All In

di _Robertino_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** All I - Prologo ***
Capitolo 2: *** All In - Capitolo I ***
Capitolo 3: *** All In - Capitolo II ***
Capitolo 4: *** All In - Capitolo III ***
Capitolo 5: *** All In - Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** All In - Capitolo V ***
Capitolo 7: *** All In - Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** All In - Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** All In - Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** All In - Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** All In - Capitolo X ***



Capitolo 1
*** All I - Prologo ***


PROLOGO
Erano passati dieci anni da quando Anna e Marco avevano terminato le superiori. Da quella svolta “studiosa” di Marco, il loro rapporto divenne sempre più forte e complice e con il tempo si fecero sempre più intimi. Anna era diventata autonoma e dopo gli studi aveva fatto circa cinque o sei lavori per mantenersi ed essere indipendente. Dalla donna di pulizie nei condomini, alla baby sitter e insegnante di ripetizioni nei primi tempi dopo la scuola, alla commessa in un negozio del centro; con l’arrivo della crisi suppliva questo lavoro di commessa con dei piccoli lavoretti fatti a mano: posacenere, centrotavola, bomboniere, decorazioni varie. Se la cavava e si sentiva comunque realizzata.
Marco aveva rotto con la famiglia. Il padre, sempre in viaggio, come lui prevedeva da qualche tempo, si era rifatto diverse vite e Marco non lo vedeva da sei anni. La mamma continuava da stakanovista il suo lavoro di commessa nel piccolo alimentari e dopo la fuga del marito la sua reazione fu questa: testa bassa e lavorare. Marco era maturato. Non voleva piangersi addosso anche lui e con l’arrivo del diploma si era inventato qualunque cosa: da meccanico specializzato, a giardiniere, ad autista. No... tranquilli, quella vecchia carcassa delle superiori non c’era più! Ora Marco aveva una modesta utilitaria e attraverso il volontariato si era reinventato autista per gli anziani della città: li accompagnava alle visite in ospedale, dal dottore, faceva la spesa per loro e con loro. Insomma sì, sembrava aver messo la testa a posto. Anche lui era indipendente e soddisfatto. Con questo spirito i due decisero di vivere insieme.  Costruire qualcosa di personale, qualcosa che fosse frutto di quello in cui si erano trasformati e di com’erano cresciuti. Il tutto si rese concreto in due anni, nel modesto appartamento di lei.

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Capitolo 2
*** All In - Capitolo I ***


Un salottino con le piastrelle color bianco sporco e la carta da parati con motivi “stracciatella”; in alto sulla parete del muro maestro, due grandi puzzle da cinquemila pezzi ciascuno raffigurati i segni zodiacali di entrambi, foto da bambino di lui e di lei. Un divano di pelle chiara e una grande TV. La cucina nuova, con elettrodomestici nuovi ed un tavolino apribile all’occorrenza, quattro sedie. Due camere: la matrimoniale per la loro intimità e un’altra più piccola che fungeva da studio e all’occorrenza da stanza per stirare, un bagno, anch’esso nuovo. Era tutto qui l’appartamento di Anna, 60 m2 che bastava e avanza per due come loro che erano più fuori che dentro quelle mura ma che per loro significavano indipendenza, libertà. Libertà, sì, avevano deciso di stare insieme ma senza costringersi ad una gabbia. Nell’adolescenza ne avevano vissute troppe di gabbie. Volevano più sostenersi a vicenda che “mettersi le manette” come avevano fatto alcuni loro coetanei. Tutto questo era il mondo di Anna e Marco, un mondo all’apparenza semplice e monotono. E in questa monotonia Marco ha iniziato a tornare un po’ indietro, ai tempi della scuola quando con i compagni preparava la “bolletta” del weekend, mettendo 0.50 € a testa sceglievano una partita a testa e scommettevano, a volte vincevano e dividevano la vincita, a volte perdevano e per quella settimana...era andata. Marco era cresciuto e come abbiamo detto, maturato, avrebbe potuto fare come nella seconda parte di quell’adolescenza: accantonare gli spicci della tasca nel bel salvadanaio che aveva comprato nell’ultima gita scolastica. Anzi, da quando con Anna erano a vivere insieme avevano cominciato a usarla per fare la spesa più grande ogni mese. Certo non era una somma esorbitante ma di certo, dopo averli cambiati in contanti con il proprietario della lavanderia a gettoni a due passi da casa, evitavano di salassare i loro conti correnti. Quel divertimento adolescenziale era tornato a galla e Marco aveva ripreso a scommettere. Per giocare ogni weekend prelevava da quel salvadanaio. 1€, 2€, 5€. Ogni mese aprivano quel salvadanaio insieme ma da diversi mesi, anche se non facevano caso a quanto avessero messo di giorno in giorno, trovavano sempre meno. Marco non aveva il coraggio di dire ad Anna di aver ripreso a giocare come un tempo e ogni volta trovava una scusa. Anna, altrettanto, in un primo momento non disse nulla a Marco pensando e sperando che spegnesse un po’ quel “ritorno di fiamma” per il gioco. Ora però non ce la faceva più e avrebbe preso Marco con una scusa per chiedere che fine facevano quei soldi che sicuramente mancavano nel salvadanaio. Non sapeva come, ma doveva farlo.

