L'odio alla ricerca della luce

di lmpaoli94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Codice d'onore? In fono noi siamo solamente amici ***
Capitolo 2: *** Brutalità e rimpianti ***
Capitolo 3: *** Il portiere che non ti aspetti ***
Capitolo 4: *** Decisioni difficili ***
Capitolo 5: *** Spaccature ***
Capitolo 6: *** La rivolta ***
Capitolo 7: *** Nel segno della protesta ***
Capitolo 8: *** Una speranza troppo lontano ***



Capitolo 1
*** Codice d'onore? In fono noi siamo solamente amici ***


Un’altra giornata difficile stava per cominciare.
I ragazzi come me non potevano andare a scuola perché non se lo potevano permettere.
Essendo l’ultimo di tre fratelli, non potevamo godere di nessun principio.
Madre casalinga e padre operaio, stando sempre attenti a non cadere nel vortice della droga.
Un business che ti fa diventare ricco subito, ma che nasconde insidie e morte sempre dietro l’angolo.
Abitavamo in uno dei quartieri più malfamati d’America: il Bronx.
Non riuscivamo a cambiare casa o vita perché era già abbastanza difficile per noi della famiglia e anche se c’era mio fratello più grande che contribuiva a lavorare a fianco a mio padre, riuscivamo a rimanere a malapena a galla.
Nessuno voleva avere a che fare con noi, nemmeno la polizia.
Infatti facevano di tutto per stare alla larga da questo quartiere, mentre la delinquenza era fuori controllo da troppo tempo. Da troppi anni.
Ma in fondo dovevamo vivere in qualche modo e perché piangerci addosso quando cercavamo di essere felici.
Ormai c’eravamo abituati alla vita di persone che giravano intorno a noi, dunque perché stupirsi?
Appena avevo aperto gli occhi quella mattina avevo subito sentito spari dal palazzo proprio dinanzi al mio.
Curioso com’ero (in fondo avevo appena 14 anni), scorsi dalla finestra della mia camera un uomo che aveva appena ucciso sua moglie.
Le sue mani sporche di sangue erano un segno evidente anche a metri di distanza.
Dopo tutti quegli anni passati in questo misero quartiere, non mi stupivo più di nulla.
L’unica cosa che mi poteva sorprendere era la bontà che le poche persone di questo quartiere potevano manifestare.
Ma in fondo eravamo tutti dei luridi egoisti mentre attraversavamo le strade di un luogo che sembrava l’inferno sulla terra.
Mentre mia madre mi richiamò a gran voce, non potei vedere il criminale come avesse nascosto il corpo di sua moglie.
Non li conoscevo assolutamente quei due individui, ma avevo subito capito che erano marito e moglie.
Non chiedetemi il perché lo pensavo: mi piaceva pensare ad una famiglia che apparentemente poteva essere felice. Ma poi… ecco il colpo di grazia di una vita dannata.
Non potendo rimaner a spiarlo ancora per molto, mi ritrovai dinanzi a mia madre mentre mi scrutava con sguardo serio pieno di rimprovero.
< Steve, cosa stai facendo? >
< Niente, mamma. Mi sono appena alzato. >
< Ti ho chiamato molte volte. Perché non mi rispondi? >
< Perché non ho sentito. >
Ma nel momento che anche lei aveva guardato fuori dalla finestra, mi prese per un orecchio come se avessi meno di dieci anni.
< Non mi hai sentito perché eri impegnato a spiare i vicini. È vero?! >
< Non volevo farlo! giuro! >
< Lo sai qual è il miglior modo per vivere, Steve? Farsi gli affari propri. E tu dovrai incominciare da questo momento se non vuoi cacciarti nei guai. Ora vieni a fare colazione. Tuo padre deve parlarti. >
Con la testa china per l’imbarazzo e la paura dei miei genitori (soprattutto di mia madre) raggiunsi la cucina con tutta la famiglia al completo.
Quando il gruppo era al completo, quella cucina sembrava molto più piccola del solito.
Magari fossero solo questi i problemi della vita… In fondo i miei genitori, per quanto fosse possibile, non mi avevano mai fatto mancare nulla.
Tre pasti al giorno (s’eppur si mangiava spesso le solite cose), un tetto sopra la testa, una famiglia amorevole (sempre nei limiti perché se sgarravi o facevi qualcosa di male, le buscavi sonoramente) e soprattutto ti proteggevano dai guai.
Perché quando ti ritrovavi in strada in un quartiere come questo, la tua vita è sempre appesa ad un filo.
Possono toglierti di mezzo senza che tu te ne possa accorgere. E dopo a chi la dai la colpa? Al criminale o al destino?
Molti morivano così ogni giorno, ma in fondo questa era la vita.
Ci sarebbero molti modi per descrivere l’ambiente in cui vivo e dormo ogni giorno, ma la storia di questi giorni va ben oltre la descrizione.
Ognuno di noi desiderava essere libero e andare contro leggi impossibili, come quelli tra bianchi e neri.
Perché un bianco non poteva essere amico di un nero e viceversa? Cos’è che davvero lo frenava? L’odio verso una razza inferiore? Che cosa, mi domandavo.
Anche se ero ancora molto piccolo per capire, per certe cose sono dovuto crescere molto in fretta.
< Steve, avvicinati a me > fece mio padre.
< Che cos’ho fatto di male? >
< A parte spiare uno dei tanti criminali di questo quartiere? Ancora niente… Sai che oggi è il tuo primo giorno di lavoro come fornaio? Ho dato la mia parola ad un cliente che tu ti saresti presentato. Non pensare di andare a fare un giro con il tuo amico nero sottraendoti ai tuoi doveri. Mi sono spiegato? >
< C’andrò, papà. Ho dato la mia parola. >
< Allora dimmi, cosa sono questi stracci? >
< Purtroppo non ho di meglio da metterti. >
< Che cosa vuoi dire? Che non sei sodisfatto dei tuoi vestiti?! Trova qualcosa di più decente! Subito! >
Rispondere a mio padre non era mai una buona idea.
Doveva sempre avere ragione lui, oltre che l’ultima parola.
Nessuno della mia famiglia mi aiutava, soprattutto i miei fratelli.
Ero considerato la pecora nera di questa famiglia e di conseguenza perché perdere tempo nel domandargli se potevano aiutarmi oppure no?
Dovevo cavarmela da solo. Come sempre.
Alzandomi da tavola mangiando solo un pezzo di pane duro, mio padre mi gridò contro dicendomi se sapeva dove si trovava il forno dove avrei iniziato a vendere il pane.
< Dietro casa nostra. Ormai so i nostri luoghi che frequentiamo. >
< Devi essere lì tra un’ora esatta. Vedi di non fare tardi, capito? Dove stai andando?! >
< A cercare un vestito buono da mettermi. Tanto qui non mi aiuta nessuno. >
Senza ascoltare le risposte dei miei genitori e dei miei fratelli, sapevo che l’unico che poteva aiutarmi era il mio amico di colore Trevor.
Sapevo che potevo contare sempre su di lui e di conseguenza lui poteva contare su di me.
Ci aiutavamo e ci rispettavamo a vicenda, seguendo dei codici d’onore che per noi erano tutto.
Ma in fondo che cosa ne volevo sapere io? Ero solo un bambino di quattordici anni che non ha potuto andare a scuola.
Rimarrò ignorante, pensavo ogni volta.
Ma in fondo in questi anni non mi sarebbe pesato. Ma tra qualche tempo^? Forse sarebbe stato tutto diverso…
Poi mi domandavo: che cosa avrei fatto nel corso della mia vita? Mio padre si impegnava a trovarmi dei lavori socialmente utili, anche se poco retribuiti.
Lui voleva assolutamente che io fossi indipendente, mentre voleva lavorare con gli altri miei fratelli: un altro segno che io ero la pecora nera della famiglia.
Ma non me ne facevo una gran colpa: in fondo non avevo fatto niente.
Non volendo concentrarmi sul mio futuro che a prima vista era un vero schifo come il mio presente, raggiunsi in strada il mio amico Trevor mentre passava dinanzi al mio palazzo.
< Ciao, Trevor. Come va? >
< Tutto bene, Steve. In fondo sono ancora vivo > ribatté divertito il ragazzo.
< Ahahah sì, è vero… Senti, so che sono un vero egoista, ma ho bisogno di un favore. >
< Dimmi tutto, amico. >
Spiegandogli che avevo bisogno di un vestito elegante, Trevor non si sottrasse al mio più grande desiderio di quel momento.
< Davvero? E ce l’avresti anche della mia taglia? >
< Questo non lo so, Steve. Puoi passare da me a provartelo, se vuoi. >
< Mi piacerebbe tanto Trevor, ma i miei non vogliono che io venga a casa tua. >
Capendo subito la mia paura che un bianco non può stare insieme ad un nero, Trevor mi assicurò che nel suo appartamento e nel suo palazzo non c’era nessuno alle prime ore del mattino.
< Tutti in strada a fare compere o al lavoro. Siamo al sicuro. Non preoccuparti. >
Non volendogli dire di no, accettai felice, stando molto attento a non arrivare in ritardo.
< Tuo padre ti ha trovato un nuovo lavoro? >
< Sì. Inizio tra meno di un’ora nel forno sotto casa. >
< E sei contento del tuo nuovo impiego? >
< Non lo so, Trevor. Non so più cosa pensare… Il mio più grande desiderio è andare a scuola proprio come fai tu. Ma io e la mia famiglia non possiamo permettercelo. >
< Mi dispiace tanto, Steve. Se potessi fare qualcosa… >
< Lascia stare. Se è davvero questo il mio destino, lo perseguirò senza problemi. >
< Parli come se fossi un condannato a morte. >
< Perché è così, Trevor… E in questo quartiere non sono il solo. >
Non volendo tornare sull’argomento, Trevor pensava solo al suo presente e alla vita che aveva da offrirgli.
In fondo, anche se andava a scuola, era felice di avere un amico come me,.
Certo, non me l’aveva mai confessato, ma in qualche modo riuscivo a leggere i suoi pensieri.
Dopotutto, ci conoscevamo da quasi dieci anni: un’eternità per un ragazzo adolescente come me.
Fino a quel giorno siamo sempre riusciti a stare lontano dai guai.
Ma presto i guai avrebbero bussato alle nostre vite e non ci avrebbero mai abbandonati.
Non voglio continuare ad essere ripetitivo nel parlare del quartiere in cui sono nato e in cui vivo, ma se c’è un posto in questo mondo per due ragazzi innocenti come noi, allora forse sognare non è poi un’utopia.
“Utopia… non so nemmeno cosa significa. L’ho ricercata nel vecchio dizionario di casa e ogni tanto la uso nelle mie frasi. Imparare deve essere davvero molto bello. Ma non posso e non devo pensare alla scuola.
Devo pensare al lavoro e alla mia sofferenza che dovrò patire nel primo giorno di lavoro.
Perché sapevo bene che c’è sempre qualcuno che vuole rovinarti la vita, e i miei primi problemi non sarebbero stati i miei superiori, ma i ragazzi più piccoli e molto più cattivi di me.
Se vivi in un’ambiente ostile, pieno di delinquenza, violento dove la tua unica condanna è respirare, allora non hai altra scelta che far valere la legge del più forte: alzare la voce contro gli indifesi e bullizzarli fino allo sfinimento.
Non vedevo altro che maltrattamenti dinanzi a me e certe volte desideravo non vedere.
Per questo quando dico che sono dovuto crescere in fretta, vuol dire che la mia unica speranza dio sopravvivere è cercare di fare la voce grossa, stando molto attento al vortice del crimine che è sempre pronto a gettarti da una spirale dove una volta entrati, è impossibile uscire.
Ma in fondo a tutte queste parole e pensieri, c’era solo una persona che mi aiutava ad andare avanti e ad assaporare il lato migliore della vita: il mio amico Trevor.

