Steps

di ciocoreto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Contatto ***
Capitolo 2: *** Ti sfido a... ***
Capitolo 3: *** Un giorno di quelli ***
Capitolo 4: *** Stelle ***
Capitolo 5: *** L'amore è come una bomba ***



Capitolo 1
*** Contatto ***





NdA: Essere qui dopo tanti anni è strano e bellissimo
allo stesso tempo. Anche se il mio account è stato
creato quattro anni fa, in realtà bazzico su EFP dal
lontanissimo 2007, quando ero solo una bambina.
Essere tornata a scrivere per me è davvero importante.
Passando alla storia in sé, questa sarà una raccolta
in occasione della Hugs&KissesChallenge di carlotta.97
composta da flashfic/oneshot un po' dolciose, perché
al momento "Haikyuu" mi sta appassionando molto e la
KageHina ancora di più. Ho intenzione di dare un senso
logico alle singole storie, anche se ovviamente potranno
essere lette indipendentemente dal numero del capitolo,
essendo slegate fra loro. Sono partita con quello che
penso sia il gesto più semplice, ma importante
– soprattutto per questi due personaggi – per l'evoluzione
di qualsiasi tipo di rapporto. Questa flash in particolare è
ambientata alla fine della prima stagione dell'anime, ma ho
cambiato il risultato finale della partita che si svolge in
quell'occasione per rendere possibile tutto ciò che avviene
in questa storia. Baci, e buona lettura. ♥










Steps










- Contatto -










   «Hinata!»

   Non lo guardai, ma seppi che sarebbe scattato non appena avesse sentito il proprio nome. Lo spostamento d'aria repentino alle mie spalle me lo confermò e in un batter d'occhio me lo ritrovai di fronte, librato come un corvo sopra la rete.
   Era quello il momento perfetto.
   Gli alzai la palla e lui schiacciò. Nessuno la vide, dritta come un proiettile sul campo avversario.
   La nostra mossa speciale.
   Punto. Fine della partita.

   Non è possibile...

   Le grida dei miei compagni risuonarono nella mia testa inaspettatamente. Loro avevano realizzato prima di me.
   Avevamo vinto.
   Anche il pubblico si era alzato per gridare la propria gioia. Dopo due set – il primo conquistato dalla Aoba Johsai, il secondo da noi –, il terzo era stato estenuante. Ad un certo punto, lo ammetto, avrei scommesso che non saremo stati noi a vincere, nonostante non fossi riuscito, in fondo, a mollare veramente. Nessuno di noi l'aveva fatto.
   E alla fine ce l'avevamo fatta.
   Mi guardai i palmi della mani incredulo. Dalla mia gola non era uscito ancora un suono. Riuscivo a malapena a reggermi in piedi, un po' per la fatica, un po' per la tensione che aveva iniziato ad andarsene poco alla volta, facendomi provare la sensazione di avere ancora sangue che scorreva nelle vene, dalle mie braccia fino alla punta dei piedi. Credevo di essere in un sogno.
   E fu allora, in quel momento di incredulità in cui a malapena riuscivo a ricordare il mio nome, che il destino decise di tirarmi un pugno allo stomaco.

   «Kageyama!»

   Sentii la sua voce lontana, anche se in realtà era solo a pochi metri da me: Hinata.

   «Kageyama!»

   Stava correndo braccia aperte verso di me, urlando il mio nome con sul volto uno dei sorrisi più grandi che gli avessi mai visto fare. Non potei prevedere la sua mossa, perché era una cosa che non avevamo mai fatto prima di allora: abbracciarci.
   Con uno slancio, mi gettò le braccia al collo e le gambe attorno alla vita, stringendo forte, senza bisogno di sostegno.
   Non capii subito. Sentii soltanto la testa girare vorticosamente e le gambe, improvvisamente, stavano cedendo ancora più di prima. Ma non caddi. Le mie braccia si mossero da sole, avvolgendosi attorno alla schiena di Hinata e stringendo più forte che mai. Con una mano mi aggrappai alla sua maglia, in un gesto quasi disperato, e con l'altra mi ritrovai a stringere i suoi capelli rossi. Era un abbraccio che non volevo... ma che in realtà volevo più che mai. Lì, in quel momento, ci stringemmo come nemmeno noi stessi avremmo mai creduto di poter fare. E intanto, nel mio petto, il cuore martellava impazzito, insieme a quello di Hinata, premuto contro il mio.
   Non capivo niente, nemmeno quello che mi veniva gridato dai miei compagni. Sentivo solo il profumo di Hinata riempirmi i polmoni, il suo corpo sudato e la sua voce vicino all'orecchio che continuava a ripetere la stessa cosa: «Ce l'abbiamo fatta».











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Capitolo 2
*** Ti sfido a... ***








Steps










- Ti sfido a... -










   «Oi!»

   Hinata raggiunse la sua bicicletta, come ogni sera, ma stavolta non l'avrei lasciato andare via tanto facilmente: l'allenamento era stato un disastro. Era completamente assente, perso in chissà quali pensieri, e non eravamo riusciti a fare nemmeno una volta la nostra mossa speciale. In più, mi ignorava palesemente.

   «Oi!» ripetei più forte, dal momento che non mi aveva minimamente considerato la prima volta.

   Mi dava le spalle e quando si girò il suo viso era quasi imbronciato, come se ce l'avesse con me. Lui? Che motivo aveva lui di essere arrabbiato? L'unico autorizzato avrei dovuto essere io.

