Le radici del male

di Darlene_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



I due volti di Panem



Le radici del male




Prologo




 
 
Pyramus osservava i suoi concittadini illuminati dalla fioca luce dei generatori. Molti di essi avevano ancora i volti sporchi di fuliggine e gli occhi di chi aveva visto troppo. Si dirigevano verso gli anfratti in cui i soccorritori avevano allestito dei giacigli improvvisati, troppo spauriti per protestare. Non tutti erano riusciti a raggiungere il rifugio prima che le bombe della capitale distruggessero il distretto, perciò ogni tanto si udivano i gemiti di chi aveva perso un figlio, una moglie o un amico.
Il sindaco camminava tra loro, tendendo una mano, sussurrando qualche parola di conforto, ma sapeva che ci sarebbero voluti anni per richiudere le ferite causate da un’unica notte di orrore. Una bambina dal cappotto troppo grande e una bambola di pezza stretta tra le braccia gli venne incontro, il viso sporco e i capelli arruffati, gli occhi rossi per il pianto e le guance su cui le lacrime si erano mischiate alla cenere formando dei solchi scuri. Pyramus  le si inginocchiò davanti, regalandole un sorriso.
“Ciao, come ti chiami?”
La piccola spostò il peso da un piede all’altro,  troppo spaventata per rispondere. Posò le labbra sulla fronte della bambola, stringendola ancor più forte, usandola quasi come scudo protettivo, incerta se quell’uomo costituisse una minaccia.
“Sai chi sono, vero?” In quanto sindaco del 13 tutti  lo conoscevano ed infatti lei annuì. “Se non vuoi dirmi il tuo nome ti capisco, ma forse la tua amica” accennò con il capo al pupazzo “vuole presentarsi.”
A quel punto lei rispose timidamente: “Mi chiamo Alma e lei è Amal.”
Pyramus rammentò che si trattava della figlia del fornaio, il signor Coin che tutte le mattine preparava dei panini al burro che la sua domestica Marianne andava a comprare all’alba per serviglieli a colazione.
“Dove sono i tuoi genitori?”
Alma cominciò a singhiozzare e il sindaco la strinse tra le braccia, sussurrandole di non preoccuparsi, perché si sarebbe occupato lui di lei.  
 
Fuori dal bunker sotterraneo albeggiava e il sole cominciava ad estendere i suoi  primi pallidi raggi primaverili su Panem. Dal distretto 13 si levava ancora il fumo, intossicando i pochi animali sopravvissuti. Al di sotto del terreno, una nuova vita stava per nascere, fatta di ombre e luci artificiali, di piante create in laboratorio e regole ferree, ma gli abitanti esultavano: fieri di essere finalmente liberi.