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Capitolo 2
*** Brutalità e rimpianti ***


Sentivo un profondo senso di paura invadermi la mente.
Giunto in una via del quartiere popolata dalla maggior parte da gente di colore mi sentivo come se fossi in trappola.
Anche se ero in compagnia del mio amico Trevor, sentivo che prima o poi sarebbe successo qualcosa di molto grave.
< Steve, che cosa stai aspettando? >
Visibilmente titubante, mi apprestavo a cambiare idea al riguardo.
< Trevor, non dovevamo… >
Ma mentre rimasi impalato dinanzi al portone del palazzo dove Trevor abitava, il portiere dell’edificio ci viene incontro con fare minaccioso.
< Trevor. Che significa tutto questo? >
< Non so di cosa sta parlando, signor Bell. >
< Hai forse intenzione di prendermi in giro? Il tuo amico non può rimanere qui. >
< E’ solo venuto a prendere qualcosa a casa mia. Poi toglieremo il disturbo. >
< Allora non ci siamo per niente capiti: voi qui non potete stare. >
Trevor, insistendo al riguardo, non mi avrebbe mai cacciato per nessun motivo.
< Trevor, andrò al lavoro con i vestiti che ho addosso. Non ti devi preoccupare per me. >
< Assolutamente no. Non puoi presentarti con quegli stracci. Adesso vieni nel mio appartamento e ti prenderai il mio miglior vestito per la chiesa. >
Non potendo cambiare idea in nessun modo, mi decisi di accettare per non tardare più del dovuto.
Ma quando Trevor si apprestava a seguirmi, il portiere del suo palazzo lo bloccò una seconda volta.
< Steve, raggiungi il mio appartamento. Io vengo subito. >
< Sei sicuro che non hai bisogno di una mano? >
< Devo solo parlare con il portiere. Ci metterò poco. >
Rimanendo a distanza di sicurezza per non farmi vedere dal mio amico e dall’impiastro del portiere, riuscivo a sentire tutto quello che potevano dirsi.
< Trevor, se la tua famiglia viene a sapere… >
< Nessuno verrà a sapere niente, Signor Bell. E molto dipende anche da lei. >
< Se pensi che io rimanga in silenzio, ti sbagli di grosso. >
< Signor Bell, lei deve capire che Steve è mio amico e farei qualsiasi cosa per lui, aiutandolo in ogni frangente. >
< Davvero? E credi che il tuo amico farebbe lo stesso? >
< Certo. Lei non sa l’amicizia che ci ha legato in tutti i questi anni. >
< Non voglio sapere i tuoi affari privati, ma l’amicizia che ti lega con quel ragazzo bianco deve finire alla svelta, altrimenti finisce male. Appena qualche uomo bianco verrà a sapere dalla vostra amicizia profonda, non ci metterà molto a punirvi. >
< Perché i bianchi vorrebbero distruggere la nostra amicizia? Non ha senso. >
< Credi che questo mondo abbia senso, Trevor? Sei solo un ragazzo di 14 anni. Non sai ancora bene come va il mondo, e sicuramente non sarò io che te lo spiegherò. Ma se vuoi farti delle amicizie, meglio se li fai con i tuoi simili. I bianchi non sono nostri amici. Loro uccidono e distruggono tutto quello che costruiamo. Il loro odio risale da molti secoli e vedere tu insieme a quel ragazzo, non farà altro che peggiorare la situazione. Mi devi ascoltare, Trevor. Per il bene di tutti. >
< Lei cosa centra in questa situazione, Signor Bell? >
< Sono il portiere di questo palazzo, Trevor. Sono venti anni che lavoro qua dentro. E non permetterò che la mia vita venga rovinata dalla tua amicizia. Mi sono spiegato? >
< La smetta di dire cose senza senso, Signor Bell > replicò Trevor con tono insistente < Io e Steve rimarremo amici. Che le piaccia oppure no. Puoi parlare anche con i miei genitori, se vuole. Ma sappia che non mi fa paura. Non mi potranno tenere nascosto e imprigionato per tutta la mia esistenza. >
Mentre Trevor cercava di tutto per prendere le mie difese, io non sapevo cosa pensare al riguardo.
In fondo il suo portiere aveva ragione: la nostra amicizia era solo la miccia di un odio radicato nella mente dei miei simili.
La mia famiglia e tutte le altre persone di questo quartiere malfamato, non avrebbero mai permesso che io e il mio amico potessimo essere felici.
< Adesso devo proprio andare, Signor Bell. Il mio amico Steve ha bisogno di me. >
Non replicando alla risposta del mio amico, Trevor mi raggiunse il più velocemente possibile senza dirmi niente al riguardo.
< Hai sentito tutta la conversazione? > mi domandò il mio amico.
Non volendo fare la figura dello stupido, mi limitai a fare un cenno d’assenso con la testa.
< Non voglio tornare sull’argomento. E nessuno mi farà cambiare idea su di te. >
< Grazie, Taylor. Questo significa molto per me. >
 
 
Una volta entrato nell’appartamento del mio amico, mi resi conto di non essere mai stato a casa sua.
Sapevo che Trevor era di famiglia benestante, ma il lusso che vidi andava ben oltre la mia conoscenza-
< Trevor, il tuo appartamento è bellissimo > mormorai sorpreso < Perché continui a rimanere qui nel Bronx? Tu e la tua famiglia potete aspirare a un quartiere molto diverso da questo. >
Trevor, fissandomi con sguardo serio e sincero, si limitò a dire che la sua famiglia aveva ormai fatto radici in questo luogo.
< Questo appartamento appartiene alla mia famiglia da generazioni. Non vogliamo per nessun motivo dimenticare le nostre radici… E poi come potrei stare senza di te? >
Contento dalle continue parole piene d’affetto nei miei confronti, distesi il mio viso con un sorriso.
Andando in camera del mio amico, Trevor mi fece vedere il suo vestito migliore.
Indossandolo con molta accuratezza, vidi che mi stava alla perfezione.
< E’ davvero bellissimo, Trevor. >
< Ti ringrazio. Puoi tenerlo fino a fine giornata. Me lo restituirai quando avrai finito il tuo turno al forno, d’accordo? >
< Ho una paura matta di sciupartelo o di strappartelo. Se ciò dovesse accadere, non potrei mai perdonarmelo. >
< Tu non ci pensare, ok? Adesso meglio che raggiungi il tuo posto di lavoro. io invece devo andare a scuola prima che sia troppo tardi. >
Passando di nuovo dinanzi al portiere del palazzo, Trevor e il Signor Bell si squadrarono una seconda volta, senza però dire una parola.
< Trevor? Andiamo? >
< Sì. Arrivo. >
 
 
Appena entrai nel forno in cui dovevo iniziare a lavorare, la titolare dell’attività mi squadrò malamente con sguardo attento e severo.
< Tu sei Steve Richards? >
< Sissignora. Sono io. >
Mentre i suoi occhi si spostarono verso l’orologio, potei vedere anch’io di essere in perfetto orario.
< Dove hai trovato quel vestito? >
< E’ il vestito che uso per andare in chiesa > mentii.
< Davvero? Eppure non ti ho mai visto nella casa del Signore… Anzi, non ho mai visto né tu né tutta la mia famiglia. >
< E’ solo un semplice vestito che usiamo nelle occasioni speciali. Non sono forse perfetto? >
Facendosi una grossa risata per le mie parole, la titolare replicò dicendomi che non era luogo adatto per lavorare in un forno.
< Pensavi davvero che avresti fatto il commesso? Lavorerai con mio figlio a fare il pane. Di conseguenza questo vestito è assolutamente fuori luogo. >
< Ah, capisco… Ma non avrebbe un grembiule in modo che io non possa sporcarmi? >
< Certo. Lo troverai nello sgabuzzino. >
< Grazie, signora. Mi metto subito al lavoro. >
Ma anche se mi apprestavo a raggiungere il retro dell’edificio, la titolare non smetteva ancora di fissarmi.
< Signora, posso fare qualcosa per lei? >
< Mi domandavo come la tua famiglia si potesse permettere un vestito del genere. Eppure credevo che fosse una famiglia povera… Il vestito che hai addosso, sembra appena uscito dalla sartoria. >
Irritato dai suoi sospetti, replicai che non si doveva impicciare dei miei affari.
< Tuo padre è un brav’uomo. Sono sicuro che non avrebbe mai rubato un vestito del genere… Ma tu, Steve? Tu saresti capace di fare qualsiasi cosa. >
< Farò finta di prenderlo come un complimento > risposi tagliando corto < Adesso posso iniziare a lavorare? >
< Sì, vai pure. Togliti subito dalla mia vista. >
 
