Il Viaggio per la Libertà

di FDFlames
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dramatis Personae ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 11: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undici ***
Capitolo 13: *** Capitolo Dodici ***
Capitolo 14: *** Capitolo Tredici ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quattordici ***
Capitolo 16: *** Intermezzo I ***
Capitolo 17: *** Capitolo Quindici ***
Capitolo 18: *** Capitolo Sedici ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciassette ***
Capitolo 20: *** Capitolo Diciotto ***
Capitolo 21: *** Capitolo Diciannove ***
Capitolo 22: *** Intermezzo II ***
Capitolo 23: *** Capitolo Venti ***
Capitolo 24: *** Capitolo Ventuno ***
Capitolo 25: *** Capitolo Ventidue ***
Capitolo 26: *** Capitolo Ventitré ***
Capitolo 27: *** Capitolo Ventiquattro ***
Capitolo 28: *** Capitolo Venticinque ***
Capitolo 29: *** Capitolo Ventisei ***
Capitolo 30: *** Capitolo Ventisette ***
Capitolo 31: *** Capitolo Ventotto ***



Capitolo 1
*** Dramatis Personae ***


Dramatis Personae


Aera

Una ragazza decisa e leale, pronta a qualsiasi cosa per riportare la libertà nella Valle Verde, la sua casa, nonostante non sia il suo regno di origine. Vorrebbe portare a tutti una speranza che non riesce a dare a se stessa. Il significato del suo nome è iride.

Zalcen

Tra i giovani del clan, di gran lunga il più razionale, freddo e distaccato. Solo Aera e Aniène sono in grado di sciogliere e rivelare il suo cuore nascosto e inquieto. Il suo nome significa vento.

Aniène

La più piccola del clan Knej. Nonostante abbia solo nove anni si trova a suo agio in compagnia dei ragazzi più grandi, soprattutto con Aera e Zalcen. Il suo nome significa angelo.

Ikaon

Il capo del clan Knej, guida la sua famiglia attraverso i pericoli, sostenendo i più deboli e combattendo tra i più forti. Aera gli è stata consegnata ancora in fasce circa tredici anni prima, e l'ha cresciuta come se fosse sua figlia. Il suo nome significa albero.

Neal

La spalla di Ikaon, una specie di vice, ottimista e pronto a sollevare il morale anche allo stesso capoclan. Ha insegnato ad alcuni tra i più giovani a combattere, e ad altri ha donato un pugnale per difendersi dagli Ideev. Il suo nome significa foglia.

Reyns

Un ragazzo misterioso, incontrato da Aera, che accetterà di intraprendere il viaggio per la libertà, verso ovest. Un velo di mistero sembra ricoprire la sua vera essenza, ma più che un motivo per dubitare, sembra una buona ragione per fare domande, e risolvere a poco a poco l'enigma che è lui stesso. Il significato del suo nome è pioggia.

Venam

Il capo del piccolo gruppo di Ideev che accompagnano i protagonisti nel loro viaggio verso ovest. La sua lingua è più tagliente della sua spada, e sembra che nulla gli vada a genio, eccetto ciò che dice lui stesso. Il significato del suo nome è veleno.

Gatto

Secondo degli Ideev che viaggiano verso ovest insieme ai protagonisti. Agile e sfuggente, non si capisce se agisca per un qualche tornaconto personale, se sia devoto a una causa sconosciuta o all'esercito degli Ideev. Quasi nessuno conosce il suo vero nome, e chiunque lo sappia non lo ha rivelato.

Daul

Il terzo dei quattro Ideev in viaggio con i protagonisti. Di personalità docile e protettiva, ma una volta scatenata la sua ira diventa implacabile, in mente nient'altro che la vendetta. Il suo nome significa fiume.

Ridd

Quarto degli Ideev in viaggio verso ovest con i protagonisti, li accoglie come parte del gruppo fin da subito, dubitando appena. La sua ingenuità non è però altro che una maschera, la luce che sembra irradiare proviene da una fonte di dolore che non potrà mai cancellare, la rabbia per un perdono pronunciato ma mai sentito non ha ancora smesso di bruciare il suo cuore. Il suo nome significa fuoco.

Yohana

Un personaggio misterioso, della quale non si sa nulla di certo. Ciò significa che potrebbe essere chiunque, e capace di qualsiasi cosa. Il suo nome significa fiore di rosa.

Kired

Giovane Ideev, sempre con il cappuccio calato sulla fronte. Sembra non comprendere i sentimenti e non avere empatia, e proprio per questo è un nemico ancora più pericoloso. Nel suo cuore non c'è spazio per amore o per pietà, e agisce esclusivamente seguendo i propri istinti. Il suo nome significa cacciatore.

Vyde

Un nobile originario dell'Oriente, stabilitosi in una fortezza sulla sponda Lago Rosso, che con il suo esercito di Ideev minaccia la libertà della Valle Verde. Nessuno sa davvero quali siano i suoi piani. Il significato del suo nome è volpe.

Tavem

Il maggiordomo di Lord Vyde. Nonostante appaia come un vecchio uomo vestito di nero, sembra nascondere qualcosa, che tuttavia non verrà mai detto. Infatti, ma forse è una bugia, il suo nome significa silenzio.

Orlud

Nobile Orientale, affiliato con Lord Vyde. Non è chiaro per quale ragione lo stia aiutando senza pretendere nulla in cambio. Forse è vero che le apparenze ingannano e che non tutto il male viene per nuocere. Il significato del suo nome è terremoto.

Divro

Re dell'Oriente, diviso dalla figlia e in perenne attesa del suo ritorno. Con il passare degli anni, la sua speranza di riabbracciarla si è affievolita, ma non è del tutto scomparsa. Guida il suo popolo con coraggio. Il suo nome significa leone.

Looty

Regina Orientale, da anni chiusa nel suo mondo inondato dalle lacrime, mentre attende il ritorno della principessa, ma senza più sperare. Il suo nome significa fiore di loto.

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno ***


Capitolo Uno


Il clan Knej procedeva il suo esodo verso l’Oriente, a un passo sempre più lento, con l’unico scopo di allontanarsi al più presto dalla fortezza di Lord Vyde e dalla Valle Verde. Avrebbero dovuto portarsi fino ad oltre le terre esplorate, affrontando l’ignoto e il rischio, o sarebbe stata la fine. Probabilmente la fine sarebbe arrivata comunque, ma superando le Montagne c’era, forse, una speranza in più, e anche un semplice forse, seppur doloroso, non fa mai male quanto un no, perché le illusioni sono create con il solo scopo di spingerci avanti, nonostante significhi cadere inaspettatamente in un vuoto ancora più nero.
Il gruppo era stremato; quando erano partiti, pochi giorni prima, sembravano il clan destinato a resistere, mentre ora si vedeva una trentina di persone, tra uomini, donne e bambini, che si trascinava a fatica lungo i tortuosi sentieri che serpeggiavano tra gli alberi e i rovi delle Foreste di Wass.
Davanti a loro si stagliavano i rilievi chiamati Montagne, oltre i quali si trovava il Mondo Non Conosciuto Orientale, spesso detto semplicemente Oriente, o Est. In quel momento, le nevi e i ghiacci perenni sulle cime di quelle alture costituivano, per il clan Knej, l’unica, seppur quasi irraggiungibile, via per la salvezza. Valicare uno dei passi non sarebbe costato loro più di un giorno di cammino, ma erano rallentati dal freddo, dalla fame, e dal numero molto limitato di collegamenti tra le Foreste di Wass e la zona montuosa, divise dagli strapiombi.
Esistevano solo dei ponti in legno, e alcuni erano troppo vecchi, il legno delle assi marcio e le corde sfilacciate, ma era un rischio che il clan Knej era disposto a correre. Altri ponti erano invece controllati da clan che esigevano del denaro per lasciare oltrepassare. Ma probabilmente ora quei clan non esistevano più. E non era un bene.
La Valle Verde, il loro amato regno, era ormai stato distrutto dagli Ideev, dei mercenari ai quali Lord Vyde aveva assegnato il compito di sterminare tutti i clan del regno. I primi a diventare Ideev erano stati i membri dei clan nell’estremo ovest, sempre impegnati in guerriglie di cui Lord Vide aveva approfittato, unendoli con la forza contro tutti gli altri. E il gruppo di clan, ormai un piccolo esercito, si era arrampicato come edera dall’ovest all’est della Valle Verde, prima risalendo le coste settentrionali e meridionali, e poi ricongiungendosi proprio nell’area degli strapiombi, per non lasciare a nessuno possibilità di fuga, richiudendosi come un varco oltre il quale vi era la luce di una salvezza che non spettava più a nessuno dei Valliani.
Non era importante che fossero maggiori in numero; gli Ideev venivano pagati, e questo era sufficiente perché i membri dei vari clan decidessero di unirsi al gruppo, pur di sfuggire alla Morte. Per paura o per necessità, la difficile scelta veniva presa in modo sempre più immediato, seguendo l’esempio dei numerosi Ideev; il peso del senso di responsabilità e del giuramento prestato al proprio clan passavano in secondo piano rispetto alla brama di sopravvivenza, la vita di sé stessi e dei propri cari; erano infatti molte le donne incinte che si erano unite al gruppo pur di salvare i loro bambini, e questi erano i cosiddetti nati tra gli Ideev.
Lord Vyde li preferiva agli altri Ideev, sia perché erano al massimo diciassettenni, e quindi giovani, forti e agili, sia perché, non avendo mai fatto parte di un clan, ne ignoravano i valori e le morali, per cui li poteva plasmare a suo piacimento, e assegnare a loro i più sporchi incarichi, senza che si tirassero indietro; i nati tra gli Ideev svolgevano compiti che andavano dall’essere piccoli ladri, a diventare spie o assassini, ed era impossibile, per chi se li ritrovava davanti, pensare a dei ragazzi tanto giovani come a dei sicari. Non si associano la bellezza e la gioventù all’omicidio.
 
Knej si stava inoltrando nel Bosco delle Frecce, così chiamato perché gli alberi di Wass – gli unici in grado di crescere in una zona tanto poco umida – avevano foglie di una forma sagittale, rivolte verso l’alto, in modo da raccogliere più acqua possibile e portarla alle radici, nei rari giorni in cui pioveva. I clan della zona orientale della Valle Verde avevano, proprio per questo, un rapporto diverso con la pioggia: le nuvole all’orizzonte non erano considerate presagio di sventura, ma al contrario portatrici di vita.
Continuando in quella direzione il clan Knej si sarebbe alzato velocemente di quota; Ikaon, il capo del clan, sperava che il gruppo si sarebbe potuto nascondere in una delle grotte sulle Montagne, per poi superarle. Una volta raggiunte le vette, inoltre, la zona sarebbe stata più ricca d’acqua.
Mentre camminavano a un passo che voleva essere svelto sotto i rami dei giovani alberi di Wass, Aera era persa nel suo costante bisogno di trovare una soluzione ad ogni problema che le si presentasse. Doveva esserci un modo per risolvere la situazione, il loro destino non poteva essere quello di abbassarsi senza lamentarsi al volere di Lord Vyde. Se l’esercito degli Ideev era stato creato ci doveva pur essere un modo per distruggerlo, perché tutto ciò che ha un inizio ha una fine, perché così è giusto, perché alla fine ciò che trionfa è la giustizia.
O, per lo meno, questo era il suo modo di pensare, derivato dal modo in cui le era stato illustrato il suo piccolo mondo. Arrivò infatti a una conclusione, o meglio a un’idea, e cominciò a chiedersi perché i clan non si unissero per contrastare Lord Vyde e i suoi Ideev.
«Dovremmo agire nello stesso modo in cui ha agito Vyde,» consigliò, «Unire qualche clan qui nell’est e poi convincere sempre più Ideev a tornare ai vecchi clan. Forse anche per questo ci vorrebbero quindici anni, ma non sarebbe di certo tempo perso.»
«È troppo tardi,» le rispose Ikaon, con il quale la ragazza aveva un rapporto simile a quello che una figlia ha con il padre, «E nessuno si fida del prossimo, dato che le spie Ideev si infiltrano persino tra gli stessi membri dei clan.»
Diede un’occhiata al corteo che li seguiva in silenzio; e se ci fossero stati dei traditori, lì nel mezzo? Di chi avrebbe dovuto sospettare? Su chi stava facendo affidamento? Su se stesso.
Erano proprio gli altri membri di Knej a riporre tutta la loro fiducia in lui, e senz’altro qualcuno sospettava che fosse un traditore.
Ma non lo era. Ikaon avrebbe fatto di tutto per quel clan – era il suo clan. Era riuscito a portarlo fino al Bosco delle Frecce senza venire fermato dagli Ideev, non avrebbe potuto arrendersi proprio ora.
«Ma quanto poco tengono al giuramento fatto al clan, unendosi agli Ideev senza pensarci due volte?» domandò Aera,
«Di sicuro ci pensano, anche più di due volte, ma non devi credere che ritengano piccolo il valore del giuramento fatto al clan. Sforzati piuttosto di riflettere su quanto grande debba essere la disperazione, per portarli a prendere una decisione come quella.»
La ragazza ci rifletté davvero, senza però riuscire ad accettare fino in fondo tanta ipocrisia. Per lei era sempre stato troppo importante avere una dignità, ed era per questo che era sempre stata fedele alle promesse fatte, anche alle più piccole – non aveva altro.
Ogni volta che stringeva un patto, fosse anche solo per difendere un bambino del clan che aveva giocato qualche scherzo innocente, Aera si portava alle labbra la sua collana, il Ciondolo dell’Aquila, e diceva: «Lo prometto.»
Era stata adottata dal clan Knej; le era stato detto di essere stata trovata abbandonata in riva al mare dopo un giorno di pioggia; forse era una bugia, ma non le dispiaceva crederci.
Tutto ciò che la sua famiglia le aveva lasciato erano state una collana e una preghiera: che non la togliesse mai. E così Aera aveva fatto. Era fiera di potersi dire una figlia obbediente, anche senza mai ricevere in cambio lodi dai suoi genitori. Aveva cominciato a pensare, negli ultimi tempi, che la stessero osservando, dal cielo.
«Credi che potrò incontrare i miei genitori, quando supereremo le Montagne?» chiese la ragazza a Ikaon, accarezzando i contorni del Ciondolo dell’Aquila, come a tranquillizzare quel prezioso oggetto, rassicurandolo che presto sarebbero tornati a casa.
«Be’, l’Oriente è grande, e anche se vi incontraste non vi sapreste riconoscere.» rispose il capoclan.
Era un modo meno crudele di dire no.
«Sono l’unica a portare questo particolare gioiello, e poi so bene che voi adulti del clan siete già entrati in contatto con i miei genitori, tredici anni fa. Solo che pensavate di potermelo tenere nascosto per sempre.»
Anche quello di Aera era un modo un poco più gentile per dire qualcosa d’altro, ossia: Non sono più una bambina, e non credo più alle vostre bugie.
A quel punto, Ikaon decise di mollare la presa. Sentiva che al clan Knej non rimaneva molto tempo, e non voleva dire addio ai suoi compagni dopo averli nutriti con tante false speranze. Tanto meno aveva intenzione di mentire ad Aera ancora.
Si fermò, lasciando che parte del corteo li superasse, e posò una mano sulla spalla della ragazza, come avrebbe fatto un padre.
«Hai ragione, Aera,» iniziò a dire, «Ed è vero che non ti abbiamo sempre detto la verità, ma devi capire che ci era stato ordinato prima di tutto dai tuoi stessi genitori. Loro volevano proteggerti, e lo volevamo anche noi.»
«Ma le bugie crollano, Ikaon, e quando lo fanno, feriscono.» ribatté Aera, ricambiando il senso di colpa nei suoi occhi, senza distogliere lo sguardo, solo in attesa della sua prossima giustificazione, che sapeva non sarebbe stata una scusa.
«Lo so bene, Aera, ed è anche per questo che ora voglio illustrarti la situazione senza più giri di parole, per quanto possa essere disastrosa.» disse infatti Ikaon, deciso ad essere onesto con lei, forse per l’ultima volta, sapendo che Aera non aveva mai avuto paura della verità, ma solo delle bugie.
La ragazza annuì; era pronta al peggio.
«La speranza a cui ci aggrappiamo è molto sottile, Aera. Durante questo lasso di tempo, gli Ideev si sono organizzati in un vero e proprio esercito di mercenari pronti ad attaccare i pochi clan rimasti. E noi siamo uno di quelli. Per quanto preghiamo, per noi e per i nostri compagni, devi sapere che è certo che ci saranno delle vittime, tra di noi. Forse solo alcuni di noi, ma se gli Ideev ci stanno tendendo un’imboscata e noi stiamo cadendo nella loro trappola, sarà impossibile sfuggire a tutti loro. Quindi preparati a perdere tutto, Aera, e a combattere per la tua vita e per quella dei tuoi amici. Devi essere pronta a rinunciare a qualcosa di molto importante per te.»
Ikaon passò qualche momento a studiare Aera, con occhio paterno – in fondo, la considerava davvero sua figlia, ormai. L’aveva cresciuta, le aveva insegnato tutto ciò che sapeva, l’aveva formata, e sapeva che i suoi veri genitori gli sarebbero stati riconoscenti per averle mostrato le vie del perdono e della giustizia. Aveva fatto il possibile, e forse anche l’impossibile, senza mai aspettarsi nulla in cambio. Era fiero di sé ed era fiero di Aera, e anche se lo straziava sapere che presto tutto sarebbe finito, sapeva di dover tener duro ancora solo per poco, in modo che l’ultimo ricordo che Aera avrebbe avuto di lui sarebbe stato identico a tutti quelli che aveva collezionato fino ad ora – ricordi del giusto, forte, coraggioso, affidabile Ikaon.
L’uomo abbassò lo sguardo, per camuffare l’ombra di tristezza che era calata sul suo viso, ma poi si sentì colpevole di stare tentando di nascondere ancora una volta quella che non era la sua debolezza, ma semplicemente la sua umanità.
Così alzò la testa, a guardare Aera, e lei gli ricambiò lo sguardo con quei suoi occhi azzurri e sconsolati.
Il vestito celeste che portava, l’unico che le fosse stato consentito portare con sé dopo che il clan era dovuto fuggire, donava femminilità e fragilità alla sua figura, rendendo impercettibile la leggera robustezza della sua costituzione.
E poi c’era quella massa di capelli castani, ricci e indomabili, che alcune ragazze del clan invidiavano, molto amata dai bambini, e di cui Aera avrebbe talvolta voluto liberarsi. Forse erano proprio i più piccoli a convincerla a non tagliarli; la ragazza aveva infatti raccolto due ciocche di capelli, come molti altri ragazzi del clan, in due treccine, colorate da alcuni fili di lana e talvolta abbellite da una perlina all’estremità. E i sorrisi dei bambini mentre si divertivano ad annodarle erano qualcosa che le procurava più gioia di qualsiasi ciocca fuori posto o nodo indistricabile.
Come avrebbe potuto essere preparata a rinunciare a quei giorni sereni? Da un lato, Aera avrebbe voluto dire di essere pronta, forse per far sentire meglio Ikaon, ma dall’altro, anche lei era stanca di mentire.
Trattenne a stento il pianto, e si preparò a dire addio a tutti i membri di quella che considerava la sua famiglia. Allungò il passo, rallentò, finché non ebbe riservato qualche parola di amore e di speranza per tutti. Poi aspettò che due persone in particolare la raggiungessero.
Erano i suoi due amici, con i quali condivideva tutto – Aniène e Zalcen. Anche quel giorno, come sempre, erano vicini; parlavano del futuro, che vedevano incerto e spaventoso.
«Se gli Ideev arriveranno, noi scapperemo insieme a nord, promesso?» chiese Aniène, sapendo già che cosa avrebbe risposto Aera.
«Promesso.» disse, appunto, ripetendo il suo consueto rituale.
«Aniène, quando gli Ideev arriveranno.» la corresse Zalcen, «Comunque, sì, lo prometto.»
«A me interessa che noi tre stiamo insieme, non mi interessa se o quando.» ribatté la bambina, fraintendendo.
Aniène era la più piccola del clan, aveva soltanto nove anni, e aveva bisogno di una sicurezza che nessuno era in grado di dare nemmeno a se stesso: erano le bugie dei due ragazzi più grandi a spingerla a continuare, a farle compiere un passo dopo l’altro, anche se le gambe le facevano male.
Zalcen era il maggiore dei tre: aveva diciotto anni, ed era stato come un fratello per Aera, che aveva quattro anni in meno. Insieme parlavano di qualsiasi cosa, e c’era stato un periodo in cui avevano cercato in ogni modo di scoprire la verità sul passato di Aera; Zalcen le aveva rivelato di sapere che i suoi genitori venivano dall’Est, oltre le Montagne, e lei, all’inizio, si era rifiutata di crederci, perché le era stato detto che nessuno era mai riuscito a superarle. Era una bugia, ed erano stati i suoi stessi genitori ad ordinare al clan Knej di raccontargliela. Aera e Zalcen non riuscirono mai a capire il motivo per cui la ragazza venne abbandonata, un anno dopo la sua nascita, e affidata proprio a quel clan. Si sbizzarrirono immaginando le più fantastiche teorie sul regno chiamato Oriente.
La mentalità della Valle Verde era tremendamente chiusa: gli abitanti conducevano una vita mediocre, e questo a loro bastava, quindi nessuno aveva mai sentito il bisogno di spingersi oltre le Montagne, e proprio per questo ciò che si trovava più a est veniva chiamato Mondo Non Conosciuto.
Era stato proprio un nobile proveniente da questo Mondo Non Conosciuto ad approfittare della chiusura mentale dei Valliani – Lord Vyde.
Si era stabilito nell’estremo ovest, in una fortezza sulla sponda del Lago Rosso, e da lì i suoi Ideev avevano marciato verso est, arrampicandosi sulla Valle Verde come edera sugli alberi – il significato del nome Ideev era infatti edera. E ora non ci si poteva più ribellare all’ondata di follia che gli Ideev avevano portato; spingeva i clan ad una tale disperazione da venir meno al giuramento, e privi di una dignità, quelli che una volta erano davvero uomini venivano trasformati in assassini, pronti ad uccidere per il denaro che offriva Vyde.
Da prede a predatori. Da uomini a mostri.

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Capitolo 3
*** Capitolo Due ***


Capitolo Due

Il gruppo si fermò quando all’alba mancavano poco meno di due ore, ma mentre Aniène era crollata immediatamente, Aera e Zalcen non riuscivano a dormire.
Quel telo nero e vellutato ricoperto di brillanti che era il cielo notturno li affascinava, come aveva fatto ogni notte, con la sua luna e le sue stelle. La vista era incorniciata dalle ombre degli alberi di Wass, alle radici dei quali i due giovani erano sdraiati.
Sarebbe stato l’ultimo cielo notturno che avrebbero osservato insieme? Il giorno li avrebbe divisi? Sarebbero andati a unirsi a tutte quelle stelle, osservando il mondo dall’alto, dimenticando di se stessi, cercandosi l’un l’altra senza mai trovarsi, a due stelle di distanza, ignari?
Oppure uno di loro sarebbe rimasto, a combattere, a soffrire, a sopravvivere? Si sarebbe potuto dire degno, uno di loro, meritevole di vivere, senza l’altra? Ma quella di vivere in solitudine sembrava una condanna, piuttosto che una fortuna. Forse, allora, proprio quello li aspettava. Una punizione, per qualche mancanza a loro sconosciuta, qualche peccato di cui erano all’oscuro. Cercavano entrambi una ragione da assegnare al dolore che presto avrebbero provato.
No. Erano innocenti. Non esisteva un peccato abbastanza grave di cui potevano essersi macchiati. E non c’era ragione per la scelta che sarebbero stati presto costretti a fare – correre o morire. E, forse, correre e morire. Correre invano.
«Ehi, secondo te che cosa vale di più, la vita o la dignità?» chiese la ragazza, più a se stessa che all’amico.
«Senza una dignità, quella non è più vita. Diventa sopravvivenza.» rispose Zalcen, come se lo sapesse da sempre. Doveva essere una domanda che ci si poneva spesso, sentendosi intrappolati e costretti a scegliere: una sopravvivenza con il peso di un tradimento compiuto per apparente vigliaccheria, o una morte con il ricordo di una vita che si possa dire tale.
«Anch’io la penso così.» concordò Aera.
Una foglia di Wass si era appena staccata da un albero, e nell’oscurità la ragazza tentava di seguirla con lo sguardo mentre essa, lentamente, raggiungeva il suolo. «Zalcen, secondo te, se riusciremo a scappare, avremo ancora una dignità, o il nostro sarà soltanto sopravvivere agli Ideev?»
Seguì un lungo silenzio.
Il ragazzo non sapeva la risposta, ci stava riflettendo. E anche Aera.
Il vento soffiò e parve suggerirla a Zalcen. «Secondo me, se ce la caveremo, dovremo tentare di sopravvivere per un po’, poi...»
«Ma gli Ideev ci circonderanno, non avremo scampo.»
Era logico, non si poteva fare altro che scappare a est, e non a nord, come avevano promesso ad Aniène. Ma presto o tardi gli Ideev sarebbero arrivati anche lì. «Bisognerebbe convincere gli Ideev ad unirsi contro Vyde.» propose Aera, come a Ikaon.
«Gli Ideev dovrebbero tornare a pensare con le loro teste, ma non c’è modo di fermarli.» osservò Zalcen, «Si sentono minacciati tanto quanto noi. Dovremmo giocare il loro gioco...»
«Che cosa intendi dire?»
«Alcuni Ideev si spacciano per membri dei clan, giusto? Ebbene, l’unico modo per fermarli è fingere di essere a nostra volta degli Ideev e instaurare una mentalità nel loro gruppo, contro Vyde.»
«Zalcen!» lo riprese Aera, «Hai appena finito di dire che la dignità è più importante della vita stessa, e ora proponi di intrufolarci tra gli Ideev?»
«Aera, non intendevo...» cercò di giustificarsi il ragazzo, «È solo che non vedo altro modo per rimanere in vita. A causa di Vyde, la Valle Verde sta perdendo la sua stessa dignità, e l’unico modo per rimanere in gioco è sporcarsi le mani.»
«Non credo che saremo gli unici ad aver fatto questo ragionamento. Ci saranno un sacco di Ideev impostori, e scommetto che Vyde lo sa. Avrà già fatto in modo di eliminare i sospettati di tradimento. Chissà quanti innocenti hanno già dovuto pagare!»
«Be’, ma a questo punto che si fa?» chiese Zalcen.
«Si muore con dignità.» rispose Aera, fiera, ma non del tutto convinta.
«Facile da dire a parole, Aera, ma ti vorrei vedere. Ti faresti trafiggere da una spada piuttosto che scappare e provare a sopravvivere ancora un giorno o due?»
Aera dovette ammettere che l’idea di Zalcen non era del tutto insensata: se fossero morti non avrebbero potuto concludere nulla, con o senza la loro dignità. «È facile scegliere la via della dignità quando le acque sono calme, ma sul campo di battaglia soltanto pochi non vengono sfiorati dal desiderio di disertare, e questi sono quelli che hanno meno da perdere. La dignità è un valore, la sopravvivenza è un istinto. E gli istinti non si possono sopprimere. Quando, e dico quando, gli Ideev ci troveranno, seguiremo l’istinto e scapperemo il più lontano possibile senza nemmeno accorgercene. E non è una colpa, Aera. Forse qualcuno di Knej sferrerà un colpo a un paio di Ideev, ma poi si terrà stretto il pugnale e scapperà nella foresta. E a quel punto saranno davvero in pochi a salvarsi, se si salveranno.»
«Soltanto in pochi si salveranno?» Aera si stupì di tanto pessimismo, «Zalcen, in pochi sì, ma ci salveremo
«Non ne sarei così sicuro. Saremo in trentadue, se Aniène arriva a domani prima di morire di fame, contro almeno il doppio degli Ideev. Se anche tutti gli uomini, che sono la metà di noi, combattessero, quanti sarebbero a salvarsi?»
Aera interpretò la sua visione pessimista – e molto spesso esatta – e tentò di calcolare: sedici uomini, contro almeno sessantaquattro Ideev. Secondo le osservazioni di Zalcen sui membri di Knej e le voci che erano giunte sugli Ideev, con i quali fortunatamente Knej era solo di rado entrato in contatto, un uomo del clan mandava a segno solo due colpi su tre contro un Ideev addestrato a combattere, e di questi forse uno su quattro bastava a uccidere il nemico o a renderlo incapace di contrattaccare.
Lo stesso non valeva per gli Ideev, molto più esperti. Erano più precisi, e soprattutto più letali. Per uccidere bastava un colpo, forse due, tre se il bersaglio era abituato a combattere.
A questi dati, Aera aggiunse il pessimismo, tipico dei calcoli di Zalcen, e una piccola regola, derivata da una sua stima che aveva tuttavia la caratteristica di essere troppo ottimista rispetto a quelle di Zalcen: gli altri sedici membri del clan, quelli che non avrebbero combattuto, si sarebbero dati alla fuga, e ci sarebbero voluti almeno tre Ideev per fermarne uno di loro. In più, molti giovani e bambini potevano nascondersi tra i cespugli o sugli alberi, e questo avrebbe distratto e impegnato gli Ideev, facendo guadagnare tempo agli altri.
«In pochi.» rispose, «Tre o quattro, forse.»
«Bene, e ora tieni conto del fatto che almeno la metà degli Ideev è armata di arco, e lo sa usare, dopodiché aggiungi una ventina di spie che girano per il Bosco delle Frecce.»
Non aveva considerato questa possibilità. Il pessimismo di Zalcen non aveva confini, ma era anche vero che in rare occasioni l’aveva visto sbagliare, e questa non sembrava una di quelle. Al contrario, più ci ragionava, più le sembrava che persino la stima del ragazzo fosse stata generosa, e la situazione effettiva sarebbe stata addirittura peggiore.
Aera si sentì come se qualcuno la stesse strangolando, e riuscì con un filo di voce a pronunciare quelle parole: «Uno. Soltanto uno.»
Era come una regola, in ogni gioco in cui rientravano i numeri, che entrambi amavano, che ogni volta in cui la risposta fosse stata zero, sarebbe dovuta essere sostituita da Uno. Soltanto uno. Perché c’è sempre un’eccezione. La sfaccettata e solida realtà deve avere almeno un lato positivo, o sarebbe piatta.
Il pessimismo di Zalcen arrivava a un livello in cui poteva andare così male che persino nella peggiore delle sue stime sarebbe variato qualcosa dalle sue previsioni. Perché alla fin fine era quella la sua più grande paura – che la realtà non rispecchiasse il modo in cui l’aveva progettata.
Ma questa volta quello zero non pronunciato aveva un significato ben diverso, e molto più amaro. Avevano fatto tutta quella strada per niente. E Ikaon lo sapeva sicuramente, ma aveva voluto comunque tentare. O semplicemente non aveva voluto arrendersi. Era dal capo che dipendeva la dignità del clan, e come questo sarebbe stato ricordato.
I clan dell’ovest erano visti come i traditori, ma che cosa avrebbero dovuto fare? Erano stati influenzati da Vyde quando ancora l’esercito creato dal Lord non veniva concepito come una minaccia. Molti clan della zona del Lago Rosso non si erano accorti di ciò che stava accadendo, e pensavano fosse più vantaggioso per tutti unirsi ad un unico grande clan chiamato Ideev.
Zalcen prese la sua voce tremante come la conferma che Aera aveva compreso le sue parole.
Come gli dispiaceva vederla in quel modo, sull’orlo del pianto, come a sentirsi in colpa per non riuscire a impedirsi di sperare. Quante volte l’aveva vista in quello stato? Mai. Mai si erano ritrovati in una situazione come quella.
Forse, al tempo in cui Ikaon aveva dato la notizia che gli Ideev li avevano accerchiati, l’espressione dipinta sul volto di Aera si era avvicinata a quella che Zalcen vedeva adesso, ma non c’era tanta disperazione quando i loro sguardi si erano incontrati in quella prima occasione, come a decidere se credere a quelle parole taglienti o continuare nella morbidezza dell’illusione.
Oh, quanto erano lontani i giorni felici, nei quali gli occhi azzurri e vivi di Aera riflettevano il colore del mare, e loro – tutti loro – erano felici! Quanto avrebbe dovuto aspettare per vederla sorridere di nuovo? L’avrebbe mai più vista sorridere? E allora, quando era stata l’ultima volta? Il momento preciso in cui la felicità l’aveva costretta a sfoderare quel suo sorriso, imperfetto e contagioso? Quando si era spento per sempre?
Quanto tempo rimaneva a Zalcen e Aera da passare insieme?
Uno. Soltanto uno, pensò di nuovo. E la abbracciò, nascondendo il viso tra i lunghi capelli ricci e morbidi della giovane che chiamava sorella.
Solo dopo alcuni minuti passati a combattere contro le lacrime continuò a spiegare: «È stato il calcolo che hanno fatto tutti i clan della Valle Verde, compresi quelli più numerosi di noi. Non c’è speranza.»
Quelle ultime parole ferirono profondamente Aera. Le era stato ripetuto fin da quando era piccola che la speranza c’è sempre; ora Zalcen la stava mettendo di fronte alla realtà dei fatti. Quell’uno. Soltanto uno, era uno zero. Aveva ragione. E faceva male. «Se vogliamo riportare la libertà nella Valle Verde e ridarle la sua dignità, dobbiamo lasciarcela alle spalle per qualche tempo, e sperare di convincere più Ideev possibili a ribellarsi. E se è vero che Vyde ha già preso le misure per i traditori, di sicuro chi ha avuto un’idea come la nostra non vivrà fino alla fine di questa battaglia, se non è già stato eliminato. Qualsiasi cosa facciamo, non sopravvivremo fino alla fine. Possiamo soltanto contribuire, e sperare che gli altri abbiano abbastanza coraggio e dignità da fare lo stesso.»
Anche se la loro idea avesse funzionato e Vyde fosse stato sconfitto, chi era stato il primo a ribellarsi non sarebbe mai stato nemmeno ricordato. Sarebbero passati alla storia quelli che avrebbero fermato definitivamente il potente Vyde, se mai fossero esistiti.
Ci si poteva solo fidare del prossimo e sperare.
Già, sperare... Che bella parola, pensò Aera, È così misero il valore di una speranza, in un mondo così ingiusto. Eppure, quando non si ha nient’altro, quello della speranza appare come un mondo intero, dove tutto è possibile...
Con il volto rigato dalle lacrime, Aera e Zalcen si voltarono a guardarsi, come se fosse la prima volta dopo tanto tempo, o l’ultima in assoluto, e insieme assaporarono i primi raggi di sole di quella nuova giornata, così vuota, così piena di speranza.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo Tre ***


Capitolo Tre

Il clan si rimise in viaggio prima del previsto, tentando di sfuggire agli Ideev, ma ormai erano tutti allo stremo delle forze. Gli alberi, sempre più fitti man mano che il gruppo si inoltrava nel Bosco delle Frecce, riducevano tremendamente la visuale, e i membri di Knej continuavano, con la sensazione di essere seguiti da vicino.
Ma allora perché gli Ideev aspettavano ad attaccare? Forse stavano solo giocando con loro, sogghignando nel vederli marciare verso la loro trappola, verso la morte. Forse era un traditore a dirigere il clan, ignaro, e tutti avrebbero incolpato Ikaon della sua ingenuità. Ma che colpa ne poteva avere? Che colpa è, essere fedeli?
A chiudere la fila stavano i bambini e i ragazzi – i più veloci a correre nel caso un pericolo si fosse trovato di fronte al corteo, e i più attenti osservatori, con la vista migliore, l’udito migliore, e la voce più squillante.
La disposizione era stata ideata da Ikaon, ma a poco sarebbe servita, pensavano i membri del clan. Gli Ideev li avevano ormai circondati, e tutto ciò che rimaneva da fare era rinchiuderli in quel cerchio, soffocarli in quell’edera. Ogni passo che li avvicinava alla luminosa speranza di una salvezza, sapevano, li avrebbe solo feriti più nel profondo quando quella luce sarebbe stata spenta, per mano degli Ideev.
Aera, Zalcen e Aniène procedevano a passo lento, nel terrore di fare rumore e di lasciarsi sfuggire un fruscio diverso da quello del vento. Zalcen, in particolare, era in uno stato di ansia che tentava in ogni modo di nascondere. E se si fosse lasciato sfuggire un suono, il sibilo fatale di una freccia che gli avrebbe portato via Aniène e Aera? E se per la paura non fosse riuscito a parlare, a urlare, a dare l’allarme? Allora sarebbe stata colpa sua. Avrebbe fallito a difendere se stesso, a difendere i suoi amici, a difendere il clan.
Diede un altro sguardo ad Aniène, che faticava sempre più a tenere il passo, e che li avrebbe condannati a rimanere indietro, se non avesse accelerato. O se gli altri non avessero rallentato.
No, era un pensiero egoista. Compromettere la speranza di tutti per salvare una bambina che sarebbe morta di fame entro qualche giorno? Non gli avrebbero mai dato ascolto, eppure lui volle provare.
Il vento soffiò, agitando le chiome degli alberi.
«Ikaon!» urlò Zalcen, dal fondo della fila, «Ikaon, dobbiamo rallentare!»
«Non possiamo assolutamente fermarci ora. Avanti, tenete duro, siamo quasi arrivati.»
Ovviamente era una bugia, ma il capo del clan aveva intuito il motivo della richiesta del ragazzo.
Zalcen prese in braccio Aniène.
«Hai sentito che cosa ha detto Ikaon? Forza, ci siamo quasi.»
Così anche lui fu costretto a rallentare, ma non era la bambina a pesare; era qualcosa dentro di lui. Stancarsi portando Aniène era ciò che avrebbe portato alla peggiore delle conclusioni – non farcela. Se si fosse affaticato troppo, non avrebbe avuto la forza di correre, quando gli sarebbe servito darsela a gambe per salvarsi la vita, e gli arcieri Ideev non avrebbero avuto difficoltà a colpirlo. Ma aveva ancora la sua dignità, e Aniène era sua amica; lasciarla camminare da sola sarebbe stato un gesto di estremo egoismo.
Però la parte più profonda di lui gli ripeteva che la bambina non ce l’avrebbe fatta comunque, quindi tanto valeva lasciarla stare.
Era il suo cuore ad impedirgli di farlo, perché se anche quella voce, quell’istinto, aveva ragione, ciò significava che era l’ultima occasione di Zalcen per stare accanto alla sua amica.
Negli ultimi giorni le condizioni di Aniène erano peggiorate notevolmente: la povera bambina non mangiava nemmeno quel poco che c’era, era bianca come la neve, e non riusciva più a stare al passo. Le sue povere gambe sembravano ramoscelli secchi, sul punto di spezzarsi. Era fredda, gli occhi spenti eppure luccicanti come due stelle lontane.
«Riposati un po’, ora. Così, quando sarà il momento, riuscirai a correre più veloce di tutti.» le consigliò Zalcen, poi le baciò la guancia e si voltò verso Aera, come per scusarsi dell’ennesima bugia che era stato costretto a raccontare alla piccola.
La ragazza si sentì sul punto di scoppiare in lacrime, ma non poteva piangere, o anche Zalcen avrebbe ceduto, e di conseguenza Aniène. Si limitò ad annuire e distolse lo sguardo.
Aera aveva paura di non essere più in grado di guardare quei volti: era come se se ne fossero già andati, e il loro ricordo le provocava dolore.
Invece continuava a ripetersi che doveva guardarli, o i ricordi dei momenti passati insieme sarebbero stati sfocati e lontani, nella sua memoria.
Allungò il passo e li raggiunse.
 
La foresta si faceva sempre più fitta, e costringeva Knej a rallentare; persino Neal, il più ottimista del gruppo, sapeva che sarebbe finita, probabilmente quel giorno stesso.
Neal era il più legato al capo del clan, tra tutti gli uomini: aveva poco meno di trent’anni, ed era maestro nell’arte del pugnale. Aveva capelli neri e lunghi fino alle spalle, sopracciglia folte e occhi di un inspiegabile verde smeraldo, che attiravano l’attenzione di chi ricambiasse il suo sguardo. Sempre, un sorriso gli illuminava il volto, anche ora, mentre tentava di risollevare il morale ma, forse per la prima volta, falliva.
«Sì, magari non ce la faremo, ma quei dannati Ideev si ricorderanno per sempre quanto sono stati duri da sconfiggere, quelli del clan Knej, giusto?»
Di norma sarebbe stato seguito da cori di approvazione, invece questa volta si sentì solo qualcuno ragionare, a bassa voce: «Quindi quando ci avranno sconfitti ne usciranno ancora più forti di prima...»
Neal improvvisò la sua migliore espressione di stupore, anche se aveva valutato quella possibilità. «Ma che state dicendo? Nessuno di noi si unirà agli Ideev, vero?» volle accertarsi.
La domanda di Neal, alla quale la risposta appariva scontata, per lui, fece invece scattare qualcosa nei pensieri dei membri del clan: unirsi agli Ideev era l’unico modo per sopravvivere. Lo sapevano, ma non ci avevano mai pensato davvero. Ora che stavano sfiorando la Morte desideravano restare in contatto con la Vita, e nelle loro menti sembrava molto più sensato schierarsi dalla parte di Vyde.
Ikaon rivolse al suo clan un ultimo pensiero, altruista e comprensivo come era sempre stato. Non impose il suo punto di vista come l’unica via che fosse stato lecito percorrere, semplicemente espresse la sua preferenza. Non voleva spingere il suo clan a seguirlo senza obiezioni; voleva che la sua famiglia pensasse, e trovasse una risposta, scegliesse la propria strada.
«Io sono il capo del clan Knej, e morirò come tale. Non lo abbandonerò, a prescindere dalla scelta che ognuno di voi compirà.» esordì, «Non posso impedirvi di riflettere sui vostri valori, posso solo tentare di persuadervi a restare fedeli al clan. Non ci sono scappatoie, e prima o poi moriremo, tutti quanti. Ci sarà chi morirà oggi, come membro del clan Knej, e chi morirà tra anni, forse, come Ideev. Ma ricordate che ci sono anche Ideev che moriranno oggi, e domani, e il giorno dopo... L’unica differenza è che chi morirà oggi lo farà insieme a me, alla sua dignità e al suo onore. Un Ideev morirà con il peso del denaro, dei morti, e del senso di colpa per aver abbandonato i propri valori e i propri compagni. Ma non temete. Nulla di tutto questo avrà conseguenze, nell’aldilà.»
Non aspettò una risposta o una domanda da nessuno dei membri del clan. Tornò a dirigere il gruppo, e Neal si affrettò a seguirlo.
 
«Parlami sinceramente, tu che sei esperto,» cominciò il primo Ideev, «Secondo te quanto tempo ci vorrà perché li eliminiamo tutti quanti?»
«Se i traditori all’interno fanno quello che devono fare e conducono il gruppo nella direzione stabilita, dovrebbero essere in tre o quattro a raggiungere il punto in cui ci troviamo.» rispose lui.
«Tre o quattro, dici? Sicuro, giovanotto?» chiese il secondo, scettico.
«Considerando che noi siamo circa una ventina, in tutto, direi che alla fine di questa giornata non se ne dovrebbe salvare più di uno.»
«Uno? E saresti pronto a scommettere che ce ne lasceremo sfuggire proprio uno solo?» domandò di nuovo il primo.
«Uno.» ripeté il ragazzo, sicuro di sé come era sempre stato. «Soltanto uno.»
 
Aniène si lamentò per il freddo, e Zalcen le rispose che era naturale, dato che stava calando la sera e, avvicinandosi alle Montagne, stavano salendo di quota.
«Posso scendere?» domandò la bambina, «Magari, se cammino, mi scaldo un po’.»
Il ragazzo non era del tutto d’accordo, perché Aniène che camminava avrebbe significato rallentare, staccarsi dal gruppo, e diventare un facile bersaglio per gli Ideev, ma era stanco di portare in braccio la piccola, e lo era anche Aera; i due avevano fatto a turno per tutto il viaggio, e non avevano aperto bocca.
Una volta a terra, Aniène vacillò, e per poco non cadde nel dirupo che costeggiava il sentiero.
«Attenta!» si preoccupò Aera, ma un secondo dopo la bambina stava marciando a passo svelto verso il resto del gruppo.
«Secondo te, quanto andrà lontano, quando gli Ideev ci raggiungeranno?» chiese Zalcen ad Aera.
Era una domanda che aveva in gola dal momento in cui aveva preso in braccio Aniène la prima volta, ma non aveva potuto chiedere, con la bambina tra le braccia.
«Forse riuscirà a nascondersi da qualche parte, tra i cespugli, e...» ipotizzò la ragazza.
«Insomma, basta con questa farsa.» la interruppe Zalcen, «Non ti sto chiedendo un parere da Aera, l’amica di Aniène. Ti sto chiedendo un parere da Aera, la ragazza razionale, con i piedi per terra, che ho sempre conosciuto, che ho sempre...» Lasciò in sospeso la frase. Nemmeno quando ormai era chiaro che non ci fossero altre occasioni di rivelarle ciò che provava riusciva a trovare il coraggio di pronunciare quelle parole.
Ma no, non era mancanza di coraggio; era coraggio puro. Era solo un altro modo per proteggerla dal dolore; se Zalcen fosse morto come un suo caro amico, forse Aera si sarebbe ripresa, ma se a morire fosse stato un ragazzo che la amava, sarebbe stato un colpo molto più duro, per lei.
«Temo che sarà tra i primi ad essere eliminati, insieme agli altri bambini.» rispose allora Aera, obbediente. «Il gruppo fuggirà, e lei rimarrà indietro. È inevitabile.»
Zalcen voleva sentirsi dire proprio questo, tuttavia, ancora non riusciva ad accettarlo.
«No, non può andare così! Dobbiamo fare qualcosa, sia per farle fare soltanto un paio di passi in più.»
«Intendi dire che dovremmo perdere tempo e rischiare di farci colpire a nostra volta, oltre a spaventarla ancora di più? L’unica grazia che può ricevere quella bambina, ora, è che la sua morte sia veloce.» ribatté Aera. Una lacrima le rigò il viso.
«Sei egoista!» la accusò il ragazzo.
«No, tu sei egoista, Zalcen! Perché anche se tu non dai valore alla tua vita, dovresti sapere che io preferirei averti accanto, sempre!»
«Ma è nostra amica! Non eri tu quella che ci teneva alla dignità?»
«Non è questione di dignità, l’hai detto tu stesso! Uno, soltanto uno del clan ce la farà, quindi...» Fu incapace di trattenere il pianto, «Quindi è molto più probabile che sia un ragazzo giovane e veloce a sopravvivere. Zalcen, devi correre, veloce come il vento, e devi salvarti!»
L’avrebbe voluta abbracciare, come avrebbe voluto!, ma stavano rimanendo indietro, quindi si limitò a rispondere: «Certo che correrò, ma se davvero ce la facessi io, non riuscirei a continuare sapendo che per vivere ho dovuto lasciare che i miei amici più cari venissero uccisi. Aera, se succedesse qualcosa a te o ad Aniène, se per sbaglio doveste inciampare, io tornerei indietro anche a costo di morire. Non potrei sopportarlo.»
Ora stavano piangendo tutti e due, ed erano abbracciati – non era riuscito a resistere – consapevoli di essere facili bersagli.
Zalcen aveva ragione: se Aera avesse lasciato indietro lui o Aniène, anche se fosse sopravvissuta, si sarebbe portata dietro una colpa troppo grande. Sarebbe stato come se li avesse uccisi lei stessa, e questo le avrebbe provocato un dolore insopportabile.
E ciò che più avrebbe reso tale quel dolore era che si sarebbe potuto evitare, se solo lei avesse tenuto fede alle sue promesse. Perché sono proprio i dolori evitabili quelli che colpiscono più a fondo nel cuore.
 
Il clan Knej era probabilmente l’ultimo rimasto di quello che per Vyde era ormai diventato un gioco a eliminazione – e se non era l’ultimo, era il più forte. Non era il clan che si trovava più a est, e questo non lo avvantaggiava affatto. Infatti, il clan Lokeef, che controllava la zona delle Montagne, era già stato fermato.
Il clan Knej si trovava quindi accerchiato, senza nemmeno la speranza di tornare a sud, nella zona costiera – era completamente sotto il controllo di Vyde.
Zalcen e Aera si erano riavvicinati al gruppo, quando ad un tratto si sentirono delle imprecazioni provenienti dai primi della fila.
«È un vicolo cieco!» si sentì urlare.
Il sentiero terminava in un burrone, e l’unica cosa che si poteva fare, a quel punto, era tornare indietro.
Era una voragine senza fondo, che sfumava nella nebbia, separandoli chissà se dal mare, dalla roccia, o dal vuoto. Le pareti erano sorprendentemente umide, e cresceva del muschio nelle fessure.
Era come se una parte della Valle Verde fosse precipitata in quella nebbia, forse sprofondando nel mare, oppure fosse stata rimossa dall’alto per mano degli Dei, dividendo il regno dalle Montagne, dall’Oriente, dalla salvezza.
Erano stati costretti a fermarsi, a ripercorrere i loro passi, da quel vuoto. Nulla, il nulla, impediva loro di continuare a fuggire. Era ironico, ma nemmeno Neal trovò modo di prenderla con spirito.
Ad un tratto, si sentì il fruscio delle foglie dei cespugli e degli alberi attorno a loro, ma non era causato dal vento.
Ikaon si rese conto di ciò che stava per accadere. Non c’era tempo per salutarsi, prepararsi a combattere, nemmeno per arrendersi. Era troppo tardi. Era sempre stato troppo tardi, e ora ne avevano la prova.
«Aera, Zalcen, correte!» urlò Ikaon.
I ragazzi presero Aniène per mano e corsero più veloci che poterono, stando attenti a non cadere e non inciampare nelle radici degli alberi. Il fogliame rendeva invisibili gli Ideev al piccolo clan, ma non nascondeva loro ai nemici.
Alcune frecce erano state scoccate dagli arcieri Ideev, e un membro del clan era già stato colpito. L’urlo che quell’uomo lanciò rimase per sempre impresso nella memoria di Zalcen e di Aera.
I tre si immobilizzarono quando dal fogliame fecero la loro comparsa le figure di tre Ideev, tutti incappucciati e armati di arco. Uno di loro incoccò una freccia per primo, e si avvicinò di quel poco che bastava per ottenere la massima precisione. Puntò, spietato, in direzione di Aniène.
Zalcen spinse bruscamente lei e Aera contro la parete del versante della collina, lasciando passare il grosso del clan. Neal e Ikaon si erano fatti avanti, e ora aprivano la fila di nuovo. Neal sembrava danzare con il suo pugnale, e i suoi fendenti, anche se non sempre andarono a segno, furono abbastanza per allontanare i tre Ideev, che scomparvero nella foresta, verso valle. Solo uno di loro era ferito. Sarebbero tornati.
Zalcen aprì la fila, seguito da Aniène e in fine da Aera, mentre costeggiava la parete del sentiero, facendosi strada fra rocce e radici, rimanendo abbassato, e dando un’occhiata di tanto in tanto da sopra la spalla per controllare che le altre due lo stessero seguendo.
Il cuore di Aera batteva all’impazzata; era spaventata e triste, perché il momento che avevano previsto e che si ripeteva nei suoi incubi peggiori era arrivato davvero, ma ora che stava succedendo era così reale che il disastroso finale che avevano predetto era inaccettabile.
Il sentiero si allargò, e i tre si ritrovarono di nuovo in testa al lungo corteo del clan Knej. Ricominciarono a correre, sperando che i loro respiri affannosi non li rendessero sordi all’imminente comparsa degli Ideev, che sarebbero sbucati di nuovo dalla boscaglia.
Zalcen si sforzava di trascinare Aniène, e per un paio di volte la alzò da terra, ma non la lasciò mai andare.
Il gruppo correva più velocemente di loro. Zalcen fu rapido nel trovare un altro minuscolo nascondiglio, sotto la radice di un vecchio e secco albero di Wass, presso un bivio con un ripido sentiero che si dirigeva verso nord, ma questa volta lo indicò alle altre due con più gentilezza, spingendole appena. Il resto del clan li superò, ma non andò a nord. Ripercorse i suoi passi.
Zalcen, Aera e Aniène, invece, attesero nell’ombra per pochi secondi, in modo che la maggior parte degli Ideev seguisse gli altri.
Era ingiusto, nei confronti di Ikaon e gli altri, per tutto quello che avevano fatto, specialmente per Aera che se non fosse stato per loro sarebbe diventata un’orfana che vagava per i boschi. Ma andava fatto, per salvarsi. Ora la loro dignità era tagliata in due, e la ragazza era di nuovo orfana.
Da un momento all’altro sarebbe finita, per il gruppo che era tornato sul sentiero; era giunta l’ora di Ikaon.
«Perché fai questo?» lo si sentì domandare, evidentemente a uno dei traditori che – si era sempre saputo – si erano infiltrati nel clan.
Non venne udita alcuna risposta, né si sentì di nuovo la voce del capo del clan.
«A nord!» la bambina ricordò ai due ragazzi la promessa fatta, e indicò la direzione nella quale avevano concordato che sarebbero scappati.
Prese il ripido sentiero e corse su per la salita il più veloce che le sue fragili gambe le consentirono, aiutandosi con le mani, attaccandosi alle radici e ai rami più bassi degli alberi di Wass, che si diradavano, in quella zona del bosco. Significava che l’uscita dalla foresta era abbastanza vicina. Ma una volta in uno spazio aperto, un prato, che cosa avrebbe impedito agli Ideev di localizzare i tre superstiti ed eliminarli senza sforzo? Un miracolo non sarebbe stato sufficiente.
Zalcen e Aera seguirono la bambina, ma in poco tempo la superarono, e alla fine furono ancora loro due ad aiutarla. Decisero di deviare per orientarsi leggermente più a est, sia per rendere meno faticosa la salita, sia perché sapevano che l’est era la direzione che avrebbero dovuto prendere, alla fine.
Si udirono altre grida, di battaglia e di dolore, il tutto sovrastato dallo stridere delle lame e dal sibilo delle frecce. Il tutto contribuiva a creare una perfetta copertura per i passi svelti e i respiri affannosi dei tre che erano riusciti a sfuggire alla mischia, e al contempo sembrava uccidere, insieme agli uomini, quel bosco stesso, le intere Foreste di Wass, la Valle Verde, l’Oriente, e il cielo. Tutto moriva alle loro spalle, ma i tre continuavano. Smisero di correre, e presero a camminare, semplicemente, come se non fosse per la stanchezza fisica, ma perché erano stanchi di quei suoni, che ancora non smettevano.
Poi smisero. Ma ormai tutto era morto.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo Quattro ***


Capitolo Quattro

Quando raggiunsero un punto in cui il terreno era più pianeggiante – si trattava di un sentiero parallelo a quello che il clan aveva percorso – i tre si fermarono a prendere fiato, e si guardarono attorno, alla ricerca degli arcieri Ideev. Tutto quel verde li avrebbe resi completamente invisibili, visto che erano di quel colore anche le loro uniformi – semplici mantelli con cappuccio che riproducevano le sfumature tipiche delle foglie. Nel cuore del Bosco delle Frecce, dove gli alberi di Wass erano di più, il contrasto tra il verde dei loro indumenti e il colore quasi dorato delle foglie li avrebbe resi più visibili, e probabilmente era anche per questo che i mercenari avevano aspettato a colpire; perché, anche se visti, per i membri del clan sarebbe stato troppo tardi, avendo un'unica direzione in cui scappare, che era per giunta quella da cui erano arrivati.
«Dici che li abbiamo seminati, Zalcen?» chiese Aera, il respiro ancora affannoso per la lunga corsa e per la paura.
«Non credo proprio,» rispose il ragazzo, negativo, «Ci saranno alle costole in men che non si dica se non ci muoviamo immediatamente.»
Ma che senso aveva, correre ancora? Certo, dentro di sé Zalcen avrebbe voluto vivere, ma ciò che era accaduto non rispecchiava la sua previsione, e da un lato voleva anche avere ragione. Guardando dentro se stesso, tuttavia, gli veniva più facile accettare un torto, accettare tutti i torti e le colpe che poteva ricordare di aver evitato con il suo saggio uso delle parole, piuttosto che acconsentire a morire e a condannare alla morte anche Aniène e Aera.
«Ma dove dovremmo andare?» domandò la giovane, «Se seguiamo il sentiero verso est, terminerà in un burrone, come quello che abbiamo preso poco prima, e a ovest ci saranno solo altri Ideev ad attenderci.»
«Non seguiremo il sentiero.» risolse il problema Zalcen.
«Lasceremo delle tracce!» si preoccupò Aera.
«Se continuiamo verso nord, gli alberi si diraderanno, e i nostri passi non saranno più così rumorosi, perché sul terreno ci saranno meno foglie.» prese a spiegare il ragazzo, «A quel punto ci nasconderemo tra i cespugli, o da qualche parte, e aspetteremo che cali la notte e che gli Ideev se ne vadano, convinti di aver ucciso tutti i componenti del clan.»
«Ma non credi che dei cespugli siano il nascondiglio migliore proprio per gli arcieri?»
«È un rischio che dobbiamo correre, Aera.»
«No, è più sicuro seguire il sentiero verso est. Non si aspetteranno di vederci camminare verso un vicolo cieco per la seconda volta.»
«Più sicuro...» ripeté Zalcen, sorridendo per l’ironia di quell’espressione. «Non è nemmeno sicuro che arriveremo a questa notte!»
Aera lo fulminò con lo sguardo; come poteva permettersi di dire certe cose di fronte ad Aniène?
Zalcen sostenne i suoi occhi accusatori; Aniène aveva il diritto di sapere, e non poteva continuare a vivere tra quelle soffici bugie. Ma Aera non aveva tutti i torti.
«E sia, andremo a est,» acconsentì il ragazzo, «Quindi seguitemi.» decise poi.
«Come se sapessi dove stiamo andando.» ribatté Aera.
«Vuoi condurre tu il gruppo?» la invitò Zalcen.
«Non intendo questo, solo non vedo il motivo per cui tu senta il bisogno autoproclamarti capogruppo.» disse Aera, «Come dire che non ti seguiremmo, anche se avessimo scelta.»
«Sto solo cercando di mettere le cose in chiaro, perché l’ultima cosa che vogliamo è che scoppino litigi tra di noi.» spiegò il ragazzo, calmo, «Quella in cui siamo è una situazione già abbastanza difficile, e abbiamo bisogno di poter contare l’uno sull’altra.»
La discussione dei due ragazzi fu interrotta dal suono di passi sulle foglie secche, che li fece trasalire. Aniène si nascose dietro ad Aera, a cercare protezione, mentre la ragazza tentava di non tremare, fallendo. Voltandosi, notò che Zalcen aveva sfoderato il pugnale, mai usato, pronto a difendersi contro qualunque aggressore, anche a costo della vita, che era ciò che avrebbe preferito perdere, potendo scegliere tra essa, Aera e Aniène.
Aera fu svelta nel copiarlo e, pugnale alla mano, lo seguì lentamente mentre il ragazzo si avvicinava furtivo alla fonte del rumore. Chiunque fosse, non si trovava sul sentiero. Forse erano degli Ideev in agguato, e il fatto che non li avessero ancora attaccati poteva significare due cose: o non riuscivano a vederli, dal luogo in cui erano appostati, oppure la loro attenzione era focalizzata su qualcosa d’altro.
Era proprio in quest’ultima possibilità che i due ragazzi riponevano le loro speranze. Che almeno fossero Ideev abbastanza distratti, abbastanza impegnati in altre faccende, che un colpo, inflitto da mani incerte e tremanti alla schiena, bastasse a fermarli.
Si sentì un altro fruscio, poco più a monte di dove lo avevano udito in precedenza. Aera e Zalcen si scambiarono uno sguardo, come a decidere sul da farsi, ma la realtà era che nessuno dei due ne aveva idea.
Il ragazzo allora procedette, seppur titubante. Il suo pugnale rifletté la luce del sole che già si nascondeva tra le nuvole ad ovest, rivelando la scritta sulla lama: Souro hyor Zalcen tentou, in lingua Antica. Veloce come il vento.
E proprio veloce come il vento che era il suo nome, Zalcen si fiondò sul cespuglio dal quale aveva dedotto che provenisse il rumore, solo per ritrovarsi di fronte non a un Ideev ma a una volpe, che dapprima sembrò scappare, alla vista dell’arma nella mano del ragazzo, ma poi ringhiò. Zalcen indietreggiò, insicuro, notando che tuttavia l’animale l’aveva ormai puntato e identificato come ostile.
D’istinto si sarebbe gettato sulla volpe sperando che un colpo fosse abbastanza per ucciderla, ma la realtà era che non voleva fare del male alla povera bestia. Avrebbe esitato molto meno se davvero si fosse trovato di fronte a un Ideev, probabilmente.
Fu allora che Aera intervenne, rinfoderando il suo pugnale, semplicemente avvicinandosi alla volpe, che distolse l’attenzione da Zalcen per concentrarsi su di lei, sentendosi accerchiata e vulnerabile, ma non c’era ombra di aggressività nella figura di Aera, così le si avvicinò di quanto bastava perché Zalcen potesse allontanarsi inosservato, e raggiungere Aniène.
La ragazza provò una strana sensazione; non che avesse mai provato a entrare in contatto con gli animali selvatici delle Foreste di Wass, ma credeva che non fosse una cosa semplice o da tutti, e che l’evento di un incontro con quella giovane volpe innocua avesse come un secondo significato, simile a quello di un sogno premonitore.
Tuttavia, non diede peso a questi suoi pensieri – quale errore! – e anche lei ripercorse i suoi passi, ricongiungendosi con Zalcen e Aniène, mentre la volpe scomparve di nuovo tra i cespugli, in silenzio.
***
Più volte, durante il cammino, si udì il fruscio delle foglie, e ogni volta i ragazzi trasalivano, temendo il peggio, ma Zalcen identificava quasi subito il rumore come quello prodotto dalle zampe di qualche animale predatore. E, per quanto fosse ironico, questo li tranquillizzava.
Stava calando la sera, e fu allora che il giovane ebbe un lampo di genio: gli animali vivono in tane, spesso grotte naturali, e in quella zona della Valle Verde, tanto vicina alle Montagne, le insenature sicuramente non mancavano.
«Ehi,» prese in braccio Aniène, che era ancora spaventata, a causa del rumore, «Tranquilla, piccola, so dove andare.»
«Ma Aera ha ragione...» si lamentò la piccola, pensando che Zalcen si riferisse a quella sua idea campata in aria di poco prima. In effetti non aveva escogitato un vero e proprio piano di fuga, sia perché non conosceva abbastanza bene quelle foreste, sia perché non credeva possibile riuscire a sopravvivere agli Ideev per così tanto tempo.
«No, Aniène, non preoccuparti,» ripeté, «Non avere paura. So davvero che cosa fare, e ho bisogno del tuo aiuto.»
Il ragazzo si abbassò, e fece salire la bambina sulle sue spalle. Aniène si divertiva sempre, quando Zalcen la portava in giro in quel modo. Durante il viaggio dall’accampamento base del clan al Bosco delle Frecce, Zalcen aveva evitato di farlo, perché temeva che una figura troppo alta sarebbe stata troppo ben visibile dagli Ideev, e anche perché gli alberi di Wass, così bassi, avevano rami che avrebbero rischiato di ferire la bambina. Aniène gli aveva chiesto molte volte di farle il favore di portarla sulle spalle, ma Zalcen si era sempre opposto, promettendole che l’avrebbe fatto di nuovo quando sarebbero arrivati.
Le serie di bugie che erano state raccontate alla piccola, ora la riempivano di gioia, perché Zalcen che la portava in spalla era la conseguenza logica, nella sua mente, di ciò che aveva detto Ikaon quel giorno, ossia che erano quasi arrivati.
Aniène sorrise e ridacchiò, e si trattenne dall’urlare la sua gioia solo quando Aera ricordò a Zalcen che avrebbero dovuto fare in fretta, e che qualunque fosse la sua idea doveva metterla in atto al più presto. Le piaceva così tanto, guardare il mondo dall’alto, e soprattutto avere la possibilità di giocherellare con la coda bassa in cui erano raccolti i capelli di Zalcen.
«E quante volte devo dirti di non toccare il nastro!» la riprese il ragazzo, sottovoce.
La bambina rise.
«Avanti, dimmi se vedi qualche grotta, un buco nella roccia dove possiamo nasconderci.»
Aniène rifletté, aguzzò la vista, poi puntò il dito, in direzione ovest. Dietro una curva si trovava una piccola insenatura. Non era un granché, ma lì sarebbero risultati invisibili agli Ideev. E il fatto che solo da quell’altezza Aniène avesse notato la grotta ne era la conferma.
Si incamminarono, a passo svelto.
Aera si rendeva conto, con un’ansia crescente, che quelle foglie sul sentiero erano da un lato la copertura perfetta per le loro tracce, ma dall’altro il peggior modo per rendersi conto della presenza di chiunque altro nella foresta. Udiva solo il rumore dei propri passi e quelli di Zalcen. E se gli Ideev fossero stati dietro l’angolo? Oppure proprio in quella grotta?
 
