Uragano

di mate_firework
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uragano ***
Capitolo 2: *** Un passo indietro ***
Capitolo 3: *** Tagliare i ponti ***



Capitolo 1
*** Uragano ***


Alla me di qualche anno fa direi che essere timidi non è sbagliato, non avere sempre la risposta pronta non è qualcosa che va necessariamente condannato, che l’essere troppo magra per via della conformazione fisica non è un problema altrui, semplicemente non è qualcosa che riguarda altre persone se non te.

Non è sbagliato nemmeno fare quello che ti piace e seguire le tue passioni, anche se probabilmente non incontreranno l’approvazione di altre persone.

Non devi sentirti in colpa perché non sei stata in grado di reagire quando quella persona ha allungato le mani su di te, e tu avevi solo 10 anni e non capivi la situazione, perché il tutto ti era stato presentato come un gioco, alla fine del quale avresti ricevuto come compenso l’intero album di figurine di Dragonball, semplicemente il tuo sogno.

Hai seppellito quei ricordi perché avevano un retrogusto amaro e li hai lasciati nell’ombra per troppo tempo. A 18 anni pensavi di essere paranoica o di avere qualche problema quando non riuscivi a lasciar avvicinare il tuo ragazzo, non riuscivi a farti toccare, a farti vedere in intimo e men che meno senza. Parlavi con alcune amiche e pensavano che tu volessi aspettare a fare il grande passo per non offendere i principi dei tuoi genitori, o per rispettare l’idea che il sesso arrivasse solo dopo il matrimonio, ma questo non c’entrava assolutamente. Provavi ad lasciarti andare, ma subito la paura che ti venisse fatto qualcosa di male s’impossessava di te, e subito ti rifugiavi in un angolo e stavi lì, raggomitolata e tremante, con il terrore negli occhi e quelle lacrime amare che non esitavano a scendere.

Ti sentivi in colpa perché sapevi che quel ragazzo che ti era vicino già da tre anni non voleva farti del male, ma tu non riuscivi in nessun modo a scollarti di dosso quella sensazione di paura mista all’angoscia. Lui ti lasciava i tuoi spazi, ti abbracciava e ti guardava con quegli occhi imploranti che volevano solo capire il perché delle tue reazioni, e tu non avevi una risposta plausibile.

Un giorno, dopo aver trascorso insieme a lui un bellissimo pomeriggio, avevi improvvisamente ricordato qualche frammento di ciò che era successo quel pomeriggio con tuo cugino, e l’avevi condiviso con lui, in maniera scherzosa e frivola. Da quel momento in poi non avevi più prestato molta attenzione a quel ricordo perché era troppo frammentato e lontano.

Quattro anni dopo, quando ormai eri all’università, in un periodo abbastanza sereno, il ricordo si é completato e ti ha travolto come un uragano. Negli stessi giorni avevi litigato con un amico perché alla cena del suo compleanno si era permesso di farti delle avance a sfondo sessuale, pur sapendo che tu non eri una persona che accettava di buon grado parole del genere e visto il tuo imbarazzo costante quando si parlava della sfera intima. Ti aveva detto: “Che ne dici se questo cetriolo lo mangiamo insieme, tanto so che a te piace” e tu, imbarazzata, gli avevi dato dell’idiota in modo scherzoso. Lui, non felice, aveva continuato, davanti a tutti gli invitati:”Guarda che di sopra ho un frustino per i cavalli, dovremmo provarlo, so che a te piace così”. Avevi voglia solo di scappare, ma non potevi perché eri in macchina con un’amica, e allora eri restata e ti eri chiusa in un silenzio tombale, perché quelle parole sul momento ti avevano offeso, ma poi avevano risvegliato in te quel ricordo e lo avevano riportato alla memoria in modo nitido.

Ti sentivi soffocare da lui che continuava a guardare in modo provocatorio la tua scollatura, e dai dettagli che erano riemersi improvvisamente sul tuo passato. 



NOTE: Ciao! Questo capitolo è nato come un flash-fic, ma probabilmente aggiungerò qualche capitolo se me la sentirò. E' qualcosa che brucia ancora in quanto gli ultimi fatti risalgono a poco tempo fa, quindi perdonatemi se il racconto non è scorrevole o se ci sono delle imprecisioni.

