Do I wanna know

di _ A r i a
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Before and now ***
Capitolo 2: *** Changes and routine ***
Capitolo 3: *** Good intentions and bad habits ***
Capitolo 4: *** Tears and wounds ***
Capitolo 5: *** Hopes and dead-end streets ***
Capitolo 6: *** Truths and worries ***
Capitolo 7: *** Fears and hazards ***
Capitolo 8: *** Faith and wishes ***
Capitolo 9: *** Epiphany and determination ***
Capitolo 10: *** Love and death ***
Capitolo 11: *** Epilogue – Do I wanna know ***



Capitolo 1
*** Before and now ***


Do-Iwanna-know

Baby we both know
That the nights were mainly made for saying things
that you can’t say tomorrow day.
Artic Monkeys — Do I Wanna Know


Broadway, Boston, 27th January
h. 04:03 p.m.


Il suono dell’ultima campanella della giornata risuona ancora nell’aria, mentre giovani studenti esausti si riversano nel piazzale all’ingresso del rinomato istituto Cambridge Rindge and Latine School.
Ragazzi che stringono tra le dita gli spallacci delle cartelle, mentre un gruppo di loro compagne si allontana compatto, risa che vengono portate via dal freddo pungente di gennaio.
Caleb picchietta la punta dell’indice sulla sigaretta, una nuvoletta di fumo che si alza verso il cielo, mentre residui di cenere svolazzano indisturbati in direzione del suolo, nel loro cadere così simili a fiocchi di neve.
Tutto sommato, quella davanti ai loro occhi è una scena pacifica, che a lungo hanno vissuto in prima persona, mentre adesso si limitano ad essere spettatori di quel teatro.
Uno sbuffo spazientito si leva alle spalle del leader della banda.
«Dobbiamo aspettare ancora molto, Caleb?» cantilena la voce impigrita di David.
Caleb Stonewall sogghigna malevolo. Detesta il modo in cui i suoi sottoposti siano incapaci di seguire gli ordini, eppure, in tutto ciò, non riesce ad ignorare il divertimento nel rimetterli in riga ogni volta.
«Cos’è, hai forse paura del giudizio dei tuoi ex compagni di classe, David?» li ammonisce infatti, poco dopo, ostentando una divertita crudeltà che non del tutto gli appartiene. «Se ci tenevi così tanto, potevi evitare di unirti a noi. Comunque manca poco, ormai.»
David fa roteare gli occhi, per poi sollevarsi il cappuccio della felpa sulla testa. Joe gli lascia una pacca simpatetica sulla spalla, il che spinge il turchino ad espirare lentamente e con un’intensità appena maggiore che in precedenza, sperando di non scatenare nuovamente le ire del capo della banda.
Ovviamente, però, quel mutamento nel respiro di David non passa inosservato a Caleb.
«E, per la cronaca, mi pare che vi avessi chiesto di restare in silenzio – o sbaglio?» domanda, a tal proposito, di lì a breve.
«Non ho parlato!» si difende David, gli occhi color ruggine che scintillano ricolmi di stizza.
«Ora no, ma poco fa sì, idiota» lo rimbecca Caleb, senza perdere l’occasione. «Adesso non è il momento di occuparci di questo, ne riparleremo una volta alla tana.»
Il ragazzo si volta per un momento in direzione dell’ingresso e, non appena i suoi occhi incontrano la figura che stava cercando, una scintilla d’eccitazione gli attraversa lo sguardo.
Eccola lì, eterea la sua presenza, i capelli lilla che ondeggiano lentamente a ritmo del vento, mentre il freddo le fa subito arrossare le guance. Ha una sciarpa sottile avvolta attorno alla gola candida, mentre la giacca di tweed fascia con eleganza le sue forme piccole ma sode, senza soffocarle. Ha un sorriso luminoso che le splende sul volto, mentre discorre allegramente con una sua compagna di corso – probabilmente in merito a qualcosa che dev’essere avvenuto durante quella mattinata di lezioni.
«È lei» annuncia Caleb, in tono conciso.
Avverte distrattamente i suoi compagni affilare lo sguardo e allungare il collo in direzione dell’ingresso, ma non ci fa caso. Ormai è perso nei suoi pensieri: si chiede come potrebbe essere se adesso, al posto di quella ragazza, potesse esserci lui, ad ascoltare i suoi racconti, a ridere con lei. Immagina il dorso della sua mano che, con un gesto casuale, sfiora il tessuto candido del vestito che indossa, sotto la giacca blu. Può quasi sentirne la morbidezza tra le dita, e questo potrebbe bastare a farlo impazzire completamente.
