Come nelle favole

di _Tati2308
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo due ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


"A volte due cuori per combaciare devono prima essere andati in mille pezzi"

È inverno nella Contea, uno dei più gelidi che esistano, di quelli che portano il ghiaccio nell'anima. 
Herz è un piccolo regno situato nella Valle di Mezzaluna, un po' più a nord del Monte Braveheart. 
Il regno è circondato dai boschi, abitati dalle creature della notte, stregoni, lupi mannari, fate...Molti di esse sono creature malvagie da cui è meglio stare alla larga, ma c'è una foresta al confine Nord del regno, una foresta proibita, nessuno sa cosa nasconda, molte sono le leggende su di essa e i suoi poteri, altrettanti hanno valorosamente provato ad entrarci, ma nessuno è mai uscito vivo per raccontarlo, si tratta della Foresta Nera. 
Ai cittadini è severamente proibito avvicinarsi ai confini del regno, tanto più è loro proibito varcare le soglie di quella foresta "mangia-uomini". 
Il regno non è molto grande ed è abitato per la maggior parte da umili artigiani e contandini. 
Una volta Herz era uno tra i più ricchi regni delle Cinque Terre, ma a causa della guerra molti uomini persero la vita, il villaggio s'impoverì a tal punto che l'unico mezzo di sostentamento era la coltivazione; era un po' come se il regno fosse regredito di cent'anni e il re, beh il re aveva cercato di porre fine a tutto ciò, di risollevare il paese dalle macerie, ma era stato tutto vano. Discendeva da una potente dinastia di stregoni purosangue, ma non poteva usare la magia per risolvere problemi di una portata così impegnativa, poiché avrebbe sbilanciato l'equilibrio dell'universo generando un'instabilità che riversandosi sul suo popolo, l'avrebbe portato all'autodistruzione. 
Purtroppo il beneamato re Aragon morì in guerra scatenando il dolore ed il panico nei cuori dei cittadini di Herz. 
Il re non aveva figli maschi, bensì una femmina, una giovane fanciulla di nome Astrid. 
La principessa era una tra le donne più belle del regno e il popolo l'amava per la sua dolcezza e generosità. Portava sempre i capelli castani raccolti in un intreccio attorno al capo che nascondeva solo parzialmente le delicate orecchie a punta, tipiche degli esseri fatati. Si diceva di lei che avesse due lapislazzuli al posto degli occhi dolci e vispi, incorniciati da lunghe ciglia scure. 
Astrid era una ragazza piena di vita, non le era mai importato di essere una principessa, se c'era bisogno di aiuto al villaggio si rimboccava le maniche e dava il suo contributo. 
I bambini amavano quando lei si sedeva sul bordo della fontana nella piazza del regno, l'accerchiavano e ascoltavano attenti ogni nuova storia che lei dolcemente e con pazienza raccontava. 
Quando il re morì, Astrid si sentì persa in preda al dolore, un dolore così forte che nemmeno il suo amato popolo poteva lenire. 
Poco tempo dopo, ella fu costretta a prendere marito, in quanto le convenzioni sociali non ammettevano la possibilità di regnare sola. 
Non fu però lei a scegliere l'uomo con cui avrebbe passato il resto della vita, il Gran Consiglio scelse per lei un uomo valoroso e meritevole, Kantaric Delake, esponente di una potente famiglia di stregoni. 
I due andavano d'accordo, anche se non si amavano, né l'avrebbero mai fatto. 
Dalla loro unione nacque un bimbo, capelli neri come l'ebano, piccole orecchie a punta e due pozze d'inchiostro come occhi, Aaron Delake, la cui magia era notevolmente maggiore rispetto a quella di chiunque altro, aveva in sé l'unione del sangue delle due famiglie id stregoni più potenti delle Cinque Terre. 
Eppure, il piccolo Aaron non poteva dapere che quel potere, considerato un dono, sarebbe propiro stato ciò che gli avrebbe portato via tutto, scardinando ogni perno su cui si fondava la sua vita, il suo potere sarà la sua dannazione, ma allo stesso tempo anche la benedizione.

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Capitolo 2
*** Capitolo uno ***


