Flames and Scars

di Ori_Hime
(/viewuser.php?uid=942609)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fire Started ***
Capitolo 2: *** Girl on fire ***
Capitolo 3: *** Scars 1 ***
Capitolo 4: *** Scars 2 ***
Capitolo 5: *** Vivendo adesso ***
Capitolo 6: *** Angel ***
Capitolo 7: *** Angel with a shotgun ***
Capitolo 8: *** Love is our resistance ***



Capitolo 1
*** Fire Started ***


I'm a fire starter

I'm a sweet disaster

I melt hearts like water


 

Fire Starter – Demi Lovato

 

 

Pov Riza Hawkeye

 

Avevo solo 12 anni quando conobbi Roy Mustang e lui ne aveva compiuti da poco 16 quando entrò per la prima volta nello studio di mio padre per imparare l'alchimia.

Notai fin dalla prima volta che varcò la soglia di casa il suo sguardo determinato, deciso e impaziente di apprendere i segreti che solo mio padre conosceva: l'alchimia di fuoco. Era già alto come tutti oggi lo conosciamo, ma non ancora abbastanza muscoloso, mentre il portamento di chi era sicuro di sé, che puntava già in alto, non era stato l'esercito a plasmarlo così, lo era già di natura, come il fascino che esercitava attorno a sé.

Si accorse che lo stavo guardando, nonostante mi ero nascosta dietro la tenda della finestra: un po' per timidezza e un po' perché odiavo l'alchimia poiché portava mio padre alla pazzia, stando sveglio tutta la notte, dimenticandosi di me e inizialmente non volevo avere a che fare con il suo studente, ma lui scostò la tenda e si presentò: -Sono Roy Mustang, mi dispiace per averti spaventata.-

-R...Riza Hawkeye, signore.- risposi cercando di essere un po' più disponibile nei suoi confronti e porgendogli la mano che strinse forte, tanto da farmi uscire da dietro la tenda. Si era preoccupato per me e nemmeno mi conosceva. Forse non tutti gli alchimisti erano come papà, iniziai a pensare.

I giorni passavano e Mustang ogni giorno varcava la porta di casa, entrando sempre un po' più nei miei pensieri. Ogni volta che mi guardava mi sentivo bloccare: ero sicura che stesse studiando l'alchimia di fuoco e non di pietra o qualcosa che mi facesse rimanere sempre di sasso in sua presenza? Mi sentivo in suggestione, un po' osservata e un po' giudicata, fin quando intuii il motivo del suo interesse nei miei confronti: io avevo sulla schiena impressi tutti i segreti che ancora non conosceva e al quale aspirava fin dalla prima lezione. Mio padre me li aveva tatuati perché nessuno ne venisse a conoscenza, ma avendo ora un discepolo un giorno sarei stata io la lezione del giorno e non volevo spogliarmi di fronte a lui, ne di fronte a nessun altro.

Cominciai a nascondermi quando arrivava e quando doveva uscire e non dietro la tenda, ma in giardino, dietro i cespugli, o in soffitta, a seconda del luogo più vicino in quel momento, fin quando lui si accorse della mia chioma bionda dietro alle foglie verdi. Mi toccò la testa con un leggero “pat pat” così dovetti sollevare lo sguardo: mi stava sorridendo come se fossi una bambina impaurita dalla sua presenza e mi dovesse rassicurare, ma io non ero più una bimba e lui non mi faceva paura, perciò mi alzai e uscii dal mio nascondiglio, dicendogli che lui non avrebbe mai saputo i segreti di mio padre, non glielo avrei mai permesso. Mustang scoppiò a ridere: -Ragazzina, non ho idea di cosa tu stia parlando, ma hai del carattere, te lo concedo.- Capii allora che in realtà del mio tatuaggio non ne sapeva ancora niente e che avevo fatto un buco nell'acqua, ma fui comunque soddisfatta di avergli dimostrato che non ero una bambina e che non doveva trattarmi come tale. -Se vuoi domani ti mostrerò quello che ho imparato, così stai tranquilla, ok?- continuò rassicurandomi tanto che annuii, anche se l'alchimia non mi interessava per niente. Quel suo tono di voce pacato e quei suoi dannatissimi occhi magnetici mi stavano già attraendo, senza che io capissi il perché.

Il giorno seguente dopo la lezione quando mi vide in soggiorno mi chiese se avessi qualcosa da aggiustare, ma scossi la testa, con un alchimista a casa era raro avere oggetti rotti e avevamo gli stessi da una vita, gli spiegai. -Si vede...- commentò guardando gli oggetti sulla mensola dietro di me, senza dubbio datati. Prese una tazza e prima che potessi bloccare il suo braccio lui la scagliò a terra. Sentii il mio cuore infrangersi come la ceramica, in mille pezzi, ma lui si abbassò e con un gessetto disegnò un cerchio attorno ai cocci e poco dopo si aggiustò. -Ecco fatto.- disse prendendola e rimettendola a posto appena ebbe terminato, con tono soddisfatto e un po' saccente. Sebbene avessi capito cosa stava per fare io ero ancora accucciata impietrita a terra: -Non dovreste abusarne sa? Non è che deve per forza rompere un oggetto per dimostrare le sue capacità.- gli risposi un po' bruscamente.

-E come pensi facessi a lezione? Non potevo mica farmi scorta di oggetti rotti...- aveva parlato anche troppo: gli tirai un cuscino del divano che lui però schivò e colse da terra, pronto a ricambiare, almeno nella mia testa. -Hey!- urlai e ne presi un altro, cercando di picchiarlo con quello, ma parò il mio colpo. -Sei brava, occhio di falco!- dovette ammettere.

-È il mio nome, devo esserlo per forza!- replicai, facendo a lungo resistenza, fin quando non perdemmo l'equilibrio e caddi sul divano dietro di me e lui letteralmente sopra.

-Riza, non importunare il mio studente chiaro?- sentii la voce di mio padre dalla stanza adiacente. -Sìììì...- dovetti urlargli da quella posizione sconveniente. Mustang mi guardò fisso negli occhi e preoccupato che il suo insegnante potesse vederlo così, si alzò, si sistemò i vestiti e mi chiese perdono per avermi rubato tempo e si congedò. Io rimasi a lungo a guardare la porta, anche se se n'era andato, arrossendo ripensando che avevo avuto il suo volto troppo vicino al mio. Non avevamo decisamente iniziato a conoscerci nel migliore dei modi... O forse sì?

I giorni seguenti lo ignorai, un po' imbarazzata dall'accaduto, finché lui ruppe il ghiaccio, letteralmente: mi mostrò l'ultima cosa che aveva imparato, ovvero trasfigurare gli oggetti. Fece tramutare il ghiaccio in acqua e infine farla evaporare. Ammisi che non era una cosa che vedevo spesso, nonostante fosse semplice, papà era più occupato a stare sui libri perché potesse intrattenermi con l'alchimia, e mi scappò un mezzo sorriso.

-La signorina Hawkeye sta forse sorridendo? Che fine ha fatto il suo contegno?- Mi stava prendendo in giro, ma tornai improvvisamente serissima e composta, accennando però un pizzico d'ironia: -Nulla, signore. Se non trasfigurerà più nulla non accennerò più nemmeno ad un sorriso, glielo prometto.-

-Cos'è questa formalità? Mi chiami pure Roy...-

-No, signore, preferisco chiamarla così, se non le dispiace.- chiamarlo per nome ci avrebbe solo avvicinato di più e io avevo bisogno di una barriera tra noi due, qualcosa che mi avrebbe tenuto al sicuro... All'epoca ero molto timida e riservata, ma non volevo fidarmi ancora di lui, temevo di perdere me stessa se mi fossi aperta a qualcun altro e lui era un alchimista, non era certo una garanzia.

-Certo che sei proprio strana... Ma come vuoi, Riza, spero non si offenda se le do del tu almeno io.- Non era stato insistente e gradii questo suo comportamento, quindi risposi con un “no signore” e lui ne fu soddisfatto.

Si fermò ancora a parlarmi dopo lezione, forse nella speranza di strapparmi altri sorrisi con i piccoli traguardi che raggiungeva, e, senza che me ne rendessi conto, mi stavo lasciando andare sempre di più: mi piacevano le piccole attenzioni che mi riservava, mi intratteneva e divertiva e aveva iniziato ad aprirsi con me, rivelandomi che non si sarebbe accontentato di produrre oggetti da zero, ma voleva diventar così bravo da diventare alchimista di stato. -Mi rendo conto che la strada è ancora lunga, ma ho iniziato da poco e se ci metto tutto me stesso penso di potercela fare!-

“Eccolo ancora lì, quel suo sguardo determinato e maledettamente seducente...” pensai mentre lui guardava il cielo: voleva forse ammaliare le prime stelle della notte?

-E tu, Riza, cosa vorresti fare in futuro?- improvvisamente rivolse quel suo sguardo su di me e scostai lo sguardo, fissando il cielo stellato anch'io. -Il mio futuro... onestamente non so ancora cosa voglio fare nella mia vita. Sicuramente non l'alchimista come voi, signore.- terminai, pur sapendo che Mustang non sarebbe stato compiaciuto della mia risposta.

-Se posso... Come mai ce l'hai tanto con noi poveri alchimisti? È un mestiere come un altro, anzi, io lo rispetto molto!- provò infatti ad indagare con il suo tono tranquillizzante.

-Non ho avuto un buon esempio di alchimista in famiglia.- abbassai lo sguardo, rannicchiando le gambe, come per chiudermi a riccio.

-Tuo padre è un bravo insegnante e alchimista.- cercò di capire Mustang.

-Ma non un bravo padre. Anzi direi pessimo, assente, senza contare che...- stavo per raccontargli il suo e mio segreto, ma non era il caso, lui non doveva saperlo.

Il colonnello si avvicinò e mi porse un fazzoletto, non ero riuscita a trattenere le lacrime e lo ringraziai per il gesto, prendendolo e asciugandomi gli angoli degli occhi.

-Ora devo andare, ho un appuntamento, ci vediamo domani!- disse alzandosi e sorridendomi, sentendomi una stupida per il mio comportamento infantile e per essermi dimenticata che lui era un uomo e il mio cuore non sarebbe mai potuto essere soggetto di interesse nei suoi confronti. “Anche lui è come papà, stava per avere la mia confessione e se n'è andato, fregandosene dei miei sentimenti”, pensai e piansi a lungo prima di addormentarmi.

Quando mi rivolse ancora la parola io mi dimostrai distaccata, non dandogli retta, ma ad un certo punto non riuscii a trattenermi e interruppi il suo monologo sulle sue ultime scoperte: -Com'è andato il suo appuntamento ieri sera?- mi pentii subito di averglielo chiesto, non doveva assolutamente interessarmi la sua vita privata.

-Oh bene, grazie, ma mi stai ascoltando? Ti stavo dicendo che sono riuscito a creare un cerchio alchemico più complesso che possa trasmutare più oggetti contemporaneamente... guarda.- Mi avvicinai incuriosita: per un attimo fui orgogliosa di lui, ma poi ricordai che ogni progresso lo avrebbe allontanato da me e che probabilmente non ero l'unica che imbambolava in quel modo e così risposi, riportandolo alla realtà e forse demotivandolo: -è un inizio.-

-Sì e non è stupendo?- il mio intendo non aveva funzionato.

-E vai in giro a mostrare i tuoi progressi a chiunque?- non so perché gli diedi improvvisamente del “tu”, ma volevo fargli capire che essere un alchimista non doveva essere un vanto, ma una responsabilità. Le piccole cose che al momento aveva imparato erano ancora innocenti, ma un giorno avrebbe imparato ben più di questo e poteva essere pericoloso rivelare i segreti di mio padre a orecchie indiscrete...

-Se la cosa ti consola no, Riza, li mostro solo a te.- quando terminò di pronunciare quelle parole sorrise appena, come se volesse trattenerlo, ma non riuscisse a non mostrarmi ironia in tutto quello che diceva. Era quel sorriso che mi faceva ogni volta trasalire, ma questa volta non mi bloccò, mi scaldò dentro come se una fiamma mi avesse investita in pieno. Socchiusi gli occhi e seppi rispondergli solo “bene”: si era appena riguadagnato la mia fiducia.

 

_____

Note: 

 

Dedico questa storia a chi mi ha stimolato a scriverla e ai miei amici che mi sopportano sentir parlare di Fullmetal Alchemist! In particolare ringrazio Alessia e Mattia per avermi dato un loro parere sui capitoli... GRAZIE MILLE!!!

E un grazie a tutti voi che siete arrivati a leggere fin qui: spero leggerete anche i prossimi capitoli e che possiate apprezzarli!

La scelta della canzone di questo capitolo è andata su Fire started di Demi Lovato, trovandola adatta per Roy, o almeno le frasi che vi ho citato. Ho pensato che Riza ragazzina potesse essere subito ammaliata da lui, per questo “scioglie cuori come acqua”! Eh sì, il Mustang sedicenne l'ho immaginato già un donnaiolo... o almeno che iniziasse in quel periodo a esserlo!

Vi aspetto anche sulla mia pagina facebook “Fairy Floss” per i prossimi aggiornamenti e fan art a tema!

Un abbraccio a distanza,

Ori_Hime

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Girl on fire ***


She’s just a girl, and she’s on fire

Hotter than a fantasy, lonely like a highway

She’s living in a world, and it’s on fire

Feeling the catastrophe, but she knows she can fly away

Oh, she got both feet on the ground

And she’s burning it down

Oh, she got her head in the clouds

And she’s not backing down

This girl is on fire

This girl is on fire

She’s walking on fire

This girl is on fire

Looks like a girl, but she’s a flame

So bright, she can burn your eyes

Better look the other way

You can try but you’ll never forget her name

She’s on top of the world

Hottest of the hottest girls say

Oh, we got our feet on the ground

And we’re burning it down

Oh, got our head in the clouds

And we’re not coming down

(...)

Everybody stands, as she goes by

Cause they can see the flame that’s in her eyes

Watch her when she’s lighting up the night

Nobody knows that she’s a lonely girl

And it’s a lonely world

But she gon’ let it burn, baby, burn, baby


 

Girl on Fire – Alicia Keys


 

 

Pov Roy Mustang

 

Passarono i mesi e passarono anni da quando avevo iniziato le lezioni dal mio maestro di alchimia Berthold Hawkeye: non aveva più nulla da insegnarmi e il mio sogno di diventare alchimista di stato sfumò. Lo avevo scelto per la sua fama di alchimista di fuoco: fin da ragazzo l'alchimia e gli alchimisti mi avevano sempre attratto perché pensavo potessero scoprire la causa della morte dei miei genitori e portassero la pace nel paese... così avevo iniziato a sognare di diventarlo anch'io.