Perché sì, ormai Caleb è consapevole di star perdendo del tutto il senno della ragione, eppure non è convinto che la cosa gli importi. Quando ha deciso di mettere su quel gruppo di giovani scapestrati si era imposto di lasciare fuori i sentimenti, di non farsi coinvolgere sentimentalmente da niente e da nessuno.
E poi aveva incontrato lei.
«Beh, cavolo, è carina, capo!» commenta Joe, accompagnando la frase con un fischio di approvazione.
«Certo che è carina, dubitavate forse del mio gusto in fatto di ragazze?» replica Caleb, con un’espressione soddisfatta, mentre si rimette in piedi.
Nel frattempo, la ragazza dalla chioma violetta è sparita tra la folla.
David si lascia sfuggire un nuovo sospiro annoiato, ancora seduto sui gradini di pietra dell’ex biblioteca, situata proprio davanti alla scuola che frequentava con assiduità, fino a pochi mesi prima.
«Bene, l’hai vista, possiamo andare, adesso?» domanda, di lì a breve. «Fa freddo.»
«Però quando siamo con lo skate alla ferrovia abbandonata non lo senti il freddo, eh?» lo provoca Caleb. Tuttavia, per evitare la successiva replica lamentosa di David che già immagina – qualcosa del tipo “Il freddo non lo sento perché con lo skate faccio movimento!” – si affretta a concludere:«Ad ogni modo, l’avete vista. Ora possiamo andare»
Sente distintamente David mormorare alle sue spalle “Era ora!”, tuttavia Caleb decide di non prestarci troppa attenzione, non subito perlomeno. Avrà modo di occuparsene, una volta tornati alla tana, abbondando ancora una volta con l’alcol sulle sue ferite.
Sorprendentemente, però, non è David la prima persona ad alzarsi, subito dopo di lui.
«Io devo entrare a recuperare una cosa che ho lasciato nel mio armadietto, l’ultima volta» annuncia una quarta persona, il cappuccio scuro calato sul volto.
Caleb si volta nella sua direzione, un’espressione dubbiosa stranamente dipinta in viso.
«Uhm?» domanda infatti, confuso. «Va bene, basta che ti muovi.»
La figura col cappuccio annuisce, per poi scendere in fretta i gradini e schizzare verso la scuola. Gli altri tre, invece, restano ad attenderlo all’ingresso, piuttosto sicuri del fatto che il loro compagno abbia appena rifilato loro una balla colossale.
Jude è consapevole del fatto che gli vengano lasciate tutte quelle libertà solo perché è il vice leader, ma in fin dei conti gliene importa relativamente poco. Finché questo gli avesse permesso di ricevere i vantaggi di cui aveva bisogno, non vedeva il motivo per cui avrebbe dovuto preoccuparsi.
I suoi passi veloci riecheggiano nella tromba delle scale, mentre percorre uno ad uno quei gradini che conosce così bene. Arrivato al pianerottolo del primo piano gli sfugge un salto sul posto, evidentemente per salire aveva preso uno sprint troppo veloce, dunque si affretta a recuperare una certa compostezza, per poi avviarsi lungo il corridoio centrale, con passo sempre svelto ma adesso decisamente più adagio.
Mentre cammina, getta furtivamente uno sguardo a destra e a sinistra, controllando che tutte le aule siano vuote. Rivedere quei banchi, che fino a qualche giorno prima lui stesso occupava, è un vero pugno allo stomaco, tuttavia il ragazzo cerca di concentrarsi su qualcos’altro.
Sta giusto per raggiungere l’ultima aula del piano, ma di colpo Jude è costretto a rallentare, quando ha ormai superato la penultima classe già di qualche passo. Torna indietro, non è sicuro di aver visto bene, eppure ben presto i suoi dubbi trovano conferma.
Il professor Dark è lì, le maniche della sua camicia bianca arrotolate fino ai gomiti, gli occhiali da riposo dalle lenti tondeggianti, piccole, sottili e trasparenti poggiati sul naso. È immerso nella lettura di un compito, probabilmente non si è neppure accorto del suono della campanella.
Jude entra con impeto nella stanza, facendo trasalire l’uomo.
«Jude…!»
«Dobbiamo parlare.»


