Alice e l’Ultima Avventura

di Omegasr
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Scelta ***
Capitolo 2: *** La Caduta ***
Capitolo 3: *** Il Lago del Capriccio ***
Capitolo 4: *** La Lacrima e la Teiera ***
Capitolo 5: *** La Persona Giusta ***



Capitolo 1
*** La Scelta ***


<< E il sangue del Ciciarampa... hai la nostra eterna gratitudine >>, mormorò la Regina Bianca.

Poi, volteggiando e facendo svolazzare le braccia in alto, come fosse la più candida delle farfalle, porse l’ampolla piena del liquido viola ad Alice.

La prese con cura e la rigirò fra le mani, titubante.

<< Questo mi riporterà a casa? >>.

<< Se è quello che scegli >>, rispose la sovrana, raggiungendo i suoi amici.

Lei giocherellò ancora un po’ con la bottiglietta, scrutando tutti i volti felici che aspettavano pazienti che la ragazza prendesse una decisione.

Questo avrebbe scelto, di andare via?

Guardò Pincopanco e Pancopinco bisticciare allegramente per decidere chi avesse combattuto più valorosamente.

Osservò Mally, fiero, con la sua piccola spada ancora sguainata, con al fianco il Leprotto Marzolino ed il suo sguardo folle.

Osservò Bayard con la sua ritrovata famiglia.

Sorrise allo Stregatto che, anche potendolo fare, non avrebbe mancato di sorriderle a sua volta.

Infine, posò gli occhi sulla Regina Bianca, l’amata sovrana del regno, che indossava nuovamente la sua corona.

Per un momento, un breve momento, Alice pensò di restare.

Pensò di togliersi quella pesante armatura e di dare il via ai festeggiamenti.

Di svegliarsi l’indomani sulla grossa radice di un albero della foresta, od accanto ad uno dei ciliegi in fiore di Marmorea; pensò che avrebbe fatto colazione al Vecchio Mulino con un buon tè, per poi festeggiare insieme ai suoi amici tutto il pomeriggio e tutta la sera seguente.

Ma non poteva farlo.

Non poteva lasciare sua madre e sua sorella a penare per ritrovarla, e, per quanto non le dispiacesse troppo l’idea, non poteva lasciare Hamish sotto il gazebo, con gli occhi di tutti puntati addosso, senza dargli una risposta.

Doveva dirgli addio.

Prese coraggio ed aprì l’ampolla, pronta a prendere un sorso della poltiglia purpurea al suo interno.

<< Potresti restare >>, mormorò appena una voce alle sue spalle, quasi avesse paura di fare quella proposta.

La ragazza si girò.

Guardò negli occhi l’uomo per il quale aveva rischiato di morire solo poche ore dopo averlo conosciuto.

Osservò bene i vivaci colori sul suo viso, per non dimenticarli mai.

<< Che bell’idea >>, sorrise, << Che folle, pazza, meravigliosa idea >>.

Il Cappellaio le rispose con uno dei suoi sorrisi più sinceri, non trovando più, però, quello di Alice ad accompagnarlo.

<< Ma non posso... ci sono domande a cui devo rispondere... e cose che devo fare >>.

Il sorriso del Cappellaio morì com’era nato.

La ragazza, ricorrendo a più coraggio di quanto non avesse dovuto usarne per uccidere il Ciciarampa, stappò la bottiglia e ne bevve il contenuto.

Se ne pentì, non appena l’ebbe fatto.

<< Tornerò prima che te ne accorga >>, cercò di rincuorarlo.

<< Non ti ricorderai di me >>.

<< Certo che mi ricorderò! Come potrei dimenticare? >>, esclamò, cercando di convincere entrambi.

<< Cappellaio... perché un corvo assomiglia a una scrivania? >>.

L’uomo sorrise e socchiuse gli occhi.

<< Non ne ho la più pallida idea >>.

Alice rispose al sorriso.

Il Cappellaio si avvicinò lentamente alla ragazza ed accostò le labbra alla chioma dorata per poterle sussurrare qualcosa all’orecchio.

<< Buonviaggioavederci >>, disse, e tornò al suo posto, sorridendo triste.

Quella fu l’ultima immagine che ad Alice fu concesso di vedere; pochi istanti dopo stava risalendo su per la tana di coniglio, fino ad uscirne.

 

Con i vestiti sporchi di terra e stropicciati, si diresse correndo al gazebo degli Ascot, trovando tutti lì, ancora in attesa di una risposta.

Gli sguardi e le reazioni non tardarono ad arrivare.

<< Buon Dio! >>, << È lei? >>, << È tutta sporca! >>, << Cosa sarà accaduto? >>.

Tuttavia, l’unica domanda alla quale Alice decise di rispondere, fu quella di sua madre.

<< Che ti è capitato? >>.

<< Sono caduta e ho picchiato la testa >>, mentì.

Si rivolse al suo pretendente.

<< Mi dispiace Hamish, non posso sposarti. Non sei l’uomo giusto per me. E poi hai problemi con la digestione >>.

Poco prima di passare oltre e dargli le spalle poté intravedere uno sguardo fra l’imbarazzato ed il disgustato sulla faccia dell’uomo.

Arrivò di fronte a sua sorella e le prese le mani.

<< Ti voglio bene Margaret, ma questa è la mia vita e decido io come viverla >>.

Poi passò davanti al marito di Margaret, squadrandolo con aria severa.