   «Si può sapere che ti prende, razza di idiota? Hai fatto schifo oggi!»

   Hinata sbuffò piccato, dandomi nuovamente le spalle. Borbottò qualcosa che non capii e ciò mi fece imbestialire di più.

   «Invece di perdere tempo nel tuo mondo dei sogni, dovresti concentrarti di più! Non ci resta molto tempo prima della partita. Vuoi vincere o no?»

   «Forse sei tu quello che dovrebbe concentrarsi sulle cose importanti», mugugnò piano, non con l'intenzione di farsi sentire.

   Ma io l'avevo sentito eccome.

   «Come, scusa?»

   Finalmente si voltò e mi prestò attenzione. «Non sono io quello che perde tempo con le ragazze, invece di dedicarsi totalmente alla pallavolo», sbottò con le braccia larghe e con un'espressione offesa e disgustata sul volto.

   Ma cosa...?





   «Ti sfido, Kageyama.»

   «Ah?»

   Tanaka mi mise un braccio attorno alle spalle e senza farsi notare troppo indicò un punto a qualche metro di distanza da noi, un muro con dietro una persona. «Vedi quella ragazza laggiù?» In realtà ci stavo facendo caso soltanto in quel momento. Se non fosse stato per Tanaka, non l'avrei mai notata. «Sta aspettando che io me ne vada per venire a dichiararsi.»

   Per poco non mi andò di traverso lo yogurt che stavo bevendo come mio solito in pausa pranzo dopo le lezioni. «E tu come lo sai?» annaspai, pulendomi la bocca con il pugno chiuso.

   «Oh, ma dai! Quello è il tipico atteggiamento di una ragazza innamorata. Non vedi come ti guarda? Non ci sai proprio fare con le donne!»

   E non me ne importava nemmeno. Fino a quel momento il mio unico interesse era sempre stata la pallavolo. Una persona a me sconosciuta, che si veniva a dichiarare così, dal niente, semplicemente per la mia nomea o per l'aspetto fisico, mi rendeva irrequieto. Come poteva essere convinta dei suoi sentimenti, se neanche mi conosceva? E soprattutto, come avrei potuto ricambiare io?

   «Comunque sia... Ti sfido a darle un bacio.»

   Questa volta, lo yogurt, quasi lo sputai in faccia a Tanaka. «Eh? Perché dovrei fare una cosa simile?» sbottai sconvolto.

   Lui mi scrutò e scosse leggermente la testa. «Tu non hai ancora baciato nessuno nella tua vita, vero?»

   Certo che no. Non mi era mai piaciuto nessuno. Non che avessi mai dato peso alla questione, comunque.

   «È carina», insistette Tanaka, dandomi una gomitata amichevole.

   «Sarà...» La verità era che non l'avevo nemmeno guardata.

   Tanaka si mise a sbraitare, quasi potevo vedere il fumo uscire dalle sue orecchie. «Ricevi così tante dichiarazioni d'amore ogni giorno tu, ma sembra che non te ne importi niente! Mi fai imbestialire!»

   Dunque era geloso. Forse, se avesse smesso di importunare qualsiasi essere di genere femminile, avrebbe trovato una ragazza anche lui. Peccato che bastassero un paio di ciglia lunghe e qualche curva per mandargli il cervello in pappa.

   «Non vorrai mica farti superare da Hinata?» mi sussurrò improvvisamente all'orecchio.

   Strabuzzai gli occhi. «Come?»

   «Il piccoletto sta crescendo in fretta e scommetto che nel giro di qualche mese inizieranno a dichiararsi anche a lui. In fondo, qualche fan inizia già ad averla...»

   «Quel... coso...?»

   Hinata? Davvero? Quella scimmia aveva delle fan? Doveva essere uno scherzo. Chi mai avrebbe potuto interessarsi a lui in quel modo? Era la persona più rumorosa e insopportabile che avessi mai conosciuto. Certo, non era un brutto ragazzo... Anzi, forse era proprio il suo aspetto a trarre in inganno chi non lo conosceva. Quei suoi occhi grandi e luminosi... Sì, dovevano essere quelli a confondere le ragazze. O forse i capelli?

   Ma a che diavolo sto pensando?

   Scossi la testa e gettai nel primo bidone che trovai lì accanto il cartone di yogurt vuoto: lo avevo bevuto tutto d'un fiato. Guardai la ragazza ancora appostata dietro al muro e sbuffai sonoramente. Me ne sarei pentito, già lo sapevo.
   Spinsi via Tanaka, che si mise a ridacchiare e fece per andarsene; in realtà si andò semplicemente a nascondere un po' più lontano. Come aveva previsto lui, la ragazza uscì dopo pochi istanti, giusto il tempo di accertarsi che fossi rimasto solo. Mentre la vedevo avanzare verso di me, non potevo far a meno di ripensare alle ultime parole di Tanaka.

   E se Hinata mi avesse già superato in questo caso? Ma no, impossibile. Se anche fosse riuscito a rubare un bacio ad una ragazza – cosa assai improbabile –, ne sarei venuto sicuramente a conoscenza. Giusto?

   La ragazza aveva i capelli rossi, era alta quasi quanto Hinata – quindi era decisamente più bassa di me – e sì, era carina, Tanaka aveva ragione. Ma non mi importava comunque niente. In quel momento riuscivo solo a pensare che il mio averla paragonata ad Hinata fosse abbastanza preoccupante. Quell'idiota era sempre nella mia testa, in un modo o nell'altro. Inconsapevolmente, la mia fronte si corrugò.