 
​​- o - 
 
 
“Il 13 non è più un nostro problema.” Disse il Presidente lisciando la barba corvina. Quella riunione era durata più del previsto e non vedeva l’ora di potersi finalmente congedare. Sua moglie aveva partorito da qualche giorno e lui, invece di dedicarsi alla compagna e al neonato, era stato costretto a presenziare ad una serie infinita di assemblee e consigli per discutere sulla miglior strategia per contrastare la rivolta. Il distretto 13 era stato sin dal primo momento il vero nemico: dotato di armi nucleari e chissà quali altri mezzi rappresentava un pericolo per la capitale ed era stato necessario un compromesso, ma quella stessa notte gli hovercraft avevano raso al suolo ogni costruzione del 13, lasciando ai superstiti poche probabilità di sopravvivere.
“I distretti sostentano Capitol City con le loro materie prime e non sarà possibile estinguerli tutti, perciò è necessario adottare una tattica che permetta non solo di sedare la rivolta, ma di fare in modo che non possano nuovamente sollevare il capo. Sapete come riuscirci?” Gli piaceva giocare con i suoi sottoposti, stimolandoli per cercare la soluzione migliore ad un problema: amava vederli danzare davanti a lui, gli occhi chiusi nello sforzo di pensare. Non molti avevano le capacità intellettuali per guidare un Paese, ma gli erano fedeli e in un momento di crisi la lealtà era indispensabile.
Dopo una lunga riflessione, Iulius chiese la parola. “Credo sia necessario costringerli a donare un tributo a Capitol City, qualcosa che rammenti loro che non sono altro che pedoni  sulla scacchiera.” Si era alzato in piedi per richiamare l’attenzione di tutti, ma dopo lo slancio iniziale si lisciò il panciotto e si rimise a sedere, temendo di aver peccato di superbia.
Il volto di Romolus Snow si distese, mentre annuiva soddisfatto. Quel Crane era il più giovane tra i suoi collaboratori, ma era perspicace e lui amava le persone che riuscivano a sorprenderlo.
“Cosa proponi, Iulius? Quale dovrebbe essere il tributo da pagare?”
L’uomo si schiarì la voce, consapevole che le parole che avrebbe pronunciato sarebbero state determinanti per la sua carriera. “Dobbiamo immaginare di essere disperati, con poco cibo e ancor meno ricchezze, come accade nei distretti più poveri. Se temessimo di dover perdere quel poco che abbiamo cercheremmo di salvare ciò che per noi è più prezioso.”
Qualcuno affermò che si sarebbe trattato di una fotografia, un gioiello o un oggetto significativo; solo il Presidente, forse per la sua recente paternità, comprese che si trattava dei figli.
“Prendiamo i loro bambini, ricordiamo a tutti che il loro destino è nelle nostre mani e potremmo sterminarli, se solo volessimo.” Qualcuno sussultò, ma la maggior parte di quegli uomini attese la reazione di Snow prima di mostrare una qualsiasi emozione.
“La trovo un’idea brillante, Iulius, davvero geniale.” Si lisciò nuovamente la barba, impaziente di poter svelare la sua idea, eppure reticente a parlare per tener desta l’attenzione del suo pubblico. “Potremmo prendere dei ragazzini e impiccarli sulla piazza, ma questo porterebbe ancora più odio. Noi invece dobbiamo mantenere il pugno di ferro lasciando ai distretti uno spiraglio di luce: la speranza che almeno uno dei tributi si salvi.”
Tutti i presenti assunsero espressioni stupite, tranne Crane, che con un sorriso espose la sua idea.
“Mandiamo questi giovani a combattere, lasciamo che si affrontino, permettendo ad uno solo di vincere.”
Romolus era sempre più soddisfatto di quello che ben presto sarebbe diventato il suo pupillo. “Questo evento così straziante per i distretti, sarà invece un momento di intrattenimento per gli abitanti di Capitol City, che potranno godere di questo spettacolo senza dover temere per la sorte dei loro figli. Rendiamo l’offerta dei tributi un gioco, in cui ognuno può tifare per il proprio eroe!”
 
Fu così che in un’afosa nottata di maggio nacquero gli Hunger Games, che per molti decenni a venire avrebbero tenuto con il fiato sospeso l’intera nazione.




Ciao a tutti!
Chi sono io? Beh, sono Darlene e tanti anni fa scrivevo quasi esclusivamente in questo fandom.
Non so se ci sia ancora qualche lettore dell'epoca, ma allora scrissi una trilogia di ff interattive. Mi piaceva molto, ma successivamente ho deciso di cancellarle perchè non rispecchiavano più il mio stile, eppure quei personaggi non hanno mai smesso di affascinarmi, così come la loro storia, perciò ho deciso di riprendere in mano quel progetto e riportarlo in vita. Nel corso degli anni il mio modo di scrivere è maturato insieme a me e adesso credo di essere un'autrice migliore. 
Questa storia avrà la stessa trama generale di allora, ma non aspettatevi che ci somigli: userò altri tributi, aggiungerò altri personaggi e spero di riuscire di nuovo a tenervi con il fiato sospeso. Ovviamente chi è entrato a far parte di questo fandom negli ultimi anni seguirà una storia mai letta, per gli altri, beh, spero che vi vada ancora di partecipare e, perchè no, di sorprendervi ancora. 
Passiamo alle cose serie!
Ci sono 24 tributi che non aspettano altro che essere prenotati. Ognuno ne può adottare massimo due, specificando il sesso e  il distretto nel momento della prenotazione. Dalla mia risposta avrete tempo tre giorni per consegnarmi la scheda. La scheda deve essere completamene compilata. Potete creare qualsiasi personaggio, ma l'originalità è gradita. 
I tributi devono essere in linea con la storia originale, quindi devono provenire tutti da Panem e avere un'eà compresa tra i 12 e i 18 anni.
Il distretto 12 non ha tributi volontari (è specificato nei libri).
Spero di aver detto tutto, se avete altre domande, chiedete!