<< Siete fortunato ad avere mia sorella per moglie, Lowell. Vi terrò d’occhio molto da vicino >>.

Arrivò dalla zia, e prese delicatamente anche le sue mani.

<< Non esiste nessun principe, zia Imogene. Dovresti parlare con qualcuno di queste fantasie >>.

Guardò scontrosa Lady Ascot e le rivolse una sola frase: << E a me piacciono i conigli. SPECIALMENTE quelli bianchi >>.

Arrivò di fronte a sua madre, che la guardava severamente.

<< Non temere madre, troverò il modo di rendere utile la mia vita >>, le disse sorridendo.

Poi si girò verso le gemelle Chattaway.

<< Voi due mi ricordate due buffi personaggi del mio sogno >>.

Si guardarono perplesse.

<< Avete lasciato fuori me >>, disse una voce anziana ed affaticata alle sue spalle.

Era Lord Ascot.

<< Niente affatto, signore. Io e lei dobbiamo discutere d’affari >>.

Sorrise.

<< Ne vogliamo parlare nel mio studio? >>, rispose, anche lui con un sorriso gentile.

Si allontanò fra la folla, ma, poco prima di andarsene, esclamò << Un’ultima cosa >>, ed improvvisò i passi finali della Deliranza, godendosi gli sguardi pregni di sdegno sui volti aristocratici degli spettatori.

 

Alice ed il Signor Ascot parlarono a lungo delle possibili rotte da seguire, chiusi nello studio del Lord.

La ragazza propose infine di espandere il commercio ben oltre le rotte proposte da suo padre;

<< Essere i primi a commerciare con la Cina, ve lo immaginate? >>, esclamò emozionata.

L’uomo la guardò impressionato.

<< A chiunque altro avrei detto che stava perdendo il lume della ragione. Ma quello è uno sguardo che conosco. Bene. 

Visto che non sarai più mia nuora, potresti valutare di diventare un’apprendista della compagnia >>.

Sul volto di Alice, nacque d’istinto un grande sorriso colmo di riconoscenza.

Lord Ascot le proponeva una vita piena d’avventura, di scoperta, una vita più eccitante di qualunque altra che potesse vivere una donna su quella Terra.

“Su questa Terra”, pensò, ed il sorriso le morì in viso.

Le proponeva una vita piena d’avventura, è vero, ma anche lontana dalla sua famiglia.

Era tornata per poter dare spiegazioni a sua madre ed a sua sorella, ma si rese conto di non aver mai avuto realmente intenzione di restargli accanto.

Lei voleva partire, voleva andare all’esplorazione.

E questo, purtroppo, comportava il doversi separare dai propri cari.

Tuttavia, se doveva vivere un’avventura, non voleva certo farlo solcando i mari di quel mondo.

Guardò l’anziano uomo di fronte a lei con fermezza.

<< Sono lusingata, Lord Ascot, ma temo di aver già programmato un altro viaggio per il prossimo futuro. So che avrete estrema cura della nave di mio padre, che avrete abbastanza poco buon senso da investire il vostro denaro in spedizioni fuori dal lume di ogni ragione, e che di certo troverete capitani in grado di affrontarle >>, gli disse calma. << Ma mi rincresce doverle dire che io non potrò farne parte >>.

Lord Ascot, sorpreso dalle parole della giovane, la guardò allontanarsi e lasciare il suo studio, consapevole del fatto che non ci avrebbe più messo piede.

 

<< Un viaggio? >>, chiese la donna, preoccupata.

<< Sì, madre, un viaggio >>.

<< Un viaggio quanto lungo, se mi è concesso saperlo? >>, ribatté stizzita.

<< Molto lungo, spero >>.

La ragazza trafficava con abiti e valigie, scegliendo cosa portare, cosa indossare e cosa lasciare a casa.

<< Ma Alice! E la tua vita? Insomma, dove hai intenzione di andartene? >>.

Alice smise di sistemare il necessario per partire ed invitò sua madre a sedersi sul letto accanto a lei.

Le prese le mani e la guardò sorridente.

<< Non temere madre. Io starò bene. Sarò felice >>, tentò, ma la donna non sembrava affatto rincuorata.

<< Ricordi che ti ho detto che avrei trovato il modo di rendere utile la mia vita? >>.

Lady Kingsleigh annuì debolmente.

<< Papà diceva sempre che il modo migliore per rendere utile la propria vita è viverla facendo ciò che ci rende felici >>.

La donna abbassò lo sguardo e sorrise malinconica, ricordando le massime di suo marito.

<< Io non ti prometto che farò la vita che si addice ad una signora, né che starò sempre al sicuro. Ma ti prometto che sarò felice >>.

A quelle parole, la Signora Kingsleigh posò il suo sguardo sulla ragazza, mentre una lacrima le solcava il volto.

<< Oh, Alice... >>, sospirò.

Le due si strinsero in un abbraccio colmo di emozioni.

<< Mi mancherai moltissimo >>.

<< Anche tu mi mancherai, madre >>.

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Capitolo 2
*** La Caduta ***


L’indomani Alice si svegliò all’alba, stiracchiandosi e stropicciandosi gli occhi, ancora immersa nel suo mondo dei sogni.

Un enorme sorriso le si disegnò in volto, al pensiero di tornare a far parte di quel folle, meraviglioso mondo.

