Meant to be

di Halina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Luglio 1993 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Giugno 1994 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Luglio 1994 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Inizio Agosto 1994 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Metà Agosto 1994 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 – 20 e 21 Agosto 1994 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - 22 Agosto 1994 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - 23 Agosto 1994 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - 1 Settembre 1994 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Metà Ottobre 1994 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - 29 e 30 Ottobre 1994 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Inizio Novembre 1994 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Metà Novembre 1994 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - 22 Novembre 1994 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - 22 e 23 Dicembre 1994 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 - 23 e 24 Dicembre 1994 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 - 24 Dicembre 1994 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 – Fine Dicembre 1994 e inizio Gennaio 1995 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 - Gennaio 1995 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 - Febbraio e Marzo 1995 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 - Aprile 1995 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 - Maggio 1995 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 - 27 e 28 maggio 1995 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 - 24 Giugno 1995 ***
Capitolo 25: *** Epilogo - Luglio 1995 ***



Capitolo 1
*** Prologo - Luglio 1993 ***


Meant to be
 
Prologo - Luglio 1993
 

Con un sospiro soddisfatto, Nymphadora realizzò, fiera di sé, di essere riuscita a fare dalla cucina al salotto senza inciampare in nulla e senza far cadere il piatto di biscotti che teneva in bilico su un palmo, il libro che aveva sottobraccio, né la tazza di tea nell’altra mano.

Era stata una lunga giornata: dopo tutta la mattina passata a distillare pozioni, aveva dovuto affrontare un’esercitazione sul campo di Segretezza e Inseguimento. Era stata disastrosa, come al solito, e Dora non vedeva l’ora di blandire il malumore sprofondando sul divano e dedicandosi alla nuova edizione, ampliata e corretta, di “Vigilanza Costante”, l’unico manuale in adozione per il corso auror, in dodici pratici volumi.

“Questo, e questo soltanto, sarà il libro sul vostro comodino, pivelli!” li aveva salutati Alastor Moody, mettendo il pacco tra le braccia di ciascuno di loro otto “E ricordate…”

La ragazza sogghignò, imitando alla perfezione la voce del suo mentore: “Vigilanza costan…”

Non riuscì a finire la frase perché, con un secco schioppo, una testa apparve tra le fiamme del suo caminetto, causandole un piccolo urlo di sorpresa e facendole cadere di colpo la tazza fumante che si stava portando alle labbra.

“Shacklebolt! - esclamò allibita, riconoscendo il suo superiore - Per la barba di Merlino! L’ultima cosa che mi aspettavo era di vederti comparire così nel mio salotto!”

“Scusa, Tonks, - rispose serio il mago nero – ma è davvero urgente, devi venire subito al Ministero.”

“Al Ministero, ora? A mezzanotte e mezza?” chiese Tonks, i capelli rosa acceso che presero un allarmante colorito rosso fuoco mentre la ragazza si chiedeva se non fosse arrivato il momento buono, in cui le avrebbero detto che non c’era nulla da fare, era semplicemente troppo goffa, e avrebbe dovuto lasciare il training.

“Sì. E porta tua madre.”

Prima che Dora avesse tempo di chiedergli se avesse capito giusto, la faccia di Kingsley era scomparsa nuovamente. Scuotendo la testa sconsolata, appoggiò delicatamente libro e piatto su una mensola, fece sparire i resti del tea con un guizzo della bacchetta e corse su dalle scale, verso la sua camera nel sottotetto.
 
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Mezzora dopo, madre e figlia erano davanti alla porta del quartier generale Auror al Ministero della Magia. Come sua madre potesse essere sempre impeccabile, anche dopo essere stata svegliata nel cuore della notte, era un mistero che Tonks non sarebbe mai riuscita a svelare. Alta e composta, Andromeda aveva appena raggiunto la quarantina; aveva un profilo elegante, contornato da lunghi capelli castani raccolti in una treccia, e indossava un abito beige alla caviglia, con il corpetto finemente ricamato.

Tonks passò rapidamente in rassegna la lunga maglia nera, smanicata, che aveva infilato sopra i leggins, che finivano in un paio di vecchi anfibi slacciati, e valutò per un istante se fosse il caso di cambiare look ai capelli che, al momento, erano tagliati in modo irregolare appena sopra le spalle e avevano un insolito color rosa cicca. Accantonò il pensiero con un piccolo sospiro e, scambiato un ultimo sguardo con sua madre, bussò con forza.

La porta si aprì immediatamente davanti a loro, rivelando l’ufficio del capo del Dipartimento Auror, scarsamente illuminato. Il Direttore, Rufus Scrimgeour, sedeva imperturbabile alla scrivania, Kingsley Shacklebolt interruppe il suo camminare avanti e indietro per rivolgere loro un cenno del capo e indicare silenziosamente a Tonks la figura che voltava loro le spalle, in piedi accanto alla finestra magica.

Nymphadora sobbalzò, riconoscendo il profilo tarchiato del Ministro della Magia in persona ma, non appena ebbe colto con la coda dell’occhio l’ultima persona presente, fu questa a farle drizzare i capelli sulla nuca.

Sua madre vide l’esile, diafana donna seduta in fondo alla stanza nello stesso istante e si irrigidì impercettibilmente: “Narcissa” esalò piano.

L’altra voltò il viso nella sua direzione, concedendole un’occhiata gelida: “Andromeda” disse solo. Quanto a Tonks, non diede segno di averla nemmeno notata, men che meno presa in considerazione.

La ragazza si affrettò a guardare altrove, cercando Scrimgeour con lo sguardo. Lui si schiarì la voce, indicando delle poltroncine libere. Andromeda prese posto rigidamente accanto alla sorella, Nymphadora rimase in piedi accanto alla porta.

“Bene” esordì Scrimgeour “ora che ci siamo tutti possiamo iniziare. La notizia sarà di dominio pubblico domani mattina, ma abbiamo ritenuto opportuno – spiegò, accennando a Fudge con il capo – che voi veniste informate preventivamente. E privatamente.”

Nessuno ruppe il silenzio che seguì. Tonks azzardò un’occhiata a sua madre e sua zia, impassibili fianco a fianco. Non aveva mai visto sua zia se non in fotografia e sapeva che erano anni, ventuno anni per l’esattezza, che le due non si trovavano faccia a faccia nella stessa stanza, non da quando sua madre aveva annunciato che avrebbe sposato un muggle-born.

C’era solo un motivo che le veniva in mente per cui le due avrebbero potuto essere chiamate, lì, insieme. Andromeda e Narcissa Black avevano una sorella maggiore, rinchiusa ad Azkaban dalla fine della Guerra Magica che aveva visto la caduta di Voldemort.

Scrimgeour prese un gran respiro e riprese: “Questa è una gran brutta faccenda, per tutti, quindi vedrò di farla breve. Vostro padre, Cygnus Black, era fratello di Walburga Black, rendendo voi cugine di Sirius e Regulus Black.”

Tonks arricciò il naso e sgranò un poco gli occhi, perplessa. Dove stava andando a parare Scrimgeour con quell’excursus genealogico? Perché tirare in mezzo zii e cugini … a meno che …

“Un momento. Non si tratta di Bellatrix?” chiese, senza riuscire a trattenersi.

“No, non si tratta di Bellatrix. Si tratta di Sirius.”

“È morto?” chiese Andromeda, senza che nessuna emozione le trasparisse dalla voce.

La domanda era legittima, non era insolito che detenuti della prigione magica perdessero il senno dopo un periodo anche relativamente breve di detenzione e arrivassero a consumarsi, suicidarsi o lasciarsi morire.

“Non è morto - fu la risposta di Cornelius Fudge che, per la prima volta da quando erano arrivate, si era voltato verso di loro - È evaso.”

Un piccolo muscolo guizzò sul volto di Andromeda, mentre Narcissa diventava terrea, gli occhi che si facevano improvvisamente allarmati. Tonks alternò lo sguardo tra loro e i tre uomini dall’altro lato della stanza, confusa.

Aveva uno sbiadito ricordo di Sirius, che era stato l’unico parente da parte di madre che avesse mai conosciuto. Lo ricordava come un adolescente allampanato, con lunghi capelli corvini, che ogni tanto passava per cena durante le vacanze estive o sotto Natale. Aveva sette anni l’ultima volta che lo aveva visto, quando si era presentato a casa sua con una bicicletta volante, a immagine della sua moto, come regalo di Natale. Ricordava la sua risata, simile a un latrato, quando era andato a ripescarla dal cespuglio dove era finita a testa in giù, cadendo disastrosamente dal piccolo mezzo incantato.

Nei pochi mesi successivi tutto era precipitato: la guerra aveva raggiunto il suo momento più buio, i Potter erano stati uccisi, Sirius condannato e deportato ad Azkaban.

“Com’è possibile? - chiese Narcissa, dopo quelle che sembrarono ore - Nessuno può evadere da Azkaban.”

“Evidentemente, qualcuno può!” ritorse seccato Fudge.

Scrimgeour sospirò, passandosi una mano sugli occhi: “Ancora non sappiamo come abbia fatto. Il punto è che è là fuori, da qualche parte, e dobbiamo catturarlo il prima possibile. Shacklebolt – continuò, indicando l’alto mago nero appoggiato al muro – è stato messo a capo della Task Force che si occuperà delle ricerche. Vi sarei grato se poteste collaborare con lui, fornirgli tutte le informazioni che ritenete possano essere utili. Inoltre tenetevi pronte, dubito che Black cerchi un contatto, ma è sempre vero che siete le uniche parenti che gli sono rimaste e…”

Narcissa sembrò sul punto di dire qualcosa, ma si limitò ad annuire seccamente. Tonks sapeva che le affiliazioni della famiglia Malfoy erano quantomeno dubbie e si chiese per un attimo cosa avrebbero fatto Narcissa e suo marito nel caso Sirius Black si fosse effettivamente presentato alla loro porta.

Lo avrebbero consegnato, approfittandone per dimostrare alla Comunità Magica che non avevano proprio più nulla a che vedere con il Signore Oscuro? O sarebbero tornati alla loro vecchia e, per come la vedeva Tonks innegabile, antica fedeltà? Lo avrebbero aiutato a …

Venne bruscamente tolta dai suoi pensieri vedendo sua madre abbassare il capo, ma non velocemente abbastanza da nascondere la sua aria tormentata, le mani strette in grembo. Sapeva che Sirius era sempre stato il suo cugino preferito, l’unico membro della famiglia che non le avesse voltato le spalle con disprezzo quando aveva sposato suo padre.

“Bene” disse infine Scrimgeour “se non ci sono domande questo è tutto. Ci terremo in contatto.”

Aveva appena finito di parlare che già Narcissa era volata fuori dalla porta, senza degnare sorella e nipote di uno sguardo o di una parola. Andromeda e Dora la seguirono più lentamente, dopo aver salutato Scrimgeour e il Ministro.

Arrivate in corridoio, si accorsero di non essere sole: “Un’ultima cosa, Tonks - disse la voce profonda di Kingsley, e la ragazza si chiese cos’altro ci potesse essere da aggiungere a quella già assurda situazione - Rufus ha acconsentito alla mia richiesta, se te la senti mi farebbe piacere averti nella squadra.”

“Cosa? - chiese allibita Nymphadora, voltandosi verso di lui e rischiando seriamente di inciampare nelle stringhe degli anfibi per la sorpresa - Io? Ma non sono ancora un’Auror!”

“Lo so, - continuò Kingsley - ma Alastor ha una grande stima nei tuoi confronti, stai iniziando il terzo anno di training e non è insolito che durante l’ultimo anno gli specializzandi vengano affiancati ad operazioni correnti. Inoltre ho pensato che ti facesse piacere, visto che …”

“Certo!” esclamò lei, senza la minima esitazione “Lo farò.”

Andromeda sospirò, alzando finalmente gli occhi dal pavimento, e Dora non poté fare a meno di notare che sembrava essere invecchiata di dieci anni. La guardò avvicinarsi a Kingsley e chiedergli piano: “Farà tutto il possibile, vero? E terrà d’occhio mia figlia?”

“Non si preoccupi - rispose l’altro con un piccolo sorriso - lo troveremo, e Tonks non correrà nessun rischio, il suo compito sarà essenzialmente di coordinamento qui in ufficio.”

Andromeda annuì, e prese sotto braccio la figlia: “Grazie. Ora andiamo, Dora. Bisognerà avvisare tuo padre prima che si ritrovi in mano il Profeta domattina. Buonanotte.”
Salutò Kingsley con un educato cenno del capo, e le due si diressero fuori, verso l’ascensore e la più vicina stazione della metro-polvere.
 
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“Tutto bene?” ebbe infine il coraggio di chiedere Nymphadora alla madre, quando le due furono sedute nella cucina di casa.  Dall’altra parte del tavolo, Ted Tonks si grattava il capo perplesso, dopo essere stato svegliato alle due del mattino con quell’assurda novità.

“Certo, cara” rispose Andromeda con un sorriso affettuoso “è solo che non ripensavo a Sirius da anni, e averlo di nuovo nella mia vita così, improvvisamente, ha riaperto una vecchia ferita.”

“Ha fatto male?” chiese piano Dora “All’epoca, intendo.”

Andromeda sospirò: “Ero davvero convinta non solo che Sirius mi volesse bene, ma anche che fosse l’unica persona sana di mente dell’intera famiglia. Saperlo passato dalla parte del Signore Oscuro, è stato come un tradimento personale. Eppure …”

“Eppure cosa?” la incalzò Tonks.

Andromeda scosse il capo e fu Ted a rispondere: “Una parte di tua madre si è sempre rifiutata di credere che Sirius fosse il pazzo assassino che fu dipinto all’epoca. È finito ad Azkaban senza processo, sai, quindi siamo rimasti con il dubbio che se solo qualcuno gli avesse chiesto il perché delle sue azioni forse …”

Tonks arricciò il naso, mordicchiandosi pensierosa il labbro inferiore: “E non appena sarà ripreso verrà consegnato ai Dissennatori per il bacio, se è evaso da Azkaban potete stare sicuri che non ce lo rimanderanno. Potrei provare a cercare di convincere Scrimgeour a processarlo, in modo da sapere come ha fatto ad evadere, forse così si potrà scoprire qualcosa.”

“Oh, tesoro, - esclamò Andromeda, afferrandole una mano - non lasciarti coinvolgere dalla mia nostalgia! Ci sono testimonianze di decine di Babbani che hanno visto Sirius far esplodere quel povero ragazzo, Peter, ed è stato appurato che Sirius era il Custode Segreto di James e Lily Potter. È solo che…”

Tutti tacquero per qualche minuto, infine Andromeda drizzò le spalle e disse, decisa: “E’ più forte di me. Avrei potuto crederci, se solo non avessi visto Sirius e quei ragazzi. Adorava James Potter, Dora. Lo amava come un fratello. E non solo lui, anche gli altri due! Si era ricostruito una famiglia con loro, dopo essersi lasciato alle spalle i Black e tutte le loro meschinità. Rinnegata una famiglia, scelto di appartenere ad un’altra e poi cosa fa? Uccide due dei suoi tre migliori amici? Che senso ha?”

“Non lo so - rispose onestamente Tonks, sentendosi improvvisamente stanca e impotente - ma passerò a trovare Mad-Eye in ufficio domani, prima di andare a lezione, e proverò a sentire cosa ne pensa di tutta questa faccenda.”

“Andrà tutto bene, Dora, vedrai. E ora credo proprio che dovresti andare a letto e cercare di riposare un po’, ho l’impressione che domani sarà una giornataccia per il Ministero.”

“Già” disse solo Tonks, alzandosi. Quindi, esitò, improvvisamente inquieta: “Mamma, posso restare a dormire qui stanotte?”

I suoi genitori sorrisero, Ted rispose: “Non devi neanche chiedere, Dora. Questa è sempre casa tua, lo sarà sempre.”

Nymphadora si trascinò su dalle scale, nella sua vecchia stanza, e si lasciò cadere sul letto, scalciando via gli anfibi e fissando pensierosa il soffitto. Le parole di sua madre le rimbombavano nelle orecchie: una famiglia formata da quattro amici. Sirius Black, Peter Pettigrew, James Potter e…

Per un istante, Tonks si chiese chi fosse il quarto amico, l’amico senza un nome tristemente famoso. Si chiese dove fosse, se fosse morto a sua volta. Gli augurò di sì, perché se era vissuto per vedere uno dei suoi migliori amici ammazzare gli altri due, la sua vita doveva essere in qualche modo orribile. Orribile, e solitaria.

Provò per un attimo il desiderio di trovarlo, stringerlo, consolarlo e dirgli che non era colpa sua, che tutto sarebbe andato bene, che non avrebbe lasciato che Sirius facesse del male anche a lui.

Poi, vagamente consapevole dell’incoerenza di tutto ciò che aveva in testa, scivolò miseramente in un sonno esausto.


 
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Note dell'Autrice - 2020 Edition

Ciao,

qualche informazione su questa storia che mi sta molto a cuore.

Ho iniziato a scrivere Meant to be nel 2015, quando credevo di essere ormai passata indenne dalla Pottermania - ed evidentemente mi sbagliavo. Con mio grande rammarico, la storia è rimasta arenata sul capitolo 18 per cinque anni (scandaloso, lo so) con gli ultimi capitoli già abbozzati ma che andavano 'ripuliti' per poter essere pubblicati. Il mio processo di revisione è piuttosto lungo perché, basandomi sui libri e cercando di essere il più fedele possibile al canon, ho bisogno di molta ricerca e di una costante rilettura dei materiali di J.K.. Solo nel 2020 mi sono ritrovata con il tempo e le energie per rimettere la testa su questa storia: ho rivisto tutto il materiale già pubblicato, correggendo la forma ma senza cambiare in alcun modo il contenuto, e ho finalmente ultimato gli ultimi sette capitoli.

Quindi, vi state imbarcando in una storia rigorosamente book-verse MA credo che i film abbiano fatto un lavoro magistrale in quanto a casting e i miei personaggi hanno inevitabilmente le facce degli attori nel 99,9% dei casi (le età sono quelle dei libri però!). Altra cosa, come probabilmente avrete notato, i nomi sono in lingua originale; spero la cosa non crei troppi problemi ma ho letto da sempre i libri in inglese e non riesco ad apprezzare fino in fondo la traduzione. 

Ultimo, ma non meno importante: l'obiettivo. Il motivo per cui mi sono messa a scrivere del Wizarding World è stato accorgermi che, crescendo, mi importava sempre meno delle dinamiche scolastiche adolescenziali di Harry, Ron, Hermione e co. e avrei invece voluto saperne di più di come funzionava la società magica dal punto di vista di un giovane adulto. Tonks ha conquistato il mio cuore nell'esatto momento in cui è comparsa nella storia e ricordo ancora con affetto una clamorosa litigata con una delle mie migliori amiche una volta finito Order of the Phoenix, quando io ho iniziato a shipparla con Remus e lei diceva che non era possibile perché lui era troppo vecchio. In qualche modo sembrava destino che non potessi che scrivere di loro. Attenzione però, la protagonista è Dora, ed è lei che seguiremo da qui alla fine. 

Qualsiasi tipo di feedback, commento, correzione o semplice scambio di opinioni è più che benvenuto, sempre.

Lu 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Giugno 1994 ***



Capitolo I – Giugno 1994

 
“Livello 2: Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia…”[1]

Tonks non aspettò che la voce metallica finisse di elencare gli uffici; si affrettò ad uscire dall’ascensore, urtando una serie di colleghi e lanciando un urlo di: “Scusate!” da sopra una spalla.

Il memo di Kingsley l’aveva raggiunta solo pochi minuti prima; aveva abbandonato la sua tazza di caffè ancora mezza piena sul tavolo e si era precipitata fuori. Era orario di punta e tutto attorno a lei, nell’Atrio, facce più o meno assonnate si erano avviate verso i vari uffici e dipartimenti senza apparente agitazione, segno che la notizia ancora non era trapelata. Lì al piano, l’atmosfera era ben diversa.  

Il lungo corridoio era insolitamente affollato, vari colleghi del Wizengamot e dell’Ufficio per l’uso improprio delle Arti Magiche sostavano in piccoli capannelli, scambiandosi occhiate perplesse e commentando sommessamente. Tonks sfrecciò verso il Quartier Generale Auror, guidata da due voci che stavano discutendo in toni non esattamente pacati.

“… in una scuola era assolutamente insensato! Ci volevano Auror, AUROR, non quelle creature ripugnanti!”

“Ma stiamo parlando di un pluriomicida folle!”

“Che ci siamo lasciati scappare da sotto il naso! PER LA SECONDA VOLTA!”

La porta doppia del Quartier Generale era socchiusa; Tonks sbirciò dentro senza azzaddarsi ad entrare e vide Fudge e Scrimgeour fronteggiarsi dai due lati opposti della grande stanza. Gli Auror presenti non stavano nemmeno fingendo di lavorare, sporgevano dai loro cubicoli, alternando lo sguardo tra i due come se stessero seguendo una partita di tennis.

“Era chiuso dentro!”

“E SECONDO LEI UNO CHE È EVASO DA AZKABAN NON TROVA IL MODO DI USCIRE DA UNO STUDIO?”

Scrimgeour aveva l’aria di essere sul punto di avere un infarto. Batté energicamente un pugno sulla scrivania più vicina e serrò gli occhi, respirando profondamente. Quando riprese a parlare aveva assunto un colorito più umano, e un atteggiamento più consono: “Se questo è tutto, Ministro, è il caso che torniamo al lavoro. Ancora una volta le assicuro che tutti faranno del loro meglio per riprenderlo.”

Fudge annuì seccamente e gli voltò le spalle, dirigendosi alla porta. Nymphadora si fece di lato per farlo passare e lo guardò marciare a passo rapido giù per il corridoio. Era rimasta in bella vista sulla soglia e sobbalzò quando sentì Scrimgeour abbaiare: “Tonks! Nel mio ufficio!”

Con un sospiro rassegnato, attraversò l’openspace strascicando un poco i piedi; Scrimgeour prese posto alla scrivania e prese a frugare tra le pile di carta che ingombravano la superficie, infine, le tese una grande busta filigranata: “I risultati del tuo esame… – le disse – congratulazioni.”

Tonks prese la busta e la aprì con mani tremanti: una pergamena si srotolò nell’aria davanti a lei, stilata in eleganti lettere dorate.

“Sono passata? - chiese Tonks incredula, alternando lo sguardo tra il certificato e il Direttore - Non sono stata bocciata su Furtività e Inseguimenti?”

“C’è mancato poco, - rispose Scrimgeour, accennando ad un pallido sorriso - ma hai compensato con Nascondimento e Travestimento a pieni voti.”

“Grazie, signore!”

“Non ringraziare me, Tonks. Lo sai che solo i migliori ce la fanno, quindi datti una bella pacca sulla spalla e rimboccati le maniche che da ora inizia il lavoro vero. Mi farebbe piacere che tu continuassi a lavorare sotto Shacklebolt nella sezione Detenuti e Ricercati ma, se preferisci, puoi inoltrare richiesta di trasferimento; Coordinamento e Sicurezza potrebbe aver bisogno una mano con tutto il lavoro che li aspetta tra la Coppa del Mondo ad agosto e poi il Torneo.”

Tonks si schiarì la voce, esitando solo un attimo prima di rispondere: “Se possibile, vorrei continuare a lavorare su Black.”

Scrimgeour annuì: “Immaginavo. Permesso accordato. Vai a dare la buona notizia di là.” le disse come congedo.

Nymphadora si affrettò a richiudere la busta e infilarla in tasca. Nella fretta, e nel troppo entusiasmo, inciampò nel tappeto, andando a sbattere il naso contro la porta; massaggiandoselo, lasciò l’ufficio.

Non era minimamente pronta a quello che l’aspettava nella stanza principale: nei pochi minuti in cui era stata a colloquio con Scrimgeour, bicchieri e pasticcini avevano fatto la loro comparsa tra le scrivanie e sopra i cubicoli spiccava un grande striscione con le lettere che cambiavano magicamente colore ogni pochi secondi e le parole “Ben fatto Nymphadora!”. Per una volta, Tonks era troppo felice per preoccuparsi di mettere il broncio per l’uso del suo nome.

Nel mezzo della festicciola improvvisata, Kingsley le si avvicinò, porgendole una bottiglia di burrobirra: “Ufficialmente tra i ranghi, - le disse, dandole un’affettuosa pacca sulla schiena – ben fatto!”

Tonks accettò la bottiglia con un sorriso: “Ci diamo all’alcol già di prima mattina? Non ho nemmeno ancora bevuto un caffè, Shacklebolt!”

Lui si strinse nelle spalle: “Abbiamo iniziato con il botto, una pessima notizia e un’ottima notizia, direi che per un motivo o per l’altro un brindisi è d’obbligo.”

Tonks rise e le due bottiglie cozzarono piano tra loro. Bevvero per qualche istante in silenzio, godendosi il momento, prima che il mago chiedesse: “Scrimgeour ti ha accennato qualcosa sul tuo incarico?”

Tonks gli strizzò un occhio, rifilandogli una gomitata: “Mi dispiace ma non sei riuscito a liberarti di me, Kingsley!”

Lui si lasciò scappare un sospiro di sollievo: “Rimani a lavorare con me? Ci speravo, Tonks, davvero. Questa faccenda di Black si sta rivelando disastrosa, facciamo un passo avanti e dieci indietro e…”

“C’è qualcosa che non va? - chiese Tonks, osservandolo con attenzione - A parte l’ovvio, si intende.”

Kingsley scosse il capo: “No, non è il momento, non nel bel mezzo della tua festa…”

“Sciocchezze, - lo interruppe lei, curiosa – dimmi!”

Shacklebolt la condusse verso il proprio cubicolo in un angolo della stanza, e le fece cenno di sedersi mentre lui rimaneva in piedi, camminando avanti e indietro come sempre faceva quando voleva pensare.

Tonks ne approfittò per guardarsi attorno, passando in rassegna le famigliari foto di Sirius Black appese tra cartine e ritagli di giornale.

“Sai perché ero abbastanza sereno della cattura di Black, nonostante non ci fosse stato permesso di andare ad Hogwarts?” chiese Kingsley, richiamando su di sé l’attenzione della ragazza.

Tonks scosse il capo e Shaklebolt disse solo: “Dumbledore.”

“Dumbledore?” ripeté lei, confusa.

“Oh, andiamo! Stiamo parlando del più grande mago contemporaneo e di uno dei più grandi di sempre; Black era disarmato e chiuso a chiave in uno studio in cima ad una torre, solo il Preside e pochi altri sapevano dove fosse…”

“Frena, - lo interruppe Tonks, sforzandosi di tenere la voce bassa - stai cercando di farmi credere che Dumbledore abbia fatto scappare Black? Che sia in combutta con…”

“Non ho mai detto questo! - intervenne Kingsley, categorico - Mettiamo bene in chiaro una cosa: se c’è un uomo su questa terra di cui mi fido ciecamente è Dumbledore, e sono certo che mai farebbe qualcosa che potrebbe anche solo avvantaggiare il Signore Oscuro e i suoi complici. Sto solo pensando che non mi convince fino in fondo che Black sia riuscito a volatilizzarsi da Hogwarts senza che il preside ne fosse al corrente.”

Tonks si passò una mano sul viso, frastornata dalla marea di pensieri che la teoria di Shaklebolt le stava suscitando: “Va bene, ammettiamo per un attimo che Dubledore abbia voluto, o perlomeno lasciato, che Black sfuggisse al bacio dei dissennatori. Perché?”

“Non ne ho idea, Tonks! – rispose Kingsley – Ti sto solo esprimendo una perplessità che ho formulato non più tardi di un’ora fa, e non sono cose che posso andare a dire a caso! Mi fido di te, ti ho vista mettere l’anima in questa faccenda per tutto l’anno scorso e, onestamente, ho bisogno qualcuno che mi dica che non sono pazzo.”

Dora prese un sorso di burrobirra: “No, non sei pazzo. Potrebbe avere un senso, può essere che Dumbledore sappia qualcosa che a noi manca. Ciò nonostante, non posso certo presentarmi a Hogwarts e dirgli Wotcher, Preside! Non so se si ricorda di me, Nymphadora Tonks, Hufflepuff classe 1973, l’alunna che detiene il record attuale di incidenti disastrosi successi nel castello. Ecco, io ora lavoro al Ministero e vorremmo sapere se, per caso, è lei che ha fatto evadere Black.”

Suo malgrado, Kingsley rise al tono serissimo della ragazza, quindi scosse il capo: “No, non mi pare proprio una buona idea. Stavo pensando ad un modo un po’ più… discreto.”

Si spostò verso la parete del cubicolo e puntò un dito su una fotografia. Dora provò un’improvvisa stretta al cuore. Conosceva quella fotografia, veniva dall’album di famiglia di sua madre. Quattro ragazzi sui diciassette anni, sorridenti e soddisfatti, posavano in riva al lago con le loro pergamene dei NEWTS in mano. Una calligrafia sbilenca e angolosa aveva scritto in basso: Siamo passati. Evidentemente non vedevano l’ora di buttarci fuori di qui.

Il primo sulla destra era James Potter, sbragato e beffardo, con gli occhiali sul naso e la camicia fuori dai pantaloni; aveva il gomito appoggiato sulla spalla di Peter Pettigrew che sorrideva estasiato, fissando la sua pergamena come non credesse di averla davvero in mano. Sull’altro lato di Peter, Sirius era inconfondibile, nonostante i capelli lunghi che gli nascondevano in parte gli occhi; aveva un braccio passato confidenzialmente attorno alle spalle del più alto dei quattro, che aveva una pila di appunti sotto braccio e un’espressione bonaria mentre passava in rassegna i tre amici[2].

“No! - disse dura Tonks - No, lo sai benissimo che non può essere stato lui. Perché mai avrebbe dovuto lasciare libero l’assassino dei suoi due migliori amici, quello che credeva essere un suo amico…”

“Tonks - la interruppe Kingsley - Lo so che sei piuttosto di parte quando si tratta di Remus Lupin, immagino perché vedi in lui la stessa sofferenza, lo stesso tradimento, che tua madre ha dovuto affrontare. Era plenilunio, anche volendo, Lupin non era nelle condizioni di far scappare proprio nessuno.”

“Oh!” fece solo Dora, bevendo un altro po’ della sua burrobirra per tranquillizzarsi e prendere tempo. Non sapeva bene che cosa l’avesse colpita di più, se l’improvvisa sottolineatura del fatto che Remus Lupin fosse un lupo mannaro o il dettaglio che fosse stato sotto l’effetto della maledizione proprio la notte in cui il suo vecchio amico era comparso, e poi scomparso, da Hogwarts. Non riusciva a trovare un collegamento tra le due cose, ma aveva la netta sensazione che non potesse essere solo un’innocua coincidenza.  

Dopo qualche attimo di silenzio, sospirò: “Ok, ammetto di averti perso, Shacklebolt. Che cosa vuoi che faccia, esattamente?”

“Voglio che tu provi a parlare con Remus Lupin – rispose lui - Prova a vedere che impressione ti fa, chiedigli che cosa sa, come ha vissuto la situazione, se ne ha parlato con il preside. Onestamente, Tonks, sono esausto, e vagamente disperato. Se anche questa teoria si rivelasse infondata, se Black si è davvero volatilizzato, questo significa che in meno di un anno è evaso dai due posti più sicuri d’Inghilterra, e non ho davvero idea di come faremo a riprenderlo.”

“Va bene, ho capito, conta su di me!” disse Nymphadora, alzandosi e posando una mano sul braccio del collega.

“Solo un’ultima cosa - aggiunse Kingsley - Tutto questo non è esattamente ufficiale. Anzi, diciamo pure che è strettamente confidenziale; tu ed io, nessun altro deve esserne messo al corrente. Siamo già abbastanza nell’occhio del ciclone così, non voglio tirare fuori delle teorie sconclusionate fino a quando non avremo in mano qualcosa di concreto. Ok?”

“Certo, sono d’accordo – lo rassicurò Tonks, quindi aggiunse, colpita da un’idea improvvisa – I miei genitori vorranno festeggiare la mia qualifica questa sera e sono certa che verrà invitato a cena anche Mad-Eye. È in pensione, quindi tecnicamente non è più vincolato al Ministero, ed è un amico personale di Dumbledore; posso provare a sondare un po’ le acque con lui e vedere se riesce a procurarmi un contatto, o almeno qualche informazione. Ti farò sapere appena riesco a combinare qualcosa.”


 

[1] La descrizione dei piani è fornita da J.K. e facilmente reperibile, per quanto riguarda la planimetria del Livello 2, quella che più mi ha soddisfatto e che ho usato è tratta da un RPG (quindi non è strettamente canon ma è fedele abbastanza). La trovate qui: https://absitomen.com/wiki/images/2/23/Level_Two.jpg  
 
[2] Non so bene quando ho iniziato a notare che tutte (vi giuro TUTTE) le mie fan art preferite dei Marauders hanno Sirius con un braccio attorno alle spalle di Remus. Vi allego la mia preferita in assoluto, ovviamente non mia, eh, io non sono in grado di andare oltre agli omini stilizzati: https://i.pinimg.com/originals/c8/d9/ce/c8d9cec9f14cbccd3ba4faf028c9c1ba.jpg
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Luglio 1994 ***


  
Capitolo 2 – Luglio 1994
 


“Oh, maledizione!” sbottò Tonks, accartocciando la lettera e sbattendo il pugno sul tavolo. Il grande gufo che vi era planato qualche istante prima emise un verso contrariato e la ragazza si affrettò ad allungare una mano per accarezzargli il capo piumato: “Scusa, Chares, lo so che non è colpa tua se mi porti brutte notizie.”

Con un piccolo sospirò aprì il cassetto della scrivania, ne estrasse carta e penna e scarabocchiò un paio di righe di risposta a Moody per poi consegnarle al gufo, che subito spiccò il volo fuori dalla finestra, lasciata aperta per far girare un po’ d’aria nell’afa della sera londinese.

“Non ci voleva…” borbottò ancora Dora, alzandosi e salendo lentamente le scale verso la sua camera nel sottotetto. Si buttò sul letto sfatto a pancia in giù e abbracciò il cuscino.

“Si è licenziato da Hogwarts e nessuno sembra sapere dove sia finito – pensò ad alta voce, cercando di uscire dal vicolo cieco - Si è licenziato, a quanto dice Mad-Eye, per evitare problemi a Dumbledore visto che la sua condizione di werewolf era stata resa nota.”

Non per la prima volta, Dora si trovò a riflettere sulle condizioni di vita dei soggetti affetti dalla maledizione. Remus Lupin era regolarmente iscritto al Registro e, a quanto ne sapeva, aveva sempre vissuto ai margini della società, come tutti i suoi simili; esporsi in un luogo pubblico in quel modo, accettare i rischi che ne derivavano, era stata una mossa… insolita.

“Si è licenziato ed è sparito… Ah, Merlino! Se il preside si fosse sbagliato, e Lupin fosse davvero in combutta con Sirius, se avesse accettato il lavoro solo per poter essere a scuola e dargli una mano dall’interno, potrebbero essere ovunque, insieme, come ai vecchi tempi.”

Chiuse gli occhi e rimase immobile per qualche minuto, poi, all’improvviso: “I vecchi tempi!” esclamò.

Come colpita da un’illuminazione, Dora scattò a sedere e, un attimo dopo, si era smaterializzata.
 
 
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Il miagolare allarmato del gatto sarebbe stato abbastanza, ma venne subito seguito dal rumore di cocci infranti, segno che il vaso di begonie nell’ingresso era appena andato in frantumi.

Andromeda alzò gli occhi al soffitto con un sospiro bonario: “Sono in cucina, Dora.”
Qualche attimo dopo la figlia fece la sua comparsa nella stanza, in un bizzarro pigiama turchese e con le pantofole sporche di terra. Sul viso aveva un’espressione rassegnata: “Scusa, mamma. Tutte le volte che mi materializzo finisco per rompere qualcosa.”

“Non fa nulla, cara, ci penserà papà a mettere a posto. Siediti, hai già cenato? – chiese, posando sul tavolo un vassoio decorato - Ho fatto i cupcakes se ne vuoi uno.”

Mentre Dora affondava i denti nella guarnizione di cioccolato del dolce, la testa bionda di Ted Tonks face capolino dalla porta: “Ah, Dora! – sorrise, riponendo la bacchetta in una tasca della vestaglia - Mi sembrava di averti sentita arrivare. Le begonie sono di nuovo al loro posto, Dromeda.”

Aggiunse strizzandole un occhio e servendosi a sua volta un cupcake, prendendo posto davanti alla figlia: “Che faccia lunga, qualcosa non va?”

Tonks annuì: “Sono a un punto morto e non ci sono molte persone a cui posso attingere per un consiglio, è un’indagine riservata.”

“Oh! – fece Ted con un sogghigno – Stai per renderci partecipi di una qualche missione top secret?”

“È possibile – sorrise lei in risposta – Qualsiasi piccola informazione o nuova idea è benvenuta, a questo punto. Ho bisogno di sapere se tu o la mamma potete dirmi qualcosa di Remus Lupin.”

“Remus, Remus – borbottò Ted pensieroso – Perché il nome mi sembra famigliare?”

“Perché è famigliare! – intervenne Andromeda, le mani sui fianchi – Remus, Ted, non ricordi il nostro matrimonio?”

“Ah, la ‘fidanzata’ di Sirius! – rise Ted, e Tonks rischiò seriamente di strangolarsi con il suo secondo cupcake – Merlino, sembra una vita fa, quei due non avranno avuto più di tredici o quattordici anni!”

Dora cercò di riprendere fiato, tossendo dolorosamente per qualche istante prima di riuscire a esalare: “Che cosa diamine mi sto perdendo?”

“E’ una lunga storia – rispose Andromeda, agitando la bacchetta con un movimento elegante – Accio album.”

Un grande album fotografico, rilegato in pelle, fece la sua comparsa, fluttuando dolcemente tra le mani della padrona. Andromeda si sedette, sfogliando con cura le pagine: “Come sai, la mia intera famiglia boicottò il matrimonio, tutti tranne Sirius. Ci teneva così tanto a venire che abbiamo deciso di sposarci in dicembre, durante le
vacanze di Natale. Mi scrisse che sarebbe venuto con qualcuno di speciale come più uno…”

“E tua madre era quasi più emozionata all’idea di conoscere la fidanzatina di Sirius che alla prospettiva di sposare me - la interruppe Ted, sorridendo al ricordo - Non vedeva l’ora di sapere che cosa la famiglia avrebbe detto, immagino una parte di te fosse convinta che si sarebbe presentato con una muggle-born al braccio, vero Dromeda?”

“Fatto sta - riprese lei, ignorando la domanda - che Sirius non si presentò affatto con una fidanzata, ma con un ragazzo. Ed era pieno di premure nei suoi confronti, non lo avevo mai visto comportarsi così! Remus stai bene? Remus hai mangiato qualcosa? Remus vuoi il mio maglione?”

“E continuava a insistere che non si sarebbero potuti fermare per la notte. Oh, tua madre si è sbizzarrita! – interruppe nuovamente Ted - Li ha presi in giro fino all’esasperazione. Sirius era furente e quel povero ragazzo imbarazzato a morte.”

Dora guardò sua madre con occhi nuovi: “Tu, mamma?”

“Era tanto tempo fa - tagliò corto lei - Alla fine Sirius è sbottato ed è venuta fuori la verità, ovvero che Remus era speciale perché era un lupo mannaro, e quella sera c’era la luna piena. Potter e Pettigrew erano a casa dalle loro famiglie per le vacanze e Sirius non voleva lasciare Remus da solo ad Hogwarts, quindi se l’era portato al nostro matrimonio.”

“E come è andata a finire?” chiese Tonks, ormai suo malgrado affascinata dal racconto.

Fu suo padre a rispondere: “Sono rimasti fino al taglio della torta e se ne sono andati appena prima del tramonto, credo di ritorno a scuola. Onestamente non ricordo nel dettaglio, noi siamo partiti per la luna di miele il mattino seguente e non lo abbiamo mai più visto.”

“Ah, Remus. Povero, povero ragazzo – disse Andromeda tristemente - Non ha più nessuno, sai? Suo padre è morto un paio di anni fa. Quando ero giovane, Lyall Lupin era una vera leggenda, la massima autorità in merito ad apparizioni spiritiche non-umane. Un gran bell’uomo, ha infranto un buon numero di cuori quando ha sposato una donna babbana. Morta anche lei, una quindicina di anni fa ormai.”

Tonks chinò il capo, appoggiando la fronte sulle mani. Era ridicolo. Era assolutamente ridicolo come avesse sviluppato un’ossessione quasi maniacale per un uomo che non conosceva, che non aveva neanche mai visto, escluse le due foto che aveva di lui.

Una era quella appesa nel cubicolo di Kingsley che raffigurava i quattro amici a Hogwarts il giorno del diploma, l’altra era più recente; l’aveva copiata dal fascicolo di Lupin presso il Werewolf Register, al Dipartimento per la Regolamentazione e il Controllo delle Creature Magiche. Raffigurava un uomo stanco, con i capelli castano chiaro che iniziavano prematuramente ad ingrigire e due occhi di un azzurro delicato, immensamente tristi.

Era certa che qualsiasi cosa Remus Lupin avesse, o non avesse, fatto era stato nelle migliori delle intenzioni. Non poteva dubitare di lui, come non poteva dubitare di Dumbledore…

“Ah, eccoli qui! Guarda, cara.”

Tonks alzò gli occhi e li posò sulla pagina che sua madre le stava mostrando. Due ragazzini sui tredici anni: Sirius era impeccabile, in eleganti vesti nere, l’altro era allampanato, con un timido sorriso e un’aria malaticcia. Li fissò per un istante, realizzando come Sirius avesse protettivamente un braccio attorno alle esili spalle di Lupin, esattamente come nell’altra fotografia che aveva visto dei due.

“Nymphadora?”

La correzione le uscì spontanea: “E’ Tonks!”

Riportò l’attenzione sui suoi genitori e vide Ted sogghignare e Andromeda alzare gli occhi al soffitto: “Non mi perdonerai mai per averti dato quel nome, vero?”

“Solo se ti ostini ad usarlo” rispose lei con un sorriso affettuoso.

Nel momento di tranquillo silenzio che seguì, Tonks fece scorrere piano i polpastrelli sulla foto, quindi intrecciò le dita sotto al mento con aria pensierosa: “Mamma, – disse cautamente – se tu dovessi mandare un gufo a Lupin chiedendogli di incontrarti per parlare di Sirius… credi ti risponderebbe?”

Ted si schiarì la voce e pescò dal vassoio un altro cupcake, Andromeda sgranò un poco gli occhi, allarmata: “Ho capito giusto, Dora? Vuoi metterti in contatto con Remus?”

La ragazza roteò gli occhi: “Lo so, lo so, è un werewolf, potenzialmente in combutta con un criminale, competente nelle Arti Oscure e tutto il resto, prometto che starò attenta. So badare a me stessa, mamma!”

“Stare attenta? - chiese Andromeda con una punta di divertimento – Cara, non solo ho piena fiducia in te, ma sono anche piuttosto certa che tu non abbia nulla da temere da parte di Remus Lupin. No, non è quello che intendevo. Scriverò a Remus, ma solo a condizione che mi prometti che non verrà arrestato e che non gli verrà fatto alcun male.”

“Oh! - fu tutto ciò che Tonks riuscì a dire, prima di spiegare - No, no. Certo che no. Voglio solo parlargli. È una pista che Kingsley mi ha chiesto di provare a seguire, ma in via non ufficiale quindi devo trovare un modo di prendere contatto.”

Andromeda la squadrò per un attimo, quindi sospirò e chiuse l’album di nozze: “Va bene, Dora. Mi fido di te.”

Tonks rimase appollaiata dietro alla spalla della madre, supervisionando la breve lettera che stava prendendo forma, e fu solo quando Ara, la civetta di casa, ebbe spiccato il volo nella notte che abbracciò entrambi i suoi genitori e si smaterializzò stancamente verso il suo appartamento.  

Nonostante l’ora ormai tarda, realizzò di essere troppo eccitata per andare direttamente a dormire e fu con un ritrovato ottimismo che mise sul fuoco il bollitore. Neanche l’ennesimo piatto in frantumi riuscì a cancellarle un sorriso assente dal volto.



 
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N.d.A
Due note rapide, ma a cui tengo molto. Andromeda che "bulleggia" Sirius e Remus viene dall'immaginare non la signora composta e segnata, non la sorella di due Mangiamorte, ma una ragazza di vent'anni che prende bonariamente in giro il cugino adolescente. Data l'attitudine malandrina di Sirius, ho immaginato che la cugina maggiore potesse aver avuto in gioventù un po' dello stesso spirito, poi distrutto dagli anni difficili che sono seguiti, tant'è che Tonks rimane perplessa nello scoprire questo lato di sua madre. Né Sirius né Remus avrebbero mai detto intenzionalmente a nessuno, inclusa Andromeda, che Remus era un werewolf. La scena che immagino è all'ennesimo tease di "che cos'ha Remus di così importante da fare stanotte a Hogwarts" Sirius sbotta con un "trasformarsi in un maledetto lup..." e Remus gli tira un gomitata tale da rischiare di rompergli un paio di costole ma ormai il danno è fatto.

Il secondo punto è la relazione tra Sirius e Remus. Non ci vedo nulla di romantico e/o fisico (nonostante non disdegni di leggere dello slash ogni tanto) ma penso che il rapporto stretto nasca dal fatto che sia Peter che James avevano una famiglia affettuosa e presente ai tempi di Hogwarts, Sirius no e in questo si sentiva più vicino a Remus che, pur avendo due genitori splendidi, non li voleva caricare dei suoi problemi, e quindi ne stava lontano. Nel mio, personalissimo, headcanon, Sirius e Remus hanno sempre condiviso qualcosa in più rispetto a Sirius e James, che avevano un'amicizia più schietta, più mascolina, il tipo di amicizia in cui ti sbronzi insieme e parli di donne. A scuola finita, quando giravano sospetti che vicino ai Potter potesse esserci qualcuno di non fidato, il fatto che Sirius non si fidasse più di lui aveva ferito così tanto Remus da fargli accettare di compiere missioni per l'Ordine lontano dai suoi amici, nel nord del paese (lo dice J.K. non io!) motivo per cui non si trovava nelle vicinanze quando James e Lily sono stati uccisi.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Inizio Agosto 1994 ***




Capitolo 3 – Inizio Agosto 1994
 
Il fatto che Nymphadora Tonks fosse un metamorphmagus regolarmente registrato, e impiegato dal Ministero, non rendeva meno illegale ciò che stava facendo. Non c’erano eccezioni, o giustificazioni: assumere l’identità di altre persone era assolutamente e tassativamente proibito. Solo durante un incarico ufficiale come Auror, e solo in pericolo di vita, una tale metamorfosi poteva in qualche modo avere un’attenuante.

Dora prese un gran respiro e si costrinse a rilassarsi: le abilità dei metamorphmagi erano innate e intracciabili, non c’era alcuna possibilità che qualcuno scoprisse che cosa stesse facendo e, in fin dei conti, il pensiero che stesse impersonando sua madre, e che suddetta madre ne fosse al corrente, servì a farla sentire un po’ meno colpevole.

Non servì però a ridurre il profondo disagio che provava nell’indossare un tubino verde scuro, un paio di eleganti scarpe col tacco e un cappello a tesa larga sopra lo stretto chignon. Si sentiva decisamente troppo sofisticata, e stava iniziando a sudare sotto il sole di agosto.

Chiuse gli occhi, pensando a come sua madre si sarebbe comportata in quella situazione. Quella era una delle parti più complesse di un cambio di identità: poteva cambiare senza troppa difficoltà qualsiasi elemento del suo aspetto, ma copiare il manierismo era tutt’altra cosa. Drizzò la schiena, incrociò le caviglie una sull’altra sotto la panchina e appoggiò le mani in grembo, osservando con calma i babbani che prendevano il sole o giocavano a palla tutto attorno a lei, godendosi l’estate in Hyde Park.

Nonostante fosse assolutamente certa di non correre alcun rischio, aveva scelto un luogo pubblico per evitare spiacevoli sorprese e babbano per evitare l’eventualità di essere riconosciuti insieme. La risposta di Remus Lupin al gufo di Andromeda ci aveva messo qualche giorno ad arrivare, Dora aveva quasi perso le speranze quando Ara le era planata in cucina, portando una nota di sua madre allegata alla lettera dell’uomo. C’era stato uno scambio ulteriore e, infine, era stato confermato l’incontro per quel pomeriggio.

Una campana si mise a suonare in lontananza: cinque rintocchi. L’eco dell’ultimo si era appena spento quando lo vide. Lo guardò per qualche istante, incapace di muoversi. Il cuore prese a batterle più velocemente nel petto, e si diede dell’idiota.

Sembrava più in salute rispetto alla foto che aveva di lui in ufficio: qualche chilo in più, una carnagione più rosea, i capelli pettinati con cura, una corta barba e abiti che sembravano nuovi, anche se di bassa qualità. Si ritrovò a pensare che un anno con un tetto sopra la testa, un lavoro fisso e tre pasti al giorno garantiti dovevano avergli fatto bene.

Stava entrando dal cancello, a passo tranquillo, un giornale sotto braccio. Non sembrava infastidito dal caldo, nonostante indossasse una giacca beige, in tinta con i calzoni, sopra la camicia bianca. Il suo sguardo cadde su di lei, accompagnato da un piccolo cenno: l’aveva riconosciuta. Dora si schiarì la voce e si alzò, aspettando che la raggiungesse. Quando infine le fu di fronte, dovette alzare il viso per guardarlo in faccia perché, nonostante il metro e settanta di sua madre e i tacchi, lui era comunque quasi venti centimetri più alto di lei.

Remus sorrise e, per un attimo, non dimostrò più dei suoi trentaquattro anni; il dolore, la stanchezza, le umiliazioni di una vita spazzate via.

“Andromeda…” disse con voce gentile, e Tonks sbatté le palpebre confusa per una frazione di secondo. Miseriaccia, era un germoglio di disappunto che stava provando nel sentirlo usare quel nome?    

Lo schiacciò con forza e si costrinse a rispondere, dando al suo tono la giusta inflessione: “Remus, è passato molto tempo – gli fece cenno di sedersi e prese posto accanto a lui, composta – Grazie di essere venuto.”

Lui posò il giornale e si voltò un poco per guardarla in viso: “La tua lettera diceva che volevi vedermi per parlare della nostra conoscenza in comune. Ho ragione a pensare che si tratti di Sirius?”

Annuì, e lui le posò una mano su un braccio: “Deve essere difficile per te dover affrontare tutto questo.”

E Nymphadora rischiò di perdersi in quei miti occhi azzurri, di perdere la concentrazione, di perdere la metamorfosi e rivelare il suo vero aspetto. Fin da quando Remus Lupin era entrato nella sua vita, sotto forma di un nome e una triste storia, lo aveva immaginato come un uomo distrutto, marcato, da consolare e accudire. L’alternativa brevemente considerata era quella di un abile doppiogiochista in combutta con un criminale. Tutto si era aspettata da lui tranne quella gentile compassione, quel senso di rassicurante calore che veniva dalle sue dita, appena appoggiate sul suo braccio nudo.

Si costrinse a deglutire, e dovette abbassare lo sguardo per trovare le parole per rispondergli: “La verità, Remus, è che non so più che cosa pensare. Pensavo di essermi lasciata alle spalle tutto questo tanti anni fa ed è stato difficile già allora accettare che Sirius fosse stato la disfatta dei suoi amici, una parte di me aveva sempre creduto che ci dovesse essere stato qualche errore. Ma ora, se davvero era ad Hogwarts per cercare di eliminare il figlio di James e Lily Potter…”

“Non lo era.”

Tonks si inceppò, allibita: “Come scusa?”

“Sirius non era il Custode Segreto dei Potter, Andromeda – mormorò Remus - Non ha ucciso Peter Pettigrew, e meno che mai farebbe del male al giovane Harry.”

Per la seconda volta nell’arco di pochi istanti, Nymphadora rischiò di perdere la sua metamorfosi, questa volta per il completo e colossale shock. Si era aspettata una conversazione estenuante, fatta di piccoli passi e di piccole rivelazioni tra le righe, e invece…

Avrebbe voluto alzarsi e urlare, o prendere a calci qualcosa solo per sfogare la tensione. Pensa, concentrati. Sei tua madre, come reagirebbe tua madre?

“Come… come puoi dirmi questo?” riuscì infine a balbettare.

“Te lo dico perché so come ci si sente ad avere dentro per anni rabbia, dolore e confusione, e non poterne parlare con nessuno. Perché so che, per tutti questi anni, devi aver provato lo stesso senso di sconforto che io ho provato. Perché meriti di sapere la verità su Sirius. Inoltre, - aggiunse, e per una frazione di secondo un guizzo beffardo fece capolino nei suoi occhi - se anche dovessi decidere di raccontare a qualcuno ciò che ti ho detto… chi ti crederebbe?”

Suo malgrado, Tonks rise piano, e scosse il capo: “Immagino tu abbia ragione. Va bene, - disse poi, riprendendo l’espressione compassata così tipica di sua madre - dimmi. Dimmi tutto.”

Lui annuì, tolse la mano dal suo braccio (e Dora immediatamente percepì la mancanza del tocco gentile) e si rilassò contro lo schienale della panchina, sorridente, iniziando a parlare a voce bassa e tranquilla. Tonks non aveva dubbi che, visto da una certa distanza, non sembrasse nulla più di un’innocente chiacchierata tra amici.

Un’ora dopo, Nymphadora aveva completamente riscritto la storia degli ultimi tredici anni. Innocente, Sirius Black era totalmente, completamente innocente.

Peter Pettigrew era stato scelto come Custode Segreto, era stato lui il doppiogiochista per tutto quel tempo, era stato lui a mettere in scena la sua stessa morte e vivere in clandestinità fino a quando Sirius aveva scoperto dove fosse: a Hogwarts. Per quello Sirius era evaso, per quello era andato a scuola, per vendicare la morte dei suoi amici. Come tutto questo fosse stato tecnicamente possibile, Remus non lo aveva spiegato, dicendole che alcuni dettagli avrebbero dovuto rimanere taciuti.
Tonks si passò una mano sulla fronte, cercando di mettere in ordine i suoi pensieri. La situazione stava prendendo una piega completamente inaspettata. Sirius Black era innocente. Avrebbero dovuto chiudere l’inchiesta, avrebbero dovuto dichiarare la sua innocenza… ma Remus aveva sollevato un punto cruciale: chi le avrebbe creduto? Non c’era uno straccio di prova.

Non era sicura che ci avrebbe creduto nemmeno lei se non fosse stato per la felice congiunzione del presentimento di sua madre, dell’intuizione di Kingsley, della presenza rassicurante di Remus e per il fatto che, in qualche modo, questa versione dei fatti sembrava avere molto più senso. Innanzitutto, dava una chiara risposta alla domanda che l’aveva portata a contattare Remus in primo luogo: spiegava come mai a Sirius fosse stato permesso di scappare da Hogwarts un paio di mesi prima.  
Dora prese un respiro e chiese, cauta: “Mi hai detto che anche tu hai appreso tutte queste informazioni solo di recente. Intendi mentre eri ad Hogwarts? È stato il preside a parlartene? O… hai incontrato Sirius di persona?”

Con sua estrema sorpresa, Remus rise piano. Tornò a guardarla con un sorriso, diverso dal cordiale benvenuto e dal gentile sostegno che le aveva mostrato ma un sorriso più giovane, più ironico: “Non ti sembra che ti abbia detto abbastanza, per ora, Nymphadora?”

“È Tonks!”

La correzione le uscì automaticamente dalle labbra, come milioni di volte prima di quel momento, e non aveva ancora richiuso la bocca che già si era accorta del terribile errore che aveva commesso. Annaspò alla ricerca di una scusa, una qualsiasi, ma si accorse di non essere in grado di tirare fuori un’ennesima bugia.  

Alla sua espressione contrita, lui rise, senza mostrare alcuna traccia di rancore: “Scusami, ma sapendo che la bambina di Andromeda è una metamorphmagus dovevo essere sicuro.”

“Scusami? – chiese lei, allibita – No! Sono io che dovrei scusarmi! Non è stato corretto da parte mia, e non avevo intenzione di mentire, è solo che…”

Lui la interruppe, alzando un dito e scuotendo piano il capo: “Non c’è bisogno che tu dica altro, capisco perfettamente, ma so anche che lavori al Ministero. Il fatto che Sirius sia innocente è una cosa che la tua famiglia merita di sapere, ma non intendo dire una parola di più fino a quando non potrò sapere con certezza da che parte stai.”

“Da che parte sto? - chiese lei, sempre più confusa - Hai appena detto che sai che lavoro al Ministero!”

Remus si strinse nelle spalle: “Questo non significa assolutamente nulla. È tempo che tu decida cosa credere, di chi fidarti e per che cosa batterti. Se posso permettermi di darti un consiglio, tieni occhi e orecchie molto aperti, e la bocca molto chiusa.”

Tonks alzò gli occhi al cielo e borbottò a mezza voce: “Sembra qualcosa che Mad-Eye direbbe.”

“E chi pensi che l’abbia detto a me?” chiese Remus, cogliendola alla sprovvista.

“Conosci Alastor Moody?”

Lui annuì: “Lo conoscevo, anni fa. ‘Due cose devi tenere a mente, giovanotto’ diceva sempre ‘la prima è di tenere occhi e orecchie molto aperti e la bocca molto chiusa, e la seconda’...”

“Oh, lasciami indovinare” lo interruppe Tonks.

“Vigilanza costante!” dissero all’unisono.

Sogghignarono entrambi per qualche istante, quindi Remus si alzò e si aggiustò la giacca sui fianchi. Dora seguì il suo esempio e lo fronteggiò spostando il peso da un piede all’altro, senza sapere che cosa dire. Rimasero così per qualche istante, quindi Remus sorrise un’ultima volta e, con un cenno del capo in saluto, si incamminò.

Tonks, profondamente scombussolata, lo guardò allontanarsi con lo stesso passo tranquillo con cui era arrivato. Lo sentì dire, da sopra una spalla: “Pensaci su. È stato un piacere, Nymphadora.”

Remus aveva ormai varcato i cancelli del parco quando lei si accorse che il suo nome non sembrava poi malaccio, pronunciato da lui.  

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Metà Agosto 1994 ***




Capitolo 4 – Metà Agosto 1994



Tonks, spostò il peso da un piede all’altro e si sfregò energicamente le braccia, fissando in cagnesco la solida porta di legno che le stava davanti, ostinatamente chiusa.

“Oh, avanti!” borbottò, insofferente.

Si stava avvicinando l’ora di cena ma, così a nord, il sole splendeva ancora brillante nel cielo. Ciò nonostante, tirava un vento gelido e implacabile e Tonks, che si era smaterializzata dal caldo pomeriggio londinese, stava congelando, maledicendosi per non aver pensato a prendere con sé nulla di più pesante delle sue abituali vesti da ufficio.

Abbracciandosi il petto con un sospiro, si voltò. La vista era mozzafiato: la collina scemava in una conca piena di erica violacea e le bianche nuvole che punteggiavano il cielo si specchiavano nel piccolo loch, creando simmetrie surreali di forme e colori. In lontananza, ma ben riconoscibile, un branco di cervi rossi brucava indisturbato, completando lo scorcio.

Rimase per un attimo incantata davanti a quello spettacolo della natura prima che un violento brivido scuotesse il suo esile corpo, facendole perdere la pazienza. Tornò a fronteggiare il cottage e tirò un calcio bene assestato alla porta con la punta del suo anfibio: “Vuoi aprire questa stramaledettissima porta, vecchiaccio paranoico che non sei altro?”

In tutta risposta sentì un forte schiocco, seguito dal macchinoso sferragliare di catenacci e lucchetti. Qualche istante dopo si aprì un piccolo spiraglio, e la faccia asimmetrica di Alastor Moody fece capolino.