Il signor Hawkeye probabilmente non pensava potessi imparare i suoi segreti, che non li meritassi perché nel frattempo avevo maturato la decisione di entrare nell'esercito, nella speranza di poter far carriera almeno come soldato. Alchimia o no, ci tenevo alla pace nel mio paese, volevo potesse essere un luogo sicuro, in cui la felicità non mancasse mai e avrei dato me stesso per poterlo realizzare. Non volevo un mondo in cui i bambini crescessero senza genitori, senza sapere perché mamma e papà non ci fossero più... Mia zia mi aveva accolto come un figlio e non avevo rimpianti: mi aveva dato tutto quello che potevo desiderare come i libri di alchimia e quando ormai non bastavano più persino le lezioni dall'alchimista migliore del paese, che però non fecero altro che darmi le basi pratiche.

Forse ero stato troppo arrogante per il mio interesse così ossessivo nei confronti dell'alchimia di fuoco, volendo apprendere il più velocemente possibile ogni suo segreto e questo lo aveva infastidito? Sentivo che il fuoco era il mio elemento ed il mio destino, dal momento che lo avevo trovato come insegnante, ma forse mi ero solo illuso di poter essere un bravo alunno.

Quando seppi che il signor Hawkeye era gravemente malato decisi di andarlo a trovare, probabilmente sarebbe stata l'ultima visita che gli avrei fatto, viste le sue condizioni, e non potevo rimandare ulteriormente... Presi qualche giorno di congedo parentale dall'esercito e mi presentai a casa sua. Mi aprí la figlia: era cresciuta molto dall'ultima volta che l'avevo vista, aveva i capelli tagliati corti corti, orecchini a perla alle orecchie e curve sinuose strette in una camicetta e in una gonna corta che mi fece pensare che nell'esercito di mini gonne non se ne vedevano abbastanza. Era più bella di quanto ricordassi, una visione angelica.

-Oh, signor Mustang, quale onore...- mi disse sgranando gli occhi, incredula di vedermi dopo tanto tempo.

-Riza, buonasera, sono qui per far visita a tuo padre, ho saputo della sua salute...- non seppi dire molto altro, queste situazioni sono sempre difficili da gestire da entrambe le parti, quindi andai al sodo: -Posso vederlo?-

-Ma certo, prego, l'accompagno in camera sua...- mi fece da guida al piano superiore e dopo avermi annunciato ci lasciò soli.

Come già sapevo al mio insegnante non piaceva l'esercito e mi definì un loro cane, io ribattei che l'alchimia serviva al bene della gente, a difenderla, specie in quel momento di crisi e lui cominciò a tossire. Gli dissi che se lui fosse diventato alchimista di stato avrebbe potuto continuare le sue ricerche ben pagato e non avrebbe più abitato nello stato di miseria in cui si era ridotto, ma lui replicò che aveva già raggiunto l'obiettivo della sua ricerca e che se un alchimista smette di cercare è già morto... E mentre pronunciava quelle parole la tosse diventava più persistente, fin quando, cadendo dal letto mi disse di pensare a sua figlia e che lei aveva tutti i suoi risultati ottenuti. Continuai a chiamarlo disperato, nella speranza che si riprendesse, ma sembrava troppo tardi: non mi rispondeva. Chiamai urlando Riza che accorse e assieme cercammo un medico che però dovette solo constatare la triste verità: il signor Hawkeye era morto. La figlia versò qualche lacrima, incredula: mi sentii in colpa per averlo fatto agitare, per aver distrutto il loro quadretto familiare, per essermi intromesso, decisi quindi di assumere un becchino, avrei pagato almeno il funerale e la tomba al mio insegnante.

Passai perciò il resto dei giorni che mi rimanevano di congedo presso la signorina Hawkeye, che presto si riprese dal lutto, o forse grazie alla mia presenza cercava di darsi un contegno, regalandomi persino un sorriso durante il funerale. Mi ringraziò per averlo organizzato, non potendosi permettere una sepoltura degna di quel nome e io gli spiegai che mi ero arruolato nell'esercito e le diedi il mio indirizzo: mi sentivo in debito nei suoi confronti e se mai avesse avuto bisogno di me sapeva dove trovarmi, sperando di fare esattamente come desiderava suo padre. Lei prese in mano il mio biglietto e lo guardò stupita, così le domandai se disapprovasse anche lei la mia scelta, ma le spiegai che volevo rendermi utile per il paese e se avessi svolto bene il mio compito sarei stato felice. Notai allora che mi stava guardando incuriosita, come qualche anno prima quando le raccontavo le mie ambizioni, così scostai lo sguardo e mi scusai per aver sognato ad occhi aperti. Lei fu gentile e mi rispose comprensiva: anche lei desiderava un futuro felice per tutti e lo sperava ardentemente. Concluse dicendomi che sarebbe toccato a me realizzare i sogni del padre e mi invitò a rientrare in casa.

Appena entrai Riza mi voltò le spalle, si levò la giacchetta blu scuro e poi iniziò a togliersi la maglia e cominciai a chiedermi il perché di quella improvvisa intimità: non la credevo come una delle tante donne di una notte e via... Ma fu allora che capii: lei mi aveva detto di realizzare i sogni del padre e i segreti dell'alchimia di fuoco ora erano di fronte a me, incisi sulla pelle della sua schiena, mentre si slacciava il reggiseno per mostrarmi il disegno runico nella sua interezza. Realizzai solo in quel momento che tutto quello che avevo sempre desiderato era sempre stato accanto a me, era sempre stata lei e che il signor Hawkeye era stato un padre orribile. Me lo aveva accennato tempo indietro e cominciai a capire i suoi comportamenti da ragazzina timida: erano in realtà spavento, timore che anch'io potessi un giorno farle del male, scoprendo il segreto della sua schiena.

Rimanemmo in silenzio a lungo, forse un po' per l'imbarazzo di entrambi e inizialmente rimasi lontano per non lasciarmi tentare, lei non era una delle tante ragazze con cui ero uscito e non doveva diventarlo, lei si meritava tutto il mio rispetto e contegno in questo delicato momento, si era fidata di me e voleva solo mettere in pratica le ultime volontà del padre, mentre io iniziavo a desiderare di abbracciarla, togliendole le mani dal seno per poi baciarla appassionatamente, sfilarle la gonna così tremendamente sexy e consolarla suol divano come avevo fatto con altre donne, scordandomi poi di richiamarle.

Cacciati quei pensieri indecenti e iniziando seriamente a capire qualcosa del tatuaggio mi feci coraggio e mi avvicinai per decifrare ogni singolo centimetro della sua pelle: il mio maestro era stato proprio crudele nel riempirla di simboli minuscoli ai lati, chissà quanto aveva sofferto, povera ragazza... Aveva disegnato il simbolo del fuoco esattamente al centro della schiena, assieme ai simboli della terra e dell'aria, sopra e sotto di esso. Vi erano anche un anello infuocato in cima al cerchio e una salamandra nel basso, simboli anch'essi di fuoco. In piccolo vi erano appunti alchemici, divisi solo da un serpente che univa il tutto. Non sarebbe mai stato il sogno di una giovane, ricevere l'affetto del padre in questo modo, eppure lui presumibilmente aveva scelto la sua cosa più cara per poter nascondere anni e anni della sua ricerca. Peccato fosse una persona, sua figlia.

Ad un certo punto Riza sussultò: -Tutto bene?- mi preoccupai che la mia presenza ravvicinata la facesse sentire a disagio, ma mi rispose solo: -Ho freddo, signore.-

-Hai ragione, ti chiedo scusa, vestiti pure, avrei bisogno di più tempo per memorizzare tutti i diversi scritti e dovrei prendere appunti... Ma basta per oggi, penso che tu abbia sopportato la mia presenza abbastanza a lungo.- lei senza fiatare si rivestì mentre mi girai dall'altra parte, concedendole privacy. L'avevo trattata come un oggetto, tanto era stata immobile, una lavagna da poter osservare a lungo, senza preoccuparmi dei suoi sentimenti proprio come suo padre e mi sentii un verme.

-Ti andrebbe di andare a bere qualcosa?- cercai di rimediare al mio errore.

-Solo se prendiamo uno scotch e offre lei, signore.- mi piaceva già, la ragazza.

 

 

Note:

Per questo capitolo ho scelto “Girl in fire” perché è un po' così che Mustang vede Riza, a mio parere, una donna sexy, che è rimasta sola e dovrebbe solo spiccare il volo per fare grandi cose, una donna finalmente di cui ricorderà il nome perché lei è una fiamma che potrà bruciarlo di passione, ma non è una ragazza qualsiasi. Chissà come continuerà la loro storia... Ci sono altri 6 capitoli pronti che attendono solo la pubblicazione!

Grazie per aver continuato a leggere, come sempre su Fairy Floss vi aspetto per nuovi aggiornamenti!

Un abbraccio,

Ori_Hime

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Scars 1 ***


Scars we carry

Carry with memories

Memories burned by the dark

Try to see clearly

Tears we bury

Bury in vain

Cause the pain got us falling apart


Try to see clearly

Now let the healing start

The fire is out of guns

We keep it in our hearts

We're like a thousand suns

Ooh, yeah

Everyday step by step

We dare to love again

And if we lose our grips

Meet you at the end

Know they're cutting you deep

Feel the scars in your sleep

What didn't kill made us made us stronger

Stories left on our skin

Wear them with everything

What didn't kill us made us stronger

Oh

Don't feel lonely

Loneliness kills all the thrill from standing alone

Oh

Try to see clearly


 


 

Scars – Tove Lo

 

Pov Riza Hawkeye

 

Rivedere il signor Mustang fu come una fitta al cuore, da quando era entrato nell'esercito era raro vederlo da noi e non mi aspettavo di rincontrarlo in quella circostanza. Negli anni scorsi avevo pensato che fossimo amici, ma a quanto pare ero solo la figlia del suo insegnante, tra l'altro troppo giovane perché lui potesse anche solo notarmi e pensare di venire a trovarmi. Scoprimmo durante delle commissioni in paese tempo dopo che Mustang era entrato nell'esercito e mio padre questa notizia non riuscì mai a digerirla, divenne solo più folle e ricordava il suo studente con grande rammarico, dispiacendosi di avergli insegnato quello che sapeva, orgoglioso solo di non avergli rivelato veramente tutto e allora guardava me, dicendomi che non mi meritava.

Questa situazione rischiava di farmi impazzire, non riuscivo a reggere la collera di mio padre perché era ingiustificata, a mio parere, e perché mi faceva solo ricordare il suo sguardo ammaliante, i suoi esercizi alchemici che mi scaldavano dentro, il suo tono di voce che in quel momento avrei tanto voluto che mi tranquillizzasse, ma che era ormai solo un vago ricordo.

E invece eccolo lì: Roy Mustang nella sua nuova divisa blu che lo rendeva ancora più attraente di quanto ricordassi, con spalle ancor più pronunciate che facevano comprendere quanto esercizio fisico avesse svolto negli ultimi mesi. Era venuto per mio padre, non per me, ma la sua presenza, vista poi le tristi circostanze che seguirono, fu di grande conforto: pagò di tasca sua le spese per una bella sepoltura e il suo ottimismo e i suoi sogni per il futuro mi rincuorarono molto, dopo tanto tempo sentii finalmente che a qualcuno importasse di me. Soggiornò da me per qualche giorno aiutandomi in tutto, e dopo il funerale decisi che era arrivato il momento che il suo sogno della vita si realizzasse. In fondo perché non poteva meritare di conoscere il mio segreto? Pur di essere utile al suo paese si era arruolato come soldato semplice, rinunciando all'idea di diventare alchimista di stato, e rischiando perciò ancora di più la sua vita per quel sogno. Vederlo ancora così sognante a parlarne capii qual era il mio ruolo: aiutare a realizzarli e che il mio obiettivo era invece quello di proteggerlo, facendogli conoscere l'alchimia.

Nonostante fosse una cosa imbarazzante appena entrai cominciai a spogliarmi, così che non ricambiassi più idea: lo facevo per lui, lo facevo per mio padre. Quando mi tolsi anche il reggiseno, mi coprii il petto con le mani e braccia e rimasi ferma, immobile, in modo che potesse leggere ogni segno senza tremolii e distrazioni. Mustang fu professionale, si avvicinò a me poco a poco e rimase in silenzio, una vera tortura per me che mi sentivo osservata come una statua di marmo, oppure come una modella per un artista. Purtroppo sapevo che alcuni scritti erano veramente piccoli e quando sentii il suo fiato appena sotto il mio collo sussultai. Era una sensazione nuova per me: nessun uomo si era avvicinato a tal punto da poter sentire il suo respiro e mai mi sarei aspettata di sentirlo in quel momento senza gli indumenti superiori. Un brivido mi percorse tutta e lui lo notò, chiedendomi se stessi bene: diedi la colpa al freddo e mi fece rivestire.

Ci sarebbero state altre sessioni di studio, era impossibile che lui avesse già imparato tutto quello che avevo impresso sulla schiena, ma nel frattempo Mustang voleva solo andare a bere qualcosa. Fu la conclusione migliore per quella giornata così insolita e sconvolgente. Andammo in un bar poco lontano e ordinammo due scotch: -Al signor Hawkeye!- alzò il bicchiere lui, -Ai suoi segreti- risposi io e mandammo giù tutto il liquido in un colpo. L'alcool doveva rendere la serata più piacevole, ma ci volle ancora qualche bicchiere prima di lasciarci andare: le ultime ore avevano turbato entrambi e non fu facile ricominciare a parlare fluentemente.

-Riza, mi dispiace per quello che tuo padre ti ha fatto... Immagino sia stato doloroso per te...- iniziò a dire guardando il fondo del bicchiere.

-Sì, non è stato piacevole... Ma ora posso dire che le sue scoperte sono al sicuro e che saranno ancora in buone mani.- gli presi la mano libera e gli sorrisi guardandolo, non volevo si dispiacesse per me e volevo che fosse una bella uscita. Sollevò lo sguardo e mi sorrise a sua volta, lasciando comunque trapelare un po' di amarezza.

-Non parliamo del passato, mi parli di lei: è entrato nell'esercito, com'è?- volevo rivederlo sereno e sognante, come dopo il funerale e come lo avevo conosciuto qualche anno prima.