 
Quando tornai a casa, sentivo tutta la fatica che attanagliava il mio corpo.
Mettendomi subito a sedere sul divano, mia madre mi squadrò malamente per i vestiti che avevo indosso.
< Steve, dove hai preso quella roba? >
< Me l’ha prestati… >
Non volendo rivelare le mie intenzioni, decisi di non rispondere a mia madre.
Ma avendo un sesto senso sulle cose dei propri figli, mia madre arrivò alla conclusione che qualcuno di molto vicino a me, mi aveva prestato il vestito.
< Te l’ha prestato il tuo amico Trevor, non è così? >
< Mamma, ti prego. Non ne voglio parlare. >
< Rispondi subito alla mia domanda! > gridò mia madre < Se tuo padre ti vede vestito così… >
< Cos’è che non dovrei vedere? >
Improvvisamente, lo sguardo di mio padre si fece rancoroso e rabbioso.
< Steve, che cazzo c’hai addosso? >
< E’ solo un prestito, papà. Domani lo riconsegnerò. >
< Ah, davvero? Credi che vestito così ti possa dare un’aria così importante? Ebbene, sei solo uno stupido fallito! >
Mettendomi le mani addosso per strapparmi il vestito tra le mani, mio padre riuscì nel suo intento mentre mia madre e gli altri miei fratelli mi fissavano senza fare niente.
< Sei uno sciocco! Chiedi aiuto ad un negro per risolvere i tuoi problemi?! Se il tuo amico è così ricco, per lui non sarà un problema comprare un nuovo vestito. >
< No! non farlo! >
Strappandomi la giacca, la camicia e i pantaloni che avevo in dosso, mio padre lì getto per strada dalla porta della cucina, rinchiudendomi subito dopo in camera mia.
< Stasera non mangerai. Così avrai tempo di riflettere cu cos’hai fatto. Mi hai capito?! >
Piangendo dalla disperazione per come si era conclusa la mia giornata, il cibo era il mio ultimo dei problemi.
Non era riuscito a mantenere la promessa di riconsegnare il vestito.
E oltre a sentirmi un debole, mi sentivo distrutto anche nell’orgoglio.
Non ero riuscito a difendermi e ciò mi rendeva rancoroso e rabbioso.
Ma la mia vendetta non avrebbe aspettato molto, andando contro al volere di un intero quartiere di tutta una nazione.
Ma questa è una storia che si evolverà solo più avanti.

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Capitolo 3
*** Il portiere che non ti aspetti ***


Non volevo più rimanere in quella casa.
Violenze, maltrattamenti e altre cose che mi facevano sentire sempre più a disagio, rendevano la mia vita un vero inferno.
I miei fratelli facevano finta che io non esistessi, mentre i miei genitori non aspettavano altro che prendersela con me per futili motivi e farmi capire che ero la pecora nera della famiglia.
Tutto questo andò avanti per troppi anni, portandomi a pensare che non mi volevano assolutamente bene.
Non avevo nessun posto dove nascondermi e mi sentivo più solo che mai.
Per non parlare che il giorno dopo dovevo scusarmi con il mio amico Trevor per avergli rovinato il suo vestito.
Sì, perché anche se era stato mio padre a fare quella cosa abominevole solo perché avevo chiesto un favore ad un ragazzo di colore che non ci ha pensato due volte ad aiutarmi, dovevo essere io a sistemare la situazione.
Quel vestito era molto costoso e trovarne uno uguale e comprarlo era assai impossibile.
Non mi ero mai ritrovato in quella situazione e il mio odio sarebbe andato contro ogni aspettativa.
Erano le sei di mattina ed io non avevo dormito per tutta la notte.
Avevo una gran fame a causa della cena saltata solo la sera prima.
Mio padre sapeva essere crudele quando volevo, senza mai dimostrare un minimo di pietà per me.
Non volevo rivederlo quella mattina, decidendo di alzarmi presto per andare al lavoro assai in anticipo.
Ma quando attraversai la cucina per prendere qualcosa da mangiare, venni sorpreso da mia madre.
< Che cavolo stai facendo, Steve? Pensavo che tu fossi un ladro. >
< Avevo una gran fame, mamma. Non riuscivo più a resistere senza mangiare qualcosa. >
Divorando alcuni biscotti che trovai nella credenza, mia madre non fece niente per fermarmi.
< Ti sei meritato questa punizione. Non devi accettare i favori dal tuo amico Trevor. >
< Sono stato io a chiedere il suo aiuto. E lui non mi ha voltato le spalle come avrebbero fatto tutti. >
< Lo sai perché non vieni accettato dalla gente del Bronx? Perché tu sei amico di quel ragazzo. Noi bianco dobbiamo lasciare stare la gente di colore. Portano solo guai. >
< Solo perché tu e tutti gli altri credete che sia una razza inferiore, non vuole dire che siano cattivi. >
< Steve, tu non vuoi capire… >
< Capisco bene, invece. Il vostro odio vi annebbia la vista. Sarete voi ad incorrere in grandi guai. >
Non volendo più discutere con me, mia madre mi disse di fare silenzio per evitare di svegliare tutta la famiglia.
< Non potrai mettermi a tacere, mamma! Presto le cose cambieranno e vi ricrederete tutti. >
< Che cosa sta succedendo qui? Che cos’è tutto questo baccano? >
Mio padre, facendosi avanti con sguardo tenebroso e rancoroso, cercò di incutere tutto il timore di cui era capace.
< Grace, che sta succedendo? Parla! >
< Stavo parlando con Steve. Tutto apposto, Bruce. >
Ora che lo sguardo si riversò su di me, mio padre era pronto per picchiarmi. Ancora una volta.
< Tu che cosa ci fai in piedi così presto? >
< Devo entrare al lavoro molto presto. >
< Davvero? Quindi mi vuoi forse dire che ieri ti sei comportato bene? >
< Certo che sì. Non avevo nessun motivo di comportarmi diversamente. >
< Su questo non ci giurerei. Non fai altro che combinare guai, facendoti cacciare in ogni posto in cui metti piede. >
< Non è colpa mia se le persone mi maltrattano. >
< Se vieni maltrattato, è perché te lo meriti. Sei solo un ragazzo stupido e ignorante. >
< Su questo hai ragione, papà. Ma chi devo ringraziare? Naturalmente tu, che non hai permesso all’ultimo della famiglia di studiare come hanno fatto gli altri miei fratelli. Per questo sono un ignorante. Per colpa tua, papà. >
Mancandogli ancora di rispetto, mio padre si apprestava a frustarmi con la sua cintura, ma mia madre riuscì a darmi il tempo per fuggire prima che la situazione potesse degenerare.
Vai pure, stupido stronzetto! Ma stasera dovrai tornare qui a casa. E quando ti rivedrò, ti riempirò così tanto di botte che nessuno ti riconoscerà. Nemmeno il tuo amico negro. >
Mio padre purtroppo aveva ragione.
Ero fuggito a gambe levate come se fossi un codardo.
Avevo paura di lui e di quello che poteva farmi.
La mia vita stava diventando sempre più uno schifo e tornare in quell’abitazione dove avevo sempre vissuto, avrei firmato la mia condanna a morte.
Non volevo più tornare.
Volevo scappare via da questa dannata vita.
Ma chi mi poteva aiutare?
Vagando per il quartiere mentre il sole stava facendo chino ad un’altra giornata, decisi di aspettare il mio amico Trevor uscire di casa.
Anche se mi sarei imbattuto con la sua famiglia, non avevo nessuna intenzione di andare al lavoro da solo.
Avevo assolutamente bisogno di parlare con qualcuno e l’unica persona che mi avrebbe ascoltato era proprio il mio amico Trevor.
< E tu che cosa ci fai qui? > mi domandò il portiere con tono rude < Vattene immediatamente. Non puoi stare qui. >
< E chi lo decide? Lei, Signor Bell? >
< Vuoi proprio cacciarti in guai molto seri, ragazzo. Ma perché non te ne stai tra i tuoi simili? >
< E perché lei non capisce che siamo tutti uguali? >
Fissandomi con sguardo attento, il Signor Bell era il primo (senza contare il mio amico Trevor) che non mi considerava ignorante.
< Ragazzo, tu ci vai a scuola? >
< No. la mia famiglia non mi ci ha mai mandato. Credono che sia tutto inutile ad insegnare ad uno stupido come me. >
< A parte la tua voglia di frequentare un amico di colore, non mi sembri così stupido. >
< E da cosa le do’ quest’impressione, Signor Bell? >
< Perché sei molto diverso da tutti gli altri bianchi che abitano questa zona. >
< Felice di sentirglielo dire… Le potrei fare una domanda, Signor Bell? >
< Che cosa vuoi sapere? >
< Lei è mai uscito dal Bronx? >
< No, ragazzo. Non ho mai avuto il coraggio. >
< Paura di trovare un mondo che non avrebbe avuto posto per lei? >
< Sì, esatto. Ormai le mie radici sono in questo quartiere: il mio lavoro, la mia famiglia e la mia vita in generale. Ho tutto qui. Non potrei mai cominciare una nuova vita… E poi sono troppo vecchio, ragazzo mio. Non ho il coraggio e la spensieratezza che può avere un ragazzo come te. >
< Le confesso una cosa, Signor Bell: anche se sono un giovane ragazzo, anch’io ho paura di andarmene da questo quartiere. Avrei tanta voglia di fuggire, ma dove potrei andare senza un soldo in tasca? >
< Sì, questo è uno dei tanti problemi della vita: il mancato coraggio e la mancanza di denaro… Ma credo proprio che tra un po’ di anni la penserai in maniera diversa. >
< Sempre che non mi facciano fuori prima. I criminali qui sono all’ordine del giorno. >
< Non devi pensarci, ragazzo. Hai tutta la vita dinanzi a te. >
< Quanti ragazzi hanno fatto una brutta fine prima di dire di aver vissuto il piacere della vita? Molti bambini vengono uccisi all’ordine del giorno. E per quali motivi? Solo per la crudeltà e la follia degli uomini… Noi esseri umani simo condannati a vivere in questo mondo. E non possiamo farci niente. >
< Oltre ad essere parole dette da una mente non proprio sciocca, se non ti avessi mai visto direi che tu ti voglia suicidare. >
< Oggi, per la prima volta, l’ho pensato davvero. Colpa della mia famiglia e di un amore che non ho mai avuto da nessuno… Forse questo è il primo passo per diventare una cattiva persona. Forse un giorno anch’io sarò un criminale. Chi lo sa… >
< Adesso smettila di dire sciocchezze. Tu non diventerai un criminale. E lo sai perché? Perché ti verrei a cercare e uccidere con le mie mani. >
Divertito da quelle parole che sapevano di spensieratezza, non mi sarei mai dimenticato di quelle parole.
Delle parole di un uomo che in fondo in fondo, mi rispettava per quello che ero e per il colore della mia pelle.
ma non potevo considerarlo come un amico, ma come un faro che si accendeva durante i giorni più bui, che solo da lì a poco si sarebbero manifestati sempre più insistentemente.

