi vagamente
preso per i fondelli, così com’era accaduto durante il famoso pranzo di tre
anni e mezzo prima… Tuttavia l’importante era che il Principe avesse chiuso la
bocca a quei Baroni invidiosi e malevoli.
“Se questo è ciò che
pensate, Vostra Maestà… ma non avete udito ancora la parte peggiore” riprese
Sanseverino. “Juan Borgia non è soltanto un vigliacco, è anche un uomo
depravato, corrotto e pervertito. Frequenta abitualmente locande, bordelli e
fumerie di oppio, lasciandosi andare alle peggiori dissolutezze. E’ un
assassino, un uomo senza scrupoli che, durante l’assedio di Forlì, non ha
esitato a torturare un ragazzo di quindici anni di fronte a sua madre!”
Ma
questi sanno proprio tutto? Che siano maledette le spie dei Baroni di Napoli!
Adesso Juan
cominciava veramente a sudare freddo. Ecco, quella era proprio la cosa che
Alfonso non avrebbe dovuto sapere mai e poi mai…
Il Principe impallidì
e strinse le labbra a quelle parole, le mani strinsero convulsamente i
braccioli del trono e i nobili si scambiarono un’occhiata soddisfatta: era la
reazione che volevano ottenere, i giorni del Borgia a Napoli stavano per
finire.
“Quello che vi
racconterò adesso, Vostra Maestà, mi è stato riferito da un uomo fidatissimo
che ha parlato personalmente con un comandante spagnolo che ha combattuto
nell’assedio di Forlì, un testimone diretto, dunque, e sicuramente non di
parte, poiché era amico del Duca di Gandia prima che tutto questo avvenisse”
intervenne il Principe di Melfi Caracciolo. “Juan Borgia ha fatto catturare dai
suoi soldati il quindicenne figlio di Caterina Sforza e lo ha sottoposto ad
abusi e sevizie nella sua tenda, picchiandolo, brutalizzandolo e… beh, nemmeno
il comandante spagnolo poteva immaginare a quali depravazioni il Borgia si sia
spinto con quel povero innocente. Dopo di che lo ha trascinato sanguinante
sotto gli spalti del castello degli Sforza, malmenandolo, legandolo a una corda
e sottoponendolo a un orrendo supplizio sotto gli occhi di sua madre. Non
contento, gli ha addirittura tagliato un dito e alla fine ha ordinato che il
ragazzo venisse impiccato. Il poveretto si è salvato solo grazie all’intervento
del valoroso spagnolo, che lo ha liberato. Ecco, Vostra Maestà, questa è la
persona che avete accolto a corte, la persona alla quale accordate fiducia e
amicizia. Cosa ne pensate adesso?”
E’
falso, quelle spie non hanno parlato con Don Hernando de Caballos, queste
calunnie non possono venire da lui, pensò Juan,
sconvolto. Don Hernando non approvava la
tortura del giovane Sforza, è vero, ma non avrebbe mai messo in giro simili
calunnie. Abusi, depravazioni, percosse? Non c’è stato niente di tutto questo,
è vero che ho fatto torturare il ragazzo alla corda per costringere Caterina a
cedere, che gli ho tagliato un dito per ritorsione dopo che gli arcieri Sforza
mi avevano ferito alla gamba e che avrei fatto uccidere il prigioniero, ma
tutto il resto sono fantasie malate di qualcuno che vuole mettermi in cattiva
luce. E non può essere Don Hernando, no… la spia deve aver parlato con qualcun
altro, con Cesare, probabilmente!
“Vorrei ricordarvi,
Vostra Maestà, che il ragazzo che il Borgia ha abusato, seviziato e torturato
ha solo quindici anni, quanti ne avevate voi quando il Re francese vi ha
trattato nello stesso modo atroce” sottolineò Sanseverino. “Volete veramente
che sia un uomo del genere ad occuparsi della vostra protezione?”
I Baroni di Napoli
non nascondevano sorrisi trionfanti, mentre Juan si agitava sullo scranno,
sempre più teso e tormentato.
Alfonso si sentiva
sprofondare in un abisso di disperazione, rabbia e angoscia. Il vuoto che lo
aveva quasi inghiottito alla morte del Generale sembrava tornare a reclamare la
sua anima. Il dolore che lo straziava era devastante.
Tuttavia i terribili
anni come ostaggio di Re Carlo gli avevano insegnato a mascherare le emozioni,
a ostentare una forza che non aveva e a trarre energia dalla paura, per dare la
risposta giusta, quella che lo avrebbe salvato ancora una volta dall’orrore.
Sui alzò dal trono,
pallidissimo ma fiero. Non rivolse nemmeno un’occhiata di sfuggita a Juan, i
suoi occhi si puntarono su Caracciolo e gli altri nobili, che ormai credevano
di aver vinto la loro battaglia. Un silenzio glaciale incombeva sulla sala.
“Miei signori, ho
ascoltato con molta attenzione tutto ciò che mi avete riferito e questa è la
mia risposta” disse Alfonso, cercando di mantenere ferma la voce. “Se quello che
avete raccontato è vero, allora Juan Borgia è assolutamente la persona che mi
serve per tenere al sicuro il mio Regno.”
I Baroni restarono
sbigottiti.
“Vostra Maestà, ma…
avete compreso bene quello che vi abbiamo detto? Juan Borgia è un uomo
pericoloso, un assassino, un depravato che non si fa scrupoli a…” iniziò a
protestare Caracciolo.
“Appunto. E’ proprio
la persona di cui ho bisogno” lo interruppe Alfonso, gelido. “Avete parlato del
Re francese e di quello che mi ha fatto, ma dov’eravate voi quando ho avuto
bisogno di un rifugio? Mi avete forse aiutato a sfuggire alle grinfie di Re
Carlo? No di certo, avevate da pensare alle vostre terre e ai vostri
possedimenti. E ciò che riferite del Gonfaloniere Borgia non è poi molto
diverso da quello che si diceva in giro di mio padre, il temuto Re Ferrante, ai
tempi in cui bastava il suo nome per atterrire avversari e possibili invasori. Sono
veramente molto lieto che, finalmente, nel Regno ci sia di nuovo qualcuno che
non si fa scrupoli, qualcuno talmente spietato e crudele da non esitare a
prendere voi, le vostre mogli e i vostri figli e di farli passare per le
segrete di mio padre.”
I nobili
indietreggiarono, improvvisamente spaventati. In quel momento Alfonso sembrava
davvero il degno figlio del terribile Re Ferrante. Alcune guardie del castello
entrarono nella Sala del Trono e afferrarono i Baroni per le braccia.
“Le mie guardie vi
scorteranno fuori e voi potrete tornare alle vostre terre sani e salvi, per
questa volta. Ma guai a voi se oserete ancora alzare la testa e venire a dire a
me quello che devo o non devo fare”
intimò loro il ragazzo. “Come ben sapete, adesso ho a mia disposizione il
Gonfaloniere Borgia, quest’uomo feroce e inesorabile, e il suo nome diventerà
presto sinonimo di terrore e distruzione per tutti coloro che oseranno
minacciare me e il Regno di Napoli, voi per primi, con le vostre assurde
pretese e rivendicazioni! Andate pure, vi auguro una buona serata, miei
signori.”
Le guardie di Alfonso
scortarono fuori dal castello i quattro nobili, che furono ben felici di salire
sui loro cavalli e ripartire di gran carriera verso i loro possedimenti.
Il loro piano era
miseramente fallito. Altro che indebolire il Principe e privarlo dell’appoggio
degli odiati Borgia! Le loro parole avevano avuto il solo effetto di scatenare
ancora di più il suo odio contro di loro e adesso avrebbero dovuto tenere un
profilo molto basso per evitare di incorrere nella sua vendetta.
Forse non era stata
una grande idea ricordargli le torture subite da Re Carlo, quando essi per
primi si erano ben guardati dal portarlo in salvo e, anzi, avevano sperato che
il monarca francese lo uccidesse, per poi farsi avanti e cercare di guadagnare
favori e privilegi…
Nella Sala del Trono
erano rimasti solo Alfonso e Juan.
Il giovane Borgia,
ammirato per come il Principe lo aveva difeso, si era ripreso dallo
sbigottimento ed era in vena di scherzare.
“Il mio nome
diventerà sinonimo di terrore e distruzione? Bello, mi piace” commentò,
divertito. “Meglio però che non si sparga troppo la voce della mia fuga da
Forlì…”
La voglia di
scherzare gli passò immediatamente non appena Alfonso si voltò verso di lui,
gli occhi due pozze nere di dolore e desolazione.
“C’è qualcos’altro
che dovrei sapere di voi, Gonfaloniere?” gli chiese, una domanda dura e diretta
come una cannonata. “Non siete un eroe, ma questo l’avevo già capito anni fa,
quando veniste a portare la proposta di matrimonio di vostro fratello. E non mi
interessa, pure io sono un codardo, alla resa dei conti. E le vostre debolezze,
oppio, alcool e bordelli, riguardano solo voi. Ma ditemi, fino a che punto vi
dilettate ad abusare di ragazzini e a torturarli?”
Juan rimase
impietrito.
“Che dici, Alfonso?
Non avrai creduto davvero a quello che dicevano i Baroni, spero” replicò, improvvisamente
molto meno sicuro di sé. “Sai che il loro scopo è quello di allontanarmi da
Napoli e di privarti della protezione dei Borgia.”
“Lo so, infatti, ed è
solo per questo che vi ho difeso. Ma ora ditemi, ditemi pure, Gonfaloniere:
cos’altro c’è di voi che non so e che dovrei sapere?” ripeté Alfonso,
implacabile.
Juan si sentì come se
il terreno gli stesse franando sotto i piedi e le mura del castello si
richiudessero sopra di lui. Era finita, dunque? Ancora una volta aveva fallito
e sarebbe dovuto tornare a Roma, dal padre, con il capo chino e la vergogna
scritta in fronte?
Ma questo fallimento
gli bruciava troppo. No, questa volta non si sarebbe arreso, non poteva. Non
avrebbe rinunciato a quello che, per qualche settimana, lo aveva fatto sentire
in pace, sereno, come se avesse finalmente trovato una vera casa.
Waiting for my damnation - your prosecutor's here In my own accusation - you can't run from yourself
Oh we're living these lies all alone
So come on and throw the stone
Silver stars in my black night
Cold as ice but beautiful
Wandering through broken shadows
The river of life is all filled with sins
The water I drink is the blood on my hands
Pray to the gods I have sold in this game of live and let die
Pray for my soul in this world to deliver me from my sins
Pray...
(“Blood on my hands” – Xandria)
“Mi dispiace,
Alfonso, so che avrei dovuto parlarti di quello che avevo fatto durante
l’assedio di Forlì” ammise Juan, mortificato, “so che avrei dovuto essere io a
dirti tutto prima che lo venissi a sapere da qualcuno che avrebbe raccontato la
storia a modo suo. Ma tu mi avevi mostrato fiducia e amicizia, mi ascoltavi, mi
stimavi e io… beh, non volevo perdere il tuo rispetto. Ne ho già abbastanza di
persone che mi giudicano.”
“Vi ho già detto che
non mi interessa se siete fuggito davanti all’esercito di Ludovico Sforza”
ripeté il Principe, stizzito. “Come potrei giudicarvi? Io sono scappato non
appena ho saputo che i Francesi avevano invaso il regno di Napoli e ho lasciato
i miei sudditi in balia degli stranieri e della peste! Non tutti siamo nati per
fare gli eroi.”
“E allora cosa?
Quello che ti hanno riferito è falso e sono certo che quelle spie non hanno
parlato con Don Hernando de Caballos, lui non avrebbe mai messo in giro simili
calunnie” reagì Juan. “Sono convinto che, in realtà, abbiano parlato con mio
fratello Cesare. Quel maledetto ipocrita è invidioso e sta cercando di rovinare
quello che sto costruendo qui, non accetta che nostro padre abbia scelto di
nuovo me per proteggere il Regno di Napoli e farà di tutto per…”
“Basta chiacchiere”
lo interruppe Alfonso, fissandolo negli occhi. “Avete seviziato e torturato un
ragazzo di quindici anni,
Gonfaloniere? Un ragazzo di quindici anni, sul serio? Allora ditemi, qual è la
differenza tra voi e Re Carlo? Anch’io avevo quindici anni quando lui mi ha
fatto…”
Juan capitolò. Era
inutile continuare a raccontare storie, anzi, era chiaro che aveva sbagliato
fin dal principio. Alfonso avrebbe dovuto sapere da lui tutta la vicenda, in
questo modo non aveva fatto altro che regalare un vantaggio ai suoi avversari. Stanco
e sconsolato di fronte alle menzogne che, ancora una volta, gli si ritorcevano
contro, si lasciò cadere sullo scranno che aveva occupato fino a poco prima.
“Va bene, ti
racconterò tutto. Siediti, sarà una storia lunga” disse. Attese che Alfonso
prendesse posto sul trono e poi riprese a parlare. “E’ vero, ho dato ordine ai
miei soldati di catturare il figlio di Caterina Sforza. Potrei dire che non
sapevo quanti anni avesse, ma la verità è che per me non avrebbe fatto
differenza, l’avrei preso anche se fosse stato più piccolo. Non mi importava
niente di lui, la sola cosa a cui pensavo era che sua madre doveva arrendersi a me e farsi portare a
Roma in catene, qualsiasi mezzo sarebbe stato lecito pur di raggiungere il mio
scopo.”
Alfonso si era
seduto, ma non vi rimase a lungo. Le parole di Juan lo fecero nuovamente
indignare e il ragazzo si alzò di scatto e camminò per la stanza, cercando di
far sbollire la rabbia che provava.
“Qualsiasi mezzo
sarebbe stato lecito, dite. Dunque per voi seviziare e tormentare un ragazzo di
quindici anni è corretto, è dignitoso” sibilò. “Forse avete sbagliato
indirizzo, Gonfaloniere, forse avreste dovuto offrire i vostri servigi a Re
Carlo, visto che avete così tanto in comune!”
Detto questo, Alfonso
voltò le spalle al giovane Borgia e alla Sala del Trono e si avviò a passo
svelto lungo il corridoio. Juan, però, non considerava affatto chiusa la
questione e lo raggiunse, cercando ancora una volta di spiegare come fossero
andate effettivamente le cose.
“Quello che il Re di
Francia ti ha fatto è spaventoso, crudele e inumano, te l’ho detto appena me
l’hai raccontato e lo penso tuttora” riprese, tentando inutilmente di prendere
il braccio del Principe. “E il motivo principale per cui considero atroce ciò
che ti è successo sta proprio nel fatto che io stesso ho torturato un
prigioniero innocente e mi posso rendere conto della differenza più di chiunque
altro!”
“E quale sarebbe
questa differenza? Perché forse chi viene torturato non se ne rende conto”
ribatté caustico Alfonso.
“Ho catturato il
giovane Sforza perché volevo che sua madre si arrendesse” insisté Juan. “L’ho
portato nella mia tenda per spaventarlo. Avrei potuto fargli del male anche
subito, ma non l’ho fatto, hai capito bene? Non. L’ho. Fatto. Perché non mi
interessava malmenarlo, non mi faceva sentire meglio, non mi divertivo e non mi
eccitavo nel vederlo soffrire. Volevo terrorizzarlo, questo sì, l’ho minacciato
delle peggiori torture e poi l’ho legato a una corda sotto gli occhi della
stramaledetta Caterina e gli ho torto le braccia dietro la schiena. Gli dicevo
di chiamare sua madre, di urlare, di chiederle aiuto. Non mi stavo divertendo,
se la sgualdrina Sforza si fosse arresa avrei smesso anche subito!”
“Non è quello che ho
sentito io” commentò il Principe, gelido. “Avete tagliato un dito a quel
ragazzino e avete cercato di impiccarlo, forse gli avete fatto anche di peggio…
Volete che scriva io, personalmente, a Don Hernando de Caballos per farmi
raccontare come sono andate davvero le cose?”
“Scrivigli, allora.
Anzi, ancora meglio: fallo venire qui e parlagli di persona. Perché lui ti riferirà
quello che ha visto e che è esattamente ciò che ti ho raccontato” esclamò il
giovane Borgia, esasperato. “So che non approvava il mio comportamento, mi ha
anche detto che era una cosa indegna e, alla fine, è stato lui a salvare il
ragazzo e a liberarlo. Ma, se parlerai con lui, allora saprai che quello che ho
fatto allo Sforza è stato questo. Non sono un sadico, non ho goduto nel
torturarlo e l’ho fatto esclusivamente per indurre Caterina ad arrendersi.”
“Gli avete tagliato
un dito e volevate ucciderlo. Anche questa è una calunnia?” lo incalzò Alfonso,
ostinato.
“No, questo è vero”
sospirò Juan, rassegnato. A quel punto tanto valeva che dicesse tutto, ma
Alfonso doveva sentirlo da lui e non
dai suoi detrattori. “Lo avrei ucciso comunque, anche se Caterina Sforza si
fosse arresa, non potevo lasciare che crescesse e si vendicasse. Non sarei
stato né il primo né l’ultimo a fare un ragionamento del genere e questo lo sai
benissimo anche tu. E gli ho tagliato un dito, sì, in un attimo di rabbia
furiosa. Quella puttana della Sforza mi aveva fatto colpire con una freccia
alla gamba e io ero fuori di me per il dolore e la collera, volevo vendicarmi e
ho tagliato il dito di suo figlio perché vedesse che facevo sul serio.”
Alfonso non era uno
sciocco e negli ultimi anni aveva dovuto imparare a capire le persone con uno
sguardo. Fissò Juan in silenzio per un lungo istante, serio in volto, e
comprese che era sincero e che aveva raccontato tutto. Ma una parte di lui non
era soddisfatta, una parte di lui continuava a pungolarlo e a tormentarlo. Non
riusciva a capire, ormai era chiaro che il modo di fare e le motivazioni del
giovane Borgia erano ben diverse dalla sadica e gelida crudeltà di Re Carlo
anche se, per puro caso, le vittime erano state due ragazzi della stessa età…
Eppure la fiamma di una rabbia dolorosa nel suo cuore non si placava.
“Sembra quindi che la
maggior parte delle cose che i Baroni hanno riferito siano vere, tutto sommato”
commentò. “Le torture, il taglio del dito, il tentato assassinio… magari,
chissà, è vero anche che avete abusato di quel ragazzino, che vi siete
approfittato della sua vulnerabilità per sfogare la vostra depravazione!”
Fu come se una luce
si fosse accesa improvvisamente nella testa di Juan. Allora era questo! Alfonso
non era tanto indignato per la storia delle torture, o almeno non lo era più
adesso che aveva compreso che lui non era un sadico bastardo come il Re
francese… il problema era che Alfonso era geloso. La collera che lo bruciava derivava
dal pensiero che il giovane Borgia avesse potuto sentirsi attratto, in qualche
modo, dal ragazzino Sforza e che avesse approfittato di lui!
Alfonso era geloso.
Quel pensiero
tranquillizzò Juan. Se era quello il vero motivo della sua ira, allora non aveva
nulla di cui preoccuparsi: non gli era mai importato un bel niente del figlio
della puttana Sforza e non doveva far altro che dimostrarlo.
Alfonso aveva
continuato a camminare lungo il corridoio e ormai si trovava nei pressi della
sua camera, gli aveva voltato le spalle come per ostentare la più completa
indifferenza nei suoi confronti. Juan gli si avvicinò, lo fece voltare verso di
sé e poi lo prese per i polsi e lo spinse contro il muro, inchiodandolo con il
peso del suo corpo.
“Ti ho raccontato tutto
quello che ho fatto, Alfonso, ed è quella l’unica e sola verità, il resto sono
solo calunnie che, come ti ho già detto, sicuramente mette in giro Cesare”
disse, con il volto vicinissimo a quello del ragazzo. “Ho compiuto degli atti
sconsiderati e indegni di un vero cavaliere torturando il giovane Sforza? Forse
sì, ma l’ho fatto solo per catturare sua madre Caterina. Avrei potuto fargli
cose molto peggiori, ma non mi è nemmeno passato per la testa.”
Adesso Alfonso non
parlava più. Confuso e stordito per la vicinanza con Juan, cercava di
distogliere lo sguardo da lui e di liberarsi dalla sua stretta, ma si sentiva
sempre più debole, le gambe gli venivano meno, la testa si svuotava da ogni
pensiero che non fosse il contatto con il giovane Borgia e il cuore e il
respiro acceleravano sempre di più.