-È... come dire... beh impegnativo, ma mi piace molto. Sento di aver trovato il mio posto nel mondo, mi fa sentire appagato, anche se spesso arrivo a sera stanco morto. Sai, dovresti provare: sei tosta, ti ci vedo arruolata nell'esercito.- concluse in maniera così lusinghiera che abbozzai un sorriso. -Grazie signore, ma non credo che farebbe al caso mio, non sono poi così coraggiosa come pensa e mio padre non avrebbe mai approvato...- abbassai lo sguardo.

-Riza, tuo padre ti ha trattata come un taccuino dove annotare le sue ricerche: ora sta a te decidere della tua vita, senza lasciarti influenzare dalle sue parole. E poi il coraggio lo si trova strada facendo, proteggendo ciò che si ama con tutto sé stessi.- Mustang chiese al barista un altro giro e bevve di colpo il suo bicchiere, mentre io fissai a lungo il mio: le sue parole mi avevano colpita come un fulmine a ciel sereno. Proprio lui mi aveva parlato di difendere ciò che si ama... e io proprio in quei giorni iniziavo a realizzare di amarlo: come avrei potuto altrimenti descrivere le emozioni che provavo solo mentre mi guardava o mi parlava?

Mi tornò in mente il funerale quando pensai che l'unico modo per poterlo difendere era mostrargli gli appunti di mio padre, ma forse non sarebbe bastato: se fosse finalmente diventato alchimista di stato sarebbe solo stato esposto a missioni sempre più rischiose, senza considerare che l'equilibrio del nostro paese era sempre più in bilico... Bevvi lo scotch tutto d'un fiato: mi sentii già più determinata e sicura.

-Lei deve diventare il prossimo alchimista di fuoco invece, signor Mustang, e non ha tempo da perdere!- rimisi il bicchiere vuoto sul tavolo con enfasi, rinforzando così le mie parole. Lo presi per il braccio, decisa a riportarlo a casa così che potesse continuare i suoi studi nonostante fosse ormai notte, lui pagò il conto e mi seguì.

Mollai la presa solo quando ci trovammo in camera mia per togliermi la maglia, poi mi stesi sul letto mettendomi comoda con un cuscino dove appoggiarmi e stetti a pancia in giù perché vedesse bene la schiena nuda per prendere appunti. Mi voltai coprendomi con il lenzuolo e lo vidi imbambolato ancora sulla soglia della porta: -Che fa' lì impalato? Prenda carta e penna, li trova nello scrittoio... Poi scriva appunti no?- lo scotch mi aveva sicuramente resa intraprendente e Mustang non poté che darmi ascolto: aprì lo scrittoio e prese dei fogli bianchi, un pennino e l'inchiostro, poi si avvicinò a me, sedendosi sul bordo del letto, cominciando a scrivere qualcosa, ma presto si bloccò.

-Scusami, ma con questa luce non riesco a leggere bene...- sussurrò dispiaciuto mentre si tolse le scarpe per sedersi a gambe incrociate sul letto, così che potesse osservarmi meglio. Iniziò a scribacchiare, cancellando e intingendo ogni tanto il pennino nell'inchiostro per ricominciare ad appuntare indaffarato, ma man mano che il tempo passava lo vedevo più affaticato: stava rallentando la velocità di scrittura e per leggere la mia schiena si faceva sempre più vicino, iniziando a tenere il segno con un dito, dandomi leggeri brividi. Inizialmente mi scostai, ma poi cercai di rimanere ferma il più possibile, fino a piacermi quel lieve contatto, delicato come una carezza. Avrei voluto che il suo tocco diventasse ancora più concreto, che mi scaldasse e avvolgesse come un abbraccio e che anche le sue labbra giungessero sulla mia pelle e la baciasse, seguendo tutte le linee di inchiostro per poi raggiungere le mie labbra...

 

 

Note:

La canzone di questo capitolo è evidentemente riferita a Riza, mi è piaciuto molto il riferimento alla pistola, anche se non ne usa ancora...

Come sempre vi ricordo per gli aggiornamenti di seguire Fairy Floss su facebook, dove pubblico anche fan art a tema!

A presto,

un abbraccio a tutti voi che state leggendo i miei capitoli,

Ori_Hime

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Scars 2 ***


You've got scars on your body and your soul

Bruises on your back now

Broken heart with nowhere to go

Living in a high-rise flat

Torn apart, so keep on keeping it together

Nothing is forever you know

You can start again like this, like this

Now I see blood in the sky

Blood in my eyesight

Everything's turning to red

So we'll beat it away, color the nightlife

And light me up, burn me today

I'm seeing blood in the skyline

Stuck in the right mind

Afraid again to leave any dream

And replace it with anything better

So get up

And take away your scars

 

Scars – Ed Sheeran

 

 

Pov Mustang

 

Andammo nel locale più vicino e bevemmo più scotch di quanto di solito mi sarei concesso. Notai che Riza Hawkeye sapeva reggere bene l'alcol, o almeno per la maggior parte della serata. Dopo un brindisi dedicato alla memoria di suo padre, lei mi fece parlare dei miei sogni, così le lanciai l'idea di unirsi anche lei all'esercito perché mentalmente pensai che sarebbe sicuramente stata una bella visione tra tutti quegli uomini possenti. Cercai di scacciare quel pensiero per ascoltarla attentamente: dalle sue parole non si rendeva conto di quanto risultasse sicura ai miei occhi. Io la vedevo determinata, dedita al padre e avrebbe senz'altro saputo mantenere i segreti fino alla morte: sarebbe stata un soldato perfetto. Le dissi che il coraggio lo si poteva trovare, proteggendo chi si ama. Non so come mi uscirono quelle parole, ma in quell'istante capii che gliele stavo pronunciando perché avrei voluto per lei una vita migliore di quella che aveva avuto fin ora con il padre, la meritava.

Ordinai altri due bicchieri di scotch per affogare quegli stani pensieri nell'alcol, ma anche lei sembrava sommersa nei suoi. Dopo che bevve di colpo il suo bicchiere, mi disse che dovevo assolutamente diventare alchimista di stato e quasi non mi lasciava nemmeno il tempo di pagare il conto, perché mi afferrò per il braccio e mi portò a casa sua. “È anche forte, oltre ad essere sempre più sexy” pensai. Mai una donna prima di allora mi aveva trascinato con sé con tale foga, ma avrei dovuto assecondare le sue volontà? Suo padre non me l'aveva forse affidata perché mi prendessi cura di lei? E per prendersi cura era inclusa una relazione amorosa? O dovevo farle forse da padre e quindi sorvegliarla e metterla in guardia dai pericoli? Questi strani interrogativi cominciavano ad affiorare la mia mente, quando avrei dovuto al più presto dar loro una risposta: Riza mi aveva portato in camera sua e come nel pomeriggio si era tolta la maglia e il reggiseno, per poi lasciarsi cadere di pancia sul letto. Rimasi bloccato: cosa voleva fare? Perché mi aveva condotto lì?

Quando mi disse con tono imperativo di prendere carta e penna per prendere appunti capii che voleva solo che continuassi i miei studi, nulla di più, anche se l'alcol certamente non aiutava a ragionare a mente lucida. Riflettei su come appuntarmi gli scritti della sua schiena in un codice che potessi capire solamente io, poi guardandola pensai che somigliava ad una dea, tanto era perfetta lì distesa tra quelle lenzuola stropicciate, una dea che nascondeva un segreto: quelli dell'alchimia di fuoco. Così mi venne in mente il nome “Elizabeth”, in quanto significava “il mio Dio è la perfezione” e decisi di chiamarla nella mia mente così, come il suo nome di battesimo che però non usava mai perché era anche il nome della defunta madre, così si era tenuta sempre quel nomignolo “Riza”.

Scrissi diversi nomi di donne, tutte quelle che avevo avuto nella mia vita, perché simboleggiassero diversi elementi chimici, ma Elizabeth era il nome che tornava più spesso: lei era il fuoco che si accendeva sempre di più in me, ad ogni singola parola che decifravo e ad ogni suo quasi impercettibile movimento.

I miei occhi nel frattempo si stavano affaticando, così mi abbassai sempre di più verso la sua schiena per poter continuare e con l'indice tenevo il segno delle righe all'altezza delle sue scapole. Fui restio a quell'idea in principio, perché con altre donne non mi sarei certo fermato, ma volli provare per vedere la sua reazione: al primo tocco lei si scosse leggermente, forse per il freddo delle mie mani, poi fece l'abitudine alla mia diversa temperatura corporea e si rilassò, fino ad addormentarsi. Avrei voluto svegliarla, stringerla a me e baciarla, ma come potevo approfittare di quella circostanza? Era appena diventata orfana, aveva anche bevuto parecchio, ecco probabilmente il motivo di così tanta improvvisa intraprendenza, ed era stata gentilissima con me. Avrei solamente rovinato il nostro rapporto e non avrei potuto più guardarla in faccia, rivedendo i miei errori sulla sua schiena: sarei stato un ingrato.

Le sistemai il lenzuolo coprendola e rimasi accanto a lei, a guardarla dormire. Ora pareva un angelo, per via dei suoi capelli biondi, avvolto in una nuvola bianca: mancavano solo le ali, che le erano però state tarpate ormai tempo fa. Non avrei mai potuto farle del male, avrei voluto vederla sempre così pura e innocente, io non sarei stato l'uomo giusto per lei. Ne avevo già conosciute tante di donne, l'avrei solo contaminata, mentre lei era speciale e doveva rimanerlo.

Alla fine mi addormentai anch'io, tra appunti sparsi ovunque e lenzuola che potevo benissimo scostare per infilarmici sotto, ma cercai di lasciarle a lei essendo nuda, rimanendo scoperto ma vestito. Le prime luci dell'alba mi svegliarono e ritrovarla ancora accanto esattamente come si era addormentata mi diede conforto. Di solito abbandonavo le donne esattamente così, appena mi svegliavo lasciavo la camera, tornando a casa. La mia Elizabeth doveva avere un trattamento diverso: aspettai fosse ora di colazione, mi alzai e andai in cucina per prepararle qualcosa come ringraziamento per la fiducia che mi aveva riposto.

Quando tornai con un vassoio con pancake e una tazza di caffè latte ricevetti solo un grande cuscino in faccia. La mira le sarebbe stata molto utile nell'esercito, pensai, mentre cercavo di risistemare il vassoio, i pancake, la tazza rotta e tutto il suo contenuto rovesciato sul pavimento. Forse l'avevo spaventata o l'avevo sorpresa vestirsi, pensai, ma poco dopo Riza, avendo visto cos'era successo si scusò. Era ancora nel letto e si reggeva il lenzuolo sul petto, forse l'avevo appena svegliata e non ricordandosi di essere nuda mi aveva visto come una minaccia.

-Perdonami tu, non sapevo fossi sveglia...- i suoi grandi occhi castani mi stavano fissando mettendomi in suggestione: avevo capito che era meglio non farla arrabbiare di prima mattina.

-Mi tolga una curiosità, signore... Questa notte è... Successo qualcosa?- abbassò il tono di voce e lo sguardo sul suo petto coprendolo ancor più che poteva: era stato perciò il pensiero che fossimo stati a letto assieme a preoccuparla? Aveva dimenticato tutta la serata per colpa dell'alcol e non si ricordava come fosse a letto così?

-Beh, da dove cominciare... Siamo andati a bere scotch, abbiamo brindato per tuo padre, ti ho chiesto di unirti all'esercito e tu hai detto che dovevo diventare alchimista di stato, dopodiché mi hai trascinato in camera, dove ti sei spogliata...- raccontai tutto molto lentamente, in modo da gustarmi ogni sua singola espressione facciale che si faceva sempre più preoccupata, fin quando giunsi alla conclusione: -Ma tranquilla, dovresti avere ancora gli indumenti inferiori addosso, visto che avevi tolto la maglia solo per mostrarmi l'alchimia di tuo padre.- sorrisi prendendola un po' in giro.

Hawkeye alzò il lenzuolo per assicurarsene e tirò un sospiro di sollievo. -Mi scuso ancora per aver dubitato di lei, signore, ma ho letto tanti nomi femminili sui suoi fogli e mi sono preoccupata. Le prometto che non guarderò mai più le sue scartoffie.- divenne tremendamente seria, pensando che avessi realmente scritto le mie conquiste sentimentali e capii che il modo criptico di prendere appunti che mi ero inventato funzionasse. Non volevo però che mi considerasse uno sciupa femmine e provai a addolcirla: -Non importa, è la ricerca di suo padre, posso capire che fosse interessata a leggerli. Se vuole le spiego anche quello che ho appreso nel frattempo!-

La vidi illuminarsi come quando era ragazzina e sorrise annuendo. La lasciai sola perché si vestisse e io andai a darmi una rinfrescata in bagno, dopodiché scendemmo in cucina. -Mi dispiace per la colazione, era stato un bel pensiero... Cosa desidera mangiare? Glielo preparo!-

-Ma cucini sempre tu e sono ospite ormai da tre giorni, ti aiuto almeno!- era il minimo che potesi fare per lei, così finimmo per preparare una torta e uova strapazzate, trasformare la colazione in un brunch. Furono ore felici, spensierate, giocando con la farina, uova, latte, senza preoccuparsi di nulla se non goderci quegli istanti di perfetta complicità: eravamo una bella squadra in cucina. Mangiammo fino ad essere pieni, poi andammo nello studio del mio ex insegnante e presi i miei appunti e altri libri per spiegarle alcuni nuovi concetti alchemici che avevo imparato grazie a lei. -Così almeno ora sai cos'hai impresso nella pelle...- terminai.

-Non è tutto però, giusto?-

-No, mi mancano ancora alcuni scritti sulla destra... Oltre che a mettere in pratica tutta questa teoria.- mi parve per un attimo abbattuta, poi sollevò lo sguardo e con fermezza mi disse: -Ok, allora continuiamo.-

-Non voglio che tu debba per forza mostrarmeli adesso e voglio che tu sia a tuo agio, comoda e al caldo...- la avvisai prima che si spogliasse solo per fare un piacere a me.

-Mi mostri dove deve leggermi il tatuaggio.- continuò Riza, pacata.

-Qui...- le premetti le mano lungo il suo lato destro, partendo dall'alto fino a scendere sul fianco, avvicinandomi a lei fino a sentire il profumo dei suoi capelli. Fu un secondo, ma rimase come in sospeso, come un respiro profondo prima di ricominciare a tornare con i piedi per terra.