   Lei si fermò davanti a me e iniziò a parlare a raffica. «Kageyama... Mi chiamo-»

   Ma davvero lo sto facendo? Perché? Perché?!

   Non ascoltai una singola parola che uscì dalla sua bocca. Continuavo a chiedermi perché avessi accettato di fare quella stupidaggine e mi maledivo.
   Ad un tratto, proprio nel punto dove si era nascosto Tanaka, vidi spuntare una testa rossa e due occhi spalancati. Il mio cruccio.

   Hinata?!

   Così come era apparso, lo vidi anche sparire in una frazione di secondo: Tanaka lo aveva trascinato nel suo nascondiglio, probabilmente per non interferire con la nostra scommessa. O forse non l'avevo visto sul serio, me l'ero soltanto immaginato.
   Mi prese una nausea terribile alla bocca dello stomaco e non seppi perché.

   Intanto la ragazza aveva proteso davanti a sé con entrambe le braccia una busta con dentro quella che probabilmente doveva essere una lettera d'amore. «Ti prego... accetta questa da parte mia.»

   Le feci abbassare le braccia ignorando la lettera e mi piegai su di lei, sulla sua figura minuta, sui suoi occhi chiari, sui suoi capelli fottutamente rossi e il suo odore che non era decisamente quello che mi sarei aspettato.

   Ma cosa mi aspettavo, in realtà...?

   Appoggiai le labbra alle sue, le sfiorai appena per un secondo. Non so se si potesse chiamare bacio, ma quello era il mio limite. Tanaka non poteva chiedermi di più.

   «Grazie», mugugnai con un velo di sofferenza nella voce. «Ma non posso accettare.»

   E me ne andai a gambe levate.





   «Era una stupida scommessa!» sbottai furioso. «E poi cosa c'entra questo con la pallavolo? Non ero io quello distratto oggi!»

   «Come ti pare», sbuffò Hinata, convinto che in quel modo la discussione si sarebbe risolta.

   Ma era solo all'inizio.
   Non capivo dove volesse andare a parare e soprattutto perché fosse così infastidito da ciò che era successo quella mattina. L'unica cosa che mi veniva in mente era che probabilmente fosse geloso, geloso del fatto che io avessi vinto in qualcosa, prima di lui.

   «Cos'è, ti dà fastidio che io abbia dato il mio primo bacio prima di te?» lo provocai, mentre lui tornava ad armeggiare con le chiavi e il lucchetto della sua bicicletta.

   «Era pure il tuo primo bacio quindi?» sbottò con finto stupore. «E l'hai dato ad una persona completamente a caso? Che schifo.»

   «Scusa?»

   «Se non significava niente, non avresti dovuto baciarla.»

   Rimasi immobile per un istante, cercando di mettere insieme le idee. Ma più ragionavo, più non capivo, e la cosa mi faceva imbestialire. Perché quell'idiota doveva farmi diventare matto in quel modo? Cosa gli avevo fatto di male?

   «Tutta questa conversazione non ha senso, Hinata. Spiegami il problema e smetti di fare il bambino!»

   Lui finalmente riuscì ad aprire la bicicletta, ma non ci salì sopra; la lasciò perdere soltanto per un istante per lanciarmi un'occhiata frustrata. «Perché hai baciato proprio lei?»

   Mi passai una mano sul viso, esausto. «Non sto afferrando. Ti piace quella ragazza?» azzardai, ormai privo di idee.

   «Cosa? No! Non so nemmeno chi sia!»

   «E allora di cosa accidenti stiamo parlando?» sbottai al limite della mia sopportazione.

   Avevo voglia di tirargli un pugno in faccia. Lo stava facendo a posta, non doveva esserci altra spiegazione. Voleva soltanto farmi incazzare. Beh, ci era riuscito.

   Hinata fece per salire sulla bicicletta, ma io lo afferrai per un braccio e lo costrinsi a rimanere coi piedi per terra. Se non avessimo risolto quella situazione, non lo avrei lasciato andare da nessuna parte. Ne andava della mia sanità mentale.

   «Perché ti sei abbassato a fare una cosa del genere?» continuò a lamentarsi lui, sbraitando e cercando di scappare dalla mia presa.

   Lo lasciai soltanto perché mi sentivo stanco al punto tale da non riuscire più a star dietro ai suoi movimenti da scimmia, ma dentro stavo ribollendo di rabbia. «Okay, evidentemente non vuoi dirmi che diavolo ti passa per la testa e stai girando attorno a questa scemenza per cercare di scappare. Beh, lascia che te lo dica... Sei un idiota!» sbottai vicino al suo viso.

   «Tu lo sei!» urlò lui in risposta e iniziò a spintonarmi. «Brutto stupido, idiota e scemo di un Kageyama!»

   «Oi!»

   Tirava pugni al vento quasi, stringendo gli occhi e dimenandosi fuori controllo. Provò a scappare ancora una volta, ma non glielo lasciai fare. Lo afferrai per entrambe le braccia, strattonandolo e costringendolo a fronteggiarmi.

   Gli urlai contro come una furia: «L'ho baciata perché mi andava, Hinata! Perché sono una persona libera! E dal momento che tu non c'entri nulla con questa storia, spiegami la tua ridicola sceneggiata, prima che ti riempia di pugni!»