Era un’insenatura troppo poco profonda per potervi passare la notte, ma sarebbe stato un ottimo rifugio temporaneo.
«Aniène, tu e Aera aspettate qui, va bene?» chiese Zalcen, facendo scendere la bambina.
«Sì!» rispose lei, obbediente, sedendosi accanto ad Aera.
«No!» si oppose invece la ragazza, preoccupata. «Che cosa hai intenzione di fare, ora?»
«I combattimenti, a valle, saranno cessati, ormai.» Il giovane si accovacciò, e la guardò negli occhi, «Potrei recuperare delle armi, o delle uniformi.»
«Ma sei impazzito? Certo che saranno cessati i combattimenti, ma è altrettanto sicuro che siano stati gli Ideev ad avere la meglio, quindi saranno ancora in quella zona, e staranno setacciando tutto il Bosco delle Frecce. Dobbiamo aspettare, prima di fare qualsiasi altra cosa.»
«So bene che è più probabile che gli Ideev siano laggiù che qui intorno, in questo preciso momento, ed è proprio per questo che voglio andare e fare il possibile per aiutarvi.» ribatté Zalcen, «Da solo.» aggiunse poi.
Queste ultime sue parole furono come una ventata d’aria fredda, invernale, che minacciò di congelare il cuore di Aera. «In altre parole, vuoi abbandonarci.» Formulò quella frase nonostante la sua voce fosse stata più volte sul punto di spezzarsi e lasciare spazio a una cascata di lacrime.
«No, Aera, io sto solo cercando di fare il possibile per aiutarti, per dimostrarti che...»
«Tu vuoi morire!» lo interruppe la ragazza, privandolo ancora una volta dell’occasione di rivelarle i suoi sentimenti. «E pensi che questo mi aiuterebbe? Non saprei nemmeno da dove iniziare per accendere un fuoco. E come potrei badare ad Aniène? Evitare che si faccia male? Evitare di compromettere tutto e di rendere vani i tuoi sforzi?»
Zalcen le venne più vicino, e le asciugò quella lacrima che, ostinata, aveva combattuto ed era scivolata giù dalla sua guancia.
«Zalcen,» lo chiamò, come a pregarlo di restare ancora, solo qualche momento, accanto a lei, «Che cosa pensi che sarei in grado di fare, se tu non fossi con me?»
Ancora una volta, per Zalcen fu impossibile resistere a quell’istinto che gli gridava all’orecchio di stringere quella ragazza a sé. E mentre l’istinto gli parlava, una mano fredda si era posata sulla sua spalla. Fu solo una sensazione, ma quella era la Morte. Pregò con tutto se stesso che Aera e Aniène non avessero provato quello stesso brivido.
 
Aera e Zalcen lasciarono Aniène al riparo della piccola grotta, e ripercorsero i loro passi, andando, come avvoltoi, alla ricerca di cadaveri.
Con grande sorpresa, non dovettero faticare molto. C’era un Ideev a terra, sul sentiero che avevano percorso poco prima sotto l’indicazione di Aniène.
«Non è strano?» si chiese Aera, «Lo scontro con il clan non è stato qui.»
«Deve essere stato colpito da uno dei nostri arcieri.» ipotizzò il ragazzo.
«Ma, in quel caso, il suo corpo sarebbe riverso sul terreno. Questo Ideev è caduto in avanti. Qualcuno l’ha colpito alla schiena, o alla testa.» ribatté la giovane, sempre meno convinta. «E non ha nemmeno usato un’arma come una spada, un pugnale, arco e frecce. Non c’è una goccia di sangue. Forse un bastone?»
«Be’, anche tra gli Ideev ci sono dei traditori.» concluse Zalcen, abbassandosi a sciogliere il nodo del mantello dell’uomo. «E sarà su quelli come loro che dovremo fare affidamento, per sopravvivere.»
Il corpo dell’Ideev non riportava alcuna ferita. Non un livido o segni di strangolamento. Nulla. Forse era solo svenuto? Ma se non si trattava di traditori, allora perché i suoi compagni l’avevano lasciato indietro? Era anche vero che i lunghi capelli biondi e lisci, tipici della zona settentrionale della quale l’uomo doveva essere originario, nascondevano il viso e parte del collo.
Ora Aera sarebbe potuta tornare nella grotta e aspettare insieme ad Aniène il ritorno di Zalcen, che sarebbe stato relativamente al sicuro, grazie a quel mantello. Il ragazzo lo indossò, sistemando il cappuccio e i capelli.
«È un po’ sbrindellato.» notò Aera, indicando il braccio destro del ragazzo, dove il tessuto era sfilacciato nella parte terminale.
«Si sarà strappato, a forza di correre per questi boschi.» ipotizzò Zalcen, alzando le spalle, «Tanto meglio, così sembrerò davvero un Ideev. Cerchiamo di recuperare dell’equipaggiamento anche per te, ora.» decise, e si incamminò lungo il sentiero.
Aera fece per seguirlo, ma accadde il prevedibile imprevisto: il morto, che non era altro che un diversivo, una trappola tesa dagli altri Ideev, si alzò e chiamò i suoi compagni.
Si udì un rumore di passi in corsa sulle foglie secche, crescente, sempre più vicino.
Aera e Zalcen capirono di non aver altra scelta se non quella di correre verso la grotta. Ancora una volta, quel giorno, fuggivano aggrappati a una sottile speranza, per vedere il domani, che più che una promessa appariva come una minaccia.
Raggiunsero Aniène con un discreto distacco dagli Ideev. Si strinsero tutti e tre contro la fredda parete di roccia e rimasero rintanati nell’ombra.
«Non fiatate!» ordinò Zalcen.
Un gruppo di Ideev, correndo, li superò e continuò a correre lungo il sentiero che si inoltrava nel Bosco delle Frecce.
«Siamo vivi,» cercò di trovare un lato positivo in ciò che era appena successo, «Per poco, ma siamo ancora vivi. Avanti, andiamocene di qui.»
 
Ripresero la loro corsa verso nord; Aera apriva la fila, teneva per mano Aniène, e Zalcen era al loro seguito. Forse qualche Ideev avrebbe creduto che si trattasse di un inseguimento e avrebbe lasciato perdere.
Ma chiunque li stesse osservando in quel momento aveva altri piani.
Una freccia si conficcò nella corteccia di un giovane albero alla destra di Aera – era l’inizio della fine.
I tre corsero a rotta di collo su per una salita erbosa, che li fece rallentare notevolmente, e che era fuori dalla portata di Aniène. Venne colpita da una freccia, ma Zalcen e Aera non avevano né il tempo né il coraggio di voltarsi. Sentirono solo un lieve gemito, simile a un pianto, che forse, in qualche modo, diede loro la spinta per correre ancora più veloci.
La bambina era ferma a terra – non ce l’aveva fatta.
Tutte quelle promesse non valevano più nulla; ora ciò che era più importante per entrambi era la Vita, e avrebbero corso a perdifiato, avrebbero dato quasi qualsiasi cosa, pur di tenersela stretta.
Vennero scoccate altre frecce in direzione dei due ragazzi. Una passò tra le loro teste, così vicina a Zalcen che il giovane si sentì graffiare la guancia dalle penne della coda.
Il ragazzo volle credere che si trattasse di Aniène. Era stata lei a deviare quella freccia, era diventata il suo angelo custode.
Aera e Zalcen si infiltrarono in una boscaglia ancora più fitta. Il ritmo dei loro respiri era quasi più veloce dei battiti dei loro cuori.
I due ragazzi sentirono di doversi sforzare ancora più, di andare ancora più veloci, lasciare che i rami più piccoli e bassi degli alberi di Wass graffiassero i loro volti, che i rovi ferissero le loro gambe, ma correre. La fine sembrava così lontana, eppure era così maledettamente vicina.
Zalcen tese la mano e raggiunse quella di Aera, che non si voltò, ma capì ugualmente ciò che stava pensando l’amico, in quel momento.
Uno. Soltanto uno, aveva faticato a dire la ragazza, la notte precedente. E sarebbe stata la stessa fatica con la quale avrebbe pronunciato il suo stesso nome, da quel giorno.
Gli occhi dei due giovani si riempirono di lacrime. Era un addio senza parole e privo di sguardi.
Un’altra freccia venne scoccata, poi un’altra, e altre ancora.
La mano di Zalcen, prima stretta e forte, si fece d’un tratto leggera, e cadde. Anche Aera si lasciò cadere, a un paio di passi da una piccola grotta nella roccia, nella quale avrebbero potuto trovare riparo.
Gli arcieri Ideev la lasciarono sola, forse credendola morta, forse non curandosi di aver lasciato una ragazzina indifesa nelle Foreste di Wass.
Aera rimase immobile, singhiozzante, finché l’aria non si fece più fredda e sorse la luna.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo Cinque ***


Capitolo Cinque

Knej non esisteva più.
Uno. Soltanto uno, riecheggiava nella mente di Aera, un ritornello fastidioso, grave, che la faceva sentire colpevole, sbagliata, e sola. Un solo membro dell’intero clan si era salvato, e Aera doveva cominciare ad accettarlo, ad andare avanti con forza, con coraggio, per tutti coloro che erano rimasti indietro.
Ma è così facile essere nobili, con le parole e con i pensieri. La povera ragazza non sentiva di avere in sé questa forza. Avrebbe avuto bisogno che Zalcen la rassicurasse, che Ikaon le facesse da esempio, fosse il modello da seguire, ma tutte quelle che erano state le sue sicurezze fino a quella mattina ora non erano altro che ricordi, che sarebbero diventati lontani e meno dolorosi solo se Aera avesse trovato la forza di andare avanti. E non la trovava.
Rimase per un poco persa in questo circolo vizioso delle sue ansie, dei suoi ricordi e delle sue speranze, poi sgusciò silenziosa fuori dalla morsa dei propri pensieri orrendi, e timidamente si mosse. Dalla posizione prona in cui era, prima si mise in ginocchio, solo per essere vittima ora di un dolore anche fisico, alla gamba sinistra, della cui causa non si curò minimamente. Poi, lentamente, si tirò in piedi, restando però china, e spaventata.
Ora che era calata la notte la ragazza avvertiva il freddo. Trovò riparo nella piccola grotta a pochi passi da lei, a pochi passi da Zalcen, che non l’avrebbe mai raggiunta. Aera rivolse ogni pensiero a lui, ogni pensiero all’amico, al fratello, così vicino a lei, alle sue spalle, dal quale si stava allontanando.
Non sarebbe mai tornata indietro. E non si voltò.
 
La piccola grotta sarebbe bastata forse come riparo dal vento, ma non dal freddo, pensò Aera. Non che avesse intenzione o che pensasse di riuscire a dormire, dopo ciò che aveva vissuto, ma quella lieve brezza insopportabile, che spirava nelle Foreste di Wass durante la primavera, era solo l’ennesimo tormento per la giovane.
Più vicine all’ingresso vi erano delle rocce bucherellate, probabilmente per effetto della pioggia; Aera si chiese da quanto tempo si trovassero in quel luogo, considerato anche il clima secco di quella zona in particolare.
Addentrandosi di un poco nella grotta, le rocce erano più lisce, ma umide, come le pareti. Non volle nemmeno pensare alle minuscole vite che avrebbe scomodato se si fosse azzardata a sollevarne una. Si accovacciò, appoggiandosi alla parete, presso una roccia situata proprio al centro della piccola grotta, come fosse un piccolo tavolo in una casa inospitale.
Fu allora che avvertì di nuovo quella fastidiosa fitta alla gamba sinistra, e si accorse di essere stata ferita al polpaccio da una freccia; la punta l’aveva semplicemente colpita di striscio, e aveva lasciato una ferita che somigliava ad un taglio provocato da un pugnale.
Non se n’era accorta, prima. Non era la gamba a farle male, anzi, della gamba proprio non gliene importava nulla; avrebbe anche accettato di vivere senza, se in cambio avesse potuto riavere Zalcen e Aniène.
Purtroppo ora tutto ciò che poteva essere usato per medicare la sua ferita si trovava al di fuori della grotta, e Aera non voleva rischiare di venire uccisa dagli Ideev; di sicuro alcuni erano ancora nei dintorni.
Si rese conto ben presto di sentirsi estremamente attaccata alla vita, nonostante non le fosse rimasto nulla se non se stessa e il dolore. Zalcen avrebbe voluto che lei andasse avanti, così avrebbe voluto Aniène, così avrebbero voluto Ikaon, Neal e ogni altro membro del clan. Era il desiderio di chiunque la conoscesse e le volesse bene, anche dei suoi genitori, che non aveva mai incontrato.
Ma non decise di continuare solo ed esclusivamente per non deludere tutti loro. Ciò che di male era accaduto alla Valle Verde negli ultimi quindici anni era accaduto a causa di Vyde: Aera non voleva andarsene senza combattere. Avrebbe giocato sporco, avrebbe mentito, tradito, ucciso, ma avrebbe fatto tutto il possibile per raggiungere Vyde.
Aveva solo un pugnale, che le aveva regalato Neal, e non l’aveva mai usato. Aera non aveva mai fatto del male a nessuno. Non in quel modo.
Oh, su, dove pensava di andare? Non aveva mai ucciso nessuno, tanto meno con un pugnale. Ma aveva visto un pugnale uccidere qualcuno.
Doveva usarlo. Vyde aveva distrutto tutto, e una parte importante aveva avuto anche il suo maggiordomo, Tavem, che, durante i primi anni in cui Vyde si era stabilito nella Valle Verde, aveva reso popolare il giovane Lord.
Già, non ci aveva mai pensato, ma quel Tavem, zitto zitto, era la causa di tutto. Se non ci fosse stato, nessuno avrebbe appoggiato Vyde. Dopotutto, il silenzio è il maggiordomo dell’ingiustizia.
Una voce nella testa le urlava di allontanare quei pensieri il prima possibile. Uccidere? Togliere la vita a un’altra persona? Era imperdonabile! Una colpa gravissima! Avrebbe dovuto trovare un altro modo, magari continuare a scappare a est, o non avrebbe potuto ritenersi innocente. Doveva proteggere la sua innocenza, dato che era una delle poche cose che le erano rimaste.
Ma non era forse più imperdonabile non tentare di fare tutto il possibile per riportare la libertà nella Valle Verde? Se avesse seguito i suoi istinti, questi l’avrebbero condotta dalla parte giusta; le decisioni prese con la fretta di solito sono sbagliate, ma in una situazione come quella in cui si ritrovava, tutto ciò che aveva da perdere era la vita, una vita vuota che non sarebbe valsa di più se lei fosse scappata, ma si sarebbe riempita di incubi, e di odio rivolto verso se stessa, verso la codarda che era fuggita dal clan e dalla Valle Verde, dalla sua casa, quando avrebbe potuto fare qualcosa, salvare qualcuno, salvare tutti.
Innocenza o istinto?
Pensò alle persone che le volevano bene, e la risposta le apparve scontata, appena le tornarono alla mente le parole di Zalcen: «E gli istinti non si possono sopprimere.»
 
Mentre questi pensieri si ingarbugliavano nella sua testa, Aera scoppiò a piangere, cercando di rimanere muta, ma senza riuscirci. Confuse la cadenza dei suoi sospiri con il fruscio delle foglie, il tremolio delle sue lacrime con un’ombra che si avvicinava, il ritmo dei suoi singhiozzi con il rumore di passi. Non si accorse della presenza di un’altra persona nella grotta, così vicina a lei, fino a quando non sentì una mano posarsi delicatamente sulla sua spalla destra, come a consolarla.
Spaventata, Aera si alzò e sfoderò il pugnale, agitandolo davanti a sé in direzione del suo aggressore prima di poterlo anche solo vedere in faccia.
«Chi sei?» urlò al buio, cercando di fingersi sicura di sé, mentre tremava come una foglia temeva che l’altro fosse armato.
Temette allora di essere sola, ma non aveva intenzione di abbassare la guardia. «Parla!» ordinò, rivolta a una delle tante ombre nella grotta.
«Silenzio!» le intimò l’estraneo, «Vuoi che gli Ideev ci trovino? È tutto a posto, siamo salvi per miracolo.» la tranquillizzò, prendendola per le spalle, ma sempre gentilmente, e calmo.
Senza nemmeno volerlo, Aera lo abbracciò. Allora ce l’aveva fatta anche lui, aveva sbagliato i calcoli, per una volta! Non era mai stata così contenta del fatto che avesse torto.
«Zalcen!» lo chiamò, stringendosi ancora di più al ragazzo.
«Che cosa?» l’altro non ricambiò l’abbraccio, sentendosi a disagio, ma nemmeno si tirò indietro. Arrossì, ma la sua tenera reazione venne nascosta dall’oscurità della grotta.
La voce era diversa da quella che Aera ricordava, aveva un timbro più pulito, forse un tono leggermente più alto, ma era lui, doveva essere lui.
«Mi dispiace, ma...» ricominciò, imbarazzato, «Non so di chi tu stia parlando.»
Com’era possibile? Aveva battuto la testa? Aveva perso la memoria?
«Il mio nome è Reyns.»
Aera avvertì un colpo forte, doloroso, dritto al cuore, che in qualche modo era anche un nodo alla gola, e si trasformò rapidamente in una sorta di presa invisibile, che la rendeva immobile, e minacciò di farla piangere ancora.
Lo lasciò andare, per osservare finalmente quel viso.
Non era affatto Zalcen; questo Reyns aveva capelli e occhi castani, che non erano minimamente paragonabili ai diamanti che brillavano negli occhi del suo amico d’infanzia. Ora che lo guardava, anche se nell’oscurità della grotta, era chiaro che Reyns e Zalcen non si assomigliavano per niente.
Aera provò una vergogna che forse non aveva mai provato in tutta la vita.
«Oh, no, scusami...» continuava a ripetere, mentre le lacrime, ormai libere, le rigavano il viso, di nuovo, e Reyns cercava di tranquillizzarla.
«Non c’è nessun problema,» ripeté, calmo, posandole una mano sulla spalla, questa volta senza che lei sussultasse. «Ci siamo salvati, ed è questo che conta ora. Dobbiamo continuare, anche per i nostri compagni.»
Lentamente Aera si calmò, capendo di trovarsi sì sola, ma vicina a qualcuno che era sopravvissuto alla sua stessa esperienza. Continuare per i propri compagni era un dovere che spettava solo ai superstiti di un clan, ed era un compito doloroso, ma avrebbe fatto più male prendere qualsiasi altra via, perché quella che stavano percorrendo ora Reyns e Aera era l’unica in cui, tra i pochi valori rimasti, comparissero il coraggio e la dignità.
Aera si vergognò ancora, per il fatto di essere incapace di riconoscere il suo migliore amico, suo fratello, dopo così tanto tempo passato insieme. Forse il fatto era che Aera voleva che Zalcen fosse lì con lei, e che per una volta avesse sbagliato i calcoli, che fossero stati in due a salvarsi. Ma Zalcen non aveva sbagliato. Non aveva neanche sperato.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo Sei ***


Capitolo Sei

Reyns era ben equipaggiato, per quanto riguardava le armi: possedeva un arco lungo e un pugnale, oltre ad una faretra contenente almeno venticinque frecce. Aera invece poteva contare soltanto sul pugnale regalatole da Neal.
Sapendo che non sarebbero riusciti a dormire, e non potendo neppure accendere un fuoco perché gli Ideev avrebbero potuto trovarli, i due giovani parlarono del loro passato.
Reyns raccontò che il suo clan, Lokeef, aveva base all’estremo est della Valle Verde, e che il capo se l’era presa comoda, pensando che gli Ideev non sarebbero riusciti ad attraversare gli strapiombi che separavano la loro base dal resto della Valle Verde.
C’era solo un sistema di ponti e di funi che permetteva il passaggio da una parte all’altra, ed erano solo i membri del clan a rendere possibile il collegamento.
L’unica spiegazione a ciò che era accaduto quella notte era che alcuni Ideev fossero riusciti ad infiltrarsi nel clan, quindi all’insaputa degli altri avessero teso le corde e il ponte fosse stato assicurato dagli Ideev a ovest e dai traditori a est.
In questo modo gli Ideev avevano attraversato, e fatto strage del clan. Solo quattro o cinque membri del clan Lokeef erano riusciti ad attraversare il ponte – anche se a provarci erano stati almeno in quindici – poi almeno due di loro erano stati colpiti dagli arcieri Ideev, ma Reyns non poteva dirlo per certo, perché l’unica cosa che aveva fatto era stata correre, correre a perdifiato verso ovest. «Così eccomi qui.» concluse.
Nonostante fosse accaduto da pochissimo tempo, sembrava che Reyns avesse già accettato l’accaduto – aveva davvero un animo forte, e un’implacabile fame di vita.
«Immagino che ci siano diverse storie simili alle nostre. Essere gli unici superstiti di un clan sembra essere un fardello molto pesante da portarsi sulle spalle, tanto più è stata scarsa la probabilità di salvarsi. Quando penso che forse, là fuori, c’è un bambino tutto solo, l’unico ad essere uscito vivo da una battaglia tra gli Ideev e un clan magari anche più numeroso dei nostri due messi insieme!»
«C’è molto più coraggio nel restare soli che nell’accettare di unirsi agli altri.» rifletté Reyns, «E questo vale anche per quanto riguarda la vita e la morte.»
Aera annuì, sentendosi d’un tratto curiosa di sapere quanto la sua storia fosse simile a quella del ragazzo, che appariva tanto forte, coraggioso e saggio. Nel suo passato dovevano comparire forse più di un ricordo di un grande dolore che il giovane era stato costretto ad affrontare, probabilmente da solo, e che l’avevano reso quello che era, ma non aveva pensato a tutte le altre possibili conseguenze che un dolore può portare; cicatrici, talvolta invisibili, grandi e spaventose, che presto o tardi Reyns avrebbe fallito a nascondere.
«Quanti membri contava il tuo clan?» domandò la ragazza.
«Non eravamo più di una quarantina.» rispose lui, senza specificare, «Voi?»
«Trentadue.» rispose Aera, che conosceva ogni volto, tutti i membri del clan, e considerava davvero Knej la sua famiglia.
«Mi dispiace,» l’espressione sul volto di Reyns si fece grave, ma non del tutto priva di speranza, «Sicura che dei tuoi non si sia salvato proprio nessuno?»
«Se qualcuno si è salvato, si è unito agli Ideev, quindi non conta. Sono l’unica rimasta a fare davvero parte del clan Knej. Gli altri sono traditori.»
«Non pensi che ci sia un motivo dietro al loro gesto?»
«Hanno giurato di essere fedeli membri del clan Knej, e sono scappati!»
«Anche tu.»
Aera abbassò lo sguardo.
Reyns aveva ragione; chi era lei per giudicare gli altri? Era stata la prima a fuggire. Il sacrificio più grande l’aveva fatto proprio il gruppo che era tornato sul sentiero a ovest. E il motivo per cui erano corsi consapevolmente contro gli Ideev e alla morte certa era proprio quello di tentare di salvare Aera, Zalcen e Aniène, e solo una di loro ce l’aveva fatta. Avrebbe dovuto ringraziare gli altri, perché semplicemente correndo in quella direzione avevano compiuto una scelta e avevano dimostrato molto più coraggio di lei.
«Comunque io spero ancora che i miei compagni ce l’abbiano fatta.» continuò Reyns, «Mi dispiace di non averli potuti aiutare, ma credo di aver fatto la scelta che avrebbero fatto tutti, no?»
«Suppongo di sì,» rifletté lei, «Ma non sperarci troppo.»
«Sperare non ha mai ucciso nessuno.» disse lui, ottimista.
«Sì, invece.» obiettò la ragazza, «Aniène aveva sperato con tutta se stessa di riuscire a scappare con me e Zalcen, e ora...»
«Quelle sono le conseguenze di una speranza.» rielaborò Reyns, «Sperare di per sé non uccide, è credere con tutti se stessi che la vita ci sorriderà a farlo. È la troppa confidenza che ci porta ad abbassare la guardia. Non è la speranza a uccidere. È la fiducia.»
Reyns sorrise, immaginando che Aera non si fidasse affatto del primo ragazzo che le capitasse di incontrare dopo che il suo clan era stato sterminato dagli Ideev, e pensò che rivelarle quella morale che gli era stata insegnata da bambino non giovasse per nulla alla sua posizione, in quel momento.
«Sì, credo che tu abbia ragione.» rispose la ragazza, pensando che quella che Reyns le aveva appena rivelato era una morale che mancava alla collezione di Zalcen.
Pensò di fare una domanda, anche se una delicata. Era difficile trovare le parole giuste, e Aera rimuginò alquanto a lungo, alla ricerca dei termini più sottili ma meno affilati, cercando di lasciare intendere, e non di gettare il peso di un ricordo doloroso sul povero ragazzo, che chissà quante ne aveva passate.
Lo osservò cingersi le ginocchia con le braccia, chiudendosi in se stesso, mentre i suoi occhi amaranto rimanevano fissi sulla foresta, alla ricerca di qualche movimento, sempre in guardia.
«Reyns,» iniziò, insicura, catturando l’attenzione del ragazzo, rendendosi conto di aver appena infranto il silenzio, mentre le voci nella sua testa urlavano, «Nemmeno tu ti sei voltato, vero? Quando...»
«Quando li hanno colpiti?» terminò la sua domanda, le parole che lei non era riuscita a pronunciare, con il sangue freddo di qualcuno che ha già riflettuto sul passato ed è arrivato ad accettare l’accaduto, rincuorandosi pensando di averne superate di peggio.
Aera si chiese se fosse davvero possibile.
«No, non ce l’ho fatta,» riprese serio il ragazzo, «Eppure sono sicuro che loro avrebbero fatto lo stesso, sarebbero corsi via, il più lontano possibile, senza mai voltarsi indietro. E io li avrei perdonati per questo.»
Reyns notò la sfumatura che il senso di colpa dava agli occhi di Aera. «Non ti devi sentire in colpa per essere qui. Non l’abbiamo scelto noi, né loro, e nemmeno gli Ideev. È semplicemente successo.»
Era confortante sapere che c’era qualcuno che la comprendeva, anche se aveva fatto qualcosa di cui si vergognava a morte; Zalcen le aveva detto che se le fosse successo qualcosa, lui sarebbe tornato indietro, ad aiutarla. Aera non l’aveva fatto, non l’aveva nemmeno guardato negli occhi un’ultima volta, quando si erano presi per mano. Poi però le tornò in mente ciò che le aveva detto Zalcen, la notte precedente: «Quando gli Ideev ci troveranno, seguiremo l’istinto e scapperemo il più lontano possibile senza nemmeno accorgercene. E non è una colpa, Aera.»
Sì, Zalcen aveva ragione – come sempre – e la cosa migliore che Aera poteva fare ora era mandare avanti il loro piano.
«Ehi, Aera, secondo te ora che cosa dovremmo fare?» le domandò Reyns, sdraiato, che osservava il cielo notturno, sovrappensiero.
La ragazza, fortunatamente, ci stava giusto pensando. I suoi pensieri e quelli di Reyns combaciavano alla perfezione, fino ad ora.
«Andremo a ovest.»
«Che cosa? Sei matta?» Il giovane si tirò a sedere e la guardò sbigottito, «Ci sono solo Ideev a ovest!» cercò di convincerla inutilmente.
«Conosci per caso un posto dove non ci siano solo Ideev, ormai? I clan non esistono più, e l’unico modo per riportare la libertà nella Valle Verde è andare a ovest, per estirpare il male alla radice.»
«Quindi... Che cosa vorresti fare, esattamente?» Reyns aveva paura di chiederlo.
«È tutta colpa di Vyde, e ancor di più di Tavem.»
«Tavem? Intendi dire...»
«Quel suo maggiordomo, pronto a fare di tutto per lui. È stato Tavem a convincere il primo gruppo di Ideev ad abbandonare il loro clan in cambio di denaro. Ha preso quelli che più ne avevano bisogno e ha formato un gruppo di una quarantina di uomini, e da allora tutti i clan nella Valle Verde sono caduti, uno dopo l’altro.»
Fece una pausa e riprese poco dopo, alludendo al significato della parola Ideev e anche al nome di Ikaon: «E l’edera ha continuato ad arrampicarsi, fino a che l’albero, ora, è morto.»
«Capisco, ma credo che alcuni Ideev non abbiano avuto una vera e propria scelta.» disse Reyns, «Pensi mai a chi Ideev ci è nato, magari? Quei ragazzi che vengono dall’ovest. Hanno all’incirca la nostra età, e sono costretti a svolgere incarichi come quelli di assassini, o spie. Certo, forse il loro compito è uccidere ed è naturale disprezzarli per questo, ma non stiamo tutti quanti solo cercando di sopravvivere al mondo corrotto che Vyde ha creato?»
Aera lo guardò storto; non ci aveva pensato prima, ma se fosse stato proprio Reyns, una spia? Il tono di voce che stava usando adesso, un po’ più basso, forse un po’ più serio del primo... Stava mentendo?
Al ragazzo non sfuggì questa sua occhiata, e sorrise di nuovo ad Aera, in un modo innocente, come un bambino sorpreso a fare una marachella.
Macché! Perché parlare di argomenti come sicari e spie, se lui fosse stato il primo a doversi dire coinvolto? Se fosse stato davvero un Ideev, avrebbe cercato di distrarla e di parlare di argomenti diversi. «Prova a rifletterci, per un attimo,» riprese invece il giovane, «Se ti fossi ritrovata in una situazione come quella, che cosa avresti fatto? Che cosa avresti potuto fare, anche volendo? Ti saresti fatta uccidere?»
«Io sarei scappata, ed è quello che ho fatto.» rispose lei.
«E se non fosse così semplice?» propose Reyns.
«Allora avrei combattuto, ed è quello che ho in mente di fare.» disse allora la ragazza, e gli lanciò uno sguardo, quasi fosse di sfida. Ora non c’era nulla che Reyns avrebbe potuto inventarsi per contraddirla. Era costretto ad ammettere che Aera aveva ragione. E questo un poco lo ferì nell’orgoglio – farsi zittire da una ragazza che aveva appena conosciuto? – ma lo riempì anche di stima nei confronti della giovane. C’era qualcosa di eroico in lei, che lo fece sorridere.
Così annunciò: «Bene, quindi comincia ora il nostro viaggio verso ovest! Il nostro viaggio per...» si fermò, senza sapere come andare avanti, «Quale sarebbe il tuo scopo, esattamente?» chiese, senza riuscire ad abbandonare quella piccola speranza che, costringendo Aera a formulare la sua idea, potesse ricredersi, trovarvi una qualche falla, un difetto, e rinunciare.
«La libertà.» rispose invece Aera, irremovibile, «Io e Zalcen avevamo pensato di influenzare più Ideev possibili e convincerli ad unirsi ad un gruppo, per organizzare una rivolta contro Vyde, ma in questo modo saremmo stati identificati come traditori molto presto, e non avremmo mai riottenuto la Valle Verde. Io voglio fare di più.»
Aera lo fissò dritto negli occhi, e per un momento Reyns non seppe che cosa rispondere.
Era testarda, quella ragazza, e lui se n’era accorto, ma aveva avuto una grande idea, quindi non si sarebbe opposto.
«Non vorrai...» lasciò in sospeso la frase. Se Aera era davvero convinta di ciò che aveva in mente di fare, avrebbe avuto il coraggio di pronunciare quelle parole.
«Vyde e Tavem devono morire.» disse lei, seria e irremovibile.
«Ne sei così convinta?» volle un’ultima conferma il ragazzo.
Aera fece di sì con la testa.
Reyns sorrise, più a se stesso che alla ragazza. Non si sarebbe mai aspettato che potesse essere così semplice, ma Aera, con tutta la sua cocciutaggine e ignoranza sullo stato degli Ideev, era perfetta così com’era. Avrebbe potuto limitare le bugie.
«E io che stavo cominciando a pensare di essere impazzito, quando mi è balenata l’idea di andare a ovest!» esclamò il ragazzo, quasi contento, con un tono di voce più alto, spiegando, «Sai, è proprio per questo motivo che ho attraversato quel ponte rischiando di venire colpito, questa notte. Mi sarei potuto nascondere in qualche grotta lì sulle Montagne, aspettare il giorno, e poi continuare a fuggire verso est, invece sono corso verso il Bosco delle Frecce, mi sono fermato tra i rovi, e poi ho visto questa grotta.»
Si alzò in piedi e si avvicinò ad Aera. «È stata la collera a portarmi qui, la rabbia e l’odio che provo nei confronti di chi è a capo di tutto questo, il rancore che serbo per l’uomo che ha distrutto la Valle Verde, la mia vita, e a quanto pare anche la tua. Hai ragione, Aera, dobbiamo fargliela pagare, non importa se significa sporcarsi le mani! Sarei pronto a farlo io stesso.»
Le prese le mani e le ricambiò quello sguardo deciso, onesto, che lei aveva avuto prima.
Inevitabilmente conquistò la sua fiducia, e forse anche qualcosa di più.
Il ragazzo se ne accorse, e sorrise, come se ciò significasse aver portato a casa la vittoria. «Hai un piano?» le chiese, quindi.
«Credo che l’unica sia infiltrarsi tra gli Ideev, ma non ho idea di come fare. Ne dovremmo trovare due e rimpiazzarli, insomma...» Non c’erano altre parole, non poteva scappare, «Ucciderli.» fu costretta a dire.
«Niente di tutto questo.» le assicurò Reyns, mostrandole il dorso della mano destra, dove era stato inciso un curioso simbolo di un quadrato al quale erano state tracciate le diagonali, che però sbordavano dai vertici vicini alle dita.
«Che cosa significa, questo simbolo?» domandò Aera.
«I traditori che si erano infiltrati nel nostro clan avevano cicatrici simili sul dorso della mano destra.» spiegò Reyns, «Avevano detto che questo era il simbolo che portavano tutti i membri del clan al quale appartenevano in precedenza, che stando a ciò che dicevano era stato sterminato dagli Ideev pochi giorni prima. Ci avevano convinti di esserne gli unici superstiti, e noi li avevamo accolti. Come ti ho detto, è stata la fiducia a portarci alla rovina.»
Fiducia... Pensò automaticamente Aera. Ma sì, non costava nulla mettere alla prova la fiducia di Reyns. Voleva eliminare ogni dubbio sulla sua vera identità. Se era chi diceva di essere, avrebbe capito.
«Questo simbolo dev’essere quello degli Ideev,» continuò il ragazzo, «L’ho visto ancora inciso sulle cortecce di alcuni alberi dove sappiamo per certo che sono passati. Ne ho tracciato uno simile sulla mano, nonostante abbia fatto un po’ male, poco prima di venire qui, così da poter mentire agli Ideev dicendo di essere parte del loro gruppo, nel caso in cui mi avessero trovato.»
Si notava che la ferita si era rimarginata da poco, ma Aera voleva essere sicura che Reyns stesse dicendo la verità, così chiese: «Come hai fatto a inciderlo sulla mano destra?»
«Sono mancino.» rispose prontamente l’altro, mostrando il pugnale che portava al fianco destro invece che al sinistro.
«Ma il tuo arco ha un’impugnatura per destri.» notò la ragazza, dando un’occhiata all’arma, che era fatta apposta per essere tenuta nella mano sinistra. Era un arco di pregiata fattura, un tipo del quale la ragazza aveva solo sentito parlare, che veniva dall’Oriente.
«Oh, quello non sarebbe mio.» ammise il ragazzo, «L’ho rubato insieme alla faretra a uno degli Ideev che sono stati uccisi dai membri del mio clan. È più scomodo da impugnare, per me, ma questo è ciò che ho trovato, e mi ritengo fortunato.»
E portava la faretra al fianco sinistro. Sì, era mancino, non stava mentendo. Ma che cosa ci faceva un arco Orientale nelle mani di un Ideev? Che i mercenari avessero invaso anche il regno confinante?
Aera si ritrovò a sperare che fosse così, perché quando una speranza si infrange è meglio trovarsi a una certa distanza da essa, o i suoi frammenti feriscono come schegge di vetro. Erano così vicini all’Est che ritenere il suo raggiungimento la soluzione ad ogni problema era troppo doloroso. Era meglio pensare, sperare, credere che la situazione oltre le Montagne fosse addirittura peggiore di quella nella Valle Verde.
Notò però qualcosa di strano, riguardo al suo pugnale: potendo vedere solo l’impugnatura avrebbe avuto dei dubbi, ma guardando più da vicino, ora, era sicura. Era quello di Zalcen.
«Il tuo pugnale...» iniziò a dire, senza sapere come continuare.
Sentendola mormorare qualcosa riguardo al pugnale, Reyns lo estrasse dal fodero, per mostrarlo alla ragazza, la quale spalancò gli occhi, alla vista della lama.
Al che, Reyns la osservò a sua volta, leggendo i caratteri Antichi che componevano la scritta Souro hyor Zalcen tentou.
Ancora senza capire il motivo del disagio della giovane, il ragazzo prese a spiegare: «Mentre ero nascosto qui vicino, questa sera, ho notato il corpo di un Ideev, che era stato colpito alla schiena da una freccia, e dato che portava ancora un’arma, ho pensato di rubargliela, per difendermi. Devi capire, ero spaventato...»
Vedere sul suo volto quell’espressione colpevole la portò istintivamente a scusarsi al più presto per aver diffidato. Eppure, quel pugnale era di Zalcen.
Subito tutto le fu chiaro: Reyns aveva dedotto l’identità della persona a cui apparteneva l’arma basandosi solo su quel mantello, che Zalcen aveva infatti rubato a un Ideev.
Già. Era chiaro, ora.
Aera si sedette in un angolo. Da un lato si sentiva più tranquilla, dall’altro era estremamente preoccupata. Ciò che parlare con Reyns aveva portato a galla poteva significare due cose: o quel ragazzo era onesto, mancino e pronto a tutto per riportare la libertà nella Valle Verde, oppure era davvero bravo a mentire. E nel secondo caso Aera non avrebbe avuto strumenti per difendersi.
Sentì che Reyns stava tentando di trattenere una risata.
«Che c’è?»
«Aera, certo che sei proprio sveglia!» si complimentò, «Hai cercato di mettermi alla prova, giusto? Sospetti che io sia un Ideev?»
«No, no, assolutamente no!» Si rese conto che avrebbe odiato venire fraintesa da Reyns, dato che rappresentava il suo unico alleato.
Il ragazzo continuò comunque a sogghignare, e aggiunse: «Se fossi davvero un Ideev, non credi che ti avrei già uccisa?»
Poi smise di ridere e abbassò nuovamente il tono di voce, «Non devi preoccuparti. Puoi fidarti di me, te lo giuro sul clan Lokeef! E come ulteriore prova della mia fiducia, vedrò anche di rimediare ad una cena.»
Così Reyns si allontanò lasciando Aera da sola; pugnale al fianco destro, faretra al sinistro, ma arco nella mano sinistra.

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Capitolo 8
*** Capitolo Sette ***


Capitolo Sette

La mattina seguente, Aera si svegliò a causa degli incubi. Aveva sognato gli Ideev, di nuovo, che la costringevano a correre ininterrottamente per le foreste e che ridevano di lei dalle cime degli alberi, scoccando frecce a destra e a manca, uccidendo ogni persona a lei cara e lasciandola completamente da sola.
Non era molto diverso da ciò che era realmente accaduto, ma Aera non aveva visto i suoi amici morire proprio di fronte a lei.
E, in più, ora c’era Reyns con lei. Si fidava ciecamente di lui, adesso – se fosse stato un Ideev l’avrebbe già eliminata, dopotutto.
Quando fu davvero sveglia, notò che Reyns non c’era. I più strani dubbi cominciarono ad assalirla. E se gli Ideev l’avessero trovato? Se avesse deciso di andare da solo da Vyde? Dov’era?
Cercò qualche traccia del ragazzo attorno a sé, per convincersi che anche l’incontro con lui non fosse stato semplicemente un sogno: dall’altro lato della grotta, oltre la pietra al centro di essa, Reyns aveva lasciato l’arco e la faretra – ovunque fosse andato, aveva di certo intenzione di tornare.
Aera notò anche, non senza imbarazzo, che quella che stava stringendo attorno a sé come una coperta per ripararsi dal freddo era in realtà il mantello che Reyns aveva rivelato di aver sottratto a un Ideev.
La ragazza fu rapida nel ricordare gli avvenimenti della sera precedente, e a riempire gli spazi vuoti nei suoi ricordi bui e offuscati dal sonno e dalla tristezza; nonostante gli orrori ai quali aveva assistito durante la giornata, doveva essere stata troppo stanca, ed essere crollata dal sonno. Reyns doveva averle ceduto il leggero mantello per ripararla il più possibile dal freddo, dato che tutto ciò che Aera stava indossando erano il suo vestito azzurro e un paio di stivali.
Aera si scoprì della mantella, avvertendo istantaneamente un brivido di freddo, ma respirando profondamente e obbligandosi a smettere di tremare. Solo quando osservò il mantello che ora teneva tra le mani notò un particolare: il tessuto era sbrindellato nella parte corrispondente al braccio destro. Come il mantello che aveva Zalcen aveva sottratto a quell’Ideev.
Aera ricominciò a tremare, ma non per il freddo. E quando voltò il mantello per osservare la parte che corrispondeva alla schiena, non ebbe più dubbi: vi era un piccolo foro proprio al centro di una grande chiazza di un rosso scuro.
Istintivamente, Aera lanciò l’indumento verso l’altro lato della grotta, e il mantello andò a posarsi sull’arco e la faretra di Reyns. Ma la ragazza non smetteva di tremare. Per tutta la notte era rimasta raggomitolata nel mantello nel quale Zalcen era morto. Nel quale Zalcen era stato ucciso. Quello era il suo sangue.
Non ne sopportò la vista per più di una frazione di secondo. Si voltò, e osservò fuori dalla grotta, in attesa che Reyns tornasse, che riuscisse a distrarla, o a farle accettare la realtà. Zalcen era morto. Suo fratello era morto.
Non dovette attendere molto. Fu forse questione di minuti, e Reyns riapparve dalla boscaglia, rientrando nella grotta.
«Ti sei svegliata, vedo.» le donò un lieve sorriso, poi il suo sguardo cadde sul mantello che sovrastava l’arco. La chiazza rossa era in bella vista, e Reyns sapeva che osservarla faceva male a entrambi.
Entrò nella grotta, e l’oscurità nascose la sua espressione, che si fece grave, mentre il ragazzo raccoglieva l’indumento e se lo riallacciava al collo, assicurandolo con un rapido nodo, nascondendo il rosso alla vista.
«Tu non hai dormito?» domandò lei.
«Forse, poco. Non saprei.» rispose lui, sospirando, «Il confine tra incubi e ricordi è difficile da stabilire.»
Si sedette, ma non accanto a lei. Era all’ingresso della grotta, e qualche timido raggio di sole, abbastanza coraggioso da uscire dalle soffici coperte di nuvole, colpiva il suo volto, rivelandone i lineamenti marcati, ma ancora giovani, dolci.
Invitò Aera a sedersi accanto a lui, e la ragazza si alzò in piedi, cercando di nascondere la smorfia di dolore data dalla ferita alla gamba sinistra. Si inginocchiò lentamente al suo fianco, e il suo sguardo si perse tra i rami degli alberi, posandosi poi sulle Montagne, così vicine, eppure troppo lontane.
«È importante che tu riesca a dormire.» disse Reyns, «Almeno uno di noi deve rimanere lucido.»
Sorrise ancora, per un breve istante, poi le porse un frutto di Wass.
Aera ringraziò e strinse il frutto tra le mani, prima di cominciare a parlare. Sentiva il bisogno di una distrazione, e sentiva che questo bisogno lo aveva anche Reyns. Gli incubi non avrebbero lasciato in pace nessuno di loro due, se si fossero rintanati ognuno nel proprio dolore. Dovevano costruire una vita nuova, dei ricordi nuovi, con quel poco che avevano.
«Gli alberi di Wass sono incredibili.» commentò la ragazza, «Offrono tutto ciò che serve per vivere: cibo, acqua, e anche cure mediche. So che si dice che queste foglie siano miracolose.»
«In realtà, Wass significa vita, nella lingua Antica parlata qui.» le spiegò il ragazzo.
«Davvero? Non lo sapevo.» ammise Aera, «In effetti, non conosco nulla della Valle Verde, all’infuori della zona costiera dove aveva base il mio clan. Non ho nemmeno mai visto il fiume Reemti.»
«Sul serio?»
«Già, sono sempre stata con il clan Knej. Ho visto molto poco.» rivelò la ragazza, «C’erano solo il mare e un piccolo fiumiciattolo.»
«Chiamalo poco! A me sarebbe sempre piaciuto vedere il mare.» confessò Reyns, «Le Montagne di nuda roccia non fanno affatto per me. Mi piacerebbe vedere che cosa si trova oltre le Montagne, invece che vivere rintanato in una grotta con la paura di ritrovarmi bloccato dentro a causa di una frana, e morire sepolto là sotto.»
«Anche a me piacerebbe superare le Montagne, per incontrare i miei genitori. Mi è stato detto che venivano dall’Est. Sarei davvero voluta arrivarci, quando c’era ancora il clan.»
«Il clan Knej esiste ancora.» la interruppe Reyns, «Proprio come esiste ancora il clan Lokeef. I nostri clan continueranno ad esistere finché noi vivremo. Fino al nostro ultimo respiro.»
Quel messaggio di speranza la rincuorava, e le faceva ricordare che era il caso che se ne andassero, o gli Ideev li avrebbero trovati quando avrebbero setacciato la zona.
***
Reyns era riuscito a procurare ad Aera un arco lungo e una faretra con quattro frecce, il tutto recuperato dal cadavere di un Ideev, ucciso probabilmente da uno dei membri del clan Knej. Aera ne avrebbe avuto bisogno soltanto per dimostrare agli Ideev che avrebbero incontrato di far parte del gruppo.
All’inizio non si spiegò perché il ragazzo non volle separarsi dall’arco per destri appena avutane l’occasione – lui stesso aveva detto che impugnarlo gli risultava scomodo. Trattava l’arma che aveva detto di aver rubato con molta cura, come se fosse davvero sua.
Non volle fare domande, e si accontentò della spiegazione fornita dalla sua mente: un arco come quello avrebbe denotato la sua provenienza dall’Oriente, e l’avrebbe fatta apparire come un’arciera esperta, e né lei né Reyns volevano dare alcuna di queste impressioni. Era meglio che lo tenesse lui: avrebbe potuto fingere di essere un Orientale e sarebbe stato in grado di dare prova delle sue abilità di arciere.
«Per quanto riguarda i nostri indumenti, non credo sia un problema.» spiegò Reyns, «Molti Ideev si vestono di verde, ma il traditore che si era unito al mio clan indossava abiti comuni, come noi, quindi gli Ideev non ci uccideranno.» disse, poi aggiunse: «Spero.»
«Speri? Ti prego, non dirmi che tutto questo risulterà inutile...»
Aera non voleva affatto farsi incidere quel simbolo sulla mano: la cicatrice sarebbe rimasta per sempre, in memoria dell’abbandono della sua dignità, del fatto che aveva scelto di voltare le spalle a tutto ciò in cui aveva sempre creduto, a tutto ciò che le avevano insegnato. Quel simbolo era un cambiamento. Capiva però che era un cambiamento necessario, per continuare il suo piano senza destare troppi sospetti.
E poi, anche Reyns aveva deciso di farlo, l’aveva inciso sulla sua stessa mano, di sua spontanea volontà, perché voleva sopravvivere. Aera non doveva essere da meno; la vita senza dignità diventa sopravvivenza, ma la sopravvivenza è qualcosa di più importante della dignità, o come minimo è più difficile negarne il desiderio.
Il ragazzo si sedette di fronte a lei, che teneva la mano tremante appoggiata alla roccia al centro della grotta, e con uno sguardo colpevole negli occhi, estrasse il pugnale dal fodero. Per il suo bene, doveva farle del male.
«Farà male?» domandò la ragazza, guardando Reyns negli occhi, nei quali lui leggeva ogni suo pensiero. Era impossibile mentirgli, ma per lui era impossibile mentire a lei?
«No,» rispose il giovane, mantenendo il contatto visivo, calmo, «E poi è per una buona ragione, no? È per la libertà della Valle Verde.»
La ragazza fece di sì con la testa e chiuse gli occhi, cercando di rimanere immobile.
Sentì la lama fredda inciderle la pelle, e si accorse che Reyns stava cercando di essere il più veloce possibile.
Quando capì che era finita, tenne gli occhi chiusi e porse una foglia di Wass al ragazzo che la premette sulla ferita. Aera sentì le minuscole gocce di sangue caldo scivolare giù dalla sua mano, fredda per il contatto con la roccia. Ma nonostante l’inquietudine e il senso di colpa, non aveva fatto poi così male.
«Bene,» sospirò Reyns, mentre Aera ancora premeva la foglia di Wass sulla ferita, «Ora sembriamo due perfette spie Ideev. Sai usare un arco, vero?»
***
Una delle doti di Aera era quella di imparare in fretta, fortunatamente.
Si poteva dire che tirare con l’arco fosse semplice, quando si doveva colpire un albero da una distanza di sette o otto passi, ma che cosa sarebbe stata in grado di fare quando avrebbe dovuto colpire un uomo? Tutto ciò che poteva fare era sperare che agli altri Ideev non servisse il suo aiuto.
L’arco era più pesante di come Aera se lo era aspettato, e dopo aver scoccato anche solo un paio di frecce, il suo braccio tremava, e la direzione del dardo era più imprecisa.
«Diamine, l’ho mancato ancora...» sbuffò la ragazza, delusa da se stessa, e vergognandosi di mostrarsi incapace di fronte a Reyns.
«Oh, andiamo, le prime due frecce l’hanno colpito, l’albero.» tentò di consolarla lui,
«La seconda ha colpito un altro albero. È come se durante uno scontro colpissi uno dei miei compagni.» borbottò lei, massaggiandosi il braccio sinistro dopo aver appoggiato l’arco a terra.
«Non si aspetteranno chissà cosa, da una novellina quattordicenne.» la rassicurò il ragazzo, «Ma dobbiamo essere pronti a tutto.» aggiunse poi.
«Quindi pensi che dovremo comportarci da Ideev per arrivare a ovest senza farci scoprire?» domandò la ragazza, visibilmente preoccupata,
«Non lo so,» ammise Reyns, «Se ci uniamo a un gruppo abbastanza numeroso dovrebbe essere meno probabile che abbiano bisogno di noi. Ma dipenderà tutto dalla fortuna. Speriamo di trovarne alcuni abbastanza stupidi.» scherzò poi.
«Gli Ideev hanno delle strategie ben congegnate per sterminare i clan.» disse Aera, seria, «Non sono stupidi.»
«Sbagliato, sono semplicemente troppi.» la corresse Reyns, «È Vyde che pensa alle strategie, in realtà. Ce ne sono, di Ideev stupidi... E credo che ce ne siano anche alcuni con una brutta mira, a giudicare dalla ferita che hai alla gamba.»
«Oh, me n’ero completamente dimenticata!» esclamò Aera, imbarazzata, notando che il taglio si vedeva ancora.
«Be’, significa che non ti fa poi così male, allora.» commentò Reyns mentre le porgeva una foglia di Wass.
La ragazza ringraziò, per poi premere la foglia sulla ferita.
«Speriamo che non sospettino nulla.» sospirò,
«Speriamo.» le fece eco Reyns.
Così i due lasciarono definitivamente la grotta e si avviarono verso il fiume Reemti, passando però dalla foresta, cercando di attirare l’attenzione degli Ideev. Nemmeno il più stupido li avrebbe colpiti, perché un sopravvissuto, da quelle parti, avrebbe sicuramente cercato di nascondersi.