-D'accordo, quindi se mi sedessi sul tavolo li avresti ad altezza occhi?- la sua praticità sembrava quasi rivoler mettere le distanze tra di noi, nonostante ci fossimo divertiti molto quella giornata, risveglio a parte.

-Proviamo, se per te può essere confortevole...- si sedette sulla scrivania e si tolse la maglia: -Puoi leggere bene?- chiese voltando solo leggermente la testa.

-Non le parti più in alto...- dovetti ammettere.

-D'accordo, allora su una sedia?-

-Perché non il divano?- proposi sperando potesse almeno rilassarsi. Rimase un attimo in silenzio, poi con la maglia si coprì il seno e si accomodò in ginocchio sul divano, rivolgendosi verso lo schienale, così che potesse appoggiarsi. Rimanemmo ancora a lungo in silenzio, una tensione continua, quasi snervante, fin quando non fu ora di cena e decidemmo di fare pausa. Vedevo che non era più sciolta come il giorno prima, o come quando preparavamo assieme il brunch o le stavo spiegando l'alchimia del padre: qualcosa si era sgretolato.

-Tutto bene, Riza? Hai qualcosa che non va?- decisi di domandarle.

-Quando ripartirà signor Mustang?- sollevò lo sguardo dal piatto e mi guardò con timore di sentire la risposta.

-Dopo domani- dovetti ammettere, pensando che sarebbe stato triste lasciarla sola dopo essere stati così bene...

-Quanto le manca da studiare ancora?- riabbassò lo sguardo, delusa.

-Tutta la pratica e magari rivedere tutti gli appunti, per assicurarmi di non aver sbagliato nulla...- sperai mi concedesse ancora almeno una seduta di studio dove poterla rivedere.

-Allora che ne dice se domani comincia ad impratichirsi? Se qualcosa non le torna può sempre ricontrollare dopo...- temetti che non volesse più svestirsi per me.

-Me lo concederai?- la mia richiesta dovette parerle come una supplica, perché mi rispose abbozzando un sorriso: -Solo se mi renderà partecipe ai suoi esperimenti!-

-Certo che voglio coinvolgerti, non potrei mai fare il contrario!- le sorrisi a mia volta e anche lei si lasciò andare, sorridendo ancora di più.

 

 

 

Note:

Ne approfitto per augurare anche qui su Efp buon compleanno a Manto! Grazie per avermi sopportato sentir parlare a lungo di questa storia e avermi dato lo stimolo per scrivere, questo capitolo lo dedico a te, sperando che quando la leggerai ti piaccia! Ti voglio bene!

Grazie intanto a chi sta leggendo, sulla mia pagina facebook “Fairy Floss” troverete una fan art a tema del capitolo...

A presto,
  bacioni,

    Ori_Hime

 

PS: la canzone iniziale l'ho trovata perfetta per un Roy che dialoga con Riza, come una sorta di incoraggiamento a iniziare una nuova vita, lasciando alle spalle il suo passato, inseguendo i suoi sogni.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Vivendo adesso ***


Amami ora come mai, tanto non lo dirai
È un segreto tra di noi
Tu ed io soltanto
Il fuoco e le fiamme a dire che
Stiamo solo facendo sesso
Tu amami ora come mai, tanto non lo dirò
È un segreto tra di noi
Ma vorrei soltanto tu fossi già sicura
Che stiamo solo vivendo adesso

 

Vivendo adesso – Francesco Renga

 

 

Pov Riza Hawkeye

 

Le ultime ventiquattro ore erano state una serie di emozioni contraddittorie: la mattina mi ero risvegliata con strani ricordi della sera precedente, io che mi spogliavo e intimavo Mustang ad avvicinarsi, mi accarezzava la pelle e avevo provato una sensazione strana, dolce, che mi aveva fatto desiderare di più. Mi ero anche addormentata cullata dal suo tocco, o forse era stato l'alcol? Comunque al risveglio avevo trovato i suoi appunti sparsi tra le coperte e sul pavimento, così presi dei fogli per spostarli e mi scappò l'occhio: il nome “Elizabeth” spiccava in maiuscolo proprio in cima al foglio e subito dopo tanti altri nomi femminili erano scritti come un elenco, anche se Elizabeth continuava a ripetersi, intervallandoli. Altro che appunti! Quell'uomo aveva scritto i nomi delle sue amanti e temetti che mi avesse sedotto e abbandonata lì, essendo ancora nuda. Odiavo essere chiamata Elizabeth, mi ricordava troppo mia madre e la tomba su cui da piccola passavo le giornate in attesa che tornasse da me e preferivo essere chiamata semplicemente “Riza”, come mi chiamavano allora. Quel nome in inchiostro nero sul foglio bianco mi fece rendere conto che ero solamente l'ennesima sua conquista, come tutte le altre donne elencate.

Che mi aspettavo? Che qualche giorno potesse farlo innamorare di me? Che provasse le mie stesse emozioni in mia presenza? Mi sentii una sciocca e provai repulsione per me stessa. Ero stata ingenua e forse mio padre aveva ragione: gli alchimisti di stato erano tutti boriosi. Mi chiesi se se ne fosse andato ora che aveva finalmente raggiunto il suo obiettivo ed era stata solo tutta colpa mia!

Pensavo proprio a questo quando Mustang si presentò alla mia porta, ma, avendolo preso in odio quegli ultimi minuti, gli scaraventai il cuscino in faccia. Mi sentii in colpa quando realizzai che aveva in mano un vassoio con la colazione e lo avevo fatto cadere a terra. -Scusami... Non volevo...- avevo sbagliato a giudicarlo male, aveva cucinato per me ed io che pensavo gli importasse solo di “prendere il suo bottino” e scappare. Volli comunque capire com'ero finita lì e ci fossero tutti quelle carte sparse, vista la confusione del mio stato mentale: lui mi riepilogò la nottata appena trascorsa in modo ammiccante facendomi salire l'ansia... per terminare dicendomi che sotto ero ancora vestita. Sollevai le lenzuola e rividi la mia gonna al suo posto e sospirai. Mi scusai e gli spiegai che avendo trovato fogli con nomi femminili mi ero preoccupata, ma allo stesso tempo non avrei dovuto guardarli, visto che erano suoi.

Mustang sembrò comprendere il mio turbamento e mi calmò, facendomi sentire a mio agio volendomi coinvolgere nei suoi studi. Il signore stava recuperando punti e decisi che gli avrei preparato per colazione ciò che desiderava: lui insistette perché mi aiutasse, avendo già approfittato della mia ospitalità e glielo consentii. Tornai ad essere gentile e dolce, forse per colpa della torta che stavamo cucinando o forse per come lavoravamo bene assieme, ma anche nel pomeriggio mentre mi spiegava ciò che aveva decifrato dalla mia schiena fu molto carino. Prendeva dalla libreria i libri di mio padre per farmi comprendere meglio attraverso illustrazioni, sebbene le cose più semplici le conoscessi già, rivelandosi appassionato e premuroso.

Quando terminò le sue spiegazioni compresi che aveva ancora bisogno della mia schiena e ricordandomi come avrei ceduto senza ritegno al suo tocco la sera precedente, perciò mi misi nelle condizioni tali da non potermi mettere comoda e lui dovesse toccarmi per non perdere il segno. Ero consapevole del fatto che il signor Mustang fosse un donnaiolo, ma anche i miei sentimenti nei suoi confronti non mi mettevano pace: sarebbe bastato che mi toccasse con più ardore perché mi lasciassi completamente andare tra le sue braccia, pentendomene poi amaramente per essere stata una delle tante sue conquiste. Ne sarebbe poi valsa la pena? Gli chiesi cosa dovesse copiare ancora indicandomelo sulla schiena. Mi misi così alla prova per vedere se uno, avessi potuto fare a meno di spogliarmi da tutti gli indumenti superiori e due, il suo contatto mi avrebbe messo in grave pericolo. Appoggiò la sua mano sulla mia scapola scendendo verso il basso, facendomi rabbrividire. Capii che dovevo star lontana dalle sue mani, ma lui voleva che fossi comoda e trovammo come compromesso sul mettermi in posa sul divano, ma furono minuti interminabili in cui non riuscivo a non pensare ad altro che a lui, al suo lieve tocco... Rimasi tesa anche durante la cena e lo notò, così gli chiesi quando sarebbe finito il suo congedo e cosa dovesse ancora studiare. Dalle sue risposte sembrava rattristarsi pure lui, ma probabilmente era solo per il poco tempo che gli rimaneva per perfezionarsi.

Il giorno seguente passammo tutto il giorno sui suoi appunti, che capii finalmente che i nomi di donne altro non erano essere elementi chimici, (che maniaco...), ma ci riavvicinammo: lui disegnava per terra cerchi alchemici e io commentavo la riuscita dei suoi esperimenti, motivandolo o demotivandolo, a seconda di quanto impegno ci stesse mettendo. Iniziò a capirmi solo dallo sguardo, fino ad intendere perfettamente le mie intenzioni, ancor prima che gliele esponessi. Mi faceva ridere quando li comprendeva e alleggeriva la tensione bisticciare ogni tanto per cose stupide, anche se la sua ricerca non lo era per niente.

-Forse, signore, dovrebbe disegnare i cerchi alchemici sulle sue mani...- suggerii nel pomeriggio, dopo aver passato ore a disegnare senza successo.

-Posso?- gli chiesi tendendo le mie mani verso le sue. Mi ero ripromessa di non avere contatti fisici con lui, ma ormai non mi importava più. Il mio obiettivo era aiutarlo, tutto il resto veniva dopo. Mustang annuì incerto, lasciandosi afferrare le mani. Con l'inchiostro gli disegnai il cerchio e i triangoli al suo interno, cercando di non fargli male. Infine lui batté più volte le mani come in preghiera, ma ancora non succedeva nulla. -Forse devo cambiare gesto...- rifletté ad alta voce, poi ancora pensieroso schioccò le dita, ma nulla. Stava iniziando a piovere e il disegno sulle sue mani stava pian pianino scomparendo così mi venne improvvisamente un'idea e corsi nel capanno degli attrezzi a prendere dei guanti bianchi da giardinaggio e ci infilai della polvere da sparo proveniente dal fucile da caccia: riprodussi gli stessi disegni e glieli porsi. Lui mi guardò con sguardo interrogativo: -Il tuo schiocco con la polvere da sparo sarà come usare un accendino, provi!- Ancora un po' scettico si infilò un guanto, poi schioccò le dita e iniziò a fare scintille. Ci guardammo meravigliati e sorridemmo a trentadue denti: finalmente eravamo riusciti ad ottenere i primi risultati! Non riuscendo a contenere la felicità finimmo per abbracciarci, ma quando notammo i nostri volti troppo vicini ci staccammo. Mi sorprese questa complicità ritrovata, questa alchimia che si stava creando tra di noi. Non volevo perderla e non volevo perderlo.

-Complimenti, signore, ci è riuscito!- tornai ad essere un po' più formale.

-Non ce l'avrei mai fatta senza di te, Riza...- sorridemmo entrambi, anche se un po' imbarazzati.

Mustang provò ancora e ancora, ma la pioggia si fece sempre più forte, così divenne sempre più frustrato non riuscendo più a ottenere nemmeno le scintille iniziali, così compresi: -Signore, la pioggia non è amica del fuoco e ha bagnato i guanti ormai...-

-Hai ragione, dovrò desistere per oggi... Avrò comunque bisogno del suo aiuto per perfezionarmi, se mi concedi del tuo tempo ancora vorrei rivedere il tuo tatuaggio. Non voglio però disturbare ulteriormente...- divenne serio all'improvviso anche lui.

-Non c'è problema signore, sono consapevole dell'importanza degli studi di mio padre e voglio che lei li custodisca come si deve...- gli risposi rimanendo distaccata, contenendo entrambi l'entusiasmo appena provato.

-Grazie, rimango ancora in debito, Riza.- sorrise appena, ma mi sciolse completamente.

-Non c'è alcun debito... Se ora vuole seguirmi, le do un asciugamano...- gli lanciai un'ultima occhiata, prima di rientrare, facendogli segno con la mano di sbrigarsi.

Mustang sfiorò le mie dita lungo le scale per il piano superiore, facendomi arrossire. La mia parte intraprendente si era appena risvegliata, ma entrando in camera da letto, ricominciai ad avere paura: mi guardava ammaliato e sentivo che avrebbe fatto qualsiasi cosa gli avessi chiesto. Gli allungai una salvietta e poi mi sedetti sul letto, pian pianino mi sbottonai la camicia bagnata e infine mi slacciai il reggiseno, sdraiandomi mostrandogli la schiena. Nel frattempo si era tolto anche lui la camicia ormai fradicia e si era passato l'asciugamano sui capelli bagnati, poi si era seduto accanto a me e guardando i suoi fogli iniziò a percorrere le dita lungo il mio tatuaggio, delineandone tutti i contorni, proprio come avevo desiderato pochi giorni prima. Questa volta non c'era alcol in corpo e cercai di non guardarlo a petto nudo troppo a lungo, anche se era veramente bello, e provai a resistere alle sue carezze, anche se non potei non provare calore, accendendomi come un fuoco dentro ogni volta che mi toccava.

Non saprei dire quanto tempo passò, ma il sole era ormai tramontato da un po' quando Mustang si alzò, nel mio dormiveglia mi ridestai e lo guardai: -Aspetta, resta...- e gli feci segno di mettersi accanto a me. Non volevo se ne andasse già, era l'ultima notte che avrei potuto averlo vicino... Dovette parergli una supplica perché tornò indietro e fece come gli avevo detto: si tolse le scarpe e si stese sulla mia sinistra. Mi sistemò bene le coperte, rimanendo poi con un braccio attorno al mio corpo, stringendomi a sé. Riprese ad accarezzarmi la schiena, mentre io mi godevo il suo profumo, vicina al suo petto, ma lasciando le mie braccia a coprirmi il seno, come ultima barriera. Mustang prese poi a baciarmi il volto, partendo dalla fronte, scendendo verso le mie labbra, bloccandosi per avere il mio consenso per continuare: -Riza, domani riparto...- sussurrò appena. Non importava più se non avessimo avuto futuro, i baci erano un susseguirsi di fiamme che mi bruciavano sempre di più sotto la pelle risvegliando in me piaceri che non avevo mai provato prima e non volevo perdermene nessuno, anche se fosse stato solo per una notte.