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Capitolo 3
*** All In - Capitolo II ***


Anche quel fine settimana però Marco aveva nuovamente giocato 15€ tra serie A, serie B e campionati minori. Di quei 15€ giocati non ne aveva recuperati nemmeno la metà. Il lavoro nell’officina in cui passava il tempo smontando motori, negli ultimi tempi era sceso; per fare un po’ di giardinaggio doveva aspettare la primavera. Autunno ed inverno non si batteva chiodo. E cosi a Marco era rimasto il volontariato per racimolare quel poco da giocare il fine settimana. Le mance per la spesa della sig.ra Maria, il resto delle bollette della sig.ra Franca e delle sigarette di Giuseppe, il fine settimana arrivavano tutti nelle casse del punto scommesse più vicino. Di mesi ne erano passati e non si trattava più di giocare la solita “bolletta” dove ormai non faceva nemmeno più caso a cosa giocasse, no, Marco si stava spingendo oltre e diversi euro erano finiti anche nelle slot mangiasoldi, un euro alla volta uscivano dalle tasche ed entravano in sala scommesse. Sabato mattina di fine mese. Anna si alzò dal letto che Marco era andato via già da un pezzo. Il sabato con il volontariato Marco accompagnava gli anziani a fare tutte le loro spese, sarebbe rientrato a metà mattina. Dopo essersi infilata la tuta prese il salvadanaio per iniziare quel rito della conta mensile e si era messa al tavolo per cominciare. Lei, il gruzzoletto e una tazza di caffè. In poco tempo aveva suddiviso le monete per valore e dopo averli contati due volte, avrebbe scritto il totale su un foglietto e messo tutto in un sacchetto. Stavolta però, anche ad occhio le era sembrato che dentro quel salvadanaio non ci fosse quasi niente. Contò altre due volte. Niente, sempre lo stesso importo. 55,50€. Ricordava di aver inserito lei stessa delle monete da uno e due euro; che anche Marco aveva inserito quello che aveva in tasca, ma li sembrava non ci fosse granché. Fece un sospiro, riempì il sacchetto e nel foglietto scrisse 55,50€; a conti fatti e per quello che Anna ricordava dovevano esserci almeno una ventina di euro in più. Anche lei aveva fatto dei “prelievi” ma aveva prontamente rimesso tutto al suo posto. Prese coraggio. Era ora di parlare con Marco.

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Capitolo 4
*** All In - Capitolo III ***


Ore 13. Marco non era ancora a casa e per Anna questo era tutto molto strano. In uno di quei sabati che lo impegnavano con quel tipo di volontariato al massimo alle 11.30 doveva essere a casa. La loro routine di fine mese, ormai consolidata, prevedeva che al rientro di Marco, Anna fosse già pronta e con la lista della spesa e il sacchetto di monete da cambiare in mano. Stavolta no. Anna dalle 12:45 era attaccata al cellulare per chiamare Marco. Il telefono di Marco era libero ma dall’altra parte non rispondeva nessuno. Si affacciò e alla finestra non vide la macchina. Prese nuovamente il cellulare e contattò Giacomo, un collega di Marco. “Pronto Giacomo!” “Ciao Anna, come stai?” “Io bene...ma...sai per caso dov’è Marco? - Anna tentò di nascondere i segni dell’agitazione che aveva già da un po’ – “Lo sto aspettando per fare spesa ma ancora non è arrivato...” “mah...guarda...è passato in sede ed è venuto con me per aiutarmi a scaricare delle attrezzature, è tornato alla macchina dicendomi che sarebbe tornato a casa. Oggi non ha girato molto: i suoi “ragazzotti” erano apposto...saranno state le 10:30 quando abbiamo finito....” “Hummm...va beh grazie lo stesso...” Non permise a Giacomo di salutarla che aveva già riagganciato. In quello stesso istante lo scatto della chiave, nella toppa della porta blindata era il segnale che Marco era finalmente a casa. Anna sospirò e nascondendo tutte le sue sensazioni e i suoi stati d’animo di quella mattinata, lo accolse con il suo sorriso. Marco non la degnò di uno sguardo, apri la vetrinetta dei liquori e si versò un bicchierino di anice. In due anni non l’aveva mai bevuto. “Ehi che succede?” “Niente...” “Niente!? “Non vedendoti arrivare ho chiamato Giacomo...avete fatto presto oggi...” “ Chi ti ha detto di chiamarlo? Non potevi chiamare direttamente me? “ - Marco era visibilmente alterato, tutti i soldi “investiti” in quel ennesimo weekend erano andati in fumo. Non voleva sentire e vedere nessuno. Beveva. “Beh se tu rispondessi al telefono forse evitavo tutto questo giro...no? E smettila di bere!” “No! Devi chiamare me!!!” L’urlo di Marco si schiantò sulle pareti del salottino. Il bicchierino che aveva tra le mani si frantumò sul pavimento. “Cosa urli? Bene facciamo a chi alza la voce! Non so cosa tu abbia oggi, ma stamattina mentre ti aspettavo ho fatto come sempre la conta del salvadanaio. Sai cosa c’era dentro? NIENTE!!! Dai...continua a bere...dai...” “Hufff...falla finita...Niente...ma dai che dentro ci saranno almeno un centinaio d’euro...sei sempre a mettere lì tu...” “Niente Marco...niente e quando dico niente è NIENTE! Si e no saremo arrivati a 55 euro anzi per l’esattezza €55,50. Ora capisci da solo che, se dai tuoi conti ci dovrebbero essere un centinaio di euro, ne mancano più della metà...dove sono?” Marco rimase in silenzio e si versò un altro bicchiere di anice. “Ancora!?!?! Marco...” silenzio. “Marco mi vuoi rispondere?” Silenzio. Marco si scolò l’ennesimo bicchiere di anice e poi sbottò “Li ho giocati alle scommesse, e alle slot... anche bevuti...contenta?” Anna avrebbe voluto far finta di non aver sentito. Non avrebbe voluto mettere una sottolineatura a quel suo pensiero che aveva da qualche settimana. Eppure, rimanendo in silenzio e guardando Marco, stava confermando tutti i suoi pensieri, virgole comprese. “ Tutti...?” Marco non rispose. Per Anna era il segno che almeno i soldi preventivati e che sicuramente mancavano nel salvadanaio, fossero partiti per altri lidi. Non ebbe alcuna reazione se non prendere la borsa, uscire e sbattere la porta. Marco dopo l’ennesimo bicchiere di anice si buttò sul divano con lo sguardo fisso nel vuoto.