“Non mi importava
niente di lui, per me era solo una pedina in un gioco molto più grande, eppure
non mi sono divertito a fargli del male” continuò Juan. “Non sono un sadico
perverso come quel maledetto Re Carlo, quello che è successo a te è stato
orribile e vorrei solo che riuscissi a dimenticarlo…”
Poi lo spinse ancora
di più contro la parete e lo baciò, prepotentemente e con foga, esplorandogli
la bocca con passione e rubandogli il respiro. Senza smettere di baciarlo,
senza riuscire a staccarsi dalla sua bocca morbida, lo sollevò da terra e lo
portò di peso verso la camera del Principe, ringraziando mentalmente il dottore
per avergli curato così bene la gamba. Lo depose sul letto e si distese sopra
di lui, imprigionandolo ancora una volta con il suo corpo e iniziando a
liberarsi delle sue vesti. Alfonso, inebetito, non capiva nemmeno quello che
stava succedendo, sentiva solo che le ginocchia gli tremavano, che il cuore
impazziva, che le tempie gli pulsavano e che ogni fibra del suo essere
desiderava disperatamente che Juan non si fermasse, che facesse di lui quello
che voleva e come lo voleva… senza nemmeno sapere fino in fondo di che si
trattava.
Il giovane Borgia lo
baciava e lo esplorava con la lingua, sempre più audace e indecente, poi iniziò
a sfilargli le sue eleganti vesti di velluto, accarezzandolo a lungo su tutto
il corpo e nelle parti più intime e delicate, fino a fargli perdere quel po’ di
lucidità che gli restava e a farlo gemere, incredulo e sperduto, contro la sua
bocca. Sapeva bene che Alfonso, negli anni in cui era stato ostaggio dei
Francesi, aveva avuto dei rapporti intimi con il Generale che si occupava di
lui ma, chissà perché, aveva anche la vaga impressione che il ragazzo lo avesse
sempre lasciato fare per gratitudine e affetto, senza nemmeno capire bene
quello che succedeva. Adesso sarebbe stato del tutto diverso: Juan gli divaricò
le gambe e si fece strada nel suo corpo, prima con lentezza e poi con più
passione, mentre Alfonso, smarrito, si aggrappava alle sue spalle e cercava istintivamente
di assecondare i suoi movimenti. Le ondate di piacere divennero sempre più
incalzanti, i loro corpi si mossero sempre più all’unisono, fino alla fine, un
lungo istante di estasi assoluta seguito da un languido calore nei loro corpi,
mentre il Principe, preso da un improvviso senso di timidezza e imbarazzo,
nascondeva il viso contro il petto del giovane Borgia, cercando di soffocare
gemiti e sospiri.
Se Alfonso era completamente fuori di sé e
non capiva più nemmeno chi fosse, dove fosse e perché, Juan Borgia non era da
meno. Quella non era certo la prima volta per lui, anzi, aveva consumato
amplessi in tutte le parti del mondo, compreso il castello di Napoli, tre anni
e mezzo prima, proprio con la sorellastra del Principe. Eppure quella volta era
stata diversa da tutte le altre e lui non si era mai sentito così. Aveva sempre
cercato il sesso per sfogare i suoi bisogni e i suoi desideri e li soddisfaceva
in fretta, con foga e con urgenza, tutte le volte che ne sentiva la necessità.
Dopo l’amplesso era soddisfatto e la cosa finiva lì, generalmente non aveva
neanche interesse a rivedere la persona con cui era stato, a meno che non fosse
stata particolarmente esperta e brava nel farlo godere.
E adesso? Sentiva dentro di sé un caldo
languore e una tenerezza che il sesso non aveva spento, bensì contribuito ad
accrescere. Provava il bisogno di stringere a sé Alfonso, di baciarlo ancora,
di farlo ancora suo, ma in un modo diverso, non per il godimento di un istante
o per soddisfare un bisogno bensì per… non lo sapeva nemmeno lui il perché,
sapeva solo che l’amplesso in sé e per sé questa volta non lo aveva
accontentato e che voleva di più.
Così Juan riprese a baciare Alfonso, dapprima
con lentezza e poi con sempre maggior intensità. Ancora una volta fu su di lui,
ancora una volta si fece largo nel suo corpo liscio e morbido, ma con minore
foga, con minor impeto, cercando, questa volta, di prolungare al massimo il
piacere e godendo di ogni singolo istante, fino a perdersi con lui in un oceano
di passione.
Alla fine strinse il Principe in un abbraccio
caldo e confortevole e, mentre gli accarezzava i riccioli umidi di sudore, si
chiese come potesse essere avvenuto un simile fatto, cosa avesse di speciale
quel ragazzo per farlo sentire così calmo e soddisfatto accanto a lui. Poche
ore prima aveva temuto di perderlo, di essere cacciato da quella che ormai
considerava la sua vera casa e adesso, con Alfonso tra le braccia, sentiva una
pace mai provata prima diffondersi nelle sue membra e comprendeva che niente,
nemmeno la consapevolezza del potere e della grandezza che avrebbe raggiunto,
nemmeno la soddisfazione di avere la sua rivincita su Cesare e di rendere
finalmente orgoglioso suo padre, potevano uguagliare la completa serenità che
provava nel trovarsi quel Principe egocentrico e altezzoso ora smarrito e
tremante nel suo abbraccio.
Per la prima volta Juan Borgia si sentiva
veramente completo e felice, accolto e accettato per quello che era, legato a
qualcuno che diventava ogni giorno di più lo scopo ultimo della sua esistenza.
Call me when you are sober
You are too drunk to remember now
I did write you a love song
You got the words wrong
The pledge, the turn, the prestige
Are not worth anything
When we have to perform them
In front of a blind audience
We all have made our mistakes
Mistakes we've paid for
I'll always be a monster
But not your monster anymore!
(“Not your monster” – The Dark Element)
Quella era stata una
giornata particolarmente faticosa per Alfonso, e non soltanto perché Juan
l’aveva preso e posseduto come se non ci fosse un domani! Il ragazzo aveva
dovuto affrontare i Baroni di Napoli e le loro insinuazioni, aveva dovuto
tenere loro testa fingendo di non esserne turbato e poi, come se non bastasse,
aveva discusso con il giovane Borgia a proposito di ciò di cui era stato
accusato. Si era reso conto che, alla resa dei conti, quello che lo turbava
veramente era pensare che Juan avesse desiderato quel ragazzo che aveva
torturato, che avesse fatto qualcosa con
lui e poi, per essere sincero fino in fondo, anche il pensiero che frequentasse
abitualmente i bordelli gli causava delle punture al cuore che non riusciva a
spiegarsi.
In realtà Juan non
aveva del tutto smentito le voci su di lui, anzi, per non doverne parlare più
di tanto lo aveva preso, baciato e poi… e poi Alfonso non aveva capito più
niente e non era stato in grado di ragionare lucidamente. Stremato e sconvolto
aveva finito per addormentarsi tra le braccia del giovane Borgia come se non
avesse dubbi su di lui, come se quelle maldicenze fossero state del tutto false, cosa ancora da
dimostrare.
Tuttavia la mente del
Principe aveva continuato a lavorare anche mentre lui dormiva e si era
concentrata principalmente sull’argomento delle torture. Sì, Juan aveva
dichiarato di non essersi divertito a seviziare il giovane Sforza e di averlo
malmenato solo ed esclusivamente al fine di costringere sua madre ad
arrendersi. Alfonso gli aveva creduto, ma questo non era bastato a fugare dalla
sua testa le atroci immagini delle torture che invece lui stesso aveva subito,
ad opera di un Re crudele che non voleva ottenere niente, ma solo godere nel
sentirlo urlare disperatamente fino a farsi sanguinare la gola… E, quella
notte, in un incubo spaventoso, si era ritrovato nelle segrete, incatenato ai
peggiori strumenti di tortura, mentre arnesi orribili e incrostati di ruggine e
sangue gli straziavano le membra e le parti più delicate del suo corpo, senza
fine, senza fine.
Si era svegliato con
un grido terrificante che aveva fatto sobbalzare anche Juan. Il Borgia lì per
lì non aveva nemmeno capito bene dove si trovasse e nel letto di chi (e questa
era una cosa che gli era capitata un sacco di volte…), ma poi si voltò verso
Alfonso e lo trovò raggomitolato su se stesso, che si allacciava le ginocchia
con le braccia e piangeva, gli occhi immensi a fissare il buio della stanza.
“Alfonso, cosa c’è?
Che ti succede?” gli domandò, ancora mezzo assonnato.
Il ragazzo non parve
riconoscerlo, o forse nemmeno lo vedeva, perduto nel suo incubo.
“Non mi fate del male…
basta, no, per favore, basta, lasciatemi andare…” mormorò, la voce spezzata dal
pianto.
Juan adesso era
sveglio e non ci mise molto a capire quello che era accaduto: tutto quel
parlare di torture e il confronto piuttosto serrato con i nobili Baroni di
Napoli avevano provocato un altro incubo al Principe, uno di quelli legati alle
atroci esperienze nella stanza delle torture. Non era molto esperto nel
consolare e confortare la gente, tuttavia si avvicinò ad Alfonso e cercò di
attirarlo a sé.
“Era solo un incubo,
Alfonso, non c’è nessuno che voglia farti del male” gli disse. Il ragazzo
continuava a tremare, ma non lo respinse e Juan lo strinse più forte. “Non sei
più solo, ci sono io, non permetterò che ti facciano del male, lo sai che sono
qui per difenderti.”
Il giovane Principe
cedeva, si lasciava abbracciare e ad un certo punto, timidamente, ricambiò l’abbraccio,
rifugiandosi nella calda e sicura stretta delle braccia di Juan. Adesso
cominciava a rendersi conto di aver sognato, ma la paura non lasciava la sua
presa su di lui e gli impediva di smettere del tutto di piangere e tremare.
Tuttavia il tremito, adesso, era più leggero e il pianto si placava. Ben presto
Alfonso non seppe più dire se stava tremando ancora per il terrore indottogli
dal sogno… o perché stava nell’abbraccio protettivo e avvolgente di Juan!
“Stai tranquillo, non
c’è più niente da temere ormai e gli incubi pian piano se ne andranno” continuò
a tranquillizzarlo il giovane Borgia e si sentiva strano nel farlo. Era vero,
lui non aveva mai consolato nessuno, non era il tipo, non sapeva nemmeno come
si dovesse fare, ma adesso sembrava tutto così facile e naturale. Anzi, tenendo
Alfonso stretto tra le braccia e dicendogli parole affettuose e di conforto si
sentiva meglio anche lui, si sentiva forte, indispensabile, importante per
qualcuno e un calore buono gli si diffondeva nel petto.
“Non lasciatemi solo
anche voi, Gonfaloniere…” lo pregò il Principe in un sussurro.
“Non vado da nessuna
parte, sono qui con te e ti proteggerò sempre” rispose Juan, “e non ti sembra l’ora
di smetterla con la storia del Gonfaloniere?
Mi sembra che siamo diventati abbastanza intimi, ormai, puoi darmi del tu e
chiamarmi per nome, no?”
“Io… veramente… sì,
penso di sì…” mormorò Alfonso, che ora decisamente
tremava per la vicinanza di Juan e non più per l’orrore dell’incubo, ormai già
dimenticato.
Il giovane Borgia,
tuttavia, non aspettò la sua risposta. Stringerlo tra le braccia lo aveva
dapprima intenerito, però poi la tenerezza si era trasformata in desiderio, un
bisogno diverso da quello che provava prima, non era più legato esclusivamente
all’atto sessuale ma lo coinvolgeva totalmente, corpo, cuore e anima. Era un
desiderio che nasceva dall’attrazione fisica e dai sensi, certo, ma per la
prima volta si arricchiva e si intensificava con i sentimenti che Juan provava
per il Principe: tenerezza, istinto protettivo, voglia di restargli accanto, di
non separarsi mai più da lui. Lo strinse forte a
sé, affondandogli una mano nei capelli e cingendolo con l’altro braccio;
premette le labbra sulle sue e iniziò a baciarlo sempre più profondamente, con
passione e intensità, esplorando la sua bocca con la lingua. Lo sospinse
delicatamente sul letto e continuò a baciarlo, mettendosi sopra di lui,
premendogli una mano sulla sua nuca per attirarlo sempre più contro di sé; con
l’altra mano, intanto, lo accarezzava su tutto il corpo. Si fece strada dentro
di lui lentamente e languidamente per non perdersi niente di quel contatto che
lo emozionava tanto, che gli incendiava il sangue nelle vene e lo portava a
desiderare di non staccarsi mai da Alfonso, di unirsi a lui, annullarsi nella
passione e nell’estasi. Juan Borgia aveva avuto tante amanti, ma la maggior
parte di loro non aveva lasciato nemmeno l’ombra di un ricordo. Aveva goduto di
esperienze piacevoli e soddisfacenti, sì, ma il suo cuore non ne era mai
rimasto coinvolto. Invece quella notte, già dalla prima volta in cui aveva
preso Alfonso e lo aveva fatto suo, aveva sentito che una parte di sé era
legata indissolubilmente a quel giovane Principe spocchioso e adorabile allo
stesso tempo.
Si
sarebbe potuto dire che quella notte, per la prima volta, Juan Borgia aveva
compreso il significato dell’espressione fare
l’amore e che somigliava solo lontanamente al sesso che aveva praticato
come una sorta di gioco e di appagamento fisico. E non riusciva a placarsi, ad
accontentarsi. Un solo amplesso non gli era bastato, sentiva la necessità di
perdersi ancora e ancora in Alfonso, di fondersi con lui fino a dimenticare i
confini tra il proprio essere e il suo, entrargli sotto la pelle e nel sangue,
diventare una parte di lui, riempirsi del suo sapore e del suo odore, farlo
diventare un naturale prolungamento di se stesso. Voleva essere il suo mondo,
il suo sole e il suo respiro. Desiderava portarlo più e più volte all’estasi
totale e prendersi e dargli piacere per ore e ore, fino allo stordimento dei
sensi, fino a confondere gemiti e sospiri.
Per tanti
anni aveva vagato alla ricerca di qualcosa che nemmeno lui sapeva, sempre
insoddisfatto, cercando nei vizi quello che gli mancava e che lo faceva sentire
vuoto dentro. Adesso, per la prima volta, sperimentava la soddisfazione di
sentirsi completo, integro, assaporava la meravigliosa sensazione di appartenere
a qualcuno e di avere qualcuno che gli apparteneva e non aveva la minima
intenzione di perdere tutto questo, anzi. Voleva che Alfonso fosse suo, sempre
più suo, solo e soltanto suo. Avrebbe conosciuto ogni centimetro del suo corpo,
si sarebbe insinuato in ogni fibra del suo essere, avrebbe cancellato ogni
confine tra di loro per diventare una sola cosa con lui.
Gli assalti amorosi
si susseguirono, a volte più appassionati e ardenti, a volte più languidi e
lenti, mentre il tempo non aveva più limiti e si dilatava all’infinito, le ore
potevano diventare secoli o secondi, nient’altro più esisteva se non l’unione
dei due corpi che si cercavano e che non potevano restare separati. Juan
continuò a baciare Alfonso, a invaderlo e a seppellirsi in lui, ad annegare nel
suo corpo più e più volte, sfiorando l’apice del piacere per poi ricominciare,
e andò avanti così finché non si sentì del tutto stremato e soddisfatto.
Tuttavia, anche alla fine di tutto, Juan non volle
staccarsi da Alfonso, non riuscì a separarsi da lui. I loro corpi erano rimasti
allacciati e incatenati l’uno all’altro e trovarono riposo in un dolce languore
mentre i loro respiri tornavano regolari. Il giovane
Borgia si divertiva ad accarezzare i capelli e le guance morbide del ragazzo e
a giocherellare con i suoi ricci scompigliati sulla fronte e sulla nuca. Anche
quella era una cosa insolita per lui: quando mai gli era accaduto di rimanere a
coccolare una delle sue amanti occasionali una volta soddisfatto il desiderio
sessuale? Non gli era mai neanche passato per l’anticamera del cervello, ma si
rendeva conto con stupore che quei momenti di tenerezza con Alfonso lo
riempivano di calore e soddisfazione quasi come i piaceri della passione in cui
si era perduto poco prima e che quell’abbraccio spontaneo e affettuoso era
probabilmente la cosa più bella che gli fosse mai capitata. E non voleva
perderlo, no.
Alfonso era l’unico che lo facesse sentire
davvero vivo, accettato, completo e integro. Era buffo che tutto quello che
aveva cercato inutilmente per l’intera sua vita fosse così facile da trovare.
Adesso tutto ciò che aveva sempre voluto era lì, nel letto, abbandonato e
affidato a lui, ancora completamente esausto e sopraffatto per le emozioni
intense e mai provate prima, con la testa appoggiata al suo petto: sembrava
essersi addormentato in pace e dimentico dell’incubo che lo aveva tormentato.
Juan si trovò ancora una volta a riflettere
su quanto fosse diverso ed enormemente più piacevole sentire il calore e la
tenerezza del ragazzo che gli restava abbracciato e completamente affidato
rispetto alle tante esperienze di amore fisico che gli avevano appagato i sensi
ma lasciato freddo il cuore, di come ormai non potesse più farne a meno, altro
che la dipendenza dall’alcool o dall’oppio!
Nulla
sarebbe stato più lo stesso, ma Juan Borgia doveva stare bene attento a non
commettere i suoi soliti errori e a non compromettere tutto. Aveva voluto il
Principe Alfonso, lo aveva posseduto e aveva invaso ogni fibra del suo essere,
ma ora, proprio come aveva marchiato quel ragazzo e lo aveva fatto totalmente
suo, doveva sigillare e marcare una volta per tutte la sua posizione nel Regno
di Napoli. Avrebbe dovuto trovare un modo. Questa volta non avrebbe perso ciò
che aveva cercato per tutta la vita.
Quella
era la sua casa e accanto ad Alfonso si sentiva felice, accolto e amato.
Perso in
questi pensieri, anche Juan si addormentò, cullato dolcemente dal respiro
regolare del giovane Principe che dormiva già da un po’…
La mattina dopo,
però, quando si svegliò non trovò Alfonso accanto a sé. Sorpreso, Juan si alzò
e si preparò in fretta per andare a cercarlo e lo trovò nella Sala del Trono,
impegnato e concentrato nella consultazione di antichi tomi e pergamene.
“Buongiorno, Principe,
non ti facevo così mattiniero” gli disse scherzosamente, con quel suo mezzo
sorriso che lo imbarazzava e lo faceva arrossire.
“Beh, mi sono
svegliato presto e mi è venuta in mente una cosa, così non ho voluto aspettare
e sono venuto qui” rispose il ragazzo, cercando di riprendere una parvenza di
contegno. Ricordava molto vagamente cosa fosse successo in tutta quella notte
appena trascorsa, ma sapeva di non aver dato certo uno spettacolo edificante di
sé. Aveva perso totalmente ogni controllo, ogni concezione dello spazio e del
tempo e aveva permesso a Juan di fare di lui tutto ciò che voleva, in totale
balia di emozioni che lo stravolgevano anche solo ripensandoci!
“Gonfaloniere…”
“Avevamo detto Juan” lo corresse subito il giovane
Borgia.
“Sì, è vero… dunque…
Juan” mormorò Alfonso, arrossendo di nuovo solo a pronunciare quel nome, “mi
sono reso conto del fatto che voi… che tu, insomma, che la tua posizione qui
dipende soltanto dal fatto che sei stato inviato da tuo padre, Papa Alessandro
VI. Ma che cosa succederebbe se accadesse qualcosa a tuo padre? So che ha molti
nemici e questi vorrebbero di sicuro fare del male a tutta la vostra famiglia.”
Il giovane Borgia non
ci aveva mai pensato prima, ma dovette ammettere che Alfonso aveva
perfettamente ragione. E se non lo sapeva lui! Era il legittimo erede del trono
di Napoli eppure, morto suo padre, era stato catturato dai Francesi e gli era
accaduto di tutto. Cosa sarebbe successo a un Borgia qualsiasi se il Papa fosse
morto? Nessuno di loro aveva una posizione sicura. Juan era il Gonfaloniere e
Capitano Generale dell’esercito papale, ma quale esercito papale avrebbe avuto se il Papa non fosse stato più suo
padre?