Se non sono cambiate le regole, l'amministrazione non ammette che si usi la recensione solo per prenotare un tributo, perciò, per evitare discussioni con i "grandi capi" sareste pregati di dire anche due parole sul capitolo :)

Piccola precisazione: sarà la prima edizione della memoria, i tributi vengono votati dagli abitanti del loro distretto

Scheda tributo

Distretto: 
Nome: 
Cognome: 
Età: 
Volontario?
Se sì perchè?
Se no perchè lo hanno votato? 
Prestavolto: (solo persone vere)
Fisico: altezza, segni particolari, ecc (ciò che non si vede dal prestavolto)
Carattere: 
Storia: 
Famiglia: 
Fidanzato?
Orientamento sessuale: 
Altro: 

Schede dettagliate mi permetteranno di caratterizzare al meglio il vostro tributo


Tributi da prenotare

Distretto 3
femmina 
maschio

Distretto 5
maschio

Distretto 6
maschio

Distretto 8
maschio

Distretto 9
femmina

Distretto 10
femmina 
maschio

Distretto 11
maschio

Distretto 12
femmina 
maschio


 

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***




 
I due volti di Panem



Le radici del male





Capitolo I



 
 
 
“Se arrivi sempre in ritardo per cena non stupirti se tua moglie alla fine vorrà venire ad abitare con me.” La voce di Harvey giungeva dalla cucina, ma nonostante James fosse ancora sull’uscio la udì distintamente. Il profumo dell’arrosto di Roxanne si spandeva per tutta la casa e lui si chiese se per caso non avesse dimenticato una qualche ricorrenza, ma non gli venne in mente nessun evento da ricordare.
“Vuoi sapere perché mia moglie non scapperà con te?” Domandò indirizzando la domanda all’amico che, seduto al tavolo, sgranocchiava una crosta di pane ricoperta di pomodoro. “Perché sa che non sarebbe un affare conveniente: dovrebbe restare alzata la notte per riempire il tuo enorme stomaco!” Con quelle parole cinse le spalle di Roxanne, posandole dei delicati baci sulla nuca che lei accolse con un sorriso.
“E questa chi è?” Esclamò Harvey spezzando l’aura romantica che aveva assunto la serata. I due innamorati si voltarono verso la porta: l’una con sorpresa, l’altro lievemente imbarazzato. James si staccò dalla compagna, avvicinandosi alla bambina dagli occhi color ebano.
“Lei è Lucy, e oggi sarà nostra ospite.” Con un gesto della mano la sospinse all’interno della stanza, incurante dello sguardo torvo dell’amico.
Roxanne le indicò una sedia e apparecchiò un posto anche per lei, rivolgendole parole gentili e sguardi carichi di tenerezza.
“Si può sapere chi diavolo è?” Sbottò  l’altro uomo, l’interesse per il cibo definitivamente svanito.
James gli indicò con lo sguardo Lucy, come per esortarlo a rimandare la conversazione, ma lui non era per nulla preoccupato della sensibilità di una ragazzina, perciò ripetè la sua domanda a denti stretti, enormemente infastidito dal comportamento dell’amico.
“Stavo tornando a casa: ero passato nei campi di grano per distribuire un po’ di succo preparato da Roxanne perché è stata una giornata torrida e pensavo che i contadini avrebbero gradito.” Harvey sollevò gli occhi al cielo, ma James finse di non notarlo. “Passavo davanti alla panetteria e l’ho vista frugare nell’immondizia. Il fornaio ha minacciato di chiamare i Pacificatori, così le ho detto che le avrei offerto la cena se avesse smesso di cercare cibo nella spazzatura.”
“Non pensi che forse dovrebbero essere i suoi genitori ad occuparsi di lei?” Urlò ormai al limite della pazienza: non riusciva a comprendere perché quello sbarbatello di James dovesse sempre rischiare qualcosa per aiutare il prossimo.
“Sua madre non sta bene, ha avuto un crollo dopo ciò che è successo a suo marito.”
Harvey contò fino a dieci per mantenere la calma, incerto se domandare o meno cosa fosse accaduto all’uomo, poi si batté una mano sulla fronte ricordando la notizia che, solo qualche settimana prima, aveva sconvolto il loro distretto. “Dimmi che non è lei!”
La solita aria angelica di James non lo abbandonò nemmeno in quel momento e con un sorriso malizioso rispose che Lucy era Lucy e non comprendeva la domanda. Le mani dell’altro gli afferrarono la camicia, spingendolo rudemente contro la parete. “Che idiota!” Sbraitò, tanto che persino Roxanne, nella stanza attigua, restò in ascolto per qualche istante.  Harvey non diede retta all’amico che lo pregava di abbassare la voce. “La figlia del ribelle! Hai portato la figlia del ribelle a casa tua! Buttala fuori e prega che nessuno se ne sia accorto altrimenti sarai nei guai fino al collo.” Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, indietreggiando di qualche passo.
“Non era un ribelle, solo un padre disperato che non sapeva come sfamare la sua famiglia.”
Grattandosi la testa, Harvey affermò con sarcasmo: “Oh sì, proprio un padre modello. Così modello che è finito con una pallottola in testa dopo aver provato a derubare il magazzino delle scorte alimentari.”
“Non puoi capire.” Mormorò James, dispiaciuto che l’amico non condividesse la sua opinione.
“Oh capisco benissimo.” Rispose girando la maniglia della porta. “E proprio per questo porto le mie chiappe fuori da qui.” Ormai in cortile si voltò ancora una volta. “James?”
L’uomo alzò il capo, speranzoso.
“Non mi cercare. Sono sopravvissuto all’arena e tutti gli anni sono costretto ad essere il mentore di un ragazzino che spesso muore nel bagno di sangue, non voglio altri problemi. Ci vediamo alla mietitura.” Così dicendo si avviò verso casa.  
 