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Capitolo 5
*** All In - Capitolo IV ***


Dallo sguardo fisso nel vuoto del primo pomeriggio, Marco si svegliò molto più tardi con un gran mal di testa. Appena aprì gli occhi ogni cosa che era di fronte a lui gli girava intorno. Barcollò per ogni stanza. Di Anna nessuna traccia. Erano le 20. Si trascinò nella doccia e si fece piovere addosso acqua gelata. Voleva svegliarsi da quella brutta giornata e chissà, magari ritrovare Anna. Nulla da fare, nessuna Anna in giro per casa; si asciugò e vestì con una tuta, infilò le ciabatte e si sedette sul divano a TV accesa. Soltanto un ora dopo, Anna fece ritorno a casa. Aveva passato l’intero pomeriggio e gran parte della prima serata da Giacomo. Aveva voluto sapere tutto quello che era successo in quel mese in cui vedeva sempre meno soldi nel salvadanaio. I comportamenti strani e i ritardi di Marco non erano solo a casa. C’era stato qualche episodio anche con Giacomo: due ritardi e qualche “buca”, più di una, a quei signori anziani a cui Marco teneva tanto. L’aveva coperto. Un po’ per amicizia e un po’ alla fine non lo sapeva nemmeno Giacomo il perché . Forse anche solo per non vederli litigare. Giacomo aveva confidato ad Anna anche di aver trovato indicazioni su un centro che si occupava delle patologie da gioco. Aveva più volte proposto a Marco di presentarsi li, per evitare il peggio ma Marco lo aveva respinto, sempre e in malo modo. Giacomo l’aveva affrontato e aveva detto a chiare lettere a Marco che non intendeva affondare anche lui in questa storia. Anna alla fine di quella chiacchierata portò a casa il numero di quel centro sulle patologie da gioco. Al suo rientro trovò tutto un altro Marco. Ora erano più calmi tutti e due. Uno senza sbronza, l’altra con idee chiare, precise e serena sul prossimo passo da farsi. “Come stai? Sono stata da Giacomo e...mi ha raccontato tutto. Cosa ti costava parlarne?” Marco dopo un lungo silenzio rispose: “Ti ricordi quando, nel periodo della scuola volevo sembrare tutto quello che non ero e tu mi hai rivoltato come un calzino in pochi mesi? Beh ecco...ci sono ripiombato dentro. Ho vinto, ho perso, ho bevuto...” “Ok...mi basta questo.” Tirò fuori dalla giacca il biglietto che Giacomo gli aveva lasciato e lo fece vedere a Marco. “Questo è il nome di un centro che cura le dipendenze. Voglio fermare tutto questo prima che sia troppo tardi. Lunedì lo chiamiamo e prendiamo un appuntamento. Non voglio sentire altro!” “Seeeeh...cioè vorresti che io vada ad uno di quegli incontri dove fanno...”Ciao sono Marco e non bevo e gioco da 3 settimane...Ciaaaaoooo Maaaarcooo!”? – “Esatto!” – “Scordatelo!” – “Marco non voglio sentire altro se non lo chiami tu, lo farò io! – “Fa come ti pare!” Lunedì arrivò in fretta. Si erano concessi una domenica di svago andando a trovare prima i genitori di lei e poi la mamma di lui. Per nessun motivo, nelle due visite, avevano messo sul piatto il problema sorto in quei mesi. Il lunedì mattino Marco si stava defilando per evitare quella chiamata ma Anna lo acciuffò per le scale e lo riportò a casa. Si sedettero e Anna attese di fronte a Marco fino a quando quella chiamata non fu fatta. A nulla valsero le lamentele e le scuse di Marco su suoi possibili ritardi a lavoro. Anna aveva contattato tutti gli impegni di Marco e ne aveva annullati una buona parte. Alla fine Marco desistette. Compose il numero, parlò con la segretaria che in maniera molto cordiale fissò un appuntamento per il pomeriggio seguente alle 15. Si guardarono e dopo un gran sospiro Anna spalancò il suo sorriso. – “Grazie!” Marco sorrise e non rispose. Quello stesso pomeriggio, dunque, Marco cominciò il suo percorso di riavvicinamento alla realtà. Alle ore 14:30 era già di fronte al piccolo ingresso dell’associazione. Anna lo lasciò lì e si recò al centro commerciale a fare shopping. Voleva che quel momento di confronto fosse solo per marco, che affrontasse il suo problema come tutte le volte che ne aveva avuto uno. Si fidava e sapeva che Marco ne era capace. Una porta anonima di un grande edificio in un grande piazzale della periferia cittadina, vicino all’ospedale e alla zona commerciale. Su un lato vicino al campanello un cartello plastificato con il nome dell’associazione e tutti i riferimenti telefonici e gli indirizzi internet. L’umidità lo stava scolorendo ma il nome si leggeva ancora. A.G.A.P. (Associazione Giocatori e Altre Patologie). Marco suonò una sola volta e la porta automatica scattò per aprirsi. Una sola rampa di scale divideva la fuga e la rinuncia dall’affrontare il tutto. Salì lentamente e spinse in avanti la porta già aperta. Una signora di mezza età alzò lo sguardo aspettando che Marco si annunciasse. “Salve...sono Marco, ho chiamato stamattina, sono qui per l’incontro...” “Benvenuto Marco! Stiamo ancora attendendo l’arrivo degli altri ma può accomodarsi tranquillamente nella sala in fondo. C’è già qualcuno con Pietro, il nostro assistente che terrà questo incontro.” Marco accennò un sorriso di circostanza e si avviò verso la sala. Mentre camminava poteva distintamente udire il chiacchiericcio del gruppo che attendeva l’inizio dell’incontro. Pietro si voltò ed accolse Marco con un sorriso pieno e gli occhi brillanti – “Buon pomeriggio Marco! Ho sentito si suo nome dalla segretaria, stiamo attendendo gli altri e tra poco inizieremo.” Marco si guardò intorno. Età diverse, aspetti diversi. Uomini ma anche donne. Volti arrossati dall’alcol, sguardi assenti di chi ancora faceva calcoli sulle ultime giocate. Alla spicciolata arrivarono gli ultimi e si sedettero in circolo al centro della stanza. Pietro esordì: “Ci siamo! Benvenuti a tutti, io sono Pietro e vi accompagnerò verso la libertà. Se siamo qui è perché abbiamo deciso di toglierci di torno qualcuno che ci insegue e anche se stiamo correndo per scappare ci acciuffa e ci fa sedere nuovamente davanti a un tavolo da gioco, di fronte ad un PC a scegliere partite e a fare calcoli. Non siamo qui, assolutamente, per far riemergere tutto il nostro passato, siamo qui per dirci ancora una volta quanto siamo stati sciocchi a buttare inutilmente quello che avevamo in tasca, compreso il nostro tempo, che invece avremmo potuto tranquillamente spendere per altro. Perché no...anche per un regalo a sorpresa a chi amiamo. Ci state?” Un silenzio assordante invase la stanza. Parole troppo semplici ma vere: chi era li era per liberarsi di qualcosa che non gli apparteneva. Come Marco sospettava, iniziò il giro di presentazioni consueto. Nomi, storie e soprattutto cifre, dalla più esigua ad un vero e proprio patrimonio andato. Era il turno di Marco e Pietro, visto il momento di esitazione, lo esortò con lo sguardo. Marco cominciò: “Ciao a tutti...sono Marco e...e...mi sono giocato e bevuto non solo i soldi ma sicuramente anche la dignità. Giocavo...gioco,perdo... perdevo e quindi bevo...bevevo. Bevevo, mi sentivo “lucido” da giocare ma...ovviamente, giocavo e...perdevo. Sono un gatto e mi sto mordendo la coda. Non ne esco fuori! Se sono qui è perché fino al piazzale mi ha trascinato la mia compagna, arrivato alla porta però mi sono spinto da solo su per le scale!” Il gruppo scoppiò in una risata che ruppe quell’aria tesa e fatta di storie. Quel primo incontro fu fatto solo dalla conoscenza non tanto delle storie quanto delle persone. Chi erano state, chi erano adesso e chi volevano diventare. Dopo due ore Anna si ripresentò al piazzale. Marco salì in macchina e si chiuse dentro il suo piumino. Zero parole fino a casa. Appena arrivati nel salottino Anna ruppe il silenzio: “Allora...come è andata?” “ E’ andata...era come dicevo io...la presentazione come dicevo io..tutto come dicevo io... insomma mi sembrava di stare in un cerchio di rimbambiti” “Ma Marco...” “L’unica cosa positiva, forse, è che non hanno tanto girato il dito nella piaga...” “bene...vedrai che ti allontanerai da quest’incubo...ora non parliamone però, prepariamoci una cenetta e parliamo di tutt’altro dai...” Marco continuò nel suo mutismo e preparò con Anna la cena.