Broadway, Boston, 2nd October
h. 09:47 a.m.



«Ricordami perché lo sto facendo, ti prego.»
Caleb si trascina dietro due secchi di vernice, con aria svogliata. Davanti a sé, Jude procede spedito, stringendo tra le dita il manico di un singolo recipiente, apparentemente senza alcun tipo di sforzo. Il ragazzo si volta di scatto, con un ampio sorriso sul volto.
«Riqualificazione dell’edificio.» Jude riattacca con la solita solfa, e probabilmente Caleb vorrebbe ammazzarlo per questo. «L’amministrazione cittadina ha messo a nostra disposizione dei nuovi edifici, che possiamo usare a scopo didattico. La scuola ci permette di usufruirne, a patto che a sistemarli siamo noi studenti.»
Caleb si arresta sul posto, poggiando i secchi a terra solo per potersi schiaffeggiare la fronte con una mano.
«Dio, Jude, essere fidanzato con quello ti ha fritto definitivamente il cervello al punto che hai iniziato a parlare come una circolare?» gli domanda poco dopo, con un sorrisetto cinico.
Jude si limita a fulminarlo con lo sguardo, per poi voltare il capo in direzione dell’ingresso dei locali. Ray li attende lì davanti, in piedi sui gradini di pietra bianca, le braccia conserte e un sorriso apprensivo dipinto sul volto. Questo basta a tranquillizzare in un solo istante il ragazzo: ora che finalmente il nuovo anno scolastico è iniziato, non ha più niente da temere. È riuscito a far tornare sulla retta via quegli idioti dei suoi compagni, per cui l’unica cosa di cui debbano preoccuparsi adesso sono gli esami di fine anno. Poi dopo, chissà, magari potrebbe esserci perfino Harvard ad attenderlo.
Il pensiero fa allargare sorprendentemente il sorriso sul volto di Jude. S’immagina assieme a Ray, in un appartamento all’interno della città universitaria, alzarsi al mattino e prendere un cappuccino da sorseggiare in bicchieri di cartone lungo la via dell’ateneo, parlando nel mentre del più e del meno. È ancora indeciso su quale facoltà frequentare, e lui e Ray devono definire ancora alcuni dettagli – ad esempio se l’insegnante si presenterà all’università in veste di docente o di ricercatore –, tuttavia Jude è certo che insieme riusciranno a risolvere qualsiasi problema. Già in passato sono stati in grado di superare un ostacolo non da poco come quello della banda, per cui in confronto questo dovrebbe essere un gioco da ragazzi.
Caleb riprende a camminare, così a Jude non resta altro da fare che seguirlo; in realtà, poco dopo, entrambi sono costretti a fermarsi nuovamente, poiché hanno ormai raggiunto la loro meta. Insieme ad altri ragazzi, infatti, dovranno occuparsi di ritinteggiare la facciata esterna del nuovo edificio.
Un’impalcatura in tubi d’acciaio è posta alla loro destra, e su di essa è stata posata una tavola in legno: serve principalmente come sostegno, infatti alcuni ragazzi ne hanno approfittato per poggiarvi sopra alcuni pennelli già pregni di pittura.
Caleb si inginocchia a terra, aprendo con un solo rapido gesto il secchio di vernice; il ragazzo osserva il colore con un’espressione leggermente contrariata in volto.
«Che schifo questo celeste, è troppo chiaro» brontola, diffidente.
Jude, nel frattempo, recupera un pennello, facendolo muovere nell’aria con una rotazione del polso. «Come se l’avessi scelto io» ribatte, poco dopo, spostando il peso del corpo da un piede all’altro, con fare canzonatorio.
Caleb sbuffa, come se una mosca fastidiosa gli stesse ronzando attorno, tuttavia decide di non dare soddisfazione a Jude, così si limita a non raccogliere la sua provocazione e a immergere il proprio pennello nella pittura.
Jude, d’altro canto, sorride soddisfatto: un tempo Caleb non avrebbe perso tempo per raccogliere quella lieve punzecchiatura e trasformarla in un valido motivo per attaccare briga; ora, invece, sembra aver capito che non è più tempo per quei giochi. In effetti, in quell’ultimo periodo pareva che Caleb fosse molto maturato, e di questo Jude non può che esserne lieto. È piuttosto sicuro che quel cambio radicale di atteggiamento sia dovuto all’influenza benevola che Camelia riesce ad avere sul proprio ragazzo, tuttavia Jude decide di non infierire oltre: in fondo, quella momentanea calma non gli dispiace affatto.
Il ragazzo si affretta ad imitare l’amico, immergendo a sua volta il pennello nella vernice e iniziando a passarlo sul vecchio muro scrostato dell’edificio. Jude riflette in fretta che quella è un’attività piuttosto rilassante: stancante a lungo andare, certo, eppure mentre il pennello prosegue lungo le sue traiettorie lui può dedicarsi nel frattempo a ben altri pensieri. Finisce infatti per andare avanti a memoria, le sue mani che si muovono in automatico, mentre volta la testa di lato e gli occhi si puntano sulla figura di Ray. L’uomo, al momento, è impegnato a supervisionare tutte le varie attività in corso nel piazzale, tra le mani il progetto delle lavorazioni. È, apparentemente, soprappensiero, gli occhi persi in quelle carte. Jude si domanda quante altre volte l’abbia visto così, assorto, perso nella lettura di qualcosa, eppure si ritrova ad ammettere a sé stesso che, con ogni probabilità, non si stancherebbe mai e poi mai di osservare quella scena.