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Capitolo 9
*** Capitolo Otto ***


Capitolo Otto

«No, aspetta, Reyns!» Aera lo bloccò con un braccio,
«Che c’è?»
«Mi ricordo questo posto.»
La ragazza cercava con gli occhi qualche elemento che confermasse la sua sensazione, di essersi già trovata a camminare proprio su quel sentiero, nella direzione opposta, alla ricerca della salvezza, che non c’era mai stata.
Il passaggio degli Ideev era innegabile: incisi sugli alberi erano i loro simboli, a portare l’edera anche dove non c’era, a soffocare e a uccidere anche gli innocenti alberi di Wass.
Aera distolse lo sguardo, e continuò a cercare di ricostruire la situazione, aiutandosi con i suoi ricordi taglienti. «Ci siamo passati il giorno prima che ci trovassero gli Ideev. Il resto del gruppo era andato da questa parte, mentre io e i miei amici...!»
Il ragazzo non fece in tempo a fermarla o a dirle di non guardare. Ormai Aera aveva visto. Aveva visto i corpi di alcuni degli uomini di Knej a terra, riconoscendone anche qualcuno il cui volto non era stato sfigurato.
Chi è?, si chiedeva invece osservando qualcun altro, i cui tratti distintivi erano stati lacerati dalla lama di un pugnale. E si rimproverava per non ricordarlo. L’istinto era quello di abbassarsi e chiedere, seppur vergognandosi, ma il sonno in cui erano caduti era troppo profondo, ora. E faceva troppo male guardarsi intorno e poi andare per esclusione.
L’odore era forse la cosa peggiore, perché anche se non era quello del sangue del suo sangue, era quello del sangue dei suoi fratelli e delle sue sorelle. Era il sangue della sua famiglia, che avrebbe macchiato per sempre quei boschi, così come i suoi ricordi.
Molti di loro tenevano le armi ancora strette tra le mani; alcune donne giacevano poco più avanti insieme ai loro bambini e ad altri ragazzi giovani, disarmati, i cui cadaveri ancora imploravano pietà.
Corpi riversi sul terreno, volti che conosceva, come se tutti stessero dormendo un sonno agitato in letti invisibili e scomodi di una camerata inquietante, disordinata e rossa.
E poi Ikaon. Lì, accasciato a terra, con una lama, scagliata da un traditore, piantata nella schiena. È così che spesso se ne vanno i migliori – con una pugnalata alle spalle.
Immediatamente, Aera si rese conto di non essersi invece imbattuta nel cadavere di Zalcen; da un lato ne fu sollevata, ma dall’altro non poté che immaginare uno dei peggiori scenari possibili, come il corpo del suo amico d’infanzia sbranato da qualche animale notturno mentre lei era in una grotta, accanto a un fuoco, e a un altro ragazzo, che le aveva portato una speranza troppo in fretta perché risultasse giustificabile.
La ragazza non riuscì a trattenere le lacrime, pietrificata davanti a ciò che ne era stato della sua famiglia. Reyns la abbracciò, tentò di tranquillizzarla, ma ad un tratto, quattro Ideev sbucarono da dietro gli alberi.
Il giovane trasalì, vedendoli avvicinarsi, e velocemente pensò ad un modo per mascherare il fatto che Aera stesse piangendo.
«Ascolta,» sussurrò all’orecchio della ragazza, «La storia che mettiamo in scena è questa: facevamo entrambi parte del clan Knej, ci siamo uniti a un gruppo di Ideev che andava a est e ora stiamo tornando da Vyde per fare rapporto su alcune scoperte segrete, va bene?»
Aera fece di sì con la testa.
Reyns aveva finito di inventare tutte le sue bugie appena in tempo; fu questione di secondi perché gli Ideev venissero loro incontro e cominciassero a fare domande di ogni genere.
Fortunatamente Reyns aveva sempre la risposta pronta.
«Cercate di capire,» disse a un certo punto, «È stata una scelta difficile, e ancora più difficile è accettare di vedere tutto questo!»
Il ragazzo era riuscito ad esprimere a parole ciò che Aera provava realmente, aveva compreso i suoi sentimenti più di quanto lei stessa non fosse riuscita a fare, e aveva recitato alla perfezione la sua parte, tanto che gli Ideev gli credettero e decisero di accompagnarli a ovest.
«Aera,» bisbigliò Reyns, appena si misero in viaggio, «Nascondi quel ciondolo.» le ordinò, per poi spiegare, «Uno dei compiti degli Ideev è di portare quanto più denaro possibile a Vyde. Quanto pensi che ci guadagnerebbero con quel gioiello?»
La ragazza fece come le era stato detto, lo infilò sotto la scollatura del vestito in modo che non si vedesse, e per la prima volta dopo tanto tempo si domandò da quanto avesse quella collana. Da sempre. Con gli anni era diventato il suo ciondolo, che raffigurava una splendida aquila che spiccava il volo. Era da sempre stato il suo simbolo di libertà, di una libertà che era stata persa, ma che si sarebbe potuta riavere indietro, se si avesse avuto il cuore abbastanza leggero da poter volare. Bisognava comportarsi bene, e tenersi stretta la dignità, una volta.
Ma unirsi agli Ideev – anche se fingendo – e nascondere il ciondolo, non significava in un certo senso voltare le spalle a tutto ciò in cui aveva sempre creduto? Forse significava solo restare a terra per qualche tempo, prima di spiccare il volo di nuovo, verso il cielo aperto, verso la libertà.
***
Quando calò la sera, gli uomini scorsero delle luci, che parevano appese a una collina non troppo distante. Le indicarono e si incamminarono in direzione di un sentiero sul versante est della modesta altura.
Sembrava uno di quei paesini umili, dispersi, sconsolati, come il villaggio costiero presso il quale il clan Knej soleva recarsi, di tanto in tanto. Il cuore di Aera fece in tempo a riempirsi di gioia per poi ricordarsi che tutto ciò era finito e non sarebbe mai più accaduto: i sorrisi degli abitanti, le amicizie di un’estate, le vie del mercato per le quali passeggiava con Zalcen. Erano divertimenti e abitudini che era stata costretta ad abbandonare, senza nemmeno rendersene conto. Se solo avesse saputo che quella era stata l’ultima volta, avrebbe riservato un addio a ognuna di quelle persone, le avrebbe salutate come meritavano.
Aveva ragione Zalcen, di nuovo, quando diceva che era saggio comportarsi, in ogni occasione, come se non ci fosse una prossima opportunità. Quel ragazzo era in grado di vivere e amare come non ci fosse un domani, e come se avesse vissuto per sempre, con quel suo stesso atteggiamento freddo e distaccato, ma che ad Aera scaldava il cuore e la faceva sentire tanto vicina a lui.
Basta. Un altro colpo al suo cuore spezzato, e altri frammenti taglienti che lo avrebbero fatto sanguinare. Neanche quello esisteva più.
La ragazza si voltò a guardare Reyns. Anche sul suo viso vi era un’espressione tormentata, ma per un’altra ragione. Quello era solo l’inizio di una lunga guerra, per il cuore di Reyns.
I due ragazzi stavano in disparte, nel retro del gruppo, forse intimiditi dai quattro Ideev, forse con l’intenzione di non mischiarsi troppo con il gruppo per evitare di dover dare troppe informazioni e cadere in contraddizioni che avrebbero avuto conseguenze molto gravi. Avevano bisogno di tempo per organizzarsi, decidere quale sarebbe stata la bugia comune, la parte che avrebbero recitato.
I quattro Ideev stavano discutendo di qualche faccenda, gesticolando e indicando il paesino appollaiato sulla cima della collina, e poi facendo segno ai due giovani a pochi passi di distanza da loro.
Aera non capiva; era ovvio che non fosse nulla di segreto, quindi tanto valeva rendere lei e Reyns partecipi alla discussione, ma a quanto pareva i quattro uomini avevano altri piani, ossia di lasciare che i due ragazzi udissero senza poter ribattere. Si poteva dire un modo subdolo di prendere decisioni, ma pur sempre efficace.
«Insomma, per quanti giorni potremmo continuare, con il poco che abbiamo?» domandò agli altri il capogruppo, Venam, «Credo che sia ora di fare rifornimento.»
Aera non era sicura di aver capito perfettamente il significato delle sue parole. In effetti aveva notato che gli Ideev portavano delle borse in cui contenevano le provviste – e che si stavano svuotando in fretta – ma si chiedeva che cosa intendesse esattamente con rifornimento.
«Già,» convenne Gatto, il secondo del gruppo, «Con due bocche in più da sfamare, le provviste se ne vanno ancora più alla svelta.»
«Però entrambi se ne vanno in giro con arco e frecce,» osservò il terzo, Daul, «E, se lo sanno usare, potrebbero esserci d’aiuto nel procurarci una cena ogni sera. Non credo che fermarsi sia tanto necessario quanto metterli alla prova.»
Tra i cenni di approvazione degli altri due si fece strada il brontolare dello stomaco del quarto, Ridd, più giovane degli altri tre, la figura più magra, i capelli lunghi e biondi, e degli occhi di un azzurro grigiastro, talvolta ancora vispi e vivi, ma che mantenevano da tempo, anni forse, un velo di tristezza indissolubile e inspiegabile. «Io sono d’accordo con ciò che ha detto Venam. Ho troppa fame per rischiare che quei due non se la cavino a caccia.» espresse la sua opinione, «E sinceramente non credo che la ragazzina sia un’esperta. È insicura.»
Aera sentì come se la sua copertura fosse sul punto di crollare. Non era brava a recitare la sua parte; non aveva mai usato un arco prima, e ogni arciere lo avrebbe notato.
«Quindi è deciso.» concluse il capogruppo, «Ci fermeremo al villaggio per fare rifornimento.»
Aera era ancora spaventata da quella parola. Sperò vivamente che gli uomini avessero delle conoscenze in quel paese, o semplicemente che ci fosse un qualche obbligo da parte dei cittadini di fornire provviste agli Ideev che viaggiavano.
Forse quello in cui intendevano fermarsi era proprio un villaggio Ideev, dove quindi tutti gli abitanti facevano parte del gruppo.
Anche Aera e Reyns allungarono il passo, e seguirono gli altri su una piccola stradina sul versante est della collina, che pareva interminabile, a stomaco vuoto.
C’erano piccoli campi a destra e sinistra in cui crescevano carote, rape e altri umili ortaggi. Ogni tanto si vedevano delle casette, alcune abbandonate, ma più ci si avvicinava al villaggio, più si veniva rapiti dalla bellezza del campanile che spiccava al suo centro.
***
Proprio come Aera temeva, l’idea di rifornimento che aveva Venam era proprio quella di fare razzia in quel paese.
Lei e Reyns rimasero al centro della piazza principale, proprio sotto il campanile le cui campane continuavano a suonare, ininterrottamente, provocando un rumore assordante, per avvisare gli abitanti della situazione di allarme. I due ragazzi non sapevano che cosa fare, e non capivano cosa stesse succedendo attorno a loro.
Gli abitanti urlavano e maledicevano gli Ideev, come se non fosse la prima volta che un gruppo saccheggiava quel paese. In effetti era uno dei centri abitati che si trovavano più a est dell’intera Valle Verde, quindi gli Ideev che si trovavano nella zona orientale erano molto tentati di fermarsi da quelle parti.
Si videro scene di ogni genere: gente che urlava, che scappava, un uomo in ginocchio che pregava di venire lasciato stare e diceva di non avere più nulla... Aera catturò con lo sguardo Venam che rompeva i vetri delle finestre di una locanda dalla quale una giovane donna fuggiva spaventata per poi infilarsi in un vicolo.
Ma come poteva essere opera di soli quattro uomini? Doveva esserci qualcun altro, dei complici, o il piccolo gruppo sarebbe stato facilmente respinto dagli abitanti. E fu allora che Aera notò che la vera minaccia non erano gli Ideev che avevano assalito il villaggio dall’esterno – erano quelli che si erano già infiltrati nel piccolo paese. Gli abitanti uscivano dalle case e dai negozi, spaventati, non vi si barricavano attendendo il peggio. La loro più grande paura, il tradimento, veniva da coloro di cui si erano fidati di più.
E tutto questo stava accadendo solo perché un piccolo gruppo l’aveva ordinato. Quattro uomini, e tanta distruzione. Ora anche tutti gli altri Ideev si sarebbero dovuti dileguare, scomparire nelle foreste, probabilmente in procinto di assalire il prossimo villaggio.
Ogni uomo o donna, giovane o vecchio, che portasse il simbolo Ideev sulla mano destra era qualcuno da cui tutti gli altri si dovevano tenere alla larga. Reyns e Aera rimanevano fermi, indifesi, e nessuno si avvicinò a loro; tutti scappavano, tenuti al di fuori di una sfera invisibile e intangibile che era la paura che suscitavano le cicatrici sulle loro mani destre.
Il povero cuore di Aera era straziato dall’idea di battere nel petto di un mostro.
Solo una scena alla quale i due giovani assistettero stonava con le altre: era una coppia di giovani, all’incirca della loro età, dove la mano candida della ragazza era libera da ogni cicatrice, mentre su quella di lui era inciso il marchio degli Ideev. Ma il giovane non aveva intenzione di farle del male. La stava nascondendo, come fosse una gemma rara e preziosa e stessero per portargliela via.
Si infilarono in un vicolo stretto, lo stesso in cui era fuggita la giovane donna che Aera aveva adocchiato poco prima, e la ragazza pregò per il suo bene. Reyns e Aera non riuscirono a vedere nulla di più, ma li avrebbe stupiti scoprire che la storia di quella coppia era del tutto simile a quella di loro due. Infatti, il ragazzo non si fece pregare, estrasse il pugnale Ideev dal fodero, e mormorando qualche parola di scusa mise fine alla fuga della ragazza, non togliendole la vita ma la dignità che aveva come libera abitante del suo villaggio, incidendo il simbolo che portavano tutti quegli assassini sulla mano destra di una giovane tanto pura e innocente.
Il ragazzo udì poi un singhiozzare sommesso, e si addentrò nell’oscurità. La giovane che era con lui tentò di fermarlo, ma lui continuò, testardo.
«Kael, dobbiamo fuggire prima che ci trovino!» gli ripeté la ragazza, preoccupata.
Il giovane si portò l’indice della mano destra alle labbra, e sussurrò: «C’è qualcuno, nascosto qui.»
«A maggior ragione, questo è solo un motivo in più per andarsene in fretta!» continuò l’altra,
«Ceala, calmati.» le ordinò il ragazzo, con una voce dolce ma che non ammetteva repliche.
Kael mosse quindi qualche altro passo in direzione di quella che aveva identificato essere la sorgente di quel pianto sommesso, che ora si era tramutato in preghiere, e riconobbe la ragazza raggomitolata nell’angolo buio. Non portava il simbolo Ideev. Ma quel simbolo era l’unico particolare che mancava perché la sua figura non risultasse intrusa e vulnerabile.
Kael sfoderò lentamente il pugnale, e la giovane sussultò, gli occhi impauriti ricambiavano il luccichio della lama. Il giovane portò allora avanti la mano sinistra, per farle capire che non aveva intenzione di farle del male, ma o il messaggio venne mal interpretato, oppure quella ragazza non aveva intenzione di lasciare che fosse il simbolo Ideev a salvarla. Corse via, uscendo dal vicolo e, Kael sperò, trovando un altro rifugio.
Rinfoderò il pugnale, ripercorse i suoi passi e prese Ceala per mano. Dovevano andarsene.
Uscirono dal vicolo, sempre di soppiatto e guardandosi le spalle, ma ora non erano più loro due a fuggire. Come una mano sanguinante avesse cambiato la situazione di quella giovane, era una verità che erano gli Ideev ad aver introdotto. Solo qualche goccia di sangue, e finiva così il bisogno di scappare.
Da preda a predatore. Da uomo a mostro.
Aera non capiva che cosa fosse meglio fare: la testa le diceva di stare al gioco, o sarebbe stata la fine anche per Reyns, oltre che per lei, ma il suo cuore non ne poteva più di tutta quella sofferenza.
Reyns le strinse la mano, e gli occhi azzurri di lei si incatenarono a quelli castani di lui; ancora una volta l’aveva capita più di quanto ci fosse riuscita lei stessa.
«Tranquilla,» le disse per calmarla, come se i suoi occhi non fossero già stati abbastanza, «Sono sicuro che anche se ci fermeremo in altri villaggi, tutto questo non succederà più. Come ha detto Venam, hanno avuto bisogno di fare rifornimento, ma sarà l’ultima volta, l’ultima nella storia della Valle Verde. Poi fermeremo gli Ideev. Per sempre. Insieme.»

 

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Capitolo 10
*** Capitolo Nove ***


Capitolo Nove

Il gruppo decise di passare la notte in una vecchia casetta abbandonata, sul versante occidentale della collina, vicino a un campo di patate. Si trattava probabilmente di una casa abbandonata da qualche contadino.
Forse si trattava di quella di uno di quei minatori di cui Reyns aveva sentito parlare. Girava voce che un gruppo di abitanti provenienti proprio da quel villaggio si fosse preso la briga di scavare un tunnel sul monte Ymif, una delle cime più basse tra le Montagne. Ormai tutti avevano capito quanto fosse pericoloso restare nella Valle Verde, a causa degli Ideev; la vita come l’avevano sempre conosciuta non aveva più un senso, non esisteva più, e il tanto temuto cambiamento era ormai qualcosa di necessario. Rispetto alla scelta di unirsi al gruppo di mercenari, in molti avrebbero preferito trovare una via di fuga ad est, ma erano ostacolati dagli Ideev – gli unici che erano davvero riusciti a cambiare qualcosa erano stati un gruppo di minatori.
Lord Vyde aveva comunque mandato degli Ideev a fermarli, ma quei suoi attacchi sembravano piuttosto prese in giro: non inviava sicari, bensì membri della sua squadra di Ladri. Erano in totale in nove, giunti da Vyde da ogni angolo della Valle Verde, di ogni età. Chiunque poteva entrare a far parte della squadra purché fosse mosso dall’avarizia. Il nobile aveva fatto in modo di addestrare i suoi Ladri, e in cambio offriva loro un letto proprio nella sua fortezza sul Lago Rosso. Assegnava loro degli incarichi, in seguito ai quali si sarebbero arricchiti, e chiedeva loro solo una piccola parte del ricavato, che la maggior parte delle volte i Ladri erano grati di offrire.
Così, uno degli incarichi dei Ladri, favorito dai più giovani, era quello di attraversare la Valle Verde, trovare i minatori nella zona delle Montagne, e non ucciderli, ma semplicemente rubar loro gli attrezzi. Magari far sparire i picconi la notte, e restare fino al mattino per godersi l’effetto di quello che da professione passava a uno scherzo.
Lord Vyde sapeva a chi assegnare quali incarichi: i giovanotti che facevano parte della squadra di Ladri andavano bene al loro posto, e non avrebbe mai potuto chiedere loro di uccidere. Non ce l’avrebbero fatta. Avrebbero odiato se stessi e soprattutto avrebbero odiato Vyde. E Vyde non voleva essere odiato da coloro su cui faceva affidamento, al contrario: quelli avrebbero dovuto sostenerlo, e tutti gli altri odiarlo, in modo che i suoi seguaci prendessero un’offesa rivolta a Vyde come un’offesa rivolta a loro stessi, e agissero di conseguenza, vendicando chi avesse insultato il loro Signore. Infatti erano proprio i Nove Ladri e pochi altri Ideev fidati a costituire il corpo di guardia della fortezza.
Reyns sentiva di aver capito tutto questo quando ormai era troppo tardi.
***
La baracca stava letteralmente cadendo a pezzi, ma dovevano correre il rischio; non c’era tempo da perdere. Le sedie e il piccolo tavolo erano coperti di polvere, e nessuno si azzardò a sdraiarsi sul letto, per non disturbare le povere cimici che vi avevano trovato una casa.
Le assi del pavimento scricchiolavano, in ogni angolo vi erano fitte ragnatele, il locale era buio eccezion fatta per la luce della luna che filtrava dai fori nel soffitto e dalle due finestre le cui inferriate ormai arrugginite sarebbero state facili da spezzare.
I membri del gruppo sistemarono le coperte sul pavimento. Daul rinunciò a una delle sue per darla ad Aera, che già tremava di freddo, nell’aria della sera, ma la ragazza non voleva accettare: come avrebbe dormito, Reyns?
Aveva appena trovato il coraggio di chiedergli di condividerla, ma notò che stava confabulando con Venam, probabilmente di questioni abbastanza importanti.
«Dobbiamo fare rapporto a Lord Vyde al più presto.» mentì Reyns, «È una questione molto urgente.»
Era soltanto una scusa per fare in modo che gli Ideev non restassero a contatto con loro abbastanza a lungo da capire che non erano affatto spie, e che non c’era stata alcuna scoperta da comunicare in tutta fretta a Vyde.
«Quindi tu e la ragazzina avete fretta? Ebbene, vi adatterete alla velocità del nostro gruppo.» ribatté Venam, a voce più alta, in modo che anche Aera sentisse, «Noi quattro siamo tutto ciò che rimane del nostro clan, ma siamo ancora il nostro clan,» spiegò.
Aera trattenne l’istinto di rispondere che anche lei e Reyns erano superstiti dei propri clan, che non erano affatto Ideev, ma rimase in silenzio. Nessun Ideev si sentiva un Ideev, ma ogni uomo aveva paura di mostrare la propria umanità, perché noi siamo in grado di leggere noi stessi e vedere ciò che si trova sotto la superficie, ma non consideriamo il velo che copre le identità altrui, e li giudichiamo in base a quella copertura. «E io sono il capo di questo clan, quindi sarò io a decidere a che passo procederemo verso la fortezza di Vyde.»
«Bene,» rispose Reyns, con un sorriso, «Come minimo siamo d’accordo sulla nostra meta.»
Venam sbuffò, e fu costretto ad inventarsi una scusa, pur di non dare ragione al ragazzino. «Questo è perché ci eravamo già diretti.»
«In questo caso si tratta di una fortunata coincidenza, dato che conosco una via che ci farebbe risparmiare almeno due giorni di viaggio.» abbozzò Reyns, sapendo che Venam lo avrebbe interrotto, come in effetti fece.
«Lo so bene anch’io.» disse, infatti, «Hai in mente di tagliare per il fiume Reemti, non è così?»
Un asse di legno scricchiolò sotto il peso di qualcuno; i viaggiatori si guardarono l’un l’altro, senza però identificare in nessuno degli altri né in loro stessi l’origine del rumore.
«Esatto,» confermò il ragazzo, non curandosi dei cigolii della vecchia casa. Se qualcuno fosse stato in ascolto e avesse avuto in mente di pedinare il gruppo, sarebbe stato peggio per lui – lo avrebbe aspettato un lungo e faticoso cammino.
«Era proprio quella, la mia idea.»
«Allora forse ti farà piacere sapere che io avevo già avuto quest’idea. Attraverseremo il fiume domani.» decise Venam.
Reyns annuì e augurò buonanotte ai suoi compagni di viaggio, per poi uscire dalla baracca, dicendo che sarebbe tornato presto. Le sue labbra erano curvate in un sorriso leggero – aveva vinto quella breve battaglia contro Venam. Era bastato convincerlo di volere la stessa cosa e che le decisioni fossero state tutte sue.
Gli uomini si raggomitolarono sotto le rispettive coperte, e nonostante patisse di più il freddo, Daul era felice di aver aiutato Aera a sopportarlo; si sarebbe sentito in colpa, sapendo di aver potuto dare una mano ma aver scelto di pensare a se stesso. Inoltre, da quando era un Ideev, non gli era capitato spesso di compiere delle opere di bene.
Ma Aera non stava ancora dormendo. La sua coperta era stesa in un angolo della casa, mentre lei era fuori, nell’aria fresca di una delle ultime notti di primavera, alla ricerca di Reyns.
Trovarlo non fu difficile. Era seduto a terra, all’angolo della casa, accanto alla finestra, e il suo sguardo era rivolto verso est, come se stesse dicendo addio a ciò che era stato costretto ad abbandonare. La sua casa, il suo clan... Aera non ne sapeva nulla, e nemmeno osava chiedere. Non sapeva che cosa il ragazzo tenesse chiuso dentro di sé, ma di una cosa era certa: si trattava di un grande dolore, forse insostenibile. Glielo si leggeva negli occhi, in quegli occhi tanto profondi, di un colore che chi non si fosse fermato a guardare avrebbe detto castano, ma che avevano sfumature dorate e amaranto.
Ora, nel blu della notte, quelle ultime sfumature risaltavano particolarmente, e davano un senso di tale bellezza e mistero alla figura di lui, che Aera si perse per qualche momento a osservarlo.
Poi qualcosa in quei suoi begli occhi cambiò: si oscurarono di un’ombra strana, che nemmeno Reyns conosceva, e che creò in Aera un senso di inquietudine. Era come un velo di un’oscurità sempre più profonda, un abisso sempre più nero, un vortice, una voragine, in cui le sembrò di vederlo sprofondare, e capì che in qualche modo doveva fermarlo, doveva risvegliarlo, doveva aiutarlo. Doveva salvarlo.
«Reyns?» si rivolse a lui, incerta, sentendosi colpevole per interrompere quel momento, forse di pace o forse di guerra dentro di lui. Forse la sua era solo una sensazione dovuta al sonno, dopotutto.
Il ragazzo si voltò a guardarla, come se si fosse appena svegliato da un sogno, o da un incubo.
«Aera,» balbettò, «Che ci fai qui fuori?»
La ragazza si avvicinò, sedendosi accanto a lui, «Potrei farti la stessa domanda.»
Reyns sorrise, senza tirarsi indietro quando le loro mani entrarono in contatto. Aera, invece, quasi volle sistemarsi i capelli o il vestito, ma alla fine non riuscì a costringersi a resistere alla tentazione di stringere la mano del ragazzo.
«Sono uscito perché avevo sentito un rumore,» iniziò a spiegare Reyns, «Poi mi sono perso a guardare questo spettacolo.» disse, facendo cenno al cielo, alla luna e alle stelle.
Allora anche Aera guardò; guardò le stesse stelle che ogni notte contemplava insieme a Zalcen, e ancora un colpo fu costretto a subire, il suo povero cuore. Nemmeno quello sarebbe mai più successo. Ma le stelle erano lì, davanti a lei, fuori dalla sua portata ma sempre davanti ai suoi occhi. Irraggiungibili, come ora lo erano Zalcen e Aniène. Erano tra quelle stelle, ora? Dove erano? Quali stelle erano comparse quella notte e non aveva mai visto prima? Quelle erano loro. Dovevano essere loro. Dove erano? Dove era, la sua famiglia?
«Cerchi i tuoi cari?» le chiese Reyns. Come avesse fatto a leggere i suoi pensieri, a entrare nel suo cuore, non riusciva a capirlo.
Poi pensò che forse, poco prima, Reyns stava facendo la stessa cosa.
«Sì...» ammise lei.
«Allora stai guardando dalla parte sbagliata.» disse Reyns, «Se tutti coloro che smettono di vivere prendessero il posto di una stella, nel giro di un mese il cielo notturno sarebbe rivestito d’argento.»
Aera rimase senza parole, e si voltò verso Reyns. Il suo sguardo, prima rivolto al cielo, si posò su di lei, alla ricerca dei suoi occhi. Ma appena li trovò abbassò di nuovo lo sguardo, alle loro mani, ancora unite, come a distrarla.
E Aera capì che Reyns aveva paura. Aveva paura che lei riuscisse a leggere, nei suoi occhi, i segreti e le colpe che non riusciva a dimenticare. Perché è proprio così, le persone che ci lasciano non diventano stelle, ma si tramutano in lacrime, e non le versiamo tutte per tenercele strette; ne teniamo qualcuna lì, sull’orlo dei nostri occhi, e una piccola spinta, un piccolo ricordo, è una grave minaccia.
Reyns non voleva piangere, ora, perché a ogni lacrima segue una spiegazione, e non poteva spiegare nulla ad Aera. Non ancora.
«Allora perché stavi osservando le stelle?» chiese al ragazzo, solo per costringerlo ad alzare di nuovo lo sguardo, e avere occasione di intercettarlo.
Non ci riuscì; Reyns alzò gli occhi al cielo troppo velocemente per lei. Allora era così, lo stava facendo apposta; stava fuggendo da lei. Sapeva che avrebbe capito.
«C’è davvero un motivo per cui gli uomini guardano le stelle?» si chiese Reyns.
Aera non seppe che rispondere, per un momento, poi si inventò una risposta dal nulla, come fanno i bugiardi, ma senza mentire: «Forse perché sono belle, luminose e irraggiungibili.»
Si voltò a guardare Reyns, per sentire il suo parere, e lo trovò che la osservava con gli stessi occhi con cui prima aveva osservato le stelle.
«Sì...» Reyns annuì. Belle, luminose e irraggiungibili, pensò, tuffandosi negli occhi di Aera e lasciando che anche lei si gettasse nei suoi, «Sono come te.»
***
Alla fine, Reyns e Aera avevano deciso di condividere la piccola coperta, raggomitolandosi fianco a fianco nell’angolo della casa dove la coperta era rimasta. Aera era rivolta verso il muro e Reyns verso la stanza, ma un senso di inquietudine aleggiava su di loro come avrebbe fatto un falco, che minacciava di scendere in picchiata da un momento all’altro.
Reyns percepiva la tensione di Aera, e non poteva negare di non trovarsi a sua volta perfettamente a suo agio, ma capì anche che stava a lui togliere di mezzo l’imbarazzo.
Ma come fare? Quelle che erano state le sue parole, poco prima, non aiutavano certo ad alleviare il senso di inadeguatezza e l’incertezza su dove si trovasse la linea che era bene non oltrepassare. Ah, se non ci fosse stata quella dannata linea e tutto fosse stato lecito, sarebbe stato molto più semplice!
Basta, doveva fermare la sua mente dall’avventurarsi oltre, e un modo per farlo era rivolgere ad Aera la parola, piuttosto che il pensiero.
«Non ti è mai capitato di ritrovarti in una situazione come questa?» le chiese. Un secondo dopo si maledisse per quanto stupida e vaga fosse la sua domanda.
«Ecco, io...» balbettò lei, «Ho già condiviso un letto con un ragazzo.» rispose.
Calò, per qualche secondo, un ambiguo silenzio.
E allora salirono al cuore di Aera, come onde, il dubbio che quella non fosse la sua domanda, o che le sue parole potessero venire mal interpretate.
«Intendo dire, solo perché non c’era un altro posto in cui dormire, quindi sì, è questa la situazione in cui mi sono già ritrovata.» si affrettò quindi a ritrattare, «Era questo che intendevi, no?»
Reyns rise, «Certo, capisco. Ma, proprio per questo, non c’è motivo di essere così nervosa, giusto?»
Aera sembrò rilassarsi. «Hai ragione.» disse, in un tono più grave, quasi malinconico, «È solo che sembra strano.» rifletté.
«Strano?» Reyns non capì, «In che senso?»
«Mi sembra strano pensare che, fin da quando ero bambina, non ho mai avuto un letto tutto per me, ed eravamo sempre in tre, in quattro, se non in cinque, ammassati sotto le coperte, perché l’inverno era così freddo... Ed eravamo maschi e femmine, bambini e bambine, ragazzi e ragazze, ma non sembrava strano, perché non c’era altro modo per dormire senza soffrire il freddo.» spiegò Aera, «E anche ora non abbiamo scelta, perché ci sono cinque coperte e noi siamo in sei, e non so perché ma sembra così strano...»
Di nuovo ci fu un attimo di silenzio, ma uno quasi completamente privo di nervosismo, tensione e imbarazzo.
«Forse...» ipotizzò Reyns, prima lasciando la frase a metà, insicuro, e poi schiarendosi la voce, «Forse è perché c’è qualcosa che non ci siamo detti.»
Aera rimase in silenzio ancora per qualche momento, e a Reyns parve un’eternità. Tanto più è importante la risposta che aspettiamo, tanto più lentamente passa il tempo.
«Credo di sì.» convenne, poi. «Ma credo anche che non ci sia bisogno di dirlo.»
«Già,» sospirò Reyns, «Si capisce benissimo, non è vero?»
«Temo di sì.» rispose Aera, «E temo che questo valga per tutti e due.»
«Non è nulla che dovremmo temere.» disse Reyns.
Aera si vide d’accordo.
«Domani mattina, quando ci sveglieremo, facciamo finta che questo sia un sogno, che ne dici?» propose il ragazzo,
«È un bel sogno.» commentò lei, «Non vorrei svegliarmi.»
«Allora addormentati.» disse lui.
Perché se è da un sogno che non vuoi svegliarti è da una realtà che ti vuoi addormentare. Quindi tutto era vero, ed entrambi lo sapevano, perché le verità si dicono soltanto al buio, e se qualcuno nel buio ascolterà non udirà mai bugie.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo Dieci ***


Capitolo Dieci

Il risveglio non fu dei migliori: un’asse del tetto cadde provocando un rumore che fece svegliare nel peggiore dei modi i sei viaggiatori, e come se non bastasse sopra di esso dormiva un gatto spelacchiato, che andò a cadere proprio addosso a Reyns, conficcando gli artigli nella gamba destra del ragazzo.
Non era nulla di grave, ovviamente, e il gruppo si incamminò presto, verso il fiume Reemti.
Man mano che si allontanavano dal Bosco delle Frecce, gli alberi di Wass erano sempre di meno. Il problema più grande era che le loro foglie seccavano tremendamente presto, quindi non si poteva portarle a ovest per curare eventuali ferite; anche i frutti, pochi giorni dopo essere stati raccolti, perdevano il loro succo dolce e diventavano farinosi e insapori.
Questa volta la strada era in aperta pianura, e lontano si riuscivano a scorgere le foreste. Proseguendo verso ovest ci si alzava sempre più di quota, e il Lago Rosso si trovava molto in alto, rispetto al livello del mare. La flora e la fauna sarebbero cambiate totalmente dal punto in cui si trovavano, quando avrebbero raggiunto la loro meta.
«Le foreste sembrano così vicine, da qui...» commentò Aera,
«Non saprei dirti quanto distano esattamente, ma in meno di una settimana dovremmo raggiungere la fortezza di Vyde.» le disse Reyns.
«Bene, non vedo l’ora.» La ragazza sentì un brivido correrle per la schiena; si sentiva vicina a Vyde e Tavem, ed era certa che sarebbe riuscita a portare a termine il suo piano. Niente le sembrava impossibile, ora che c’era Reyns al suo fianco.
«Sicura?»
La domanda del ragazzo la colse alla sprovvista – Aera non aveva mai dovuto fare del male a nessuno.
Quel Sicura?, all’apparenza innocente, racchiudeva in realtà un’altra domanda, anzi due, e rispondervi non era facile come sembrava.
Saresti pronta a togliere la vita a un’altra persona per una causa che ritieni giusta? Conosci le disastrose conseguenze del tuo gesto?
«Sì,» decise di rispondere, convinta, «Tutto il male che è accaduto alla Valle Verde... Tutto questo è opera sua. L’ultima cosa che si merita quel verme è di starsene tranquillo nella sua reggia mentre qui fuori vengono sterminati un clan dietro l’altro.»
«Certo, se ne sei così convinta...» mormorò Reyns.
Aera lo guardò storto, forse sospettosa. «Pensi per caso che Vyde o Tavem possano essere considerati meritevoli di una vita?» gli chiese, quindi,
«No, certo che no,» rispose lui, «Ma sai bene quanto me che tra vivere e restare in vita c’è una grande differenza.»
Le tornarono in mente le parole di Zalcen, e le ripeté, a se stessa e a Reyns. «Se non hai una dignità, quella non è più vita, diventa sopravvivenza.»
«Esatto!» convenne Reyns, come se quelli fossero da sempre stati i suoi stessi pensieri, e le parole di Aera fossero il modo più veloce, incisivo e corretto di esprimerli.
«Quindi il tuo piano sarebbe di privarli di ogni dignità per poi lasciarli andare?» chiese la giovane, «Come se ne avessero, quei due, di dignità...»
«Mi sembra di sicuro molto più crudele di una pugnalata al cuore.» rispose il ragazzo, «Ricorda, Aera, per uccidere un uomo non serve togliergli la vita, ma la ragione che lo spinge a vivere.»
Era vero, rifletté lei.
Ora che ci pensava, Reyns era molto simile a Zalcen, per certi aspetti. Non si vergognava più così tanto di averlo addirittura scambiato per lui. Entrambi erano saggi, ragionavano sul da farsi prima di agire, mentre Aera era inarrestabile, e quando aveva un’idea non c’era verso di togliergliela dalla testa.
«Ehi, piccioncini!» li chiamò Ridd, «Oggi si arriva al fiume Reemti!»
La notizia rese felice Aera, che non aveva mai visto un fiume che si potesse definire tale. Ancora non si riusciva a scorgere, ma anche solo il fatto di sapere di essere vicina al Reemti faceva sentire la ragazza fiera di se stessa, come se avesse scoperto un luogo sperduto nel mondo.
«Ehi, Reyns, tu l’hai mai visto, il fiume?»
«Sì, un paio di volte, credo.»
«Ed è bello?»
«Non saprei dirti... È acqua che scorre e va a sfociare a nord, per quello che so. Piuttosto, il mare del sud è bello come dicono?»
«Oh, sì! Quando ancora gli Ideev erano lontani, io e Zalcen passavamo i pomeriggi a guardare il mare, fantasticando di isole sperdute lontanissime dalla costa.»
«Tu e Zalcen eravate molto legati, a quanto pare.» commentò Reyns, abbassando lo sguardo,
«Sì,» rispose la giovane, malinconica, ripensando all’amico, «Ma non nel modo che pensi tu!» si affrettò a specificare, «Zalcen era come un fratello, per me.»
Reyns le sorrise, anche se con un velo di tristezza e rimorso che la ragazza non riuscì a spiegarsi.
Reyns non avrebbe mai potuto conoscere la sensazione di perdere un fratello: aveva perso la madre e poi il padre, e certo definirlo doloroso non era nulla in confronto a ciò che davvero aveva significato per lui, ma un fratello è qualcosa di diverso. Reyns cercò di immaginare; non aveva nemmeno un amico con cui fare un paragone. Aveva alleati, e qualcuno che in segreto avrebbe chiamato un fratello minore, ma il loro rapporto era diverso: non vi era un vincolo di fiducia, né tantomeno di sangue, ma si sentivano uniti, erano nella stessa situazione, e non si identificavano reciprocamente come nemici.
Ma non aveva niente di simile a un fratello, qualcuno che gli assomigliasse, magari, più o meno della sua età, che avesse condiviso con lui le esperienze di tutti i giorni, quelle che diventano abitudini, ricordi sepolti, immutabili, che non si riescono mai davvero a cancellare. Perdere tutto questo significa perdere una parte di se stessi. Quanto doveva essere forte, quella ragazza, per riuscire ancora a sorridere?
Forse non si sentiva particolarmente legata a tutto questo? Se fosse stato il caso, si sarebbero spiegati i suoi sorrisi, ma non la sua indiscutibile malinconia e di certo non la sua forza d’animo.
Reyns decise comunque di metterla alla prova: aveva paura del dolore, o lo affrontava e lo accettava come parte di sé?
«Aera, tu ti senti più Valliana o Orientale?» le chiese, dopo una breve pausa.
La ragazza rifletté brevemente, poi rispose: «I miei genitori saranno anche venuti dall’Est, ma non mi sento particolarmente legata a quelle Montagne. I miei primi ricordi li ho avuti qui, e le persone che mi circondano sono abitanti della Valle Verde, quindi alla fine mi sento Valliana anch’io.»
«Ne ero certo.» disse Reyns con un sorriso soddisfatto.
«Cosa intendi dire?»
«Sapevo da ancor prima di chiedertelo che avresti risposto in quel modo. Ti sei dimostrata più Valliana di molti altri che vengono davvero da qui, quando hai deciso di intraprendere questo viaggio. Come sai anche troppo bene, in molti, in troppi, hanno finito per unirsi agli Ideev. Prendendo quella decisione, non hanno tradito solo i loro clan, ma anche l’intera Valle Verde, perché unirsi agli Ideev significa contribuire alla sua distruzione. Tu saresti potuta scappare a est alla ricerca dei tuoi genitori, invece eccoti qui, nei panni di una spia Ideev, a rischiare la vita per un regno che non è nemmeno il tuo.»
Aera sorrise e distolse lo sguardo, lusingata, ma Reyns continuò, trovando il suo arrossire adorabile e irresistibile: «È ammirevole. Verrai di certo ricordata per questo.»
«Verrai ricordato anche tu, insieme a me.» aggiunse Aera, come a vendicarsi di quella dolce tortura che erano le sue parole.
Questa volta fu il ragazzo a sorridere.
Forse era solo una sensazione, forse era davvero un sogno, quello della notte precedente, ma Aera era sempre più sicura che Reyns provasse qualcosa per lei, qualcosa che andava oltre la stima e la simpatia. Gli occhi che aveva il giorno in cui si erano incontrati erano diversi, c’era più sorpresa che sentimento, i suoi occhi di ieri erano profondi, ma vacui se messi a confronto, e oggi risplendevano di una luce più viva, simile a una speranza.
Non poté evitare di fantasticare su come sarebbero stati gli occhi di domani.
                                                                                                                                   
Il suono dell’acqua che scorreva si faceva più forte a ogni passo che il gruppo compiva avvicinandosi al fiume. L’erba era più verde, rispetto a quella nella zona orientale; doveva essere proprio questo a dare il nome alla Valle Verde.
Osservando la linea dell’orizzonte, non si vedevano alberi di Wass, ma colline verdi, sentieri serpeggianti, e macchie più scure, i boschi; dietro, le montagne più alte, le foreste di un verde più scuro ancora. Faceva capolino tra gli alberi la nuda roccia del sentiero scosceso che un giorno il gruppo avrebbe percorso, ma non al completo.
«Anche il nome del fiume Reemti significa qualcosa, nella lingua Antica parlata qui?» chiese Aera a Reyns,
«Non ricordo molto bene,» ammise il ragazzo, «Ma credo che abbia qualcosa a che fare con il colore verde.»
«Esatto, ragazzo. Che porta il verde, letteralmente. La parola ree significava verde, una volta, e la Valle Verde era conosciuta come Reehar.» spiegò Ridd, sorridendo ai due ragazzi.
Quell’uomo era davvero simpatico, solare e gentile, e ad Aera dispiaceva che si fosse unito agli Ideev. In molti erano stati costretti dalle circostanze, per salvarsi, ma se si veniva a conoscerli – non sul campo di battaglia – erano tutti uomini al pari di ogni altro, ognuno con i propri ideali, le proprie morali e i propri valori. Li avevano accantonati per poco tempo nel momento in cui avevano preso la decisione di entrare a far parte dell’esercito di Lord Vyde, ma poi li avevano recuperati.
Ovviamente il ricordo della propria ipocrisia sarebbe stato per tutti un tasto dolente, ma era proprio il modo in cui reagivano a quel ricordo a renderli semplicemente Ideev oppure Ideev al servizio di Vyde. C’era chi non sopportava di pensare al passato, e cercava di distrarsi come poteva – come Ridd – ma c’era chi invece entrava a far parte del gruppo anche dal punto di vista ideale, e andava addirittura fiero di essere un Ideev. Quelli erano i più pericolosi, i più inarrestabili, quelli senza pietà.
C’era poi una terza categoria, non molto numerosa, di chi stava lottando per scegliere da che parte stare; era una battaglia silenziosa, ma i guerrieri che la combattevano sapevano quanto il dolore fosse struggente, dovendo far fronte ai propri errori, ogni notte.
Di questi guerrieri, alcuni diventavano traditori, altri sceglievano di annuire a testa bassa e piegarsi al volere di Vyde, ma le cicatrici che quella battaglia aveva lasciato li rendevano incapaci di accettare completamente i pochi valori che aveva l’Ideev ideale, che costituiva la maggior parte dei componenti dell’esercito di Vyde. Gran poco sarebbe bastato per scatenare la rabbia di uno di questi, e costringerlo a urlare e a piangere la sua battaglia interiore, coinvolgendo tutti coloro che gli erano vicini, facendo loro del male. Lord Vyde sapeva sfruttare anche queste situazioni. In ogni gruppo si assicurava che ci fosse un Ideev fidato, in modo che tenesse sotto controllo gli altri e troncasse sul nascere ogni tentativo di ribellione.
Tuttavia, talvolta era proprio quel particolare Ideev a cedere, e in quel caso l’intera squadra avrebbe rischiato di risentirne, ma per Vyde questo non era un problema. Di sicuro c’erano altri Ideev pronti a rimpiazzare un gruppo di traditori. Non c’erano altre possibilità, capì Aera. L’unico modo per liberare la Valle Verde era reprimere la propria rabbia e i propri istinti, mentire fino alla fine, e mentire anche a se stessi se necessario.
Ridd dava l’impressione di essere un buon Ideev, agli occhi di Vyde, e la ragazza cominciò a chiedersi se fosse proprio lui il più fidato nel piccolo gruppo; si chiese quanto avesse dovuto soffrire, per diventare così, e quanto grande fosse stata la sua perdita, per rendere vana la sua identità. Era chiaro che stesse fingendo e nascondesse la sua tristezza, e quella sua maschera le ricordava di Neal, che era invece l’ideale membro di qualsiasi clan; la spalla del capoclan, un ottimista che riesce sempre a tirar su il morale a chi si sente peggio, un maestro per i più giovani e un modello da seguire per tutti.
Pensare a Neal e pensare al clan la ferì ancora una volta, ma si faceva strada, tra le crepe sanguinanti del suo cuore, anche una speranza, a cui sentì di dover dar voce, anche se forse quel pensiero non si aggrappava a nulla, ma fluttuava nel comodo mare di impossibilità, di sogni, e di rimpianti.
«Chissà se anche altri membri del mio clan sono ancora vivi...» si chiese improvvisamente la ragazza,
«Credo che sia molto improbabile,» rifletté Reyns, «Visto che eravate praticamente circondati ed è impossibile andare più a sud.»
«Forse alcuni si sono uniti agli Ideev, per sopravvivere.»
«Li perdoneresti per questo?»
«Credo di sì. Insomma, è quello che stiamo facendo anche noi.»
«Noi non siamo Ideev,» la corresse Reyns, con un’espressione offesa, «Ne stiamo semplicemente vestendo i panni.» Le mise una mano sulla spalla e, abbassando la voce a un sussurro, le disse all’orecchio: «Dentro di noi ci sono l’unico superstite del clan Lokeef e l’unica superstite del clan Knej. Ricordalo.»

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Capitolo 12
*** Capitolo Undici ***


Capitolo Undici

Il fiume in sé non era nulla di particolare, ma per Aera significava molto: si stava avvicinando, e presto sarebbe arrivata al Lago Rosso, avrebbe raggiunto Vyde. L’avrebbe privato della vita, ma non l’avrebbe ammazzato, e l’avrebbe fatto per la libertà, e non per la vendetta.
La ragazza non aveva mai visto un corso d’acqua così largo, e si chiedeva come lo avrebbero attraversato.
«Be’, l’unico modo che abbiamo è questo.» le spiegò Daul, «Dovremo passare sulle rocce che sono state piazzate in acqua, vedi?» le indicò con un dito.
Aera si soffermò a guardare il simbolo sulla mano destra di Daul: sul suo le diagonali del quadrato spuntavano da tutti e quattro i vertici. Anche su quello che aveva lei stessa.
Quello che aveva Reyns invece era leggermente diverso: si notavano sbordare le diagonali solo dai vertici superiori, quelli vicini alle dita. Se se l’era inciso per non destare sospetti, perché l’aveva tracciato in modo leggermente scorretto? Forse non si era mai soffermato a guardare bene il simbolo e non lo ricordava perfettamente.
Ma, se quello fosse stato il caso, allora come era riuscito ad inciderlo sulla mano di Aera in modo esatto? Si era fermato a causa del dolore? Aveva dato l’idea di essere pronto a resistere, pronto a morire. Perché il suo simbolo era diverso? Era stato qualcun altro a inciderlo sulla sua mano?
Il primo ad attraversare il fiume fu Venam; nonostante l’età che dimostrava, l’uomo era sorprendente agile.
Dietro di lui iniziò a saltare da una pietra l’uomo che dal gruppo veniva chiamato Gatto, e del quale nessuno conosceva il vero nome. Ovviamente era lui ad essere il più agile di tutti.
A quel punto venne il turno di Reyns, che attraversò senza problemi. Infatti aveva detto di aver visto il fiume un paio di volte: con tutta probabilità l’aveva dovuto attraversare per poi tornare indietro.
«Avanti, tocca a te, ragazzina!» la spronò Ridd.
Anche se non la chiamava mai per nome, ad Aera non dispiaceva, dato che era il più simpatico dei quattro.
Vedendo gli altri, attraversare il fiume sembrava facile, tanto che a Gatto pareva venire naturale; Aera ebbe bisogno di più tempo. Saltò su un sasso molto grande, che però non era stabile, quindi sgattaiolò su un altro e barcollò. A quel punto si sporse troppo in avanti e perse l’equilibrio, ma mettendo avanti le mani riuscì a raggiungere una roccia che aveva di fronte, e non cadde in acqua; il vestito che indossava, però, inevitabilmente si bagnò. Era il minore dei mali, in quel momento.
«Tutto a posto?» si preoccupò Reyns, dall’altra sponda, la sua voce quasi totalmente nascosta dal fiume impetuoso e le risate dei quattro Ideev.
«Certo, sono solo scivolata!» mentì lei.
Si tirò in piedi con delicatezza e fece un piccolo balzo per raggiungere il sasso che aveva davanti. Soffocò un’imprecazione quando barcollò di nuovo, e pensò a quale fosse la più vicina tra le due pietre che aveva davanti ora; velocemente scelse quella a destra – dato che stava cadendo all’indietro rivolta verso di essa – e riuscì a raggiungerla, appoggiandovi il piede destro e dandosi la spinta per atterrare su una piccola isoletta a un salto dalla sponda. Forse era più lontana che un salto, ma non c’erano altri sassi più vicini alla riva, per cui tutto ciò che Aera poteva fare era prendere una breve rincorsa e sperare di arrivare là dov’erano Venam, Gatto e Reyns.
La ragazza guardò dietro di sé e vide che Ridd e Daul stavano saltando di sasso in sasso con un’agilità di cui lei, evidentemente, non era dotata. Fece in tempo a rivolgere di nuovo lo sguardo alla sponda dove stavano i tre che erano già arrivati, che i due Ideev la raggiunsero sull’isoletta.
«Ti serve una spinta?» le domandò Ridd, scherzoso.
«O serve che il signorino ti prenda in braccio, per convincerti?» aggiunse Venam, per poi scoppiare a ridere seguito da Daul e Gatto.
«Ce la faccio benissimo, se vi togliete di mezzo.» rispose la ragazza fulminando i quattro Ideev con lo sguardo, e sistemandosi i capelli che le coprivano il viso.
Gli uomini obbedirono, e inchinandosi con fare teatrale si allontanarono dal punto in cui Aera sarebbe dovuta arrivare saltando. Reyns invece si tirò indietro di qualche passo, senza tante smancerie.
«Di che cosa hai paura?» le chiese il ragazzo. Era diversa dalla classica domanda che fanno tutti. Se le fosse stato chiesto se avesse paura, Aera sarebbe stata costretta a rispondere semplicemente di sì. In questo modo, invece, le veniva data la possibilità di spiegare quale fosse il vero problema, e non solo mettere gli altri al corrente della sua esistenza.
Ma nonostante le fosse stata offerta questa opportunità, la ragazza evitò di dire completamente la verità: «Di cadere nel fiume.»
La vera risposta sarebbe dovuta essere più simile a Ho paura di deluderti, ma era già una situazione abbastanza imbarazzante di suo.
E poi, Reyns lo sapeva da prima di domandarglielo.
«Avanti, ho fiducia in te. So che puoi farcela.» le assicurò, come se Aera avesse davvero detto ciò che non aveva avuto il coraggio di esprimere. «E comunque ci sono qui io, se avessi bisogno di aiuto.» disse poi, protendendo il braccio, «Tu non hai fiducia in me?»
I quattro Ideev reagirono allo stesso modo: guardarono Aera, e attesero una sua risposta, senza più sghignazzare.
La ragazza però non riusciva a rispondere, anche se ciò che doveva dire era semplicemente .
Per qualche secondo, si udì solo lo scorrere dell’acqua del fiume impetuoso.
Allora Aera pensò di agire invece che di parlare. Dopotutto, sapeva che sarebbe bastato.
Si decise a saltare, arrivando appena alla sponda, che franò sotto il suo peso. Stava per cadere in acqua quando Reyns l’afferrò per un braccio e la strattonò verso la riva. Aera si ritrovò addosso al ragazzo, e lui steso a terra, con i capelli di lei in faccia. Passò un’interminabile manciata di secondi, durante la quale i due si guardarono negli occhi, rendendosi conto di non essere mai stati così vicini, e che seppure la posizione in cui si trovavano non era delle più comode, niente importava. In quei secondi, il mondo dell’uno si ridusse agli occhi dell’altra.
Lo sghignazzare di Ridd ruppe la magia di quell’istante; Aera, come risvegliandosi da un sogno e riprendendo il contatto con la realtà, si alzò e si scusò più volte con Reyns, il quale le rispose di non preoccuparsi, mentre i quattro Ideev ridevano di gusto.
***
Dalla sponda destra del fiume, nascosti tra gli ultimi alberi di Wass che segnavano l’ingresso nel Bosco delle Frecce, due Ideev osservavano il gruppo, già rimessosi in marcia verso ovest. Erano un giovane e un uomo adulto, ed entrambi tenevano il cappuccio calato sulla fronte.
Il giovane non si curava di nascondere la sua espressione indispettita agli occhi del compagno; nonostante l’età, era proprio lui a prendere le decisioni, e l’uomo annuiva, mesto, senza mai obiettare.
«Hanno davvero seguito questo percorso,» mormorò tra sé e sé il ragazzo, senza curarsi di venire sentito o meno dal compagno, «La strada più veloce, ma anche la più pericolosa.»
Appoggiato al tronco di un albero, cominciò a strappare l’edera che ne avvolgeva uno vicino, come a liberarlo dalla presa che l’aveva già ucciso. Era troppo tardi.
«Sei tu che avresti dovuto tenerli d’occhio, ieri sera.» ricordò poi, questa volta alzando la voce e rivolgendosi all’uomo, alle sue spalle, senza degnarlo di uno sguardo, «Che cosa hanno deciso, riguardo al loro viaggio?»
«È stato il ragazzo a proporre questa via.» rispose l’uomo.
Il giovane lo guardò, severo. «Mi prendi in giro? Vuoi farmi credere che quattro Ideev prenderebbero ordini da un ragazzino a cui poco prima hanno risparmiato la vita?» chiese al compagno.
«Forse non è un comune ragazzino, allora.» ipotizzò l’altro, copiando il giovane nel gesto di liberare un albero dall’edera, ma smettendo quasi subito, perché capiva che era una perdita di tempo, e che tutto ciò che ci avrebbe guadagnato sarebbero state delle mani sporche. E le sue mani già erano sporche, di un sangue che non sarebbe mai riuscito a lavare via.
«E chi potrebbe essere, allora?» domandò il ragazzo, ma non si aspettava una risposta dal compagno. La stava cercando da solo, ed era lì, davanti a lui.
L’uomo rimase in silenzio, anche se conosceva la risposta. Attese che fosse il ragazzo a trovarla. «Ma è ovvio!» si rese conto il giovane, strappando l’edera dal tronco dell’albero e gettandola a terra. Mosse due passi verso il fiume, e continuò a parlare. «Un ragazzino che avrà poco meno della mia età, e quattro Ideev adulti che gli danno ascolto. Quei cinque erano d’accordo, quel ragazzino e la sua squadra. È l’unico ad avere una squadra di quattro uomini. Può essere solo che lui. È il secondo. È Reyns.»
***
Nel pomeriggio il cammino era in discesa, e il gruppo stava allegramente chiacchierando.
Il sole stava per raggiungere le colline che si alzavano davanti a loro, facendo scintillare l’acqua del fiumiciattolo che vi scendeva. Era la perfetta immagine di uno degli ultimi tramonti primaverili, che già preannunciava l’estate.
Passando del tempo con i quattro Ideev, Aera si rese conto di temerli sempre meno, quasi di starsi aprendo a loro. Non si parlava mai del passato; era come un divieto per ogni Ideev rivolgere il pensiero ai giorni felici e lontani, ma c’era sempre qualcosa da dire, delle morali nascoste, dei lati positivi in un mondo che stava cadendo a pezzi, e ci si sentiva vicini gli uni agli altri, per il semplice fatto di farne parte, e avere paura del domani.
Reyns passò più tempo con Ridd, mentre Aera rimase a parlare con Daul e Gatto, che la aiutarono ad aprire gli occhi e la mente alla natura che la circondava, osservando più attentamente i sentieri quasi invisibili nell’erba alta, che potevano significare il passaggio di animali o altre persone, forse altri Ideev. La aiutarono ad aguzzare la vista e leggere le ombre della foresta; le distanze tra gli alberi erano importanti, perché erano sinonimo di sentieri percorribili da animali selvatici, persone o anche cavalli se non addirittura carri. Era altrettanto importante saper calcolare queste distanze a occhio, valutando la profondità, cosa che, Aera scoprì in seguito, il capogruppo non era in grado di fare.
Inoltre la ragazza imparò a fare attenzione a dove metteva i piedi, non solo per quanto riguardava ramoscelli e foglie secche, che come già sapeva erano rumorosi, ma anche per le semplici impronte lasciate da lei stessa o da altri; un tappeto erboso può sembrare sicuro, ma non sempre questo è il caso, e una volta nella foresta, l’erba sparisce quasi completamente.
Appena il gruppo entrò nel bosco, Aera si ritrovò completamente incapace di riconoscere il sentiero, nascosto da un tappeto di edera. Solo dopo qualche passo notò dove l’edera era più spoglia o vi erano foglie più piccole e di un verde più chiaro; nonostante fosse un sentiero boschivo, doveva essere molto trafficato dagli Ideev, che lasciavano tracce calpestando il loro stesso nome.
Venam dirigeva il gruppo e, come lui stesso disse, non voleva distrazioni. C’era qualcosa di ironico nell’affidarsi a un uomo che vedeva solo dall’occhio destro e portava una benda sull’altro, ma Venam era il capo, e il fatto che fosse cieco dall’occhio sinistro non sembrava turbarlo più di tanto. Aera non osò chiedere la storia dietro la sua benda, per lo stesso motivo per cui con gli Ideev non si poteva parlare del passato. Una volta diventati Ideev, non si era nient’altro e non si era mai stati nient’altro. Erano come anime in attesa del loro giudizio, oppure già nel profondo dell’Inferno, senza rendersene conto. Era un cambiamento, un passaggio.
Da prede a predatori. Da uomini a mostri.
***
«Se parte di essere Ideev vuol dire passare giornate come questa, non mi dispiace così tanto.» disse Aera, appena ebbero finito di accendere il fuoco e prepararsi a dormire.
«Sì, ma non penso che ti piacerebbe passare altre giornate come quella di ieri.» rispose Reyns, mentre sistemava la sua coperta.
«Ieri? Intendi... Ieri sera al villaggio sulla collina?»
In realtà, dentro di sé, Aera sperava che il ragazzo si fosse dimenticato di quel momento imbarazzante, nel quale si erano ritrovati a guardarsi negli occhi.
«Già, intendo proprio ieri sera.» confermò Reyns, «Anche saccheggiare i villaggi e uccidere i membri dei clan fa parte dell’essere Ideev, e ti assicuro che succede più spesso delle chiacchierate tra amici.»
«Dici? Io non so se riuscirei a recitare la mia parte, nel caso incontrassimo un clan ancora libero
«Oh, puoi stare tranquilla. Dove stiamo andando non ci sono clan, solo Ideev.» intervenne Daul, terminando la frase con un sorriso che ricordava più un ghigno, e che, unito alla luce tremolante delle fiamme e quella cicatrice sullo zigomo destro, gli dava un’aria alquanto inquietante.
Si avvicinò Gatto, chiedendo in prestito ad Aera il suo arco; aveva in mente di andare a caccia, per procurarsi una lepre o qualsiasi cosa avrebbe potuto costituire una cena per il gruppo.
Domandò poi a Reyns se aveva intenzione di venire con lui.
Aera ebbe la sensazione che ci fosse un secondo fine dietro l’invito di Gatto, forse quello di interrogare Reyns sul vero motivo del loro viaggio verso ovest, mentre Daul le avrebbe posto le stesse domande. Era logico che, a lungo andare, avrebbero dato risposte differenti.
Il ragazzo accettò l’invito; si legò la faretra al fianco sinistro, prese l’arco e si avviò verso il sentiero che Gatto aveva preso.
Aera lo fermò, preoccupata.
«E se capisce che non sei un Ideev?»
«Non preoccuparti, Aera,» la rassicurò lui, «Quando mi vedrà abbattere le prede con quest’arco, penserà che sia stato Vyde stesso a insegnarmi a usarlo.»
«Potrebbero scoprirci, se si mettessero a farci domande sui nostri motivi.»
«Allora diremo la verità.» risolse il problema Reyns,
«Confessare di essere traditori? Ci ucciderebbero senza pensarci due volte!» si preoccupò ancora di più lei,
«Non prima che io uccida loro.» disse Reyns, freddo, abbassando il tono di voce.
Aera si spaventò. Di che cosa stava parlando? Erano in quattro, ed erano Ideev, abituati a combattere. Superstiti di un clan, quindi i più forti. «Reyns...»
«Non mi importa di chi sono, né di quanti sono. Se diventeranno una minaccia per noi due, non mi farò scrupoli, e non mi pentirò delle mie azioni. Li ucciderò.»
La guardò negli occhi, vero, senza paure. Le fiamme che danzavano nei suoi occhi ne rendevano ancora più vivo il colore, tanto particolare, quel castano con una sfumatura indubbiamente amaranto.
«Fidati di me, Aera.» le ordinò. Perché il suo era un ordine, e i suoi occhi non ammettevano repliche. Reyns voleva Aera. La voleva viva, al suo fianco, finché non fossero arrivati alla loro destinazione.
La ragazza annuì, ma non perché se ne sentì costretta. Anche lei voleva Reyns, voleva fidarsi di lui, e voleva che quella fiducia fosse ricambiata, nonostante sapesse, avendolo sentito dire proprio da lui, che la fiducia uccide.
Lo lasciò andare, rimproverando se stessa per aver rischiato che Reyns potesse dubitare della sua fiducia. Non poteva accadere. Non doveva accadere. Non sarebbe accaduto, si disse.
Reyns era saggio almeno tanto quanto Zalcen: avrebbe dovuto fare affidamento su di lui, invece che continuare a dubitare. E poi aveva l’aria di essere quel tipo di ragazzo che sa badare a se stesso; la prima emozione che le aveva trasmesso era stata la sicurezza, ed era proprio ciò di cui aveva avuto bisogno, quella notte, sola in una grotta dopo che il suo clan era stato sterminato dagli Ideev.
Era dalla sua parte, la stava aiutando, e si fidava di lei.
Si sentì in dovere di ricambiare questi sentimenti.
«Quindi la tua paura è quella di togliere la vita a un’altra persona?» le domandò Daul, quando furono rimasti soli.
«Sì,» rispose lei, all’inizio. Poi però sentì di doversi correggere: «Voglio dire, no! Dipende da chi si tratta... La vittima.»
«Spesso, quando uccidi, la vittima sei proprio tu.» rivelò Daul, «E altrettanto spesso sono proprio quelle che chiamiamo vittime a commettere l’errore di mettersi contro la persona sbagliata.»
«Siamo noi a dover controllare le nostre reazioni alle disgrazie che ci capitano!» ribatté la ragazza, convinta.
«Non sempre possiamo, però.» rispose Daul, e terminò con un esempio molto pratico, e un messaggio, nascosto, che solo in seguito Aera fu in grado di cogliere: «È forse il fiume in piena a scegliere di uccidere il bambino innocente, o è il bambino che salta da un sasso all’altro che avrebbe dovuto fare attenzione al fiume? E, ancora, è il fiume a scegliere di gonfiarsi? Non è esso stesso vittima della piena, vittima della pioggia?»
«Che cosa intendi dire?»
«Fermati un attimo a riflettere. Non seguire la corrente. Quel fiume di parole potrebbe sfociare in un mare di bugie.»
***
«Non è scomodo, portare la faretra da quella parte?» domandò Gatto, indicando l’astuccio di cuoio che pendeva dal fianco sinistro di Reyns.
«Lo so.» rispose lui, sospirando.
Rimosse rapidamente le dita della mano destra dalla corda dell’arco; la freccia venne scagliata e andò a colpire alla testa la lepre, a una ventina di passi dai due Ideev. «Le ho detto di essere mancino, o non avrebbe mai creduto a ciò che le avrei raccontato su questo simbolo.» aggiunse, mostrando il dorso della mano a Gatto.
«E perché non avrebbe dovuto crederti? Di solito te la cavi, con le parole.»
Reyns nascose la sua inquietudine; per quanto lo riguardava, Gatto sapeva già troppo, ma si sentì costretto a ribattere: «Quale pensi che sarebbe stata la sua reazione, se le avessi confessato che ero d’accordo con un mio amico, già da prima che gli Ideev ci trovassero, a unirmi al gruppo, e che per questo ci eravamo aiutati l’un l’altro ad incidere questi dannati simboli sulle nostre mani, per essere marchiati per sempre?»
Si sforzò di far cadere qualche lacrima, in modo da convincere Gatto. Se quell’uomo avesse cominciato a sospettare qualcosa, sarebbe stata la fine. «Avrebbe creduto che il mio compagno avesse tracciato il simbolo sulla mia mano in modo errato perché era ancora esitante, ed era spaventato all’idea che ci dovessimo ferire a vicenda per sopravvivere? E se poi le avessi detto che era stato ucciso dagli Ideev, come avrebbe reagito? Avrebbe pensato che si trattasse di me, che le volessi fare del male, che fossi un traditore...»
«Perché, che cosa sei, in realtà?»
Reyns ebbe un colpo al cuore. Le cose stavano precipitando.
«Sono un Ideev, e lavoro per Lord Vyde.» mentì.
«Quindi porterai a termine il tuo compito senza che io o gli altri dobbiamo interferire?»
«Sì.»
«Altrimenti puoi solo immaginare che cosa accadrebbe alla tua compagna di viaggio
Reyns si morse il labbro. Avrebbe mentito fino a non saper più distinguere la realtà dalle sue stesse bugie, ma non avrebbe permesso a nessuno di rubargli Aera, tanto meno di farle del male.
«Va bene,» rispose, abbassando il tono di voce, «Ma Aera rimane la mia compagna di viaggio.»