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Capitolo 6
*** All In - Capitolo V ***


Anna mise a bollire l’acqua per un bel piatto di pasta. Voleva, in qualche modo, tirare su Marco da quella giornata pesante e piena di stravolgimenti di vita. Entrambi non toccavano cibo da quel biscotto fatto in casa e caffè ingozzati in fretta e furia prima di affrontare quella pesante giornata. Tutti e due avevano fame e avevano deciso di coccolarsi con una cena diversa dalle solite, quelle mordi e fuggi dei tempi passati; quelle che facevano perché Marco preparava il materiale per la mattina di lavoro successiva al centro anziani e Anna si ributtava su ago e filo o colla e altro materiale per preparare gli oggetti handmade che gli avevano richiesto. Quella sera alle 21 tutto questo non c’era. Quella sera alle 21 c’erano solo una pentola piena d’acqua e un soffritto di aglio e olio che borbottavano sui fornelli. In una piastra, all’altro fornello due bistecche belle grandi e sul tavolo, in una ciotola, dell’insalata mista e mais. Dopo un quarto d’ora quei due etti di aglio olio e peperoncino erano pronti. Anna spense il fornello e scolò la pasta nel condimento, mescolò e riempì i due piatti abbondantemente. L’unica voce presente in quella casa era data dalla sigla del programma di prima serata. Anna canticchiava il motivetto mentre si portava alla bocca una forchettata di pasta. Marco, invece, con quattro mosse aveva spazzolato il piatto. - Avevi fame eh...? - hmmm hmmm...è da stamattina che non tocchiamo una spilla...- rispose nervoso - Eppure la giornata è stata produttiva per tutti e due...mentre eri a fare le tue cose io ho finito di acquistare il materiale che mancava e entro domani finirò il lavoro che mi hanno chiesto. - Ma...non si era detto che di quello che era successo oggi non ne facevamo più parola? - Hai ragione, scusa, comunque ho fatto degli oggetti anche per i tuo “ragazzacci”: c’è una grande borsa di tela con un disegno in feltro per la spesa della sig.ra Maria, una cassettina in legno per la posta della sig.ra Franca e un astuccio di pelle per le sigarette di Giuseppe. Vorranno sicuramente pagarti ma ti invito fin da ora a rifiutare... - Ancora!? Anna s’accorse dell’ennesima gaffe e interruppe il discorso. - Anna...oggi è stata una giornata pesante, pesantissima, ti prego, parliamo di altro. Sono contento e ti ringrazio per quello che hai preparato e sicuramente lo porterò ai ragazzacci. Voglio chiudere il discorso che ogni tanto apri inconsciamente. Sono andato a quell’incontro oggi pomeriggio perché ero stanco. Stanco di tutte le tue parole. Ci sono andato perché non ne potevo più di sentire nulla. - Ah quindi non l’hai fatto per te... - Si e no... - Si e no? Ma scusa... - Si e no...cioè sono anche io stanco di vedermi cosi ma in un certo senso l’ho fatto per non sentire più le tue lamentele. Ti prego, fin da ora, vediamo come va questo percorso. La lezione spero di averla imparata ma non voglio assolutamente che ogni volta se ne torni a parlare. Ho deciso, per aiutarmi, vedere anche se “tengo botta”, di non accettare nessuna mancia e di confessare anche a loro che fine hanno fatto quelle precedenti che mi hanno dato. - Hummm...Lo sai si che probabilmente a qualcuno farai venire un coccolone e ad altri li spingerai a chiedere che ti sostituiscano? - Correrò questo rischio...ma ora basta! - Basta! La sera proseguì senza più toccare nuovamente il discorso. Marco tornò ad interessarsi alle attività di Anna, decise di aiutarla per concludere i suoi lavori in serata e in anticipo. Quella sera, anche se non fu pronunciata una parola sull’argomento, Marco continuò a chiedersi tra se come poter dire a Giuseppe a Franca e Maria che fine avessero fatto i loro risparmi. Come spiegargli che c’era un vizio che lo stava corrodendo? Cosa dire? Quel frastuono di pensieri fu interrotto dalla notifica del cellulare. Marco afferrò il cellulare ed aprì il messaggio. Sbiancò d’improvviso e lasciò cadere la pistola con la colla a caldo sul tavolo. Qualche “amico” di un tempo era tornato a fargli visita e voleva indietro tutto e forse anche più di quello che gli aveva dato.