“Dovevo essere certo che fossi davvero tu. Sei stata seguita?” chiese, burbero, prima ancora di salutarla.

Tonks lo guardò incredula, le mani sui fianchi: “E chi volevi che fosse, una salamandra eremita? - chiese, tutto sommato divertita, prima di aggiungere - Seguita, Mad-Eye?? Vivi in un posto sperduto in mezzo alle Highlands, lontano centinaia di chilometri dall’essere umano più vicino, in una fortezza circondata da non so quanti incantesimi difensivi, di allontanamento e di allarme… e hai il coraggio di chiedermi se sono stata seguita?”

“Uno non può mai essere troppo prudente…” borbottò Alastor, facendosi da parte quanto bastava per lasciarla entrare. Tornò a sporgersi fuori, dando un’occhiata circospetta tutto attorno, prima di chiudere il battente e ripristinare i vari lucchetti e chiavistelli con un rapido gesto della bacchetta. Dora alzò gli occhi al soffitto e scosse il capo alla ben famigliare routine del suo mentore.

Mad-Eye aveva un piccolo appartamento a Londra, dove si era trasferito in gioventù e dove aveva regolarmente abitato durante i suoi anni in servizio come Auror, il cui indirizzo era piuttosto noto, almeno tra i suoi colleghi. Quel vecchio cottage sperduto nel cuore delle montagne scozzesi, al contrario, era la casa in cui il vecchio mago amava ritirarsi in solitudine e, probabilmente, l’unico luogo al mondo in cui si sentisse veramente al sicuro. Tonks era una delle sole tre o quattro persone ad esserne a conoscenza.

Il tradizionale cottage ad un piano, in pietra bianca e dal tetto spiovente, era molto più ampio all’interno di quanto non apparisse; varie stanze erano state aggiunte negli anni, dalle varie generazioni di Moody, ma un nostalgico romanticismo aveva sempre portato la famiglia a mantenere magicamente inalterato l’aspetto esteriore della dimora ancestrale.

Dora si fece strada con estrema cautela attraverso il salotto, confortevole ma vagamente claustrofobico, stipato com’era di mobili, bauli, congegni dall’aspetto bizzarro e pile su pile di libri di ogni forma e dimensione. Prestando particolare attenzione a non calpestare né urtare nulla, si diresse verso il divano e vi si lasciò cadere mollemente, allungando le gambe davanti a sé, verso il tepore del pigro fuoco torbato che ardeva nel camino.

“Sei in ritardo, - borbottò Mad-Eye, zoppicando verso la porta che si affacciava sulla cucina e agitando sbrigativo la bacchetta - ma almeno il tea che ti avevo promesso è pronto.”

“Hei! – ribatté lei mentre teiera e tazze levitavano nella sua direzione - Non sarei stata così in ritardo se tu non mi avessi lasciata fuori al freddo e al gelo per dieci minuti!”

Moody sogghignò: “Tutte scuse, pivella – prese pesantemente posto al suo fianco e la guardò di traverso - Ora che sei qui mi vuoi dire a cosa devo la visita?”

Tonks arricciò un poco il naso e versò il tea, inalando il forte profumo speziato. Allungò una tazza a Mad-Eye e si rigirò l’altra tra le mani, tornando ad appoggiare la schiena ai cuscini. Infine, senza troppi preamboli, si decide a dire: “Ho incontrato Remus Lupin.”

Moody non sembrò particolarmente impressionato dalla rivelazione: “E quindi?”

“Tutto qui? - chiese cauta Dora - Niente stupore, niente domande?”

Il vecchio mago si strinse nelle spalle: “So da due mesi che volevi metterti in contatto con lui, da quella cena quando mi hai chiesto di fare da intermediario con Dumbledore per raccogliere informazioni su di lui. So anche quanto sai essere testarda una volta che ti impunti su una cosa, quindi non mi stupisce che, alla fine, tu abbia trovato un modo per parlargli. La cosa interessante è che dopo aver incontrato Remus ti sei presentata alla mia porta. Perché?”

Lei prese un sorso di tea, più per abitudine che altro, quindi rispose: “Mi ha detto una serie di cose piuttosto… sorprendenti, e proprio alla fine, quasi per caso, ha detto che vi conoscevate, anni fa.”

Si interruppe, aspettandosi un riscontro, ma Moody si limitò ad inarcare un sopracciglio, senza una parola.

Dora sospirò: “Remus sapeva che sono un Auror, e credo non sia un caso che abbia tirato fuori il tuo nome, ma non mi ha detto come o perché vi siete conosciuti. Ci ho pensato su a lungo, e credo che in qualche modo abbia voluto lasciar decidere a te se raccontarmi questa cosa o meno, ma tu non me ne hai fatto parola quando io ti ho chiesto di lui, e non riesco a spiegarmi perché.”

Moody la osservò per un attimo, anche l’occhio magico smise di guizzare attorno, fissandosi su di lei, quindi posò senza delicatezza la tazza intonsa sul tavolino davanti a sé e si alzò: “Sempre detto che sei troppo sveglia per il tuo bene…”

Raggiunse zoppicando la mensola del camino, da cui prese una bottiglia di Scotch, un bicchiere e una cornice. Quando si lasciò cadere nuovamente sul divano le posò in grembo la fotografia, in cui un gruppo di persone sorrideva e gesticolava: “Guarda con attenzione. Qualcuno di famigliare lì dentro?”

Dora appoggiò a sua volta la tazza e si concentrò sull’immagine, passando in rassegna i volti in bianco e nero: “Hagrid - disse subito, riconoscendo alla prima occhiata la sua grande sagoma - e Dumbledore, e Sirius. Mmm, questi mi sembrano i Potter e… questo è Lupin?” chiese, puntando un dito su un ragazzo allampanato, con i capelli lunghi che gli coprivano in parte il viso.

“Certo, - rispose Moody, senza spostare lo sguardo dalla dose di whiskey che si stava portando alle labbra – e quello al suo fianco è Peter Pettigrew. Ora guarda sul lato opposto.”

Dora fece come le era stato detto e deglutì: “Sei tu - disse con un filo di voce - Mad-Eye, che cos’è questa fotografia? Chi è tutta questa gente?”

“Erano gli anni settanta” disse solo lui.

Rimasero entrambi in silenzio, Alastor sorseggiando il suo whiskey, Dora con le dita strette spasmodicamente alla cornice. Erano sicuramente entrambi consapevoli che quella semplice frase non aveva risposto alle domande di Tonks, e al tempo stesso aveva spiegato fin troppo. Gli anni settanta poteva voler dire una cosa soltanto: la Guerra Magica.

Dora sentì la testa girarle all’improvviso e dovette chiudere gli occhi per un istante. Prese un grande respiro ed esalò piano l’aria, formulando difficoltosamente il pensiero: “Ok, stai cercando di dirmi che conosci Remus Lupin perché avete combattuto insieme contro Tu-Sai-Chi? Con il preside? È per questo che si fida così tanto di lui? Per quello che lo ha assunto?”  

“Io non ho detto proprio un bel niente” rispose burbero Moody, togliendole la foto dalle mani e facendola tornare al suo posto sul caminetto con un guizzo della bacchetta.

Dora raccolse la sua tazza di tea ormai tiepido dal pavimento e fissò la pigra fiamma del fuoco; nella sua testa regnava al momento una tale confusione di fatti, date, nomi e volti da avere la sensazione che le stesse sfuggendo qualcosa di fondamentale.  

Quando infine Mad-Eye tornò a parlare, dal suo tono allegro Tonks capì che la faccenda era chiusa: “Sai – le disse con un mezzo sogghigno – sono contento che tu sia passata di qua, mi hai evitato di doverti venire a stanare a Londra. Ho un paio di cose da dirti.”

“Oh - fece lei, curiosa e suo malgrado grata di avere qualcosa che la distraesse dai machiavellici pensieri in cui stava sprofondando - di che tipo?”

“Due buone notizie. Almeno credo. La prima è che la mia pensione ha avuto vita assai breve…”

“Torni in servizio?” Dora urlò quasi, con un misto di incredulità e speranza.

“Neanche morto! - brontolò però Mad-Eye – Dumbledore mi ha offerto, o meglio, mi ha supplicato, di accettare la cattedra di Difesa dalle Arti Oscure a Hogwarts. Professor Moody… non suona tanto male, eh?”

Tonks lo guardò un istante allibita, quindi scoppiò a ridere: “Tu? Ad insegnare ad una mandria di ragazzini ormonati? Ti verrà un esaurimento nervoso dopo la prima settimana!”

“Già… ho provato a dirlo a Dumbledore, ma a quanto pare ha un disperato bisogno di un insegnate e ha usato delle argomentazioni piuttosto difficili da contraddire.”

Dora annuì; dopo quello che era successo quell’anno e con il Torneo Tremaghi alle porte, non era sorprendente che il preside volesse un Auror nello staff.

“Bhe, immagino di doverti augurare buona fortuna allora! – sogghignò, alzando la tazza in saluto - E la seconda?”

“Ah, la seconda… - Moody sorrise, o almeno ci provò, il risultato fu un sogghigno dall’aria alquanto sinistra - Hai da fare il 22 sera?”

“Il 22 di questo mese? Più o meno. - rispose Tonks, funerea - Ho cercato in tutti modi di farmi assegnare a una delle squadre che lavorerà alla finale della Coppa del Mondo ma ovviamente, essendo l’ultima arrivata, mi hanno rifilato il turno della notte tra il 21 e il 22. Devo sloggiare il 22 mattina alle 06.30 e rimanere reperibile in giornata in caso di emergenza. Quando me l’hanno detto ho cercato di trovare dei biglietti ma, ormai, non ce n’era più neanche l’ombra.”

Alastor non smise di sogghignare, quindi estrasse dalla tasca del pastrano che indossava una busta stropicciata e la tese alla ragazza: “Area di smaterializzazione 4B, tra le 16 e le 16.05. Divertiti!”

Tonks la aprì, e rimase a bocca spalancata: “Non ci credo” esalò infine, estraendo con timore reverenziale due biglietti che recavano la gloriosa scritta 22 Agosto 1994: Ireland vs. Bulgaria seguita da un codice e il numero dei posti a sedere.

“Omaggio del Ministero per decenni di onorato servizio, e sono pure in un quadrante decente!”

“Mad-Eye, non so come ringraziarti…”

“Trovati un cavaliere che meriti quel biglietto. Non stai più uscendo con Edevane, vero?” chiese poi con aria critica.

Tonks storse la bocca, come faceva ogni volta che qualcuno accennava a Eddie, un suo compagno d’anno a Hogwarts, in Ravenclaw, che aveva frequentato con lei il corso di addestramento Auror e con cui era stata per quasi un anno: “No, mi ha scaricata un paio di mesi fa.”

“Ottimo! - esclamò Moody, visibilmente soddisfatto - sempre detto che puoi trovare di molto meglio di quel rammollito!”

Presa alla sprovvista, Dora sbuffò dal naso e scosse piano il capo: “Già… grazie della botta di autostima. Sicuro che tu non vuoi venire?”

Alastor le rifilò un’occhiataccia: “No, grazie. Gradirei godermi in santa pace le ultime poche, preziose settimane prive di bagni di folla che mi rimangono.”

La ragazza ripose con cura la busta in una tasca e sorrise: “Bhe, grazie, Mad-Eye. Per i biglietti, per la chiacchierata, per i tuoi consigli e per tutto quello che mi hai insegnato.”

“Non sono ancora morto, eh! - la sgridò lui, bonario e burbero come sempre, quindi si alzò, appoggiandosi pesantemente alla gamba finta - Ora che tu vada, Tonks, e vedi di non combinare pasticci mentre io sono troppo distante per venire a tirartene fuori.”

Dora si alzò a sua volta e, sull’impeto del momento, lo abbracciò.

“Hei! - gridò subito lui, cercando di scollarla via - per le palle di Merlino, Nymphadora! Levati di dosso!”

Lei lo strinse un’ultima volta per poi dargli un’affettuosa pacca su una spalla: “Mi mancherai, vecchio.”

“Anche tu, pivella. Anche tu.”


 
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La casa di Londra è dove Mad-Eye viene "rapito" da Barty Crouch Jr. a fine agosto, il cottage nelle Highlands è una mia aggiunta basata sul fatto che, canonicamente, Alastor Moody viene da una famiglia Pureblood scozzese.

La foto di cui parlano Mad-Eye e Tonks è ovviamente quella del primo Ordine come mostrata nei film: https://vignette.wikia.nocookie.net/harrypotter/images/d/d0/Order_of_the_Phoenix_%E2%80%93_first_generation.jpg/revision/latest?cb=20150206155602




 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 – 20 e 21 Agosto 1994 ***



Capitolo 5 – 20 e 21 Agosto 1994

 
Seduta al suo cubicolo masticando distrattamente una Bolla Bollente, i piedi che tamburellavano ritmicamente contro le gambe della sedia, Dora si rigirava tra le mani la busta che conteneva i biglietti per la Coppa del Mondo. I biglietti. I due biglietti.

Aveva promesso a Mad-Eye che avrebbe trovato qualcuno che la accompagnasse alla finale eppure, nella settimana precedente, non aveva chiesto a nessuno di andare con lei. A sua discolpa c’era da dire che la sua migliore amica, Rachel, aveva da tempo preso i biglietti per lei e per il suo fidanzato, il suo migliore amico, Charlie avrebbe presenziato con l’intera famiglia e suo padre era stato invitato da un collega per una serata tra uomini.

Era certa che se avesse sparso la voce che aveva un biglietto crescente avrebbe trovato qualcuno interessato nell’arco di cinque minuti ma, se doveva essere onesta con se stessa, la verità era che sapeva perfettamente a chi voleva dare quel biglietto. Ma non aveva il coraggio di farlo.

Con un mugolio disperato abbassò il capo, iniziando a sbattere metodicamente la fronte sul pianale della scrivania.

“Tonks!?”

La voce perplessa di Shacklebolt la fece sobbalzare di colpo. Schizzò in piedi, facendo cadere la sedia, e si affrettò a nascondere la busta dietro la schiena, urtando il gomito di Kingsley nel processo e facendogli rovesciare buona parte del succo di zucca ghiacciato dai due bicchieri che teneva in mano.

“Per tutti i gargoyle, Tonks! Ricordami di lanciare un protego la prossima volta che vengo ad offrirti da bere!”

Dora sorrise, imbarazzata, raccogliendo la sedia e passandosi una mano sulla nuca: “Scusa, mi hai colto di sorpresa.”

“Me ne sono accorto! - rispose bonario Kingsley appoggiando uno dei bicchieri sulla scrivania, quindi aggiunse in un sussurro - Volevo solo chiederti come sta procedendo con Lupin.”

Tonks esitò, impilando con cura un plico di fogli per prendere tempo, le parole di Remus che le risuonavano in testa: è tempo che tu decida cosa credere, di chi fidarti e per che cosa batterti.

Era stato proprio Kingsley a metterla sulle tracce di Lupin, a dirle che credeva in Dumbledore, se non poteva fidarsi di lui, di chi?

Eppure, l’ombra del dubbio si era ormai insinuata dentro di lei, resa più fosca dalla fotografia che Mad-Eye le aveva mostrato. Tutta quella gente aveva combattuto insieme contro il Signore Oscuro, fianco a fianco con un traditore, lì, sorridente, nella foto accanto a loro.

“Mi sono messa in contatto con lui tramite mia madre, - si decise infine a dire, optando per una mezza verità – ha accettato di incontrarla ma andrò io al suo posto. Sto aspettando che mi faccia sapere una data.”

Shacklebolt la squadrò per qualche istante: “Fai attenzione, Tonks, e tienimi aggiornato.”

Quando il mago fu tornato al suo cubicolo, Dora prese un gran respiro, e una decisione. Impugnò penna e pergamena e iniziò a scrivere:

Remus,
ti devo delle scuse per il mio comportamento di settimana scorsa, avrei dovuto essere onesta con te fin dal principio. Ho pensato a quello che mi hai detto, e vorrei parlarti di nuovo. Ho un biglietto in più per la finale della Coppa del Mondo di Quidditch, se ti va di venire incontriamoci il 22 al Paiolo Magico alle 15.30. Sarò la ragazza con i capelli rosa.
Tonks

Non rilesse ciò che aveva scritto, infilò la pergamena in una busta e prese la bacchetta, incantando il messaggio perché raggiungesse la voliera dove il suo gufo, Chares, riposava durante il giorno mentre lei era al lavoro.

Sentendosi più leggera, afferrò la cartelletta che conteneva il protocollo per la sicurezza che doveva imparare per il giorno dopo, e si mise a leggere. Si trattava più che altro di Segretezza Anti-babbana, con qualche nota sulle procedure da tenere per evitare che si scatenassero eventuali risse tra le tifoserie o che qualche forma di magia sfuggisse al controllo.

Tutto sommato, sembrava un lavoro piuttosto tranquillo, e Tonks sentì improvvisamente l’entusiasmo crescerle dentro: ancora ventiquattro ore e sarebbe stata là, alla Coppa del Mondo, dove all’incirca centomila maghi e streghe da tutto il mondo si sarebbero riuniti per la finale. Sapeva che l’organizzazione era stata un vero incubo logistico a cui l’intero Ministero aveva lavorato per mesi. Perfino gli Auror erano stati reclutati, solo gli addetti alle priorità 1, come ad esempio il caso Black, erano stati risparmiati.

 
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Tutto il suo entusiasmo fu però messo a dura prova la notte successiva. Dopo essersi scarpinata su e giù i kilometri e kilometri di campeggi invasi di maghi malamente camuffati, impegnata a dare ammonimenti, terminare incantesimi inappropriati, ripristinare le barriere anti-materializzazione e respingi-babbani, Dora era esausta.

Si lasciò cadere su una panca nella piccola tenda che il Ministero aveva eretto per i suoi dipendenti in servizio e lasciò che Arnold Peasegood, un obliviatore della Squadra Cancellazione Magia Accidentale che conosceva di vista, le passasse una tazza energizzante.

“Come sta andando?” le chiese, gentile.

“Per un evento di queste proporzioni bene, direi” rispose stanca lei, sorseggiando la bevanda calda e dando un’occhiata all’orologio. Erano da poco passate le cinque del mattino.

“Quando stacchi?”

“Tra un’ora e mezza, ho un turno di pattugliamento delle aree di smaterializzazione, su nel bosco, poi posso andare. Tu?”

L’uomo fece per rispondere quando un mago dall’aria esasperata, che indossava una buffa salopette e un paio di stivali da cowboy, fece irruzione dalla falda semiaperta: “E’ pazzesco! Per la barba di Merlino, avete visto che cosa hanno appeso i Bulgari sulle loro tende?”

Dora scosse la testa, incuriosita: “No, non ho visto il settore bulgaro, cosa?”

“Poster di Krum! - rispose il mago - E intendo giganteschi poster magici di Krum!”   

Arnold sospirò, alzandosi: “Va bene, Gregory, andiamo a vedere se c’è modo di convincerli a tirarli giù anche se ne dubito, dato che gli Irlandesi hanno praticamente eretto colline di trifogli per due kilometri quadrati.”

Dora sorrise, suo malgrado, e uscì a sua volta. Salutò i due obliviatori e si avviò verso il bosco che separava lo stadio dai campeggi dove, nelle radure tra gli alberi, erano state istituite le aree di materializzazione. Il suo vademecum diceva che doveva dare il cambio ad una certa Alisha Lachman del Dipartimento Immigrazione, prima di potersene andare.

La donna la accolse con un’espressione estremamente sollevata e le mise in mano un orologio dorato e una piuma, indicandole il tavolino su cui era appoggiata una pila di pergamene: “Eccoti le liste, cara - le disse - C’è una materializzazione in arrivo ogni 5 o 10 minuti, la prossima dovrebbe…”

In quell’istante, con un sonoro schiocco, una coppia di maghi di colore in abiti variopinti comparve a un paio di metri da loro. Tonks sorrise: “Ebamba, due persone?”

L’uomo rispose affermativamente, e Dora spuntò il nome dalla lista, dando ai due le indicazioni necessarie per orientarsi all’interno dell’area dell’evento. Quindi sorrise ad Alisha: “Tutto sotto controllo, meglio che tu fugga da qui finché sei in tempo!”

Materializzazione dopo materializzazione, nome dopo nome, il tempo scivolò via e il cielo iniziò a schiarirsi. Alle sei e un quarto, un ragazzo allampanato che Tonks non era sicura di avere mai visto prima andò a darle il cambio e lei poté finalmente tornare a casa, dove si lasciò cadere sul divano senza nemmeno togliersi le scarpe, addormentandosi immediatamente.

Fu la voce graffiante di Myron Wagtail a svegliarla, sulle note di This is the Night. Dora sorrise, svegliarsi con le Weird Sisters era sempre un ottimo modo di iniziare la giornata. O continuarla, rifletté, visto che era ormai mezzogiorno passato. 

Si alzò faticosamente dal divano e andò ad aprire l’acqua della vasca da bagno, quindi si aggirò per casa alla ricerca di Chares. Il gufo non c’era e, quel che era peggio, non c’era nessuna lettera. Si ripeté per l’ennesima volta che non voleva dire nulla: non gli aveva chiesto una risposta, dopotutto, gli aveva dato un appuntamento.

Bandendo il pensiero, si immerse nell’acqua calda. Si concesse di chiudere gli occhi per un istante, il capo reclinato all’indietro, quindi sospirò e afferrò il piccolo specchio che aveva posato sul bordo della vasca. Era estremamente consapevole del fatto che Remus non l’avesse mai vista, con buona probabilità non aveva alcuna idea di che aspetto avesse, ed era giunto per Dora il momento di decidere con quale look presentarsi.

Gli aveva scritto che avrebbe avuto i capelli rosa perché quella era l’unica cosa di cui era certa. Aveva sfoggiato per la prima volta una chioma rosata durante il suo terzo anno a Hogwarts, quasi per scherzo, e da allora era rimasta più o meno una costante, con qualche variazione di taglio e sfumatura in base all’occasione e all’umore.  

Iniziò a giocare con il colore, trasformandolo dal pervinca ad un rosa cicca, quindi a uno pastello, per soffermarsi infine su un rosa scuro, quasi bordeaux. Soddisfatta, accorciò i capelli in un caschetto spettinato e li spinse all’indietro con una mano bagnata. Per il resto del viso limitò la metamorfosi il più possibile; mantenne i suoi occhi grandi e scuri e la sua carnagione chiara, diede solo alle labbra una piega un po’ più morbida e allargò un poco il naso, per fargli perdere i tratti aquilini dei Black.

In quanto agli abiti, non ebbe difficoltà: infilò un paio di jeans neri, aderenti, e il suo solito paio di anfibi malconci, quindi scelse una t-shirt della stessa sfumatura dei capelli, con un grande scollo a barca. Si infilò a tracolla una borsa di pelle, ci infilò dentro un maglione e la busta con i biglietti e guardò l’immagine riflessa nello specchio: “Beh, - disse piano - è il meglio che si possa fare, vecchia mia.”

Con un ultimo sospiro si avvicinò al caminetto e prese una manciata di polvere volante. Pochi istanti dopo si ritrovò al Paiolo Magico. Il locale era affollatissimo, e Tonks si affrettò a spazzolarsi i vestiti e levarsi dall’area di arrivo, sgomitando fino al bancone. Si issò su uno sgabello e fece cenno a una cameriera di passaggio, chiedendo una burrobirra e il piatto del giorno.

Aveva appena infilato in bocca una porzione particolarmente abbondante di Pasticcio Piccante Pera e Pancetta quando una voce gentile alle sue spalle mormorò: “Ciao, Nymphadora.”

Con una serie di colorite imprecazioni mentali, Tonks deglutì il boccone, sentendo il piccante devastarle la gola e lacrime salirle agli occhi. Tossì un paio di volte e si alzò, voltandosi. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma le parole le morirono sulla punta della lingua.

Remus Lupin aveva le mani infilate nelle tasche di un paio di jeans stinti, dai quali spuntavano un paio di anfibi malconci. La camicia a quadretti grigio-azzurra aveva un paio di bottoni aperti e le maniche arrotolate. Sui capelli, corti e sbarazzini, era appoggiato un paio di occhiali da sole babbani.

“Qualcosa non va?” chiese lui, e Dora si rese conto di essere rimasta a guardarlo a bocca aperta un po’ troppo a lungo.

“No! No, certo che no! Mi hai solo colto alla sprovvista, non mi aspettavo che tu fossi così… - si interruppe di colpo, cercando un modo di chiudere la frase senza imbarazzarsi a morte. Giovane? Attraente? - …babbano.”

Remus si strinse nelle spalle con un mezzo sorriso: “Oh, beh mia madre era babbana, e al momento sto vivendo nella comunità babbana, quindi…”

Dora sputacchiò la burrobirra che stava sorseggiando, guardandolo ad occhi sgranati: “Tu cosa?”

Remus si adombrò improvvisamente, chinando il capo: “Capisco come può sembrare. Non sei la prima a trovarlo vergognoso.”

“Ma no! - esclamò Tonks - Mi hai fraintesa! Certo che è vergognoso, è vergognoso che la tua condizione ti costringa a dover vivere in mezzo ai babbani perché la tua stessa gente non ti accetta per quello che sei. Non è questo il motivo che ti ha portato a fare una scelta simile?”

Lui sospirò: “Le sterline mettono il cibo in tavola tanto quanto i galeoni.”

Dora annuì: “Certo. Non ti sto giudicando, non lo farei mai – dopo un attimo aggiunse – Dove vivi?”

Remus sembrò rilassarsi un poco, si schiarì la voce e rispose: “Nello Yorkshire. Faccio il guardiano di una tenuta nella brughiera. Mi piace, c’è tanto spazio e poca gente, e una folta colonia di Murtlap, che mi permette di continuare le mie ricerche.”

Dora storse il naso alla menzione delle infide creature marine e tornò a prendere posto sullo sgabello: “Hai già mangiato? Bevi qualcosa?”

Lui scosse il capo: “Grazie, sono a posto. Finisci con calma e poi possiamo andare, se sei sempre dell’idea.”

Tonks finì il suo Pasticcio Piccante mentre Remus le raccontava sommessamente di come avesse trovato il lavoro e dei suoi studi sulle creature oscure. Una volta che la ragazza ebbe pagato il conto raggiunsero il cortile sul retro e Dora estrasse i biglietti dalla borsa; diede un’occhiata all’orologio e prese un bel respiro: “Un minuto e ci siamo. Come te la cavi con la Materializzazione?”

“Oh, piuttosto bene.”

“A te l’onore, allora” disse Dora, allungando un braccio verso di lui. Una piccola parte di lei fremette di anticipazione, solo per rimanere inevitabilmente delusa quando le dita calde di Remus si chiusero attorno al suo polso, e non alla sua mano. Un attimo dopo, con un sonoro crack, erano spariti. 



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La storia in sé sta forse procedendo un po' a rilento, ma ci sto prendendo gusto nel descrivere il mondo magico dagli occhi di un adulto, nell'infilare piccoli dettagli e riferimenti. In questa parte ho abbondato anche più del solito, se non sapete che cos'è un Murtlap o una Bolla Bollente provate a googolarli, Myron Wagtail, che comparirà nuovamente in futuro, è il celeberrimo cantante delle Weird Sisters e la canzone la trovate su Youtube! I due obliviatori sono citati da Arthur Weasley nel Calice di Fuoco... e lascio a voi scovare altri riferimenti. L'unica cosa di mia invenzione è il Pasticcio Piccante Pera e Pancetta :)

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - 22 Agosto 1994 ***




Capitolo 6 – 22 Agosto 1994
 

Tonks tenne gli occhi ben chiusi, sentendo la famigliare sensazione di risucchio che sempre accompagnava la fine della materializzazione. I suoi piedi urtarono il suolo e la ragazza barcollò, cercando l’equilibrio, mentre la mano salda di Remus la aiutava a bilanciarsi.

“Moody, due persone?” chiese una voce stanca da qualche parte davanti a loro.

Dora deglutì vistosamente, aprì gli occhi, e annuì verso la strega che li fronteggiava con in mano piuma e pergamena: “Benvenuti, lo stadio è in quella direzione, tenete a mente che ci vuole più o meno un quarto d’ora da qui. Se invece scendete quel sentiero trovate l’area ricreativa e la ristorazione – sorrise la loro strega, puntando un dito verso un viottolo che si snodava nel bosco – Divertitevi e buona serata!”

Tonks imboccò senza esitazione il sentiero sulla destra e Remus la seguì in silenzio, affiancandola senza sforzo con le sue lunghe falcate. Presero un passo tranquillo, accodandosi ad altre persone che stavano andando nella stessa direzione.

“Tutto bene?” chiese Remus, gentile, dopo qualche istante.

Lei sorrise: “Oh, dici per prima? Sì, sì, soffro un po’ la smaterializzazione, mi viene sempre un po’ di nausea ma passa subito, e sei stato molto delicato rispetto alle mie!”

“Il trucco è non andare di fretta – rispose Remus stringendosi nelle spalle, per poi indicare davanti a sé – Sai dove stiamo andando? La strega all’accoglienza ha detto che lo stadio è dall’altra parte.”

“Ci puoi giurare che so dove sto andando! – ridacchiò Tonks – Ho lavorato qui tutta la notte! È presto per andare a prendere posto, voglio dare una curiosata in giro! Appena fuori da questo bosco iniziano i campeggi e a quanto paure i Bulg…”

Non fece in tempo a finire la frase. Venne colpita alle spalle e volò per terra, un paio di mani robuste che le inchiodavano le braccia ai lati del corpo. Faccia al suolo, lottò con tutte le sue forze contro il misterioso assalitore; si divincolò fino a riuscire a sferrargli una ginocchiata all’inguine, e solo allora lo sentì gemere: “Oh, maledizione, Tonks! Non c’è alcun bisogno di ricorrere alla violenza!”

Riconobbe la voce dolorante nelle sue orecchie all’istante e smise di contorcersi, scoppiando a ridere di gusto: “Ma, smettila! È tutta colpa tua, hai la delicatezza dei tuoi adorati Lungocorni! Levati di dosso, bestione di un Weasley, e fatti abbracciare!”

Qualche istante dopo, Dora aveva le braccia al collo di Charlie Weasley e lo stava stringendolo forte. Da sopra la sua spalla vide Remus, con un’espressione a metà tra il sorpreso e il divertito, accanto ad un altro ragazzo alto, con gli inconfondibili capelli alla Weasley, stretti in una coda: “Bill!” esclamò.

I due fratelli erano cambiati ben poco nell’anno e mezzo che era passato dall’ultima volta che li aveva visti: Charlie aveva messo su altra massa muscolare, e mostrava un paio di belle scottature sulle mani e gli avambracci, Bill era asciutto e abbronzato, attraente come sempre.

“Ne è passato di tempo! - commentò Dora - C’è voluta una finale della Coppa del Mondo per farvi tornare dalla Romania e dall’Egitto, vedo.”

Bill le scompigliò i capelli con affetto, stringendosi nelle spalle: “C’è tutto un mondo là fuori, lontano dalla vecchia, cara Inghilterra. Dovresti farci un pensierino.”

Tonks rise piano e, riaggiustandosi il ciuffo, si portò al fianco di Lupin: “Ragazzi questo è un amico, Remus Lupin – la voce le si inceppò appena su ‘amico’ ma di costrinse a continuare - Remus, questi sono i primi dei fratelli Weasley: William e Charles.”

“Molto piacere, - disse Remus, scambiando con entrambi una stretta di mano - ho sentito parlare di voi. L’anno scorso sono stato l’insegnante di Difesa dalle Arti Oscure di Ginny, Ron e i gemelli.”

“Ma allora dovete venire alla nostra tenda! - esclamò subito Charlie – Sono tutti qui, e Ron ha portato due amici: Hermione Granger e Harry Potter. Quell’ Harry Potter, saranno sicuramente felici di vederti!”

“Harry Potter!? - squittì Tonks in preda all’eccitazione - È qui? Con voi? Oh, Merlino! Che cosa stiamo aspettando? Andiamo!”

Tutto il suo entusiasmo scemò non appena realizzò che Remus, al suo fianco, si era irrigidito. Un istante le fu sufficiente a capire la sua esitazione, così si affrettò a correggersi: “Anzi, sapete cosa vi dico? Non sarebbe carino fare irruzione in questo modo. Io e Remus andiamo a fare un giro, magari ci si incrocia più tardi, ok? Ciao!”

Prima che Lupin potesse dire qualcosa, Dora lo aveva già afferrato per un polso e lo stava trascinando giù per il pendio, attraverso i vialetti tra le tende, lasciandosi alle spalle due perplessi Weasley.

Dopo il primo scatto, la loro avanzata fu estremamente lenta: ogni pochi metri Tonks veniva riconosciuta da qualcuno e si fermava a salutare, oppure qualche cosa di strano accadeva, e la ragazza era costretta a intervenire. Quando infine raggiunsero l’area della ristorazione, dove vari chioschi e tende si alternavano a lunghi tavoli affollati, si misero in coda fianco a fianco a uno stand e Dora si accorse che Remus la stava fissando con attenzione.

“Hei, - mormorò – qualcosa non va?”

Lui scosse piano il capo: “No, niente di particolare. Mi stavo solo chiedevo se avessi intenzione di dirmi qual è la vera ragione per cui mi hai chiesto di venire qui, con te, oggi.”

Dora si sentì arrossire e sprofondò le mani nelle tasche, prendendo tempo. Quando rispose, lo fece evitando accuratamente di guardarlo in faccia: “E’ come ti ho scritto… Ho pensato molto a quello che mi hai detto e volevo parlartene ancora. Credevo che la Coppa del Mondo fosse un buon posto, che con tutta questa gente saremmo sicuramente passati inosservati, ma non avevo calcolato che, nel numero, ci fosse anche un sacco di gente che conosco. Non è strano che tu non abbia ancora visto facce note?”

Quando azzardò un’occhiata verso di lui vide che un triste sorriso gli era comparso sul volto: “Non è che non ho visto facce note, - mormorò piano - è solo che sembra tu faccia di tutto per dimenticarti che tre quarti delle persone che sanno chi sono preferirebbero andare a caccia di troll a mani nude piuttosto che ammettere di conoscermi.”

“Beh, il mondo è pieno di idioti!” esclamò Tonks senza preoccuparsi di filtrare le parole, e solo allo sguardo stupito di Remus si rese conto della forza che aveva messo nell’affermazione. Si schiarì la voce, imbarazzata, ma dopo un istante Remus rise piano, e Dora sentì uno strano calore nascerle dentro.

Era il loro turno al chiosco, e Tonks ringraziò mentalmente l’occasione di sviare l’attenzione su qualcos’altro. Ordinarono due succhi di zucca e la ragazza immerse le dita nella tasca per pescare qualche Galeone. Remus la bloccò con un gesto della mano: “No, faccio io. Sono qui con uno dei tuoi biglietti, il minimo che possa fare è pagarti da bere.”

Tonks fu sul punto di protestare, ma si rese conto che insistere avrebbe voluto ammettere di sapere in che difficoltà economiche Remus si trovasse, così si limitò a sorridere e ringraziare, ritirando i bicchieri mentre lui armeggiava con qualche Falce e Zellino fino a pagare il conto.

Si avviarono fianco a fianco verso un’area di prato relativamente tranquilla che costeggiava un tratto di bosco e Tonks riprese il discorso chiedendo: “E’ per questo che non vuoi incontrare Harry Potter e i suoi amici?”

Lui scosse il capo, passandosi una mano sul collo: “In realtà no, quei tre sarebbero probabilmente tra i pochi realmente felici di vedermi, ma fino a un paio di mesi fa mi consideravano un loro insegnante e poi è successo… beh, ci siamo lasciati in modo un po’ confuso. Immagino non sappiano bene chi sono per loro: un professore, un amico? Meglio lasciar calmare le acque per un po’, non credi?”

Le strizzò un occhio con aria complice e Dora fu rapidamente consapevole del sorriso ebete che le si era stampato in viso. Oh, Merlino! Datti un dannato contegno, Tonks! Si rimproverò, decidendosi infine ad andare sull’argomento che aveva evitato fino a quel momento: “So come hai conosciuto Mad-Eye. Negli anni settanta…”

Calcò il peso su quelle ultime due parole e vide Remus diventare improvvisamente serio e scuro in volto: “E’ questo che intendevi, vero, quando mi hai detto che è tempo di scegliere da che parte stare. Temi che stiamo tornando a ciò che è successo allora?”

Remus sospirò: “Ammetto che era una prova, non ti ho detto quella frase a caso. Volevo vedere se l’avresti riconosciuta come uno dei motti di Alastor, volevo vedere se ti saresti messa in contatto e che cosa lui avrebbe fatto in tal caso. Se Mad-Eye ti ha parlato di questa cosa significa che si fida davvero di te. Lo speravo, ma dovevo esserne sicuro.”

Tonks annuì, le dita strette sul bicchiere ancora semi pieno: “Lo capisco.”

“Questo è quello che ti posso dire al momento: ho già vissuto una volta la calma prima della tempesta, so cosa si prova, e so difficile immaginarlo, ma quello che è successo a giugno può avere conseguenze spaventose – disse Remus in un filo di voce - Peter, Peter Pettigrew, è stato considerato per tutto questo tempo un ragazzino fragile, una vittima innocente, ma ora sappiamo che non è così. Credo non sapremo mai se abbia tradito per paura o per convinzione, ma resta il fatto che quando Sirius e io lo abbiamo smascherato, ha scelto di fuggire.”

Tonks si guardò attorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno nelle vicinanze in grado di sentire la conversazione, quindi mormorò: “Potrebbe avere deciso di ricongiungersi a Tu-Sai-Chi?”

Lupin si strinse appena nelle spalle: “Ha dimostrato di essere un codardo, e un codardo è probabile cerchi la protezione di qualcuno di più grande di lui. Non possiamo escludere questa ipotesi perché è troppo pericoloso ignorare la possibilità che il Signore Oscuro abbia nuovamente accanto un fedele seguace.”

“Oh Merlino! - esclamò Dora, sentendo un’improvvisa ondata di panico attraversarla da capo a piedi - Dobbiamo fare qualcosa! Avvertire il Ministero, allertare gli Auror, dobbiamo trovare Pettigrew!”

Remus scosse il capo: “Sono d’accordo sul fatto che trovare Peter sia una priorità, ma tutto il resto è impossibile. Non solo non abbiamo uno straccio di prova, ma ricorda anche che nessuno, men che mano il Ministero, vuole sentirsi dire che il ritorno del Signore Oscuro è un’opzione possibile.”

“È assurdo! – sbottò Dora – Il primo dovere del Ministero è quello di proteggere la comunità magica! A chi possiamo rivolgerci se non alle nostre autorità?”

Sulle labbra di Remus fece capolino l’ombra di un sorriso: “Credo che tu già sappia la risposta a questa domanda. Non siamo soli. Dobbiamo stare all’erta e guardarci attorno, e avere fiducia.”  

Continuarono a camminare per qualche tempo, sorseggiando il loro succo di zucca e portando avanti una zoppicante conversazione sull’esperienza di Remus come insegnante e delle sfide che Mad-Eye aveva davanti nel ricoprire quel ruolo.

Un’eccitazione collettiva e ormai quasi palpabile sembrava crescere tutto attorno, man mano che l’orario della partita si avvicinava. Mentre il sole iniziava a calare sui campeggi, anche gli ultimi tentativi di finzione vennero abbandonati, e tracce di magia comparvero in ogni dove. Perfino il Ministero sembrava essersi arreso. Dora si affrettò a saltare di lato quando un venditore ambulante si materializzò a pochi passi da lei, spingendo un carretto variopinto colmo di coccarde luminose e bandiere delle nazioni in gara.

Al suo fianco, Remus rise piano, indicandole un mago dal naso adunco che urlava a gran voce promuovendo i sandwich che teneva impilati su un vassoio colorato appeso al collo: “Ti va se recupero uno snack?”

“Volentieri!” annuì Tonks, momentaneamente distratta da una coppia di bambini che le stava correndo accanto con al collo sciarpe adorne di leoni ruggenti.

Mentre lo aspettava, adocchiò divertita un venditore che esponeva i modellini da collezione dei giocatori, che camminavano su e giù per il banchetto, dandosi arie. Quando Remus fu di ritorno, aprì la borsa che portava a tracolla per permettergli di infilarci i sandwich e lo fronteggiò con un sorriso contagioso: “Bene, signor Lupin, possiamo stare qui a crogiolarci, o rimandare i nostri cupi pensieri a domani e andare a goderci la partita. Dopotutto, qualsiasi cosa debba succedere non succederà certo oggi, no?”

Remus fece scorrere lo sguardo sulla moltitudine di gente di ogni nazionalità, colore, età e provenienza e mormorò piano: “No. Immagino di no.”
Dora sorrise e gli afferrò un polso, trascinandolo nel mezzo della calca. Lui la seguì docile mentre saltellava da un banco all’altro con la foga di una bambina in un negozio di caramelle. Dopo aver valutato diverse opzioni, comprò un omnicolo, un cappello ricoperto di trifogli danzanti, che si calò allegra sul capo, e una bandiera irlandese.

Con il drappo di stoffa tra le mani si voltò verso Remus, radiosa: “Questa è per te!” gli disse, quindi si alzò sulla punta dei piedi e fece passare le braccia attorno al suo collo, per legargli i due drappi della bandiera a mo’ di mantello.

Fu appena stretto il nodo che fece il clamoroso errore di alzare gli occhi, incontrando quelli azzurri di Remus a meno di una spanna dai suoi. Vi trovò la mite gentilezza che stava imparando a conoscere ma, inaspettatamente, c’era qualcosa di più profondo, quasi ferale, nascosto al di sotto.

Si rese conto improvvisamente di quanto fossero vicini, con lei sulla punta dei piedi, bilanciata contro di lui con i palmi appoggiati alla sua camicia. Fu improvvisamente consapevole del tenue profumo del suo corpo magro, del battito forte del suo cuore sotto la mano destra, delle dita delicate posate sui suoi fianchi.

Sentì il disperato bisogno di baciarlo. Di colmare la distanza con il suo viso e cercare le sue morbide labbra, immergere le dita nei suoi capelli e dimenticare ogni cosa. Remus aveva il capo appena chinato verso di lei, e Dora seppe che lui lo voleva quanto lei. Per via di quel qualcosa nei suoi occhi.

Un gong profondo e sonoro rimbombò da qualche parte oltre i boschi, e in un solo istante lanterne verdi e rosse si accesero tra gli alberi, illuminando il sentiero che portava allo stadio. Un boato di voci entusiaste scoppiò tutto attorno. E l’attimo fu perso.

Le mani di Remus allentarono dolcemente la presa sui suoi fianchi, spingendola piano lontano da sé, fino a farle posare i piedi solidamente a terra, quindi lui mosse un passo indietro e, Tonks si chiese se non si fosse immaginata tutto. Quando lui le sorrise non c’era più nulla che indicasse che quella scossa di attrazione fosse passata tra loro solo un attimo prima.

“Grazie, per la bandiera - mormorò lui, quindi accennò con la testa agli alberi poco lontani – Faremmo meglio ad avviarci, non credi?”

Dora non riuscì a fare altro che annuire e si incamminò a passo rapido, sicura che lui l’avrebbe raggiunta in poche falcate delle sue lunghe gambe. Immergersi tra gli alberi fu come entrare in un sogno, solo luci rosse e verdi bucavano il buio, e canzoni, urla e risate indicavano che migliaia di persone si stavano muovendo con loro; la terra stessa sembrava tremare sotto il passo di tanti piedi.

L’atmosfera febbrile era contagiosa e quando, venti minuti dopo, sbucarono dagli alberi all’ombra di un immenso stadio, Dora stava nuovamente sorridendo. Con Remus al suo fianco costeggiò l’altissimo muro dorato fino a raggiungere l’ingresso più vicino e allungare i suoi biglietti alla strega di turno. Salirono pazientemente le scale coperte di tappeti insieme al resto della folla, gli occhi fissi sulla numerazione dei settori.

“Siamo noi!” urlò infine Dora, facendo cenno a Remus di infilarsi in una tribuna. C’erano una trentina di poltroncine viola, disposte su più file, molte delle quali già occupate da reporter, ex impiegati del Ministero o altre personalità pubbliche di media importanza. Lanciando qualche saluto qua e là, Dora spinse Remus verso i loro posti in prima fila e si sporse verso la balaustra, guardando giù: “Wow!”

Una misteriosa luce dorata, che sembrava emanare dallo stadio stesso, illuminava il campo ovale. Al livello degli occhi della ragazza c’erano un grande tabellone per i punti e gli anelli, quelli della Bulgaria dal lato opposto del campo e quelli dell’Irlanda appena alla sua destra, dandole una visuale perfetta.

“Volevi vedere Harry Potter? - chiese in quel momento Remus che, seduto comodamente in poltrona, stava facendo scorrere l’omnicolo tutto attorno - Guarda làggiù!”

Le indicò la tribuna d’onore, dove sedeva la delegazione bulgara al completo e il Ministro Fudge in persona, insieme a Ludo Bagman e qualche altro pezzo grosso del Ministero. Non fu difficile individuare la piccola folla di Weasley dai capelli rossi e, accanto a loro, un ragazzo mingherlino, con una zazzera di capelli corvini, che stava parlando con…

“Mia zia! - esclamò Dora stupita - Che accidenti ci fa mia zia Narcissa in tribuna d’onore? Aspetta! Il marmocchio platinato con la faccia da schiaffi deve essere mio cugino, Draco!”

“Proprio lui - confermò Remus, annuendo È stato a sua volta mio allievo a Hogwarts l’anno scorso. Un tipo in gamba, a modo suo, ma non esattamente… piacevole.”
Dora commentò con uno sbuffo divertito, tornando a puntare l’omnicolo su Harry Potter: “Così tanta responsabilità e aspettative, su spalle così piccole” mormorò.

Prima che Remus potesse rispondere, la voce di Ludo Bagman echeggiò sul pubblico, rimbombando in ogni dove: “Signore e signori… benvenuti! Benvenuti alla finale della quattrocento-ventiduesima Coppa del Mondo di Quidditch!”

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - 23 Agosto 1994 ***



Capitolo 7 – 23 Agosto 1994
 

“Merlino, che partita! - esclamò, per la centesima volta, Tonks, saltellando a ritmo con l’inno nazionale irlandese cantato dalla bandiera che Remus portava ancora sulle spalle - Dieci punti, abbiamo vinto per dieci punti! Oh, Krum è stato favoloso, ma Troooy! Ahhhh!”

Remus la guardò benevolo, a sua volta con un sorrisone sul volto. Erano imbottigliati in una folla in delirio che sciamava lentamente lungo il sentiero di lanterne, verso i campeggi, per festeggiare. Piccoli Lepricani sfrecciavano sopra le loro teste, ridacchiando e agitando i loro lumini.

“Sai, - urlò quasi lui, per farsi sentire – temevo che venire qui si sarebbe rivelata una pessima idea ma voglio davvero ringraziarti per l’opportunità! Non credo di avere mai avuto una simile esperienza nella mia vita!”

“Un piacere!” rispose lei, strizzandogli un occhio e cercando nuovamente il suo polso per non perderlo nella marea umana in movimento. Cercò di non soffermarsi troppo sulla piacevole sensazione della sua pelle sotto le dita, e si fece strada nella calca in direzione di un’inconfondibile musica irlandese che si sentiva in lontananza. 

Quando riuscirono infine a lasciarsi alle spalle il bosco e buona parte dei campeggi, trovarono un grande spiazzo erboso dove era stato eretto un palco in legno su cui si stava esibendo una band in verde, armata di violini e flauti dalle buffe forme. Un enorme tendone poco lontano fungeva da pub, a giudicare dalla fila di maghi e streghe armati di boccali e bicchieri che stavano entrando e uscendo dalle falde.

Tonks perse ben presto il senso del tempo; la fila per arrivare al bancone e accaparrarsi due burrobirre sembrò interminabile, ma l’atmosfera era talmente gioiosa che, in qualche modo, il tempo impiegato non le sembrò perso. Si sedettero in un angolo di prato un poco in disparte, insieme ad altre coppie e gruppi di amici, a bere in silenzio e godersi il concerto. Quando però qualcuno fece partire un grande céili nel prato, Dora non esitò neppure un istante.

Fu in piedi in un attimo, tendendo entrambe le mani a Remus per tirarlo su, un sorriso estasiato sul volto. Lui scosse il capo con sguardo allarmato: “Oh, no! No, io non…”

Dora non gli diede modo di continuare, lo afferrò per una mano e gli diede uno strattone deciso: “Andiamo! Hai appena detto che non hai mai avuto un’esperienza simile, quando pensi che ti ricapiterà di festeggiare una finale della coppa del mondo con un céili sotto le stelle?”

Remus scosse la testa un'ultima volta, poi sembrò arrendersi e lasciare andare tutte le sue paure e dubbi, e si alzò.

Iniziò lentamente, in lontananza, i rumori iniziarono a cambiare: canti e risate divennero urla terrorizzate, passi divennero corsa allarmata. Fu Remus il primo a rendersene conto. Dora lo vide con la coda dell’occhio fermarsi improvvisamente nel mezzo di una quadriglia e lasciare la panciuta signora al suo fianco per cercare lei nel gruppo che stava volteggiando poco più in là. Aveva le sopracciglia corrucciate e il corpo teso.

Tonks si scusò rapidamente con il mago in kilt che la stava accompagnando e si fece strada verso i margini della folla danzante, convergendo nel punto verso cui anche Remus si stava avviando.

“Remus? – chiese, riprendendo fiato – c’è qualcosa che non…”

Lui la afferrò per una spalla, zittendola con un sussurro: “Shhh, ascolta. Qualcosa non va.”

Subito all’erta, improvvisamente guardinga, Dora tese le orecchie e annuì piano. “Hai ragione, vieni, – disse mettendo mano alla bacchetta - Andiamo a vedere che cosa succede.”

Avanzarono cauti tra le tende, da cui teste assonnate e confuse iniziavano a fare capolino, svegliate dal trambusto. In lontananza, appena percepibili nel buio, gruppi di persone correvano verso il bosco, sfuggendo a qualcosa che si muoveva tra i prati, qualcosa che emetteva strani bagliori di luce e rumori simili a spari. Schiantesimi, riconobbe Tonks.

Man mano che si avvicinavano, altri ululati, risate fragorose e urla di ubriachi si fecero strada fino a loro, che continuarono a camminare in silenzio fino a quando, da dietro una grande tenda a più piani, comparve una folla di maghi incappucciati che avanzava lentamente a ranghi serrati, le bacchette puntate verso l’alto. Sopra di loro, a mezz’aria, quattro sagome si divincolavano e si contorcevano in forme grottesche, due di esse erano molto piccole, palesemente bambini.

Altri maghi andavano unendosi al gruppo, ridendo sguaiatamente e indicando i corpi fluttuanti, qui e là tende venivano spazzate via con un colpo di bacchetta, ad alcune veniva dato fuoco.

“È orribile…” esalò Tonks, nello stesso istante in cui Remus, terreo, mormorava: “Non è possibile.”

Davanti alle fila di maghi incappucciati, la gente correva all’impazzata, a casaccio, urlando o piangendo. Alla luce di un rogo, Tonks vide alcuni dei suoi colleghi del Ministero radunarsi, e non esitò: “Andiamo!” gridò a Remus, mettendosi a correre in quella direzione.

Sentì alle sue spalle un’imprecazione soffocata prima che l’uomo comparisse al suo fianco, la bacchetta in pugno. Già raggiungere gli Auror e gli altri impiegati del Ministero fu arduo, ma al loro fianco Tonks e Remus cercarono di farsi largo nella calca in panico. Fu un’avanzata estremamente pensosa, un passo alla volta, senza poter usare la magia per paura di colpire qualche innocente, o di far precipitare la famigliola babbana che restava sospesa nel vuoto. Di tanto in tanto riuscivano a lanciare controincantesi agli schiantesimi che volavano da ogni parte, ma con ben pochi risultati.

“Cercate di prenderne almeno uno!” urlò qualcuno, mentre un’altra voce aggiungeva “La priorità è mettere in salvo i Babbani!”

Nel mezzo della confusione, improvvisamente, un lampo di luce verde squarciò il buio, illuminando la scena a giorno e lasciando tutti, indistintamente, stupiti e confusi. Una grande scia partì da qualche parte in mezzo agli alberi alle loro spalle, per poi fermarsi nel cielo e prendere forma: la forma di un grande teschio, con un serpente che usciva dalla bocca a mo’ di lingua.

A quella vista, il panico raddoppiò, e Dora si trovò letteralmente impossibilitata a muoversi, il suo corpo minuto urtato e sballottato, rischiando in ogni istante di cadere e venir calpestata dalla folla. Una mano di Remus la afferrò sopra il gomito e la rimise in piedi, mentre alcuni maghi del Ministero si smaterializzavano. Nello stesso istante, con una serie di rumorosi crack! anche tutti i maghi incappucciati sparirono.

Levicorpus!” ebbe la prontezza di urlare qualcuno, subito imitato da altri, e i corpi dei quattro babbani si fermarono a pochi centimetri da terra. Un Obliviatore si fece strada a spallate fino alla famigliola stordita, mentre Remus faceva da scudo a Tonks con il suo corpo, guidandola un poco in disparte con un braccio attorno alle sue spalle.

“Tonks! Hey, Tonks!”

Sentendosi chiamare, Dora alzò il capo di scatto e individuò Charlie Weasley accovacciato sull’erba martoriata poco lontano. Co un improvviso nodo alla gola, si rese conto che al suo fianco c’era Bill, che si stava stringendo un braccio da cui colava copiosamente sangue scuro.

Dora si precipitò da loro, pallida e scossa, Remus sempre al suo fianco: “Charlie, Bill! È tutto ok?”

Charlie sospirò, tendendo un fazzoletto al fratello: “E’ un po’ ammaccato, ma nulla di grave.”

Da parte sua, Bill sputò a terra, premendosi un fazzoletto sul taglio: “Bastardi!”

“Mangiamorte” lo corresse Remus con un sussurro, e un brivido scosse Dora da capo a piedi.

“Come è possibile?” chiese Charlie.

“Molti di loro sono riusciti a evitare Azkaban - rispose Remus, stringendosi nelle spalle - Non capisco che cosa abbiano voluto dimostrare con questa scenata, ma la cosa certa è che se la sono data a gambe appena hanno visto il Marchio Nero, e questo può voler dire una cosa soltanto.”

“Cosa?” chiese, stancamente, Bill.

“Che hanno paura del ritorno del Signore Oscuro quanto noi, se non di più. Lo hanno abbandonato, rinnegato, pur di non finire ad Azkaban, e se il Marchio Nero è stato evocato significa che almeno uno dei veri e fedeli sostenitori di Voi-Sapete-Chi era qui stanotte…”

Dora si sentì girare la testa e barcollò, subito sorretta da Remus che le passò un braccio attorno alla vita per tenerla in piedi: “Hey! Sono qui, ci penso io. È il caso che capiamo come andarcene di qui.”

Bill annuì, accettando la mano del fratello per tirarsi in piedi a sua volta: “Sì, ed è meglio che noi andiamo a vedere dov’è il resto della famiglia. Non c’è più nulla di utile che possiamo fare, in ogni caso.”

Confidando nella presenza solida e rassicurante di Remus, Tonks riuscì ad arrivare all’area di smaterializzazione sulle sue gambe, dopo quelle che sembrarono ore. Lì, trovarono la situazione in delirio: tutti volevano avere il permesso di andarsene immediatamente. Solo il fatto che la responsabile, Eveline, fosse la vicina di scrivania di Tonks assicurò ai due una finestra di uscita in un tempo accettabile.

Apparirono nell’aiola del giardinetto pubblico di fronte a casa di Tonks, a Londra, e la ragazza si lasciò cadere su una panchina, chinando il capo tra le mani.

“Nymphadora…” iniziò Remus, in piedi accanto a lei.

“Remus, - lo interruppe subito lei, sollevando un volto che sembrava invecchiato di dieci anni - ricordi che cosa ti ho detto poco prima della partita? Che qualsiasi cosa doveva succedere non sarebbe successa oggi…”

“Non puoi collegare le due cose, davvero – protestò lui, gentile - Non tormentarti in questo modo.”

“Sembra tutto uscito da un ricordo indistinto - riprese lei, come se non lo avesse sentito - Avevo sette anni quando è caduto il Signore Oscuro, Remus, sette anni. Non ripensavo all’orrore, alla paura di mia madre e mio padre, da… una vita.” 

Remus non commentò, limitandosi a posarle una mano su una spalla, stringendo piano.

“Credi che lui fosse là? Che sia stato lui a evocare il Marchio Nero?” gli chiese la ragazza, e non ebbe bisogno di specificare chi.

“Ci potrebbero essere altre spiegazioni, ma non me ne vengono in mente di probabili. Peter è in circolazione da neanche due mesi, e il Marchio Nero compare nel cielo per la prima volta in tredici anni. Difficile che sia solo una coincidenza.”

“È terribile - mormorò Tonks - Che cosa facciamo ora?”

“Tu vai dritta a dormire e cerchi di riposare un po’, immagino che ti vogliano al Ministero piuttosto presto domattina. Io scriverò a Dumbledore, e a Sirius, e li informerò di quello che è successo. Dopo di che, aspettiamo. Accetta un consiglio, Nymphadora: non sbilanciarti troppo su quello che abbiamo visto stanotte e, qualsiasi cosa succeda, non nominare Peter Pettigrew. Me lo prometti?”

Dora annuì: “Prometto. Capisco. Ma che cosa facciamo? Di concreto, non possiamo sederci ad aspettare che succeda il peggio!”

“I tempi non sono pronti, abbi pazienza. Bada a ciò che dici, e a chi, e cerca di non scrivere nulla che potrebbe comprometterti.”

La ragazza si alzò, abbracciandosi il petto, e accennò alla porta di casa: “Vuoi entrare? Una tazza di tea?”

Lui scosse il capo: “Ti ringrazio, ma è meglio di no. Devo andare e, Nymphadora, non ci rivedremo. Non per un po’ almeno. Abbi cura di te.”

E prima che Tonks potesse fermarlo era sparito.

Rimase a fissare il punto in cui si era Smaterializzato per un istante, inebetita e con le lacrime agli occhi, prima che il buio e la solitudine la sopraffacessero, facendola rabbrividire. Corse attraverso la strada e si affrettò a togliere l’incantesimo protettivo e aprire la porta. Quindi scivolò all’interno, accese tutte le luci e si lasciò cadere a terra, le spalle contro il muro e le ginocchia tirate al petto.

Sapeva che non avrebbe dormito quella notte, che, appena chiusi gli occhi, immagini di maghi in nero, con i volti coperti e le bacchette alzate, sarebbero comparsi davanti a lei, con il grande teschio nel cielo.

 
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Quando, una manciata di ore dopo, Tonks arrivò sulla soglia del Dipartimento Auror, rifiutò di credere a quello che stava vedendo. Per la prima volta da quando aveva messo piede lì dentro, l’Ufficio era nel caos.

Nonostante fossero a malapena le sei del mattino, quasi tutti i suoi colleghi erano già presenti ma, invece di lavorare, stavano vagando in preda all’isteria tra i cubicoli, confabulando tra loro, rincorrendo strillettere di protesta o sfogliando le copie in anteprima della Gazetta del Profeta, dove capeggiava un articolo di Rita Skeeter, che aveva fatto del suo meglio per mettere in cattiva luce l’operato del Ministero.

Regnava l’anarchia più totale.

Fu allora che si rese conto di come il Signore Oscuro avesse già sfoderato una delle sue armi più potenti: la paura. Molti degli Auror del dipartimento erano stati in servizio all’epoca della Guerra Magica, alcuni dei più giovani stavano forse finendo Hogwarts, ma tutti si ricordavano fin troppo bene quello che l’era di Voldemort aveva portato. E avevano paura.

“Tonks!” abbaiò una voce alle sue spalle, e Dora sobbalzò, vedendo solo allora Rufus Scrimgeour marciare giù per il corridoio, seguito da Kingsley.