 

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Capitolo 13
*** Capitolo Dodici ***


Capitolo Dodici

«Se il buongiorno si vede dal mattino, questa giornata farà davvero schifo!» fu il commento di Ridd, appena sveglio.
Sarebbe stata, infatti, una giornata molto faticosa: il gruppo avrebbe dovuto oltrepassare alcune colline per poi spostarsi a nord e prendere la strada che li avrebbe condotti a un villaggio, il giorno seguente.
In teoria, sarebbe stato possibile percorrere la distanza da un villaggio all’altro anche in un giorno solo, ma il gruppo era numeroso, doveva costantemente guardarsi le spalle, e per questi motivi era costretto a scegliere vie secondarie, scomode e tortuose, per liberarsi di possibili inseguitori.
Tuttavia, Aera non capiva il motivo per cui il gruppo potesse essere pedinato. Non le sembrava che stessero trasportando nulla di prezioso.
«Ragazzina, per gli Ideev non c’è nulla di più prezioso delle informazioni,» le spiegò Ridd,
«E si dà il caso che il signorino abbia avuto la bell’idea di urlare ai quattro venti che voi due siete delle spie, quando vi abbiamo trovato nel Bosco delle Frecce.» infierì Venam,
«Stavate per ucciderci!» si difese il ragazzo, «Ci stavate già puntando contro archi e frecce, e non avevo altro da rivelare per tentare di convincervi a risparmiarci.»
Reyns lanciò un’occhiata a Gatto, come a chiedere la sua approvazione. Forse apprezzava queste bugie più delle precedenti?
L’uomo annuì, e prese le sue parti. «Si sarebbe capito comunque.» disse, «Al villaggio li abbiamo lasciati nel punto più sicuro, abbiamo impedito loro di prendere parte al saccheggio, e poi siamo venuti a riprenderli e ad assicurarci che stessero bene. Qualunque Ideev ci avesse visti arrivare e ci avesse tenuti d’occhio avrebbe capito che lo scopo di noi quattro era quello di proteggerli.»
Daul convenne, come era solito fare quando a parlare era Gatto, «Già, probabilmente i nostri pedinatori vengono proprio da quel villaggio, sempre che abbiamo un seguito.»
«Certo che lo abbiamo!» intervenne il capo, «Forse non ci vedo, ma certo ci sento! In quella baracca dimenticata dagli Dei ci siamo tutti zittiti quando abbiamo sentito un asse scricchiolare, e pure i due ragazzini sono usciti per controllare se ci fosse qualcuno, giusto?» lanciò un’occhiata a Reyns e Aera, e la ragazza trasalì. Sembrava che anche la benda la stesse fissando dritta negli occhi, dritta nell’anima.
I due fecero di sì con la testa, e Reyns aggiunse che purtroppo non avevano visto nessuno, fuori.
«E allora perché ci avete messo tanto a rientrare?» domandò il capogruppo, «Pensavo che aveste trovato qualcosa e voleste dircelo. Forse avevate di meglio da fare?» insinuò, tornando a fissarli, concentrandosi su Reyns.
Il ragazzo si ritrovò appeso tra due, tre, quattro bugie, senza sapere che cosa fosse meglio dire. Aveva troppe idee in testa, e troppo poco tempo per controllare se tutti i pezzi combaciassero. Una parola sbagliata, una soluzione che avrebbe lasciato insoddisfatta anche solo una delle persone che lo circondavano avrebbe significato la fine della sua copertura. Ed era troppo presto per questo.
Fortunatamente, intervenne Aera. «In effetti, avevamo trovato qualcosa, ma non ci sembrava nulla di che.» disse, «Una foglia di Wass.»
E così dicendo, mostrò a tutti la foglia, ormai secca, che teneva nel fodero insieme al pugnale, e che si sarebbe sbriciolata se avesse fatto poco più che accarezzarne i margini che ricordavano la forma di una freccia.
Per un momento, Reyns non la riconobbe, poi si ricordò della foglia di Wass che aveva dato ad Aera per alleviare il dolore alla gamba; probabilmente l’aveva tenuta nel caso in cui il dolore si fosse intensificato, camminando, e quando poi era seccata, forse si era dimenticata di buttarla. Era una bella trovata, pensò il ragazzo, ora però Aera doveva continuare, sostenere la sua bugia, costruire una storia per supportarla. E fu fiero, ma anche amareggiato, nel vedere con quanta abilità la ragazza riuscì a destreggiarsi tra verità e bugie.
«Pensiamo che il nostro pedinatore si sia ferito in qualche modo e abbia avuto bisogno di medicazioni.» disse, «Questo significa che qualcuno ci starebbe seguendo fin dalle Foreste di Wass, e che potrebbe aver cominciato a seguirci proprio da lì, quindi è plausibile che stia cercando noi due tanto quanto che sia sulle tracce di voi quattro, visto che il Bosco delle Frecce è il luogo in cui ci siamo incontrati.»
I quattro Ideev si presero qualche momento per esaminare la foglia, per poi passare alle parole di Aera. Era totalmente plausibile, considerati i pochi elementi di cui disponevano per ricostruire la situazione.
«Quindi...» cominciò a dire Ridd, «Che cosa pensiamo di fare, ora?»
«Prima di tutto dobbiamo rimetterci in marcia prima che scoppi un temporale.» rispose Venam facendo cenno al cielo nuvoloso sopra di loro, «E, tutti quanti, guardatevi le spalle, guardatevi a destra e guardatevi a sinistra, gambe in spalla e seguitemi! Chiunque sia il maledetto che ha deciso di pedinarci dovrà faticare un bel po’ oggi, e così anche noi. In marcia, muovetevi!»
Spronò invano il gruppo ancora qualche volta, con una grinta e una vitalità che solo lui aveva.
Reyns affiancò Aera, che camminava sola, ultima, persa nei suoi pensieri, e stringeva ancora tra le mani la foglia di Wass che li aveva appena scagionati da ogni sospetto, ma ne aveva creati degli altri, forse infondati.
«Ti ringrazio,» le disse, sorridente, poggiandole una mano sulla spalla.
La ragazza sussultò e lasciò andare la foglia di Wass, che svolazzò via nel vento che preannunciava la tempesta, e si perse nell’erba alta e ondeggiante alle loro spalle, accompagnata dai sospiri del vento.
«Oh, perdonami, non volevo spaventarti...» si scusò il ragazzo,
«No, no, ero io che avevo la testa tra le nuvole.» disse lei, sistemandosi i capelli che, a causa del vento, le coprivano il viso, «Dicevi?»
Reyns distolse lo sguardo, e forse arrossì. Ci aveva già messo del coraggio a ringraziarla la prima volta, e ora doveva ripeterlo? Poco importava, si disse. Era quello che sentiva di doverle dire, e l’avrebbe ripetuto dieci, cento, mille volte se avesse dovuto. «Volevo ringraziarti per il tuo aiuto, prima.» disse, allora, «Non avrei saputo che cosa inventarmi, e sinceramente non ricordavo che avessi tenuto quella foglia, quindi...» cercò qualche parola, qualcosa di speciale, poi si disse che non aveva senso, e doveva semplicemente lasciare che fossero le sue labbra a parlare, il suo cuore a esprimersi.
No, quello avrebbe fatto bene a tenerlo a bada. «Spero di poter contare ancora su di te.»
Aera sentì un misto di orgoglio e qualcosa d’altro salirle al petto, una fiamma che non conosceva, ma che la fece sorridere. Sì, Aera sfoderò uno di quei suoi sorrisi, ormai sempre più rari, che erano svaniti, che Zalcen ricordava tanto bene, e lo donò a Reyns, insieme a una promessa, seguita dal suo consueto rito di portarsi il Ciondolo dell’Aquila alle labbra: «Certo che puoi, farò tutto ciò che posso per aiutarti.»
Reyns ricambiò il sorriso, per poi volgere lo sguardo a ovest. Il vento soffiava contro di loro, avvicinando le nuvole, e rendendo ancora più faticosa la salita sul versante della collina, che era solo la prima che il gruppo avrebbe dovuto superare quel giorno. E forse solo per ricambiare quella sua promessa, ma probabilmente anche per un altro motivo che presto non avrebbe più potuto nascondere, Reyns prese Aera per mano e la aiutò a salire, mentre il vento non mostrava pietà nemmeno per la sua amica d’infanzia, per sua sorella.
E mentre l’aria si rinfrescava, i lampi illuminavano l’orizzonte, i tuoni rimbombavano nella Valle Verde, il cielo era grigio e minacciava di piovere.
***
Fu quello che accadde verso mezzogiorno: il terreno era scivoloso, e la pioggia stava diventando sempre più simile a un temporale estivo.
Sul sentiero sull’ultima collina, Aera continuava a scivolare, mentre Reyns e Gatto la aiutavano a salire, e quando finalmente raggiunsero la cima si ritrovarono tutti bagnati e infangati.
In quelle condizioni era facile perdere l’orientamento, ma Venam riusciva a guidare il gruppo anche senza vedere praticamente nulla di ciò che lo circondava, tanto che neanche il fatto di vedere da un solo occhio e portare una benda sull’altro era un problema.
Quei quattro Ideev erano una squadra, come se fossero ancora il clan che avevano smesso di essere – erano uniti e pronti ad aiutarsi. Gli Ideev non erano affatto cattive persone, erano semplicemente uomini al servizio di una persona cattiva.
«Avanti, da questa parte!» li chiamò Venam, e il gruppo, con una strana allegria, continuò a passo svelto, felice dato che presto ci sarebbe stata una discesa.
***
Forse, ripensandoci, non c’era da stare allegri: con quell’acquazzone non si riusciva a scendere, si poteva solo tentare di frenare mentre si scivolava. A causa di queste condizioni, Aera cadde almeno quattro volte, ma non fu la sola; l’unico a rimanere in piedi fino alla fine fu Gatto, come era prevedibile.
Persino Reyns maledisse il suo stesso nome, quando per ultimo raggiunse il resto del gruppo, scivolando per quasi metà del versante della collina. Imprecò contro qualunque divinità di cui riuscisse a ricordare il nome, ma io lo perdonai, per questo.
«Sarà perché ho passato la salita a scivolare all’indietro e la discesa a scivolare in avanti, ma a me è sembrata più breve.» disse Aera, una volta tornata a camminare in pianura, mentre il fango rallentava il suo passo.
«Non saprei dirti se è soltanto una sensazione,» le rispose Gatto, «Potrebbe anche essere che ci siamo alzati di quota.»
«Potrebbe anche essere?» intervenne Venam, «Ma è ovvio! Stiamo andando al Lago Rosso, l’hai dimenticato? E ti sembra al livello del mare, il Lago Rosso?»
Il suo battibecco con Gatto continuò per qualche minuto; partito da un argomento tanto banale, sembrava che stesse per scatenarsi una vera e propria guerra, e che il gruppo stesse per dividersi in due: Daul e Gatto da una parte, e gli altri quattro al seguito di Venam dall’altra. E fu proprio allora che i due vennero zittiti, non da un altro dei membri del piccolo gruppo, ma dall’arcobaleno che si proiettò davanti a loro, quando smise di piovere.
Aera arrossì, dato che nessuno poté evitare di fare commenti positivi sul suo nome, ma nemmeno lei si tirò indietro, ed ebbe il coraggio di fare un piccolo complimento, esprimere un semplice dato di fatto, che però significava molto, per lei: «Non avremmo mai visto quell’arcobaleno, se non avesse piovuto.»
Reyns sorrise, e questo le bastò.
Tornando però a riflettere sulle parole di Venam e mettendo insieme i pezzi di informazioni che aveva ricevuto da lui, da Reyns, dagli altri Ideev e dai membri del suo clan, il buonumore di Aera lasciò il posto alla preoccupazione: il Lago Rosso si trovava davvero in alto, rispetto al mare, tanto che durante l’inverno le sponde ghiacciavano, e oltre il lago, a ovest, c’era soltanto uno strapiombo.
Era impensabile, fuggire da quel punto; la strategia di Vyde era davvero infallibile. Posizionato in un punto come il Lago Rosso, se anche qualcuno avesse avuto in mente di ucciderlo, non sarebbe potuto scappare – a ovest no di certo, e a est ci sarebbero stati solo Ideev ad attenderlo.
Vyde puntava tutto sul fatto che gli abitanti della Valle Verde fossero uomini; gli uomini non vogliono rischiare la vita senza avere risultati immediati, che si possono toccare. Mettersi contro Vyde significava sacrificare la propria vita per garantirla al resto degli abitanti, ma a quel punto, perché morire per dei codardi come gli altri?
Per la prima volta, Aera provò il desiderio di tornare a est, scappare oltre le Montagne, ma poi si ricordò perché aveva fatto tutta quella strada, e ciò che le aveva detto Reyns: sarebbe stato pronto a sporcarsi le mani, a fare qualsiasi cosa per la libertà della Valle Verde.
Anche a morire?

 

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Capitolo 14
*** Capitolo Tredici ***


Capitolo Tredici

«Reyns...» lo chiamò sottovoce, preoccupata, mentre il gruppo si stava sistemando per la notte.
«Sì?»
Il ragazzo le si avvicinò, guardandosi le spalle per timore che gli altri Ideev si insospettissero vedendoli parlare in segreto, come stavano facendo. Le diede un’occhiata e notò che c’era qualcosa che la rendeva nervosa. «C’è qualche problema?»
Aera si guardò a sua volta attorno, poi, sussurrando, diede voce alle sue preoccupazioni.
«Che cosa faremo dopo aver eliminato Vyde e Tavem? Dove scapperemo?»
Reyns abbassò lo sguardo; ci aveva già pensato, e aveva accettato che, se fossero riusciti nel loro intento, sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbero fatto.
Ma come avrebbe potuto dirlo ad Aera? Come si può affrontare un argomento del genere con leggerezza? Ci sono questioni di cui parlare solo quando si è già in ansia; non è giusto guastare la serenità altrui per una propria preoccupazione.
«Non credo che si possa scappare.»
Aera ebbe un colpo al cuore: durante la giornata aveva tentato di pensare a qualsiasi modo per lasciare la fortezza di Vyde viva, ma il fatto che Reyns le avesse risposto con tono così sicuro che non c’era speranza le faceva credere che il ragazzo stesse dicendo la verità.
«Già... Neanche io.» concordò.
Stranamente, non si sentiva affatto triste. La sua preoccupazione svanì in un istante, dopo aver finalmente capito che semplicemente non c’era nulla da fare. Sarebbe morta. Dunque la sua ansia non era dovuta alla paura di morire, ma piuttosto alla paura di morire invano, con una speranza di salvarsi. Se questa speranza non c’era, allora che cosa aveva da perdere? Non aveva altro che se stessa.
Ma ecco che si fece strada, quella dannata speranza – le speranze riescono sempre a farsi strada.
«E se gli Ideev non attendessero altro che la morte di Vyde?»
«Non quelli a ovest,» rispose Reyns, troncando sul nascere quel bagliore di speranza dal quale Aera rischiava di venire accecata, «Quelli stanno dalla parte di Vyde. Si sono uniti al suo esercito perché quell’uomo dà loro ciò di cui hanno bisogno, ossia il denaro. Una volta pagati quei pochi Ideev, tutti gli altri vengono minacciati, e lo spreco di risorse è minimo.»
«Ma come fa ad avere tutti quei soldi?»
«I villaggi Ideev, che sono in gran numero nella zona occidentale della Valle Verde, offrono mensilmente dei tributi a Vyde. Inoltre ho sentito dire che commercia con l’Est.»
«Certo, il famoso Mondo Non Conosciuto, cioè il mio popolo! Scommetto che anche loro sono minacciati.»
«Vyde ha un complice, laggiù.»
Aera gli restituì uno sguardo stupito. «E come fai a saperlo?»
«I messaggeri di Vyde e quelli di questo suo complice sono costretti a passare dalle Montagne. I clan della zona avevano informazioni a riguardo, e il clan Lokeef era uno di quelli.»
«Lo è ancora.» affermò Aera, sorridendo al ragazzo, alludendo a ciò che lui stesso le aveva detto il giorno in cui si erano incontrati: entrambi i clan Knej e Lokeef avrebbero continuato a vivere, dato che loro ne erano i superstiti.
Il giovane le ricambiò il sorriso e continuò a rivelarle ciò che sapeva: «Comunque, credo che questo suo complice comandi un secondo esercito, simile agli Ideev, e tramite i suoi soldati abbia instaurato nei contadini Orientali una mentalità contro i sovrani del loro stesso regno. Ovviamente, dato che il Re e la Regina devono pagare Vyde, tramite il suo complice, per non essere attaccati da entrambi gli eserciti, hanno dovuto aumentare le tasse per gli abitanti, quindi è nato il malcontento tra i cittadini del Mondo Non Conosciuto Orientale. Inoltre, il complice di Vyde ha spinto i contadini a organizzare rivolte, che peggiorano ancora di più la situazione del regno dell’Est.»
«Ma se Vyde ha bisogno del denaro dei sovrani, in questo modo non sta peggiorando la sua stessa situazione?»
«Penso che il denaro gli serva solo momentaneamente. Quello che davvero vuole Vyde è controllare l’Oriente. Dal poco che hanno rivelato i messaggeri, sembra che abbia intenzione di chiedere la mano della principessa Orientale. O, più che di chiederla, di ottenerla con la forza.» Reyns distolse lo sguardo – qualcosa lo turbava. In effetti, Aera non poteva dire di non condividere questa sensazione di inquietudine: non aveva idea dell’aspetto o dell’età né della principessa Orientale né di Lord Vyde, ma non poteva fare a meno di associare la purezza all’immagine della prima e quella della corruzione e dell’oscurità al nome del secondo. Il fatto che una giovane nobile e innocente rischiasse di cadere nelle grinfie di un essere tanto malvagio turbava anche Aera, che cominciava a capire i pensieri e gli stati d’animo di Reyns.
«Vyde non vuole affatto che il regno dell’Est vada in bancarotta.» continuò a spiegare il ragazzo, «Al contrario, vuole che i sovrani si arrendano, ma loro tengono duro, perché sanno ciò che ha in mente. Il complice di Vyde ha tentato più volte di convincere il Re e la Regina, ma da quel che ho sentito dire, sembra che la principessa Orientale sia misteriosamente scomparsa.»
«Scomparsa? Com’è possibile?»
«Vista la situazione nell’Est, sembra che molti siano stati costretti a nascondere i propri figli in questo regno, affidandoli ad alcuni clan della zona vicina alle Montagne. Io stesso ho dei dubbi su chi siano realmente i miei genitori, e so per certo che alcuni dei miei compagni venivano dall’Oriente. Quelli che io ho sempre considerato mio padre e mia madre erano due membri del clan Lokeef, ma c’era qualcosa di strano in loro, un certo distacco, specialmente da parte di mio padre, dopo che...»
Il ragazzo fu costretto a fare una pausa. I suoi genitori, entrambi morti. Prima sua madre, poi suo padre, come se la Vita stessa si fosse voluta prendere gioco di lui. Il dolore, trasformato in rabbia, si era diretto verso l’estremo ovest, verso il Lago Rosso, verso Vyde, ed era tanto che nemmeno la vita era più importante della vendetta, ora. Aveva avuto un’occasione, aveva fatto la sua scelta. Dopo la lunga battaglia, aveva capito da che parte stare.
Fu in grado di fermare le lacrime. «Ma forse il motivo era un altro.» mentì, per poi cambiare discorso, «Probabilmente anche i sovrani hanno nascosto qui la loro figlia, ed è per questo che gruppi di Ideev come quello a cui ci siamo uniti stavano setacciando la zona. La principessa potrebbe anche essere già stata uccisa, visto che ora tutti i clan sono stati sterminati, ma c’è una possibilità che sia riuscita a nascondersi, forse in una grotta sulle Montagne, o che sia tornata a est, il che avrebbe conseguenze peggiori, di cui lei non è sicuramente al corrente. Dobbiamo fermare Vyde prima che sia troppo tardi per lei.»
Aera ebbe un colpo al cuore: quando pensava alla figura pura e innocente della principessa, le veniva naturale attribuirla a... «Aniène!» soffocò il suo panico, portandosi le mani alla bocca, «Quanti anni dovrebbe avere, più o meno, la principessa Orientale?» chiese, sperando in una risposta che allontanasse da lei quell’idea spaventosa.
«So solo che dovrebbe essere nata dopo l’arrivo degli Ideev.»
«Gli Ideev sono comparsi poco dopo la nascita di Zalcen...»
La ragazza strinse la sua collana, il Ciondolo dell’Aquila, pregando che non si trattasse davvero di Aniène, che fosse solo una coincidenza, che la principessa Orientale stesse bene e fosse riuscita a nascondersi da qualche parte.
Tutt’a un tratto le venne in mente di fare una domanda a Reyns. Sapeva tanto sull’Oriente che forse avrebbe saputo risponderle.
«Reyns, sai se il mio ciondolo significa qualcosa, per l’Oriente? Me l’hanno lasciato i miei genitori. O, almeno, questo è quanto mi è stato detto.»
«Pensavo che tu lo sapessi.»
«I membri del mio clan dicevano che l’esistenza di questo ciondolo equivale l’esistenza del Bene, e che non avrei mai dovuto toglierlo, così gli Ideev un giorno se ne sarebbero andati. Ovviamente me lo dicevano perché ero una bambina, ma i miei genitori non me l’hanno lasciato per caso, giusto?»
«Non lo so... È comunque un bel ciondolo, è di fattura pregiata, deve valere parecchio. Quindi se te l’hanno lasciato deve avere un significato non poco importante, per la tua famiglia. Potrebbe simboleggiare un tuo parente, la tua famiglia, forse una casata.» ipotizzò Reyns, «Potresti essere di sangue nobile, sai?»
Aera sorrise con malinconia, e con un certo rancore verso la sua famiglia, il clan Knej. Un rancore che la feriva, e che non riuscì a tenere per sé. «Oh, come avrei voluto conoscere la verità prima di arrivare a questo! Invece mi è stata tenuta nascosta anche la stessa esistenza di un regno al di là delle Montagne. Quando ero piccola, gli uomini e le donne del clan mi ripetevano che nessuno era mai stato in grado di superarle, e io credevo alle loro parole come una stupida. Reyns, parlare con te mi sta facendo aprire gli occhi. Sono convinta che continuando a ragionare insieme potremmo conoscere tutta la verità sul nostro passato.»
«E magari scopriremo che siamo più simili di quanto immaginiamo.»
***
Quando calò la notte, Daul e Gatto accusarono di sentire delle voci provenire da dietro un cespuglio, ma nessuno, oltre a loro, sembrò badarci.
«Perché i pedinatori di cui sospettiamo dovrebbero farsi vedere proprio adesso?» chiese Venam, «Siamo Ideev, e siamo in sei. Chi potrebbe mai volersi mettere contro di noi?»
«Un numeroso gruppo di traditori, ad esempio.» ipotizzò Daul.
«Stiamo solo eseguendo degli ordini,» disse Ridd, ingenuo, «Perché dovrebbero avercela con noi?»
«Forse proprio per questo.» si intromise Reyns,
«Esatto.» convenne Gatto, «E se fossero dei superstiti di qualche clan?» azzardò, lanciando un’occhiata a Reyns e Aera. «Dovremmo eliminarli...» aggiunse con un ghigno, estraendo il pugnale dal fodero, senza staccare lo sguardo dai due ragazzi.
Aera sentì un brivido correrle per la schiena. Gatto era l’unico, tra i quattro membri del gruppo di Ideev, che riusciva a spaventarla in quel mondo. Persino Daul, grande e grosso almeno quanto Gatto, all’apparenza sembrava più docile, e anche con quella cicatrice sul volto, era facile capire che i suoi sorrisi erano sinceri.
Ma Gatto era diverso: era tanto misterioso che apparentemente nessuno conosceva il suo nome, i suoi occhi vispi e blu come la notte non lasciavano trapelare nessuna emozione, e la sua pelle scura tradiva il suo accento, marcato e settentrionale.
«Inoltre, questo spiegherebbe la foglia di Wass che ha trovato la ragazzina.» continuò l’uomo, «È probabile che chi è uscito vivo da uno scontro si sia ferito, giusto?»
Reyns continuò a fissarlo dritto negli occhi, senza paura. La luce tremolante delle fiamme dava al suo sguardo ancora più decisione, e accentuava le sfumature amaranto nelle sue iridi castane.
Prese la mano di Aera, per calmarla, ma la giovane non riusciva a non pensare al peggio.
«Be’, in quel caso,» iniziò a dire il ragazzo, «Invece di eliminarli potremmo convincerli a unirsi a noi. Non c’è bisogno di ricorrere alla violenza. Cambieranno idea da soli quando capiranno che è più vantaggioso stare dalla parte di Vyde!» esclamò, per farsi sentire dagli ascoltatori nascosti tra le foglie, che rimasero immobili e non fiatarono.
«Ovviamente,» riprese poi, a voce più bassa, «Questo nel caso in cui ci fosse qualcuno, dietro quei cespugli.» li indicò, e, con un sorriso, terminò dicendo: «Il che mi sembra alquanto improbabile.»
«So cosa ho sentito!» ribatté Gatto, aggressivo.
«Calmati, micio,» lo scherzò Ridd, «Per quanto mi riguarda, è più probabile che si tratti di qualche ladro, o della tua immaginazione.»
«Nemmeno tu ci credi, Ridd?»
«Se avete ragione, perché non si fanno semplicemente vedere e ci attaccano, questi traditori? O perché non l’hanno fatto prima, mentre eravamo stanchi, sotto la pioggia, e non vedevamo a un palmo dal naso?»
«Questo perché saranno stati nella nostra stessa situazione!» ribatté Gatto, «Staranno aspettando che diventiamo vulnerabili, che ci mettiamo a dormire...»
«Insomma!» intervenne Venam, con il tono che usava quando stava per dare ordini, «Se ne siete così sicuri, allora rimanete svegli a fare la guardia. Che siano traditori, superstiti, ladri o illusioni, non si devono intromettere. Vi ricordo che abbiamo un compito da portare a termine, e che la ricompensa, questa volta, è qualcosa di estremamente prezioso.»
Aera non si fece sfuggire i sorrisi sui volti di tutti e quattro gli Ideev; avevano già in mente di andare a ovest da prima che incontrassero lei e Reyns? A quanto pareva sì. Ma allora perché li avevano incontrati mentre erano apparentemente a zonzo per il Bosco delle Frecce?
Dopo aver dato la buonanotte ai compagni di viaggio, non parlò con Reyns, anche se in lei si stava facendo strada un’ansia crescente; Gatto l’aveva guardata male, ne era sicura. Sospettava qualcosa. Era pericoloso. Che cosa avrebbe dato perché sparisse!
No, non avrebbe dovuto desiderare queste cose. Se ancora, dopo il suo tradimento, dopo le sue bugie, le erano rimaste un briciolo di dignità e innocenza, non avrebbe dovuto gettarle via riponendo le sue speranze in qualcosa di tanto ingiusto e tanto immorale.
Ma ancora, si ritrovò faccia a faccia con la vera se stessa, con i suoi istinti, che avevano sempre ragione. Sarebbe stato meglio per lei, sarebbe stato meglio per Reyns; la loro situazione, già di per sé precaria e intricata, tra bugie e tradimenti, sarebbe stata molto più leggera – o meglio, molto meno pesante – se solo Gatto fosse uscito di scena.
E Aera capì anche che Reyns doveva essere già arrivato ad accettare anche questo, quando la sera precedente le aveva assicurato che non si sarebbe fatto scrupoli ad eliminare con le sue mani non solo Gatto, ma anche gli altri tre, se li avessero ostacolati. Reyns aveva a cuore il loro obiettivo più di qualsiasi altra cosa. Era convinto, deciso, ostinato a raggiungere la fortezza di Vyde. Nient’altro aveva importanza per lui, nemmeno se stesso.
E allora si fece strada un dubbio, una domanda di cui Aera conosceva già la risposta, ma che la ferì comunque, forse nell’orgoglio, forse nel cuore. Se davvero nulla era importante per Reyns più della libertà della Valle Verde, significava che anche lei stessa non doveva valere molto per lui. Sì, nonostante la verità fosse scritta nei suoi occhi, e fosse stata già in parte confessata, i sentimenti di Reyns dovevano essere cambiati, e anche i suoi avrebbero dovuto farlo, o avrebbe sofferto troppo, avrebbe agito d’impulso quando invece avrebbe dovuto avere sangue freddo.
Doveva tenere fede alle sue parole: la libertà della Valle Verde era più importante, quindi se si fosse ritrovata a dover scegliere tra essa e la vita di Reyns, la libertà avrebbe dovuto avere la meglio, così come avrebbe trionfato sulla sua stessa vita. Perché, allora, non riusciva ad accettare questo, né tantomeno il pensiero che Reyns potesse essere già arrivato ad accettarlo? Forse perché non era vero?
E poi c’era la questione delle voci che Gatto e Daul avevano sentito – era passata in secondo piano. Di chi si poteva trattare?
Fu tentata più volte di voltarsi e chiederlo a Reyns, ma si trattenne sempre, consapevole dei sospetti di Gatto.
Continuò a ragionare da sola, anche se con la mente annebbiata dal sonno. Escluse l’ipotesi di Ridd che si trattasse di un ladro; il gruppo si trovava vicino al villaggio di Reekir, dove c’era molto da rubare, e non trasportava nulla di prezioso, dal punto di vista materiale. O forse sì, ma Aera non lo poteva immaginare. Chissà di che cosa si trattava, il famoso compito che Venam, Ridd, Daul e Gatto dovevano portare a termine...
E se fossero stati davvero in possesso di informazioni estremamente importanti, camuffate dalle bugie di Reyns? Allora, più che di un ladro, si sarebbe trattato di un traditore, di qualcuno che voleva rubare il posto a quei quattro Ideev.
La ragazza pensò di potersi dire al sicuro; se il traditore aveva in mente di fermare quei quattro, lei e Reyns non c’entravano, e se i due ragazzi si fossero ritrovati soli sarebbe stato molto meglio.
Ma non era il traditore. L’unica certezza era che ci fosse più di una persona, dietro quel cespuglio: Daul e Gatto avevano infatti sentito delle voci, non il semplice fruscio delle foglie.
Ma no, dopotutto non era neanche certo che ci fosse qualcuno. Con tutta probabilità si trattava di una paura, di quelle che ci facciamo quando pensiamo che tutto stia andando troppo bene. Perché quando le cose vanno male, al massimo ci lamentiamo; è quando vanno bene che cominciamo a sospettare di aver tralasciato qualche aspetto negativo.
Quando si comincia ad essere felici, si vuole fare di tutto per proteggere quella serenità, ci si impegna a rimuovere anche il più piccolo ostacolo, e si sospetta che anche la più piccola imperfezione possa peggiorare drasticamente la situazione. Perché quando abbiamo toccato il fondo possiamo rimetterci in piedi e ricominciare a camminare; quando siamo in alto, l’unico rischio è quello di cadere. E più si sale, più sarà doloroso rialzarsi.
Vedere i suoi piani essere mandati in fumo da un traditore avrebbe potuto portare Gatto a uccidere. Ma se il traditore avesse tenuto tanto quanto Gatto a quella ricompensa, che cosa avrebbe fermato lui dal commettere un omicidio?

 

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Capitolo 15
*** Capitolo Quattordici ***


Capitolo Quattordici

Gli incubi di Aera non erano più così spaventosi, ma turbavano comunque il suo sonno; sognava di non riuscire a recitare la sua parte da Ideev, quando Venam la costringeva ad uccidere i membri del clan Knej. Era viva nella sua mente l’espressione sul volto di Zalcen, che la implorava di avere pietà, anche se non l’aveva mai vista. E in quei sogni, Aera scappava il più lontano possibile da tutto e da tutti, chiedeva aiuto, cercava di urlare ma non ci riusciva; veniva raggiunta dai membri del clan che la accusavano di essere una codarda, di essere fuggita, e che non la ritenevano degna di essere l’unica ad essersi salvata. Aera si faceva strada tra di loro, li scansava, poi, allontanatasi abbastanza, si sentiva libera, correva nei prati verdi colorati dai fiori che brillavano come pietre preziose, saltava fino a toccare il cielo sempre limpido, sorrideva, ed era felice nella sua solitudine in quel mondo immaginario.
Reyns aveva imparato a riconoscere le diverse fasi dei sogni di Aera, mentre vegliava su di lei.
«C’è davvero qualcuno?» chiese a bassa voce.
«Non lo sappiamo con certezza.» disse Daul,
«Sì!» rispose invece Gatto, sicuro. «Tu sta’ attento alla ragazza.»
Detto questo, i due Ideev si addentrarono nella foresta, pugnale alla mano.
Reyns si alzò a prendere l’arco e la faretra, poi tornò a sedersi accanto ad Aera.
La guardò dormire; contemplò quel suo viso innocente e ingenuo, gli occhi chiusi, le ciglia lunghe. Notò il ritmico alzarsi e abbassarsi del suo petto, ricambiò il suo sorriso rilassato. Da sveglia aveva uno sguardo così deciso... Stava tutto negli occhi. Ora come ora, non sembrava affatto pronta ad uccidere.
E lui, lo era? Lo aveva già fatto, e non ne andava fiero.
Ma questa volta non si trattava di uccidere qualcuno, un uomo di cui non conosceva nemmeno il nome. Si trattava di Vyde, colui che aveva rovinato la sua vita e quella di tutti gli abitanti della Valle Verde.
Compresa Aera. Sì, ormai si era reso conto di questo: lo stava facendo per lei. Stava andando a morire per lei. Insieme a lei. Com’è ingiusta, la vita!
La ragazza mormorò nel sonno qualcosa di incomprensibile; Reyns sorrise – gli sembrava davvero di essere davanti a una bambina – e le accarezzò i capelli, senza che lei si svegliasse.
Era bella, mentre dormiva, ma lo era ancora di più quando era sveglia; niente aveva avuto tanto effetto su Reyns quanto quei suoi occhi azzurri pieni di vita. Nemmeno la paura, nemmeno l’odio. Nemmeno tutto ciò che di male gli era capitato. Perché ciò che era accaduto nel suo passato lo aveva condannato e aveva allontanato da lui il desiderio di vivere; quegli occhi gli avevano fatto cambiare idea.
Reyns sentì il fruscio delle foglie, proveniente dal cespuglio che avevano indicato Daul e Gatto. Scattò in piedi, la freccia già incoccata, il braccio sinistro teso e le dita della mano destra pronte ad abbandonare la corda nel momento in cui un intruso fosse sbucato dall’oscurità.
Calò il silenzio, disturbato poi dai grilli.
Reyns percepì di nuovo il leggero fruscio, non causato dal vento, e si avvicinò al cespuglio, poi udì il sibilo della lama lanciata da qualcuno che si trovava alle sue spalle, che si conficcò nel terreno, accanto al suo piede destro.
Il ragazzo si voltò di scatto e scoccò la freccia, per poi sentire per la terza volta il fruscio delle foglie, dietro di sé, seguito dal suono dei passi di due persone che correvano nella foresta.
Si avvicinò alla sua vittima, che non aveva potuto urlare, colpita alla gola dal dardo.
L’uomo era caduto all’indietro, e dalla mano destra gli era scivolato il coltello che stava per lanciare.
Se il primo era arrivato così vicino a ucciderlo, questo lo avrebbe sicuramente colpito. Non era stato un errore troppo grande, da parte di Reyns, togliergli la vita. Se lo sarebbe potuto perdonare, anche perché l’aveva fatto per proteggere se stesso e soprattutto Aera.
Il giovane prese l’arma, a terra accanto alla mano dell’uomo, e notò che su quest’ultima era inciso il simbolo Ideev.
Il sicario non era ancora morto, ma gli rimaneva davvero poco tempo. Forse abbastanza per una risposta.
«Ti ha assoldato Vyde?» domandò Reyns accovacciandosi, mostrando all’Ideev il coltello, per rendere chiaro di che cosa si stesse parlando.
L’uomo scosse la testa, ma nei suoi occhi, oltre alla Morte che aleggiava vicina, Reyns riuscì a distinguere la luce che hanno le bugie.
«Sicuro?» chiese di nuovo, alzandosi in piedi, dopo aver lasciato il coltello dove l’aveva trovato.
L’uomo tentò di fare di sì con la testa, poi si sforzò di parlare, e ciò che uscì dalla sua bocca fu tanto sangue e un «Sì» soffocato.
Stessa luce negli occhi – stava mentendo.
Reyns si chinò di nuovo accanto alla sua vittima, questa volta posando la mano sulla freccia che aveva scoccato. «Non te lo chiederò di nuovo,» lo avvertì, «Ti ha assoldato Vyde?»
L’uomo, all’inizio, non rispose; i suoi occhi si spostavano da una parte all’altra, spaventati dall’idea di dover incontrare quelli di Reyns.
Il giovane cominciò ad esercitare una leggera pressione sulla coda della freccia. Il viso dell’Ideev si contorse in una smorfia di dolore.
«Allora?» insistette Reyns, impaziente.
L’Ideev – era ormai palese che avesse mentito – invece di rispondere, sputò sangue, che ora gli colava dagli angoli della bocca, macchiando la camicia del ragazzo.
Il giovane, con rabbia, estrasse la freccia.
L’uomo fece per urlare, ma riuscì ad emettere solo un altro suono soffocato.
A quel punto tornarono Daul e Gatto. Reyns ripose il dardo insanguinato nella faretra.
«Li avete trovati?» domandò, prima che uno dei due potesse chiedergli qualsiasi cosa.
«Purtroppo no.» rispose Daul.
«Li ho sentiti correre via.» disse Reyns, «Erano in due.» specificò.
«Ma che è successo, qui?» chiese Gatto, indicando il corpo dell’Ideev.
«Mi aveva aggredito,» disse il giovane per giustificarsi, indicando il coltello conficcato nel terreno, vicino al punto in cui fortunatamente ora non si trovava il suo cadavere. «E probabilmente era complice di quei due.»
Daul e Gatto lo guardarono, l’uno confuso, l’altro diffidente.
Reyns capì di aver bisogno di guadagnare punti. «Ho dovuto ucciderlo. Per difendermi, e per proteggere Aera.»
«Per proteggere Aera...» ripeté Gatto, enfatico, per prendersi gioco di lui, ma tornando presto a nascondersi dietro la sua scorza dura e impenetrabile, «Ragazzo, non è il momento di giocare agli innamorati.»
«Dobbiamo arrivare alla fortezza di Vyde, e dobbiamo arrivarci entrambi. Vivi.» si difese il ragazzo.
«E contate anche di andarvene nello stesso modo?» chiese, questa volta, Daul.
Reyns non osò ribattere, ma lo guardò con rabbia, per vederlo rispondere al suo sguardo con una risata.
«E quella?» iniziò Gatto, sghignazzando, indicando la macchia sulla camicia del ragazzo, «Il tuo cuore sanguina perché i tuoi sentimenti non sono corrisposti?» chiese, per poi ridere a sua volta.
Reyns rimase zitto, e si allontanò, tornando al punto in cui c’era la sua coperta, accanto al fuoco. Si sdraiò su un fianco, dando la schiena alle fiamme, e si fermò a ragionare: Vyde aveva assoldato tre Ideev per ucciderlo. Perché? Uccidere i suoi genitori non era stato abbastanza?
Forse non per uccidere lui in particolare; magari per fermare il gruppo di Venam?
E se invece quell’Ideev avesse detto la verità? Magari l’ordine non era arrivato da Vyde, era un’iniziativa che avevano preso da soli quei tre Ideev.
Volevano rubargli il posto? Volevano rubargli Aera?
In ogni caso, Reyns si sarebbe opposto, e avrebbe combattuto fino alla fine per proteggere Aera, per proteggere le sue bugie, e per proteggere Aera dalle sue bugie.
***
Fu all’alba che i due Ideev che erano fuggiti tornarono, allarmati dall’assenza del loro compagno, per trovare il suo corpo, morto, dietro un cespuglio, non molto lontano dai resti del fuoco del gruppo che viaggiava verso ovest.
«L’hanno ucciso qui.» Kired fece segno a un punto più vicino alla cenere, dove il terreno sembrava scurirsi, «Poi l’hanno trascinato.» camminò a fianco delle tracce che erano la prova della sua ricostruzione dei fatti, fino a raggiungere di nuovo il cadavere, e osservare.
Senza tentennamenti alcuni, toccò la pelle, fredda; era morto poco dopo che loro due erano fuggiti. «È morto in fretta.» disse al compagno, molto più toccato dalla situazione, molto più umano, che tirò un sospiro di sollievo. Se fosse morto in seguito a una lunga agonia, non si sarebbe mai perdonato di essere scappato via. Ma erano tante le decisioni che aveva preso, e che non si sarebbe mai perdonato.
Kired passò ad osservare la ferita – una freccia alla gola. Era sinonimo di precisione. Solo un Ideev con molta esperienza avrebbe potuto mettere a segno quel colpo. Il giovane Ideev tornò con la mente alla notte in cui aveva visto due dei membri del gruppo allontanarsi per cacciare. Era stata un’occasione sprecata, da parte sua, non attaccarli subito, ma aveva dato ascolto al suo compagno, che aveva proposto di osservare, per conoscere i propri avversari, e poterli prevedere, in occasione di un attacco a sorpresa che avrebbero teso in seguito.
Ed ecco dove la sua idea lo aveva portato: uno di quei due arcieri l’aveva ucciso. Bel lavoro.
Il più giovane dei due, pensò Kired, non poteva essere tanto esperto. Anche supponendo che si trovasse molto vicino al suo aggressore, colpire alla gola un Ideev che di sorpresa, sbucando dall’ombra, nella notte, si era messo a scagliare coltelli, non era da tutti.
Doveva trattarsi di quell’uomo. Non conosceva il suo nome, e non ne aveva bisogno.
Udì poi la voce del suo compagno, inginocchiato accanto al cadavere, stringere la mano morta e bisbigliare una qualche preghiera.
«Che stai facendo?» gli chiese, senza mostrare emozioni,
«Prego perché almeno lui ottenga perdono, nonostante abbia tradito il clan, unendosi agli Ideev. Il suo scopo non era fare del male. Era sopravvivere.»
«E come pensi di poter sopravvivere se non facendo del male al prossimo?»
L’uomo rimase zitto. Il cacciatore aveva ragione.
«Veniva dal tuo clan?» chiese, ancora,
«No, ma ora che nessun clan esiste più, lo consideravo davvero un mio compagno.» rispose l’altro,
«Allora lo lascerai morto e basta?» domandò il giovane.
L’uomo non capì, e scosse la testa.
Il cacciatore continuò, «Non ti senti impotente? Inutile? Non vorresti essere in grado di fare qualcosa? Se non riportarlo in vita, almeno pareggiare i conti?»
«Anche se lo vendicassimo, che cosa cambierebbe?»
«Cambierebbe il modo in cui vedi te stesso. E cambierebbe il modo in cui ti guarderebbero gli altri. Dal basso. Con il terrore negli occhi. Pregando. Per una pietà che non riceveranno. Mai.»
Abbassò lo sguardo, ma non si poteva notare. Il suo viso era nascosto dal cappuccio che portava sempre calato sulla fronte. Più di una volta gli era stato chiesto di toglierselo, ma Kired aveva sempre rifiutato.
Se sapeva descrivere quelle sensazioni era perché le aveva provate. Ancora era in grado, controvoglia, di tornare indietro, e riportare davanti ai suoi occhi quello che era stato il giorno della distruzione di ogni sua sicurezza.
La base del clan Asur, del quale era stato membro fin dalla nascita, era nel nord. Era inverno, e durante quella stagione il clan si ritirava in un villaggio, per non soffrire il freddo.
Ma gli Ideev erano più numerosi, e più organizzati. Accerchiarono il villaggio, e lo diedero in pasto alle fiamme. Poche case rimanevano sicure, oltre ad alcune stalle. I bambini vennero nascosti in una di queste.
Ma Kired non aveva intenzione di separarsi dalla madre – il padre l’aveva perso di vista, durante la fuga. Anche dopo essere stato rinchiuso nell’angusta stalla insieme agli altri bambini, Kired tentò di tutto per uscire. Si rassegnò solo quando uno dei ragazzi più grandi lo schiaffeggiò, incolpandolo di stare facendo tanto baccano per nulla.
Allora si limitò ad osservare la madre, poco distante, dall’inferriata sul muro della stalla. Il bambino si era arrampicato, poggiando i piedi sui ciottoli che costituivano il muro, e aggrappandosi alle sbarre di ferro. La sua posa era sinonimo di uno sforzo costante, ma Kired sentiva il dovere di guardare.
E se ne pentì, in seguito: la donna era nascosta dietro le macerie di una delle case che erano già completamente bruciate, e tentava di farsi strada, senza farsi notare, al fine di raggiungere la parte opposta del paese, vicina alla foresta nella quale avrebbe potuto trovare riparo.
Kired seguiva ogni suo movimento, ed era come se, con il pensiero, le consigliasse quando muoversi, quando fermarsi, abbassarsi e guardarsi le spalle. Ed era una sensazione tanto piena d’ansia, quella di essere una preda.
La donna si allontanò dalle macerie, sgattaiolando fino a raggiungere una casa più vicina alla stalla, anch’essa già bruciata. Ma non notò l’Ideev che si nascondeva tra le assi incenerite.
«Mamma!» Kired non riuscì a trattenersi dall’urlare, e indicare la figura dell’uomo alle spalle della madre; e le salvò la vita, quella volta. La donna fu rapida nel reagire: sapeva di non avere possibilità in uno scontro contro un uomo armato, quindi calciò una delle assi che costituivano la parte portante della casa in rovina, facendo in modo che il tutto cadesse addosso al suo aggressore. Il risultato fu un gran fracasso, ma riuscì a darle il tempo di fuggire, o almeno uscire dal campo visivo di Kired.
Ciò che seguì fu una gran confusione, nei ricordi del bambino; qualcuno all’interno della stalla aveva accusato di sentire odore di fumo, mentre Kired, continuando a guardare, si era concentrato sulla figura di un arciere Ideev, che stava puntando nella direzione in cui sua madre era fuggita.
Un secondo dopo l’immagine dell’Ideev che aveva lasciato andare la corda dell’arco, il bambino udì un grido.
Fu come se il cuore di Kired smettesse di battere per un momento, o forse per sempre.
Si precipitò verso la porta della stalla, spingendo, tirando, pregando che venisse aperta.
«Se proprio vuoi andare a morire, vacci per conto tuo!» gli bisbigliò il ragazzo che prima lo aveva malmenato, prendendolo per un orecchio, aprendo la porta della stalla e sbattendolo fuori.
Kired non si curò di eventuali Ideev che avrebbero potuto aggredirlo; corse, tra cadaveri, cenere e fiamme, verso il punto in cui sua madre era sdraiata a terra, come se stesse riposando. Ma il terreno era scomodo. Non le sembrava così? Come faceva a dormire tanto profondamente, tanto che nemmeno suo figlio che piangeva riusciva a svegliarla?
Il sottofondo di urla e crepitare delle fiamme si fece più forte, più vicino. La stalla in cui i bambini erano rinchiusi era in fiamme. Kired non riuscì a muoversi, ma solo a guardare. Il fuoco proveniva dal lato della stalla più lontano dalla porta, che si apriva verso l’interno. Tutti i bambini nascosti là dentro – e già si stava stretti – erano ammassati verso la porta, e nessuno riusciva ad aprirla.
Gli occhi dorati di Kired si riempirono di lacrime alla vista di quello che sarebbe dovuto essere il suo destino.
Perché era vivo? Che cosa lo aveva tenuto in vita? Non era giusto. Avrebbe dovuto trovarsi là dentro. Sarebbe dovuto essere lui a urlare, in quel momento. Eppure, al contempo non riusciva a trattenere una smorfia egoista che si formò sul suo volto, che qualcuno lo avesse graziato, e che tutto gli fosse dovuto, ora che aveva perso ogni cosa.
Pian piano si fece strada in lui la sicurezza che il suo destino fosse quello di vivere non come preda, ma come cacciatore. Era ovvio, dopotutto – cacciatore era il suo nome.
Il bambino si alzò in piedi, camminando attraverso le macerie, un passo dopo l’altro, barcollando, insicuro, ma vivo. Eppure si odiava per essere vivo. Il suo viso, il suo sorriso, i suoi occhi... La sua immagine era morta. Doveva rimanere morta. Così si calò il cappuccio sulla fronte, e non lo tolse mai più.
Fu questione di tempo perché gli Ideev che stavano setacciando il villaggio, in cerca di qualche superstite, lo trovassero. Dietro di loro stava un corteo di paesani e membri del clan Asur, chi con una cicatrice, chi con il viso coperto di fuliggine, chi con un braccio o una gamba fasciata o mancante. Uomini, donne, bambini e vite fatte a pezzi. Non erano più di una dozzina.
«Tu, mettiti in fila.» ordinò a Kired una voce autoritaria, «Si va a ovest, al Lago Rosso.»
Il bambino obbedì, senza alzare lo sguardo.
«Comandante, non sarebbe meglio lasciarlo qui? È così piccolo... Finirà per rallentarci.» udì la voce di un altro degli Ideev.
«Abbiamo zoppi, vecchi e una donna incinta, lì dietro. Se questo bambino è sopravvissuto, significa che ha gambe, un minimo di cervello, oppure una buona dose di fortuna. E in ognuno dei casi, ha tutte le carte in regola per diventare uno degli Ideev Prescelti che Lord Vyde sta reclutando.»
Ideev Prescelti... Il suono di quel titolo era piacevole all’orecchio di Kired. Avrebbe lavorato sodo per diventare un Ideev Prescelto. A sentire quell’uomo, per ora soddisfaceva tutti i requisiti necessari. Aveva bisogno di un obiettivo da raggiungere. Aveva bisogno di diventare un’altra persona, una persona nuova. Aveva bisogno di portare a termine un incarico. E fino ad allora, il cappuccio sarebbe rimasto calato sulla sua fronte. Fino ad allora, Kired era morto.

 

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Capitolo 16
*** Intermezzo I ***


Intermezzo I

Ogni giorno che passava, la situazione del regno peggiorava sempre di più; ora l’esercito di Orlud aveva portato dalla sua parte ciò che si trovava oltre i villaggi del sud, ossia Capo Soran. Controllando l’omonimo porto, i soldati avrebbero potuto invadere e condizionare anche i popoli oltremare, organizzando una vera e propria lega contro i sovrani dell’Oriente, che si sarebbero sentiti ancora più minacciati di quanto non lo fossero già.
Nella stanza da letto, piangendo in silenzio, la Regina Looty stava lavorando a maglia, e pensava a sua figlia.
Si chiese dove potesse essere, in quel momento. Avevano fatto la scelta giusta, affidandola a un clan della Valle Verde? I membri di quel clan avrebbero mantenuto la loro promessa, non rivelando alla ragazza le sue origini? Se avesse saputo la verità e avesse tentato di superare le Montagne, non avrebbe fatto altro che anticipare la rovina del regno, perché sarebbe stata trovata dai soldati di Orlud e portata immediatamente da Vyde.
Guardò fuori dalla finestra; sembrava che le nuvole del nord avessero intenzione di restare. Il cielo era grigio e il vento freddo agitava le cime degli alberi, soffiava tra l’erba alta dei prati.
Con la pioggia, almeno, la Regina non avrebbe pianto da sola.
Nell’angolo della camera c’era ancora un lettino, che sarebbe dovuto essere della principessa, ma nel quale la piccola non aveva mai potuto dormire. Il Re e la Regina non avevano il coraggio di muoverlo da dov’era, perché in quella stanza tutto era perfetto; mancava solo la loro bambina, che ormai avrebbe dovuto avere più di quattordici anni.
Era come se in quella camera il tempo si fosse fermato; c’erano giocattoli e balocchi che erano rimasti lì, fermi, ad aspettare la principessa, coperti dalla polvere e ingrigiti dagli anni.
La Regina immaginava che la sua bambina fosse lì in quel lettino, infatti stava cucendo un paio di calze proprio per lei.
Il marito chiamava questo suo modo di passare le giornate una follia, e forse aveva ragione.
Looty venne sfiorata da un desiderio che la spaventò: sapeva bene che, se la principessa fosse stata uccisa per errore, Vyde non avrebbe mai portato a termine il suo piano. Sarebbe stato meglio così? Dopotutto, se non poteva averla lei – sua madre – perché sua figlia sarebbe dovuta essere di qualcun altro? Chi poteva dire di avere il diritto di stringerla tra le braccia? Chi l’aveva fatto in tutti questi anni?
Vyde non l’avrebbe mai trattata come la principessa che era; l’avrebbe semplicemente usata, e quando si sarebbe annoiato se ne sarebbe sbarazzato, e chi può sapere che cosa le avrebbe fatto fino a quel giorno!
No, il suo cuore di madre le voleva bene, ma non poteva che augurarle il meglio, e in quel caso sarebbe stato meglio fare una fine atroce, piuttosto che sopportare atrocità senza fine.
La Regina sapeva però altrettanto bene che Vyde aveva dato ordini specifici riguardo a sua figlia: la principessa Orientale doveva rimanere in vita, essere portata alla sua fortezza al più presto, e tenuta all’oscuro di tutto, in modo da fidarsi delle parole del Lord.
Forse lei e il marito avrebbero dovuto lasciare che venisse rivelata alla bambina la propria identità?
Ma quando si sa di essere sotto tiro, ci si muove come si muovono le prede, e un cacciatore esperto può calcolare la prossima mossa di una preda senza alcuna difficoltà. Vyde, in realtà, voleva che la principessa tornasse a casa, che fuggisse da quell’intricato sistema di clan e piccoli gruppi di Ideev che era diventato la Valle Verde. Perché al di là delle Montagne ci sarebbe stato l’esercito di Orlud, che avanzava compatto ed era in grado di setacciare l’intero territorio, senza lasciarle nemmeno un villaggio di poche case in cui nascondersi. E la ragazza, non avendo idea dell’esistenza di questo esercito, sarebbe uscita allo scoperto, senza neanche rendersene conto.
No, era molto meglio che la principessa avesse acquisito la mentalità Valliana. Se si fosse unita agli Ideev, poi, chi mai l’avrebbe trovata?
Tutta la Valle Verde era ormai sotto il controllo degli Ideev, quindi gli unici posti rimasti alla ragazza per nascondersi erano le Montagne, l’Oriente, o quello stesso esercito di assassini.
Molti ragazzi Orientali erano stati nascosti nella Valle Verde, a causa dell’esercito di Orlud, forse ancora più spietato di Vyde, quindi la principessa si poteva dire abbastanza al sicuro, nella zona orientale del regno. Ma se si fosse avventurata un po’ più a ovest, chiunque l’avrebbe riconosciuta, la verità sarebbe venuta a galla, e nemmeno il più abile oratore Valliano sarebbe riuscito a mentirle, a quel punto. Quindi, conoscendo la propria posizione, si sarebbe comportata di conseguenza, e Vyde avrebbe vinto.
Vyde avrebbe vinto. In ogni caso.
La Regina lo sapeva, ma non riusciva ad accettarlo.
La porta della camera cigolò, e Re Divro entrò nella stanza.
«Non avremmo dovuto lasciarla con quel simbolo.» ripeté per l’ennesima volta Looty,
«Oh, mia cara,» tentò di consolarla il marito, sedendosi accanto a lei, «Abbiamo fatto la scelta migliore. Nostra figlia non lo saprà, probabilmente, ma qualunque scelta lei compia, se anche Vyde dovesse...»
Non riusciva a trovare un sinonimo per uccidere; Looty aveva capito che cosa intendesse dire il Re, ma lasciare la frase in sospeso non era da lui. «Se anche Vyde dovesse portarcela via, lei avrà combattuto fino alla fine, finché continuerà a portare quel simbolo. E quel simbolo la proteggerà.»
Le parole del marito erano solite calmarla, ma questa volta la Regina era davvero disperata. Ogni mattina, appena si svegliava, la prima cosa che aveva davanti agli occhi era il soffitto blu scuro di quella stanza, sul quale erano state dipinte delle stelle dorate perché facessero piacere alla bambina. E inevitabilmente sua figlia diventava il suo primo pensiero. Come poteva sopportarlo?
Divro non sapeva più che cosa fare; temeva che sarebbe a sua volta diventato schiavo della follia, se fosse stato troppo a contatto con la moglie e avesse passato troppo tempo in quella stanza, ma non riusciva a lasciare Looty da sola, e voleva in qualche modo aiutarla ad accettare la realtà.
Ma non poteva farlo, perché sapeva bene che il desiderio che la loro figlia fosse lì era molto più forte della consapevolezza che se n’era andata per sempre.
«Ma perché vuole il nostro regno?» domandò la Regina, tra le lacrime, «Perché non proporci un’alleanza? Forse avremmo addirittura accettato!»
E per l’ennesima volta, Divro le rispose nello stesso modo, con lo stesso tono calmo e controllato.
«Perché Vyde non vuole un’alleanza, vuole il potere. Vuole comandare, da solo. Vuole vendetta. Se porterà a termine il suo piano, ucciderà noi, il suo fidato maggiordomo, e con tutta probabilità anche nostra figlia.»
Ogni volta ripeteva con tutta probabilità, ma sapeva bene che Vyde non avrebbe fatto distinzioni. L’unico, oltre a lui, a rimanere in vita, forse sarebbe potuto essere Orlud. Ma non la principessa.
«Ma qualunque cosa accada a noi, al nostro regno o a nostra figlia,» continuò Divro, «Non dobbiamo ritenerci colpevoli. Ciò che accadrà sarà per colpa di Vyde, solo ed esclusivamente di Vyde. E vedrai che un giorno qualcuno gliela farà pagare.»
Il Re non aveva altro in cui credere, in cui avere fiducia, in cui sperare. Per questo continuava a ripeterlo a se stesso e a Looty.
Dopo aver stretto la moglie in un lungo abbraccio e averle asciugato alcune lacrime, se ne andò, per comunicare personalmente ai suoi sudditi che le tasse erano aumentate di nuovo.
La Regina riprese a lavorare a maglia, guardando ogni tanto fuori dalla finestra le prime gocce di pioggia che sferzavano i vetri.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo Quindici ***