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Capitolo 4
*** Decisioni difficili ***


Mi sentivo solo, anche se Trevor mi guardava dalla finestra fissandomi con sguardo rassicuratorio.
Ma i suoi pensieri e le sue buone azioni non potevano durare per sempre.
< Trevor, che cosa stai facendo? > gli domandò suo padre ridestandolo dai suoi pensieri.
< Niente, papà. È tutto apposto. >
< Continui a frequentare quel bianco? >
< Quel bianco ha un nome, papà. Si chiama Steve. >
< Già… Ma non m’importa come si chiama. Io e tua madre ti abbiamo già detto un sacco di volte che devi stargli alla larga. Perché continui a darmi contro? >
< Io non voglio dare contro a nessuno, papà. Lui è un mio amico. E io non posso abbandonarlo. >
< Ci getterai in guai senza precedenti! > continuava ad insistere suo padre < Perché non ragioni?! >
< Perché questa follia del razzismo deve finire, papà! >
< Non finirà mai > mormorò invece sua madre accarezzando il viso del suo unico figlio < Trevor, io e tuo padre capiamo cosa possa significare il tuo unico amico per te. siete così simili… Ma la vostra pelle vi rende talmente diversi che non potete mai essere compatibili. >
Mentre Trevor ascoltava le parole della madre, Trevor non poté trattenere un pianto di liberazione per le sorti che gli erano toccati proprio al suo amico bianco.
< Non posso voltargli le spalle. Non ce la faccio. >
< Trevor, non ci spingere a rinchiuderti in casa. Non vogliamo farlo. >
< Adesso passi alle minacce, papà? Cos’ha fatto un uomo bianco come Steve per subire il nostro respingimento? >
< La sua razza è macchiata dagli schiavisti della sua stessa pelle… Ma conoscendo anche i suoi genitori, non possiamo avere niente a che farci. E non parlo solo dl colore della palle. >
< Non c’avremo niente a che fare comunque, papà. Però io non posso perdere un amico per colpa di un odio che dura da più di quattrocento anni. >
< Trevor, non è colpa nostra se siamo stati schiavizzati. Questa nazione non ci appartiene. E non lo sarà mai. >
Trevor, non volendo più ascoltare quelle parole piene di odio, uscì di casa sbattendo violentemente la porta per fuggire da quel palazzo pieno di restrizioni che andava a riversarsi in tutto il quartiere del Bronx.
Io, che ero rimasto, ad aspettare che potesse uscire di casa, mi dimenticai subito del suo vestito distrutto con odio da mio padre, concentrandomi sulle sue perplessità e i suoi problemi.
< Sempre i soliti discorsi, Steve. Ma adesso non ne voglio parlare. >
< Ti capisco, Trevor. Hai litigato ancora con i tuoi genitori? >
< Non sono i genitori ad essere contro di noi: ma il mondo intero. >
< Non dire così, Trevor. Non tutti in questo quartiere e nel mondo ci odiano così tanto da volerci vedere divisi. >
< Davvero? All0ora perché non mi dai un nome su chi ci vuole davvero bene? Avanti. >
Ma non volendomi venire in mente nessun nome, decisi di distogliere lo sguardo da lui quasi per nasconderlo dalla mia vergogna.
< Hai visto? Nessuno appoggerebbe il nostro legame. E ho paura che l’odio razziale si possa riversare in tutto il Bronx. E in quel momento dovremmo combattere non solo contro i genitori, ma contro migliaia e migliaia di persone. >
< Quindi tu stai pensando che sarebbe meglio non vederci più? >
< Non lo so, Steve. So soltanto che ho bisogno di rimanere solo per riflettere. E questa volta lo dovrò fare senza di te. >
Spostando incondizionatamente il pensiero di Trevor, mi alzai dallo scalino del suo portico per lasciarlo solo senza riuscire a voltarmi verso di lui.
Ora più che mai, in quel momento mi sentivo davvero solo.
 
 
Arrivato al lavoro in perfetto orario, la titolare del forno mi squadrò subito malamente come se volesse uccidermi da un momento all’altro.
< Perché sei così triste, ragazzo? Non sei felice di lavorare per me? Molti farebbero follie per avere un lavoro remunerativo come il tuo, sai? >
< Ho solo avuto una brutta giornata, Signora Jackson > mi limitai a dire troncando il discorso
< Per quale motivo? Forse io so dirti la risposta. Ma sono sicura che non ti piacerà. >
Le parole della titolare destarono non pochi sospetti nella mia mente, ma alla fine decisi di non ascoltarla per concentrarmi sul mio lavoro.
< Steve, perché non parli? Sei forse un tipo molto riservato? >
< Non ho voglia di parlare, Signora Jackson. Sono già abbastanza in ritardo. >
< Non cercare di sviare il discorso e dimmi che cosa ti succede. A meno che tu non voglia che lo faccia io… >
Non volendo rispondere in nessun modo, mi limitai a raggiungere la donna dietro il bancone per attendere i primi clienti che sarebbero entrati nel locale.
< Sei stato dal tuo amico negro, vero? Ancora non capisco come un ragazzo come te si possa confondere con una razza molto inferiore alla nostra. Che cosa ci trovi d’interessante in lui? Siete forse… >
< E’ un mio amico, signora. Non credo che ci sia niente di male in tutto questo. >
Mentre la donna stava ridendo forzatamente, il mio nervosismo divenne sempre più palpabile.
< Vuoi forse prendermi in giro, Steve? Vuoi dirmi che sei inferiore ai negri? T’immagini se lo sapessero in tutto il quartiere? Tutte le gang si unirebbero per ucciderti a sangue freddo, ragazzino. Un uomo bianco non può essere amico di un nero. Peccato che i tuoi genitori non te l’abbiano fatto capire. Eppure sono una coppia così intelligente… I tuoi fratelli non sono come te, vero? >
Spazientito dalle sue parole, iniziai ad inveire contro quella donna con tutta la forza che avevo in corpo.
Gli urlai contro che non doveva permettersi di parlare del mio amico0 in quel modo e che la sua amicizia era la cosa migliore che mi era capitata in tutta la mia vita.
< Quindi tu sei un negro dalla pelle bianca? >
< La smetta di fare stupide congetture, signora. Io non capirò mai perché voi bianchi odiate così tanto gli uomini di colore. Che cosa vi hanno fatto? >
< Son0o degli schiavi, stupido! > gridò di rimando la donna mentre mi aveva messo con le spalle al muro < E se non credi nei valori della tua razza, allora non puoi rimanere in nessun modo a lavorare qui da me. Vattene immediatamente prima che io ti butti fuori a calci. >
Non avrei mai immaginato che potessi arrivare a quel unto.
La follia stava per prendere una strada alquanto tortuosa verso la distruzione, mentre il mio umore era completamente distrutto.
< Lei non può licenziarmi perché sono amico di un… >
< Posso eccome visto che sono la tit0olare di questo forno. Ti consiglio di non mettere piede qua dentro, altrimenti non te la caverai così facilmente. E dì ai tuoi genitori che non devono più avere a che fare con me e questo forno, capito? I bianchi non possono mischiarsi con i neri. E la tua famiglia è una di queste. >
Non volendo più ascoltare altro, sfogai la mia rabbia distruggendo tutto quello che mio capitava tra le mani.
Il bancone come tutti i pasticcini e il pane che era stato preparato la notte finì per terra mentre la donna cercava di fermarsi come meglio poteva.
Non riuscendo a sopportare il suo odio che aveva toccato la mia famiglia, la mia vendetta si rivelò più spietata del previsto.
Il locale era totalmente irriconoscibile, mentre l donna era fuggita per poter chiamare la pulizia.
Non rendendomi ancora conto di quello che avevo fatto, decisi che era meglio scappare per non farmi trovare con le mani nel sacco.
ma ormai quella donna mi aveva vista ed era solo questione di tempo prima di finire spedito in prigione, o peggio ancora nelle mani della mia famiglia.
Se mio padre avesse scoperto tutto (e prima o poi sarebbe successo) mi avrebbe ucciso con le sua mani.
Non avevo nessun riparo in quel momento e nascondermi tra i vicoli malfamati del Bronx era una cattiva idea per un giovane ragazzo di 14 anni come me.
Non potevo nemmeno chieder aiuto al mio amico Trevor, pensando che stava per prendere la decisione definitiva che mi avrebbe per sempre voltato le spalle.
Mi sentivo solo: ero nato solo e stavo affrontando la mia vita in completa solitudine.
Nessuno sarebbe corso in mio aiuto, fino a quando una luce brillante in un cielo tanto oscuro quanto torvo, mi venne incontro con il suo sorriso implorante ma sincero.
< Che cosa stai facendo? > mi domandò.
< MI sto nascondendo > ribattei adirato < Adesso vattene, altrimenti mi scopriranno. >
Ma la giovane ragazza, presumo della mia stessa età, non mi voleva lasciare in pace.
< Ti posso aiutare, se vuoi. devi solo seguirmi. >
< Perché vorresti aiutare un tipo come me? Non mi conosci neppure. >
< Ci sarà tutto il tempo per conoscerci, non ti pare? Vuoi davvero rimanere nascosto in questo punto? Guarda che alla fine ti troveranno e i tuoi guai saranno solo all’inizio. >
< Ma chi sei tu?! che cosa vuoi da me? >
< Hai mai ascoltato le parole di una ragazza sincera prima d’ora? >
Riflettendo su quelle parole, mi limitai a fare un cenno di no con la testa, mentre la polizia stava per giungere nel vicolo in cui mi stavo nascondendo.
< Ti giuro che non te ne pentirai. Promesso. >
Acconsentendo al suo aiuto tanto strano quanto miracoloso, alla fine i poliziotti riuscirono a non trovarmi, mentre la ragazza mi nascose in una cantinetta oscura e maleodorante che si trovava adiacente a casa sua.
Non avrei mai potuto dimenticare quel gesto, pensando che se al peggio non c’è mai fine, la speranza per un disgraziato come me non è poi morta come potevo pensare.