“Capo, - lo salutò lei, esalando un sospiro di sollievo – per fortuna è qui…” si fece da parte per lasciarlo passare e si affiancò a Shacklebolt, entrando alle sue spalle. Alla sua comparsa tutti si bloccarono, ammutolendo di colpo.

“Ora, ascoltatemi bene - disse Scrimgeour, perentorio, indicando i giornali – e fate sparire quelle schifezze. Non voglio sentire dubbi sul nostro operato, sul vostro operato. Nessuno avrebbe potuto prevedere una cosa simile e, a conti fatti, non abbiamo avuto vittime e tutti i feriti se la caveranno senza problemi.”

A quelle parole, il clima cambiò immediatamente, e tutti sembrarono all’istante più rilassati.

“La folla di maghi che ieri notte si è resa responsabile dei danni al campeggio e delle minacce alla famiglia Robinson…”

“Roberts” lo corresse sottovoce Kingsley, ma Scrimgeour accantonò la cosa con un gesto della mano.

“…comprendesse un vario assortimento fra ubriachi, fanatici, ex simpatizzanti di Voi-Sapete-Chi e semplici idioti. Quello che ci interessa è l’autore del Marchio Nero e abbiamo ragione di credere che si tratti di Sirius Black.”

Nonostante si aspettasse una simile uscita, Tonks dovette sprofondare le mani nelle tasche della tunica per nascondere i pugni chiusi rabbiosamente. Sirius, sempre Sirius. Tutte le volte che capitava un fatto inspiegabile la risposta era destinata ad essere sempre e soltanto Sirius?

“Il team di Shaklebolt - continuò Scrimgeour - era convinto che Black si trovasse all’estero, molto lontano da qui, ma evidentemente si sbagliava.”

A questa affermazione, Tonks sollevò il capo, furente, e fece per ribattere, ma Kingsley le rifilò una gomitata e, con un’occhiata di avvertimento, le segnalò di tacere.

“Quindi, Shaklebolt si rimetterà al lavoro all’istante per localizzare Black. Voglio un team che vada a sostituire i colleghi che abbiamo lasciato allo stadio e chi lavora in Coordinamento e Sicurezza si occuperà di contattare i nostri colleghi stranieri per rassicurarli che abbiamo tutto sotto controllo. Preparatevi: verremo sommersi di lamentele inenarrabili per tutto il giorno, fate del vostro meglio per gestirle.”

Scrimgeour aveva a malapena finito di parlare che Kingsley afferrò Tonks per un polso, trascinandola fino alla porta del bagno degli uomini. La spinse dentro, per poi controllare che fosse vuoto, e lanciare un incantesimo inperturbabile sulla stanza.

“Che stai facendo?” chiese Dora, improvvisamente allarmata, le dita automaticamente tese verso la tasca interna, in cui era riposta la bacchetta.

“Potrei chiederti la stessa cosa. Non pensarci nemmeno – rispose Kingsley, intuendo la sua mossa -spero dopo tutto questo tempo che tu abbia capito che stiamo dalla stessa parte in questa faccenda, Tonks. Ho bisogno di sapere cosa pensi.”

La ragazza si appoggiò ad un lavandino, costringendosi a rilassarsi, stava diventando paranoica quanto Mad-Eye… Chiuse gli occhi per un istante, chiedendosi che cosa fare. Infine prese una decisione, e chiese solo: “Ti fidi di me?”

“Certo” rispose lui, senza la minima esitazione.

“Allora devi credere a quello che ti sto per dire: stiamo dando la caccia ad un innocente.”

“Cosa?” esalò lui, con aria perplessa.

“Ti ho detto che ti devi fidare, Shaklebolt. Non posso dirti molto altro, ma so per certo che stiamo cercando la persona sbagliata, incolpata di tutti i crimini commessi da qualcun altro, qualcuno che si è furbamente fatto credere morto per tutti questi anni.”

A Kingsley, che era probabilmente il più grande espero di Sirius Black nell’intero Ministero, bastarono pochi istanti a fare la connessione: “Pettigrew?” chiese, con un filo di voce e, quando Dora annuì, mosse un paio di passi indietro, lasciandosi cadere su un wc chiuso.

“Oh Merlino, Morgana, Circe e Agrippa! - mormorò Kingsley, prendendosi il volto tra le mani - Che cosa facciamo?”

Dora sbuffò, stufa marcia di quella domanda: “Quello che vogliono - rispose, pratica - facciamo una bella mappa di tutti i posti plausibili come nascondigli per maghi oscuri, solo che sappiamo di non star cercando Black, ma Pettigrew.”

“Va bene – annuì Kingsley – Ci sono un paio di cose che volevo dirti prima che tu sganciassi questa bomba. La bacchetta usata per lanciare il Marchio Nero è quella di Harry Potter, Tonks, ritrovata in mano all’elfa domestica di Barty Crouch che aveva un figlio ad Azkaban perché Mangiamorte.”

Gli occhi di Tonks scattarono aperti ai limiti del possibile: “Questa faccenda sta diventando più complicata di minuto in minuto.”

“E non può che peggiorare, Tonks. Non può che peggiorare …” rispose lui, posandole un braccio attorno alle spalle e andando ad aprire la porta: “Forza e coraggio, abbiamo montagne di lavoro da fare.”


 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - 1 Settembre 1994 ***



Capitolo 8 – 1 settembre 1994
 

La settima che seguì la Coppa del Mondo passò per Tonks come in un incubo. Lavorava dalle prime luci del mattino a notte inoltrata e quando collassava sul divano di casa, ancora vestita e stravolta, non riusciva a dormire, il Marchio Nero stampato a vividi colori nella sua mente ogni volta che provava a chiudere gli occhi.

Per questo motivo, la mattina del primo di settembre, varcò la soglia dell’ascensore del Ministero ben prima delle sette. Era deserto, e Dora si appoggiò pesantemente alla parete fresca, reclinando la testa all’indietro e provando a strappare qualche secondo di pace prima di raggiungere l’ufficio.

La voce metallica aveva appena annunciato l’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche e la porta si era a malapena aperta che Amos Diggory schizzò dentro, trafelato. Vedendo Dora, le rivolse un rapido cenno del capo: “Buongiorno, Tonks! Non è che hai incrociato Arthur Weasley? Oppure Mafalda Hopkirk?”

Dora scosse la testa: “No, mi dispiace, Amos. Sono appena arrivata. Qualche problema?”

“Puoi ben dirlo! - rispose l’uomo - È successo un disastro a Uso Improprio della Magia qualche ora fa. A quanto pare, Alastor Moody era convinto di avere un intruso in cortile e dei bidoni magici che aveva messo di guardia hanno fatto un casino micidiale, svegliando mezzo vicinato. È perfino intervenuta la pulizia babbana!”

“Mad-Eye? - chiese allarmata Dora, sollevandosi dalla parete con un colpo di reni, improvvisamente sveglissima - Sta bene? Dov’è? Posso fare qualcosa? Devo fare qualcosa!”

Diggory le fece cenno di no: “Non credo sia una buona idea, non è di competenza del vostro Ufficio, l’intervento di un’Auror servirebbe solo a gettare altra carne sul fuoco. Vado a cercare Arthur, è l’unico che può fare qualcosa!”

E prima che Dora potesse ribattere l’uomo era già corso fuori, verso l’Ufficio per l’Utilizzo Improprio dei Manufatti Babbani.

Quando la ragazza si lasciò cadere al suo cubicolo, qualche minuto dopo, Kingsley le andò incontro con una tazza di tea uguale a quella che stava sorseggiando e le sorrise, gentile: “Se vai avanti così, Tonks, fai prima a mettere una brandina qui in ufficio e non prenderti neanche il disturbo di tornare a casa.”

Lei rispose con un mugolio, appoggiando grata il naso sul bordo della tazza: “Si potrebbe dire lo stesso di te, visto che eri già qui.”

Touché, - rise lui - ma la verità è che sto facendo un favore a Emily. Mi ha chiesto di sostituirla perché questa mattina accompagna suo figlio in stazione, primo anno a Hogwarts e sai…”

A quelle parole, Dora drizzò la testa, componendo il puzzle: “Aspetta un secondo, oggi è il primo di settembre! Inizia l’anno scolastico a Hogwarts! Oggi è il primo giorno di lavoro di Mad-Eye e qualcuno lo ha aggredito nella notte! E Harry Potter sarà ad Hogwarts, e c’è il Torneo TreMaghi e…”

“Alt, frena! Tonks! Alastor Moody è stato aggredito questa notte?” chiese Kingsley, serio.

In pochi istanti, Dora gli raccontò ciò che Diggory le aveva detto.

“Non mi piace per niente, - mormorò quindi Shacklebolt - ma ammesso che sia vero, e sai quanto me che Alstor è vagamente paranoico, resta il fatto che Hogwarts rimane uno dei posti più sicuri al mondo. Silente, la McGonagall, Moody… alcuni dei più grandi maghi del nostro tempo saranno lì, e con il Torneo in corso puoi stare certa che la sicurezza sarà ancora più stretta. Bagman e Crouch andranno avanti e indietro per le Prove, e saranno scortati da Auror quindi…”

“Crouch! - lo interruppe però lei - Eccolo che spunta fuori di nuovo!”

Kingsley sospirò: “Tonks, non è il caso di diventare ossessivi ora, ok? Cerchiamo di stare tranquilli e concentrati su quelle che sono le nostre priorità. Capire dove si può nascondere Black - avevano deciso di comune accordo di non nominare mai Pettigrew - e Tu-Sai-Chi di conseguenza.”

Dora si rassegnò, prese un sorso di tea e stese davanti a sé con l’altra mano una grande mappa dei Balcani: “Ripartiamo da qui?” chiese, puntando un dito sull’area corrispondente all’Albania.

“Direi che è l’unica pista che abbiamo, sappiamo che è già stato da quelle parti in passato.”

“Sì, ma che cosa possiamo fare? Sono aree con una densità di popolazione bassissima, la percentuale di maghi e streghe è ancora più bassa! Hanno un Ministero comune con sede a… - Dora frugò per un istante tra i suoi appunti per poi estrarne una pergamena - Dubrovnik, in Croazia, ma non posso certo mandargli un gufo chiedendogli se per caso hanno avvistato Signori Oscuri nei dintorni! Potremmo mandare una task force…”

“No! - escluse subito Kingsley - Non solo questo richiederebbe montagne di burocrazia con l’Ufficio della Cooperazione Magica Internazionale…”

“Che è guidato da Barty Crouch…”

Shacklebolt le rifilò un’occhiataccia, ma continuò: “… ma, come dicevi tu, la popolazione magica nella zona è molto ridotta. Una task force di un Ministero straniero attirerebbe così tanta attenzione che, se davvero chi cerchiamo si nasconde lì, scapperebbe prima ancora di poter iniziare le ricerche.”

Tonks lasciò cadere la faccia sulla cartina e sbiascicò: “Perfetto. In tal caso, sono ufficialmente frustrata.”


Era ormai pomeriggio quando Dora si trascinò fuori dall’ufficio, in cerca di qualcosa da mangiare. Avrebbe potuto recarsi alla mensa dei dipendenti, dove il servizio era garantito 24 ore su 24 grazie a uno stuolo di elfi domestici, ma sentiva il bisogno di sgranchirsi le gambe, prendere una boccata d’aria, e addentare qualcosa di decisamente grasso e decisamente fritto.

Fu con inaspettato sollievo che si lasciò il Ministero alle spalle, immergendosi per le strade di Londra, sotto una pioggia torrenziale. Si avvolse una sciarpa variopinta attorno al capo e attraversò le strisce pedonali verso un chiosco di Fish and Chips di cui era cliente abituale.

“Buongiorno Signor Fisher!” salutò l’ometto calvo dietro il banco.

“Buongiorno a te, Dora! Non è un po’ tardi per la pausa pranzo? Ti fanno lavorare troppo!” rispose allegro il babbano, infilando una generosa porzione di merluzzo e patatine in un rotolo di carta.

“Eh, che ci vuol fare? - commentò lei, stringendosi nelle spalle e pescando da una tasca qualche sterlina - Dobbiamo pur tirare avanti!”

“Certo, certo - annuì l’uomo, prendendo le monete e allungandole il cartoccio - Buon appetito, cara!”

Tonks lo salutò con un cenno della mano libera e percorse la strada a ritroso, ficcandosi in bocca di tanto in tanto qualche patatina fritta. Kingsley le aveva intimato di non farsi rivedere per almeno un’ora, e Dora sapeva esattamente dove andare.

Quando arrivò davanti all’Ufficio per l’Utilizzo Improprio dei Manufatti Babbani trovò la porta aperta. Bussò leggera allo stipite e la testa arruffata di Arthur Weasley comparve da sotto una scrivania con gli occhiali di traverso: “Oh! Buongiorno, Nymphadora!” la salutò gioviale, aggiustandosi gli occhiali sul naso.

“Hey, signor Weasley… è Tonks! Posso disturbarla un momento?”

“Certo, certo! Entra e mettiti comoda, trovati dello spazio - la incoraggiò lui, accennando alla piccola stanza, strapiena di plichi di carta e scatoloni traboccanti - il mio collega non c’è quindi puoi prendere la sua sedia, e chiamami Arthur!”

Lei lo ringraziò con un cenno del capo e si lasciò cadere nella poltrona vuota, prima di addentare il suo fish and chips chiese: “Volevo sapere come si sono risolte le cose con Mad-Eye.”

Ma Arthur stava fissando con aria affascinata il cartoccio tra le sue mani: “E’ cibo babbano quello?” chiese con tono quasi reverenziale.

Tonks abbassò lo sguardo sul suo pranzo, e annuì: “Merluzzo impanato e patatine fritte…”

“Affascinante - commentò Arthur per poi pulirsi gli occhiali su una manica e schiarirsi la voce Comunque si è risolto tutto per il meglio, non preoccuparti, entro stasera Alastor sarà al banchetto inaugurale senza troppi intoppi, è già in viaggio.”

“Bene! - esalò lei, sollevata - Si è capito che cosa è successo? È davvero stato aggredito?”

"È difficile dirlo con certezza - rispose diplomatico il signor Weasley, stringendosi nelle spalle magre - Lui sostiene di aver visto un intruso nel suo cortile, ma quando sono arrivati i babbani non c’era nessuno di sospetto in giro, e tempo di far intervenire le forze del Ministero c’era mezzo quartiere in subbuglio ma nessuna traccia di misteriosi assalitori…”

“Così faranno passare la cose come uno dei soliti momenti paranoici di un vecchio rintronato…” commentò amara Dora.

“Qualsiasi cosa sia successa, - cercò di rassicurarla Arthur - Alastor sta bene, gli ho parlato io stesso e ti assicuro che era più scorbutico e battagliero che mai!”

“Non sai quanto mi fa piacere sentirtelo dire - gli sorrise lei, accartocciando la stagnola vuota del suo fish and chips e alzandosi - Meglio che vada, porta i miei saluti a casa. Immagino che Charlie e Bill abbiano già ripreso il largo.”

“Non proprio, - rispose allegro Arthur - hanno accompagnato il resto della truppa alla stazione stamattina. Charlie riparte per la Romania domani ma Bill ha deciso di restare per un po’, credo che abbia intenzione di farsi trasferire qui a Londra, dopo quello che è successo. Sai, penso voglia essere più vicino a casa…”

“Capisco – annuì Tonks senza bisogno che Arthur finisse la frase - Non credo riuscirò a incrociare Charlie prima che parta, dagli un abbraccio da parte mia.”

“Lo farò, - sorrise lui - ma è possibile che tu lo riveda prima di quanto credi. Hai sentito qual è la Prima Prova del Tremaghi?”

Dora scosse il capo: “A dire la verità no, sono stata un po’ presa.”

“Draghi! - ammiccò Arthur - Saranno Charlie e i suoi colleghi ad occuparsene!”

“Draghi? - chiese Dora con un fischio di ammirazione - Roba seria! Vedrò di mettermi in contatto con lui per una burrobirra a Hogsmeade quando torna, allora! Buona giornata, Arthur!”

Aveva appena messo piede in ufficio quando Kingsley le corse incontro, stranamente scosso.

“Hai trovato qualcosa? Dimmi che è una buona notizia!” gli disse, stanca.

“Qualcosa eccome, buona notizia… dipende dai punti di vista. Bertha Jorkins non si è presentata al lavoro oggi, e sai bene che il primo settembre è la scadenza di tutti i permessi di ferie del Ministero.”

“Ho sentito dire che si è persa anche la Coppa del Mondo, nonostante lavori per Giochi e Sport Magici. Pare sia partita per una vacanza avventurosa in Grecia o da quelle parti e che probabilmente deve aver perso il senso del tempo…”

“Non in Grecia, Tonks. Bertha è partita per –”

“Non dirmelo” lo interruppe lei, diventando pallida.

Kingsley annuì piano: “Albania.”

Per il resto del pomeriggio, i due scartabellarono senza sosta tra tutto il materiale che riuscirono a trovare su Bertha e sull’Albania negli Archivi Comuni del Ministero. Infine, dopo la quarta volta che Dora rovesciava il boccettino dell’inchiostro sulla scrivania, Shacklebolt sospirò, esausto: “Per oggi dobbiamo darci un taglio, Tonks. Vai a casa e fatti un bagno caldo, una camomilla, trova qualcuno che ti schianti piuttosto… ma vedi di farti una dormita.”

Lei sollevò lo sguardo dalla macchia che stava tamponando e si strinse nelle spalle: “Le ho provate tutte, Kingsley, forse non mi resta davvero altro che uno schiantesimo.”

“Perché non fai un salto al San Mungo? - propose, gentile, il mago - Magari ti sanno aiutare!”

Dora schizzò in piedi, i pugni contro le gambe: “Non sono ancora un caso clinico, Shacklebolt!”

Lui alzò le mani in segno di resa: “Ok, scusa! Cercavo solo di aiutare…”

“Lo so, - mormorò Dora, scacciandosi i capelli fucsia da davanti agli occhi - lo so.”

Infine, dopo aver a lungo vagato senza meta per le strade di Londra, mentre il cielo continuava a rovesciarle pioggia sul capo e iniziava ad imbrunire, fu proprio davanti all’ospedale magico che Tonks si ritrovò, ormai fradicia e piuttosto miserevole.

Con un sospiro rassegnato, varcò la vetrina dell’edificio dismesso, per ritrovarsi nella hall ordinata e pulita del San Mungo. Non c’era quasi nessuno, e la strega che sedeva alla scrivania delle accettazioni le sorrise benevola: “Buonasera, cara. Cosa posso fare per te?”

Dora le si avvicinò, imbarazzata: “Probabilmente è una cosa ridicola, - cominciò - ma non riesco a dormire, sono ossessionata dagli incubi, e volevo sapere se c’è qualche tipo di rimedio.”

“Ma certo, - fu la risposta - sali al secondo piano, al Reparto Malattie Magiche, e chiedi della Guaritrice Reed.”

Margaret Reed si rivelò essere una donna paffutella, di mezza età, con indosso il tipico camice verde acido dei Guaritori, con l’osso e la bacchetta ricamati sul petto. Condusse Tonks in un piccolo ambulatorio e la fece accomodare su un lettino, quindi si mise ad armeggiare con una serie di fiale in un armadio, chiacchierando con tono pacato: “Non ti preoccupare, niente che non sia risolvibile. Ora dimmi: come ti chiami, quanti anni hai e dove lavori?”

“Mi chiamo Tonks, Nymphadora - dovette ammettere, tra i denti - Ho ventun anni e lavoro al Ministero, sono un’Auror.”

Mentre parlava, Dora vide una pergamena sulla scrivania riempirsi da sola con i suoi dati, ma la guaritrice si voltò con espressione intenerita: “Così giovane e un’Auror? Non mi stupisco che tu abbia degli incubi, tesoro, devi vedere cose terribili...”

“Già, a volte…” rispose lei, vagamente a disagio.

“Ora cerca di rilassarti - continuò la strega, in tono professionale, porgendole un aggeggio che assomigliava ad un imbuto, con una piccola sacca di stoffa attaccata - sai evocare un Patronus?”

“Sì” rispose lei, afferrando la fialetta con attenzione.

“Allora non sarà difficile, - continuò la guaritrice - funziona in modo simile. Devi pensare a belle sensazioni, bei ricordi, tutti quelli che ti vengono in mente, più sono e meglio è, e mentre ci pensi devi soffiare qui dentro” spiegò, per poi estrarre la bacchetta e mormorare un incantesimo sulla boccetta, che iniziò ad emanare una fioca luce argentata.

Dora chiuse con forza gli occhi e prese un bel respiro, accostando l’imbuto alle labbra e iniziando a rilasciare lentamente il fiato, richiamando alla memoria una serie di episodi felici, in un insieme di colori, sapori ed emozioni.

Quando ebbe terminato il fiato si staccò, e tese la fiala alla guaritrice, che la prese senza una parola e sparì oltre una porta. Tonks si lasciò cadere esausta sul lettino, intrecciando le mani dietro la nuca e fissando il soffitto bianco, pensierosa.

Pochi minuti dopo la guaritrice Reed era di ritorno, e questa volta portava con sé una grande bottiglia piena di un liquido rosa cicca, che brillava piano.

“Come ha fatto ad indovinare che è il mio colore preferito?” chiese Tonks, divertita, prendendo il distillato.

“Oh, io non ho fatto proprio nulla, cara! È il colore dei tuoi sogni, ed è adorabile. Finché riesci ad avere sogni rosa cicca non hai nulla di cui preoccuparti, tre gocce in un bicchiere prima di coricarti e avrai una notte di riposo indisturbato.”

Il colore dei miei sogni pensò Dora, dubbiosa, quando si ritrovò finalmente in pigiama, sotto le coperte, con in mano un bicchiere pieno di acqua rosa fluorescente.

“Oh, beh! Salute!” borbottò infine, cacciando giù tutto per poi abbracciare il cuscino.

Sua madre e suo padre erano seduti sotto il gazebo in giardino, accanto alla cascata violacea del glicine. Il gatto sonnecchiava pigramente al sole mentre Sirius rincorreva, con la sua risata simile a un latrato, un bimbo di pochi anni con accesi capelli azzurri, che sfrecciava a bordo di una scopa giocattolo. Appena in disparte, Dora sorrideva nell’abbraccio di Remus Lupin, che la guardava con un’espressione indecifrabile, entrambe le mani posate protettivamente sul suo ventre gonfio.

Quando la sveglia suonò l’indomani, Tonks si svegliò miracolosamente riposata, ma confusa: un sorriso inebetito sulle labbra e gli occhi pieni di lacrime.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Metà Ottobre 1994 ***



Capitolo 9 – Metà ottobre 1994

 
 
“Dora! Dora, ci sei?”

Tonks emerse dal bagno con lo spazzolino in bocca e una mano a tamponarsi i capelli bagnati. Aveva immediatamente riconosciuto la voce della madre e, al suo tono ansioso, non perse tempo a rimettere al suo posto la metamorfosi; attraversò la sala a grandi passi e si lasciò cadere sul divano, davanti al viso di Andromeda che fluttuava tra le fiamme del camino.

“Ciao, ‘ma.” biascicò, per poi soffocare un’imprecazione vedendo il dentifricio colarle sul davanti del pigiama. 

La donna la guardò per un istante in silenzio, con espressione indecifrabile: “Dora… - mormorò infine - Non ti vedevo così da… tantissimo tempo.”

La ragazza sospirò, lasciandosi andare contro la spalliera e cacciando indietro le lunghe ciocche, mosse e castane, che le sfioravano le spalle. Strizzò appena gli occhi e subito alcuni dei suoi lineamenti andarono a modificarsi leggermente, e i capelli si schiarirono in un rosa pallido.

“Meglio? - chiese, una nota di disappunto nella voce stanca - Ti crea meno difficoltà?”

“Dora! – la riproverò Andromeda - Non intendevo affatto questo, e lo sai! Volevo solo dire che non devi farlo per forza. Hai un dono straordinario, ma anche un bellissimo viso, e vorrei che tu ti sentissi a tuo agio con chi sei e con il tuo aspetto!”

“Mamma, non ho davvero voglia di parlare di questa cosa ora, - disse stancamente Tonks - che cosa vuoi?”

“Parlarti, vederti! - rispose lei - È da più di un mese che sei sparita.”

“Mamma…”

“No, Dora. Ho davvero bisogno di parlarti. Domani, riesci a venire per pranzo?”

Lei annuì: “Kingsley è impegnato con una riunione ai piani alti e mi ha detto di starmene a casa. Ci vediamo per l’una?”

“Ottimo - rispose la madre, per poi squadrarla, critica - Stai bene? Mi aspettavo di trovarti in uno stato pietoso, dopo tutto quello che hai passato, ma mi sembri…”

“Sto bene - tagliò corto lei, passandosi una mano sul volto - Davvero, è tutto a posto. Ho una pozione che mi aiuta a dormire e stiamo facendo qualche progresso in Ufficio, non posso lamentarmi.”

“Mi fa piacere sentirlo. A domani, Dora. Dormi bene.”

“Sicuro…” mormorò Tonks.

Con un ultimo sorriso, e un piccolo plop, Andromeda sparì dal caminetto e Dora si trascinò fino al letto, pensando alla sua bottiglia di sogni, che si stava rapidamente svuotando.

Aveva imparato a sue spese che gli effetti della pozione erano piuttosto subdoli. Sicuramente dormiva come un sasso, meglio di come avesse fatto da anni, e non sempre ricordava i sogni che faceva, ma molte mattine apriva gli occhi confusa e scombussolata: la pozione sembrava afferrare frammenti di ricordi, o sensazioni, e tesserli insieme in una nuova immagine, fittizia, collocata nel passato, nel presente o anche nel futuro.

Era pericoloso, perché Dora sapeva che aggrapparsi a quegli effimeri sogni le avrebbe fatto male se le cose fossero andate in modo diverso. D’altra parte, non riuscivano nemmeno a lenire il dolore di eventi passati, che avevano già lasciato le loro cicatrici.

Eppure, non riusciva a resistere alla tentazione, ogni notte, di lasciarsi andare a quella dolce illusione. Si chiese per un attimo cosa avrebbe fatto quando la pozione fosse finita, quindi accantonò il pensiero con una scrollata di spalle e mandò giù il suo bicchiere rosa, lasciandosi cullare nel sonno.

 
*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*~¤

Settembre era arrivato e sparito, e ottobre era già a metà del suo corso, ma il sole brillava gentile sul grande giardino quando Tonks si materializzò in un angolo. La tavola, sotto il pergolato, era apparecchiata per due e Andromeda, un grembiule candido stretto ai fianchi, stava uscendo in quell’istante dalla porta della cucina, seguita da un paio di vassoi che fluttuavano dolcemente alle sue spalle.

“Oh, eccoti qui, cara! - la salutò, andando a posarle un bacio su una guancia - Su, siediti!”

Per qualche tempo, le due chiacchierarono pacatamente, parlando delle ultime novità, delle conoscenze in comune, e del lavoro. Quando il pranzo fu finito, Tonks si rilassò contro la sedia, alzando pigramente il capo verso il cielo limpido: “Ottimo, - esalò piano - ora puoi sganciare la bomba.”

“Come scusa?” chiese, innocente, Andromeda, adocchiandola dall’altro capo del tavolo.

“Avanti, mamma, non sono stupida. Mi inviti a pranzo, papà non c’è, cucini i miei piatti preferiti e chiacchieri amabilmente del più e del meno dopo avermi detto ieri sera che mi devi parlare…”

Per un attimo, il silenzio rimase ininterrotto, quindi Andromeda si schiarì la voce: “Va bene. Ho… ho incontrato qualcuno.”

Tonks si riscosse di colpo, si sollevò di scatto urtando il tavolo, facendo ondeggiare pericolosamente la brocca d’acqua che era posata vicino al bordo: “Tu cosa? - esclamò, la voce più acuta di due ottave rispetto al solito - E’… è per questo che mi hai fatto venire qui oggi che papà non c’è?”

Andromeda spalancò gli occhi al limite del possibile e scoppiò a ridere di gusto: “Ma no, Dora! Che cosa hai capito? Non in quel senso!”

Visibilmente sollevata, Tonks tornò a reclinarsi all’indietro, esalando un sospiro di sollievo.

“Ho incontrato Sirius.”

La doccia gelata la colpì senza nessun preavviso e, questa volta, la brocca finì a terra e in mille pezzi quando la ragazza balzò in piedi.

“Cosa? Quando? Dove?” fu tutto ciò che riuscì a chiedere.

“Beh, qui… Dora! Dora non è qui adesso! - aggiunse rapida Andromeda, vedendo la figlia allarmarsi e gettare attorno uno sguardo indagatore - È restato solo una mezzoretta, Remus ha fatto un tea e…”

Questa volta fu la ciotola della frutta, completa di mele e pere, a volare per terra.

“Remus?” chiese Tonks con un filo di voce, e la vista che le si annebbiò per un istante. Il giardino, i suoi genitori, Sirius e un bambino con i capelli blu, lei e Remus laggiù, proprio accanto al glicine…

“Dora, vieni, facciamo due passi” la voce gentile di Andromeda fece capolino nella sua mente confusa, mentre la madre la prendeva sottobraccio e la conduceva attraverso il prato.

“Qualche giorno fa ho ricevuto un gufo da Remus, che mi ha chiesto se poteva venire a farmi visita. L’ho invitato per cena e abbiamo parlato a lungo, dei vecchi tempi soprattutto, di quante cose siano cambiate e di quanto altre non siano cambiate affatto. Mi ha raccontato del suo anno da professore a Hogwarts, di aver conosciuto il figlio di James e di aver rivisto Sirius e Peter dopo tutto questo tempo…”

Andromeda fece una pausa e le lanciò un’occhiata di traverso, ma Tonks non raccolse: continuò a guardare dritto davanti a sé, la mascella serrata duramente, sforzandosi di mettere un piede davanti all’altro e non pensare a quanto esclusa e in qualche modo tradita si sentisse. Era patetico desiderare così tanto la presenza di qualcuno nella sua vita? La rendeva una persona orribile il fatto di essere gelosa del fatto che Remus non si fosse più fatto vivo ma avesse deciso di vedere sua madre?

“Appena prima di andare via mi ha chiesto se avessi conservato io le cose di Sirius e io gli ho detto che sì, tenevo quel poco che era rimasto di suo in uno scatolone, così…”

“Aspetta un attimo - la interruppe Tonks, allibita - Stai cercando di dirmi che per tredici anni abbiamo avuto in casa gli ultimi effetti personali di Sirius Black?”

“Beh, solo un paio di cose, - si difese subito Andromeda - i vestiti che indossava quando lo hanno preso, un po’ di soldi, la sua bacchetta…”

“Oh, Merlino e Morgana! - esclamò nuovamente Tonks, liberandosi dalla presa della madre e alzando le mani in aria - Tutto questo è assurdo!”

“Che cosa avrei dovuto fare? - chiese Andromeda, duramente ora - Lo hanno arrestato e spedito ad Azkaban senza un processo, senza la possibilità di parlare con nessuno! Sono andata in quel dannato posto, Dora! Ho pregato di vederlo, anche solo per un istante, e poter constatate con i miei occhi che l’uomo che avevo amato come un fratello fosse diventato un pazzo omicida. E sai che cosa ho ottenuto? Una scatola! Una scatola, Dora!”

Una nota di isteria irruppe improvvisamente nella voce di Andromeda e Tonks, colpevole, si affrettò ad abbracciarla e tenerla stretta, profondamente a disagio davanti alle sue lacrime: “Su, su - la incoraggiò, battendole qualche colpetto sulla schiena - va tutto bene, è uscito da là, sta bene ora. No?”

“Non hai idea dello stato in cui è arrivato - mormorò la donna - Ho detto a Remus che avevo le cose di Sirius, e che le avrei ridate solo a Sirius se mai lo avessi rivisto. Due giorni dopo ero qui in giardino, alle prese con le mie piante, e Remus compare al cancello, chiedendomi se può entrare con un amico… Quasi non lo riconoscevo, Dora. Dimagrito di venti chili, con barba e capelli lunghi, ustionato dal sole… aveva l’aria di un naufrago! Poi mi ha guardato e mi ha detto solo Non sei invecchiata poi così tanto, Dromeda e ha riso, con quella sua risata-latrato e…”

Andromeda si interruppe di nuovo, e Tonks scosse il capo: “E’ pazzesco, un uomo ricercato in mezzo mondo, tanto dalla comunità magica che dai babbani, che si ferma a casa mia per il tea. Non so se è stato più pazzo lui a venire qui o tu ad averlo fatto entrare!”

“Era assolutamente sicuro, Dora. Sai quanto ben protetta sia questa casa, e non si è fermato a lungo. Non ho idea di come sia arrivato, da dove venisse e dove andasse, mi ha detto solo che ci teneva a ringraziami, per aver sempre creduto in lui, nonostante tutto.”

“Ti ha detto perché è tornato da qualsiasi posto in cui fosse?”

Andromeda esitò, e Tonks lo colse immediatamente: “Avanti, mamma…”

“Per stare vicino al giovane Harry, al figlio di James. Sai lui è –”

“Il suo padrino - concluse Tonks - Sì, lo so. Ma questo non giustifica il pericolo a cui si sta esponendo!”

“Penso che sia pienamente consapevole del rischio che corre, e che abbia le sue buone ragioni per fare quello che sta facendo.”

Dora sospirò, allungando distrattamente una mano ad accarezzare il gatto che dormicchiava sul davanzale: “Beh… com’è?”

Andromeda intrecciò le dita in grembo prima di andare a rispondere: “Complicato. Aveva ventidue anni quando lo hanno imprigionato, e ora è un uomo di trentacinque in un mondo che non conosce più. È come se una parte di lui fosse rimasta bloccata al ragazzo brillante e affascinante che era nel 1981, l’altra metà appartiene all’ombra che è sopravvissuta a dodici anni ad Azkaban: ipercinetico, umorale, perennemente all’erta… animalesco quasi.”

Tonks rimase in silenzio un istante, e si morse il labbro inferiore, combattendo con se stessa per decidere se chiedere o meno alla madre ciò che aveva sulla punta della lingua: “E… Remus?”

“Remus cosa?”

“Come sta?”

Andromeda la guardò dritto in volto e Tonks si trovò a chiedersi, non per la prima volta, se sua madre potesse leggerle dentro la testa. Quando la vide incrociare le braccia e inclinare un poco il capo di lato, Dora rimpianse amaramente di avere sollevato l’argomento: “Sta bene, per quanto può stare bene un uomo ostracizzato dalla sua gente che vive come un eremita ai margini della società babbana. È stanco, e molto preoccupato.”

“Preoccupato?” chiese Tonks cercando, e fallendo miseramente, di tenere un tono distaccato.

“A detta di Sirius, Remus era contrario al suo ritorno, lo riteneva troppo pericoloso ma, a quanto pare, Sirius ha una carta segreta nascosta da qualche parte. Una persona piuttosto influente che è dalla sua, e Remus ha capitolato.”

A quelle parole, la mente di Tonks riprese a lavorare a ritmi frenetici. Una persona influente, che sapeva dell’innocenza di Sirius e di cui Remus si fidava abbastanza da seguirne il consiglio. C’era una persona sola che rispondeva a quella descrizione.

“Devo andare!” disse sbrigativamente alla madre, già proiettata verso le prossime mosse del suo piano.

“Dora! - la fermò Andromeda, afferrandole un polso - Non so cosa sia scattato nel tuo cervellino per farti saltar via in questo modo, ma prima che tu sparisca per altre settimane, assorbita dal Ministero, lascia che ti faccia una domanda.”

“Una domanda? - chiese Dora, scettica - Che tipo di domanda?”

“Una domanda da mamma.”

Tonks chiuse gli occhi e mugolò disperata qualcosa di intellegibile, ma sapeva di non avere scampo: “Dimmi…”

“Che cosa c’è, o c’è stato, esattamente tra te e Remus Lupin?”

“Mamma!” esclamò Dora, sentendosi diventare paonazza.

“Non voglio i particolari, Dora, ma mi sembra evidente che ci sia qualcosa di strano qui. Lo hai rivisto dopo quella volta in cui hai impersonato me?”

Tonks sfregò i piedi per terra, cercando una via di uscita da quel vicolo cieco: “Ecco, sì… A dirla tutta, siamo andati insieme alla Coppa del Mondo.”

Le sopracciglia di Andromeda schizzarono quasi all’attaccatura dei capelli, ma non ci furono altre reazioni: “E?”

“E non lo so! - ammise Tonks, evitando di guardarla in faccia - Penso di aver commesso un errore, invitandolo. Volevo solo parlargli, conoscerlo meglio, chiedergli scusa per essermi presentata con la tua faccia al nostro primo incontro… ma penso che sia possibile che lui abbia pensato che ci fosse sotto un’altra ragione.”

“E c’era? Quella famosa altra intenzione?”

Tonks non rispose, e Andromeda sospirò: “Promettimi che farai attenzione, Dora.”

“Attenzione? – ribatté lei, sulla difensiva - ma se sei stata proprio tu a dirmi che non avevo nulla da temere da Remus?”

“Non ti farebbe mai del male intenzionalmente, in nessun modo possibile, ma questo non vuol dire che tu non possa rimanere ferita.”

Le parole di Andromeda le stavano ancora risuonando in testa quando apparì in salotto, facendo cadere dalla mensola del camino una quantità imprecisata di libri e soprammobili, annaspando per raggiungere il grande barattolo della metro-polvere. Si inginocchiò sul tappeto e buttò una manciata tra le fiamme, scandendo a gran voce: “Casa di Kingsley Shacklebolt.”

Non appena le fiamme furono verdi vi infilò la testa, e sentì la famigliare sensazione di vertigine, subito seguita da un piccolo plop!

“Shacklebolt!” esordì a piani polmoni, sbattendo un paio di volte gli occhi per scacciare il fumo e mettere a fuoco la scena.

Immediatamente, desiderò non averlo fatto. Kingsley Shaklebolt, avvolto in una vistosa vestaglia violacea e, apparentemente, nient’altro, era pigramente sdraiato sul divano, una donna altrettanto poco vestita tra le braccia.

Per un buffo istante i tre si fissarono in silenzio, prima che Tonks urlasse uno “Scuuusa!!!”, la donna saltasse in piedi con uno strillo e corresse via, e Kingsley si nascondesse il volto tra le mani, le ampie spalle scosse da una risata silenziosa.

Quando Tonks si azzardò a riaprire un occhio trovò il mago ancora scosso dalle risate, seduto sul tappeto davanti a lei: “Una cosa è certa, Tonks, - esalò - sai come fare il tuo ingresso…”

“Miseriaccia, Shacklebolt, - commentò piccata la ragazza - non è colpa mia se decidi di amoreggiare sul divano senza bloccare la metropolvere. Vedo che la tua riunione è andata bene, non era la segretaria di Fudge quella?”

“In persona - sogghignò lui, e Tonks gli strizzò un occhio, complice – Ora mi vuoi dire che cosa c’è di tanto urgente da venirmi a stanare nel mio unico pomeriggio libero? Credevo andassi da tua madre!”

Dora annuì: “Sì, ci sono andata! E ho preso una decisione, Kingsley.”

“E a me tutto questo interessa perché…” chiese lui retorico, divertito ma incuriosito al tempo stesso.

Tonks esitò solo un istante; se aveva capito male, se aveva letto male i segni, se si fosse sbagliata… Prese un gran respiro e disse: “Perché ho bisogno che mi fai assegnare alla squadra di sicurezza che accompagnerà Bagman e Crouch a Hogwarts il 30.”

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - 29 e 30 Ottobre 1994 ***



Capitolo 10 – 29 e 30 Ottobre 1994
 

“Tonks, sei libera il 31?”

“Cosa?”

“Il 31, SEI LIBERA?”

Il rumore, nel locale, era assordante. Era venerdì sera, e la giovane popolazione magica si era riversata con entusiasmo nel Poppy & Paddy’s Pub dove fratello e sorella, di chiara provenienza irlandese, presidiavano il bancone levitando bicchieri di firewhiskey e pinte di burrobirra verso i clienti. La musica era a tutto volume e decine di maghi e streghe si stavano scatenando sulla pista da ballo.

Dora dovette sporgersi attraverso il tavolo, rischiando di volare giù dallo sgabello sul quale era appollaiata, per riuscire a capire cosa Rachel le stava urlando nelle orecchie.

“La sera di Halloween? - chiese all’amica, che sfoggiava un aderente abito di paillette azzurre, con piume in tinta fissate nei lunghi ricci ramati - Per ora non ho programmi, perché?”

“Ho dei biglietti per andare a sentire le Spellbound!” rispose lei, entusiasta.

“Davvero? - esclamò Tonks, battendo con forza il palmo sul tavolo e facendo traballare i due boccali vuoti che vi erano appoggiati - È fantastico! Fanno un concerto anche se Wanda Wilters sta divorziando di nuovo?”

“A quanto pare sì! Suonano all’Unicorno Allegro, pochissimi posti, - rispose Rachel con un sorriso orgoglioso - ma con il lavoro di Mark a Radio Strega Network abbiamo dei pass per la platea!”

“Grandioso! Ci sarò, grazie! Mark come sta? Non lo vedo da un sacco!” chiese quindi Dora, giocherellando con il bicchiere.

Mark Waters e Rachel Merrick erano stati suoi compagni di anno in Hufflepuff e i tre erano sempre stati ottimi amici, anche dopo che Mark e Rachel erano diventati una coppia, all’inizio del loro sesto anno. Rachel, pure-blood e sofisticata, aveva praticamente adottato Tonks, combattendo una crociata senza speranza per renderla più femminile e aggraziata. L’amicizia con Mark, che invece era muggle-born, era nata grazie alla comune passione per la musica: Tonks gli aveva fatto conoscere la discografia completa dei Weird Sisters e nello scambio aveva aggiunto al suo repertorio gruppi babbani come i Blur, The Cure e Radiohead.  

“Oh, Mark sta benone! Ci raggiunge qui, a dire il vero – rispose Rachel, sorridendo sorniona - Arriveranno tra poco.”

Dora mandò giù il suo firewhiskey sollevando un sopracciglio verso di lei: “Hai detto arriveranno? Al plurale? Rachel, non stai nuovamente cercando di accasarmi con uno degli improbabili amici di Mark, vero?”

La rossa rise, scuotendo la testa: “No! Questa volta è un mio collega della banca, e sono sicura che approverai! Ero appena arrivata alla Gringott, ieri mattina, e non indovinerai mai chi mi sono trovata davanti, trasferito da una manciata di giorni da una filiale estera …”

“Bill Weasley” concluse Tonks per lei.

“Oh! - esalò Rachel, delusa dal mancato effetto sorpresa - Come hai fatto ad indovinare?”

Dora rise, indicando la porta del locale, dalla quale stava facendo il suo ingresso la figura allampanata del primo dei Weasley, subito seguita da quella più bassa e muscolosa di Mark.

La vista dei due fu sufficiente a ripristinare l’umore di Rachel, che strillò in un orecchio all’amica: “Te l’avevo detto che avresti approvato!”

“Approvato? - sibilò Tonks, allibita - Chi ti dice che ho approvato? Rachel! È il fratello del mio migliore amico!”

Tonks scosse la testa, non aveva certo delle perenni fette di salame sugli occhi, era consapevole del fascino ipnotico che emanava da Bill Weasley tanto quanto tutte le altre ragazze che lo stavano seguendo con lo sguardo con malcelato interesse: Bill era figo. Era alto – anche se non quanto Remus, commentò la sua mente traditrice – e i capelli rossi erano chiusi nella sua solita coda. Un orecchino a zanna gli pendeva dall’orecchio sinistro e la camicia rosacea che indossava aveva slacciati un paio di bottoni in più del necessario, lasciando intravedere una catenina dorata e uno scorcio di petto abbronzato.

In aggiunta a tutto ciò era anche intelligente, gentile, divertente, generoso… mezza Inghilterra avrebbe dato il suo peso in galeoni per un appuntamento con Bill, ma non Tonks. Non sapeva nemmeno lei il perché, ma ne era totalmente immune.   

Prima che avesse modo di dire tutto ciò, tuttavia, i due ragazzi si fecero largo fino al loro tavolo, e Rachel si precipitò tra le braccia del fidanzato, schioccandogli un bacio su una guancia. Mark strizzò un occhio a Dora, che lo salutò con un cenno del capo divertito.

“Ciao, Rachel – sorrise nel frattempo Bill - Tonks! È un piacere rivederti così presto.”

“Oh, anche per me - rispose lei, passandosi una mano tra i corti capelli violacei - Rachel mi stava giusto dicendo che hai chiesto il trasferimento a Londra. Lasci l’Egitto?”

“Almeno per un po’, sì – rispose lui stringendosi nelle spalle magre – A malincuore perché già mi manca, ma credo che i miei genitori abbiano bisogno di me qui con tutti i piccoli a Hogwarts, Charles in Romania e Perce che... beh, lui…”

Dora colse la difficoltà di Bill a continuare e gli andò incontro, proponendo: “Un brindisi, allora, al tuo ritorno in patria, Bill!”

“Sì, bentornato!” esclamarono Rachel e Mark, unendosi al piccolo coro e Bill le sorrise, grato.

“E per festeggiare - aggiunse Mark, estraendo qualcosa dalla tasca della giacca – ecco a voi!”

Consegnò a ciascuno un braccialetto di metallo, che recava la scritta in lettere squadrate: Spellbound – 31.10.1994

“Ingresso VIW[1] al concerto di Halloween! - spiegò orgoglioso - Sono passaporte, si attiveranno automaticamente alle 10 di quella sera! Sono super limitati, quindi vedete di non perderli!” aggiunse, lanciando un’occhiata divertita verso Tonks.

Lei gli rifilò una linguaccia e fece scivolare il braccialetto attorno al polso. Nello stesso istante, Rachel si alzò dallo sgabello, prendendo Mark per mano: “Bene, noi andiamo a prendere una boccata d’aria, si soffoca qui dentro!”

Dora vide Mark aprire la bocca per protestare e Rachel pestargli palesemente un piede, per poi trascinarlo con sé verso l’ingresso. Sospirò, abbassando gli occhi sul bicchiere ormai vuoto, senza trovare la forza di guardare Bill.

Qualche attimo dopo, però, sentì il ragazzo ridacchiare: “Se quello era un tentativo di lasciarci da soli non è stato molto discreto…”

“Oh, Bill! Mi dispiace! - esclamò Tonks, imbarazzata a morte - Non ne sapevo nulla, giuro! Rachel lo fa a fin di bene ma, se devo proprio dirla tutta, sono in una situazione un po’ complicata e non sto affatto cercando un… un…”  

Bill sorrise, scuotendo il capo: “Non ti preoccupare. Io avevo immaginato fosse questa la sua idea già stamattina, in realtà, e inizialmente non avevo nessuna intenzione di venire ma, se devo proprio dirla tutta - aggiunse, facendole eco – sono anche io in una situazione un po’ complicata. Lo sa solo Charlie, ma il fatto è che un’altra ragione per cui ho deciso di tornare in Inghilterra è che avevo una fidanzata, a Il Cairo, stavamo insieme da tre anni e avevo intenzione di presentarla alla famiglia alla Coppa del Mondo e invece lei mi ha piantato. Quindi mi fa davvero piacere avere attorno qualche faccia amica, a patto che siamo entrambi tranquilli su questa cosa.”

Dora annuì, sollevata: “Assolutamente! Amici?”

“Amici!”

Poco dopo, Rachel e Mark tornarono al tavolo con un nuovo giro di burrobirra, e la conversazione si portò animatamente sugli ultimi pettegolezzi riguardanti il mondo musicale. Mark si lanciò in un acceso comizio sull’ultimo album dei Weird Sisters e Rachel ne approfittò per guadagnare il fianco di Tonks, mormorandole in un orecchio:

“Allora, come è andata?”

“È andata che ti abbiamo perdonato, e abbiamo concordato di essere buoni amici.”

“Ma come! - esclamò Rachel, riuscendo a malapena a nascondere il disappunto - Non capisco, Tonks! Adori Charlie, come può non piacerti Bill? È un gran figo, lo è sempre stato, ed è un tipo a posto…”

Dora la interruppe e la prese per un polso, trascinandola fino al bagno delle signore con un paio di parole di scusa ai ragazzi. Una volta dentro si appoggiò pesantemente ad un lavandino e incrociò le braccia: “Ascoltami bene, Rachel. Non c’è niente che non vada in Bill, ma non lo vedo assolutamente in quel modo e poi…”

Prima che Dora potesse elaborare oltre, Rachel cacciò un urletto, portandosi entrambe le mani alla bocca “Oh … oh! - esclamò, con un piccolo saltello - Nymphadora Tonks! Stai vedendo qualcuno e non me lo hai detto?”

“Shhhhh - la zittì Dora, guardandosi attorno allarmata, nonostante il bagno fosse deserto – No, non proprio, ho solo conosciuto una persona tramite il lavoro e ci siamo visti un paio di volte. Non è successo nulla e non ci stiamo frequentando, ma…”

“Ma lui ti piaaaceeee…” cantilenò Rachel, gongolante.

Tonks scosse il capo, rassegnata: “Dannazione, sì, mi piace, ma non c’è speranza.”

“E perché mai? - protestò l’amica, le mani sui fianchi - Dovresti avere un po’ più di autostima, Tonks!”

“Ha dodici anni più di me, Rachel, una vita complicata e mi ha fatto capire di non avere intenzione di rivedermi nel prossimo futuro!”

Dora si accorse di una nota di disperazione che aveva fatto capolino nella sua voce e si trovò patetica, e nemmeno l’abbraccio della sua migliore amica riuscì a farla sentire meglio.
 
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“Dove diavolo si è cacciato? Giuro che se non è qui tra due minuti vado a prenderlo io, a calci!” borbottò Tonks, facendo avanti e indietro davanti alla fontana nel grande atrio del Ministero della Magia per la venticinquesima volta.

Era la tanto attesa sera dell’arrivo ad Hogwarts delle delegazioni straniere per il Torneo Tremaghi e Dora era riuscita, grazie a Kingsley, a farsi assegnare come scorta a Ludo Bagman. Poco lontano da lei, Bartemius Crouch stava controllando il suo orologio da taschino con aria rassegnata mentre la sua guardia del corpo, John Dawlish, stava stoicamente in disparte, le braccia incrociate sul petto.

Quando infine Bagman fece la sua comparsa, fresco e riposato come sempre, qualche minuto più tardi, tutti e quattro si affrettarono a stringersi nel camino più vicino e, in pochi attimi, si ritrovarono in una sala privata di The Three Broomsticks, a Hogsmeade.

“Un po’ in ritardo, eh? - li accolse la voce squillante di Madama Rosmerta, il grembiule ai fianchi e il solito sorriso fascinoso sulle labbra rosso fuoco - Presto, presto! Da questa parte!” li sospinse verso la porta, che si apriva sul cortile interno. Alla vista della famigliare carrozza nera che li attendeva, Tonks sentì un improvviso entusiasmo crescerle dentro e un gran sorriso farle capolino sul volto: stava tornando a Hogwarts.

Presero posto ringraziando frettolosamente Rosmerta, e subito la carrozza si mise in moto, muovendosi apparentemente da sola. Il viaggio trascorse in silenzio, perfino Bagman taceva, e Tonks ne fu grata, gustando di minuto in minuto tutti i ricordi dolceamari che le stavano tornando alla mente sulla via del castello. Erano stati grandi anni, anni gloriosi, e la ragazza scosse il capo divertita, ripensando ai piccoli drammi adolescenziali.

Quando infine si trovò davanti al portone della scuola, il cuore prese a batterle fortissimo: ricordava la prima sera che aveva salito quei gradini, e l’ultima mattina che li aveva scesi, ancora con i postumi della sbornia della festa di addio. Rifletté che non era passato poi così tanto tempo da quando se n’era andata, che c’era ancora gente che conosceva a scuola. I pivellini erano ora nel loro quinto anno, i fratelli di Charlie e Bill al loro sesto.

Tutti i suoi ragionamenti vennero bruscamente interrotti quando il custode, Argus Filch, comparve sulla soglia, il suo dannato gatto come sempre poco lontano. Dora entrò nell’atrio con il naso per aria, eccitatissima, e puntò automaticamente verso le grandi porte sulla destra, che conducevano alla Sala Grande.

Filch la prese per un polso, bloccandola dopo i primi due passi: “Dove pensi di andare? - le chiese, arcigno, per poi indicare un corridoio laterale - Di qua.”

Lo seguirono fino ad un grande arazzo che raffigurava i fondatori, dove il custode mormorò la parola d’ordine e un lembo si sollevò, lasciando intravedere un piccolo corridoio, con un tappeto rosso a terra.

“Wow! - esclamò Tonks, imboccandolo - Dove siamo?”

“In una delle aree riservate agli insegnanti” rispose sbrigativo Filch. Qualche attimo dopo fece strada in una sala piccola e accogliente, con le pareti tappezzate di ritratti di streghe e maghi e un bel fuoco che scoppiava nel camino. Un tavolo era apparecchiato per due.

“Oltre quella porta, presto!” gracchiò Filch, spingendo Bagman e Crouch verso una spessa porta di quercia. La tenne aperta per un attimo, e Dora intravide la grande schiena di Hagrid e uno scorcio della Sala Grande, illuminata e rumorosa, prima che il battente tornasse a chiudersi.

“Bene, direi che questi siamo noi…” commentò Dawlish, prendendo posto al tavolo e versandosi da bere. Dora lo imitò e, subito, i piatti si riempirono di cibo. John Dawlish era un auror di esperienza, una persona riservata e difficile da leggere con cui Tonks non aveva molta confidenza; non tentò neanche di iniziare una conversazione, godendosi l’ottima cena in silenzio.

Si ritrovò a pensare a Mad-Eye, seduto con i colleghi a pochi metri da lei, al di là della parete, sperando di avere occasione di salutarlo prima di andarsene: il suo vecchio mentore le mancava come non mai, soprattutto in quel periodo difficile, ma non era per lui che era lì. Finito di mangiare, Dawlish andò a prendere posto su una delle poltroncine accanto al camino e si accese la pipa, Dora rimase al tavolo con davanti il vassoio dei dolci, chiedendosi come avrebbe fatto ad avvicinare il preside, e che cosa esattamente avrebbe potuto dirgli se ci fosse riuscita.  

Quando infine la porta tornò ad aprirsi, il viso arcigno di Filch fece capolino e fece loro cenno di raggiungere la Sala Grande. Quando Dora lo fece, si ritrovò sulla piattaforma che ospitava il tavolo degli insegnanti. Era strana la prospettiva da lassù, estranea quasi. La maggior parte degli studenti stava già sciamando verso l’ingresso con un chiacchiericcio allegro, le uniformi straniere che spiccavano nettamente nel mare di nero di Hogwarts. I professori stavano parlando tra loro, a piccoli capannelli, e un piccolo gruppo di ragazzi si era radunato attorno a Ludo Bagman che stava giovialmente firmando autografi.

Distogliendo a fatica l’attenzione dagli studenti, Dora si guardò attorno, cercando di localizzare Moody. Non c’era traccia del vecchio auror, ma la figura allampanata di Dumbledore, con la sua barba bianca e vesti colorate, sostava a poca distanza. Diede di gomito a Dwalish: “John, ti dispiace dare un’occhiata a Bagman per un secondo, voglio solo salutare il preside, mi serve un minuto.”

“Va bene, ma vedi di sbrigarti” fu la secca risposta.

Dora annuì, grata, e raggiunse il preside in preda ad una viva agitazione. Prima che potesse apostrofarlo, però, fu lui a voltarsi verso di lei, sorridendole benevolo: “Ah, Nymphadora Tonks! Mi fa molto piacere vederti, e vedere che hai preso una piccola pausa dalla tua frenetica caccia all’uomo. Ho sentito molto parlare di te negli ultimi mesi, dalle fonti più disparate…”

A Dora non sfuggì il luccichio negli occhi del preside, e si schiarì la voce: “Sì, ecco, io…”

“Alastor ha sempre avuto una grande stima nei tuoi confronti - la interruppe Dumbledore - e da quello che mi ha raccontato Remus tale stima sembra ben fondata.”

“Come? Cosa?” chiese lei, perdendo momentaneamente la concentrazione.

“Ascolta, - continuò il preside, il suo tono urgente ora, la voce poco più di un mormorio - devi essere consapevole di che cosa dovrai affrontare. Abbiamo già visto tutto questo: persone morte, persone torturate, amicizie e famiglie distrutte, la minaccia del tradimento ovunque.”

“Crede che non lo sappia? - lo interruppe, seria, Tonks - È a me che sta parlando. Sono disposta a tutto per dare una mano, mi dica solo cosa devo fare.”

Dumbledore la fissò negli occhi per un attimo, e Dora fu certa che potesse leggerle l’anima, quindi disse: “Stai già facendo la cosa giusta. Dimentica Sirius, è in buone mani, e penso tu possa indovinare chi si sta prendendo cura di lui. Concentra tutte le tue forze per localizzare Peter Pettigrew.”

“Sto seguendo una pista che porta verso l’Albania” annuì lei.

“Albania? - chiese il preside, sgranando un poco gli occhi dietro le lenti a mezzaluna - C’è un dettaglio che potrebbe esserti utile: Peter è un animagus, può trasformarsi in un topo. Ti prego di essere assolutamente discreta con questa informazione. Il tuo collega, Shacklebolt, Alastor ne ha parlato molto bene, sei certa di poterti fidare di lui?”

“Al 100%” rispose Dora.

“D’accordo, allora, mi fido del vostro giudizio, puoi dirlo a lui, ma a nessun altro. Non scrivere, stai attenta a ciò che dici, e a chi, e guardati le spalle.”

Tonks ebbe a malapena il tempo di assimilare tutto e annuire. Dov’era finito il gioviale e serafico preside che ricordava così bene? L’uomo che aveva davanti ora dimostrava tutti i suoi anni, ed era segnato da una preoccupazione profonda. Quando, però, le sorrise, l’abituale senso di pace scese sulla ragazza, insieme alla consapevolezza che, in qualche modo, sarebbe andato tutto bene.

“Tonks! Andiamo!” la chiamò in quel momento Dwalish, e Dora sospirò.

“Devo andare, può portare i miei saluti a Mad-Eye?”

“Certamente - rispose Dumbledore - Sono sicuro che sarà molto dispiaciuto di non averti incrociata, ma ci teneva a scambiare due parole con Igor…”

Karkaroff. Ovvio, l’ex mangiamorte, ora preside di Durmstrang, era arrivato quella sera stessa insieme ai suoi ragazzi.

“Tonks!!”

La ragazza sobbalzò, colpevole: “Devo davvero scappare, arrivederci Preside!”

“Abbi cura di te, Nymphadora, e stai allerta: si metteranno in contatto con te.”




[1] Very Important Witch/Wizard

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Inizio Novembre 1994 ***



Capitolo 11 – Inizio novembre 1994
 
 
Con un sospiro soddisfatto, Dora si aggrappò forte al mobile dell’ingresso e scivolò fuori dalle scarpe col tacco. Accolse con un profondo sollievo la sensazione delle piante dei piedi, doloranti ormai al limite della sensibilità, aderire alla superficie meravigliosamente piana del pavimento.

Ne era valsa la pena. Di quelle trappole infernali che Rachel osava chiamare scarpe e dell’abitino seconda pelle nero in cui era stata infilata contro la sua volontà. Ne era valsa la pena, perché era stata senza alcun dubbio la serata migliore che Tonks avesse passato da più di un anno a quella parte.

Certo, la finale della Coppa del Mondo era stata stupenda, ma la presenza di Remus e ciò che era successo quella notte avevano turbato il divertimento. Il concerto di Halloween delle Spellbound, al contrario, era stato gioia pura.

La musica era ottima, l’umore alle stelle, i suoi migliori amici erano con lei, e la presenza di Bill era stata determinante. Le era stato accanto tutta sera, una figura rassicurante, che aveva tenuto alla larga eventuali e indesiderati ammiratori senza chiedere nulla in cambio. Un amico, con cui aveva ballato e riso, senza una preoccupazione al mondo.