Il regno è circondato dai boschi, ma a causa della feccia che li abita ai cittatini di Herz è proibito addentrarvisi. Esce il fumo dai camini delle case, nell'aria si sente il suo odore acre, sicuramente in quelle case ci sono famiglie riunite attorno ad un tavolo intente a cenare parlando della propria giornata. Il piccolo Aaron di soli undici anni è inginocchiato sulla cassapanca sotto la finestra della sua cameretta a palazzo, osserva con sguardo sognante ed incuriosito quei comignoli emettere quelle scie di fumo grigio che entrano in contrasto con il nero del cielo, è una notte senza stelle...Immaginava come sarebbe stato ritrovarsi a mangiare insieme in famiglia, parlare del più e del meno, avrebbe voluto raccontare loro le mille idee che gli passavano ogni giorno per quella testolina ricoperta da folti capelli neri. Lui viveva in un altro mondo però, la sua vita era diversa e il suo destino era stato segnato ancor prima della sua nascita. Il padre di Aaron, Kantaric era un uomo tutto d'un pezzo, discendeva da una potente dinastia, i Delake, maghi purosangue dalle innumerevoli doti magiche. Kantaric conobbe Astrid, la madre di Aaron in giovane età, loro erano promessi sin dal giorno della loro nascita. Non vi fu mai un buon rapporto tra di loro: lei era buona, dolce, amava le persone e dedicava ogni singolo istante della sua vita ad aiutare chi in difficoltà. 
Aaron amava sua madre, era l'unica in grado di comprendere ciò che lui non diceva, perché lei era come lui: una sognatrice, aveva un cuore grande, una vita piena di impegni, eppure trovava sempre un po' di tempo, la sera, per leggere la favola della buonanotte al suo amato figlioletto. Aaron amava quel momento, non tanto per la favola, quanto per il fatto di avere l'attenzione della mamma solo per lui. Ogni sera lei si sedeva sul quel letto troppo grande per un bimbo di soli cinque anni, lo faceva sedere sulle sue ginocchia e si metteva a raccontargli storie che narravano di grandi eroi senza paure. Ed il piccolo Aaron ascoltava accoccolato tra le sue braccia quelle fantastiche storie e sognava di poterne vivere una così anche lui da grande. Voleva lasciare un segno, voleva che il mondo si ricordasse di lui. 
Kantaric, invece, non fu mai una vera figura paterna. Lui si occupava giorno e notte di quello che, agli occhi di un bambino, erano inutili documenti e scartoffie politiche, passava le ore seduto nella Sala Grande a sigillare fogli e a tenere conferenze con i suoi consiglieri. 
Aaron era un bambino diverso dagli altri, si sentiva diverso, ma sua madre ripeteva sempre che se si sentiva diverso era solo perché era destinato a distinguersi dagli altri, avrebbe dovuto regnare e per questo doveva distinguersi. 
Eppure l'unica cosa che davvero aveva sempre voluto era sentire suo padre dire che era orgoglioso di lui, leggerglielo negli occhi esattamente come poteva fare in quelli limpidi della madre. 
Non aveva molti amici, paralava poco e in molti lo consideravano strano, c'era però una bambina, una popolana, lo guardava sempre da lontano, l'affascinava vederlo maneggiare la magia, si dovertiva a vederlo cercare di trasformare un sasso in una rana fallendo sempre miseramente. Aaron si era accorto della ragazzina, non si era mai posto il pensiero di avvicinarsi a lei, aveva paira che potesse trovarlo strano, così aveva sempre finto di non vederla. O almeno era sempre stato così...Era estate e come sempre Aaron si stava esercitando con la magia nei pressi del palazzo reale, in una piccola radura nascosta da qualche salice che la rendeva sicura a occhi nemici, era uno dei pochi posti in cui Aaron potesse stare senza che fosse accompagnato dalle gaurdie reali. La bambina se ne stava lì, nascosta dietro un masso, lo guardava annotando di tanto in tanto qualcosa su un taccuino sgualciti dal tempo che stringeva gelosamente tra le piccole mani pallide 
"Hey tu!" 
Ella sparì dietro il masso che usava come nascondiglio al suono della voce del principino che avvisava di averla scoperta.
"Bambina, guarda che ti ho visto ormai, vieni fuori"
La piccola si fece coraggio e un po' intomorita usci da dietro il masso facendo una riverenza in segno di saluto.
"Perché mi segui?" 
Chiese Aaron, ma la bambina non rispose.
"Hai un nome?" 
Provò di nuovo lui, ma la bambina continuava a stare in silenzio. "Insomma fai come vuoi!"
Decretò infine Aaron irritato dal "mutismo" della ragazzina. Lei rimase ferma per un'istante, poi gli girò attorno e andò a sedersi su un masso poco distante da lì, continuando ad osservarlo praticare le arti magiche. Era ormai passata più di un'ora quando Aaron stanco e infastidito dal sentirsi osservato dalla bambina decise di raccogliere le sue cose per tornare a palazzo.
"Tornerai domani?"
All'improvviso la voce della bambina squarciò il silenzio, Aaron stupito, finse di pensarci un attimo e poi rispose
"Solo se mi dici il tuo nome" 
La bimba lo guardò negli occhi e Aaron si stupì nel vedere che la bimba aveva degli occhi verdi così vivaci da illuminare anche il volto più triste "Sono Emeraude, Emeraude de Fenderwerk" 
Il principino le tese la mano con un sorriso da orecchio a orecchio.
"Io sono Aaron e sì, domani tornerò!" Emeraude sorrise a sua volta, anche se il suo fu un sorriso più timido, senza denti in mostra, e ricambiò la stretta.
Per tutto il tragitto del ritorno a palazzo Aaron fantasticava sulle espressioni che avrebbero assunto i volti dei suoi genitori quando gli avrebbe raccontato che lui, Aaron Delake forse aveva finalmente trovato un'amica, la sua prima amica. Ma quando tornò a palazzo sentendo i genitori discutere decise, per qualche sconosciuta ragione di tenere quel piccolo segreto solo per sé.
Il giorno dopo quando Aaron tornò alla radura, lei era lì, seduta su un masso che lo aspettava, intenta a disegnare qualcosa su quel suo taccuino malridotto tra le mani.
Il tempo passava ed il loro legame era sempre più forte, s'incontravano quasi tutti i pomeriggi, quando il piccolo Aaron veniva lasciato lì per allenarsi, lui le mostrava i suoi progressi trasformando piccoli ciottoli in perle di vetro, cambiando il colore dei fiori i trasformando l'acqua in cristalli di ghiaccio. I suoi poteri necessitavano ancora di molta pratica, il giovane Aaron sapeva che erano molto più forti di tanti stregoni adulti, ma non sapeva come usarli, come controllarli. Eppure Emeraude non aveva paura, se ne stava lì gironzolandogli intorno incuriosita dai colorati fasci di li luce che le mani di Aaron emettevano annotando di tanto in tanto qualcosa su quel taccuino. Un girono Aaron incuriosito le chiese cosa annotasse sempre, ma lei non volle rispondere. Si vergognava a confessargli che in realtà su quel taccuino annotava ogni mossa del ragazzino, lo ammirava talmente tanto, non aveva amici, non sapeva controllare i suoi poteri, eppure non si era mai arreso, ci provava e riprovava sempre. La piccola Emeraude, non ebbe un'infanzia facile e per lei fu davvero difficile non arrendersi, ma quando tutto crollava e il vuoto stava per inghiottirla, un taciturno ragazzino dai folti capelli neri era spuntato dal nulla e regalandole un semplice sorriso le aveva salvato la vita senza saperlo. Per questo lei aveva giurato a se stessa che non si sarebbe arresa mai, perché lui l'aveva aiutata e lei doveva ricambiare il favore. E poi, così male non era, Emeraude non si capacitava di come quel ragazzino potesse non avere amici, è vero, non parlava molto e sembrava sempre arrabbiato, eppure lei sapeva che una volta consociuto si scioglieva come neve al sole.
Nessuno dei due si aspettava però che quell'amicizia così pura fosse destinata ad una fine tanto tragica.