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Capitolo 5
*** Spaccature ***


Correvo. Correvo a più non posso.
Non sapevo ancora perché lo stavo facendo, ma il mio istinto mi diceva di seguire quella ragazza.
Quella maledetta donna, accompagnata dalla polizia, non voleva darsi per vinta.
Avrebbe perlustrato anche tutto il quartiere se solo avesse voluto.
Ma i poliziotti, quando pensarono che potessi essere finito nella via dei neri, allora decisero di lasciar perdere.
“Se quel ragazzo è entrato qua dentro, non ne uscirà mai vivo” fece uno sotto il mio sguardo indagatore mentre la misteriosa ragazza che mi stava aiutando non mollava ,a presa della mia mano.
Loro non sapevano che potevo contare su un aiuto.
Anche se Trevor si era allontanato da me, potevo contare su questa ragazza.
Ma quale era davvero il suo scopo? Voleva solo aiutarmi oppure voleva qualcosa da me che non riuscivo a capire?
Una volta che se ne furono andata e quella megera di donna era tornata al forno per sistemare il locale, tirai un sospiro di sollievo prima di gettare la faccia tra le mie mani.
< Adesso sei salvo > cercò di consolarmi la ragazza < Il peggio è passato. >
Sì, forse poteva avere ragione: ma quando lo avrebbe scoperto mio padre, non so se sarei uscito vivo da quella casa.
Ero peggio di un latitante e non sapevo se la polizia avrebbe rinunciato a cercarmi.
Fatto sta che avevo solo poco tempo per rilassarmi, ma prima o poi avrei affrontato il momento a pieno petto, senza più nascondermi.
Quella ragazza, di una carnagione pallida ma da un sorriso rassicurante, cercarono di alleviare le mie pene che nelle ultime settimane erano peggiorate ulteriormente.
< Nessuno aiuta qualcuno senza un secondo fine > feci con tono duro mettendo le cose in chiaro < Tu chi sei? >
< Mi chiamo Tania e vivo nel palazzo davanti al tuo. >
Io però, a differenza sua, non l’avevo mai vista prima.
< Perché mi hai salvato la vita? >
< Perché eri in pericolo. Conosco la proprietaria del forno dove fino a pochi minuti fa’ lavoravi e so benissimo che è una grande stronza. >
< Puoi dirlo forte. >
< Cerca sempre di rovinare la vita a tutti i suoi dipendenti. Per questo la maggior parte delle persone scappa una volta che mostra la sua indole. >
< Ora il problema sarà dirlo a mio padre: sarà furibondo e prenderò un sacco di botte appena scoprirà che mi sono fatto cacciare da un altro lavoro. >
< Tu non ti sei fatto cacciare: sei fuggito. >
< Fa’ lo stesso. Non ho un lavoro in cui posso guadagnare dignitosamente qualcosa. Il mio futuro è appeso ad un filo. >
Mentre la ragazza non mi molava gli occhi di dosso, riusciva a comprendere tutto il mio dolore.
< Purtroppo non posso aiutarti a cercare un lavoro… Ma forse potrei avere le conoscenze giuste per farti entrare in fabbrica. Hai mai lavorato in quei posti? >
< No. e sinceramente non credo che prenderebbero un ragazzo di 14 anni come me? >
<14 anni? Io credevo che tu fossi molto più grande > rispose Tania sorpresa
> Perché? Tu per esempio quanti anni hai? >
< Quasi venti. Frequento l’università di New York. Ma sono qui nel Bronx per trovare una mia zia che non vedo da molto tempo. Ma c’è un piccolo problema: è una donna di colore. >
Ascoltando accuratamente le sue parole, compresi subito il suo problema.
< Sai una cosa? Io non posso frequentare il mio amico Trevor proprio perché è dello stesso colore di tua zia. Ma come può questo mondo essere così folle e disuguale? >
< E’ l’odio di noi uomini che hanno fatto sì di creare il razzismo. Siamo stati noi a rovinare la razza di colore: gli uomini bianchi sono sempre stati dei dominatori. Ma adesso che le spaccature sociali sono troppo evidenti, siamo nel punto di non ritorno. >
< Io invece non la vedo io questo modo > replicai con tono convinto < Insomma, possiamo rendere questo mondo ancora un posto migliore. Ma tutti noi dobbiamo fare la nostra parte. >
< E’ questo il nostro problema: la gente pensa solo ai suoi affari e non vuole migliorare questo mondo. Perciò ci meritiamo di soffrire. >
< Peccato che tu sia così disfattista, Tania. >
< Sono solo ottimista, ragazzo mio: ma quando arriverai alla mia età, capirai molte cose che adesso non riesci a spiegarti. >
< Sinceramente, ti ritengo una persona molto intelligente e colta. Io, a differenza tua, non posso nemmeno permettermi la scuola pubblica. >
< Che cosa? Ma questo vorrebbe dire… >
< Che sono un ignorante > la interruppi duramente
< Non volevo dire questo. >
< Ma sono sicuro che lo stavi pensando… Ma lasciando perdere, vorrei conoscere tanta gente che potrebbe pensarla come me. Invece sono circondato da gente razzista che mi maltratta e non mi da’ nessuna possibilità di dire la mia. È davvero frustrante, non trovi? >
< Sì, ti capisco. Anch’io in famiglia ho il tuo stesso problema. >
< Ma scommetto che non hai un padre violento come mio? >
< Che cosa? Tuo padre ti picchia? E tua madre? >
< Lei rimane sempre in disparte senza mai difendermi… Ma ormai ci sono abituato. E quando sarà possibile, scapperò da questo posto per un futuro migliore. Ma adesso non posso farlo senza essere un minimo indipendente. Per non parlare della mia età. Anche se sono cresciuto troppo in fretta sotto diversi aspetti, la gente mi vede ancora in maniera immatura. Non rispetterebbero mai un giovane ragazzo come me. >
< Io invece ti rispetto. Perché so che sei un bravo ragazzo… Ma a proposito, come ti chiami? >
< Sì, scusami. Non ci siamo presentati a dovere: il mio nome è Steve. >
< Ascolta una cosa, Steve: non perdere la tua visione di vita perché il mondo ha bisogno di gente come te. Magari tra un po’ di tempo ci potremmo rincontrare, rievocando questo momento molto particolare. >
< Perché dici questo? Ah giusto… Tu non appartieni a questo posto. >
< Purtroppo no. >
< Non fare la modesta, Tania. So che in fono ne sei felice. Questo luogo è pieno di criminali della peggior specie. Una giovane ragazza piena di sogni e di speranze come te non immaginerebbe mai di vivere in un luogo come questo. >
< Qui di tu ti ritieni un ragazzo che non ha nessuna speranza? >
< Ogni giorno che passa mi sento molto solo. Nessuno può davvero aiutarmi… Posso solo contare sulle mie forze. >
< Sei un ragazzo tenace, Steve, io vorrei tanto farti fuggire, ma… >
< In fondo è meglio se io e te stiamo alla larga. Insomma, potrei farti cacciare in guai molto seri. Anche se credo che a mia madre gli potresti piacere. Lei adora le persone intelligenti e ben vestite come te. >
< Ti ringrazio, Steve. >
Mentre la giovane ragazza mi fissava con occhi imploranti, lei sarebbe rimasta accanto a me in qualsiasi momento.
Ma anche se abitavamo non troppo distanti l’uno dall’altro, i nostri due mondi erano troppo lontani.
Lei una bella ragazza dei quartieri alti di New York, mentre io un poveraccio che cerca di sopravvivere nel Bronx.
Non potevamo mai essere felici, nemmeno se ci fossimo fidanzati.
Ma in quel momento ero fermamente convinto di essermi trovata un’amica: una giovane amica che non mi avrebbe mai voltato le spalle.
< Allora Tania, dove abita tua zia? >
< Nel palazzo di fronte a noi. Ma come ti ho detto prima, non è una buona idea andarci… Anzi, ancora mi sto chiedendo che cosa ci faccio qui? >
Vedendo che si trattava del palazzo in cui viveva anche Trevor, decisi lo stesso che l’avrei accompagnata senza problemi.
< Sul serio? Faresti questo per me? >
< Assolutamente sì. E poi conosco il portiere. È un uomo in gamba. Non ti devi preoccupare per il colore della tua pelle. >
Riuscendo a fidarsi di me, alla fine riuscii a convincerla con successo.
< Va bene. Ti credo sulla parola. >
Camminando tra le vie del Bronx, le spaccature che dividevano il mio mondo da quello di Tania era come se fossero state ripianate.
Ma il nostro bel momento non sarebbe durato per sempre e il risveglio dalla cruda realtà era sempre dietro l’angolo.