Capitolo Quindici

«E poi c’è la questione della principessa Orientale...»
Aera aveva appena finito di elencare tutte le sue preoccupazioni a Reyns, il quale l’aveva aiutata ad affrontare un problema alla volta; che cosa sarebbe stato meglio fare nel caso in cui il gruppo avesse avuto bisogno di fare rifornimento un’altra volta, per esempio. Avrebbero raggiunto il villaggio di Reekir a mezzogiorno e ci sarebbero rimasti fino al mattino seguente, quindi la questione la rendeva non poco nervosa.
«E che cosa ti preoccupa della principessa Orientale?» domandò il ragazzo,
«Non riesco a non pensare alla principessa come ad Aniène.»
«La tua amica?»
«Sì...»
«Non credo che si trattasse di lei.» la rassicurò lui,
«E come puoi esserne sicuro?» domandò lei,
«Be’, non si è mai sicuri di niente,» disse il ragazzo, «Ma dubito che potesse essere una bambina così piccola. Hai detto che aveva nove anni, no?»
«Avrebbe compiuto i dieci all’inizio dell’autunno.»
«Allora non si tratta di lei.» la rassicurò lui, «Vyde ha mandato degli Ideev alla ricerca della principessa perché vuole sposarla. Aniène era troppo giovane, e poi, se fosse stata davvero lei, gli Ideev avrebbero fatto più attenzione a non colpirla. Forse alcuni sono davvero stupidi, ma non così tanto da eliminare la loro più importante fonte di guadagno.»
Aera si sentì un po’ meglio, ma volle avere una certezza in più – o meglio, un’informazione.
«Come potrebbero gli Ideev riconoscere la principessa Orientale, se se la ritrovassero davanti?»
Reyns assunse un’espressione concentrata; evidentemente, per una volta non conosceva la risposta, e ci stava riflettendo, cercando di raggiungerla non con la memoria ma con la logica.
«Be’, si tratta pur sempre di una principessa. Immagino che i suoi genitori le abbiano lasciato un anello, un bracciale o qualcosa del genere.»
«O una collana?»
Prima che Reyns potesse risponderle, dal fondo del gruppo si udì la voce di uno sconosciuto. «Buongiorno, viaggiatori!»
I sei si voltarono.
Due figure incappucciate, una visibilmente più bassa dell’altra, stavano di fronte a loro, e mostravano il simbolo Ideev inciso sul dorso della mano destra.
Reyns non si lasciò sfuggire un particolare non poco importante: il simbolo dell’uomo più alto era stato inciso da poco tempo. Era un novellino, mentre l’altro, quello che aveva parlato, avrebbe potuto essere un nato tra gli Ideev.
Ora che sapeva che cosa aspettarsi, sapeva anche come comportarsi: avrebbe avuto un atteggiamento leggermente arrogante, che sarebbe stato perdonato, visto che Reyns faceva parte di un gruppo più numeroso e ciò metteva indirettamente sulla difensiva i due Ideev. Inoltre, erano stati proprio quei due a rivolgere la parola al gruppo, quindi era come se avessero chiesto attenzione, e perciò dovessero qualcosa in cambio. Sono le sottigliezze di cui è meglio approfittare, quando siamo in bilico tra menzogne differenti e non dobbiamo cadere.
«E saremmo dovuti essere in tre.» continuò la figura più bassa, facendo qualche passo in direzione di Reyns, che mantenne un’espressione neutra. «È stato un peccato, perdere il nostro compagno, per di più in quel modo.»
«Per quanto ho visto, avete preferito fuggire, piuttosto che vendicare la sua morte.» rispose Reyns, perfettamente consapevole di aver scagliato la prima pietra.
«Non sarà mai troppo tardi per questo.» ribatté l’incappucciato.
Era sicuramente un ragazzo, forse di qualche mese maggiore di Reyns, ma sicuramente non di anni. Aveva una personalità alquanto arrogante, era irascibile e voleva qualcosa che il gruppo dei sei stava trasportando. Informazioni, forse? Che ne potevano sapere? Forse Venam e gli altri nascondevano qualcosa anche a lui e ad Aera.
«Bene, sto aspettando.» Reyns non aveva paura. Sapeva che, chiunque fosse, l’Ideev che aveva di fronte era stato mandato da Vyde, quindi difficilmente il Lord avrebbe acconsentito ad eliminare un altro dei suoi soldati. Il fatto che Reyns ne portasse il simbolo lo rendeva intoccabile.
Aera cercò di capire cosa fosse successo la notte precedente, mentre stava profondamente dormendo.
Sarebbero dovuti essere in tre...
Una paura che divenne una spaventosa certezza si fece strada dentro di lei: Reyns aveva ucciso, e ne aveva parlato come se nulla fosse! Allora era proprio così, non aveva paura di sporcarsi le mani, se questo avesse significato raggiungere il loro obiettivo. E questo la rassicurò, la invitò a fidarsi di lui più di quanto non stesse già facendo, ma al contempo la agitò, e un turbine di inquietudine cominciò a soffiare nel suo cuore infranto: non doveva essere la prima volta che Reyns toglieva la vita a un uomo, o le conseguenze si sarebbero viste, nei suoi occhi, nelle sue notti insonni. Aera aveva viaggiato fino a quel momento con un assassino.
«Stiamo cercando la principessa Orientale.» cominciò a dire l’altro Ideev, facendo a sua volta qualche passo in avanti, e avvicinandosi invece ad Aera. «A quanto pare non l’avete ancora trovata.» constatò, dando uno sguardo alla ragazza, come a escludere che si trattasse della persona che stavano cercando.
Ad Aera venne istintivo nascondere il Ciondolo dell’Aquila.
«Quali zone avete controllato, in particolare?» domandò di nuovo l’incappucciato, spostando la sua attenzione da Aera al resto del gruppo.
«Non ci occupiamo della principessa Orientale,» intervenne Reyns, «Il compito che ci è stato assegnato è di portare a Vyde delle informazioni sull’Est, ma, anche se non vi possiamo rivelare di che cosa si tratta esattamente, posso assicurarvi che non ha nulla a che fare con la principessa.»
«Capisco,» sospirò l’uomo, «Vorrà dire che riprenderemo le nostre ricerche da dove le abbiamo interrotte.»
Detto questo, i due incappucciati superarono il gruppo e si incamminarono verso ovest.
Aera rimase per un attimo come incantata ad osservarli, curiosa – qualcosa le suggeriva che non stessero dicendo la verità.
Quando fu sicura che i due fossero abbastanza lontani da non poter udire la sua voce, domandò: «Ma perché vanno da quella parte? È logico che la principessa si trovi più a est di qui.»
«Forse c’è già qualcuno a controllare, da quelle parti.» ipotizzò Ridd,
«Ma, a quel punto, perché Vyde dovrebbe impiegare degli uomini nella zona occidentale?»
«Hanno detto che riprenderanno le ricerche da dove le hanno interrotte,» ragionò Reyns, «Chi può dire che non stiano setacciando la zona per poi dirigersi verso le Montagne?»
«Già, probabilmente è così.» concordò Ridd, mettendo a Reyns una mano sulla spalla, per poi superarlo.
«Ridd!» lo chiamò subito dopo Venam, «Allunga il passo, se vuoi arrivare al Bosco di Yede entro questo mese!»
Ridd obbedì, regalando un’ultima occhiata e un sorriso ai due ragazzi.
Aera non capiva come mai il capogruppo fosse sempre così irritato. Non c’era tutta quella fretta, anche se effettivamente non avevano tempo da perdere, ma forse aveva creduto alla storia del rapporto segreto sulle scoperte fatte da lei e Reyns.
«Il Bosco di Yede... È abbastanza vicino?» domandò al ragazzo,
«Credo che sia al massimo a due giorni di viaggio. Superata questa collina ci alzeremo sempre più di quota, e dato che questa sera ci fermeremo nel villaggio di Reekir, domani raggiungeremo il bosco, che si trova su un altopiano. Ho sentito dire che gli alberi sono altissimi, e che ora che siamo in estate dovrebbero esserci anche le lucciole, nelle radure del Bosco di Yede.»
«Le lucciole?» chiese Aera; negli occhi aveva la luce che hanno i bambini quando si promette loro di portarli a divertire con gli amichetti o si regalano loro dei nuovi giocattoli. «Non le ho mai viste. Ricordo solo che c’erano molte favole a riguardo, e una in particolare che chiedevo sempre di raccontare, la sera, quando ero piccola. Piaceva a tutti i bambini del clan, anche se in effetti non era un granché.»
«Allora c’era sicuramente qualcosa che la rendeva piacevole.» disse il ragazzo.
Aera ci pensò un po’, poi si rese conto che Reyns aveva ragione.
«Zalcen.» rispose, «Era lui che la raccontava.»
***
A mezzogiorno i sei viaggiatori raggiunsero il villaggio di Reekir; era l’ultimo paese nel quale si sarebbero fermati prima di incamminarsi per il sentiero che li avrebbe portati fino alla fortezza di Vyde, passando per il Bosco di Yede. Era il percorso più veloce, ma c’erano tratti in cui la strada era molto ripida.
Il villaggio era arrampicato su un’altura, circondato dalle pianure e dai campi; risalire la via principale costò molta fatica a tutti i membri del gruppo, a causa del sole di mezzogiorno e della salita tanto ripida.
In questo caso non ci sarebbe stato un vero e proprio saccheggio organizzato del paese, con grande sollievo di Aera, ma quando gli Ideev proposero ai due di prendere parte alla piccola serie di furti che avrebbero portato a termine, la giovane rispose che non avrebbe voluto rischiare di mandare tutto a monte, che non aveva mai fatto nulla del genere e avrebbe avuto bisogno che qualcuno la aiutasse, e che quindi sarebbe rimasta in disparte ad aspettare gli altri. Reyns si offrì di restare con lei, per non lasciarla sola e vulnerabile.
In realtà la ragazza voleva poter rimanere da sola con Reyns per parlargli di alcune delle sue preoccupazioni, che dopo l’incontro con i due Ideev si erano moltiplicate. Tanto per cominciare, gli voleva chiedere se fosse possibile che la principessa Orientale indossasse una collana simile a quella che portava lei stessa, e che per questo quei due Ideev avessero fermato il gruppo prima di constatare che non si trattava della ragazza che stavano cercando.
Venam guidò il gruppo per una via secondaria, costeggiando la prima cinta muraria di Reekir, per poi infilarsi in un vicolo. Dopo qualche gradino, si voltò e attese che il resto del gruppo lo raggiungesse; dalle foglie dell’edera che si era arrampicata sul muro dell’edificio alla loro destra si riusciva a scorgere l’insegna di una locanda, di cui nessuno tuttavia ricordava o riuscì a leggere il nome.
I sei entrarono e chiesero due camere per la notte; ci sarebbe stato abbastanza spazio per tutti, e nel caso in cui non ci fossero stati abbastanza letti, qualcuno avrebbe dormito per terra, e questo avrebbe avuto i suoi lati positivi: se non c’è un vecchio materasso sporco non ci sono neanche cimici, e le coperte di chi avrebbe dormito in compagnia dei piccoli insetti avrebbero riscaldato chi avesse riposato sulle assi scricchiolanti del pavimento della camera.
Dopo aver bevuto qualcosa, i quattro Ideev lasciarono i due ragazzi, dicendo che si sarebbero trovati a quello stesso tavolo per la cena. Aera e Reyns sarebbero rimasti alla locanda ad aspettarli.
L’oste raggiunse il tavolo dove erano seduti i due ragazzi; stava per dir loro quanto avrebbero dovuto pagare, quando notò qualcosa che gli fece cambiare idea.
«Ora che ci penso, non importa. Anzi, Vi ringrazio di cuore, di essere qui!» addirittura si inchinò, e si scusò pure, «Per Voi, oggi il pasto è gratuito!»
«Grazie mille...» disse Aera sorridendogli, alquanto confusa.
L’oste si inchinò di nuovo e si allontanò.
La ragazza restò a parlare con Reyns. «E che cosa avremmo noi due di tanto speciale da non dover neanche pagare?»
«Forse c’entra qualcosa la tua collana.» ipotizzò lui, «Si è illuminato, non appena ha visto il Ciondolo dell’Aquila, e non mi sorprende.» disse, alzando le spalle.
Al contrario, ora Aera era ancora più stupita di prima. «Così anche tu conosci il nome proprio del mio ciondolo?»
Il ragazzo annuì. «È abbastanza conosciuto, ed è popolare, nell’Est.»
«Davvero?»
«Anche uno dei miei compagni indossava una collana simile, uno degli Orientali nascosti nel clan Lokeef.»
L’oste tornò portando due calici traboccanti di un succo giallognolo, che i due ragazzi non avevano mai visto. «Ovviamente, offre la casa!»
L’uomo si inchinò una terza volta e tornò a servire gli altri clienti.
Aera e Reyns lo guardarono allontanarsi. La ragazza non poté evitare di sorridere; provava un certo gusto nel sentirsi importante.
Reyns bevve un sorso del succo dolciastro, e invitò Aera a fare lo stesso. «Be’, non possiamo certo rifiutare!»
***
Nella piazza principale del paese, Gatto stava cercando di avere la meglio contro un Ideev; era uno dei due incappucciati che avevano incontrato quella mattina, uno dei tre della notte precedente, quello più basso.
Si chiese se non fosse davvero venuto a cercare vendetta.
Nonostante la sua statura, però, si muoveva bene: il suo pugnale fendeva l’aria, e il piccolo uomo pareva danzare. Solo allora Gatto pensò che dovesse trattarsi di un ragazzino, di un nato tra gli Ideev. Così giovane, e già così spietato, addestrato ad uccidere, senza nient’altro in mente. Era questa la tortura a cui Vyde sottoponeva i poveri orfani dei clan occidentali e i bambini nati nei villaggi Ideev.
Il giovane cambiò modo di attaccare: ora lo costringeva ad arretrare con una serie di colpi velocissimi. Non si vedeva nemmeno la lama.
In pochi secondi, il ragazzo aveva portato Gatto con la schiena contro il muro di una casa.
Mentre bloccava il pugnale del giovane con il suo, l’uomo non poté fare a meno di commentare la sua bravura: «Be’, che dire? Diventerai un abilissimo spadaccino.» si complimentò mentre stava sudando dalla paura, «Ma dimmi, perché fai questo a un tuo compagno?»
«Non sono un tuo compagno!» ribatté lui, «E tu hai ucciso uno dei nostri, quindi ora pareggiamo i conti!» tentò un affondo, rapido, ma Gatto riuscì a contrastarlo.
«Io? Ah, io non ho ucciso proprio nessuno!» negò lui, scuotendo la testa,
«Bugiardo!» lo accusò l’altro, «Solo tu e quel ragazzo portavate un arco, ieri notte, e quella freccia è stata scoccata con troppa precisione perché si trattasse di qualcuno di così giovane.»
«A meno che non abbia avuto un buon insegnante.» propose Gatto,
«Smetti di prenderti gioco di me.» lo minacciò il ragazzo, a voce più bassa.
Allora l’uomo fece cenno al proprio equipaggiamento. «Vedi qualche arco o una faretra, da queste parti? L’arco che portavo quando sono andato a caccia apparteneva alla ragazza, che non è in grado di uccidere nemmeno un coniglio. Ora che farai? Ti rifiuterai di credere che si tratti del giovanotto e andrai a prendertela con lei?»
«No!» si oppose l’Ideev, come se anche solo parlare di una ferita non inferta a quella ragazza potesse farla soffrire. Era troppo preziosa perché le accadesse qualcosa.
«Bene, bene, sei preoccupato per lei, vedo? Perché ti interessa così tanto?»
«Perché abbiamo bisogno di lei!» fu la risposta, decisa, come se gli avessero ordinato di rispondere in quel modo nel caso gli fosse stata posta una domanda simile.
Gatto rise, «E che cosa ci vuoi guadagnare, la fidanzata?»
«Denaro!» gli rispose ancora in modo rude il giovane.
«Oh, certo, dimenticavo... Il primo cane che riporta il bastoncino ottiene il biscottino dal padrone, no? Bene... Giocare sporco è tipico di quelli nati tra gli Ideev, come te!»
«Ma senti questo!» Il ragazzo, con un gesto rapidissimo, tolse il pugnale dalle mani di Gatto e lo gettò a terra, quindi tenne l’uomo fermo per il mantello. «Tu che piuttosto di morire ti sei schierato dalla parte di Vyde!»
«E pensa al sacrificio che ha fatto tua madre per metterti al mondo! Tu la ripaghi così?»
«Sta’ zitto!» ringhiò il giovane, stringendo la presa, «Non sono certo l’unico. È ovvio che ogni Ideev che abbia meno di sedici anni sia nato in un gruppo, ma quella ragazza no, e neanche il suo amico, quindi vengono sicuramente dall’Est!»
«Un validissimo motivo per portarla da Vyde, certo... Dopotutto, potrebbe essere la principessa come qualunque altra ragazza che abbia all’incirca la sua età. Ma io te lo dico chiaramente: lei e quel ragazzo si sono uniti al nostro gruppo perché sono due Ideev, e devono fare rapporto a Vyde. Vengono da un clan della zona vicina alle Montagne, ma hanno deciso di schierarsi dalla nostra parte. Quindi, dato che da Vyde quella ragazza ci sta già andando da sola, perché non lasci che le informazioni viaggino come devono? Se lei e il suo amico avessero fatto delle scoperte proprio sulla principessa, farebbe comodo a tutti!»
«Se avessero fatto delle scoperte proprio sulla principessa, ce l’avrebbero detto quando ve l’abbiamo chiesto!»
«Avanti, il ragazzo potrebbe aver mentito, non credi? Perché lasciare la strada libera a te e al tuo socio? Abbiamo le idee chiarissime sulla posizione della principessa, e la consegneremo a Lord Vyde prima di qualunque altro gruppo. Continuate pure a inseguirci. Voglio proprio vedere se riuscirete a prenderla!» concluse Gatto, mentendo su diverse cose.
«Allora voi state davvero cercando la principessa.» dedusse il giovane, «Quindi quel ragazzo deve essere per forza uno degli...»
«Kired!» urlò qualcuno da dietro l’angolo della casa, interrompendo il ragionamento del ragazzo.
Il giovane Ideev, ricevuto il segnale, sogghignò e si rivolse per un’ultima volta a Gatto. «Temo che sarai tu a non vivere abbastanza per vedermi, quando porterò a casa il bottino che mi spetta!»
Dette queste parole, Kired spinse Gatto nella direzione da cui era venuta la voce, continuando a fissarlo negli occhi con un sorriso che spaventò l’uomo.
Gatto stava per voltarsi, quando sentì un dolore lancinante alla schiena e all’addome.
A quel punto Kired lo lasciò andare, e Gatto cadde, il respiro mozzato dal dolore. Abbassò lo sguardo, e capì che era finita: un pugnale l’aveva trafitto, e ora il sangue sporcava la camicia, il mantello, e il pietrisco. Si portò una mano sulla ferita, poi la protese in avanti, come a chiedere aiuto a Kired, che continuava a guardarlo, ridendo. Provava gusto nell’aver eliminato uno dei suoi compagni, un Ideev, come lui, come tutti, ormai.
Ma che cosa stava facendo, Vyde? Era questo ciò che voleva? Che i suoi Ideev si uccidessero a vicenda nel tentativo di portargli la ragazza che tanto desiderava? Non bastava tramutare uomini in mostri. Ora doveva trasformare i mostri in strumenti, in armi, senza cuore e senza vita.
Gatto fu costretto ad abbassare la mano e a usarla per reggere il suo peso. Il dolore gli faceva girare la testa. L’uomo abbassò lo sguardo. Osservò il pietrisco insanguinato; erano quelle le ultime immagini che i suoi occhi avrebbero catturato? Il suo sangue che scorreva tra un sasso e l’altro?
Oh, come avrebbe preferito morire insieme agli altri membri del suo clan, insieme alla sua dignità. Avrebbe sofferto di meno, e non solo perché sarebbe morto più in fretta, se fosse stato colpito da una freccia.
Rivolse gli ultimi pensieri al suo gruppo, il poco del suo clan che era rimasto. Non era la sua famiglia, ma erano coloro che lo avevano accolto, e non aveva avuto il tempo di salutarli quando gli Ideev se li erano portati via, come ora non aveva avuto il tempo di dire addio a Venam, Ridd e Daul, ora che un Ideev si era portato via anche lui. Avrebbe voluto urlare il nome che aveva udito, Kired, avrebbe voluto scriverlo con il sangue e condannarlo, ma non aveva tempo, e non aveva forze.
Alla fine, si rese conto che le braccia non lo reggevano più, così si lasciò andare, permettendo al dolore di divorarlo.

 

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Capitolo 18
*** Capitolo Sedici ***


Capitolo Sedici

«Gatto?»
Gli altri cinque tornarono a cercarlo, la sera.
«Gatto, dove sei?» continuava a chiamarlo Ridd.
«Da che parte era andato, esattamente?» chiese Reyns a Venam.
«Non ne ho idea.» rispose il capoclan, «Eravamo nella piazzetta quando ci siamo divisi, e io ho percorso quella stradina.» Indicò un vicolo buio.
«Io ero andato da quella parte.» li informò Daul, puntando con il dito un’altra via molto più stretta ma più illuminata.
«Io, invece, sono rimasto sulla via principale.» disse Ridd, dispiaciuto. «Ho girato per tutto il paese chiamando Gatto, ma l’unico che mi si è avvicinato è questo micio...»
E come se fosse stato addestrato, un piccolo felino spelacchiato si mostrò al pubblico con disinvoltura, sgusciando dal mantello di Ridd.
«Oh, stupido!» iniziò a infierire Venam, «Tu e il tuo dannato amore per gli animali!»
«Non è amore per gli animali!» cercò di giustificarsi l’altro, «Io stavo chiamando il nostro compagno, e questo gatto vero e proprio mi è venuto dietro.»
«E scommetto che si è anche infilato sotto il tuo mantello per conto suo.» ribatté l’altro, sarcastico.
«Be’, sembrava che avesse freddo, così...»
«Insomma, ne ho abbastanza delle tue giustificazioni!» ricominciò Venam, le sue parole come veleno. «Gatto è scomparso e tu vuoi adottare quel felino spelacchiato?»
Reyns, ignorando Ridd e Venam, si rivolse a Daul, domandandogli: «Dove l’hai visto, l’ultima volta?»
«Nella piazza.» rispose l’altro, cupo, «Forse ha seguito Ridd sulla via principale?» volle provare a credere. Un barlume di speranza gli illuminò gli occhi, ma non era abbastanza.
«L’avrebbe visto, tornando indietro. E poi ha detto di averlo già cercato, su quella strada. Non potrebbe essere rimasto nella zona della piazza?» ipotizzò il giovane.
«Ma a quest’ora sarebbe dovuto tornare alla locanda, quindi se non c’è è perché è successo qualcosa. Forse non si ricordava dove ci saremmo dovuti incontrare, anche se quello non è da lui...»
«Allora suggerirei di cercarlo nella zona della piazza.» propose Aera, «Se è vero che non si ricordava del ritrovo alla locanda, magari ci sta aspettando lì, dato che è il punto in cui vi siete lasciati.»
«Hai ragione.» ammise Daul, «Sì, è l’unica spiegazione possibile. Che mi preoccupo a fare?»
Detto ciò, si avviò in direzione del campanile, i suoi occhi pieni per metà di speranza e per metà di paura.
Nelle sue parole, sia Reyns che Aera avevano notato il velo di preoccupazione.
«Non sembrava molto convinto.» rifletté Aera. «Pensi anche tu che possa trattarsi degli Ideev di questa mattina?»
«Temo di sì,» rispose Reyns, «Dopotutto, uno di loro aveva detto che avrebbe vendicato la morte del suo compagno. All’inizio avevo pensato che se la sarebbe presa con me, invece...»
I tre Ideev raggiunsero i due ragazzi, e solo allora Aera si rese conto del fatto che non aveva più parlato con Reyns della questione della notte precedente.
Il gruppo si avviò verso la piazzetta; Venam apriva la fila, seguito da Daul, Reyns e Aera, Ridd... E il gatto.
«C’è un uomo a terra, laggiù!» urlò Ridd, ora spaventato a sua volta, ma anche pieno di speranza che fosse solo una coincidenza, e si trattasse di qualcun altro.
Il gruppo si avvicinò all’angolo della casa, dove all’ombra della medesima giaceva il cadavere.
Corsero in quella direzione, cercando di allontanare con tutte le loro forze il pensiero che potesse trattarsi proprio del loro compagno. Quando lo trascinarono verso una zona più illuminata, si leggeva l’orrore negli occhi dei viaggiatori.
«No!» protestò Ridd, ormai costretto ad accettare la realtà, «Perché? Come è potuto succedere?»
«Non puoi andartene così, amico! Dobbiamo arrivare da Vyde! Dobbiamo completare l’incarico prima degli altri, ricordi?»
Del gruppo di Ideev, Daul era senza dubbio quello più legato a Gatto: non poteva accettare di vederlo lì, morto, per di più in quel modo. Era come un fratello per lui. No, era più di un fratello per lui. Gli pizzicò le guance, come per svegliarlo, ma era troppo tardi.
Nella mente di tutti e tre gli Ideev si proiettarono dei ricordi che ognuno di loro era convinto di aver abbandonato da molto tempo. Ricordi di quando Ridd e Daul erano ancora dei ragazzi, e Venam era il capo di un clan, e non di una ristretta squadra di mercenari al servizio di Vyde.
Ricordarono il giorno, anzi, la notte, in cui quel giovane uomo, misterioso, furtivo, si era avvicinato all’accampamento del clan. All’inizio Venam aveva pensato che si trattasse di un ladro, ma poi aveva capito che non era così.
La figura, scura, nell’ombra, aveva pronunciato poche semplici parole: «Sono solo. Completamente solo.», ma non sembrava tanto un modo per tranquillizzare i membri del clan e far loro capire che non aveva intenzione di fare del male a nessuno, quanto una richiesta, la domanda di venire accolto in una famiglia, che non aveva, perché era solo. Completamente solo.
Ovviamente, ogni membro del clan lo accolse in modo diverso; i più vecchi come un figlio, i più giovani come un padre, alcune donne come un compagno. E poi ci fu Ridd, che lo accolse come un amico. Daul, infine, che lo accolse come un fratello. Ma il nome del nuovo membro di quella grande famiglia rimase un mistero per tutti.
Per il modo in cui si introdusse nell’accampamento, quella prima notte, così di soppiatto, ci fu chi lo paragonò a un animale. Aveva una scintilla, negli occhi, forse la furbizia, ma nessuno osò chiamarlo volpe. Il giovane Lord che si era stabilito nella fortezza al Lago Rosso, per quanto potente, non era visto di buon occhio, e dare il suo nome al nuovo membro della loro famiglia sembrava scorretto, come se avesse significato ricoprirlo di pregiudizi. Ebbe la meglio il soprannome scelto da Ridd, e approvato da tutti, anche dallo stesso Gatto.
Con quel nome compì numerose imprese che sfiorarono il mondo leggendario. Sfidò apertamente la Morte in più di un’occasione, e forse proprio per questo ora faceva paura vederlo lì, completamente fermo, senza che l’aria entrasse nei suoi polmoni e gonfiasse e sgonfiasse ritmicamente il suo petto.
Ma quel nome, il nome di Gatto, davvero non l’avrebbe mai conosciuto nessuno?
In effetti, Daul, il suo più grande amico, non era stato del tutto d’accordo con la scelta di quel banale Gatto come appellativo di un uomo che nascondeva molto di più.
Per Daul, Gatto era Yorun, la notte.
Era freddo, misterioso, e forse malinconico, come la fine di ogni giorno. Ma dentro di sé conservava la speranza di un domani migliore, di un domani sereno.
E quante notti Daul e Yorun avevano passato semplicemente guardando le stelle, là dove il fiume Reemti si gettava in mare, parlando del futuro, e mai del passato.
Nessuno sapeva nulla di Yorun, ma quando Daul gli aveva confessato che pensava che quel nome gli si addicesse di più di Gatto, lui l’aveva abbracciato, come si abbracciano i fratelli, e senza dire una parola – all’inizio non parlava molto – aveva continuato ad annuire, versando lacrime. Lacrime della notte, che luccicavano, come stelle.
Forse Yorun non era il suo vero nome, ma Gatto lo sentiva suo.
Aera guardò inorridita la scena. Aveva un brutto presentimento su chi potesse essere l’assassino, e anche la sensazione che quella di Gatto non sarebbe stata l’ultima delle morti in quel gruppo di Ideev. Temette per la sua vita e soprattutto per quella di Reyns.
«Chi può aver fatto una cosa del genere?» si chiese il ragazzo, mantenendo un’espressione impassibile, ma analizzando la situazione, freddo.
In realtà, dentro di sé si sentiva meglio; Gatto era stato il primo a sospettare che Reyns stesse in qualche modo tradendo il gruppo, e il fatto che fosse così unito a Daul non migliorava la situazione. Forse i due avevano già parlato dell’argomento, ed era facile che Daul si lasciasse condizionare dalle idee di Gatto.
«Deve essere stato un abitante, per difendersi.» disse Venam, cercando di trattenere le lacrime come era riuscito a fare il ragazzo.
«No, non può essere stato qualcuno che si è difeso.» Il ragazzo escluse subito quell’ipotesi, «Se fosse stato così, avremmo trovato il pugnale di Gatto vicino al suo corpo, se non ancora tra le sue mani, invece... Guarda dov’è.»
Indicò un punto sotto la finestra della casa, dove Kired l’aveva lanciato dopo che gliel’aveva tolto di mano. «Gatto è stato sorpreso,» continuò il ragazzo, «Qualcuno gli ha preso il pugnale e l’ha gettato a terra. A quel punto, l’hanno accoltellato, da dietro.»
«Quindi si tratta anche di qualcuno abile con la daga? Siamo messi bene!» esclamò Ridd.
«E c’è di peggio,» riprese Reyns, «Si tratta sicuramente di un Ideev.»
Aera era colpita dalle capacità di ragionamento di Reyns; era come se nella sua mente avesse già ricostruito i fatti, e per fare questo gli era bastato dare uno sguardo alla piazza.
«Come sarebbe a dire? Perché un Ideev dovrebbe uccidere un suo alleato?» chiese Daul, che non voleva credere.
«Questo non lo so,» ammise il ragazzo, «Ma la daga che ha ucciso Gatto è evidentemente identica a quella usata dagli Ideev. È uguale alla sua e alle vostre.»
Con ribrezzo, il gruppo abbassò lo sguardo all’arma che aveva trafitto il ventre di Gatto, e lì era rimasta. Aera faticava a sostenere quella vista, e non capiva come Reyns fosse riuscito ad elaborare teorie e ragionamenti sull’accaduto con un tale distacco.
«Ma se un Ideev ha ucciso un altro Ideev, significa che può rifarlo, giusto?» si chiese Ridd, preoccupato.
«Può darsi.» rispose Reyns, senza però mostrare la minima paura.
«Allora può anche darsi che Gatto non sia il primo ad essere stato ucciso.» intervenne Aera.
«Potrebbe trattarsi di qualcuno che si sta vendicando? O che vuole uccidere tutti gli Ideev?» domandò di nuovo Ridd, ormai in preda al panico.
«A quel punto potrebbe trattarsi anche di qualcuno del villaggio, che magari ha già ucciso altri Ideev e ora usa quei pugnali per disfarsi degli altri!» ipotizzò Venam, anche lui evidentemente turbato.
«È improbabile, però, che qualcuno in un paese così piccolo abbia ricevuto l’addestramento necessario per essere così rapido nei movimenti da strappare di mano il pugnale a un Ideev agile come Gatto e a ucciderlo. Si tratta più probabilmente di un Ideev molto giovane, forse un nato tra gli Ideev.»
«Potrebbe trattarsi di più persone del villaggio.»
«Se fosse un gruppo organizzato, ci avrebbero cacciati prima che mettessimo piede nel paese.»
«Deve essere stato più di un Ideev, allora.» concluse Venam, inorridito al solo pensiero. Traditori organizzati che avevano in mente di disfarsi di tutti gli altri Ideev?
Nemmeno Venam aveva mai voluto entrare a far parte del gruppo, ma si era adattato allo stile di vita di quel nuovo clan, e ora lavorava per Vyde. Aveva ancora la sua dignità, semplicemente si impegnava per raggiungere un obiettivo che non coincideva con l’idea di giustizia che avevano altri Ideev che erano diventati tali per sopravvivere.
L’obiettivo di Venam era allontanare da se stesso e da ciò che rimaneva del suo clan le preoccupazioni. Se per farlo doveva lasciarsi incidere un quadrato sulla mano e andare a sterminare clan, era pronto anche a quello. La morte di Gatto, però, significava che aveva in parte fallito. Ma era pronto ad andare avanti, non lasciarsi abbattere. Era il capoclan, lo era ancora, lo sarebbe sempre stato. Il suo era quell’egoismo dettato dalla sopravvivenza, che può essere perdonato da qualcuno con un cuore grande.
Era pronto a lasciarsi tutto alle spalle, superare le difficoltà. «Ci conviene accettare ciò che è successo, andare a dormire e svegliarci molto presto domani mattina, per poi riprendere il nostro viaggio verso il Lago Rosso.» riprese infatti le redini della situazione, senza lasciare che i suoi sentimenti lo condizionassero più del dovuto. Certo che gli dispiaceva, per Gatto, ma non aveva senso restare la notte a vegliare e piangere sul suo cadavere, diventando facili bersagli per quei pedinatori o traditori che fossero.
Spostarono il corpo sotto un albero in un angolo della piazza e lo coprirono con il suo stesso mantello, in modo che si vedesse il meno possibile. Piantarono nel terreno il suo pugnale, quindi, tristi e spaventati, si avviarono verso la locanda.
«Uno in meno.» sospirò Reyns.
Aera pensò che si riferisse al fatto che ora gli Ideev che potevano sospettare di loro erano uno in meno. Non aveva capito nulla.
«Quei due...» sibilò Daul, mentre tornavano indietro.
Solo Reyns e Aera lo sentirono piagnucolare come un bambino.
«Sono stati in due. Sono stati quei due. Gatto aveva ragione, sono stati quelli di ieri notte!»
Il giovane approfittò della situazione. «In quel caso,» disse in un sussurro, avvicinandosi all’uomo, «Credo che vorrai vendicare la morte del tuo amico. Giusto?»
Negli occhi di Daul si accese qualcosa; una scintilla nata dalla rabbia, che prometteva di diventare un fuoco dominato dall’ira.
Aera era spaventata da ciò che aveva davanti agli occhi. Reyns, con un sorriso sinistro, che tentava di convincere Daul a vendicarsi, e che ci riusciva.
Quel ragazzo era un manipolatore: le sue parole la incantavano – incantavano tutti – le sue capacità la affascinavano, e il suo sorriso la rendeva incapace di contraddirlo, come se negargli qualcosa avesse potuto cancellare quel sorriso per sempre. E quella sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe voluto.
Ciò che voleva era che Reyns fosse dalla sua parte e, con un po’ di fortuna, che anche lui vedesse in lei qualcosa di più di una semplice alleata, di una complice, ma che il suo ruolo passasse a quello di compagna di viaggio, in questo viaggio, che era l’ultimo.
Non aveva idea di quanto fosse stata in grado di cambiare il modo di pensare e di agire di Reyns, dal primo momento in cui i loro sguardi si erano incrociati.
«Sì.» ripeté Daul più volte, «Sì, pagheranno per quello che hanno fatto! E rimpiangeranno di essersela presa con Gatto quando io, Daul, travolgerò quei cacciatori come un fiume in piena!»
Reyns gli posò una mano sulla spalla, dopodiché lo superò, seguito da Aera.
«Lo vuoi spingere a vendicarsi?» gli chiese la ragazza. Il suo sguardo lasciava chiaramente intendere quanto l’idea non le andasse a genio.
«Gatto sospettava di noi, avevi ragione.» iniziò il giovane, «Il fatto che sia morto, in un certo senso, è meglio per noi.»
«Quindi speri che...» Aera non terminò la frase. Una parte segreta di lei era sollevata dalla morte di Gatto, in effetti, ma la ragazza non voleva ammetterlo nemmeno a se stessa. Reyns invece accettava questo sentimento, questo istinto di sopravvivenza irreprimibile. È spaventoso quanto un istinto possa arrivare a sperare, mentre una coscienza lo implora di fermarsi.
«Sì, Aera, io spero che Daul se la prenda con uno di quei due, che lo tolga di mezzo, e che l’altro per vendetta uccida uno dei nostri. Mi vergogno di ciò che la mia testa è arrivata a pianificare, mi fa paura, ma...» si morse il labbro, poi si costrinse a terminare la frase, «Quanto ti potranno ferire le morti di questi Ideev, rispetto a quanto ti hanno ferito quelle dei tuoi amici? Che peso avrà la morte di Gatto, rispetto a quella di Zalcen, o Ikaon? Riesci a fare un confronto? Puoi anche solo immaginarlo?»
Aera non rispose, ma abbassò lo sguardo. Non valevano niente.
«Se sei onesta con te stessa, perfettamente onesta, riesci a capire che non ti feriscono affatto, ma al contrario non stai aspettando altro, perché con tutta probabilità è da attribuire a loro la colpa della morte dei tuoi amici e di tutto il tuo clan. Sono stati loro a condannarti a una vita di solitudine. Altrimenti che cosa pensi che ci facessero nel Bosco delle Frecce, l’altro giorno?»
La ragazza giocherellò con il Ciondolo dell’Aquila, nervosa. Con tutta probabilità i suoi compagni di viaggio erano gli assassini della sua famiglia. Aveva ragione Reyns, aveva ragione!
«Lo so che fa paura, l’onestà.» disse infine il ragazzo.
Aera lo guardò negli occhi. Era come se la stesse ipnotizzando; dentro di sé, sentiva che ciò che era uscito da quelle labbra era solo la verità.
«Come ti è venuto in mente di convincere proprio Daul? È perché era il più legato a Gatto?»
«Principalmente sì, ma ti invito a riflettere sulle coincidenze.»
«Quali coincidenze?»
«Il significato dei nostri nomi.»
Aera pensò a ciò che aveva detto Reyns, e si sentì ancora più legata al ragazzo: i loro nomi significavano arcobaleno e pioggia. Era una coincidenza? Forse, ma in effetti tornava tutto; Daul aveva affermato che avrebbe travolto l’assassino di Gatto come un fiume in piena.
Era quindi per questo, probabilmente, che a spingerlo a vendicarsi fosse stato proprio qualcuno con il nome di Reyns. Era come aveva detto Daul. Non è il fiume a scegliere di gonfiarsi, straripare è uccidere. Il fiume è una vittima. Vittima della pioggia.

 

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Capitolo 19
*** Capitolo Diciassette ***


Capitolo Diciassette

Alla fine, i due ragazzi non avevano parlato molto, e con il clima che si era venuto a creare, ad Aera non sembrava il caso di fare certe domande.
Reyns sembrava estremamente turbato dalla morte di Gatto, nonostante la sera prima si fosse mostrato quasi sollevato dall’episodio. Probabilmente stava solo recitando la sua parte – fin troppo bene, come al solito, tanto da immedesimarsi nel personaggio al punto di diventare esso, e quindi essere realmente turbato. Per tutto il tempo, il ragazzo non aveva fatto altro che tenere lo sguardo fisso verso il suolo, formulando ipotesi nella sua mente sul perché un Ideev dovesse uccidere un suo compagno. C’era sicuramente più della vendetta. Quei due avrebbero eliminato tutti, e ancora lui non capiva la ragione.
A un certo punto, Aera decise di farsi coraggio, e di avvicinarsi a Reyns per chiedergli qualcosa, qualunque cosa; voleva solo che la smettesse di camminare in silenzio. Un po’ si vergognava, come se distoglierlo dai suoi pensieri, disturbandolo, equivalesse a un torto che il ragazzo non avrebbe perdonato, ma si disse che quei suoi pensieri erano sciocchi e dettati dalla timidezza, che cercava ogni scusa per spingerla a restare in silenzio. Non ascoltò se stessa, e si rivolse a lui.
«Reyns,» iniziò a dire, e il ragazzo si voltò, guardandola con quei suoi occhi castani, che apparivano quasi dorati, alla luce del sole, come se avessero perso le loro rare sfumature amaranto. «Dopo quanto è successo, credi che dobbiamo dirci in pericolo?»
Il giovane mostrò degli occhi tristi e colpevoli, poi abbassò lo sguardo, tornando a fissare il sentiero.
Aera, imbarazzata quando si ritrovò ad osservarlo senza che lui le ricambiasse lo sguardo, prese a guardarsi intorno, senza riuscire a spiegarsi il motivo di quella luce nei suoi occhi.
Erano circondati dal verde. Alberi che toccavano il cielo dai cui rami pendevano frutti di un giallo scuro li guardavano dall’alto, mentre da sotto si affacciavano dei fiori viola e rossi ricoperti di gocce di rugiada. Il sole era appena sorto nel cielo, e il gatto trovato da Ridd, che avevano deciso di chiamare proprio Gatto, li stava ancora seguendo.
Aera stava per allungare il passo e fingere di non aver mai chiesto niente a Reyns, quando questi le rispose: «Temo di sì.»
«Pensi che siano stati i due di ieri mattina?»
«Probabilmente.»
Reyns dava risposte di poche parole alle domande di Aera, che arrivò alla conclusione che il ragazzo doveva essersele già poste tutte.
Allora gli pose l’ultima, grande domanda, quella sulla quale avrebbe avuto ancora da ragionare: «Perché un Ideev dovrebbe uccidere un suo compagno?»
«Non lo so,» fu la risposta, «Non ne ho idea, non riesco a capire...»
«Non potrebbe essersi trattato di un tentativo di rapina finito male?» ipotizzò la ragazza, anche se riteneva improbabile che fosse andata in quel modo.
«Se un Ideev deve arrivare a rapinarne un altro, significa che non ha più niente, quindi perché non rubare il coltello alla vittima, invece di lasciarlo lì?»
Aera lasciò passare qualche momento di silenzio.
«Neanche io riesco a capire.» disse, poi.
Ci stavano girando intorno, ma entrambi avevano una brutta, bruttissima sensazione, riguardo all’assassinio di Gatto.
«E se fosse colpa mia?» chiesero all’unisono.
«No, tu non hai fatto niente di male, Aera!» cercò di consolarla il giovane, prendendole le mani.
«Ma forse quei due pensavano che fossi la ragazza che stavano cercando, che la principessa Orientale fossi proprio io...»
«No!» la zittì Reyns, prendendola per le spalle, «No, non è così. È a causa mia.» abbassò lo sguardo, carico del senso di colpa, poi cominciò a spiegare: «La notte in cui Daul e Gatto avevano sentito quel rumore, c’era davvero qualcuno.»
«Quei due, giusto?»
«Erano in tre.» rivelò il ragazzo.
Aera comprese che la sua paura era fondata, ma nascose la sua disapprovazione per la scelta compiuta da Reyns di togliere la vita a quel terzo Ideev – con tutta probabilità, più che di una scelta, si era trattato di un istinto.
«Solo che...» tentò poi di continuare il giovane, «Io ero stato incaricato...» mentì, «Mi ero offerto di...» si corresse, «Vegliare su di te.»
Si voltò dall’altra parte. Stava arrossendo, e non voleva che Aera lo notasse.
«E quindi perché è successo... Ciò che penso sia successo?» chiese invece la ragazza.
«Ecco, io...» tentò di inventarsi una scusa plausibile, ma capì ben presto di essere costretto a dire la verità, anche prima che Aera ponesse la sua domanda, senza più giri di parole.
«Perché l’hai ucciso, Reyns?»
Il ragazzo sospirò, distrutto.
Sapeva ciò che aveva fatto, aveva le sue ragioni, ed era anche sicuro che Aera le avrebbe comprese, ma il fatto che gli venisse ricordato con quelle parole esatte quale fosse stato il peso del suo gesto, del suo istinto che l’aveva obbligato a proteggere se stesso e soprattutto Aera... Quello faceva male.
«Quell’Ideev, non so nemmeno quale sia il suo nome,» si rese conto. Nella sua mente la sua vittima corrispondeva a un’immagine, una visione cruda e sporca, insanguinata, in punto di morte, ma non a un nome. Si vergognò ancora di più. «Aera, quell’Ideev voleva uccidermi! Io l’ho semplicemente preceduto. Perché chi fa del male a me e mi rende incapace di difendere me stesso, mi rende anche incapace di proteggere te. E io devo proteggerti, Aera.»
Aera sentì come se un fuoco le si fosse acceso nel petto, sentendo Reyns pronunciare quelle parole. Era davvero così importante, per lui? Reyns sarebbe stato davvero pronto ad uccidere per lei?
Per quanto sembrasse immorale, avrebbe voluto ringraziarlo, ma non ne ebbe il tempo, che il giovane continuò: «Guarda cosa ho trovato, poco fa,» disse, estraendo dalla tasca una foglia di edera di colore rosso. «Sai che cosa significa, questa, per gli Ideev?»
Aera fece di no con la testa.
«Tradimento.» si intromise Venam, togliendo le parole di bocca a Reyns. «Significa tradimento, e voi due, ieri sera, avreste potuto essere dovunque, mentre noi quattro eravamo in giro per il paese.»
«Non starai insinuando...» iniziò a dire Aera.
Venam strappò di mano la foglia di edera a Reyns, prese il gambo fra le dita della mano destra e la osservò, come a studiarla. «Questa foglia, per gli Ideev come noi,» accentuò, per distinguere se stesso, Ridd e Daul dai due ragazzi, «È simbolo di un tradimento imminente. Daul vi terrà d’occhio molto da vicino, giusto?»
«Sono stati i due Ideev di ieri mattina!» ribatté l’uomo, «Questi due marmocchi non c’entrano!»
«E come puoi esserne così sicuro?» domandò Venam.
«Perché Reyns quella foglia me l’ha mostrata ieri.» mentì, per proteggere il ragazzo.
Lui e Aera capirono di dover stare al gioco, e mostrarono a Venam la loro espressione più convincente.
Il capoclan lasciò andare la foglia di edera, e attese che essa raggiungesse lentamente il suolo, dopodiché tornò a guidare il gruppo. Non riuscì a ribattere, questa volta.
«Grazie.» bisbigliò Aera a Daul.
«Sei davvero così sicuro che si tratti di quei due?» gli chiese poi Reyns.
«Gatto era stato il primo a sospettare di essere spiato,» spiegò l’uomo, «Probabilmente aveva capito chi erano quei due, e loro l’hanno ucciso prima che potesse dirlo a qualcuno.»
«In effetti, non è un’ipotesi da scartare.» dovette ammettere il ragazzo.
Aera venne invece travolta da un dubbio: «I membri del vostro clan, erano davvero stati eliminati? Tutti quanti?»
«Sì,» rispose Daul, con un’espressione triste, «Sono morti tutti, davanti ai nostri occhi. Eravamo un clan piccolo, quindi ci conoscevamo tutti. Eravamo come una famiglia.»
Aera si rivide in Daul, e ascoltò anche con il cuore, più che con le orecchie. Forse fu un errore.
«E, anche se a guardarlo non sembrerebbe, Ridd non si è mai ripreso dalla perdita...»
«Tutti noi abbiamo perso qualcuno di importante,» lo interruppe Reyns, «Ma dobbiamo farci forza, e andare avanti anche per loro.»
Daul annuì.
Aera si rese conto di dover ringraziare Reyns; si stava facendo catturare dalle parole di Daul, e questo avrebbe potuto metterla in difficoltà nel momento in cui, probabilmente, lei e Reyns avrebbero dovuto scontrarsi come minimo verbalmente con i tre Ideev rimasti, quando avrebbero raggiunto la fortezza di Vyde e sarebbe stato inutile tentare di nascondere il vero scopo del loro viaggio verso il Lago Rosso. Se Aera si fosse affezionata a quei tre, sarebbe stato disastroso.
Reyns aveva capito di doverla aiutare a rimanere lucida, ed era bravo a farlo: le sue parole, con il potere di incantare, non avevano effetto solo su Aera, ma su chiunque parlasse con lui.
«Controllavamo la zona nord-orientale, vicino alle Montagne, ma ricordo che l’accento di quei due era di un’altra zona.» riprese a dire Daul.
«Sì, lo ricordo anch’io,» si intromise Ridd, «Uno di loro, quello più alto, aveva un marcato accento meridionale.»
«Meridionale, dici?» si preoccupò Aera, «E se fosse qualcuno del mio clan?»
«Già, forse fanno parte del nostro clan!» concordò Reyns, marcando l’aggettivo nostro per ricordare ad Aera che, nella parte che stavano recitando, venivano entrambi dal clan Knej. «Forse allora si tratta davvero di qualcuno che vuole vendicarsi della nostra scelta di unirci agli Ideev.»
«Ehi, ehi, ragazzino!» lo fermò Ridd, «Prima di tutto, anche quei due sono Ideev, quindi non vedo come mai dovrebbero prendersela con voi. Siete tutti Ideev, ora, quindi...»
«Ipocrisia.» rispose Reyns, interrompendo l’uomo. «Loro si sono uniti agli Ideev, ma sono dei traditori, quindi pensano di avere ancora una dignità, mentre ne ritengono noi privi. Non si rendono conto di aver gettato via la loro nel momento in cui si sono dichiarati dei fantasmi, morendo come membri di qualche clan e non essendo mai nati Ideev.»
Tutti furono colpiti dalle parole del ragazzo, e soprattutto Aera, dato che Reyns aveva definito ipocriti persone come erano loro due, visto che erano loro i veri traditori. Ma disprezzare con orgoglio coloro che siamo è un ottimo modo per convincere chi ci ascolta che in realtà siamo qualcun altro.
«Comunque,» riprese Ridd, dopo una breve pausa per comprendere appieno il significato delle parole del ragazzo, «Resta il fatto che, anche se l’accento è chiaramente meridionale, il sud è grande.»
«Lo so,» rispose Aera, «Ma non tutti i membri del nostro clan sono morti. Alcuni si sono uniti agli Ideev, quindi forse si tratta proprio di loro.»
Le sembrava di poter distinguere senza problemi i nomi dei due che non si sarebbero uniti agli Ideev per nulla al mondo: Ikaon e Neal. E dato che lei stessa era viva mentre Zalcen e Aniène purtroppo no, questo la lasciava con ventisette possibili candidati. Utilizzando il metodo insegnatole da Zalcen per risolvere qualsiasi problema del genere, eliminò a poco a poco i nomi di chi era meno probabile che avesse cercato vendetta: gli altri bambini del clan, le donne che volevano bene ad Aera come fosse figlia loro, e alcuni uomini che avevano dimostrato fedeltà molto più di altri. Rimaneva con una decina di nomi.
Pensando a chi era stato ucciso, però, si rese conto che, il giorno in cui era partita per l’ovest, aveva notato solo il corpo di Ikaon. Era anche vero che poi aveva deciso di distogliere lo sguardo.
Sapeva troppo bene che Neal avrebbe fatto qualsiasi cosa per quel clan, e non era di certo uno dei traditori che avevano condotto il clan Knej in quel vicolo cieco. Neal avrebbe accettato di morire con un sorriso, piuttosto che continuare a vivere sotto un cappuccio.
***
Quando ormai si erano addentrati nel Bosco di Yede, i viaggiatori notarono i due Ideev della mattina precedente sul sentiero, proprio davanti a loro. Entrambi portavano il cappuccio calato sulla fronte, e si esibivano nella stessa posa del primo giorno in cui li avevano incontrati, mostrando il simbolo Ideev.
Li avevano aspettati?
«Ci dispiace, per la morte del vostro compagno.» iniziò a dire quello più alto.
«L’avete ucciso voi!» li accusò Daul.
«In effetti, è così.» confessò Kired, senza la minima esitazione. «E se non volete fare la stessa fine, vi conviene consegnarci la ragazza.»
Aera si sentì sprofondare; era quindi stata proprio lei il movente dell’omicidio di Gatto?
I membri del gruppo si cercarono l’un l’altro con lo sguardo, senza sapere che cosa fosse meglio dire.
A quel punto, Reyns si fece avanti.
«Non avete bisogno di lei.» disse, ponendosi tra Aera e Kired. «In più,» aggiunse, fingendo di essere profondamente offeso, «Questa è una mancanza di rispetto. Infatti, sospettando che questa ragazza vi stia mentendo, sospettereste anche di me, dato che ci siamo uniti agli Ideev lo stesso giorno e veniamo dallo stesso clan.»
«Davvero? E da quale clan verreste?» lo sfidò Kired.
«Clan Knej.» risposero i due ragazzi all’unisono.
Kired borbottò qualcosa sottovoce, ma non venne udito. «Sarà, ma gli ordini sono ordini,» si giustificò, «E noi abbiamo il compito di condurre qualunque ragazza venga dall’Est alla fortezza di Lord Vyde.»
«Ci sta già andando, da Vyde.» si intromise di nuovo Daul.
Kired ridacchiò.
«Proprio quello che ha detto il tuo amico.» ricordò l’Ideev più alto, «Non è vero, Kired?»
«Già...» concordò il giovane.
All’udire pronunciare quel nome, Reyns ebbe un colpo al cuore. Gli era stato detto che un certo Kired, che veniva dal nord, fosse uno degli Ideev più fidati di Vyde. Per questo il Lord aveva deciso di affidare a lui l’incarico della principessa.
«Lo sapevo, l’hai ucciso tu, sporco assassino!» urlò Daul.
I due Ideev scoppiarono in una sonora risata. Daul stava per saltar loro addosso, ma Reyns lo fermò.
«Kired...» iniziò il ragazzo, rivolgendosi all’Ideev, «Non penserai di essere davvero l’Ideev più qualificato per portare a termine un compito del genere! La principessa si nasconde, e lo sai bene. Se continui a perdere tempo correndo dietro a ragazze così,» indicò Aera, che si trovava dietro di lui, come a volersi nascondere, «Un Ideev migliore di te ti precederà.» concluse con un sorriso malizioso.
Kired, sorprendendo anche il suo stesso compagno, controllò la sua rabbia e rispose al fuoco senza oltrepassare il limite, ma ripagando semplicemente con la stessa moneta. Di solito, questo modo di agire porta più soddisfazione.
«Reyns...» si rivolse a lui.
Di nuovo, fu come se il cuore di Reyns si fermasse, per un momento, ma non lasciò trapelare nemmeno l’ombra della sua preoccupazione. Quando o dove Kired avesse sentito pronunciare il suo nome era tutt’altra storia; ora ciò che era importante era dimostrare sicurezza.
«Ricorda soltanto che se io sono qui e, come tu stesso hai detto, non sono il migliore degli Ideev al servizio di Vyde, quello che è davvero il prediletto del nostro Signore potrebbe avermi già superato. Potrebbe consegnare la principessa da un momento all’altro, sempre che non l’abbia già fatto.» continuò il cacciatore.
Sperava che Reyns se la sarebbe presa, che avrebbe preteso di essere il migliore degli Ideev e che la principessa si trovava alle sue spalle? No, questo era ciò che Kired avrebbe voluto, ed era ben lontano da ciò che Reyns avrebbe fatto. Perché se avesse detto che la principessa Orientale era proprio Aera, Kired e il suo compagno avrebbero avuto un motivo valido per portargliela via.
«Infatti, proprio per questo vi consiglio di sbrigarvi, mentre noi dobbiamo semplicemente recapitare informazioni di poco conto. Lasciateci fare il nostro lavoro.» disse, quindi.
Questa volta fu Kired a venire fermato dal compagno, mentre stava per sfoderare il pugnale e piantarlo nel petto a Reyns. La sua capacità di contenere la rabbia sembrava essere molto limitata.
«Comunque vi volevamo ringraziare.» disse con voce calma l’Ideev più alto, «Per le indicazioni che ci sono state fornite dal vostro compagno sull’attuale posizione della principessa, s’intende. Stiamo andando a est.»
Sul volto di Daul, Ridd e Aera si dipinse lo stupore, su quello di Venam l’odio, mentre Reyns rimase perfettamente calmo, o almeno questo fu il lato di sé che mostrò agli altri.
Dopodiché i due Ideev si incamminarono a passo svelto verso est, e il gruppo rimase fermo per qualche momento a guardarli mentre se ne andavano.
Aspettarono che fossero abbastanza lontani per poter parlare senza essere uditi.
«Gatto ha rivelato qualcosa sulla principessa?» si chiese Daul.
«Se l’ha fatto, se l’è inventato di sana pianta!» esclamò Venam, «Noi non ne sappiamo assolutamente nulla. Hai detto bene, Reyns, chiunque sia l’Ideev migliore starà già lavorando a questo proposito, e non sono fatti nostri.»
«No, è ovvio che Gatto non abbia detto nulla.» rifletté Reyns, «Di certo quei due non gli avrebbero creduto. Possono avere tutti i difetti del mondo, ma non sono stupidi. Penso che vogliano organizzare un’imboscata, farci credere che se ne siano andati. Ma torneranno. Meglio tenersi pronti.»
«Allora qualcuno dovrà stare di nuovo di guardia...» disse Venam, spostando lo sguardo su Ridd.
«Oh, no, io no, ti prego!» lo implorò l’altro, «Lo sai che non riesco a camminare, se di notte non dormo!»
«Lascia stare, Ridd,» disse Daul, mettendogli una mano sulla spalla, «Farò io il turno di guardia. Dopotutto, credo che difficilmente riuscirei a dormire.»

 

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Capitolo 20
*** Capitolo Diciotto ***


Capitolo Diciotto

Il sentiero continuava a salire, sempre più ripido, e i viaggiatori erano stanchi.
Aera non poteva fare a meno di osservare meravigliata la natura che la circondava; il suo sguardo era alla ricerca di fiori selvatici che andavano dal rosso più sgargiante al viola e al lilla più leggeri.
In realtà i suoi erano solo vani tentativi di distrarsi dal senso di colpa che provava ogni volta che davanti a sé vedeva solo tre dei quattro Ideev che avevano intrapreso quel viaggio insieme a lei e Reyns; si riteneva la responsabile della morte di Gatto.
Ad un certo punto, quando il gatto adottato da Ridd, stanco di stare al passo dei primi della fila, le venne incontro miagolando, non poté evitare di rivolgere il pensiero all’uomo che era stato ucciso solo per averla protetta.
«Quindi è morto perché non ha detto a Kired dove mi trovavo?» chiese, apparentemente a nessuno, prendendo in braccio il gattino e accarezzandolo mentre il felino faceva le fusa.
Forse l’aveva chiesto proprio a lui, ma non si aspettava una risposta. Il gatto prese a giocherellare con le due treccine di Aera, e la ragazza sorrise, pensando che forse avrebbe dovuto prendere esempio da quel gattino, e tentare di distrarsi, invece.
Capì però ben presto che non ci sarebbe riuscita. Non questa volta.
Anche se il soggetto della frase mancava, Reyns comprese comunque a che cosa Aera si stesse riferendo – forse perché ci stava pensando lui stesso – e le rispose, tentando di tranquillizzarla.
«Non è colpa tua, e in un certo senso nemmeno di Kired e il suo compagno. Tutto ciò che sta accadendo è a causa di Vyde e di chi lo appoggia. Lo hai detto tu stessa, ricordi?»
«Sì...»
«Ebbene, lo credo anch’io, ma gli ordini di Vyde sono questi: ogni ragazza che abbia all’incirca la nostra età e che indossi dei gioielli provenienti dall’Oriente deve essere portata alla fortezza del Lord, il quale saprebbe riconoscere la principessa. Almeno, questo è quello che dicono. Il fatto che noi due ci stiamo dirigendo verso il Lago Rosso di nostra spontanea volontà dovrebbe inoltre essere abbastanza perché Vyde riconosca che la tua identità non coincide affatto con quella della principessa Orientale. Ma dopotutto non importa. Quella di noi due che entriamo dalla porta del suo studio sarà probabilmente l’ultima immagine che i suoi occhi cattureranno.»
Aera colse la sfumatura di qualcosa di malvagio nel sorriso che Reyns le riservò, quando terminò di parlare – sembrava addirittura eccitato all’idea di uccidere. Anche lei stessa era convinta che fosse per una giusta causa, ma l’omicidio di Vyde restava comunque un omicidio.
Era dunque in quel suo sorriso che aveva radice la sensazione che Aera aveva avuto il giorno in cui si erano incontrati, quando le era sembrato che Reyns avesse dovuto soffrire così tanto a causa degli Ideev che aveva accettato senza pensarci due volte di partire insieme a lei per andare a morire? Era in quel preciso momento che il dolore si era tramutato in odio, in rabbia, e successivamente in bisogno di reagire?
O era stato qualcosa di graduale? Una lunga guerra, combattuta da innocenza e istinto dentro di lui? Chi aveva vinto? O meglio, chi stava vincendo?
Forse l’avrebbe spaventata scoprire che nemmeno Reyns ne aveva idea.
Aera non sapeva che cosa rispondere; era stata rapita dalle parole di Reyns. Ad un tratto, però, le tornò in mente una questione che era rimasta in sospeso. Doveva tenere a freno l’orgoglio, ma aveva i suoi sospetti. «Reyns,» si rivolse a lui, «Ho una domanda, riguardo alla mia collana.»
Il ragazzo si voltò verso di lei; il timido sorriso che era incapace di nascondere tradiva il suo sguardo deciso.
«Sembra molto importante, anche per gli abitanti della Valle Verde.» continuò Aera.
«Certo, l’aquila simboleggia la forza e la ricchezza. D’animo, ma anche materiale. Probabilmente i tuoi genitori facevano parte di una famiglia abbastanza illustre, per potersi permettere di lasciarti quel simbolo senza cadere in disgrazia, invece, i miei...»
Mostrò alla ragazza l’umile braccialetto di cuoio intrecciato che portava al polso sinistro. «Non so nulla sull’Est e non sono nemmeno sicuro di venire da lì, ma in confronto ad anelli e ciondoli raffiguranti i rapaci che volano più in alto nel cielo, questo intreccio di fili di cuoio è un insulto all’Oriente!»
«Lo hai da quando sei nato?»
«Da quando ho memoria.»
«E qualcun altro nel tuo clan portava qualcosa di simile?»
«C’erano un paio di ragazzi che portavano collane che assomigliavano al Ciondolo dell’Aquila.»
«Anche delle ragazze?»
Reyns esitò. La risposta sarebbe dovuta essere un sì, ma, da un lato, voleva che Aera sospettasse di essere la principessa Orientale. Se se ne fosse convinta, forse avrebbe rinunciato ad andare a morire, e avrebbe accettato di tornare a Est con lui, di superare le Montagne e tornare a casa. Dentro di sé, aveva più voglia di vivere che di reagire. «No.» disse quindi, abbassando il tono di voce, e un attimo dopo se ne pentì: Vyde non avrebbe dovuto passarla liscia. E poi, se fossero tornati a Est senza averlo fermato, chissà quale sarebbe stata la situazione. Con tutta probabilità, anche peggiore di quella nella Valle Verde. «Voglio dire, sì! Ora che mi ci fai pensare, una ragazza c’era...»
«Davvero?»
«Sì, aveva un anno in più di me. Non riesco nemmeno a ricordare il suo nome...» frugò tra i suoi ricordi, apparentemente senza successo, mentre stava in realtà combattendo con quel nome, irto di spine. Per miracolo vinse, e lo pronunciò. «Ah, sì, era Yohana.»
Ridd si voltò di scatto e guardò Reyns; il messaggio che inviavano i suoi occhi era a metà tra il sentirsi tradito e l’essere confuso. Il ragazzo lo fulminò con lo sguardo, come a chiedergli con arroganza che cosa avesse da guardare, e Ridd assunse un’espressione colpevole. A quel punto Aera, dato che Reyns non la stava più guardando negli occhi, seguì i suoi e notò Ridd.
«Ah...» l’uomo tentò di farsi strada tra i guai, «Ecco dov’era finito, quel gatto!» esclamò, forzando un sorriso e tirando un sospiro di sollievo, indicando il piccolo felino ancora acciambellato nelle braccia di Aera. Era evidente che stesse recitando. «Stavo iniziando a preoccuparmi che volesse lasciarci... In effetti non potrei biasimarlo, se preferisse fermarsi a riposare. È dura, questa salita!»
«Già...» concordò la ragazza, distratta da quel suo comportamento che non riusciva a spiegarsi.
Fiore di rosa... Aveva un nome grazioso, pensò poi, ritornando all’argomento che stava affrontando con Reyns. «Ce l’ha fatta?» domandò, sperando vivamente in una risposta positiva.
«Credo di sì.» disse il ragazzo, «Era davanti a me mentre io e pochi altri attraversavamo lo strapiombo che separava la nostra base dal resto della Valle Verde.» Il suo sguardo ora era perso nei ricordi di quella drammatica notte. «In quel momento ero concentrato a non cadere. Il ponte era stato reso inagibile. Non ricordo esattamente, ma credo che gli Ideev avessero tagliato le corde che lo sostenevano, a monte. O forse a valle, non ne ho idea. Ero stato costretto ad attraversare aggrappandomi una semplice fune, e avevo paura che, da un momento all’altro, uno degli Ideev, vedendomi, decidesse di tagliarla e lasciarmi precipitare nel vuoto. Quindi cercavo di fare il più in fretta possibile, anche se mi facevano male le mani, le gambe... Probabilmente sanguinavo, ma non mi importava. Se qualcuno mi aveva ferito in qualche modo, non ci stavo facendo caso. Ciò che volevo in quel momento era arrivare dall’altra parte, sopravvivere. Mi sforzavo di non guardare in basso, tenevo lo sguardo fisso davanti a me, e davanti a me c’era Yohana. Ricordo i suoi capelli rossi danzare come fiamme, mentre correva verso sud.»
Aera era commossa. Ora capiva perché Reyns fosse arrivato a voler dimenticare quel nome: faceva male. Ferisce sempre vedere soffrire le creature più belle.
«Comunque io sono corso verso ovest. Immagino che Yohana fosse alla ricerca di un punto da cui poter attraversare di nuovo gli strapiombi, per raggiungere l’Oriente. Voglio credere che ora sia tornata a casa. E voglio credere che la principessa sia proprio lei.»
«Vuoi credere anche se tu stesso hai detto che la fiducia uccide?» lo mise alla prova Aera.
«Sì.» rispose lui, guardandola negli occhi, con una sicurezza che da un lato fece aumentare la stima che provava per lui, e dall’altro la ferì, perché qualcosa dentro di lei avrebbe voluto essere la principessa di Reyns.
«Bene.» concluse lei. «Allora andiamo avanti per Yohana, la principessa Orientale!»
«Pensi spesso alla principessa Orientale, a quanto vedo...»
«Ogni volta che penso agli Ideev, ossia ogni volta che abbasso lo sguardo alla mia mano destra. Dopotutto, a questo punto, lo stiamo facendo più per Yohana che per noi. Ho cominciato ad accettare il fatto che verremo uccisi, dopo aver assassinato Vyde e Tavem.»
Ora era Reyns a non sapere che cosa rispondere, ma Aera continuò: «Immagino che non si ricorderanno di noi.»
Si stava riferendo agli abitanti della Valle Verde. Mentre pronunciava quelle parole, si rese conto che era la prima volta che esprimeva quel concetto ad alta voce, e si sentì improvvisamente vuota: era proprio così, nessuno avrebbe mai ricordato il sacrificio di due ragazzi come lei e Reyns. Non erano importanti per la Valle Verde, e sarebbero stati visti come dei traditori, in un primo momento. E quando il popolo si sarebbe accorto che, in realtà, dopo l’assassinio di Vyde, la situazione era migliorata, i nomi di Aera e Reyns sarebbero già stati cancellati. Perché la pioggia porta consolazione solo a chi ha bisogno di piangere in compagnia del cielo, mentre coloro che sono persi nelle illusioni della felicità la vedono come qualcosa di negativo, e aspettano che il temporale passi e arrivi l’arcobaleno, per ritrovare la speranza. In realtà, la pioggia non porta tristezza – semplicemente, la accomuna.
«Aera,» iniziò a dire Reyns, con fare dispiaciuto, «Non ti sembra di buttare via la tua vita, facendo ciò che stai tentando di fare?»
Sapeva che farle cambiare idea sarebbe stato a dir poco impossibile, ma voleva come minimo accertarsi che fosse cosciente delle sue decisioni e delle conseguenze che queste avrebbero avuto. Negli ultimi giorni aveva cominciato a legarsi spaventosamente troppo a lei, e Aera era diventata una persona – l’unica, ormai – che per Reyns valesse la pena difendere. Dopo aver perso tutto e tutti, non c’era stato più nessuno come lei. Anzi, come lei non c’era mai stato nessuno.
«Pensi davvero così?» chiese lei, sorpresa.
«Insomma, l’ultima cosa che farai sarà togliere la vita a un uomo...»
«Vyde non è un uomo,» lo interruppe, «Vyde è un pazzo, e prendersi la briga di ucciderlo non è altro che la decisione migliore che chiunque con ancora un briciolo di dignità possa prendere!» Non riusciva a capire; stava tentando di farle cambiare idea?
«Capisco...»
Reyns abbassò lo sguardo. Non c’era verso di farle capire ciò che la morte di Vyde avrebbe significato per gli Ideev. Aera non era un Ideev. Non aveva idea del fatto che la maggior parte di loro sarebbero stati tutt’altro che entusiasti, specialmente le guardie alla fortezza del Lord.
Ma non poteva impedirglielo. Dentro di sé, la morte di Vyde era ciò che voleva lui stesso, era ciò che tutti volevano, ma solo Aera era stata in grado, nonostante le sue paure e le sue insicurezze, di dirlo, pronunciare quelle parole, ammettere la verità. E sarebbe stata la più coraggiosa, perché avrebbe agito in conseguenza di quella verità.
No, se avesse tentato di fermarla, il suo sarebbe risultato un atto di estremo egoismo. Avrebbe significato ritenersi più importanti dell’intera Valle Verde.
Ma per Reyns, Aera era davvero più importante.
***
Durante la notte, Daul non aveva avvistato nulla se non qualche gufo e un paio di cinghiali, ma i viaggiatori dovevano comunque fare attenzione: quella di Kired era stata una minaccia, questo era chiaro, quindi quei due Ideev li avrebbero sicuramente seguiti.
Ora il bosco era tanto fitto che si riusciva a malapena a tenersi sul sentiero; la vegetazione lo ricopriva completamente. Venam doveva tagliare i rovi infiniti con il pugnale per riuscire a passare. Aera procedeva saltellando, per non pestare le spine; a differenza di quelli che indossavano gli altri, i suoi stivali avevano una suola sottile, e la ragazza rischiava di ferirsi i piedi, camminando sui rovi. Inoltre, anche le sue gambe venivano continuamente graffiate, dato che il vestito che indossava le arrivava al ginocchio. Non era l’abbigliamento più adatto per inoltrarsi nel Bosco di Yede, ma non aveva altro con sé. Non l’avrebbe mai detto, prima, ma sarebbe morta indossando proprio quel vestito azzurro, quello che le piaceva tanto.
Ultimamente anche Reyns passava molto tempo guardandosi attorno; notava che la flora cambiava, man mano che il gruppo saliva di quota. Gli alberi del Bosco di Yede erano tutt'altra cosa rispetto a quelli di Wass, tipici del Bosco delle Frecce; questi erano così alti che non si riusciva a vederne la punta, e le foglie, di un verde scuro invece del tipico colore quasi dorato degli alberi di Wass, erano lunghe e sottili. Se quelle di Wass ricordavano delle frecce, queste assomigliavano a delle lance. Anche i frutti che davano erano più allungati e scuri di quelli di Wass, e non davano affatto l'impressione di essere commestibili.
«Come si chiamano questi alberi?» chiese la ragazza, a un certo punto.
«Yede.» le rispose Venam. «Siamo nel Bosco di Yede. Come si dovrebbero chiamare?» aggiunse poi, acido.
«Be’, perdona la mia ignoranza, ma gli alberi del Bosco delle Frecce si chiamano Frecce, sai?» si giustificò Aera.
«Non cambiare discorso, ora!» ribatté Venam, allungando il passo.
Aera aveva una gran voglia di rispondere a tono, ma venne fermata.
«Ah, non farci caso,» la consolò Ridd, «Venam è fatto così, deve sempre avere l’ultima parola.»
«E questo non ti manda su tutte le furie?»
«Certo che sì, ma la questione si risolve molto prima se gliela si dà vinta e si sta zitti. Se anche solo provi a ragionare con lui, finirai per renderti antipatica, ai suoi occhi, e lui cercherà in ogni modo di farti fare brutte figure davanti a tutti. Perché, in realtà, ciò che vuole è semplicemente essere superiore agli altri, ma non essendolo davvero, per sentirsi così può solo che tentare di abbassare di livello tutti quelli che gli stanno intorno. E si arrabbia parecchio, quando non ce la fa.»
Dallo sguardo di Ridd si capiva che l’uomo non si stava riferendo soltanto al capo del suo piccolo gruppo, ma anche a qualcuno che era arrivato a stare più in alto, sempre con lo stesso metodo. Ma no, in Vyde c’era qualcosa di diverso, c’era qualcosa di più. C’era il bisogno di vendetta.
«Ma comunque sia, Venam è un capogruppo competente, ed era anche un ottimo capoclan. È solo un po’ antipatico, ma non è difficile farselo amico. Semplicemente, tu annuisci e sorridi, e Venam penserà che tu lo stimi davvero.» le consigliò Ridd, «In realtà, dentro di te puoi augurargli ogni male. Ad esempio, se adesso inciampasse e cadesse tra i rovi...»
Come se fosse opera di un qualche misterioso incantesimo lanciato da Ridd, proprio in quel momento Venam scivolò. Lanciò in avanti il pugnale, per evitare di ferirsi in qualche modo, e portò avanti le mani, per attutire la caduta. Ovviamente i rovi che coprivano il sentiero gli bucarono i palmi, così velocemente li alzò... E cadde di peso sulle spine.
«E a volte, cara mia, i sogni si avverano!» concluse Ridd con un sorriso, strappando una risata alla ragazza.
Pensò che, in effetti, Vyde e Venam erano abbastanza simili. Entrambi erano arrivati al loro livello soltanto approfittando della malleabilità di chi li circondava. I nomi di Ridd e Daul avrebbero potuto dirla tutta sul loro modo di essere, ma Venam riusciva a convogliare i loro istinti, ad arginarli.
Ma Vyde aveva lavorato su una scala molto più grande. Come aveva fatto? Non riusciva a credere che fosse tutto merito di Tavem.
Reyns sembrava saperla abbastanza lunga sul Lord, così decise di chiedere a lui.
«Come ha fatto Vyde a salire al potere, esattamente?»
«Vyde non è mai salito al potere.» rispose il ragazzo.
«Come no?» si stupì Aera, «L’intero regno esegue i suoi ordini!»
«Questo non è salire al potere, questo è costringere il popolo a vivere nella paura.» spiegò Reyns, «È approfittare dell’ignoranza della gente e convincerla a obbedire a testa bassa. Nessuno detiene il potere assoluto, qui nella Valle Verde. Non c’è un Re, come nell’Est. Qui ci sono, o meglio c’erano, soltanto i clan. Come sai, ognuno di essi controllava una piccola zona, tra clan ci si scambiavano prodotti di vario genere, e regnava la pace, nonostante alcune piccole guerre che scoppiavano, ma che erano contenute, perché era nell’interesse di tutti preservare la serenità. Vyde, al suo arrivo, non era altro che un giovane Lord stabilitosi nell’estremo Ovest.»
«Anche Vyde viene dall’Est?»
«Sì, e ho sentito dire che porta anche un Ciondolo dell’Aquila.»
«Ma perché si è stabilito qui nella Valle Verde? Se ha un complice a Est e ciò che vuole è la mano della principessa, perché non rimanere in Oriente?»
Reyns stava per rispondere di non saperlo, come gli era stato imposto di fare, ma poi pensò che avrebbe trasgredito l’ennesima regola che gli era stato ordinato di rispettare: «Vyde è fuggito dall’Est, ed è venuto qui perché vuole vendetta, contro la sua famiglia, in Oriente. Ma questo è tutto ciò che so.»
«Certo che sai molte cose...» rifletté Aera.
«Questo solo perché prima ho fatto molte domande a chi ne sapeva più di me. E non è sempre stato facile trovare le risposte, tanto che ci sono ancora cose che non riesco a spiegarmi...» Guardò in modo strano il Ciondolo dell’Aquila che Aera portava al collo; voleva risposte su quello? Chi gliele avrebbe potute dare, dato che lei stessa era l’ultima a saperne qualcosa?
Ad Aera, Reyns appariva davvero saggio, considerando che aveva solo un anno in più di lei, e più tempo la ragazza passava con lui, più le appariva chiaro il perché l’avesse confuso con Zalcen: entrambi le avevano dato risposte, sicurezza, e speranza. E quando di speranze non ne avevano trovate – non perché non ce ne fossero, dato che ce ne sono sempre, ma solo perché erano nascoste davvero bene – tutti e due se ne erano usciti con delle morali che le avevano fatto accettare la realtà, che si trattasse di essere l’unica a sopravvivere o una dei tanti a morire.
Sì, erano simili, ma in Reyns c’era qualcosa di diverso: Zalcen era stato un fratello, per Aera, e dato che erano cresciuti insieme, il loro modo di pensare si era sviluppato nello stesso modo. Il motivo per cui l’uno riusciva a completare la frase dell’altra era proprio dovuto a questo.
Reyns invece capiva come Aera si sentisse perché era riuscito a entrare dentro di lei; l’aveva inquadrata, studiata, e infine capita. Era esterno a ciò che era sempre stata la sua vita, ma ora che ne faceva parte, sembrava crudele costringerlo a uscirne.
Aera non sapeva definire se Reyns e Zalcen fossero sullo stesso piano, ma sapeva che, nonostante tutti i punti in comune, erano molto diversi: Zalcen era stato il suo primo vero amico, il suo inizio; Reyns sarebbe stato il suo primo vero amore, il suo lieto fine.