   Alzai il pugno in aria, ma il mio colpo si fermò lì.
   Hinata aveva chiuso gli occhi, la bocca era deformata in una smorfia e tremava nel tentativo di trattenere i singhiozzi. Stava piangendo.

   Le parole mi morirono in gola. Perché? Perché non riesco a capire, Hinata?

   Non so cosa mi spinse a strattonarlo nuovamente, stavolta per attirarlo a me e stringerlo. Volevo confortarlo? Ma per cosa? Nemmeno capivo perché tutta quella situazione stesse avendo luogo. Sapevo solo che aver visto quel viso in lacrime mi aveva fatto male. Quindi forse lo stavo facendo per me, per non doverlo vedere ancora?
   In una giornata il mio mondo si era capovolto: avevo baciato una ragazza a me sconosciuta, della quale non mi importava nulla e che con molte probabilità non avrei rivisto – e già di per sé non era una cosa da me –. Ed infine avevo scoperto che avrei preferito un pugno nello stomaco, piuttosto che vedere Hinata piangere per qualcosa che avevo fatto io.
   Lui continuava a singhiozzare silenziosamente, i pugni stretti ai lati del viso premuto sul mio petto. In quel momento mi sembrò più piccolo del solito. Feci scorrere una mano tra le ciocche dei suoi capelli e con le dita strinsi un po', obbligandolo a reclinare la testa all'indietro e a sollevare il viso. Le lacrime si stavano fermando. Scrutai i suoi occhi bagnati, mentre lui guardava i miei come un bambino fa con un biscotto.
   Mi nascondeva qualcosa, decisamente.

   «Stupido», mormorai, corrugando la fronte.

   Lui sbuffò dal naso e rituffò la testa nella mia felpa.
   Se non voleva dirmi che cosa stava succedendo, l'avrei scoperto da solo.











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Capitolo 3
*** Un giorno di quelli ***








Steps










- Un giorno di quelli -










   In quei giorni, Hinata era strano. Più strano del solito, si intende.
   C'erano momenti in cui a malapena mi rivolgeva la parola, come se avesse avuto paura, il che ormai, dopo tutto quello che avevamo passato insieme nei mesi precedenti, non mi tornava. Qualche settimana prima avrei fatto fatica a farlo stare zitto, ora quel silenzio che per la maggior parte del tempo regnava fra noi mi metteva quasi a disagio. Sia in palestra che per la via di casa – soprattutto per la via di casa –. Un pezzetto di strada eravamo soliti farlo assieme, lui con la sua bicicletta, io a piedi. Perché improvvisamente non mi raccontava più le sue noiose stronzate?

   «Oi», esordii un giorno, stanco di quella situazione.

   Lungo la strada di casa, lo feci sobbalzare e alzare lo sguardo dal manubrio della sua bicicletta. Rimase in attesa, fissandomi con occhi grandi e confusi.
   Mi presi un secondo per studiarlo, dalla punta dei capelli a quella delle scarpe: mi sembrava tutto regolare.

   «Sei malato?» gli chiesi.

   La sua fronte si corrugò. «Eh?»

   «Di solito non stai mai zitto. Nell'ultimo periodo riesco persino a sentire i miei pensieri in testa.»

   Distolse lo sguardo, la bocca leggermente distorta in una smorfia, come se lo avessi appena beccato a fare qualcosa di male. Comunque non mi rispose, non a parole almeno: continuò a camminare con la sua bici fra le mani, il passo leggermente più rapido – mi superò abbastanza perché potessi guardargli soltanto la schiena –, ma il suo silenzio fu sufficiente a suggerirmi che c'era qualcosa che non voleva dirmi.
   Quel suo modo di fare mi friggeva il cervello. Solitamente non mi preoccupavo per gli altri, tanto meno mi interessava sapere cosa passasse loro per la testa. Ma con Hinata era diverso e non sapevo spiegarmi il perché. Come mai non mi stressava più con la sua insopportabile voce troppo alta ogni santo giorno? Ma soprattutto perché io fremevo così tanto per avere delle risposte da lui?
   Improvvisamente lo vidi bloccarsi davanti a me e, di riflesso, lo imitai.
   Qualche goccia d'acqua mi picchiettò la testa: stava iniziando a piovere. Rivolsi lo sguardo verso il cielo cupo e nuvoloso e non mi accorsi della velocità con cui Hinata lasciò cadere la sua bicicletta a terra, per voltarsi finalmente verso di me, il capo chino e gli occhi coperti da qualche ciuffo di capelli.

   «Che-»

   Riuscii a malapena ad aprire bocca. Mi si gettò addosso, il viso nascosto nel mio petto, le braccia strette come una morsa attorno ai miei fianchi, e con tutta la sua forza e il suo peso mi costrinse ad arretrare fino a che non mi mise con le spalle contro un palo della luce. Come se avesse voluto nasconderci lì dietro, anche se in quella strada, a quell'ora e soprattutto con la pioggia, non c'era mai nessuno.
   Balbettai qualcosa di incomprensibile persino a me stesso, e fu tutto ciò che riuscii a fare. Lui respirava affannosamente, come se fino a quel momento fosse rimasto in apnea, e più la sua stretta aumentava, più la sua testa premeva contro il mio sterno, quasi facendomi male. Mi abbracciava con tutte le sue forze, come se avesse avuto paura di essere allontanato. Forse ne aveva, ma in quel momento l'ultimo pensiero che mi passò per la mente fu proprio quello di respingerlo. Ero sopraffatto dalla sorpresa che quel contatto mi provocava. Mi tremavano le gambe.