Come risposta gliele afferrai per completare il bacio che lui sembrava voleva iniziare e gli presi il viso tra le mani per avvicinarlo, accarezzandogli i capelli neri. Anche lui allora mi strinse, ancor più forte di prima, quasi lasciandomi i segni delle dita sulla mia schiena. Ormai il mio corpo era letteralmente in mani sue, così volevo avere anch'io il controllo sul suo, così tra un bacio e l'altro gli accarezzai i pettorali e poi gli addominali. Appena si staccava dalle mie labbra sentivo già la sua mancanza e io gliele riprendevo, non potendo respirare senza il suo fiato e quando arrivai a slacciargli i suoi pantaloni dovette separarsi un attimo da me per toglierseli completamente e lo aiutai scostandoglieli, toccandogli lievemente i boxer, ma lui mi riportò sotto di sé.

Lo strinsi forte a me, poi Mustang si mise a cavalcioni e passò le sue mani lungo il mio petto e il mio ventre, fino a farmi venire la pelle d'oca. Poi mi riscaldò con una serie di baci umidi, arrivando ai miei fianchi che liberò dalla gonna, riprendendo a baciarci con sempre più fame e voglia di conoscersi. Infine si infilò tra le mie gambe, accarezzandomi dolcemente e guardandomi fisso entrò in me. Si mosse cautamente, dandomi il tempo di riprendermi dal suo atto, e poi prendendo ritmo afferrandomi per i glutei, cercando anch'io di assecondarlo, muovendo i fianchi e graffiandogli la schiena tenendolo stretto. Quando sentì di raggiungere l'apice del piacere, si tolse velocemente e sparì per un po' avvolgendosi una coperta attorno alle gambe. Rimasi ad attenderlo pensando di non esser stata all'altezza delle sue aspettative, in fondo per me era la prima volta e non ne sapevo tanto... Quando riapparve si ributtò su di me, abbracciandomi e ribaciandomi dolcemente, visibilmente stanco. Mi addormentai cullata dal battito del suo cuore, appoggiata al suo petto mentre lui mi stringeva la mano. Il mattino seguente era già sparito, le sue carte erano scomparse e così tutto ciò che poteva ricondurre a lui. Ritrovai solo in un tavolino all'ingresso un mazzolino di nontiscordardime e un foglio che diceva “Iodio Litio Ossigeno Vanadio Helio Ittrio Ossigeno Uranium” e in basso ancora il nome “Elizabeth”.

 

Note:

Grazie a Elinacrisant per aver aggiunto alle preferite la mia storia! Mi ha resa molto felice sapendo che la mia storia piace a qualcuno e l'ha messa addirittura in quella sezione! Spero di non deluderti!

Ho scelto questa canzone di Renga per questo capitolo perché quando l'ho riascoltata mentre scrivevo questa storia non potevo ricondurla al momento in cui i nostri protagonisti fanno l'amore: è una cosa che rimarrà tra di loro, senza mai raccontarla a nessuno, un dolce segreto che terranno stretto per il resto della loro vita. Ero molto combattuta se descrivere questo tipo di scena perché il loro rapporto è così bello nella storia originale che non mi andava inizialmente di “rovinarlo” mettendoci qualcosa di fisico tra loro, ma alla fine ho pensato “perché no? Qui in fondo sono giovani e almeno una gioia la dovrebbero ricevere!” e dopo aver chiesto consigli ad amici (che ringrazio!) e aver letto un sacco di Headcanon su internet ho deciso di descrivere questa scena. Spero vi sia piaciuta!

Per quanto riguarda il nome “Elizabeth” ho immaginato fosse realmente il nome di battesimo di Riza perché i giapponesi le L le pronunciano R e le S diventano Z... Di conseguenza il suo nome sarebbe Lisa e per esteso Elizabeth. Mi sono inventata che anche la madre si chiamasse così, motivo per cui Riza non volesse essere chiamata come lei, in fondo non si sa nulla di lei, almeno le ho dato un nome...

Spero continuerete a leggere, i prossimi capitoli saranno un po' più lunghi e concentrati di avvenimenti, ho voluto rendere questi già pubblicati da entrambi i punti di vista ogni momento e più brevi per evidenziare il loro trascorsi in gioventù, ma nei prossimi ci sarà uno stacco temporale notevole ed episodi ben conosciuti, per quello li ho approfonditi ma non mi ci son soffermata troppo come in quelli scorsi. Manterrò comunque i tre capitoli con i diversi POV.

Alla prossima settimana!

Un abbraccio,

Ori_Hime

 

PS: vi aspetto su Fairy Floss per una fan art adatta al capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Angel ***


I'm in love with an angel, heaven forbid
Made me a believer with the touch of her skin

I'd go to hell and back with you
Stay lost in what we found.
Worlds apart we were the same
Until we hit the ground

Maybe I'm crazy, maybe I'm weak
Maybe I'm blinded by what I see
You wanted a soldier but it wasn't me
'Cause I could never set you free

So fly on your own
It's time I let you go
Go

I'm in love with an angel who's afraid of the light
Her halo is broken but there's fight in her eyes

Walls are built to keep us safe
Until they're crashing down
Worlds apart we were the same
Until you hit the ground

 

Angel – Theory of a Deadman

 

 

Pov Roy Mustang

 

La guerra di Ishval segnò profondamente tutti noi, dai soldati semplici agli alchimisti di stato. Io ero finalmente diventato uno di loro e ottenuto il grado di “maggiore”, ma sul campo eravamo tutti uguali: vestiti dallo stesso mantello bianco, con la stessa faccia scossa e scavata e dagli occhi d'assassino. Eravamo macchine di guerra, senza quasi più sentimenti e, come diceva Huges, si sopravviveva per non voler morire e basta.

Proprio poco dopo che il mio amico mi avesse raccontato di Glacier, la sua ragazza e unica ragione di vita e felicità in quei cupi momenti, la rincontrai: Riza Hawkeye, vestita anche lei con l'ampio mantello bianco con il cappuccio che le nascondeva il volto basso. Ricurva su sé stessa, camminava verso me e il mio migliore amico lentamente, portando il fucile avvolto in un telo anch'esso bianco, affaticata. La riconobbi solo quando alzò lo sguardo e vidi i suoi occhi castani, che parevano però più piccoli per l'orrore che avevano vissuto: pure lei aveva gli occhi da assassino. Non aveva più l'aspetto angelico che mi aveva colpito quando l'avevo conosciuta e l'unico aspetto femminile che le era rimasto erano i piccoli orecchini che la contraddistinguevano. Mi sentii in colpa nel vederla in quelle condizioni: io stesso le avevo detto di entrare nell'esercito e io l'avevo abbandonata a sé stessa.

Non la vedevo da anni, Ishval mi aveva fatto dimenticare persino cosa significava amare, ma incontrarla in quell'occasione accese in me i ricordi dell'ultima notte che avevano trascorso assieme, piacevoli e strazianti al tempo stesso. Era stato grazie a lei che avevo appreso l'alchimia di fuoco, oltre ad avermi mostrato le ricerche del padre mi aveva aiutato a metterla in pratica e io ci avevo fatto l'amore per poi lasciarla sola. Era un pensiero che mi aveva tormentato a lungo, in quanto mi ero ripromesso che non l'avrei mai fatto con lei, perché era speciale e non si meritava un trattamento simile, ma Riza mi aveva trattenuto nel letto accanto a lei e non seppi più resisterle. L'avevo abbracciata, consapevole che fosse mezza nuda e le avevo baciato il viso, ma, nonostante le avessi ricordato che il giorno seguente dovessi ripartire, lei mi aveva catturato le labbra, dando inizio al fuoco della nostra passione. Ci eravamo amati, anche se sapevamo che non potevamo avere una relazione, ma fu la notte più bella della mia vita, perciò le lasciai all'ingresso dei nontiscordardime colti in giardino e un biglietto dove le dicevo “ti amo” con gli elementi alchemici, sicuro che l'avrebbe capito. Nessun'altra donna aveva avuto nella mia vita la stessa importanza e le dovevo molto. Grazie a lei ero a Ishval come alchimista di fuoco e forse proprio grazie a me lei era lì, con un fucile in mano, e chissà quanta gente aveva ucciso. Non era stato esattamente uno scambio equivalente.

Proprio pochi secondi prima aveva salvato me e Hughes da un abitante di Ishval, sparandogli dall'alto di una torretta e il mio cuore aveva ricominciato a battere all'impazzata quando il mio amico mi aveva detto che era stata una cecchina chiamata “Occhio di falco”: non conoscevo nessun altro con quel cognome se non lei.

Così facendo Riza Hawkeye passò del tempo con me e il mio migliore amico Maes Hughes, ricordandomi com'ero quando ci eravamo conosciuti e innamorati: pensavo che l'alchimia portasse la felicità al paese, che servisse per salvare le persone... e invece aveva portato solo alla morte e alla distruzione. Compresi che anche lei era entrata nell'esercito credendo alle mie stesse parole, ma forse aveva capito che il mio non era stato altro che un sogno infantile e che la realtà era più dura di quanto volessimo ammettere. Mi aveva visto come il mostro che mio padre vedeva negli alchimisti di stato e pensai che avesse ragione, ma mai come in tutti quegli anni di guerra mi risentii tornare umano. Le sue parole avevano uno strano effetto su in me, perché mi avevano ricordato di avere dei sentimenti e dei principi, anche se era duro ammetterlo in quel periodo.

Si intromise nel discorso anche Kimbly, alchimista di stato pure lui, dicendo che il nostro dovere era semplicemente quello di eseguire gli ordini, cosa che mi fece andare in bestia: -Cioè tu accetti tutto questo perché fa parte del lavoro?- esclamai, furioso.

Lui si spiegò meglio, tirando in ballo proprio la signorina Hawkeye: esordì dicendole che la vedeva dubbiosa e perplessa, ma poi insinuò che lei avesse provato piacere nell'uccidere le persone, in quanto la rendevano orgogliosa di aver fatto centro, essendo una tiratrice scelta. Vidi nello sguardo della giovane un contino conflitto interiore: le provocazioni di quell'insulso individuo l'avevano messa in agitazione, ma forse anche maggior consapevolezza di sé stessa. Non potevo sopportare di vederla così perché io stesso l'avevo portata in quello stato, anche se non volontariamente, e lei non doveva avere colpe, nessuno doveva provare a insultare la sua purezza, ai miei occhi lei era ancora un angelo, nonostante quello che faceva: -Non aggiungere una parola di più!- gli urlai prendendolo per la giacca. Kimbly concluse dicendo che non ci capiva, che quello era un campo di battaglia, se avevamo scelto l'uniforme dovevamo essere pronti a tutto e dovevamo memorizzare i volti di tutti i nostri nemici, perché loro non si sarebbero mai scordati di noi. Poi se ne andò e ci dividemmo anche noi, tornando alle nostre mansioni, ancor più coscienti delle nostre azioni disumane e con ancora più domande: qual era la ragione di questa guerra?

Nel 1909 gli scontri finirono e fu un sollievo il pensiero di poter finalmente tornare alla normalità, sebbene i ricordi di quegli anni sarebbero rimasti impressi per sempre nelle nostre menti e nei nostri cuori, come cicatrici impresse a fuoco sulle nostre pelli. Fu allora che decisi che il mio prossimo obiettivo sarebbe stato quello di diventare Comandante supremo: per non dover più sottostare ai comandi degli altri, per proteggere chi era sotto di me, e così avrebbero fatto anche loro con chi era sotto di sé... Probabilmente pensando così di poter espiare le mie colpe.

E proprio quando stavamo per partire per tornare a casa, eccola ancora, accucciata vicino ad un tumolo di terra che aveva contrassegnato con un bastone. I suoi occhi erano tornati ad essere grandi e profondi, ma terribilmente seri e ancora tristi.

-Non ritorni a casa? Così verrai abbandonata...- l'avvertii, ma non mi rispose, tanto era intenta a sistemare la terra.

-È la tomba di un commilitone?- continuai, notando cosa potesse significare quel mucchietto di terra. -No, questa è la tomba di un bambino di Ishval.- mi spiegò che l'avevano abbandonato sul ciglio della strada ed io provai a distrarla, dicendole che la guerra era finita, ma lei mi fece notare che dentro di lei non lo era ancora e probabilmente non lo sarebbe mai stata finché era viva. Potevo capirla, Ishval sarebbe sicuramente entrata in tutti i nostri incubi, ma la signorina Hawkeye non intendeva solo quello. -Ho creduto in lei e le ho affidato la ricerca di mio padre, sono entrata nell'Accademia militare nella speranza di portare la felicità alle persone, e anche se non ho ottenuto i risultati che speravo non posso fuggire di fronte alla verità: non posso espiare quello che ho fatto. Ho un favore da chiederle, signor Mustang.- il suo discorso mi aveva turbato, cosa mai avrei potuto fare per lei, dopo averla coinvolta in questo disastro?

-Voglio che bruci... che sfiguri la mia schiena.- terminò decisa, tornando ad essere la Riza Hawkeye che conoscevo tempo fa, nonostante la proposta che mi sconvolse. Non avrei mai voluto farlo, non avrei bruciato ancora qualcuno, specie lei che mi aveva salvato la vita, la avvertii. Lei replicò, dicendo che se non avrebbe mai potuto espiare le sue colpe, allora non ci sarebbe mai più dovuto essere un alchimista di fuoco. Voleva che la sollevassi da quell'enorme peso che il padre le aveva caricato, almeno questo. Mi supplicò così tanto che le dissi di sì, ma tremavo dall'ennesimo orrore che avrei dovuto compiere.

Quando tornammo a East City mi diede appuntamento presso il suo appartamento: mi guardai in giro per controllare che nessuno mi conoscesse ed entrai, era proibito frequentare i colleghi, soprattutto i sottoposti, per intraprendere relazioni amorose... Ed era meglio che nessuno sapesse di noi, tanto meno quello che le avrei fatto.

Mi accolse aprendomi la porta con una bottiglia di vino rosso in mano e io le porsi un giglio che le avevo comprato apposta: era il mio modo per scusarmi con lei per quello che avrei dovuto farle. Mi chiese se volevo del vino, chiamandomi “maggiore” e non più signore, cosa che mi ricordò quanto dovevamo rimanere distanti. Le dissi che probabilmente avremmo ricevuto delle nuove nomine, dopo Ishval e che avrei dovuto formare una squadra tutta mia. Lei si congratulò con me, anche se non avevo meriti, ma sapeva che tenevo alla mia carriera e pensai che lei sarebbe stata un'ottima compagna d'armi... Ma non glielo dissi, non ancora. Bevemmo alla fine della guerra e alla nostra salute, poi il nostro imbarazzo tornò visibile: non ci trovavamo da soli in uno spazio chiuso da ben quattro anni e la nostra convivenza di pochi giorni ci aveva portato ad amarci. Come avremmo affrontato la cosa? Lei mi amava ancora? Ma come poteva? In fondo io non l'avevo più cercata, l'avevo solo usata, ai suoi occhi, mentre io volevo solo proteggerla. E avrei invece dovuto farle del male, ancora.