 

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Capitolo 21
*** Capitolo Diciannove ***


Capitolo Diciannove

«Aera, svegliati!»
Nel cuore della notte, Reyns la chiamò.
La ragazza stava facendo un sogno strano, troppo sereno, rispetto al solito, e non capì esattamente che cosa stesse accadendo.
«Che cosa? È già mattino?» chiese sbadigliando, assonnata,
«No, ed è proprio per questo che ti ho svegliata.» le rispose il ragazzo, bisbigliando.
«E perché l’hai fatto?» domandò strofinandosi gli occhi, e non capendo affatto il motivo di quella sveglia anticipata; se non era mattino e non c’era nessuna emergenza, perché interrompere il suo sonno?
«Non eri tu che mi avevi detto che ti sarebbe piaciuto vedere le lucciole?»
Aera si alzò a sedere e spalancò gli occhi, incredula, ritrovandosi davanti Reyns che la guardava sorridendo e le porgeva la mano. Si rese conto di essere totalmente incapace di trattenere il sorriso, quando a riservargliene uno fu proprio quel ragazzo.
Se n’era ricordato, anche se la sua non era stata una vera e propria richiesta – aveva semplicemente affermato di non aver mai visto una lucciola in vita sua.
Camminando piano, i due giovani si addentrarono nel bosco; il gatto adottato da Ridd li seguiva miagolando. Quando Aera e Reyns si resero conto che il piccolo felino non aveva intenzione di lasciarli soli, la ragazza si fermò per accarezzarlo.
Reyns si intenerì, davanti a quella scena, e pensò che quel gattino avrebbe dovuto essere orgoglioso di se stesso, perché solo miagolando e mostrando quegli occhioni dolci aveva mosso i tasselli giusti per far breccia nel cuore di Aera, che ora gli stava riservando affetto.
Gli venne spontaneo chiedersi se sarebbero bastati i suoi occhi, per farsi amare. Quelli di Aera, per lui erano stati più che sufficienti, per perdersi.
Probabilmente, tutto ciò che quel micino voleva era un po’ di affetto, e nulla di più; quando i due giovani si voltarono di nuovo per controllare se la bestiola li stava ancora seguendo, era sparito.
Anche se da lontano, si riusciva a scorgere una luce, proveniente da una piccola radura. Aera teneva lo sguardo fisso davanti a sé e la bocca spalancata. La luce si faceva a poco a poco più intensa, ad ogni passo compiuto dai due ragazzi.
Ad un certo punto, la giovane si ferì il piede, per via dei rovi. Si lamentò per il dolore, poi ci rise su, ma Reyns si fermò e se la caricò sulle spalle. Aera non protestò, ma sorrise di nuovo.
Continuando a ridere e scherzare come bambini, i due raggiunsero la radura.
Aera era meravigliata: non aveva mai visto tanta bellezza in vita sua. Il bosco, la notte, le lucciole...
E Reyns.
Il ragazzo la fece scendere dolcemente, e lei, per ringraziarlo, lo abbracciò.
«Te ne sei ricordato!» esclamò, felice, distaccandosi dall’abbraccio quel poco che bastava per guardarlo negli occhi, e leggere in essi la sincerità dei suoi sentimenti.
I piccoli puntini luminosi volarono attorno a loro, e come tanti minuscoli messaggeri alati, rivelarono ad Aera e a Reyns ciò che l’uno provava per l’altra.
Immediatamente fu come se i due giovani si ricordassero e si rendessero conto che quella era una delle loro ultime occasioni per vedersi: il loro piano era un vero e proprio sacrificio, e nonostante il coraggio, entrambi ancora tremavano.
Si ritrovarono a guardarsi negli occhi. Era già capitato, ma in quell’occasione c’era qualcosa di più, forse la consapevolezza che non sarebbe potuto accadere ancora molte volte.
Aera stava per scoppiare a piangere, così si strinse ancora di più a Reyns, come a cercare protezione. Una protezione che il ragazzo fu lieto di offrirle, abbracciandola più forte, tanto che la sua testa ora premeva contro il suo petto, e la ragazza poteva sentire il suo cuore, battere a un ritmo accelerato.
Entrambi pensarono a ciò che stavano lasciando indietro, andando a morire per la libertà della Valle Verde. Quando erano partiti, erano d’accordo sul fatto che non avrebbero rinunciato a molto – non avevano altro che loro stessi. Ora, invece, proprio perché erano tutto ciò che avevano, erano diventati l’uno la cosa più importante per l’altra. Quindi, adesso, morire significava perdere tutto – perdere se stessi, e perdere ciò a cui tenevano di più.
Così Reyns, per consolare Aera, le accarezzò la guancia, e come fosse una marionetta nelle mani del burattinaio, avvicinò le sue labbra a quelle di lei, comandato dal cuore.
Non fu una sorpresa, per nessuno dei due, scoprire che il cuore dell’altro aveva in serbo ben più di un semplice bacio, quella notte.
Era tutto così meraviglioso che Aera pensò di stare ancora sognando, ma messo a confronto, quello che stava facendo prima che Reyns la svegliasse era più simile a un incubo. Forse per la prima volta nella sua vita, la realtà appariva perfetta, e non aveva senso rifugiarsi nel sonno.
***
Quando Reyns e Aera tornarono dalla radura erano ormai un giovane uomo e una giovane donna.
Reyns aveva portato Aera in braccio, e lei si era già addormentata, a metà del tragitto.
La adagiò accanto al fuoco, delicatamente, come fosse fatta di cristallo, e sistemò la sua coperta, sempre con molta cura, soffermandosi poi a guardare quell’espressione tanto serena sul suo volto.
Riuscì a malapena a trattenersi dalla tentazione di sdraiarsi accanto a lei.
Aera era così fragile...
«Reyns,» si sentì chiamare.
Il giovane si voltò nella direzione da cui aveva sentito pronunciare il suo nome; Ridd era in piedi, appoggiato a un albero, a braccia conserte, e lo fissava con occhi assonnati e allo stesso tempo severi. Il suo gatto percorreva un otto, camminando ai suoi piedi, strusciandosi sui suoi pantaloni.
Reyns fulminò con lo sguardo il felino spelacchiato e innocente: il suo musetto furbo gli ricordava fin troppo uno di quei sorrisi falsi che Lord Vyde riservava a coloro che era riuscito a sottomettere, il ghigno di un infantile onnisciente, che si crede al di sopra di chiunque altro e risulta esserlo, solamente perché è riuscito a nascondere tutti gli elementi che dimostrano il contrario.
Camminò incontro all’uomo, non riuscendo ad allontanare completamente l’assurda sensazione che quel gattaccio portasse solo guai, che fosse stato proprio lui a raccontare a Ridd ciò che era appena accaduto nella radura poco distante, e che per questo ora l’Ideev stesse guardando Reyns in quel modo, come un genitore che chiede spiegazioni riguardo a una valutazione negativa in una disciplina in cui il figlio è solito eccellere.
«Ridd, ero io che sarei dovuto stare di guardia, questa notte.» gli ricordò il ragazzo, fingendo di cadere dalle nuvole – ed era lecito venisse naturale a qualcuno con un nome come il suo.
«Infatti vedo che hai svolto molto bene il tuo lavoro...» commentò l’altro, sarcastico, indicando Aera con un cenno del capo.
Reyns abbassò lo sguardo; non gli avrebbe mentito. Non sarebbe servito a nulla.
«Ascoltami, ragazzo,» cominciò Ridd, «Quando qualcuno è di guardia, non è di guardia solo alla principessina, è di guardia anche a tutti noi. Gatto è già stato ucciso, indubbiamente nel modo che hai descritto, cioè durante uno scontro, e si può dire che tra di noi fosse il più abile, in combattimento.» Lo sguardo dell’uomo era di sincera preoccupazione – sentiva che la sua vita era in pericolo. «Reyns, che cosa hai in mente di fare? Eliminarci tutti quanti?»
Il giovane ebbe un colpo al cuore; sì, il piano era quello, in effetti, ma gli occhi di Ridd lo imploravano di avere pietà. Non era un uomo malvagio, era soltanto un uomo. Un uomo a cui, per giunta, non era rimasto molto a cui aggrapparsi per andare avanti, e al quale Reyns aveva già tolto abbastanza, ma che nonostante il dolore continuava a combattere, sopravviveva, con l’aspetto di un perdente e il cuore di un guerriero.
Di tutto il clan Lokeef, di tutta la Valle Verde, solo Yohana era riuscita a vedere sotto le apparenze, e ad apprezzare davvero Ridd. Ma ora? Dov’era, adesso? Se n’era andata, e la colpa era di Reyns.
E Reyns lo sapeva bene. Fece per andarsene a dormire, ma Ridd lo fermò, prendendolo per il polso. «Reyns,» lo chiamò di nuovo, «Spiegami.» gli ordinò sottovoce. «Confessami ogni dubbio, riferiscimi di ogni pensiero che ti è passato per la mente da quando siamo partiti per questo viaggio.»
Reyns scosse la testa, «Non è come credi.» mentì.
«Ragazzo, cosa è cambiato in te da quando abbiamo intrapreso questo viaggio?» ripeté la domanda Ridd, «Non voglio che sia l’ultimo.»
A quel punto il giovane capì di non avere scelta, sospirò, e spiegò: «È da quando ho cinque anni che serbo rancore per Vyde, da quando ha fatto uccidere mia madre. E sei anni dopo mi ha lasciato anche senza un padre. Io non credo in lui, non sono un Ideev!»
«Ma, Aera...» tentò di interromperlo l’altro,
«Aera non sa niente, ma è stata lei a farmi aprire gli occhi.»
«E non credi che prima o poi lo verrà a sapere? Insomma, che lei è...»
«No, non lo saprà mai. Non vivrà abbastanza per scoprirlo. Tutto ciò che volevo venisse a sapere, ho fatto in modo di farglielo sapere, questa notte.»
«Che la ami? E credi che questo non ti fermerà? Riuscirai a tenerle nascosto tutto quanto? Ad esempio, che non vieni affatto dal clan Lokeef, ma che quello è il clan da cui veniamo io e gli altri.»
«Aera non saprà nulla del passato, né mio, né suo, né vostro, e nemmeno di Yohana. Aera morirà, insieme a me, quando raggiungeremo la fortezza di Vyde!» A quel punto sfoderò il pugnale e lo portò alla gola di Ridd, non perché volesse fargli del male, ma solo per fargli capire che non si sarebbe fermato se si fosse sentito costretto a fargliene.
«Quella dannata foglia di edera rossa diceva la verità, ma non avrei mai pensato che saresti potuto arrivare a tanto. Pensavo che avessi chiuso con la coscienza, dopo la morte di tuo padre.»
«Io non sono mai stato un Ideev! E sarete riconoscenti a me e Aera quando, grazie a noi, la tirannia di Vyde avrà fine.»
«Non fare il mio stesso errore.» lo pregò.
«Non sbaglierò.»
«Ragazzo, chi ti credi di essere, per cambiare questo mondo?» cercò di fargli aprire gli occhi Ridd, abbassando il pugnale di Reyns, e sentendosi sollevato scoprendo che il giovane non opponeva resistenza. «Senti, io non ho esattamente capito che cosa ti sia passato per la testa, non lo voglio nemmeno sapere, e ti assicuro che non tenterò di metterti i bastoni tra le ruote. Ma che mi dici di Venam e Daul?»
«Tu a loro non dirai niente!» gli intimò il ragazzo portando di nuovo la mano al pugnale,
«Va bene, va bene,» acconsentì Ridd, mettendo avanti le mani, «Solo... Se anche loro inizieranno a sospettare qualcosa, non guardare me!»
«E perché dovrebbero sospettare?»
«Perché per quanto le tue doti di bugiardo possano essere invidiabili, tu ami Aera. E non potrai nasconderlo a nessuno. Tanto meno a te stesso.»
«Lo so,» ammise infine il giovane, riponendo il pugnale nel fodero, «Il fatto è che non l’ho mai conosciuto da così vicino, l’amore.»
«Il tuo desiderio, per quanto forte, non cambierà il mondo, ragazzo.»
«Io cambierò questo mondo, Ridd,» rispose Reyns, «E so che sarà l’ultima cosa che farò, prima di andarmene. Ma la verità se ne andrà con me.»
***
La mattina seguente, al risveglio, Aera non appariva a Reyns felice come era sembrata durante la notte, e questo non era dovuto solo alla stanchezza.
La giovane si sedette sulla sponda coperta di muschio del ruscello che scorreva attraverso il Bosco di Yede, e si specchiò nell’acqua cristallina; si sentiva diversa, e sapeva che era cambiato anche Reyns, ma non riusciva a capire se fosse qualcosa di positivo o di negativo.
Il fatto era che ora Aera lo vedeva in un modo diverso; era davvero diventato qualcosa di più di un alleato, di più di un amico, ma come si sarebbe comportato, adesso? E come si sarebbe dovuta comportare lei, nei suoi confronti?
Quella notte i due si erano aperti completamente l’uno all’altra, ma senza quel velo di mistero che si era portato dietro fino a un momento prima, Reyns era ancora lo stesso?
Quelli seguenti sarebbero stati i loro ultimi giorni, e Aera li voleva passare insieme al ragazzo che Reyns era sempre stato, quello di cui si era innamorata; non voleva che lui cominciasse ad atteggiarsi in modo diverso proprio a partire da allora, perché avrebbe significato avergli già detto addio quella notte, ma senza rendersene conto. C’era già stato un addio senza parole nella vita di Aera, ed era stato troppo doloroso; non poteva accadere di nuovo.
Commise l’errore di versare una lacrima, che cadde come una goccia di pioggia nel ruscello e si unì alle altre nella corsa verso est. Fu però costretta a spiegarne il motivo a Reyns.
Il ragazzo si sedette accanto a lei e la ascoltò, la abbracciò, anche se con il dubbio che non fosse ciò che Aera voleva in quel momento. Non cercava affetto, ma risposte, e un po’ di comprensione.
Era lui che, ora che aveva sperimentato come ci si sente ad essere amati, non voleva altro.
«Aera, non hai motivo di preoccuparti. Non è cambiato nulla.» cercò di consolarla, «Se lo vuoi sapere, è dal primo momento che ti ho vista che ho capito eravamo fatti l’uno per l’altra, anche da prima che mi dicessi il tuo nome. Dalla reazione che hai avuto quando mi sono avvicinato a te, quella notte, in quella grotta.»
Aera ripensò a quell’episodio, al suo errore nel pensare di essere davanti a Zalcen, e al fatto di aver puntato il pugnale alla gola del ragazzo che ora aveva scoperto di amare più di ogni altra persona al mondo, anche di se stessa.
«Lo so,» rispose, triste, ma non potendo evitare di sorridere, «Ma ora mi hai fatto capire quello che provi per me, so chi sei davvero...»
Nemmeno lei riusciva a spiegarsi come questo potesse essere negativo, ma la faceva sentire come se il Reyns di una volta se ne fosse andato per sempre, insieme alla Aera che lei era prima.
«Oh, tu non sai proprio nulla di me...» sussurrò il giovane, come per rassicurarla, avvicinandosi ancora di più.
«Tu credi?»
Anche Aera gli andò più vicino; forse non sapeva nulla del suo passato, ma lo conosceva abbastanza per capire cosa fosse ciò che voleva in quel preciso momento: voleva lei, voleva un suo bacio, voleva che le loro labbra entrassero in contatto un’altra volta, e voleva che questo durasse il più a lungo possibile.
E Aera fu grata di accontentarlo.
Allora si rese conto che la sua vera preoccupazione non era quella di conoscere Reyns; aveva paura che lui cambiasse, senza di lei, ma questo non poteva succedere, continuando a stare insieme e lavorando per raggiungere lo stesso obiettivo.
E comunque, l’alone di mistero di Reyns era a dir poco indissolubile, come il legame che si era creato tra loro due.
***
Il modo in cui Aera giustificò la sua stanchezza fu alquanto avventato: ogni volta che uno dei tre Ideev le chiedeva se avesse dormito abbastanza o se volesse fermarsi a riposare, rispondeva dicendo di aver avuto un incubo spaventoso. Durante il corso della giornata inserì anche un grande mostro dagli occhi gialli.
«Simboleggia il fatto che hai paura di qualcosa, di perdere il controllo della situazione,» le spiegò Daul.
La giovane non riuscì a trattenere un sorriso, scoprendo che inconsciamente aveva dato forma alle sue preoccupazioni, senza aver mai sognato davvero quel mostro, «Ma stai tranquilla. Non c’è nulla da temere, specialmente se sarà di nuovo Reyns a fare la guardia.» Daul si voltò per cercare l’approvazione del ragazzo, che camminava dietro a lui e Aera e chiudeva la fila.
Questi rispose con un cenno del capo che sarebbe stato disposto a perdere un’altra notte di sonno.
Aera rallentò per affiancarsi a lui, e domandargli: «Tu non soffri per la mancanza di sonno?»
«Certo che sì, ma devo dare l’impressione di qualcuno pronto a fare il turno di guardia ancora qualche volta, no?» Il tono della sua risposta era quello che aveva avuto fino al giorno prima, ma dal suo sguardo Aera capiva che c’era qualcosa di più, ora.
In un certo senso, però, le piaceva questa nuova complicità che si era venuta a creare tra loro due, anche se aveva un retrogusto strano.
Cercò comunque di trovare qualche ragione in più per accettarla con un sorriso: se avesse potuto scegliere tra il dormire e rischiare un vero e proprio incubo o passare di nuovo la notte con Reyns, la scelta era scontata, nonostante ogni nuova emozione, ogni nuova gioia, significasse aggiungere un macigno al doloroso addio alla fine del loro viaggio per la libertà della Valle Verde. Ma ne valeva la pena, e si sarebbe pentita di non aver vissuto appieno i piccoli momenti felici di quei suoi ultimi tristi giorni, piuttosto che di aver evitato insieme gioie e dolori.
Ma che senso ha non iniziare per paura della fine? Che senso ha non salutare per paura di dover dire addio? Che senso ha non amare per paura di lasciarsi?
«Ah, senti,» cominciò a dire lui, «Presto ci troveremo davanti a un bivio, e Venam mi ha detto che possiamo scegliere se deviare per un villaggio e fermarci in una locanda, questa notte, o continuare verso ovest e dormire nella foresta, per risparmiare tempo, anche se, alzandoci di quota molto rapidamente, farà molto più freddo. Tu che cosa preferiresti fare?»
Aera rifletté, prima egoisticamente: in entrambi i casi, nulla avrebbe impedito a Reyns di portare calore e compagnia sotto le sue coperte.
Pensando in grande, però, non riteneva giusto togliere un solo giorno di libertà alla Valle Verde, anche se significava togliere un giorno di vita a se stessa e a Reyns.
Amava di più Reyns o la Valle Verde? Non era la stessa cosa. Reyns era un abitante della Valle Verde, e pensò che avrebbe capito.
Ma non poteva usare queste parole per comunicare la sua decisione. Fu allora che le venne in mente che in realtà c’era un altro motivo per cui sarebbe stato meglio non deviare per il paese.
«Quei due Ideev potrebbero essere già ad aspettarci al villaggio, se è vero che stanno cercando me. Se una scelta come questa si presentasse ad una principessa, credo che questa sceglierebbe di dormire nel caldo letto di una locanda, piuttosto che nella foresta buia e fredda. Rimaniamo su questo sentiero.»
«Potrebbe anche non essere così,» cercò di convincerla Reyns, «Dopotutto sanno che stiamo andando da Vyde. Potrebbero avere in mente di aspettarci direttamente alla fortezza. Se sono tornati indietro al villaggio di Reekir, potrebbero aver preso dei cavalli, e in quel caso a loro basterebbe poco più di un giorno per raggiungere il Lago Rosso.»
Era un vero dilemma, per Aera; da una parte avrebbe preferito scontrarsi con Vyde quel giorno stesso, e farla finita, ma dall’altro lato avrebbe voluto continuare a vagare per la Valle Verde in compagnia di Reyns e degli altri Ideev.
Alla fine scelsero di seguire la via più veloce, anche se in fondo al cuore di Aera c’era una voce che le urlava che non era giusto. Ma che cosa era giusto? Che cosa si può dire giusto, quando si è innamorati?

 

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Capitolo 22
*** Intermezzo II ***


Intermezzo II

La luce del sole al tramonto rifletteva il colore del Lago Rosso, e illuminava lo studio di Lord Vyde tramite la grande vetrata che si trovava alle spalle dell’uomo, seduto alla scrivania a leggere e rileggere l’ultimo rapporto che gli era stato mandato dall’Est. Erano gli ultimi raggi di sole di quella giornata, che presto si sarebbero spenti, nascondendosi tra gli alberi che circondavano il lago, ma per il nobile essi corrispondevano ai primi; stava per iniziare un’altra lunga notte di attesa e silenzio.
Orlud stava facendo un ottimo lavoro; i suoi soldati erano arrivati a controllare l’area che comprendeva i campi di Lefs, dove si coltivavano gli omonimi fiori. Era lì che si trovava il nucleo dell’Oriente, ciò che metteva in moto quel regno. Gli abitanti dei due villaggi, uno a est e l’altro a ovest dei campi, avevano da poco trovato un accordo, sottomettendosi a Orlud. Non che fosse molto diverso a quello a cui anni prima erano giunti i clan dell’ovest della Valle Verde, unendosi all’esercito chiamato Ideev creato da Vyde.
Ma oltre che nell’Est, l’influenza di Orlud si sarebbe sentita anche nelle isole a sud, con le quali i villaggi dei campi di Lefs commerciavano regolarmente, scambiando i prodotti dei fertili campi con altri beni alimentari e metalli preziosi. A causa delle tasse imposte dai sovrani dell’Est, tuttavia, andava via via crescendo il malcontento anche nell’arcipelago; i mercanti delle isole erano costretti a pagare tributi sempre più sostanziosi, e gli Orientali, dal canto loro, avrebbero ricevuto solo pressoché la metà di ciò che chiedevano ai loro clienti.
Sarebbe stata soltanto una questione di tempo perché il popolo si rivoltasse contro i sovrani Orientali, i quali in realtà non avevano alcuna colpa. Erano Vyde e Orlud ad orchestrare il tutto, ricattando i sovrani e offrendo loro una semplice scelta: rivelare la posizione della principessa, oppure pagare una data somma, destinata solo che ad aumentare. Se i sovrani avessero ignorato questa richiesta, il Palazzo Reale sarebbe stato accerchiato dall’esercito di Orlud, che ormai contava molti più soldati di quello Reale.
Il tempo per arrendersi era scaduto; ora i sovrani potevano solamente tentare di combattere. Il Re non aveva intenzione di piegarsi e rendere vani tutti quegli anni passati senza poter stringere sua figlia tra le braccia; non avrebbe mai rivelato dove l’avevano nascosta, anche perché non aveva la certezza di dove si trovasse, e ciò che corrispondeva a una bugia avrebbe avuto gli stessi effetti di un rifiuto a collaborare con i due nobili.
Orlud ora avrebbe semplicemente dovuto guadagnarsi l’appoggio della nobiltà Orientale, e sarebbe risultato abbastanza semplice, visto che i Lord avrebbero da sempre voluto avere un’influenza sul destino del regno, mentre erano state generazioni di Re e Regine a governare.
Il figlio o la figlia dei sovrani precedenti avrebbe dovuto scegliere il consorte tra gli eredi delle più alte casate Orientali, per tradizione, ma da anni questa usanza non veniva più rispettata, e vi era molta più libertà da parte dei principi, che potevano scegliere di unirsi in matrimonio letteralmente a qualunque donna sulla quale avessero messo gli occhi.
Gli unici a rispettare ancora le tradizioni erano proprio i nobili. Nel caso in cui un giovane avesse voluto chiedere la mano della principessa, avrebbe dovuto portarle dei doni, sperando che venissero apprezzati, e sfidare a duello uno dei Paladini del Re. A prescindere dall’esito dello scontro, il giovane nobile avrebbe avuto a disposizione un intero pomeriggio in compagnia della principessa, durante il quale avrebbe dovuto riservarle parole d’amore. Non era necessario che il Re Orientale fosse un guerriero; un poeta era apprezzato, così come chiunque dimostrasse il suo amore per la principessa.
Le giovani donne nobili non erano tenute a portare dei doni, né tantomeno a combattere, ma avrebbero potuto farlo, se lo avessero ritenuto un modo per sfoggiare le proprie capacità; al contrario dei giovani, infatti, le ragazze avevano molta più libertà di scelta per vincere il cuore del principe. Tutto ciò che dovevano fare era mostrare le loro doti, fossero il canto, la danza, la bellezza, lo studio delle arti o delle scienze.
In ogni caso, l’opinione dei cortigiani e dei genitori non doveva influire sul giudizio dell’erede al trono: ciò che era richiesto ai giovani Reali di fronte ai loro spasimanti era di aprire il cuore e lasciare che fosse esso a decidere. Il più abile spadaccino Orientale sarebbe potuto essere ignorato, e la più bella donna ripudiata.
La successione Reale del regno d’Oriente era basata sull’amore, e non sulle comodità o sul denaro. Il sangue Reale non rischiava di essere contaminato da quello di un’umile contadina dei campi di Lefs, se fosse stato per quella giovane che il cuore del principe aveva spiccato il volo, perché il sangue Reale era più forte di ogni altro, e ad esso spettava l’ultima parola.
Vyde stava per stravolgere tutto questo: non avrebbe lasciato che fosse la principessa a decidere. Prima avrebbe stipulato un’alleanza con l’Est, sposandola, avrebbe preso il controllo del regno e poi l’avrebbe ceduto a Orlud, nel momento in cui uno sfortunato incidente si sarebbe portato via la sua giovane moglie, rimanendo con il governo della Valle Verde, che a quel punto sarebbe risultata essere una monarchia al pari dell’Oriente. Ma Vyde sarebbe stato un eccellente sovrano, nonostante fosse rimasto solo. Avrebbe dimostrato una forza d’animo e di volontà incomparabile, a fronte di una perdita pesante come quella della sua Regina. Il trucco stava nel convincere tutti, tranne se stesso, di essere innamorato della principessa.
Il popolo avrebbe allora visto in Lord Vyde il salvatore del regno, e gli abitanti dell’Oriente sarebbero stati grati di non essere più i sudditi della famiglia reale che, dopo secoli di pace e prosperità, si era rivelata incapace di governare, e si era dimostrata ingorda, mentre in realtà stava solo tentando di resistere ad un nemico invisibile a tutti, che era l’uomo al cospetto del quale tutti si sarebbero inchinati. E Vyde avrebbe riso per l’ironia di quella recita che aveva messo in scena, di quel gioco che aveva vinto.
Il popolo non avrebbe mai capito; la gente capisce solo ciò che vuole sentirsi dire, e vuole scoprire solo ciò che già conosce. Il resto è ignoto, e l’ignoto è paura.
Tutto procedeva secondo i piani, e nel giro di poche settimane, al massimo mesi, uno dei suoi Ideev Prescelti sarebbe tornato alla fortezza e avrebbe completato il suo incarico. Dopodiché quell’arcipelago sarebbe stato suo, questo era l’accordo. Conquistarlo sarebbe stato difficile, ma non sottometterlo; sarebbe bastato restituire il denaro che i sovrani dell’Est avevano sottratto.
Tra i Quattro Prescelti, però, il primo era quasi certamente da scartare; aveva cominciato a cercare la principessa a nord, vicino al villaggio di Mongama, e aveva fatto ritorno poco tempo dopo, tornando alla sua professione di Ladro, senza apparentemente curarsi della principessa.
Vyde sapeva che le sue ricerche in quella zona erano solo un tentativo di riavvicinarsi a ciò che rimaneva della sua famiglia, fatta a brandelli. Aveva un cuore debole, ma non abbastanza per arrendersi. Con tutta probabilità, il suo metodo era molto più subdolo: infatti, se uno degli altri tre gli avesse posto domande sull’andamento delle sue ricerche, il Primo Prescelto avrebbe risposto di aver abbandonato l’incarico, per poi cambiare discorso. Forse stava attendendo che gli altri abbassassero la guardia, lo sottovalutassero, ma a Vyde non importava; purché rispettasse le regole che erano state imposte ai Quattro Prescelti, ciò che voleva era la principessa, e non che fosse il suo favorito a vincere quella che ormai era diventata una gara.
L’unico modo di far svolgere un compito tanto crudele a quattro bambini è convincerli che si tratti di un gioco.
Il Secondo Prescelto era, per certi versi, il più sfortunato: Vyde si era sostituito alla sua famiglia, ai suoi amici, a qualunque contatto quel giovane avesse potuto avere. Dopo avergli tolto ogni cosa, era diventato la sua figura di riferimento, e questo metodo di insegnamento, per quanto crudele, aveva dato i suoi frutti: il secondo era il migliore nello svolgere il suo lavoro. Era abile con le parole, un bel ragazzo che avrebbe potuto fare colpo sulla principessa Orientale ma, se avesse seguito le orme di suo padre, si sarebbe dimostrato anche il più incline alla ribellione.
No, pensava Vyde, il desiderio di vendetta in quel giovanotto si era trasformato in desiderio di potere, e questo già da tempo. Sì, gli assomigliava, in questo.
Vyde si era prima sostituito alla figura del padre, poi ne aveva macchiato il ricordo, spingendo il bambino a ricordare il genitore solo per i suoi scoppi d’ira apparentemente insensati, la paura di venire picchiato di nuovo, e presentandosi come la sua unica sicurezza, l’unica persona che non gli avrebbe mai fatto del male. E se avesse sofferto, non sarebbe stato che per ottenere qualcosa di meglio, un bene più grande, come il controllo dell’arcipelago meridionale. Sarebbe stato per lui un luogo in cui cominciare a vivere, a decidere, a costruire la sua vita così come l’avrebbe desiderata.
Del Terzo Prescelto, il Lord non aveva più notizie dall’ultima volta che aveva lasciato la fortezza, tre mesi prima; forse era rimasto ucciso nello scontro con il clan in cui era stata nascosta la principessa, oppure semplicemente aveva deciso di stabilirsi in qualche villaggio Ideev e ignorare l’incarico. Era molto probabile – il terzo era il migliore nell’evitare le responsabilità.
Questo tuttavia si traduceva in una persona in meno che avrebbe tenuto d’occhio i movimenti della principessa; se fosse riuscita a scappare ma non fosse tornata a Est, dove l’esercito di Orlud l’avrebbe facilmente trovata, quanto tempo ci sarebbe voluto per andare a ripescarla?
In quel caso l’ultimo degli Ideev su cui fare affidamento era il Quarto Prescelto. Si credeva il migliore, si comportava come se l’arcipelago meridionale fosse già nelle sue mani, e proprio per questo, di quei quattro, rimaneva il peggiore. Il povero bambino che era giunto alla fortezza di Vyde non si era mai davvero ripreso dalla morte dei suoi genitori, ma piuttosto che vivere nelle lacrime e nel dolore, aveva deciso di chiudere il suo cuore completamente, o almeno aveva tentato di farlo. Vyde ne aveva approfittato, e gli aveva mostrato come riuscirci: il risultato era stato la creazione di una bestia senza cuore, un cacciatore spinto dalla fame, un bambino che non era diventato un ragazzo e non sarebbe mai stato un uomo.
Mentre il Lord era immerso nei suoi pensieri, Tavem bussò alla porta.
«Avanti.» lo chiamò Vyde.
«Mio Signore,» iniziò l’altro inchinandosi, «Mi è stato riferito da alcuni Ideev che la principessa è stata trovata.»
All’udire quelle parole, Vyde si alzò dalla sedia e andò incontro al suo sottoposto, incredulo e sorridente di una gioia maligna, felicemente sorpreso come non si era mai sentito, e come Tavem non lo aveva mai visto.
«Chi ha portato la notizia, esattamente?» chiese, per poter essere pienamente sicuro.
«Uno dei Vostri Ideev Prescelti.» lo informò Tavem, con quella sua voce nasale che già di per sé era difficile da sopportare e che unita all’accento Orientale diventava a dir poco esasperante. Forse, prima di stipulare un contratto con Tavem, avrebbe dovuto richiedere un maggiordomo più giovane, almeno in aspetto.
«E sembra che la ragazzina si stia spostando.» continuò il maggiordomo, «Dopo essere fuggita a sud per un breve periodo, si è diretta proprio verso Ovest. Da quello che il giovane Ideev mi ha riferito, sembrerebbe che il clan dove era stata nascosta avesse base proprio vicino alle Montagne, come avevate suggerito, Signore.»
«Quindi la principessa non sa proprio niente?» lo interruppe, ignorando il complimento di Tavem,
«Sembrerebbe di no.» rispose lui,
«Bene, questo migliora la situazione.» sospirò Vyde, «Certo, ciò che sa o che pensa di sapere dipende dai suoi compagni di viaggio, sempre che ne abbia. È così?»
«Questo non mi è stato detto, Signore.»
Vyde fece una smorfia; quell’Ideev era stato tanto accorto da riferirgli che la principessa veniva da un clan che aveva base in una certa zona, e non si era preoccupato di dirgli se stava viaggiando da sola o con qualcuno? Una tale distrazione... Poteva trattarsi solo di Kired.
Se fosse stato lui ad accaparrarsi l’arcipelago meridionale, Vyde avrebbe potuto influenzarlo a prendere determinate decisioni. La stessa cosa non sarebbe successa se a completare l’incarico della principessa fosse stato uno degli altri tre.
«Mandala a prendere,» ordinò quindi il Lord, «Non mi importa con chi sta viaggiando. Incarica l’Ideev che ti ha dato le informazioni. È tutto chiaro?»
«Cristallino, mio Signore.»
A quel punto il Lord congedò l’uomo, che se ne andò con la sua solita andatura che lo faceva sembrare di vent’anni più vecchio. Era gobbo, e il suo profilo ricordava un punto interrogativo. Vyde era quasi contento di disfarsene, una volta finiti i giochi, nonostante dovesse ammettere che il maggiordomo gli era stato di grande aiuto.
Ma voleva la sua parte, ed era una parte troppo grossa. Nell’ultimo periodo, durante il quale forse anche lo stesso Tavem si era reso conto che la sua presenza non era più molto gradita, era diventato ancora più insopportabile, come per sfogarsi.
Probabilmente non era mai stato d’accordo neanche lontanamente con le idee di Lord Vyde, ma spinto dalla quantità di denaro e il posto come maggiordomo in quella villa che chiunque avrebbe invidiato, aveva deciso di dare un calcio ai suoi valori e di unirsi al piano di Orlud e Vyde, sempre che di valori ne avesse avuti. Dopo essersi comportato come un comune cittadino rispettoso della legge per tutta la vita, non voleva privarsi di nulla, durante i suoi ultimi anni, quindi aveva mandato all’Inferno la dignità, sapendo di raggiungerla presto.
Il Lord non era affatto come lui; sapeva benissimo che ciò che stava facendo al mondo intero era lungi dal definirsi giusto, e lui per primo talvolta provava sensi di colpa per ciò che stava facendo alla Valle Verde, che era un regno tanto bello, nel quale avrebbe sempre voluto vivere proprio perché invidiava quel modo di essere degli abitanti, semplici, che si accontentavano di ciò che avevano, arrivando a sfiorare i confini della chiusura mentale.
I cittadini Orientali, soprattutto quelli provenienti da famiglie nobili come la sua, erano invece attratti dal potere. Non desideravano altro che sbattere la famiglia reale giù dal trono, prendere il controllo del regno e non lasciarlo andare, ed erano in competizione, per questo.
Ma pur essendo l’ultimo di sei figli in una famiglia tanto benestante, Vyde non era mai stato felice; i suoi genitori non lo trattavano come gli altri suoi fratelli, ma quasi come un estraneo. Lo consideravano un buon a nulla; Lord Orlud era stato una figura paterna più presente dello spregevole essere al quale era costretto a rivolgersi con il termine padre.
Vyde aveva un debito con Orlud: era stato lui ad aiutarlo a fuggire dall’Oriente, ad appoggiarlo, sempre, a dargli aiuto economicamente e moralmente, e facendolo sentire in grado di fare qualcosa, facendolo sentire importante. Gli aveva donato quella villa stupenda, che ora era la sua fortezza, ed era solo grazie a lui se Vyde aveva imparato quali sono gli strumenti che servono a controllare qualsiasi essere umano – il denaro e la conoscenza.
Un regno per un regno, pensò il nobile, riportando la sua attenzione alla calligrafia di quello che ormai considerava suo padre.
Aveva intenzione di mantenere la sua promessa, ma non poteva fare altro che sperare che Kired gli avesse riferito il vero. Non gli credeva.
Chi crede potrà solo essere deluso o accontentato, non se ne andrà mai felicemente sorpreso. Vyde l’aveva ripetuto a tutti i nati tra gli Ideev.
Così iniziò a scrivere il suo messaggio, concentrandosi sulla principessa Orientale, e riservando dei pensieri anche per lei.
Già, ragazzina, presto ci incontreremo. E sono proprio curioso di vedere quale espressione tradita riserverai all’Ideev che ti porterà da me... Perché sono sicuro che sarà la stessa identica espressione che anche io riservai a qualcuno, in passato...


 

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Capitolo 23
*** Capitolo Venti ***


Capitolo Venti

Yohana stava ancora scappando. Le sembrava di aver attraversato una foresta infinita, oppure la stessa foresta per infinite volte, girando in cerchio.
Ma aveva continuato a correre nella stessa direzione, opposta alla quale sentiva provenire le urla degli Ideev, lo stridere delle armi, e i tonfi dei corpi morti dei membri di quello che era il suo clan.
Il vestito che indossava, bianco e con l’orlo ricamato, le impediva di correre più veloce, ma era la paura a mostrarle la via. Strinse la sua collana, per impedire al ciondolo di tintinnare e attirare quindi gli Ideev, ma sarebbe bastato il suo respiro affannoso a mostrar loro la via. Gli Ideev l’avrebbero raggiunta presto.
Ma da che parte correre? E poi, aveva senso correre? Forse era meglio tentare di raggiungere l’Oriente? Continuare verso sud? Forse avrebbe trovato un porto, a nord, ma che cosa avrebbe fatto se avesse scoperto che era sotto il controllo degli Ideev?
Si fermò a prendere fiato, sedendosi accanto a un albero, tra i cespugli. L’ansia cresceva. I soldati urlavano. L’avrebbero trovata, se non fosse sparita in fretta da lì. Doveva decidere da che parte andare.
Fu allora che ebbe un’idea: nessuno si sarebbe mai aspettato di vederla correre incontro al pericolo. A meno che qualcuno non la stesse seguendo da molto vicino, gli Ideev non sarebbero stati preparati al suo viaggio verso ovest.
E se davvero avesse avuto qualcuno alle costole? Forse sarebbe stata in grado di difendersi. Certo, dipendeva dal numero di nemici. Tutto ciò che era riuscita a recuperare dallo scontro con gli Ideev era stato il bastone di uno dei membri più anziani del clan Lokeef. Non era una vera e propria arma, ma con quello forse sarebbe riuscita a mettere fuori combattimento uno o due uomini. Dipendeva anche dalle armi a disposizione degli Ideev. Un arco o una balestra, e per lei sarebbe stata la fine. Ma che senso avrebbe avuto ucciderla?
Yohana respirò profondamente. Il suo cuore batteva a un ritmo accelerato, e non sentiva altro, rimbombare nelle orecchie.
Si voltò, verso ovest, e sentì un brivido scorrerle lungo la schiena. Le faceva paura anche solo guardare in quella direzione.
Le sembrò di vedere una fortezza nera, in lontananza, sulla sponda di un lago rosso come il sangue, circondata da una foresta buia come la notte. Era come se da essa dilagasse un’aura oscura e corrotta, come se essa fosse la fonte di ogni malvagità. Il cielo rispecchiava il colore del lago, come se fosse il tramonto, ma anche se il cielo era limpido, il sole non si vedeva. Tutto ciò che esisteva era un contrasto tra il nero della fortezza e della foresta e il rosso del lago e del cielo, e non si poteva capire quale fosse il soggetto e quale il colore di sfondo, in quel dipinto macabro.
Nonostante la sensazione di inquietudine, Yohana continuò a guardare, focalizzando la sua attenzione sulla fortezza. Le sembrò che se si stesse ingrandendo, ma senza avvicinarsi, allo stesso ritmo a cui la sua paura aumentava. Ed ecco, a una finestra rossa, affacciarsi la figura di un uomo, i tratti resi irriconoscibili dal contrasto con il rosso dello sfondo. Rimaneva un’ombra, una figura nera, fosse un fantasma che si aggirava per la fortezza.
Ma Yohana lo avrebbe saputo riconoscere, seppure non lo avesse mai visto prima – quell’uomo era, doveva essere, Lord Vyde. Non ne aveva la prova, ma lo sentiva, e una sensazione vale più di ogni prova, perché è vera e inconfutabile, nel cuore di chi la avverte.
E l’ombra, dai tratti indistinguibili, le sorrise. Ne fu certa. Non lo vide sorridere, ma ancora una volta non ne ebbe bisogno. La stava chiamando, la stava attirando, la stava invitando.
E Yohana cedette.
Stava per rimettersi in marcia quando qualcuno le bloccò le braccia, da dietro. Sentì la paura, e l’istinto di liberarsi, reso impossibile dalla presa del suo aggressore. Provò a scalciare, ma altre mani le bloccarono anche le gambe. Ogni suo tentativo di divincolarsi era reso vano da quelle braccia e quelle mani infinite, di uomini che Yohana non vide mai. Il suo sguardo rimase fisso sulla fortezza, alla ricerca di quell’ombra sorridente nel buio e nel rosso. Ma era svanita nel nulla, così come era arrivata.
Non sprecò nemmeno fiato per urlare. Chi l’avrebbe sentita, se non altri Ideev?
Non poté però evitare di porre al panico una serie di domande che rimasero senza risposta. Era finita? Che cosa sarebbe successo, adesso? Sarebbe stata condotta a quella fortezza nera, a quel lago rosso sangue? Avrebbe visto qualcosa di più o presto sarebbe arrivato il buio? E quel buio sarebbe durato per sempre?
***
Ridd si svegliò; grondava di sudore. Il suo ennesimo incubo non era molto diverso dai precedenti.
Il suo gatto faceva le fusa, acciambellato tra i capelli biondi dell’uomo. Ridd distese un braccio per accarezzarlo, e adagio lo scostò. Si tirò a sedere e lo accarezzò ancora, dopodiché si alzò e si avviò verso il ruscello, nella speranza che l’acqua fresca potesse riportarlo completamente alla realtà.
Non aveva notato che Reyns lo aveva preceduto. Il ragazzo, anche se era rimasto di guardia tutta la notte, sembrava molto più riposato di lui. Ridd ne sapeva abbastanza per capire che il suo aspetto avrebbe potuto portare Reyns in una posizione di vantaggio, durante il discorso che l’uomo avrebbe voluto riservargli: insomma, Ridd, capelli arruffati e borse sotto gli occhi, avrebbe dovuto lavorare sodo per poter essere colui che chiede. Sulla sua credibilità aleggiavano dei dubbi – chi si può fidare di un uomo che prende decisioni ancora prima di sistemarsi la camicia? Doveva gettare dei dubbi sul ragazzo.
Dipendeva solo da loro due, e Reyns se la cavava, a parlare, ma aveva commesso un errore: aveva dimostrato a Ridd di avere un cuore. Lui, il suo, l’aveva perso tempo prima. Non era un gioco pulito, ma era una macchia che avrebbe potuto lavare via. Era un campo di battaglia, e le loro parole erano armi, affilate come spade.
«Com’è andato il turno di guardia?» chiese l’uomo, «Ciò che è tuo ti verrà portato via se non lo sorvegli giorno e notte. È questo che pensi, vero?»
Il ragazzo sorrise alla battuta, se non altro per distrarsi da quello che, suonando come una minaccia, era un semplice dato di fatto: Aera gli sarebbe stata portata via, a prescindere dal tempo, dalla devozione e dall’amore. E Ridd era familiare con quel tipo di addii.
Ridd voleva arrivare da tutt’altra parte, con le sue parole, e Reyns non ci mise molto a capirlo. Aveva già iniziato a indirizzarsi verso le sue debolezze; voleva un compromesso, voleva chiedergli qualcosa. Qualcosa che Reyns non gli avrebbe mai dato. Piuttosto, il giovane avrebbe giocato con la sua impazienza.
«Hai ragione, quindi sarà meglio tenere gli occhi aperti.» convenne Reyns, «Kired e quel meridionale potrebbero tornare.»
«Kired non mi sembra certo il tipo da farsi scrupoli. Acciufferebbe la ragazza e fuggirebbe via senza voltarsi, se solo ti distraessi un attimo.» lo avvertì Ridd, «Ma... Quel meridionale? Strano che tu ti riferisca così a qualcuno con il quale potresti condividere proprio il luogo d’origine, e che, secondo Aera, potrebbe anche aver fatto parte del vostro stesso clan!»
«Ridd...» sospirò Reyns, senza aggiungere altro. I suoi occhi dicevano tutto.
«Se ti lasciassi sfuggire un’espressione del genere in un’altra occasione, Venam e Daul potrebbero iniziare a sospettare.» insinuò poi l’uomo.
«Sì, ma sarebbe strano, da parte loro, non sospettare di me, dopo aver trovato il tuo cadavere.» ribatté il ragazzo, con un sorriso, forse scherzoso, che svanì così com’era comparso. Anche in questo caso, i suoi occhi furono abbastanza per dissuadere l’uomo dal divagare oltre, e per spaventarlo, pure.
Ridd capì di non essere nella posizione migliore per fare certe insinuazioni, e si limitò a parlare tra sé e sé, quasi sovrappensiero: «Mi chiedo che fine farà la parte di Gatto... Prima era perfetto, non c’era nemmeno da litigare... Un’isola principale e quattro minori. L’unica questione su cui avremmo potuto avere da ridire sarebbe potuto essere il nome dell’isola, o la sua posizione. Ma, dopotutto, avevi già pensato a quello, vero? Ah, sono sicuro che avevi già assegnato a ognuno di noi un’isola e un ruolo specifico. I tuoi piani potrebbero essere stati rovinati dalla morte di Gatto. Ora l’unico che potrebbe prendere il suo posto è qualcuno che si avvicini ad eguagliare le sue doti, qualcuno di flessibile, e, modestia a parte, io sono il più vicino a Gatto, in quel senso.»
Reyns gli gettò un’occhiata scettica e disinteressata, ma Ridd continuò: «Daul dipendeva da lui, e non vorrai lasciare spazio a Venam! Con qualcosa di più di un’isoletta tra le mani, potrebbe puntare a distruggere proprio il tuo Impero. Sta già tramando contro di te, e immagino che te ne sia accorto. Non ci hai mai pensato?»
«Quello a cui ho pensato è stato il fatto che tutto questo è tremendamente ingiusto, e dovremmo combattere per evitare che il dominio di Vyde sul nostro regno vada avanti.»
«Reyns, sai bene che io non ho più nulla per cui combattere.» gli ricordò Ridd, con la sua solita, esasperante tristezza negli occhi.
«Sono stanco di sentirmi colpevole per questo.» sbottò Reyns, «Sai bene che Yohana non ce l’avrebbe fatta comunque. Smettila di incolparmi per non essere riuscito a salvarla. Se qualcun altro si fosse ritrovato nella mia stessa situazione, non avrebbe perso un secondo del suo tempo per tentare di aiutarla. Io ho semplicemente fallito, come avrebbe fallito chiunque. Anche tu.»
«È questo che ripeti a te stesso, per riuscire a dormire, la notte?» chiese Ridd, le sue parole ardenti, tanto da risvegliare la fiamma di quel dolore accantonato, e di quel falso perdono. Non erano ceneri, ma braci, pronte a far divampare un incendio alla prima occasione.
E Reyns sapeva che non sarebbe mai riuscito a domarlo.
«Sai che non dormo.» rispose il ragazzo. Le sue occhiaie erano ben visibili sulla sua pelle chiara, e coronavano di un viola bluastro le sue iridi amaranto, «Proprio come non dormi neanche tu. Perché anche tu ti senti in colpa, per ciò che mi hai fatto. Per ciò che hai fatto a mio padre.»
La vergogna prese Ridd alla sprovvista, come uno scroscio di pioggia improvviso, lasciandolo infreddolito, tremante, e solo, di fronte al ragazzo, che lo guardava negli occhi, senza compassione né rammarico. «Tu stesso mi hai ripetuto più volte che quell’uomo non era un padre.» cercò di difendersi.
«Non avevo nient’altro.» disse Reyns, continuando a fissarlo con quei suoi occhi spietati, «Non avevo nessun altro. E, senza di lui, Vyde ha preso il suo posto. Ora, possiamo continuare a darci la colpa a vicenda, oppure possiamo cominciare ad aiutarci.»
La proposta di Reyns, del tutto inaspettata, fece risvegliare una sorta di ingenuità infantile in Ridd, il quale tuttavia si costrinse a rimanere scettico. La sua bontà gli si era ritorta contro così tante volte che stava cominciando a capire che la gentilezza non è una qualità necessaria in questo mondo, ma un ostacolo. «Non credo di poter essere aiutato, Reyns.» sospirò, abbassando lo sguardo.
«Ti darò qualcosa per cui continuare a vivere, Ridd. Te lo prometto.» Le parole di Reyns costrinsero l’uomo ad alzare gli occhi di nuovo. «Tu mi hai perdonato, quando io non avrei avuto il coraggio di guardarmi allo specchio. È il minimo che possa fare.»
«Be’, se vuoi fare qualcosa di più, allora intasca la ricompensa e dammi la parte di Gatto!» gli ordinò, senza più mezzi termini, senza più giri di parole, senza più scuse. «Due isole sono qualcosa per cui continuare a vivere, per quanto mi riguarda.»
Abbassò lo sguardo, e Reyns capì che cosa si nascondesse dietro all’ombra che era calata sul suo volto. Le parole di Ridd erano bugie, bugie alle quali lui stesso ancora tentava disperatamente di credere.
«Ridd, tu sei condannato a vivere con dei ricordi terribili. Per colpa mia. Vuoi che sia io a portare sulle spalle il peso di un altro tradimento? Altre vite? Altre colpe?»
«Ma no! Che dici? Io voglio solo darti un consiglio.» rispose l’uomo, abbassando la voce e mettendo a Reyns una mano sulla spalla. «Un consiglio da amico.»
«Noi non siamo amici.» lo contraddisse il ragazzo, scostando la mano di Ridd. «Non ci potrà mai essere amicizia, tra un assassino e un traditore.»
Ridd sorrise. «Vedi, Reyns, è questo che mi piace di te. Sei un vero e proprio enigma!»
Fece una pausa e prese fiato. Il trucco era lo stesso: le risate prendevano il posto del pianto, a comando. «Infatti, nemmeno adesso riesco a capire... Chi di noi due è l’assassino, e chi è il traditore?»
«Ma Ridd,» rispose Reyns, in tono grave, «Tu non hai mai tradito nessuno.»
***
Aera poteva ormai dirsi abituata alla vita da viaggiatrice: si svegliava all’alba e si lavava il viso in qualche ruscello, insieme ai suoi compagni di viaggio faceva una rapida colazione a base di bacche e frutti di bosco e poi era ora di mettersi in marcia.
Sì, stava andando a morire, ma non le dispiaceva affatto passare i suoi ultimi giorni circondata dal verde che offriva il Bosco di Yede. E, soprattutto, ciò che rendeva meno amaro questo viaggio verso la Morte era il fatto di non essere sola – era insieme a Reyns. L’aver trovato qualcuno, come lei, disposto a morire pur di ridare la libertà alla Valle Verde, era già di per sé incredibile, e il fatto che quella persona l’amasse così tanto lo era ancora di più.
O forse l’amore era una conseguenza dello stare vicini? A forza di stare a contatto l’uno con l’altra erano arrivati ad accettarsi, magari?
No, quello avrebbe significato accontentarsi. Nel loro caso, l’amore era un ostacolo, un blocco. Nel loro caso, il fatto che Reyns amasse Aera al punto di essere se stesso soltanto con lei avrebbe potuto portare a conseguenze catastrofiche, se il giovane avesse lasciato cadere una volta per tutte la sua maschera.
«Ehi, Venam!» urlò Ridd, sfinito, dal fondo della fila, «Non possiamo rallentare il passo? Gatto non ce la fa!» chiese, per poi prendere fiato e aggiungere, sottovoce, «E neanche io...»
Aera si sforzò di trattenere un sorriso. Quell’uomo era incredibile: si sarebbe potuto trasformare nel più spietato dei guerrieri, ma ancora avrebbe avuto bisogno di una pausa prima di affrontare un ripido sentiero di montagna.
«Gatto?» domandò Venam, non capendo, all’inizio, ma poi ricordando, «Intendi quel randagio che hai trovato al villaggio di Reekir? E lascialo andare, se non ce la fa!»
«Avanti, Venam,» intervenne Daul, «Lo sai che lo dice perché è lui ad essere stanco.»
«Sopporterà.» rispose il capoclan, acido come al solito.
«Siamo tutti abbastanza affaticati, in realtà.» continuò Reyns, schierandosi dalla parte dei due Ideev, e smettendo di camminare. «Una sosta non farebbe male a nessuno, e credo che gioverebbe anche ai tuoi nervi, Venam.»
«Ragazzino, qui gli ordini li do io, hai capito bene?» ringhiò Venam, che si stava infuriando, «Sei un Ideev da non più di una settimana, quindi bada a come parli con qualcuno che lo è da molto più tempo di te!» lo ammonì, poi.
Reyns fu felice di poter rispondere: «Be’, c’è proprio da andare fieri di essere Ideev, dico bene?»
Venam era sempre più adirato; sapeva che il ragazzo si stava semplicemente prendendo gioco di lui, ma proprio per questo non riuscì a resistere dal ribattere: «Se non vuoi più viaggiare con noi, puoi sempre andartene per conto tuo, hai capito?»
Reyns sorrise, come se avesse portato a casa la vittoria. «Bene, allora.» sospirò, riprendendo a camminare, solo. Aera si sentì costretta a seguirlo, proprio come lui aveva previsto.
«Aspettate!» giunse la voce di Ridd, che si mise al seguito dei due ragazzi.
«Dove credi di andare?» gracchiò il capogruppo,
«I ragazzini sono gli unici a portare arco e frecce,» spiegò l’uomo, «E non ho alcuna intenzione di soffrire la fame, stasera.»
Daul alzò un sopracciglio, valutando le parole di Ridd. «In effetti, non ha tutti i torti.» constatò, seguendo Ridd.
«Tutti voi, ingrati, rallentate il passo!» si unì infine anche Venam.
Aera ridacchiò. La scena era semplicemente ridicola: era come se Reyns si fosse imposto come nuovo capogruppo, e a rovinarsi era stato lo stesso Venam. Ciò che era certo, ora, era che l’ultima parola in ogni decisione spettava a Reyns, e non più a Venam. Ma la ragazza non ebbe la capacità – o forse il coraggio – di vedere oltre la superficie, e si fermò, piena della sua ingenuità, ad assimilare la serie degli eventi così come le erano stati presentati. Forse era stanca di tutte quelle bugie, ma non aveva nemmeno voglia di verità. Tutto sarebbe cambiato molto presto, e non avrebbe mai più visto nessuna delle persone che l’avevano accompagnata durante il suo viaggio nello stesso modo.
Ridd raggiunse Reyns, e come era ormai solito fare, gli posò una mano sulla spalla.
«Allora, me la sono guadagnata, la parte di Gatto?» chiese, impaziente,
«Eravamo tutti quanti d’accordo,» gli ricordò Reyns, «Tu hai semplicemente avuto l’onore di iniziare questa piccola recita.»
«Esatto, e proprio per questo l’esito del nostro spettacolino è dovuto in gran parte a me.» sorrise l’uomo.
Reyns sospirò. «E sia,» acconsentì, «Ma riposerai sotto la terra di una sola delle due isole.»
«Questo a suo tempo, non credi?» sorrise Ridd, ottimista,
«Ormai non so più dirti come andrà a finire.» ammise il ragazzo, «Non posso garantirti che raggiungerai la fortezza.»
«Calma, calma,» cominciò Ridd, agitato, «Che significa?» chiese spiegazioni,
«Non dipende da me, Ridd.» rispose Reyns, e allungò il passo.
Lo lasciò senza una risposta e senza una sicurezza, come ormai Ridd viveva da anni. O, più che vivere, continuava. Continuava a camminare, a ridere, a scherzare, sotto quella sua facciata, continuando a bruciare, a soffrire per una colpa che era solo di Reyns, e per la quale il ragazzo aveva già pagato un prezzo troppo alto. Così non poteva ribattere, non poteva ottenere perdono, ma non poteva nemmeno perdonare Reyns. E bruciava, come una fiamma ostinata, anche sotto la pioggia, senza riuscire a spegnersi, senza riuscire a convincersi che era meglio arrendersi, e continuava a combattere. Non più come un membro del clan Lokeef, ma come un Ideev.
Non più come un uomo, ma come un mostro.