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Capitolo 6
*** La rivolta ***


In qualche modo dovevo ricambiare il modo in cui mi aveva salvato dalla polizia e dalla furia omicida di quella donna.
Non riuscivo ancora a togliermi dalla mente il modo in cui si era rivolta a me.
Mi aveva paragonato ad un ragazzo inutile solo perché ero amico di un ragazzo di colore e questo non potevo sopportarlo.
La mia rivolta è stata dirompente quanto distruttiva, ma presto ne avrei pagato tutte le conseguenze.
Ma essendo in compagnia di questa ragazza che sembrava un angelo disceso dal cielo, volevo guardare la mia esistenza sotto un altro punto di vista.
Arrivato di fronte al palazzo dove abitava Trevor, un senso di nostalgia mi assalì improvvisamente.
Ero molto piccolo e giocavo da solo a pallone mentre i bulli di quartiere se l’erano presa con me perché ero indifeso e senza un amico.
Ma quando la situazione stava per degenerare, un ragazzo della mia età prese le mie difese cacciando malamente quei bulli.
Un uomo nero che aveva sgominato una banda di bulletti bianchi: la notizia si sarebbe sparsa in tutto il Bronx.
Però non volevo pensare alle dovute conseguenze, ringraziando quel ragazzo per avermi salvato.
“Che cosa ci fai da queste parti? Tu e gli altri ragazzi bianchi non potete giocare in una via dove abitano gente come noi.”
“Non so perché sono giunto fin qui. È stato un caso” mi limitai a dire.
“Comunque adesso è meglio che tu te ne torni a casa. Questo luogo è molto pericoloso per uno come te. Potresti imbatterti in altre cattive persone.”
Non sapendo però come sdebitarmi per il suo aiuto, mi limitai a domandargli il suo nome.
“Perché vuoi saperlo?”
“Così. Mi sembra una cosa carino e doverosa dopo tutto quello che hai fatto per me.”
“Lascia perdere. L’avrei fatto lo stesso anche se fosse stata un’altra persona.”
“Non ne dubito. Ho subito capito che eri un ragazzo dal cuore grande.”
Colpito dalle mie parole, alla fine il ragazzo si presentò.
“Trevor. Sono stato davvero contento di averti incontrato. Avrei preferito in un’altra occasione, però se il destino ci ha fatti conoscere, forse siamo…”
“No. noi due non possiamo essere amici.”
Anche se ero ancora molto piccolo (avevo all’incirca sette anni quando incontrai per la prima volta Trevor), capivo che i bianchi e la gente di colore non andavano d’accordo.
Ma questa faccenda non poteva andare avanti per sempre: era estremamente ridicolo.
“Ma tu sei l’unico amico che ho” ribattei con tono implorante.
“Troverai altri pari che vorranno essere tuo amico. Noi non possiamo.”
Mentre la rabbia si riversò nelle mie vene, lo minaccia dicendogli che aveva paura ed era un codardo.
“Solo perché siamo di un colore diverso, perché mi respingi?”
“Perché finiremo in guai seri tutte e due!”
“E con ciò? Non pensavo che essere amico di qualcuno fosse un peccato.”
“Ascoltami ragazzo, non rendermi le cose ancora più difficili…”
“Steve. Il mio nome è Steve.”
“Ok, Steve… Lascia subito questo quartiere prima che qualcuno ti veda. Subito.”
Ma prima che me ne potessi andare, gli feci una domanda che lo lasciò momentaneamente spiazzato.
“Tu crederesti nella nostra amicizia, Trevor?”
“Come?”
“So che può essere molto prematuro dire questo, ma non voglio pensare che tu sia un ragazzo come tanti che vive nel Bronx proprio come me. Noi due possiamo essere diversi… ma molto simili.”
“Ma cosa vai dicendo?”
“Tu credi negli esseri umani, Trevor?”
“Adesso che razza di domanda mi fai?”
“Tu limitati a rispondere… Allora?”
Rimanendo a fissarmi spaesato per alcuni secondi, alla fine riuscii a scoprire che anche Trevor credeva in un mondo migliore.
Un mondo sociale dove non ci sarebbero state barriere.
Un mondo dove la pace si sarebbe diffusa ovunque, debellando per sempre le guerre e la fame.
“Sì, io credo negli esseri umani… Perché noi dobbiamo avere il coraggio di esseri umani… e non persone spregevoli.”
Udendo la sua risposta che mi aveva convinto sul suo modo di essere, mi diressi verso di lui per stringergli la mano e sorridergli di mia volta.
“Allora vedi che non siamo così diversi noi due? Il colore della pelle non deve essere un muro, ma una sorta d’incontro in cui noi possiamo essere simili. E sono sicuro che potremmo diventare grandi amici.”
E difatti, da quel momento, io e Trevor siamo stati inseparabili.
Anche se i nostri genitori non approvavano la nostra amicizia e avevano fatto di tutto per dividerci, siamo sempre rimasti insieme. Nel bene e nel male.
Ma adesso che le nostre distanze stavano diventando sempre di più insopportabili, dovevo in qualche modo ricucire il legame d’appartenenza che avevo con lui.
< Steve, va tutto bene? > mi domandò Tania riscuotendomi dai miei pensieri.
< Come, scusa? >
< Siamo arrivati al palazzo di mia zia. Ti ringrazio molto per avermi accompagnata fin qui. >
< Figurati. È stato un piacere. >
Invitandomi nell’appartamento di sua zia per prendere un tè p un caffè, mi limitai a dire che sarei rimasto qui ad aspettarla, prima di farla uscire definitivamente dal Bronx.
< Ne sei sicuro? Guarda che se il problema è mia zia… >
< No, Tania. Tua zia non è un problema > la interruppi < Voglio solo rimanere qui e salutare un mio vecchio amico. >
Capendo la mia richiesta, Tania mi salutò con un sorriso promettendomi che non sarebbe rimasta a lungo da sua zia.
< Non ti preoccupare per me. Tu prenditi tutto il tempo necessario. >
< D’accordo. E grazie ancora. >
Mentre la giovane ragazza stava salendo l’appartamento per niente intimorita d’incontrare qualcuno, chiamai a gran voce il Signor Bell mentre stava sistemando alcune pratiche del palazzo.
< E tu che diavolo ci fai qui? >
< Ho accompagnato una mia amica che ho conosciuto poco fa’. So solo che si chiama Tania ed è venuta qui per trovare sua zia che non vede da molto tempo. >
< Frequenti ancora gente diversa da te? >
< Esatto. Ma da quello che lei può pensare, non è una ragazza di colore. >
< Mi stai forse dicendo che una ragazza bianca… >
< Non darà alcun fastidio. È buona come il pane. >
< E tu come pensi di saperlo, sciocco? L’hai appena conosciuta! >
< So che posso essere molto avventato, ma cosa potrebbe fare di male? >
< Magari lei niente… Ma se qualcuno del palazzo la incontra, ci vado di mezzo io. Sei stato uno sconsiderato ad averla portata fin qui. Richiamala subito! >
< Non posso bussare alle porte di tutti gli appartamenti. >
< Come si chiama sua zia? >
< Non lo so. Non me la detto. >
Completamente furioso con me, il Signor Bell pregava che non potesse succedere niente di preoccupante, mentre mi domandava se non avevo altro da fare che aspettare quella ragazza.
< Mi hanno cacciato dal lavoro solo perché ero un amico di Trevor > risposi con tono tenue < Perché la gente si comporta con tanto odio? Non capisco. >
< Ragazzo, non credi che ne abbiamo già parlato fin troppo. >
< Lo so. Ma io voglio capire… >
< Non puoi capire come va il mondo. Nessuno lo sa. >
< Questo quartiere è la mia maledizione: non posso essere amico di chi voglio. >
< Credi forse che se tu fossi altrove la situazione sarebbe diversa? >
< Sicuramente spererei di non vivere in un quartiere malfamato e pieno di criminalità come il Bronx. >
< Va bene, lasciamo perdere il quartiere in cui vivi: il razzismo ormai si è dilagato ovunque. Sono pochi i bianchi che si mescolano con i neri senza avere problemi. Un bianco e un nero non possono vivere in armonia insieme. Né se sono amici né se sono legati in altro modo. >
< Voi gente di colore dovreste smettere di vederci come schiavisti, mentre noi bianchi dovremmo fare tutto per rendere le vostre vite sopportabili e non come una condanna. >
< Mi dispiace per quello che credi Steve, ma l’uomo di colore vi vedrà come la razza che distrgge: voi bianchi ci avete strappato le nostre case. Noi non dovremmo abitare in America, ma in Africa… Hai mai visto il film Malcolm X? >
< Sì. Alcuni mesi fa’. >
< In quel film si dicono un sacco di cose giuste sul fatto delle nostre case e delle nostre abitudini. L’attore Denzel Washington che interpreta l’uomo dei nostri diritti aveva ragione nel dire che questa terra non ci appartiene e non ci apparterrà mai. Purtroppo Steve è la realtà dei fatti. >
< Ma se noi provassimo a cambiare… >
< Tanti personaggi ci hanno provato prima di te: Malcolm X e Martin Luther King tra questi. Ma ormai il razzismo è impresso nella mente di troppa gente ed è un fatto incontrollabile. Tu puoi provare a rendere il mondo migliore… Ma per quanto tempo? >
< Finché ne avrei le forze > risposi con tono convinto.
< No. finché sarai vivo… perché alla prima occasione, ti uccideranno. >
Quelle parole, piene di ragione e di dolore, suscitarono in me un senso di paura e inquietudine che a malapena riuscivo a controllare.
Secondo le mie idee e la mia voglia di fuggire da questo quartiere per cercare una libertà e una pace tra la razza bianca e quella dei neri, mi avrebbe portato ad un destino che poteva rivelarsi alquanto tragico per me.
Non credendo però che i fatti che si susseguirono potessero essere una realtà troppo evidente, improvvisamente alcuni disordini scossero l’intero quartiere mentre urla concitate e spari di armi da fuoco risuonavano nella mia mente.
Non riuscendo a capire che cosa stava succedendo, vidi inizialmente un po’ di gente che stava fuggendo disperatamente da una carica violenta che sembrava invisibile.
Ma appena un orda di uomini incappucciati e armati fino al collo si avvicinarono verso il palazzo dove stavo aspettando la mia amica, il terrore divenne un fatto così chiaro che per poter capire quello che sarebbe successo dopo, sarebbe stato troppo tardi.