Commentai il suo arredamento semplice ma confortevole, mentre mi riempii il bicchiere per l'ennesima volta. Anche lei se ne versò ancora uno e lo bevve tutto d'un fiato, mi ringraziò per i complimenti ricevuti e infine, caduto di nuovo il silenzio, si levò il dolcevita nero che era diventato parte integrante della sua divisa militare, e si accucciò sul pavimento dandomi le spalle in attesa che io facessi il mio dovere. Bevvi anch'io il mio calice di vino e mi abbassai, avvicinandomi alla sua schiena. Glielo avevo promesso... Ma non ce la facevo. Iniziai a singhiozzare, pensando a tutti morti che avevo provocato ad Ishval... Avrei dovuto usare ancora l'alchimia di fuoco per fare del male a qualcuno, invece di fare del bene, e lo avrei fatto proprio a lei che già ne portava i segni...

-Maggiore, se piange la sua alchimia non funzionerà... Come con la pioggia.- mi rammentò, sentendomi scosso. -Se non se la sente adesso... Mi promette che troverà un altro momento?- si voltò appena rimanendo a terra, stringendosi il petto con una mano, mentre tendeva l'altra verso il mio viso, fino a sfiorarlo. Le tenni ferma la mano sulla mia guancia per non lasciarla sfuggire: come faceva a rimanere dolce nei miei confronti nonostante quello che dovevo farle? Ripensai alle sue parole prima di partire da Ishval e compresi che lei voleva essere protetta così, sapendo di essere libera dal padre e dall'alchimia che si era rivelata fatale, dal passato... Per iniziare un nuovo futuro. Appena mi calmai, tornò al suo posto e io mi infilai i guanti da alchimista, poi le appoggiai le mani sulla schiena, sentendo attraverso di essa il suo cuore battere: -Cercherò di farti il meno male possibile... Ti brucerò le parti più importanti, vicino alle scapole, così che non si capirebbe il resto delle ricerche di tuo padre, senza quelle...- pensavo infatti che non sarei riuscito a sfigurarle tutta la schiena, per me era davvero troppo, ma lei annuì, facendomi comprendere di essere pronta, poi creai delle fiammelle che le avvicinai, stringendo i denti.

Appena le sfiorai la pelle, Riza gemette e istintivamente si piegò in avanti, stringendosi ancora di più le braccia al corpo. Iniziò a piangere sentendosi bruciare: presto avrebbe avuto nuove cicatrici lungo la sua schiena, rosse come il sangue versato a Ishval e come le fiamme che avevo appreso grazie a lei. Quando finii scoppiai in pianti e le ripetei più volte “mi dispiace”, abbracciandola da dietro: lei rimase contratta per un po', poi riprese fiato e si alzò per andare in bagno. Sentii l'acqua della doccia scendere e rimasi nella mia solitudine. Dovevo sapere che stesse bene, che non ce l'avesse con me, che non si era pentita delle mie azioni, perciò appena udii la doccia chiudersi corsi da lei. Aveva solo un asciugamano attorno al corpo, lasciando la schiena scoperta, e vederla così mi fece impazzire. Mi fiondai ad abbracciarla, fino a cercare poi le sue labbra, baciandola e stringendola a me, tra “scusa” e “perdonami” sussurrati, fiumi di lacrime e sensi di colpa la feci mia, ancora, fin quando mi accorsi di quanto fossi un essere spregevole che non sapeva fare altro che cercare gratificazione in qualche cosa, pur di non sentirmi un mostro.

 

 

 

 

Note:

Grazie per aver continuato a leggere la mia storia, mancano solo due capitoli, spero di ritrovarvi ancora ai prossimi!

Ho scelto questa canzone per introdurre il capitolo dopo averne scelte prima molte altre... Ma “Angel” mi dava proprio l'idea di come Mustang vedesse Riza: un angelo che non ha potuto salvare e di come lui non si ritenga degno di lei, perché colpevole di come l'abbia trasformata, un'assassina. “Tu volevi un soldato, ma non ero io perché non potrei mai liberarti”, questa frase l'ho pensata come un pentimento da parte del colonnello di aver parlato ad Hawkeye di entrare a far parte dell'esercito, dopo averla vista in guerra, a rischiare la vita. L'essere un soldato non l'avrebbe mai resa libera e felice e non avrebbero mai potuto avere un futuro assieme in questo modo, ma di certo non l'aveva mai immaginato di trovarsela proprio sul campo di battaglia.

Ho descritto qui esattamente le scene come vengono presentate nell'anime, con l'aggiunta di una scena del manga. La parte finale è di mia completa immaginazione, visto che non viene mai mostrata la scena, spero possiate apprezzarla, per quanto sia accennata brevemente, ma sarà ripresa anche dal punto di vista di Riza nel prossimo capitolo.

Come sempre vi aspetto anche sulla mia pagina facebook “Fairy Floss” per aggiornamenti e fan art!

A presto,

baci,

Ori_Hime

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Angel with a shotgun ***


They say before you start a war
You better know what you're fighting for
Well baby, you are all that I adore
If love is what you need, a soldier I will be

I'm an angel with a shotgun
Fighting til' the wars won
I don't care if heaven won't take me back
I'll throw away my faith, babe, just to keep you safe
Don't you know you're everything I have?
And I, wanna live, not just survive, tonight


 

Angel with a shotgun – The Cub

 

 

Pov Riza Hawkeye

 

Da quando Roy Mustang se n'era andato dalla mia vita per la seconda volta non potevo aspettare ancora che tornasse da me: gli avevo dato io stessa materiale per avere una vita migliore, perché sarebbe dovuto rimanere? Era il sogno della sua vita diventare alchimista di stato e io lo avevo aiutato a realizzarlo. Non ero nient'altro che un mezzo, per lui, per mio padre... e la conferma l'avevo trovata anche la mattina dopo la notte d'amore che avevo trascorso con lui: non si era degnato nemmeno di svegliarmi per dirmi addio e mi aveva lasciato una lista di elementi alchemici e dei nontiscordardime, come se avessi mai potuto scordarmi di lui.

Trascorse qualche giorno sentendomi sola, triste e arrabbiata allo stesso tempo, visto come i giorni precedenti mi avevano decisamente scossa, ma ritrovai il buon umore quando compresi che il messaggio che mi aveva lasciato si trattava di “I love you” e il cuore cominciò a battere all'impazzata. Felice cercai l'indirizzo che mi aveva dato il giorno del funerale di mio padre, con il desiderio di raggiungerlo e non voler più separarmi da lui... Ma lui mi avrebbe voluto? In fondo sapevo che non ero certo stata l'unica donna della sua vita e poi... Non volevo che mi chiamasse Elizabeth!

Riflettei a lungo sul mio senso della vita, ora che mio padre non c'era più non avevo più nessuno a cui badare e non avevo più nessuna sicurezza economica. Ero libera di essere quello che volevo e non ero mai stata nelle condizioni di poter scegliere fin'ora. La mia mente continuava a vagare nei giorni trascorsi con il signor Mustang, alle sue parole, in particolare sulla sua proposta di entrare nell'esercito e ai suoi sogni legati ad esso. Aveva detto che mi ci vedeva... Poteva avere ragione? Non mi ero mai conosciuta prima di incontrarlo e solo con lui avevo iniziavo a conoscermi davvero. Amavo renderlo felice, essere utile, aiutarlo con l'alchimia perché era anche nel male parte di me, ma soprattutto volevo proteggerlo. La sua vita era più importante di qualsiasi amore potessi provare e se volevo che fosse al sicuro l'unico modo che conoscevo era entrare all'accademia militare. E così feci.

Scoprii che avevo un'ottima mira, così mi specializzai nelle armi da fuoco, fatto ironico, visto che avevo impressi i segreti dell'alchimia di fuoco sulla pelle della schiena: mio padre si sarebbe rivoltato sicuramente nella tomba. Non mi importava più cosa avrebbe pensato e io avevo ormai un obiettivo: proteggere chi amavo. E se non potevo proteggere lui avrei protetto tutto il paese, com'era di suo desiderio.

La guerra civile di Ishval era già iniziata da sei anni quando fui mandata anch'io sul campo: l'aria era pregna di morte e polvere da sparo. La sabbia era rossa, intrisa di sangue*: se dovessi descrivere l'inferno lo paragonerei a quei giorni. Fu lì che misi per la prima volta le mie abilità di tiratrice scelta sul campo. Non avevo idea di cosa stessi andando incontro e non ero mai stata così lontana da casa o da East City: mi sentii persa perché tutto ciò che sapevo era che l'alchimia serviva a far felice la gente, non ad ucciderla, e le parole di mio padre ricominciavano a perseguitarmi nella mente, sentendomi più in gabbia che mai.

La prima volta che uccisi qualcuno mi sorpresi della facilità con cui avevo preso la mira e premuto il grilletto: ero stata addestrata a questo, era diventata la mia nuova quotidianità. Ero diventata un'assassina e più la guerra continuava più quelle morti non mi facevano più effetto: erano solo gli ennesimi corpi senza vita che vedevo. Quando me ne resi conto fui terrorizzata da me stessa e mi promettevo di non sparare più, ma ad ogni ordine io obbedivo, ormai troppo assuefatta dal fatto che mirare da lontano mi permettesse di avere un atteggiamento distaccato nei confronti delle mie vittime.

In un raro momento di pausa dei soldati io ero ancora sulla mia torre di vedetta e vidi da lontano un ishvaliano che stava per avvicinarsi a due maggiori dalla chioma corvina, così imbracciai il mio fucile, presi la mira e nel mirino vidi che uno dei due uomini era... sì, proprio lui: Mustang! Ebbi un mancamento, ma in un attimo ritrovai la concentrazione e sparai al nemico. Dopodiché non resistetti: scesi dal punto di osservazione e mi mossi nella sua direzione, portando con me quello che era ormai diventato il mio compagno: il mio fucile, avvolto in una stoffa bianca, come se quel colore potesse renderlo più innocuo. Era lui, non mi ero sbagliata, non era la stanchezza o il mio desiderio di rivederlo che mi ingannava: -Brutto posto per rivederci, maggiore Roy Mustang, si ricorda di me, vero?- mi annunciai a lui, abbassandomi il cappuccio perché potesse riconoscermi. Lui sgranò gli occhi e mi fissò incredulo. Mi chiesi se sapesse che ero entrata nell'esercito, in tutto quel tempo non ci eravamo più rivisti, mentre io sapevo del suo grado di maggiore e che fosse riuscito a diventare l'alchimista di fuoco: sapevo avrebbe fatto senz'altro strada con il suo carattere determinato e, diciamocelo, la sua buona dose di fascino.

-Ah, Hawkeye, quanto tempo! Non mi aspettavo di trovarla qui, ne tanto meno che potesse salvarci in questa circostanza... Ti presento il mio più caro amico, il tenente Maes Hughes.- mi rispose provando ad accennare ad un sorriso, cosa assai difficile in quei tempi.

-Hughes, lei è Riza Hawkeye, figlia di Berthold Hawkeye, il mio insegnante di alchimia.- come presentazione avrei desiderato qualcosa di meno formale e più personale, ma cosa dovevo aspettarmi? Non ero certo la sua ragazza e da quando ero entrata nell'esercito non potevo nemmeno più ambire a diventarlo, soprattutto perché lui era superiore a me di grado.

-Grazie, maggiore, ma ho fatto solo il mio dovere.- gli risposi, poi strinsi la mano al maggiore Hughes e fui invitata a rimanere con loro per quelle poche ore libere che ci erano state concesse. Mi sentii libera di potermi sfogare con Mustang e gli raccontai le mie perplessità riguardante il collegamento tra alchimia e felicità che lui stesso mi aveva esposto, ma anche lui a riguardo si dimostrato sconcertato. Mi dispiacque un po' aver reso il nostro incontro dopo anni così gravoso, ma avevo tante domande e solo lui avrebbe potuto dare una risposta, essendo stato colui che mi aveva ispirato ad entrare nell'esercito e a credere di poter rendere il nostro paese migliore, ma il maggiore non mi diede risposta. I suoi occhi li vedevo vuoti, avevano perso quel fuoco che li vivacizzava e li rendeva magnetici e intriganti. Improvvisamente mi resi conto che, alchimista di fuoco o meno, era un uomo, come tanti altri: lo avevo idealizzato così tanto che avevo fatto diventare miei i suoi sogni e ora comprendevo che non avrebbe potuto dare risposta ai miei dubbi, tanto meno confortarmi dalla situazione che spaventava pure lui.

Quando Kimbly si intromise nei nostri discorsi facendomi sentire proprio uno di quei cani dell'esercito senza cervello come li chiamava mio padre, Mustang si lanciò su di lui per zittirlo. Gliene fui grata, ma forse l'alchimista cremisi aveva ragione e se non avevo reagito era probabilmente perché ero un mostro, uccidevo gente innocente senza pietà, incapace di sbagliare un colpo, era il mio dovere, esattamente come diceva lui. Fu nelle sue parole che compresi che la guerra non sarebbe mai finita per me: mi sarei ricordata di tutte quelle persone a cui avevo sparato, tutti quei corpi senza vita abbandonati e il sangue versato. Questi pensieri tormentarono me, il maggiore e il suo amico, tanto che Mustang gli chiese perché combatteva, prima che se ne andasse e ci ridividessimo: -È semplice, perché non voglio morire. Tutto qui. Le ragioni sono sempre più semplici di quello che si crede.- purtroppo anche quella era una triste verità.