Stava giusto rivivendo quella sensazione di pace quando, con un fischio acuto, una sagoma scura, simile ad un areoplanino di carta, le schizzò contro, punzecchiandole con insistenza l’avambraccio.

“Oh, per tutti i gargoyle…” borbottò la ragazza, dando una manata all’interruttore della luce.

Non appena il salotto ebbe riacquistato luce e colore, desiderò ardentemente non averlo fatto. Il memo ministeriale che la stava perseguitando, continuando a fischiare in modo fastidioso, era purpureo, la punta dorata e rilucente della massima allerta.

Soffocando un mugolio disperato, Tonks si lasciò cadere a terra, acchiappando il memo e aprendo il sigillo, pronta al peggio. Riconobbe all’istante la calligrafia decisa e squadrata di Shaklebolt.

Tonks,
brutte notizie da Hogwarts. Sono stati scelti i tre campioni ma, a quanto pare, dal Calice di Fuoco è emerso anche il nome di Harry Potter. Il ragazzo nega di essersi iscritto ed è davvero difficile che lo abbia fatto. Dawlish mi ha detto che c’è stato molto malumore, ma Crouch ha insistito che una volta uscito il nome dal Calice non ci sia modo di evitare la partecipazione del prescelto. Mad-Eye era presente, ed è stato lui ad avanzare l’ipotesi che qualcuno voglia che Harry gareggi nella speranza che non sopravviva. Ora, Alastor potrebbe essere il solito paranoico, ma è certo che solo un mago molto più potente di un ragazzino di quindici anni può aver lanciato un Confundus abbastanza forte da far dimenticare al Calice che ci sono solo tre scuole e tre Campioni. Dumbledore è preoccupato, e io non trovo una spiegazione a tutto questo. Sei sempre dell’idea della vacanza? Sentiamoci.
K.

Dora accartocciò il memo e nascose il volto nelle mani, tirandosi le ginocchia al petto. Non ci voleva, affatto. Mai come in quel momento fu grata di sapere che Mad-Eye era ad Hogwarts, a tenere tutto sotto controllo. Avrebbe dovuto fidarsi del fatto che avrebbe fatto tutto il possibile per tenere Potter al sicuro.

La sua missione era altrove, molto lontano dalla scuola.
 
 
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Erano ormai quasi le tre del pomeriggio quando Tonks si infilò in spalla lo zaino, sorridendo ai suoi genitori: “Grazie del pranzo, ora è meglio che vada, non voglio farlo aspettare!”

“Sono davvero contento che ti sia finalmente decisa a fare una bella vacanza! - disse Ted, benevolo - Te la sei meritata.”

“Salutaci tanto Charles, e cerca di riposare un po’, cara” aggiunse Andromeda, posandole un bacio su una guancia.

“Stiamo parlando di Charlie, mamma! – commentò Dora, divertita - Mi trascinerà su e giù in tenda per mezza Romania per due settimane ad esaminare cacca di drago, altro che riposare!”

“Allora, almeno, prova a divertirti e non pensare al lavoro. Prometti?”

Come sempre quando mentiva a sua madre, Tonks sentì un vago senso di nausea, ma si sforzò di annuire, rassicurante: “Prometto.”

Prese un bel respiro ed estrasse dei pantaloni un sacchettino di cuoio che recava stampato il marchio ministeriale. Quando un mago o una strega desideravano recarsi all’estero era buona prassi, segnalando dove si voleva andare, quando e perché, notificare l’Ufficio per la cooperazione magica internazionale che avrebbe poi avvisato il paese ospitante. Una volta avuto l’ok, era possibile fare richiesta all’Ufficio del trasporto magico per avere un canale di spostamento, a patto di avere una destinazione specifica e di essere disposti a pagare per il servizio. L’alternativa, che richiedeva però più tempo e un passaporto babbano, era viaggiare per vie non magiche.
Dora aveva seguito alla lettera tutto l’iter burocratico, pagato i Galeoni richiesti, e giusto quella mattina era passata al Ministero a ritirare la sua Inter-polvere. Ne aveva approfittato anche per salutare Kingsley, ricordandogli di stare attento a non pestare piedi importanti, perché Crouch era un pezzo grosso, e di tenere gli occhi aperti in sua assenza.

Non aveva più senso esitare, e Charlie la stava aspettando. Facendo attenzione a pronunciare correttamente il nome in Rumeno che l’amico le aveva mandato via gufo qualche giorno prima, la ragazza entrò nel camino, venendo subito avvolta dalle fiamme verdi. Qualche attimo dopo si ritrovò a pancia in giù su un pavimento di legno, tossendo rumorosamente.

Immediatamente, due grandi mani abbronzate entrarono nel suo campo visivo, afferrandola sotto le ascelle e rimettendola in piedi senza sforzo: “Bene arrivata!”

Si lasciò stritolare nell’abbraccio di Charlie e, buttando un’occhiata sopra la sua spalla, riuscì a intravedere una stanza accogliente con le pareti tappezzate da mappe e poster di draghi, rustici mobili qua e là e quattro ragazzi e una ragazza sorridenti, seduti comodamente attorno ad un grande tavolo.

Quando Charlie la lasciò andare, posandole delicatamente lo zaino a terra, la spinse verso i suoi colleghi, indicandoli a uno a uno: “Goran, Christopher, Thibault, Elias e Delphina. Sono il mio team. Ragazzi, questa è la mia migliore amica: Dora Tonks.”

“Tonks! - precisò lei, stringendo mani tese e scambiando qualche saluto – Grazie dell’ospitalità.”

“Bene! - esclamò infine Charlie - Se qualcuno di voi può essere così gentile da portare le cose di Tonks su in camera mia, noi andiamo a fare due passi. Ci vediamo per cena.”

Dora non protestò, afferrò la mano tesa di Charlie e lo seguì fuori. Si trovavano in cima ad una collina che sovrastava i dintorni; una grande foresta iniziava al limitare del pendio e sul lato opposto si apriva un’ampia valle verdeggiante. In lontananza, si scorgevano il luccichio di un corso d’aria e un gruppetto di case: “E’ bellissimo qui - commentò respirando a pieni polmoni l’aria fresca e pulita - Dove siamo esattamente?”

Charlie si guardò attorno a sua volta con sguardo affettuoso: “Sì, è una parte di mondo meravigliosa, siamo a nord-ovest del paese, non lontano dal confine con l’Ucraina e l’Ungheria. Ci sono foreste ancora fortunatamene preservate che si estendono per miglia e miglia ed è una zona geotermale, particolarmente adatta a madri in cova e cuccioli.”

Tonks gli sorrise e scosse piano il capo: “Sembra fantasico… mi stai facendo rimpiangere di non poter davvero passare due settimane a scarpinare su e giù con te alla ricerca di cacca di drago!”

Charlie le rifilò un’occhiata di sbieco e le fece cenno verso il sentiero: “Non qui. Il villaggio che vedi laggiù è babbano, e non c’è molto, ma ci vuole un’oretta a piedi per raggiungerlo e non ci saranno orecchie indiscrete sulla strada.”

Infilò una mano nella tasca della giacca in pelle che indossava e allargò il gomito verso di lei, facendole cenno di avvicinarsi. Dora lo prese a braccetto, avviandosi al suo fianco. Per qualche tempo camminarono in silenzio, godendo della quiete che veniva da lunghi anni di amicizia, infine Charlie sospirò: “Mi sei mancata, Tonks, e sarei genuinamente contento se potessi credere che ti sei presa due settimane di ferie dal Ministero per venire a passare un po’ di tempo con me, ma è da quando ho letto quel tuo post scriptum nel codice che avevamo inventato a scuola che so che c’è qualcosa che non va. Mi hai chiesto di procurarti un biglietto per un mezzo di trasporto babbano che ti portasse in Albania, e l’ho fatto, ma ora mi vuoi dire cosa c’è sotto?”

Dora tacque, stringendo forte il braccio dell’amico, per poi mormorare: “Sono a caccia, Charlie-boy” rivelò, usando il nomignolo che aveva coniato per lui tanti anni prima.

“A caccia? In Albania? - chiese Charlie, facendosi serio - E ti mandano laggiù da sola?”

Quando lei non rispose, Charlie si fermò a fronteggiarla, posandole entrambe le mani sulla spalle sottili e guardandola dritto in volto: “Il Ministero non lo sa, non è così? Diamine, Tonks, in che pasticcio ti stai cacciando?”

“In uno grosso - mormorò lei in risposta - Sono in cerca di un uomo, scaltro e pericoloso, e per questo è necessario che lo faccia sola e senza magia. Sarei troppo rintracciabile altrimenti.”

Charlie la guardò per un istante: “Non è Black, vero? Perché se lo fosse il Ministero ne sarebbe al corrente. Chi cerchi? E per conto di chi?”

Lei lo guardò supplicante, scuotendo il capo: “Per piacere, Charlie, non mettermi in difficoltà. Non posso dirti più di quanto abbia detto, ed è già abbastanza pericoloso così.”

“D’accordo - disse allora lui, senza scomporsi – non ho bisogno di sapere altro, vengo con te.”

Fedele, leale, coraggioso Charles Weasley… Dora gli sorrise con affetto, ma scosse il capo: “Sai benissimo che non posso permetterlo. Non sei stato addestrato al mio lavoro, e non sai nemmeno a che cosa andresti incontro. Inoltre, sei il mio contatto, Charlie, tutti sanno che passerò due settimane in Romania con te e se qualcuno dovesse cercarmi ho bisogno che tu sia qui a coprirmi.”

Lui rimase immobile, palesemente non convinto, e Tonks alzò una mano ad accarezzargli il viso: “Ti prego.”

“Va bene, - si arrese lui - ma ti porto fino al confine serbo domattina. C’è un'altra delle nostre riserve da quelle parti, diremo che ti voglio portare lì a vedere delle covate.”

“Grazie” disse solo Tonks, riconoscente.

Per alleggerire l’atmosfera, la ragazza riprese a camminare e disse: “Sai, ho visto Bill di recente! Lavora con la mia amica Rachel e siamo andati insieme a un concerto a Halloween!”

Charlie sogghignò: “Oh, sono perfettamente al corrente delle tue frequentazioni con mio fratello! La mamma mi tiene sempre aggiornato, è entusiasta di avere trovato un altro modo di averti in famiglia…”

Tonks capì immediatamente dove stava andando a parare: erano stati in molti a fraintendere, a credere che il forte legame che univa lei e Charlie fosse di natura romantica, ma non lo era mai stato.

Si strinse al suo fianco e socchiuse gli occhi, godendo della sua presenza rassicurante e ricordando quella notte di primavera del loro settimo anno che li aveva visti in cima alla Torre di Astronomia, in punizione insieme come mille altre volte prima di allora. Finito di pulire i cannocchiali erano rimasti distesi fianco a fianco a guardare il cielo, e Charlie le aveva infine rivelato di avere capito di non provare nessuna attrazione verso donne, né uomini, di non avere aspirazioni a relazioni romantiche.

Tonks, che era stata una campionessa di storie brevi e disastrose e che non desiderava altro nella vita se non di poter invecchiare con accanto qualcuno che le volesse bene, non aveva saputo se invidiarlo o essere completamente atterrita. Tra il serio e il faceto, Charlie aveva promesso che la sua porta sarebbe stata sempre aperta per lei, se un giorno si fosse ritrovata sola e senza più speranze di trovare un compagno di vita.

Una promessa che Dora ricordava e che ancora le scaldava il cuore: “Fidati, Charlie-boy, è infinitamente più probabile che io bussi alla tua porta con un gatto e una valigia nella mia mezza età che non che metta su casa con Bill!”

Charlie rise, dandole un buffetto alla spalla: “Ma smettila, sono certo che sarai felicemente accasata ben prima della tua mezza età! – quindi esitò un attimo prima di aggiungere – Ma comunque vadano le cose, Tonks, ho bisogno che tu sappia che ti puoi fidare di me, e di Bill, e di mamma e papà. Se dovessi mai avere bisogno qualcosa, qualcuno… per favore, ricordati di noi, permettici di aiutarti, di essere dalla tua parte. E promettimi che farai attenzione.”

“Prometto” rispose lei. E lo promise a se stessa: di non correre rischi eccessivi, di non accanirsi troppo. Aveva troppo a cui tornare, troppo per cui combattere, per uscire di scena così.

Quella sera, Tonks si costrinse a riempirsi la pancia dell’ottimo cibo che i colleghi di Charlie avevano preparato e, per qualche tempo, il racconto di come stessero preparando ben quattro dragonesse in cova ad un lungo viaggio fino alla Scozia, riuscì a distrarla dai suoi cupi pensieri. Quando infine l’ultimo piatto fu asciugato e riposto, Charlie indicò le scale: “Per noi è ora di andare a dormire, vogliamo partire presto domattina. Vedete di non battere la fiacca mentre sono via, intesi?”

Con una serie di rassicurazioni e saluti, si accomiatarono, salendo le scale fino alla piccola stanza che Charlie occupava. C’era un poster dei Chudley Cannons, uno raffigurante cuccioli di drago e, sul comodino a lato del letto, una cornice dalla quale tutti e nove i Weasley salutavano, sorridenti.

Dora si infilò sotto le coperte, mentre Charlie si stendeva sul tappeto, davanti al caminetto acceso, le mani incrociate sotto la nuca e una coperta patchwork tirata su fino al petto: “Dormi bene, Tonks.”

“Sogni d’oro, Charlie-boy.”
 
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La stazione dei pullman vicino a cui si erano materializzati era piuttosto lugubre; un grande piazzale asfaltato con una lunga fila di pensiline con gruppetti di passeggeri in attesa e una tavola calda con le vetrate appannate. Anche il clima era impietoso, umido e freddo, il cielo era coperto di nuvoloni grigi e una leggera nebbia aleggiava tutto attorno.

Charlie l’aveva abbracciata per un lungo istante, al riparo tra gli alberi che costeggiavano un lato della strada, ripetendole le indicazioni prima di metterle tra le mani il biglietto che l’avrebbe portata oltre il confine fino a Belgrado. Da lì avrebbe preso un secondo bus per Podgorica, in Montenegro, e l’ultima coincidenza per Shkoder, nel nord dell’Albania. Non erano nemmeno le sette del mattino, e Dora sapeva di avere davanti a sé una lunghissima giornata di viaggio.    

Si ripeté per l’ennesima volta che era la cosa migliore, che viaggiare con la magia sarebbe stato troppo rischioso, che la sua copertura babbana era ciò che l’avrebbe protetta tanto da eventuali maghi oscuri quanto dai Ministeri. Ciò nonostante, una parte della sua testa non poté fare a meno di pensare che quando sarebbe infine arrivata a destinazione quella sera due dei suoi preziosi quattordici giorni se ne sarebbero già andati.

L’indomani mattina si sarebbe recata a trovare Elsa, la cugina di secondo grado di Bertha che abitava poco lontano e che, verosimilmente, era stata l’ultima persona ad averla vista. Non sapeva bene che cosa sperava di trovare: impiegati del Ministero avevano già parlato con la donna, e Bertha rimaneva tuttora dispersa.

Charlie, determinato a vederla partire sana e salva, era andato a sedersi a uno dei tavolini esterni della tavola calda e aveva ordinato un caffè. Tonks lo guardò per istante, quindi appoggiò lo zaino a terra, strizzò appena gli occhi, storse il naso e sospirò, passando una mano tra i lunghi boccoli biondo platino che le ricadevano ora lungo la schiena. Estrasse dalla tasca esterna un paio di grossi occhiali con la montatura in glitter e una cuffia con il pon-pon in tinta con il maglione bianco a collo alto che portava sotto il parka. Infilò al collo la custodia della macchina fotografica che si era procurata come copertura e controllò un’ultima volta che la bacchetta fosse al suo posto, legata saldamente al suo avambraccio destro.

Controllato che la strada fosse deserta, uscì dagli alberi a passo sicuro e si diresse alla sua fermata, dove il bus stava scaldando il motore. Con la coda dell’occhio vide Charlie passare in rassegna i presenti e sfoderare uno sguardo allibito quando la riconobbe; dovette sforzarsi per non sogghignare, non usava spesso metamorfosi così radicali, ma le reazioni che otteneva erano sempre impagabili.

L’autista le posizionò gentile lo zaino nel vano porta bagagli e le mostrò dove obliterare il biglietto, senza dedicare più di un’occhiata al suo Passaporto britannico, abilmente e magicamente contraffatto, che recava il nome di Darla Coles. Tonks sprofondò in un sedile a metà vettura e appoggiò la fronte al finestrino, fece in tempo ad annuire impercettibilmente in direzione di Charlie prima che il pullman si mettesse in moto, con la sua andatura traballante e un rumore sordo.
 



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Le cose rallentano un po', ma mi sono ritrovata a dover dare più spazio a raccontare dell’amicizia tra Charlie e Dora… la presenza dei fratelli Weasley non era prevista all’inizio, ma questa storia mi sta un po’ portando dove vuole lei :D Nel prossimo capitolo la nostra Auror porterà a termine la sua ricerca in Albania e tornerà in Inghilterra giusto in tempo per la Prima Prova del Torneo.

Una nota geografica; nonostante sia una parte di mondo che mi affascina tantissimo, non sono mai stata nelle zone in cui si sta avventurando la nostra Tonks, tutte le mie informazioni vengono da Mr. Google e ho cercato di posizionare i vari avvenimenti in zone boschive e di parchi nazionali che mi sembrano il luogo più plausibile dove nascondere draghi e maghi oscuri!

Come sempre, un feedback è bene accetto !!

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Metà Novembre 1994 ***


 


Capitolo 12 – Metà Novembre 1994


Con un sorriso e un cenno della mano, Tonks salutò la coppia che le aveva dato un passaggio e aprì rassegnata l’ombrello, guardando l’auto scivolare via con i tergicristalli a massima potenza. Era buio pesto e la tavola calda davanti a cui l’avevano lasciata non aveva l’aria troppo invitante, ma il neon sopra la porta recava la scritta “affittacamere” e Aljaz le aveva detto che quello era l’unico posto nei dintorni dove avrebbe potuto passare la notte, così si fece forza e attraversò la strada deserta, salendo i tre gradini malconci che portavano all’ingresso del locale.

Era esausta, e fradicia, e non riusciva a capacitarsi di come i babbani potessero tollerare un’esistenza fatta di impermeabili e mezzi pubblici. Era passata una settimana da quando aveva lasciato Charlie al confine serbo, sei giorni da quando era stata a trovare Elsa, la cugina magonò di Bertha Jorkins dalla quale aveva scoperto che la donna era una grande appassionata di erbologia e si era recata in Albania non solo in visita parenti ma anche per esplorare la natura locale, ancora ampiamente incontaminata. Quando le aveva detto di essere un’amica di vecchia data di Bertha, Elsa era stata estremamente cordiale e le aveva mostrato una cartina della regione, indicandole le aree di maggiore interesse dove Bertha aveva detto di volersi fermare prima di andare a trovare una vecchia zia nel sud del paese, dove non era mai arrivata.

Tonks aveva fedelmente seguito l’itinerario, addentrandosi nella regione montana viaggiando un po’ con la corriera di linea e per alcuni tratti in autostop, fermandosi in tutti i ristoranti, bed and breakfast e pensioni che aveva trovato sulla strada a chiedere se qualcuno di ricordasse della visita di una sua amica qualche mese prima. Fino a quel momento aveva fatto un buco nell’acqua.

Una volta varcata la soglia, un forte profumo di stufato le raggiunse il naso e Tonks si guardò attorno: la sala era piccola e spartana ma calda e ordinata e a un tavolo nell’angolo sedeva una famiglia con due gemelline che contribuiva a dare all’ambiente un’aria di pacifica ordinarietà. Tirando un sospiro di sollievo, si affrettò a posare in un angolo l’ombrello sgocciolante e sorridere al signore di mezza età che le stava andando incontro.

“Buonasera, - disse lentamente, articolando la frase in albanese che aveva faticosamente imparato - vorrei la cena e una stanza, per favore.”   

L’uomo sorrise, ponendole una domanda, e Tonks scosse il capo, desiderando più ardentemente che mai di poter usare un incantesimo di traduzione e chiedendosi se sarebbe stata costretta a ricorrere ai gesti per avere qualcosa da mangiare e un letto su cui collassare; la sera prima utilizzato un artistico disegno su un tovagliolo. La gente era mediamente ospitale e cortese, ma l’ostacolo linguistico si stava rivelando un problema non da poco.  

L’uomo disse nuovamente qualcosa e le indicò un tavolo apparecchiato per uno al centro della sala; Dora lo interpretò come un invito ad accomodarsi e si lasciò cadere pesantemente su una sedia, appendendo il parka bagnato accanto a sé e posando la custodia della macchina fotografica sulla tovaglia a quadretti. 

Qualche minuto più tardi, un ragazzo sulla trentina, con un grembiule ai fianchi e un’espressione divertita sul viso perfettamente rasato, fece la sua comparsa dalla porta che dava sulla cucina. Le rivolse un cenno del capo e si diresse verso di lei a grandi passi per poi appoggiarsi al tavolo e squadrarla da capo a piedi: “Ciao, sono Roman – le disse, in ottimo inglese - Mio padre mi ha detto che avevamo per le mani una turista straniera dall’aria disperata ma stentavo a crederlo, non abbiamo molti turisti da queste parti in questo periodo dell’anno, la maggior parte si avventura fin quassù solo d’estate, per il trekking, sai?”

Tonks sorrise a sua volta, grata dell’occasione di fare due chiacchiere alla fine di una lunga giornata: “Dal poco che sono riuscita a vedere immagino ci siano delle passeggiate fantastiche, ma il tempo non è tanto dalla mia parte… abbastanza tragico dato che sono una fotografa di paesaggi – posò una mano sulla macchina fotografica a sostegno della sua copertura, quindi, incapace di farsi sfuggire l’occasione, aggiunse – Ma in effetti è stata proprio un’amica che è stata qui durante l’estate a consigliarmi di venire.”

Roman annuì, ma non sembrò raccogliere la palla: “Resti in zona per un po’?”

“Non credo – rispose lei – ma sicuramente vorrei fermarmi qui stanotte, se avete una stanza, e vorrei anche qualcosa da mangiare, va bene tutto purché sia caldo!”

Il ragazzo scomparve nuovamente in cucina e Dora si prese il capo tra le mani, sentendo lo sconforto gravarle addosso, chiedendosi se avesse davvero senso continuare, procedere in quel modo, se avesse un briciolo di speranza di trovare un indizio su che cosa fosse accaduto a Bertha.

Quando Roman tornò a fare capolino nella sala portava con sé non una, ma due birre e, con gran stupore di Tonks, si sedette al tavolo di fronte a lei, allungandole un boccale.  

“Ho pensato una cosa – le disse senza tanti preamboli, le sopracciglia corrucciate - Sei inglese, vero?”

“Sì” rispose Tonks, cauta, i sensi di nuovo all’erta.

“E la tua amica che è stata qui quest’estate? Inglese anche lei?”

Dora rischiò di strangolarsi con il sorso di birra che stava mandando giù. Appoggiò a fatica il boccale, stringendolo forte con entrambe le mani e ripetendosi come mantra di non sperarci troppo: “Sì, inglese anche lei, sulla quarantina, castana…”

“Bertha!” esclamò lui, sbattendo il pugno sul tavolo.

Dora sussultò, ritraendosi un poco: “La conosci?”

Lui sbuffò, rilassandosi contro lo schienale, incurante del parka che ancora stava sgocciolando a terra: “Me la ricordo bene, è stato uno dei momenti più deprimenti per la mia autostima! Mi trovi carino?”

La domanda arrivò talmente di punto in bianco che Tonks ci mise qualche istante a connettere: “Ecco…” iniziò, sempre più confusa.

“Beh, io mi reputo niente male! – continuò lui senza attendere la risposta – La tua amica Bertha è una bella donna, e sembrava interessata, sai? Così io ci ho provato un po’, sondato un po’ il terreno, ed ero convinto che ci stesse! Non faccio in tempo ad andare di là a prendere i piatti e quando torno… BAM!”

Un secondo pugnò calò sul tavolo, ma questa volta Tonks era troppo assorta nel racconto per farci caso: “Bam cosa?”

“La vedo che se ne va con un altro tizio! E non intendo un altro ragazzo, intendo proprio un tizio!”

Dora socchiuse gli occhi, perplessa: “Temo di averti perso. La differenza sarebbe?”

“Avresti dovuto vederlo! - sbottò lui, indignato - Età indecifrabile, basso, tarchiatello, lurido, malaticcio quasi!”

Tonks sentì per un istante il mondo sfocarsi e la stanza barcollare e si aggrappò forte ai bordi del tavolo, sperando che la sua faccia non tradisse i suoi pensieri. Poteva essere? Poteva essere possibile che, in una remota tavola calda nel cuore dell’Albania, Bertha Jorkins si fosse imbattuta in Peter Pettigrew?

“Hei, tutto bene?”

La voce di Roman fece capolino nel turbine di pensieri di Dora, che si costrinse a sorridergli: “Sì, sono solo molto stanca, è stata una lunghissima giornata. Bertha è sempre stata un po’ imprevedibile, attratta da persone… particolari. Sai dove sono andati? Sono tornati?”

“No, mai più visti - rispose lui, alzandosi - Il tizio doveva avere una macchina perché qui attorno non c’è altro che boschi per miglia… ti porto la tua cena!”

Quella sera, mentre Dora si rigirava nel suo lettino senza riuscire a prendere sonno, quell’ultima frase del ragazzo continuava a tormentarla: qui attorno non c’è altro che boschi per miglia. Aveva un gran brutto presentimento di ciò che l’attendeva per i giorni a venire.
 

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Aveva miracolosamente smesso di piovere ma, anche con un poco di grigiore in meno, quel posto non smetteva di darle i brividi.

Era rimasta ospite della pensione della famiglia di Roman per altri due giorni, durante i quali aveva suddiviso in quadranti tutta l’area circostante, sperando con tutta sé stessa che Bertha e Pettigrew, se davvero si trattava di lui, si fossero recati a piedi da qualche parte nelle vicinanze. Se si fossero smaterializzati, avrebbe dovuto fare ricorso a vie ufficiali per chiedere al Ministero balcanico il tracciamento di magia straniera nella zona.

Per le sue esplorazioni si era servita di un detector oscuro che aveva portato con sé, abilmente camuffato da orologio da polso: si trattava in realtà di una bussola, la cui lancetta indicava la direzione verso cui tracce di magia oscura erano più percepibili. L’ago l’aveva spinta verso sud-est, sempre verso sud-est e, nell’arco della giornata, Tonks era arrivata ad addentrarsi sempre di più in una conca di vegetazione fittissima, sentendo una forte inquietudine crescere ad ogni passo.

Aveva camminato per ore, mentre il pallido sole strisciava verso il mezzogiorno per poi iniziare la sua rapida discesa. Sapeva che non avrebbe fatto in tempo a tornare nei pressi della civiltà prima che facesse buio, ma sapeva anche di non potersi fermare.

Non c’erano sentieri babbani che andavano nella direzione che doveva seguire, solo un folto tappeto di fango e foglie bagnate. Ben presto, anche ogni traccia di animali era gradatamente sparita, nessun fruscio nello spoglio sottobosco, nessun cinguettio tra i rami nudi, nulla. L’aria era diventata fredda, umida e immobile, e la bussola l’aveva portata lì, nel centro di una piccola radura che si apriva su una parete strapiombante. Un piccolo corso d’acqua gocciolava dalla roccia, creando una pozza poco lontano e, tra alcuni massi, Dora poteva intravedere una spaccatura, come l’ingresso di una caverna.

Sapeva di doversi avvicinare, di doverla controllare, ma non riusciva a muovere un passo. I pochi metri che la separavano dalla grotta erano ricoperti di ossa.

Erano ossa di piccoli animali, probabilmente uccelli o roditori, ma non c’erano impronte che suggerissero la presenza di esseri umani o altri predatori. Dumbledore le aveva detto che Pettigrew era un animagus, ma se la sua forma animale era quella di un topo era da escludere che fosse lui il responsabile di quello scempio. Inoltre, come si era recato in forma umana alla pensione il giorno che vi aveva incontrato Bertha, avrebbe potuto procurarsi del cibo in forma meno… macabra.

Dora deglutì e, per la prima volta in giorni, impugnò la bacchetta. Non le importava più nulla dello statuto di segretezza, della sua copertura, della remota possibilità che la sua magia potesse essere tracciata laggiù… Si accorse di avere il palmo della mano sudato. Era un’Auror, certo, più che addestrata da anni a fronteggiare situazioni simili, eppure quella era la prima volta che si trovava faccia a faccia con la possibilità di essere aggredita da un mago oscuro.

Un passo alla volta, cercando di ignorare lo scricchiolio agghiacciante che proveniva da sotto le suole dei suoi anfibi, Dora si avvicinò all’imboccatura della caverna. La puzza di decomposizione che le arrivò al naso la fece gemere e, per un attimo, pensò che avrebbe vomitato.

Fu allora che vide i solchi nel terreno soffice della caverna, larghi e sinuosi. Sembravano quasi le linee lasciate da un serpente, ma nessun serpente europeo aveva delle dimensioni tali, a meno che, ovviamente, non fosse un ordinario serpente ma…

Un secco scricchiolio si fece sentire da qualche parte fuori, nel bosco, e per Tonks fu troppo. Strinse forte gli occhi e, con un sonoro schioppo, scomparve.

Si rimise in piedi a fatica, puntellandosi contro la corteccia ruvida di un pino e abbracciandosi il petto. Respirò forte dal naso, cercando di placare i battiti impazziti del suo cuore, sudore freddo che le colava lungo la schiena.

“Oh, miseriaccia…” esalò in un filo di voce.

Si era materializzata nello stesso boschetto a due passi dalla fermata delle corriere dove aveva lasciato Charlie dieci giorni prima. Da uno scorcio tra gli alberi poteva vedere le pensiline, bus, auto… persone. Era al sicuro, almeno per il momento, ma sapeva che, dopo quello che aveva visto, nulla sarebbe più stato lo stesso.
 

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Dora si strinse nella mantella viola che indossava sopra il caldo maglione a collo alto e abbassò gli occhi dal sole al tramonto nel limpido cielo scozzese all’orologio: erano le cinque in punto. Per una volta, era perfettamente in orario.

Aveva passato i suoi ultimi giorni in Romania a dormire, mangiare, e guardare affascinata il team di Charlie preparare quattro dragonesse e le loro covate per il lungo viaggio che le attendeva, verso l’Inghilterra. Scadute le sue due settimane di ferie era tornata a Londra con la Metropolvere, precedendo di un giorno il gruppo di dragonieri diretto a Hogwarts.

Chiedere di tornare a scuola senza un valido motivo sarebbe stato troppo sospetto, e scrivere era fuori discussione, così aveva chiesto a Charlie di riferire a Dumbledore che doveva parlargli il prima possibile. L’amico le aveva mandato una lunga lettera raccontandole di come stessero cercando di tenere i draghi nascosti nella Foresta Proibita e nel post scriptum aveva aggiunto solo: “Tea a Hogsmeade. Il 22 alle 5 davanti alla Stamberga Strillante”.

Tonks non aveva capito chi si sarebbe presentato all’appuntamento, se Charlie o il preside, ma aveva chiesto una sostituzione in ufficio ed era arrivata addirittura in anticipo, ansiosa di condividere quello che aveva scoperto. Continuava a guardarsi attorno nella speranza di vedere la figura rassicurante dell’anziano mago comparire da un momento all’altro, ma ancora non si vedeva nessuno.

Pestò con forza i piedi infreddoliti sul terreno biancastro, dove un velo di neve si era ghiacciato, e voltò le spalle al sentiero che portava verso il paese, appoggiandosi allo steccato di legno che delimitava l’area della Stamberga. Antiquata e sbilenca, incassata in quel quadro bianco e silenzioso, aveva l’aria piuttosto innocua, bucolica quasi, nonostante la sua nefasta nomea.

“Strano posto per un appuntamento” commentò a mezza voce.

“Lontano da occhi e orecchie indiscrete… e ho portato il tea!” rispose una voce divertita dietro di lei.

Non c’era stato nessun rumore di passi, nessuno schioppo da materializzazione; presa alla sprovvista, Dora si drizzò di colpo, girando allo stesso tempo su se stessa e finendo, inevitabilmente, con il sedere per terra. Per un istante si rifiutò di aprire gli occhi, cercando di decidere quale emozione provare: che c cosa, per tutti i goblin, ci faceva lui lì?

Un latrato simile ad una risata aveva accompagnato la sua caduta, e quando Tonks si decise infine a guardare trovò un grosso cane nero sdraiato a due passi da lei, con la coda che batteva ritmicamente a destra e sinistra, che la adocchiava con quella che, avrebbe potuto giurarci, era un’aria divertita.

“Perfetto, - mugugnò - perfino il cane mi trova goffa.”

“È colpa mia, non avrei dovuto sorprenderti in quel modo.”

Sorpresa era un eufemismo. Dora si costrinse a portare gli occhi sul viso gentile di Remus Lupin, che le sorrideva benevolo, e si tirò in piedi senza accettare la mano che lui le tendeva.

Perfetto, semplicemente perfetto.

 
 
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E’ davvero una sfida capire quanto il non-ancora-Ordine possa già aver capito e cosa no! Ora hanno fatto una piccola svolta ma senza riscontri effettivi, sono ancora all’oscuro dell’esistenza di Crouch Jr. e sono arrivati un po’ ad un punto morto quindi, per somma gioia di alcuni di voi immagino, la storia tornerà un po’ più romance e un po’ meno giallo. Come promesso ho fatto comparire Remus... e non è solo! ;)

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - 22 Novembre 1994 ***



Capitolo 13 – 22 Novembre 1994
 


Dora sbirciò da sopra la tazza di plastica in cui il suo tea fumante si stava raffreddando e vide Remus massaggiarsi le tempie. Aveva gli occhi chiusi, e la ragazza approfittò del momento per passarlo in rassegna da capo a piedi; indossava un maglione antracite dall’aria lisa e una giacca in tweed, i capelli erano scompigliati e la barba incolta. Era molto magro e sembrava decisamente più patito rispetto all’ultima volta che lo aveva visto, tre mesi prima…

Tre mesi. Erano davvero passati tre mesi dalla finale della Coppa del Mondo?

Era successo così tanto, nel frattempo, che Dora dovette fermarsi un istante a chiedersi che cosa provasse, nell’avere di nuovo Remus vicino. Non aveva avuto il tempo di stare a crogiolarsi nell’autocommiserazione, era andata avanti con la sua frenetica vita relegando la sua situazione sentimentale in secondo piano, ma ogni volta che aveva abbassato la guardia, che si era concessa di sentirsi sola, triste, o semplicemente stanca, Remus si era intrufolato nei suoi pensieri. 

Aveva smesso di cercare di dare una definizione a quello che provava ma, nel guardare il suo viso pallido e segnato, fu certa che l’interesse, l’attrazione e la fascinazione erano ancora lì, da qualche parte dentro di lei.

“Nymphadora?”

Tonks sobbalzò, imbarazzata, sbattendo un paio di volte gli occhi: “Sì, scusa, mi sono distratta. Stavi dicendo?”

“Ho solo chiesto se possiamo ripercorrere gli eventi con un po’ più di calma – rispose Remus - Mi hai raccontato così tante cose che ho bisogno di fare un po’ di ordine.”

Dora si schiarì la voce, cercando di tornare a concentrarsi. Poco prima aveva riversato su Remus tutta la storia e tutte le sue deduzioni come un fiume in piena, cercando più uno sfogo che un reale confronto: “Certo. Partendo dal principio, immagino tutto abbia avuto inizio quando Sirius Black è in qualche modo evaso da Azkaban l’estate dell’anno… - colpita da un pensiero improvviso, si interruppe – Hei, aspetta, tu eri con Sirius il mese scorso! Mia madre mi ha detto che vi siete visti! Dov’è ora, al sicuro? Ti ha mai detto come diavolo ha fatto a scappare da Azkaban? E da Hogwarts?”

Remus sorrise appena, alzando entrambe le mani: “Sirius sta bene, ed è al sicuro, ma il resto del racconto dovrà attendere. Ti prego, riprendi. Dicevamo che Sirius è evaso da Azkaban per recarsi a Hogwarts.”

Dora sospirò: “Sirius si reca a Hogwarts, non si sa come – lanciò un’occhiata torva a Remus, che continuò imperturbabile a sorridere, quindi continuò - e tutti pensano sia lì per Harry Potter. Ma in realtà il suo obbiettivo è Peter Pettigrew, nascosto a scuola nella sua forma di Animagus.”

“Poco prima della fine dell’anno scolastico, - continuò Remus - io ed Harry veniamo a conoscenza del tradimento di Peter e dell’innocenza di Sirius. Harry decide di risparmiare Peter in modo che possa ripulire il nome di Sirius ma Peter riesce a fuggire e, ormai senza altre vie d’uscita, tenta probabilmente di ricongiungersi con il suo padrone. Dalle tue investigazioni sembra che si sia diretto in Albania, dove ha vissuto per un certo tempo in una remota area della foresta in compagnia di un serpente di dimensioni sospette.”

Dora rabbrividì al ricordo della radura cosparsa di ossa e strinse più forte il suo tea: “Non siamo certi che fosse davvero Pettigrew, così come non possiamo essere certi che Tu-Sai-Chi fosse laggiù, ma i pezzi si incastrano fin troppo bene…”

Remus annuì: “L’elemento sorprendente di tutto ciò è che, ad un certo punto dell’estate, Pettigrew si imbatte in niente meno che una dipendente ministeriale. Bertha Jorkins era tre o quattro anni avanti a noi ad Hogwarts: pettegola, vendicativa e non troppo brillante… Potrei sbagliarmi, come all’epoca ci siamo tutti sbagliati su Peter, ma non mi sembra proprio il tipo da sostenere Voldemort per tredici anni in clandestinità come doppiogiochista all’interno del Ministero.”

Quello era un punto su cui anche Tonks si era arrovellata il cervello per giorni, senza riuscire a darsi una risposta soddisfacente: “Innocente fino a prova contraria – rispose stringendosi un poco nelle spalle – La mia ipotesi è che Pettigrew fosse allerta per la presenza di maghi nei dintorni e il fatto che abbia intercettato proprio Bertha sia stata una notevole botta di fortuna da parte sua perché è probabile che abbia saputo da lei sia della Coppa del Mondo che del Torneo Tremaghi.”  

“Verosimile, tenendo conto che il Marchio Nero è stato evocato alla finale e che Harry Potter è stato misteriosamente iscritto al torneo.”

“E non dimentichiamoci che Mad-Eye è stato aggredito subito prima di partire per Hogwarts – aggiunse stancamente Dora - Ora, Pettigrew potrebbe essere tornato in Inghilterra, aver evocato il Marchio Nero e pure aggredito Moody, ma è possibile che sia anche riuscito a tornare a scuola? Magari nello stesso modo in cui lo ha fatto Sirius? In cui entrambi sono scappati?”

Non aggiunse che c’era palesemente qualcosa che Remus sapeva e non lo stava dicendo, ma non ce ne fu bisogno. Remus abbassò gli occhi e scosse piano il capo, rigirandosi tra le mani il bicchiere di tea, il grosso cane nero sdraiato possessivamente davanti a lui, il muso appoggiato sui suoi piedi: “No, quella via è stata chiusa, Dumbledore se ne è occupato personalmente.”

Per qualche istante nessuno dei due aggiunse nulla. Dora continuò a guardarlo seria, in attesa di una spiegazione, Remus evitò il suo sguardo il più a lungo possibile, infine mormorò: “Non è un caso che ti abbia chiesto di incontrarci qui, c’è un passaggio segreto che collega la Stamberga al castello.”

Dora aggrottò le sopracciglia, stupita: “Davvero? E perché mai la scuola è collegata alla casa più infestata della Gran Bretagna?”

Remus e il cane produssero un suono soffocato, come uno sbuffo divertito, nello stesso identico istante e Dora alternò lo sguardo dall’uno all’altro, perplessa. Infine, Remus incontrò finalmente i suoi occhi e Tonks vi scorse un misto di sofferenza e divertimento: “Avanti, Nymphadora, una ragazza sveglia come te… non ti pare un po’ sospetto che gli spiriti visitassero la casa più infestata della Gran Bretagna solo una notte al mese, solo negli anni tra il 1971 e il 1978 e con una lunga vacanza durante i mesi estivi?”

Dora non rispose, vagamente consapevole di avere la bocca semi aperta e un’espressione inebetita: non aveva bisogno di mettere a frutto le sue dubbie abilità di calcolo per sapere che gli anni che Remus aveva citato non erano casuali.   

“Inizialmente qui non c’era che un capanno abbandonato, ma per permettermi di frequentare Hogwarts nonostante la mia… condizione – continuò Remus con tono piatto, la mascella serrata e le mani strette intorno al bicchiere - il preside fece costruire la Stamberga come la vedi ora e il tunnel che la collega alla scuola. James, Sirius e Peter non ci misero molto a capire il mio segreto, e vennero a conoscenza anche di questo posto. È così che Sirius è entrato al castello, così che Peter è scappato.”

Dora richiuse a fatica la bocca, profondamente turbata dalla scoperta: “Io… avevo sempre dato per scontato che tu fossi in infermeria quando… Non avrei mai immaginato che… Prendere un ragazzino di undici o dodici anni e chiuderlo in quel posto fatiscente completamente solo ad affrontare una cosa simile, è allucinante! Avrebbero dovuto tenerti a scuola, aiutare i tuoi compagni a capire che…”

Non ebbe modo di finire la frase. Remus scattò con un gesto fulmineo, la sua tazza cadde a terra mentre afferrava il polso della ragazza in una morsa ferrea, strattonandola in piedi.

Tonks perse l’equilibrio, sostenuta solo dalla presa dolorosa di Remus sul suo braccio, piegato in un angolo innaturale; il suo viso, a pochi centimetri da quello di lei, era completamente trasfigurato. Ogni traccia dell’uomo gentile e pacato che aveva imparato a conoscere ed apprezzare era scomparsa, sostituita da un’espressione irata, feroce quasi: “Smettila! Smettila con questa tua campagna anti discriminazione! Tu davi per scontato, tu non avresti mai immaginato… che cosa ti aspettavi? Cosa vuoi saperne di che cosa significhi essere un mannaro? La mia è una maledizione, una condanna, essere mannaro significa essere soli.”

Le aveva urlato addosso con violenza inaudita, gli occhi sfocati, e il polso sotto le sue dita faceva male. Si rese conto improvvisamente di avere paura. La mano destra si mosse istintivamente, pronta ad azionare il maccanismo che fissava la bacchetta all’interno della manica, poi tutto accadde in un istante. Con un basso ringhio, il cane si drizzò sulle zampe posteriori, afferrando con i denti il braccio di Lupin e spingendolo indietro.

L’uomo lasciò la presa e crollò a terra, prendendosi la testa tra le mani. Tonks barcollò, fuori asse, e cadde pesantemente a sua volta. Tutto, attorno a loro, era silenzio.  
Infine, il cane mugolò piano e si avvicinò alla sagoma rannicchiata di Remus, dandogli un colpetto alla spalla e strusciandogli il muso contro il collo. Remus fece passare un braccio attorno all’animale, apparentemente trovando conforto nella sua presenza calda e solida: “Merlino – esalò – perdonami, Nymphadora. Non ci sono scusanti per ciò che ho fatto, ma permettimi almeno di spiegare. È… gliel’avevo detto che era troppo rischioso, con la luna così vicina, è plenilunio stanotte e io…”

Dora tirò su con il naso, e si accorsa di avere gli occhi pieni di lacrime. Non avrebbe voluto altro che abbracciare Remus e tenerlo stretto, ma si limitò ad allungare un braccio, afferrandogli delicatamente le dita. Lui si ritrasse un poco, ma Tonks non lasciò la presa: “E’ tutto ok, Remus… tutto ok. Non è successo nulla, e sono io a dovermi scusare; non sarei dovuta andare sull’argomento.”

Lui scosse il capo, voltandole la mano per mostrare il punto in cui i lividi causati dai suoi polpastrelli stavano iniziando a comparirle sul polso: “E’ successo questo, e non è nulla – disse serio – E ti stai scusando di qualcosa per cui non hai colpa. Perché non puoi semplicemente accettare il fatto che sono così, che sono pericoloso, che il mio posto non è tra le persone, nella civiltà?”

“Perché non è vero! – protestò lei – Non sei pericoloso! Ok, lo sei quando ti trasformi, ma non quando sei… tu. Sei gentile, paziente, e buono. Non è colpa tua se sei come sei, non hai avuto scelta, ma scegli ogni giorno della tua vita di essere l’uomo che ho davanti e niente, niente, mi farà mai credere che tu sia qualcosa di diverso.”

Remus sospirò, quindi, lentamente, alzò la mano libera verso il viso di Dora. Le spostò una ciocca rosacea dietro l’orecchio e lei inclinò automaticamente la testa di lato, cercando di far aderire il viso al palmo della sua mano, agognando per più contatto. Cercò i suoi occhi e li vide nuovamente accesi, non più di rabbia o di dolore, ma di una fame ancestrale.

E fu di nuovo agosto, quella sera della Coppa del Mondo, quando erano stati così vicini, eppure non abbastanza. Nuovamente, un’ondata di vivido desiderio li percorse entrambi, ne era certa, era certa che non potesse essere l’unica a sentirsi così.

Rimase immobile, osando appena respirare, e Remus si sporse avanti, di appena qualche centimetro. Il ringhio sordo e minaccioso del cane si fece sentire nuovamente, e Remus si affrettò a lasciarla andare, portando la mano ad accarezzare la grossa testa dell’animale, che subito si tranquillizzò.

Dora abbassò gli occhi e si morse con forza il labbro inferiore, costringendosi a riprendere il controllo. Dopo qualche istante si schiarì la voce e accennò al cane con il capo: “Lui… capisce?”

Remus annuì, alternando lo sguardo tra lei e l’animale: “Più di quanto immagini. Quando mi trasformo può tenermi compagnia perché il lupo mannaro è pericoloso solo per gli esseri umani e nelle transizioni, subito prima e subito dopo il plenilunio, tiene a controllo i miei … istinti.”

Tonks, suo malgrado, sorrise: “Sembra proprio un buon amico. Come si chiama?”

“Chi?”

“Il cane.”

“Ah… - Remus esitò un istante prima di rispondere – Snuffles.[1]

Per un attimo, a Dora sembrò quasi che il cane rifilasse all’uomo un’occhiataccia, ma subito il suo amore per gli animali prese il sopravvento: “Snuffles! Hei, Snuffles – disse allungando una mano - Vieni qui, piccolo, vieni a farti fare un po’ di coccole da zia Tonks!”

Questa volta successe davvero, il cane guardò Remus per un istante con un sogghigno sornione prima di scodinzolare e rovesciarsi pancia all’aria ai piedi della ragazza, che prese a grattargli entusiasta la pancia.

Remus incrociò le braccia, scuotendo il capo: “Ma tu guarda che sfacciato …” mormorò mentre il cane andava a leccare affettuosamente una guancia a Dora.

“Hei, gli piaccio!” esclamò lei, ridendo.

“Chissà perché ci avrei scommesso …” commentò Remus, con l’ombra di un sorriso.

Per qualche attimo rimasero lì, seduti per terra, senza davvero guardarsi, infine Tonks distolse l’attenzione dal cane per riportarla sull’uomo: “Quindi abbiamo un complice dentro Hogwarts?”

Remus sospirò: “E’ quello che temo ma, francamente, l’opzione migliore che abbiamo perché l’alternativa è una breccia clamorosa nella sicurezza della scuola se qualcuno è riuscito ad entrare dall’esterno.”

“Idee?” chiese Dora.

Remus si strinse nelle spalle sottili: “Non voglio certo mettermi a fare nomi senza uno straccio di prove, ma da quello che so non è un caso che Dumbledore abbia voluto a Hogwarts Alastor…”

“L’Auror che ha catturato Igor Karkaroff alla fine della guerra – concluse Dora per lui – Ha senso. Era alla Coppa del Mondo?”

“Non saprei. Perché?”

Dora esitò, ma aveva già rivelato a Remus tutte le sue teorie senza essere giudicata, poteva permettersi di condividere anche questa idea, per quanto poco plausibile: “So che è azzardato, ma abbiamo continuato a dire che le vere coincidenze sono rare e l’unica persona che era sicuramente presente e coinvolta in prima persona sia nella Coppa del Mondo che nel Torneo è Bartemius Crouch e…”

Remus la interruppe scuotendo con forza il capo: “No, Nymphadora, – disse piano – ricordo bene quando suo figlio è stato arrestato come Mangiamorte, è stato uno scandalo di proporzioni enormi. È stato Crouch a mandare ad Azkaban il suo stesso figlio, è impossibile che simpatizzi con la causa.”

“Meglio così, allora – commentò Dora – una persona in meno di cui preoccuparsi. La prima prova è alle porte e vedremo se si smuoverà qualcosa. Spero davvero che nessuno si faccia male, sarà fin troppo facile tentare di far succedere un incidente.”

“Sai in che cosa consiste la prima prova?” chiese Remus, interessato.

“Draghi, – sorrise Tonks – ogni campione dovrà affrontarne uno. So da Charlie Weasley che hanno voluto madri in cova, non chiedermi perché.”

“Draghi… - ripeté pensieroso Remus – non scherzano. Tu ci andrai?”

“No, non hanno chiesto Auror per la sicurezza – rispose lei - ci saranno solo un paio di miei colleghi a scortare Crouch e Bagman, ma non è competenza del mio dipartimento.”

Detenuti e ricercati, giusto? Come va la caccia a Sirius?”

“A gonfie vele, siamo praticamente certi che sia in Sud America! - Dora strizzò un occhio a Remus e rise quando Snuffles abbaiò il suo assenso – Vedi, è d’accordo anche lui! È proprio intelligente, eh!”

“Dipende dai punti di vista… - rispose Remus sorridendo, quindi alzò gli occhi al cielo che si stava scurendo e si alzò, spazzolando i calzoni – È quasi il tramonto, farei meglio ad andare.”

Immediatamente, il cane si alzò a sua volta, posizionandosi al suo fianco. Dora attese per un attimo che Remus le tendesse una mano per aiutarla a rialzarsi, ma quando vide che lui si teneva a distanza si tirò in piedi da sola.

“Parlerò con Dumbledore – disse Remus – e ti farò sapere se ci sono novità.”

“Come fai?”

“Come faccio cosa?” chiese Remus, sorpreso.

“A parlare con Dumbledore! Vai a Hogwarts? Gli scrivi? A me ha impedito di fare entrambe le cose.”

“No, abbiamo tutti le tue stesse restrizioni – rispose lui – Abbiamo un canale diverso, un canale sicuro. Gli chiederò se posso insegnarti, se vuoi.”

“Grazie - annuì Tonks – E grazie per il tea, e per la chiacchierata. Sono contenta di averti rivisto.”

“Anche io, è stato un piacere. A presto, Nymphadora.”

Con un crack! uomo e cane scomparvero, lasciando Dora sola con i suoi pensieri. Possibile che un’ora in compagnia di Remus l’avesse esausta più di sue settimane a scarpinare su e giù per l’Albania o un mese di paper-work in ufficio?

Un fiocco di neve scelse quel preciso istante per scendere piano a posarsi sul suo naso e la ragazza lo raccolse con la lingua, chiedendosi improvvisamente se lo avrebbe rivisto prima di Natale.


 
 
[1] In italiano è tradotto con “Tartufo” ma si perde un gioco di parole bellissimo perché in inglese Snuffles è sia una marca di teddy bear che il nome di un personaggio dei cartoni animati (un po’ come Braccobaldo). Snuffle al singolare ha a che vedere con il respirare dal naso o con l’annusare degli animali, da cui il richiamo al tartufo/naso dei cani.     

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 - 22 e 23 Dicembre 1994 ***




Capitolo 14 – 22 e 23 Dicembre 1994

 
“Quindici galeoni, non ci posso credere! Non riesco a capire come questo negozio riesca a stare aperto!” esclamò ad alta voce Rachel, sbattendosi alle spalle la porta di Twilfitt & Tattings e facendo squillare i campanellini che vi erano appesi.

“Probabilmente perché tutti i purosangue con la puzza sotto il naso ci spendono dei capitali?” chiese ironica Tonks, cercando di non soccombere sotto il peso di tutti i sacchetti e pacchetti che aveva tra le braccia.

“Probabilmente, sì – annuì l’amica, stracarica a sua volta, tornando ad immergersi nel caos di Diagon Alley – Vieni, proviamo da Madam Malkin’s. Mia madre si è fissata che vuole un paio di guanti di pelle di camaleonte che si abbinino con tutti i suoi cappotti e se non li trovo non so che altro prenderle! A te che cosa manca?”

Dora passò mentalmente in rassegna la lista di regali che aveva tra le braccia: una confezione di tisane e una teiera di Rosa Lee Teabag per sua madre, un nuovo set da scrittura per suo padre, del lucido per scopa per Charlie, una bottiglia di liquore per Mad-Eye e un nuovo telescopio per Kingsley, visto che quello che l’amico le aveva prestato era andato incontro ad un disastroso incidente.

Il regalo per Rachel e Mark, un weekend in Grecia a visitare un’oasi di Ninfe, era già stato comprato a TerrorTours la settimana precedente e attendeva sotto l’albero. Il che le lasciava…

“Devo passare al Serraglio Stregato e poi prenderò anch’io una cosina da Madam Malkin’s.”

Rachel le rifilò un’occhiata di sbieco, zigzagando tra la gente senza fatica, nonostante i tacchi alti: “Per chi?”

Tonks sospirò, sapendo bene che la domanda era inevitabile: “Un amico a quattro zampe, e uno a due…”

Rachel si fermò così bruscamente da creare un attimo di panico e ingorgo nella via affollata, e Tonks si affrettò a spingerla da parte per evitare una scenata.

“E’ lui, vero? L’hai rivisto e non mi hai detto nulla! Tonks sei pessima!” urlò infatti l’amica.

“Non ti ho detto nulla perché non c’è nulla da dire – si affrettò a spiegare la ragazza – l’ho solo incrociato mentre era in giro con il suo cane e ho pensato di prendergli un pensiero per Natale.”

Rachel la squadrò per un istante prima di alzare gli occhi al cielo: “Sei veramente cotta, eh? Da quant’è che va avanti questa storia? Quattro mesi? Non ti ci è mai voluto così tanto per ricevere le attenzioni di un uomo o per cambiare aria.”

Tonks si sentì arrossire e si affrettò a seguirla verso il negozio di animali: “Non farmi sentire una che passa la vita a correre dietro agli uomini, Rachel, lo sai che non è così! È solo che non ho avuto molta fortuna fino ad ora, e lui è… è speciale.”

“Speciale – ripeté Rachel, un sopracciglio arricciato, entrando nel Serraglio Stregato per poi lasciarsi cadere pesantemente su una delle poltroncine nell’ingresso, tutti i pacchetti in grembo – Perché?”

Dora prese tempo, iniziando a passare in rassegna i collari appesi in un espositore poco lontano: “L’ho incontrato poche volte, a dire la verità, ma non riesco a fare a meno di continuare a pensare a lui, vorresti conoscerlo, capirlo, essere… essere parte della sua vita?”

“Ok, Tonks, – rispose paziente Rachel, tamburellando a terra con un piede – ma perchè? Che cos’ha di così speciale? È bello?”

Dora sorrise, abbassando gli occhi: “Non da far girare delle teste per strada, non direi, ma ha il suo fascino. È molto alto, un po’ allampanato, castano e con gli occhi gentili, è una presenza rassicurante e… ha carisma, ecco. È un uomo, Rachel, non un ragazzo, un uomo, ha più di trent’anni.”

“Solo perché tu hai avuto a che fare con una serie di idioti negli ultimi anni ti assicuro che l’età non è un fattore discriminante – intervenne l’amica con un mezzo sorriso, per poi aggiungere – Da come lo descrivi non sembra uno dei tuoi soliti soggetti con l’ego di un erumpent.”

“Credevo gli erumpent fossero famosi per il corno, non per l’ego…– rispose Dora, evitando di ribattere al poco lusinghiero commento dell’amica – Il punto è che vorrei terribilmente averlo accanto, per prendermi cura di lui e per essere stretta quando tutto va a rotoli, per condividere cose piccole come un caffè o una passeggiata, o andare incontro a chissà quale nuova avventura.”

Afferrò dall’espositore un collare in pelle nera con delle piccole rune argentate e si avviò a pagare, grata che la fila fosse abbastanza corta. Quando tornò sui suoi passi, il nuovo pacchetto aggiunto agli altri, Rachel stava sorridendo: “Congratulazioni, Nymphadora Tonks – le disse saltando in piedi – ti sei ufficialmente innamorata!”

Tenendo aperta la porta con un piede, le fece cenno di precederla fuori: “Vieni, andiamo a cercare un regalo per il tuo uomo … non hai intenzione di dirmi come si chiama, vero?”

Dora esitò, incamminandosi accanto all’amica, consapevole che non sarebbe tornata indietro da quel passo: “Remus” esalò infine.

“Carino! - commentò Rachel, che fortunatamente venne distratta dalla vetrina di Madam Malkin’s prima che le venisse in mente qualcosa da aggiungere - Forza, finiamo le compere e andiamo a berci una cioccolata bollente!”

*~¤~*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*
 
Il Natale era l’unico periodo dell’anno in cui Dora soffriva mortalmente il fatto di vivere da sola. Come sempre, si era sforzata di addobbare il suo appartamento con delle luminarie e un bell’albero in salotto, ma la malinconia continuava ad afferrarla ogni volta che apriva la porta di casa.

Quest’anno sarebbe stato anche peggio del solito. I suoi genitori, che si erano sposati nel periodo delle vacanze invernali, avrebbero festeggiato i venticinque anni di matrimonio e avevano deciso di regalarsi una settimana di vacanza in qualche isola tropicale per l’occasione. Dora li aveva rassicurati, dicendo loro che sarebbe stata a posto, che avrebbe trascorso il Natale con Kingsley, o Mad-Eye, o Rachel o i Weasley… e, naturalmente, nessuno dei suoi piani era andato a buon fine.

Shacklebolt avrebbe passato le feste a casa della sua ultima fiamma, Moody sarebbe rimasto a Hogwarts, Bill e i suoi genitori sarebbero andati in Romania da Charlie e l’ultima cosa che Dora voleva era passare il Natale a fare il terzo incomodo con Rachel e Mark.

Quando aveva saputo che le Weird Sisters avrebbero suonato a Hogwarts la notte della Vigilia aveva tentato in tutti i modi di farsi assegnare alla sicurezza, ma anche quel tentativo era fallito miseramente. Le rimaneva dunque la squallida prospettiva di un Natale da sola.

Si lasciò cadere a terra e si costrinse ad appoggiare ogni pacchetto con cura sotto l’albero; la mattina del 25 si sarebbero magicamente trasportati a casa dei destinatari. Per ultimo, le rimase tra le mani il morbido pacchetto che conteneva il regalo di Remus. Dopo quasi un’ora nel negozio di Madam Malkin, Tonks aveva deciso di essere poco originale e aveva comprato una bella sciarpa grigia, abbinata ad un paio di guanti.

Mentre si rigirava il pacchetto tra le mani si ritrovò a chiedersi se anche Remus avrebbe passato il Natale con solamente Snuffles a fargli compagnia. Magari avrebbe potuto scrivergli, proporgli un pranzo tra persone tristi e sole…

In quel momento, con un basso verso di avvertimento, un gufo planò nella stanza, posandole una lettera in grembo. Tonks aprì il sigillo e gli occhi le corsero immediatamente al nome del mittente.

Non era possibile: accanto alla sbavata impronta di un cane, il nome di Remus faceva capolino in chiare lettere. La ragazza si lasciò cadere all’indietro, sdraiata sul tappeto morbido, e alzò entrambe le braccia tenendo la lettera davanti al viso.