 

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Capitolo 24
*** Capitolo Ventuno ***


Capitolo Ventuno

Raggiunsero presto un punto in cui il sentiero curvava ed era più opportuno riposare per qualche minuto.
Ora stavano seguendo i calanchi che fungevano da sentieri su entrambi i versanti della ripida valle nella quale scorreva il fiume Reemti, ancora solo un torrentello. Gli alberi offrivano ombra e frescura per poter riposare seduti sulle pietre, che sarebbero state altrimenti incandescenti, al sole; bastava stare attenti a non cadere.
Guardando a sud, si notava un’altra montagna rocciosa, e sembrava che fosse stata divisa in qualche modo da quella su cui si trovavano i viaggiatori.
Esistevano leggende che narravano di giganti tanto forti da riuscire a spezzare la roccia e creare l’apertura in modo che il fiume Reemti potesse scorrere nella valle che si era formata. Una in particolare sosteneva che lo stesso Mondo Conosciuto, Refas, fosse stato creato non per mano degli Dei, ma dai giganti, a partire dal mare che sommergeva e sommergerà ogni cosa, chiamato in lingua Antica Ceala eo ta Minno furodeo il furoderu. Uno di questi giganti, in particolare, era stato incaricato da uno degli Dei di elevare sopra il mare la zona ovest della Valle Verde, in modo che non venisse sommersa alla fine dei tempi, e gli uomini vi si potessero quindi rifugiare. Il gigante obbedì, e le sue dita crearono le insenature che ora il gruppo di viaggiatori stava utilizzando come sentieri, ma ferendosi con uno spuntone di roccia mentre separava le due montagne per creare il letto nel quale sarebbe scorso il fiume che porta il verde, il Reemti Daul, sanguinò, creando così il Lago Rosso, Lokeef Der, per poi morire e diventare la stessa roccia rossa e rosa che era il fondo del lago.
In realtà, era stato un ghiacciaio a scavare la valle in cui scorreva il fiume Reemti nella prima fase del suo corso, mentre l’origine dei calanchi era da attribuire alle piogge.
Il fiume più importante della Valle Verde nasceva per l’appunto dal Lago Rosso, che non si trovava molto lontano dal luogo in cui il gruppo stava riposando ora. L’ultimo tratto di strada sarebbe stato attraverso la pianura che precedeva il lago, e il paesaggio sarebbe stato più verdeggiante, l’erba più alta e più verde, il vento più fresco.
Reyns era arrivato per primo, solo e immerso nei suoi pensieri, e ora il suo sguardo era perso verso l’orizzonte, dove ancora non si riusciva a distinguere il profilo della fortezza di Vyde, nascosta tra gli alberi sulla costa del Lago Rosso. Si fermò, attendendo che gli altri lo raggiungessero.
Ridd, giunto per secondo, stava seduto su un cumulo di sassi, sul versante esterno del sentiero, che ricordava vagamente un trono sospeso nel vuoto. Quando il gatto gli saltò sulle gambe, per poco non cadde, ma una volta ritrovato l’equilibrio prese a coccolare il piccolo felino e attese il resto del corteo.
Si sentiva un Re, seduto in quel modo, e si atteggiò come tale quando Daul gli chiese se era d’accordo a fermarsi per qualche minuto prima di riprendere il cammino.
«Acconsento.» fu la risposta, data con aria di superiorità, e accompagnata da un solenne cenno della mano.
Ridd scherzava, ora, ma era da quando era bambino che gli sarebbe piaciuto incontrare il Re. Quando aveva scoperto che nella Valle Verde non c’era nessuno che rivestisse quella carica ci era rimasto davvero male, ma appena aveva sentito qualcuno menzionare l’Oriente, nei suoi occhi di bambino di nove anni si era riaccesa la luce della speranza.
«Insomma, perché si chiama ancora Mondo Non Conosciuto? Gli Ideev lo conoscono, dato che alcuni di loro si recano laggiù per consegnare messaggi per conto di Vyde, non è così?» domandò Aera, che fino a poco prima stava discutendo della faccenda con Daul e si chiedeva se qualcun altro avesse la risposta.
Fu Ridd a intervenire. «Be’, sì, ma il suo nome non è ancora arrivato fino a qui.» spiegò, «Gli abitanti della Valle Verde l’hanno sempre chiamato semplicemente Oriente, e credo che se anche gli Ideev rivelassero all’intera popolazione Valliana il nome del regno che si trova al di là delle Montagne, ci vorrebbe un miracolo perché la gente lo chiamasse nel modo giusto. Temo che qualunque cosa succeda, per gli abitanti della Valle Verde l’Oriente rimarrà per sempre il Mondo Non Conosciuto. Non ci è mai andato nessuno di Valliano, quindi si può dire logico che, per gli abitanti di questo regno, quella parte di mondo sia non conosciuta
«Eppure gli Orientali conoscono la Valle Verde.»
I sospetti di Aera misero Ridd in difficoltà. L’uomo cercò i suoi compagni con lo sguardo.
Venam era felice di vederlo annegare nelle menzogne e in ciò che non sapeva, Daul lo guardava come per chiedergli scusa di non poterlo aiutare, e Reyns sorrideva, forse ancora più malizioso di Venam, se era possibile.
In lontananza si udì il suono degli zoccoli di un cavallo, probabilmente al galoppo, che si stava avvicinando. I cinque non vi badarono.
«Eccome se la conoscono!» riprese Ridd dopo aver capito che avrebbe dovuto cavarsela da solo, «Si dice che siano venuti in visita al Bosco delle Frecce, più di una volta, passando per le Montagne.»
«Ed è possibile che io non ne abbia mai saputo niente, avendo passato la mia vita poco più a ovest delle Foreste di Wass?» chiese Aera, diffidente. «Confesso che non sei molto credibile.»
«Ragazzina, il fatto che un’affermazione sia veritiera non ha niente a che vedere con il fatto che sia credibile, e viceversa...» si difese Ridd, pronto, posando lo sguardo su Reyns, il quale gli riservò un sorriso soddisfatto, di un maestro fiero dell’allievo che ha imparato la lezione, «La storia più verosimile che ti viene raccontata potrebbe essere una favola.»
«Comunque sembra che stiano scavando un tunnel su una delle Montagne più basse.» aggiunse Daul.
«Mi sembra un enorme passo avanti!» commentò Aera, non esplicitando se si stesse riferendo all’apparente chiusura mentale del popolo Valliano o alla credibilità di ciò che le era stato raccontato fino ad allora.
Improvvisamente, un uomo a cavallo passò a gran velocità sul sentiero, rischiando di far precipitare Ridd nel burrone, di nuovo. Nei suoi occhi brillavano lacrime che nessuno notò.
«Ehi!» urlò lui, «Fa’ attenzione a quel cavallo!»
Ridd si alzò di scatto dal suo trono di roccia, e il gatto balzò a terra. L’uomo iniziò a rincorrere il cavaliere, non con rabbia ma pieno di preoccupazione per colui che lo aveva quasi ucciso, il quale non lo sentì nemmeno.
Daul lo fermò, prendendolo per il mantello. «Sa cosa sta facendo.» cercò di rassicurarlo.
«Lo vedo!» rispose Ridd, ironico, «Il sentiero è troppo ripido, bisogna che il cavallo proceda al passo, o rischierà di cadere!»
«Ma sei cieco?» si intromise Venam, «Non hai notato che era un Ideev, e soprattutto che portava un messaggio con il sigillo di Lord Vyde?»
«No, non l’ho visto,» rispose Ridd, «Ero occupato a cercare un appiglio e non cadere nel precipizio.»
«Probabilmente è un messaggio molto importante.» continuò Venam, senza curarsi delle parole di Ridd,
«Appunto per questo sono preoccupato!» riprese l’altro, «E se non dovesse arrivare a destinazione?»
Al contrario di ciò che pensava Aera, Ridd sembrava avere molto a cuore l’andamento dei piani di Vyde.
«Se Lord Vyde ha incaricato quell’uomo di portare un messaggio tanto importante a Est, significa che non ci dobbiamo preoccupare. Il nostro Signore sa quello che fa, e non ha mai assegnato un compito alla persona che non fosse la più adatta per portarlo a termine.»
Anche Venam rivolse lo sguardo a Reyns, che gli riservò lo stesso identico sorriso. Come se Venam avesse finalmente imparato la lezione e lo avesse riconosciuto come un suo superiore.
Solo qualche ora prima il capogruppo stava per allontanarlo – ora i tre Ideev sembravano fare a gara per ottenere la simpatia del ragazzo. Che cosa era cambiato, in quel poco tempo, perché il loro atteggiamento nei confronti di Reyns riuscisse a mutare tanto radicalmente? Quel breve battibecco poteva significare che il ragazzo aveva davvero assunto il comando del gruppo? Era difficile da credere.
Sempre più elementi non trovavano un posto nella mente di Aera: erano frasi lasciate a metà, possibili doppi sensi, come un pozzo nel quale aveva avuto troppa paura di cadere, e quindi non aveva osato affacciarsi a guardare. Era arrivato, ora, il momento di farsi coraggio?
Un nitrito interruppe il ragionamento di Aera.
Insieme a Ridd e a Reyns, seguita dal gatto, la ragazza corse giù per il ripido sentiero e raggiunse il punto in cui il cavallo era inciampato. L’animale aveva frenato improvvisamente, forse vedendo davanti a sé dei rami bassi o rischiando di inciampare nelle radici che affioravano sul sentiero, e l’uomo che lo cavalcava era stato scaraventato in avanti. Ora giaceva a terra, forse svenuto, e teneva ancora il messaggio nella mano sinistra. Il cavallo nitrì di nuovo, per poi scappare nel bosco, restando sul sentiero, verso est.
Sotto il consiglio datole a bassa voce da Reyns, la ragazza si gettò sulla lettera, prima che il messaggero potesse impedirle di sottrargliela, mentre Ridd si occupò dell’uomo; un rivolo di sangue scorreva giù dalla sua tempia, tra i riccioli biondi, e il viso dell’uomo era contorto in una smorfia di dolore; doveva avere altre ferite, forse contusioni o slogature, se non addirittura fratture, da qualche parte.
Ridd fu svelto a tamponare la ferita alla testa, utilizzando il suo mantello, che da verde si tinse rapidamente di un marrone scuro. Sorprendentemente, però, il messaggero usò parte delle sue ultime forze per scuotere la testa, e alzò una mano scostando quella di Ridd.
L’uomo ritrasse il lembo di stoffa insanguinato, senza capire. «Voglio aiutarti.» mormorò, come se stesse parlando con una bestiola ferita e spaventata.
Il messaggero scosse di nuovo la testa, e poi parlò con voce flebile, «Il messaggio...» mormorò a fatica, «Non consegnatelo... È l’ultimo prima dell’attacco.»
Ridd capì le sue parole, ma ancora non il suo gesto.
L’uomo faticava a tenere gli occhi aperti, ma la sua mente era ancora abbastanza lucida, oppure non lo era mai stata.
«Lo hai fatto apposta?» gli chiese Ridd, incredulo, «Solo per non consegnare il messaggio?»
L’altro annuì. «Deve sparire tutto.» disse, «Il cavallo, il messaggio... Anche io.»
In disparte e inosservata, Aera rimosse il sigillo e lesse le poche righe che componevano il messaggio, non potendo resistere alla curiosità. Di che attacco stava parlando, il messaggero? E perché non voleva che la lettera venisse consegnata?
Anche il gatto di Ridd appariva curioso, mentre camminava tra i piedi della ragazza e guardava in alto, con i suoi occhi vispi, come a chiederle quale fosse il senso di quell’indecifrabile groviglio di macchie d’inchiostro.
 
Mio caro amico,
Mi è stato riferito da due Ideev che la principessa è stata trovata, quindi a breve riceverai da me un altro messaggio nel quale ti darò istruzioni sull’eliminazione dei sovrani. A quanto pare, il ciondolo dice la verità.
Non dovrebbe mancare più di una settimana all’arrivo della principessa alla mia fortezza, quindi ti consiglio di preparare un centinaio di uomini all’attacco al Palazzo Reale.
Presto controlleremo questi due regni, e sarà solo questione di tempo perché anche le isole a sud cadano a loro volta nelle nostre mani.
Lord Vyde

 

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Capitolo 25
*** Capitolo Ventidue ***


Capitolo Ventidue

«Reyns!» lo chiamò Aera, terrorizzata, con un filo di voce, «Reyns, leggi qui!»
Il ragazzo obbedì, a sua volta curioso di conoscere il contenuto della lettera.
Si concentrò sull’ultima frase, e la rabbia lo travolse, si sentì tradito, per l’ennesima volta, ma non lasciò trapelare alcuna di queste emozioni.
Nostre... pensò semplicemente, sdegnato. Prese quella frase come un’ulteriore conferma di aver fatto la scelta giusta, mettendosi contro Vyde.
«Hai idea di cosa possa significare?» chiese poi alla ragazza,
«Non lo so, ma i due Ideev che menziona... Potrebbero essere i due che abbiamo incontrato? Kired e l’altro meridionale?»
«Se è così significa che hanno davvero trovato Yohana!»
Aera aveva una gran confusione in testa. E che cosa significava la frase quella frase? Il ciondolo dice la verità...
«Probabilmente sì, ma io non sapevo nemmeno dell’esistenza di qualche isola a sud
«Deve trattarsi di un arcipelago a sud del Mondo Non Conosciuto Orientale.» ipotizzò il giovane.
«E il destinatario? Dici che potrebbe essere il suo complice a Est?»
«Credo di sì.»
«E che cosa significa che il ciondolo dice la verità
«Non pensarci adesso.» tagliò corto lui, «Nascondi la lettera, prima che la trovino gli altri!»
Aera obbedì all’ordine di Reyns, gettò la lettera dietro uno dei cespugli che costeggiavano il sentiero, e tornò a rivolgere il pensiero alla principessa Orientale.
Scappa!, pensò diretta a lei, come se le sue parole potessero davvero raggiungerla, Scappa, finché sei in tempo, Yohana!
Reyns le voltò le spalle, spostando la sua attenzione su Ridd e il messaggero, udendo i suoi mormorii e comprendendo la sua tristezza e le sue colpe. L’unico motivo per cui Vyde riusciva a procedere con i suoi piani era lo scambio di informazioni con l’Oriente, e l’unico modo di ottenere le informazioni dall’Est era tramite i messaggeri. Essendo uno di essi, l’uomo si sentiva responsabile della distruzione della Valle Verde, e questa colpa, insieme a chissà quali disgrazie, lo avevano portato a disprezzare se stesso e la vita.
«Avremmo potuto aiutarti, coprirti, trovare una scusa,» intervenne Reyns, «Ma a quanto pare non hai intenzione di alzarti e ricominciare.»
Il messaggero scosse la testa, «Ho troppo dolore, ho troppe colpe...» rivelò, «Sono stanco. Lasciatemi qui, vi prego.»
Così dicendo chiuse gli occhi, ma Ridd non si arrese, e tentò comunque di soccorrerlo.
Reyns cercò di dissuaderlo, ma senza successo. «È ciò che ha voluto lui, l’ha scelto lui. Per quanto possa sembrare ingiusto, ha il diritto di farlo.»
«No!» si oppose Ridd, «Non sta ragionando. È una vittima della sua stessa mente, e non ho intenzione di lasciare che un altro innocente perda la vita davanti ai miei occhi.»
«Lui stesso ha riconosciuto di non essere innocente,» ribatté Reyns, «E come ho già detto, è una sua decisione.»
«Ma sta soffrendo, e io posso impedirlo!» si impuntò Ridd, «Devo aiutarlo, almeno limitare il dolore...»
«Ridd,» lo interruppe il ragazzo, «Dovresti saperlo anche tu che i fantasmi feriscono molto più delle spade.»
Ridd sospirò, evitando di annegare di nuovo nel vortice di dolore che lo aveva catturato qualche anno prima.
«Oh, no...» bisbigliò, assistendo impotente alla morte lenta dell’uomo, e notando il sangue che gocciolava dalle labbra del messaggero. Intuendo l’accaduto, prese a tastare le tasche dell’uomo, per trovarvi solo la boccetta semivuota contenente il veleno, e nessun antidoto.
La tenne tra le mani e la fissò, come incantato, per secondi che a Reyns parvero ore. Vederlo in quello stato, vederlo soffrire di nuovo, in silenzio e fermo mentre all’interno il dolore lo lacerava, feriva anche lui, ma non trovò nulla da dire che non gli avesse già detto in passato.
«Ridd, non darti altre colpe,» gli consigliò, «Stavi tentando di salvare un cadavere.»
«Già...» sospirò Ridd, «Certo che le vecchie abitudini sono dure a morire...»
Questa volta fu il ragazzo a posargli una mano sulla spalla. «In questo caso, l’assassino ha già pagato, non credi?»
Così dicendo, si alzò e mosse qualche passo verso Aera, ma venne fermato dalla voce di Ridd, quasi un bisbiglio. saggero. saggero, e udendo i suoi mormorii ima. nti ai miei occhi.f «Reyns, stamattina hai detto che ero io, l’assassino.»
Il ragazzo si voltò, cercando qualcosa da dire, forse una giustificazione, ma non ci riuscì, così abbassò lo sguardo e affiancò Aera, ricominciando insieme a lei a risalire l’ultimo tratto del ripido sentiero.
«Umeiro.» mormorò.
Aera non capì, ma Reyns continuò a spiegare. «È il nome del veleno che portava il messaggero. Aveva già in mente di farla finita. È stata una sua scelta.» ripeté a lei e a se stesso.
«Lo so,» disse lei, «E lo sai anche tu.»
«Non è colpa nostra. L’ha scelto lui stesso.» disse ancora, cercando di calmarsi.
«Esatto.» confermò Aera, con voce dolce, stringendo la sua mano, «E smettila di darti colpe che non hai.» disse, «È un tuo brutto vizio.»
Le labbra di Reyns si curvarono in un sorriso che svanì così come era comparso. «Aera, anche io sento di avere troppe colpe.» confessò. No. Doveva fermarsi. Forse le avrebbe detto la verità, ma a suo tempo. Farlo ora avrebbe mandato all’aria tutto ciò che aveva promesso a Ridd e tutto ciò che aveva promesso ad Aera.
«È morto!» annunciò Ridd, diretto a Venam e Daul, che non si erano nemmeno degnati di scendere il sentiero. Nella sua mente, quella mancanza di interesse e di volontà di aiutare un compagno era qualcosa di imperdonabile.
Aera si voltò a guardare; un rivolo di sangue scendeva dalla tempia sporca di terra del povero messaggero, un altro usciva dalle sue labbra semichiuse. Gli occhi, ormai destinati a rimanere chiusi, erano nascosti dai riccioli biondi.
Aera si odiò per il sospiro di sollievo che le sfuggì. Certo, l’arrivo a destinazione di quel messaggio avrebbe avuto conseguenze catastrofiche, ma dall’altro lato non riuscì a evitare di sentirsi estremamente egoista, come dopo la morte di Gatto. Come poteva essere rincuorata dalla morte di un uomo? Sentirsi bene sapendo dell’eterno silenzio di qualcuno?
«Meglio così.» disse sottovoce Reyns, lasciando in sospeso la frase. Non c’era bisogno di aggiungere altro. Per la seconda volta, la morte di qualcuno aveva giovato ai due ragazzi, che avrebbero potuto mettere fine al buio che era calato sulla Valle Verde, se fossero arrivati alla fortezza di Vyde e avessero commesso l’ultimo, inevitabile omicidio, per poi pagare a loro volta con la vita.
«Che ti avevo detto, Venam?» urlò Ridd, questa volta davvero arrabbiato, ma non con il prossimo – con se stesso. «Avrei dovuto fermarlo prima!»
«Be’, allora non devi dare la colpa a me, ma a lui!» gli rispose, indicando Daul, «È stato lui a fermarti!»
«Io non ho dato la colpa a nessuno di voi due.» disse Ridd, abbassando il tono di voce e ripercorrendo il sentiero, seguito da Reyns e Aera. Il gatto scattò in avanti, aprendo la fila, con una vivacità comune a nessuno dei viaggiatori, ma tutta sua.
«Ho semplicemente detto che avrei potuto fare qualcosa per evitare che quell’uomo perdesse la vita, ma non sono stato in grado di fare nulla.» continuò Ridd, «Non sono arrivato in tempo. E non è la prima volta che commetto un errore del genere.»
«Ridd,» intervenne Reyns, bisbigliando, «Aveva già bevuto il veleno, non avresti...»
«Lo so.» lo interruppe lui, «Ma non voglio che quei due lo sappiano.»
«Vuoi far loro credere di essere i responsabili solo per il gusto di farli sentire in colpa?» si intromise Aera, scioccata e delusa dal comportamento di Ridd,
«No,» lo difese Reyns, «Ridd sente semplicemente il bisogno di dare la colpa a qualcuno o a qualcosa, e la via più rapida verso un capro espiatorio è quella della bugia.»
L’uomo abbassò lo sguardo, non potendo ribattere, di fronte alla verità.
«Allora darò la colpa al tempo.» decise.
Riprese a camminare, solo, non potendo evitare di pensare al passato. La donna che amava se n’era andata per sempre, solo perché lui non aveva fatto in tempo a salvarla.
Reyns lo osservò, con occhi tristi e colpevoli – avrebbe voluto dire qualcosa, ma qualcos’altro lo tratteneva dal farlo.
On un misto di insensata gelosia e compassione, Aera si chiese se ci fosse stato un episodio simile, nel passato di Reyns.
«E ora andiamo,» riprese Ridd, rivolto ai due ragazzi, che erano rimasti indietro, «Dobbiamo avvisare Lord Vyde che il messaggio che ha inviato non è arrivato a destinazione.»
Aera strinse il Ciondolo dell’Aquila, come a lasciare una preghiera senza parole per il povero messaggero, e si augurò che la sua morte fosse l’ultima di quelle ingiuste che erano state causate dal nobile che aveva preso il controllo della Valle Verde.
«Vyde non lo saprà mai,» disse Reyns, accanto a lei, «Non vivrà abbastanza per scoprirlo.»
***
I due Ideev, nel mentre, raggiunsero il corpo del messaggero.
Il complice di Kired recuperò la lettera dal cespuglio dietro al quale aveva visto che Aera l’aveva gettata e, dopo averla letta, si rivolse al compagno. «Strano modo di comportarsi, per un traditore... Una curiosa forma di suicidio, comodamente mascherabile con un incidente a cavallo.» constatò, quasi stesse prendendo ispirazione, «Se il suo obiettivo era quello di evitare che il messaggio arrivasse a Lord Orlud, non avrebbe potuto semplicemente smarrirlo
«Non sarebbe più potuto tornare alla fortezza.» rispose Kired, «Che spiegazioni avrebbe potuto dare?»
«Hai ragione,» sospirò il primo, «Sono preoccupato, però.»
«E di che?» chiese il ragazzo, con disinteresse.
Aveva posto la domanda solo perché gli era stato detto che di solito è bene chiedere il motivo delle ansie di qualcun altro. Ma per rendersi conto dello stato d’animo del compagno, era stato necessario che fosse lui a comunicarglielo.
«Se il messaggio non arriva a destinazione, i piani di Vyde andranno in fumo.» disse l’uomo,
«No, e perché dovrebbero?» Kired non si preoccupò minimamente, «La principessa arriverà a destinazione, e saremo noi a consegnarla. Intascheremo la ricompensa e spariremo nell’arcipelago. Al diavolo i piani di Vyde!»
«Qui c’è scritto il contrario.» disse l’altro, porgendo la lettera al ragazzo, il quale, leggendo le ultime parole che componevano il messaggio, rimase a bocca aperta.
«Non può cavarsela così!» Kired maledisse Vyde, stringendo il pugno.
«Ora capisci il motivo della mia preoccupazione?» chiese l’uomo,
«Certo, certo, è proprio l’opposto...» ragionò Kired, «È una fortuna che quell’uomo sia morto!» sorrise di una macabra gioia, che spaventò l’uomo.
Quel ragazzo non aveva il minimo riguardo per la vita o per la morte, per le gioie o le preoccupazioni. Agiva solo se prevedeva un miglioramento della sua situazione, senza servirsi di calcoli o ragionamenti complessi, ma basandosi sugli istinti e sulla solida e semplice, cruda realtà: i morti non parlano, e che quel morto non parlasse era un bene per Kired, quindi Kired sorrideva.
«No, non se la caverà.» ripeté a se stesso, «Vyde vuole tutto, vuole l’arcipelago e vuole la ragazzina.» ragionò, «Se Vyde ha intenzione di divertirsi con lei, non potrò impedirglielo, ma posso fare in modo che non sia il primo a farlo.»
L’uomo cercò di dissuaderlo a cambiare idea: «Non è necessario arrivare a tanto,» disse, «E non ha senso fare del male alla ragazzina se colui a cui vuoi fare un torto è Lord Vyde.»
«Allora lo farò perché ne ho voglia.» decise il giovane.
L’uomo sospirò, capendo che non ci sarebbe stato verso di fargli cambiare idea. Non era da molto che lo affiancava, ma poteva dire di conoscerlo: il comportamento di Kired era istintivo e prevedibile. Non avrebbe potuto fermarlo, come non avrebbe potuto fargli capire che ciò che era importante in quel caso non era essere il primo, ma essere amato; gli era bastato dare un’occhiata a Reyns e Aera per capire che tra quei due c’era già stato qualcosa. Ma l’amore era un sentimento che Kired non avrebbe mai saputo riconoscere, mai capito, e mai provato.

 

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Capitolo 26
*** Capitolo Ventitré ***


Capitolo Ventitré

Dopo il sentiero ripido e roccioso, davanti agli occhi dei viaggiatori si distese una pianura che pareva sconfinata, tempestata di fiori gialli e rossi. Il gatto di Ridd rincorreva una farfalla, e sembrava non stancarsi mai di saltare e scattare a destra e sinistra.
L’erba era alta, così il gruppo ripercorse la scia dove era appiattita, lasciata dal cavallo del messaggero che avevano incrociato, troppo tardi per convincerlo a fermarsi. Vi era qualcosa di macabro nel seguire a ritroso la strada tracciata da qualcuno che ora era morto, come se invadere lo spazio in cui lui aveva trascorso del tempo significasse interferire con il suo riposo, come se ciò potesse disturbarlo.
Inoltre, Aera notò qualcosa di strano in Reyns; da quando avevano trovato la lettera che il messaggero aveva con sé, sembrava rimuginare senza sosta su qualcosa, e c’era una sfumatura di rancore, nei suoi occhi. Aera pensò che, come era stato per lei stessa, leggere il messaggio non avesse fatto altro che alimentare l’odio che provava per Lord Vyde.
Venam avvisò il resto del gruppo che avrebbero seguito il sentiero nella pianura e che si sarebbero fermati in prossimità di un boschetto, per la notte, perché seguire la sponda del Lago Rosso, secondo lui, sarebbe stato un inutile spreco di tempo. Inoltre intendeva tenersi al di fuori delle zone boschive, ricche di ombre in cui i loro inseguitori si sarebbero potuti nascondere e tendere loro un agguato, ma non poteva nemmeno permettersi di starne troppo lontano, perché solo in un bosco il gruppo avrebbe potuto cacciare la selvaggina che sarebbe stata la loro cena e trovare la legna necessaria per accendere un fuoco.
«E se qualcuno di noi avesse voluto vedere il Lago Rosso?» tentò di convincerlo Reyns, anche se aveva già visto il lago, più di una volta.
«Quando arriveremo alla fortezza di Vyde si vedrà perfettamente, dalla vetrata al primo piano.»
«E se non andassimo al primo piano?» ipotizzò il giovane,
«Ci andremo. È solo al primo piano che Lord Vyde riceve gli ospiti.» lo informò Venam.
Quando sarebbero arrivati alla fortezza, non sarebbero bastate le doti di Reyns per convincere Venam, Daul e Ridd che lo scopo del viaggio dei due ragazzi fosse semplicemente di fare rapporto a Vyde – la verità sarebbe venuta a galla, e Reyns non poteva permetterlo.
Probabilmente, pensò Aera, l’obiettivo di Reyns era proprio quello di entrare in un bosco o infilarsi tra gli alberi sulla sponda del Lago Rosso, perché i due Ideev attaccassero il gruppo di Venam, e facessero il lavoro sporco per lui. Si sarebbero dovuti liberare una volta per tutte dei tre Ideev rimasti. Aera lo capiva e lo accettava, ora.
Non le sarebbe dispiaciuto, però, vedere il Lago Rosso. Si rese conto ben presto di volerlo vedere davvero, dalla sponda e non dalla fortezza, catturare con lo sguardo il colore delle rocce che davano all’acqua quelle sfumature rosee e arancioni, che davano il nome al lago; non sarebbe stato lo stesso, se lo avesse osservato da una finestra. Voleva guardare l’orizzonte, ascoltare il suono delle cascate che si buttavano nel mare lontano, osservare il fiume Reemti appena nato. Forse si poteva dire che volesse un momento di pace, dopo la lunga guerra tra il suo cuore e la sua mente, tra il suo desiderio e la sua dignità, tra la sua innocenza e il suo istinto.
E non le sarebbe importato, se fossero state le ultime cose che avrebbe visto; al contrario, sarebbe stata onorata di terminare la sua esistenza in quel luogo preciso, per il significato che esso aveva. Il Lago Rosso era la fonte del fiume più importante dell’intera Valle Verde. Rappresentava l’origine, l’inizio, così come un nuovo inizio per la Valle Verde avrebbero segnato le morti di Aera e Reyns, sulla sponda di quel lago. Il sangue che da loro sarebbe stato versato avrebbe a sua volta intrapreso un viaggio, scorrendo insieme all’acqua limpida del fiume Reemti, percorrendo l’intera Valle Verde, e macchiandola di un indelebile rosso. Era una macabra visione, ma così piena di verità e di tanto attesa giustizia che Aera non riusciva a provare pietà nemmeno per se stessa.
Guardando all’orizzonte si riuscivano a scorgere gli alberi di Yede che circondavano il Lago Rosso – lì in mezzo, ancora invisibile, si trovava la fortezza di Vyde. La fine era vicina, ma non si stava avvicinando; erano Aera e Reyns, di loro spontanea volontà, a compiere un passo dopo l’altro verso la Morte.
«Quanto dovrebbe mancare a destinazione?» chiese Aera, sperando che qualcuno le avrebbe dato un’idea più precisa sul tempo che le rimaneva.
Fu Daul a risponderle. «Per oggi ci sistemeremo vicino a quel piccolo boschetto, e domani dovremmo raggiungere la fortezza entro mezzogiorno. Venam preferisce non viaggiare oltre il calare del sole, potrai capire perché. Ma non temere, ormai ci siamo!» terminò, sorridendo in quel suo modo che ancora la spaventava.
«Tu sei mai stato alla fortezza?» volle chiedere la ragazza,
«Sì, quando abbiamo formato la nostra squadra.» rispose Daul.
Reyns lanciò all’uomo un’occhiata, da sopra la spalla, ma Aera non lo notò, e questo non fu un bene. Forse questo piccolo elemento sarebbe bastato ad Aera per completare il mosaico e risolvere l’enigma che era Reyns stesso.
Al contrario, la giovane aveva abbassato lo sguardo ai suoi piedi, e rivelato: «Io non l’ho mai vista prima, invece.»
Daul aggrottò le sopracciglia. «E come no? Tutti i giovani come voi ci vanno, quando iniziano a lavorare per Vyde.»
Aera si sentì male. Stava mandando all’aria tutto. Si sentì colpevole, in dovere di ritrattare, ma senza sapere che cosa dire, e con la paura di peggiorare la situazione. Cercò Reyns con lo sguardo, più per chiedergli perdono che aiuto, ma trovò i suoi occhi, calmi e non severi, e si rilassò.
Infatti, dopo che il ragazzo gli lanciò un’altra occhiata che lo fece trasalire, Daul si corresse: «Ah, già, che sbadato! Voi non siete nati tra gli Ideev, giusto? Perdonatemi, l’ho dato per scontato, vista la vostra giovane età.»
Anche Daul si comportava in modo diverso, ora. Tentava di portare Reyns dalla sua parte, di apparire il migliore dei tre Ideev rimasti. Aera non si sarebbe sorpresa se i tre uomini si fossero messi a litigare, ma ancora non sarebbe riuscita a spiegarsi il motivo di quella loro competizione.
«Esatto, per essere Ideev basta portare il simbolo.» confermò Ridd, «Da quando gli Ideev si sono spinti oltre il Bosco di Yede non c’è più bisogno di tante cerimonie. È più per una questione di lontananza, ma fatto sta che si entra a far parte del gruppo a tutti gli effetti semplicemente mostrando il simbolo sulla mano destra, e si può subito portare a termine qualsiasi incarico, a patto che un Ideev noto a Lord Vyde faccia da accompagnatore. Una volta che Vyde vi avrà conosciuto, invece, sarete completamente indipendenti.» spiegò l’uomo.
«Ovvio.» intervenne Reyns, aspro, «Altrimenti che senso avrebbe avuto viaggiare con voi? Siete più un ostacolo, che altro.» disse, con un tono acido che non gli si addiceva per niente, oppure che era sempre stato il suo, ma che non aveva mai usato, almeno in presenza di Aera. «Se non ci siamo liberati di voi è solo perché siamo novellini, ma appena arrivati alla fortezza, ognuno di noi continuerà per la sua strada, immagino.»
«Assolutamente no!» si oppose Venam,
«Be’, no, certo che no,» iniziò Ridd, «Noi tre continueremo a lavorare insieme, solo che a loro due verranno assegnati altri compiti. Dopotutto sono più giovani, più portati per incarichi come...»
«Certo, era questo che intendeva dire Reyns.» intervenne anche Daul, «Non agitarti, Venam!»
Aera tornò a rivolgere il pensiero ai due Ideev che avevano incontrato.
«Quindi, quell’uomo ha tutte le carte in regola per essere un membro del mio clan.» rifletté a bassa voce. Inevitabilmente, però, Reyns la sentì.
«Pensi ancora a quei due? Non devi preoccuparti. Non possono più farti del male.»
«Ma possono farne a Yohana!» ribatté la ragazza,
«Li fermeremo prima che possano alzare un dito su di lei.» la rassicurò lui,
«Ma quell’uomo ha qualcosa di strano, qualcosa di familiare... Sono sicura di averlo già visto.»
«Può darsi che venga dal tuo clan.»
«Lo so, ed è quello che mi spaventa!»
«No, non è vero.» la contraddisse lui, scuotendo la testa. Si fermò sui suoi passi e le prese le mani, guardandola negli occhi. «Non è di quell’Ideev che hai paura.»
Aveva ragione. Aera trattenne l’istinto di abbracciarlo; non aveva mai conosciuto qualcuno che la capisse tanto bene, più di quanto lei stessa riuscisse a capirsi, e ora che finalmente lo aveva incontrato, avrebbe dovuto dirgli addio.
Ma questa sua capacità era qualcosa di positivo? O era piuttosto una condanna ai segreti di Aera, destinati a venire svelati uno ad uno da quel ragazzo, che era il mistero fatto persona?
«Tu hai paura di fallire, di peggiorare la situazione.» disse Reyns, leggendo nel cuore di Aera ed esprimendo a parole ciò che lei provava. «Capisco benissimo come ti senti, e proprio per questo ti devo chiedere un favore, molto importante.» cominciò a dire lui,
«Qualsiasi cosa.» promise lei, stringendo le sue mani, anche prima di conoscere la richiesta di Reyns.
«Aera,» iniziò a dire, abbassando ulteriormente la voce e acquistando quel tono serio che, tempo prima, l’aveva fatta dubitare della sua sincerità, «Promettimi che, qualunque cosa accada, ti fiderai di me. Assicurami che, se anche farai di testa tua, lo farai dando per scontato che io sarò lì accanto a te, quando avrai bisogno di me.»
«Lo prometto.» rispose lei automaticamente, separando una mano da quella loro unione per stringere il Ciondolo dell’Aquila e portarselo alle labbra, come suo solito ogni volta che faceva una promessa, piccola o grande che fosse.
«Grazie,» disse il ragazzo, con un sorriso che aveva qualcosa di malinconico, e una colpa, sentita e mai pronunciata. Sempre stringendo la sua mano, Reyns si avvicinò ad Aera; con l’altra mano le sfiorò la guancia, e le alzò il mento. La baciò, un bacio breve ma non per questo privo di passione o di amore. Sembrava che solo Aera fosse spaventata dall’idea che avrebbe potuto essere l’ultimo.
Quando le loro labbra si divisero, Reyns tornò a guardarla negli occhi, mentre Aera abbassò lo sguardo, quando aprendo gli occhi si ritrovò davanti quelli del ragazzo, così vicini e veri, eppure così misteriosi e irraggiungibili. Reyns le sorrise, e dolcemente si allontanò, tornando a camminare a fianco di Ridd e Daul.
Fu allora che Aera si rese conto che, nascosta da qualche parte, c’era sempre stata una sensazione, come un brutto presentimento, che tuttavia soltanto ora la rendeva inquieta. Era qualcosa che riguardava Reyns, uno dei tanti misteri accantonati, classificati dalla mente di Aera come inspiegabili, e perciò lasciati a loro stessi, nell’oscurità alla quale appartenevano. Giocherellando con il Ciondolo dell’Aquila e accarezzandone i contorni, Aera rimuginò sugli eventi passati, dai più recenti ai più lontani, alla ricerca della fonte di quella sensazione.
Ed eccola, lì davanti a lei, in piena vista – quella frase che non si era spiegata. Il ciondolo dice la verità.
Reyns aveva risposto o come minimo tentato di rispondere a tutte le domande che Aera gli aveva posto, a proposito di quella lettera, ma aveva evitato quella sul ciondolo, che era stata l’ultima.
Ridd non aveva bisogno di aiuto per constatare se il messaggero fosse morto o meno, quindi perché Reyns aveva preferito andare da lui, invece di rispondere a lei?
All’inizio aveva pensato che si fosse trattato della fretta e della confusione, ma i misteri che aleggiavano su Reyns e sul suo passato, a questo punto, erano troppi. Da quando si erano conosciuti, i sospetti di Aera si erano attenuati – come avrebbe potuto sospettare di qualcuno che le aveva promesso di essere pronto a morire per aiutarla?
No, non poteva essere. Era la sua mente che le stava giocando qualche brutto scherzo. Era già successo, e non era stato affatto divertente. Probabilmente la sua mente stava cercando di imbrogliarla, di farle dubitare di Reyns, perché far crollare tutto ora avrebbe potuto corrispondere a una minima speranza di salvarsi dalla morte certa alla quale sarebbe altrimenti andata incontro, e cominciare a odiarlo invece che amarlo avrebbe reso l’addio meno doloroso, quasi un piacere.
Ma se invece fosse stato il suo cuore a convincerla del contrario fino a quel momento? Ora che ci pensava davvero, Reyns aveva mentito su diverse cose, e l’aveva fatto sempre con quel tono convincente, che avrebbe ammaliato chiunque, convincendo tutti che il ruolo che stava recitando era il suo, e il suo soltanto. E recitare questa sua parte gli veniva così naturale che talvolta si immedesimava fin troppo nel personaggio, e commetteva degli errori, come quello di portare Aera in quella radura nel Bosco di Yede, per essere, per una volta, completamente onesto con lei e con se stesso.
Un senso di panico la investì. No, doveva ragionare, stare calma. Stava tutto nella voce, qualcuno le aveva detto che i bugiardi si riconoscono dalla voce. Reyns aveva utilizzato due timbri di voce ben distinti, quando aveva parlato con lei: c’era quello più alto, con la decisione e l’apparente onestà che nascondevano tutto il resto, quello pieno di sorrisi, di speranza e di tenerezza; e poi c’era il secondo, più basso, cupo e tormentato, forse più convincente, che Aera aveva identificato come il timbro di voce bugiardo proprio per la sua caratteristica di celare la verità. In realtà, lo aveva classificato come tale perché la verità faceva più male.
No, no, non voleva crederlo. Non era possibile che qualcuno come Reyns fosse capace di tale ipocrisia. Il Reyns che conosceva non era quel tipo di persona!
Ma subito si rese conto di essere stata accecata da quelle sue bugie, e riconobbe la verità, ossia che il Reyns che conosceva non era affatto Reyns.
***
Per la notte il gruppo si sistemò in prossimità del boschetto, a poche ore di viaggio dalla fortezza di Vyde. Il giorno seguente sarebbe stato il più importante nella storia della Valle Verde.
Reyns scelse ancora una volta di avere il turno di guardia – era probabilmente la sua ultima notte, e l’avrebbe passata a guardare le stelle, l’avrebbe passata insieme ad Aera. Si trovava al margine del minuscolo accampamento, abbastanza lontano dal fuoco perché il crepitare delle fiamme coprisse la sua voce al resto del gruppo attorno ad esso. Era all’entrata del boschetto, appoggiato a un albero, e guardava non più verso est, al passato, ma verso ovest, al futuro, alla sua destinazione, alla sua fine.
Il sole tramonta. La pioggia svanisce, senza preavviso, si perde, si dimentica, si dissolve insieme alle nuvole. Tutt’a un tratto, smette di cadere, e quando ce ne rendiamo conto, ormai è troppo tardi, se n’è già andata. E a nessuno importa, perché tutti sono rapiti dallo spettacolo del sole che splende di nuovo, del cielo che torna azzurro, e dell’arcobaleno che si staglia nel blu, riportando speranza, come solo i miracoli sono in grado di fare.
Mentre gli altri sistemavano le loro coperte, Daul si avvicinò al ragazzo, con aria preoccupata. Se stava recitando, lo stava facendo molto bene, pensò Reyns.
«Sei sicuro di stare dormendo abbastanza?» gli chiese,
«Sì.» mentì il ragazzo, guardando altrove nel disperato tentativo di distogliere l’attenzione di Daul dalle sue occhiaie scure, «E comunque non devi preoccuparti. Questo è l’ultimo giorno di viaggio, per me e Aera. Da domani alloggeremo alla fortezza di Vyde.» un’altra bugia. La prossima volta che Reyns avrebbe dormito, sarebbe stato un sonno eterno, forse pacifico.
«Se ti senti stanco, posso darti il cambio.» si propose Daul, «Svegliami, se ne hai bisogno.»
Reyns sospirò, passandosi una mano tra i capelli. «È inutile che vi mettiate gli uni contro gli altri per tentare di apparire migliori ai miei occhi.» sbottò, «La parte di Gatto non andrà a te, né a Venam, né a Ridd. E nemmeno a me.»
Daul aggrottò le sopracciglia. La sua era un’umile offerta d’aiuto, e non si aspettava nulla in cambio, ma anche capendo il ragionamento e i pregiudizi di Reyns, le sue parole suonavano strane. Non sembravano sue.
«Non voglio la parte di Gatto,» premise Daul, «E la scelta di che cosa farne della ricompensa sta a te soltanto...»
«Ma è proprio questo il punto.» lo interruppe Reyns, «Io non voglio che alla principessa venga fatto del male.»
«E allora perché fare tutta questa strada?» domandò Daul,
«Non lo so.» ammise Reyns, lasciandosi scivolare, arrivando a sedersi alla base dell’albero. Era stanco, ma non a causa del sonno. A causa delle bugie. «So solo che, ormai, tutto ciò che sto facendo, ogni mio respiro, è per lei.»
«Per Aera?» chiese Daul, abbassandosi a guardarlo negli occhi, mentre Reyns fissava il vuoto.
«Per la principessa.» lo corresse il ragazzo, «Aera pensa che possa trattarsi di Yohana.»
«Ma tu sai bene che non è così.» disse Daul,
«Non importa chi sia la principessa.» il ragazzo scosse la testa, «L’importante è che nessuno le faccia del male.» tornò a guardare Daul negli occhi, mentre nei suoi brillava una scintilla. Era una luce pericolosa, in grado di uccidere, di distruggere. Era una minaccia.
L’uomo capì, e annuì, ma non riuscì a trattenersi dal metterlo in guardia: «Kired e il suo complice sono ancora sulle nostre tracce. Vogliono Aera.»
«Lo so. E non l’avranno.» disse Reyns, tirandosi di nuovo in piedi perché la sua falsa sicurezza in se stesso risultasse il più realistica possibile.
Daul si alzò a sua volta. Ora lo guardava dall’alto, come al solito. Daul guardava tutti dall’alto, grande e grosso com’era, ma non per questo si sentiva superiore. Oltre il suo aspetto, oltre la sua cicatrice, oltre la sua abilità nel maneggiare la daga e la spada, si nascondeva un uomo.
E oltre gli occhi di Reyns, oltre la sua giovinezza, oltre i suoi sorrisi, si nascondeva un mostro.
Era logico che entrambi riuscissero a vedere attraverso le bugie dell’altro con tanta facilità.
«Aera non è tua.» disse Daul, ricambiando gli occhi impauriti di Reyns, i suoi occhi nascosti, che all’apparenza erano sicuri e minacciosi.
«E chi avrebbe mai detto qualcosa del genere?» chiese il ragazzo, ora sulla difensiva, esposto,
«I tuoi occhi.» rispose Daul,
«So bene che Aera è libera.» disse Reyns, prima che l’altro riuscisse andarsene con l’ultima parola, «Non l’ho costretta a fare nulla di tutto questo.»
«No, è vero, tu non l’hai costretta.» riconobbe Daul, «Tu l’hai convinta.»


 

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Capitolo 27
*** Capitolo Ventiquattro ***


Capitolo Ventiquattro

Aera attese che tutti, tranne Reyns, che era di guardia, si fossero addormentati profondamente, perché potesse parlare da sola con lui.
Rimase in silenzio sotto la sua coperta, con un occhio chiuso e sbirciando con l’altro attraverso la frangia.
Ridd fu il primo a crollare dal sonno, seguito da Venam. La ragazza osservò invece come Daul passasse un lungo tempo ad occhi aperti, osservando le stelle. Si ricordò, da ciò che le aveva rivelato, che era solito guardare il cielo notturno in compagnia di Gatto, soprattutto durante il primo periodo in cui l’uomo si era unito al gruppo. Ora, invece, a fargli compagnia c’era solo il piccolo felino spelacchiato adottato da Ridd, che guardava le stelle insieme all’uomo, seduto accanto alla sua spalla.
Dopo un poco, il gatto si stancò, scavalcò Daul camminando sul suo petto, e si avviò verso il boschetto, in direzione di Reyns. Non ci volle molto allora perché l’uomo chiudesse gli occhi, e prendesse a russare.
Seguendo il gatto fino ai primi rami degli alberi, Aera si avvicinò al ragazzo, il quale, appoggiato a un albero, la guardava avvicinarsi, con sguardo perso, innamorato, ma forse anche colpevole.
Aera capì che avrebbe dovuto affondare la lama delle sue parole proprio in quella sfumatura dei sentimenti che provava Reyns. Prese coraggio, gli andò più vicino, e si rivolse a lui.
«Reyns,» la sua stessa voce la spaventò, e la ragazza si fermò sui suoi passi. Poi sospirò, incerta. Il giorno dopo avrebbe raggiunto la fortezza di Vyde – era la sua ultima notte. Voleva passarla litigando con il ragazzo che amava più di ogni altra cosa al mondo?
No, era un bugiardo, ne aveva le prove. O forse era solo una sensazione? No, era il suo desiderio, che tutto andasse per il verso giusto, ma non era così; quella voce in fondo al suo cuore aveva ragione, anche se con la verità aveva lacerato ciò che di quel cuore rimaneva.
Aveva bisogno di un segno, della conferma che Reyns si trovasse o meno dalla sua parte. Una domanda casuale, anche se fosse rimasta senza risposta, le avrebbe indicato quale era la parte di Reyns che il ragazzo avrebbe mostrato e quale teneva nascosta: la prima sarebbe stata la sua recita, la bugia, l’altra la verità, il vero Reyns. «Che cosa significa questo ciondolo?» chiese, allora.
«Se non lo sai tu che l’hai sempre portato al collo, come posso saperlo io?» fu la risposta del ragazzo, data con un’alzata di spalle, e con quel suo tipico sorriso, innocente.
Eccola. Era quella voce, quella che aveva sempre avuto, quella che aveva sempre mentito.
Il giovane mosse qualche passo verso di lei.
«Smettila di fingere!» lo ammonì, e Reyns si fermò di scatto, senza capire. Il suo viso assunse un’espressione ferita, sorpresa, forse tradita, ma Aera non aveva intenzione di lasciarsi manipolare e sottomettere da quel senso di colpa. Incapace di sostenere i suoi occhi, abbassò lo sguardo, e continuò a parlare: «Persino gli abitanti di quel villaggio lo conoscevano, e quando l’hanno riconosciuto hanno cominciato a trattarci con rispetto! Sono stata tenuta all’oscuro di qualcosa di grande, troppo a lungo. Reyns, devi dirmi la verità.» gli ordinò, tornando a guardarlo negli occhi, «Da dove viene, il Ciondolo dell’Aquila? E perché Ikaon mi ha sempre proibito di toglierlo? Perché è così importante? Qual è il suo significato?»
La raffica di domande non sembrò cogliere Reyns di sorpresa, che continuò a recitare la sua parte, gesticolando ed enfatizzando le sue parole in un disperato tentativo di provare la sua innocenza. «Non lo so, non l’ho nemmeno mai visto! Se non te l’hanno detto loro, che consideravi una famiglia, un motivo ci sarà.» rispose, con il tono convincente che l’aveva sempre stregata. «E forse è proprio qualcosa che è meglio tenere nascosto.» si tradì, poi.
Gli occhi di Reyns raccontavano un’altra storia. Ora il senso di colpa non era più solo una sfumatura, non era più nemmeno lo sfondo, nel dipinto dei suoi occhi – era il soggetto principale.
A quel punto Aera non ebbe più dubbi: Reyns sapeva, come sapevano tutti, che il Ciondolo dell’Aquila aveva un significato ben preciso, e che era così importante che persino a lei stessa era stato tenuto nascosto.
«Reyns, sii sincero,» provò a convincerlo di nuovo, «Questo ciondolo ha una storia? È importante per la Valle Verde? Se lo è, potrei usarlo per imbrogliare Vyde, o potrei liberarmene per mettere tutti in salvo. Magari anche Vyde lo vuole!»
«Non è il Ciondolo dell’Aquila, ciò che Vyde sta cercando.» rispose Reyns, questa volta sincero, con il tono di voce più basso, quello che l’aveva confusa ma che non aveva mai lasciato trapelare nulla se non la verità. «O almeno, non credo sia in cima alla lista delle sue priorità.»
«E tu come fai a saperlo?»
Ci fu un lungo silenzio, durante il quale il ragazzo abbassò lo sguardo e deglutì, nervoso.
Aera era sicura di aver toccato il tasto giusto. La verità stava per venire a galla, ed era tutto ciò che le importava. Non si curò della quantità di bugie che le erano state raccontate per tutta la vita; non ne aveva idea. Non poteva sapere – le bugie erano diventate la sua vita. Viveva da troppo tempo nell’ombra, e ora voleva vederci più chiaro, ma non aveva considerato quanto la luce della verità sarebbe stata accecante per lei, sempre abituata alle sue menzogne buie. «Tu ne sai qualcosa, Reyns, ed è ora che qualcuno mi dica la verità.»
«Aera...» iniziò lui, senza sapere come continuare. Non voleva prendersi la responsabilità di raccontarle tutto quanto, perché sapeva che l’avrebbe cambiata per sempre. Non voleva che Aera cambiasse. Non voleva dirle addio. Non così. «Tu sei mia amica,» mentì, «Non voglio...»
«L’essere tua amica,» lo interruppe lei, chiaramente offesa dal termine anche se era altrettanto chiaro che Reyns non la considerasse affatto in quel modo, «Non è altro che una ragione di più per essere sincero con me! Ti sto chiedendo di aiutarmi, perché questo è l’ultimo giorno che mi rimane da vivere,» non aveva idea di quanto la verità avrebbe cambiato la sua posizione, «Perché non posso avere delle risposte?»
Reyns lasciò passare qualche momento. Ora doveva smettere di mentire. Aera era molto più che un’amica: era la ragazza che gli aveva fatto aprire gli occhi. Quindi ora doveva essere lui a far aprire gli occhi a lei, anche se avrebbe fatto male. A entrambi.
«Aera, io...» No. Stava già sbagliando. Così è come iniziano le bugie. Doveva trovare delle altre parole. «Io non voglio più fingere.» disse deciso, tornando a guardarla negli occhi. Prese la mano di Aera tra le sue, forse per confortarla, forse per calmarsi.
Anche gli occhi di lei cambiarono: ora era quasi spaventata dalla gigantesca ondata di verità che – sapeva – l’avrebbe investita presto. Aera strinse più forte la mano di Reyns.
«Quel ciondolo,» cominciò a dire Reyns, indicandolo con un cenno del capo, «Sta a simboleggiare la famiglia reale dell’Est.»
Aera si sentì mancare il respiro.
«Ce n’è solo uno,» continuò il ragazzo, «Ed è per questo che nella lettera era scritto che il ciondolo dice la verità. Tu puoi fingere di essere qualcun altro, ma anche se non lo sai, è il Ciondolo dell’Aquila a parlare per te, a urlare la tua identità, che tutti conoscono e che tutti ti hanno sempre tenuto nascosta. E come se non bastasse, Kired e il suo compagno ti hanno trovata, e non aspetteranno molto a tentare di rapirti di nuovo.»
Com’era possibile? La principessa Orientale, quella figura nobile e pura che aveva tentato in ogni modo di proteggere, era lei stessa? Era ironico, ma quando le era giunta la notizia che la principessa si stava avvicinando a Vyde e lei aveva affrettato il passo, non aveva fatto altro che avvicinarsi di più alla sua stessa fine. «Ti hanno mentito su molte cose, Aera.» riprese a dire Reyns.
Se n’era accorta, ormai. Troppo tardi, però.
«E su che cosa?» chiese Aera, tentando di mostrarsi distaccata, solo lievemente incuriosita da ciò che non aveva mai conosciuto, che sarebbe sempre stato suo diritto conoscere. Ma non poteva mentire, non mentre Reyns la teneva per mano. Non mentre quegli occhi amaranto guardavano tanto intensamente i suoi.
«Prima di tutto, l’Oriente non è affatto sconosciuto, agli Ideev.» cominciò a spiegare Reyns, «Il suo nome è Lanth, e i tuoi genitori sono il Re Divro e la Regina Looty.»
Aera non poté fare a meno di pensare che il nome di sua madre era davvero grazioso – significava fiore di loto. Poi però si ricordò di un altro fiore. «E Yohana?»
«Yohana?» ripeté Reyns, scuotendo la testa, «Yohana non esiste.»
Bastavano quelle parole.
Tradimento. Quante volte le aveva mentito, quel ragazzo? Così tante che la verità era passata in secondo piano, e Aera si era innamorata a sua volta di qualcuno di inesistente: il Reyns che amava era irreale e fittizio, tanto quanto Yohana. Aera strinse ancora più forte la mano di Reyns, tentando di contenere la rabbia.
«Che cos’altro sai?» ebbe la forza di chiedere.
«Conosco gran parte dei piani di Vyde. Ad esempio, so che ha un complice, a Lanth, un certo Lord Orlud, il quale a sua volta disporrebbe di un esercito simile agli Ideev, e che quest’uomo sta cercando di portare dalla sua parte i nobili Orientali, in modo da avere il potere sul regno di Lanth. Questo, ovviamente, in alternativa al matrimonio tra te e Vyde, e alla tua scelta di cedere il regno a lui.»
«Ma io non sceglierei mai Vyde come Re di Lanth, non perché è il mio regno, ma perché quell’animale non è degno di governare nemmeno i suoi stessi Ideev!»
«E credi che quella che verrà definita una tua scelta non sarà qualcosa che ti verrà imposto?»
Aera stava tremando, ma una voce dentro di lei le urlava che doveva sapere, prima di tutto, come Reyns era entrato in possesso di quelle informazioni. Per quanto intelligente, era ovvio che fosse stato qualcun altro a informarlo di tutto ciò.
«Come sei a conoscenza di tutto questo?» chiese, trattenendo a stento le lacrime.
Reyns sospirò. Era finita. Doveva dire la verità, doveva essere onesto. E per quanto lo volesse, altrettanto non avrebbe voluto, perché quell’onestà che dovrebbe essere l’inizio di ogni rapporto, nel suo caso avrebbe significato la fine. L’onestà che è l’amore si sarebbe trasformata in odio, non sarebbe stata apprezzata. E Reyns non avrebbe saputo dire se avrebbe dovuto esserlo. All’inizio del suo viaggio insieme ad Aera, era una persona diversa, sapeva di non essere dalla parte del giusto, ma al giusto non dava importanza. Considerava le proprie azioni un modo per sopravvivere, e non degli errori, quali invece erano. E ora si pentiva dei suoi errori. Ma non del suo cambiamento.
«Aera,» cominciò a dire, la sua voce così vicina all’infrangersi, «Ti prego, ora, ascoltami.» le chiese, «Non cercherò di mentire. Sono stanco di queste bugie, di questa maschera, di questa...» vita, voleva dire. Ma si rese conto di due cose: non era la sua vita ad essere ingiusta, ma il modo in cui era stato costretto a viverla; e poi, con quello che aveva passato, non poteva certo definirla una vita. «Sono stanco di tutto questo.» ritrattò, quindi. «Ora lascia che ti racconti tutto, dall’inizio alla fine. Lascia che ti confessi tutto quanto. Ti prego.»
Trovò il coraggio di guardarla di nuovo in volto, ma gli occhi azzurri di lei, anche se severi, non lo erano al punto da costringerlo ad abbassare lo sguardo di nuovo.
Aera annuì, diffidente, ma al tempo stesso toccata dalla sua promessa di sincerità. Volle credergli, un’ultima volta.