   «Che fai?» riuscii soltanto a chiedergli in un soffio.

   Non mi rispose e io rimasi immobile. Le mie braccia, che nella sorpresa si erano sollevate e aperte davanti a me, ancora rimanevano sospese ai lati delle sue orecchie, incerte sul da farsi.
   Il silenzio ci avvolse, mentre le gocce di pioggia iniziarono a cadere sempre più fitte su di noi. Hinata tremava contro di me. Forse anch'io tremavo un poco.
   Non saprei dire per quanto tempo rimanemmo in quella posizione: forse per qualche minuto, forse soltanto per pochi secondi. Poi, lentamente, il suo viso iniziò a risalire lungo la mia clavicola, fino a quando non potei percepire il suo respiro contro la mandibola. Con la punta del naso mi accarezzava una guancia.
   Una scarica elettrica risalì lungo la mia spina dorsale.
   Non realizzai subito la situazione. Per un attimo non ricordai nemmeno il mio nome. In un primo momento riuscii soltanto a sentire il suo cuore martellarmi contro lo stomaco, poi la sensazione di non percepire nient'altro, se non l'improvviso giramento di testa e il tremendo calore che risalì dal mio bassoventre fino alle orecchie, mi annientò.
   Le mie braccia si mossero soltanto in quel momento, da sole, senza che io avessi detto loro di farlo: una avvolse la sua schiena, attirando il suo corpo ancora di più contro al mio, l'altra corse alla sua testa e la mia mano si chiuse attorno ai suoi capelli, obbligandolo a reclinare il capo all'indietro.
   Non era la mia testa a dirmi di fare ciò che stavo facendo. Nemmeno io sapevo cosa mi muoveva. I nostri occhi si incontrarono per un breve istante, troppo breve per poter capire cosa ci stesse passando per la mente.
   La mia bocca si avventò sulla sua, muovendosi come nemmeno io sapevo potesse fare. Avevo dato il mio primo bacio qualche tempo prima, ma si era trattato di un gioco, una scommessa con Tanaka, e non era minimamente paragonabile a quello che stavo dando ad Hinata.
   Lui si mise sulle punte dei piedi e le sue labbra si schiusero, seguendo le mie. Sapevo che quello doveva essere il suo primo bacio e in qualche modo glielo stavo rubando. Dio, non avrei saputo dire nemmeno io quanto quella consapevolezza mi soddisfacesse.
   Le nostre bocche erano incollate, bagnate, forse per la pioggia che aveva iniziato a cadere talmente fitta da inzupparci i capelli e i vestiti. O forse no. Il suo odore mi invase le narici e i polmoni, spingendomi ad andare oltre, ad invadere la sua bocca con la mia lingua e a cercare la sua. Quando si scontrarono affamate, Hinata mugugnò quasi impercettibilmente, ma quel suono mi fece allontanare da lui, sorpreso e quasi spaventato. Gli avevo fatto male?
   Finalmente riuscivo a vederlo in faccia, gli occhi sbarrati fissi nei miei. Quella bolla che ci aveva avvolti fino a quel momento, facendoci provare la sensazione di essere soltanto noi sospesi nel vuoto, era scoppiata, ma i nostri corpi erano ancora stretti l'uno all'altro. Lo vidi muovere la bocca, forse cercando disperatamente qualcosa da dire, e i suoi occhi scrutavano i miei in cerca di una spiegazione. Ma non avrei potuto aiutarlo in alcun modo: ero confuso quanto lui, se non di più.
   Come se si fosse reso conto soltanto in quel momento della situazione, si scostò di scatto da me, boccheggiando in cerca d'aria. Io rimasi immobile a fissarlo, la bocca dischiusa e la testa vuota. Eravamo fradici, ma quasi non ce ne eravamo accorti. Ad un tratto mi diede le spalle e corse verso la sua bicicletta, abbandonata a terra e bagnata a sua volta; la rimise dritta sulle due ruote, poi salì in sella e mi rivolse un'ultima occhiata colma di stupore. Infine si voltò e iniziò a pedalare lungo la strada, veloce, lontano. Seguii la sua schiena finché non divenne irraggiungibile ai miei occhi.
   La pioggia non cessava.
   Mi resi conto soltanto in quel momento di aver ricominciato a respirare.
   Non so cosa fosse cambiato quella sera, rispetto al solito. Non so perché fosse successo quello che era successo. So solo che mi portai fino a casa, fino a che non mi addormentai, la sensazione di avere le labbra di Hinata ancora contro le mie.











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Capitolo 4
*** Stelle ***








Steps










- Stelle -










   Per un paio di giorni, dopo l'allenamento, mi recai in spiaggia. Non so per quale motivo, ma fissare il mare vicino alla riva, con i piedi immersi nella sabbia fredda e il sole che pian piano tramontava, mi calmava. Non mi aiutava a non pensare – anzi, forse lì i miei pensieri si amplificavano –, ma mi faceva provare un certo senso di pace: almeno quei suoni pacati non cozzavano con la confusione che avevo in testa.
   Mi sentivo comunque un po' preso in giro. Non so bene da chi, forse da qualcuno ai piani alti, o forse da me stesso. Il mio continuo associare qualsiasi cosa a quello che ormai era diventato il mio pensiero fisso da una parte mi faceva quasi ridere, dall'altra mi infastidiva terribilmente. Come il tramonto, ad esempio, con quei suoi colori così simili a quelli di...
   Diedi un calcio alle mie stesse scarpe, lì a pochi centimetri di distanza dai miei piedi, alzando un polverone di sabbia che spinto dal vento mi arrivò fino agli occhi.