Cara Nymphadora,
ti scrivo per informarti che ho ottenuto il permesso per la cosa di cui parlavamo l’ultima volta che ci siamo visti; se sei ancora interessata possiamo iniziare quando vuoi. Se hai del tempo libero durante le vacanze fammi sapere e ci possiamo organizzare. Snuffles manda i suoi saluti.
Remus

Un sorriso gigantesco fece capolino sul viso della ragazza, che schizzò in piedi, annaspando alla ricerca di pergamena e calamaio. In pochi istanti aveva stilato una breve risposta, dicendogli che sarebbe stata da sola fino a capodanno e che sperava di vederli entrambi al più presto.

Fu nel bel mezzo della festa di Natale dell’ufficio Auror, l’indomani, che Tonks ricevette la breve nota:

Passo a prenderti stasera alle 19, se ti va puoi stare con me e Snuffles fino alla fine dell’anno, ci farebbe piacere avere un po’ di compagnia.
R.

Era così esaltata dalla proposta, che Kingsley dovette ripeterle gli auguri almeno tre volte prima che la ragazza capisse che ce l’aveva con lei.

“Vedi di riposarti un po’, Tonks, – le disse il mago stringendola in un abbraccio affettuoso – riempirti di dolci e non pensare troppo a complotti per distruggere il mondo. È Natale, dopo tutto…”

Già, Natale, si ritrovò a pensare la ragazza, uscendo dal Ministero poco dopo per avviarsi tra le strade babbane di Londra, e la vita non le era mai sembrata tanto vibrante.
 
*~¤~*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*

Mancavano pochi minuti alle 19 quando Dora si guardò un’ultima volta nello specchio dell’ingresso. Come sempre quando era nervosa aveva optato per i suoi vestiti preferiti e indossava un paio di caldi leggins neri, una tunica viola che le arriva alle ginocchia, i vecchi anfibi sgualciti e una mantella scura con cappuccio. I capelli erano corti e rosa scuro, il viso pulito, senza trucco. In una borsa aveva infilato tutto ciò che credeva potesse servirle per passare qualche giorno fuori casa. Era pronta ad andare.

Scese le scale lentamente, costringendosi a respirare con calma, ma si trovò ad uscire in strada in preda ad una grande trepidazione. Remus era già lì, le mani sprofondate nelle tasche di una giacca un po’ stinta e un sorriso genuino sul viso pallido.

“Ciao” mormorò Tonks, improvvisamente a disagio. Si chiese per un istante cosa diavolo stesse facendo, andando a passare una settimana a casa di un quasi estraneo, poi si ripeté che c’era Dumbledore dietro a tutto questo, e si diede dell’idiota.

“Ciao, – rispose Remus, passandola in rassegna per un attimo con sguardo indecifrabile, quindi le accennò con il capo il vicolo a fondo chiuso che costeggiava il palazzo di Tonks – pronta?”

Lei annuì e lo precedette oltre l’angolo, assicurandosi che non ci fossero occhi indiscreti. Gli tese la mano guantata e si smaterializzarono. Quando Dora tornò ad aprire gli occhi, si ritrovò in un piccolo quadrato di erba incolta nel mezzo di una piazzetta deserta. Le case tutto attorno non avevano nulla di accogliente, alcune avevano finestre rotte, l’intonaco era in gran parte scrostato e sui gradini davanti alle porte riposavano cumuli di sacchi della spazzatura.

Tonks si irrigidì, immediatamente all’erta. Se chiunque altro l’avesse portata lì avrebbe pensato ad una trappola, ma non con Remus. Ciò nonostante, qualcosa non le tornava: “Dove siamo? Mi avevi detto che abitavi nello Yorkshire.”

“E’ così – rispose Remus, posandole una mano su un braccio con fare rassicurante – Questa è casa di Snuffles, staremo qui per le vacanze. Oh, e qui è Londra, naturalmente.”

Perplessa, Dora aprì la bocca per ribattere ma Remus la guidò fermamente attraverso la strada, mormorando solo: “Tutto ti sarà perfettamente chiaro tra un istante.”

La ragazza lo seguì fino al marciapiede di fronte, dove l’uomo si fermò davanti alla recinzione che separava il civico 11 dal 13. Si guardò rapidamente intorno, quindi estrasse la bacchetta e mormorò un paio di parole. Improvvisamente, le pareti iniziarono a scorrere, comparve una porta, delle finestre, finché un’intera casa fece capolino.

Dora era ancora frastornata, la bocca lievemente aperta, quando Remus la prese per un gomito, spingendola su dai gradini. Sfiorò la porta con la punta della bacchetta e una serie di scricchiolii e rumori metallici, come di ingranaggi, si fecero sentire. Infine, la porta si aprì.

“Entra, presto – le sussurrò Remus, indicandole il fitto buio al di là della soglia – e non toccare niente.”

Deglutendo forzatamente, la ragazza mosse qualche passo all’interno, avvertendo la moquette sotto i piedi e un odore pungente di muffa, chiuso e polvere, arrivarle al naso. Alle sue spalle udì il rumore secco della porta che si chiudeva e un istante dopo, nel buio più totale, Remus la urtò.

All’improvviso contatto con il suo corpo, così vicino nello spazio angusto dell’ingresso, Dora sobbalzò. Sentì il piede destro inciampare in qualcosa di grosso e pesante, e perse l’equilibrio. Cadde scompostamente sul pavimento, e la cosa che aveva urtato cadde con lei, schiantandosi con un gran fracasso.

“Nymphadora!” esclamò Remus.

“Mi dispiace!” urlò al tempo stesso lei.

Ma entrambe le loro voci vennero coperte da un grido agghiacciante, come di una donna torturata e in preda a grandissimo dolore. Dora annaspò a terra, alla ricerca della bacchetta che le era caduta di mano, e improvvisamente l’abbaiare di un cane si unì al frastuono infernale.

“TUUUUU! – urlò allora la voce di donna – TRADITORE, FEDIFRAGO, COME OSI TORNARE NELLA CASA DEI TUOI PADRI, DISONORANDOLA CON LA TUA PRESENZA E INTRODUCENDOVI INTRUSI INDEGNI!”

La voce urlava, Remus cercava di urlare ancora più forte, Snuffles abbaiava e Tonks esclamò: “Ma per la barba di Merlino, perché siamo tutti al buio?”

Aveva finalmente trovato la bacchetta e si alzò, piazzando una mano sul fianco e scandendo: “Lumos!”

La scena che le si presentò davanti agli occhi era a dir poco tragicomica. Remus era aggrappato a pesanti tende di velluto scuro, tentando con tutte le sue forze di chiuderle. Contornato dalle tende era l’orrendo dipinto a grandezza naturale di una donna che sembrava posseduta, che urlava a più non posso scagliandosi contro la cornice. Snuffles era ritto sulle zampe posteriori, le anteriori poggiate al quadro, e abbaiava insistentemente.

“Vuoi farla finita anche tu e darmi una mano?” esclamò Remus, spazientito, e Dora impiegò un istante a capire che non ce l’aveva con lei, ma con il cane.

Si rimangiò la domanda che le stava nascendo e si avvicinò al muro: “Ti aiuto io, cosa dobbiamo fare?”

“Chiudere. Le. Tende.” Sillabò Remus, boccheggiando per lo sforzo. La ragazza si slanciò con tutto il suo peso contro il velluto e i due riuscirono a chiudere il tendaggio. Subito il dipinto tacque.

Anche Snuffles smise di abbaiare e si rotolò pancia all’aria ai piedi di Tonks che si abbassò automaticamente a grattarlo con un sorriso. Remus rimase in piedi, incombendo sui due con un’aria tutt’altro che divertita.

“Tutto questo è ridicolo, – disse stancamente – e tu stai iniziando a diventare imbarazzante. Datti un contegno e torna in te. E questa volta ti sarei grato se potessi evitare di dimenticarti i vestiti!”

Dora alternò lo sguardo tra i due con aria perplessa, ma prima che potesse dire qualcosa, Snuffles iniziò ad allargarsi, e alzarsi, mutando forma fino a rivelare la figura allampanata di un uomo, con lunghi capelli scuri, pantaloni e panciotto neri e una camicia violacea.

La ragazza aveva assistito a troppe lezioni della professoressa McGonagall per non capire immediatamente che cosa stesse accadendo, ma l’incredulità nella sua voce era reale quando esalò piano: “Sirius?”

Subito, gli occhi vispi dell’uomo si posarono su di lei: “E’ sempre un piacere vederti, Nymphadora!”

“E’ Tonks!” ribatté lei automaticamente.

“Oh, avanti, lasci che lui ti chiami Nymphadora!” sogghignò Sirius, accennando a Remus con il capo.

“Non è vero!”

“Si che è vero! – ribatté Sirius sornione – L’ho sentito farlo più volte. Ero lì, ricordi?”

Dora realizzò improvvisamente che Sirius era stato lì, ad Hogsmeade, quando…

Si sentì arrossire e annaspò alla ricerca di qualcosa da dire ma venne salvata da Remus, che sospirò pesantemente, alzando gli occhi al soffitto: “Ridicolo, la prima volta che vi ritrovate faccia a faccia in una stanza dopo quindici anni e questa è la vostra prima conversazione… assolutamente ridicolo. La cena sarà in tavola tra poco.”

E detto questo percorse a passo di marcia il corridoio, sparendo giù dalle scale. Dora e Sirius lo guardarono andare per poi ruotare il capo l’uno verso l’altra, e scoppiare a ridere.


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Ammetterò di essermi divertita un sacco nell'andare a spulciare tutti i negozi di Diagon Alley per decidere cosa far comprare a Tonks come regali di Natale! Ho sempre l'impressione che JK abbia creato un mondo davvero immenso di cui purtroppo a volte si coglie solo la superficie e adoro avere la possibilità di esplorare un po' ambiti diversi, dal Ministero, ai cibi, allo shopping, anche a costo magari di rallentare un po' la trama. La grossa domanda con cui vi lascio ora è... come si rivelerà la convivenza dei nostri tre eroi a Grimmauld Place? Se invece vi state chiedendo che cosa diavolo ci fa Sirius a Grimmauld Place a metà del Calice di Fuoco don't worry ... arriverà una spiegazione a breve!

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 - 23 e 24 Dicembre 1994 ***



Capitolo 15 – 23 e 24 Dicembre 1994
 
 
Per qualche istante, Dora e Sirius continuarono a ridacchiare sommessamente; infine, l’uomo accennò con il capo alla fine del corridoio. La ragazza lo seguì, bene attenta a dove metteva i piedi, giù da una rampa di scale fino ad un vasto seminterrato, dove trovarono Remus indaffarato ai fornelli e un’estremità di un lungo tavolo già apparecchiata per tre.

Dora prese posto, lasciando libera la sedia a capotavola per Sirius, che vi si lasciò cadere posando davanti a sé cinque o sei bottiglie di burrobirra. Se ne portò una alla bocca, cercando di togliere il tappo con i denti, ma subito Remus si fiondò su di lui, mettendogli in mano un apri bottiglie: “Potresti fare almeno un piccolo sforzo per tornare alla civiltà” lo sgridò bonariamente.

Sirius sogghignò, sedendosi più composto e aprendo la bottiglia per poi porgerla verso il bicchiere di Tonks con un gesto galante: “Desidera un poco di codesta squisita libagione, madame?”

Lei annuì, divertita: “La gradirei molto, grazie!”

Sirius gliela versò per poi alzarsi ed esibirsi in un inchino aggraziato: “Contento ora, Moony?”

“Estremamente soddisfatto! Grazie, Padfoot!” rispose Remus con un piccolo sorriso.

“Moony, Padfoot?” chiese Tonks, curiosa, alternando lo sguardo dall’uno all’altro.

“Vecchi soprannomi, sai – Sirius si strinse nelle spalle – Lui è un lupo, io un cane…”

“Pettigrew un topo – lo interruppe rapida lei, facendo subito il collegamento – Vuoi dire che eravate tutti animagi?”

“Warmtail e… e Prongs, sì – continuò Sirius con un’improvvisa tristezza negli occhi – Beh, tutti tranne Remus, ovviamente. Come ben sai, i dormitori di Hogwarts sono il posto con meno privacy sulla faccia del pianeta e non ci è voluto molto per notare che tutti i mesi Remus cambiava carattere per un paio di giorni, sparisse misteriosamente al tramonto per poi ricomparire distrutto a pranzo del giorno dopo.”

Dora rimase in ascolto, Remus continuava ostinatamente a dare loro le spalle, girando di tanto in tanto il contenuto di una grossa pentola sul fuoco.

“Abbiamo scoperto il suo segreto, e abbiamo deciso che gli avremmo tenuto compagnia. Non potevamo farlo in forma umana, così abbiamo deciso di diventare animagi. Ci è voluto un po’, ma ne è decisamente valsa la pena.”

Le strizzò un occhio e Dora annuì lentamente: “E’ straordinario, non solo quello che siete riusciti a fare così giovani, ma il perché… - incrociò finalmente lo sguardo di Remus, che si era avvicinato per posare la pentola sul tavolo – Non eri solo.”

Remus posò una mano sulla spalla di Sirius, sedendosi al suo fianco, di fronte a Tonks: “Mai – rispose – non fino a quando Peter ha tradito.”

Tra una forchettata e l’altra, i due uomini si alternarono nel raccontare a Tonks tutto ciò che la ragazza non aveva ancora saputo, o intuito, senza più tralasciare dettagli.

“… e così Remus mi ha accompagnato da tua madre, ho recuperato le mie cose e mi sono rintanato da lui nello Yorkshire, standomene buono per un po’ come Dumbledore mi aveva detto, e attendendo novità.”

Sirius concluse la storia, per poi lasciarsi andare contro la spalliera della sedia e allungare le lunghe gambe sotto il tavolo, le mani incrociate in grembo.

“E che cosa ci fate ora in questo posto agghiacciante?” chiese Tonks guardandosi attorno.

I due si cambiarono uno sguardo e Remus iniziò, cauto: “Stiamo facendo un esperimento per conto del Preside.”

“Un esperimento?” chiese scettica Dora.

Remus annuì: “Abbiamo bisogno di un luogo assolutamente sicuro, un posto in cui poter parlare senza timore di essere ascoltati, un luogo in cui incontrarsi senza dover inventare scuse plausibili, un luogo dove nascondere Sirius... e la famiglia che abitava qui era talmente paranoica da aver ricoperto la casa di incantesimi protettivi. Uno di questi comportava un sigillo, che l’aveva resa inaccessibile alla morte dell’ultimo proprietario; Dumbledore sospettava che potesse venire aperto con il sacrificio del sangue di un erede diretto e…”

La voce di Remus scemò in un sussurro e Tonks ebbe il presentimento di capire che cosa intendesse. Ruotò lentamente il capo verso Sirius, che si limitò a sogghignare, come suo solito: “Ho evitato questo posto come la peste da quando ho compiuto undici anni, e qui mi ritrovo due decenni dopo a fare l’uovo! Certo che il destino è davvero un gran bastardo…”   

“Questa è casa tua? - mormorò Dora – Quindi l’adorabile signora nell’ingresso è la famosa zia Walburga?”

“Come hai fatto ad indovinare?” chiese Sirius, rovesciando la testa all’indietro e scoppiando a ridere.

A quel punto, Remus si alzò, guardandoli entrambi con aria benevola: “Immagino abbiate un sacco di cose da dirvi, vi lascio soli. Lasciate pure i piatti, li lavo domattina. Ah e, Sirius, ho sistemato la singola del terzo piano per Nymphadora, noi dovremo dividere.”

“Tienimi il letto caldo, Moony!” ammiccò Sirius.

“Non è necessario che tu vada” provò a protestare Dora, ma Remus scosse il capo: “Invece credo proprio di sì. Buonanotte Sirius, buonanotte Nymphadora.”

“Remus, ti prego, – sbuffò la ragazza – è Tonks. Davvero, odio essere chiamata Nymphadora.”

“Avanti, lo sai anche tu che non è affatto vero.”

“Come no? – chiese la ragazza, sorpresa – Ti assicuro che…”

“Sorridi, quando ti chiamo Nymphadora, e il tuo sorriso è bellissimo. Quindi continuerò a chiamarti così.”

Remus la stava guardando dritto in viso, e Tonks sentì un groviglio caldo di emozioni nel petto; aprì e richiuse la bocca un paio di volte cercando qualcosa da dire, forse per contraddirlo di nuovo, forse per minimizzare con una battuta, ma fu la domanda che aveva bruciante sulla lingua a fare capolino: “Stai flirtando con me, Mr. Lupin?”

“Forse – rispose lui con un sorriso enigmatico – Attenta alla burrobirra, Nymphadora.”

E con queste parole si chiuse la porta alle spalle.

Dora raddrizzò la bottiglia, che minacciava di rovesciarsi sul pavimento, e si voltò a guardare Sirius, che sembrava stranamente compiaciuto: “Stava flirtando con me?”

“Così parrebbe, – rispose lui, aprendo un’altra bottiglia - e su una cosa di sicuro ha ragione.”

“Cosa?”

“Ti ha appena chiamata Nymphadora… e hai sorriso.”

Dora soffocò un mugolio disperato e chinò la testa, appoggiando la fronte contro il legno del tavolo e chiudendo gli occhi: “E’ così evidente?” chiese sconsolata.

“Cosa? Che riuscite a malapena a togliervi gli occhi di dosso?”

“Davvero?” chiese Tonks, animata da una nuova speranza, tornando a guardare il cugino.

“Stai cercando di dirmi che avevi ancora dubbi dopo il siparietto ad Hogsmeade? – chiese Sirius, che si stava palesemente divertendo un mondo – Non credo di averlo mai visto in quello stato, almeno non dopo il boom ormonale dei quattordici anni…”

Dora posò il mento sulle mani, arricciando il naso: “Non lo so, se davvero gli piaccio perché non prende un’iniziativa? Quelle parole poco fa sono il primo segno di interesse che mi dimostra in mesi!”

“Forse in modo così esplicito, ma credo che per i suoi standard ti abbia già dato segni a sufficienza per una vita intera! - sbuffò Sirius – È di Remus che stiamo parlando, non è esattamente un maestro di seduzione. Devi avere un pochino di pazienza, non credo che abbia avuto altre donne dopo…”

Si interruppe di colpo e Tonks sospirò: “Vai avanti. Ha quasi trentacinque anni, Sirius, non mi aspettavo certo di essere la prima.”

Sirius cacciò giù un sorso abbondante di burrobirra e scosse il capo: “Non ci sarebbe da stupirsi troppo se lo fossi, Tonks, la sua condizione è davvero complessa tanto a livello fisico quanto mentale. Durante il nostro ultimo anno a Hogwarts aveva iniziato ad uscire con una ragazza, ma lei non sapeva nulla e quando infine lui glielo ha detto hanno litigato pesantemente. Credo che Dorcas fosse in realtà più arrabbiata per il fatto che Remus non si fosse fidato di lei piuttosto che della cosa in sé; forse si sarebbero chiariti, forse lei lo avrebbe accettato, ma poi è stata uccisa e…”

Dora rabbrividì, intuendo fin troppo bene in quali circostanze la ragazza fosse morta. Si chiese per un istante se Dorcas fosse una delle anonime facce della fotografia che Mad-Eye le aveva mostrato nel suo cottage sulle Highlands, mesi prima, quando tutta quella storia era ancora ben lontana da lei: “Sono passati quindici anni, Sirius – mormorò – Credi davvero che sia stato da solo per tutto quel tempo?”

L’uomo si strinse nelle spalle: “Ci sono state persone che gli hanno voluto bene nonostante la sua licantropia, che hanno provato a dimostrargli che non era un mostro: i suoi genitori, noi Dumbledore e la McGonagall, l’Ordine… ma poi tutto è andato a rotoli. Abbiamo iniziato a credere di avere un traditore tra le nostre fila quando Fabian e Gideon Prewett sono stati uccisi, e sapevamo che Voldemort aveva reclutato numerosi licantropi... Non so come io abbia potuto farlo, ma ho iniziato a dubitare di lui, ad allontanarlo, e Lily e James avevano il piccolo Harry a cui badare, così lui ha deciso di aprirsi con Dorcas, e lei ha reagito come ha reagito. Da quel momento in poi si è offerto volontario per tutte le missioni più pericolose dell’Ordine, e non l’ho più visto.”

Sirius aveva le mani strette sul tavolo, le nocche bianche, i capelli lunghi che gli nascondevano il viso. Dora non poté fare altro che tacere.

“Quando James e Lily sono morti, - riprese Sirius con un filo di voce - quando ho capito, ho fatto l’ennesimo errore. Avrei dovuto chiamarlo, avremmo dovuto cercare Peter insieme, e fare giustizia. Ma mi sono fatto prendere dalla foga, e ho condannato entrambi a più di un decennio di inutile dolore.”

Cautamente, Tonks gli posò una mano sul braccio, stringendo piano: “Non fartene una colpa, Sirius. È successo quello è successo e tutti hanno commesso sbagli nella vita, soprattutto in quel periodo di paura e incertezza, ma vi è stata data una seconda possibilità.”

“Se la merita – disse con decisione Sirius, alzando il capo – Remus merita di essere felice, più di qualsiasi altra persona al mondo.”

Tacquero per qualche istante, infine l’uomo la guardò di sottecchi, lasciando andare un gran sospiro: “Come ti sembra?”

“Come mi sembra cosa?” chiese lei, aggrottando la fronte, i pensieri che ancora si soffermavano su Remus.

“Essere qui seduti insieme, a parlare insieme, di cose da adulti. L’ultima volta che ci siamo visti io ero un adolescente idiota e tu avevi sette anni.”

Lei si strinse nelle spalle, giocherellando con la burrobirra ormai vuota: “Mia mamma ha sempre mantenuto vivo il tuo ricordo. Non parlava spesso di te, ma quando lo faceva era per ricordare con affetto il cugino che amava, mai il pazzo criminale che eri stato dipinto, e poi ho avuto qualche mese di tempo per abituarmi all’idea che eri innocente, e che eri in circolazione. Speravo di poterti rivedere!”

“Già, i legami di sangue non hanno mai voluto dire molto per me, ma sono contento di sapere che ho ancora qualcosa che assomiglia ad una famiglia qua fuori. Sono felice di averti qui.”

Dora annuì, e le scappò uno sbadigliò. Sirius si alzò, scompigliandole i capelli: “Vieni, ti accompagno di sopra e poi torno a lavare i piatti.”

“Posso aiutarti!”

“No, sei un’ospite, e sei stanca… e vorrei evitare di rompere il servizio buono.”

“Ah, ah. Davvero divertente” rispose Tonks, rifilò un’occhiataccia e una linguaccia, ma lo seguì di sopra senza protestare.  

Attraversarono l’atrio in punta di piedi e presero a salire le scale scricchiolanti, gradino dopo gradino. Sul muro erano appese quelle che Tonks realizzò essere teste: “Merlino! – esclamò in un sussurro – i tuoi decapitavano elfi domestici?”

“Solo quelli troppo vecchi – rispose Sirius con una scrollata di spalle – Pensavo anche io fosse una cosa barbarica fino a quando mi sono ritrovato tra i piedi l’attuale creatura di casa e, fidati, se continua a mettere alla prova la mia pazienza in questo modo finirà sul muro prima del tempo!”

“Vive un elfo domestico qui? – chiese la ragazza, superando il secondo piano e salendo verso il terzo – cioè capisco, la casa è enorme e la famiglia purosangue, ma…”

“Ma la casa è lurida? – sorrise Sirius – Da quando è morta mia madre dieci anni fa quel dannato elfo domestico ha deciso di trasformare il posto in un mausoleo e non ha più toccato uno spillo. Io e Remus siamo qui solo da tre giorni, abbiamo dato una pulita alla cucina giù nel seminterrato e alla mia camera, di sopra – spiegò accennando al soffitto – per te invece abbiamo sistemato questa, era la stanza che sembrava più… innocua.”

Dicendo questo aprì la porta di una camera abbastanza grossa, che ospitava una comoda poltrona accanto a una libreria, un armadio, una scrivania e un letto a una piazza e mezza.

Tonks posò la borsa sul comodino e si lasciò cadere sul letto: “Va benissimo, grazie!”

“Perfetto, e se ti serve il bagno l’unico in condizioni decenti è al piano di sopra, prima porta sulla destra. Buonanotte, Tonks!”
 

*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*~¤

 
Dora si svegliò il mattino seguente più presto e più riposata di quanto avesse immaginato. Per qualche tempo rimase distesa sulla schiena, le mani incrociate sotto il cuscino, a fissare il soffitto. La conversazione avuta con Sirius la sera precedente continuava a risuonarle in testa, senza darle tregua.

Ripensò a tutto il dolore e alla solitudine che i due uomini avevano dovuto affrontare, al timido tentativo di ricostruirsi una vita, di ricostruire un’amicizia dopo più di dieci anni di alienazione in cui erano diventati due persone adulte, ed estranee. Ripensò a quella casa-mausoleo, in cui sembrava opportuno camminare in punta di piedi e parlare sotto voce per non disturbare il cumulo di polvere e ricordi.

Si sentiva un po’ un’intrusa in quel mondo a due che Sirius e Remus condividevano, in una dimensione spazio-tempo che sembrava indipendente da quella esterna. Tuttavia, mentre un raggio di sole faceva capolino dalle pesanti tende che coprivano le finestre, Tonks decise che sarebbe stata quel raggio di sole, che si sarebbe infiltrata in quel precario equilibrio portandovi un soffio di vita nuova.

Animata da un nuovo entusiasmo, scaraventò via le coperte e saltò giù dal letto. Infilò un paio di pantofole pelose e una vestaglia fucsia sul suo improbabile pigiama a quadretti turchese e saltellò giù dalle scale, diretta alla cucina nel seminterrato. Avrebbe apparecchiato la tavola e accolto Remus e Sirius con la colazione pronta!

Fu con questa idea già davanti agli occhi che aprì la porta, rimanendo impietrita sullo stipite. Remus, già perfettamente vestito, era seduto ad un estremo del lungo tavolo, con una tazza di tea accanto e la Gazzetta del Profeta aperta davanti al viso. Per un istante, Tonks considerò l’opzione di non essere stata notata. Forse, se fosse riuscita a tornare sui suoi passi senza fare troppo rumore…

“Buongiorno, Nymphadora.”

Alla faccia del non essere stata notata! Gli occhi gentili di Remus la passarono in rassegna da capo a piedi, un sorriso appena accennato che gli fece capolino sulle labbra notando l’accozzaglia di colori che la ragazza indossava.

“Buongiorno” mugugnò lei, strusciando le pantofole a terra.

“C’è del tea ancora caldo sul fornello e dei biscotti nella credenza lì a destra – le indicò Remus – Non pensavo di vederti in piedi così presto.”

“Volevo prepararvi la colazione – spiegò lei, vagamente imbarazzata, iniziando a frugare nella credenza – Nemmeno io credevo di trovare qualcuno già sveglio.”

Remus rise piano: “Solitamente mi bastano poche ore di sonno, senza contare che Sirius tende ad allargarsi quando dorme e mi avrebbe buttato giù dal letto in ogni caso a breve!”  

Tonks sogghignò, tirando giù da uno scaffale biscotti e marmellata: “Ora vado io a buttarlo giù dal letto! Così almeno facciamo colazione tutti insieme!”

“Nymphadora, aspetta…” provò a fermarla Remus, ma la ragazza aveva già il piede sul primo gradino.

Fece di corsa tutte le rampe di scale per poi bussare sonoramente alla porta della camera di Sirius ed entrare senza attendere risposta. L’uomo occupava interamente il letto matrimoniale, sdraiato di traverso a pancia in giù con braccia e gambe spalancate; solo la cima della testa faceva capolino da sotto il lenzuolo. Il pigiama di Remus era accuratamente piegato su uno dei due comodini.

“Buongiorno, cugino!” gridò a mo’ di saluto, senza ottenere il minimo segno di vita.

“Sirius! In piedi, è ora di alzarsi!”

Dalle coperte emerse un grugnito, e nulla più.

Tonks attraversò la stanza a passo di marcia, spalancando le finestre e lasciando entrare un getto di aria gelida: “Avanti, Sirius! Svegliati!”

Un secondo grugnito si fece sentire, e la ragazza sorrise: “E va bene, te la sei voluta tu, vada per le maniere forti.”

Si rimboccò le maniche e si avvicinò al letto, afferrando trapunta e lenzuolo e mandandole all’aria con un ampio gesto.

Non appena gli occhi si posarono sulla forma scomposta del cugino cacciò un urlo che rivaleggiava con quelli del ritratto di Mrs. Black e Sirius spalancò gli occhi, sobbalzando: “Miserriaccia, Tonks! Sei impazzita? Spalancare le finestre e gridare in questo modo ad un’ora imbarazzante del mattino?”

“Sono quasi le nove – rispose lei, bene attenta a tenere gli occhi sul volto di Sirius – e poi … NON TI GIRARE!” strillò quando Sirius fece per rotolare sulla schiena.

Lui rise di gusto: “Te la sei cercata, baby-cousin!”

“Sirius, CHI DIAVOLO DORME NUDO A DICEMBRE? - chiese, esasperata, marciando verso la porta – Vestiti e vieni giù, c’è la colazione!”

Fece le scale a ritroso scuotendo più volte il capo, quando rientrò in cucina trovò Remus che la guardava con aria divertita: “Già… - disse piano, alla sua faccia sconvolta – Ha sempre avuto questa adorabile abitudine, forse avrei dovuto dirti che è un'altra delle ragioni per cui mi sono alzato appena sveglio.”

Le strizzò un occhio e lei soffocò uno sbuffo, sedendosi davanti a lui e versandosi una tazza di tea. Sirius fece capolino poco dopo, in pigiama e vestaglia, a piedi nudi, i capelli arruffati e la faccia assonnata. Remus lo squadrò per un istante, critico: “Padfoot, è il mio pigiama quello che hai addosso?”

Sirius scrollò le spalle: “Possibile, ho infilato la prima cosa che mi è capitata a tiro.”

Tonks scoppiò a ridere, rovesciandosi addosso buona parte del tea, quindi sfoderò il suo sorriso migliore: “Cosa ne dite di andare a fare compere? – chiese entusiasta – Prendiamo qualche addobbo e qualcosa per la cena e per il pranzo di domani!”

“Ma pensavo che avremmo iniziato a lavorare su…”

“Oh, avanti, Moony! È la Vigilia! - lo interruppe Sirius – Io ci sto! Non faccio un giro a Londra da una vita!”

“Ma è pericoloso…”

“Pericoloso? Le uniche persone che sanno che sono un Animagus sono a Hogwarts, probabilmente già in panico per il gran ballo di questa sera” sogghignò Sirius.

“Dimentichi Peter” disse stancamente Remus.

“Che sicuramente non sarà a spasso per Londra il giorno della Vigilia a prendere gli ultimi regali!”

“E va bene, – si arrese Remus, alzando le mani – ma niente Diagon Alley! La probabilità che incontriamo qualche mio ex-studente, o le loro famiglie, o qualche collega di Nymphadora è troppo alta. Siamo in Islington, quindi possiamo comodamente camminare fino al centro, oppure verso Camden.”

“Splendido! – esclamò Dora, balzando in piedi e battendo le mani – Vado a prepararmi e andiamo!”

Mezzora più tardi, il trio faceva la sua comparsa in Grimmauld Place, la casa che tornava a comparire alle loro spalle. Tonks indossava un cappottino rosso, cuffia e guanti bianchi e una grande borsa in pelle a tracolla, Remus portava un soprabito antracite, una sbiadita e lisa sciarpa scura e teneva al guinzaglio Snuffles, che si mise immediatamente ad abbaiare e a tirare verso un’estremità della via.

Dora alzò lo sguardo al cielo azzurro, alzando il collo del cappotto contro il freddo e si incamminò accanto a Remus, sentendosi incredibilmente, semplicemente, felice.

 


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Per la planimetria di casa Black ho fatto riferimento ad una piantina preziosissima e molto ben fatta secondo me, che potete trovare qui:

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 - 24 Dicembre 1994 ***


Capitolo 16 – 24 Dicembre 1994

 
“Oh, guarda! Non è ADORABILE?”

Remus sospirò con aria rassegnata: “Nymphadora, abbiamo già comprato sei festoni, quattro luminarie, una stella cometa, due set di angioletti e cinque, e ripeto CINQUE, confezioni di palline colorate da 30 palline l’una, ovvero centocinquanta palline per UN albero… abbiamo davvero bisogno anche di un babbo natale gonfiabile a grandezza naturale con slitta e renne annesse?”

“Ma, Remus, è BELLISSIMO!” ripeté Tonks, spiaccicata contro la vetrina del negozietto come un bambino contro il vetro di una pasticceria. 

L’uomo sospirò nuovamente, spostando di mano i vari sacchetti e il guinzaglio di Snuffles per immergere le dita nella tasca dei calzoni. Ne estrasse un rotolo di banconote e le passò in rassegna per qualche istante, le sopracciglia aggrottate. Tonks vide i suoi gesti dal riflesso della vetrina e sentì una morsa allo stomaco, realizzando che Remus aveva pagato ogni cosa fino a quel momento.

Vivendo e lavorando nella comunità babbana, aveva sicuramente a disposizione più sterline che galeoni, ma Dora immaginava che la sua situazione non fosse comunque rosea. Andò a posargli una mano su un braccio con un piccolo sorriso: “Ci penso io, Remus. C’è uno sportello cambiavalute al Ministero e porto sempre un po’ di pounds con me in caso mi venga voglia di mangiare qualcosa di babbano.”

“Ma, Nymphadora …”

“Niente ma – lo interruppe lei – e niente Nymphadora, te l’ho detto!” aggiunse, mettendo il broncio.

“Ah, sì? L’ho dimenticato – commentò lui con un timido sorriso – sto diventando vecchio, sai?”

Tonks alzò gli occhi al cielo ed entrò nel negozio, facendosi strada tra la gente e gli scaffali per conquistare il suo babbo natale e poi mettersi in coda alla cassa. Quando riemerse nella strada colorata di Camden rimase per un istante imbambolata di fronte alla bellezza e alla semplicità dell’immagine che la fronteggiava: un uomo e un cane che, fianco a fianco sul marciapiede, aspettavano lei.

Remus le sorrise, quando gli fu vicino, e le tolse delicatamente il grosso sacchetto dalle mani: “Lascia, faccio io. Puoi tenere il guinzaglio?”

Annuì, mentre Remus afferrava tutte le borse: “E’ mezzogiorno passato, andiamo a mangiare qualcosa?”

Snuffles abbaiò il suo assenso e Remus rise piano: “Mi sembra un’ottima idea, possiamo girare per il Regent’s Canal e prendere qualcosa alle bancarelle.”

Esitò un istante, quindi allargò un poco il gomito. Tonks arrossì, ma infilò la mano al calduccio, nell’incavo del braccio di Remus. Snuffles tirò al guinzaglio, impaziente di giungere al cibo, e i due si avviarono fianco a fianco, immergendosi nei vicoli dei mercati di Camden Town, zigzagando tra bancarelle ed espositori fino a raggiungere la grande corte dello street food, dove si poteva trovare cibo proveniente da qualsiasi parte del mondo.

Snuffles puntò dritto oltre tutti i banchi di cibo asiatico, snobbando il riso e le verdure, per andare a fermarsi scodinzolando davanti ad un grande stand che esponeva pile di hamburger, hot-dog, salamelle, wurstel, costine e carne di ogni tipo. Poco dopo, con i loro cartocci caldi, Dora e Remus presero posto su una panchina lungo la sponda del Regent’s Canal, guardando le papere lasciarsi trasportare dalla pigra corrente e ragazzi in skateboard sfidarsi sulla ciclabile.

Finito di mangiare, Remus allungò le lunghe gambe davanti a sé, rilassandosi all’indietro e reclinando il capo verso il pallido sole; quindi, allargò le braccia sulla spalliera, dietro la schiena di Tonks. Non la stava toccando, ma la ragazza poteva percepirne la presenza e il calore. Lo sbirciò di traverso: aveva gli occhi chiusi e un’espressione serena. Snuffles rosicchiava soddisfatto un osso ai suoi piedi.

Un centimetro alla volta, cauta come mai era stata in vita sua, Dora scivolò di lato sulla panca, andando ad annullare la distanza tra il suo fianco e quello di Remus, e gli appoggiò il capo nell’incavo del collo. Trattenne il fiato. Remus aprì un occhio e spiegò le labbra sottili in un sorriso, cingendole le spalle con un braccio e appoggiando la guancia sui suoi capelli rosa acceso.

Per un istante, Tonks sentì un brivido di eccitazione scorrerle lungo la schiena, a quel contatto così agognato. Subito, però, scemò in una grande pace, fatta di chiacchiericcio in sottofondo, il quack! occasionale di qualche papera e il campanello di una bici di passaggio.      

Rimasero così per qualche tempo, in assoluto silenzio, contenti nella semplice vicinanza, nei loro respiri mescolati davanti ai visi in piccole nuvolette bianche. Quando infine il sole iniziò la sua lenta discesa verso l’orizzonte e la temperatura si fece più fredda si alzarono di comune accordo, riordinando borse e sacchetti; nuovamente, Remus prese tutti i pesi, lasciando a Dora il guinzaglio. 

Si avviarono fianco a fianco sul lungo-canale, dirigendosi verso lo zoo e Regent’s Park. Stavano attraversando un piccolo ponte quando Dora sentì Snuffles appoggiarsi alle sue gambe con tutto il peso, spingendola verso Remus. Incapace di controbilanciare, assecondò il movimento e strusciò la spalla contro quella dell’uomo. Lui ruotò il capo per guardarla, quindi spostò tutte le borse nella destra e le sfiorò le dita con la sinistra.

Automaticamente, Tonks strinse la presa sul suo palmo freddo. Subito entrambi distolsero lo sguardo, imbarazzati come due adolescenti, ma le loro dita rimasero fermamente intrecciate.  

Evitarono accuratamente di guardarsi ma, pian piano, iniziarono entrambi a rilassarsi, a farsi più vicini, ad adeguare il passo… ad abbassare la guardia. Stavano costeggiando il laghetto, e Remus si era saggiamente posto tra Dora e la placida distesa d’acqua, quando Snuffles mise in atto il suo piano.

Dora non fece nemmeno in tempo a capire cosa stesse succedendo; aveva il guinzaglio infilato al polso, molle e lungo dato che Snuffles si stava comportando in modo estremamente educato. Se la sua mente non fosse stata totalmente ottenebrata dalla vicinanza di Remus avrebbe forse realizzato che quel comportamento esemplare era vagamente sospetto… invece, fu totalmente inerme quando il grosso cane le tagliò improvvisamente la strada, infilandosi tra le gambe di Remus per poi girare attorno ad entrambi. E tirare.

Il primo a cadere fu Remus, che girò su se stesso con una buffa piroetta e un’espressione incredula sul volto per poi precipitare al suolo, atterrando su una spalla e rotolando schiena a terra. Dora gli volò scompostamente sopra, smorzandogli il fiato con il suo peso e rischiando di spaccargli il naso con una testata. Riuscì ad evitarlo per un pelo, ammortizzando il colpo puntellandosi con entrambe le mani sul suo petto.

Per un istante si fissarono esterrefatti, poi scattarono all’unisono. Dora strinse convulsamente la presa sul cappotto di Remus, e le mani di lui trovarono la sua schiena; annasparono l’uno alla ricerca delle labbra dell’altro come alla ricerca di ossigeno dopo una lunga apnea e, quando infine le trovarono, fu come se due pezzi di un puzzle a lungo dispersi fossero tornati finalmente insieme.

Dora tenne gli occhi ben chiusi, le sensazioni che le arrivavano al cervello già fin troppo vivide anche senza la vista. Le labbra di Remus erano eccezionalmente morbide, appena screpolate dal freddo, e restarono per qualche istante sulle sue, delicate, prima di schiudersi. Portò le mani dal bavero del cappotto al suo viso, accarezzandogli gli zigomi, facendo scorrere le dita lungo il collo, fino ad immergersi nei capelli. Una delle mani di Remus le teneva un fianco, l’altra era dietro la sua nuca, impedendole di sottrarsi al bacio… se mai avesse voluto farlo. Le loro gambe erano ancora immobilizzate e aggrovigliate, strette dal guinzaglio.

Nel momento in cui ebbe accesso alla bocca calda di Remus, Dora lasciò scappare un piccolo mugolio di soddisfazione e anticipazione e premette il suo intero corpo contro quello snello di lui, agognando per più contatto, non desiderando altro che potersi perdere in lui e dimenticare ogni altra cosa. Sarebbe rapidamente stata travolta dal momento se Remus non avesse mantenuto saldamente il controllo, tenendola ferma contro di sé, senza permetterle di accelerare troppo, lasciando che si godessero ogni singolo istante di quell’attimo.

Quando infine Dora tornò a rilassarsi, l’ondata di desiderio momentaneamente placata e i battiti del cuore un poco più lenti, Remus allentò la presa, le posò un ultimo bacio leggero sulle labbra gonfie e appoggiò il capo a terra, accarezzandole i capelli. Tonks nascose il viso contro il suo collo, respirando il sentore delicato della sua pelle, e per qualche istante rimasero lì immobili, adattandosi nuova famigliarità della vicinanza dei loro corpi.

Fu il freddo che infine spinse Remus a tirarsi a sedere puntellandosi su una mano, portando la ragazza con sé. Improvvisamente, il sorriso rilassato che aveva sul viso scomparve. Dora, che gli era rimasta avvinghiata addosso, avvertì la tensione nelle sue spalle e si staccò da lui, preoccupata: “Remus, c’è qualcosa che non va?”

Lui non rispose, la mascella serrata e uno sguardo di fuoco fisso su un punto dietro la spalla della ragazza. Dora si girò nel suo abbraccio e le sopracciglia le schizzarono all’attaccatura dei capelli. Subito dopo scoppiò a ridere, incapace di trattenersi.

Snuffles, che era in qualche modo riuscito a liberarsi dal guinzaglio, sedeva scodinzolante poco lontano, con una pallina colorata in bocca. Le altre cento-quarantanove palline erano sparpagliate in ogni dove in un raggio di qualche decina di metri tutto attorno, le confezioni saltate per aria quando i sacchetti si erano schiantati al suolo.

“Tu… - esalò Remus, cercando di assumere un tono minaccioso, puntando un indice contro il cane – Tu …”

Si interruppe improvvisamente, guardando in alto: grandi fiocchi di neve bianca stavano iniziando a cadere silenziosi nella sera che si scuriva. Soffocò un verso rassegnato, nascondendo il viso nella spalla di Dora, e lei rise ancora di più, abbracciandolo forte.

 
*~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*~¤

 
Tonks sorrise, dando un’ultima sbirciata al suo riflesso nello specchio; aveva optato per un caschetto rosso, che si intonava perfettamente all’abitino scozzese che avrebbe indossato per la serata. Saltellò fischiettando giù dalle scale, ricordandosi appena in tempo di zittirsi nell’atrio, e scese in cucina.

Per un attimo rimase impalata sulla porta, meravigliata dal cambiamento della stanza: nel tempo che ci aveva messo per lavarsi e cambiarsi, gli uomini avevano dato una bella ripulita, e ora un gigantesco albero, adorno di striscioni, luminarie e palline in abbondanza, capeggiava su un lato della stanza. Candele profumate illuminavano l’ambiente e il babbo natale gonfiabile levitava magicamente sul soffitto, nella sua slitta trainata da renne.

Remus, seduto un poco scostato dal tavolo, appoggiò il libro che stava leggendo e le sorrise, aprendo le braccia. Dora non si fece pregare e lo raggiunse immediatamente, sedendoglisi in grembo e lasciando che lui le abbracciasse delicatamente la vita. Lo guardò un istante, trovandolo anche più bello del solito ora che era… suo.

“Sirius?” chiese, mormorandogli in un orecchio.

“Il damerino è andato a farsi bello …” rispose Remus, divertito.

“Bene” rispose lei maliziosa, per poi sfiorare il naso di lui con il proprio e chinarsi sulla sua bocca per baciarlo.

Com'era diverso da quel primo bacio di qualche ora prima! Allora, stesi sul cemento, colti alla sprovvista, si erano incontrati a metà strada; era stato sperimentale e disperato, più caotico di quanto avrebbe dovuto essere, e quindi dolce. Era stato un primo bacio da attrazione fatale, non il primo bacio romantico che si era aspettata, e Tonks li voleva entrambi.

Remus sembrava timido e incerto, così gli sfiorò appena le labbra con le sue, accarezzandogli lentamente la guancia. Lui rispose titubante al suo bacio, goffo, le mani congelate intorno alla sua vita. Chiaramente non era un esperto, e Tonks lo trovò ancora più adorabile. Approfondì un poco il bacio, costringendosi ad andarci piano, e infine gli posò un bacino sulla punta del naso, dolce e innocente.

E si rivelò una scelta saggia e con un perfetto tempismo, dato che la voce di Sirius scelse proprio quel momento per farsi sentire dalle scale, intonando sguaiatamente improbabili canti di Natale. Dora si alzò dalle ginocchia di Remus e l’uomo sorrise, aggiustandosi i capelli

Sirius comparve sulla soglia in un paio di pantaloni neri attillati e una camicia rosso fuoco. I capelli scuri erano lavati e pettinati all’indietro, il viso magro rasato, e sembrava ringiovanito di dieci anni. Impugnava la bacchetta e stava facendo levitare davanti a sé una polverosa cassa di pregiate bottiglie di vino saccheggiate dalla cantina. Depositato fieramente il suo tesoro sul tavolo, accese il grammofono con un colpo di bacchetta e prese posto a capotavola, Remus e Tonks l’uno di fronte all’altra, e la cena ebbe inizio.

La sera scivolò via, tra montagne di cibo, litri di vino e aneddoti del passato. Era ormai piuttosto tardi quando tutti e tre si accomodarono scompostamente sul tappeto davanti al grande camino, tazze di punch in mano e l’umore alle stelle.

Sirius si stese a terra, i piedi verso le fiamme e il capo posato in grembo a Tonks dopo aver rifilato un occhiolino a Remus: “Non ti spiace, vero, Moony?”

Lui si limitò a scuotere il capo con un sorriso benevolo; era a sua volta seduto a terra, con la schiena poggiata ad un vecchio divano: “Se diventa molesto picchialo, Nymphadora.”

“Oh, Remus! – esclamò Tonks alzando gli occhi al soffitto – Ti prego…”

“Non capisco perché tu ce l’abbia così tanto con Nymphadora, – la interruppe lui – è uno splendido nome! Viene dal latino, sai? Significa…”

Lei lo bloccò alzando un dito: “Alt! Frena, professore! Lo so fin troppo bene, credi davvero che mia madre non abbia cercato di giustificarsi con questa cosa almeno mezzo milione di volte negli ultimi vent’anni?”

“Beh, a me piace!” disse Remus stringendosi nelle spalle sottili.

“E a me no!” replicò lei incrociando le braccia sul petto.

“Morgana, che agonia! – intervenne Sirius con un sospiro tragico, allungando una mano per raggiungere la caraffa del punch – Accetta un consiglio da un esperto, Moony, la signora ha sempre ragione. Se il suo nome non le sta bene trovale un bel soprannome stucchevole tipo cucciola o pasticcino e risolvi il problema!”

Tonks non riuscì a trattenere uno sbuffo divertito e cercò Remus con lo sguardo, rifilandogli un’occhiata di ammonimento. Per tutta risposta, lui rise piano, alzando le mani: “Lo so, lo so… non oserei mai!”

Proprio in quel momento, con una serie di piccoli “plop”, una dozzina di pacchetti colorati apparvero ai piedi dell’albero di Natale e Sirius batté entusiasticamente le mani: “E’ mezzanotte! Buon Natale, piccioncini! – urlò tirandosi a sedere per inglobare sia Remus che Tonks in un abbraccio orsino – Vero che possiamo aiutarti a spacchettare qualcosa, baby cousin? Non apro un regalo da un decennio!”

Tonks sorrise timidamente, riconoscendo immediatamente il pacco per Remus e quello per Sirius fare capolino tra i suoi: “Potresti scoprire che qualcuno ha pensato a te… o perlomeno a Snuffles!”

Qualche giro di punch più tardi, con la carta colorata fatta a brandelli e i regali impilati precariamente in un angolo del tappeto, Sirius si alzò barcollando e lasciò la stanza con un piccolo inchino, diretto al bagno.

La voce attutita di Celestina Warbeck cantava in sottofondo dal grammofono e quel che restava del fuoco crepitava nel camino. Remus si schiarì la voce: “Grazie, davvero – disse piano, accennando verso la sciarpa e i guanti che aveva delicatamente posato sul divano alle sue spalle – Mi dispiace se non siamo stati troppo originali…”

Tonks scosse il capo con forza, giocherellando con la collanina dorata che portava al collo, ornata da un piccolo ciondolo a bocciolo, che Sirius le aveva rivelato essere un cimelio di famiglia: “Non dire idiozie, è bellissima.”

“Tutto merito di Sirius, io… io non… - si interruppe e si passò una mano sul viso, quindi si tirò in piedi lentamente e tese una mano verso di lei – Balleresti con me?”

Tonks rise piano, ma accettò di farsi tirare in piedi a sua volta: “Sai che è una pessima idea, vero? Ho due piedi sinistri già quando cammino e figurati dopo tutto il punch che…”

Si zittì immediatamente quando le labbra di Remus sfiorarono le sue e si limitò a stringerlo, mentre lui muoveva piccoli passi sul tappeto consunto. Non poteva vederlo, ma poteva quasi sentire il piccolo sorriso che sicuramente gli faceva capolino sul viso ogni volta che lei gli pestava maldestramente un piede.

Si lasciò guidare sulle note della ballata romantica e non oppose resistenza quando Remus la fece piroettare piano per poi accompagnarla in un piccolo casquè. Dalla sua precaria posizione, reclinata indietro sul braccio di Remus, Tonks mise a fuoco il viso di lui e un rametto di vischio che dondolava placido sulle loro teste.

“Buon Natale, Dora” mormorò Remus.

Il respiro le si mozzò nel petto e il cuore prese a batterle furiosamente. Solo due persone al mondo la chiamavano così: la sua … famiglia.

Tirò Remus a sé, in punta di piedi per stringersi a lui e con le dita sprofondate nei suoi capelli. Barcollarono entrambi all’indietro fino a sbattere contro il grande tavolo, i respiri confusi in un bacio frenetico. Remus sollevò Dora senza fatica, facendola sedere sul tavolo, e lei gli strinse le gambe sottili attorno ai fianchi, la corta gonna del vestito che scivolò sulle calze, arricciandosi attorno alla sua vita.

Le mani di Remus iniziarono a risalire dai fianchi lungo la sua schiena, e Tonks si spinse contro di lui…

“Per le palle di Merlino! Dovrò ricordarmi di bussare!” li interruppe la voce divertita di Sirius che, appoggiato allo stipite con le braccia conserte, sogghignava fiero di sé.


 
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Grazie, come sempre, di aver letto… spero di aver finalmente soddisfatto le aspettative di chi attendeva con trepidazione che i nostri due imbranati preferiti si dessero finalmente una mossa! Per chi invece attende il ritorno delle avventure di Tonks in campo professionale anticipo che dopo le vacanze di Natale tornerà a fare l’Auror e non solo l’adolescente ormonata XD  

Ammetto, come forse avrete capito, di amare alla follia La Carica dei 101, quando ero bambina sognavo di incontrare il principe azzurro portando il cane al parco e non ho resistito alla tentazione di far avverare il sogno almeno per Dora! Il mio personalissimo headcanon è che quando Sirius è andato a stare nella casa babbana di Remus si annoiava e gli ha ribaltato la cantina fino a quando non ha trovato un vecchio registratore e una pila di VHS e si è fatto una cultura di film babbani <3

Per chi non è famigliare con la geografia di Londra, Camden Town è una zona molto carina che ospita un agglomerato di mercatini e finisce sulle rive del Regent’s Canal che scorre verso il centro fino ad arrivare al Regent’s Park dove c’è lo zoo. J.K. ci dice che Grimmauld Place è a 20 minuti circa a piedi da King’s Cross e il fandom ha quasi unanimemente convenuto che Grimmauld Place si trovi nel quartiere di Islington che è ragionevolmente vicino a Camden a piedi. Se siete curiosi googolate tutto su maps! 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 – Fine Dicembre 1994 e inizio Gennaio 1995 ***


Non è mia abitudine scrivere per qualcuno, né dedicare capitoli, ma dedico questo capitolo a Aranel, Moony96 e Fangirl23. Grazie della pazienza, dell’incoraggiamento e della fedeltà, ragazze. Davvero.

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Capitolo 17 – Fine Dicembre 1994 e inizio Gennaio 1995


 
Un piccolo sbuffo argentato si librò leggero nell’aria, pulsò piano per qualche istante e scomparve. Dora sospirò, frustrata, passandosi una mano tra i corti capelli: “Accidenti! Scusa…”

Remus sorrise, colmando le distanze tra loro per porgerle una tazza di cioccolata calda: “Ieri i tuoi patronus erano perfetti, c’è qualcosa che non va, vero? – chiese stringendosela al petto con un braccio – È il lavoro? Primo giorno di part-time e già è successo qualche guaio?”

Tonks arricciò il naso e, invece di rispondere, pucciò l’indice nella tazza, sollevandolo ricoperto di densa cioccolata e indirizzandolo vero la bocca. Quindi socchiuse gli occhi e appoggiò la fronte sul maglione di Remus, rilassandosi contro il suo petto, godendo di quel contatto ancora nuovo e già famigliare.

“Parlami – mormorò lui, accarezzandole piano la schiena – Di qualsiasi cosa si tratti, sono qui per te.”

Dora sospirò nuovamente, profondamente combattuta tra il bisogno di sfogarsi e la riluttanza a rompere la quiete; infine si arrese ed esalò: “E’ Hagrid.”

Remus la guidò delicatamente verso il grande focolare e si appoggiò sul bracciolo del divano, invitandola a sedere sulle sue gambe: “L’articolo velenoso della Skeeter ha già fatto i suoi danni?”

“Già – rispose lei, triste, sorseggiando la cioccolata – L’ufficio vuole un calcolo del rischio per decidere se procedere o meno contro Hagrid. E indovina a chi, della sezione Detenuti e Ricercati, è toccata la patata bollente?”

“E’ una brutta faccenda – mormorò Remus – Mi dispiace che tu abbia dovuto farti carico di questo, e mi dispiace per Hagrid. Ho sempre sospettato che fosse un mezzo gigante, c’erano abbastanza indizi per un occhio allenato, ma credo che tutti si siano semplicemente rifiutati di vedere la spiegazione più facile e abbiano pensato a qualche incidente.”

“Io per prima! – esclamò Tonks - Ma questo non cambia nulla! Non cambia la persona che conosco, non cambia il fatto che sia un brav’uomo che non farebbe male ad una mosca! E sai come ho passato la mia mattinata? Aprendo pile di lettere di persone indignate che secondo il mio capo avrebbero contenuto informazioni utili al fascicolo, e invece erano zeppe di insulti. Ci è stato chiesto di abbatterlo. Abbatterlo, Remus! Si abbatte un cavallo zoppo, un cane rabbioso, il bestiame per il macello… animali, bestie! Non si abbattono le persone!”

Si voltò a guardare Remus ma, sul suo viso duro, non trovò la solidarietà che si sarebbe aspettata: “Davvero ancora ti stupisci del razzismo e dell’ipocrisia della nostra società, Dora? – chiese – Noti ex-mangiamorte sono oggi membri rispettati della comunità, tu stessa vieni da una famiglia di pluri-criminali e ti è permesso di lavorare al dipartimento di sicurezza pubblica del Ministero… alcuni di noi non sono così fortunati. Credi sia stato diverso per me?”

“Sì che è stato diverso! Non abbiamo ricevuto una sola riga riguardo…”

“Ovvio! – la interruppe Remus, alzandosi bruscamente e obbligandola a scattare in piedi con lui – Il Dipartimento Auror si occupa di Maghi e Streghe Oscuri, io sono competenza dell’Ufficio Regolamentazione Creature Magiche.”

Dora lo fissò, allibita. Una parte del suo cervello aveva sempre saputo che fosse l’Ufficio Regolamentazione e Controllo delle Creature Magiche ad avere in carico i soggetti affetti da licantropia, era perfino andata al Registro a richiedere il fascicolo di Remus a suo tempo, ma in quella cucina, con il viso triste di Remus davanti, quell’informazione assumeva un peso completamente diverso. Cercò qualcosa da dire, ma non riuscì a trovare mezza parola che le suonasse adatta.  

“Non sono usciti articoli scandalo sul Profeta – aggiunse piano Remus - solo perché Dumbledore ha ancora degli agganci al giornale, ma la voce è girata negli ambienti giusti, assicurando definitivamente che io non trovi mai più un lavoro e una collocazione nella comunità magica.”

“Tutto questo è assurdo” mormorò Dora.

“Esatto, assurdo. Non so come ho potuto pensare che…”

In quell’istante la porta si aprì, e Sirius fece capolino. Fece scorrere lo sguardo sulle loro posture rigide, i visi tesi, e si schiarì la voce con un sorriso: “Stavo cercando Kreacher, immagino non vi sia capitato tra i piedi, eh?”

Nessuno dei due rispose ma Sirius non si lasciò scoraggiare: “Oh, beh, può attendere, non era niente di urgente. Allora – continuò, sfregando le mani – mettiamoci al lavoro, Moony. Abbiamo quattro giorni prima che Tonks venga riassorbita giorno e notte dal Ministero, vado di sopra in mansarda e vediamo se la nostra bimba prodigio riesce a mandare un patronus su da quattro piani di scale!”

Un attimo, rapido come era arrivato, era scomparso. Dora sospirò: “Remus…”

Lui si appoggiò al tavolo e incrociò le braccia sul petto, mantenendo le distanze: “Lo hai sentito, riprendiamo l’esercizio. Evoca un patronus, affidagli un messaggio, e mandalo a Sirius.”

Tonks serrò la mascella e si costrinse a rilassare le spalle, prendendo profondi respiri. Aggiustò l’impugnatura sulla bacchetta e chiuse gli occhi, determinata più che mai a riuscire nell’evocazione. Richiamò alla mente il primo bacio di Remus, il freddo tutto attorno e il calore rassicurante che irradiava da lui: “Expecto patronum.
Un piccolo jackrabbit[1] comparve subito a mezz’aria e saltellò un paio di volte attorno a Dora, che gli sorrise, aprendo un palmo davanti a sé. Il coniglietto vi si posò e la ragazza mormorò: “Can you dance like a hippogriff, flyin’ off from a cliff – quindi descrisse un grande arco con la bacchetta, mormorando – Mitto patronum[2], Sirius Black.”

Subito il jackrabbit scomparve e Remus sbuffò dal naso, divertito suo malgrado: “Weird Sisters… tipico.”

Qualche istante dopo, un grosso cane argenteo comparve in cucina, cantando a squarcia gola: “Swooping down to the groooound nanana nanana nananaaa! Wheel around and around and around and around nanana nanana nananaaaaaaaaaaa![3]

Remus rovesciò il capo all’indietro, ridendo, e Dora si sentì scaldare il cuore. Continuarono l’esercizio per una mezzoretta, passando a messaggi sempre più lunghi, ovvero intere canzoni delle Weird Sisters cantate in modo più o meno sguaiato alternativamente dai patronus di Tonks e Sirius.

Mentre aspettavano la risposta al ritornello di This is the night, Dora trovò il coraggio di tornare a parlare a Remus: “Si può mandare un patronus a più persone?”

Lui annuì: “Sì, dicendo entrambi i nomi. Se le persone si trovano insieme ascolteranno il messaggio insieme, altrimenti il patronus si recherà da entrambi, nell’ordine in cui hai detto i nomi.” 

“Potremmo provare? – propose, esitante - Ti scegli una stanza su un altro piano e…”

Il sorriso scomparve immediatamente dal volto dell’uomo e Dora desiderò che esistesse un incantesimo per rimangiarsi le parole: “Scusa” si affrettò a dire, nonostante non avesse idea di che cosa avesse detto di sbagliato.