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Capitolo 7
*** Nel segno della protesta ***


Non mi ero mai imbattuto in una carica di violenza come quella che avevo dinanzi ai miei occhi.
Gente di ogni età che cercava solo di fare del casino per rivendicare il loro potere in una terra disgraziata dove le forze dell’ordine non avevano il permesso per entrare.
< Steve, che cosa sta succedendo? >
I disastri erano solo all’inizio e le preoccupazioni stavano diventando un fattore che avrebbe determinato il mio futuro.
ma da giovane ragazzo spensierato quale ero, pensai che fosse una delle tante rivolte in cui le gang dei bianchi rivendicavano i loro territori.
< Steve, allora? >
< Non lo so con certezza, Tania. Quelle persone laggiù stanno distruggendo tutto quello che incontrano sulla loro strada. >
< Oh mio Dio. È terribile. >
< Ragazzi, dovete andarvene immediatamente da qui > mormorò invece il Signor Bell < Tra poco giungeranno dinanzi questo palazzo e saranno guai per tutti. >
< Vado subito a chiamare mia zia. Non può rimanere qui. >
Ma purtroppo la fuga di noi anime perse era ormai impossibile.
Le gang di bianchi che stavano distruggendo tutto quello che incontravano era per rivendicare territori che non gli appartenevano minimamente.
Anche se i bianchi e i neri abitavano in quartieri separati, la razza bianca non capiva che il loro territorio era più vasto e più “ricco” rispetto alla razza di colore: loro volevano la supremazia, senza dimenticare che volevano uccidere qualche persona di colore.
Ma dovevo fermare tutto questo. L’odio, il rancore, il terrore di tutto quello che i miei occhi9 stavano vedendo era fin troppo insopportabile.
Ma come si poteva venire a patti con quella gente?
< Tania! Fermati! > gli gridai dietro.
< Steve, che cosa stai dicendo? Dobbiamo andarcene subito da qui. >
< Ormai è tardi. Dobbiamo cercare di far ragionare questa gente. >
< Che cos?! Tu devi aver perso il lume della ragione. >
< No, Signor Bell. Anche se a primo impatto queste persone possono essere delle bestie, sono convinto che provandoci a instaurare un rapporto serio, amichevole e senza conflitti, potremmo giungere a qualcosa di determinante. >
< L’unica cosa determinante è la tua morte, stupido. Vattene via da qui insieme alla tua amica. Alla svelta! >
Nel mentre un petardo sfiorò quasi la mia faccia, mi gettai a terra coprendomi il viso mentre la mia calma mi stava abbandonando.
Appena un gruppetto di ragazzi armati di manganelli e mazze da baseball si avvicinò a me, mi domandarono subito che cosa ci facevo in un palazzo di gente di colore?
< E’ venuto per accompagnarmi > rispose Tania per me.
< Quindi tu saresti imparentata con una persona di colore? >
< E anche se fosse? >
< Anche se fosse? Voi non potete immaginare in che guai vi state cacciando. >
Tania, visibilmente inopportuna, non avrebbe mai dovuto parlare in quel modo con quei ragazzi.
< Perché state facendo tutto questo? Che senso ha? >
Mentre mi squadravano malamente con sguardo carico d’odio, quel gruppetto di ragazzi replicarono che era solo per cacciare il popolo dei neri da questo quartiere.
< Prima il Bronx e poi tutta l’America. Non c’è posto per gente di colore nella nostra nazione fatta di democrazia. >
< E voi avete il coraggio di chiamarla democrazia? > si fece avanti il Signor Bell < Voi siete solo dei delinquenti con la fissazione di una dittatura devastante. Non potrete mai cacciarci con la forza. Siamo molto più forti e numerosi di voi. >
< Davvero? Questo lo vedremo. >
Mentre uno di loro si apprestava a tirar fuori un pugnale dalla tasca, mi stavo accingendo a fermarlo quando all’improvviso Trevor lo prese da dietro le spalle prima di prenderlo a pugni.
La sua rabbia fu talmente irrefrenabile che quasi rimasi di sasso nel vederlo come lo stava colpendo.
Tutta la gang di ragazzi bianchi rimase impietrita nel vedere il mio amico farsi valere in quel modo.
< Chi di voi due è il prossimo? >
Fuggendo a gambe levate prima di ricongiungersi con gli altri gruppetti di rivoltosi, l’esercito americano piombò nel Bronx dissipando per sempre una rivolta che sarebbe potuta sfociare in una violenza che non avevo mai visto prima d’ora.
Anche se odiavo puramente la violenza, in certi casi non c’era nient’altro da fare che rispondere con essa.
Violenza chiama violenza e sangue chiama sangue: un circolo vizioso dove la sola vittima era l’innocenza.
Mentre il mio amico Trevor mi squadrava con odio per non essere riuacito a stare alla larga da lui, fu Tania a prendere le mie difese, proprio come aveva fatto prima.
< Non avete scuse per essere venuti fin qui. Questo non è posto per voi. >
< Ascoltami bene: non so nemmeno il tuo nome, ma una giovane ragazza come me ha tutto il diritto di venire a trovare sua zia dopo che non la vede da molto tempo. Anche se ci troviamo n un quartiere malfamato come il Bronx. >
Fissando la mia giovane amica con sguardo carico d’odio, fu la prima volta che vidi Trevor così determinato a sicuro di sé.
< Ragazza senza cervello: devi capire che qui non esistono i diritto. Solo la guerra e la violenza. Nient’altro. >
< Non sono d’accordo > risposi subito di rimando.
< Steve, ti prego. Non ti ci mettere pure tu. >
< Che fine ha fatto il ragazzo che ho conosciuto qualche anno fa’? quel ragazzo che credeva nei diritti e in un mondo migliore come me? >
< Quel ragazzo non esiste più, Steve. È profondamente cambiato. >
< Sono sicuro che sono state le idee dei tuoi genitori: coloro che vogliono vederci lontani e separati. >
< Steve, devi capire… >
< Io non capirò mai questa follia! > gridai con tutta la voce che avevo in corpo < Dobbiamo alzare la voce, senza però alzare le mani. >
< Che cosa vuoi dire con questo? > domandò Tania.
< L’unico modo per farci sentire e provare a reprimere tutta questa follia è fare una protesta contro il razzismo. Ma una protesta pacifica, senza armi e nessun tipo di violenza. Perché noi siamo esseri umani… non bestie che combattono per la sopravvivenza. >
< Steve, la virtù umana non è mai esistita nel Bronx. Tu vivi ancora in un mondo di favole dove cose come la speranza e la libertà sono il tuo pane quotidiano. Ma qui non siamo fatti per vivere dignitosamente… Noi riusciamo a parlare e a comunicare solo per offendere e aumentare la nostra violenza. Per questo ci differiamo dalle bestie. Nient’altro. >
< Trevor, io sono sicuro che nel tuo cuore e nella tua mente credi ancora negli esseri umani che hanno il coraggio di essere… >
< Steve, facendo una protesta pacifica come hai pensato tu, non farebbe che aumentare il divario tra i bianchi e la gente come me. >
< Non è esatto, amico mio. Bisogna protestare uniti. Solo così potremmo dare un grande segnale. >
< Protestare insieme? >
< Certo. Solo così potremmo vivere in un mondo più giusto… Oppure volete che la violenza sia all’ordine del giorno come sta succedendo anche adesso? Rispondetemi, avanti. >
Per quanto giovane e determinato potessi essere, capivo bene la paura dei miei amici nell’affrontare un argomento così delicato che mi avevano fatto capire che il mondo può essere così crudele.
Ma se in tutta questa faccenda c’è un punto di ritorno in cui la libertà di due popoli così diversi può diventare una realtà forte e convinta, dovevo cogliere l’attimo fuggente prima che la situazione potesse essere davvero irreparabile.
< Va bene, alla fine ci hai convinto > replicò Trevor con tono esasperato < Avrai la tua protesta. >
< Splendido, amico mio! >
< Ma ad una condizione: se chiunque proverà ad istigare la violenza, avrai i morti sulla coscienza. Mi sono spiegato? >
< Perfettamente, Trevor. >
< Ma Signor… >
< Ho preso la mia decisione, Signor Bell > replicò con tono convinto il mio giovane amico < Io mi fido ciecamente di Steve. E so che non ci deluderà. >
< Anch’io mi fido di lui. Pienamente > rispose Tani distendendo un sorriso sincero.
Mentre il mio sguardo si era spostavo verso il Signor Bell, alla fine anche lui si convinse delle mie parole.
< Ho forse altra scelta? >
< Sì. Ma l’unica via giusta è quella che ho detto io, Signor Bell. >
< Va bene, Steve. Anch’io proverò a fidarmi di te. >
< Sono davvero felice di sentirglielo dire. >
< Vedi però di non farmi cambiare idea, capito? >
< Non si preoccupi. Non succederà. >

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Capitolo 8
*** Una speranza troppo lontano ***