Un colpo alla testa arriva a destarlo dai suoi pensieri poco dopo. Caleb lo osserva, un’espressione divertita dipinta in volto.
«Stavi per finire col pennello nella mia porzione di muro» lo schernisce, talmente trova esilarante la situazione in cui ora si trovano. «Che c’è, stavi forse pensando a qualcos’altro?»
Le guance di Jude si colorano appena di rosso, tuttavia il ragazzo tenta comunque di dissimulare il proprio imbarazzo.
«Ti sbagli» ribatte infatti, poco dopo. «Mi sono solo distratto un po’, tutto qui.»
Caleb si china in direzione di Jude, rendendo più basso il suo tono provocatore, affinché la loro conversazione non sia udita dagli altri ragazzi presenti.
«Te l’ho sempre detto che sei pessimo a raccontare balle» lo ammonisce infatti, prontamente. «Che dici, ce la fai a staccare gli occhi di dosso dal tuo prof sì o no?»
Jude sgrana gli occhi,  metà tra la sorpresa e l’indignazione, salvo poi lasciar prevalere quest’ultima: intinge rapidamente il pennello nella vernice, per poi tracciare una linea cerulea lungo l’avambraccio di Caleb.
Per un breve istante, la stessa espressione che poco prima si era formata sul volto di Jude compare anche su quello di Caleb; prevedibilmente, tuttavia, quest’ultimo finisce per ripetere la stessa azione dell’amico, cancellando il sorriso fiero che già si era impadronito delle labbra dell’altro.
Quella piccola scintilla, in maniera piuttosto ovvia, finisce per scaturire una breve quanto intensa battaglia tra i due ragazzi, senza vincitori né vinti e con l’unico risultato per entrambi di un disastroso pasticcio di colori sulla loro pelle. Perlomeno, nel mentre, sul volto di entrambi torna il sorriso, ecco perché Ray non sembra affatto intenzionato a fermarli: dopo tutto quello che avevano dovuto passare nei mesi precedenti, è il minimo che possano finalmente divertirsi un po’.
Per il resto, la mattinata prosegue in fretta e tranquillamente, senza ulteriori colpi di testa di Jude e Caleb né di altri ragazzi. Per l’ora di pranzo, ormai, almeno metà della prima facciata è stata abbondantemente tinteggiata, e sia i ragazzi che gli insegnanti che supervisionano l’andamento delle attività sembrano piuttosto soddisfatti del risultato.
A breve ci sarà la pausa pranzo, perciò gli studenti, che iniziano ad avvertire la stanchezza dopo tutte quelle ore di tinteggiatura, lasciano andare i loro pennelli sui muri con molta meno lena che in precedenza.
Proprio in quel momento, tuttavia, la campanella che determina la fine delle lezioni della mattina risuona nell’aria, facendo sì che le teste di tutte le persone presenti nel piazzale si voltino in direzione dell’ingresso. Le prime classi iniziano ad uscire da lì a breve, giovani del primo anno che, finalmente liberi dalle lunghe ore di lezioni, si lasciano sfuggire sbadigli o profondi sospiri di sollievo.
Gli occhi di Caleb saettano tra la folla, vagando da una parte all’altra alla massima velocità, senza mai fermarsi. È evidente che stia cercando qualcuno, senza però – almeno all’apparenza – trovarlo.
Quando anche gli ultimi studenti sono scesi giù dai bianchi scalini marmorei, lasciando l’ingresso vuoto – se non per la bidella che si appresta a chiudere il portone – Caleb abbassa lo sguardo, sconsolato.
«Sono giorni che Camelia non si presenta a scuola» ammette, prima che Jude possa chiedergli qualsiasi cosa.
Il ragazzo si sente in effetti preso un po’ in contropiede; l’assenza di Camelia è un fatto strano, di solito la ragazza è così diligente che verrebbe a scuola perfino con la febbre. Jude si rende conto che, tuttavia, probabilmente deve essersi sentita poco bene, non riesce ad immaginare un altro motivo per cui si sarebbe potuta assentare. Resta comunque una circostanza alquanto bizzarra: se davvero non si fosse sentita bene avrebbe avvisato Caleb, no?
Jude si sente però in dovere di rassicurare l’amico; poggia perciò una mano sulla sua spalla, rivolgendogli un sorriso incoraggiante.
«Vedrai che sarà tutto a posto» commenta infatti. «Magari è solo un po’ raffreddata e ha preferito non venire a scuola per non contagiare i suoi compagni. In ogni caso puoi sempre chiamarla per sentire come sta, no?»
Caleb si limita a sorridere mestamente, annuendo appena, lo sguardo ancora basso. Jude è il primo a non sentirsi convinto delle proprie parole, si rende conto tuttavia che non è mai stato bravo a risollevare il morale agli amici.
Lancia uno sguardo in direzione di Ray. Lui se la sarebbe cavata sicuramente meglio, in una situazione del genere – Jude ha ormai perso il conto delle volte in cui l’uomo gli ha fatto tornare il sorriso. Eppure questa volta, quando i loro occhi si incontrano, legge in quelli del professore solo una cieca necessità di parlargli.
E, apparentemente, quelle che ha da dargli non sono buone notizie.
per poi inoltrarsi nelle tenebre insieme agli altri due.