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Capitolo 7
*** All In - Capitolo VI ***


- Marco! Ma che fai! Stai attento... guarda il tavolo... Marco non aveva respiro, fissava il cellulare ed era in pratica assente. Che cosa dire o fare ora? Si accorse di aver fatto un disastro quando la colla che gli colava sulla mano destra gli bruciò un dito e torno in se. - Eh? Cosa? Ma... – Buttò la pistola sul tavolo si alzò di scatto, mise il cellulare in tasca e usci dalla stanza. Anna lo guardava perplessa. Marco arrivò in camera, si cambiò velocemente e usci sbattendo la porta. Non disse una parola. Nella testa, negli occhi solo quella frase “Ore 23. Giardini pubblici. Ricordati il grano. TUTTO”. Il freddo di quel dicembre lo avvolgeva lungo quei suoi passi svelti e quei suoi affanni incontrollati e incontrollabili. La città brulicava di musica e luci natalizie, nella piazza del duomo alcuni ragazzi sfidavano quel clima rigido scivolando da una parte all’altra della pista di ghiaccio. I proprietari delle bancarelle alimentari, versavano punch caldo ai pochi coraggiosi che quel venerdì sera avevano deciso di fare serata. Marco tirò dritto, non rivolse sguardi o parole a nessuno. Più raggiungeva in fretta il suo appuntamento, più avrebbe fatto prima a tornare da Anna. Attraversata la piazza davanti a Marco, si parò il lungo viale acceso solo dalle luci delle vetrine dei negozi e di quei pochi lampioni dalla luce fioca. A metà viale, prima che una macchina giungesse da verso opposto e lo travolgesse, Marco girò a sinistra e salì le scale in pietra. Venti metri più avanti ed era arrivato all’appuntamento. Un appuntamento fatto di zero parole e molti gesti. L’uomo dell’appuntamento alle parole preferì mostrare una lama affilata. Marco deglutì affannato e disse solamente “Non ce l’ho!” per tutta risposta arrivò un “ma stiamo scherzando? Sono già tre mesi!” Marco ripeté che non aveva portato nulla. L’uomo non parlò più, con il fondo del coltello a serramanico colpì Marco allo stomaco e al volto. Marco cadde a terra e rotolò indietro dopo che aveva provato a difendersi sferrando anche lui qualche pugno finito però all’aria. Pieno di lividi e sporcizia rimase a terra. Pioveva. L’uomo dell’appuntamento, come ultima cosa stampò il suo piede contro il fianco di Marco che non riuscì ad alzarsi. Perse i sensi. Si riprese solo dopo mezz’ora, si alzò e cercando di nascondersi da non si sa chi o che cosa. La città, quel vicolo e quella zona soprattutto, dormiva già da qualche ora. Con passo lento e pieno di dolori tornò verso casa. Non aveva il coraggio di farsi vedere da Anna, sperava fosse già a letto. Avrebbe pensato lui, con calma a rimediare al guaio della colla sul tavolo. Prima però, doveva rendersi meno malconcio possibile se lei fosse rimasta sveglia. L’altro problema, ben più grave da risolvere era spiegare tutto l’accaduto. Nel frattempo trovò nel fondo del piumino fradicio una sigaretta e un accendino. La accese e la fumò lentamente: doveva avere tempo di calmarsi e trovare le parole adatte. Alla terza boccata di fumo non c’era altro da pensare, le uniche parole da riferire ad Anna erano fatte di verità. Verità fatta dal suo passato, fatta da quell’incontro di tre mesi prima con quell’uomo che gli aveva garantito una mano e che quella sera, una mano glie l’aveva stampata in faccia. Quando anche gli “aiuti “ dei suoi ragazzacci erano terminati e si era reso conto di aver salassato il salvadanaio, si rivolse perciò ad altro ma questo altro era arrivato alla conclusione di quella sera. Sovrastato da pensieri e parole arrivò a casa. Fece scattare la chiave e davanti a se si spalancò il buio. Anna dormiva già da un’ora. Marco accese la luce. Il tavolo era compromesso dalla colla a caldo e da alcuni segni di coltello con cui Anna aveva tentato di pulirlo. Non fece nulla. Assonnato all’inverosimile si spogliò al centro della stanza e si trascinò sotto la doccia. Si fece cadere l’acqua calda addosso, si asciugò, tirò fuori dalla cesta dei panni da lavare una tuta e la indossò, tornò nella sala, raccolse i suoi indumenti sporchi che gettò nella lavatrice, tornò di nuovo in sala e si lasciò cadere sul divano rapito dal sonno.