Lui sospirò, passandosi una mano sul volto: “No, non scusarti. È solo che, per poter comunicare, il patronus deve essere corporeo, e io non amo…”

“E’ un…” Dora si interruppe, chiedendosi se continuare fosse una buona idea.

“Un lupo” rispose lui piano.

Quando Sirius li raggiunse poco dopo, fischiettando tra sé, teneva in mano una lettera: “Ho intercettato un gufo in corridoio – disse, tendendo la busta a Tonks – È per te.”

Dora riconobbe immediatamente la calligrafia: “Rachel! – esclamò, affrettandosi ad aprire il messaggio – Sta organizzando una festa in maschera per Capodanno, e dice esplicitamente che devo portare il mio amico a due zampe e che può venire anche quello a quattro, a patto che si comporti bene!”

Sirius batté le mani, entusiasta: “Un agnellino, giuro!”

“Non ci andremo” disse Remus praticamente in contemporanea, e i due cugini Black si voltarono a guardarlo con due identiche espressioni sorprese.

“Come sarebbe a dire non ci andremo?” chiese cauta Dora.

“Sarebbe a dire che tu sei ovviamente libera di fare ciò che vuoi, ma per Sirius è troppo rischioso, e non è un ambiente adatto a me.”

“Ah, davvero? E quale sarebbe un ambiente adatto a te?” chiese Tonks, le mani piazzate sui fianchi e il tono più duro di quanto avesse voluto.

“Non ricominciamo con questa storia, Nymphadora, ti prego” tagliò corto lui calcando il pavimento a lunghe falcate, e lasciò la stanza prima che gli altri potessero fermarlo.

Dora guardò Sirius in cerca di aiuto ma lui si strinse nelle spalle: “E’ un po’ sensibile sull’argomento, non c’è niente da fare, devi lasciarlo andare.”

“No! – esclamò lei con forza – Non capisci? È quello che tutti hanno sempre fatto, lasciarlo andare, è il motivo per cui è ridotto così! Non dobbiamo fare lo stesso errore, non un’altra volta, Sirius.”

Lui rimase pensieroso per qualche istante, quindi annuì piano: “Va bene, lascia che gli parli io.”

“Ma…”

“Niente ma – la interruppe Sirius – James era un fratello per me, ma Remus era il mio migliore amico. L’ho tradito una volta, e passerò il resto della mia miserabile vita a cercare di rimediare al mio errore.”

Dora si imbronciò ma non insistette; lo guardò uscire e si avviò verso la grande credenza, in cerca di una burrobirra. Quando la voce di Remus la raggiunse, attutita ma comprensibile, sobbalzò: Sirius aveva lasciato la porta aperta.

“Evitati il discorso moralista, Padfoot.”

“Stai zitto, per una volta, e stammi a sentire. – lo stroncò Sirius – Ti ricordi come eravamo noi a vent’anni, Moony?”

“Sì, sì – fece Remus accondiscendente – giovani, spensierati e stupidi …”

“No, Remus. A vent’anni eravamo indubbiamente stupidi, e abbiamo fatto alcuni degli errori più grandi delle nostre vite, ma eravamo vecchi oltre la nostra età, e decisamente non spensierati. Stavamo combattendo una guerra, vivendo in clandestinità, vedendo i nostri amici morirci attorno e chiedendoci ogni giorno quando sarebbe toccato a noi. Noi non abbiamo mai avuto vent’anni, Remus. Tonks è… è come una ventata d’aria fresca, è la nostra seconda possibilità di vivere. Abbiamo sofferto abbastanza e, se stiamo leggendo correttamente i segni, non ci rimane molto tempo prima di una seconda ondata di oscurità. Non credi che ci meritiamo una serata di festa?”

Sentì qualcuno sospirare, e poté quasi vedere Remus chinare il capo, sconfitto dalle argomentazioni dell’amico.

“Sirius, credi davvero che…”

Non terminò la frase, e Dora sentì Sirius lasciarsi cadere pesantemente, probabilmente sul gradino accanto a lui: “Sei già stato amato, in passato. I tuoi genitori sapevano ciò che eri, noi sapevamo ciò che eri …”

“È diverso! – lo interruppe subito Remus – Dorcas …”

“Tonks non è Dorcas. Tonks sapeva prima ancora di conoscerti e, come noi a nostro tempo, questo non le ha impedito di volerti bene. Non punirla per questo, e non punire te stesso, Moony, la vita è troppo corta.”

Tacquero per qualche istante, quindi Remus aggiunse piano: “Sei diventato saggio, Padfoot.”

“Dodici anni ad Azkaban possono farti perdere il senno, ma visto che io non ne avevo molto da perdere in primo luogo devo averne accumulato un po’ strada facendo!”
 
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Erano da poco passate le otto quando Tonks si materializzò nel grande parco di casa di Rachel; una mano stretta sul collare di Snuffles, l’altra al sicuro nella morbida stretta di Remus. Respirò a pieni polmoni, grata di essere sfuggita almeno per una sera alla cappa di malinconia che era scesa su Grimmauld Place nei tre giorni precedenti.  

Aveva passato le mattinate al Ministero, sommersa dalla burocrazia del caso Hagrid, per poi tornare a casa Black e concentrarsi sull’incanto patronus e altri incantesimi difensivi, duellando ed esercitandosi con Sirius in cucina. Remus le era stato a distanza, evitando di trovarsi da solo con lei per più di cinque minuti, fino a quando, una sera, Tonks era inciampata su una gamba di Sirius che casualmente si era trovata sulla sua strada, volando addosso a Remus con tanto di piatto di pudding al cioccolato.

Lui l’aveva guardata allibito per un istante per poi scoppiare a ridere e stringerla a sé, scompigliandole i capelli. Sirius si era dileguato alla chetichella e, per quindici gloriosi minuti di focosi baci sul divano, Dora si era illusa che tutto fosse tornato come prima.

Sbirciò Remus da dietro la sua maschera fucsia, osservandolo mentre si aggiustava la veste antracite che Sirius aveva scelto per lui da uno dei guardaroba di Casa Black: “Smettila – lo riproverò bonariamente – stai benissimo. Andiamo a cercare Rachel e Mark; se non ti presento subito rischio la decapitazione.”

Trovare gli anfitrioni non si rivelò un’impresa facile; la grande casa coloniale della famiglia di Rachel svettava sullo sfondo, ma la festa si sviluppava nel grande parco illuminato da lanterne fluttuanti che serpeggiava giù fino alla spiaggia, dove grandi onde si infrangevano sulla costa rocciosa della Cornovaglia. Una quarantina di persone chiacchieravano, mangiavano o ballavano nella penombra tutto attorno e Tonks sgusciò tra i capannelli con uomo e cane al seguito fino ad individuare la sua migliore amica in un appariscente abito rosso e maschera d’oro al centro di un gruppetto di amici.

Dora si fermò appena in disparte, cercando di attirare l’attenzione con piccoli cenni. Fu Mark a notarla, e a pilotare discretamente la sua fidanzata verso l’improbabile terzetto. Non appena li ebbe individuati, Rachel lanciò un urletto e si precipitò ad abbracciare Remus, schioccandogli due sonori baci sulle guance: “Reeemuuuus! – trillò – Non sai quanto sono felice di conoscerti, finalmente! Tonks non fa che parlare di te da mesi, mai vista in uno stato simile, devi essere davvero una persona speciale!”

Dora si sentì diventare bollente, grata che la maschera camuffasse il suo rossore, ma Rachel aveva la sua intera attenzione concentrata su Remus, che ascoltava quasi frastornato il flusso incessante di parole che la ragazza stava riversando. Con sorriso bonario, Mark porse il braccio a Dora e la guidò delicatamente verso il bar, raccontandole del weekend in Grecia che aveva regalato loro per Natale. Snuffles, inosservato, si posizionò strategicamente accanto al barbecue, dove stavano rosolando pile di costine.

Tonks accettò grata una tazza di punch e scelse uno dei piatti assortiti che comparivano a intervalli regolari sul lungo banco del buffet e si accodò a Rachel e Remus verso il tavolo centrale dove già sedevano altri due commensali: la sorella maggiore di Mark, Anna, e…

“Bill!” esclamò Dora, accaparrandosi la sedia accanto al ragazzo che aveva riconosciuto immediatamente dall’inconfondibile orecchino e dalla lunga coda di capelli rossi che faceva capolino dai lacci della maschera.

“Tonks e… Remus, giusto? – li salutò lui con un sorriso e un cenno del capo – Come va? Passato un buon Natale?”

“Tutto ok, grazie – rispose Dora, posando con cura piatto e bicchiere davanti a sé – Tu? A casa tutto bene?”

Bill si scurì e sospirò piano, chinandosi verso di lei. Tonks notò con la coda dell’occhio l’espressione corrucciata di Anna e dovette trattenersi dal sogghignare: la sorella di Mark era carina, bionda e formosetta; non aveva dubbio che il suo 1995 sarebbe iniziato tra le braccia di Bill Weasley, nonostante la sua attenzione fosse stata brevemente dirottata altrove.

“Più o meno – mormorò lui - Ho colto l’occasione di avere tutta la banda a scuola quest’anno per portare i miei a passare qualche giorno in Romania da Charlie ma Perce non è venuto con noi. Ha disdetto all’ultimo ed è andato a Hogwarts.”

“Hogwarts!? – tossicchiò Tonks, invidiosa - Come diavolo ha fatto ad imbucarsi? Ho provato in ogni modo ad essere allo Yule Ball per il concerto delle Weird Sisters!”

“Non si è imbucato, ha sostituito il suo capo, Barty Crouch, che è malato.”

“Malato?” chiese Tonks, improvvisamente allarmata.

“Così pare – Bill si strinse nelle spalle – Percy è sempre molto vago, va fiero del suo lavoro e sostiene di non poterci rendere parte dei dettagli. Credo che, in parte almeno, si vergogni di essere associato alla nostra famiglia, sta parlando di trasferirsi a vivere da solo a Londra. Mamma è devastata.”

Dora gli posò una mano su un braccio, stringendo piano: “Bill, mi dispiace così tanto.”

Lui scrollò nuovamente le spalle: “Dopo la scuola io sono andato in Egitto e Charles in Romania, Percy ha probabilmente bisogno di trovare i suoi spazi. È una serata di festa, Tonks, non lasciamoci condizionare dall’idiozia passeggera di mio fratello! – posò con un sorriso un braccio sullo schienale della sedia di Anna, riammettendola nella conversazione – Conosci già Anna, immagino, non la vedevo dai tempi di Hogwarts, è stata Rachel a farci incontrare.” 

Dora sorrise, non aveva avuto il minimo dubbio che, fallito il tentativo di accoppiare un boccone ambito come Bill Weasley alla sua migliore amica, Rachel avesse tentato il colpo con la futura cognata.

“Sì, ci conosciamo da anni – rispose Anna cortese, come sempre – E tu e Remus? Come vi siete conosciuti?”

Tonks prese tempo, masticando un boccone con studiata lentezza, annaspando per una risposta. Fortunatamente, Remus accorse in suo aiuto con nonchalance: “Per lavoro – rispose – ho fatto da consulente per un caso a cui Nymphadora stava lavorando, temo di non poter rivelare più dettagli di così.”

“Merlino, ti lascia chiamarla Nymphadora… - sussurrò Rachel alzando gli occhi al cielo con aria divertita prima di aggiungere – E che cosa fai esattamente nella vita, Remus?”

Alla sua espressione imbarazzata, fu Dora ad intervenire questa volta: “Oh, Remus è uno studioso, oltre che un consulente. È specializzato in creature oscure, ha insegnato Difesa dalle Arti Oscure l’anno scorso a Hogwarts e al momento sta studiando una colonia di Murtlap, non è vero?”

Remus annuì, gli occhi tristi dietro la maschera, e si limitò a qualche commento mentre la conversazione si spostava inevitabilmente sulla scuola di Magia che li aveva tutti accolti e formati.

Più tardi, accantonati i piatti e bevuta qualche Burrobirra, Tonks prese Remus per mano, passeggiando con lui un poco distante dalla pista da ballo, dove il resto degli invitati si stava scatenando.

“Stai bene?” non riuscì ad evitare di chiedere.

Remus sospirò e si passò le dita della mano libera tra i corti capelli striati di grigio: “Sto bene, Dora, i tuoi amici sono molto simpatici ed è una bellissima festa, mi chiedo solo che cosa esattamente ci faccio qui… cosa gli altri pensino di… di noi…”

Dora si fermò, sfilandogli delicatamente la maschera per prendergli il viso tra le mani: “Smettila di fare le cose più difficili di come sono, Remus. Sei qui come chiunque altro, per fare festa, e sei qui con me, non c’è bisogno di spiegare altro.”

Si alzò sulla punta dei piedi, temendo fino all’ultimo secondo un rifiuto, ma Remus chinò un poco la testa, lasciandole posare un bacio gentile sulle sue labbra fredde. In quell’istante, con un botto improvviso, una flotta di Magici Fuochi Filibuster esplose sulle loro teste, illuminando a giorno la piccola baia. Con un abbaiare frenetico,  Snuffles si precipitò verso di loro, saltellando e scodinzolando. Tonks sorrise: “Buon 1995, ragazzi.”

Quando i tre si materializzarono di nuovo a Grimmauld Place nelle prime ore del mattino, Sirius protestò a gran voce che era necessario un ulteriore brindisi, dato che aveva passato la sera a bere acqua da una ciotola, e decise che l’occasione richiedeva di stappare una delle “bottiglie buone”. Ne finirono stappate ben più di una e quando Dora aprì gli occhi, il giorno seguente, dovette sbatterli più volte per scacciare la nebbia e capire dove fosse. Aveva un mal di testa imbarazzante, ed era parecchio indolenzita.

Si sollevò a fatica sui gomiti e realizzò di essere in camera di Sirius. L’uomo russava beatamente alla sua sinistra, supino, braccia e gambe aperte, occupando tre quarti del grande letto. Lei era schiacciata contro Remus, che era sdraiato su un fianco, pericolosamente vicino al bordo opposto. Erano ancora tutti e tre nei loro stropicciati abiti da festa, Sirius aveva ancora le scarpe.

La ragazza soffocò un brontolio e si tirò a fatica in piedi, attenta a non disturbare i due; barcollò fino alla porta e scese i gradini con cautela, aggrappata spasmodicamente al corrimano, ogni cosa che le girava attorno senza fare niente per migliorare la sua nausea.   

Il grande orologio a cucù della cucina segnava le tre del pomeriggio. Dora annaspò in un armadietto fino a trovare una pozione anti-sbornia, di cui Sirius era fornitissimo, e ben presto si sentì abbastanza bene da mettersi ai fornelli. Aveva appena posato in tavola uova strapazzate, pancetta e una pila di toast quando Remus e Sirius comparvero sulla porta, le facce stanche e i passi incerti. Mangiarono in silenzio, tutti ben consapevoli che quella notte brava aveva segnato la fine della loro convivenza e che, entro sera, ognuno sarebbe andato per la sua strada.

Infine, Dora posò la sua tazza di caffè e si passò una mano sul viso: “Credo sia giunto il momento per me di fare le valige – annunciò – Casa e il Ministero mi aspettano. Voi cosa avete intenzione di fare?”

“Io torno nello Yorkshire – rispose Remus, evitando il suo sguardo – le mie ferie sono finite e devo tornare al lavoro. Sirius sarebbe il benvenuto, ovviamente, ma credo abbia altri piani.”

La ragazza spostò l’attenzione sul cugino, che si rilassò contro lo schienale con aria sorniona: “Sono stanco di fare il recluso e voglio stare vicino a Harry. Tornerò a nord con Moony, recupererò il mio amico Buckbeak e poi credo andrò in Scozia. Non ho ancora fatto programmi precisi.”

“Farai attenzione, vero?” gli chiese preoccupata Tonks.

“Sempre” le strizzò un occhio lui, scompigliandole i capelli con affetto.

“E ora? – tornò a chiedere la ragazza – Abbiamo un modo di comunicare e una casa sicura, qual è la prossima mossa?”

Remus intrecciò le dita davanti a sé e mormorò: “Continuiamo a tenere le orecchie aperte, a captare segnali, a capire chi potrebbe essere dalla nostra parte. Quel tuo collega del Ministero ad esempio, Shacklebolt, il Preside lo vorrà incontrare.”

“Possiamo provare ad organizzare un incontro per la seconda Prova del Torneo, il 24 Febbraio.”

“Mi sembra una buona idea, e nel frattempo la nostra priorità rimane trovare Pettigrew.”

Si salutarono nel polveroso corridoio di ingresso qualche ora dopo, a bassa voce per non svegliare il dipinto poco lontano. Dora fronteggiava i due uomini con la borsa ai suoi piedi e una certa malinconia dentro. Sirius la stritolò in un abbraccio, posandole un bacio sui capelli: “Abbi cura di te, cuginetta, e non stare in pensiero per me. Sono un sopravvissuto, starò bene, te lo prometto.”

Mosse quindi qualche passo in disparte, lasciandole un attimo di privacy con Remus, che sospirò profondamente prima di passarle le braccia intorno alla vita, tirandola a sé. Lei si aggrappò al suo maglione, alzandosi in punta di piedi per posargli il capo nell’incavo della spalla.

“Grazie, – le mormorò in un orecchio – sono stati davvero bellissimi giorni. Ogni momento che ho passato con te … io …”

Si interruppe, e Dora capì che era nuovamente un arrivederci; erano stati bellissimi giorni, bellissimi momenti, ma non erano una coppia. Non lo sarebbero stato. Almeno per ora.

Gli prese il viso tra le mani e lo guardò dritto in volto: “Grazie a te, per avermi permesso di starti vicino. Ricordati di sorridere, ogni tanto, e di volerti bene. E non sparire, ok?”

Remus non rispose. Dora gli fece chinare il capo e gli posò un bacio su una guancia.

“Arrivederci, Remus.”


 
[1] Jackrabbit è tradotto in italiano come “lepre americana” ma visto che la traduzione è pessima ho lasciato l’originale
[2] Mitto viene dal latino “mandare/inviare”. Non ho trovato da nessuna parte l’incantesimo usato per inviare i patroni con dei messaggi e quindi ho deciso di ricalcare la formula originale: Expecto “sono in attesa di/mi aspetto” patronum.
[3] La canzone è “Do the Hippogriff” delle Weird Sisters con il testo e la musica della canzone com’è nel film di “Il calice di Fuoco”
 
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 - Gennaio 1995 ***



Capitolo 18 – Gennaio 1995

 
Per due settimane, Londra era rimasta chiusa in un’insolita morsa di freddo, il cielo perennemente grigio e carico di pioggia. Non che Tonks avesse di che lamentarsi; passava le giornate alla scrivania del Dipartimento, sommersa nella burocrazia del caso Hagrid, e le serate sul divano davanti al camino, ugualmente sommersa dalla burocrazia del caso Hagrid.

Il fatto che uno stupido articolo sul Profeta avesse generato quell’ondata di polemica e avesse riaperto la questione dell’inserimento dei giganti all’interno della società magica poteva spiegarsi solo accettando che, per quanto tutti avrebbero preferito andare a cena con una manticora piuttosto che ammetterlo, la gente iniziava ad avere paura.

Come se tutto questo non fosse già abbastanza, Dora era stata affiancata, tra tutti gli impiegati dell’Ufficio Creature Magiche, proprio da Amos Diggory, che non faceva altro che parlare tutto il giorno di quanto fosse meraviglioso che il suo meraviglioso figlio fosse il meraviglioso campione di Hogwarts nel TreMaghi. 

Compilare un dossier in grado di scagionare Hagrid non era stato semplicissimo, ma Dora si era fatta inviare da Hogwarts un plico di lettere di genitori dei ragazzi che si opponevano coloritamente al licenziamento. Insieme alla buona parola del Preside e al fatto che, in decenni, Hagrid non avesse mai avuto comportamenti violenti, sarebbe bastato. Per ora almeno.

La mattina della conferenza stampa che avrebbe annunciato il verdetto, Dora si presentò in ufficio un’ora prima del solito, con indosso la sua sobria veste per le occasioni ufficiali e con i capelli scuri chiusi in uno chignon, il riflesso violaceo quasi invisibile.

Stava rileggendo nervosamente la sua relazione quando Kingsley fece capolino al suo cubicolo con un sorriso incoraggiante: “Pronta, Auror Tonks?”

Lei gli rifilò un’occhiata sconsolata: “Penso che vomiterò. Lo sai che sono negata in queste cose.”

“Se devi vomitare, ti prego, non su di me! Ho un appuntamento per pranzo – sogghignò il mago per poi batterle una mano sulla spalla – Coraggio, non può essere peggio dell’ultima volta, no?”

Dora soffocò un mugolio: alla sua ultima conferenza stampa era inciampata, facendo cadere tutte le pergamene, e sulle pergamene era caduta la tazza di bevanda al ginseng che aveva portato con sé nella speranza che le desse un’aria più confidente.

“Basta che ti ricordi le due regole base, Tonks” riprese Shacklebolt.

“Falla breve e non usare paroloni” disse la ragazza, imitando la voce burbera di Alastor Moody.

“Esatto: corto e semplice – annuì Kingsley - Ora vai, o non ti alzerai mai da quella sedia.”

Dora accettò il consiglio e si avviò fuori alla velocità di una lumaca cornuta con l’artrosi, imboccando il corridoio e l’ascensore per sbucarne poco dopo al piano otto, nel grande Atrio.

Passò accanto alla Fontana dei Magici Fratelli e si fermò per un istante ad osservare l’insieme dorato: un mago e una strega con l’aria nobile e le bacchette sfoderate e, ai loro piedi, un centauro, un goblin e elfo domestico che li osservavano con aria di adorante sudditanza. Fratelli, come no…

Passava davanti a quella fontana ogni mattina da anni e mai aveva pensato a quanto quella scultura, nel cuore della comunità magica, fosse la testimonianza lampante del suo razzismo e della sua ipocrisia. Remus le aveva davvero aperto gli occhi. Razzismo ed ipocrisia era stato ciò che aveva creato il terreno fertile che aveva permesso a qualcuno come Voldemort di prendere il potere. Quante vite innocenti avrebbero dovuto ancora essere sacrificate prima che la comunità magica imparasse dai propri errori?

Riprese a camminare rassegnata, schivando i colleghi che sfrecciavano verso i cancelli, i camini o gli ascensori, e raggiunse l’ingresso laterale della sala stampa. Diede un’occhiata all’orologio e prese un gran respiro; tenne gli occhi ben fissi su dove stava mettendo i piedi fino a quando non ebbe raggiunto la sua postazione e la pergamena con il suo comunicato fu al sicuro sul leggio.

Solo allora alzò lo sguardo sui presenti; c’erano l’archivista del Ministero, con la sua solita aria desolata, un paio di colleghi di altri Dipartimenti, qualche giornalista di testate minori e un inviato del Profeta con fotografo al seguito. Almeno, si consolò mentalmente Dora, non era Rita Skeeter, che era probabilmente ancora accampata ad Hogsmeade in attesa di qualche pettegolezzo succoso.

Proprio mentre la ragazza si stava umettando le labbra, pronta ad iniziare, la grande porta sul fondo si aprì e fece capolino una strega anziana, con una mantella di tartan sopra una veste verde scuro. Prese posto rigidamente in una delle poltroncine dell’ultima fila e incrociò le mani in grembo. Era solo logico che la scuola fosse presente, visto che era uno dei suoi dipendenti l’oggetto dell’annuncio, ma Dora non si era affatto aspettata di vedersi comparire la Professoressa McGonagall così all’improvviso … come se parlare in pubblico non fosse già abbastanza difficile!

Si schiarì la voce e iniziò: “Buongiorno, sono l’Auror Tonks, della sezione Detenuti e Ricercati e incaricata al fascicolo JTK7754207 Rubeus Hagrid in merito alla sua natura di mezzo-gigante e la compatibilità di questa con il suo incarico di guardiacaccia e professore presso la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.”

Breve e semplice, breve e semplice si ripeté un paio di volte, cercando di ignorare gli occasionali puff della macchina fotografica. Scorse rapidamente il rapporto, quindi prese un gran respiro e concluse: “Pertanto, Rubeus Hagrid è considerato soggetto non pericoloso e non a rischio. Non ci sono motivi che ci portano a credere che debba essere allontanato dal suo ufficio, può essere reintegrato nel suo posto con effetto immediato. È tutto, rimango disponibile per ulteriori chiarimenti, grazie dell’attenzione.”

Ci furono un paio di domande, un ultimo flash della macchina fotografica, e la gente iniziò ad andarsene alla spicciolata. Solo la professoressa McGonagall rimase in piedi vicino alla porta, sorridendo soddisfatta, e Dora le andò incontro, fermandosi solo a scambiare un paio di commenti e strette di mano con i colleghi.  

La donna le posò le mani sottili sulle spalle, guardandola con approvazione: “Oh, Nymphadora, è un piacere rivederti! Ottimo lavoro! Ho sempre detto a Pomona che non aveva capito nulla di te: avrai anche avuto qualche problema di disciplina, ma hai un gran cuore, e il Ministero ha bisogno di più gente come te.”

Tonks strusciò i piedi a terra, imbarazzata: “Grazie – mormorò – cerco solo di fare del mio meglio…”

La professoressa annuì, lasciandola andare e aggiustandosi il cappello sul capo: “Ma certo – disse – leale e gran lavoratrice, una vera Hufflepuff! Mi sembra di ricordare un altro della tua casa che abbia intrapreso la carriera da Auror …”

“Sì, Kingsley Sha…” si interruppe di colpo, sgranando appena gli occhi. Di certo la direzione che la conversazione stava prendendo non poteva essere una coincidenza.

“Shacklebolt – si riprese subito – Kingsley Shacklebolt, è un buon amico oltre che un collega.”

“Giusto, Shacklebolt, ottimo studente… - quindi cambiò improvvisamente argomento - Ti porto i ringraziamenti del Preside, che mi ha detto di chiederti se hai passato un buon Natale.”

A quel punto, Tonks percepì distintamente le guance diventare paonazze, mentre la McGonagall la guardava impassibile, con la stessa espressione che avrebbe avuto se l’avesse appena informata di aver preso Troll in Trasfigurazione. Solo dopo qualche istante di turbinio frenetico il cervello della ragazza recepì cosa la domanda aveva voluto dire: “Oh, Natale! Ah! Sì – rispose, concentrandosi per mettere insieme qualcosa più di una serie di monosillabi – Vacanze … produttive, grazie.”

La donna sorrise e inclinò appena il capo: “Molto bene, sono sicura che sarà felice di saperlo. Arrivederci, Nymphadora.”

Qualche minuto dopo, Tonks imboccò il corridoio verso l’ufficio cercando di mettere ordine nelle informazioni appena raccolte. Era evidente che, qualsiasi cosa fosse quello che il Preside stava mettendo in piedi, la McGonagall ne era parte. Chi altri? Mad-Eye, probabilmente.

Aveva ricevuto una lettera esilarante per Natale, in cui il suo vecchio mentore le aveva raccontato di non aver avuto più problemi di disciplina dopo aver trasfigurato suo cugino Draco in un furetto il primo giorno di lezione, ma nemmeno una riga al di fuori di auguri e aneddoti. Non che ci fosse da aspettarsi qualcosa di diverso da Mr. Vigilanza Costante.

Dunque Dumbledore, la McGonagall, Moody, Sirius, Remus e lei. E, se aveva colto correttamente l’accenno discreto della professoressa, Kingsley era sulla buona strada per unirsi presto a loro. 

Varcata la soglia dell’Ufficio realizzò che tutti i cubicoli erano deserti, ma dalla porta socchiusa della Sala Riunioni trapelavano voci attutite. Scivolò dentro, individuando senza sforzo Shacklebolt e affiancandosi a lui: “Convocazione straordinaria” sussurrò il mago, indicandole con un cenno del capo Scrimgeour che, seduto al grande tavolo al centro della stanza, stava parlando concitatamente.

“… si tratterà quindi di una task force interdipartimentale. Vogliono un Obliviatore e due Auror da affiancare al rappresentante dell’Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici e all’inviato dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale. Il mio suggerimento è che vada qualcuno di Cooperazione e Coordinamento e qualcuno di Protezione e Tutela, ma non sono requisiti vincolanti. Non posso dirvi quanto starete via, l’Albania è …”

Tonks smise di ascoltare e si aggrappò alla manica di Kingsley, fissandolo con una muta domanda. Lui annuì impercettibilmente: “Ordini dall’alto, mandano una squadra a cercare Bertha Jorkins.”

Lei chinò il capo senza commentare, senza dare retta all’istinto che l’avrebbe spinta a gridare “E’ troppo tardi!” Quando, poco dopo, trovati i due candidati, gli auror tornarono al lavoro, lei si appollaiò sulla scrivania di Kingsley, raccontandogli brevemente della sua conferenza stampa e dell’incontro con la McGonagall.

“Ho già fatto domanda per andare a scuola per la Seconda Prova – mormorò il mago, rivolgendole uno sguardo d’intesa – Tu, invece? Hai qualche altro compito ora?”

Tonks scosse il capo, sistemandosi il ciuffo dei capelli, nuovamente corti e brillanti: “No, devo finire di smaltire un po’ di burocrazia ma, visto che ho lavorato nelle vacanze di Natale, il capo mi ha dato una settimana libera con reperibilità solo al bisogno.”

“E immagino tu non abbia intenzione di sprecarla con cose triviali tipo riposare.”

“In effetti no – sogghignò lei – Anzi, se vuoi scusarmi …”

Scrimgeour si stava dirigendo in quel momento verso l’uscita e Tonks si affrettò ad intercettarlo prima che potesse andarsene: “Capo, ha un secondo?”

Lui sospirò: “Solo se è davvero un secondo, Tonks, ho una riunione con il Ministro.”

Dora estrasse una pergamena dalla tasca e gliela tese con un sorriso smagliante: “Ho solo bisogno una firma per la Biblioteca, pensavo di usare la mia settimana libera per fare un po’ di ricerca.”

“Dovresti usare la tua settimana libera per rimetterti in forma” ribatté l’Auror, ma firmò rapidamente per poi restituire il permesso alla ragazza.

Quando tornò verso Kingsley, il mago la guardò storto: “Spero vivamente che tu non abbia fregato il vecchio leone facendogli firmare qualcosa di straforo.”

“No, – lo tranquillizzò lei – è davvero un permesso per la Biblioteca, ma sai bene che Scrimgeour non firma niente senza averlo letto e riletto almeno sei volte, e se volevo evitare domande scomode la mia unica speranza era prenderlo in un momento in cui era in ritardo, stava pensando ad altro, ed era arrabbiato nero con qualcuno di diverso da me, per una volta.”

“E per quale Reparto, esattamente, hai bisogno di un permesso che ti avrebbe causato domande scomode?”

“Il 36, ovviamente.”
 
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Dora si materializzò in fondo ad un vicolo nella zona dei moli della sponda sud, alzò il bavero del cappotto e respirò a fondo nella sciarpa, cercando di tenere a bada il freddo pungente. Si avviò a passo svelto seguendo il corso pigro del Tamigi, diretta ad un complesso di vecchi magazzini fluviali dall’aria decadente.

Qualche architetto babbano aveva, nel tempo, avuto la brillante idea di riconvertire quell’area abbandonata in un centro commerciale, un parco divertimenti, un impianto museale o chissà qualche altra cosa ma, per una qualche ignota ragione, i progetti erano sempre stati abbandonati.

L’ignota ragione era, ovviamente, che i vecchi magazzini celavano la più grande biblioteca di testi magici esistente in Europa, accuratamente protetta da una serie di incantesimi. Tutti potevano accedere alla biblioteca e consultarne i volumi, ma c’erano alcuni settori che contenevano testi pericolosi, o informazioni riservate, a cui si poteva accedere solo con permessi speciali.

Il Reparto 36 ospitava l’unico archivio esistente su Voldemort; le cronache degli anni della Guerra Magica, gli elenchi delle persone coinvolte da entrambe le parti, le ricerche svolte sugli incantesimi e sulle maledizioni utilizzate e le trascrizioni dei processi. Era un reparto pericoloso, oscuro e generalmente evitato, e la strega al desk della reception rabbrividì inconsciamente quando Tonks le mostrò il foglio di accesso firmato da Scrimgeour.

L’intera area era sempre deserta, quindi Dora poté colonizzare un grande tavolo vicino alla vetrata che si affacciava sul fiume e stendere davanti a sé una grande pergamena. Quindi, armata di penna e inchiostro, iniziò a stilare un brainstorming.

Aveva deciso di concentrarsi sui mangiamorte, sui sostenitori del signore oscuro, che erano con tutta probabilità coloro che erano dietro a tutti i sinistri accadimenti degli ultimi mesi. Chi erano? Quanti erano? Come si riconoscevano? Che atteggiamenti ricorrenti seguivano? Quanti erano ad Azkaban e quanti erano stati individuati ma rimessi in libertà?

Fu nel pomeriggio del terzo giorno di ricerche, quando ormai pile di libri giacevano sul pavimento, mucchi di carta sul tavolo e la pergamena del brainstorming, appesa al muro, non aveva più un angolo bianco, che Tonks si fermò, le mani sui fianchi, fissando le due parole che erano rimaste cerchiate ed evidenziate nel suo delirio: Marchio Nero.

Quello era la chiave di tutto. L’inquietante simbolo del signore oscuro non solo veniva proiettato nel cielo come macabra rivendicazione di atroci crimini, ma era anche tatuato magicamente e indelebilmente sull’avambraccio dei mangiamorte quando giuravano la loro fedeltà alla causa. Solo qualcuno con il marchio sul braccio poteva farlo comparire nel cielo.

Il Marchio Nero era comparso alla finale della Coppa del Mondo, evocato dalla bacchetta di Harry Potter, e un pettegolezzo aveva rapidamente fatto il giro del Ministero: si diceva che l’elfa domestica di Barty Crouch fosse stata trovata con la bacchetta incriminata.

Tonks si sedette pesantemente a terra, la testa in grembo. Era già difficile credere che la creatura avesse evocato il Marchio Nero, ma la recente scoperta di Tonks rendeva il fatto del tutto impossibile. E allora chi? Qualche ex, o non molto ex, mangiamorte avrebbe potuto rubare la bacchetta del ragazzo per poi incolpare l’elfa di Crouch? Perché proprio l’elfa di Crouch?

Dora provò emozioni contrastanti nel ricordare distintamente chi era stato seduto per tutta la durata della partita dietro ad Harry in tribuna. Suo zio: Lucius Malfoy.

Accantonò il pensiero con un brivido, le sue domande avrebbero dovuto aspettare. Era invitata a cena a casa Weasley quella sera, e doveva ancora fare un bagno e passare da sua madre a prendere la torta che aveva commissionato.
 
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Dora non poté fare a meno di sorridere quando si materializzò del giardino di The Burrow, guardando con malinconico affetto la casa salire sbilenca verso il cielo scuro, una luce calda e rassicurante che filtrava dalle finestre del pianterreno. Si avvicinò alla porta e subito la figura allampanata di Bill fece capolino sulla soglia, sventolando una mano nella sua direzione per poi andarle incontro: “Tonks! Bene arrivata!”

“Ciao, Bill – sorrise lei – ho portato il dolce.”

“Non avresti dovuto, ma grazie. E grazie per essere venuta – il ragazzo le prese la torta dalle mani e si rabbuiò un istante, aggiungendo a bassa voce – ci sarà anche Perce a cena, per la prima volta da quando si è trasferito a Londra, e la mamma è un po’ in difficoltà. Ho pensato che avere un ospite avrebbe alleggerito un po’ l’atmosfera.”

Prima che Tonks potesse rispondere Molly Weasley comparve sulla porta, le mani sui fianchi: “Bill! Che maniere sono? Falla entrare, su, su! Vieni qui e fatti guardare Tonks, come stai?”

La ragazza si lasciò abbracciare, confortata come sempre dall’istinto materno della donna: “Tutto bene, Molly. Grazie.”

“Avanti, entra, da quando Charlie è partito non ti abbiamo più vista abbastanza, non sai quanto sono stata felice di sapere da Bill che vi state frequentando!”

Tonks lanciò un’occhiata allarmata al ragazzo che si strinse nelle spalle, alzando gli occhi al soffitto come a dire: “Non è colpa mia, gliel’ho detto che siamo solo amici.”

La grande cucina era in pieno fermento, pentole borbottavano sui fornelli, il loro contenuto che veniva girato da cucchiai con volontà propria, coltelli tagliuzzavano cose e Celestina Warbeck cantava in sottofondo. Bill venne spedito fuori a prendere della legna e Molly indicò a Dora una pila di piatti e bicchieri: “Ti dispiace, cara?”

“Affatto!” sorrise Dora, afferrando con cura la pila e muovendo passi misurati verso il grande tavolo.

In quel momento la campanella appesa sopra la porta tintinnò e la voce di Mr. Weasley lanciò un gioviale: “Buonasera, Weasleys!”

“Buonasera, Arthur” rispose Tonks con entusiasmo. Un po’ troppo entusiasmo in effetti, perché piroettò su se stessa dimenticandosi completamente di avere tra le braccia i piatti, che volarono in un grazioso arco, uno dopo l’altro, a schiantarsi sul pavimento.

“Oh, Merlino! Mi dispiace così tanto!” esclamò mortificata, ma Arthur scosse la testa divertito, posandole una mano su una spalla.

“Non c’è problema, ci penso io! Perché non ti siedi lì e intanto mi racconti di come sta andando al lavoro? Hai fatto un ottimo lavoro con Hagrid a proposito …”

“Insomma, pa’ – intervenne Bill, comparendo con un carico di legna sottobraccio – direi che possiamo lasciare perdere il lavoro, almeno per una sera.”

“Bill ha ragione! – concordò Molly mentre gli ultimi bicchieri fluttuavano dolcemente al loro posto – Dimmi piuttosto come stanno i tuoi genitori, Tonks. Non vedo Andromeda da anni!”

I tre presero posto a tavola, chiacchierando serenamente mentre Molly finiva di supervisionare la cena, infine, alle sette in punto, la campanella squillò di nuovo e questa volta fu Percy a comparire, impeccabile con un mantello bordeaux scuro sulle spalle e un completo gessato.

Calò improvvisamente un silenzio teso, quindi furono scambiati i saluti e il ragazzo prese posto rigidamente accanto a suo fratello, di fronte a Tonks. Per qualche minuto Perce raccontò dell’appartamento che divideva con un giovane collega, e di come si stava trovando a Londra, quindi la conversazione tornò a scemare.

Tonks si schiarì la voce, cercando un argomento che potesse essere neutro: “Devi avere un sacco di informazioni interessanti lassù alla Coordinazione Magica Internazionale – commentò – Puoi darci un’anticipazione della Seconda e Terza prova del Torneo?”

Percy posò la forchetta e si pulì la bocca con il tovagliolo prima di rispondere freddamente: “Certo che no. A differenza del resto della famiglia, io sono professionale.”

Tonks colse distintamente Arthur distogliere lo sguardo, gli occhi di Molly velarsi di lacrime e le nocche di Bill stringere la presa sulle posate fino a diventare bianche. Non si meritavano una cosa del genere, non i Weasley, che erano le persone più buone e accoglienti che avesse mai conosciuto.

Si sforzò di mantenere un’aria divertita e rise piano, attirandosi lo sguardo perplesso del resto dei commensali: “Avanti, Perce, lo conosci Charlie! – rispose, fingendo di non aver colto il riferimento – Lo sai che se ci sono draghi coinvolti non riesce proprio a tenere la bocca chiusa, è più forte di lui!”

Bill incrociò i suoi occhi attraverso il tavolo, riconoscente, mentre Percy continuava: “Il signor Crouch è malato e si è preso una vacanza, questo significa che la responsabilità del buon funzionamento del Torneo è sulla mie spalle, e non intendo comprometterla in nessun modo.”

Tonks sospirò teatralmente: “Hai ragione, Perce, d’altronde sei sempre stato quello con il senso della disciplina … non possiamo avere tutti gli stessi talenti, no?”

“Immagino – acconsentì Percy, per poi aggiungere – e forse qualcuno dovrebbe ricordarlo a Ludo Bagman. Sarà anche stato un buon giocatore di Quidditch ma è vergognoso che una persona del genere sia finita a dirigere un Ufficio Ministeriale. Uno con il suo passato poi …”

Tonks lo guardò senza capire: “Con il suo passato? Cosa intendi dire?”

“Bagman ha passato informazioni ai sostenitori di Tu-Sai-Chi quando …”

“Percy! – lo interruppe Arthur – Queste sono informazioni riservate, di certo non l’argomento adatto ad una cena tra amici. Inoltre, ti ricordo che Ludo è stato completamente scagionato: Augustus Rookwood era un amico di famiglia e Ludo non aveva modo di sapere che fosse un mangiamorte.”

Tonks era vagamente consapevole di essere rimasta a bocca aperta e occhi sgranati, il cervello che compiva gli ormai consueti collegamenti, aggiungendo l’informazione al suo file mentale. Immaginare Ludo Bagman a evocare il Marchio Nero era ancora più assurdo di incolpare l’elfa domestica. Eppure Bagman era stato in tribuna con Harry la sera della Finale, ed era ad Hogwarts quando il nome del ragazzo era comparso nel Calice e, con Crouch misteriosamente malato, era rimasto l’unico ad avere in mano le sorti del Tremaghi…

La ragazza provò un istante di panico e si affrettò a portarsi alle labbra un bicchiere: non c’era davvero nessuno di cui ci si potesse fidare?

Quando, infine, anche il dolce fu scomparso dai piatti, e gli uomini si furono accomodati sul divano davanti al camino, Tonks si affiancò a Molly, che stava supervisionando il lavaggio delle stoviglie.

“Grazie – le mormorò la donna con un sorriso un po’ triste – per quello che hai fatto a cena. A volte ho l’impressione che Percy, che lui…”

“Non ci pensare, – la interruppe Dora posandole una mano su una spalla – passerà.”

“Tonks …”

“Sì, Molly.”

“Voglio che tu sappia che sei la benvenuta in questa famiglia, sempre. Saresti … molto … benvenuta” aggiunse poi, e gli occhi le caddero, forse inconsciamente, sulla figura di Bill che stava ravvivando le fiamme, seduto sui talloni con l’attizzatoio in mano, il profilo elegante e ribelle illuminato nella penombra.

Dora sospirò, chiedendosi perché il mondo dovesse essere così balordo. Se solo si fosse innamorata di Bill Weasley, metà dei suoi problemi si sarebbero pacificamente risolti. Invece, mentre la ragazza si stringeva nel mantello, avviandosi sotto le stelle dopo aver dato la buonanotte ai Weasley, non poté fare a meno di dedicare il suo ultimo pensiero della giornata, come sempre, a Remus. 

 
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Winky, Malfoy, Bagman … la trama si infittisce! Come sempre mi sono divertita un sacco a ricostruire le investigazioni di Tonks, andando di pari passo con il libro. Non ricordavo assolutamente che nessuno sapesse dell’esistenza del Marchio Nero sulle braccia dei Mangiamorte né delle accuse a Bagman se non gli addetti ai lavori (Sirius non lo sa, Calice di Fuoco Capitolo 27) e quindi ho deciso di ripartire da lì. Spero vi sia piaciuta la comparsa della Biblioteca pubblica e la sua collocazione perché è una cosa di cui vado mediamente fiera ;) Infine, amo i Weasley e li infilo nella trama ogni volta che posso, e volevo lanciare un aggancio al fatto che Molly spera di poter accoppiare Bill con Dora!

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 - Febbraio e Marzo 1995 ***



Capitolo 19 – Febbraio e Marzo 1995
 

Dora si stiracchiò sulla poltrona, allungando pigramente i piedi verso il tepore del camino, le dita arricciate dentro le sue buffe calze a righe viola e arancioni. Continuò a ridacchiare sommessamente per la storia che suo padre le aveva raccontato e si posò le mani sulla pancia gonfia: sua madre non aveva fatto sconti con la cena.

Andromeda prese posto sul divano di fronte a lei, mentre Ted sparecchiava la tavola. Madre e figlia si godettero qualche istante di sereno silenzio prima che la donna sorridesse: “Allora, Dora, come procedono le tue investigazioni? Possiamo aiutarti con qualcosa?”

Tonks sobbalzò, il suo coma da cibo bruscamente interrotto da quelle parole. Per tutta la sera aveva fatto in modo di evitare l’argomento lavoro, ma avrebbe dovuto sapere che non c’era modo di sfuggire a sua madre. Si chiese per un istante se fosse una legilmens, quindi scacciò bruscamente il pensiero e sospirò: “Sono solo stanca, – mormorò – sto cercando di trovare collegamenti annaspando senza uno straccio di prova.”

Esitò un istante prima di trovare il coraggio di aggiungere: “Mamma, credi sia possibile che la tua famiglia sia coinvolta?”

Andromeda spazzolò invisibili granelli di polvere dalla lunga gonna di feltro che indossava, evitando il suo sguardo: “Perché me lo chiedi?”

“Tutti sanno dei Lestrange, ovviamente, ma credi che zia Narcissa e suo marito fossero Mangiamorte? Conosci il Marchio Nero? Sai se …”

Andromeda si alzò improvvisamente dal divano, dando le spalle alla figlia senza darle modo di cogliere l’espressione sul suo volto. Dora la vide attraversare la stanza fino alla finestra e abbracciarsi il petto prima di rispondere piano: “Se mi stai chiedendo se mia sorella è marchiata… non lo so. Ho perso ogni contatto con lei e Bella quando ho iniziato a uscire con tuo padre, e finita Hogwarts non le ho quasi più viste. Dopo la guerra, Lucius riuscì a convincere il Wizengamot di aver agito sotto Maledizione Imperius ma ho i miei dubbi. Non posso essere certa che fosse un Mangiamorte, ma la sua posizione era notoriamente radicale, lo è sempre stata.”

Tonks si passò due dita sulla fronte; per quanto sapesse che era doloroso per sua madre parlare di quelle cose, non poté fare a meno di aggiungere: “Alla finale della Coppa del Mondo, il Marchio è stato evocato con la bacchetta di Harry Potter e il ragazzo era in tribuna con i Malfoy. Potrebbe essere stato Lucius?”

Andromeda tornò a guardare la figlia con aria triste, scuotendo appena il capo: “Ne dubito. Lucius è un codardo, vedi. Arrivista e arrogante, sicuramente, ma codardo. Teme il ritorno del Signore Oscuro, teme di perdere i privilegi che ha e di essere punito per il suo tradimento. No, non credo proprio che avrebbe compromesso la sua posizione senza certezza di un guadagno in ritorno.”

Dora mugolò e chinò il capo, sconfitta: “Potrebbe effettivamente essere stato Pettigrew, allora, o chiunque altro. C’è stata una gran confusione quella notte; nel buio e nel delirio collettivo non sarebbe stato troppo difficile sfilare la bacchetta dalla tasca di un ragazzo spaventato. Non c’è nessuna pista da seguire.”

Andromeda posò una mano sulla spalla della figlia: “Dora, che cosa ti aspettavi? Lo so che eri solo una bambina all’epoca della guerra, ma i sostenitori del Signore Oscuro erano ovunque: tra gli amici, tra i famigliari, i compagni di scuola, nel posto di lavoro. E tu stai cercando un colpevole in centinaia di migliaia?”

“Ma ci deve essere un collegamento – rispose Tonks, convinta – Il Marchio Nero alla Coppa e il nome di Potter nel calice di Fuoco non possono essere solo coincidenze. Ripartirò da Karkaroff.”

“Karkaroff? – chiese in quel momento Ted, facendo capolino in sala – Non è il Preside di Durmstrang?”

“So che è un pessimo motivo sospettare di qualcuno solo perché non si ha un’alternativa migliore, - sospirò la ragazza - ma sappiamo che non può essere stato nessuno studente ad ingannare il Calice, né nessuno che Dumbledore abbia assunto, quindi chi mi rimane?”

Sbuffò piano, per poi aggiungere: “E Dumbledore si ostina a non volere Auror che pattuglino il castello! Immagino che si senta abbastanza tranquillo con Mad-Eye all’interno della scuola, ma tutte le volte che penso a quelle centinaia di ragazzi chiusi là dentro mi viene come un brivido lungo la schiena.”

“Non c’è nulla che puoi fare, cara – sorrise Andromeda – dovresti cercare di pensare ad altro, vedere gli amici … deduco che con Remus le cose non abbiano funzionato?”

Dora saltò sulla poltrona, paonazza: “Come? Cosa? Remus?”

“Sì, Remus. Non è che non mi faccia piacere averti a cena, Dora, ma avrei sperato che avessi qualcuno di più interessante con cui passare la sera di San Valentino.”

Dora si schiarì la voce: “Bah… è una festa stupida in ogni caso…”

Si alzò, fuggendo dalla sala con una scusa, e non notò lo sguardo affettuoso e divertito che i suoi genitori si scambiarono dietro la sua schiena.
 

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Con il calendario ormai sulla pagina di marzo, le temperature si stavano facendo più clementi, nonostante il vento e la pioggia non avessero smesso di incombere sul sud dell’Inghilterra.

La seconda prova del Torneo Tremaghi era arrivata e se n’era andata senza intoppi, se non una valanga di articoli più o meno lusinghieri usciti sulle varie testate. Kingsley era andato ad Hogwarts ed era passato indenne dall’enigmatico scrutinio del Preside, Percy Weasley continuava a sostituire Barty Crouch e Tonks aveva la spiacevole sensazione che stesse succedendo qualcosa di grosso, qualcosa da cui era completamente tagliata fuori, che le stava venendo nascosta.

Era appena rientrata in casa bagnata fradicia, stramaledicendo il diluvio che si stava abbattendo sulla città, quando un grande lupo argentato apparì in corridoio, facendola piombare a terra per lo spavento.

“Ciao, Nymphadora, – disse il Patronus nella calda e rassicurante voce di Remus, e la ragazza rimase congelata sul pavimento – spero tu stia bene. Stavo pensando che potrebbe farti piacere avere qualche aggiornamento e mi chiedevo se avessi voglia di vederci, il prossimo fine settimana magari. A presto… spero.”

Dora si lasciò cadere all’indietro lunga e distesa, intrecciando le mani sotto la testa, e si crogiolò per qualche istante nell’adorabile sensazione di calore che la stava assalendo. Due mesi, erano passati due maledettissimi mesi durante i quali si era dovuta costringere più e più volte a non cercarlo, a non forzarlo … ed era bastato sentire la sua voce per perdonargli la lunga assenza, per perdonargli qualsiasi cosa.

Estrasse la bacchetta dalla manica con un rapido gesto del polso ed evocò senza sforzo un patronus che le si accoccolò sul palmo della mano: “E’ bello sentirti, Remus – mormorò al roditore argentato – Vengo da te, Londra mi sta mandando fuori di testa. Mandami le indicazioni per raggiungerti e ci vedremo sabato.”

Si morse un labbro, cercando di contenere l’entusiasmo, infine si lasciò andare a aggiunse un rapido: “Mi sei mancato.”

Improvvisamente Londra, la pioggia, il Ministero, le indagini… nulla contava più. Di lì a quattro giorni avrebbe visto Remus.
 

 *~¤~°~¤~*~¤~°~¤~*~¤

 
Si era a malapena rimessa in piedi, ancora intontita dalla smaterializzazione, quando una violenta folata di vento la travolse, facendole nuovamente perdere l’equilibrio. Chiuse forte gli occhi, alzando le braccia per proteggersi dall’inevitabile urto, e crollò miseramente sulla sabbia fresca.

Da qualche parte sopra di lei, una sagoma si interpose al sole, facendole ombra; socchiuse un occhio e sentì il cuore iniziare a battere all’impazzata non appena ebbe messo a fuoco il viso sorridente e benevolo di Remus, che la squadrava con le braccia conserte su un cardigan panna.

“Benarrivata, Nymphadora.”

La ragazza sbuffò piano, sollevando il ciuffo violaceo dagli occhi e mettendosi a sedere abbandonando ogni pretesa di eleganza: “Ciao, Remus.”

Si prese un istante per guardarsi attorno, abbracciando con lo sguardo la grande spiaggia deserta su cui era comparsa, le onde che si infrangevano sul bagnasciuga sabbioso e il vento implacabile che ne portava il profumo e gli spruzzi fino a lei. Dal lato della terraferma erano protetti da piccole dune che nascondevano alla vista cosa ci fosse dall’altra parte.

Remus le tese entrambe le mani e la tirò delicatamente in piedi per poi tenerla vicina a sé, le loro mani unite posate sul suo petto. La guardò dritto in volto per qualche istante e Dora si sentì arrossire sotto quello sguardo affettuoso, tutto per lei.

Infine, Remus le lasciò andare una mano per spostarle qualche ciocca ribelle dietro un orecchio: “Sono felice che tu sia qui” le mormorò, senza distogliere lo sguardo.

Tonks non poté fare a meno di sorridere: “E io sono felice di essere qui” gli rispose, alzandosi sulla punta dei piedi per posargli un bacio leggero su una guancia ispida.

“Vieni, - disse allora lui, raccogliendo da terra la borsa della ragazza e facendole cenno verso le dune - togliamoci dal vento, non è distante.”

Lei lo seguì di buon grado, profondamente grata della mano forte e calda che stringeva ancora la sua.

In poco meno di un quarto d’ora avevano raggiunto un cottage di pietra e paglia, circondato da un piccolo giardino e un orto. Remus aprì il cancelletto e poi la porta, precedendola dentro. Un fuoco torbato ardeva pigro nel camino, i mobili erano in legno e avevano un’aria rustica e accogliente e una porta socchiusa si affacciava su quella che doveva essere la camera da letto.

Remus appoggiò la borsa di Dora sul divano, per poi passarsi una mano tra i capelli: “Non è molto ma…”

“È adorabile” finì la ragazza per lui.

L’uomo le rivolse uno sguardo gentile e fece per dire qualcosa, ma richiuse la bocca vedendo l’aria genuinamente felice di Tonks: “Lo credi davvero” commentò stupito.

Lei annuì, passando un palmo sulla superficie del tavolo per poi issarsi a sedere sul bordo senza troppa fatica, le gambe a penzoloni. Rivolse a Remus un sorriso sornione e gli fece cenno con l’indice di avvicinarsi. Lui esitò appena, con aria divertita, ma avanzò infine cautamente verso il tavolo, prendendo posto tra le sue gambe leggermente divaricate. Le posò le mani sui fianchi, sfiorandole la fronte con la sua.

Dora gli passò le braccia attorno al collo e si sporse avanti per un bacio. Aveva voluto essere un bacio dolce e leggero ma, quando si staccò dalle sue labbra con un piccolo sospiro, non riuscì ad allontanarsi. Rimase con il volto a pochi centimetri dal suo, cercando i suoi occhi, in cui lesse lo stesso bisogno, la stessa urgenza, a malapena repressa.

Un commento malizioso le morì sulla punta della lingua appena in tempo. Ricordò come fossero bastate poche parole, in precedenza, a rovinare tutto, e decise che non era disposta a rischiare di perdere quell’occasione in cui Remus sembrava disposto a mettere da parte le sue remore e permetterle di donarsi a lui. Non gli lasciò tempo di pensare troppo; gli fece passare le gambe attorno alla vita e si aggrappò alle sue spalle, premendosi contro di lui tornando a baciarlo.

Remus sprofondò il capo nell’incavo del suo collo, sollevandola senza sforzo, e attraversò la piccola stanza fino alla soglia della camera da letto. La posò a terra e Dora calciò via gli anfibi, afferrando al tempo stesso il maglione e la maglia che Remus indossava e tirando tutto dolcemente verso l’alto. Trattenne bruscamente il fiato quando vide la rete sottile di cicatrici che si rincorrevano sul suo petto, magro e sorprendentemente glabro. Cercò il suo sguardo, e vi lesse emozioni contrastanti.

Era immobile, sembrava a malapena respirare, i pugni stretti e le spalle tese; aveva negli occhi una triste determinazione, e un forte imbarazzo. Tonks percepì distintamente nella sua postura e nella sua espressione la certezza del rifiuto e, ancora una volta, si impedì di inondarlo di parole di rassicurazione e scelse invece di alzare con estrema cautela una mano ad accarezzargli il viso. Lui socchiuse gli occhi e il suo intero corpo fu scosso da un piccolo tremito. Dora gli strinse la via con il braccio libero e portò le labbra a sfiorare la grossa cicatrice che scendeva dalla clavicola destra fino a quasi all’ombelico.

Fece scorrere piano le dita lungo i suoi fianchi, ma quando raggiunse la fibbia della cintura, lui le prese entrambe le mani. Per un attimo fu il suo turno di temere il rifiuto, un senso di vertigine prima del vuoto mai provato prima, ma Remus si limitò a indirizzarla delicatamente verso il letto, facendola sdraiare di traverso sul copriletto fiorato per poi esalare piano contro il suo collo, chinando il capo per posare un bacio giusto sotto il suo orecchio, una mano che le sfiorava leggera un seno attraverso troppi strati di vestiti.

Si lasciò baciare per qualche istante, mentre Dora gli accarezzava piano la schiena e le spalle, segnate da altre cicatrici, quindi fece forza sugli avambracci e si sollevò un poco, quanto bastava a guardarla in viso. Qualche ciuffo castano gli ricadeva scompostamente davanti agli occhi chiari, dandogli un’aria insolitamente sbarazzina. La sua espressione, però, era seria.

Dora mugolò piano e abbandonò il suo buon proposito di stare zitta, posandogli un dito sulle labbra: “Ti prego, Remus, so cosa stai per chiedermi… non farlo, sai già qual è la risposta.”

Inaspettatamente, lui sorrise, baciandole il polpastrello: “Non volevo chiederti se sei sicura di volerlo.”

Lei inarcò le sopracciglia, stupita: “Oh! Che cosa volevi dirmi, allora?”

“Che voglio che questo succeda con te, Dora, voglio vedere te. Togli la metamorfosi, tutta.”

Lei si irrigidì appena, colta alla sprovvista: nessuno le aveva mai fatto quella richiesta. Era molto più probabile che le venisse chiesto, in modo più o meno serio, di alterare qualche caratteristica. Nessuno, se non i suoi genitori di sfuggita, l’aveva mai vista completamente priva di metamorfosi in età adulta. Ciò nonostante, non esitò, si aggrappò alle braccia di Remus con entrambe le mani e prese un grande respiro, strizzando gli occhi.

In un attimo, i capelli erano scesi a sfiorarle le spalle, di nuovo del loro anonimo colorito castano, il viso era tornato ad avere la sua infantile forma a cuore e il naso e gli zigomi si erano induriti. Esitò, chiedendosi che cosa avrebbe visto Remus in lei: Sirius in gonnella? O, peggio, una brutta copia di Bellatrix Lestrange?

Sentì un bacio leggero posarsi sulle sue labbra e si costrinse ad aprire gli occhi, incontrando l’espressione serena di Remus: “Grazie. Sei bellissima, Dora.”

Nymphadora non poteva, né voleva, negare di aver immaginato quello scenario decine di volte negli ultimi mesi, in platonici sogni ad occhi aperti quanto nelle ore più private della solitudine del suo letto. Tutto si era aspettata tranne il silenzio tranquillo della piccola camera rustica, con la sua carta da parati pastello e le tende coordinate con il copriletto, gli uccellini che cinguettavano nel sole fuori dalla finestra e Remus che faceva l’amore con lei con la dedicata delicatezza che lo contraddistingueva.

Rimase a lungo distesa mollemente su un fianco, il corpo nudo tenuto tiepido dal lenzuolo e gli arti troppo pesanti per essere spostati da dove stavano, una gamba di traverso su quelle di Remus, un braccio stretto attorno ai suoi fianchi snelli. Il petto sotto la sua guancia si alzava e abbassava a intervalli regolari; a tratti poteva sentire il suo respiro ancora laborioso sfiorarle i capelli, ma non poteva guardarlo in viso, il capo incastrato com’era in quella piega tra collo e spalla che sembrava creata apposta per lei. Chiuse gli occhi e respirò la sua pelle accaldata.