Un clima surreale e di silenzio si riversava nell’aria come se fosse un macigno troppo grande da sopportare.
Eppure nell’aria c’era aria di primavera… e di odio.
Un odio troppo grande da sopportare, ma alla fine di tutta questa storia volevo arrivare in fondo.
Perché non importa se tu non sei un uomo importante e vivi nei bassi fondi del Bronx: l’importante è poter alzare la voce per dare un segno importante per un futuro che poteva essere molto diverso da quello che era.
In fondo volevo solo cambiare le cose ad un unico scopo, ma purtroppo non avevo fatto i conti con i nemici silenziosi che mi stavano girando intorno. Oppure sì?
Non volevo pensare alle conseguenze perché sapevo che la mia protesta indetta da amici di cui potevo fidarmi era giusta e contro la violenza.
Ma gente che abitava nel mio quartiere e molto diversa da me, non la pensava allo stesso modo.
Io camminavo tranquillo con lo sguardo serio e concentrato mentre Trevor, Tania e il Signor Bell erano appena dietro di me.
Gridando a gran voce al megafono che insieme potevamo cambiare il mondo, dovevo avere l’appoggio di tutta la gente di colore.
“Steve, tu non sei come noi. per questo non ti ascoltano.”
Il Signor Bell voleva farmi desistere in ogni modo, ma non aveva ancora capito tutta la mia determinazione.
Nessuno sapeva realmente a che punto mi sarei spinto perché non potevamo più vivere così.
E’ da quando sono nato che vedevo violenza, crudeltà, uccisioni di ogni genere… Come si poteva vivere in quel modo?
Dovevo dare una svolta e dovevo farlo al più presto.
Volevo cambiare il mondo con la speranza che tutto questo potesse essere possibile… Ma per colpa di un individuo, non sarebbe mai stato così.
Bastava poco per distruggere tutto quello che avevo costruito e che potevo costruire con i mii amici.
In fondo avevamo uno scopo in comune dopo le mie parole di convinzioni.
I pensieri mi si affollavano nella mente mentre il mio orgoglio verso di loro era incommensurabile.
Poteva essere un giorno diverso a fin di bene, ma alla fine…
Tutto ciò sarebbe arrivato nel momento in cui non me lo sarei mai aspettato perché non pensavo che potesse essere possibile.
Ho vissuto troppo poco e in un mondo in cui non mi è mai appartenuto.
E quando avrei sentito il mio spirito staccarsi dal mio corpo morente, allora ho capito che la speranza era troppo lontana.
Avevo abbandonato tutti in quella via che sembrava infinita: amici, i pochi affetti che avevo e infine la famiglia.
Non mi avrebbero più sopportato e mi avrebbero lasciato andare senza un addio.
Alla fine non ero mai appartenuto a loro perché ero solo diverso.
Avevo solo il coraggio di cambiare le cose, ma invece di supportarmi, andavano contro il mio credo.
Il tutto era cominciato quando avevo fatto amicizia con Trevor, un ragazzo semplice di colore che rispettava ogni mia scelta.
L’unica cosa che mi dispiaceva è vedere lui piangere sul mio corpo mentre le sue mani erano sempre più sporche di sangue.
Non avrei mai voluto che mi potesse vedere in quel modo, ma la follia dell’uomo andava ben altro l’istinto animale.
Dovevo morire? Era quello il mio destino sconosciuto? Allora il mondo è davvero ingiusto con me.
Perché io non volevo lasciare questo mondo: ero troppo giovane.
Ma se in un altro universo esiste un mondo dove la felicità è davvero possibile, allora è meglio che non mi faccia attendere.
Ci sarà sempre qualcuno che proverà a cambiare il mondo: magari alcuni ci riusciranno nel bene, mentre altri il male li sorprenderà uccidendoli a sangue freddo com’è successo a me.
Non voglio raccontare la mia fine triste e apparentemente senza dignità, ma spero soltanto di lasciare dei vividi ricordi all0interno di coloro che erano più vicini a me.
Il mio spirito si sentiva ancora attaccato alla mia vecchia vita, quando la protesta per un domani migliore si era trasformata in tragedia.
La gente aveva paura e non si era più azzardata a seguire i passi verso un futuro migliore: una strategia paragonata solo al terrore più infimo.
Ma perché doveva succedere tutto questo? È ingiusto!
Alla fine di tutto se i migliori se ne vanno sempre prima dei peggiori, allora il mondo in cui l’odio circonda le nostre vite sarà invisibile e spietato.
Ma non voglio ricordare la mia vita passata come un qualcosa di terribile: anche se non ho mai avuto la possibilità di riuscire a dare forza ad un cambiamento, era arrivata l’ora che gli animi agitati si potessero dissipare.
Magari è vero che uomini bianchi non potranno mai andare d’accordo con gli uomini neri.
Ci saranno altri problemi in un mondo che si sta distruggendo piano piano (cambiamenti climatici irreversibili, corruzione, il mondo dei soldi, manipolazione della mente, crisi di sovrappopolazione mondiale incontrollabile… A voi vi viene in mente altro?)
Io parlo da giovane ragazzo che ha vissuto rivolgendosi ad un momento casuale del passato mentre dovrebbe scoprire cosa gli riserva il futuro…
Perché se questa è la fine di Steve del Bronx, è l’inizio della storia della nostra vita.
Siamo pronti a cambiare il mondo? O è il mondo a cambiare la nostra immagine?
Forse non lo sapremo mai, ma c’è un detto che si conclude con la speranza: dopo i momenti di tempesta, sorge sempre il sole.
E se la tempesta viene immaginata nel momento della mia morte e del mio funerale, allora il sole si dipingerà sui nostri visi guardando un sorriso spensierato verso una persona innocente che ha bisogno dell’aiuto dei suoi simili: ha bisogno che la civiltà umana non si trasformi in bestia.
La civiltà umana ha bisogno di tutti noi. non scordatevelo.
 
 
Dopo una parentesi sulla mia visione di questa breve storia, ecco che Trevor posa gli occhi sulla mia tomba mentre fissava i miei genitori che non avevano il cuore di versare anche una sola lacrima.
Nessuno aveva la voglia di ricordare di cosa potevo essere capace, ma Trevor era diverso.
Lui mi conosceva meglio di qualsiasi altra persona e il segno tangibile del nostro primo incontro era stato dettato da un destino perfetto che mi ha fatto scoprire una brutta parola che aveva bisogno di essere cancellata dalle nostre menti: razzismo.
Lui mi ha fatto capire che un uomo bianco può essere amico di un uomo nero e questo non potrò mai dimenticarlo.
Cercherò di riposare in pace, mentre le ultime parole faranno riflettere coloro che le potranno udire:
< Steve Richardson del Bronx, residente in una via che in questo momento sfugge alla mia mente.
Un piccolo tragitto ci separava dalle nostre abitazioni, eppure era come se potessi vivere sempre con lui.
Steve, ragazzo semplice che aveva una profonda voglia di amicizia e di cambiare il mondo insieme ai suoi amici.
Ci ha fatto capire che la vita ha bisogno che abbia un senso perché sia vissuta, perché nella nostra esistenza non ci dovrebbe essere l’odio e la violenza.
Invece esiste eccome! Ed è in tutti noi!
Ora, fissando i vostro occhi tristi e seri, vedo anche il colore della vostra pelle:
Non so dire con certezza quanti possiamo essere, ma sicuramente in mezzo alla folla riesco a vedere due umili genitori che hanno voltato le spalle al loro ultimo figlio.
Solo perchè era diverso da voi e dalla maggior parte della vostra razza, non meritava l’ennesimo voltamento di spalle.
Nessuno della vostra razza si è permesso di venire al suo funerale…
Anche se Steve era un uomo bianco, dentro il suo cuore accomunava tutta l’umanità di razza così diverse da essere simili.
In questo momento capisco che la strada è ancora molto lontana, ma la speranza continuerà ad affievolire dentro di noi.
Perché anche se il cammino è ancora lungo e tortuoso, il destino accoglierà le nostre preghiere… e saremo solo noi che potremmo dare una svolta.
Non dimenticherò mai il mio amico che ha combattuto allo stremo delle forze solo per riuscire a cambiare le nostre vite.
La sua memoria non verrà mai dimenticata e presto o tardi la tempesta finirà.
Riposa in pace, amico mio. >
Trevor, per quanto le parole potessero essere toccanti e coincise, non maledisse mai l’assassino che ha stroncato la mia vita.
Lui era lì ad assistere circondato da una gang di colore che lo teneva immobilizzato.
Perché anche lui aveva bisogno di capire. Doveva sapere che aveva distrutto un futuro di libertà che poteva accomunarci tutti.
Ma in fondo non provavo rabbia e rancore verso di lui, solo tristezza e pena.
Capivo dai suoi occhi dispiaciuti che il mio spirito riusciva a vedere e contemplare.
Non c’era tempo di morire ancora in maniera così sbagliata.
Non c’era tempo di cadere ancora nel peccato.
Un nuovo giorno si prosperava verso un’alba così strana e inconsueta, mentre il Bronx sarebbe rimasto il solito quartiere malfamato  ricco di delinquenza che l’America vorrebbe tanto nascondere.
Ma i potenti non capiscono che soffocare le urla del silenzio sarebbe stato impossibile.
Dobbiamo solo immaginarci che un giorno tutto questo finirà.
Proviamo a chiudere gli occhi e ad immaginare un desiderio ricco di bontà, libertà e felicità.
Alla fine, che cosa mai potremmo vedere?
Fermiamo tutte le nostre azioni sbagliate e ragioniamo su una vita che ha davvero il piacere di essere vissuta.
Ma non per il solo piacere di essere obbligati… Ma per cercare dentro di noi che il bene alberga anche se non lo vediamo.
Ora accomuniamo il nostro compito di cambiamento senza pensare alle mie dovute conseguenze di morte, perchè voglio pensare che uniti tutti insieme, sarà impossibile ucciderci tutti.
Il male prima o poi dovrà cessare le morti ingiuste scomparire per sempre.
Ma i pensieri che faccio adesso sono un modo per guardare il mondo sotto un’altra prospettiva.
Perché sognare è lecito, ma compiere è doveroso.

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