Angolo autrice

Se tre anni fa mi avessero detto che Dark Necessities avrebbe avuto un seguito mi sarei fatta una sonora risata in merito. Purtroppo, però, nel 2017 ho peccato d'ingenuità, così, complice la fretta che avevo di scapparmene dal fandom, ho commesso una leggerezza. Mesi dopo mi sono ricordata che, prima di pubblicare DN, avevo postato una os, in cui avevo accennato a delle tematiche che sarebbero dovute essere presenti nella long, ma che, ovviamente, mi ero dimenticata. Così, sul finire di quello stesso anno, iniziai un lavoro che mi sono portata dietro per anni, tra stop più o meno lunghi e le mie varie pare mentali. Mi bloccavo perché ero insoddisfatta del risultato, perché avevo paura che la storia non fosse all'altezza della precedente e molte altre sciocchezze. Tutto questo è andato avanti per due anni e mezzo, finché, il 31 maggio scorso, mi sono decisa a mettere la parola fine a questo progetto. Sicuramente avrei potuto fare di meglio, e continuo a vivere nel terrore di essermi dimenticata qualcos'altro, per cui per me essere qui significa già vincere una grande battaglia.
Dubito che qualcuno che ha seguito la precedente storia frequenti ancora la sezione, ergo se leggete oggi questa potreste non aver chiare alcune dinamiche. Credo di averle chiarite tutte nel corso dei vari capitoli, però in caso di dubbi non esitate a contattarmi.
Questa storia sarà più lunga e articolata della precedente. Alcune cose resteranno invariate, molte altre invece cambieranno
– e per giunta a breve. Per quanto riguarda gli aggiornamenti dei vari capitoli non vorrei spoilerarvi niente, ma se seguivate la vecchia storia potreste già immaginare quale sarà la cadenza, visto che no, quella non cambierà (come ho lasciato invariata anche la formattazione, se ci fate caso). Un piccolo suggerimento: c'entra un numero molto caro al mio beloved Trono del Muori.
Altra cosa che non è cambiata: la formattazione. Sebbene nel corso degli anni le mie abilità di editing siano migliorate, ho deciso di lasciare tutto invariato come omaggio alla prima storia e anche come ideale filo di collegamento. Anche il banner, in effetti, ha delle somiglianze con quello vecchio, principalmente il font e la sfocatura.
Sul prologo in realtà non ho molto da dire, perché più che altro mi è servito
– chiaramente – ad introdurre la vicenda e a farvi reimmergere nell'atmosfera della storia. Okay, forse ci sono un paio di hints per la trama, ma è decisamente troppo presto per coglierli. Magari li riprenderemo nel prossimo capitolo, chissà.
Per ora è tutto. Grazie a chiunque deciderà di imbarcarsi assieme a me in quest'avventura.

Aria

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Capitolo 2
*** Changes and routine ***


Do-Iwanna-know

Baby we both know
That the nights were mainly made for saying things
that you can’t say tomorrow day.
Artic Monkeys — Do I Wanna Know


Beacon Hill, Boston, 2nd October
h. 05:59 p.m.