Alla fine della guerra non mi sentii sollevata o felice: gli altri soldati si mettevano in posa per scattare delle foto da vittoriosi, ma io non mi sentivo un'eroina per aver combattuto. Mi sentivo una sopravvissuta, una che la vita non la meritava e qualsiasi buona azione avrei potuto compiere da quel giorno in poi non avrebbe mai potuto espiare le mie colpe. Stavo seppellendo un bambino di Ishval trovato abbandonato sul ciglio della strada quando Roy Mustang mi incontrò: mi riportò alla realtà, che dovevo sbrigarmi ad andar via o mi avrebbero lasciata indietro. Sebbene fosse lui, i suoi discorsi mi passarono attraverso, fin quando sembrò interessarsi a quello che stavo facendo, allora gli rivolsi la parola, spiegandogli il mio stato d'animo. Gli chiesi infine un ultimo favore: liberarmi almeno dal tatuaggio che aveva fatto mio padre, perché non esistesse nessun altro alchimista di fuoco. Lui pose resistenza e potevo comprenderlo, ma lo supplicai almeno di togliermi il peso che mio padre mi aveva dato sulle spalle... finché acconsentì, anche se a malincuore: -D'accordo, ti brucerò lasciando meno segni possibili- e strinse i pugni e i denti, facendosi coraggio per proteggermi... perché, come mi aveva detto lui, il coraggio si trovava così.

-Non so davvero come ringraziarla.- accennai finalmente un sorriso dopo anni.

Rientrati a East City lo invitai nel mio appartamento, ricordandogli di stare attento e passare inosservato, non potevamo avere appuntamenti romantici e nessuno doveva nemmeno sospettare che ci fossero o sarebbero stati dei problemi per entrambi. Lo attesi sulla porta, pronta ad aprirgli, con una bottiglia di vino in mano, perché un po' di alcol avrebbe senz'altro fatto bene ad entrambi. Lui entrando estrasse dalla sua giacca elegante un giglio: lo presi, ringraziandolo, e lo misi in un vaso. Era stato veramente galante a presentarsi di tutto punto e con un fiore, ma quello non era un appuntamento e sperai se lo ricordasse.

-Vino, maggiore?- lo richiamai al suo stato e al nostro rapporto lavorativo, oltre al motivo per cui era venuto.

-Grazie, anche se penso dovremo chiamarci presto con altri appellativi, siamo diventati eroi di Ishval, nonostante tutto... Ho sentito dire che mi promuoveranno a colonnello. Dovrò cercare una squadra tutta mia e un tenente al mio fianco...- mi raccontò serio, guardando il vino e facendolo roteare nel bicchiere.

-Congratulazioni, allora, colonnello!- gli sorrisi, contenta per lui, anche se non dimostrava particolare soddisfazione e ne capivo il motivo: essere eroi di Ishval non era per noi motivo di orgoglio, anche se ci aveva fatto ritrovare e incontrare quella sera. -Un brindisi!- proposi, fingendo che andasse tutto bene e ricalò il silenzio. Tra un bicchiere e l'altro Mustang fece complimenti per il mio appartamento, perché, anche se piccolo era funzionale, comodo e ben arredato. Annuii ringraziandolo e non sapendo più che dirgli, bevvi un ultimo bicchiere e mi tolsi il dolcevita nero, inginocchiandomi sul pavimento dandogli la schiena. Mi levai anche il reggiseno dello stesso colore e aspettai che lo studente di mio padre mantenesse la sua promessa.

Lo sentii avvicinarsi a me, accucciandosi verso la mia schiena, ma improvvisamente lo cominciò a singhiozzare e per sdrammatizzare gli ricordai che le lacrime, come la pioggia, non avrebbero potuto far funzionare la sua alchimia di fuoco, ma non servì a nulla. Mi girai, coprendomi con un braccio e gli accarezzai il viso, supplicando, prima o poi, di sollevarmi da quel peso che portavo in groppa. Lui inizialmente bloccò la mia mano sul suo volto, poi mi scostai per dargli di nuovo le spalle. Lo sentii infilarsi i guanti, mi avvertii di dove avrebbe bruciato il mio tatuaggio per prepararmi, schioccò le dita, e subito dopo provai un grande dolore lancinante vicino alla scapola sinistra. Mi trattenni dall'urlare per non spaventarlo, ma non potei non piangere e mi incurvarmi in avanti, stringendomi ancor più il petto. Mustang mi circondò con le sue braccia i fianchi, continuando a ripetermi “scusa” straziato, bagnandomi con le sue lacrime.

Quando ricominciai a respirare regolarmente, mi alzai e andai in bagno per rinfrescare la schiena sotto l'acqua fredda. Avrei avuto presto delle nuove cicatrici, proprio frutto delle altre sulla mia schiena. I due uomini della mia vita mi avevano lasciato segni ben visibili, segni di fuoco, uno mi aveva marchiata come un animale per lasciare le sue memorie, e l'altro mi aveva bruciata proprio per cancellarle. Nessuno poteva sapere quanto interiormente mi avevano segnato, certe cicatrici non si potevano vedere a occhio nudo e nessuno avrebbe mai dovuto scoprire cosa si nascondeva nel mio cuore.

Appena uscii dalla doccia e mi avvolsi attorno ad un asciugamano, lasciando la schiena però scoperta per lasciarla respirare, Roy Mustang entrò nel bagno. Stava ancora singhiozzando, disperato, e si fiondò su di me, continuando a scusarsi e mi strinse a lui, abbracciandomi e cercando poi le mie labbra.

Non avrei mai ceduto in altre circostanze, prendevo seriamente il mio lavoro, ma non riuscii a respingerlo: risposi al suo bacio, dicendogli che andava tutto bene, lasciandomi trascinare dalla passione. La sua lingua mi catturò e non mi mollò se non per riprendere fiato, e mi strinse a tal punto da graffiarmi sulle sue stesse bruciature. Gemetti per il dolore sulle scapole, mordendogli un labbro per errore, allora lui riprese a scusarsi, cadendo a terra e versando altre lacrime. Lo raggiunsi sedendomi sul pavimento e gli accarezzai i capelli folti, perché la smettesse di sentirsi in colpa, poi lo strinsi al mio petto. Quando alzò lo sguardo mi guardò con intensità negli occhi poi ripuntò alle mie labbra e riprendemmo a baciarci, senza più pensare a niente. Mi stesi, mentre lui aveva iniziato a dominarmi, togliendomi l'asciugamano di dosso, accarezzandomi tutto il corpo prima con delicatezza e poi con sempre più foga. Di risposta lo spogliai anch'io, trattenendolo vicino a me tirandolo per i vestiti, fin quando completamente nudo mi fece nuovamente sua. Nonostante l'eccitazione che raggiungemmo, quell'amore sapeva di lacrime, di sudore e di bagnato... La passione si spense presto, facendo strada al dolore, alla paura e alla solitudine. Quando il maggiore tornò in sé, consapevole delle sue azioni efferate, fu come attraversato dal rimpianto, rivestendosi velocemente per poi lasciare il mio appartamento sconvolto e incapace di dire una parola.

Rimasi nuovamente sola e anche se avevo ottenuto quello che desideravo, non riuscii a sentirmi sollevata. Isvhal ci aveva cambiato nel profondo e avevamo cercato nell'altro un conforto che non avremmo potuto trovare in altri... ma era troppo presto perché le nostre anime potessero riappacificarsi così facilmente. Il giorno seguente ricevetti a casa una serie di fiori: giacinti viola, peonie, anemoni, calendole... erano tutti suoi messaggi per chiedermi scusa, ma li aveva indirizzati ancora a Elizabeth e, nonostante avessi capito che era il suo modo criptico per chiamarmi, li rifiutai. Non doveva scusarsi, lui mi aveva liberato, gli dovevo solo gratitudine.

Come mi aveva accennato, ricevetti la nomina di tenente e fui convocata nell'ufficio del colonnello Roy Mustang. I nostri nuovi ruoli riponevano ancor più le distanze tra di noi, non avremmo mai dovuto sgarrare d'ora in poi e i suoi occhi fermi e determinati lo sapevano. Non erano più quelli di qualche notte prima dove mi aveva fatto conoscere le sue tenebre: avevano ritrovato il coraggio e la speranza di quando era giovane, sebbene portasse anche lui le cicatrici di Ishval.

Mi manifestò le sue perplessità nel vedermi ancora nell'esercito, nonostante quello che avevamo vissuto in guerra, ma io mi dimostrai decisa a rimanerci, in fondo credevo ancora in lui, volevo continuare a sperare in un futuro migliore, dove l'alchimia potesse aiutare la gente. Non lo avevo ancora dimenticato, dentro di me il suo fuoco ardeva ancora e andandomene non avrei mai potuto proteggerlo.

Mi propose di diventare la sua assistente, facendogli da guardia del corpo e non esitando a sparargli se mai avesse sbagliato qualcosa. Capii che non era un semplice compito e che non mi voleva accanto a sé solo per farsi perdonare, ma che stava mettendo nelle mie mani la sua stessa vita, consapevole che solo io potevo porle fine, io che conoscevo le sue ambizioni più segrete e le sue debolezze più oscure: ero stata il suo strumento per arrivare fin lì, ma sarei stata anche l'unica che lo avrebbe fermato e rimesso in riga, se occorreva. Era il suo modo per ringraziarmi e avermi sempre accanto e io accettai il suo incarico: pur di proteggerlo lo avrei seguito all'inferno, ancora e ancora.

 

 

Note:

*citazione di Riza nell'anime Brotherwood

Eccomi con il penultimo capitolo, la canzone scelta è proprio un richiamo al capitolo scorso “Angel”, anche se questa l'ho pensata dal punto di vista di Riza dicendo infatti “Sono un angelo con un fucile da caccia”. Ammetto che non conoscevo la canzone se non l'avessi trovata prima in un video su youtube dedicato proprio a Roy e Riza, ma l'ho trovata troppo azzeccata per loro due così ve l'ho riproposta.

Per quanto riguarda i fiori, adoro dare un significato ai fiori che uso nelle mie storie e Giglio significa “regalità”, secondo Il linguaggio segreto dei fiori” di Vanessa Diffenbaugh, mentre su internet ho trovato come significato quello di “purezza”, di richiesta di scusa e in fondo Mustang la vede in entrambi i modi: la reputa nel corso dell'anime la sua Regina e nella mia storia l'ho sempre resa ai suoi occhi pura e intoccabile, quindi il giglio lo vedo molto come fiore che rappresenti Riza, trovando anche una fan art che lo dimostra (a fine pubblicazione qui su Efp posterò sulla mia pagina facebook “Fairy Floss” un album che conterrà diverse fan art a tema con la mia storia inclusa quella.)

Per quanto riguarda i giacinti viola, peonie, anemoni e calendole ho trovato su internet come indicati per chiedere scusa. I giacinti inoltre sono anche visti nell'anime, così li ho trovati azzeccati anche per una citazione... Viola in particolare, secondo Vanessa Diffenbaugh, significano “perdonami, ti prego!”.

Le calendole ho letto sempre su internet che significano pentimento (per V. D. Dolore), le peonie invece timidezza e vergogna e gli anemoni riconciliazione e la voglia di voler fare il primo passo per riconquistare la fiducia dell'altra persona (da http://www.piano17.com/generalista/quali-fiori-regalare-per-chiedere-scusa/ )

Grazie per aver letto questo penultimo capitolo e tutta questa solfa sui fiori, spero possa esservi interessata!

Alla prossima settimana con l'ultimo capitolo!

Bacioni,

Ori_Hime

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Love is our resistance ***


Is your secret safe tonight?
And are we out of sight?
Or will our world come tumbling down?

Will they find our hiding place?
Is this our last embrace?
Or will the walls start caving in?

(It could be wrong, could be wrong)
But it should’ve been right
(It could be wrong, could be wrong)
Let our hearts ignite
(It could be wrong, could be wrong)
Are we digging a hole?
(It could be wrong, could be wrong)
This is outta control

(It could be wrong, could be wrong)
It could never last
(It could be wrong, could be wrong)
Must erase it fast
(It could be wrong, could be wrong)
But it could’ve been right
(It could be wrong, could be…)

Love is our resitance
They keep us apart and they won’t stop breaking us down
And hold me, our lips must always be sealed

If we live our life in fear
I’ll wait a thousand years
Just to see you smile again

Quell your prayers for love and peace
You’ll wake the thought police
We can hide the truth inside

The night has reached its end
We can’t pretend
We must run
We must run
It’s time to run

Take us away from here
Protect us from further harm
Resistance!

 

Love is our resistance - Muse

 

 

Pov Roy Mustang 

 

Non saprei dire se quello che facemmo quella sera io e Riza Hawkeye fosse amore: io non ero certamente in me, tra alcol e sensi di colpa avevo sfogato tutto il mio dolore su di lei, causandole solo altri problemi, anche se lei non mi cacciò, nonostante il protocollo non volesse relazioni tra colleghi, tanto meno con i superiori. Quando mi vide piangere per il male che le avevo causato come un bambino mi strinse tra le sue braccia e allora capii che non mi stava rifiutando avendo anche ricambiato il bacio poco prima. Mi lasciai andare: la ribaciai e la feci distendere, poi su di lei iniziai ad accarezzarle il corpo bagnato dalla doccia, scoprendola dall'asciugamano, fino a diventare sempre più irruento, abbandonandomi alle sue mani che mi spogliavano con impeto. Così facendo entrai in lei velocemente e con una serie di baci mentre mi muovevo raggiungemmo il piacere assieme, ma quando poco dopo realizzai che quello che avevo fatto era sbagliato, ripresi i vestiti e me li rinfilai, andandomene come un vigliacco.

Il giorno seguente le mandai a casa giacinti, peonie, anemoni e calendole: tutti fiori indicati per chiedere scusa, ma lei non li volle. Si era forse offesa? Non sapevo come altro dirglielo e non riuscivo a guardarla in faccia se non con leggero imbarazzo se la incontravo per i corridoi del quartier generale. Sarebbe sempre stato così tra di noi? Dovetti dire addio al solo pensiero di poterle accarezzare i capelli o darle un lieve bacio sulla fronte, per il nostro bene dovevamo rimanere il più possibile distaccati, senza farci coinvolgere dai sentimenti e dovetti ammettere che lei ci riusciva molto meglio di me. Che non avesse mai provato nulla nei miei confronti? E allora perché baciarmi e fare l'amore con me, non una ma due volte? Eravamo certo cambiati negli anni, ma quello che ci legava era così profondo che non si poteva sostituire con qualsiasi altro rapporto. A parte mia zia e madre adottiva, era la conoscenza più vecchia che possedevo.