 
Quando Coriolanus entrò nello studio paterno, il Presidente stava discorrendo con il Ministro della Sicurezza Nazionale e sembrò non apprezzare la sua presenza, ma il ragazzo non li abbandonò.
“Le telecamere hanno ripreso il soggetto interagire con la figlia di un ribelle, ci sono anche dei testimoni che affermano che l’abbia portata a casa sua. Prima di prendere una qualsiasi decisione i Pacificatori me lo hanno comunicato. Posso dare l’ordine di arrestarlo?”
Romolus scosse la testa, massaggiandosi le tempie con due dita. “James Burdock è un individuo potenzialmente pericoloso, ma fino ad ora non ha commesso nessuna infrazione, perciò continuate a controllarlo e se ci sono nuovi sviluppi comunicatemelo, chiaro?”
Il suo sottoposto annuì, ritirando i documenti che aveva abbandonato sulla scrivania. Sembrò sul punto di dire qualcosa, ma alla fine decise di non sfidare la sorte e lasciò lo studio con un cenno di saluto.
“Allora è vero quello che si dice in giro.” Affermò Coriolanus sedendosi sulla poltrona di pelle di fronte al padre. “Che hai un occhio di riguardo per una nullità del distretto 9.”
Gli occhi di Romolus diventarono di ghiaccio, la  mandibola serrata per il disappunto. “Hai una buona ragione per essere qui o hai semplicemente deciso di sprecare il mio tempo con delle illazioni?”
Il figlio non si lasciò intimidire da quella reazione: doveva scoprire il mistero ad ogni costo.
“A quanto mi risulta questo non è il primo gesto avventato di Burdock, non credi sia necessario dargli l’opportunità di meditare sul suo comportamento? Credo che un paio di giorni in una cella di isolamento, senza pane né acqua potrebbero essere illuminanti.” Parlava in modo pacato, ma nascondeva una rabbia profonda verso colui che aveva marchiato come ribelle.
Il Presidente comprese che non sarebbe riuscito a troncare la discussione, perciò decise di dare delle spiegazioni al ragazzo. “James è un mentore, sa esattamente cosa ci si aspetta da lui. A volte prende decisioni discutibili, ma non rappresenta una minaccia per Capitol City: non ha la stoffa per guidare una rivolta, lancia solo briciole di speranza a suoi concittadini e la speranza, se ben dosata, può esserci favorevole.” Si congratulò mentalmente con se stesso per aver escogitato una risposta che non avrebbe lasciato spazio ad altre domande eppure, ancora una volta, Coriolanus lo sorprese.
“Già, un mentore.” Parve soppesare mentalmente quelle sillabe, prima di riprendere il discorso. “Se non ricordo male si tratta di un giovane di bell’aspetto perciò mi chiedo, come mai non è nella lista dei vincitori adatti a soddisfare le esigenze delle signore più in vista di Capitol City?” Si riferiva all’usanza per cui gli abitanti della capitale potevano richiedere di passare gratuitamente una notte di passione con chi era uscito vincente dagli Hunger Games.
Quando suo padre, invece di rispondere, sbatté una mano sul tavolo e gli ordinò di alzarsi, Coriolanus trattenne a stento un insulto: era il futuro Presidente di Panem, doveva essere al corrente della situazione. Nonostante ciò decise che sarebbe stato più saggio obbedire, forse avrebbe trovato un’occasione propizia per riprendere l’argomento.
 