Aprì l’armadio e ne tirò fuori l’abito più anonimo che possedeva; non voleva turbare la madre più di quanto non lo stesse già facendo.

Lo indossò tuttavia senza corsetto né calze.

Poi prese una vecchia bambola di porcellana e la spogliò completamente: prese il coloratissimo vestitino che indossava, di un acceso rosso con dei ricami verde smeraldo, le piccole scarpette gialle e l’ampio, seppur in miniatura, cappello a cilindro.

Aveva sempre amato quella bambola.

La ripose nell’armadio e la salutò, mettendo i vestiti in valigia assieme al resto del necessario per partire.

Raggiunto l’uscio vi trovò sua madre e sua sorella, già vestite di tutto punto, pronte per dire addio alla piccola di casa.

<< Mi raccomando, Alice, fa attenzione >>, si raccomandò la Signora Kingsleigh, tutt’altro che rilassata.

<< Ripetimi ancora dove sei diretta >>, le chiese Margaret.

<< Vado all’esplorazione! >>, rispose lei semplicemente.

<< D’accordo, ma dove? >>.

<< Non ne ho idea! >>, mentì Alice, e le sorrise.

La sorella sbuffò leggermente, ma le restituì il sorriso.

<< Quando ti rivedremo? >>.

<< Tornerò non appena mi sarà possibile >>.

I saluti non si protrassero oltre quelle poche parole, un paio di abbracci ed ulteriori raccomandazioni da parte di Lady Kingsleigh.

Finalmente, Alice salì sulla carrozza e partì.

 

Non era certa di come avrebbe fatto ad introdursi nel maniero degli Ascot per raggiungere la tana di coniglio, ma non se ne preoccupava. Avrebbe certamente trovato un modo.

Per il momento, si godeva le squisite emozioni che quel viaggio le stava già regalando e che sapeva le avrebbe regalato in futuro.

Avrebbe rivisto lo Stregatto, il Bianconiglio, persino rivedere la Regina di Cuori, in quel momento, le avrebbe dato un’immensa gioia.

Ma soprattutto avrebbe rivisto il Cappellaio.

Guardò fuori dal vetro della carrozza pregustando tutte le meravigliose avventure che avrebbe vissuto in compagnia dei suoi amici, e, in men che non si dica, arrivò di fronte alla villa degli Ascot.

Scese dalla carrozza e pagò il cocchiere, arrivando di fronte al cancello nero.

Ora si trattava soltanto di attraversarlo.

“Si potrebbe scavalcare”, pensò, ma si ricordò dei cani che la Signora Ascot amava spedire alle calcagna dei poveri conigli, e decise di optare per il campanello.

Un maggiordomo basso, magrolino e vestito di tutto punto le venne incontro.

Camminava in modo incredibilmente buffo, barcollando di qua e di là con i piedi a papera. Ad Alice ricordò le rane impiegate dalla Regina Rossa.

<< Posso esservi utile? >>.

La ragazza ci pensò qualche secondo, mentre cercava di cacciare via il pensiero di Lady Ascot che si fa servire il tè da una rana in Frac.

<< Sono qui per vedere Lord Ascot >>.

<< Ha un appuntamento? >>.

<< No, ma è piuttosto importante e non avrò certo tempo per parlargli in un altro momento. Vedete, sono prossima alla partenza >>, spiegò, indicando il grosso bagaglio ai suoi piedi.

Il maggiordomo la squadrò dalla testa ai piedi un paio di volte.

Poi aprì il cancello e fece cenno ad Alice di entrare.

Insieme camminarono fino all’entrata della villa, lungo un sentiero di ghiaia, superando il grande albero sotto al quale si trovava l’entrata per Sottomondo.

<< Attendete qui, per favore >>, disse, ed entrò nella casa per andare a chiamare Lord Ascot.

Quello era il suo momento; doveva correre fino all’albero ed entrare nella tana prima del ritorno del maggiordomo.

Avrebbe pensato ad un ripensamento e nessuno si sarebbe chiesto che fine avesse fatto.

Prese la pesante valigia e si diresse più velocemente che poteva all’albero sotto il quale aveva vissuto l’esperienza più incredibile della sua vita.

Una volta arrivata, vi girò attorno un paio di volte, pronta ad entrare nella tana, ma, con suo grande rammarico, non la trovò.

La buca non c’era più!

Girò e rigirò attorno all’albero, sperando di vederla comparire, ma niente.

E se non fosse mai riuscita a trovarla? E se avesse perso l’unica possibilità di vivere quella magnifica vita?

Non aveva neanche salutato il Cappellaio come si deve.

“Tornerò prima che te ne accorga”, gli aveva detto.

E se non fosse riuscita a mantenere la promessa?

In un istante, tutta l’emozione di Alice si tramutò in inquietudine.

Si sedette sulla grossa radice e poggiò i gomiti sulle ginocchia, fissandosi le scarpe.

“Perché non posso entrare?”, si chiedeva.

“Forse è colpa mia. Forse chi ne è uscito non può più rientrare”.

“Ma no, io ci sono entrata due volte, è assolutamente impossibile!”.

“Impossibile... ma certo! Sei cose impossibili, non le ho ancora pensate oggi! Dunque, vediamo...”.

Chiuse gli occhi, immersa più intensamente nei suoi pensieri.

“Uno: Ho ucciso il Ciciarampa.

Due: La Deliranza si balla facendo roteare la testa a trecentosessanta gradi.