Era una bella domanda…
“Dunque mi sono
venute alcune idee” spiegò il Principe, con maggior disinvoltura. “Si tratta di
cose che dovremo iniziare a fare al più presto e io credo di avere l’autorità
per farle, no? Dopotutto, adesso sono io il sovrano del Regno di Napoli.”
“Così sembrerebbe, sì”
commentò Juan, divertito da quell’Alfonso così preso dal suo ruolo.
“Per prima cosa,
stamattina ho inviato una lettera al vostro… al tuo amico, quel Don Hernando de Caballos, affinché venga a Napoli
al più presto. Quando sarà qui lo nominerò Generale dell’esercito di Sua Maestà…
il mio, in parole povere.”
“E’ davvero un’ottima
idea” esclamò il giovane Borgia, soddisfatto. Era esattamente ciò che lui
stesso avrebbe voluto suggerire al Principe. “In questo modo l’esercito di
Napoli avrà una guida valorosa ed esperta, ti avevo detto che Don Hernando è
stato anche uno dei conquistadores
nel Nuovo Mondo? E potrà schierarsi in difesa del Regno accanto all’esercito
papale che è ai miei ordini.”
“Esattamente.
Tuttavia voglio anche che voi… che tu,
insomma, abbia una posizione più sicura in questo Regno. Il ruolo che occupi
adesso è del tutto dipendente dalla figura di tuo padre, al quale noi tutti
auguriamo un lungo e felice pontificato, ovvio” fece Alfonso, con un guizzo
negli occhi e un sorrisetto da birbante. “Ed è per questo che ho deciso di
nominarti mio successore, erede al trono di Napoli e Duca di Calabria, che era
il mio titolo quando mio padre era ancora in vita.”
Fu la volta di Juan
di rimanere sbalordito.
“Come? Aspetta, tu
vuoi che sia il tuo erede? Ma… è una
cosa un po’ buffa, non trovi? Insomma, pensi di adottarmi?”
Alfonso scoppiò a
ridere e fu bello sentire di nuovo il suono della sua risata squillante e
argentina.
“Ma no, non ce n’è
bisogno! I sovrani nominano spesso un loro successore quando non hanno figli.
Io non ho figli e nemmeno parenti ancora in vita, * se si esclude mia sorella Sancha che, comunque, è illegittima” spiegò,
“quindi ho il diritto di nominare chi voglio come mio erede. Del resto è ciò
che ha fatto lo stesso Re Carlo quando è tornato in Francia per motivi di
successione: nemmeno lui ha figli o fratelli e per questo ha nominato suo erede
il Duca d’Orléans Luigi II.”
“E tu hai intenzione
di nominare me?” Juan era
completamente spiazzato e non sapeva come prendere quella notizia. Da un lato era
contento perché quel titolo gli avrebbe consentito di mantenere una posizione
salda e sicura sul Regno di Napoli anche dopo la morte di suo padre (e a
dispetto delle trame dell’infido Cesare…), dall’altro, però, era anche
profondamente turbato. Alfonso si fidava tanto di lui da nominarlo suo erede
senza nemmeno pensare che, se avesse voluto, lui avrebbe potuto eliminarlo per
prendere il trono e nessuno avrebbe potuto dire o fare niente, poiché era stato
Alfonso a volerlo. Ovviamente Juan non aveva la minima intenzione di fare del
male al ragazzo, ma questo Alfonso non poteva saperlo per certo, era pur sempre
un Borgia… Cosa aveva fatto per meritarsi una simile illimitata e
incondizionata fiducia da parte di quel Principe?
“Naturalmente. E’ il
modo più sicuro per consolidare definitivamente la tua posizione nel Regno di Napoli”
ribadì Alfonso, deciso. “Preparerò un editto reale in cui ti nominerò
ufficialmente Duca di Calabria ** e,
quindi, legittimo erede al trono se dovesse accadermi qualcosa.”
“I Baroni di Napoli
avranno ancora più da ridire, la tua non sarà una mossa ben vista dagli Stati
Italiani, tuttavia…” Juan avrebbe voluto scherzare sull’argomento e sulle
insinuazioni (tra l’altro verissime!) che ci sarebbero state sulla sua nomina,
ma fu attraversato da un brutto presentimento che gli fece gelare il sangue.
Prese la mano di Alfonso e la strinse forte. “Perché dici se dovesse accadermi qualcosa? Non ti succederà niente, te l’ho
promesso, io continuerò a proteggerti sempre, il titolo di Duca di Calabria e
tuo erede è solo una sorta di assicurazione per me, perché possa mantenere la
mia posizione comunque vada, non è così?”
Alfonso fece un
sorriso che, però, non gli arrivò fino agli occhi.
“Sì, immagino di sì”
rispose con semplicità. “Nei mesi dopo quello che… insomma… le torture… mi
ammalavo spesso, con febbri altissime e debolezza. Il dottore disse che
probabilmente gli strumenti con cui mi avevano… disse che potevano avermi
avvelenato il sangue.”
Juan si avvicinò
ancora di più ad Alfonso e lo prese per le spalle.
“Questo non significa
niente, anche a me il dottore ha detto che ho rischiato di perdere la gamba, ma
non è successo” protestò, improvvisamente spaventato. “Le infezioni possono
capitare, ma tu adesso stai bene e io sto bene. Non ci accadrà niente e
governeremo insieme questo Regno, se è ciò che vuoi. Sarò il Duca di Calabria,
suona anche bene, tanto ero già il Duca di Gandia… ma sarà soltanto per rafforzare
la mia posizione. Io non prenderò mai il
tuo posto, governeremo insieme, sono
stato chiaro?”
Strinse a sé il Principe e lo baciò a lungo,
profondamente, chiudendolo nel cerchio protettivo delle sue
braccia, unendo il respiro al suo, perdendosi nel suo sapore e nel suo dolce
tepore, comprendendo che niente al mondo avrebbe mai più avuto senso se lo
avesse perso e deciso a fare in modo che questo non avvenisse mai, qualunque
cosa gli fosse costata. Ogni ambizione, ogni desiderio di gloria e potere si
dissolveva ed era come polvere ai suoi occhi e nel suo cuore.
Niente poteva essere più prezioso per lui del
suo divertente, altezzoso e adorabile Alfonso.
Fine capitolo ottavo
* In questo seguo, ovviamente, la versione della
fiction The Borgias, secondo cui il Principe Alfonso era molto giovane e non
aveva figli né fratelli, a parte la sorella illegittima Sancha d’Aragona. Nella
realtà storica il Regno di Napoli passò prima al figlio di Alfonso, Ferdinando
II (che per la fiction e la mia ff non esiste), che morì giovane e senza figli
lasciando il trono allo zio Federico I (che per la fiction e la mia storia non
esiste), tuttavia entrambi regnarono solo per pochi anni, dopo di che il Regno
venne conquistato di nuovo dalla Francia, poi dagli Asburgo di Spagna. Per cui
la dinastia Aragonese si estinse davvero molto presto… tanto vale che io faccia
nominare Juan Borgia come erede di Alfonso! XD
** Era il tradizionaletitolo dell’erede al trono del Regno di
Napoli.
Are they themselves to blame, the misery, the pain?
Didn't we let go, allowed it, let it grow?
If we can't restrain the beast which dwells inside
It will find it's way somehow, somewhere in time
Will we remember all of the suffering
'Cause if we fail it will be in vain
Sanctus Espiritus, redeem us from our solemn hour
Sanctus Espiritus, insanity is all around us
Sanctus Espiritus, is this what we deserve
Can we break free from chains of never-ending agony!
(“Our solemn hour” – Within Temptation)
I Baroni di Napoli erano andati su tutte le
furie quando era stato promulgato l’editto reale che nominava Juan Borgia
successore di Alfonso II, Duca di Gandia e di Calabria e protettore del Regno
di Napoli. Il loro piano non era servito a un bel niente e, anzi, aveva
accelerato qualcosa che loro volevano evitare a tutti i costi! Ma ormai non
potevano farci niente, dovevano soltanto prendersela con se stessi dato che
erano state proprio le loro calunnie a spingere Alfonso ad avvicinarsi ancora
di più a Juan. E, del resto, loro non erano senza colpa, il Principe aveva
ragione: non avevano fatto un bel niente per proteggere il Regno quando era
stato invaso dai Francesi…
E se i Baroni di Napoli erano in lutto,
Alessandro VI Borgia esultava. Le notizie dell’editto reale erano arrivate in
fretta anche a Roma (perfino senza Internet le notizie volavano…), inoltre era
giunta anche una lettera scritta di pugno dallo stesso Alfonso per richiedere
la presenza di Don Hernando de Caballos a Napoli il più presto possibile,
poiché egli voleva nominarlo Comandante Generale dell’esercito reale a
protezione sua e dell’intero Regno.
Come si può ben capire, Don Hernando era
stato molto onorato e si era affrettato a partire per Napoli per rendere
omaggio al giovane sovrano e accettare l’incarico che gli aveva offerto. Prima
che il capitano spagnolo partisse, però, il Papa Borgia gli chiese di portare
con sé un messaggio per il figlio Juan: era una lettera in cui Rodrigo si
dichiarava fiero di lui e molto felice che, finalmente, avesse trovato una sua
posizione ben consolidata.
Nella lettera, tuttavia, c’era scritto anche
qualcos’altro…
Don Hernando arrivò a Napoli cinque giorni
dopo, portando con sé anche parte del suo fidato esercito di soldati spagnoli,
gli stessi con cui si era recato nel Nuovo Mondo, uomini ai quali avrebbe
affidato la vita. Aveva preso molto sul serio il suo nuovo compito di comandare
e riorganizzare l’esercito del Regno di Napoli, che dopo la malattia e la morte
di Re Ferrante era andato sempre più allo sbando e non aveva saputo opporre
nemmeno la minima resistenza ai Francesi. E, naturalmente, aveva la lettera del
Papa Borgia indirizzata a Juan…
Alfonso lo fece accogliere con grande pompa,
felice di conoscere un uomo che aveva tanto viaggiato, che aveva dimostrato
valore e onore e che, comunque, era anche un amico di Juan, a parte i contrasti
avuti a Forlì per le torture inflitte dal Borgia al giovane Sforza. Don
Hernando si inchinò davanti al Principe, molto emozionato di trovarsi al
cospetto dell’ultimo discendente del ramo napoletano degli Aragonesi.
“Benvenuto, Generale” lo salutò cordialmente
Alfonso. “Sono lieto di avervi qui e mi perdonerete se vi metterò subito al lavoro,
ma ho saputo dal Gonfaloniere Borgia che siete un valoroso capitano e un ottimo
stratega… Il Regno di Napoli ha un disperato bisogno di un uomo come voi per
rinforzare il suo esercito e riorganizzare le forze. Non vogliamo più essere in
balia di qualsiasi sovrano desideri la nostra terra!”
“Per me è un onore servire Vostra Maestà, il
discendente dei gloriosi Aragona di Spagna, sovrani della mia patria” rispose l’uomo.
“Ci sarà un banchetto per festeggiare il
vostro arrivo a Napoli e così voi potrete raccontarmi tutto delle vostre
conquiste nel Nuovo Mondo e anche della vita in Spagna” riprese Alfonso,
sorridendo. “Sapete che il nostro comune amico Juan Borgia si prende gioco di
me perché non ho mai visitato la mia patria ancestrale? Che devo dire?
Purtroppo non ho avuto… beh, tempo e modo di viaggiare…”
Vedendo che il ragazzo si rabbuiava pensando
agli anni in cui era stato ostaggio dei Francesi, Juan si affrettò a distrarlo.
“Quando il Regno sarà al sicuro, grazie alla
saggezza e al valore del nostro Generale Don Hernando de Caballos, sarò io
stesso ad accompagnarvi a visitare la Spagna e le terre che appartengono ai
Borgia, Vostra Maestà” gli disse, in modo che tutti lo sentissero. Poi si
avvicinò ad Alfonso e gli sussurrò piano all’orecchio, “Ti prometto che ci
andremo insieme, Alfonso, vedrai che resterai incantato!”
Il giovane Principe sorrise e arrossì appena
per quel gesto così affettuoso, che Don Hernando non mancò di notare. Mentre si
avviavano verso la sala del banchetto, il comandante spagnolo non perse di
vista Alfonso e Juan e quello che vide sembrò compiacerlo.
Don Hernando era un soldato, ma era anche un
uomo di saldi principi morali e nobili ideali, in questo molto simile al
Generale Francese che aveva protetto e amato Alfonso per tre anni. Aveva
conosciuto Juan in Spagna, quando vi si era recato per trovare una sposa come
il padre aveva preteso… ma poi aveva preferito la sua amicizia e le sue
avventure, spingendosi fino a un viaggio nelle Indie Occidentali durante il
quale aveva visto nuove terre, animali e piante esotici e sperimentato nuovi
piaceri, dai bordelli ai liquori al tabacco. Don Hernando aveva fatto un po’ da
padre allo scapestrato Juan ma, tutto sommato, lo aveva trovato simpatico e
scanzonato, diverso da come si sarebbe aspettato da un Borgia. Così erano
diventati amici e lo spagnolo aveva seguito Juan al suo ritorno a Roma. La loro
amicizia, tuttavia, era stata messa a dura prova dall’episodio della cattura e
della tortura del giovane Benito Sforza. Per Don Hernando era un atto insensato
e malvagio torturare un ragazzo, seppure per costringere la madre ad arrendersi,
così come aveva trovato vergognosa la fuga di Juan quando l’esercito di
Ludovico Sforza li aveva attaccati alle spalle.
Per questo motivo, tornati a Roma dopo il
fallimento della missione, il comandante spagnolo si era distaccato da Juan e
aveva raccontato al Papa Borgia tutta la verità su ciò che era accaduto a Forlì.
Si era accorto, però, che Rodrigo Borgia era più preoccupato per la reputazione
della famiglia che per l’incolumità del figlio e che l’altro fratello, Cesare,
aveva accolto invece la notizia con una certa gioia, che si era affrettato a
dissimulare, sperando che il padre avesse preso atto dell’inettitudine di Juan
e affidasse a lui il ruolo che avrebbe dovuto spettargli.
Insomma, Juan Borgia non si era comportato
affatto bene a Forlì, ma non ci si poteva aspettare di più da un ragazzo di
ventitré anni cresciuto in un simile ambiente: chi mai poteva avergli insegnato
i veri valori, l’onore, il coraggio, la pietà verso i nemici? Quando, poi, Papa
Alessandro aveva dato a Juan l’ultima occasione, quella di recarsi a Napoli per
portare il Regno sotto l’egida dei Borgia, Don Hernando era rimasto a Roma e
aveva avuto modo di rendersi conto ancora di più di quanto fosse profonda l’ambizione
di Rodrigo, pronto a tutto pur di ottenere il potere assoluto, e di quanto odio
e invidia nutrisse Cesare verso il fratello minore. Tutto ciò lo aveva
disgustato ed era pronto a tornare in Spagna il prima possibile con qualche
scusa quando era giunta la missiva di Alfonso di Napoli che lo richiedeva quale
Generale dell’esercito reale.
Don Hernando aveva accolto con molto sollievo
il diversivo, non avrebbe sopportato oltre di restare presso i Borgia ed era
anche curioso di vedere se il diverso ambiente avesse operato un cambiamento
positivo in Juan. In fondo il giovane che aveva conosciuto e con cui aveva
stretto amicizia non era certo il vigliacco torturatore di ragazzini che si era
mostrato a Forlì… o almeno così sperava.
Vedendolo tanto legato e complice con il
sovrano diciottenne, comprese che non si era sbagliato: il vero Juan era il
ragazzo con cui aveva stretto amicizia in Spagna e che aveva trattato come un
figlio, non l’uomo brutale eppure codardo che aveva visto a Forlì. Inoltre,
pensò lo spagnolo, con ogni probabilità il giovane Borgia era stato eccessivo
nelle sue reazioni violente proprio perché sotto pressione a causa delle
aspettative del padre su di lui: il pontefice Alessandro VI non accettava il
figlio per ciò che era e pretendeva da lui quello che non poteva dargli, voleva
che fosse un eroe, un condottiero, uno spietato e implacabile conquistatore di
terre altrui… e Juan, frustrato per la tenacia di Caterina Sforza, era esploso
vendicandosi in maniera irragionevole e scriteriata su suo figlio.
Ma il vero Juan Borgia era il giovane che
aveva conosciuto in Spagna e che adesso ritrovava a Napoli, al fianco del
Principe Alfonso e legato a lui da un affetto che forse era più di quello che
voleva sembrare… ma non erano certo affari suoi, no?
Il pranzo fu piacevole, Don Hernando raccontò
molti aneddoti e vicende dei tanti anni passati a combattere contro i musulmani
che avevano invaso il Sud della Spagna e a viaggiare per le terre sconosciute
del Nuovo Mondo, Juan era sereno e rilassato e Alfonso si divertiva moltissimo,
affascinato dalle narrazioni dello spagnolo. Si sentiva bene come non era più
stato da… non rammentava nemmeno lui da quanto tempo! Don Hernando gli
ricordava un po’ il Generale, la sua sola presenza lo faceva già sentire più
sicuro e protetto ed era certo che avrebbe organizzato un esercito invincibile
per il Regno di Napoli ma, rispetto al Generale, era un uomo più divertente e
allegro. E poi c’era Juan che, insieme all’amico, appariva ancora più sicuro di
sé e… beh, affascinante sarebbe stata
la parola giusta se solo Alfonso non fosse arrossito anche solo nel pensarla!
Il banchetto durò a lungo, poi Alfonso e Juan
invitarono Don Hernando a passeggiare per i giardini del castello e ad ammirare
il panorama stupendo del mare che si godeva dai balconi, mentre continuavano a
conversare piacevolmente. La giornata trascorse dunque in serenità e fu solo a
tarda sera, prima di andare a dormire, che Juan si ricordò della lettera che il
padre gli aveva fatto recapitare da Don Hernando.
Il giovane Borgia era da solo nella sua
stanza e aspettava che Don Hernando fosse andato a dormire prima di recarsi,
come faceva sempre, nella camera di Alfonso; pensò dunque che fosse il momento
più indicato per leggere la missiva. Chissà cosa aveva da scrivergli il padre…
non poteva che essere fiero di lui per come aveva conquistato la fiducia del
sovrano di Napoli e per la posizione acquisita, no? E le prime righe, infatti,
dicevano proprio questo: Rodrigo Borgia si congratulava con suo figlio, si
dichiarava orgoglioso di lui e affermava di aver sempre creduto nella sua
capacità di compiere grandi imprese.
Juan continuava a leggere la lettera,
soddisfatto, pensando che finalmente il padre si era reso conto del suo valore…
e anche ridacchiando tra sé mentre immaginava la faccia verde d’invidia di
Cesare. Ad un certo punto, però, si fermò e rilesse più volte le frasi, senza
riuscire a credere a quello che c’era scritto. Si sentì gelare il sangue. La
missiva tremò nelle sue mani.
Adesso che hai conquistato una posizione sicura non ti
resta che un ultimo passo da fare, come avrai già pianificato: uccidere il
Principe e prendere il suo posto. Ti prego, tuttavia, figlio, di frenare la tua
indole troppo spesso precipitosa e incauta. Se Alfonso morisse troppo presto,
tu saresti il primo ad essere sospettato. Dovrai avere pazienza, fingerti
ancora suo amico, forse anche per qualche mese e poi, quando lo eliminerai,
dovrai fare in modo che sembri un incidente, come una caduta da cavallo. Non
pensare di usare il pugnale o il veleno. Ma perché indulgo in tali
raccomandazioni? Sono fiero di te, figlio mio, e sono certo che questa volta
farai il tuo dovere nel modo migliore.
Juan appallottolò il foglio di carta in mano,
disgustato.
Uccidere il Principe e prendere il suo posto?
Fingersi suo amico? Eliminare Alfonso simulando un incidente? Era dunque quello
che il padre voleva da lui? Era per quello che lo aveva mandato a Napoli?