La serra di sua madre profumava di rose e Coriolanus non riusciva a staccare gli occhi dai meravigliosi boccioli. Lasciò scorrere un dito sui petali di velluto, carezzando lo stelo con dolcezza. La voce alle sue spalle lo fece sobbalzare ed una spina gli ferì un polpastrello. Il ragazzo osservò una stilla del suo sangue imporporare il candido fiore.
“Corio non pensavo che avresti trovato il tempo per venirmi a trovare.” La madre gli posò una mano sul braccio, un largo sorriso dipinto sul volto.
“Sai che non potrei mai mancare al nostro consueto appuntamento pomeridiano.”
Si diressero verso la parte più interna della serra dove le rose formavano archi sopra le loro teste e le api si rincorrevano giocose. Proprio al centro della struttura vi erano delle sedie a dondolo accanto alle quali vi era un tavolino con tutto il necessario per guastare il thè. Il giovane si accomodò, lasciandosi cullare dal quel profumo che da sempre rappresentava casa sua.
“Il rosso mi si addice, non trovi figlio mio?” Chiese la donna, tagliando un fiore e appuntandoselo tra i capelli. Lui scosse la testa, indifferente, aveva sempre preferito il bianco, adatto ad ogni occasione e soprattutto simbolo di purezza. Qualcosa si avvolse intorno al suo piede e provò un brivido di terrore nel rendersi conto che si trattava di un serpente dal colore sgargiante che difficilmente apparteneva ad una razza naturale. Cercò di scuoterlo via, ma la madre gli posò una mano sul ginocchio, costringendolo a restare fermo. La creatura strisciò verso la coscia, e poi più su, verso il torace fino ad avvolgersi intorno al collo. Coriolanus trattenne il respiro, troppo spaventato per provare a liberarsi da quella stretta. Sentì un sibilo e con la coda dell’occhio vide la lingua biforcuta saettare verso di lui. Chiuse gli occhi, attendendo che le zanne affondassero nella carne, ma non accadde: sua madre portò il polso all’altezza della sua spalla e il rettile le si avvolse intorno come un bracciale. La donna lo lasciò percorrere il suo corpo, quindi con delicatezza, strinse due dita dietro alla testa della creatura e la avvicinò ad un barattolo ricoperto da una specie di filtro.
“Non devi aver paura di lei. Si chiama Alyssia ed è stata creata in un laboratorio. È un ibrido, ma a parte il fatto che il suo morso è più letale di quello di qualsiasi suo simile non ha nessuna caratteristica interessante. O almeno questo dicono gli scienziati, ma ho chiesto a tuo padre di non permettere di sopprimerla, ora siamo amiche.” Lasciò che i denti del serpente affondassero nel filtro e Coriolanus notò che dai canini colava uno strano liquido bianco e viscoso. Notando la sua curiosità la donna spiegò che quello era il veleno e che per almeno un paio di giorni non ne avrebbe avuto altro, poi si sarebbe riformato.  Posandogli una mano sulla spalla e labbra sul lobo dell’orecchio gli sussurrò: “Più letale di un proiettile, invisibile all’occhio umano e impossibile da individuare per il palato. Il veleno è l’arma più potente che ci sia.”





Ciao a tutti! 
So che probabilmente temevate già di avermi perso, ma non disperate: questo progetto rientra nelle mie priorità e continuerò senza dubbio ad aggiornare. Purtroppo questo capitolo è stato abbastanza complesso da scrivere perchè continuava a non soddisfarmi, ma spero che essermi presa del tempo lo abbia reso migliore. Non ci sono ancora i vostri personaggi, ma entreranno in scena già dal prossimo capitolo. Ho ricevuto tutte le vostre schede e ho già dei progetti per ogni tributo. Ricordo però che ce ne sono ancora di liberi, se qualcuno vuole aggiungersi alla nave :) 

Tributi liberi

Solo maschi dei distretti: 3, 5, 6, 10, 11, 12 ricordo che dovete compilare la scheda presente nel capitolo precendete. 

A presto (presumo di pubblicare entro la fine della prossima settimana!

 

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***




 
I due volti di Panem



Le radici del male





Capitolo II



 
 