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Capitolo 3
*** Capitolo due ***


Era il 23 di gennaio, il mese più freddo dell'anno. La neve candida ricorpriva col suo manto ogni strada, i tetti delle case erano completamente ricoperti e in quella notte il fumo dei camini quasi non si vedeva. Aaron che aveva ormai tredici anni se ne stava sdraiato sul letto a fissare il soffitto di camera sua. Aveva da poco avuto una discussione con suo padre, lui voleva che si allenasse alla corte, ma questo avrebbe significato non vedere più Emeraude e per Aaron questo era inammissibile, era l'unica, oltre a sua madre, con cui poteva essere se stesso, l'unica con cui non doveva dimostrare di essere qualcuno o qualcosa che non voleva.
D'un tratto senti un boato così forte d afar tremare i vetri delle finestre. Sobbalzo e con il cuore in gola si precipitò giù per le scale volendo capore cosa fosse successo, intanto i boati non si fermavano, anzi ad essi si era unito il rumore di spade sguainate che si scontravano fra loro. Aaron era ancora giovane, ma aveva capito benissimo cosa stesse succedendo. In mezzo al corridoio incontrò sua madre la quale, tutta affannata, stava correndo proprio nella sua direzione
"Aaron! D-devi...Devi scappare bambino mio, ora. Devi aprire un portale e andartene!"
Gli disse allarmata scuotendolo per le spalle. Lui non sapeva cosa dire o fare, non aveva mai aperto un portale, non aveva nemmeno idea di come si facesse.
"Io non posso farlo. Non ho più la mia magia"
Disse sua madre capendo la confusione del figlio.
"Ascolta, devi pensare ad un luogo preciso dove vorresti andare, il più lontano possibile da qui, come aprire il portale lo saprai da solo...Ma ora devi farlo. Non c'è più tempo!"
Aaron era spaventato ed in preda al panico nella voce e nello sguardo della madre, non l'aveva mai vista così prima d'ora, lei era sempre così pacata e composta, dolce ed elegante...Quella che aveva davanti invece era completamente un'altra persona
"Mamma cosa sta succedendo? Dov'è papà?"
Chiese allora, aveva bisogno di sapere cosa stava succedendo, non poteva scappare e lasciarla lì,lasciare tutto lì, anche perché non sapeva nemmeno dove andare, non era mai stato fuori dalla Contea.
"Non c'è tempo, hanno...Hanno attaccato il castello, tuo padre sta combattendo, Aaron...Ora non c'è tempo per le spiegazioni, vogliono il regno...Vogliono te, devi andartene, noi..."
Non riuscì mai a finire quella frase, una lama le trapassò il torace da parte a parte. Aaron rimase immobile, paralizzato, voleva gridare, piangere, chiedere perché, ma non accadde nulla, non risuciva a muoversi. 
"M-mamma..."
Mormorò accasciandosi su di lei
"Aaron...R-ricordati...S-sempre...C-chi sei..." 
Quelle furono le ultime parole di sua madre prima che in un respiro strozzato chiudesse gli occhi per sempre. Aaron la guardò, così dolce e bella...Perché? Perché a lei?
Tutto d'un tratto senti un sentimento mai provato prima nascere dentro di sé, un sentimento così forte, sentiva il suo corpo ribollire, come se stesse bruciando dall'interno, ma non gli importava, i suoi occhi diventarono rossi e dalle sue mani si sprigionarono fiamme di fuoco blu. Guardava l'assassino di sua madre dritto negli occhi, un soldato barbuto con una lunga cicatrice che percorreva tutta la tempia, quest'ultimo era rimasto paralizzato da ciò che stava accadendo al ragazzo.
Attorno ad Aaron si espandeva una bolla di fuoco che andava allargandosi sempre di più, un potente suono stridente diventava sempre più forte. Aaron avvertì appena il soldato mormorare "L'ho trovato..." 
Poi d'un tratto il calore fu insoppprtabile, la forza compressa troppo potente e quella bolla espolse in un boato assordante ricoprendo tutto il palazzo. I vetri esplosero all'impatto, la luce fu immensa, così accecante...E poi, più niente, il buio totale.

Aaron si svegliò con un mal di testa allucinante, era confuso, non si ricordava dove fosse o come fosse finito steso sul pavimento del corridoio del palazzo. Si alzò con fatica sentendo ogni muscolo indolenzito. Quando volse lo sguardo attorno a sé però, come un fulmine a ciel sereno tutto gli tornò in mente. Vide sua madre stesa inerme ai suoi piedi, il suo assassino a pochi metri da lei era irriconiscibile, il viso distrutto e un braccio mozzato, osservando i vetru distrutti e gli arazzi appesi ai muri quasi completamente bruciati si rese conto che era stato lui a fargli ciò, ma in quel momento non se ne preoccupò, l'idea di aver tolto una vita non lo sfuorava nemmeno, aveva solo vendicato sua madre. Non provava nulla. Come un'automa si mosse fin giù, nella Sala Grande, il macabro spettacolo che gli si offrì davanti agli occhi gli provocò conati di vomito. Centinaia di soldati tra cui anche alcuni maghi che quando era più piccolo erano soliti frequentare il palazzo erano stesi a terra, morti. Cercò disperatamente suo padre, ma tra di essi lui non c'era. Cercò in ogni stanza, ma di suo padre nessuna traccia, non sapeva dove fosse finito, si accasciò a terra completamente distrutto le lacrime scendevano copiose, rigavano il volto pallido e bagnavano i pantaloni del pigiama sgualciti dall'esplosione. Era solo. Completamente solo. Una mano grande e sicura gli si posò sulla spalla facendolo voltare con un sobbalzo. Non riusci a trattenere le alcrime e si gettò tra le braccia del padre che se ne stava in piedi dietro di lui
"Papà! S-sono...S-sono stato io...È tutta colpa mia..."
Biascicava tra i singhiozzi con il volto premuto al petto del padre che lo abbracciò a sua volta
"Le cose accadono per una ragione, non è stata colpa tua Aaron..."
"L-la...La ma-amma..."
"Shh...Lo so, lo so...Andrà tutto bene..."
Da quel giorno le porte del palazzo vennero chiuse, nessuno poté più entrare nel palazzo, Kantaric teneva il suo ragazzo al sicuro in una gabbia dorata. Aaron crebbe rinchiudendo in una remota parte di sé ogni ricordo felice della sua infanzia compreso quello della piccola Emeraude, che sapeva non avrebbe mai più rivisto. Su ordine di suo padre intensificò il suo allenamento preparandosi ad una futura battaglia in cui avrebbe rivendicato il suo regno, perché lo sapeva, suo padre gliel'aveva detto che prima o poi il giorno della resa dei conti sarebbe arrivato e lui...Oh lui non aspettava altro.