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Capitolo 8
*** All In - Capitolo VII ***


La luce del primo mattino del sabato filtrava dalle alette della persiana, inclinate giusto per rispettare la privacy di quel focolare. Marco aprì gli occhi e si sentì ancora tutto indolenzito. Si diresse verso il corridoio e si specchiò. Quel volto tumefatto e quel fianco con quel segno rosso erano un marchio ma soprattutto un promemoria che riportava alla mente di Marco la triste realtà di raccontare tutta la verità alla sua Anna. Anna però quella mattina in camera non c’era. Il letto era rimasto in disordine. Si era alzata in tutta fretta ed era uscita. Marco si sedette sul divano e la sua mente cominciò a viaggiare lungo tutti i perché possibili. Perché Anna non era li? Perché non aveva preso coraggio, non l’aveva svegliata nel cuore della notte per raccontare tutto? Che cosa aveva sbagliato ancora? Riordinò i pensieri e si ricordò che quella mattina Anna avrebbe dovuto consegnare i suoi lavori a 20 km da casa e in più avrebbe dovuto prendere un'altra consegna e il relativo materiale. In tutto quel casino, una cosa buona c’era: qualcuno che metteva qualcosa in tasca, non era Marco ma erano cmq soldi che tiravano avanti quella casa. Quel sabato mattina per Marco era anche un sabato d’impegni: lo attendeva un altro incontro all’associazione A.G.A.P. e forse parlandone prima li, avrebbe trovato le parole giuste che poi avrebbe riferito ad Anna. Il mantra quotidiano si ripeteva: doccia, colazione, sistemata alla casa e via all’incontro. Ormai era diventato una costante da mesi e Marco si sentiva aiutato da quegli incontri. Arrivato in associazione, fu un fiume in piena; raccontò nei minimi dettagli gli avvenimenti delle ultime 24-48 ore e supplicava suggerimenti su come affrontare al meglio il giudizio di Anna. La situazione non era facile e dopo un vivace confronto fu sempre più deciso a vuotare il sacco. In verità alcuni del gruppo lo invitarono anche a mettersi in contatto con la polizia per una denuncia verso il suo aggressore ma lì per lì Marco non sembrava convinto. Tornò a casa e trovò Anna che sistemava tutto il suo materiale. Allo scatto della porta, Anna si voltò e accolse Marco con un sorriso e un abbraccio. Marco esitò ma poi la strinse a se. Ad Anna non importava cosa fosse accaduto al notte prima, i segni evidenti su Marco erano un segnale negativo certo, ma per Anna erano anche segno che Marco aveva iniziato ad affrontare i suoi problemi anche a costo di avere segni sulla pelle. Non ne poteva più di discutere. Voleva che Marco reagisse da solo e quelli erano i primi passi. - Anna... devo raccontarti una cosa... - Shhh ...non mi interessa...sono comunque contenta per te... - Contenta per me? - Sì. Ti ho visto uscire ieri sera e sentito rientrare questa notte. Prima dell’alba sono passata in cucina a bere e ho visto come stavi, buttato sul divano e con questi lividi. Se sei tornato indietro, anche dopo tutti questi incontri in associazione, io non lo so ma voglio pensare che da ieri sera hai cominciato ad affrontare i problemi a viso aperto. - Ehehehe... forse troppo aperto... Sorrisero entrambi e si abbracciarono nuovamente. Quel grande morso allo stomaco andava però in un certo senso rallentato. Marco non si trattenne e vuotò il sacco anche con Anna. Quando finì, sospirò lentamente a lungo. Ora non c’era più nessun segreto. L’unico scoglio da superare era decidere se fare o no una denuncia verso il suo aggressore. Quella era gente senza scrupoli, molti addirittura erano degli ottimi informatori della stessa polizia o carabinieri che pur di non finire dentro si sarebbero rigirati la frittata a loro favore e fatto di Marco il colpevole e non la vittima. Marco e Anna, però ora erano determinati e progettarono la cosa più semplice di questo mondo: andare in commissariato e vuotare per l’ennesima volta il sacco di quel racconto, senza cambiare nemmeno una virgola. E cosi fecero. Tre ore di racconto dalle quali uscirono con una deposizione e un identikit dell’aggressore. La polizia raccomandò loro di non fare parola alcuna di quanto fosse avvenuto quella mattina. La persona descritta da Marco era ricercata da qualche tempo ed un passo falso, una confidenza di troppo poteva essere un problema. Tornarono a casa, intimoriti ma sollevati di aver fatto la cosa giusta. Passarono i giorni e arrivò il consueto appuntamento in associazione per Marco. Quel mercoledì mattino ci fu qualcosa di strano. Mancavano all’incontro Piero e Antonio. I due non avevano mancato un incontro da tre mesi a questa parte e nel mese corrente era già la quarta assenza per loro. In un momento di pausa Pietro si avvicinò a Marco e prendendolo per un braccio disse: “Non voglio allarmarti ma come hai già potuto notare Piero e Antonio non sono qui da qualche tempo. Alcuni dei nostri operatori che lavorano “sul campo” hanno avuto modo di costatare che sono tornati a vecchie abitudini malsane. Dopo che hai raccontato il tuo episodio, la loro assenza è stata più evidente e forse con il pretesto di aiutarti, ora sono in pericolo.” – “E cosa posso fare io ora?” – “Questo non lo so, ma se sei andato a esporre denuncia e riuscirai a incontrarli fuori di qui, informali della tua decisione e tenta di evitare qualche altra brutta sorpresa”. Si era già fatto tardi e Pietro riprese l’attività di quella mattina. Un’attività che Marco non seguì perché dopo quelle parole iniziò a pensare a come affrontare il nuovo problema. Uscito dall’incontro, girò la città alla ricerca dei suoi due compagni. In quei mesi avevano raccontato molto di loro e per prima cosa, quindi, Marcò si recò nei posti che avevano nominato frequentemente. Nessuno li aveva più visti e qualche proprietario si mostrava più sollevato al non vederli. Se non erano lì, allora avevano veramente messo la testa a posto e forse era un bene ma Marco dopo tutte quelle esperienze aveva i piedi ben piantati a terra. Tornò di nuovo in commissariato ed espose il problema agli agenti, riferendo quell’assenza cosi prolungata. Non voleva ma toccò sentirlo con le sue orecchie ugualmente. Piero e Antonio erano “tornati in pista” dopo il suo accaduto. Usci dal commissariato e con una telefonata avvisò Pietro di quanto era venuto a conoscenza. Non voleva assolutamente ripiombare in un incubo che per lui era finito solo qualche settimana prima. Pietro sconfortato gli comunicò che da quel momento in poi il pericolo coinvolgeva anche l’associazione. Piero e Antonio erano sì i più presenti ma anche i più taciturni ed osservatori. La loro assenza iniziava a significare molto. Poteva accadere l’imprevedibile.