 Capitol City
 
A meno di sette giorni dall’inizio dei giochi, l’eccitazione dei cittadini era palpabile: i biglietti per assistere alla sfilata dei carri erano esauriti da mesi e gli allibratori cominciavano a sondare il terreno per capire chi, fra i tanti appassionati, avrebbe provato interesse nello scommettere sui vincitori.
Quell’anno più degli altri gli strateghi sentivano la pressione del lavoro: per i venticinquesimi Hunger Games era necessaria un’arena ad effetto, con minacce in grado di tenere il pubblico con il fiato sospeso e, soprattutto, di soddisfare l’esigente Presidente che, proprio quel lunedì mattina si aggirava inquieto nelle sue stanze cercando di mettere a tacere la sua coscienza.
“Romolus smettila di tormentarti e vieni qui accanto a me.” Cercò di convincerlo sua moglie con voce suadente.  Erano da poco passate le dieci e sedeva con le gambe piegate sul loro letto con lenzuola di seta. “So a cosa stai pensando e ti assicuro che non c’era altro modo per mettere a tacere quel malcontento generale, se non con un’edizione straordinaria.”
Il Presidente si massaggiò la barba, come d’abitudine nelle situazioni critiche, ammirando il panorama dalla finestra. “Prendere dei bambini e lasciare che si uccidano nell’arena è già di per sé spietato, ma obbligare gli adulti dei loro distretti a scegliere i candidati per questi giochi mi sembra un’immensa crudeltà.” Bofonchiò più rivolto a se stesso che non alla consorte.
“Non vorrai mica sospendere tutto, vero caro?”
Quell’insinuazione lo spronò ad indossare la sua tipica maschera di indifferenza lasciando che i suoi sentimenti tornassero a nascondersi negli angoli più reconditi del suo cuore.
“Ovviamente no. Gli Hunger Games sono un male necessario e non permetterò a nessuno di eliminarli, vorrei solo…” Lasciò la frase in sospeso, sorseggiando il suo caffè, per poi abbottonarsi la giacca e posare un delicato bacio sulle labbra della moglie. “Ci vediamo questa sera. Se vedi Coriolanus ricordagli che pranziamo insieme.”
Lei annuì, osservando il marito uscire dalla stanza, quindi estrasse un portagioielli dal comodino; al suo interno Alyssa riposava tranquilla.


 
Distretto 1
 
Quando Connie Tidol sfidò apertamente Marble nella palestra dell’Accademia nessuno faceva particolare caso a loro: non era raro che i ragazzi si allenassero in coppia, ma dopo un paio di sferzate ognuno aveva interrotto le sue attività per assistere a quello che sarebbe diventato il duello del secolo. Le loro gambe scattavano ancor prima che chiunque avesse il tempo di prevedere la mossa successiva e i loro piedi seguivano una danza nota solo a loro. La diciottenne dai capelli castani non intendeva certo cimentarsi in uno scontro amichevole ed ogni sua stoccata pareva pensata per ferire. La spada a due lame volteggiava nell’aria e riuscì addirittura ad incidere il viso del giovane Marble che però seppe come riprendere il controllo. I rumore delle armi era l’unico suono percepibile, ogni respiro trattenuto in attesa di scoprire se Connie avrebbe avuto il coraggio, o l’incoscienza, di ferire il suo avversario e se lui, d’altro canto, sarebbe stato in grado di metterla a tappeto. Nessuno lo scoprì mai perché l’arrivo del professor Ketch fece disperdere la folla. I due combattenti non volevano cedere, ognuno convinto di essere il migliore.
“Tidol, Anderson, smettetela subito!” Urlò il docente, intromettendosi. “Avrete tempo per lottare quando sarete nell’arena, ma fino alla mietitura non vi permetterò di avvicinarvi nuovamente ad un’arma.”
I ragazzi provarono a protestare, ma lui non volle sentire scuse e con una mossa a sorpresa riuscì ad atterrare Connie, costringendola a lasciare la presa sulla spada. “Marble negli spogliatoi, per oggi hai finito.” Con una mano indicò la direzione da seguire e lo studente annuì, lanciando un ultimo sguardo di sfida alla sua compagna. Lei si sistemò la coda di cavallo e riprese con rabbia la spada.
“Anche tu sei dispensata dai tuoi allenamenti.”
Connie gli lanciò un’occhiata insofferente e rispose: “Sai benissimo che avrei potuto ucciderlo, ma non avevo nessuna intenzione di ferirlo, ci stavamo solo allenando.”
Ketch si asciugò qualche goccia di sudore con un fazzoletto candido, non del tutto immune al fascino della sua allieva. “Temo che tu sia diventata un po’ troppo spavalda da quando sei riuscita a battermi, ricorda che nell’arena non sarai l’unica a sapersi destreggiare con una spada.”
Lei annuì, svolgendo alcuni esercizi di rilassamento dei muscoli: sapeva che non sarebbe stato facile vincere i giochi, ma era sicura delle sue abilità.