No, non era possibile. Non aveva senso. Chi
mai avrebbe accettato un Borgia sul trono di Napoli? E poi, perché mai avrebbe
dovuto uccidere Alfonso? Il padre non gli aveva ordinato di uccidere nemmeno la
puttana Sforza, ma solo di condurla prigioniera a Roma e prendere le sue terre
se si fosse rifiutata di inchinarsi al Papa. Alfonso si fidava di lui, lo aveva
nominato suo erede, non era un pericolo ma anzi una garanzia, in quanto ultimo
discendente degli Aragona di Napoli. Sarebbe stato folle ucciderlo e lui doveva
scrivere al padre e spiegargli che…
Juan strinse ancora più forte la lettera nel
pugno. Ma via, chi voleva prendere in giro? Se si fosse trattato di chiunque
altro non ci avrebbe pensato due volte a eliminarlo, anzi, il padre avrebbe
fatto benissimo a metterlo in guardia e a dirgli di trattenere la sua irruenza,
altrimenti si sarebbe fatto scoprire subito! Il vero problema era che lui non voleva uccidere Alfonso. Non lui,
non quel ragazzo che lo aveva accolto con affetto e fiducia, che si era
preoccupato per lui, che lo faceva sentire importante, che…
Il giovane Borgia rifiutava di dare un nome
al sentimento che lo legava ad Alfonso, ma sapeva bene che non lo avrebbe
ucciso per niente al mondo. Era lì per proteggerlo, non certo per fargli del
male. Avrebbero governato insieme il Regno di Napoli e nessuno mai li avrebbe
separati, avrebbe trovato un modo, doveva convincere il padre, cercare degli
alleati…
Uscì dalla stanza sbattendo la porta, pieno
di rabbia per ciò che Papa Alessandro aveva osato scrivergli. La lettera era
ancora nel suo pugno stretto, non poteva lasciarla nella sua stanza e rischiare
che qualcuno la trovasse e poi ne era schifato, non voleva nemmeno pensare a
ciò che c’era scritto. I passi lo portarono istintivamente verso la camera del
Principe che, come al solito, trasalì quando lo vide entrare con tanta foga.
Alfonso ne aveva passate così tante che,
adesso, si aspettava sempre il peggio. Non doveva turbarlo, voleva vederlo
sereno e allegro com’era stato durante quella giornata.
Juan si avvicinò al caminetto acceso e gettò
la lettera nel fuoco, guardandola mentre si consumava e si distruggeva.
“Niente di importante, era solo una lettera
di mio padre” rispose, sentendosi meglio mentre la vedeva ridursi in cenere.
“Tuo padre ti ha scritto? Che cosa vuole? Si
è lamentato di te?” chiese il ragazzo, facendosi più vicino. All’improvviso si
sentiva insicuro, spaventato. Era stato così bene quel giorno, come poteva
sperare che durasse? Sicuramente il Papa Borgia aveva richiamato Juan a Roma o
chissà che altro.
“No, anzi, mi ha scritto che è fiero di me
per la posizione che ho ottenuto” rispose il giovane, voltandosi verso il
Principe.
“Allora è una cosa buona, no?”
“Beh, in realtà io non ho fatto niente, è
solo merito tuo che hai voluto onorarmi con il titolo di Duca di Calabria e tuo
eventuale successore” minimizzò Juan, che non voleva più parlare della lettera,
del padre e di nient’altro, voleva solo Alfonso.
Lo prese tra le braccia e lo sollevò,
portandolo fino al letto. Lo depose sulle lenzuola e si mise sopra di lui,
baciandolo lungamente e languidamente mentre iniziava a spogliarlo con
lentezza. Voleva sentire che era lì con lui, che niente e nessuno li avrebbe
mai separati. Mentre si liberava delle vesti del ragazzo e delle proprie
continuava a baciarlo e ad accarezzarlo ovunque, con una pazienza mai
dimostrata prima e, quando furono entrambi nudi, incollò il corpo al suo come
per fondersi con lui, bramando la più completa intimità con quella pelle liscia
e delicata. Si insinuò nella carne di Alfonso sempre lentamente, cercando di
godere di ogni istante, di riempirsi di lui, del suo sapore, del calore e dell’odore
del suo corpo. Voleva dimenticare quelle orribili frasi perdendosi nelle spinte
profonde e languide, nel contatto sempre più totale con il giovane Principe, in
un piacere che si prolungava all’infinito. Alfonso, sospirando incredulo,
assecondava docile e tenero ogni suo movimento e Juan lo portò alla totalità
dell’estasi, diventando una sola essenza con lui.
Finalmente
il resto del mondo sbiadì e scomparve nell’ardore della loro unione.
Dopo
l’amore rimasero allacciati l’uno all’altro: Alfonso, spossato, si addormentò
subito mentre Juan gli accarezzava il viso e i capelli, sentendo che il suo
spirito pian piano si placava e si pacificava stringendo tra le braccia il suo
giovane amante.
Niente
e nessuno lo avrebbe mai separato da Alfonso, giurò Juan a se stesso, nemmeno
la sua famiglia.
Non
gli interessava più essere un Borgia, adesso.
All’inferno
l’onore della famiglia, all’inferno i Borgia e le loro ambizioni.
Sarebbe
andato contro ognuno di loro, se necessario, pur di non perdere Alfonso.
Don't you dare do that again
'Cause you did just what I said
I don't wanna be alone
Slay the demons in my head
Be my guide in these dark days
I cry out from far away
Don't, don't, don't lie to me
Don't, don't, don't lie to me
With a rope around my neck
I fight the demons in my head
Don't, don't, don't lie to me…
(“Don’t lie to me”- Moonsun)
Juan Borgia non voleva darlo a vedere, ma era molto
preoccupato per la lettera che suo padre gli aveva scritto e che gli ordinava
di uccidere il Principe Alfonso appena fosse stato possibile, simulando un
incidente. Naturalmente il giovane non aveva la minima intenzione di farlo, non
avrebbe mai fatto del male a quel ragazzo che, ogni giorno di più, diventava
prezioso per lui. Temeva, tuttavia, che Rodrigo Borgia non avrebbe atteso più
di tanto e chissà, magari avrebbe inviato, prima o poi, lui stesso un sicario
per eliminare Alfonso. Sarebbe stato nel suo stile.
Juan non poteva permetterlo. Doveva agire prima del
padre e questo non sarebbe stato per niente facile, visto che Papa Alessandro
VI era famoso per le sue doti di stratega, che erano appunto ciò che mancava al
figlio, al contrario irruente e impulsivo.
Era necessario, quindi, trovare degli alleati che
potessero aiutarlo a proteggere Alfonso e a contrastare le minacce del padre.
Per fortuna Alfonso aveva nominato Generale
dell’esercito reale Don Hernando de Caballos, che non era solo un valente
condottiero, ma anche un uomo saggio e dagli alti valori e principi. Juan aveva
avuto dei dissidi con lui proprio a causa della sua decisione di torturare
Benito Sforza per costringere sua madre Caterina ad arrendersi, ma… non era
certo troppo tardi per riconciliarsi con lui, tanto più che erano stati molto
amici in Spagna e che, adesso, il comandante spagnolo sembrava molto
soddisfatto del suo nuovo ruolo e sinceramente interessato alla protezione del
giovane sovrano di Napoli. Juan doveva solo trovare il modo di parlare a tu per
tu con lui, magari scusarsi per il suo comportamento a Forlì e chiedere il suo
appoggio… e ben presto ebbe un’idea.
Era venuto a sapere che in un grande ed elegante
palazzo appena fuori Napoli viveva una ricca e potente cortigiana, che si era
trasferita più di vent’anni prima dalla Corte degli Este di Ferrara. Era una
donna colta e intelligente, amica di molti potenti, e nel palazzo che aveva
acquistato nel Regno di Napoli ospitava artisti, poeti, diplomatici e molti
altri, ai quali offriva intrattenimento con le giovani donne che lei stessa
aveva educato. Quasi ogni sera c’era una festa a palazzo, durante la quale si
poteva godere di ogni sorta di piaceri, da cibi raffinati a vini deliziosi,
dalla compagnia di bellissime fanciulle allo stordimento dei sensi con oppio e
tabacco.
Beh, ovviamente Juan non poteva che venire presto a
conoscenza di un simile luogo, sebbene fino ad allora non vi avesse mai messo
piede; pensò subito che sarebbe stata un’occasione ideale per far conoscere a
Don Hernando altri piaceri, lussi e bellezze che il Regno di Napoli poteva
offrire e che, magari, questo sarebbe servito a legarlo ancora di più a lui e a
portarlo dalla sua parte.
Quella sera, dunque, il giovane Borgia prese
sottobraccio il comandante spagnolo e lo invitò ad unirsi a lui per una visita
a questo palazzo di delizie.
“Don Hernando” gli disse, “so che, purtroppo, abbiamo
avuto delle gravi divergenze di opinione durante l’assedio di Forlì ma adesso
voi siete qui e vi siete schierato a favore del sovrano Alfonso di Napoli.
Vorrei festeggiare con voi in un luogo di cui ho sentito parlare molto bene e
approfittare di questa serata per riconciliarci una volta per tutte.”
Don Hernando accettò volentieri, in fondo anche lui
aveva rivalutato Juan dopo averlo visto così gentile e attento nei confronti di
Alfonso ed era lieto di potersi riconciliare apertamente con il suo giovane
amico. Così i due si diressero a cavallo verso il palazzo della ricca e potente
cortigiana dove, proprio quella sera, si teneva una delle sue famose feste.
Lungo il tragitto, tuttavia, Juan volle parlare francamente con lo spagnolo,
prima che entrambi fossero travolti dal vortice dei festeggiamenti e del
divertimento: voleva essere sicuro di averlo completamente al suo fianco e
fargli comprendere fino in fondo quanto Alfonso e il Regno di Napoli fossero
vulnerabili.
“Don Hernando, avevate perfettamente ragione quando mi
avete rimproverato di essere un vile nel torturare il giovane Sforza” esordì
Juan. “Non è una giustificazione dire che mi sentivo frustrato e che non
ragionavo lucidamente per vari motivi, non avrei dovuto prendermela con un
ragazzino, ma questo l’ho capito solo dopo essere venuto a Napoli e aver
stretto amicizia con il Principe Alfonso.”
Lo spagnolo sorrise.
“Mi fa piacere che abbiate compreso i vostri errori,
mio signore” commentò, compiaciuto. “Avevo notato, infatti, un legame
particolare tra voi e Sua Maestà e penso che questo vi abbia reso una persona
migliore.”
“Non è solo per quello” riprese Juan. “Dovete sapere,
Don Hernando, che lo stesso Alfonso ha subito torture terribili quando il suo
Regno è stato invaso dai Francesi tre anni fa. Anche lui aveva solo quindici
anni, all’epoca, e Re Carlo lo fece portare nella stanza delle torture e ordinò
ai suoi uomini di straziarlo fino alla morte. Ancora peggio, volle che ci fosse
il dottore a risvegliarlo ogni volta che perdeva i sensi, così che le atrocità
e le sevizie potessero durare per tutta la notte!”
Don Hernando impallidì.
“Cosa mi dite? Ma… perché? Ho visitato quella stanza,
ho visto gli strumenti di tortura, sono cose che non farei neanche al mio
peggior nemico… Come… il Principe aveva solo quindici anni, dite?” l’uomo era
completamente sconvolto, proprio come Juan immaginava e sperava.
“Sì, era solo un ragazzino terrorizzato e fu solo
l’intervento di un Generale francese, un uomo di saldi principi come voi, a
strapparlo a quell’atroce destino. La cosa peggiore è che non c’era neanche una
minima motivazione” mormorò il giovane Borgia. Voleva toccare il cuore di Don
Hernando e turbarlo, certo, ma si rendeva conto che lui stesso era
profondamente indignato ripensando a simili efferatezze. “Re Carlo voleva solo
divertirsi… godeva nel sentirlo urlare disperato e…”
“Per l’amor di Dio, non mi dite altro, mio signore!
Quel Re francese è un mostro!” esclamò Don Hernando, sdegnato e scandalizzato.
“Ed è inaudito che nessuno abbia fatto niente per cercare di proteggere il
povero Principe, un discendente degli Aragona, un ragazzo di quindici anni! Se
non ci fosse stato quel Generale…”
Le ultime parole dello spagnolo raggelarono
improvvisamente Juan.
E’
vero, se non ci fosse stato il Generale, Alfonso sarebbe morto in quel modo
orribile e io… adesso non sarei qui con lui. Nessuno, nessuno di tutti quei
maledetti staterelli italiani ha mosso un dito per salvare il Principe, meno
che mai lo Stato della Chiesa. E ora mio padre pretenderebbe che io uccidessi
Alfonso… No, non accadrà mai!
“Il Regno di Napoli e il suo giovane sovrano sono
tuttora in pericolo” continuò Juan, riprendendosi e cercando di concludere il
discorso prima di giungere al palazzo. “Non solo Re stranieri, ma anche gli
altri Stati italiani potrebbero approfittare della vulnerabilità di Sua Maestà
e tentare un’invasione. Noi dobbiamo fare il possibile per impedirlo, per
proteggere questo Regno e il suo Principe e, per farlo, dobbiamo essere uniti.
Per questo vi chiedevo di perdonarmi per quello che ho fatto a Forlì, so di
aver perso il vostro rispetto…”
“Non ditelo nemmeno, mio signore! Io vi ho considerato
come un figlio quando eravamo insieme in Spagna, vi ho rimproverato a Forlì
come se foste davvero mio figlio e… e sarò onorato di combattere al vostro
fianco per difendere questo Regno e il suo sovrano, anche contro la vostra
famiglia, se necessario!” dichiarò Don Hernando, con veemenza.
“Sì, anche contro la mia famiglia” ribadì Juan,
rassicurato di vedere che i mesi trascorsi accanto a Rodrigo e Cesare Borgia
avevano fatto comprendere al comandante spagnolo che lui non era certo il
peggior membro di quella casata.
I due si strinsero calorosamente la mano, uniti in un
patto di mutua collaborazione e fiducia, e poi si avviarono verso il palazzo
per godersi una serata di piaceri e divertimenti, liberi da pensieri e
preoccupazioni almeno per qualche ora.
Quando Juan e Don Hernando ritornarono al castello di
Alfonso era ormai mattina. Lo spagnolo era soddisfatto e appagato per la serata
trascorsa così piacevolmente e anche per la ritrovata amicizia con il giovane
Borgia. Juan, invece, si sentiva strano.
Sì, ciò che si era proposto di fare aveva funzionato e
Don Hernando sarebbe stato completamente devoto alla causa di Alfonso. E non
poteva dire di non aver passato una bella nottata. Però… però non era stato
come le altre volte e lui non capiva perché.
Non era certo la prima volta che trascorreva una notte
intera tra vino, fumo e cortigiane, ma questa volta non si era sentito
rilassato e compiaciuto come al solito, anzi.
Il sesso aveva coinvolto il suo corpo e i suoi sensi,
ma gli aveva lasciato un vuoto dentro, un’insoddisfazione che non aveva mai
provato… si sentiva quasi sporco per
ciò che aveva fatto.
Si rese conto di non aver fatto altro che pensare ad
Alfonso.
Sì, Alfonso gli era mancato, era con lui che sarebbe
voluto restare tutta la notte e adesso avvertiva l’urgenza impellente di
cercarlo e stringerlo a sé.
Non riuscendo a trattenersi, entrò nella camera del
Principe senza nemmeno chiedere permesso o assicurarsi che fosse alzato.
Alfonso si stava ancora preparando e rimase dapprima sorpreso nel trovarsi
davanti Juan così inaspettatamente, poi si imbarazzò e, infine, fu la rabbia ad
avere la meglio tra le emozioni che si agitavano in lui.
“Oh, bentrovato, beato chi vi vede, onorevole Duca di Gandia e di Calabria”
lo salutò, calcando volutamente con sarcasmo sul suo titolo e su quel voi che ristabiliva una distanza tra
loro. Aveva saputo da una delle guardie dove si fosse recato Juan la notte
prima e la cosa lo aveva fatto infuriare, come se fosse… era possibile? Geloso, ecco.
Perché si stupiva? Sapeva bene che Juan Borgia era
famoso per le sue notti insonni, in giro per taverne e bordelli, anzi era
strano che da quando era a Napoli non avesse ancora ripreso le sue abitudini. A
lui cosa importava?
Niente, ovviamente, non gli importava affatto cosa
facesse o non facesse Juan Borgia nel suo tempo libero, ma come suo successore
e come Generale dell’esercito papale che lo proteggeva aveva dei doveri,
pertanto Alfonso si sentì del tutto autorizzato a tenergli il broncio e a
fargliela pagare.
Juan non si lasciò smontare da quell’atteggiamento
strafottente e gli si avvicinò con un sorrisetto storto.
“Adesso mi dai del voi,
Alfonso? Soltanto perché ho deciso di essere ospitale con Don Hernando e gli ho
fatto passare una nottata che ricorderà per un bel pezzo?” replicò disinvolto.
“Poveretto, anche lui ha diritto di divertirsi, ogni tanto.”
E
tu? Anche tu ti sei divertito?, avrebbe voluto
chiedergli Alfonso, ma preferì mantenere un certo contegno.
“E’ stata una cosa molto sciocca” disse seccamente e
guardandolo torvo. “Entrambi i miei Generali fuori dal castello per tutta la
notte. E se ci avessero attaccato? Se qualcuno vi avesse teso un’imboscata per
poi prendere il castello? A questo non hai pensato, vero?”
Juan si rendeva conto che la reazione del ragazzo era
dettata dalla gelosia, ma dovette anche riconoscere che aveva ragione, era
stata un’imprudenza e per fortuna nessuno ne aveva approfittato. Quello era il
suo eterno difetto: faceva le cose senza riflettere e per questo finiva spesso
per fallire!
Il giovane Borgia perse subito tutta la sua baldanza,
rendendosi conto che, in effetti, Alfonso e il castello erano rimasti privi dei
loro comandanti in capo. Cosa avrebbero fatto i soldati di fronte a un’eventuale
emergenza, senza una guida?
“Mi dispiace, Alfonso, giuro che davvero non ci ho
pensato” gli disse, avvicinandosi ancora di più a lui. “Hai ragione, ho fatto
una sciocchezza, volevo solo riconciliarmi con Don Hernando e quello mi è
sembrato il modo più efficace, ma non mi sono reso conto di…”
“Certo che non ci hai pensato, è evidente, non
rifletti mai sulle cose, tu” lo interruppe bruscamente il Principe. “O forse ci
hai riflettuto fin troppo bene, forse volevi
che io restassi solo e indifeso perché qualcuno potesse uccidermi, così poi
tu saresti diventato l’unico a governare il Regno di Napoli. Non è questo che
hanno sempre voluto i Borgia? Tuo padre ha mandato qui Re Carlo sapendo
benissimo che c’era il morbo napoletano perché sperava che il sovrano francese
morisse, che magari fossi già morto anch’io e così lui si sarebbe impadronito
del Regno con Goffredo e Sancha!”
Juan rimase impietrito. Alfonso non poteva sapere
della lettera di suo padre, ma aveva paura… paura di lui, paura dei Borgia.
Povero ragazzo, ne aveva passate troppe per riuscire ancora a fidarsi veramente
di qualcuno e ciò che aveva fatto lui, lasciandolo solo la notte precedente, di
certo non aveva contribuito a migliorare le cose.
“E invece i piani di tuo padre sono falliti” continuò
Alfonso, con la voce rotta dal pianto, “perché Re Carlo si è salvato dalla
peste e anzi ha accusato me di averlo
fatto ammalare, o forse era solo una scusa per torturarmi… Non la potrò mai
scordare quella notte, quel 25 giugno 1494, i supplizi, quelle ore
interminabili… le ho sognate anche stanotte, per quel poco che sono riuscito a
dormire!”
Per un lunghissimo istante Juan si sentì come se tutte
le pareti del castello fossero crollate su di lui e lo soffocassero. Il sangue
gli si fece di ghiaccio, il cuore precipitò in un abisso di dolore e rimorso.
Un impulso incontrollabile lo spinse a gettarsi su Alfonso, a stringerlo forte
in un abbraccio avvolgente e protettivo, a baciarlo a lungo e con intensità
mentre lo buttava sul letto e si distendeva su di lui. Continuò a baciarlo
anche mentre si sfilava i pantaloni e liberava il Principe dai suoi,
accarezzandolo, parlandogli sulla bocca.