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Capitolo 9
*** All In - Capitolo VIII ***


Anna usciva dall’outlet di bricolage alla periferia della città. Stava sistemando gli acquisti nel bagagliaio quando un uomo alto brizzolato, occhi castani, viso squadrato e olivastro, jeans nero scuro, camicia grigia e cappotto scuro lungo, gli si avvicinò sotto la pioggerellina fitta. - Signorina mi scusi... – afferrando con una mano il braccio di Anna. - Eh... ma... Si? Lei chi è mi scusi...? - Per ora non importa il nome. Per ora deve solo portare questo messaggio a Marco: non continui ad andare alla polizia se non vuole peggiorare la sua situazione. - Ehm... sì ma lei chi è? Total black man si voltò e si dileguò sotto la pioggerellina. Anna rientro in macchina, sistemando ancora le ultime buste e pensò a quel volto e quella mano. Era una donna fisionomista, avrebbe potuto dirigersi direttamente al commissariato portando con sé uno schizzo di quel volto (era brava anche nel disegno). Non lo fece, voleva prima raccontare l’accaduto a Marco. Arrivata a casa, infatti, trovò Marco seduto sul divano con il cellulare in mano. Aveva appena finito la chiamata con Pietro. Anna le si avvicinò e le raccontò l’accaduto. Marco, dopo aver spiegato in due parole la continua assenza di due del gruppo, comincio ad ansimare: - A... A...Ant...Non ha perso tempo! Anna ascoltami: siamo nei guai fino al collo. Ho finito di parlare adesso con Pietro e in pratica tutta questa storia ha messo in pericolo anche l’associazione A.G.A.P., siamo con le mani legate. Se andiamo alla polizia Antonio non se la prenderà solo con me... peggiorare la situazione vuol dire che dopo me e l’associazione tocca a qualcun altro... - A chi? - A....a...a te! Un silenzio sordo invase la sala. Ci doveva essere un modo per uscire da questa situazione. Rimuginarono su come e soprattutto quando mettersi all’azione. All’improvviso squillò il cellulare di Marco. Nessun numero visualizzato. Con il sangue gelato Marco rispose e riuscì a sospirare solo quando dall’altra parte sentì la voce del capitano. Nella telefonata, piena delle solite raccomandazioni, il capitano lo informò che avevano raccolto elementi sufficienti per passare all’azione. Da quel momento però c’era bisogno dell’aiuto di Marco. Avrebbe dovuto continuare a partecipare agli incontri ed essere una “talpa” per la polizia. Antonio e Piero dovevano tornare, dovevano fare il passo falso di raccontare dove erano finiti in quel lungo periodo. Entrambi dovevano essere nuovamente tratti in arresto. Questo sarebbe avvenuto dopo. Marco, a ogni incontro nel quale sembrava aver raccolto elementi utili, doveva recarsi in commissariato e riferire agli agenti. Nelle settimane seguenti iniziò a tessere quella trama raccomandata dalla polizia. Purtroppo però dai due non ebbe alcuna informazione veramente utile per andare avanti. Passava il tempo, aumentava il pericolo: nessuno aveva fatto più un agguato o un passo verso di lui e questo, in quel mondo significava che il peggio era dietro l’angolo.

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Capitolo 10
*** All In - Capitolo IX ***


E il peggio arrivò. Arrivò con il vento caldo di fine estate. Marco passeggiava lungo il viale alberato costeggiato da panchine e lampioni che a tardo pomeriggio, con il primo imbrunire emisero la loro luce fioca. Seduto su una panchina, c’era Antonio che alla vista di Marco non si scompose. Marco rimase bloccato appena lo vide. - Che fai sei sorpreso? Non ti siedi qui con me? - Antonio... No, non mi siedo! Voglio capire fino a dove sei capace di arrivare... - Beh fino a dove sono capace, lo saprai già ma siediti, non mi piace parlare con i lampioni... - Fai poco lo spiritoso... - Zitto e siediti! Insomma non ti sono bastati i quattro calci nella notte buia, compresa tutta l’acqua che hai preso poi dopo. Non ti sono bastate tre righe orizzontali e la forzatura della portiera. Non ti è bastato il nostro totale silenzio agli incontri e non ti è bastata nemmeno la piccola chiacchierata che ho fatto con la carissima Anna...eeh Marco Marco...Ma ascolta, sei sicuro che dove stavamo insieme prima, io e te, seduti in circolo con quegli sguardi ebeti a piangerci addosso e...come diceva Pietro...ah si...” vi accompagnerò verso la libertà. Se siamo qui è perché abbiamo deciso di toglierci di torno qualcuno che ci insegue e anche se stiamo correndo per scappare ci acciuffa”. – Antonio scoppiò in una risata fragorosa – Ma dai veramente credi che così, lavoro onesto compreso, riuscirai a campare? Ho un lavoretto giusto per te. Per le tue mani e le tue gambe veloci. - NO! – Urlò Marco prima che Antonio potesse finire la frase. - Zitto ho detto! Si tratta solo di portare dei pacchetti un po’ in giro per la città. Il corriere è un lavoro onesto... no? - No... no e no! Quel tipo di corriere non mi piace. Sono uscito da tutto e tutti e non ho assoluta intenzione di rientraci. - Guarda che se vuoi sposare Anna hai bisogno di soldi e ce li avrai, pochi alla volta ma ... subito! - Come fai a sapere tutte queste cose? - Le so perché non sono stato seduto con altri ventinove ebeti a piangermi addosso. Ho raccolto informazioni anche sulle formiche che mi camminano sulle scarpe e quindi... le so! Sei talmente impaurito che mi hai fatto venir voglia di darti del tempo. A una condizione però... - Quale... - Basta parlare con Anna di queste cose. Basta star seduto con gli altri ventotto, basta commissariati e polizia. Pensa a te Marco, pensa ad Anna, torna a casa e dalle una mano con il suo lavoro, fai la spesa, uscite insieme, guarda...stai anche con i vecchietti del volontariato e nel frattempo...consegna i miei pacchetti. – Antonio finì la frase con un occhiolino e risatina beffardi. – Non mi dire nulla. Pensa alla proposta. Antonio si alzò dalla panchina e si dileguò nella sera. Marco rimase seduto e in silenzio. Ogni parola di Antonio non aveva bisogno di verifica. Era tutto vero. Avrebbe mandato all’aria tutta la trama composta con la polizia, tutto quello costruito con Anna in quell’anno e mezzo di duro cambiamento per ottenere la “libertà” che Antonio gli descriveva? Scosse la testa, tirò su le spalle e si avviò verso casa con il vento caldo che gli gonfiava il piumino e scompigliava la chioma.