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Capitolo 2
*** Un passo indietro ***


Mi ripetevo che dovevo solo resistere, lasciare che quella serata finisse per poi scappare. Finalmente all'una del mattino i festeggiamenti si erano conclusi, così ero tornata a casa. Sentivo un peso nel petto che mi opprimeva sempre di più e non volevo che la mia famiglia potesse vedermi in quello stato di paura, così ero rimasta seduta su un muretto, con il freddo di marzo che penetrava nelle ossa. Inavvertitamente avevo cominciato a tremare per la rabbia che provavo per i commenti fatti, mi ero sentita trattata come un oggetto, una bambolina e non ero riuscita a replicare nulla, da quanto ero sconvolta. Improvvisamente lo schermo del telefono aveva iniziato a lampeggiare con una chiamata da parte di Matt. Matt era il mio fidanzato storico (storico nel senso che la nostra storia durava da 5 anni) e faceva il pizzaiolo in un locale del suo paese, quindi finiva sempre di lavorare sul tardi. Non appena avevo risposto aveva capito subito che c'era qualcosa che non andava visto che non riuscivo a spiccicare parola ed ero terrorizzata. Gli avevo raccontato a grandi linee che Mich (il ragazzo dei commenti) mi aveva offeso ed umiliato davanti a tutti, e che non era nemmeno la prima volta che lo faceva. Qualche giorno prima, infatti, quando ancora io e Mich eravamo in buoni rapporti, eravamo andati ad una festa in un locale con altri compagni di corso dell'università. Era da tanto che non uscivo per via della sessione invernale e di un corso di tedesco che mi aveva tenuta impegnata, e avevo voglia di staccare un po'. Avevo deciso di indossare una gonna con degli inserti in pelle ai lati con una t-shirt bianca ed i miei amatissimi Dr. Martens neri, un look semplice e sobrio, come piaceva a me. Evidentemente il look che io ritenevo semplice e sobrio non lo era per gli altri, visto che appena ero arrivata in stazione per incontrare i miei amici Mich aveva fatto un'uscita poco elegante: "Vestita così, sai, è difficile evitare l' 'alzabandiera' ". Lì per lì io gli avevo dato una gomitata e avevo lasciato correre la cosa, e anche gli altri avevano fatto lo stesso. Arrivati al locale avevamo ordinato qualche birra ed avevamo riso e scherzato tutti insieme, quindi l'atmosfera era molto rilassata. Dopo aver finito di bere ci eravamo spostati nella pista da ballo e noi ragazze avevamo cominciato a cantare a squarciagola e a saltare insieme. Eravamo tutte spensierate e, complice quel poco alcool che avevamo in corpo, ci eravamo lasciate andare ed avevamo iniziato a ballare in modo più sciolto. Di fronte a me, a qualche metro di distanza, c'era Mich che tentava di ballare e allo stesso tempo mi rivolgeva sguardi strani, famelici, che mi facevano sentire a disagio dato che erano rivolti soprattutto ai miei fianchi e sedere imponente. Non appena me n'ero accorta, avevo proposto di uscire un attimo a prendere una boccata d'aria fresca. Cominciavo a percepire qualcosa di strano in lui e a capire che l'amicizia che c'era stata fino a quel momento era in sospeso. Quella sera da quel momento avevo cercato di stare alla larga da lui per evitare malintesi inutili e la cosa sembrava aver funzionato. Una volta saliti sul treno per tornare a casa, Mich era leggermente su di giri perchè non si era limitato alla birra e allo shot di tequila, e aveva cominciato a raccontarci del cancro di suo nonno, ormai metastasi, e di quanto stava male per questa cosa. Quel fatto mi aveva scosso perché Mich parlava spesso del nonno e si capiva bene quanto fosse legato a lui. Nella mia testa vari pensieri continuavano a scontrarsi, perché se da una parte avevo intravisto la sua debolezza in un momento così delicato, dall’altra avevo avvertito quella sera la malizia che aveva nei miei confronti e la necessità di mettere definitivamente le cose in chiaro. La cosa difficile in questa situazione era mettere le cose in chiaro in modo delicato, senza porre fine all’amicizia, ma semplicemente stabilendo la giusta distanza. Il giorno dopo mi aspettavano ben quattro ore di laboratorio a stretto contatto con Mich dato che io, lui e Francesca, un’amica, eravamo in gruppo insieme. Avevo capito da subito che c’era qualcosa di strano in lui, nel suo sfuggire al mio sguardo, nell’evitare di rivolgermi la parola, per di più la febbre aveva pensato bene di venirmi a trovare. Alla pausa, visto che la febbre e il mal di testa non accennavano ad andarsene, ero andata al bar per gustarmi un the caldo e sciogliere la bustina di Tachifludec. Mentre chiacchieravo con alcune compagne di corso, avevo visto che Mich si era avvicinato al cerchio che avevamo formato, e, dal nulla mi aveva detto “Ho visto come ti sei divertita e come hai ballato ieri sera senza il tuo moroso, poi vestita in quel modo; fai tanto la santarella e poi invece sei così… Alla fine sono sempre le ragazze più tranquille e timide le più spinte e le più porche”. Quelle parole mi avevano lasciato un po’ interdetta e subito gli avevo risposto “Guarda che stare con un ragazzo non implica che io quando esco devo stare seduta e non ballare. Tra l’altro non mi sembra di aver fatto chissà cosa di strano ieri sera” e lui si era limitato ad annuire. Era una situazione strana perché 1. nessuno mi aveva mai definito come una ragazza che se ne frega del moroso e balla in modo provocatorio (in realtà quando ballo spesso assomiglio più ad un tricheco con gli spasmi), ovvero nessuno mi aveva mai descritto come una zoccoletta 2. nessuno mi aveva mai ripreso per il modo in cui mi vestivo se non mia mamma la prima volta in cui ero stata ad una festa in seconda superiore ed avevo un vestito che arrivava alle ginocchia infatti non avevo mai amato i vestiti appariscenti, scollati o che mi coprissero poco il sedere, quindi le parole che mi aveva rivolto stridevano ancora di più 3. non capivo il suo dover giudicare a tutti i costi quello che facevo visto che lui era solo un amico a cui non avevo mai dato una grande confidenza (come con la quasi totalità delle persone che non conoscevo come le mie tasche, dato che ero fatta così).