 
Distretto 2
 
“Voglio un carotaggio qui” indicò un punto sulla mappa “ma prima si deve mettere l’area in sicurezza, temo che senza dei sostegni la roccia potrebbe cedere, perciò massima prudenza.”
I suoi operai annuirono, le facce sporche per il duro lavoro e le espressioni stanche dipinte sul viso. Il capo del cantiere gli pose una domanda, ma il suo sguardo catturò un particolare che gli fece dimenticare persino il lavoro: una macchia rossa e un vestito giallo, esattamente come quello indossato la mattina  da Ava. Trovò una scusa per allontanarsi e inseguì la macchia di colore. Raggiunse una zona in cui la montagna diveniva più scoscesa e le sporgenze coprivano gran parte della visuale, ma nonostante ciò riuscì ad individuare i capelli ramati e l’abito limone. Trattenne a stento un’esclamazione di sorpresa perché Julius Carver avrebbe potuto immaginare qualsiasi cosa, ma non si aspettava di certo di vedere la sua primogenita appartata con un minatore. Sorrise tra sé e sé, fiero che sua figlia non si facesse problemi ad abbattere le barriere sociali, quindi se ne andò per lasciar loro un po’ di intimità.
 
Emilius avrebbe voluto avvicinarsi alla ragazza sussurrandole parole dolci all’orecchio, ma quando vide la sua mano, sporca di polvere, accostarsi al viso ambrato di Ava provò ribrezzo per se stesso. Abbassò il braccio, portandolo lungo il fianco, il pugno stretto con rabbia. Stupita dalla sua reazione, la giovane gli si avvicinò e lui non poté fare a meno di restare incantato dai suoi magnetici occhi verdi.
“Cos’è che non va?” Domandò Ava preoccupata, allungando le dita affusolate per carezzargli i capelli corvini. Emilius si sottrasse a quel contatto, imbarazzato.
“Sono io a non andare.” Un sassolino parve aver catturato tutta la sua attenzione e cominciò a giocherellarci con la punta della scarpa. “Guardami!” Sollevò lo sguardo verso di lei. “Lavoro nelle miniere di grafite, torno a casa stanco e sporco e non sarò mai come quei ragazzi che frequentano l’Accademia e che passano ore davanti allo specchio per essere perfetti ai tuoi occhi. L’intero popolo maschile del distretto ti brama e tu invece perdi tempo con uno come me.”
Ava si avvicinò a lui, senza permettergli di scacciarla, e posò le dita sulle sue labbra, carezzandole con tenerezza, quindi lo baciò senza esitazioni, lasciandolo senza fiato.
“Non mi importa degli altri, io voglio solo te. Ti amo, Emilius Clark.”
 


 
Distretto 5
 
Da anni era stato abolito il coprifuoco, ma Benjamin non aveva nessuna intenzione di passeggiare per il distretto quando ormai il sole era calato perché con il buio i suoi peggiori incubi tornavano a tormentarlo. Lorraine non sapeva dei sogni che ogni tanto lo svegliavano nel cuore della notte madido di sudore, ma era consapevole che, da quando era tornato a casa dopo aver vinto i giochi, qualcosa in lui era cambiato. Gli prese la mano e quel contatto parve rilassarlo.
“Secondo te questa sera ci sarà la corrente?” Gli chiese la ragazza per distrarlo e lui scosse la testa rassegnato: il più delle volte erano le candele a scacciare le ombre del suo passato.
Lorraine pensò a Capitol City, cercando di immaginare come fosse e quali meraviglie serbasse, ma quello era un argomento che non doveva mai essere toccato, perciò si morse il labbro e tentò di trovare un argomento di conversazione più interessante. Stava giusto per raccontare al fratello ciò che era successo quella mattina a scuola quando, con la coda dell’occhio, intravide un ragazzo appoggiato contro un muro. Non le piaceva impicciarsi dei fatti altrui, ma le pareva che si trattasse di Kole Wheeler e si chiese cosa vorticasse nella sua folla testa per abbracciare una parete quando si accorse che, nascosto dal corpo del diciottenne, vi era un altro ragazzo.
 
Kole non si accorse di Lorraine e probabilmente anche se l’avesse vista non l’avrebbe riconosciuta perché frequentava una classe inferiore rispetto alla sua e soprattutto perché per lui non rappresentava una persona particolarmente interessante. Ciò che invece reputava molto più avvincente era il fiato caldo di Jack sul suo collo, mentre facevano l’amore. Si incontravano sempre in qualche strano luogo poco frequentato e trascorrevano i pochi momenti felici della loro esistenza. Kole strinse le mani intorno alla schiena del fidanzato, mordendogli giocosamente il collo. Jack emise un grugnito di piacere e con destrezza gli abbassò la zip dei pantaloni.
“Ti amo.” Gli sussurrò all’orecchio, dopo aver percorso la linea della mandibola con la punta del naso. A quelle parole il cuore di Kole parve fermarsi, mentre la parola tradimento risuonava nella sua mente. Tentò in ogni modo di scacciarla, ma il suo segreto non voleva saperne di restare tale e le sue labbra avrebbero voluto dischiudersi per raccontargli la verità, invece che riempirlo di baci. Perciò posò le mani sul torace del compagno, consapevole che i muscoli che guizzavano sotto i suoi palmi avrebbero potuto trovarsi appiccicati al suo corpo, e con un gesto che richiese estrema forza di volontà si discostò da Jack. Richiuse la patta dei pantaloni con un gesto secco e cercò di reprimere l’eccitazione al pensiero di ciò che sarebbe potuto accadere.
“Cosa stai facendo?” Sibilò l’altro alquanto indispettito: aveva atteso quel momento a lungo e non intendeva rinunciarvi.
Kole si scostò una ciocca di capelli dal viso e con rammarico inventò una scusa per potersi allontanare in fretta in furia, mentre la sua mente gli ricordava che ancora una volta aveva mentito all’unica persona che amasse veramente.
 