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Capitolo 4
*** Capitolo tre ***


Dieci anni dopo
"Più veloce May!"
Incitò Emeraude in sella al suo cavallo, aveva ormai diciotto anni, e la sua bellezza era al culmine dei suoi anni, i lunghi capelli svolazzavano liberi nel vento e lo sguardo fiero mirava ad un punto impreciso davanti a sé, si spingeva verso la scogliera, al confine est del regno. Andava talmente veloce che riusci a fermare Mayflower, il suo cavallo appena prima dello strapiombo
"Brava May, qui dovrebbe esserci tutto quello che ci serve"
Disse dolcemente al Mustang dal pelo bianco. Scese a terra e china tra i bassi arbusti iniziò a cercare ciò che le serviva. Era stata mandata in cerca di alcune specifiche erbe mediche da Mylen, la "quella che cura i bambini" del villaggio. Non le dispiaceva fare ciò che faceva, d'altra parte non aveva mai avuto un luogo da poter chiamare casa, o qualcuno su cui fare affidamento. Emeraude aveva solo diciotto anni, ma nel suo cuore ne aveva molti di più, aveva perso la sua famiglia quando era piccola, ma non così tanto da non potersene ricordare, i suoi genitori erano partiti per un viaggio fuori dai confini del regno, dovevano portare delle medicine urgenti all'accampamento dei soldati del re Kantaric, ma un'imboscata nemica li sorprese prima che potessero arrivarci. Si ricordava bene ciò che aveva provato quando l'aveva scoperto, il mondo le era crolato addosso e l'oscurità aveva cercato di inghiottirla. Ma poi, proprio mentre stava per arrendersi un ragazzino sempre serio e taciturno le mostro un sorriso così bello e luminoso che riuscì a strapparla dalla sua oscurità. Si fidava di Aaron, adorava passare il tempo in sua compagnia, lui non parlava molto, ma si esprimeva in piccole attenzioni, con lui bisognava stare attenti ai particolari, un sorriso, un passo avanti, una smorfia...I particolari erano ciò che contava sul serio. Ma poi quel ragazzino, anche lui decise di tagliarla fuori dalla sua vita, non si fece più trovare in quella loro radura, lei lo aspettò per giorni ma lui non tornò più ed allora capì che l'aveva solo presa in giro e che lei ci era ricascata un'altra volta. Da quel giorno decise che non avrebbe mai più affidato il suo cuore a nessuno.
Da quel giorno se ne stava nella vecchia casa dei suoi genitori, un luogo che non sentì mai veramente casa sua, si o cupava di laviretti semplici, commissioni, aiutare il fornaio a smistare i pane, cuciva vestiti, curava i bambini di qualche vicina...Insomma qualunque cosa andava bene pur di riuscire a raccimolare qualcosa per vivere.

Aaron
"Sua maestà, i soldati alle frontiere chiedono di poter avere più cibo, quello che arriva loro non è abbastanza..."
Disse l'ambasciatore di corte con tono riverente al re seduto rigidamente sul trono nella sala grande, inteni a sigillare alcuni documenti
"Se servirà a farci vincere così sia"
Rispose serafico senza degnare l'ambasciatore nemmeno di uno sguardo
"Ma vostra altezza, signore, il popolo sta andando in bancarotta, non c'è cibo per tutti quanti..."
Continuò balbettante l'ambasciatore
"Insomma cosa volete che vi dica? Sto cercando di evitare una guerra!"
Il tono autoritario del re aveva costretto l'ambascoatore ad annuire brevemente e a ritirarsi lasciando solo Kantaric con i suoi documenti.
Nella sala di addestramento un giovane ragazzo dai ribelli capelli neri come la pece si allenava a combattere. Aaron aveva ormai ventun'anni, tra poco sarebbe stato il suo turno di salire al trono e suo padre continuava a ripetere che un re debbe essere a conoscenza di ogni arte ed in modo partocolare quella della guerra, un re doveva essere preparato a tutto per saper gestire un regno. Aaron era diventato un ragazzo alto dal fisico snello e muscoloso, col tempo aveva affinato la sua magia e ore ne conosceva quasi tutto il potenziale, aveva in sé un potere superiore a quello degli altri maghi, un potere che sarebbe in grado di distruggere ogni cosa se non fosse controllato, per questo Aaron si allenava giorno e notte per imparare a controllarlo. Caratterialmente non er apoi molto cambiato, era sempre lui, serio e taciturno, aveva sempre seguito ogni regola, la sua vita era formata solo di regile da seguire, cresciuto com'era con l'idea che senza regole il mondo andrebbe in frantumi. Aaron passava le sue giornate nella sala d'addestramento o in camera sua a studiare tecniche magiche, non aveva amici, persino i servi gli parlavano con difficoltà. Quando perse sua madre, una parte di sé morì con lei, ed il colpo finale lo ricevette quando dovette separarsi da Emeraude, la sua unica, prima, vera amica. Dopo quel giorno non la rivide più e la sua vita,il suo modo di vedere il mondo cambiò radicalmente, ormai vedeva tutto grigio, non c'era più nemmeno un colore ad illuminare la sua vita e si era così convinto che il suo scopo nella vita fosse quello di allenarsi per combattere quella fatidica guerra che avrebbe reso giustizia al suo popolo e a sua madre.
"Preparati, oggi andrai al confine nord del regno nel giro di perlustrazione"
Annunciò suo padre entrando nella stanza. Aaron non si girò nemmeno, continuò a tirare pugni al sacco da box
"Perché a sud? Di solito se ne occupa Karl"
Karl era il comandante delle truppe a sud, un uomo sulla quarantina con i capelli castani sempre raccolti in una coda bassa, Aaron non gli aveva mai parlato granché, ma sapeva che non si era mai sposato né aveva figli, aveva dedicato tutta la sua vita al re, si era sempre occupato lui di quella parte del regno, Aaron era sempre rimasto a sud.
"Purtroppo Karl è rimasto gravemente ferito nell'ultima guerra e non potrà tenere testa all'esercito oggi, per questo andrai tu, figliolo"
Aaron non chiese nulla riguardo a Karl, sapeva che volendo suo padre avrebbe potuto guarirlo con la magia, ma per qualche strano motivo, suo padre si era sempre rifiutato di aiutare i feriti, aveva sempre sostenuto che dovesse essere il destino a decidere la sorte degli uomini, se egli avesse voluto salvarli, essi si sarebbero salvati.
Aaron capì dal tono eloquente di suo padre che quella conversazione era finita, annuì brevemente ed uscì dalla stanza per andarsi a vestire.