 

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Capitolo 28
*** Capitolo Venticinque ***


Capitolo Venticinque

Lasciò andare la sua mano, e semplicemente ascoltò. Così Reyns parlò: «La prima volta che Kired tentò di rapirti, quando aveva ancora entrambi i suoi compagni, io ero di guardia. Kired e uno dei due erano fuggiti nella foresta, e Daul e Gatto avevano tentato di rincorrerli. Il terzo Ideev lanciò un pugnale, e per poco non mi colpì. Io, d’istinto, temo, mi voltai e scoccai una freccia, colpendolo alla gola.»
Il ragazzo abbassò lo sguardo, di nuovo. Provava rimorso, certo, ma se non avesse agito in quel modo, sarebbe morto, e Aera gli sarebbe stata portata via. Forse ciò che faceva male era il dubbio che sarebbe stato meglio così.
Gli bastò darle uno sguardo, e trovare i suoi occhi, ancora severi, ma sempre pieni di comprensione, per sapere di non essere stato perdonato, semplicemente perché Aera non lo considerava un errore. Quindi le sue colpe si limitavano alle bugie. Ma le sue bugie erano sconfinate, quindi che importava, del perdono?
«Non morì subito.» riprese a fatica a narrare il giovane, «Ebbi il tempo di fargli una sola domanda, e a capire che era stato Vyde ad assoldarli, perché gli portassero la principessa di Lanth.»
Le lanciò un altro sguardo, fugace, e lei annuì, invitandolo a continuare. «Fu grazie a questo dato che risalii all’identità del giovane Ideev, e fui certo che si trattasse di Kired. Gli Ideev ai quali Vyde ha assegnato questo compito sono quattro, noti come i Quattro Ideev Prescelti. Il primo è un ragazzo che viene dal villaggio di Mongama, che ha abbandonato l’incarico e ha chiuso anche con il suo precedente impiego di Ladro.» sulle sue labbra spuntò un lieve sorriso, e nei suoi occhi brillò per un breve attimo la nostalgia.
Aera capì che Reyns doveva conoscere molto bene il Primo Prescelto, o come minimo esservi affezionato, per qualche motivo. «È una brava persona.» continuò il ragazzo, «Credo che non sia fisicamente in grado di fare del male a qualcuno, e che non abbia idea di che cosa siano l’odio e l’invidia.» In realtà, era Reyns a non avere idea di quanto poco sapesse sul conto del Primo Ideev Prescelto, «Non so molto di più riguardo a lui, ma so di suo fratello, Axor, che dopo un misero tentativo di ribellione contro Vyde venne giustiziato, all’età di soli tredici anni.»
Aera rimase sconvolta, e senza sapere che dire. Se questo era solo ciò che Reyns sapeva riguardo al passato del primo dei quattro, non volle nemmeno immaginare a quali sfortune e disgrazie fossero andati incontro gli altri tre, chiunque fossero.
«Il secondo viene Fyorg, nel sud-ovest, e Vyde l’ha trattato effettivamente come un figlio, oltre a insegnargli a tirare con l’arco, a mentire e a uccidere, ma questo solo dopo averlo privato della sua famiglia.»
Vi era un che di sbrigativo nel modo in cui il ragazzo riassunse le vicende di questo Secondo Ideev Prescelto, che lasciò Aera seduta ad aspettare su quella scomoda sedia che è il dubbio.
«Del terzo non so molto,» continuò il giovane, «Non è nato tra gli Ideev, ma era troppo giovane per ricordare che cosa significhi fare parte di un clan, quando è stato accolto da Vyde. O forse dovrei dire catturato.» si corresse, «Per quanto riguarda il suo carattere, è un egoista, ho sentito dire, e agisce solo per il proprio guadagno. È da così tanto che non fa avere notizie di sé che ormai si pensa che sia morto.» Reyns si tradì volontariamente, lasciando intendere che faceva parte delle persone a cui queste notizie non erano giunte e sarebbero dovute arrivare.
Ciò poteva significare che fosse il Quarto Prescelto? Aera si ritrovò a sperare al contempo che quel suo istinto avesse ragione, e che fosse tutto sbagliato, che Reyns fosse innocente, e che non le avesse mai mentito. Ma ormai era finito il tempo delle illusioni e delle dolci parole. Arrivava la verità, che come un’onda avrebbe travolto tutto. E, come un fiume in piena, non avrebbe avuto pietà di chi si affacciava a specchiarsi nell’acqua limpida di quello che prima era un innocuo ruscello.
«E il quarto è Kired.» concluse Reyns.
Aera era sul punto di tirare un sospiro di sollievo, ma trattenne il fiato, ancora. Se non perché faceva parte del gruppo, allora perché Reyns le stava dicendo questo? E soprattutto, come faceva a saperlo? Così aspetto la verità, in silenzio, e Reyns interpretò il suo sguardo, fisso e deciso a ricambiare il suo, sfuggente e colpevole.
«I quattro partirono alla ricerca della principessa, e come ho già detto, il primo si ritirò dall’incarico appena ne ebbe l’occasione. Il secondo raggiunse subito la zona delle Montagne, per fermare la principessa nel caso in cui Knej riuscisse a raggiungerle. Il terzo passò da un villaggio all’altro, più alla ricerca di belle ragazze che della principessa in particolare, e come ho detto, o è morto o ha trovato ciò che cercava. Kired seguì il secondo, ma poi si mise sulle tracce del clan Knej, piuttosto che attendere. Per questo eravate bloccati.» spiegò, «Il quarto vi impediva di tornare a sud, e il secondo bloccava la zona delle Montagne e gli strapiombi. Inoltre, Kired riuscì a mettersi in contatto con un traditore che si era infiltrato nel clan molti anni prima, con il quale in effetti aveva affari proprio il secondo.» Reyns si morse il labbro, dopodiché continuò: «Giunse la notizia che il clan Knej era stato condotto dal traditore in un vicolo cieco, così mentre Kired tenne d’occhio il suo complice e il capo del clan, il Secondo Prescelto, insieme ai suoi complici, Venam, Gatto, Daul e Ridd, seguì ogni movimento della principessa, attendendo il momento migliore per attaccare.»
Questa volta Reyns non riuscì a guardarla. Dubitò che ne avrebbe mai più avuto il coraggio.
«No,» mormorò Aera, piano, cercando di cancellare quelle parole dalla sua mente, dai suoi ricordi.
Ma proprio come lei non avrebbe avuto pietà, non ne ebbe Reyns, e non si fermò. «Eravate in tre.» ricordò il ragazzo. «Tu, un ragazzo, e una bambina.» Ora non aveva più senso nascondersi dietro a un titolo come quello di Secondo Ideev Prescelto. Era ovvio, era logico, e proprio per questo feriva a fondo, come tutte le bugie, palesi, alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti, quegli occhi che chiudiamo, perché bruciano. «Eravate in tre, poi Venam scoccò la freccia che uccise la bambina.»
«Aniène!» Aera venne travolta da una delle onde che non avevano ancora finito di infrangersi sulla costa di quella sua isola felice di bugie, che andava facendosi via via più piccola, invivibile, fino a diventare una prigione, una gabbia dalla quale Aera sarebbe dovuta uscire molto presto. Provò il forte desiderio, l’istinto di alzarsi, prendere Venam per i capelli, ucciderlo con le sue mani, anche se non ne avrebbe avuto la forza. Sapere di essere così vicina all’assassino della sua amica d’infanzia era al contempo frustrante e spaventoso, e nemmeno Aera seppe con quale forza o con quale debolezza si costrinse a rimanere ferma e muta, e ascoltare Reyns.
E il peggio non era ancora arrivato.
«Resisti, Aera.» sussurrò Reyns, comprendendola ancora una volta, leggendo il suo cuore come un libro aperto. L’avrebbe presa per mano, l’avrebbe abbracciata, l’avrebbe stretta a sé. Ma non poteva farlo. Semplicemente non poteva.
«Voglio dirti la verità, per una volta, per l’ultima volta. Perché in mezzo a quegli idioti, come Ridd che ti ha colpito alla gamba, c’era il Secondo Prescelto. E quel dannato Ideev, quel maledetto, quell’ingrato senza cuore, lui...» Si bloccò, un’ultima volta.
Un pensiero codardo si fece strada in lui: ritrattare, inventare, mentire di nuovo. Ma si costrinse ad essere onesto. Che senso ha una confessione a metà? Metà sono colpe, metà sono menzogne, ed è tutto da rifare, con solo meno fiducia da parte di chi ascolta.
«È stato lui.» confessò, «Lui ha colpito il ragazzo alla schiena.»
Reyns si nascose il viso con le mani, incapace di trattenere il pianto, e cadde in ginocchio di fronte ad Aera.
Perché? Perché non aveva avuto la forza di ammettere subito a se stesso che accettare quell’incarico sarebbe stato come accettare il tradimento come stile di vita? Come avrebbe potuto continuare a vivere, a sorridere, ritirare la sua ricompensa, sapendo che per ottenere tutto ciò aveva dovuto illudere una ragazza tanto innocente e ingenua, che era da sempre stata cullata solo e soltanto dalle bugie, consegnarla a Vyde, ed essere la causa della sua morte, la causa della morte dei suoi genitori, del cambiamento radicale dell’intero Mondo Conosciuto? Come si può chiedere di accettare tutto questo a qualcuno? E come si può chiedere di accettare tutto questo a un quindicenne il cui passato non è troppo differente da tutta questa distruzione?
Aveva sbagliato, Reyns aveva sbagliato anche solo a raggiungere le Montagne per lavorare a quell’obiettivo.
Quando ci poniamo un obiettivo, siamo disposti a fare di tutto per raggiungerlo, anche a intraprendere un lungo viaggio. Se però durante questo viaggio qualcosa si muove nel nostro cuore e cambiamo idea, potremmo pentirci di tutta la strada che abbiamo percorso e di tutti gli sforzi che abbiamo fatto per tentare di raggiungerlo. E se i nostri sforzi sono stati mentire e imbrogliare, è meglio lasciar passare il minor tempo possibile prima di pentirsi, perché più ne passa, più la lama delle nostre parole si alza, e più tardi la lasceremo andare, più profonda sarà la ferita che infliggerà.

 

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Capitolo 29
*** Capitolo Ventisei ***


Capitolo Ventisei

«No,» continuava a ripetere Aera, piangendo, e continuando a guardare Reyns dall’alto, anche quando il ragazzo alzò lo sguardo e questo si incatenò ancora una volta a quello di lei.
Stava piangendo. Reyns stava piangendo. Si era pentito di tutti i suoi errori, avrebbe voluto pagare, ma capiva che per quel tradimento non c’era prezzo.
«No, non sei stato tu.» si rifiutò di credere ancora una volta. Com’era possibile che il ragazzo che gli aveva ricordato tanto Zalcen fosse in realtà il suo assassino?
«Sì, Aera, sono stato io!» ripeté invece Reyns, coperto di vergogna, «L’ho ucciso io! È colpa mia, tutta colpa mia...»
La ragazza scosse la testa, poi però incontrò i suoi occhi, e notò che in essi, oltre alle lacrime, brillava l’Omicidio. Erano gli occhi di Reyns ad aver catturato quell’espressione di Zalcen che implorava pietà, quella che si ripeteva negli incubi di Aera, ed era negli occhi di Reyns che era ancora intrappolato lo sguardo spaventato che aveva avuto quel ragazzo. E quando quei suoi occhi amaranto si chiudevano, erano quelli argentei di Zalcen a donargli gli incubi che meritava. Ogni notte.
Reyns allungò la mano per raggiungere quella di Aera, ma la giovane si allontanò, spaventata, ora che aveva avuto la conferma di cosa fosse stato in grado di fare il ragazzo del quale pensava di essersi innamorata. Non era lui, non era quello il Reyns che amava. Quel Reyns non esisteva! Il vero Reyns aveva ucciso Zalcen, e solo qualche minuto dopo le si era avvicinato in quella grotta, l’aveva imbrogliata, stregata, l’aveva convinta di essere dalla sua parte, ma era un traditore, un manipolatore, e Aera doveva stare attenta a non cadere di nuovo nella sua trappola.
«Aera, io... Io non sapevo che sarebbe finita così!» cercò di giustificarsi.
Ma ormai era inutile.
«Intendi dire che non sapevi che colpendo qualcuno con una freccia lo si uccide? Vuoi farmi credere questo, adesso? No, Reyns, non questa volta!»
Il ragazzo si sentì come se lo avessero colpito al petto con un pugnale, e gli stessero togliendo il cuore. Non poteva più vivere, senza il suo cuore, senza la fiducia di Aera. Anche se era stata una messinscena fin dall’inizio, quei sentimenti erano veri. Ma lei non lo aveva ancora capito.
«Aera, tutto quello che mi hai mostrato... Era una parte di mondo che non avevo mai visto! Nessuno mi ha mai insegnato i valori dell’onestà o della dignità. Non li conoscevo, non potevo conoscerli!» cercò di spiegarle, ma si rassegnò all’idea che la ragazza che amava davvero, essendo cresciuta con quei valori, non avrebbe mai immaginato cosa può provare qualcuno che li ha appena trovati, e ha scoperto che tutte le scelte che ha compiuto fino a quel momento sono sbagliate. «Anche io sono stato tradito, e me ne sono reso conto troppo tardi. Ed è proprio per questo che non voglio che accada lo stesso anche a te.»
Aera continuò a fissarlo; dai suoi occhi piovevano lacrime, ma il suo viso rimaneva impassibile, mentre Reyns ora stava mostrando più emozioni di quante non ne avesse lasciate trapelare durante tutto il viaggio.
«Ma non puoi andare a ovest, dobbiamo tornare indietro! Se Vyde porterà a termine il suo piano, ucciderà Tavem, i tuoi genitori, e ucciderà anche te! E non posso permettere che accada!»
«Perché?» chiese lei, cercando di apparire sicura tentando in ogni modo di trattenere le lacrime, «Avresti la coscienza sporca, sapendo che sono morta per colpa tua?»
Perché, si chiedeva Reyns, perché Aera non capiva?
«Il destino di due regni è nelle mie mani. Se tu raggiungi quella fortezza, con me, da sola, o con qualcun altro, lui avrà vinto, perché non importa come, ma appena metti piede in quella dannata fortezza è la fine! Lo so che è così, che è la verità, perché è ciò che a me è successo. Anche se non fosse stato in grado di manipolarmi, come ha fatto, Vyde portò a casa la vittoria nell’esatto momento in cui io entrai da quel dannato portone!»
Reyns si asciugò alcune lacrime, e prese a fissare il suolo, perso in dolorosi ricordi, cercando di esprimere a parole le sensazioni più orribili che avesse mai provato. Solo per tentare di proteggere Aera.
«Vyde non ti lascia scampo.» cominciò a dire, con voce grave, «Entra nella tua testa, dà un’occhiata, decide che cosa va bene e che cosa no, per i suoi scopi. Poi toglie qualsiasi cosa che non sia di suo gradimento. Ti costringe a odiarla, oppure te la porta via.»
Fu costretto a fermarsi, per trattenere le lacrime, al ricordo dei suoi genitori. Vyde aveva prima fatto uccidere sua madre per un tradimento che non aveva mai commesso, poi aveva fatto in modo che odiasse suo padre. Ma quando anche lui era morto, Reyns aveva provato sconforto e desolazione. Perché l’amore non se ne va mai davvero, ma le persone sì.
«E poi,» tentò di continuare, trattenendo a stento i singhiozzi, e stringendo i denti, a causa della rabbia che provava, «Poi, ciò che non hai più, lo sostituisce. Ti convince di bugie sempre più grandi. E non hai scampo. Lui l’avrà sempre vinta. E tu non sarai più te stessa.»
Trovò la forza di guardarla di nuovo negli occhi. L’aveva spaventata. Allora gli aveva creduto.
Continuò, pieno di una speranza traditrice, che la fiducia di Aera potesse tornare dal nulla nel quale lui stesso l’aveva gettata. «Non posso lasciare che Vyde l’abbia vinta, non di nuovo, e l’unico modo per evitare tutto questo è tenerti lontana da lui. Poi non importa se gli Ideev daranno la caccia anche a me considerandomi un traditore, perché sì, preferirei tradire l’intero esercito degli Ideev che tradire te!»
Non voleva nemmeno sperare che queste parole potessero convincerla a cambiare idea. Voleva semplicemente metterla al corrente del pericolo, e dei suoi sentimenti, che non erano cambiati, che erano forse l’unica traccia di verità in quel lungo cammino attraverso le bugie.
Ma non avrebbe mai pensato che Aera sarebbe stata in grado di ferirlo in quel modo, semplicemente con le sue parole. «So bene che non vuoi tradirmi, Reyns.» disse, prima, sorridendo lievemente, riportando speranza, solo per poi strapparla tanto violentemente, aggiungendo: «Peccato che tu l’abbia già fatto.»
Il colpo fu brutale, e il veleno contenuto in quelle parole era tanto che persino Aera ne sentì il sapore, e combatté l’istinto di sputare tutta la sua amarezza e tutto il suo disprezzo.
Reyns si sentì patetico, per aver sperato, per aver creduto che l’amore avrebbe potuto salvarlo dalla solitudine che si meritava.
Aera si voltò e fece per andarsene, ma Reyns, alzatosi in piedi, le prese il braccio.
«Non mi toccare con la mano che ha ucciso mio fratello!» gli urlò lei, voltandosi a guardarlo. Nei suoi occhi, Reyns poté leggere ogni sentimento che era sicuro che Aera provasse, ma in quel caos non figurava il perdono, mentre nelle sue iridi bruciava un fuoco freddo e blu, che mandò un brivido lungo la sua schiena.
Reyns si sentì sprofondare. Si allontanò da Aera, e si rese conto di essere totalmente incapace di sostenere il suo sguardo. Ma com’era possibile? Quegli occhi, che l’avevano fatto innamorare, ora erano l’ultima cosa che avrebbe voluto vedere. Lo spaventavano.
«Reyns...» Aera pronunciò il suo nome, attirando inevitabilmente la sua attenzione, ma era solo una parola vuota. Lo aveva detto senza provare né amore, né odio. Né stima, né disprezzo. Niente. Avrebbe potuto starsi riferendo alla pioggia, se Reyns avesse dovuto giudicare basandosi soltanto sul tono della sua voce.
Ma poi, Aera continuò, e fu chiaro che si stesse riferendo a lui, non più come a una persona ma come al burattino controllato da Vyde che Reyns aveva dato prova di essere. «E ti chiami davvero così o hai cambiato il tuo nome per convincermi a fidarmi di te?» chiese, senza alcun tatto né pietà, ferendolo ancora una volta.
Ma le bastò dargli uno sguardo per conoscere la risposta: dai suoi occhi piovevano lacrime, e il loro modo di non fuggire davanti alla severità di quelli di lei confermava che, almeno questa volta, stavano dicendo la verità.
Era così, Reyns era davvero il suo nome. E allora perché ora la stava abbandonando?
Sembrava che le sue iridi amaranto le stessero chiedendo pietà, ma Aera aveva deciso di tralasciare ogni sentimento. Se non l’avesse fatto, sarebbe stata costretta a perdonarlo. Lo sapeva, e non lo voleva. Lui non se lo meritava, e lei era troppo orgogliosa.
«Aera, ascoltami,» riuscì a dire il giovane, seppur continuando a guardare in basso, «Devi nasconderti, magari a nord. Kired è già sulle tue tracce, ha un complice, e uno degli altri Ideev Prescelti potrebbe...»
«Nascondermi a nord, a est... Ne ho abbastanza!» lo interruppe lei, «Reyns, io voglio vivere, non sopravvivere! Sia solo per un momento, voglio riavere la mia dignità, e smetterla di fuggire. Sia quell’unico momento quello in cui Vyde esalerà il suo ultimo respiro. E sia quel suo respiro l’ultimo a causa mia!»
A questo punto, Reyns la lasciò andare. Fece un altro passo indietro, e guardò Aera allontanarsi mentre si inoltrava nel boschetto.
Rimase seduto a terra, appoggiato al tronco dell’albero, con la testa tra le mani, per minuti che gli sembrarono ore. Chiudendo gli occhi, le sue colpe, che infestavano i suoi ricordi e i suoi sogni, gli passavano davanti, sfilavano, una dietro l’altra.
Ed era lì, fermo e vivo, Zalcen. Non lo conosceva nemmeno, come non conosceva la maggior parte delle sue vittime, ma era qualcuno di importante per Aera – lei stessa lo aveva definito un fratello – e lui gliel’aveva portato via. Come avrebbe mai potuto credere di avere il diritto di prendere il suo posto?
Tornò accanto al fuoco, vicino agli altri tre Ideev, si sdraiò, e si rese conto di non appartenere a quel gruppo, di non averne mai fatto parte. Reyns non era un Ideev, era un ragazzo. E il suo posto non era tra gli Ideev, ma con una ragazza, con quella ragazza. Il suo posto era con Aera.
E anche il posto di Aera era con un ragazzo, ma era convinta che non fosse con quello che Reyns aveva rivelato di essere.
Il giovane capì che dormire sarebbe stato impossibile, e che comunque non sarebbe stato giusto. Sarebbe dovuto andare a riprenderla, perché Kired e il suo complice sarebbero potuti essere lì vicino, in attesa che la principessa si allontanasse dal gruppo, sola. Quel boschetto offriva un ottimo nascondiglio: il cacciatore sarebbe potuto essere in agguato dietro qualche cespuglio, in attesa della sua preda, e avrebbe avuto una qualche arma, magari una mazza, per mettere fuori combattimento chi avesse tentato di fermarlo, con un solo colpo. E forse aveva intenzione di usarla anche su Aera, perché non urlasse e non si opponesse mentre lui e il suo compagno l’avrebbero trascinata alla fortezza di Vyde.
Mosso da questo presentimento, Reyns si alzò e si diresse verso il gruppo di alberi tra i quali aveva visto scomparire Aera.
«Dove credi di andare?» udì una voce alle sue spalle.
Trasalì, ma si voltò ugualmente, per ritrovarsi di fronte la figura incappucciata, del cui viso distingueva solo la linea curva delle labbra, piegate in una smorfia che ricordava vagamente un sorriso compiaciuto.
«Kired,» si rivolse a lui, con l’intento di abbozzare una conversazione e farla durare abbastanza a lungo perché Aera tornasse, «Pensa a quello che stai facendo.» lo avvertì, mentre il Quarto Prescelto estraeva il suo pugnale dal fodero.
Non aveva armi pesanti, nemmeno un bastone. Forse quello di far perdere i sensi ad Aera era un compito che sarebbe spettato al suo complice? E a proposito di lui, dov’era ora? Era già nel boschetto, sulle tracce della principessa? Sarebbe potuto sgusciare fuori dall’ombra senza che Reyns avesse il tempo di difendersi.
Il giovane capì di doversi guardare le spalle. Come se il suo avversario non fosse già una minaccia abbastanza seria. Dei Quattro Ideev Prescelti, Kired era il migliore nell’uso del pugnale. Reyns poteva vantare di essere il migliore nel tiro con l’arco, ma ora la sua mira gli sarebbe servita a poco.
«So cosa sto facendo.» gli assicurò Kired, freddo.
Aveva già ucciso Gatto, e Reyns sapeva che non sarebbe stato in grado di vincere contro un avversario come il leggendario secondo membro della sua squadra. Contro Kired era spacciato. Poteva solo tentare di guadagnare tempo. Dopotutto, le parole erano un altro dei suoi punti forti. Tuttavia, convincerlo avrebbe presupposto che Kired lo ascoltasse.
Ma persino lo stesso Lord Vyde credeva che l’abilità di Reyns nel persuadere le persone superasse di gran lunga quella nell’uso delle armi, che di certo non mancava. Per quanto facesse male, e nonostante avesse scelto di essere qualcun altro, Reyns doveva tornare indietro, tornare ad essere il Poeta che sarebbe riuscito a convincere anche le farfalle a seguirlo dalle Montagne al Lago Rosso.
«Vyde non sarà contento di sapermi morto.» cominciò a dire, pacifico, ma all’erta, fingendo di parlare nell’interesse di entrambi, «Potrebbe decidere di privarti della ricompensa, anche se gli consegnassi Aera.» cercò di convincerlo a ritirarsi dallo scontro imminente.
«Non mi importa di ciò che pensa Vyde, né della ragazzina.» rivelò Kired. Questo non era un bene. Agiva per interesse personale, accecato dalla rabbia, dal desiderio, o da qualcosa d’altro. E Reyns avrebbe fatto bene a capirlo in fretta. «Se non mi darà ciò che mi spetta in cambio di lei, viva, allora gli darò la sua testa.»
Così dicendo si lanciò su Reyns, che fece appena in tempo a bloccare il fendente, con il pugnale, stretto nella mano sinistra. Non aveva avuto il tempo di ribattere, e sembrava che Kired avesse bene in mente il suo obiettivo. Contro la testardaggine del Quarto Prescelto, le parole di Reyns potevano poco.
Abbassandosi e scivolando a sinistra, sfiorando la lama di Kired, Reyns riuscì a bloccare il braccio del suo aggressore, con entrambe le mani. In un primo momento, Kired tentò di liberarsi dalla presa, ma poi, sbilanciandosi, calciò, colpendo Reyns alle costole. Il giovane cadde a terra, e il suo aggressore fu rapido nel gettarglisi addosso, senza lasciargli alcuna via di fuga. Alzò il pugnale.
Reyns si vide perduto. Tentò di scalciare, senza ottenere alcun risultato. Kired non traeva altro che piacere dalla sua paura, ma come non averne? La sua vita era al termine.
Vita?, pensò poi, ricordando le parole di Aera. La sua esistenza, del tutto priva di dignità e valori morali, era ridotta alla semplice sopravvivenza. Nessun obiettivo che non avesse già raggiunto, compito che non avesse già portato a termine o, in quest’ultimo caso, abbandonato. Non era in pace con se stesso, ma anche se stava per lasciare la vita, non stava per perdere nulla. Dopotutto, aveva già perso Aera. Che cosa gli rimaneva?
Smise di tremare e di tentare di divincolarsi, incuriosendo Kired.
«Che hai? Ti è passata la fifa?» si prese gioco di lui il Quarto Prescelto,
«Non ho motivo di temere la Morte.» disse Reyns, guardando il cacciatore negli occhi, senza più paura. «La mia vita non vale nulla, neanche per me stesso, e le conseguenze della sua fine sono solo un rischio che tu corri.»
Kired ricambiò il suo sguardo, nel quale non vi era timore né coraggio, e rendendosi conto del fatto che la sua preda aveva ragione, disse semplicemente: «È vero.»
Si alzò, con grande sorpresa di Reyns, che si tirò a sedere e lo guardò mentre si avviava verso il boschetto. Era stato tanto facile liberarsi di Kired che non volle crederci, e prese a guardarsi intorno, alla ricerca del suo complice.
«Però, sai,» si arrestò d’un tratto il cacciatore, per poi voltarsi, «Tu, da vivo, mi dai fastidio.»
Reyns udì il fruscio di alcuni passi nell’erba alta, alle sue spalle, e si voltò in tempo per vedere la figura di un altro Ideev incappucciato, il quale teneva in mano un pesante bastone.
Il giovane non fece in tempo ad allontanarsi o ad attaccare, che l’arma lo colpì alla nuca, facendogli perdere i sensi.


 

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Capitolo 30
*** Capitolo Ventisette ***


Capitolo Ventisette

Aera raggiunse un albero molto vecchio, che stonava, in quel boschetto di giovani alberelli. La corteccia rugosa e divorata dall’edera le dava un senso di sicurezza. Quell’albero era così vecchio che doveva averne passate di peggio, e forse avrebbe potuto darle consiglio. L’esperienza lo aveva reso ruvido e raggrinzito, ma rimaneva un eccellente maestro. Aera si rese conto che queste erano tutte le caratteristiche che avrebbe ricercato in un padre, e che aveva Ikaon, il capo del clan. Si chiese se Re Divro fosse in qualche modo simile a lui, arrivò a sperarlo, ma si convinse che non importava, perché non lo avrebbe mai conosciuto.
Si sedette e si prese la testa tra le mani: aveva perso tutto, e per la seconda volta aveva perso la persona che aveva ritenuto la più importante per lei. Come quando Zalcen era stato ucciso.
Da Reyns.
Oh, se quel giorno avesse avuto il coraggio di voltarsi forse avrebbe visto il volto di Reyns, e non si sarebbe fidata ciecamente di lui!
Si sentiva una stupida. Era stato il suo cuore a mettere da parte i sospetti per lasciare spazio all’amore, ma aveva sbagliato, non avrebbe mai dovuto riporre la sua fiducia in quel ragazzo!
E ora, che cosa poteva fare? Era sola, c’erano ovunque Ideev che la stavano cercando e che l’avrebbero portata da Vyde non appena avessero visto il ciondolo che portava al collo.
Un fruscio tra i cespugli la fece trasalire, ma si rivelò essere il gatto di Ridd, che le si avvicinò, mentre faceva le fusa, come a consolarla. L’avrebbe stretto a sé, l’avrebbe coccolato e avrebbe tentato di calmarsi, ma non lo voleva. Lo scacciò, come se anche il piccolo felino fosse colpevole del suo malessere. Il gatto soffiò e si infilò di nuovo tra i cespugli. Nessuno del gruppo rivide mai più il piccolo Gatto.
In preda alla disperazione, e ora davvero sola, Aera finse di mettersi a parlare con Zalcen ancora una volta. Dopotutto, lui avrebbe saputo che cosa fare. Ma il ricordo del suo migliore amico, di suo fratello, era stato macchiato, rovinato e sfocato, e ora il ragazzo assomigliava molto di più a Reyns.
Aera si sforzò e riuscì a immaginarlo ancora una volta, esattamente com’era: i capelli scuri e lunghi, perennemente raccolti in una coda bassa, e gli occhi di un azzurro tanto chiaro, un grigio argenteo. Non assomigliava a Reyns, non doveva assomigliare a Reyns.
«Zalcen,» lo chiamò con voce tremante, «Ti prego, dimmi che cosa devo fare...»
Il vento soffiò dolcemente. Una voce che veniva dal cuore riuscì a farsi sentire, e Aera, chiudendo gli occhi, sentì il ragazzo, proprio come se fosse lì accanto a lei e le stesse accarezzando la guancia.
Devi portare a termine ciò che hai iniziato, le suggerì la voce.
«Domattina andrò alla fortezza di Vyde, e libererò la Valle Verde. Non importa se la principessa Orientale morirà.»
Parlava di se stessa ancora come se si trattasse di un’altra persona.
«Ma perché me l’avete tenuto nascosto?»
Questa volta non si udì il fruscio delle foglie. Le chiome degli alberi non si agitarono. Il vento non aveva soffiato. Anche Zalcen sarebbe rimasto in silenzio; era da lui, stare zitto, quando si sentiva colpevole.
«Perché mi sono fidata di quell’assassino?» si rimproverò poi.
Perché lo ami, le rispose il vento.
Conoscendo già da sé la risposta, la ragazza si sentì estremamente stupida.
«Però c’è una cosa che devo fare, prima di andare da Vyde.»
Aera era lacerata. Le era stato portato via tutto, da Reyns, quindi anche a lui sarebbe toccata la stessa sorte. In fondo, aveva affermato lui stesso che per uccidere un uomo non serve togliergli la vita, ma la ragione che lo spinge a vivere.
Non si rendeva conto del fatto che il giovane aveva già perso tutto, in passato, che ora aveva già pagato, perdendo lei, e che se davvero l’avesse voluto far soffrire, togliendogli ciò che lo spingeva a vivere, avrebbe dovuto commettere un suicidio, e non degli omicidi, perché prima l’unica ragione che spingeva Reyns a vivere era il denaro della ricompensa che avrebbe ottenuto quando l’avrebbe portata da Vyde, ma adesso Aera si era sostituita a quell’ammasso di bugie che erano state le parole del Lord, e aveva preso il posto che mai nessuno aveva avuto nel cuore di Reyns. Il posto che si riserva a ciò in cui crediamo, in cui riporremmo sempre la nostra fiducia, senza dubitare di poter venire traditi. Quello che dedichiamo a chi ha avuto un ruolo importante nella formazione della nostra persona. Quello di un maestro.
Era così che Reyns considerava Aera, prima di averle mostrato la sua riconoscenza, nel il linguaggio che lei stessa gli aveva insegnato, il linguaggio dell’amore. E in quel modo aveva ottenuto anche il posto dedicato ai nostri affetti, e aveva riempito il cuore di quel povero ragazzo, che ora aveva ammesso di aver tradito tutto ciò in cui credeva, e tutto ciò che amava.
Ma Aera ancora non lo aveva capito, e per come la vedeva lei, il gesto che stava per compiere aveva anche un altro significato: Vyde era un essere talmente spregevole, che non era neanche degno di essere la sua prima vittima.
***
Aveva ancora tutte e quattro le frecce, nella faretra, e il suo pugnale. Lo estrasse dal fodero, senza davvero sapere che cosa stesse facendo. Decise, però, con chissà quale freddezza o follia o entrambe, che non sarebbe stata l’arma più adatta, ma ebbe un’altra idea. Su una delle frecce incise la parola assassino, con la lama, vicino alla coda. Tornò poi, con passi lenti e silenziosi, da dov’era venuta, e vide, attorno al fuoco, che i quattro Ideev stavano riposando; anche Reyns si era addormentato.
«Vedo che ti dispiace...» disse a voce bassa la ragazza, avvicinandosi e osservando il viso del giovane, che ancora sembrava ipnotizzarla con la sua bellezza.
Distolse lo sguardo, pensando che solo guardando altrove avrebbe potuto mantenere la lucidità. Quel ragazzo e la falsa innocenza dei suoi lineamenti l’avevano già resa schiava una volta. Ciò di cui non si rendeva conto era di non essere affatto lucida.
Allora non era stato sincero nemmeno ora, non lo era mai stato, nemmeno quando le aveva confessato quanto struggente fossero il dolore e il senso di colpa per averla tradita, altrimenti ora non sarebbe stato lì, sotto quella coperta, a dormire beatamente, ma i suoi occhi sarebbero rimasti aperti, e il suo corpo agitato, avrebbe sudato, non si sarebbe potuto dare pace...
Così Aera, ignara, prese la sua decisione, la decisione di fare uno sbaglio.
Si avviò verso il punto in cui Venam era accovacciato a dormire. Sarebbe stata la sua prima vittima. Ma ha più importanza che un corpo sia il primo a cadere, o che un uomo sia morto? Aera conosceva la risposta, ma non le importava.
Vide di nuovo Aniène, il suo viso, ingenuo, candido, innocente, come quello di un angelo. Di sicuro non avrebbe voluto che Aera si comportasse in quel modo. Non avrebbe mai chiesto né desiderato la vendetta.
Ma che importava? Era Aera a volerla.
Incoccò silenziosamente una freccia. Caricò.
Poi lasciò andare.
Con un breve sibilo la punta della freccia passò dall’una all’altra tempia dell’uomo, e si conficcò nel terreno.
Era semplice, uccidere, specialmente senza che l’altro implorasse pietà, con le parole o con lo sguardo. Mentre si dorme, non si nota la vita che scorre in noi. Gli occhi sono chiusi, non abbiamo un contatto diretto con il mondo esterno. Siamo incoscienti.
Forse nemmeno Aera era perfettamente cosciente, in quel momento, tant’è che non riuscì a trattenere un sorriso. Anche lei era diventata un’assassina. Era da prima che aveva desiderato di farlo, da quando Reyns le aveva rivelato l’identità dell’assassino di Aniène.
Ma Reyns aveva detto che anche gli altri erano coinvolti, che tutti erano coinvolti. Tutti erano colpevoli di averle portato via la sua famiglia.
Con un folle dispiacere, sospirò, consapevole che Gatto aveva già pagato.
Camminò lentamente verso Daul; eliminare lui avrebbe dovuto pesare di più sulla sua coscienza, dato che non gli era parso così spietato, ma dopotutto sarebbe dovuto essere felice di ricongiungersi con il suo amico Gatto. L’immagine di quella prima notte passata in compagnia del gruppo di Ideev quasi la fermò. Il ricordo di Daul, sorridente, che le porgeva la coperta, fece sorridere anche lei come la prima volta, e si insinuò il dubbio, nel quasi dimenticato cuore di Aera, che Daul fosse buono, e non meritasse la morte.
Ma poi intervennero l’odio, l’ira, e la brama di vendetta, e la convinsero che anche quelle dovevano essere bugie, trappole e imbrogli. Un’apparenza ingannevole, una bontà costruita al fine di fare in modo che Aera si fidasse di lui, e probabilmente tutta un’idea di Reyns. Proprio come un fiume appare limpido e fresco in superficie, ma il cui terreno tradisce, la cui corrente annega, il cui corso serpeggia conducendo a rapide e cascate. No, Daul non meritava il perdono. Non meritava la vita.
Così Aera ripeté gli stessi identici gesti. Incoccò. Caricò. Lasciò andare.
Una soltanto fu la differenza: Daul smise di russare.
Aera si avvicinò a Ridd. Aveva il viso di un bambino mentre sogna di essere immerso in un mare di balocchi, o l’espressione di un adolescente che sogna di avventure in cui lui è il protagonista, l’eroe. Mentre dormiva, Ridd era tutto ciò che non era più – libero e innocente.
Ma Aera aveva preso una decisione, ormai, aveva deciso di dimostrare di essere capace di uccidere, che Reyns non era l’unico in grado di andare avanti dopo aver compiuto gesti tanto spregevoli. Non aveva tenuto conto di quanto però il ragazzo ne soffrisse; era convinta che avesse mentito e che non avesse un cuore. Un cuore non l’aveva mai avuto, prima di incontrarla, e non l’aveva più, ora che se n’era andata.
Le tornò in mente l’esatto momento in cui la mano di Zalcen si era lasciata andare, pensò alla caduta, e pensò alla Morte. Quando era piccola le faceva paura, ora le portava semplicemente dispiacere, e creava un senso di vuoto nel suo cuore.
Da un po’ più lontano, scoccò la terza freccia, ma nemmeno Ridd si accorse di essere passato dal mondo dei sogni al regno dei morti.
A quel punto Aera si avvicinò a Reyns.
Estrasse dalla faretra l’ultima freccia che le rimaneva, quella sulla quale aveva inciso la parola assassino. Sì, quei quattro Ideev erano tutti assassini, ma Reyns l’aveva tradita, le aveva fatto credere di amarla, e lei aveva ceduto. Si sentiva umiliata, e pensava che solo umiliando lui avrebbe trovato pace.
No, non sarebbe stato così, lo sapeva.
Ma questo non la fermò.
Incoccò la freccia, caricò, tirò ancora di più la corda dell’arco, e lasciò andare.
La freccia si conficcò nel terreno, in profondità, e appena Reyns avrebbe riaperto gli occhi si sarebbe trovato davanti la scritta assassino, a ricordargli quello che era.
Aera posò l’arco e la faretra nel fuoco, come ad eliminare le prove dei delitti che aveva commesso. Si scottò la mano a causa di una scintilla, e questa le fece ricordare che era ancora viva.
Si sentì come se fosse appena tornata a galla dopo un lungo tempo passato sott’acqua, in apnea, con gli occhi chiusi. Che cosa aveva fatto? Uno sbaglio, lo sapeva, ma fu come se le fosse appena stato detto.
Il cuore cominciò a batterle a un ritmo che la spaventò ulteriormente, il suo respiro si fece affannoso. Si aspettava una punizione per quello che aveva fatto, ma allo stesso tempo pregava di essere perdonata, perché non era stata lei a uccidere quei tre Ideev, ma un’altra persona.
L’Omicidio cambia.
Una volta che si fu resa conto di questo, capì che la persona in cui l’Omicidio l’aveva trasformata era un essere lontano dai valori e dall’umanità che aveva tentato di proteggere fino a quel momento. Era diventata un’assassina, e al contempo un’ipocrita. Era diventata un mostro. Era diventata un’Ideev.
Scappò di nuovo nel boschetto, in lacrime; si vergognava di se stessa, e ora capiva come si sentiva Reyns. Voleva uscire da quel corpo, pulire le sue mani sporche di sangue con qualcosa che le avrebbe rese pure di nuovo, togliere il peso di quei tre cadaveri dalla sua anima. Ma non poteva.
Si sedette di nuovo alla base dell’albero, di nuovo con la testa tra le mani, di nuovo senza riuscire a fermare il pianto.
Sentì una voce che la chiamava, e temette fossero i fantasmi dei tre Ideev che aveva ucciso. Dicono che succeda così, che i fantasmi delle tue vittime vengano a tormentarti mentre sei solo, ma non è vero. Lo fanno mentre dormi. Se dormi.
«Aera,» sussurrava la voce, «Ehi, Aera, perché piangi?»
La ragazza si voltò. Riconosceva quella voce, sapeva a chi appartenesse, ma non aveva mai sentito quel giovane usare un tono tanto dolce.
«Kired?» lo chiamò, spaventata da quello che avrebbe potuto farle, mentre era disarmata e sola in quel boschetto. Reyns l’aveva avvertita, e il peggio era arrivato. Ma non sembrava il peggio.
«Sì, sono io, Aera,» disse la figura incappucciata, avvicinandosi.
Non sembrava malvagio. Era forse un trucco che usavano tutti i nati tra gli Ideev?
Kired le venne più vicino. Le prese un braccio e la attirò a sé. Aera era raggelata dal terrore, e tentò appena di opporsi. Il ragazzo la strinse in un abbraccio.
«Che cosa ti ha detto di me, quel traditore?» le sussurrò all’orecchio, forse con l’intenzione di utilizzare quella voce per far breccia nel cuore di Aera o come minimo nel suo bisogno di affetto, ma suscitando semplicemente ulteriore disgusto, nella giovane.
«Mi ha detto che hai intenzione di portarmi da Vyde, ma credo che ti sarà difficile.» rivelò Aera, senza sciogliersi dall’abbraccio, ma pensando di stare al gioco.
La mano destra di Kired andò a posarsi sul suo fianco, troppo vicino al fodero in cui teneva il pugnale perché il ragazzo non si accorgesse che Aera stava puntando a raggiungere l’arma.
Lo sguardo di Aera incrociò uno solo degli occhi dorati di Kired, l’altro nascosto da un ciuffo di capelli biondi, come se il cappuccio non fosse abbastanza.
Anche se sempre più spaventata dalla figura i cui lineamenti stava scoprendo poco a poco, la ragazza capì che non aveva modo di tirarsi indietro. Ma non aveva la minima intenzione di rimanere ferma, senza fare niente, di lasciare a quell’Ideev la libertà di divertirsi e farla franca, senza nemmeno provare a reagire. Così posò entrambe le mani sul suo petto, delicata, e capì di essere sulla buona strada quando Kired la strinse più forte, forse a sua volta convinto di essere un passo più vicino alla conquista di ciò che bramava.
Mentre la mano sinistra di Aera andò a posarsi sulla spalla dell’Ideev, la destra cominciò a scivolare lentamente verso il basso. Kired non sospettò nulla, ma al contrario si sentì invitato da lei a far collidere le loro labbra.
No, non doveva andare così. Aera capì di dover trovare in fretta un modo per distrarlo non solo dalla sua mano destra, che stava puntando al pugnale che il ragazzo portava al fianco, ma anche dalla sua bocca. D’istinto avrebbe messo una mano sulla sua, per allontanarlo, ma era anche vero che d’istinto avrebbe fatto molto altro, come scappare urlando aiuto. Doveva controllarsi, non ascoltare i propri istinti ma far sì che Kired seguisse i suoi, e diventasse perciò prevedibile e manipolabile. Doveva fare in modo che il cacciatore si comportasse come una preda. Sapeva che non sarebbe stato facile.
Spostò la mano sinistra dalla sua spalla alla sua guancia, e fu sollevata quando ebbe la conferma che le labbra del ragazzo erano d’accordo a perdere tempo con quella, prima di posarsi sulle sue.
Ma quelle labbra non avrebbero aspettato per sempre. Aera fece scivolare l’altra mano ancora più giù, anche se leggermente più a destra di dove il ragazzo avrebbe sperato, e afferrò il pugnale dal fodero che pendeva dal suo fianco sinistro.
Alzò lentamente l’arma, nascondendola alla vista di Kired, allontanò la mano sinistra dal suo viso, intrecciò le braccia attorno al suo collo e lasciò che le mani di lui la sfiorassero dove più avessero avuto piacere di arrivare, ma proprio mentre Aera stava per affondare la lama, si sentì afferrare da Kired entrambi i polsi.
«Lurida sgualdrina!» la offese, per poi toglierle il pugnale dalle mani e spingerla lontano da sé, facendola cadere.
Ora Kired era davanti a lei, aveva un pugnale in mano, e le sorrideva come sorridono gli assassini, eccitati anche al solo pensiero di togliere la vita a un’altra persona.
Aera temette il peggio, ma poi si ricordò che a Kired e al suo complice serviva che lei rimanesse in vita, perché non era una degli Ideev che stavano andando da Vyde, ma l’unica e insostituibile principessa Orientale.
Proprio in quel momento si chiese dove fosse, il compagno di Kired.
Sentì un altro paio di braccia stringerla da dietro, tentò di urlare ma una mano le tappò la bocca. Provò a divincolarsi, a mordere, ad agitare le braccia, ma invano. Eccolo, il complice di Kired. Chi era? Era sicura di avere già sentito quelle braccia, quelle mani, quel respiro, quell’odore.
Era qualcuno del suo clan. Non fece in tempo nemmeno a tentare di voltarsi per guardare il suo viso, che questi l’aveva colpita alla testa con la stessa mazza che aveva fatto perdere conoscenza a Reyns.
E tutto improvvisamente diventò buio.

 

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Capitolo 31
*** Capitolo Ventotto ***


Capitolo Ventotto

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MINI-WARNING! Niente di abbastanza esplicito da farmi classificare questa storia come "per adulti" ma in questo capitolo succede una cosa che non dovrebbe succedere, che succede troppo spesso (le vittime sono principalmente giovani donne) e di cui si ha sempre troppa paura di parlare.
Il mio è anche un tentativo di distaccarmi da quella parte di narrativa che, più o meno consapevolmente, romanticizza l'abuso. Io non voglio correre questo rischio. Io voglio denunciare l'abuso.
Se siete estremamente sensibili all'argomento, scorrete fino in fondo al capitolo, dove troverete un riassuntino delle faccende più importanti.
Vi ringrazio per essere arrivati fin qui.
F. D. Flames
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Sentì di aver sbattuto il naso contro qualcosa. Si svegliò, aprì gli occhi, e notò che non c’era differenza con il tenerli chiusi.
Si fece prendere dal panico. Che cosa era successo? Era diventata cieca? Dopotutto aveva ricevuto un violento colpo alla testa, era del tutto plausibile che avesse perso la vista.
Si rese conto di essere in movimento, e di avere i polsi e le caviglie legate. Era su un carro trainato probabilmente da un cavallo o da un asino. La ragazza si voltò di lato e notò uno spiraglio di luce provenire dall’esterno. Fu un sollievo, ma allo stesso tempo la cosa la preoccupò – era già mattina. Dove si trovava? La stavano sicuramente portando alla fortezza.
Non fece in tempo a voltarsi di nuovo e cercare in qualche modo di rotolare giù dal carro, che il mezzo si fermò. Il telo venne tolto; Aera si schermò gli occhi con le mani per ripararli dalla luce che ora era accecante. Davanti a lei si stagliava la fortezza di Lord Vyde, imponente e ricca come se l’era immaginata, ma di uno stile architettonico del tutto nuovo, per lei, forse costruita con materiali di cui non conosceva nemmeno il nome. Era probabilmente un tipo di dimora comune tra i nobili Orientali.
La ragazza si voltò poi a guardare chi avesse tolto il telo, e riconobbe immediatamente l’Ideev che si trovò di fronte.
«Kired!» lo chiamò per nome. Avrebbe saputo dire chi era tra mille incappucciati, perché solo dal cappuccio di Kired si sarebbe intravisto quel ciuffo biondo che guardava all’insù, e solo il suo mantello dava al giovane quell’aria misteriosa che pochi Ideev avevano.
Aera cercò di sistemarsi sul bordo del carro, per poi tentare di scendere, ma Kired le si mise davanti e la bloccò, tenendole le ginocchia.
«Buongiorno, principessa,» ricambiò il saluto, «È stato un dispiacere, lasciarci in quel modo.» disse poi, portandosi la sua mano destra alle labbra, baciando il simbolo Ideev inciso su di essa, e continuando a risalire il braccio della giovane; la sua bocca, bramosa, a contatto con la pelle di lei, che cercava senza successo di allontanarsi, con il braccio sinistro del ragazzo che ora glielo impediva.
Tentò di sferrargli un calcio, ma non fece che peggiorare ulteriormente la situazione: Kired le fermò entrambe le gambe, e anche la sua mano ripercorse le curve della ragazza.
«No!» si oppose lei, puntando a raggiungere il collo dell’Ideev con le mani, ma senza riuscirci.
Con la mano sinistra, Kired le prese i polsi e le alzò le braccia, per poi sbilanciarla all’indietro. Ora Aera era completamente incapace di divincolarsi dalla stretta del giovane Ideev, cosa che lo fece eccitare ulteriormente. Quel ragazzo non la stava amando; loro due non si stavano donando l’uno all’altra. Era stato Kired a prenderla con la forza, e l’unico motivo per cui Aera in quel momento era sua, era che non era fisicamente in grado di opporsi.
Era tutt’altra cosa, quello che c’era stato con Reyns: tra loro era stata una dolce intesa a dettare le regole, una scintilla che si era accesa nel primo momento in cui i loro sguardi si erano incrociati. Ed era stato inutile tentare di estinguere quel fuoco, così quella notte preferirono danzare nelle fiamme finché non rimase più nulla da bruciare.
Quello che Kired le stava facendo ora sporcava e profanava ciò che era accaduto quella notte.
Aera continuò ad agitarsi, ma non si abbassò a pregarlo di smetterla, tutt’al più si mise a dare ordini. «Toglimi le mani di dosso!» urlò, all’inizio, continuando a scalciare ma rendendosi conto di non star facendo altro che alimentare il desiderio di Kired.
«Non osare toccarmi con quelle mani sporche di sangue, lurido assassino che non sei altro!»
«Oh, ma tu senti chi parla!»
«Sì, ho ucciso,» ammise lei, pugnalandosi al cuore con le sue stesse parole, «E sono pronta a farlo di nuovo, se non ti allontanerai immediatamente da me!»
Kired non si allontanò affatto, al contrario. Prima si assicurò che Aera non fosse in grado di sfuggirgli, poi tagliò la corda che le teneva legate le caviglie. E allora, proprio come un animale, una belva, un predatore, la assalì. E l’unica funzione di quei «No!» e di quei «Basta!», mai seguiti da una preghiera, per un orgoglio che ad Aera costò molto caro, non fu che quella di soddisfarlo.
I momenti che seguirono furono inondati dalle lacrime, nei suoi ricordi. Per tutta la durata della sua vita, non riuscì a trovare o a vivere una situazione tanto piena di angoscia, paura, vergogna, ma anche di una speranza più forte e più pura che tutto cessasse al più presto.
Per tutto quel tremendo tempo, non ci fu istante in cui Aera smise di lottare per la sua Libertà. E poi, forse per miracolo, il suo calcio colpì Kired, nel punto giusto, e la ragazza prese a correre. E corse verso est, verso casa, verso Reyns.
Fu questione di una ventina di passi di corsa perché incontrasse il compagno di Kired, che li aveva seguiti a cavallo, e che appena riconobbe la ragazza fermò il destriero, scese dalla sella, e immobilizzò Aera, non lasciandole alcuna possibilità di fuggire.
«No!» urlò lei, sconfitta, di nuovo, per poi lasciarsi trascinare via dalla speranza.
Raggiunsero il punto in cui si trovava Kired, ora appoggiato con la schiena al muro della fortezza, che si massaggiava il ventre. All’inizio il giovane Ideev guardò Aera con rabbia, ma quando notò che ancora tremava, assunse di nuovo quel sorriso che tanto la angosciava, e fu ancora più felice di aver suscitato in lei quella sensazione di paura.
«Posso comprendere la Vostra mancanza di fiducia nei miei confronti,» cominciò a dire Kired, rivolgendosi a lei come ci si rivolge a una figura importante, come quella che la ragazza aveva appena scoperto di essere. «Quindi ritengo opportuno presentarmi.»
Aera lo fulminò con lo sguardo; che cosa poteva importargliene del suo nome, dopo ciò che le aveva fatto? Avrebbe passato ogni momento di solitudine a pensarci, tentando di dimenticare, fallendo.
Era questo che voleva Kired – che soffrisse per sempre. Si tolse il cappuccio, dopo una vita passata a nascondersi, mostrando finalmente il suo aspetto. I capelli biondi, tipici della zona settentrionale, gli occhi dorati, vivi e crudeli, i lineamenti giovani, forti e – Aera si odiò per questo suo pensiero – belli. Quanta vergogna serve per nascondere la bellezza?
«Kired, un tempo appartenente al clan Asur, nel nord.» si presentò, con un inchino appena accennato.
«Quindi non sei nato tra gli Ideev?» domandò lei,
«Ah, magari lo fossi!» sospirò il ragazzo, «Entrambe le nostre famiglie sono state sterminate dagli Ideev, Aera. La tua è morta dietro le tue spalle, la mia davanti ai miei occhi.»
Aera non ebbe bisogno che Kired pronunciasse un’altra parola. Chi avrebbe potuto dire che cosa avesse passato, quel ragazzo! Era un miracolo che gli Ideev non l’avessero ucciso, piccolo e indifeso com’era, il giorno in cui aveva avuto luogo quel fatidico scontro, ossia uno l’ultimo giorno rimasto al clan Asur. Così venne portato da Vyde, dopodiché da lui istruito e addestrato, al solo scopo di portare a termine il suo compito: consegnare al Lord la principessa Orientale.
«E tu chi sei, invece?» domandò all’altra figura incappucciata. «Ho l’impressione di averti già conosciuto.»
«Temo di sì.» rispose l’uomo.
Aera aveva già sentito quella voce, tante volte, ma non riusciva a collocarla nella sua memoria e ad associarla con uno dei volti che conosceva. O forse, semplicemente non voleva. Ancora una volta, non voleva credere. «Sei uno dei traditori del clan Knej, ammettilo!»
«Mi dispiace, Aera...»
L’Ideev si tolse il cappuccio: i capelli scuri gli scendevano sulle spalle, gli occhi verdi la osservavano e le sopracciglia folte li adornavano e donavano loro quell’espressione colpevole, che mai Aera aveva visto sul volto di quell’uomo.
«Neal!» esclamò, riconoscendolo.
Quindi il traditore che aveva portato il clan Knej alla rovina, che era la causa della morte di tutti i suoi membri tranne lei, era l’uomo che più era stato vicino a Ikaon? Era arrivato a tanto, pur di eliminare i sospetti sul suo conto? Imbrogliare l’intero clan, a partire dal suo capo, al quale tutti facevano affidamento, e gettare sospetti e ombre anche su di lui, pur di sembrare innocente? E perché, poi? Per denaro!
«Sporco traditore!» lo accusò Aera, «E tu saresti l’uomo che avrebbe fatto di tutto perché il clan superasse le Montagne? Il braccio destro di Ikaon? Che cosa avevi intenzione di fare?» pose altre domande, ma l’uomo non rispose, continuando a tenere lo sguardo basso, fisso verso il suolo, «Avanti, dillo! Ammettilo! Speravi di essere tu a trovarmi, mentre ero da sola in quella grotta, volevi essere tu a consolarmi e a convincermi a scappare, magari davvero a est, in modo che, superate le Montagne, l’esercito di Lord Orlud mi trovasse e mi consegnasse a Vyde. Non è così? Poi avresti nascosto tutto dicendo che non avevi idea dell’esistenza di quei soldati, e io ti avrei creduto. Mi sarei fidata di te. Sei un essere ignobile e senza cuore! Il Neal che pensavo di conoscere non è mai esistito!»
«Se avessi tradito gli Ideev, mi avrebbero ucciso.» tentò di giustificarsi inutilmente.
«Avresti potuto dire la verità, e noi ci saremmo sbarazzati degli altri traditori!»
«Non è così semplice, Aera...»
«Come sai di Lord Orlud?» intervenne Kired.
Aera fu felice di rispondergli, «Forse c’è ancora qualcuno che ha abbastanza coraggio da fare le scelte giuste, ed essere onesto.»
Neal comprese il significato delle parole della giovane, e distolse lo sguardo, ma Kired no. «Ah, sapevo che quel ragazzino non sarebbe mai stato in grado di chiudere una volta per tutte con la sua stupida coscienza! È sempre stato un debole. Non ero l’unico a pensare che il titolo di Secondo Prescelto non gli si addicesse per niente, tanto meno quello di Ideev Prediletto. Nemmeno il primo lo sopportava.»
Aera accantonò per un attimo le sue domande, o meglio i suoi, dubbi, sulle versioni contrastanti riguardo al Primo Ideev Prescelto. Reyns gliene aveva parlato come di un ragazzo ingenuo e benevolo, mentre Kired sembrava sottolineare una sorta di rivalità tra lui e Reyns. Ma ormai Aera sapeva che di verità non ne esiste una sola, e che solo raccattando e ricucendo i brandelli di storie differenti sarebbe potuta arrivare a una versione dei fatti che fosse plausibile, e che avrebbe potuto chiamare verità, ma che non poggiava su nessuna certezza.
Tornò a rivolgersi a Kired: «Già, e di tutti voi Reyns sarà l’unico a potersi dire un uomo! Voi due siete solo degli strumenti, per Vyde, due burattini. Ma guardatevi! Uno che ha tradito il clan formato solo da persone che si fidano di lui e lo considerano parte della loro famiglia, e l’altro che è stato capace di profanarmi prima di consegnarmi al mio legittimo sposo
«Sarà, ma mi sembra di essere stato preceduto.» se ne uscì Kired, con un sorriso beffardo. «Non hai urlato così forte.»
«Tu non capirai mai...» sospirò la ragazza, rassegnata.
«Kired, tienila ferma. Io vado alla porta.» ordinò Neal al suo compagno.
«No, Neal, torna qui!» lo pregò Aera, mentre già si immaginava che cosa Kired sarebbe arrivato a farle mentre l’uomo si sarebbe allontanato, sentendo le sue braccia stringerla di nuovo, e il suo respiro sul collo – troppo vicino. «Per una volta nella tua vita affronta le tue responsabilità, codardo che non sei altro!»
«Sarò anche un codardo,» disse lui, senza neanche voltarsi, «Ma almeno, il mio compagno l’ho guardato, per un’ultima volta.»
Aera rimase senza più nulla da dire. Era vero, lei non aveva mai detto addio a Zalcen, né ad Aniène. Non aveva avuto il coraggio di farlo.
Ma ora il suo cuore era pieno di odio nei confronti di quell’essere spregevole che aveva per anni considerato un membro della sua famiglia.
Pensò alla sua situazione, mentre le mani di Kired scivolavano lungo i suoi fianchi; era stata tradita due volte, da due persone diverse, in due giorni: Neal e Reyns. E quei due non avevano minimamente pensato a lei, la consideravano solo una fase del loro piano, il raggiungimento del loro obiettivo che, per ironia della sorte, era lo stesso.
Sia Neal che Reyns avevano in mente di portarla da Vyde per ottenere in cambio la ricca ricompensa; entrambi sapevano chi lei fosse realmente, e avevano convinto i compagni di viaggio a tenerglielo nascosto, come se fosse stata creata una verità parallela appositamente per lei.
La differenza tra i due era che il giovane, durante quel viaggio, aveva saputo riconoscere ciò che era giusto da ciò che gli avrebbe garantito una vita agiata, mentre Neal, per tutto il tempo che lui e Aera avevano vissuto come una famiglia, non aveva fatto altro che soffrire, decidendo di gustarsi appieno la vita solo dopo aver commesso il suo grande e imperdonabile tradimento.
Quello che faceva più male era che non erano stati solo Neal e Reyns a mentirle. Persino Ikaon, Zalcen, e i suoi stessi genitori erano stati d’accordo sul tenerle nascosta la verità. Già, tutto veniva proprio dai sovrani del regno Orientale.
Questo allontanava da Aera il desiderio di tentare di salvarli, e cancellava quello di salvare se stessa. Dopotutto aveva già accettato che sarebbe morta; almeno se ne sarebbe andata conoscendo la verità.
Ma ora che capiva il motivo del gesto di Reyns, di confessarle la verità, si rendeva anche conto che eliminare Venam, Daul e Ridd non significava altro che far scomparire quel briciolo di dignità che ancora le era rimasta. Si sentì estremamente colpevole, e capì che se non avesse perdonato Neal e Reyns per prima, non avrebbe potuto aspettarsi di venire perdonata a sua volta.
Ma è forse sincero un perdono dettato dalle circostanze?
È difficile andare avanti sapendo di avere dei conti in sospeso con la coscienza – anzi, è impossibile. Si rese conto di aver bisogno del perdono di Reyns, di quello di Venam, Daul e Ridd. In fondo, che cosa aveva fatto, lei, di diverso da ciò che avevano fatto anche quei quattro, Gatto e Neal? Erano uguali – ugualmente traditori, e probabilmente altrettanto traditi.
Mentre veniva accompagnata verso il grande portone, Aera sentì di doversi togliere un peso. «Neal, Kired, sappiate che vi ho perdonato.» mormorò, per nulla convinta, come se fosse stata un’altra persona, un’ipocrita e una codarda, a parlare per lei. O era forse lei stessa ad esserlo diventata?
Il viso del ragazzo rimase impassibile, mentre Neal chinò leggermente il capo, per farle capire di aver inteso il senso di quelle poche e semplici parole.
Aera si sentì leggermente meglio, ma non poté fare a meno di pensare di aver detto addio a quei due con una bugia.
 
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RIASSUNTINO: Aera è stata portata fino alla fortezza di Vyde da Kired e il suo complice, che si scopre essere Neal. Kired non è stato molto carino con lei.
F. D. Flames
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