   «Fanculo.»

   Mi sedetti, sfregandomi rabbioso una palpebra. Non facevo altro che pensare a lui: Hinata, Hinata, Hinata. Quell'idiota patentato. Lui e la sua testa rossa. Lui e i suoi occhi. Lui e la sua... bocca.
   Mi lasciai andare all'indietro con un sospiro, sdraiandomi sulla sabbia dura e scomoda come i miei pensieri. Chiusi gli occhi e decisi che dal giorno dopo non sarei più andato in spiaggia. Dovevo trovare una soluzione al mio problema, affrontarlo, smettere di evitarlo. Altrimenti sarei scoppiato.
   Con un braccio mi coprii il viso, impedendo alla luce di penetrare le mie palpebre. Il suono del mare, il vento leggero e il mio senso di profonda stanchezza mi portarono a poco a poco verso un sonno inaspettato e un po' disturbato.
   Non so per quanto tempo dormii lì, sulla sabbia, da solo e con il buio che lentamente avanzava, ma fu sufficiente perché sognassi: un sogno che aveva i colori del sole al tramonto.





   «Kageyama.»

   La mia fronte si corrugò, mentre quella voce mi richiamava alla realtà. Aprii gli occhi lentamente, incontrando un viso familiare e spaventosamente vicino al mio.

   Dio, se mi odi, dimmi perché.

   «Allora sei sveglio!»

   Mi trapassò i timpani e rimbombò nel mio cervello. Perché doveva sempre urlare? Non gli avevano insegnato a parlare come qualsiasi essere umano sulla faccia della terra?
   Sbuffai infastidito, passandomi una mano sugli occhi e cercando di ignorare il dolore alla schiena e alla testa: la sabbia non era di certo il letto più comodo su cui riposare. Mi puntellai sui gomiti per sollevarmi quel tanto che bastava per vedere la situazione con più chiarezza. Mi ero addormentato, e su quello non c'era alcun dubbio, ma che diavolo ci faceva Hinata seduto a gambe incrociate al mio fianco?

   «Ma quando sei arrivato? Come facevi a sapere che ero qui?» gli chiesi turbato.

   Lui fece spallucce. «Sono sempre stato qui, in realtà. Ti ho seguito.»

   «Scusa?»

   La sua tranquillità mi sconvolgeva, come se stesse parlando di un fatto ovvio. Mi misi a sedere anch'io tra qualche mugugno e lamento di dolore.

   «Sono due giorni che faccio la strada di casa da solo dopo l'allentamento!» sbottò lui con le mani sui fianchi e un'espressione offesa sul volto. «Quindi oggi ti ho seguito, perché volevo capire, e direi che ho fatto bene: è sera, è buio e tu ti sei addormentato in spiaggia come un idiota!»

   Il suo braccio destro si alzò verso il cielo, l'indice della mano puntato verso l'alto. Seguii la traiettoria e mi ritrovai ad osservare le stelle sopra le nostre teste. Probabilmente mi resi conto soltanto in quel momento del fatto che non ci fosse più la luce. Per quanto tempo avevo dormito?

   Probabilmente Hinata lesse il senso di disagio e preoccupazione sul mio viso, perché lo vidi incrociare le braccia al petto e annuire con fare soddisfatto. «Se fossi stato solo, chissà che cosa ti sarebbe potuto accadere...»

   «Ma per favore.»

   Mi alzai in piedi, dandogli le spalle e scrollandomi di dosso la sabbia che si era prepotentemente attaccata ai miei vestiti. Da un lato, Hinata aveva ragione: svegliarmi in quella situazione con lui al mio fianco mi aveva fatto sentire in un certo senso sollevato. Dall'altro percepii quel fastidioso battito accelerato del mio cuore che da giorni bussava contro il mio petto ogni volta che lui mi ronzava attorno, e la cosa mi urtò terribilmente.
   Il trambusto alle mie spalle mi suggerì che si fosse alzato anche lui. Gli gettai un'occhiata, ritrovandomi a fissare il solito broncio che assumeva sempre quando rimaneva deluso dal fatto che non lo avessi ringraziato. Sapeva che non ero solito farlo.

   «Ho fame», esordì poi, avvolgendosi lo stomaco con le braccia. «Andiamo a mangiare qualcosa? Per colpa tua ho dovuto avvisare mia madre che non sarei tornato per cena.»

   Inarcai un sopracciglio, incrociando le braccia al petto. «A dir la verità, nessuno ti ha chiesto di seguirmi.»

   La sua espressione offesa mi fece quasi tenerezza, ma non glielo lasciai intendere. Soprattutto non riuscivo a spiegarmi come potesse recitare così bene in quel momento. Credeva sul serio di riuscire a far andare le cose come al solito? Davvero? Davvero le sue intenzioni erano quelle di evitare il discorso in eterno? Sapevamo benissimo perché continuavamo in un modo o nell'altro ad attirarci come due calamite, perché lui non riusciva a sopportare il fatto di dover percorrere la strada di casa senza di me al suo fianco e perché io avessi costantemente l'immagine del suo volto in testa. La differenza per me era che non riuscivo più a nasconderlo.