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro ***


"Prima o poi anche queste erbe finiranno, la natura sta morendo, credo proprio che ci toccherà spostarci a est la prossima volta May"
Emeraude stava raccogliendo gli ultimi germogli di Fior di Leone, come di consueto stava svolgendo alcune commissioni per Mylen. Emeraude era l'unica ragazza nel villaggio che aveva il coraggio di addentrarsi nella foresta blu e arruvare quasi fino ai confini del regno, chiunque conoscesse le diceva sempre che era pericoloso anddentrarvisi, eppure lei non aveva mai provato paura, forse perché era sempre stat una bambina coraggiosa, forse perché amava sfidare le regole, o forse perche non aveva nulla da perdere.
"Va bene, penso che siano abbastanza...Andiami May"
Mormorò coprendosi il capo con il cappuccio del mantello marrone. Era probabilmente l'unica ragazza nella contea ad indossare i pantaloni, beh, erano in parte nascosti da uno stralcuio di gonna, ma erano pur sempre pantaloni, forse era anche per questo che molti la guardavano male, molti la guardavano con pietà o compassione, tutti conoscevano la sua tragica storia, era rimasta orfana a soli quattordici anni. Si mise in cammino, ma qualcosa le mise i sensi in allerta, senti un forte rumore di zoccoli avvicinarsi, non fece in tempo a voltarsi nella direzione del rumore che una voce profonda la raggiunse
"Tu! Fermati! Per ordine del re!"
Emeraude presa dal panico spronò Mayflower ad accelerare, non si sarebbe fatta prendere, sapeva bene quanto fosse proibito addentrarsi ai confini del regno, ma questo non l'aveva mai fermata, non si era mai avvicinata troppo alla barriera magica e non aveva mai incontrato nessuno prima d'ora.
"Ho detto di fermarti!"
L'ordine le arrivò forte e chiaro all'orecchio, sapeva che la stavano seguendo, cercò di andare sempre più veloce, ma sentiva il rumore degli zoccoli farsi sempre più vicini.
Mayflower si arrestò di colpo rischiando di disarcionarla, alzò lo sguardo per capirne il motivo e trovò la spiegazione davanti a sé. La foresta nera. La più terribile e spaventosa tar le foreste, nessuno vi si era mai addentrato, si diceva che chiunque entrasse in quella foresta si perdesse nell'oblio, la fpresta era in grado di creare illusioni, realizzando le tue più grandi paure, il gas emanato dalla terra era tossico e riusciva a confinderti a tal punto da non ricordare nemmeno più chi sei, facendo perdere per sempre. Negli anni, qualche impavido cavaliere aveva tentato di entrarvi, ma nessuno era mai uscito per raccontarlo. 
"Fermati o sarò costretto a fermarti io!" Quella minaccia risuonò nella sua testa come un campanello d'allarme, cadde nel panico, non sapeva che fare, sapeva che aveva violato una delle leggi più importanti, se l'avessero presa probabilmente sarebbe finita nelle prigioni a vita, se non peggio. Fece la cosa più logica che le venne in mente da fare, spronò Mayflower ed entrò nella foresta...
O almeno ci provò. Qualcosa le colpì la spalla, il dolore era allucinante, talmente forte che per un attimo si sentì bruciare dentro, poi tutto si fece nero, e non sentì più nulla.
Aaron con ancora l'arco teso respirava forte, non avrebbe mai voluto farlo, non aveva mai ferito nessuno prima d'ora, non dopo la notte dell'attacco al palazzo. Scese da cavallo facendi capire con un gesto della mano ai suoi uomini di restare indietro, si avvicinò al corpo del fuggitivo steso a terra con ancora la freccia conficatta nella spalla. Estrasse la freccia, sapeva di non averlo ucciso, non aveva mirato a caso. Girò il corpo in modo tale da poter vederne il volto e scostò i capelli dal viso. Un sospiro sorpreso gli sfuggì dalle labbra quando si rese conto che il fuggitivo in questione era una donna, il volto pallido era incorniciato da scompigliati capelli, le lunghe ciglia nere poggiavano delicate sulle gote e le labbra pallide erano leggermente socchiuse. Non seppe perché il volto di quella ragazza lo colpì così tanto, ma ringraziò di essere posto di spalla al suo esercito. Ora non sapeva che fare, sapeva che era una fuggitiva, una criminale, stava scappando, doveva esserlo per forza, eppure per qualche strana ragione voleva capirne il perché, cosa aveva fatto di così terribile da costringerla a scappare...Il pensiero che fosse stata disposta addirittura ad addentrarsi nella foresta nera piuttosto che fermarsi gli raggelava il sague nelle vene. Sollevò il corpo della ragazza e lo caricò sul cavallo, legandolo delicatamente con una corda, così da non farla cadere, per poi legare anche quest'ultimo al suo cavallo.
"Torniamo a palazzo, il re deciderà il da farsi in questione"
Ordinò alle sue truppe, le quali non obbiettarono, seguendo gli ordini del loro capitano.