Tre: Il sangue del Ciciarampa mi ha riportata a casa.

Quattro: Una volta tornata, non ho dimenticato.

Cinque: Ho lasciato casa per vivere nel Paese Delle Meraviglie.

Sei: Ora aprirò gli occhi e troverò l’entrata”.

Alice aprì un occhio alla volta.

Tastò il terreno con le mani e girò nuovamente attorno all’albero.

Niente.

Nessuna tana di coniglio, nessun Paese Delle Meraviglie.

Si risedette sulla grossa radice e si coprì il volto con le mani, sull’orlo delle lacrime. Doveva rinunciare a tutto e tornare a casa?

Fino a che...

<< Mi pareva di avertelo già detto, sciocchina >>.

Quella voce era così familiare...

<< Nessuno ha mai risolto nulla con le lacrime >>.

La ragazza aprì gli occhi e vide una piccola farfalla di un blu intenso svolazzarle davanti agli occhi.

<< Brucaliffo! >>, esclamò, asciugandosi le lacrime.

<< Alice, mia cara. Adesso ti riconosco! Perché tanta tristezza? >>.

<< Voglio tornare, Brucaliffo. Ho cercato e ricercato, ma non riesco a trovare l’entrata. Tu sai come fare a raggiungerla? >>.

La farfalla le svolazzò attorno alla testa e si rimise di fronte al suo viso, quasi cercasse di guardarla negli occhi.

<< E così vorresti tornare, eh? >>.

<< Sì! Dimmi come posso fare >>.

<< Ne sei certa, Alice? Una volta entrata, con ogni probabilità non potrai più tornare indietro >>.

Alice aveva già considerato questa possibilità, ma ci pensò nuovamente per qualche secondo.

Poi, determinata, rivolse nuovamente lo sguardo al Brucaliffo ed annuì decisa.

<< Molto bene! Sei persino più Alice dell’ultima volta che ci siamo incontrati >>.

La ragazza sorrise, e la farfalla iniziò a librarsi in aria, sempre più in alto, per poi precipitare verso il basso a tutta velocità.

Alice trattenne il fiato, per un momento pensò che si sarebbe schiantata al suolo, ma invece...

Un’enorme buca si formò nel terreno tremante pochi istanti prima che l’insetto toccasse terra.

Il Brucaliffo finì nel buco e vi scomparse all’interno.

Ora era il suo turno.

Trascinò la valigia fino al bordo della tana e vi si posizionò con le gambe a penzoloni.

Prese fiato, chiuse gli occhi, si aggrappò salda al manico del suo bagaglio e si tuffò nell’oscurità della tana, iniziando a precipitare per miglia e miglia, in una caduta apparentemente senza fine.

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Capitolo 3
*** Il Lago del Capriccio ***


La seconda discesa fu completamente diversa dalla prima.

Alice sapeva che sarebbe arrivata a terra incolume, e poté così godersi la caduta come fosse parte dell’esplorazione di quel mondo.

Osservò gli oggetti di varia natura librarsi come piume nel vento, del tutto esenti dalle leggi della fisica.

Un pianoforte le si avvicinò, come l’ultima volta che era caduta, ma questa volta suonò una meravigliosa, dolce melodia, molto più bella di qualunque musica che la ragazza avesse mai sentito.

Non cadde di peso sulla vecchia poltrona di velluto, ma vi si adagiò con grazia, prima di continuare il viaggio verso il fondo.

Questa volta Alice, anziché rompere il pavimento e schiantarsi di faccia sul soffitto della stanza delle porte, vide la gonna del suo vestito gonfiarsi a mo’ di mongolfiera ed atterrò leggera, lentamente.

“Buffissimo”, pensò, ed ebbe un déjà vu, come se avesse vissuto quella stessa situazione in un sogno lontano nella sua memoria.

Ma quello non era un sogno, lo sapeva bene.

La valigia, che non pareva vantare la stessa grazia della sua proprietaria, arrivò a tutta velocità, bucando il pavimento e schiantandosi sul soffitto della stanza sottosopra, per poi ricadere sul pavimento.

Alice, dal canto suo, ringraziò l’oggetto per aver creato un passaggio attraverso il quale infilarsi nella stanza.

Una gamba alla volta vi entrò e dapprima ebbe la sensazione di camminare a testa in giù, ma si stabilizzò in fretta.

Vide una bottiglia con su scritto “bevimi” preparata su un tavolino al centro della stanza, accanto ad una chiave, ed un minuscolo pezzo di torta con su scritto “mangiami” sul pavimento.

Questa volta era preparata.

Aprì la valigia e ne tirò fuori il piccolo vestito colorato che aveva tolto alla bambola, le scarpette gialle ed il cappello a cilindro in miniatura.

Con la chiave aprì la porticina e si mise ad infilare ad uno ad uno tutti i vestiti che aveva preparato in valigia all’interno della fessura, tranne il vestitino della bambola.

Poi, con la chiave ancora stretta in mano, stappò la bottiglia e bevve una generosa quantità del liquido al suo interno.

Guardò in alto e vide il ghirigoro sul soffitto farsi sempre più distante. Sentì i vestiti allargarsi ed i piedi stare sempre più larghi all’interno delle scarpe;

Quando ebbe finito di rimpicciolirsi, si tolse i pochi vestiti che le erano rimasti addosso ed indossò quelli sgargianti della bambola.