Per poco Jude non finisce per strozzarsi con il cappuccino che sta sorseggiando.
La clientela di Starbucks fissa leggermente infastidita il loro tavolo: mentre il ragazzo cerca di riprendersi dalla notizia che ha appena ricevuto con profondi colpi di tosse, la cannuccia verde che danza nella grossa tazza che tiene in mano, dalla parte opposta Ray lo osserva con un’espressione serissima in volto. Detesta avere tutti quegli sguardi addosso, se potesse uscirebbe da quel locale seduta stante, anche se non può non comprendere le ragioni del suo ragazzo.
Jude posa la tazza di cappuccino alla vaniglia sul tavolino, prendendo dei profondi respiri e pregando dentro di sé che tutti gli occhi che sente ora puntati sulla sua schiena possano finalmente lasciarlo in pace, tornando ad osservare ciò che era il centro delle loro attenzioni fino a poco prima – un buon libro, lo smartphone o più semplicemente la propria bevanda.
Il ragazzo sente le guance in fiamme ed è una sensazione che detesta, soprattutto perché è piuttosto certo che non si siano arrossate per lo sforzo dei colpi di tosse di poco prima e né, tantomeno, per l’imbarazzo di aver richiamato su di sé lo sguardo dell’intero locale.
No, c’è dell’altro – rabbia, con ogni probabilità – che non lo lascia in pace, e Jude sa bene che l’unico modo in suo possesso per liberarsene è affrontarla.
«Dimmi che ho capito male» Jude prega, quasi implora Ray, sperando effettivamente di aver captato delle parole distorte, sopra il suono del risucchio del cappuccino attraverso la cannuccia.
Eppure, a giudicare dall’espressione mesta dell’uomo, la situazione lascia ben poco spazio ai dubbi.
«Vorrei poterlo fare» ammette Ray, con un sospiro affranto, «eppure, se lo facessi, ti mentirei, e credimi se ti dico che è l’ultima cosa che desidero.»
A quelle parole, la desolazione più pura riempie gli occhi del ragazzo, che si limita a prendersi la testa fra le mani, disarmato.
«No, no, no…» mormora, incredulo. Tira un sospiro profondo, cercando di rimettere a posto le idee.
«Non ce l’ho con te» esordisce infatti, di lì a poco, sperando che i suoi pensieri abbiano un minimo senso logico. Generalmente Ray è l’unica persona in grado di mettere in ordine il caos che c’è nella sua testa, invece questa volta si trova in forte difficoltà. «Non è una cosa di cui io ti possa biasimare, dopotutto… nessuno avrebbe immaginato che sarebbe potuto succedere nulla del genere. Tu… quando l’hai saputo?»
«Poche ore fa, ahimé» ammette l’uomo, intrecciando le mani sopra al tavolino. «Avrei voluto potertelo dire prima, ma eri così preso dai lavori assieme agli altri ragazzi, e poi sembrava che ti stessi divertendo così tanto e io… non volevo guastare quel clima di festa, ecco.»
Jude tiene tra due dita la cannuccia, facendola roteare lungo la circonferenza della sua tazza di cappuccino. Il caffè nero e amaro di Ray, invece, è rimasto ormai abbandonato dall’altro lato del tavolino e, apparentemente, il professore non sembra intenzionato a mettervi mano a breve.