Quanto lo aveva desiderato! Perfino ora, completamente appagata, una parte di lei voleva salirgli in grembo, baciare ogni centimetro del suo corpo magro e segnato e trascinarlo in un tale vortice di passione che sicuramente il vecchio letto non sarebbe sopravvissuto indenne alla prova. Era riuscita a trattenersi, a lasciare che fosse lui a prendersi il tempo di esplorarla, accogliendo tanto il suo tocco gentile quanto la sua timidezza nell’essere a sua volta stretto e toccato.    

La grande mano calda che riposava sul suo braccio prese ad accarezzarla piano e Dora sprofondò il naso nel collo di Remus per un ultimo respiro prima di sollevarsi su un gomito, pregando di non trovare rimorso nei suoi occhi gentili. Fu una versione inedita di Remus che incrociò il suo sguardo, vulnerabile, ancora in pare incredulo, ma sicuramente non rammaricato. Gli sorrise e lui ricambiò, impacciato, tirandola a sé e posandole le labbra sulla fronte.  

 
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Il sole era ormai tramontato, e un fuoco scoppiettava allegro nel camino, quando Dora riemerse dal bagno tamponandosi i capelli umidi. Dall’altro lato della stanza, Remus le deva le spalle, supervisionando gli ultimi preparativi della cena. La ragazza lasciò cadere l’asciugamano su una sedia e si appoggiò al tavolo, mordicchiandosi un labbro: “Ehi, stai… bene?” 

Remus posò il cucchiaio di legno e si voltò con un’espressione stupita: “Bene? – ripeté, e in due lunghe falcate l’aveva raggiunta, posandole entrambe le mani sui fianchi – Merlino, Dora! Devo averti dato dei segnali ben contraddittori se devi farmi una domanda del genere!”

“Beh, sì. Non nell’ultimo paio d’ore! – si affrettò ad aggiungere lei con un sorriso affettuoso – Ma prima, mi sono chiesta più volte se… Ma non importa, qui e ora sono solo maledettamente felice.”

Posò una guancia sul suo petto e lui la tenne stretta, sospirando piano: “Anche io, Dora. Sono felice come non sono stato…”

Si interruppe, e Tonks si irrigidì inconsciamente, chiedendosi se Remus stesse pensando a Dorcas e a come gli avesse spezzato il cuore tanti anni prima. Due dita si posarono sotto il suo mento, facendole inclinare il capo verso l’alto, e nuovamente c’era incertezza sul viso dell’uomo quando mormorò piano: “Sarebbe patetico, o ti farei scappare via urlando, se ti dicessi che non credo di essere mai stato così felice nella mia vita?”

Dora si sentì mancare il respiro per un attimo, stordita dall’intensità delle emozioni che stavano travolgendo il suo piccolo cuore. Gli prese il viso in entrambe le mani, guardandolo dritto negli occhi: “Sono estremamente grata che tu mi abbia lasciato mostrarti come io ti vedo, che tu ti sia concesso di liberare questa parte di te, e che tu lo abbia fatto con me.”

E mentre Remus chiudeva gli occhi, stringendosela al petto e appoggiando il mento sui suoi capelli, nel cuore di Tonks si fece strada qualcosa di diverso: una scintilla di paura, il presentimento che la sua felicità non avrebbe più potuto prescindere dalla presenza di Remus Lupin nella sua vita, tra le sue braccia. Prima che potesse dare un nome, semplice e potentissimo, a quel presentimento, Remus le spostò una ciocca di capelli scuri dietro un orecchio: “Sirius manda i suoi saluti, mi ha scritto un paio di giorni fa.”

Dora sorrise, chiedendosi se la lettera del cugino fosse in qualche modo responsabile dell’imprevista, meravigliosa piega che aveva preso il suo weekend: “Come sta?”

“Bene, credo – rispose Remus, staccandosi delicatamente da lei per andare a mettere in tavola la cena – Se n’è andato da più di un mese, ormai, non so esattamente dove sia ma Dumbledore deve avergli trovato un posto sicuro non lontano dalla scuola. È in contatto con il giovane Harry, come intendeva fare, ma ha deciso di non dirgli che è stato in Inghilterra negli ultimi mesi; credo non voglia che il ragazzo si faccia delle idee su chi potrebbe essere coinvolto nella sua protezione.”

Appoggiò delicatamente i piatti sulla tovaglia quadrettata ed esitò, guardando Tonks che si era accoccolata su una sedia e stava spalmando un’abbondante dose di burro su una fetta di pane: “Ci sono novità da Hogwarts, Dora.”

Lei si bloccò con i denti nel pane, bofonchiando: “Buone o cattive?”

“Complicate. A detta di Harry, Barty Crouch è comparso a scuola – all’espressione sbalordita di Dora, Remus precisò – Non in veste ufficiale! Ricordi della mappa di cui ti ha raccontato Sirius? Harry l’ha visto su quella, pare stesse tentando di entrare nell’ufficio di Severus.”

Dora posò lentamente il pane sul piatto, la fronte corrucciata: “Tutto questo non ha senso. Continua a darsi malato, non mette piede al Ministero da mesi, smette di seguire il Torneo per poi sgattaiolare a Hogwarts di soppiatto? Come? E perché tra tutti i posti possibili proprio l’ufficio di Snape?”

Remus si strinse nelle spalle: “Credo che il fatto che qualcuno sia riuscito a manomettere il Calice sotto il suo naso sia stato un duro colpo per Barty, si dice che trovare maghi oscuri sia diventata un po’ una sua fissazione. Magari si è ritirato dalla vita pubblica per indagare per conto suo su che cosa stia succedendo a scuola? E Severus… Harry ha origliato una conversazione, pare che Karkaroff l’abbia avvicinato durate una lezione e gli abbia mostrato qualcosa sul suo avambraccio. Da quello che mi hai raccontato delle tue ricerche potrebbe essere…”

“Il Marchio Nero – finì per lui Tonks – su questo non c’è dubbio. Non può essere una coincidenza, Remus, e finalmente mi darebbe una risposta all’enigma di Crouch, che mi ossessiona da mesi.”

Tacquero entrambi per qualche istante, concentrati sul cibo, quindi Tonks brandì una forchetta e scosse la testa: “No, c’è ancora qualcosa che non mi torna. Karkaroff sarebbe nella posizione ideale per essere stato reclutato da Voldemort una seconda volta, chi meglio di lui per andare a Hogwarts e manomettere il Calice di Fuoco per far partecipare Harry al Torneo? Ma allora perché avvicinare Snape? Per cercare di reclutarlo alla causa? Sotto il naso di Dumbledore? Non ti sembra un po’ troppo… dilettantistico per un mangiamorte?” 

Remus sospirò: “Non lo so, Dora, anche io ho una preoccupazione simile. Il Marchio Nero alla finale è stato evocato con la bacchetta di Harry, nel Calice è stato messo il nome di Harry… è chiaramente lui l’obiettivo di tutto questo, eppure ancora non gli è successo nulla. Ora, possibile avere orchestrato tutto questo nella speranza che durante il Torneo gli capitasse un incidente? Anche questo mi pare un po’… dilettantistico.”

“Il Torneo non è ancora finito, Remus.”

Remus si passò una mano sul viso, improvvisamente stanco: “La felicità è così sfuggente, Dora, qualcosa mi dice che non abbiamo più molto tempo prima che arrivi il momento della verità.”

“In tal caso - mormorò lei, alzandosi e prendendolo per mano - Non sprechiamo nemmeno un istante.”



 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 - Aprile 1995 ***



Capitolo 20 – Aprile 1995
 
Dora aveva sempre amato la primavera, quella fase dell’anno in cui, dopo il lungo buio dell’inverno, le giornate sembravano durare all’infinito e le nuvole si rincorrevano nel cielo finalmente blu spinte da un vento che portava il profumo di cose nuove. Era la fase dell’anno in cui tutto sembrava più facile, in cui un nuovo ottimismo le saliva nel cuore e portava il suo passo a farsi baldanzoso e il suo sorriso più grande.

Non quell’anno. Quella primavera aveva portato una nuova cappa di inquietudine che sembrava presagire un’estate nera. Non era successo nulla di davvero eclatante, ma la tensione diffusa era quasi palpabile. Scrimgeour era inavvicinabile, perennemente preso d’assalto dai giornalisti o dal Ministro, e perennemente di pessimo umore. Tutti si affrettavano a scansarlo quando lo incrociavano nei corridoi e a cercare di non dare nell’occhio per non finire vittima di uno dei suoi frequenti scoppi d’ira.

La squadra ministeriale mandata in Albania era tornata a mani vuote e Bertha Jorkins era stata ufficialmente dichiarata dispersa, Barty Crouch rimaneva apparentemente trincerato in casa e strani articoli sulla sua malattia avevano invaso la stampa. Iniziava a serpeggiare la paura di altre sparizioni misteriose e l’intero Ufficio Auror era in allerta al punto da sobbalzare ogni volta che qualcuno tossiva o una porta si chiudeva con un po’ troppa convinzione.

Da parte sua, Tonks era riuscita a defilarsi dal dipartimento facendosi assegnare un incarico di ricerca: le era stato dato il compito di condurre un’analisi dei fascicoli di tutti i processi condotti alla fine della Guerra Magica con lo scopo di rintracciare qualcuno che potesse stare nascondendo Sirius Black. Già sapendo che avrebbe fatto un buco nell’acqua, Dora stava in realtà compilando una lista di tutte le persone accusate di essere Mangiamorte e, tra queste, chi fosse ad Azkaban e chi no.

Il lavoro era di per sé abbastanza noioso ma aveva di buono che Amelia Bones le aveva offerto una scrivania nel suo grande ufficio, togliendola dal raggio di azione delle frustrazioni degli Auror e del loro capo. Come Direttore del Dipartimento per l’Applicazione della Legge Magica, Madam Bones occupava uno dei ruoli più prestigiosi e rilevanti dell’intero Ministero e Tonks non aveva mai avuto a che fare direttamente con lei.

Aveva scoperto di apprezzare la donna, una persona di poche parole ma gentile e con un senso dell’umorismo acuto e sapientemente nascosto. Era una gran lavoratrice, determinata e incorruttibile, e Dora non si era stupita nello scoprire che era stata a sua volta una Hufflepuff. L’aveva stimata ancora di più quando Remus le aveva raccontato del suo passato.

Era distesa a pancia in giù tra le coperte, ormai ad un passo dallo scivolare nel sonno con le dita di Remus che scorrevano leggere sulla sua schiena, quando lui aveva chiesto: “Cosa ne pensi di Amelia?”

Dora aveva mugugnato una risposta intellegibile sulle righe di è una tipa a posto prima che il suo cervello annebbiato facesse la connessione, spingendola a sollevarsi su un gomito, curiosa: “Amelia? La conosci?”

“Non direttamente, - aveva risposto lui, puntellato contro i cuscini e con il lenzuolo che gli lambiva la vita dove faceva capolino una cicatrice ancora rossastra, eredità del plenilunio da poco trascorso - ha finito Hogwarts poco prima che entrassi io, ma suo fratello Algernon era un anno avanti a noi e sua figlia Susan è stata mia allieva e …”

Un guizzo di dolore gli aveva attraversato lo sguardo e Dora era rotolata nel suo abbraccio, stringendolo piano: “E cosa, Remus?”

“Edgar, il fratello maggiore, era nell’Ordine con noi. La sua intera famiglia è stata massacrata: i suoi genitori, sua moglie, i suoi tre bambini … un grande mago e un grande uomo. E un buon amico.” 

Per un istante, Dora non aveva saputo cosa dire. Aveva sprofondato il viso nella sua spalla, ancora in parte incredula di poter trarre conforto dalla sua pelle calda e sfregiata, mormorando: “Mi dispiace così tanto, per tutto ciò che hai perso – quindi aveva aggiunto, esitante – Quando dici l’Ordine intendi…”

“L’Ordine della Fenice – aveva risposto lui – Dumbledore l’ha creato all’indomani del ritorno di Voldemort in Inghilterra, nel 1970, e io e gli altri ci siamo uniti appena diplomati. Era un gruppo segreto, i suoi membri selezionati uno ad uno dal Preside, assolutamente convinti e assolutamente fedeli. Così credevamo.”

“Mad-Eye mi ha mostrato una foto.”

Remus aveva posato la testa sul cuscino, chiudendo gli occhi: “Già. Non siamo rimasti in molti.”

Era stato un momento malinconico, e Dora si era svegliata la mattina in un letto freddo e vuoto. Aveva trovato Remus sul bagnasciuga, con le spalle curve e gli occhi tristi mentre guardava le onde grigie infrangersi sulla sabbia. Avevano camminato a lungo in un silenzio rotto solo dal gridare solitario dei gabbiani e Tonks se n’era andata con il cuore pesante, ma aveva iniziato a guardare Amelia Bones con occhi diversi.

Un venerdì mattina di inizio aprile era seduta nell’ufficio di Amelia, leggendo pigramente l’edizione in anteprima del Profeta, quando la donna fece il suo ingresso a passo deciso e scaricò sul pianale davanti a lei una pila di fascicoli. In cima spiccava una colorata ma sgualcita copia di Witch Weekly che riportava in copertina la faccia perplessa di Harry Potter contornata da cuoricini pulsanti di un rosa acceso: “Che cosa sarebbe questa cosa?”

“Mia nipote Susan, che a quanto pare mi ritiene troppo vecchia per essere al passo con i pettegolezzi – rispose Amelia prendendo posto alla grande scrivania sul lato opposto della stanza con un sospiro – Come se quel povero ragazzo non avesse già abbastanza guai.”

Tonks sfogliò le pagine del settimanale scuotendo piano il capo e chiese, cercando di tenere un tono casual: “Credi che il suo nome nel Calice sia qualcosa di peggio di uno scherzo o un incidente?”

La donna alzò un sopracciglio, squadrandola: “Perché, tu no? Bada bene a quello che sto per dire, Nymphadora: il nome di Harry Potter è stato inserito nel Calice per un motivo, e il fatto che fin qui non gli sia ancora successo nulla non lascia presagire niente di buono per la Terza Prova. L’intera faccenda è stata affidata a Crouch e Bagman, e io non ho alcuna voce in capitolo, ma ho un gran brutto presentimento e tirerò un sospiro di sollievo quando sarà tutto finito.”

Tonks accantonò Witch Weekly e annuì: “Io pure, e non saremo le sole, credo.”

Ma alla terza prova mancavano ancora due mesi, due lunghissimi mesi, e ora come ora Tonks aveva per le mani un problema forse non così pregnante, ma molto più urgente. Mancava poco più di una settimana a Pasqua e ancora non aveva detto a Remus dell’invito a pranzo che le era capitato tra capo e collo. 

Qualche giorno prima, davanti a un tea da Rosa Lee in Diagon Alley, Andromeda aveva chiesto alla figlia se avesse preferenze per il menù pasquale e Dora aveva esitato, lasciando intendere suo malgrado che avrebbe potuto passare la festività con qualcun altro quell’anno, nonostante non avesse ancora alcun impegno sicuro. Andromeda aveva posato elegantemente il bricco del latte accanto alla sua tazza e aveva risposto, serafica: “Non essere ridicola, Nymphadora, Remus è più che benvenuto.”

Tre quarti del tea bollente di Tonks si era riversato sulla sua coscia destra a quella affermazione, il dolore lancinante che l’aveva distratta dal negare o trovare qualcosa da ribattere.    

Dopo quel primo, glorioso, sabato di marzo e il malinconico weekend nello Yorkshire dopo il plenilunio, Dora aveva visto Remus un’altra volta: il primo del mese aveva sentito bussare alla sua porta di casa ed era andata ad aprire ancora in pigiama trovando sul pianerottolo un mazzo di fiori corollati da un bigliettino che recava la scritta From an April’s fool.

Aveva trascinato Remus dall’angolo dietro cui si era nascosto direttamente al letto da cui era appena rotolata fuori e dove erano rimasti per buona parte del pomeriggio, per poi fare una passeggiata al parco al tramonto. Era perfino riuscita a mettergli in tavola una cena commestibile e avevano chiacchierato e riso, parando soprattutto di Hogwarts, l’unico periodo – Dora immaginava – di cui Remus raccontasse davvero volentieri.   

Era una dinamica nuova, un po’ zoppicante a tratti, che Dora non voleva assolutamente mettere a rischio dandogli l’impressione di voler ufficializzare le cose. Avevano appuntamento per quella sera e, finito di lavorare, la ragazza salutò Amelia e si unì al chiacchiericcio dei colleghi più giovani che, come tutti i venerdì, stavano lasciando il Ministero per riversarsi a bere qualcosa in Diagon Alley e dare inizio al weekend.

Nonostante desse le spalle alla sala, individuò facilmente Remus, seduto al tavolo più in disparte del Poppy & Paddy’s Pub, e si fece largo nel locale che iniziava a riempirsi per raggiungerlo. Aveva l’aria nervosa e sobbalzò quando Dora gli posò una mano su una spalla: “Ehi – lo salutò, chinandosi a posargli un bacio su una guancia – grazie di essere venuto.”

Lui sorrise appena, passandosi una mano tra i capelli sottili: “E’ sempre un piacere vederti, Dora, ma sei sicura di volere rimanere qui? È pieno di gente e qualcuno potrebbe vederti con…”

Tonks si lasciò cadere sulla sedia accanto a lui e gli afferrò una mano: “Non osare finire quella frase! Ho avuto una lunga settimana, tutto quello che voglio è sedermene in santa pace a sentire un po’ di musica con una burrobirra, e non c’è nessuno con cui vorrei essere qui se non con te.”

Remus si limitò a sorridere, scuotendo il capo: “Sei assolutamente incredibile, Dora.”

Ciò nonostante, come vide la cameriera dirigersi verso di loro si affrettò a lasciarle la mano e dopo aver ordinato da bere rimasero entrambi in silenzio per qualche tempo, guardando la band accordare gli strumenti poco lontano. Quando infine due pinte furono davanti a loro, Tonks alzò il boccale in un brindisi: “Alla mia scoperta del pomeriggio! – mormorò – Non vedevo l’ora di dirti quale fascicolo è finito sulla mia scrivania oggi … Igor Karkaroff!”

Lo sguardo di Remus si fece attento e, battendo delicatamente il boccale contro il suo, chiese: “Davvero? Hai trovato qualcosa di interessante?”

“Quasi sette mesi di latitanza prima di essere trovato e catturato da Mad-Eye, dopo poco più di un mese ad Azkaban ha chiesto di poter collaborare con il Ministero fornendo nomi di altri mangiamorte. Ha provato a vendere inutilmente Dolohov, Rosier, Travers e Mulciber ma erano già stati tutti individuati; il nome che ha fatto centro e gli è valsa la libertà è stato quello di Augustus Rookwood, un Indicibile. Sono risalita anche al fascicolo di Rookwood e tra i suoi informatori è stato citato Ludo Bagman, completamente scagionato dal Wizengamot.”

Mentre Tonks riprendeva fiato, accompagnato da un sorso di burrobirra, Remus annuì: “Sì, ricordo vagamente che Bagman fosse stato per breve tempo accusato di qualcosa di più grave della sua proverbiale stupidità.”

“Oh, non è questa la cosa interessante – continuò la ragazza – Karkaroff fece un altro nome in sede di processo, Remus, quello di Snape!”

“Severus? È stato processato come mangiamorte?”

Tonks si strinse nelle spalle: “Non ne sono certa, sembra esserci stata una qualche anomalia di archiviazione. C’è effettivamente un fascicolo a suo nome ma dice solo che è comparso davanti alla corte insieme al suo garante, Dumbledore, e risale a prima della caduta di Voldemort.”

“Se si è consegnato al Wizengamot possiamo solo dedurre che sia effettivamente stato un mangiamorte, almeno per qualche tempo – sospirò Remus – È probabile che qualcosa lo abbia fatto pentire della scelta, ma che cosa è un segreto che credo solo il preside conosca. Di qualsiasi cosa si tratti, deve essere il motivo per cui Dumbledore ha così fiducia in lui.”

“Mi sembra di continuare a girare in tondo, – borbottò Tonks – ogni volta che penso di aver trovato un elemento nuovo finisce per portare solo ad un vicolo cieco.”

“Non essere troppo severa con te stessa, stai facendo molto più di quanto credi – quindi, Remus sorrise – non abbiamo un argomento più leggero di cui parlare?”
Dora prese un gran respiro e si decise a sganciare la seconda notizia della serata: “In effetti stavo pensando … - Remus sorseggiò la sua burrobirra, adocchiandola da sopra il bordo del boccale – che è pasqua domenica prossima e mia mamma avrebbe piacere ad averci a pranzo.”

Lanciò fuori tutte le parole, una dietro l’altra, e guardò Remus posare il boccale ed esalare: “Dora…”

“No, aspetta – lo interruppe lei – Non le ho detto nulla, Remus, non è come se … è solo un pranzo, mia mamma è estremamente perspicace e mi sono lasciata scappare che forse avrei passato la pasqua con qualcun altro e lei ha immediatamente capito…”

“Dora…”

“… che intendevo te, non so come, davvero, non ho detto a nessuno… e non è nulla di che, mia mamma cucina molto bene, ci sarà solo un sacco di cibo, e nulla da spiegare, e mio papà è la persona più tranquilla del mondo e…”

“Dora…” tentò lui di nuovo, solo per essere interrotto una terza volta.

“… no, capisco se non ti va, davvero, Remus, non c’è nulla da dire. Anzi non avrei neanche dovuto chiedertelo. È sciocco ed è solo che io…”

“Dora!”

Questa volta il suo tono fu secco abbastanza da farla zittire di colpo: “Dora, - ripeté, più pacato - ti ringrazio per l’invito, e mi farebbe molto piacere trascorrere la pasqua con i tuoi genitori, ma non è possibile.”

Tonks chiuse la bocca di scatto, che era rimasta aperta in un’espressione allibita, non era certa se per il suo tono o per il fatto che avesse accettato l’invito: “Non… possibile?”

Remus annuì: “Sabato sera è plenilunio.”

“Oh” fu l’unica cosa che lei riuscì a produrre.  

“Mi dispiace, davvero, ringrazia tanto i tuoi.”

Tonks prese un altro sorso di burrobirra, selezionando con cura le sue prossime parole: “Beh, motivo in più per non passare la giornata da solo, Remus, posso venire da te la mattina e aiutarti con la materializzazione e non c’è nulla che ti rimette in piedi come la shepherd’s pie di mia madre.”

Remus abbassò gli occhi e quando parlò fu con un filo di voce, tanto che la ragazza dovette sporgersi sul tavolo per sentirlo: “Per quanto bene possa essere andata la trasformazione, il giorno dopo non sono mai in condizioni adatte a stare in compagnia.”

“Ok – ribatté lei – Allora ce ne staremo tranquilli, posso cucinare qualcosa, e possiamo andare dai miei per il lunedì e…”

Si interruppe di colpo, sapendo immediatamente che, ancora una volta, aveva detto qualcosa di sbagliato. Che cosa, non avrebbe saputo dirlo neanche per un milione di galeoni. Le dita di Remus si erano chiuse spasmodicamente attorno al boccale ancora mezzo pieno e un tremore leggero gli scuoteva le spalle. Quando alzò il viso dal tavolo, Dora non poté evitare di ritrarsi contro lo schienale della sedia alla sua espressione martoriata.

La sua voce colava risentimento quando parlò: “Non hai la minima idea di quello che stai dicendo, solo perché sai di quello che sono credi di sapere come sono, pensi di sapere in che stato mi svegli la mattina dopo un plenilunio, pensi che non rimarresti orripilata dal sangue, dalle ossa rotte, dalla distruzione che mi circonda? Dora – si passò una mano sul viso e scosse il capo – non possiamo farlo, non possiamo fare finta di…”

“Remus no, ti prego – Tonks gli prese entrambe le mani e lo tenne stretto – Non può essere un circolo vizioso anche questo, in cui facciamo un passo avanti e tre indietro. Ne abbiamo già parlato, sai come la penso, l’unica cosa che ti chiedo è, se non so, di aiutami a capire. Aiutami ad esserci.”

“No! – Remus si alzò bruscamente, attirandosi qualche sguardo curioso dai tavoli vicini – Mi dispiace, Dora, non posso farlo, non è … giusto. Mi dispiace.”
In una manciata di secondi era riuscito a raggiungere la porta e a dileguarsi fuori e Tonks era rimasta immobile sulla sua sedia, le braccia ancora protese sul tavolo e una lacrima solitaria che le correva lungo una guancia.

Si chiese per un attimo se fosse il caso di corrergli dietro, e già mentre stava formulando il pensiero seppe di non averne la forza. Nascose il viso in entrambi i palmi e prese un gran respiro, tornando con la memoria a quella notte di quasi due anni prima quando Remus Lupin era entrato nella sua vita, senza ancora un viso né un nome, quando, nel letto della sua cameretta a casa dei suoi genitori, si era ritrovata ad immaginare un uomo spezzato, da stringere e consolare.

Avrebbe dovuto saperlo che quell’uomo spezzato era ancora lì, in agguato sotto l’uomo sorridente che camminava con il palmo della mano nel suo, sotto l’uomo che dormiva sereno al suo fianco, sotto l’uomo che aveva osato assaggiare la felicità.

Tonks calcò un pugno sul pianale sgualcito del tavolo e si alzò a sua volta, ogni desiderio di passare una serata fuori in compagnia svanito come la rugiada nel sole: aveva perso quel round, ma non era certo pronta a smettere di lottare per Remus.
 
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“Mi dispiace che Remus non sia potuto venire – commentò Ted, e Dora alzò gli occhi dal piatto, guardando il padre affondare la forchetta nella shepherd’s pie – Ero piuttosto emozionato all’idea che avessi finalmente deciso di portarci a casa un fidanzato e…”

“Non è un fidanzato” lo stroncò immediatamente Tonks.

“Oh, – replicò lui, adocchiando la moglie dall’altro capo del tavolo – devo essermi perso qualcosa. Che cosa è, allora, esattamente?”

Dora si rimangiò la parola ‘amico’ prima ancora di pronunciarla. Chi voleva prendere in giro? Mark era un amico, Bill e Charlie erano degli amici…

“E’ una persona a cui tengo molto.”

“Questo l’avevo capito – rispose bonario Ted – ma avevo l’impressione che la cosa fosse corrisposta.”

Dora spostò per la quindicesima volta le sue patate da un lato all’altro del piatto e borbottò: “Non è questione di non corrispondere ma di avere la testa più dura di un gargoyle.”

“Questo è solo un buon esempio della persona che è, Dora, – intervenne Andromeda, alzandosi e togliendole il piatto da davanti – nessuno affetto da licantropia dovrebbe avventurarsi con superficialità in una relazione.”

Quindi, con un deciso colpo di bacchetta, levitò posate e stoviglie e le indirizzò in una fila ordinata verso la cucina. Tonks fece per alzarsi a sua volta ma la madre la bloccò con un cenno della mano: “Stai e parla con tuo padre, credo abbia qualcosa da dire sull’argomento. Tonerò tra poco con il dolce.”

Tonks rivolse al padre un’occhiata sconcertata e Ted rise di cuore, come era solito fare, incrociando entrambe le mani sulla pancia prominente che faceva capolino sotto il maglione: “Non preoccuparti, Dora, credo sia un po’ tardi per dirti che non sono davvero le fate a portare i bambini…”

Ignorando il colorito paonazzo della figlia, l’espressione di Ted si fece più seria e affettuosa: “Tanti anni fa, quando capii che tua madre avrebbe perso tutto stando con me, provai a lasciarla, sai? Ovviamente con scarso successo…”

“Davvero? – chiese Tonks, cui l’informazione giungeva nuova – E come ha fatto a farti cambiare idea?”

Ted sorrise, immerso nei ricordi: “Oh, era piuttosto determinata già allora, e ha usato un argomento molto convincente, ha detto che non aveva potuto scegliere in quale famiglia nascere ma che sarebbe stato meglio per me non impedirle di creare la famiglia che voleva far nascere.”

“Forte, peccato che non lo possa riciclare perché sono decisamente felice della famiglia che mi ritrovo – esitò, quindi chiese piano – Papà, davvero non avreste problemi se dovessi stare con un lupo mannaro?”

Ted scosse il capo: “Dora, tua madre ha una sorella che è chiusa ad Azkaban per avere torturato e ucciso decine di persone, ti assicuro che un lupo mannaro la impressiona molto poco, e per quanto riguarda me … quel pover uomo non ha scelto di essere morso più di quanto io abbia deciso di nascere con il dono della magia in una famiglia babbana, credi che non sappia cosa voglia dire essere considerato diverso, inferiore, credi che non abbia imparato nulla dall’essere stato amato nonostante ciò? Un uomo si definisce dalle sue azioni, Dora, non dal sangue che gli scorre nelle vene.”

La ragazza si alzò e girò attorno al tavolo per passare le braccia attorno alle spalle solide e rassicuranti di Ted e posargli un bacio sulla guancia barbuta: “Grazie, papà.”

 
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1 April's fool è la traduzione di "pesce d'aprile" ma si perde il gioco di parole dell'auto-commiserazione di Remus in italiano perché fool non significa affatto "pesce" ma traduce sia il senso di "ingannato" che quello di "sciocco/stupido"  

Note

Spero di avere reso giustizia a Ted, personaggio poco sviluppato e che io stessa ho un po' tralasciato fin qui ma a cui tengo molto. So che spesso i genitori di Dora sono dipinti come contrari alla sua relazione con Remus ma J.K. non ha mai specificato la cosa (Remus dice "quali genitori vorrebbero un lupo mannaro come genero?" ma per come la vedo io è il suo solito masochismo a parlare) e semplicemente per chi sono e da che storia vengono non ce li vedo proprio a mettersi a fare i discriminanti.

Per quanto riguarda Remus, ho ripreso quello che dice J.K (questa volta sì) del fatto che oscillava costantemente tra la gioia per avere sposato la donna dei suoi sogni e il terrore e il senso di colpa per il futuro a cui l'aveva condannata e questo elemento mi sembra assolutmente centrale per il loro intero rapporto, compreso in questa versione "alternativa" della storia in cui le loro strade si incrociano prima. Remus è sicuramente gentile, premuroso e affidabile ma è anche l'uomo che abbandona la moglie incinta a se stessa, ed entrambi questi lati vanno raccontati.

Tonks inizia ad essere stanca, con troppe battaglie combattute allo stesso tempo che non la stanno portando da nessuna parte (lavoro, indagini, vita privata), ma ha sempre un serbatoio di scorta a cui attingere per continuare a credere e a lottare e questo è la cosa di lei che amo di più in assoluto.

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 - Maggio 1995 ***



Capitolo 21 – Maggio 1995
 

L’interno della Gringott era fresco e ventilato, un piacevole cambiamento dal caldo afoso che aveva invaso Diagon Alley nelle ore centrali di quel soleggiato martedì di metà maggio. Tonks si appoggiò pesantemente contro uno degli alti banchi di legno dove il goblin che le era stato assegnato stava esaminando senza alcuna fretta una pila di pergamene.

“Tonks?” chiese improvvisamente una voce, rimbombano nell’austero silenzio della banca.

Dora sobbalzò e si guardò attorno, sorridendo non appena ebbe messo a fuoco la figura slanciata di Bill Weasley emergere da una porta laterale: “Wotcher, Bill! – esclamò - È passato troppo tempo!”

“Decisamente! – sorrise lui, andandole incontro - Che cosa ti porta da queste parti?”

“Oh, roba del Ministero, un trasferimento di fondi.”

“Papà mi dice che non tira una bella aria; ti stanno facendo lavorare giorno e notte? – chiese Bill, arrotolando distrattamente le maniche della camicia chiara che indossava – Rachel si lamenta in continuazione che sei completamente sparita dalle scene.”

Tonks sospirò, storcendo un poco il naso: “Lo so, sono stata una pessima amica. La verità è che l’universo mi ha abbastanza preso a calci nei denti negli ultimi due mesi e nemmeno uno snaso superdotato sarebbe in grado di scovare la mia voglia di avere una vita sociale.”

“Ahi! Stavo per proporti un gelato mentre Terek finisce di sistemare le tue scartoffie – Bill indicò con il capo il goblin che stava continuando imperterrito il suo lavoro - ma forse è meglio se giro al largo allora…”

“Nah, – fece lei con un sorriso – una pila di cioccolato mi pare un’ottima idea al momento. Solo non dire a Rachel che sono stata qui e non gliel’ho detto o è la volta buona che mi lancia una maledizione senza perdono!”

“Non una parola” promise Bill, facendole cenno di precederlo verso l’ingresso.

Erano seduti a uno dei tavolini di Fortebraccio con davanti due montagne di gelato quando Tonks chiese: “Come vanno le cose a casa?”

Bill sospirò: “Perce non si è quasi più fatto vivo e i miei non la stanno vivendo benissimo. Pare sia super impegnato con il lavoro e sta evitando anche me… forse è meglio così perché se mi capita a tiro non garantisco della mia buona condotta. Charlie manda i suoi saluti, invece! Mi ha scritto qualche giorno fa, spera di riuscire a prendersi un paio di giorni per la Terza Prova.”

Tonks lo guardò stupita: “Ci saranno draghi nel labirinto?”

“Labirinto?” chiese Bill con un guizzo di curiosità.

“Dannazione, non avrei dovuto dirlo – bofonchiò lei, ficcandosi in bocca una cucchiaiata di gelato – Fai finta di non averlo sentito o ti devo obliviare.”

Bill rise, il capo leggermente reclinato all’indietro e la coda che sfiorava la metà schiena, e Tonks vide un paio di ragazze ad un tavolo vicino adocchiarlo con malcelato interesse: “Non rischierei mai!”

“Ehi, guarda che sono un’obliviatrice niente male, William Weasley, ti ricordo che è con un’Auror che stai parlando! – lo ammonì brandendo il cucchiaino - E non cambiare argomento!”

Lui ridacchiò ancora, assalendo a sua volta la composizione di gelato che aveva di fronte: “No, niente draghi stavolta, a quanto ne so, ma la Terza Prova sarà aperta alle famiglie dei campioni e visto che Harry non ha nessuno la McGonagall ha scritto alla mamma per chiederle se le avrebbe fatto piacere andare. Io ho già chiesto un giorno di ferie per poterla accompagnare.”

“Vedrai, – sorrise lei – fa uno strano effetto tornare al castello.”

L’umore di Tonks era decisamente migliorato quando, una decina di minuti più tardi, varcò nuovamente la soglia della banca, ma si bloccò con un mugolio disperato nel vedere Rachel, le braccia conserte e uno sguardo assassino, aspettarla davanti al banco di Terek il goblin.

“Questo è il mio segnale per defilarmi… buona fortuna!” mormorò Bill, strizzandole un occhio.

Rachel avanzò a passo di marcia verso di lei e quando le fu davanti le allungò una pergamena: “La tua ricevuta di transazione” disse solo, per poi prenderla per un polso e trascinarla fuori.

All’ombra del grande colonnato, Rachel la lasciò andare, solo per piantarle un dito accusatore a due centimetri dal naso: “Tu! Tu, me la stai raccontando giusta, Tonks! Da quando stai con Remus sei completamente sparita! Non ci sei per un pranzo, non ci sei per una birra, non scrivi, non dai segni di vita, ti rincorro da mesi e non trovi un briciolo di tempo per me… ma trovi il tempo per una pausa bucolica con Bill Weasley?”

Dora non poté evitare che una smorfia contrariata le facesse capolino sul viso. Remus non si era più fatto vivo e una lettera chilometrica a Sirius aveva avuto come unica risposta due righe sbilenche a caratteri cubitali: NON SOTTOVALUTARE LA LICANTROPIA E NON FARTI VENIRE STRANE IDEE. STAI ALLA LARGA DA LI’ VICINO ALLA LUNA E DAGLI TEMPO.

Più e più volte, in quelle calde e infinite giornate di inizio estate, Tonks si era ritrovata a pensare a Natale, a quelle due settimane con Remus e Sirius fuori dal tempo e dallo spazio, all’improbabile e altrettanto naturale alchimia che avevano creato, loro tre insieme, nelle serate polverose di Grimmauld Place. Sembrava un’altra era del mondo, e la vita di qualcun altro. 

Qualcosa della sua malinconia doveva aver fatto capolino, perché Rachel sospirò e la strinse in un abbraccio: “Oh, Tonks! – mormorò - Lo so che lavoriamo entrambe parecchio, e che io ora vivo con Mark… ma nulla è cambiato! Ci sono sempre per te, e ci sarò sempre.”

Dora ricambiò l’abbraccio e si costrinse a sorridere: “Questo vuol dire che butti Mark fuori di casa e mi inviti per un pigiama party?”

“Ci puoi giurare.”
 
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Tonks aprì una finestra e si lasciò cadere sul divano, cercando di processare le informazioni che si ostinavano a non voler trovare un senso nella sua testa: matrimonio, testimone, palette cromatica

La serata non era andata esattamente come si era aspettata. Non che non fosse maledettamente felice per Rachel e Mark, beninteso, ma quella che si era immaginata come una sbornia tra amiche ricordando i vecchi tempi e maledicendo gli uomini in toni coloriti, aveva invece visto Dora seduta ad un tavolo per ore, sommersa da pile e pile di fotografie di abiti da sposa, modelli di bomboniere, gusti di confetti, proposte di menù, sfumature di carta da lettere, preventivi di fuochi d’artificio e la magra consolazione di un tea freddo.

Al dito di Rachel brillava un anello così vistoso che Tonks si era ritrovata a chiedersi come le fosse sfuggito quando aveva visto l’amica alla banca due settimane prima e, nonostante le ore di tortura a cui era stata sottoposta, il matrimonio era già praticamente pronto ad essere messo in piedi: la data era il 15 settembre e la lista degli invitati contava circa 300 persone.

“Non ce la posso fare…” mormorò, abbracciando un cuscino e nascondendovi il capo immaginandosi in un vestito rosa cicca prendere il bouquet dritto in fronte sotto lo sguardo imbarazzato di 300 persone.

In quell’istante, un piccolo “plop” le fece alzare la testa di scatto, il cuore prese a batterle a mille nel vedere un grande lupo argentato fare capolino sul tappeto ai suoi piedi. Per un attimo osò sperare, ma la voce famigliare aveva un tono concitato e poche parole da riferire: “C’è stata un’emergenza, ho bisogno che recuperi il tuo collega del ministero e vieni subito da me.”

Era tutto. Non un “ciao” non uno “scusa” non un “per favore”.

Con un gesto stizzito, Tonks lanciò a piena forza il cuscino attraverso la stanza, provando un brivido di soddisfazione nel vederlo colpire la mensola del camino e far precipitare a terra con fragore tutto il suo contenuto.

Fu tutto lo sfogo che si concesse. Era un’auror, in fin dei conti, non un’adolescente con le paturnie, e la parola emergenza non l’aveva lasciata indifferente. In tre minuti aveva calciato via i sandali, infilato gli anfibi, afferrato una manciata di metropolvere e stava urlando a squarciagola nel camino di Shacklebolt.

Una porta sbattuta e qualche secondo più tardi, Kingsley fece la sua comparsa in salotto con la faccia assonnata e un paio di calzoncini violacei addosso: “Tonks? Che cosa…”

“Non c’è tempo. Vestiti e vieni da me, emergenza.”

Gli occhi del mago divennero attenti all’istante: “Emergenza? Non ho ricevuto nulla…”

“Non dal Ministero” disse solo Dora.

“Oh – fece lui, quindi annuì – Arrivo.”

Dieci minuti scarsi dall’arrivo del patronus a casa di Dora, i due Auror si trovavano fianco a fianco al vialetto di ingresso di un cottage dal tetto di paglia. Nonostante l’ora tarda, una delle finestre era illuminata.

“Dove siamo?” chiese cauto Shacklebolt.

“Yorkshire – rispose Tonks, per poi indicare la bacchetta che il collega stringeva in mano – Non ce n’è bisogno, la casa è sicura.”

“Di chi è?”

Prima che la ragazza potesse rispondere, la porta si aprì e la silhouette scarna di Remus fece capolino sulla soglia. Kingsley lanciò un’occhiata di traverso a Dora, ma rinfoderò la bacchetta senza una parola. Tonks squadrò le spalle e lo precedette all’interno, gli occhi studiatamente fissi sul pavimento.  

Dietro di lei, sentì gli uomini scambiarsi un rapido saluto in toni sommessi.

“Ho sentito tanto parlare di te.”

“Io altrettanto, è un piacere.”

Quindi, due cose accaddero nello stesso istante. La porta si chiuse, e un paio di stivaletti entrarono nella visuale di Dora. Un paio di stivaletti da donna.

Sollevò di scatto il capo e seduta al tavolo, a quel tavolo, c’era una ragazza con lunghi capelli scuri raccolti in una morbida treccia, gli zigomi alti e le guance rosee, i grandi occhi verdi in tinta con l’elegante tunica in lino che indossava. Era molto carina, di una bellezza delicata e per nulla appariscente, con un sorriso gentile e, ad occhio e croce, una trentina d’anni.

Dora passò mentalmente in rassegna i suoi corti capelli rosa cicca, i bangles colorati che aveva al polso, la canottiera sudata delle Weird Sisters che lasciava scoperto l’ombelico sopra la linea degli shorts strappati e gli anfibi slacciati che aveva ai piedi ed ebbe quasi un giramento di testa, travolta dall’insolita sensazione di sentirsi a disagio nella sua pelle.

Remus, da qualche parte nella stanza, parlò in modo sbrigativo: “Bene, grazie di esservi resi disponibili così prontamente. Credo sia il caso di fare delle presentazioni: Kingsley Shacklebolt e Nymphadora Tonks dal Ministero, Hestia Jones dal San Mungo. Siamo tutti qui perché il Preside si fida di noi, e ha bisogno di noi.”

Dora sentì una leggera pressione al gomito e si riscosse, rendendosi conto di essere rimasta a fissare la donna, Hestia, con la bocca semi aperta. Kingsley la stava guardando con aria perplessa e la ragazza scosse appena il capo, incrociando le mani dietro la schiena e fissando gli occhi su un punto imprecisato della parete di fronte.

“Qualche ora fa, – continuò Remus – Barty Crouch è comparso a Hogwarts e ha avvicinato Harry Potter e Viktor Krum mentre si trovavano nel parco del castello, dove Ludo Bagman aveva spiegato loro Terza Prova. Ha detto di dover vedere con urgenza Dumbledore, che Bertha Jorkins è morta, e che Voldemort sta diventando più forte. Harry è andato a chiamare il Preside, ma quando sono tornati hanno trovato Krum schiantato e Crouch sparito.”

Dora sentì una nuova ondata di rabbia e disappunto montarle dentro, e desiderò con tutto il cuore di avere per le mani un altro cuscino da lanciare contro la superficie più prossima. In mancanza di ciò, non ebbe altra scelta che sfogarsi urlando a pieni polmoni “Merlino! Si può sapere che cosa diavolo passa per la testa a tutti quanti? Sapevamo già da Sirius tempo fa che Crouch era comparso nel castello, c’è una palese falla di sicurezza in quella scuola!! Mad-Eye che cosa dannazione è stato assunto a fare? Si sta prendendo un anno sabbatico??”    

Remus sospirò, e Dora si costrinse suo malgrado a guardarlo. Aveva l’aria nervosa, occhiaie bluastre sul viso e la barba un po’ più lunga dell’ultima volta che l’aveva visto, e nulla di tutto ciò servì ad evitarle una morsa di nostalgico desiderio di poter tornare per un attimo nel calore delle sue braccia.

“Alastor sta facendo il possibile, è arrivato poco dopo il preside, ma ha l’età che ha e i suoi acciacchi … Snape lo ha avvisato, ha viso Crouch sulla mappa ma non è arrivato in tempo.”

“Un momento – intervenne Kingsley, pratico e solido come sempre – Mappa? Quale mappa?”

Un’espressione indecifrabile attraversò per un istante il volto di Remus: “Harry Potter è in possesso di una mappa in grado di mostrare chiunque si trovi sul territorio di pertinenza della scuola, la stessa mappa è momentaneamente nelle mani di Alastor ma arriva solo fino al perimetro delle mura e al limitare del parco. Il preside sospetta che Crouch abbia trovato un modo di entrare ed uscire dal parco attraverso la Foresta Proibita.”

“È possibile?” chiese Shacklebolt, perplesso.

“Improbabile, ma non impossibile. Nessuno è mai riuscito a mapparla interamente, si sospetta addirittura che i suoi confini si muovano. Nei pressi della scuola è protetta da numerosi incantesimi ma alle sue estremità più lontane… – Remus si strinse nelle spalle – Chi può dirlo? Crouch è probabilmente un mago abbastanza potente da farsi strada attraverso i pericoli della foresta.”

“Nonostante mesi di malattia e reclusione?” chiese ancora Kingsley, visibilmente scettico.

“E qual è il senso di farsi strada fino a scuola, chiedere di vedere il preside, schiantare uno studente straniero e scappare?” rincarò Dora.

“Non lo so! – sbottò quindi Remus – Non so nulla di più di quanto vi ho appena detto! L’ipotesi più probabile è che sia stata una terza persona a schiantare Krum per arrivare a Crouch. E prima che mi chiediate chi … non ne ho idea! Potrebbe essere stato qualcuno dall’interno o qualcuno potrebbe avere seguito Barty attraverso qualsiasi modo lui abbia trovato per raggiungere Hogwarts ma perché aspettare di arrivare nel parco per farlo sparire proprio non saprei dirlo.”   

Dora esalò con forza dal naso: “No, non ha davvero alcun senso. Qualcuno deve aver voluto fermare Crouch prima che parlasse con Dumbledore. Karkaroff?”

Remus scosse il capo: “Il preside ha mandato Hagrid a chiamarlo ed era alla sua nave con i suoi studenti, ha un alibi di ferro.”

In tutto ciò, Hestia Jones era rimasta compostamente seduta al tavolo seguendo lo scambio senza dire una parola. Remus si passò una mano tra i capelli e si rivolse a lei: “Immagino tu abbia montagne di domande a cui, purtroppo, non abbiamo il tempo di rispondere. Abbiamo già esitato fin troppo, ma erano informazioni che vi era necessario avere prima di metterci al lavoro. Ora dobbiamo andare.”

“Dove?” chiese Dora.

“Hogwarts.”

Dora strinse per un attimo ancora il gomito di Kingsley, cercando un equilibrio sul terreno accidentato; era buio pesto e solo la luce sbilenca di una lanterna gettava un cono di luce sull’alto cancello in ferro, appena socchiuso. La grande sagoma di Hagrid, con Fang seduto al suo fianco, era inconfondibile.

Remus andò incontro al guardiacaccia, salutandolo con un cenno del capo: “Buona sera, Hagrid. Ti ho portato Hestia Jones e Kingsley Shacklebolt, come richiesto dal preside.”

I due si fecero avanti e ci fu un rapido scambio di strette di mano: “Spero abbiate scelto delle scarpe comode, – commentò Hagrid passando in rassegna i nuovi arrivati – abbiamo una foresta da pattugliare! Tu vai a Hogsmeade, Remus?”

Lui annuì: “Sì, ci sta aspettando – fece cenno a Dora di avvicinarsi e la ragazza entrò a sua volta nel cono di luce – Ti ricordi Nymphadora…”

“Tonks! – concluse Hagrid per lui – Ma certo! Hei, Tonks! Grazie ancora per la mano che hai dato con quell’articolo della Skeeter a gennaio.”

“Ciao, Hagrid! È stato un piacere!” suo malgrado, Dora sorrise; aveva passato un buon numero di serate in punizione con Charlie a scarpinare su e giù per il parco con il guardiacaccia, a cui era affezionatissima. 

Hestia e Kingsley varcarono il cancello e Hagrid ruotò la grande chiave nella serratura. Immediatamente, Dora percepì come una vibrazione attraversare l’aria immobile e seppe che la magia che proteggeva il castello era tornata a creare una barriera inviolabile.

“Se succede qualcosa ricordatevi con non vi possiamo raggiungere, dovete avvisare Alastor o Minerva su al castello – mormorò Remus – Se invece trovate qualcosa, fateci sapere. Hestia sa come.”

Dora sentì la gelosia altalenante con cui stava lottando da quando aveva messo piede nel cottage tornare a colpirla con la forza di un pugno e non poté trattenere la frecciatina che aveva sulla punta della lingua, che le uscì con un’atipica acidità: “Oh, Remus ha dei metodi di insegnamento piuttosto efficaci, non è vero?”

L’espressione di Hestia si fece appena confusa, mentre la donna annuiva: “Il patronus è uno stratagemma piuttosto intelligente, non è intercettabile né corruttibile…”

Fu Kingsley a schiarirsi la voce per rompere il silenzio imbarazzato, e non mancò di rifilare a Tonks un’occhiata in tralice prima di fare cenno verso la strada che scompariva nel buio con un mezzo sorriso: “La Foresta non si pattuglia da sola…”

In pochi istanti, le quattro sagome, persone e cane, erano scomparse. Tutto attorno era nuovamente buio e silenzio.
 




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Fa la sua comparsa Hestia Jones! Una delle cose che più ho amato e sto amando di questa storia è la possibilità di colmare una parte di trama nel raccontare come l’Ordine si è riunito una seconda volta e in particolare come siano stati coinvolti i membri che non ne facevano parte la prima volta.

Da un controllo incrociato tra Primo e Secondo Ordine è venuto fuori che i nuovi acquisti sono proprio Tonks, Kingsley, Bill e famiglia e Hestia. Ho litigato più volte con il punto della storia in cui inserirla ma arrivati fin qui mi sembra di avere sviluppato abbastanza tutti gli altri ed era il suo momento di entrare in scena. Su che cosa faccia nella vita e come sia arrivata nel salotto di Remus vi rimando alle note del prossimo capitolo, per ora voglio solo dire che per l’aspetto fisico mi sono basata sulle informazioni fornite nel libro, se dovessi castarla tra le tante ipotesi proposte dal fandom la mia preferita è probabilmente Felicity Jones (e non per l’omonimia).   

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 - 27 e 28 maggio 1995 ***



Capitolo 22 – 27 e 28 Maggio 1995
 

Da qualche parte alle sue spalle, Tonks sentì Remus sospirare: “Faremmo meglio ad andare anche noi, - disse in un filo di voce - non è una persona paziente.”

Tonks si decise a fronteggiarlo, soli insieme per la prima volta in settimane, e incrociò risolutamente le braccia sul petto: “No, Remus, non ho intenzione di muovere un altro passo finché non mi avrai dato delle risposte. Dove stiamo andando e chi ci sta aspettando?”

Lui abbassò gli occhi, tendendole una mano: “Vedrai tra un istante. Per favore…”

Il suo nome gli si inceppò in gola, e Tonks si chiese per un istante se fosse più forte il desiderio di abbracciarlo o quello di spalmargli cinque dita su una guancia con tutta la forza di cui disponeva: “Remus, che cosa diamine ci faccio qui?”

Le spalle di Remus si curvarono un poco, e la sua espressione si fece ancora più stanca: “Stiamo reclutando.”

Tonks sbatté un paio di volte le palpebre, considerando le sue parole, decisa a non lasciarsi distrarre: “Reclutando. Per l’Ordine della Fenice?”

Lui annuì: “Se stiamo leggendo correttamente i segnali, e Voldemort sta tornando, allora anche l’Ordine deve rinascere. Abbiamo… - esitò e deglutì forzatamente prima di continuare – abbiamo perso la metà dei nostri numeri nell’ultima guerra. Dumbledore ha chiesto a quelli di noi che sono rimasti di guardarsi attorno; con questi primi incarichi operativi il preside sta testando i nuovi membri potenziali con membri della vecchia guardia come me, Hagrid…”

“E la persona che ci aspetta a Hogsmeade?” chiese Tonks.

“Esatto.”

“Ce ne sono altre? Di reclute che state testando, dico.”

Remus scosse il capo: “Non che io sappia.”

Questa volta, fu Dora a sospirare: per quanto in gamba, tre erano un magro rimpiazzo per tutti quelli che avevano perso. In silenzio, la ragazza stese il braccio; un attimo prima di sentire lo strattone allo stomaco della smaterializzazione, notò che Remus le aveva preso la mano palmo contro palmo, non intrecciando le dita alle sue. Un dettaglio piccolo, ma un messaggio grande come un troll.

Si materializzarono in un vicolo buio, sopra le loro teste scricchiolava una vecchia insegna di legno che rappresentava una testa di cinghiale. Tonks l’aveva vista solo di sfuggita, anni prima, ma seppe all’istante dove si trovavano: “The Hog’s Head, Remus?”

Lui annuì e picchiò il pugno un paio di volte contro la porta. Quando il battente si aprì, Dora rimase basita per un attimo, confusa dalla vista di un uomo barbuto nella penombra così simile a Dumbledore che avrebbe giurato si trattasse del preside non fosse stato per gli abiti grezzi e un improbabile strofinaccio macchiato buttato su una spalla.

Remus gli tese una mano: “Ciao, Aberforth.”

“Remus, - rispose burbero l’uomo, afferrandogli il palmo - ce ne hai messo di tempo a trascinare il tuo miserevole didietro dalle mie parti!”

“Qualche anno di troppo, lo so. Mi dispiace.”

Aberforth gli diede una pacca su una spalla e si fece da parte per permettere loro di varcare la soglia, quindi rivolse lo sguardo attento su Dora: “Questa mi sembra una faccia nuova…”

La ragazza si fece avanti. Qualcosa, nei modi burberi dell’uomo, la faceva sentire a suo agio, lo trova rassicurante… che le ricordasse Mad-Eye? Ricordò improvvisamente di essere arrabbiata con il suo vecchio mentore, che da mesi non si faceva vivo e stava perdendo i colpi, permettendo a Barty Crouch di andare e venire dalla scuola senza controllo, ma scacciò il pensiero e sorrise: “Tonks, piacere!”

“Ah, l’auror! – esclamò Aberforth - Chissà perché mi ero fatto un’idea diversa…”

Sembrava piacevolmente stupito, e Dora gli strizzò un occhio con un guizzo di ritrovato buon umore: “L’apparenza inganna!”

Lui sogghignò ancora un istante, per poi tornare sbrigativo: “Muoviamoci, allora. Abbiamo già perso tempo prezioso. Quello del quarto piano è completamente collassato da anni, rimangono da dividere gli altri; voi giovani siete liberi di scarpinare in piena notte per i dintorni, io mi occupo dei tre qui nel villaggio.”

Remus annuì: “D’accordo, noi facciamo Honeyducks, la radura e la stamberga.”

Tonks aveva seguito lo scambio in silenzio e fu solo quando lei e Remus ebbero salutato Aberforth, svoltando sulla strada principale verso il limitare est del villaggio, che si decise a parlare: “Posso porre la seconda batteria di domande, ora?”  

Remus si passò una mano tra i capelli e rispose in tono sommesso: “Sospetto che Aberforth ti sia in qualche modo famigliare perché ti ricorda qualcuno… non è un caso, è suo fratello.”

Dora si fermò a metà di un passo, guardandolo esterrefatta: “Stai cercando di dirmi che Dumbledore ha un fratello? Che ha un fratello che fa il barman?”

Remus si strinse nelle spalle: “Sì e sì. È un tipo strano, Aberforth, ma solido come una roccia, e con un grande cuore. Mi è stato di grande aiuto e conforto anni fa, in un periodo in cui avevo perso me stesso…”

Dora poteva immaginare fin troppo bene a che periodo Remus alludesse; non indagò oltre e si limitò ad indicare il palazzo colorato di Honeyducks che si intravedeva al di là della strada deserta: “E come mai stiamo facendo una pausa notturna al più grande negozio di dolci nel nord del Regno Unito? Spuntino di mezzanotte?”

Come prevedibile, Remus, ignorò la provocazione, guardandosi attorno guardingo prima di attraversare la via a passo svelto. Dora si affrettò a stargli dietro mentre lui riprendeva: “Come sai, ci sono diversi passaggi segreti che collegano il castello al paese. Pochissimi individui sono al corrente della loro esistenza e collocazione e sono ben protetti da una serie di incantesimi che repellono tanto i babbani quanto ogni forma di magia oscura. Questo non tiene sempre fuori gli studenti, però, e il passaggio segreto di Honeyducks era il più gettonato di tutti, ai miei tempi. Sirius, trasformato, riusciva ad andare avanti e indietro a velocità folle… abbiamo avuto qualche festa memorabile in sala comune…”

Si fermarono sotto l’insegna, in una nicchia buia della parete del negozio, e Remus estrasse la bacchetta: “L’ingresso è tramite una botola nascosta in cantina e si collega alla statua di Gunhilda Di Gorsemoor, al terzo piano.”

“La strega orba? – chiese Tonks, stupita – Come diamine facevate a non farvi beccare pieni di torte e pasticcini nel cuore della notte in giro per il castello?”

“James aveva un mantello dell’invisibilità.”

Dora fischiò piano: “Wow! Sono maledettamente rari… e maledettamente fighi! Mad-Eye ne ha uno, sono anni che vorrei metterci sopra le mani.”

“Conoscendolo, non lo mollerà neanche morto - rispose Remus per poi drizzare le spalle e iniziare a lanciare incantesimi sulla porta – Aparecium! Revelio! Appare Vestigium![1]”  

Una sorta di bagliore dorato aleggiò per qualche istante davanti alla porta per poi scomparire senza lasciare traccia e senza segnalare nulla di sospetto. Remus annuì: “Bene, non è necessario che facciamo irruzione, non c’è alcun segno di anomalie qui.”

“Ok – fece Tonks – Che cosa ci attende, ora?”

Remus accennò più avanti, la ragazza seguì il suo gesto e inclinò un poco il capo sulla spalla, perplessa: “L’ufficio postale?”

“Poco più in là – rispose Remus, avviandosi nuovamente attraverso la strada e verso un viottolo che svoltava sulla sinistra, portando sul retro del grande edificio – Questo sbuca al quinto piano, statua di Gregory il viscido.” 

Le indicò uno sparuto gruppetto di pini nel mezzo di un prato: “E’ molto antico ma ormai praticamente inutilizzabile perché fa uscire troppo allo scoperto, immagino una volta ci fossero più alberi…”

Arrancarono in salita, fianco a fianco, in silenzio, verso lo sparuto boschetto, Remus aveva il fiatone, nonostante le lunghe gambe, e Tonks decise di approfittare del momento per porre la domanda che le bruciava più di ogni altra: “E Hestia da dove esce?”

Remus non alzò lo sguardo dal terreno accidentato e si limitò a stringersi nelle spalle: “Non la conosco molto bene, in realtà. Abbiamo fatto qualche anno di scuola insieme ma lei era tre anni dietro a me e in Ravenclaw; me la ricordo solo perché era Cercatrice e giocava contro James, ma non credo di averle mai rivolto la parola, all’epoca. È una guaritrice ora, lavora per il Reparto lesioni da incantesimo e il Reparto Janus Thickey.”

Parte dell’antipatia che Dora a pelle provava per la donna svanì improvvisamente, sostituita da una grande ammirazione: “Accidenti, deve essere maledettamente in gamba per lavorare lassù.”

Remus annuì: “E’ estremamente brillante, so che è uscita dai NEWT con Incantesimi, Pozioni, Erbologia, Trasfigurazione e Difesa dalle Arti Oscure tutti a pieni voti. È rassicurante sapere di avere qualcuno di fidato che si possa prendere cura di te se ti prendi uno schiantesimo o una maledizione. E non è tutto…”

Avevano nel mentre raggiunto il gruppetto di pini e Remus indicò con un dito un grosso masso che sorgeva nel centro della piccola radura: “Vuoi fare tu?”

Tonks annuì, erano tutti incantesimi con cui aveva ampia familiarità e non ci mise molto a confermare che non ci fosse traccia di passaggio umano da quelle parti da molto tempo. Si avviarono attraverso il prato verso la sagoma sbilenca della Stamberga Strillante che si stagliava in lontananza, e la ragazza si schiarì la voce: “Stavi dicendo?”