“No, no, no, Alfonso, non devi dirle queste cose e
nemmeno pensarle, io non ti farò mai del male, io sono qui per proteggerti, per
prendermi cura di te” mormorò. Cercava di entrare in contatto con ogni
centimetro del corpo del giovane Principe, di violare ogni sua intimità, fino a
unirsi a lui completamente e a distruggere i confini tra di loro. Ogni spinta,
ogni bacio, ogni carezza leniva il suo dolore, faceva svanire il senso di
desolazione, vuoto e sporco che aveva provato in quella notte di piaceri che
avevano coinvolto solo i sensi. Ogni più intimo contatto con Alfonso gli faceva
sentire che il ragazzo era lì, che non lo aveva perduto, che nonostante tutti i
suoi errori poteva ancora rimediare e farlo felice, che non lo avrebbe lasciato
mai più, mai più, mai più.
Quella data che Alfonso aveva gridato, quella notte
del 25 giugno 1494, gli si era scolpita nel cuore e nella mente con cifre di
fuoco. Lui era a Roma, mentre suo padre aveva indetto grandi festeggiamenti
pubblici per ingraziarsi il popolo e celebrare la grandezza dei Borgia, i nuovi Cesari. Juan aveva trascorso
quella notte a ubriacarsi, a divertirsi con le cortigiane, a mostrarsi in giro
tronfio e sfacciato, credendosi un sovrano… mentre a Napoli Alfonso veniva
catturato e sottoposto a torture e sevizie inimmaginabili, solo, terrorizzato,
impazzito dal dolore.
La tragica ironia di questa coincidenza gli infilava
schegge di vetro nel cuore. Certo, lui non sapeva cosa stava succedendo a
Napoli e, anche se lo avesse saputo, non avrebbe potuto fare niente. Re Carlo
lo aveva già sconfitto una volta e lo avrebbe fatto uccidere senza pensarci su.
Ma Juan non poteva sopportare di pensare di essersi
divertito, quella notte, mentre Alfonso pativa le pene dell’Inferno e forse
anche peggio.
Non poteva perdonarselo, poteva tuttavia porvi
rimedio. Adesso era con lui, lo avrebbe difeso anche contro la sua stessa famiglia,
lo avrebbe fatto sorridere, avrebbe fatto tutto ciò che poteva per rendere
perfetta la sua vita. E intanto non riusciva a saziarsi di lui, aveva bisogno
di inebriarsi del suo sapore, del calore del suo corpo, della morbidezza delle
sue labbra e della sua pelle. Non si staccò da lui finché non si sentì
stremato, esausto ma finalmente anche liberato dai sensi di colpa.
Alfonso era suo e Juan si sarebbe occupato di lui per
tutta la vita.
Si rivestì e poi aiutò anche il giovane Principe a
rivestirsi, poiché era talmente stravolto e disfatto che gli tremavano le mani
e non riusciva nemmeno a riallacciarsi le vesti. Gli accarezzò i capelli
scompigliati che si arricciavano sulla fronte e sulla nuca, lo baciò di nuovo e
poi si alzò in piedi.
“Vieni, Alfonso, altrimenti Don Hernando si chiederà
che fine abbiamo fatto” gli disse affettuosamente. “E’ ormai mattina
inoltrata.”
Il ragazzo, però, rimaneva seduto sul letto e si
guardava le mani, ancora smarrito.
“Juan” mormorò poi, con un filo di voce. Il giovane
Borgia trasalì perché era la prima volta che udiva il suo nome pronunciato da
Alfonso e un calore dolcissimo lo aveva invaso. “Juan, per favore… non
lasciarmi più da solo…”
Una dolcezza infinita riempì il cuore di Juan, che
tornò di nuovo a stringere tra le braccia il suo Principe, ad accarezzargli i
capelli e a baciarlo con languida dolcezza, facendogli sentire che si era
totalmente votato a lui e che le loro anime ormai vibravano in perfetta
concordia, così come i loro corpi.
“No, non ti lascerò mai più solo, Alfonso, te lo
prometto, te lo giuro, sulla mia vita, sul mio nome, non ti lascerò mai più, ti
proteggerò e non permetterò a nessuno di farti del male” disse con veemenza e
passione, tra un bacio e l’altro. Poi lo aiutò a rimettersi in piedi, gli circondò
la vita con un braccio e lo condusse con sé fuori dalla stanza.
“Questa notte sono stato irresponsabile, ma non
accadrà mai più. Tu non correrai alcun rischio, anzi: Don Hernando organizzerà
un esercito che diventerà il più forte di tutti quelli delle corti italiane e
saranno loro a temere il Regno di Napoli” promise, tenendo stretto Alfonso. “Ma
non solo. Il Regno stringerà alleanze con i signori più potenti, con il Doge di
Venezia, il Marchese di Mantova, il Duca di Ferrara, così nessuno oserà più
anche solo pensare di attaccarci. Governeremo insieme questo Regno e ci faremo
rispettare e temere da tutti.”
Alfonso lo guardò, una luce di timida speranza negli
occhi di chi, anni prima, aveva rinunciato per sempre a sperare. Juan,
intenerito, lo baciò di nuovo.
“A questo, però, dovrai pensare tu. Sarai tu a dover
invitare a Napoli questi potenti signori e a parlare con loro” gli disse, scherzoso.
“In fondo sei tu il sovrano, no? Dovrai pur fare qualcosa anche tu… e io sono
certo che, con la tua parlantina e il tuo modo di fare, conquisterai tutte le
loro simpatie e loro saranno lieti di allearsi con te.”
Alfonso annuì, ancora incredulo e confuso. Provava una
gioia incontenibile, un’emozione che non riusciva a gestire, che non
comprendeva e che pareva esplodergli dentro. Non si era mai sentito così.
E, per la prima volta dopo tanto tempo, il giovane
Principe osò sperare che le cose sarebbero andate bene. Non voleva ammetterlo
nemmeno con se stesso, ma qualcosa dentro di lui gli suggeriva che, con Juan al
suo fianco, tutto sarebbe stato perfetto.
And I get lonely on the high road
Everywhere that I go
Stand for nothing, fall short, but not me
But I won't give up
I'll keep giving love
Runs through my blood
I'll never give up yeah, yeah
When you go low, I go high, I go high, I go high
When you go low, I go high, to get by, to get by
Sometimes (sometimes, sometimes) I don't wanna be nice (nice)
But I try (but I try) when you go low, I go high…
(“Go high” – Kelly Clarkson)
Non sarebbe stato facile riuscire a creare
un’alleanza di Stati e potenti che proteggesse il Regno di Napoli, ma Juan
Borgia era deciso a provarci e a non fallire per l’ennesima volta: l’esercito
era già molto più forte grazie a Don Hernando e alla sua capacità di comandante
e stratega, ora era necessario rendere più solido il Regno al suo interno
sottomettendo i Baroni una volta per tutte e poi allearsi con gli Stati più
prestigiosi della penisola.
Solo in questo modo, infatti, il Regno e
Alfonso sarebbero stati al sicuro dalle insidie, dalle minacce e dall’ambizione
della sua famiglia. E doveva accadere in fretta, prima che suo padre scoprisse
che lui non aveva la minima intenzione di fare del male al Principe e, magari,
decidesse di occuparsene personalmente mandando qualche assassino.
La gestione delle alleanze sarebbe dovuta
toccare ad Alfonso, ma Juan aveva avuto un’idea che avrebbe permesso di tenere
d’occhio i nobili di Napoli e impedire loro qualsiasi mossa contro il sovrano. La
notte in cui era stato alla festa con Don Hernando (e che aveva tanto fatto
infuriare il suo geloso Principino!) aveva avuto occasione di parlare con la proprietaria
del palazzo, Madonna Flora, e aveva compreso che quelle feste erano molto
frequentate anche dagli stessi Baroni di Napoli e da tutti i loro congiunti. Il
giovane Borgia era un habituée di
bordelli, nottate di orge e simili, perciò sapeva bene che, durante tali
divertimenti, spesso si finiva per parlare troppo… Perciò quale mezzo migliore,
secondo lui, per avere sempre un filo diretto con le trame e le insidie dei
nobili napoletani? Era deciso, Alfonso doveva fare amicizia con Madonna Flora e
le sue ragazze e loro avrebbero agito da spie per lui durante i loro convegni
amorosi con l’aristocrazia del Regno.
Juan non era tipo da pensarci su due volte
quando prendeva una decisione: in men che non si dica aveva scritto un
messaggio indirizzato alla ricca Flora in cui invitava lei e le sue cortesi amiche al castello reale per la
sera successiva, così da incontrare il Principe e mettersi d’accordo con lui.
Aveva chiaramente preso molto sul serio il
fatto di condividere il Regno di
Napoli con Alfonso, tanto da non farsi problemi a invitare gente al castello
senza chiedere prima il permesso al legittimo proprietario, sicuro com’era di
agire per il suo bene e la sua sicurezza! E, in effetti, quando mise il ragazzo
davanti al fatto compiuto, seppe motivarlo talmente bene da convincerlo che era
la cosa migliore da fare.
La sera seguente, dunque, il castello si
vestì a festa per accogliere Madonna Flora e tre delle sue amiche più fedeli,
scelte tra le più esperte e astute. Ci sarebbe stata una cena elegante e poi…
beh, mentre Alfonso stringeva amicizia con la ricca cortigiana e prendeva
accordi con lei, Juan e Don Hernando avrebbero sempre potuto trovare un modo
piacevole e fruttuoso di passare il tempo, no?
Come si dice, il lupo perde il pelo ma non il vizio e Juan Borgia di perdere i
suoi vizi non aveva la minima intenzione, nonostante fosse sinceramente legato
ad Alfonso. Ma, secondo lui, fare sesso solo per piacere non era diverso da
gustarsi una bottiglia del miglior vino delle vigne dei Borgia e non c’entrava
un bel niente con i sentimenti e con ciò che provava per il Principe.
Che ci volete fare? Juan era fatto così! E
chissà, magari dal suo punto di vista aveva pure ragione, ma non pensava
nemmeno a come avrebbe potuto reagire il suo giovane amante…
Dopo la cena gustosa e raffinata, Alfonso
decise di prendere sul serio il suo ruolo di sovrano di Napoli e si avviò verso
Madonna Flora che, dal canto suo, lo accolse con molto calore.
“E’ bello vedere che questo castello
risplende di nuovo come quando venni la prima volta, tanti anni fa, e tutto
grazie a voi, Vostra Maestà” disse la donna, inchinandosi.
“Avete già visitato il mio castello?” si
stupì il ragazzo.
“Oh, certo, molte volte” rispose lei. “Sono
arrivata qui da Ferrara nel 1478, circa vent’anni fa, e ho avuto l’onore di
conoscere vostro padre. E’ stato un grande sovrano e amava molto intrattenere i
suoi ospiti con feste e ricevimenti e… io e le mie amiche eravamo sempre le
benvenute.”
Alfonso rimase spiazzato. Non si aspettava
quella rivelazione e nemmeno che il padre fosse un amante delle feste. Beh… a
dirla tutta, lui aveva conosciuto ben poco del padre, impegnato nella
repressione dei Baroni ribelli e poi divenuto sempre più malato e fragile.
“Una delle feste più belle e riuscite che
ricordo fu quella che vostro padre diede alla vostra nascita, Maestà. Era
davvero felice di aver avuto un erede e non badò a spese” raccontò ancora
Flora. “Spero che non vi offenderete, Vostra Maestà, se vi dico che eravate veramente
un bambino adorabile, bello e vivace. E non avete tradito le aspettative,
vostro padre sarebbe fiero di voi.”
Magari fosse vero, pensò
vagamente il giovane Principe, oltremodo a disagio pensando che quella donna lo
aveva visto quando era ancora un infante… Con che coraggio si sarebbe adesso
rivolto a lei da sovrano del Regno di Napoli? Lei lo ricordava come una specie
di bambolotto!
Madonna Flora, tuttavia, non sarebbe arrivata
dov’era se non avesse saputo come mettere a suo agio gli uomini. Con molto
tatto fece capire ad Alfonso che, se gli aveva ricordato di averlo conosciuto
appena nato, significava soltanto che era stata sempre fedele alla sua famiglia
e che avrebbe fatto di tutto per favorire una rinascita del Regno di Napoli
dopo l’oppressione francese. Conversando piacevolmente del più e del meno, la
cortigiana riuscì a tranquillizzare il Principe e a farlo sentire importante. Così
trascorsero più di due ore e, quando fu il momento di congedarsi da lui, Flora
si era guadagnata tutta la stima e la fiducia di Alfonso.
“Non temete, Vostra Maestà, io e le mie
amiche saremo le vostre più fedeli alleate” promise. “Se avessimo saputo, avremmo
sicuramente fatto in modo di non farvi cadere nelle mani dei Francesi, sarei
stata onorata di ospitarvi nel mio palazzo e sarei riuscita a distrarre i vostri inseguitori.
Purtroppo non ho potuto fare niente allora, ma adesso siete qui e vi giuro che
contribuirò in ogni modo alla sicurezza e alla rinascita del vostro Regno.”
Era bello per Alfonso sentire che c’era
almeno qualcuno, a Napoli, che avrebbe voluto aiutarlo quando Re Carlo lo aveva
catturato e che adesso era ostile ai Baroni quanto lui.
“Avete detto che alcuni dei nobili
frequentano spesso le vostre feste” disse.
“Oh, sì, il Duca Sanseverino è un nostro
ospite abituale ed ha una spiccata predilezione per la mia amica Francesca”
rise Flora. “Spesso con lui è venuto anche il Principe di Melfi Caracciolo, per
non parlare dei figli, dei nipoti, dei cugini… Praticamente tutta
l’aristocrazia napoletana si presenta alle mie feste con regolarità. Io e le
ragazze conosciamo tutti i segreti più scabrosi delle famiglie più in vista e,
in caso doveste averne bisogno, sarei lieta di raccontarvi tutto per
consentirvi di usarli contro di loro.”
“Sapete per caso se qualcuno di loro ha
parlato di me, se cospirano contro la mia persona?” le domandò il ragazzo.
“In realtà al momento sembra prevalere la
paura, forse per il fatto che vi siete circondato di persone come il
Gonfaloniere Borgia e il valoroso Don Hernando de Caballos, e questo è stato
molto saggio da parte vostra” replicò la donna. “Per adesso la notizia più
succosa che posso darvi è che il figlio maggiore del Duca Caldora ha perso la
testa per Margherita, una delle mie ragazze più giovani. E’ talmente infatuato
da averle chiesto di scappare con lui! Il Duca suo padre morirebbe di vergogna…
se si venisse a sapere…”
“Molto interessante” sorrise Alfonso,
compiaciuto e divertito. “Vi sono veramente grato, Madonna Flora. Sappiate che,
d’ora in poi, voi sarete la benvenuta nel mio castello, proprio come lo eravate
ai tempi di mio padre. Sarete accolta con tutti gli onori ogni volta che
vorrete o che avrete qualcosa da farmi sapere.”
“Sono onorata di potermi rendere utile a
Vostra Maestà” replicò la cortigiana, con un altro inchino. “Non appena le mie
amiche mi raggiungeranno torneremo al nostro palazzo. Non vorrei che il giovane
Caldora approfittasse della mia assenza per cercare di convincere Margherita ad
una fuga d’amore!”
Alfonso e Flora risero insieme e il giovane
Principe era felice e compiaciuto di sentirsi, finalmente, un vero sovrano, che
tesseva accordi e alleanze proprio come faceva il padre.
Flora fu ben presto raggiunta da due delle
amiche che aveva portato. Mancava però la terza, Elena.
La cosa divenne presto un problema non appena
Alfonso si rese conto che, oltre ad Elena, mancava da un pezzo anche Juan. Non
era presente alla conversazione che lui aveva avuto con Madonna Flora e, in
quel momento, non si trovava nel salone. Don Hernando si offrì di andare a
cercare la ragazza, ma Alfonso glielo impedì.
“Non preoccupatevi, Don Hernando, anzi,
rimanete a tenere compagnia alle signore,
vado io a cercarla” disse il giovane Principe, mentre un lampo gli passava
nello sguardo. “Il castello è grande e ci sono anche luoghi pericolosi per chi
non lo conosce. Vado io a cercarla, preferisco assicurarmi che non le sia
accaduto nulla di male.”
Poteva sembrare un’offerta insolita per un
sovrano, ma né Flora né Don Hernando si stupirono, ritenendo che Alfonso fosse
ancora traumatizzato per ciò che gli era accaduto nelle segrete e che volesse
come prima cosa accertarsi che la giovane donna non fosse finita laggiù dopo
essersi smarrita.
In realtà il ragazzo aveva forti sospetti di
dove avrebbe trovato Elena e non voleva che qualcuno lo scoprisse. Non poteva
essere un caso che mancassero sia lei sia Juan e il Borgia era noto per non
saper tenere a freno i propri istinti…
Alfonso salì al piano superiore in fretta,
mentre l’agitazione cresceva nel suo cuore.
Si raccontava che era solo l’umiliazione a
turbarlo, che chiaramente Madonna Flora e Don Hernando sapevano che lui e Juan
avevano un legame particolare e che
trovare il favorito del Principe a
letto con una cortigiana qualsiasi sarebbe stato un affronto per lui, che
quindi nessuno doveva sapere. Era meglio che fosse lui a scoprirli in modo da
mettere a tacere subito voci e insinuazioni.
Eppure non era questo a spezzare il fiato ad
Alfonso, a lacerargli l’anima, a infilargli lame appuntite fino in fondo al
cuore.
Juan aveva cercato piacere altrove perché lui
non gli bastava. Era inesperto, ingenuo, e forse nemmeno poi tanto attraente.
Juan era abituato a ben altro e adesso ricominciava a cercarlo.
Lui non era abbastanza.
Non ci fu nemmeno bisogno di cercare tanto:
la porta della stanza di Juan era aperta e ne provenivano dei suoni
inequivocabili. Qualcosa si spezzò dentro Alfonso quando si presentò sulla
soglia e colse di sorpresa i due impegnati in arditi amplessi.
“Madonna Elena, spiacente di disturbarvi, ma
la vostra amica vi sta aspettando nel salone per tornare a palazzo. Vi prego di
ricomporvi e di non farla attendere oltre, sono stato chiaro?” disse, in un
tono tagliente che Re Ferrante avrebbe approvato senz’altro.
Per poco i due non rotolarono dal letto per
la sorpresa. Elena, imbarazzata per la figura fatta proprio davanti al sovrano
con cui Flora era venuta ad accordarsi, si affrettò a rivestirsi e sistemarsi i
capelli, per poi passare davanti ad Alfonso mortificata.
“Vi chiedo perdono, Vostra Maestà, io…”
mormorò, cercando di abbozzare un inchino.
“Non mi dovete niente, solo, per cortesia,
vedete di sbrigarvi” tagliò corto Alfonso, incamminandosi con lei verso le
scale per accompagnarla nel salone.
Juan era rimasto nella stanza, coperto solo
da un lenzuolo, scarmigliato e piuttosto a disagio. In una qualche parte della
sua coscienza iniziava a farsi strada un vago senso di colpa…
“Alfonso, io…”
Ma il ragazzo era già lontano, in tutti i
sensi.
Poco dopo, Don Hernando aveva incaricato
alcuni dei suoi uomini di scortare le cortigiane al loro palazzo e stava
augurando la buona notte al giovane Principe.
“Sono lieto che ci sia stato questo accordo,
sono certo che le informazioni che riceverete da Madonna Flora saranno
preziose, Vostra Maestà. Ma… vi sentite bene? Siete molto pallido. Volete che
chiami il vostro medico?” domandò il comandante, preoccupato.
“No, vi ringrazio, Don Hernando” rispose
Alfonso, che faceva fatica a trattenersi dallo scoppiare in lacrime. “Sto bene,
sono solo stanco. Una buona notte di sonno mi rimetterà in sesto.”
Si congedò dallo spagnolo e si avviò verso la
sua camera. Adesso, finalmente, era rimasto solo e nessuno lo avrebbe visto
piangere. Le lacrime brucianti iniziarono a solcargli il viso mentre la ferita
nel cuore lo straziava più di una pugnalata.