Raccolse il pezzo di torta, ora di dimensioni ordinarie, e riaprì la porticina, varcandola immediatamente dopo.

Ed eccolo lì, il Paese delle Meraviglie.

Bellissimo, colorato, bizzarro e mozzafiato come la prima volta che l’aveva visto.

Questa volta, però, la prima parola che le venne in mente non fu “buffo”, né “buffissimo”.

Fu “casa”.

 

Prese uno dei suoi abiti e vi appallottolò dentro tutto il resto della sua roba, per poi mettere l’enorme fagotto in spalla e trascinarselo dietro.

Non sapeva da dove iniziare.

Il suo primo pensiero fu quello di andare dal Cappellaio, ma non sapeva come andarci; era stato lo Stregatto ad indicarle la via la prima volta e non aveva idea di dove avrebbe potuto trovarlo in quel momento.

Così, decise di camminare e di vedere dove quell’eccentrico mondo l’avrebbe portata.

Vagò per Sottomondo per quelle che le sembrarono ore, osservando posti meravigliosi ed inimmaginabili.

Scoprì un campo pieno di girasoli di tutti i colori, alti come alberi. Sarebbero sembrati imponenti anche se fosse stata della statura giusta.

Poi trovò un nido di mosche cavalline e ne trovò un paio intente a nutrire i propri piccoli.

Parlò con varie rose, ma fu difficile spiegare loro che era a tutti gli effetti l’Alice giusta.

Ad ogni modo, i fiori non le credettero e si rifiutarono di darle indicazioni.

Camminò fino ad un lago e, sfinita, posò l’involto di vestiti sulla riva per rinfrescarsi un po’.

Si tolse il cappello e si tirò su le maniche del vestito, sporgendosi verso l’acqua cristallina, ma si fermò poco prima di raccoglierla.

Nello specchio d’acqua non vide affatto il suo riflesso.

Vide invece un grosso, grasso bambino capriccioso che non smetteva di agitarsi nella sua culla. Poi, finalmente, arrivò anche lei all’interno dell’immagine: prese il goffo neonato fra le braccia ed iniziò a cullarlo, cercando di farlo calmare, ma senza alcun successo.

Rimase ferma a guardare quell’immagine per degli interi minuti senza riuscire a capirne il senso.

<< E così, è questo che hai scelto di fare durante le prime ore del tuo trionfante ritorno? Te ne stai a rimuginare su ciò che sarebbe potuto essere? >>, parlò una voce familiare alle sue spalle.

Alice si girò, ma non vide nessuno.

<< Stregatto? >>, parlò al vuoto.

Passarono pochi secondi, ed ecco che una testa felina fluttuante, con un enorme sorriso da orecchio a orecchio, prese a barcollare di fronte alla ragazza.

<< Ben tornata, Paladina! >>, esclamò allegro.

<< Stregatto! Oh, mi sei mancato >>, provò ad abbracciarlo, ma questo evaporò proprio in quel momento ed Alice cadde di faccia dentro l’acqua del lago.

La scena che dapprima vedeva come un semplice riflesso, ora era diventata tangibile: la guardava dall’alto senza poter interagire.

Quello era...

<< Hamish? >>, sussurrò la ragazza alla figura maschile ora comparsa accanto al suo doppione.

Lei, Hamish, ed un enorme neonato dai capelli rossicci se ne stavano immobili, a discutere di chissà cosa sul fondo del lago.

Ritirò immediatamente il viso in superficie, sperando di non vedere mai più un’immagine simile.

<< È il Lago del Capriccio >>, lo Stregatto ricomparve accanto a lei.

<< Come? >>, chiese, ancora intontita da quel che aveva visto.

<< È così che lo chiamano, “il Lago del Capriccio”. O anche “Lago Bocca di Leone”. Per il fiore. Vedi? >>.

Lo stregatto indicò un gigantesco fiore al centro del bacino d’acqua.

La ragazza si chiese come avesse fatto a non notarlo prima.

<< È quello che ti permette di vedere quelle immagini >>, continuò lui, volteggiando in aria, comparendo e scomparendo ad ogni frase, con il sorriso sempre largo sul volto.

<< Vedi ciò che sarebbe potuto accadere se avessi preso decisioni differenti. Se la visione ti rende triste, allora hai fatto la scelta giusta. Al contrario, devi tornare sui tuoi passi. Il problema è quando non riesci a capire cosa senti >>.

<< Cosa succede allora? >>.

<< Beh... si diventa matti! >>.

Alice restò in silenzio per qualche secondo a pensare al Lago dei Capricci.

<< E dimmi un po’... come mai di nuovo così piccola? >>, chiese.

<< Oh, volevo mangiare la tortinsù una volta passata la porta, ma... ecco, non ho vestiti più grandi altrettanto colorati! >>.

<< Capisco >>, disse, e scomparve di nuovo per poi riapparire dietro la ragazza.

<< Il Cappellaio potrebbe aiutarti a trovare dei vestiti altrettanto colorati e della giusta misura >>.

<< Puoi portarmici, Stregatto? >>.

Il felino allargò maggiormente il sorriso e fece un piccolo inchino ad Alice, indicandole la strada da seguire.

<< Da questa parte, Paladina >>.

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Capitolo 4
*** La Lacrima e la Teiera ***


Alice e lo Stregatto camminarono a lungo.