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque ***


Un dolore allucinante alla spalla costrinse Emeraude ad aprire gli occhi. La vista era sfocata, ma lentamente stava riacquistando lucidità, si guardò intorno, non riconosceva il posto dove si trovava, era su un letto traballante, si trovava in una stanza dalle pareti di pietra così come il pavimento, non c'era granché, solo un piccolo tavolino affianco al letto sul quale era poggiato un bicchiere d'acqua. La porta si aprì con un cigolio e Emeraude tentò di alzarsi
"Resta lì cara, se ti muovi troppo la ferita si riaprirà"
Ferita? Quale...Lentamente ogni ricordo stava tornando al suo posto, abbassò lo sguardo e notò che non indossava più il suo corpetto, ora aveva solo la camicia bianca addosso ed era pure sporca di sangue sulla spalla destra. 
Abbassò leggermente la stoffa sgualcita e notò l'accurata fasciatura attorno alla spalla
"Ah...C-cosa...Cosa è successo? Dove sono?"
Chiese confusa alla donna davanti a sé che la guardava con compassione, era una signora sulla cinquantina, vestita con un lungo abito grigio ed i capelli castani raccolti in una crocchia scompigliata
"Siamo a palazzo, ti hanno trovata a scappare verso la Foresta Nera..."
Ora ricordava...Quelle voci che la chiamavano, che le ordinavano di fermarsi, lei che spornava Mayflower, la Foresta Nera, il buio totale...
"Devo andarmene di qui"
Asserì nel panico, non poteva restare qui, non sarebbe finita bene...
"Non puoi, mi dispiace tesoro, il re vuole vederti"
Le disse la donna guardandola con occhi pieni di compassione. Emeraude non sapeva che fare, non vileva restrsene lì ferma aspettando la sua condanna a morte, ma d'altro canto non poteva nemmeno scappare di nuovo. Non ebbe nemmeno il tempo di pensare quale delle due opzioni fosse la peggiore che un'altra cameriera irruppe nella piccola stanza, quest'ultima era più giovane della donna di prima, avrà avuto all'incirca quaranta o quarantacinque anni, portava anch'essa un abito grigio ed i capelli biondi erano raccolti in una crocchia che ordinata sfiorava il collo.
"Ah bene, sei sveglia, forza andiamo, il re vuole vederti, vuole sapere che ci faceva una ragazzina ai confini del regno, tutta sola per giunta!"
Sentenziò con voce stridula, Emeraude rimase un po' alllibita vedendosi guardare con quello sguardo carico di disprezzo, volse lo sguardo alla cameriera di prima, la quale scosse la testa sospirando sconsolata dall'atteggiamento dell'altra. La bionda aiutò in qualche modo Emeraude a scendere dal letto, era scalza ma non le importava, non appena mise piede fuori dalla porta un soldato appostato al muro la prese per i polsi
"Cosa...No..."
Esclamò sibbalzando Emeraude, tentò di liberarsi, ma quello le mise poco delicatamente un paio di manette ai polsi tirandola poi dietro di sé come una vera e propria detenuta. Emeraude sapeva bene che se avesse parlato avrebbe solo peggiorato la sua situazione e così si impose di rimanere in silenzio fino a quando non le fosse stato chiesto di dare spiegazioni.
Entrarono nella sala del trono, lei teneva lo sguardo basso, non voleva incrociare lo sguardo del principe, si ricordava bene quel bambino dai folti capelli neri e lo sguardo sempre serio, ricordava ogni cosa di quel bambino ed aveva paura che guardandolo ora, dopo così tanto tempo, lui non fosse più lo stesso, perché sapeva che era così, che non era più lo stesso, come non lo era più nemmeno lei. La guardia la trascinò fino davanti al trono dove con poca delicatezza la fece inginocchiare
"Vedo che ti sei svegliata, molto bene...Ora pptrai spiegare perché una ragazzina si trovava tutta sola ai confini del regno, e perché abbia cnhe deciso di fuggire dalle guardie del re, così disperata da rischiare anche di fuggire nella Foresta Nera"
Sentenziò severo il re, Emeraude semore mantenendo il capo basso rispose sperando che la sua spiegazione fosse compresa
"Sua maestà, mi trovavo ai confini del regno per raccogliere alcune erbe medicinali troppo rare da trivare nei pressi del villaggio"
Il re non parlò subito, ma aspetto qualche secondo,come se stess pensando alla prossima domanda, infatti poi chiese
"E se questo è vero, come mai stavi scappando dalle guardie, se ciò che stavi facendo non era nulla di così grave, non avevi motivo di fuggire"
Emeraude fece un respiro profondo organizzando i pensieri prima di rispondere, i suoi ricordi erano ancora confusi a causa dello svenimento
"Conosco la legge, so che è proibito avvicinarsi al confine, ma avevo davero bisogno di quelle erbe...Quandi hi sentito le guardie sono andata nel panico ed ho fatto l'unica cosa che mi sembrava sensata sul momento"
Il re sembrò agitarsi sulla sedia, come se non credesse alla sua versione dei fatti
"Alza il volto, se stai dicendo la verità non hai nulla da temere"
Sentenziò severo, Emeraude fece un respiro profondo e sollevo lo sguardo. Vide il re, la barba leggermente brizzolata era tenuta corta ed i capelli perfettamente pettinati all'indietro erano neri anche se intervallati da qualche filo argento. Lo sguardo di Emeraude si spostò incerto sulla figuara seduta sul trono affianco, alla sinistra del padre. I capelli neri erano scarmigliati, gli occhi scuri erano incirniciati da folte ciglia nere, la pelle del volto priva di imperfezioni, l'ombra leggera della barba scira ricopre la mascella scolpita. Il cuore di Emeraude perde un battito, poi due, si ferma e lentamente riparte. Non è rimasto quasi nulla del bambino che conosceva, ora è un uomo fatto e finito, volge lo sguardo nella sua direzione e gli occhi s'incontrano. Aaron l'osserva, quegli occhi verdi come smeraldi, gli ricordano tanto un altro paio di occhi, occhi che conosceva bene una volta, che gli tenevano compagnia e lo osservavano furbi e curiosi, occhi che gli sono stati strappati tanto tempo fa. Scuote impercettibilmente la testa fra sé cercando di concentrarsi sul presente, richiudendo nuovamente quei ricordi del passato nella parte più remota di sé.
"Quello che hai fatto, per quanto nobili possano essere le tue ragioni, è contro la legge...Per questo verrai condannata, come giusto che sia..."
Emeraude si allarmò,non poteva venir giustiziata, non aveva mai fatto nulla di male, e poi Mylen, Thomas e Matis, i gemelli a cui badava ogni tanto, loro avevano bisogno di lei al villaggio, non poteva abbandonarli. 
"Io non ho fatto nulla, non sono andata oltre i confini, ero vicino, è vero, ma non mi sarei mai spinta oltre..."
Tentò di difendersi, ma il re scosse la testa irremovibile
"Questo non lo possiamo sapere, può anche darsi che tu stia mentendo, d'altra parte ho i miei dubbi che tu sia una semplice ragazza in cerca di erbe medicinali..."
"Credete che sia una strega?"
Esclamò indignata Emeraude con il fuoco negli occhi. Il re sbuffò ironico congiungendo le mani davanti a sé
"Questo e l'hai detto tu..."
Emeraude era basita, non sapeva che dire, non capiva perché il re insinuasse tanto, non aveva fatto nulla di male
"Ad ogni modo...La legge prevede la reclusione per chiunque la infranga..."
Sentenziò scandendo ogni singola sillaba il re, come a godersi ogni singolo secondo ed Emeraude lo guardò per la prima volta con occhi diversi da quelli con cui l'aveva sempre guardato, c'era qualcosa di sinistro nel modo in cui l'osservava, come se si stesse divertendo a vederla tremare
"Per favore...Farò ciò che volete, ma non chiudetemi nelle prigioni..."
Implorò con il terrore che le faceva tremare le ossa. Il re sospirò scuotendo la testa, fece per rispondere, ma una voce profonda e calma lo precedette
"Se è vero ciò che dice, padre, non ha fatto nulla di male, la prigione credo sia eccessiva...Perché invece non resta qui, lavorerà a palazzo, come cameriera"
Emeraude volse lo sguardo verso Aaron, il quale l'osservava circospetto. Non credeva possibile che lui la potesse riconoscere, era passato così tanto tempo, lei stessa non l'avrebbe riconosciuto se non avesse saputo chi era. Il re sbuffò indeciso richiamando la sua attenzione, lo guardò passarsi una mano sul mento, perso tra i pensieri, poi si voltò verso il figlio
"Questo non è ciò che prevede la legge, ma visto che tu hai avuto quest'idea...Bene, che sia, ma lei sarà la tua cameriera, intendo dire che risponderai tu di ogni sua mossa, e tu..."
Sentenziò severo voltandosi verso Emeraude che spalanco leggermente lo sguardo intimorita
"...Al primo errore, sei finita"
Emeraude annuì in parte sollevata di essere scampata alla prigione, ma in parte sentiva anche un peso sul oetto al pensiero che d'ora in avanti avrebbe dovuto oassare molto tempo con il principe.