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Capitolo 11
*** All In - Capitolo X ***


Arrivato a casa Marco non sapeva se essere nuovamente un fiume con Anna oppure pensare veramente a quella proposta, pericolosa, allettante e che sicuramente avrebbe mandato all’aria un lungo percorso di cambiamento. Un cambiamento positivo ma del quale Marco non ne aveva apprezzato ogni momento. Senza volerlo, dal di dentro di quella libertà era tornato in un vortice che stavolta girava molto più veloce: girava grazie a persone che lo avevano ascoltato per mesi, sapevano ormai quel che bastava per toccare le sue corde deboli e attirarlo nella rete. Anna arrivò a casa sempre piena di buste e materiali per il suo lavoro. Marco fece un grande sospiro, scosse la testa e prese le buste per alleggerire il peso ad Anna che aveva già fatto le scale e tirava un gran fiatone. Era l’ora di cena. Marco, senza volerlo iniziò a rispettare il copione che gli aveva prospettato Antonio. Si prese cura di Anna, della casa, di se stesso. Sempre disponibile, gentile ma con quel pensiero fisso. La cosa andò avanti per settimane, mesi. In tutto quel tempo di Antonio nessuna traccia. Arrivò l’autunno e con sé il telefono di Marco che squillava. Marco, che stava pranzando in casa si allontanò verso la camera. - Allora? - Allora cosa? - Hai deciso? Qui mi stanno scaricando tutti. Di tempo te ne ho dato abbastanza. Ora tocca a te. Silenzio. - Guarda che sono stato generoso e paziente ma ora è tutto finito. Non continuare a fare il pesce e ti do cinque minuti per darmi una risposta. - Ci sto! Ad una condizione. Che tutto quello che ci siamo detti nell’ultimo colloquio rimanga su quella panchina e che non venga torto un solo capello a nessuno. - Hummmm... va bene... - D’accordo allora. Quando comincio? - Per me anche subito. Il primo pacchetto lo aspettano alle 15 ai giardini che tu conosci bene. - Ma sono le 14...ed è pieno giorno! - Ecco appunto, finisci il tuo pranzo da piccioncino e poi vai all’appuntamento. E... se è pieno giorno...beh sono i rischi del mestiere... – Antonio cominciò a sghignazzare. La telefonata s’interruppe e Marco tornò al tavolo. Inventò su due piedi una scusa e terminò il pranzo con Anna. Alle 14.30 usci di casa con la scusa di fare una consegna imprevista e scese in strada. Trovò dentro la cassetta della posta la sua prima consegna e si diresse all’appuntamento. La sequenza che si protrasse per mesi fu questa: ritiro del pacchetto, arrivo nel luogo prefissato, consegna, pagamento e contatto con Antonio per l’avvenuto scambio. La ricompensa arrivava alla fine del mese. Passarono uno due, tre mesi sempre con lo stesso meccanismo. Più scambi uguale più soldi per Marco. Zero parole con Anna sulla questione e quindi zero problemi, solo soldi che entravano in casa. Tutto molto semplice. Purtroppo però l’essere sotto pressione costò caro a Marco. Anna di ritorno da uno dei suoi soliti giri prima di aprire la porta di casa aprì la cassetta della posta, trovò il pacchetto destinato a Marco. Entrò in casa e lo appoggiò sul tavolo. Erano mesi che continuavano quelle uscite fuori orario, quel rientrare altrettanto fuori orario, voleva che non fosse quello che immaginava ma ormai non aspettò altro tempo. Di tempo ne era passato già abbastanza e Anna era una miccia pronta ad accendersi. Affrontò Marco, vomitò fuori tutta la sua rabbia e frustrazione accumulata in quei mesi. Era stanca e aveva fatto tutto il possibile per salvare il rapporto, ora basta. Disse semplicemente a Marco che lei aveva fatto di tutto, ma che se lui non voleva essere salvato per lei non c’erano problemi: ognuno poteva tornare da dove era venuto. L’unica cosa che la sollevava era che Marco, dopo quel lungo percorso, aveva gli strumenti per uscirne di nuovo ma lei, stavolta non ci sarebbe stata. Non ebbe né lacrime, nient’altro. Riordinò la cucina, andò in camera, preparò una borsa con l’indispensabile e uscì di casa. Marco, rimasto in silenzio per tutto quel tempo, aprì la vetrina, prese una bottiglia e si verso un bicchiere.

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