Dovettero farsi tutta la spiaggia del Lago del Capriccio fino alla sponda opposta e, quando raggiunsero la fitta foresta nella quale si erano incontrati la prima volta, era ormai il calar del sole.

<< Come mai sei tornata? >>, chiese lo Stregatto.

Alice sorrise.

<< Non c’erano abbastanza matti di sopra! >>.

Il felino ridacchiò.

<< Quando ci siamo conosciuti dicesti di non voler andare in mezzo ai matti >>.

<< Non ricordo >>, disse la ragazza, alzando un sopracciglio.

<< Non puoi, eri troppo piccola, temo >>.

Seguì un breve silenzio, che Alice interruppe quasi subito.

<< Cosa mi rispondesti allora? >>.

<< Ti dissi che non c’era modo di evitare i matti. Qui siamo tutti matti. Io sono matto, tu sei matta. Credo di averti spaventata >>.

<< Si vede che non lo sapevo ancora >>, rispose lei.

<< Non sapevi cosa? >>.

<< Che tutti i migliori sono matti >>.

Il sorriso dello Stregatto si allargò più del consueto.

<< Tarrant sarà talmente lieto di rivederti... temeva che non saresti più tornata >>.

<< Gli ho promesso che sarei tornata prima che se ne accorgesse >>.

<< Oh, ma se n’è accorto, eccome! Tre giorni di festa e non una volta che abbia ballato la Deliranza, da quando sei andata via! >>, si lamentò. << L’aveva giurato, nel giorno Gioiglorioso l’avrebbe ballata. Chi s’immaginava che poi avrebbe smesso di nuovo? >>.

La ragazza parve sinceramente preoccupata dal quel comportamento così poco bizzarro da parte dello strambo amico.

<< Perché credi che non l’abbia più ballata, Stregatto? >>.

Il gatto fece spallucce.

<< Immagino che il giorno Gioiglorioso non sia stato poi così gioiglorioso, avendoti vista andare via >>, commentò.

Alice si arrestò bruscamente.

Non aveva idea che il Cappellaio potesse soffrire tanto per la sua partenza, né aveva avuto alcuna intenzione di ferirlo.

Decisa, puntò il suo sguardo negli enormi occhi verdi dello Stregatto.

<< Devi aiutarmi a fargli una sorpresa >>.

 

<< È quasi buio, Cappellaio, dovremmo rincasare! >>.

<< Va’ pure, Mally, io resto ancora un po’ >>.

Il ghiro salì sul tavolo e si mise in piedi davanti al Cappellaio, con le braccia sui fianchi e sbattendo nervosamente il piede sulla tovaglia.

<< Insomma... quand’è che smetterai di pensare a quella ragazza e ti godrai finalmente il frutto delle sue fatiche? Il regno è libero, Cappellaio! Niente più Capocciona! Dovresti festeggiare! >>, provò a rincuorarlo.

Ma non parve funzionare.

Un lieve sorriso apparve sul volto di Tarrant, ma non tanto ampio da fargli venire voglia di far festa.

<< Va’, Mally. E porta il Leprotto Marzolino, credo dorma da almeno quattro ore >>.

Benché Mallymkun non fosse il tipo che si arrende con facilità, decise che per quella sera i suoi tentativi di tirare su l’amico potessero concludersi.

Andò verso il Leprotto Marzolino e, con poca grazia, lo svegliò per portarlo a casa.

Questo borbottò qualcosa riguardo a dei biscotti farciti con crema di nocacao; poi si alzò e lo seguì barcollando.

Il Cappellaio rimase a lungo al Vecchio Mulino, a fissare un punto non ben definito della tavola apparecchiata.

Decise infine che era arrivato il momento di tornare a casa anche per lui; ma, proprio quando stava per alzarsi dalla sedia, sentì un fruscio provenire dall’altro capo del tavolo.

<< Chi è là? >>, chiese, a tratti incuriosito, a tratti intimorito.

Attese per qualche secondo una risposta che non arrivò mai;

Al suo posto giunse invece lo Stregatto, che si materializzò non molto distante da lui con un piccolo oggetto in mano.

<< Stregatto! Mi hai spaventato a morte! Stavo per tirarti uno dei miei spilli >>.

<< È l’ora tarda che rende tutto più tetro, Tarrant. Non dovresti essere già rincasato? >>.

<< Potrei farti la stessa domanda >>, rispose lui. << Cosa ci fai qui? >>.

<< Ero venuto a riportare una cosa al suo posto >>.

Il Cappellaio alzò un folto sopracciglio e si sporse in avanti per vedere cos’aveva il felino fra le zampe, ma non riuscì ad identificare nulla.

<< Cos’hai lì? >>, chiese quindi.

Lo Stregatto si avvicinò e gli porse una teiera bianca con dei ricami sopra.

Era la stessa teiera in cui dovette nascondere Alice per far sì che il Fante della Regina di Cuori non la trovasse.

L’uomo sorrise malinconico e la prese fra le mani; se la ricordava più leggera.

Ciononostante, apprezzò molto il gesto del gatto.

<< Grazie >>, sussurrò, con lo sguardo ancora fisso sull’oggetto ora in suo possesso.

Lo Stregatto gli diede le spalle ed il suo corpo iniziò ad evaporare; poco prima che anche la testa scomparisse, tuttavia, sussurrò qualcosa.

<< Aspetta almeno di aprirla prima di ringraziarmi! >>, e svanì.