“Mmm – fece Remus, esitante – Quanto sai di che cosa è successo a Gilderoy Lockhart?”

“Che si è ritirato a vita privata a godersi i suoi galeoni da qualche parte?”

“Non è andata proprio così – rispose lui – Ricordi quando ti ho raccontato di come ho avuto il lavoro a Hogwarts, l’anno dopo l’apertura della Camera dei Segreti? Di come il preside sia convinto che Voldemort avesse trovato il modo di manifestarsi a scuola e scatenare il basilisco?”

Tonks rabbrividì, Remus aveva raccontato l’intera storia a lei e Sirius una sera, e la consapevolezza di aver vissuto per sette anni sotto lo stesso tetto di un basilisco non le aveva fatto chiudere occhio tutta notte: “Sì, ricordo fin troppo bene. Che cosa centra Lockhart?”

“In breve, – rispose Remus – voleva assumersi il merito di aver trovato e sconfitto il mostro, obliviando Harry Potter e Ron Weasley, ma la bacchetta di Ron era malfunzionante e gli si è rivolta contro. Ha subito un danno piuttosto grave. È ricoverato al Janus Thickey ed è Hestia che si sta occupando della sua riabilitazione. Questo la sta aiutando a portare avanti i suoi studi sul funzionamento degli incantesimi di manipolazione della memoria ma al tempo stesso tiene discretamente sotto controllo che non riemergano ricordi scomodi sulla Camera dei Segreti.”

Continuarono a camminare per qualche minuto in silenzio prima che Remus aggiungesse piano: “Anche Alice e Frank sono lassù, i Longbottom, sai? Non so se questo abbia qualcosa a che fare con il fatto che il preside l’abbia reclutata … di quale sia il loro legame, o rapporto, non sono al corrente.”

Tonks sospirò, la storia dei due auror le era tristemente nota: “Dumbledore ha sempre le sue ragioni per fidarsi della gente, e da quello che mi dici Hestia sembra davvero una tipa in gamba e una risorsa preziosa da avere dalla nostra parte.”  

Quanto era stata stupida, pensò, a lasciarsi prendere anche solo per un istante da un’inutile gelosia. In fondo, aveva sempre saputo che la fonte dei suoi problemi con Remus non erano certo dovuti alla presenza di un’altra donna nella sua vita; sarebbe probabilmente stato più facile, in tal caso, venirne a capo.

La Stamberga, in estate, aveva un’aria ancora più triste e desolata del solito. Aveva perso qualsiasi aura di mistero e appariva solo come una squallida catapecchia abbandonata. Tagliando dal prato, invece di giungervi percorrendo la strada, erano arrivati più vicini, in un punto in cui la rozza staccionata non distava più di una quindicina di metri dall’edificio. Remus si appoggiò pesantemente alla recinzione, bacchetta alla mano, e Dora si fermò poco distante, lasciandolo lavorare.

“Nulla, – fece Remus qualche istante più tardi – e non abbiamo sentito nulla da Aberforth, che a quest’ora avrà già abbondantemente terminato il suo giro. Hogsmeade è pulita, puoi avvisare Hestia e Kingsley che noi abbiamo finito?”

Sapendo quanto Remus odiasse la forma del suo patronus corporeo, la ragazza si affrettò ad evocare il suo piccolo jack rabbit argentato, quindi incrociò le braccia sul petto e fissò Remus dritto in volto.

Lui ricambiò lo sguardo con un velo di tristezza: “Hai fretta di tornare a casa?”

Dora indicò con un cenno del capo il cielo che iniziava a schiarire vesto est: “Tra tipo tre ore devo essere in ufficio e non ho intenzione di rischiare che tu sparisca per un altro mese senza un gufo o una parola.”

“Scusa, davvero, - mormorò Remus sprofondando le mani nelle tasche dei calzoni – Mi dispiace essere completamente sparito ma avevo bisogno di pensare, avevo bisogno di trovare la forza e la calma per scendere a patti con … quello che abbiamo fatto…”

Remus distolse lo sguardo, imbarazzato, e Dora non riuscì a non intervenire: “Merlino, Remus! Non abbiamo ucciso né menomato nessuno, smettila di parlarne come se fosse qualcosa di cui vergognarsi!”

Lui serrò la mascella con forza, inamovibile: “E’ stato profondamente irresponsabile, Dora, ed è della mia noncuranza che mi vergogno! Sembra che la mia condizione sia trasmissibile unicamente tramite morso, ma è solo perché non ci sono casi di studio di intercorsi tra licantropi e persone sane, per ovvie ragioni! E se tu fossi rimasta incinta? Che cosa sarebbe successo? Che cosa sarebbe… nato?”

“Oh, ti prego! – sbottò lei, cominciando ad arrabbiarsi di nuovo – Non ti sembra un po’ tardi per sollevare un’obiezione di questo tipo? Pensavi davvero che una gravidanza non fosse qualcosa a cui io avevo pensato? Mai sentito parlare di pozione regolativa?”

Per un attimo, Remus sembrò confuso: “No…”

Dora si ritrovò a combattere l’impulso fortissimo di cercare uno spigolo contro cui sbattere la testa. Remus era un uomo di trentacinque anni mai stato in una relazione stabile, ovvio che non avesse una gran familiarità con la contraccezione: “Beh, una gravidanza non è qualcosa di cui preoccuparsi.”

Sul viso di Remus comparve un’espressione estremamente sollevata e Tonks si stupì con se stessa nel constatare quanto le facesse male. Un pallido ricordo di un sogno, di un bimbo con gli occhi azzurri di Remus in tinta con una zazzera di capelli blu, fece capolino e venne prontamente schiacciato via. Improvvisamente debole, Dora si lasciò sedere su un tronco, le mani strette in grembo.

Remus prese a camminare avanti e indietro davanti a lei, senza trovare pace: “Bisogna essere realistici: non posso legalmente sposarmi, non posso fare dei figli e perfino l’intimità è rischiosa, ho a malapena le risorse per non morire di fame, figuriamoci mantenere una famiglia, non posso condannare qualcuno a vivere una vita come quella che ho da offrire. Non c’è futuro con me, Dora, e ho bisogno che tu lo accetti.”

“Sono perfettamente al corrente di tutte queste cose, e non mi importa! Perché non ci vuoi lasciare una possibilità?” mormorò lei.

“Perché presto o tardi mi spezzerebbe il cuore! – rispose Remus, fermandosi di fronte a lei e chinandosi su un ginocchio per portare lo sguardo alla sua altezza – Perché dici adesso che sei consapevole e che non ti importa, ma presto o tardi ti troveresti davanti alla verità dura e cruda… e non mi guarderesti più con gli stessi occhi. Averti nella mia vita è prezioso, Dora, abbiamo una bellissima amicizia, che è quello di cui ho bisogno e quello che voglio.”

Dora deglutì a forza, annaspando per respirare. Remus era assolutamente serio, e assolutamente cieco al fatto che lei lo amasse ormai con una forza insormontabile e non fosse semplicemente più in grado di immaginare un futuro senza di lui al suo fianco, nonostante tutto.

Una parte di lei avrebbe voluto gridargli in faccia “Ti amo, idiota!” ma l’altra parte ebbe il sopravvento, la parte razionale, quella in grado di vedere l’uomo appeso alla sanità per un filo, in un momento di estrema fragilità e, al tempo stesso, di estrema chiusura.

“E se non fosse quello di cui io ho bisogno, che io voglio? – chiese quindi con un filo di voce – Perché io credo di volere molto, molto di più, Remus.”

“Non ti posso dare di più - rispose lui, triste ma categorico, e Dora sentì il cuore andarle in frantumi e un groppo amaro salirle in gola – È quasi certo che nel prossimo futuro ci troveremo a dover lavorare insieme, come stanotte, sempre più spesso e se questo è un problema devi dirmelo ora.”

Lei si passò una mano sugli occhi, gonfi e prossimi ad un pianto che stava lottando per trattenere: “No, certo che no, nessun problema – si costrinse a rispondere - Se è tutto ciò che hai intenzione di permettermi, lascia almeno che ti stia vicino così, da amica.”
 
 
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“Buongiorno, Signor Fisher. Un caffè doppio, per favore.”

L’omino babbano squadrò Tonks da capo a piedi da dietro il suo chiosco e scosse il capo con un mezzo sorriso: “Abbiamo fatto le ore piccole, eh! Ah, quanta gioventù… ecco a te una dose doppia di zucchero e caffeina, cara.”

Dora gli allungò un paio di pound e gli augurò una buona giornata prima di trascinarsi stancamente verso l’ingresso pedonale del Ministero. Era stravolta, aveva messo piede in casa all’alba e pianto tutte le sue lacrime sprofondata nella vasca da bagno per poi uscire e fare una lunga passeggiata mattutina per le vie grigie di Londra. Non aveva neanche provato a dormire.

Individuò immediatamente la sagoma variopinta di Kingsley nell’ingresso e allungò il passo per affiancarsi a lui mentre varcava la soglia dell’ascensore. Aveva un’aria altrettanto stanca e abbattuta: “Sono a malapena passato da casa a darmi una lavata – borbottò in un raro momento in cui l’ascensore si era completamente svuotato – abbiamo scarpinato su e giù tutta notte senza trovare assolutamente nulla. Nessuno conosce quella dannata foresta meglio di Hagrid, siamo andati a parlare con alcuni centauri ma non hanno visto nulla di strano e io e Hestia abbiamo provato qualsiasi incantesimo di tracciamento, nulla! Sembrerebbe quasi che, dal punto dell’aggressione, Crouch non sia affatto rientrato nella foresta, ma è assurdo perché non può essere andato da nessun’altra parte! Anche voi un buco nell’acqua mi pare di capire…”

Tonks annuì: “Già. Non che fosse probabile che Crouch fosse riuscito a muoversi indisturbato per il castello … ma di sicuro non ha utilizzato nessuno dei passaggi segreti.”

“E per il resto? – chiese Shacklebolt mentre raggiungevano il piano e si facevano strada verso il quartier generale auror – Tutto ok?”

Dora fece finta di non aver capito la domanda e si strinse nelle spalle: “Niente di che.”

Avevano a malapena preso posto ai rispettivi cubicoli che la voce di Scrimgeur li chiamò tutti a raccolta; aveva un’aria anche più torva del solito e annunciò senza preamboli di sorta che Crouch era comparso nel parco di Hogwarts la sera prima e che bisognava organizzare immediatamente delle squadre di ricerca che pattugliassero la zona. L’informazione era assolutamente riservata e il ministro in persona era diretto alla scuola per parlare con il preside.

Tonks mugugnò disperata, pregando tutto il pregabile che le venisse concesso di accasciarsi alla scrivania e vegetare sulla sua sedia per il resto della giornata. 

“Ci è permesso pattugliare l’interno della scuola?” chiese qualcuno.

“Come è possibile che qualcuno si sia introdotto a Hogwarts?” aggiunse un altro.

Scrimgeour alzò entrambe le mani per mettere le voci a tacere: “Non abbiamo il permesso di entrare a scuola, il Preside ha detto che i suoi insegnanti sono tutti grandi maghi e streghe e che sono più che sufficienti a tenere al sicuro i suoi studenti. Inoltre, pare abbia ragione di credere che Crouch non sia più entro i confini di pertinenza della scuola. Come funzioni quel dannato castello è un mistero che credo nemmeno Dumbledore conosca fino in fondo, ma se non ci fidiamo di lui di chi?”

Tonks provò un guizzo di entusiasmo nel rendersi contro che Scrimgeour si fosse appena esplicitamente dichiarato pro-Dumbledore ma la sua energia ebbe vita breve, svanendo non appena il suo nome venne chiamato per fare parte di una delle squadre incaricate di setacciare il perimetro della scuola in cerca di indizi.

Fece cadere la testa sulla spalla di Kingsley, al suo fianco, ed ebbe la magra consolazione di una pacca solidale sulla schiena prima di rassegnarsi al suo destino. 




 
 
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Dovesse incuriosirvi, vi dico due parole sul bg di Hestia Jones. Mi sono basata in primis, come sempre, da quello che ci dice J.K., partendo dall'età: le uniche informazioni che abbiamo sono che Hestia era troppo giovane per essere parte dell'Ordine durante la Prima Guerra e che Tonks è di molto più giovane di tutti gli altri, quindi ho collocato Hestia in un range più vicino a Remus (b. 1960) che a Tonks (b. 1972) facendola nascere nel 1963.

Non sappiamo in che casa sia stata ma sappiamo che è super competente in aritmanzia e incantesimi (in particolare magia difensiva) e che è abile nel volo; dato che fino ad ora abbiamo avuto solo personaggi Gryffindor o Hufflepuff per par condicio Hestia mi sembrava adatta a rappresentare Ravenclaw e, perché no, ad essere stata nella squadra di Quidditch.

Per quanto riguarda che cosa faccia nella vita, di nuovo, non abbiamo info quindi mi sono basata sulle sue competenze e su ciò che è descritto del suo carattere ("tactful and caring") e ho immaginato che nel mondo babbano sarebbe stata qualcosa di simile ad una psicologa o terapeuta. Ho cercato in lungo e in largo ma non ci sono tracce di figure professionali simili nel mondo magico, quindi sono approdata al St. Mungo e mi sono interrogata su quale reparto (questi sì, sono elencati da J.K.) potesse assomigliare di più a qualcosa che si occupasse di salute mentale e mi è subito saltato all'occhio il Janus Thickey. Dumbledore l'ha conosciuta per via di Gilderoy? Già la conosceva perché era lei che si occupava della riabilitazione dei Longbottom? O per qualche altro motivo ancora? Non lo so, ma mi sembrava ci fossero abbastanza collegamenti da rendere la storia credibile e interessante.

Nel leggere i libri vi eravate fatti un'idea diversa? Mi farebbe davvero piacere sapere quale e che cosa ne pensate della mia versione!
 
[1] Incantesimi citati nei libri o nei film (incluso Animali Fantastici) per rivelare testi, messaggi, oggetti o tracce di magia

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 - 24 Giugno 1995 ***



Capitolo 23 – 24 Giugno 1995
 

L’abituale quiete della piccola baia era disturbata, in quella limpida notte d’estate, dal vociare entusiasta – e a tratti un poco sguaiato – di una dozzina di giovani donne attorno ad un grande falò, sdraiate sulla sabbia ancora tiepida o in piedi accanto ad un tavolo che ospitava un abbonante e variegato buffet.

“Hei, Tonks, vuoi dell’altra cheesecake?”

La ragazza scosse la testa passandosi una mano sulla pancia, lasciata libera dal bikini rosa accesso su cui appariva a scompariva la glitterante scritta Team Bride: “Merlino, no! Grazie, Greta, ma se mando giù ancora qualcosa scoppio… - con un mezzo sogghigno, agitò il bastoncino di marshmallow che teneva in mano - ho a malapena spazio per questo.” 

Al suo fianco, Rachel le posò la testa arruffata sulla spalla, la coroncina di traverso sui capelli rossi e un sorriso beato sulle labbra: “Non so come ringraziarti, Tonks, credo di non essere mai stata più felice in vita mia e tutto questo - accennò al baldacchino dorato sopra le loro teste, ai palloncini che levitavano magicamente a mezzaria, alle ragazze vocianti tutto attorno e al mare calmo che faceva da sfondo alla scena – è assolutamente magnifico. Il migliore addio al nubilato che avrei mai potuto immaginare!”

Dentro di sé, Dora tirò un sospiro di sollievo. Non era stato banale rintracciare le amiche, alcune delle quali non vedeva dai tempi di Hogwarts, accordarsi con i genitori di Rachel per fingere di voler passare un weekend da sola con la sua migliore amica in Cornovaglia e nel frattempo mettere in piedi una festa a sorpresa. Il tutto in un periodo in cui il suo umore non era certo dei migliori; aveva il sospetto che se le avessero chiesto ancora una volta quando lei pensava di sistemarsi a sua volta avrebbe vomitato, per una ragione che non aveva nulla a che vedere con tutte le burrobirre che aveva scolato.  

Per qualche istante, si godette il momento di quiete dopo le pazzie della serata, osservando il marshmallow cambiare lentamente colore tra le fiamme, con il peso leggero della sua migliore amica addosso. Era profondamente grata di aver potuto, almeno per quella sera, sentirsi addosso i suoi ventidue anni di scemenza, senza che una parte del suo cervello fosse impegnata a preoccuparsi costantemente per un cugino in latitanza, per l’uomo che amava impegnato in una personale crociata di autodistruzione, per la terza prova in corso lassù al castello, per il suo vecchio mentore che le aveva risposto in modo tanto insolito al suo ultimo gufo da averla lasciata davvero preoccupata, per una collega morta in Albania, per uno dei suoi superiori misteriosamente scomparso, per un futuro incerto che non lasciava presagire nulla di buono. 

La tregua ebbe vita breve, con un brontolio sommesso, Rachel si accasciò su sé stessa, reprimendo un conato: “Oh no! No, no, no, no, no! – rise Tonks, affrettandosi a mollare il bastoncino di marshmallows per afferrare l’amica per le spalle – Abbiamo un po’ esagerato con il fire-wiskey, eh, sposina?”

“Mmm… è che a furia di guardare le onde mi sta venendo un po’ di mal di mare…” sbiascicò Rachel, sfregandosi gli occhi con una mano.

“Sicuro! – sogghignò Tonks, mettendola in piedi senza troppa fatica - Facciamo due passi, eh? Ti accompagno su a casa, ti dai una sistemata e recuperiamo della pozione post-sbornia.”

Dalle ragazze si alzò una sonora protesta nel vedere Tonks avviarsi con una traballante Rachel sotto braccio, ma si affrettò a rassicurarle: “Nessun problema, ve la riporto come nuova tra poco!”

Tra poco un’accidenti! Rifletté Tonks qualche tempo più tardi, constatando divertita quanto tempo stavano impiegando a risalire il sentiero che dalla spiaggia portava verso la grande casa. Rachel riusciva a malapena a mettere un piede davanti all’altro e, come se non bastasse, stava rapidamente scivolando verso la sua tipica sbornia-triste.

“Oh, ti ricordi la nostra prima ubriacatura, Tonks? – stava dicendo con tono melodrammatico – Il nostro quarto anno, ai Three Broomsticks, quando quell’infame di Kurt Wells mi ha spezzato il cuore…”

Dora sbuffò piano: “Mi è tuttora ignoto come tu abbia potuto farti spezzare il cuore da uno Slytherin brufoloso che ti ha dato buca per andare ad Hogsmeade con Mariah Roberts!”

“Era così carina! Ovvio che abbia preferito lei a me!” mugolò Rachel, abbacchiata.

“Non so a chi tu stia pensando – rispose Tonks pensando alla goffa e giunonica ragazza di Ravenclaw – ma sono abbastanza certa che non sia Mariah Roberts!”

“Ma alla fine si è rivelato il destino – proseguì Rachel senza dare cenni di averla sentita – perché se mi fossi messa con Wells il mio Mark non mi avrebbe mai chiesto di uscire e…”

Non finì la frase, sobbalzando e portandosi improvvisamente una mano alla bocca per auto-zittirsi. Tonks fu immediatamente allerta, grata di aver recuperato la bacchetta dalla spiaggia prima di incamminarsi. La estrasse dalla tasca posteriore degli shorts e si guardò attorno: “Che c’è? Che succede?”

Sul viso dell’altra comparvero grandi lacrimoni, che le scesero lungo le guance. Tonks strizzò gli occhi nel buio, la mano sinistra stretta al polso dell’amica, ma non vie assolutamente nulla di fuori posto nel grande prato che le separava dal portico.

“Oh, sono un’amica orribile, Tonks! Eccomi qui a parlare di Mark, proprio qui dove tu mi hai presentato Remus… non mi ricordo davvero che faccia abbia, ma sembrava così carino…”   

Dora lasciò andare un lungo respiro, capendo improvvisamente che si trovavano nell’esatto punto in cui avevano festeggiato capodanno. Serrò la mascella e rinfoderò la bacchetta: “E’ carino, Rachel – rispose seccamente, trascinandola verso la casa – è una brava persona, le cose non hanno funzionato… succede.”

“Oh, no! No, no, no, no, no, no! È un DISASTRO, Tonks!”

“Insomma, – fece lei rassegnata – forse non lo definirei un…”

“Non hai più il tuo più uno per il matrimonio!”

Tonks sospirò, alzando gli occhi al cielo stellato. Ovvio che fosse andata a parare lì. Prima di trovare qualcosa da dire, Rachel emise un versetto emozionato: “Ah, no, aspetta! Ho la soluzione IDEALE! Tonks, Mark ha un cugino danese! BELLISSIMO! Riarrangio i tavoli! So che per tradizione dovresti inciuciarti con il testimone dello sposo ma NON CI PROVARE, Tonks, Greg è felicemente sposato, e poi ci sarebbe…”

Dora smise di ascoltare il farneticare dell’amica e la spinse di peso nel bagno del piano terra, appoggiandosi pesantemente al muro fresco del corridoio. Con un piccolo ‘pop’, un’elfa domestica comparve poco lontano, affacciandosi della cucina; aveva grandi occhi gentili e grandi orecchie appuntite e indossava un buffo abito che sembrava realizzato con scampoli vecchi strofinacci: “Buonasera, Miss Tonks!”

La ragazza salutò con un cenno della mano: “Ciao, Minty. Potresti portarmi una buona dose di pozione anti-sbornia?”

L’elfa annuì, e pochi minuti dopo una tazza bollente comparve sul tavolo della cucina, dove Tonks aveva preso posto. Quasi allo stesso tempo, Rachel comparve sulla soglia tamponandosi il viso con un asciugamano. Si lasciò cadere pesantemente sulla panca accanto all’amica e inalò il vapore della pozione con aria disgustata: “Merlino, odio quest’affare – borbottò – non voglio bere mai più nella vita.”

“Si dice sempre così Rach, sempre così…” ridacchiò Dora.

La risata le morì in gola nel vedere le luci nella stanza tremare e, con sommo orrore, Tonks guardò formarsi nell’aria un grosso cane argentato. La voce che riempì la stanza un attimo dopo, stanca e cupa, era quella di Sirius: “Sei una strega difficile da trovare, baby cousin. Mi dispiace essere il latore di cattive notizie, ma il peggio è accaduto e l’Ordine è stato convocato. Da Remus, al più presto.”

Come era comparso, il patronus sparì e, per un istante, Dora rimase gelata, la bocca spalancata, incapace di articolare alcun suono.

Fu Rachel a parlare, con un filo di voce: “Tonks, che cosa è appena successo? Era un patronus? Da tuo… cugino? Ed è il tuo Remus che ha nominato?”

Il tono di Rachel aveva acquistato isteria ad ogni interrogativo e Dora non rispose, limitandosi ad afferrare il bordo del tavolo fino a sentire le dita far male, pensando il più in fretta possibile. Che cosa diamine poteva avere spinto Sirius a mandarle un patronus in quel modo? Il peggio… se l’Ordine era stato convocato poteva solo voler dire…

“Tonks? – mormorò di nuovo Rachel – Che vuol dire che il peggio è accaduto? Parlava di un Ordine…”

Dora si costrinse a guardarla: aveva un’aria terrorizzata, la tazza fumante ancora tra le mani e il viso terreo. Poteva essere un po’ alticcia, ma neanche lontanamente ubriaca abbastanza da dimenticare quello che era appena accaduto, stava facendo troppe domande, domande a cui non sapeva come rispondere… e in un attimo, Dora fu come colpita allo stomaco dal pugno inesorabile della consapevolezza. Erano domande a cui non poteva rispondere.

Non poteva tradire la fiducia del Preside mettendo al corrente un’esterna dell’esistenza dell’Ordine della Fenice. Non poteva trascinare Rachel, la sua adorata migliore amica, con il cuore troppo grande e un matrimonio alle porte, in una guerra di spionaggio. Non poteva – realizzò con una morsa allo stomaco – rischiare di divulgare informazioni da cui poteva dipendere la sopravvivenza dell’intera comunità magica. Già una generazione aveva visto un amico cadere… Non importava quanto male facesse: non aveva che una soluzione.

“Rachel, ho bisogno che ti fidi di me – disse piano - Rimani seduta qui e finisci la tua pozione, io torno tra un istante e ti spiegherò ogni cosa, ok?”
Rachel la fissò con sguardo smarrito, quindi annuì: “Ok. Ok, Tonks.”

Dora si alzò, e si avviò a grandi passi verso la porta, quindi estrasse la bacchetta e la puntò contro la schiena di Rachel, che era rimasta fedelmente al tavolo e stava cercando di portarsi alle labbra con mani tremanti la tazza. Deglutì, cacciando giù il groppo amaro che aveva in gola, e si costrinse a respirare. Non puoi farlo - disse una voce dentro di lei - Merlino, è la tua migliore amica…

La ignorò: “Obliviate!”

Vide l’incantesimo colpire Rachel e la ragazza rimanere immobile per un paio di secondi, prima di venire scossa come da un piccolo brivido. Quindi, riprese a sorseggiare la pozione e Tonks si costrinse a lasciare andare il fiato che non si era accorta stesse trattenendo. Non era ancora finita. Si schiarì la voce e Rachel sobbalzò, voltandosi di scatto. Per un attimo, sembrò stupita di vederla: “Tonks?”

“In persona – si costrinse a sorridere lei – Ti senti meglio?”

Rachel la guardò confusa e lei accennò alla tazza: “Ti conviene berla fino in fondo, eri piuttosto alticcia… cosa ti ricordi?”

“Ero in bagno – rispose lentamente lei – poi sono venuta in cucina…”

“Io ti ho dato la pozione e sono andata in bagno a mia volta, ed eccomi qui - concluse Tonks, sentendosi orribile – Senti, credi di essere in grado di tornare giù alla spiaggia senza di me? Mi è appena arrivato un memo del Ministero, hanno bisogno che vada in ufficio.”

“Ora? – chiese stupita Rachel – È successo qualcosa?”

Dora si strinse nelle spalle: “Credo nulla di serio, ma non so di preciso.”

“Oh! Certo, certo, Tonks – Rachel si alzò e girò attorno al tavolo per andarle incontro - Sei stata un tesoro ed è tardi… mi dispiace che tu debba andare, ma credo che anche le altre non rimarranno ancora molto.”

“Vieni qui – disse Dora, aprendo le braccia e stringendola a sé – Scusa. Davvero.”

L’altra scosse il capo: “Non ti preoccupare. La mia migliore amica non è solo una party planner eccezionale ma anche un’auror spaccaculi! Sono fiera di te, Tonks!”

Dora la lasciò andare lentamente, guardandola negli occhi: “Non sai quanto è importante per me. Ti voglio bene.”

Rachel sorrise: “Anche io, ora va! Su! Non fare attendere il Ministero!”

Ma non fu al Ministero che Tonks si smaterializzò. Fece il vialetto di accesso al cottage di corsa e picchiò contro la porta con urgenza, bacchetta alla mano nell’intravedere diverse sagome scure dietro le tende delle finestre illuminate.

Fu il volto stanco di una donna sulla quarantina a comparire sulla soglia e la ragazza sbatté le palpebre, accecata dalla luce improvvisa e confusa nel vedere la piccola stanza affollata di persone che non conosceva. Fece scorrere gli occhi sulla quindicina di maghi e streghe riuniti in piccoli capannelli e identificò rapidamente la sagoma inconfondibile di Kingsley che, in un angolo, stava parlando fittamente con un omino di bassa statura, palesemente in pigiama e vestaglia. Poco lontano, di spalle, c’era Remus.

La donna sulla soglia si schiarì discretamente la voce, e solo allora Dora si rese conto di essersi smaterializzata in infradito, solo gli shorts di jeans sopra il bikini: “Tonks – si affrettò ad esalare con voce rotta – Sono Nymphadora Tonks.”

La donna annuì e si fece da parte, facendola entrare. Né Remus né Kingsley sembravano averla notata, ma Hestia, in piedi accanto alla finestra con un mago biondo dalla mascella squadrata, le rivolse un cenno del capo. Dora esitò, infilando le mani in tasca e chiedendosi a quale capannello unirsi quando, con la coda dell’occhio, scorse un profilo famigliare al capo opposto della stanza.

Facendosi largo tra la piccola folla, Dora lo raggiunse e gli gettò le braccia attorno al collo: “Oh, Sirius… non sai che cosa ho fatto – mormorò con un filo di voce – ho fatto una cosa orribile, orribile…”

Lui la tenne stretta, chinandosi un poco in avanti per parlarle nell’orecchio: “E’ ok, Tonks, è tutto ok. Sono certo che hai fatto ciò che andava fatto.”

Lo lasciò andare, scostandosi quanto bastava per guardarlo: era lacero, magrissimo, capelli e barba incolti, i vestiti – che Dora riconobbe essere una camicia e un paio di calzoni di Remus – gli cadevano addosso come a uno spaventapasseri. Non era neanche l’ombra del cugino gioviale che aveva lasciato a gennaio ma d’altronde, rifletté tristemente, erano stati mesi difficili per tutti.

Improvvisamente, l’adrenalina scemò, lasciando spazio alla valanga di emozioni che erano state tenute a bada fino a quel momento: il sapore amaro dell’alcol in bocca, la stanchezza di troppe notti insonni, il dolore di avere stregato la sua migliore amica e di averle mentito, la paura ciò che era successo, lo spaesamento di essere nuovamente in un luogo così caro al suo cuore, violato da tante persone estranee…

Barcollò e Sirius la sostenne per un gomito, aiutandola delicatamente a sedere a terra, la schiena contro la parete, lasciandosi poi cadere al suo fianco e circondandole le spalle con un braccio. Dora si sfregò gli occhi gonfi con il dorso della mano e tirò su con il naso, costringendosi a pensare lucidamente: “Che cosa ci fai in forma umana, Sirius? Non è pericoloso?”

Lui si strinse nelle spalle: “Remus ed io abbiamo spiegato l’intera faccenda poco prima che tu arrivassi; non sono certo che tutti l’abbiano digerita facilmente, ma si fidano di Dumbledore abbastanza da essere qui. Ero lassù, Tonks, ero ad Hogwarts, per Harry. Stavo aspettando nell’ufficio…”

Tre colpi decisi risuonarono nella stanza, e immediatamente ci fu silenzio. Remus raggiunse la porta e la aprì senza esitazione; chinando appena il capo, la figura allampanata di Dumbledore varcò la soglia. Il preside fece scorrere lo sguardo enigmatico su ciascuno dei presenti, quindi sospirò: “Cari amici, grazie di essere qui. Ho lasciato Minerva a custodire la scuola, ma non posso restare con voi molto a lungo. Purtroppo, ciò che tutti noi temevamo, è infine accaduto, nel più tragico dei modi, portandosi via una vita innocente e dritto sotto il nostro naso. Siamo stati salvati dal disastro, per un pelo.”

Con tono sommesso, calmo nonostante tutto, il preside raccontò di come la Terza Prova fosse finita in tragedia, con la morte del giovane Cedric, il figlio di Amos Diggory, di come Harry Potter avesse visto Voldemort tornare nella sua forma corporea, di come avesse suo malgrado partecipato al macabro rituale riuscendo a salvarsi grazie ad uno straordinario connubio di fortuna e coraggio.

“Hai detto che la coppa era una passaporta. Come è stato possibile, Albus?” chiese un uomo anziano e piuttosto robusto, con sparuti capelli bianchi.

“È stato possibile, Elphias, perché Voldemort è astuto. Ha avuto pazienza, battendoci al nostro stesso gioco, compromettendo la persona di cui più ci fidavamo. Alcuni di voi avranno forse notato che Alastor non è con me; – il suo sguardo indugiò su Tonks mentre continuava – è fortunatamente fuori pericolo, momentaneamente ricoverato al St. Mungo per accertamenti ma Poppy è fiduciosa che si riprenderà completamente. Per l’intero anno scolastico è stato imprigionato nel suo stesso baule sotto maledizione, tenuto in vita perché il suo carceriere potesse usarlo per informazioni e per rifornirsi di pozione polisucco.”

A quelle parole, Dora drizzò la schiena. Ripensò a quel pomeriggio di fine estate, quando era andata a trovare Mad-Eye in Scozia, ripensò alla notizia del suo presunto attacco la sera prima di iniziare il suo incarico a Hogwarts: “Chi… – mormorò – Chi gli ha fatto questo?”

“Un attore di straordinario e sinistro talento: – rispose mesto Dumbledore – Barty Crouch… junior.”

Questa volta fu la strega che aveva aperto la porta a Tonks a chiedere: “Barty Crouch junior? Vuoi dire che non è morto ad Azkaban anni fa?”

Il preside scosse il capo: “No, a quanto pare è rimasto nascosto a casa di suo padre per tutto questo tempo, un segreto gelosamente custodito e una gentilezza mal ripagata, che è costata a Barty senior la sua stessa vita. È una storia lunga, per la quale non abbiamo tempo ora. Purtroppo il ragazzo è morto, è stato consegnato ai dissennatori prima che potesse testimoniare; non c’è stato nulla da fare, Cornelius era presente.”

“E il Ministero che cosa intende fare?” chiese Kingsley.

“Per ora, nulla. Cornelius rifiuta di ammettere il ritorno di Voldemort, non crede alla parola di Harry.”

A questa affermazione un brusio irato prese vita nella stanza, subito zittito quando Dumbledore alzò una mano: “Mi dispiace, ma il tempo è poco e questo posto non è sicuro. Ho chiesto a Sirius – nuovamente, gli occhi chiari del Preside tornarono verso l’angolo in cui sedevano i cugini – di trovare un luogo adatto a servire da quartier generale.”

Sirius si schiarì la voce: “Sarà agibile in un paio di giorni, giusto il tempo di terminare le ultime protezioni e procedere al Fidelius[1].”

“Molto bene, - disse il preside - sai cosa fare e confido che Nymphadora ti possa dare una mano.”

Tonks annuì, quindi il preside tornò a rivolgersi alla stanza: “Remus continuerà momentaneamente a fare da tramite per i nostri messaggi ma cercate di comunicare il meno possibile, e siate prudenti. Hestia, ti chiederei di tornare al St. Mungo e tenere sott’occhio Alastor. Passerò a trovarlo non appena mi sarà possibile, fammi sapere quando riprenderà coscienza.”

Hestia mormorò un assenso e Dumbledore continuò: “Kingsley, quando domattina tornerai in ufficio prendi discretamente contatto con Arthur Weasley; lui e Molly sono dei nostri. Se il Ministero rimarrà su una posizione negazionista, il vostro contributo sarà più prezioso che mai, dovete essere i nostri occhi e le nostre orecchie. Arabella, è fondamentale accertarsi che Little Whinging rimanga al sicuro: Sturgis e Mondungus possono venire con te. Dedalus, Emmeline, vorrei che faceste un giro a casa Crouch prima che una squadra ministeriale venga mandata sul posto.”

I vari interpellati risposero con qualche parola di conferma, infine, tornò il silenzio: “State in guardia, amici, e abbiate cura di voi. Avrete presto mie notizie.”

Alla spicciolata, con qualche sommesso saluto e un paio di strette di mano, tutti scivolarono fuori, nella notte che invecchiava, finché nella stanza non rimasero che Sirius e Tonks, ancora seduti a terra, e Remus, appoggiato pesantemente alla porta che aveva appena chiuso alle spalle di Elphias Doge.         

Senza una parola, Remus aprì un’anta e ne estrasse tre bottiglie di burrobirra; Sirius si tirò in piedi e tese una mano a Dora, che la accettò grata. Presero posto come avevano sempre fatto a Grimmauld Place: Sirius a capotavola, gli altri due l’uno di fronte all’altra, e per qualche minuto ciascuno bevve in silenzio, senza alzare lo sguardo a cercare gli altri. 

Infine, fu Sirius a chiedere a Tonks: “Vuoi dirmi che cosa è successo stasera? Come stai?”

Lei si passò una mano sul viso stanco: “Ho obliviato Rachel, Sirius, ho alzato la bacchetta contro la mia migliore amica. Ero al suo addio nubilato quando è arrivato il tuo patronus… sarà anche intracciabile e incorruttibile ma ha una grossa limitazione, chiunque sia con te quando lo ricevi sente il messaggio.”

Sirius sospirò: “Mi dispiace, so che è difficile… ma hai fatto la cosa giusta. Non eri a casa né dai tuoi, Tonks, e avevo bisogno di contattarti immediatamente, non sapevo che altro fare.”

“Lo so, non è colpa tua. Immagino sia il primo di una serie di compromessi con cui dovrò a scendere a patti da qui in avanti… ma sono pronta.”

Remus intervenne per la prima volta nella conversazione, mormorando neutro: “No, non lo sei.”

Dora lo guardò duramente, offesa e ferita: “Tu non hai alcun diritto di…”

“Per una volta – la interruppe Sirius – sono d’accordo con Moony. Non dubitiamo che tu voglia essere pronta, baby cousin, ma non lo sei. Non lo puoi essere, non hai idea di quello che sta arrivando.”

“Non è giusto – scosse piano il capo Remus – Non è giusto che un’altra generazione di ventenni venga trascinata in una guerra.”

“La vita non lo è mai, giusta – ribatté seccamente Tonks – Prima lo si accetta prima si è pronti a fare qualcosa a riguardo. Quindi, che cosa facciamo ora? Andiamo a…”

“Non dire quel nome – la interruppe di nuovo Sirius con urgenza – Non finché la casa non sarà resa sicura. Ad ogni modo, sì, è lì che dobbiamo andare, va resa operativa il prima possibile.”

Remus sospirò: “Io non posso muovermi stanotte, devo licenziarmi e sistemare le mie cose qui... andate avanti voi, e io vi raggiungo domani.”

Sirius gettò un’occhiata all’orologio appeso alla parete e, inaspettatamente, sogghignò: “In tal caso noi faremmo meglio a muoverci prima che sia giorno… Vieni, Tonks, ti presento un amico.”

Un quarto d’ora più tardi, le braccia strette alla vita di Sirius, Dora guardò la campagna inglese scorrere sotto di lei, il silenzio della notte rotto solo dallo sbattere ritmico delle grandi ali di Buckbeak. Dopo tutto ciò che era successo quella sera, Dora sarebbe stata pronta a giurare che nulla poteva più stupirla, ma trovare un ippogrifo intento a pasteggiare a furetti sul retro della casa di Remus l’aveva fatta rapidamente ricredere. 

Posò il capo contro la schiena del cugino e inspirò a pieni polmoni, solo per sbuffare piano subito dopo.

“Che hai? – chiese Sirius, divertito – Puzzo, per caso?”

“Peggio, - borbottò Tonks - sai di lui.”

“Non mi stupisce, dato che ho addosso i suoi vestiti – rise Sirius per poi sospirare teatralmente – Deduco che non ti è ancora passata?”

Dora non rispose, chiuse gli occhi e rimase immobile. Un istante dopo sentì Sirius irrigidirsi, e smettere di sogghignare: “Oh, per le palle di Merlino! – esalò, serio – Lui lo sa?”

La risposta di lei si perse nel silenzio dell’alba: “Che lo amo? No.”  


 
[1] Fidelius charm: potente incantesimo che nasconde un segreto all’interno dell’anima di un singolo individuo; solo il cosiddetto ‘Custode Segreto’ (secret keeper) può rivelare l’esistenza della cosa/persona/luogo segreto e deve farlo di sua spontanea volontà

 

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Capitolo 25
*** Epilogo - Luglio 1995 ***


 
Epilogo - Luglio 1995


L’estate aveva infine investito Londra a piena forza, con un’ondata di caldo senza precedenti che gravava sulla città rendendo l’asfalto rovente e l’aria irrespirabile. Tonks stava sudando copiosamente nella sua canotta di lino e gonna corta; si passò una mano sul collo, lasciato libero dai capelli rosa cicca tagliati cortissimi, e imboccò la stretta scalinata con attenzione, borbottando a mezza voce: “Dannazione, giuro che non ho mai dovuto sopravvivere a un’estate così calda in tutta la mia vita. Grazie al cielo hanno inventato i seminterrati.”

In effetti, nella cavernosa cucina di Grimmauld Place, la temperatura era ancora ragionevolmente fresca, nonostante fosse ormai mattina inoltrata. Sirius sedeva scompostamente come suo solito a capotavola, i piedi appoggiati ad un angolo del lungo tavolo di legno e le dita incrociate dietro la testa: “Dove diavolo ti eri cacciata, Tonks? Sei andata a cercarle in Cina quelle sedie?”

Dora agitò la bacchetta e le tre sedie sospese davanti a lei si adagiarono a terra. Rifilò al cugino un’occhiataccia: “Sai benissimo che non è un’impresa da poco trovare dei mobili sani e innocui in questa casa, Sirius. Se pensavi di fare meglio, o più in fretta, potevi anche offrirti di dare una mano!”

“E togli i piedi dal tavolo, Padfoot – lo rimbrottò bonariamente Remus che, in piedi accanto al lavello, stava contando una ventina di bicchieri, osservandoli mentre levitavano graziosamente fuori dall’acqua insaponata e su un vassoio poco lontano – Saranno qui a momenti e qualcuno dovrà bene andare di sopra a fare gli onori di casa.”

“E perché dai per scontato che quel qualcuno debba essere io, Moony?”

“Perché – rispose Remus, voltandosi a fronteggiarlo – fino a prova contraria questa è casa tua. Ti sei pure vestito a festa per l’occasione.”

“Hei, – ribatté Sirius sulla difensiva, aggiustandosi il gilet gessato che indossava sopra alla camicia violacea – smettila di bulleggiare il mio guardaroba, Moony. Piuttosto, se ora avete soddisfatto le vostre ansie da anfitrioni, volete farmi il piacere di portare i vostri didietro quaggiù?”

Remus le rivolse uno sguardo divertito, e Dora sorrise. Non era sempre facile, averlo così vicino e doversi costringere a tenere sotto controllo il mare di emozioni che scatenava in lei, ma le ultime settimane erano state talmente frenetiche che aveva avuto ben poco tempo per crogiolarsi sulle sue miserie e, per ora almeno, averlo nella sua vita quasi quotidianamente le bastava.

Andarono ad occupare le due sedie ai lati di Sirius e lui, improvvisamente serio in viso, passò loro due calici, riempiti con un colpo di bacchetta di un corposo vino rosso. Ne sollevò uno a sua volta, e li passò in rassegna lentamente: “Un brindisi – disse – A voi due, teste di legno, due delle persone a cui voglio più bene al mondo, e a me. Nei mesi che verranno, nelle ore buie che inevitabilmente dovremo affrontare, possiamo ricordare gli amici che abbiamo vicino, un tempo in cui la vita era più gentile, e il motivo per cui stiamo combattendo.”

Con un piccolo click, i tre bicchieri si incontrarono. Prima che potessero portarseli alle labbra, un sonoro bussare rimbombò nel silenzio sopra le loro teste, immediatamente seguito dalla voce squillante di Molly Weasley: “Fred, George! Vi ho educato meglio di così, non si entra in casa altrui senza permesso! Ron, fai attenzione con quel baule, Bill vuoi aiutare tua sorella? Merlino, che polverone, Arthur sei certo che siamo nel posto…”

In quell’istante, una seconda voce, altrettanto squillante ma ben meno solare, si fece sentire: “CHI SIETE VOI?? LURIDI INTRUSI CHE OSATE INTRODURVI NELLE ONORATE SALE DELLA DIMORA DELL’ANTICHISSIMA CASA DEI MIEI ILLUSTRI PADRI…”

Sirius, Remus e Tonks si guardarono per un istante, sconsolati, quindi scoppiarono a ridere e con un gesto all’unisono mandarono giù il loro vino. Sirius fu il primo a balzare in piedi, tamburellando con le dita sul gilet: “Credo che i Weasley siano arrivati – sogghignò - e se non vogliamo presto rimanere tutti con l’udito permanentemente danneggiato, è il caso di iniziare ad invitare la gente a fare silenzio quando transitano nell’ingresso.”     

Si sistemò un’ultima volta la camicia e imboccò le scale di corsa, subito seguito dalle lunghe falcate di Remus. Tonks fece sparire i bicchieri e si guardò attorno un’ultima volta con una certa malinconia prima di affrontare a sua volta i gradini.

In corridoio, la famiglia Weasley quasi al completo era ammassata tra la porta e le scale mentre Remus e Sirius lottavano per chiudere i tendaggi del dipinto di zia Walburga. Dora andò incontro a Bill con un gran sorriso, gli posò una mano su una spalla e si alzò in punta di piedi per avvicinarsi al suo orecchio e mormorare: “E’ bello vederti, faremmo meglio ad andare di sopra, e cerchiamo di non fare troppo rumore sulle scale.”

Mentre Bill passava parola ai suoi fratelli, Dora precedette il gruppetto su dalla prima rampa di scale, cercando di non guardare le macabre teste appese alla parete: il cinismo di Sirius aveva categoricamente impedito a lei e Remus di rimuoverle prima dell’arrivo degli ospiti.

Aprì la prima porta sulla sinistra, che dava sullo studio, e tutti si affollarono dentro. Dal corridoio, Remus diede una spintarella a Sirius, che aveva salito le scale per ultimo, e lui si fece avanti, schiarendosi la voce: “Bene. Ben arrivati. Alcuni di voi già li conosco… - accennò con il capo verso Molly – e immagino tutti sappiate chi sono… Mi dispiace per il benvenuto di sotto… mia madre non è mai stata una grande fan di visitatori, ma voglio che sappiate che siete tutti i benvenuti qui, per tutto il tempo che vorrete restare.”

Arthur, gioviale come sempre, gli andò incontro tendendogli una mano: “Arthur Weasley, tanto piacere, e grazie dell’ospitalità, davvero.”

Per un attimo, Sirius fissò interdetto la mano dell’uomo, come spiazzato da un simile, banale, gesto di cortesia, quindi la strinse con un mezzo borbottio: “Figuriamoci, figuriamoci, sono felice di potermi rendere utile.”

Dall’angolo dove era andata ad appoggiarsi al muro, Dora sorrise. Sapeva bene che, nonostante le sue continue lamentele che la casa si sarebbe trasformata in un asilo con tutti quei ragazzi tra i piedi, Sirius era genuinamente contento di avere qualcuno a ravvivare l’atmosfera. Con Molly e Arthur entrambi impegnati con l’Ordine, sarebbe stato difficile per loro lasciare i figli a casa e continuare ad andare avanti e indietro; era semplicemente più sicuro avere tutta la famiglia lì, senza contare che Harry sarebbe arrivato a breve. Molly si era offerta, per sdebitarsi, di occuparsi dei pasti e aiutare a bonificare la casa: non c’era bisogno alcuno di sdebitarsi di nulla, ma l’aiuto era certo bene accetto.  

“Bene – continuò Sirius, poggiando una mano sulla spalla di Remus – Remus, qui, dovreste giù tutti conoscerlo e per chi ancora non l’ha incontrata questa è mia cugina, Nymphadora Tonks.”

Prima che potesse correggerlo, furono i gemelli ad intervenire.

“E’ Tonks!” disse Fred.

“Solo Tonks!” aggiunse George.

Dora scoppiò a ridere: “Non avrei potuto dirlo meglio! – li squadrò con affetto – Accidenti se siete cresciuti…”

Bill sorrise: “Solo di altezza, ti assicuro! Questa è mia sorella Ginny, - proseguì, indicando uno a uno i più giovani del gruppo - lui è Ron e un’amica: Hermione Granger.”

“Ho sentito tanto parlare di tutti voi, è un piacere! Ora, se volete sistemarvi, abbiamo preparato delle stanze per voi. Le ragazze sono qui sul piano, e avete un piccolo bagno tutto per voi.”

Mentre mostrava a Ginny ed Hermione la loro porta, Tonks vide con la coda dell’occhio Sirius dare una pacca sulla schiena a Ron: “Tu sei su di uno, Ron, dividerai con Harry, quando arriverà. Al momento il tuo unico compagno di piano è una vecchia conoscenza… Buckbeak.”

Scosse il capo, ricordando l’incubo che era stato convincere l’orgogliosa creatura a fare le scale e venire rinchiusa nella tetra camera padronale. Sirius e Ron si avviarono su per le scale insieme a Bill, curioso di vedere l’ippogrifo, e Remus fece cenno ai gemelli: “Saliamo anche noi, al terzo. C’è una camera per Fred e George e una matrimoniale per voi, Molly. Sono sistemato lì anche io e Sirius sta all’ultimo piano. Vi faccio strada…”

Dora bussò allo stipite della stanza delle ragazze e sporse dentro la testa: “Tutto ok?”

Hermione sorrise, alzandosi dal letto che aveva occupato, dove riposava placido un grosso, e piuttosto brutto, gatto rosso: “Perfetto, grazie! – quindi la squadrò incerta e chiese - Posso farti una domanda, hem… Tonks?”

“Sicuro, spara!” risposa Dora incuriosita.

“Ginny mi ha detto che sei una metamorphmagus…”

“Me ne ha parlato Charlie, – aggiunse la rossa – mi ha detto che puoi cambiare qualsiasi caratteristica del tuo corpo in un secondo! E che vi siete conosciuti finendo in punizione insieme perché tu hai imitato Snape a lezione e quell’idiota di mio fratello non riusciva a smettere di ridere.”

“Già… bei tempi” sogghignò Tonks al ricordo.

“Non so se si può chiedere, non ho mai incontrato un metamorphmagus prima – continuò Hermione – Ma potresti farci vedere qualcosa?”

Dora strizzò gli occhi, e il suo naso prese immediatamente la forma di un grugno da porcellino; le risate di Ginny ed Hermione coprirono in parte il rumore di diverse paia di piedi in movimento, ma qualche attimo dopo, il viso di Remus si affacciò alla porta: “Perdonate l’interruzione, ma gli altri stanno arrivando, faremmo meglio a scendere.”

“Oh, certo, arrivo! A più tardi, ragazze!”

Imboccò la scala al fianco di Remus, le spalle che quasi si sfioravano, e dovette ficcare le mani nelle tasche della gonna per combattere l’impulso improvviso di sfiorarlo, di sentirlo, anche solo per un istante rubato. Sobbalzò quando lui si chinò appena verso di lei per mormorare: “Bel naso, Nymphadora.”

Quindi le strizzò un occhio e la precedette lungo il corridoio dell’ingresso. Dora dovette fermarsi un istante, appoggiandosi pesantemente al muro. Era bastato sentire il suo respiro caldo sul collo a provocarle un brivido di desiderio lungo la schiena, a lasciarla con il fiato corto e un calore improvviso che non aveva niente a che vedere con il clima torrido fuori.

Era stato un gesto da amico, una battuta per ricordarle di rimettere a posto il naso prima di scendere in riunione, le aveva sussurrato all’orecchio solo per non disturbare il dipinto. Ne era perfettamente consapevole, eppure il suo cuore non voleva saperne di rallentare i battiti.

La prima persona che vide seduta al grande tavolo della cucina fu Bill, e si sforzò di sorridergli, prendendo posto sulla sedia vuota accanto a lui. Evitò accuratamente di guardare nella direzione in cui Remus e Sirius stavano parlando con Arthur, ma colse distintamente l’occhiataccia di Molly.

Confusa, si sporse verso l’amico al suo fianco: “Bill, credo che tua madre mi stia silenziosamente mandando una maledizione senza perdono. Ho fatto qualcosa che non va? Non ho neanche ancora rotto nulla!”

Lui scosse la testa, allungandole una bottiglia fresca: “No, Tonks, lo sguardo d’odio era per me.”    

“Oh! Che cos’hai combinato?”

“Apparentemente, ti ho spezzato il cuore.”

Tonks rischiò di soffocarsi con la burrobirra e Bill le batté un paio di manate sulla schiena: “Lo so, lo so. Ho provato a dirle in tutte le lingue dell’universo che io e te non ci siamo mai frequentati in quel modo ma ci sperava così tanto che si ostina a non volermi credere… Magari, prima o poi, se trovi un momento adatto, puoi provare a parlarle tu?”

“Certo, certo – rispose lei, sempre più confusa – E perché dovresti avermi spezzato il cuore?”

Lui sfoderò un’aria imbarazzata: “Perché ho iniziato a uscire con una ragazza. Lo so che non è il momento migliore per iniziare a mettere in piedi una relazione, ma… ma lei è fantastica, Tonks!”

Bill era improvvisamente diventato così infervorato che Dora non poté non sogghignare, dandogli di gomito: “Ci siamo rimasti sotto, eh, signor Weasley? La conosco?”

Bill scosse nuovamente il capo, sempre più imbarazzato: “No, ma probabilmente ne hai sentito parlare, è la campionessa del TreMaghi di Beauxbatons.”

Dora annaspò alla ricerca di un nome, qualcosa che aveva a che fare con i fiori: “Fleur…”

“Delacour, sì. Ha deciso di tornare in Inghilterra per fare uno stage estivo alla Gringott e lo so che è un po’ giovane…”

A quelle parole, gli occhi di Dora corsero suo malgrado sulla figura di Remus, e si affrettò ad interromperlo posandogli una mano sul braccio: “Non hai niente di cui giustificarti, Bill. Da tutto quello che ho sentito di lei deve essere molto in gamba, e se lei ti piace, e tu piaci a lei, non c’è bisogno di aggiungere altro. Sono felice per te, Bill, davvero!” 

“Grazie – rispose lui – sei la seconda persona a cui lo dico dopo mia madre e avevo bisogno di qualcuno che mi dicesse che non sono completamente matto.”

Tonks fece per aggiungere qualcosa, ma in quel momento una figura famigliare fece la sua comparsa sulla soglia, facendola balzare in piedi con un urlo entusiasta: “Vecchio!!”

Gettò di slancio le braccia al collo di Mad-Eye, quasi commossa. L’ultima volta che lo aveva visto, sotto gli effetti di una pozione soporifera, era stato un anziano fragile e mutilato, avvolto nelle lenzuola bianche e verdi del San Mungo come in un sudario. Sembrava completamente ripreso ora, almeno a giudicare dallo scrollone energico che le diede per levarsela di torno: “Per le palle di Merlino, Tonks! Devi seriamente piantarla con questa dannata abitudine di abbracciare la gente!”

“È bello rivederti in piedi, Mad-Eye” rispose lei con un sorriso.

“Un sentimento che sicuramente tutti condividiamo” disse la voce gentile del preside, alle spalle del vecchio auror. Al suo fianco c’erano la McGonagall e Snape e, poco più indietro, la grande mole di Hagrid si stagliava nella stretta tromba delle scale.  

Con un cenno di saluto, Tonks tornò a sedersi, mentre il gruppetto di Hogwarts prendeva posto, con il Preside a capotavola. Dietro di loro, in piccoli capannelli, sciamarono nella cucina altre facce più o meno note, tra cui Tonks riconobbe Kingsley ed Hestia, Emmeline Vance, e il vecchio Elphias Doge.  

Quando infine tutte le sedie furono riempite, ci fu silenzio e tutti gli occhi si posarono su Dumbledore. Il vecchio mago estrasse la bacchetta e la posò sul tavolo con l’impugnatura verso il centro e la punta rivolta verso di sé; gli altri, notò Tonks, stavano facendo lo stesso. Vide Kingsley, imperturbabile come sempre, copiare Dedalus al suo fianco e Mad-Eye rivolgerle un cenno di sprone. Elettrizzata, chiedendosi che cosa sarebbe successo, posò la sua bacchetta chiara davanti a sé.

“Amici, – disse il Preside – temevamo che la nostra vittoria contro il male non fosse che una breve tregua, e ancora una volta la minaccia di Voldemort grava su di noi, ancora una volta ci è chiesto di unire le nostre forze per combattere, ancora una volta ci è chiesto di essere pronti a sacrificare le nostre vite e tutto ciò che abbiamo di più caro. Se qualcuno di voi dovesse avere ripensamenti vada ora, senza rancore e senza vergogna.”

Nessuno si mosse. Nessuno fiatò.

Dumbledore batté le mani, e uno stridio acutissimo riempì l’aria immobile, facendo tremare i timpani nelle orecchie di Dora. Una fiammata rossastra prese vita nel centro del tavolo e la ragazza si schiacciò contro la sedia, gli occhi sgranati, guardando l’inconfondibile sagoma di una fenice emergere dal fuoco. Il maestoso uccello batté le ali, e le fiamme divamparono attraverso il tavolo, avvolgendo le bacchette che vi erano posate. Sentì Bill al suo fianco sussultare, e per un attimo fu presa dallo stesso spasmo di panico quindi, come erano arrivate, le fiamme scomparvero, lasciando tutte le bacchette illese e immutate al loro posto. La fenice era placidamente appollaiata sullo schienale della sedia di Dumbledore. Era accaduto tutto così in fretta che Tonks si trovò a chiedersi se non se lo fosse immaginata.  

“L’Ordine della Fenice è risorto – disse semplicemente il preside, e Dora esalò il fiato che non si era accorta di stare trattenendo - La nostra priorità più urgente, in questo momento, è garantire la sicurezza di Harry Potter. Alastor, a te la parola.”

“Operazione Avanguardia: mese di agosto, data e orario da definirsi – esordì Mad-Eye - Harry Poter verrà prelevato dalla sua corrente posizione, il n.4 di Privet Drive, Little Whinging, Surrey, e spostato qui. Il ragazzo è minorenne, quindi, signori e signore, voleremo. Avete capito bene: scope. Cerchiamo buoni volatori, e combattenti d’esperienza. Si formeranno due squadre da nove, l’Avanguardia sarà il nostro team principale, la Retroguardia coprirà le spalle al primo gruppo e interverrà in caso di bisogno. Remus, Harry ti conosce e si fida di te, ti voglio con me nel primo team.”

Remus annuì e Sirius, al suo fianco, fece per dire qualcosa ma Mad-Eye lo stroncò immediatamente: “No, Sirius, sei troppo riconoscibile, non possiamo rischiare. Ho bisogno altri sette volontari.”

Bill e Tonks si scambiarono uno sguardo e le loro mani scattarono in alto all’unisono. Alastor li squadrò per un istante prima di rispondere: “Va bene, pivella, puoi essere dei nostri. Bill, sei l’altra persona che Harry conosce, preferirei averti nella Retroguardia. Chi altro? Shacklebolt, come te la cavi in volo?”

In pochi attimi le due squadre furono assemblate, e Moody fissò entrambi gli occhi su Dora: “Tonks!”

“Sì signore!” sobbalzò lei.

“Abbiamo bisogno di un diversivo per fare in modo che la famiglia babbana del ragazzo non sia in casa quando andremo a prenderlo. Pensi di poter pensare a qualcosa?”

“Con piacere!”

E mentre Moody andava avanti ad abbaiare istruzioni a destra e a manca, Dora tornò a guardare Fawkes, che vegliava sulla stanza con i suoi occhi intelligenti. Una guerra era alle porte, erano in inferiorità numerica uno a venti contro i Mangiamorte di Voldemort, conosceva a malapena metà dei maghi e streghe assemblati in quel seminterrato, tra cui sedevano dei cari amici, e l’uomo che le aveva rubato il cuore.

Nymphadora Tonks sorrise. Era lì, era nell’Ordine della Fenice, era esattamente dove sapeva di dovere essere.



 
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Che dire? Fa sempre uno strano effetto mettere l'ultimo punto e non avere più nulla da aggiungere, soprattutto quando come in questo caso si mette l'ultimo punto ad una storia che mi ha accompagnato per anni. 

Grazie, di cuore, a chi ci ha creduto fino in fondo, a chi non mi ha abbandonato, a chi mi ha scritto quando ancora l'opera era incompiuta e abbandonata per incitarmi a non mollare. Grazie a chi ha letto, grazie ancora di più a chi ha recensito, con una buona parola o un suggerimento, una domanda o anche "solo" la voglia di condividere un pensiero. Scrivere è un mestiere solitario, e quando si lancia una storia nell'etere lo si fa con la speranza che raggiunga qualcuno, gli tenga compagnia per un po' e, chissà, magari gli smuova dentro qualcosa; non so come sottolineare ancora una volta quanto piacere mi farebbe avere anche solo mezza parola di feedback. 

Buon proseguimento, buone letture e grazie ancora, 

Lu

 

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