   Sbuffò, le braccia ancora incrociate al petto. «Comunque prego», borbottò a bassa voce, mentre mi superava e mi mostrava la schiena.

   Ed io ero stanco di vederla, quella dannata schiena.

   «Hinata.»

   Anche se non sapevo nemmeno io come si sarebbero evolute le cose, né come intavolare il discorso, di sicuro non gli avrei permesso di ignorare la cosa anche in quel momento. Aveva deciso lui di seguirmi, ora doveva affrontare le conseguenze.
   Si bloccò sul posto, ma ancora non mi guardava.

   «Sul serio?» gli chiesi quasi sfidandolo, ma nella mia voce non c'era arroganza stavolta.

   Lui si voltò soltanto con il capo e la sua espressione in quel momento era cambiata. Gli occhi grandi mi fissavano curiosi, aspettavano.

   I miei pugni si strinsero. «Per quanto ancora dobbiamo fingere io e te?» Lo vidi sussultare e seppi di aver fatto centro. «Non mi chiedi perché continuo ad evitare di fare la strada di casa insieme a te, o perché da un paio di giorni venga qui?»

   Anche Hinata strinse i pugni e finalmente si voltò verso di me, ma i suoi occhi guardavano la sabbia sotto i nostri piedi.

   «Facciamo finta che il bacio che ci siamo dati qualche giorno fa non sia successo veramente?»

   Lo vidi arrossire, il viso sempre più infossato fra le spalle. Nemmeno io ero del tutto sicuro di ciò che stavo dicendo, né del modo in cui lo stavo facendo. La mia voce non era sicura quanto le mie parole, forse mi stava tradendo. Ma era vero, io e Hinata ci eravamo baciati, e da allora non riuscivo a non pensarci. Come e perché fosse successo non lo sapevo spiegare ancora.
   Fra noi calò il silenzio, interrotto soltanto dal rumore del mare.

   Deglutii a fatica. «Puoi... dire qualcosa, per favore?»

   I suoi occhi iniziarono a guardare dappertutto tranne che verso di me. Stringeva i pugni talmente forte che le nocche delle sue dita erano diventate completamente bianche.
   Mi avvicinai in silenzio, fino a che non lo sovrastai con la mia altezza. Gli diedi tempo, anche se non era da me.

   «Io non sto fingendo», esordì alla fine, la voce tremante. E finalmente il suo volto si sollevò verso il mio, l'espressione dura e insicura allo stesso tempo. «Ma cosa dovrei fare?»

   A quel punto capii di essermi sbagliato. Hinata non stava evitando il discorso, semplicemente non sapeva come ci si dovesse comportare in quelle situazioni, e piuttosto che allontanarmi, agiva come suo solito, forse sperando di capire strada facendo. In qualche modo, lui si era già esposto. Non era codardo come me: quello che stava scappando, in realtà, ero io.
   Scrutai i suoi occhi, colto alla sprovvista dai miei stessi pensieri. Anch'io, cosa avrei dovuto fare? Mi sentii perso quanto lui.

   «Pensavo che ormai non ci fosse più bisogno di dirtelo», sussurrò lui.

   «Che cosa?»

   «Che mi piaci.»

   Sentii qualcosa alla bocca dello stomaco muoversi, una strana sensazione di vuoto, come quella che ti prende quando sei sulle montagne russe poco prima di affrontare la discesa più ripida di tutte.
   Hinata era di una trasparenza unica, quasi sconvolgente. Sbagliava soltanto a pensare che i suoi atteggiamenti fossero abbastanza ovvi da non necessitare di spiegazioni. Ma capivo persino io, che come lui non avevo alcuna esperienza, che prima o poi avremmo dovuto affrontare un qualche tipo di discorso. Non potevo semplicemente basarmi su qualche segnale ambiguo.

   «Kageyama», mi supplicò quasi, mentre mi rendevo conto di quanto fossimo terribilmente vicini. «Possiamo... andare a mangiare adesso?»

   Nei suoi occhi grandi, anche se oscurati dalla mia ombra, lessi tutta la vergogna che stava provando in quel momento. Sbuffai dal naso, mentre con una mano dietro alla nuca attiravo il suo viso al mio.

   «No.»

   Le nostre bocche si scontrarono già dischiuse e vogliose l'una dell'altra. Seppur essendo stato preso alla sprovvista, Hinata insidiò la lingua tra le mie labbra, facendosi strada finché non ebbe conquistato la mia intera bocca. Mi tolse il fiato e mi fece tremare le gambe, quasi dovetti sostenermi al suo corpo ormai incollato al mio, le braccia tese fin sopra le mie spalle e le mani strette nei miei capelli.
   Ero stato io a baciarlo, ma era decisamente lui a comandare i nostri movimenti.
   Mi morse il labbro inferiore con troppa foga, facendomi gemere, ma non si fermò. Per scusarsi passò la punta della lingua dove probabilmente mi aveva aperto un piccolo taglio. Aprii di poco le palpebre e con sorpresa incontrai le sue iridi luminose. Ci guardammo senza staccarci, chiedendoci a vicenda con quello sguardo se stessimo facendo la cosa giusta. Ma alla fine non mi importava niente.
   Non ci fermammo nemmeno quando le nostre labbra furono rosse e gonfie, nemmeno quando il rumore dei nostri stomaci affamati sovrastò quello delle onde del mare. Il sapore che mi invadeva la bocca era già abbastanza per me.
   C'eravamo soltanto noi, nessun altro, nessuno poteva vederci. Forse soltanto le stelle sulle nostre teste.