Sebbene avessimo quattro anni di differenza e quando l'avevo conosciuta la prima volta lei ne avesse solo dodici mi aveva subito ispirato fiducia e i suoi grandi occhi castani curiosi avevano fatto in modo che mi aprissi con lei, raccontandole i miei sogni. Era la prima volta che ne parlavo con qualcuno che conoscevo così poco e lei mi ascoltò con attenzione. Nonostante la sua timidezza e il timore nei miei confronti che provava mi aveva colpito per il suo carattere deciso, esprimeva le sue idee con chiarezza per una ragazzina della sua età, tanto che più volte mi chiesi perché il padre non avesse voluto insegnarle l'alchimia. Solo quando morì ne compresi il motivo; l'aveva usata per segnare tutte le sue ricerche.

Anche quando la rividi allora l'ammirai per come seppe mantenere il controllo sulle sue emozioni: non pianse molto per la morte del padre, ne tanto meno aveva destato molto imbarazzo quando si era tolta gli indumenti superiori per mostrarmi i segreti dell'alchimia di fuoco. Se mai fosse stata innamorata di me lo nascose bene, fino alla notte prima della mia partenza dove mi trattenne nel letto e non seppi resisterle. L'Accademia militare l'aveva decisamente resa ancor più forte, sia fisicamente che caratterialmente, ma mai come la guerra di Ishval dove ci rincontrammo, anche se per poco, e mi salvò pure la vita. Purtroppo non eravamo nella stessa squadra e avevamo azioni diverse da seguire, ma mi aveva fatto piacere rivederla, anche se era spaventata. Compresi solo allora quanto la nostra conoscenza avesse influito sulla vita: se non fosse stato per me lei non sarebbe mai entrata nell'esercito, non sarebbe finita in mezzo a quell'inferno, sarebbe rimasta l'angelo immacolato se non l'avessi coinvolta nei miei progetti. In sostanza io ero stata la sua condanna e suo padre avrebbe avuto senz'altro ragione nel darmi del cane dell'esercito e avercela con gli alchimisti di stato. Ma ormai cosa potevo fare? Avevo già pianto tante lacrime, per lei, per Ishval... nulla avrebbe potuto espiare le mie colpe, ne con lei ne con chiunque altro.

L'unico modo che avevo per poter migliorare il mio paese e poterla proteggere era diventare Comandante Supremo, così da poter rendere nella pratica i miei ideali e non dover sottostare a nessuno. E se lei mi avesse mai voluto, avrei potuto eliminare quella maledetta regola di non intrattenere relazioni con i propri subordinati. Mi immaginavo già con lei accanto come moglie, in minigonna senza rinunciare però ad una delle sue pistole al suo fianco. Avremmo potuto amarci senza nascondere i nostri sentimenti e lavorare comunque per mantenere il paese un luogo libero e felice. Un mondo nel quale magari poter crescere anche i nostri figli, dove l'alchimia potesse essere davvero utile alle persone e non delle armi da puntare contro gli innocenti.

Volevo diventare un uomo migliore per lei: non sarei più uscito con nessun'altra ragazza e avrei flirtato solo per ottenere informazioni e mantenere una certa reputazione: avrei destato sospetti se avessi cambiato completamente atteggiamento.

Quando proclamarono ufficialmente me colonnello e Riza Hawkeye tenente, decisi di convocarla nel mio ufficio: avevo già sentito che anche altri desideravano il suo servizio presso di sé, non potevo permettermi di vederla con qualcun altro, ora che l'avevo ritrovata. Non volevo perderla ancora, volevo amarla anche se a distanza, apprezzando ogni sguardo mi avesse rivolto: l'amore che provavo per lei sarebbe stata la mia resistenza e in quel momento mi sarebbe piaciuto davvero solo poterci vedere senza imbarazzo.

Cercai di apparire il più distaccato possibile, diventando nervoso mentre l'aspettavo. Avrebbe accettato la mia proposta? Quando Riza, o meglio la tenente Hawkeye come da allora l'avrei dovuta chiamare, entrò si mise subito sull'attenti: non era un colloquio privato, anche se eravamo soli, e da quel giorno in poi saremmo stati ancor più sotto lo sguardo di tutti, non ci saremmo più dovuti essere momenti di sentimentalismo tra noi.

-Dopo tutto quello che hai passato a Ishval rimani ancora convinta della tua scelta?- le domandai, perché se avesse avuto ancora dubbi quello era il momento perché li esponesse e ci ripensasse, prima di accettare il mio incarico. E sì, volevo verificare quanto avesse voluto rischiare, se fosse stata ancora fedele al motivo per cui fosse entrata nell'esercito, se la pensava ancora come me e non mi odiasse per com'era diventata per colpa mia.

La tenente mi rispose in maniera diplomatica, dimostrandomi di ricordare sia i principi dell'alchimia che i miei sogni, facendoli nuovamente suoi pur rimanendo ferma: -Sì, se, come dice l'alchimia, la verità del mondo è basata sullo scambio equivalente per permettere alla future generazioni di vivere in pace e prosperità il prezzo che dobbiamo pagare è caricarci in spalla i cadaveri e attraversare un fiume di sangue.-

La risposta mi piacque molto e mi alzai di scatto: -Voglio che lavori con me come mia assistente: voglio che sia tu la mia guardia del corpo.- feci una breve pausa, cambiando tono di voce, essendo stato prima un po' troppo concitato e ripresi con un atteggiamento un po' più confidenziale: -E tu sai che affidando a te la mia incolumità potresti spararmi alle spalle alla prima occasione. Se mai farò qualcosa di sbagliato sarai libera di uccidermi con le tue stesse mani: ti do la mia autorizzazione, mi vuoi seguire?- rimasi a fissarla rimanendo serio, nonostante un suo “no” mi avrebbe buttato a terra, come colonnello senza la sua tenente e guardia del corpo, sia come uomo innamorato senza speranze. Quella particolare richiesta era nata dal fatto che mi conoscevo bene: temevo di perdere di vista il modo in cui avrei raggiunto il mio obiettivo, ovvero cadere nelle tentazioni e diventare come i capi supremi precedenti, oppure usare la mia alchimia per motivi futili. Solo la tenente poteva comprendere quando avrei esagerato e non me l'avrebbe dovuto certo perdonare, visto che era stata lei stessa a farmi diventare quello che ero. Mi riaffidavo completamente a lei, fidandomi ciecamente, sperando di non deluderla mai e se mai fosse stato così confidavo che potesse svolgere il suo compito a dovere: io con lei lo avevo svolto, sfigurandole la schiena, ora toccava a lei proteggermi da me stesso, il nemico peggiore che potessi conoscere.

Hawkeye chiuse un attimo gli occhi e quando li riaprì mi dette la sua risposta: -Può contare su di me, sono pronta a seguirla fino all'inferno.- non potei essere più felice: significava che non mi odiava, anzi, era ancora disposta a seguirmi nonostante tutto e pronta a lasciare alle spalle il nostro trascorso romantico, standomi accanto in ogni momento, facendomi da occhi, occhi di falco.

In fondo non lo sapevamo ancora, ma la nostra nuova quotidianità, nonostante non potesse coinvolgerci sentimentalmente, divenne più intima di quanto pensassimo. La tenente era una grande lavoratrice e prendeva il suo ruolo molto seriamente: mi faceva sia da ombra che da coscienza personale, ricordandomi i miei doveri, come le scartoffie da riordinare o il fatto che la pioggia manomettesse le mie fiamme, rimanendo composta e alzando la voce solo per rimproverarmi. Poteva sembrare la mia baby sitter in quei momenti, ma dimostrava la sua apprensione che però cozzava a volte con la mia testardaggine e iniziavamo allora a urlarci dietro come una coppia di sposi collaudata. I nostri ruoli ci avevano portato anche a questo, senza doverci sposare, ma senza nemmeno poter averne i vantaggi, tornando a fine giornata ognuno nella propria casa, solo, senza nemmeno un abbraccio. Quelli erano i momenti più tristi, dove mi sentivo perso senza la mia tenente, non avendo particolari hobby se non quello di stuzzicarla con battute sul nostro rapporto per vedere la sua reazione oppure insinuare che mi sentissi con qualcun'altra, anche se era sempre e solo per ottenere informazioni.

Avevo iniziato infatti a fingere di avere appuntamenti anche davanti a lei giusto per farla ingelosire un po' e, anche se si dimostrava impassibile alle mie telefonate con sconosciute, potevo vedere i suoi occhi che si alzavano al cielo, il suo atteggiamento diventare più serio e severo nei miei confronti, oppure se ne andava al poligono per sfogare la sua ira. Avevo imparato a notare questi piccoli dettagli grazie proprio al fatto di essere sempre assieme e amavo scoprire nuovi lati di lei, per poi ricordarmi che in fondo era sempre stata così: ci sono cose che le guerre per fortuna non cambiavano e una era quella. Se non erravo la prima volta che si era dimostrata gelosa risaliva infatti a quando aveva dodici anni e mi aveva chiesto del mio appuntamento, non ricordavo nemmeno con chi, con severità, come se non avessi potuto concentrarmi su qualcuno che non fosse lei o l'alchimia. Lo avevo capito solo paragonando quei momenti a quelli presenti, diventando così consapevole che lei aveva sempre avuto un debole per me nascondendolo dandomi del “lei” quando io le davo del “tu”, proprio come facevamo ancora chiamandoci “tenente” e “colonnello”, nonostante fosse al mio pari dato che le avevo affidato la mia vita. Lo era sempre stata, anche quando eravamo giovani e non avrei mai potuto vederla diversamente. Saremmo mai arrivati al punto di chiamarci per nome?

Al contrario di Hawkeye io ci avevo messo del tempo a scoprire quanto stupenda e perfetta per me fosse, o forse lo avevo sempre saputo ma dovevo solo dirlo a me stesso. Lei mi aveva sempre aspettato, aveva seguito i miei sogni e dopo tutto era ancora con me, lanciandosi in sparatorie, difendendomi alle spalle e continuando ad essere presente per qualsiasi cosa, coraggiosa come l'avevo sempre descritta, e le ero molto grato per questo. Più il tempo passava e più alimentavamo quell'alchimia che solo un rapporto come il nostro poteva creare, fatta di sguardi, di cenni, di sesti sensi che non si sapevano spiegare, eppure ci aiutavano a comprenderci in un modo così profondo senza nemmeno parlarci. Capiva quando avevo bisogno di rimanere in silenzio, essere lasciato solo, oppure quando ero solo pigro e avevo bisogno di uno dei suoi rimproveri per rimettermi al lavoro. Era una perfetta compagna anche a distanza: sapeva criptare i miei messaggi e avevo iniziato a chiamarla “Elizabeth” al telefono in modo solo che solo persone fidate comprendessero che parlassi con lei, così scoprì che tutte le mie chiamate-appuntamenti erano in realtà stratagemmi, anche se avevo comunque smesso di farle perché lei mi riportava a seguire le regole: “niente chiamate private in ufficio!”. Era divertente parlare con lei flirtando alle spalle degli altri soldati che pensavano avessi una relazione con questa presunta Elizabeth... e lei era una brava attrice ed era sempre un brivido potermi sentire chiamare “Roy”, anche se era un peccato che gli unici momenti “intimi” che avevamo erano solo questi messaggi. Queste erano la cosa che amavo più di lei e non era sostituibile con nessun altro della mia squadra, nemmeno con Hughes. Ogni colonnello aveva le sue pedine e lei era la mia regina della quale sarei stato ben accorto nel muovere, perché ogni regina che si rispetti sta accanto al suo re e non volevo ricevere nessuno scacco matto, ne tanto meno che mi venisse sottratta da sotto gli occhi senza poter fare nulla. Se questo sarebbe mai successo, ne ero certo, non sarei più riuscito a sopportare la nostra distanza, perché anche solo averla vicina era un enorme conforto: era la parte migliore di me perché mi riportava alla serietà, ricordandomi di impegnarmi nel mio lavoro e perché ero lì.

Sebbene Hawkeye non si lasciava mai trascinare in dimostrazioni d'affetto, le sue emozioni le teneva ben nascoste e strette nella divisa, sapeva essere dolce e gentile in fondo e si dimostrava spiritosa e divertente alle volte, specie se eravamo soli e non doveva dimostrare troppa compostezza. Inoltre farla sorridere era una delle cose più belle che mi potessero capitare: ogni suo sorriso era oro e come l'oro non si poteva riprodurre con l'alchimia... il suo sorriso non sarebbe mai stato sostituibile con nessun altro e avrei fatto di tutto per proteggerlo, sempre.

 

 

Note:

Eccoci finalmente all'ultimo capitolo! Mi sorprendo io stessa per aver continuato a pubblicare questa storia con puntualità perché di solito finisco per terminare la pubblicazione dopo mesi, anche se magari la storia l'avevo già finita di scrivere!

Ringrazio tutti voi per essere arrivati a leggere fin qua e, penso, per aver apprezzato! In particolare mando un grazie ancora a Elinacrisant per aver aggiunto alle preferite questa fan fiction, e un grazie ai miei amici sostenitori: Alessia, Mattia, che l'hanno letta in anteprima e Manto e Flos Ignis per la condivisione del fandom, Giordy_95, Elisa, Elena, Francesca e Veronica perché erano tutti d'accordo su che piega far prendere a questo racconto... e dovreste ringraziarli pure voi se vi è piaciuta! ;-)

Ho iniziato a scrivere un'altra fan fiction sempre su Roy e Riza che parte dalla fine di Fullmetal Alchemist, tenendo conto di quanto successo in questa, per ora ho scritto 8 capitoli, ma non sono che agli inizi e vorrei arrivare almeno verso la fine perché io pensi che valga la pena di pubblicare...

Per rimanere aggiornati vi consiglio di seguire la mia pagina facebook “Fairy Floss” dove nei prossimi giorni farò anche un album in cui inserirò tutte le fan art che ho trovato legate a questa fan fiction.

Ah, la canzone di questo capitolo l'ho scoperta grazie a questo video: https://www.youtube.com/watch?v=7gsxgvWizmQ&list=LLy9fhW3qV2jDTT2q8i86ISQ&index=7&t=0s : è il più bello che abbia visto sui nostri amati Mustang e Hawkeye e trovo la canzone stra azzeccata per loro due, così ho voluto renderle omaggio in quest'ultimo capitolo, citandola anche ad un certo punto! Spero piaccia pure a voi!
Ah, c'è anche un'altra citazione alla fine... "ogni sorriso è oro": viene da "E fuori è buio" di Tiziano Ferro! ;-)

Spero tornerete a leggere qualcos'altro di mio, magari sempre Royai se riuscirò a scriverne ancora!

Un bacione e grazie ancora per aver letto fino a qua! Spero ne sia valsa la pena!

Ori_Hime

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3913964