Sono solo uno stupido che si rifiuta di guardare in
faccia la realtà. Non valgo niente, non sono nessuno, la gente mi considera
soltanto per il mio nome e il mio titolo, ma sono un inetto, incapace perfino
di governare il mio Regno. Cosa mi aspettavo? Uno come Juan Borgia non può
avere alcun interesse per uno come me, se non per ottenerne vantaggi e
privilegi…
Ma Juan lo attendeva proprio davanti alla
porta della sua camera. Si era rivestito quel minimo che serviva, con la
camicia aperta e disordinata fuori dai pantaloni.
“Alfonso, non volevo che rimanessi così male,
ti assicuro che per me quella cortigiana non significa niente, è solo una delle
tante” gli disse, cercando di prenderlo per le braccia, ma il ragazzo si tirò
indietro. E Juan si accorse che questa volta, a differenza di qualche notte
prima, Alfonso non era imbronciato e arrabbiato. Stava piangendo e pareva
devastato dal dolore.
“Una delle tante, certo, so quali sono i tuoi
interessi e i tuoi divertimenti, sono io che sono stato uno stolto a credere…
ma non importa, fai quello che vuoi della tua vita, non mi riguarda, ho già
abbastanza preoccupazioni” disse il giovane Principe, cercando di mantenere
ferma la voce.
Juan riuscì a prenderlo per le spalle e a
portarlo dentro la stanza, chiudendo la porta. Non era il caso che tutto il
castello sapesse degli affari loro…
“Tutto quello che faccio lo sto facendo per
te, Alfonso, per rafforzare il tuo dominio su questo Regno e…” iniziò a dire,
ma il ragazzo lo interruppe con un sorriso amaro.
“Ah, senti questa, davvero originale,
potrebbe vincere il premio di scusa dell’anno”
commentò, caustico. “Facciamola finita con questa farsa, Gonfaloniere Borgia,
che ne dici? Tanto ormai ho capito, volevi soltanto una posizione di prestigio
nel Regno di Napoli e hai usato l’unico mezzo con cui eri sicuro di ottenerla.
Non ti preoccupare, non ti priverò dei tuoi privilegi. Del resto, ho comunque
bisogno di qualcuno che mi consigli nel governo del Regno, so benissimo di
essere un incapace…”
Questa rassegnazione dolente di Alfonso fece
molto più male a Juan di quanto non gli avrebbe fatto una scenata di gelosia.
Davvero aveva ferito così tanto il suo Principe da spingerlo a parlare così? Davvero
lo aveva fatto sentire inutile e solo? Sinceramente pentito, prese tra le
braccia il ragazzo che tentava debolmente di divincolarsi e lo strinse forte a
sé.
“Non voglio sentirti parlare così. Tu non sei
un incapace e io voglio veramente governare insieme a te, non mi interessa il
prestigio personale, è con te che voglio condividere questo Regno, è con te che
voglio stare. Tu non sai neanche quanto bene mi fai con il tuo affetto e la tua
dolcezza, Alfonso” mormorò. Prevenne ogni ulteriore protesta chiudendo la bocca del
Principe con un bacio intenso, profondo, lunghissimo. Se non credeva alle sue
parole, ebbene, gli avrebbe dimostrato quanto lo voleva con i fatti, che erano
ciò in cui Juan riusciva meglio. Lo spinse sul letto e lo spogliò, baciandogli
con passione la bocca, il collo, tutto il viso, senza dargli tregua, mentre le
sue mani gli percorrevano il corpo liscio e vellutato, stuzzicando tutti i suoi
punti più sensibili e togliendogli il fiato. Mentre anche Juan si liberava
delle vesti, continuò a eccitarlo con carezze sempre più audaci e intime e baci
appassionati e profondi, rendendosi conto lui per primo che quello che stava
facendo adesso con Alfonso gli procurava un piacere infinitamente superiore a
ciò che aveva provato con la cortigiana.
Finalmente
lo prese, invaso da un’eccitazione che non poteva più trattenere e che sfogò in
lunghi e sempre più appassionati amplessi, continui assalti amorosi di cui non
si stancava mai, anzi, voleva proprio sentire tutto del suo piccolo Principe
triste e imbronciato, voleva scivolargli sotto pelle, diventare carne della sua
carne, un tutt’uno con lui. Solo quando anche Juan fu sfinito si fermò, ansante
e scarmigliato, stringendo Alfonso in un abbraccio avvolgente che incatenava
insieme i loro corpi lasciando fuori il resto del mondo.
Accarezzando i capelli morbidi del giovane
Principe, Juan pensava che a lui non importava più così tanto della posizione
di prestigio che aveva acquisito, quello che contava era governare insieme ad
Alfonso e consolidare il loro potere per difendersi da qualsiasi nemico… e, in
primis, dalle mire ambiziose di suo padre che voleva Alfonso morto perché
fossero i Borgia a regnare su Napoli. Tutto quello che aveva detto al ragazzo
era la pura verità, anche il fatto che il sesso con la cortigiana era stato un
semplice sfogo del suo corpo, così come poteva esserlo un bel duello o una
buona bevuta.
“Alfonso” gli disse piano, continuando ad
accarezzargli i capelli, “mi dispiace davvero se ti ho fatto soffrire, ma lo
sai come sono fatto, mi conosci e lo sapevi già quando venni più di tre anni fa
per organizzare il matrimonio di Sancha con Goffredo. Non volevo ferirti o
mortificarti, questi sono i miei vizi, così come lo è ubriacarmi o fumare oppio,
non ne vado fiero ma io sono questo. Credevo che tu potessi accettarmi per ciò
che sono, nel bene e nel male, che tu non mi giudicassi…”
“Io non ti giudico” riuscì a rispondere
Alfonso, ancora affannato e stravolto, “tu sei libero di fare ciò che vuoi e io
ti accetto, lo sai, è solo che… mi sono sentito così inutile, uno che conta
solo per il nome della sua famiglia e il suo rango…”
Juan si sentì stringere il cuore. Possibile
che il suo Principe fosse così insicuro, così privo di autostima? Intenerito,
lo abbracciò forte, i corpi sempre più intrecciati e incollati tra loro.
“Ti ho già spiegato che non voglio sentirti
dire che sei inutile. Tu mi stai cambiando la vita, Alfonso, sei l’unico che mi
fa sentire accettato e accolto, che mi fa sentire a casa. Non importa se non
sei un sovrano degno di tuo padre, del resto io sono sempre stato una delusione
per il mio, no? Ma sei importante per me
più di ogni altro al mondo” replicò Juan con una veemenza appassionata.
Alfonso comprese che le parole di Juan erano
schiette e sincere, che gli venivano dal cuore. Sentendosi arrossire, si affidò
alle sue braccia perdendosi completamente in lui.
“Anche tu sei… importante per me…” sospirò,
imbarazzatissimo.
Era così, non poteva farne a meno. Per quanto
gli atteggiamenti e le abitudini di Juan potessero ferirlo e farlo soffrire,
Alfonso sapeva che non avrebbe mai potuto rinunciare a lui. Non capiva bene ciò
che sentiva, era così diverso da tutto ciò che aveva provato fino ad allora,
persino dall’affetto profondissimo per il Generale… ma sapeva che nessun dolore
sarebbe mai stato paragonabile alla devastazione del suo cuore se avesse dovuto
rinunciare a Juan.
Il giovane Borgia lo baciò di nuovo, questa
volta in modo più languido e tenero e poi, finalmente riappacificati, i due
giovani scivolarono in un sonno pacifico e ristoratore.
Altre sfide e doveri li attendevano nei
giorni a venire, ma li avrebbero affrontati insieme e uniti.
Capitolo 12 *** Capitolo 12: Masters of destiny ***
Capitolo dodicesimo: Masters of
destiny
All of the things we've said and done
All of the things we have become
All of the things we've said and done
We've said and done, we've said and done
I am the dreamer
I roll the dice and I'm alive
My hands aren't tied
We are the dreamers
We roll the dice so we're alive
We'll always be
Masters of destiny!
(“Masters of destiny” – Delain)
Alfonso aveva inviato
una lettera al Marchese Gonzaga, signore di Mantova, per invitarlo a
trascorrere qualche giorno nel suo castello di Napoli. Voleva infatti parlare
con lui a proposito della nuova alleanza che desiderava stipulare tra il Regno
di Napoli e il Marchesato di Mantova, un’alleanza indipendente da quella che il
Gonzaga aveva costituito con il Papa, l’Imperatore d’Asburgo, la Repubblica di
Venezia e il Ducato di Milano contro Re Carlo. Il nobiluomo aveva accettato e,
due settimane dopo, si trovava al cospetto di Alfonso, nella Sala del Trono. Il
giovane aveva dato un banchetto per accogliere il signore di Mantova e, dopo la
cena, lo aveva ricevuto privatamente.
Per il giovane
Principe fu una strana sensazione ritrovarsi nuovamente in quella sala, seduto
su quel trono, più di due anni dopo. Ricordava fin troppo bene come Re Carlo lo
avesse costretto a fingersi il vero signore di Napoli davanti al Gonzaga, per
ingannarlo e convincerlo a non fidarsi dei potenti che gli avevano proposto
un’unione dei loro eserciti per scacciare i Francesi da Napoli. Allora era
terrorizzato, aveva dovuto parlare al Marchese in presenza di Re Carlo e pesare
ogni parola, perché il gentiluomo non sospettasse nulla e credesse a ciò che
gli era stato ordinato di dire, sapendo che, se solo avesse fallito, il Re
Francese lo avrebbe fatto riportare nella camera delle torture…*
Adesso, invece, lui era
il legittimo sovrano di Napoli e avrebbe parlato con Francesco Gonzaga per
ottenere la sua alleanza indipendentemente dagli altri Stati italici.
A volte Alfonso si
chiedeva come fosse possibile che la sua vita fosse cambiata così tanto negli
ultimi anni, da Principe ereditario a ostaggio dei Francesi fino a tornare sul
trono che era suo di diritto. Si chiedeva se non fosse tutto un sogno…
“Vostra Maestà, è un
grande onore per me essere vostro ospite e una grande gioia vedervi finalmente
sul trono che vi spetta” disse con calore Francesco Gonzaga. “Ricordo che
rimasi addolorato, due anni fa, di vedervi ostaggio di quel malvagio sovrano
straniero, ma non potevo fare niente per voi. Voi stesso insistevate sul fatto
che non eravate prigioniero e che, anzi, Re Carlo era il legittimo erede in
quanto discendente degli Angioini… ma io sapevo che quella non era la verità.”
“Diciamo che lo era
in parte” precisò Alfonso, desiderando dimenticare quella parentesi dolorosa e
spaventosa della sua vita. “Purtroppo era vero che il Papa Borgia si era sempre
rifiutato di dare l’investitura ufficiale a mio padre, Re Ferrante, mentre
aveva incoronato Re Carlo allo scopo di farlo venire a Napoli dove già sapeva
che infuriava la peste. Tutto il resto, com’è ovvio, non potevo dirvelo. Ma
ora, per fortuna, è tutto passato e sono io a governare il Regno, a dispetto
del Papa Borgia e dei Francesi!”
Il Gonzaga sorrise.
“Ed io ne sono molto
lieto, Vostra Maestà. Adesso non siete più un ragazzo spaventato, ostaggio di
stranieri brutali e selvaggi, siete un vero sovrano e sarà un onore, per me,
stringere alleanza con voi. Eppure c’è ancora un dubbio che mi tormenta e
desidererei porvi una domanda, se ciò non vi offende, Vostra Maestà” disse.
“Domandate pure,
Vostra Grazia” acconsentì il Principe.
Il nobiluomo pareva a
disagio.
“Ecco… ho notato che
durante la cena al vostro fianco sedeva Juan Borgia, uno dei figli di Sua
Santità. Lo avete presentato come Generale dell’esercito pontificio e avete
detto che è stato proprio il Santo Padre a inviarlo a Napoli per mettervi sotto
la protezione della famiglia Borgia, ma… avete anche detto che Sua Santità non
vi ha mai riconosciuto come legittimo sovrano di Napoli. Se non avete fiducia
nel Papa, come potete fidarvi di suo figlio?” chiese.
In effetti a volte se
lo chiedeva anche lo stesso Alfonso. In quel momento, ad esempio, si rese conto
che Juan non era nella Sala del Trono e, stranamente, non partecipava a
quell’incontro così importante. Dov’era andato? Possibile che avesse
volutamente evitato di parlare con Francesco Gonzaga sapendolo un avversario
del padre?
“Avete ragione,
Vostra Grazia” rispose il giovane Principe, cercando di sembrare convincente.
“In effetti quando il Gonfaloniere Borgia è giunto a Napoli io non mi fidavo
affatto di lui e temevo che volesse strapparmi il trono, per volere di suo
padre. Nei mesi successivi, tuttavia, mi sono reso conto che non era questa la
sua intenzione e che, anzi, lui sembrava volersi staccare dalle ambizioni
paterne. E’ stato proprio lui, infatti, a consigliarmi di rinforzare l’esercito
e di stipulare nuove alleanze indipendenti da quelle con il Papa. Credo anche
che Sua Santità sia molto deluso dal figlio e che lo abbia mandato qui pensando
che avrebbe fallito di nuovo…”
“Sono molto felice
che le cose siano andate così, allora, Vostra Maestà” concluse il Gonzaga,
soddisfatto. “Ora, se permettete, mi ritirerò per la notte. Magari domattina
avrò occasione di parlare personalmente anche con il Gonfaloniere e potrò farmi
un’opinione diversa di lui, constatare di persona quanto sia lontano
dall’avidità del padre. Per me è inconcepibile che un Servo di Dio possa ordire
simili trame… ma sicuramente Nostro Signore saprà come usare per il meglio
anche le manovre del Papa Borgia.”
“Ne sono certo,
Vostra Grazia. Buonanotte” rispose Alfonso con un sorriso. Ricordava che
Francesco Gonzaga era un uomo devoto e pio e che già nel colloquio di due anni
prima era rimasto sconvolto alla rivelazione delle ambizioni mondane del
pontefice!
Il Marchese di
Mantova si ritirò nell’ala del castello che Alfonso aveva fatto allestire per
lui e per gli uomini del suo seguito, mentre il giovane Principe si avviò verso
la sua camera. Continuava tuttavia a domandarsi che fine avesse fatto Juan e
perché mai non avesse partecipato, come avrebbe dovuto, alla conversazione con
il Gonzaga.
Ebbe ben presto la
sua risposta.
Juan era nella sua
stanza, ancora una volta a letto con Elena, la cortigiana amica di Madonna
Flora. E, senza il minimo senso del pudore, aveva lasciato la porta quasi del
tutto aperta, così che chiunque si trovasse a passare di là avrebbe visto e
udito tutto ciò che accadeva in quella camera. Alfonso, che mai si sarebbe
aspettato una cosa del genere, rimase impietrito.
Ma ciò che lo ferì di
più, ciò che veramente lo colpì al cuore fino a straziarglielo, non fu tanto
vedere Juan con la donna o sentire i loro gemiti, no… Fu la complicità che
percepì tra loro, vederli ridere e scherzare mentre facevano sesso, come
fossero stati una coppia di amanti.
“Dai, ripetimi ancora
una volta cosa ha gridato il Duca Caldora, amore mio” disse Juan tra una risata
e un ansito.
“Ha detto… ha detto Tu non sei più mio figlio, d’ora in poi se
vorrai... se vorrai accompagnarti con questa… con questa…” cercò di
rispondere Elena, ma non riuscì a finire la frase. Alfonso, con il volto livido
e gli occhi pieni di rabbia e dolore, era entrato nella stanza sbattendo la
porta con violenza.
“Vostra… Vostra
Maestà…” balbettò la cortigiana, cercando di ricoprirsi alla meno peggio. “Io…
io stavo solo…”
“Lo so benissimo cosa
stavate facendo, Donna Elena, non sono né cieco né sordo, grazie a Dio” tagliò
corto il Principe.
“Non è quello che può
sembrare, Alfonso. Elena era venuta al castello per parlare con te…” provò a
intervenire Juan, infilandosi una camicia e cercando di scendere dal letto per
avvicinarsi al Principe. Ma il ragazzo indietreggiò, fulminandolo con un’occhiata.
Non gli interessavano
le spiegazioni di Juan, non voleva nemmeno ascoltarlo. Era arrabbiato, certo,
perché il giovane Borgia lo aveva preso in giro di nuovo e si era portato a
letto quella cortigiana, ma questa volta era diverso. Sapeva che Juan
frequentava quelle donne, che era dipendente dal sesso forse più che dall’oppio
e dall’alcool, non gli piaceva ma pensava che, prima o poi, sarebbe riuscito ad
accettarlo. No, non era quello il problema.
Il vero problema
erano state le risate tra i due e la loro aria di scherzosa complicità.
Il vero problema era
stato sentire Juan che diceva amore mio
ad Elena.
Era stato questo a
piantare una lama affilata e incandescente nel cuore del Principe.
“Vostra Maestà, ve lo
giuro, non era mia intenzione…” stava dicendo Elena mentre si rivestiva. “Ero
venuta per parlare con voi, il Duca Caldora ha sorpreso il figlio con
Margherita e davanti a tutte noi ha urlato che non era più suo figlio, che lo
diseredava e lo cacciava di casa. Io volevo avvertirvi subito perché… ma voi
stavate ricevendo un nobiluomo e io…”
“Molto bene” la
interruppe, gelido, il ragazzo. “Vi ringrazio di avermi avvertito con tanta
tempestività. Vi farò scortare dalle mie guardie al palazzo di Madonna Flora e,
nei prossimi giorni, manderò dei doni per ricompensarla di quanto sta facendo
per me. In quanto a voi… beh, immagino che abbiate già ricevuto la vostra ricompensa, quindi non potrete
prendere niente dei gioielli che invierò alle vostre amiche. Andate, ora.”
Elena, al colmo
dell’imbarazzo, prese le sue cose e si affrettò a uscire dalla stanza. Sperava
solo che Flora non le chiedesse niente… come avrebbe potuto giustificarsi dopo
aver offeso così il Principe che loro dovevano servire? Flora avrebbe persino
potuto cacciarla dal palazzo!
Juan e Alfonso
rimasero soli nella stanza, ma il volto del Principe era talmente tempestoso
che neanche lo spregiudicato Borgia ebbe il coraggio di avvicinarsi a lui come
faceva di solito.
“Ma che cosa ti dice
il cervello, se è lecito saperlo?” sibilò il ragazzo. “O forse non è con il
cervello che ragioni? Non eri presente alla conversazione con Francesco
Gonzaga, non c’eri mentre io parlavo con lui dell’importantissima alleanza da
stipulare, puoi immaginare che cosa ha pensato di te il Marchese?”
“Alfonso, io… senti,
volevo venire, ma poi è arrivata Elena all’improvviso, ha detto che era
accaduta una cosa importantissima al palazzo di Madonna Flora e che dovevi
esserne subito informato e così…”
“E così hai pensato
bene di farti riferire questa cosa
importantissima in privato, nella tua camera da letto. Oh, sì, capisco
benissimo” lo interruppe Alfonso, sfoderando tutta la sua pungente ironia.
“Tuttavia avresti potuto evitare di lasciare la porta praticamente aperta, non
trovi? Volevi che l’intero castello vedesse e ascoltasse le vostre prodezze? Ti assicuro che, almeno per
quanto mi riguarda, ne avrei fatto volentieri a meno. Tu e quella cortigiana
siete diventati molto intimi, non è così? E non mi riferisco solo al sesso…”
“Cosa? Ma di che
parli, Alfonso? E’ una cortigiana come le altre, lo sai che mi capita spesso di
frequentare locande e bordelli, non sono un santo, credevo lo avessi capito!”
tentò goffamente di giustificarsi Juan.
Ma Alfonso era
implacabile.
“Certo, locande e
bordelli. Ma questo è il castello del Re di Napoli, dunque non è né un bordello
né una locanda. E, di grazia, sei solito scherzare e mostrarti amichevole con
tutte le prostitute e le cortigiane che frequenti? Sei solito chiamarle tutte amore mio?”
Juan rimase
spiazzato. A dirla tutta, lui non si era nemmeno accorto di quello che aveva
detto a Elena e chissà se gli era mai capitato con qualche prostituta? Forse
sì, chi poteva dirlo? In quei momenti di certo non stava a pesare le parole!
Però Alfonso lo aveva
sentito e, a quanto pareva, era questo che lo aveva fatto soffrire. Più ancora
del trovarlo di nuovo a letto con un’altra, erano state quelle parole e quel
modo scherzoso di fare a spezzare il cuore al Principe, era per quello che si
era sentito veramente tradito.