Tarrant rimase immobile per qualche secondo, perplesso.

Avrebbe giurato di sentire qualcosa bussare dall’interno della teiera.

<< Impossibile >>, si disse, e posò la mano sul coperchio, pronto ad aprirla.

Prima ancora che potesse tirare su il tappo in ceramica, qualcosa lo spinse via da dentro: due piccole braccia si appoggiarono sul bordo dell’oggetto ed una testolina dai folti capelli biondi con su un piccolo cappello a cilindro, emerse dal fondo.

<< Non te l’hanno mai detto, Cappellaio >>, iniziò a parlare, << Che una cosa è impossibile soltanto se pensi che lo sia? >>.

 

Un enorme sorriso allegro ed una singola lacrima piena di gioia apparvero sul volto del Cappellaio.

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Capitolo 5
*** La Persona Giusta ***


Il Cappellaio rimase immobile a fissare la piccola figura all’interno della teiera che teneva fra le mani molto più a lungo del necessario.

<< Cappellaio? >>, provò a chiamarlo Alice, ma niente.

<< Cappellaio! >>.

Si ridestò.

<< Grazie >>, mormorò.

Poi, senza dire una parola, si rimise al suo posto, a capotavola, e posò delicatamente la teiera davanti a sé.

Poggiò la testa sui palmi delle mani ed i gomiti sul tavolo e rimase a fissare la ragazza fare acrobazie per cercare di venir fuori dall’oggetto in ceramica.

<< Che fai, non mi aiuti? >>, chiese Alice, con il cappello storto sulla testa ed il vestito che sembrava non voler lasciare l’interno della teiera.

Il Cappellaio la guardava pensieroso.

Dopo l’iniziale sorpresa ed annessa commozione nel ritrovare la sua Alice, sembrava si fosse messo a riflettere sul da farsi, ed il suo entusiasmo era improvvisamente svanito.

<< Tu non sei realmente qui, non è così? >>.

Alice lo guardò perplessa.

<< Certo che sono realmente qui. Dove altro dovrei essere? >>.

<< Nel tuo mondo, nel mondo di sopra >>, disse triste.

<< Eppure sono qui! Come potrei essere in un posto nel quale non sono? >>, chiese.

Lui parve pensarci un po’ su.

<< Allora dev’essere un sogno. Sì, lo è senza dubbio >>.

La ragazza gli sorrise.

<< Oh, Cappellaio... pensavo avessimo superato il periodo nel quale pensiamo di appartenere l’uno ai sogni dell’altra >>.

Riuscì finalmente ad uscire dalla teiera e si mise di fronte all’amico, mani sui fianchi, a guardarlo dritto nei suoi immensi occhi verdi.

Lui li socchiuse, come a cercare di guardarla meglio.

<< Andiamo... sono Alice! La tua Alice! Dovresti riconoscermi ovunque, no? Saprai distinguere la falsa me di un sogno dalla vera me! >>.

Il Cappellaio le si avvicinò: il suo volto era grande quanto tutta la ragazza.

Le avvicinò un grande dito pallido ed affusolato alla spalla e le spostò una ciocca ribelle di capelli dietro la schiena.

Lei lo seguì in ogni movimento e non smise mai di sorridergli.

<< Tu sei... tu? >>, le chiese, ancora con sguardo sospettoso.

<< Sono io >>.

Si allontanò leggermente, non pareva affatto convinto.

<< E dimmi, allora, perché un corvo assomiglia a una scrivania? >>.

<< Come? >>.

<< Ti crederò se saprai darmi una risposta. Allora saprò che sei la mia Alice >>, continuò lui.

<< Ma Cappellaio... >>.

Il Cappellaio incrociò le braccia; era categorico.

<< Io... io non lo so... >>.

<< Qual è la tua risposta? >>, le chiese serio come mai l’aveva visto prima.

<< Non c’è una risposta! >>.

<< Vuoi dire che un corvo non assomiglia a una scrivania? >>.

Un’espressione sconcertata, quasi offesa, si dipinse sul volto di Alice.

<< Ma certo che gli somiglia! Come potrebbe non farlo? È solo che non c’è una risposta! È talmente ovvio che non ha bisogno di alcun motivo per somigliargli! >>.

Il Cappellaio le si avvicinò, con la stessa espressione seria.

Questa mutò nuovamente nel largo sorriso che le aveva donato nell’attimo in cui l’aveva vista.

<< Alice! Sei proprio tu! >>, esclamò, e così facendo la tirò a sé come per abbracciarla.

La minuscola ragazza rischiò di cadere numerose volte prima che Tarrant la bloccasse stretta al suo petto, senza darle la possibilità di protestare.

Poi, con un balzo che le fece girare la testa, la rimise sul tavolo e le osservò bene, ancora al settimo cielo.

<< Mi piacciono i tuoi vestiti! >>, esclamò.

<< Grazie mille! >>, Alice arrossì leggermente. Nessuno le aveva mai fatto un complimento per qualcosa che LEI aveva scelto di indossare.

<< Ma come mai sei di nuovo così... >>, fece dei gesti con le mani, cercando di trovare l’aggettivo più adatto a descriverla,

<< ...corta? >>.

<< Non ho vestiti più grandi altrettanto belli e volevo presentarmi al meglio per il mio ritorno! >>.

Il Cappellaio si alzò con un guizzo allegro, si tolse il cappello e lo posò sulla tavola, accanto alla ragazza.