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Capitolo 3
*** Tagliare i ponti ***


Tutta questa vicenda mi ha fatto male, molto male, perché mi sono sentita pugnalata alle spalle, offesa per qualcosa che non ho mai fatto. Non sono mai stata una ragazza che ama mettere al centro dell'attenzione il suo corpo, anzi, il più delle volte mi mette a disagio quando mi accorgo di essere osservata. L'unico momento in cui lascio cadere le paure è quando sono in pista e corro con il mio completo da gara. Mi sento libera e questa sensazione mi dà una scarica d'energia incredibile che porta via l'imbarazzo e finalmente mi sento forte come vorrei sempre essere. Ormai è trascorso più di un anno dalla vicenda, e nel frattempo non sono riuscita a trattenermi dal tentare di recuperare il rapporto di amicizia con Michele. Sono fatta così, pur di non far uscire una persona dalla mia vita vado contro me stessa, sopporto le parole amare espresse sul mio conto. Non riesco a rinunciare ad un'amicizia perché la interpreto come una sconfitta personale, ed inizio a pensare di essere io la causa iniziale di tutto. Mi convinco di avere sbagliato qualcosa nei modi di fare o di aver lasciato trasparire messaggi errati. Non riesco ad abbandonare un'amicizia perché penso a tutti i bei momenti passati insieme e subito mi sembra sbagliato interrompere ogni rapporto. Quest'incapacità nel tagliare i ponti è collegata ad un mio grandissimo difetto: sono estremamente sensibile e per questo riesco a leggere le persone, i loro stati d'animo, le loro difficoltà. Ogni volta che lascio entrare una persona nella mia vita è come se lasciassi incrociare due fili di colori e forme diverse ed iniziassi la creazione della trama di una coperta. Chiudere un'amicizia comporta il taglio di questi fili, quindi molte ferite, situazioni spiacevoli e la paura di un possibile rimpianto nel futuro. Sono più brava ad incassare i torti, nonostante facciano terribilmente male, però sono sicura di avere bisogno di iniziare a sfoltire le amicizie e di volermi almeno un pizzico di bene in più. Voglio iniziare da me questa volta, da ciò che mi fa stare bene.

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