Come poteva fargli
capire che per lui non significava un bel niente?
“Alfonso, sul serio?”
replicò, cercando di minimizzare. “Pensi davvero che mi importi qualcosa di
Elena? Non so nemmeno quello che posso averle o non averle detto, per me non è
importante, ciò che conta è che il Duca Caldora ha diseredato suo figlio per
averlo trovato con una cortigiana e quindi…”
“Sì, questa è una
notizia interessante, perciò ho deciso di inviare dei doni a Madonna Flora e
alle sue amiche come ricompensa per le informazioni” tagliò corto il Principe.
“Ma vorrei sapere se ti rendi minimamente conto di che cosa abbiamo rischiato
questa sera per colpa del tuo comportamento irresponsabile e volgare!”
Il tono di Alfonso
era duro, severo. Somigliava spaventosamente a quello di suo padre quando lo
rimproverava per i suoi fallimenti, e non era un caso: il giovane Principe
aveva deciso di far soffrire Juan esattamente quanto aveva sofferto lui
vedendolo così intimo e amichevole con la cortigiana.
“Francesco Gonzaga è
un uomo onesto, integerrimo e timorato di Dio. Hai la minima idea di cosa
avrebbe potuto fare se avesse scoperto che ospitiamo prostitute e cortigiane in
questo castello per il tuo divertimento?
Già non si fida di te… cosa pensi che avrebbe fatto se fosse stato lui, o uno
del suo seguito, a passare di qui e a vedere e sentire tutto, visto che hai
avuto anche la bella idea di tenere la porta aperta? L’alleanza che è così
importante per questo Regno sarebbe andata a farsi benedire! Ma forse a te, in
realtà, non importa niente del Regno di Napoli? Forse ha ragione il Marchese
Gonzaga e io non dovrei fidarmi di te così come non mi fido della tua dannata
famiglia?”
Fu la volta di Juan
di rimanere impietrito. Si rese conto di quanto male avesse fatto ad Alfonso
senza nemmeno accorgersene e di come avesse stupidamente messo a repentaglio
l’alleanza con Mantova e la fiducia che il Principe aveva imparato a riporre in
lui.
“Non è così, Alfonso,
io… non ho nemmeno pensato che…”
“Già, è proprio
questo il problema, tu non pensi. O, perlomeno, non pensi con il cervello ma
con qualcos’altro” fece il Principe,
lapidario. “Basta, per fortuna ho fatto in modo che il Marchese Gonzaga e il
suo seguito fossero ospitati in un’altra ala del castello, altrimenti chissà…
Molto bene, non abbiamo altro da dirci.”
Alfonso voltò le
spalle a Juan e fece per uscire dalla stanza. Non lo fece nemmeno apposta,
forse non se ne rese neppure conto, ma mentre lasciava la camera gli sfuggì un
sospiro intriso di tristezza e malinconia.
“E’ proprio in
momenti come questi che avrei tanto bisogno del Generale, del suo appoggio, del
suo affetto e dei suoi consigli…” mormorò tra sé. Era una frecciata a Juan?
Voleva colpirlo così come era successo a lui? No, Alfonso non era così
malizioso, il suo era stato un vero attimo di rimpianto.
Ma Juan lo udì e non
gli piacque per niente.
L’accenno al Generale
gli fece tornare in mente il fatto che quell’uomo aveva avuto Alfonso tutto per
sé per ben tre anni, che lo aveva stretto e baciato, che lo aveva tenuto nel
letto e ci aveva fatto l’amore… e Alfonso era suo!
Forse solo in quel
momento Juan capì veramente cosa significava la gelosia e quanto forte e
straziante poteva essere quel sentimento che ti mordeva il cuore e ti tormentava
con immagini e pensieri: Alfonso tra le braccia del Generale, Alfonso stretto a
quell’uomo, Alfonso che si lasciava baciare e possedere da lui…
Eh no!
In due falcate Juan
raggiunse il Principe prima che potesse uscire dalla sua stanza, lo afferrò, lo
riportò dentro e chiuse la porta, poi lo sollevò e lo buttò sul letto,
distendendosi su di lui e imprigionandolo.
“Il Generale? Pensi
ancora a quel vecchio? Non hai
bisogno di lui, non hai bisogno di nessun altro, tu hai me!” esclamò, preso dalla gelosia e dalla passione. Strappò i
vestiti di dosso ad Alfonso e si sfilò la camicia che era l’unica cosa che
indossava, poi iniziò a baciarlo profondamente per un tempo
infinito, sentendo che avrebbe potuto divorare la sua bocca senza mai stancarsi
del suo sapore. Intanto gli accarezzava tutto il corpo morbido e vellutato, lo
toccava ovunque cercando di cancellare dal Principe qualsiasi traccia e ricordo del
Generale. Voleva che Alfonso sentisse solo lui, voleva riempirlo del suo sapore,
del suo odore, farlo suo in ogni fibra del suo essere. Si seppellì in lui e
affondò nelle sue carni più intime fino a sentirlo fremere e sospirare
sconvolto, si spinse in lui ancora, ancora e ancora, e intanto continuava a
baciarlo e a parlargli sulla bocca.
“Devi dimenticare il Generale, tu non sei
suo, tu sei solo mio” mormorava Juan tra gli ansiti. “Voglio che tu appartenga
a me, a me soltanto, che senta solo me, che ami solo me…”
Alfonso era completamente travolto e
sbigottito, non riusciva a capire come fossero giunti fino a quel punto e
perché Juan lo stesse possedendo con tanta intensità e ardore. In realtà non
capiva più nemmeno dove fosse e chi fosse, sentiva solo che il suo corpo non
gli rispondeva più e seguiva istintivamente i movimenti del giovane Borgia, incendiandogli
il sangue nelle vene e sopraffacendolo con ondate di piacere che non aveva mai
nemmeno immaginato potessero esistere.
Dopo lunghe ore di amplessi infiniti
durante i quali Juan non si stancò mai di conoscere ed esplorare tutto ciò che
poteva del suo Principe, in una confusa sinfonia di gemiti e sospiri,
finalmente i due raggiunsero insieme l’apice e Juan, con un ultimo rantolo,
strinse più forte a sé Alfonso. Voleva che dormisse nel suo letto quella notte,
non in quello che aveva diviso per tre anni con il Generale. Voleva che fosse
suo anche nel sonno, così come lo era stato durante l’amore. Voleva essere
tutto il suo mondo, la stessa aria che respirava.
“Non ti serve il Generale” gli ansimò
all’orecchio, “lui di certo non ti faceva sentire così. Tu sei solo mio.”
E scivolò in un sonno ristoratore, tenendo
sempre stretto a sé Alfonso.
Il Principe, dal canto suo, non aveva
avuto tempo di comprendere o rielaborare niente e, disfatto e stremato, finì
per addormentarsi abbandonato a Juan, proprio come il Borgia aveva voluto.
Non ricordava nemmeno più perché si fosse
tanto arrabbiato con lui!
Fine
capitolo dodicesimo
* La vicenda di un incontro precedente tra
Alfonso e Francesco Gonzaga, ovviamente, è inventata da me, esattamente come
questa, ed è raccontata nella mia ff “Shadows and lights”.
In blood and tears, a thousand times
We rise against, we'll always hold the line
Of reckoning
Red tears run down like a river
Don't close your eyes, it won't disappear
No fear, you wanna end the pain
Don't let go, don't back down
Hold the line, we'll bring the reckoning!
(“The Reckoning”- Within Temptation feat. Jacoby Shaddix)
Il Marchese Gonzaga
si trattenne a Napoli ancora per qualche giorno prima di fare ritorno a
Mantova, ormai rassicurato sulla lealtà di Juan Borgia al giovane Principe e
onorato di un’alleanza con il Regno di Napoli, indipendente da qualsiasi legame
con il Papa.
Alfonso era molto
soddisfatto per quel primo passo, che poteva sembrare una sciocchezza ma che
per lui significava tanto. Non si era mai ritenuto un vero sovrano, quando il
padre si era ammalato gravemente era stato logico ritenere che fosse lui il
vero Re di Napoli e lui si divertiva anche a farlo credere e ad atteggiarsi a principino altezzoso con quelli che
venivano a domandare privilegi e appoggio… ma, appunto, il suo era stato solo
un atteggiamento. Al tempo era un ragazzino di dodici/tredici anni, viziato e immaturo,
e quelli che prendevano veramente le decisioni erano i consiglieri del Re
Ferrante, che seguivano la politica del sovrano.
E ad Alfonso era
andata sempre benissimo così, non aveva ambizioni, gli piaceva vivere bene,
tranquillo e ammirato.
Poi, però, il padre
era morto e, cosa ancora più grave, il Regno era stato invaso dai Francesi.
Da un giorno all’altro,
Alfonso aveva perso tutto, aveva rischiato la vita, era stato torturato in modi
atroci e assurdi, senza alcuna ragione… e poi si era ritrovato ostaggio del Re
Francese e protetto da un Generale straniero. E, nonostante il Generale fosse
stato sempre molto buono, gentile e premuroso con lui e Alfonso avesse
imparato, col tempo, a volergli veramente bene, era tuttavia consapevole che si
trattava, appunto, di un Generale, un comandante militare che niente avrebbe
potuto se, per un altro dei suoi crudeli capricci, Re Carlo avesse voluto farlo
straziare ancora. Ogni giorno poteva essere l’ultimo della sua vita, in quel
periodo, e Alfonso ne era stato sempre terribilmente consapevole.
In seguito le cose
erano migliorate quando Re Carlo era rimasto in Francia e aveva rimandato il
Generale a Napoli, a governare il Regno come suo vassallo e con Alfonso come Re fantoccio per non innervosire la
Spagna o gli altri Stati Italiani ostentando una dominazione francese… cosa
che, peraltro, era. Ma per Alfonso quelli erano stati giorni sereni, finalmente
al sicuro da quel Re sadico e dalle sue follie, nella città in cui era nato e
cresciuto, protetto dal Generale e di nuovo rispettato dal suo popolo. Non
contava nemmeno quanto il due di briscola, certo, era il Generale a comandare,
seguendo le direttive del suo Re, ma non era poi diverso da quando il Principe
ragazzino fingeva di essere il Re mentre erano i consiglieri del padre a
prendere tutte le decisioni.
Adesso, però, era lui
il Re di Napoli. Era stato lui a convocare Don Hernando e a incaricarlo di
rinforzare e riorganizzare l’esercito del Regno, era stato ancora lui a
prendere contatti con Francesco Gonzaga e a stipulare un’alleanza con lui. Certo,
aveva seguito i consigli di Juan Borgia per fare tutto ciò, ma alla fine era
stato lui personalmente a parlare con quegli uomini, a prendere le decisioni e
a farsi rispettare da loro.
Non credeva che ci
sarebbe mai riuscito e invece ce l’aveva fatta!
Aveva tutti i motivi
per essere compiaciuto e soddisfatto di sé.
Erano ormai trascorsi
più di sei mesi da quando Juan era giunto a Napoli e Alfonso rifletteva che ciò
che, sulle prime, gli era sembrato un nuovo tentativo di invasione, era invece
diventato qualcosa di meraviglioso e perfetto: l’appoggio, seppure inesperto, di
Juan e quello molto più solido di Don Hernando gli avevano consentito di
diventare di fatto oltre che di nome il vero sovrano di Napoli; inoltre il
Regno era adesso più sicuro, con un esercito più forte e organizzato e una rete
di spie (le famose cortigiane di Madonna Flora) che tenevano sempre sott’occhio
i Baroni di Napoli, i primi nemici della casata Aragonese. Le alleanze che
Alfonso avrebbe intessuto con i signori delle corti italiane sarebbero state
un’ulteriore consolidamento della potenza del Regno.
E, cosa da non
trascurare, il legame con Juan, seppure tra alti e bassi dovuti alle
intemperanze e ai vizi del giovane Borgia, era qualcosa che Alfonso non aveva
mai vissuto prima e che lo rendeva felice in un modo che non era neanche in
grado di esprimere. Stava bene con lui, per la prima volta nella sua vita si
sentiva capito e complice, quando Juan gli era accanto il suo cuore batteva più
forte e lui provava una gioia infinita, la sicurezza che niente sarebbe andato
storto finché fossero stati insieme.
Nella sua ingenuità e
inesperienza, Alfonso chiamava amicizia
questo rapporto, perché qualsiasi altro nome lo faceva arrossire e gli
incendiava il sangue nelle vene… ma, del resto, Alfonso non aveva mai avuto un
vero amico più o meno della sua età.
Sul fatto che lui e
Juan avessero rapporti carnali molto frequenti e appassionati e che il solo
vederlo o averlo vicino lo facesse fremere, il giovane Principe preferiva non
soffermarsi troppo… non aveva ancora nemmeno ben capito come funzionasse la
cosa e perché il suo corpo reagisse così!
Ma quello che
veramente contava era che Alfonso era davvero, totalmente, pienamente e
immensamente felice.
Quella sera, dopo
aver cenato, i due giovani si trovavano da soli sul balcone che dava sul mare,
ad ammirare le ultime lame di luce del sole al tramonto che inondava il cielo
di straordinarie sfumature cangianti dorate, viola e arancio. Alfonso sorrideva
sereno, riflettendo sui cambiamenti positivi della sua vita in quei mesi così
intensi. Si voltò un attimo a guardare Juan e gli bastò vedere il suo volto
illuminato dalla luce del tramonto e i riflessi dorati che quella luminosità
regalava ai suoi capelli per diventare rosso fuoco e sentirsi tremare… per
fortuna il tramonto faceva strani giochi colorati e il suo rossore poteva
benissimo passare per un riflesso!
Juan, però, non era
ingenuo come il giovane Principe e capì subito cosa stava succedendo nel cuore
e nelle emozioni del suo compagno. Allungò un braccio, lo passò attorno alle
spalle di Alfonso e lo attirò a sé per baciarlo.
Anche lui, quella
sera, si sentiva particolarmente felice e sereno. Per lui valeva lo stesso
discorso fatto per il Principe: la sua vita in quei mesi era migliorata in modo
incredibile, adesso era il consigliere e il successore del Re di Napoli, Duca
di Gandia e di Calabria ma, cosa ancora più importante, aveva l’amore
incondizionato di un ragazzo che lo accettava e lo faceva sentire unico e
speciale.
Juan non aveva mai
provato una sensazione di totale beatitudine come in quel periodo dorato e
inutilmente aveva cercato quella soddisfazione nel vino, nell’oppio e nel sesso
sfrenato con cortigiane e prostitute. Bastava lo sguardo adorante e il sorriso
luminoso di Alfonso per farlo sentire il Re del mondo…
Ed era tanto più
rasserenato perché aveva ricevuto notizie incoraggianti da Roma.
Quel mattino, quando
gli era stata consegnata una lettera di suo padre, aveva tremato, agghiacciato
al pensiero che il genitore gli ordinasse di eliminare il Principe, che i tempi
erano maturi e che non ci sarebbero stati sospetti su di lui.
Invece quello che
aveva letto lo aveva sorpreso piacevolmente.
Mio
caro figlio, ciò che hai saputo fare a Napoli va al di là di ogni mia
aspettativa e siamo davvero lieti che tu non abbia seguito il tuo impeto e non
abbia ucciso il giovane Principe, sarebbe stato un danno incalcolabile per la
nostra famiglia. Infatti abbiamo organizzato per la tua amatissima sorella
Lucrezia delle nozze prestigiose con il diciassettenne Alfonso d’Aragona,
nipote del Re di Spagna.* E’ pertanto molto importante che
i rapporti tra i Borgia e gli Aragona si mantengano il più possibile sereni e
improntati a reciproca fiducia e stima.
Juan era rimasto talmente
soddisfatto da ciò che aveva letto da non potersi trattenere, doveva raccontare
ad Alfonso che Lucrezia e l’altro Alfonso si sarebbero sposati e che, quindi,
le loro famiglie sarebbero state ancora più legate, non riusciva a trattenere
l’entusiasmo pensando che non avrebbe più dovuto fare del male al suo Principe
e che, anzi, il padre appoggiava la loro amicizia.
Sì, beh, certo,
Rodrigo Borgia non sapeva che i due andavano a letto insieme, ma non c’era
alcuna ragione perché dovesse scoprirlo, no?
“Ti vedo particolarmente
contento questa sera, Alfonso” gli disse Juan, dopo averlo baciato a lungo.
“Lo sono, infatti”
ammise il Principe, arrossendo. “Ho stipulato l’alleanza con il Marchese
Gonzaga e, anche se è solo la prima di una lunga serie di trattative che mi
aspettano, sono soddisfatto di avercela fatta… è molto importante per me. Ma
anche tu mi sembri più sereno del solito…”
“Ho ricevuto buone
notizie da Roma” replicò compiaciuto Juan. “Mia sorella Lucrezia si è fidanzata
con Alfonso d’Aragona e si sposeranno presto!”
La notizia non ebbe
l’effetto sperato sul giovane Principe. Il volto di Alfonso si rabbuiò
immediatamente e il suo sguardo si fece cupo.
“E per te questa
sarebbe una buona notizia?”
Juan trasecolò.
“Certamente” rispose.
“Il matrimonio di Lucrezia con il nipote del Re di Spagna rafforzerà i legami
tra le nostre famiglie e, di conseguenza, anche il Regno che stiamo creando
insieme a Napoli.”
Alfonso scosse il
capo, frustrato.
“Sei davvero così
ingenuo quando si tratta della tua famiglia oppure sei d’accordo con loro per
portarmi via il Regno?” mormorò, deluso e rattristato. “Questo è un chiarissimo
piano di tuo padre per impossessarsi finalmente della corona di Napoli,
possibile che tu non te ne renda conto? O forse non vuoi rendertene conto?”
“Io proprio non
capisco di cosa tu mi stia accusando” protestò Juan, innervosito. Credeva che
Alfonso sarebbe stato felice come lui di quel fidanzamento che stringeva ancora
di più i rapporti tra le loro famiglie e invece il Principe non trovava di meglio
da fare che accusare suo padre di tramare qualcosa di losco?
Alfonso cominciava a
pensare che Juan fosse davvero
ingenuo come mostrava di essere quando veniva tirata in ballo la sua preziosa
famiglia…
“Allora ti spiegherò
tutto” disse, con un sospiro rassegnato. “Alfonso d’Aragona è il nipote del Re
di Spagna, come hai detto. Io non lo conosco personalmente e non so quali
ambizioni possa nutrire ma, in ogni caso, purtroppo conosco tuo padre e so
benissimo quali ambizioni nutra lui.
Io sono un Aragona, è vero, ma discendo da un ramo cadetto della famiglia,
mentre Alfonso è nipote diretto del
Re di Spagna. Inoltre, se lui e Lucrezia si sposeranno, avranno dei figli. Ora,
chi pensi che potrebbe essere più saldo sul trono di Napoli, un giovane
Aragonese di un ramo cadetto e senza discendenza oppure un nipote del Re di
Spagna con la possibilità di generare eredi per il Regno?”
La logica del
ragionamento di Alfonso si palesò davanti agli occhi di Juan in tutta la sua
drammatica chiarezza. Ma… era possibile che suo padre volesse fargli questo? Se
il suo vero intento era quello di mettere Lucrezia e Alfonso d’Aragona sul
trono di Napoli, allora perché mai aveva mandato lui come protettore del
Principe Alfonso, attuale e legittimo sovrano del Regno? Perché, addirittura,
gli aveva ordinato di conquistare la fiducia del Principe per poi eliminarlo se
non voleva che fosse lui a governare il Regno di Napoli?
Anche la risposta a
questi interrogativi si palesò dolorosamente alla mente di Juan.
Rodrigo Borgia voleva
semplicemente mettere qualcuno della sua famiglia sul trono di Napoli.
Avrebbe tentato con
Goffredo e Sancha, se non avesse avuto di meglio, ma Sancha era illegittima e
non sarebbe mai stata accettata come Regina, tanto meno dopo aver sposato un
Borgia.
Juan, invece, aveva
la possibilità di farsi accettare come protettore dal legittimo sovrano di
Napoli, giovane, inesperto e impaurito dopo l’invasione francese. Di fatto,
anche senza eliminare il Principe, Juan Borgia avrebbe governato il Regno di
Napoli in nome e secondo i desideri di suo padre.