Distretto 7
 
Nonostante il suo metro e sessanta scarso, Abigail emanava un’aura di superiorità che metteva sempre a tacere chi le stava intorno. Quella mattina sfoggiava un vestito blu e un’aria agguerrita sul viso. Attraversò la mensa a passo deciso e con altrettanta sicurezza sbatté il vassoio del pranzo sul tavolo di Samuel Ivrasil. Subito serpeggiò un moto di sorpresa e tutti gli alunni presenti nella mensa cominciarono a sussurrarsi confidenze. Il ragazzo sollevò gli occhi al cielo, prevedendo l’arrivo di una qualche scocciatura e ruminò l’ultima foglia di insalata solo per il piacere di far attendere Abigail. Negli ultimi mesi si era abituato a pranzare da solo e quel giorno avrebbe sicuramente preferito mantenere quella consuetudine, ma lei aveva altri progetti. Gelò con lo sguardo tutti i curiosi, che improvvisamente ritrovarono interesse per il bollito stopposo.
“Ivrasil credo che tu sappia benissimo perché sono qui.” Annunciò come se non ci fosse nulla di più scontato al mondo. Il giovane non comprese e sollevò le sopracciglia.
“Vuoi davvero fingere che non saremo i due candidati per la mietitura?” Lo incalzò nuovamente.
Lui si strinse nelle spalle, posando la schiena contro la sedia ed incrociando le braccia davanti al petto. “Ciò che credo non ti riguarda e non ho sicuramente intenzione di parlarne con te.”
La giovane si scostò i capelli e prese un’abbondante forchettata di verdura. “Guardati intorno.” Diete un’occhiata generale alla sala per rendere la sua esclamazione più plateale. “Solo qualche tempo fa eri circondato di amici ed ora fingono di non conoscerti, io sono l’unica con cui puoi aprirti, soprattutto considerando che le nostre vite sono destinate ad intrecciarsi.”
Samuel strinse i pugni per scacciare la rabbia, ma effettivamente quelle frasi avevano un fondo di verità: i suoi compagni di divertimenti lo ignoravano e nel distretto chiunque lo guardava con sospetto. Quella mattina una ragazza si era avvicinata a lui e, con una risata di scherno, gli aveva domandato quale sarebbe stato l’obiettivo del suo prossimo furto, perciò valutò che almeno Abigail era onesta e non intendeva prendersi gioco di lui.






Ciao a tutti, eccomi un po' meno in ritardo rispetto alla scorsa pubblicazione. So che attendete con ansia le mietiture e vi assicuro che anche io non vedo l'ora di scriverle, ma mi sembrava giusto creare quello che chiamo "capitolo di transizione" in cui cominciare ad entrare in confidenza con alcuni tributi. Attualmente siamo a meno di una settimana dai giochi e per certi personaggi era necessario mostrare alcuni eventi antecedenti alla mietitura. Non preoccupatevi se i vostri tributi non sono ancora presenti, nel corso della storia ci saranno svariati capitoli di transizione per presentare al meglio ogni partecipante. Dal prossimo capitolo (che non ho ancora idea di quando riuscirò a terminare) ci saranno le mietiture. 

Avviso importante: 
Non ho le schede dei tributi maschi del 3, del 6 e dell'8 e della femmina del 9, non so se non mi siano stati inviati o se sia io ad averli persi nella marea di messaggi che mi sono arrivati, perciò per favore inviatemi le schede entro tre giorni a partire da ooggi, altrimenti creerò io stessa quei personaggi. 

Avviso importante bis: 
Mi mancano i tributi maschi del distretto 10, 11 e 12 chi li vuole prenotare (anche chi ha già altri tributi, ma ho bisogno delle schede entro tre giorni per poter procedere con le mietiture).
 

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