Lei lo guardò incuriosita.

<< La carrozza, ricordi? >>.

<< Dove vuoi portarmi? >>.

<< Ma a casa mia, naturalmente! Qui non ho il materiale necessario per cucirti un vestito delle dimensioni giuste! >>.

Alice gli sorrise e si arrampicò sul cappello.

 

La casa del Cappellaio era poco distante dal Vecchio Mulino.

Per molto tempo Alice si era chiesta in che casa potesse vivere un tipo del genere, ma si era risposta che in un sogno le persone non hanno bisogno di avere una casa, e che quindi lui poteva anche vivere alla tavola apparecchiata.

Da quando aveva realizzato che niente di quel mondo faceva parte della sua immaginazione, ci aveva pensato diverse volte, senza riuscire a darsi una risposta.

Per questo, quando i due arrivarono di fronte alla dimora di Tarrant, Alice non poté che darsi della stupida.

“Ma certo, un cappello! Come ho fatto a non pensarci...”, pensò.

Un imponente capello a cilindro fatto di cemento colorato li accolse con il suo tepore, salvandoli dal fresco che la notte aveva portato con sé.

La casa del Cappellaio era tutta un ghirigoro: una grande scala a chiocciola occupava la parte centrale del salotto, ed ogni stanza, nessuna esclusa, era disposta a cerchio.

Il divano era disposto a formare un mezzo cerchio, con un tavolino a chiuderlo.

I mobili della cucina formavano una circonferenza quasi perfetta, se non fosse stato per l’entrata della stanza.

Persino le cianfrusaglie erano sparse qua e là a formare tante piccole spirali.

<< Che buffo >>, mormorò.

Lui, che ancora non riusciva a credere di avere Alice lì, nella sua casa, si tolse il cappello e lo posò sul divano circolare, permettendole di scendere.

<< Cosa posso offrirti? Del tè? Del caffè? Della cioccolata? Del latte? >>, faceva avanti e indietro per il salotto, << Una tisana? Qualcosa da mangiare, una fetta di torta? Dei biscotti? >>, prese a trafficare con la dispensa in cucina, << Oh no, dannato Leprotto, ha finito tutti i miei biscotti! >>.

<< Cappellaio! >>, esclamò lei.

Lui si arrestò dov’era.

<< Grazie! >>, esclamò, e ritrovò subito il sorriso.

<< Sono molto stanca >>, gli confessò Alice, 

<< Non è che potremmo rimandare a domani mattina la colazione? >>.

Il Cappellaio le fece cenno di risalire sul cappello, e così lei fece.

Salì le scale a chiocciola ed aprì la prima porta che si trovò davanti: un grande letto a due piazze si trovava al centro della stanza, circondato da alte librerie circolari piene zeppe di tomi impolverati e mensole di legno con sopra pezzi di stoffa, ditali, fili colorati e cappelli già belli e pronti.

<< Il suo letto, madame! >>, disse porgendo il cappello alla superficie morbida.

<< Oh no, non posso accettarlo! Tu dove dormirai? >>.

<< Di questo non devi curarti, mia cara >>.

<< Ma a me non serve! Sono talmente piccola che potrei dormire dentro il tuo cappello! >>.

Il Cappellaio parve apprezzare l’idea: rimase imbambolato a fissare il vuoto, con il sorriso che andava via via allargandosi sul volto.

Poi scosse leggermente la testa, come se volesse sgrullarsi di dosso il pensiero, e tornò alla realtà.

<< Magari un’altra volta! >>, esclamò, e guardò Alice in un modo che lasciava ben intendere quanto non si potesse mettere in discussione l’assegnazione dei posti letto.

La ragazza lo accettò suo malgrado e si sedette sul bordo del materasso, con le gambe a penzoloni.

Tarrant le si sedette accanto e prese a guardare un punto imprecisato della libreria che aveva di fronte.

<< Sono così contento che tu sia tornata, Alice >>.

Lei lo guardò e gli sorrise; lui parve rispondere a quel sorriso, benché non le stesse rivolgendo lo sguardo.

<< Te lo avevo promesso. Mi spiace solo non aver fatto abbastanza in fretta. Lo Stregatto mi ha detto che non hai più ballato la Deliranza! >>.

<< La Deliranza è per gli avvenimenti gioiosi! Di certo la ballerò, domani. Quando andremo dalla regina Bianca >>.

Alice gli rivolse uno sguardo interrogativo e lui, finalmente, la guardò.

<< Oh beh, certamente vorrà organizzare una festa per il tuo ritorno! Ci andrai con il vestito che ti cucirò! >>.

Senza lasciar spazio ad ulteriori discussioni, il Caplellaio si alzò e si diresse verso la porta.

<< Sempre che tu non abbia altri programmi, ovviamente... che non includano il rimanere qui... >>, disse timoroso.

Alice sfoderò il sorriso più sincero che fosse in grado di fare.

<< E chi altro potrebbe cucirmi un vestito folle come lo sarà il tuo? >>.

Il volto del Capoellaio si rasserenò.

<< Hai scelto la persona giusta! >>, disse, uscendo dalla porta e richiudendosela alle spalle.

Alice raggiunse l’enorme cuscino e ci poggiò la testa, già euforica per la giornata che l’attendeva.

<< Lo so >>, mormorò tra sé e sé, e si addormentò più in fretta e più serena di quanto non avesse mai fatto.

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