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Capitolo 7
*** Capitolo sei ***


"Tieni, indossa questi, il principe vuole vederti"
Esordì una dele cameriere del palazzo consegnandole dei vestiti e chiudendosi la porta della stanza alle spalle. Quella mattina Emeraude si era svegliata in un letto che non era il suo, il re le aveva assegnato una stanza insieme ale altre cameriere, nela parte bassa del palazzo, nella camera vi erano tre letti tutti uguali, separati solo da piccoli comodini sui quali vi era posata una candela ababstanza consumata, le lenzuola color topo davano l'idea di essere fredde e poco accoglienti, ma d'altro canto, anche i vestiti che stava indossando lo erano. Indossava un abito blu lungo fino alle caviglie che copriva appena, ai piedi portava un paio di scarpe basse e nere, erano comode almeno, tra gli abiti trovò anche un telo bianco, si rese conto solo dopo qualche secondo che era rimasta a fissarlo inebetita che si trattava di un grembiule, così lo legò in vita e raccolse i capelli ribelli in una crocchia disordinata. Osservò il suo riflesso nello specchio, la ragazza che vedeva era vestita in modo diverso da come di solito si vestiva, aveva i capelli ordinatamente raccolti ed un paio di scarpe basse invece dei suoi stivali ai piedi, ma se si guardava negli occhi, era sempre lei, il fuoco della ribellione bruciava in quegli occhi non ancora stanchi di combattere.
Dopo qualche minuto una cameriera arrivò a "prelevarla", la seguì per un lungo corridoio pieno di quadri di antenati reali appesi alle pareti color ocra. La donna si fermò di fronte ad una porta piuttosto alta e larga, bussò tre volte prima che dall'altra parte si sentì un "Entrate". Varcarono la soglia ed Emeraude inchiodò sui suoi passi non appena vide la scena che gli si presentò di fronte. Aaron era di spalle, la schiena nuda imperlata di sudore luccicava per il riflesso del sole che filtrava dalle finestre, i muscoli della schiena e delle braccia guizzavano tonici e poderosi a dogni movimento, le gambe muscolose erano fasciate dai pantaloni neri, i piedi scalzi si scattavano rapidi mantendendo elegantemente l'equilibrio ad ogni mossa, le mani fasciate tiravano pugni secchi al sacco da boxe. Emeraude fece un respiro profondo, non saoeva perché si sentiva in quel modo, non capiva, più volte le era capitato di vedere uomini a petto nudo,qualche volta, nel periodo della sua vita in cui aveva aiutato a curare i feriti di guerra aveva persino visto uomini completamente nudi, ma non le aveva mai fatto effetto, non se n'era mai curata più di tanto. Aaron in quel momento si voltò ed i loro sguardi si scontrarono in un turbinio di emozioni contrastanti, solo ora, che la luce vi si rifletteva, Emeraude si accorse che gli occhi di Aaron non erano neri, bensì di un marrone molto scuro, ma che illuminato dal sole sembrava avere mille pagliuzze dorate. La pelle della fronte era imperlata di sudore e qualche ciuffo ribelle era sfuggito dai capelli ebano raccolti dal codino improvvisato e vi si era appiccicato. Raccolti in quel modo i capelli lasciavano bene visibili le delicate orecchie a punta tipiche dei Faery, gli esseri fatati. La mascella scolpita era coperta da un sottile velo di barba, probabilmente fatta quella mattina presto...Era così diverso da come se lo ricordava, le spalle larghe leggermente ricurve come se dovessero sostenere il peso del mondo, il petto era ricoperto da una peluria leggera, l'addome scolpito in rettangoli perfetti, mentre una sottile striscia di peli partiva dall'ombelico per poi finire dove l'occhio di Emeraude non poteva arrivare...
"Sua altezza, la ragazza è qui come avevate richiesto"
La vice della donna affianco a lei strappò Emeraude da quei pensieri decisamente fuori luogo e poco consoni ad una ragazza come lei e la riportarono con i piedi per terra. Aaron annuì invitandola a congedarsi
"Con permesso"
Disse la donna prima di uscire chiudendosi la porta alle spalle. Ora erano solo lei ed il principe, Emeraude cominciò a sentirsi in soggezione.
"Rispondi solo ad una domanda"
Esordì Aaron incrociando le braccia al petto ed osservandola corrugando leggermente le sopracciglia. Emeraude raddrizzò la schiena, aspettandosi quella fatidica domanda che avrebbe svelato tutto
"Cosa stavi facendo in realtà quandi sei scappata"
La prese in contropiede, Emeraude non spaeva cosa rispondere, aveva detto la verità, nient'altro che la verità, ma nessuno qui sembrava crederle
"Stavo raccogliendo delle erbe medicinali, come ho spiegato ieri"
Rispose ancora cercando di essere più convincente questa volta,dovevano capore che stava dicnedo la verità. Il principe la guardò scettico per poi sbuffare infastidito
"Senti, non so quali siano state le vere ragioni del perché ti trovavi lì, e nemmeno so perché abbia deciso di salvarti...Ma sappi che se scoprirò che stai tramando alle spalle del regno...Ti ucciderò con le mie stesse mani"
Mormorò minaccioso avvicinandosi al volto di Emeraude, la quale tratenne il respiro perdendo un battito, che fossero gli occhi ridotti a die fessure o la voce roca e profonda non sapeva dirlo con certezza, ma Emeraude dentro di sé tremò, chi era quest'uomo ride e sconosciuto che si trovava davanti? Dov'era finito il bambino che la faceva sempre ridere con i suoi buffi atteggaimenti? Si chiedeva mentre cercava di sostenere il suo sguardo, ma non si sarebbe fatta piegare, dopo la morte dei suoi genitori pensava di cadere in pezzi, ma era sopravvissuta, ed aveva giurato a se stessa che mai più nessuno avrebbe avuto il potere di distruggerla. Raccolse il coraggio e lo guardò dritto negli occhi
"Se stessi mentendo di certo non starei qui a sostenere ciò che ho detto, avrei già provato a scappare, sono qui per una stupida legge, ma non sono una criminale"