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Capitolo 5
*** L'amore è come una bomba ***








Steps










- L'amore è come una bomba -










   Secondo giorno di ritiro.
   Il mio autocontrollo era al limite.

   «Kageyama! Hai intenzione di finire l'acqua calda? Sei dentro da mezzora!»

   Al limite, sul punto di attaccare al muro quell'idiota di Hinata e fargli male. Quel genere di male, si intende.
   Lui mi fissava da dietro il vetro appannato della doccia, i pugni stretti e quel suo solito broncio offeso stampato in faccia. Il bagno era in comune, la doccia una per squadra, e lui era la seconda sera che veniva a farmi fretta quando arrivava il mio turno. Lo stava facendo volontariamente.
   Aprii il vetro scorrevole e lo agguantai per il collo della maglia, cercando di tirarlo dentro. Il fatto che fossi completamente nudo davanti a lui non mi toccava minimamente. Se non avesse voluto guardare, non sarebbe nemmeno dovuto venire lì.

   Si mise a sbraitare, opponendo resistenza e tirando dalla parte opposta. «Oi! Che fai?»

   Lo trascinai dentro con tutti i vestiti, ciabatte comprese. Richiusi la cabina doccia e lo spinsi contro il muro, tenendolo ancora per la maglia ormai fradicia come tutto il resto. Soltanto allora smise di dimenarsi e puntò gli occhi nei miei. Il mio viso era a un soffio dal suo.

   «Piantala di provocarmi», sussurrai, mentre vedevo il suo sguardo cadere sulle mie labbra. «Lo so che lo stai facendo apposta.»

   Due giorni che eravamo lì, due giorni che non lo sfioravo nemmeno con un dito. Stavo impazzendo, e a quanto pareva anche lui. Me ne diede la conferma infilandomi avidamente la lingua in bocca e ribaltando la situazione: ora quello contro al muro ero io, con entrambe le sue mani aggrappate ai capelli bagnati dietro alla mia nuca.
   Era quello che voleva quel piccolo stratega sin dall'inizio. Era quello che volevo io.
   Mentre lui mordeva il mio labbro inferiore tra mugugni e sospiri, le mie mani viaggiavano sul suo corpo, accarezzando i muscoli della sua schiena da sopra la sua maglietta bianca, ormai completamente trasparente. Non sapevo come muovermi, ma in un certo senso lo sapevo perfettamente.
   Hinata si staccò dalle mie labbra soltanto per riprendere fiato, guardandomi in estasi. Bastava il suo viso ad eccitarmi: la sua espressione, gli occhi lucidi, la bocca umida e gonfia, le gote rosse e i capelli incollati alla fronte. Nemmeno io riuscivo a spiegarmi quelle ondate di calore misto a piacere che sentivo nel basso ventre.
   Soltanto in quel momento realizzai la situazione e mi vergognai della mia erezione. Non volevo che se ne accorgesse, anche se sapevo che probabilmente lo aveva già fatto da un pezzo. Lo costrinsi a ruotare su se stesso e a darmi la schiena, poi lo strinsi da dietro, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo.
   Non mi ero mai sentito così.

   «Kageyama?» mormorò lui con un velo di preoccupazione nel tono della voce.

   Non risposi, lo abbracciai soltanto, forse ancora più stretto. Lasciai che l'acqua scorresse su di noi e sperai che bastasse per tranquillizzarmi. Invece non fu così. Sentivo di avere il viso in fiamme, ma mai quanto il mio membro.

   Non posso chiedergli una cosa del genere, pensai quasi tremando, mentre nella mia testa compariva l'immagine perfetta di quello che avrei voluto che accadesse in quel momento.

   «Kageyama», mormorò Hinata, e lo sentii sorridere anche senza vederlo.

   Sciolse quell'abbraccio e si voltò. Sì, sorrideva, anche se riuscivo a malapena a guardarlo in faccia. Si avvicinò in modo che i nostri nasi si sfiorassero e puntò gli occhi nei miei.

   «Lasciami fare», sussurrò e si leccò le labbra.

   Mi fece tremare.
   Scese lungo il mio corpo non staccando gli occhi dai miei, increduli e forse anche un po' impauriti, fino a quando non fu in ginocchio, il viso davanti al mio membro eretto e più coraggioso di me.
   Sapevo che Hinata non aveva mai fatto una cosa del genere prima di allora, eppure mascherava bene la sua agitazione. O forse non era agitato, forse era solo... eccitato. Mi voleva e basta.
   Entrai in una specie di bolla in cui ogni suono era ovattato, in cui riuscivo soltanto a percepire poche e confuse informazioni.
   Il muro freddo contro il quale mi abbandonai con la schiena, pregando che aiutasse le mie gambe instabili a reggermi in piedi.
   Quegli occhi che mi guardavano dal basso.
   La bocca di Hinata che si chiudeva calda attorno a me, che succhiava.
   Il mio rantolo strozzato, bloccato in gola.
   La sensazione di esplodere da un momento all'altro.
   L'orgasmo.











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