Poi, però, si era
presentata un’occasione ancora più propizia: l’amicizia tra Juan e Alfonso
aveva portato gli Aragona ad avvicinarsi ai Borgia e questo aveva favorito il
fidanzamento di Lucrezia e Alfonso d’Aragona. Il giovane Principe aveva
perfettamente ragione: un giovane discendente del Re di Spagna e con la
possibilità di avere presto eredi sarebbe stato il candidato perfetto al trono
di Napoli. Rodrigo Borgia aveva ottenuto ciò che voleva e senza neanche doversi
sporcare le mani del sangue di Alfonso...
Lui, Juan, era stato
solo un mezzo per giungere ad un fine, era stato la seconda scelta di suo padre…
Alfonso lesse negli
occhi del giovane Borgia che la verità era infine giunta anche alla sua mente e
che, chiaramente, non era quello che voleva.
“Non possono farlo!”
esclamò Juan, pieno di rabbia e delusione. “Sei tu il legittimo sovrano di
Napoli e io sono tuo protettore e consigliere, non possono toglierci ciò che è
nostro!”
“Magari non lo
faranno, magari si limiteranno… ad aspettare”
ribatté Alfonso, tristemente. “Sai già che le ferite che Re Carlo mi ha fatto
infliggere mi hanno avvelenato il sangue e che non sono destinato a vivere a
lungo. Quando io non ci sarò più, sul trono di Napoli siederanno
tranquillamente Alfonso e Lucrezia e i loro figli. Se avrai fortuna, magari ti
concederanno di restare come protettore del Regno o qualcosa del genere…”
Gli occhi di Juan
mandarono un lampo.
“Non lo permetteremo.
Io non lo permetterò” dichiarò,
infiammato. “Dobbiamo continuare a circondarci di amici e alleati, dovrai
prendere contatto con altri potenti d’Italia, con il Doge di Venezia e anche…
beh, sì, anche con Ludovico Sforza, e nessuno oserà avvicinarsi al Regno di
Napoli!”
“Sì, certo, posso
farlo, ma non credo che…” provò a dire Alfonso, ma Juan non lo lasciò finire.
Lo strinse in un abbraccio impetuoso, baciandolo più intensamente e
profondamente che poté. Era infuriato con suo padre che lo riteneva così
facilmente sostituibile, che voleva usare Alfonso per i suoi scopi, prima
ordinandogli di ucciderlo e adesso di blandirlo per cementare l’alleanza con
gli Aragona.
A lui non
interessavano le alleanze, voleva Alfonso, era felice nel governare con lui il
Regno di Napoli, si sentiva a casa accanto a lui e non poteva nemmeno pensare
di perdere quella serenità che provava da quando si era legato a quel Principe
così sfortunato. Sempre continuando a baciarlo lo spinse contro il balcone, si
abbassò i pantaloni e li sfilò anche al ragazzo, lo sollevò da terra e si
spinse in lui. I loro corpi furono uniti in un impeto ardente di passione,
un’unica fiamma di desiderio e amore, mentre Juan pensava che voleva rimanere così
per sempre, unito ad Alfonso, perché niente e nessuno potesse separarli mai.
Tanto meno suo padre
e le sue sporche cospirazioni.
Fine capitolo tredicesimo
* La storia di Lucrezia e di Alfonso d’Aragona è vera,
i due si sposeranno il 21 luglio 1498. Nella realtà, tuttavia, il giovane
Alfonso era figlio di Alfonso II di Napoli cosa che, per ovvie ragioni, non
poteva verificarsi nella mia storia, essendo i due quasi coetanei!
Unending
nights, neverending lights I know I could live for centuries But they'll be the brightest I'll ever see Stand by my side in the darkest times As this tragedy seems to be Always enclosed in our memories…
(“Neverending” – Frozen
Crown)
Alfonso aveva ripensato a lungo, nei giorni
seguenti, a ciò che Juan gli aveva raccontato a proposito del fidanzamento di
sua sorella Lucrezia con Alfonso d’Aragona e a quello che tale unione avrebbe
potuto significare per il loro futuro e per quello del Regno di Napoli.
Inizialmente la prospettiva di subire una nuova invasione ad opera del nipote
del Re di Spagna e di perdere il trono lo aveva spaventato, tuttavia più ci
rifletteva e più gli venivano strani pensieri.
Alfonso d’Aragona non era Re Carlo, lui non
lo conosceva di persona ma sapeva che era un ragazzo della sua età, cortese e
di animo nobile. Se gli avesse concesso ciò che voleva, ossia il trono di
Napoli, riteneva che non gli avrebbe fatto alcun male, anche perché erano pure
parenti, alla lontana. E poi avrebbe governato in nome del Re di Spagna e non
gli sarebbe convenuto affatto uccidere un Aragonese.
Il giovane Principe si convinceva sempre di
più che concedere il Regno di Napoli alla Spagna, per tramite di Alfonso
d’Aragona, non sarebbe stata poi quella gran tragedia. Al contrario, l’appoggio
della Spagna avrebbe impedito al Papa di acquisire troppo potere e avrebbe
probabilmente dissuaso eventuali invasori italiani o stranieri. Sì, certo, lui
aveva stretto un’alleanza con Francesco Gonzaga, ma Mantova era un piccolo
Stato e il Gonzaga non aveva poi tutto questo carisma. Alfonso dubitava di
poter essere altrettanto convincente con governanti come gli Este o, peggio
ancora, Ludovico il Moro. Anche i Baroni di Napoli non avrebbero osato alzare
la cresta di fronte al nipote del Re di Spagna, per quanto l’idea di essere
suoi vassalli potesse irritarli.
A dirla tutta, Alfonso era stanco. Stanco di
dover sempre temere per la sua vita, stanco di stare sempre sul chi vive,
stanco di non sapere mai di chi fidarsi. Lui non era come suo padre Ferrante,
non lo era mai stato. Amava il Regno di Napoli per la sua bellezza e per le
comodità e i lussi, ma non si sentiva un vero sovrano. Non era ambizioso, non
desiderava il potere. Gli sarebbe bastato poter rimanere a Napoli come uno dei
tanti nobili, godendo dei privilegi del suo rango… e che fosse Alfonso d’Aragona
a vedersela con i vari Principi italiani e con le mire dei sovrani stranieri!
Juan trovò Alfonso che vagava nella Sala del
Trono, perduto nelle sue riflessioni.
“Come sei serio, Alfonso” gli disse in tono
scherzoso. “A cosa stai pensando?”
Il giovane si voltò verso di lui e lo fissò.
Juan fu ancora più sorpreso dall’espressione decisa e concentrata del Principe
e, ancora una volta, si disse che quel ragazzo era molto più forte di quanto
avesse pensato quando l’aveva incontrato la prima volta e quando, poi, era
tornato a Napoli per diventare suo protettore.
Tutti avevano sottovalutato Alfonso, tutti, a partire da suo padre. Quel
giovane Principe non era forse uno stratega, non era un guerriero né un sovrano
spietato e scaltro come suo padre, ma le esperienze atroci che aveva vissuto
gli avevano infuso una forza d’animo che lui, Juan, di sicuro non possedeva.
“Sto prendendo in considerazione la
possibilità di cedere la corona di Napoli ad Alfonso d’Aragona” dichiarò il
Principe, prendendo completamente alla sprovvista il giovane Borgia.
“Cosa? Ma… di che stai parlando?”
“Di quello che mi hai riferito qualche giorno
fa. Tua sorella Lucrezia sposerà Alfonso d’Aragona il mese prossimo e da quello
che so di tuo padre non ha certo organizzato questo matrimonio per la felicità
della figlia” ribatté il ragazzo. “Rodrigo Borgia vuole governare su Napoli, è
per questo che ti ha mandato qui. Però adesso ha un’occasione ancora più
favorevole: mettere sua figlia sul trono, come sposa del nipote del Re di
Spagna. Del resto, la Spagna ha sempre voluto Napoli e mio padre ha lottato per
anni per mantenere l’indipendenza…”
“Certo, e sarà quello che continuerai a fare
anche tu. Io sarò al tuo fianco per appoggiarti e poi stipulerai alleanze con i
signori delle Corti italiane e…”
“Con chi potrei allearmi, Juan? Con i Medici,
che al momento non possono ancora rientrare a Firenze?* Con gli Este, che sono filofrancesi? O magari con Ludovico
Sforza? Non credo che sarà molto propenso ad ascoltarmi, specialmente se ti
vedrà al mio fianco” replicò Alfonso, con distaccato realismo. “Non posso
mettermi contro il Re di Spagna, ho già abbastanza nemici…”
Juan era allibito. Non era questo che avevano
deciso qualche sera prima, quando avevano parlato per la prima volta del futuro
matrimonio di Lucrezia e Alfonso d’Aragona, anzi. Juan si era dichiarato
disposto a sfidare anche la sua famiglia pur di difendere il suo posto accanto
al Principe, il legittimo erede al trono di Napoli. Possibile che Alfonso,
adesso, fosse così disposto ad arrendersi? Sembrava rassegnato, vinto, così
Juan decise di dargli una notizia che, senza dubbio, lo avrebbe rallegrato e
magari spinto a reagire.
“Questo non è vero, non hai tanti nemici”
disse. “Sono convinto che sarai in grado di allearti con i governanti degli
Stati italiani… sì, anche con Ludovico il Moro, perché no? Le cose sono
cambiate, adesso. Gli Sforza hanno avuto un atteggiamento ambiguo con i
Francesi, hanno cercato un’alleanza con loro per avere i cannoni con cui
difendere Forlì, ma poi il Moro ha partecipato alla Lega Santa per respingere
le pretese di Carlo VIII sull’Italia. E… forse non lo sai, ma non dovrai più
temere quel Re crudele e sadico.”
Proprio come Juan prevedeva, le sue ultime
parole catturarono l’attenzione di Alfonso, che gli si avvicinò e lo guardò con
una muta speranza negli occhi.
“Cosa vuoi dire?”
“Semplicemente che Re Carlo è morto più di un
mese fa, nel suo castello di Amboise. Pare che abbia sbattuto la testa contro
l’architrave in pietra di una porta e che sia morto dopo due o tre ore di
agonia” riferì il giovane Borgia, soddisfatto.
Alfonso sembrava non credere alle proprie
orecchie. Re Carlo era morto, il suo aguzzino, il mostro che lo aveva fatto
torturare era morto… e in un modo così assurdo! Il sollievo che lo invase fu
talmente intenso che solo in quel momento il ragazzo si rese conto di quanto,
in realtà, lo temesse ancora. Nei suoi incubi, il malvagio sovrano era sempre in
agguato, pronto a organizzare una nuova invasione del Regno di Napoli e a farlo
riportare nella stanza delle torture, questa volta fino alla fine, perché il
Generale non era più lì per proteggerlo…
Il giovane Principe scoppiò in una risata
argentina, come per liberarsi dal peso che aveva portato sulle spalle negli
ultimi anni.
“Ha… sbattuto la testa sull’architrave?”
mormorò, tra una risata e l’altra. “Ma come ha fatto? Era… insomma, come ci è
arrivato fin lassù, basso com’era?”
La risata di Alfonso era contagiosa e fece
ridere anche Juan.
“E’ assurdo, vero? In realtà pare che fosse a
cavallo… ma i particolari non hanno importanza, no? Quello che conta è che
quell’uomo crudele e spietato ha pagato per tutto il male che ti ha fatto. E’
morto, ha sofferto, e non avendo eredi ha dovuto lasciare il Regno di Francia
al cugino, Luigi d’Orléans. Ha perduto tutto!” **
Era così dolce vedere Alfonso con gli occhi
brillanti per la gioia. Juan non seppe resistere e lo prese tra le braccia,
baciandolo a lungo e quasi sollevandolo da terra. Come sempre, quando iniziava
a baciarlo non riusciva a frenarsi e aveva già iniziato a cercare di
slacciargli i pantaloni… ma, cosa strana, questa volta il Principe trovò il
fiato e la forza per trattenerlo.
“Juan, aspetta… io… Temo che sia troppo
presto per festeggiare. E’ vero, Re Carlo è morto e io ne sono molto
compiaciuto, ha avuto la fine che si meritava ma… come sappiamo che Luigi XII
non sarà anche peggio di lui? Sicuramente avrà anche lui delle mire sul Regno
di Napoli…” mormorò, ritornando d’improvviso malinconico. “Ed è per questo che
io… io preferisco che sia qualcun altro ad affrontarlo al posto mio. Se vorrà
farlo Alfonso d’Aragona, si accomodi pure.”
“Insomma, Alfonso, hai già dimenticato tutto
quello che ci siamo detti pochi giorni fa? Devo ripeterti all’infinito che non
sei solo, che io sono qui con te, che ti aiuterò ad intessere le alleanze?”
reagì Juan, stizzito dal fatto che il ragazzo facesse tante difficoltà. “Oppure
la verità è che non ti fidi di me? Pensi che ti stia mentendo, che sia come mio
padre? Perfetto, credevo che almeno tu avessi capito chi sono e mi accettassi
per ciò che sono…”
Lo scatto di rabbia di Juan parve turbare
ancora di più il Principe, che lo guardò con occhi pieni di dolore e
disperazione.
“Non è questo, Juan, io mi fido di te, ma non
della tua famiglia né dei sovrani italiani e stranieri” mormorò. “E… sono tanto
stanco, Juan. Sono stanco di vivere nel terrore, di avere sempre paura di
qualcuno, di aspettarmi ogni giorno qualcosa di terribile. E sono stanco anche
di preoccuparmi di tutto, di dover contattare governanti che mi ritengono un
inetto e supplicarli di allearsi con me. Sai, quando sei arrivato a Napoli e ho
iniziato a conoscerti meglio, quando facevamo delle cose insieme come due
ragazzi normali, cavalcate, passeggiate, chiacchierate, io… io mi sentivo
davvero felice come non ero mai stato. Non ero più solo, avevo un amico più o
meno della mia età e vivevo una vita serena e piacevole. Forse preferirei
davvero che fosse sempre così… se Alfonso d’Aragona prendesse il trono, io
potrei vivere tranquillo come uno dei tanti nobili di Napoli…”
Juan guardò a lungo il suo giovane Principe,
il suo povero Alfonso rassegnato e malinconico, e si sentì stringere il cuore.
In quel momento sembrava di nuovo il ragazzino che i Francesi avevano
inseguito, catturato e poi torturato in modi atrocissimi, spezzandogli il corpo
e l’anima, sembrava più giovane e indifeso… e Juan si rimproverò per non essere
stato ad aiutarlo e a proteggerlo in quei momenti terribili. I sensi di colpa
lo straziavano mentre pensava a come si fosse goduto la vita, in quegli anni,
tra prostitute spagnole, viaggi, notti di baldoria nelle locande, fumo e altri
piaceri e, nel frattempo, Alfonso era solo e terrorizzato ad affrontare il
sadico Re Carlo, Alfonso si alzava ogni giorno pensando a cosa sarebbe potuto
accadergli di orribile, chiedendosi se sarebbe sopravvissuto fino a sera.
E tutto ciò che voleva era una vita
tranquilla, essere un ragazzo normale…
Per la prima volta nella sua vita il giovane
Borgia si vergognò di ciò che era stato e che aveva fatto fino a quel momento,
della sua esistenza vuota, superficiale, irresponsabile e legata solo alle
soddisfazioni personali. E osava lamentarsi di suo padre e delle sue critiche?
Con che coraggio? Non aveva dovuto patire neanche un millesimo di ciò che aveva
sopportato Alfonso, più giovane e fragile di lui…
Ma ora sarebbe cambiato tutto. Juan sarebbe
cambiato, si sarebbe deciso finalmente a crescere e avrebbe protetto, difeso e
incoraggiato Alfonso, aiutandolo ad ottenere tutto quello che meritava e che
non aveva mai avuto, a dimenticare paure e sofferenze, a essere semplicemente
felice… al suo fianco.
Lo prese per le spalle e lo attirò a sé.
“Hai ragione, Alfonso, hai perfettamente
ragione” gli disse. “Anch’io voglio vivere finalmente una vita normale e serena
accanto a te, ma questo non vuol dire dover rinunciare al Regno di Napoli.
Capisco che hai passato esperienze terribili, ma adesso è tutto diverso. Non sei
più solo, Alfonso, ci sono io con te e non ti lascerò mai. Questa è la mia casa
e la mia vita è accanto a te, lotterò per proteggere quello che stiamo
costruendo insieme, a qualsiasi costo.”
Incredulo, il giovane Principe gli rivolse
uno sguardo in cui, finalmente, sembrava brillare una tenue luce di speranza.
Incoraggiato da quella luce, Juan continuò, stringendo Alfonso tra le braccia.
“Non sei solo a doverti preoccupare delle
alleanze o della difesa del Regno, ci sono io a farlo con te e Don Hernando ad
occuparsi dell’esercito. Riusciremo ad allearci con i potenti degli Stati
italiani e tutto andrà bene. Del resto, io non credo che davvero mio padre e il
Re di Spagna vogliano mettere Alfonso d’Aragona e Lucrezia al tuo posto ma, se
dovesse accadere, difenderemo ciò che è nostro. E lo stesso vale per il nuovo
Re di Francia, non sappiamo ancora ciò che vorrà fare, se avrà la stessa
ambizione e spietatezza di Re Carlo. Non devi più tormentarti per cose che,
forse, non avverranno mai. Lo facevi quando eri da solo e dovevi pensare a
tutto, ma ora sei con me, sei mio e
qualsiasi ostacolo e nemico lo affronteremo insieme quando si presenterà, senza
angosciarci inutilmente prima.”
Detto questo, Juan iniziò a baciare profondamente
Alfonso, spingendolo contro la parete, armeggiando con i lacci dei suoi abiti,
accarezzandolo dappertutto. Non avrebbe rinunciato al suo dolce e indifeso
Principe per niente al mondo e, per averlo, era disposto anche ad abbandonare
la sua vita superficiale e viziosa e a crescere, a prendersi delle vere
responsabilità. Il legame con Alfonso, che nessuno dei due osava ancora
chiamare amore, lo aveva cambiato e sarebbe stato in grado di appoggiare e
difendere il Regno di Napoli se ce ne fosse stato bisogno. Juan continuava a
minimizzare la crudeltà e la spietata ambizione di suo padre e di suo fratello
Cesare, riteneva che le minacce, caso mai, sarebbero venute da Spagna e Francia…
tuttavia era deciso ad affrontarle per non perdere niente del futuro che si
stava costruendo con Alfonso.
Perduto tra le braccia di Juan, il giovane
Principe si lasciò andare, concedendosi il lusso di sperare, di credere
finalmente che le cose sarebbero anche potute andare bene e che lui e Juan,
insieme, avrebbero potuto superare qualsiasi ostacolo e difficoltà. Mentre,
confuso e smarrito, si abbandonava ai baci ardenti e alla passione di Juan,
mentre i loro corpi divenivano una sola essenza di piacere e desiderio, Alfonso
ebbe un ultimo pensiero lucido: al fianco del giovane Borgia avrebbe potuto
ottenere tutto ciò che aveva sempre desiderato.
Juan era la sua felicità, la sua completezza,
il suo destino. Avrebbero fatto grandi cose perché, e questo era ciò che per
lui contava più di tutto, sarebbero stati per sempre insieme. Unito a Juan, anche Alfonso sentiva di poter affrontare
qualsiasi nemico, minaccia e difficoltà, di poter lottare nei momenti più
oscuri e negativi fino alla luce e alla gioia di un futuro fianco a fianco.
Insieme a Juan.
FINE
* I Medici erano stati cacciati da Firenze nel 1494 dal
popolo, ispirato dalle prediche del Savonarola, ed era stata instaurata una Repubblica.
Nel giugno del 1498, data in cui ho ambientato questo capitolo (un mese prima
delle nozze di Lucrezia Borgia con Alfonso d’Aragona), a Firenze governava il
Gonfaloniere Piero Soderini, legato alla famiglia dei Medici, ma Firenze era
ancora una Repubblica. I Medici potranno rientrare a Firenze solo nel 1512.
** Può sembrare strano, ma questa è la storia vera. Carlo
VIII morì proprio così e sul trono salì suo cugino, che regnerà come Luigi XII
di Valois-Orléans, capostipite di una nuova famiglia regnante in Francia. E’
proprio vero che Carlo VIII perse tutto, morendo senza eredi diretti.