Aaron non parlò questa volta, si limitò ad osservarla, quello sguardo sicuro sembrava dire che aveva detto la verità, ma nei suoi occhi brillava il fuoco della ribellione, Aaron lo percepiva, quello stesso fuoco che lui aveva imparato a nascondere dietro a falsa indifferenza. Quella ragazza destava in lui uno strano interesse, c'era qualcosa di diverso in lei, non era come le altre ragazze che aveva conosciuto, non aveva timore a guardarlo negli occhi, non abbassava lo sguardo nemmeno per un secondo, quegli occhi lo fissavano sicuri delle parole che aveva pronunciato poco prima, quegli occhi...C'era qualcosa in quegli occhi, qualcosa di così familiare, quel verde così profondo...Ma era impossibile che si trattasse...No, probabilmente quella bambina si trovava in qualche bottega al villaggio, o probabilmente in qualche casolare con quattro o cinque figli intorno. Aveva provato a cercarla all'inizio, ad ogni esercitazione fuori dal castello, quando gli era concesso uscire, cercava in tutti i modi di passare per il villaggio, ma gli era sempre stato impedito. Col tempo ci aveva rinunciato, ma a volte, quando la notte non riusciva a dormire ed i suoi pensieri vagavano, la mente correva a quei giorni felici e spensierati, dove tutto ciò che vedeva intorno a lui erano gli occhi curiosi e vivaci della sua unica amica, Emeraude...Non gli aveva mai detto il suo cognome, non ricordava perché non gliel'avesse mai chiesto...
"Come ti chiami?"
Emeraude esitò un attimo, non sapeva se era disposta a dirgli il suo vero nome, se avesse rivelato ora la sua identità tutto sarebbe cambiato, lui l'avrebbe rinchiusa nuovamente, se l'aveva abbandonata una volta probabilmente ora che ne ha la possibilità l'avrebbe fatta rinchiudere
"Non ce l'hai un nome?"
Trasalì dai suoi pensieri contorti sentendo la sua voce profonda risuonare spezzando l'aria
"Io ehm..."
Lo sguardo eloquente di Aaron la mandò ancora più in confusione
"Io...Al..."
"...Al...?"
Chiese Aaron corrugando le sopracciglia, ed espirando pesantemente
"Ala...Alannis...Mi chiamo Alannis"
"Alannis? Nome insolito..."
"Era il nome della prozia di mia madre"
Rispose prontamente, nemmeno lei riuscì a capire come fece a mentire così spudoratamente a quegli occhi che sembravano oenetrare ogni dettaglio eppure ci riuscì. Aaron sembrò inizialmente sorpreso e ad Emeraude parve di scorgere persino una punta di delusione nel suo sguardo, ma poi Aaron si voltò dandole le spalle per andare a recuperare la sua maglietta nera interrompendo quel gioco di sguardi.
"Ti hanno già spiegato i tuoi compiti?"
Chiese senza voltarsi per guardarla
"No...Mi hanno solo detto che volevate vedermi"
Rispose Emeraude cuotendo leggermente la testa in segno di negazione
"Va bene, in quanto cameriera personale del principe sarai l'addetta alle camere superiori, bagno, camera da letto, guardaroba e cose del genere..."
Mentre spiegava si voltò e vedendo l'espressione turbata di Emeraude decise di spiegarsi meglio per evitare malintesi
"...Intendo che dovrai occuparti delle pulizie"
Emeraude trasse tra sé e sé un sospiro di sollievo, aveva sentito parlare di uomini ricchi e potenti che vivevano con delle concubine, delle specie di amanti a quanto ne sapeva Emeraude. Quando il principe aveva spiegato che si sarebbe dovuta occupare della camera da letto e dei bagni, per un attimo credette che fosse destinata a quella fine, per fortuna il malinteso era stato prontamente spiegato, non che Emeraude non volesse mai aver a che fare con rapporti "di quel genere", solo che voleva donare sé stessa e la sua prima volta ad un uomo che veramente la meritasse, ma di quell'uomo, per ora, nessuna traccia.
"Riordinare documenti, di poco conto ovviamente, scrivere inviti, fare commissioni al villaggio..."
"Ma se faccio tutto io voi cosa farete?"
La domanda le uscì spontanea prima che potesse frenare la lingua, e maledisse se stessa e la sua arroganza nel pronunciare quelle parole di troppo. Aaron si blocco sollevando le sopracciglia sorpreso dal coraggio della ragazza, voleva risponderle a tono, ma non sapeva per quale strana ragione nessuna risoosta gli sembrava sensata.
"Mi scuso, non volevo apparire arrogante"
Emeraude tentò quindi di riprare subito al suo errore, ma Aaron semplicemente scosse la testa dicendo solo "Attieniti alle tue mansioni e resta nel tuo ruolo, quello che faccio io non ti riguarda"
Emeraude annuì abbassando oer la orima volta il capo, teneva davvero troppo alla sua vita per passarla in prigione solo per una risposta troppo impulsiva. Il principe si meravigliò di ciò, non l'aveva ancora vista mostrare rispetto a tal punto, si aspettava quanto meno una risposta piccata e forse, in fondi ci sperava anche, erano anni che non parlava in modo normale con qualcuno che non lo ritenesse troppo importante per trattarlo come persona comune.
"Va bene, le istruzioni precise te le daranno le cameriere, chiedi a loro, se avrò bisogno ti chiamerò io, puoi andare"
Emeraude annuì ringraziando per poi congedarsi e scappare il più lontano possibile da quella stanza e da lui. 
Era tutto così diverso, nuovo e spaventosamente sconosciuto per lei, non aveva mai amato prendere ordini, era sempre stato uno spirito libero, amava stare sola tra i boschi frondosi, cavalcare per miglia e miglia con il vento che le spettinava i capelli e le sfiorava il volto come la carezza di una madre protettiva...Lei non era fatta per essere rinchiusa in quattro mura a servire un principino arrogante, voleva sognare, vivere grandiose avventure...Più ci pensava e più quei pensieri si trasformavano in desideri lontani, sogni nel cassetto ed era sempre più vicina invece la consapevolezza che in quel castello, ormai, ci avrebbe passato il resto dei suoi anni.

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