Perlomeno, le persone intorno a loro sono tornate ad occuparsi delle loro precedenti attività e non badano più a ciò che si stanno dicendo. Meglio così, valuta Jude: sa già che quello che sta per chiedere metterà Ray in forte imbarazzo, se avessero addosso pure l’attenzione di tutte le persone presenti nella sala laterale del locale sarebbe davvero la fine.
«Quindi…» Jude scandisce ogni singola parola con voce lenta e bassa, sforzandosi affinché l’unico in grado di sentirlo sia Ray. «Il Cambridge Rindge and Latine School ha un nuovo preside. Che tu conosci. E lui conosce te, perché… avete avuto una relazione al tempo del college.»
Le guance di Ray s’imporporano, e Jude può giurare di poter contare sulla punta delle dita le volte in cui ha visto succedere una cosa del genere. Potrebbe perfino sorridere, se solo non si trovassero in quella situazione così assurda.
«S-sì» Ray fissa le proprie dita intrecciate, con aria grave. «Cioè… non era propriamente una relazione sana, però diciamo che tra noi è successo qualcosa, quello sì, senza ombra di dubbio.»
Jude si lascia sfuggire un sospiro pesante. Se dovesse definire tutta quella circostanza con una sola parola, non avrebbe esitazioni nell’utilizzo del termine ‘paradossale’. Il ragazzo si porta una mano alla fronte, massaggiandosi le tempie con forza. Sostenere quella conversazione è piuttosto complesso, si rende conto tuttavia che è una cosa che deve fare.
«E… perché me lo stai dicendo adesso?» domanda, sempre più perplesso in merito alla piega che quel discorso sta prendendo.
Stavolta a sospirare è Ray; in effetti quella discussione è faticosa da portare avanti per entrambi, tuttavia sa che ad affrontare certi nodi sul proprio passato deve essere lui in prima persona.
«Perché era giusto che lo sapessi» ammette infatti. Allunga una mano sopra il tavolo, lasciando scivolare le dita di Jude tra le sue. All’inizio il ragazzo si mostra piuttosto diffidente a quel contatto – e Ray non può non capirlo, soprattutto dopo quello che gli ha appena detto –, tuttavia ben presto si lascia andare a quel tocco carezzevole, concedendo all’uomo di sfiorare il suo palmo. «Avrei detestato l’idea che tu potessi venirlo a sapere da qualcun altro. Voglio essere sincero con te al cento per cento, lo sai. E poi… non sopporterei la possibilità che tu possa di nuovo smettere di rivolgermi la parola perché ho omesso di parlarti di un capitolo della mia vita che considero ormai concluso da molto tempo.» Ray sospira a fondo, permettendosi solo in quel momento di sollevare lo sguardo e di incontrare quello del suo ragazzo. Temeva di leggervi dentro tanta rabbia, invece vi trova solo un mare di confusione, che Ray non vede l’ora di dissipare. «Infine, e questo è il motivo principale per cui ti ho chiesto di parlarne, ho paura che possa scoprire della nostra relazione e usarla contro di noi.»
Se possibile, Jude sembra adesso ancor più confuso di prima.
«Che intendi?» domanda infatti poco dopo al suo amato.
Ray sorride debolmente – e Jude riconosce che quello è un sorriso triste –, continuando ad accarezzare le dita del ragazzo.
«Vedi… ci troviamo davanti ad una persona molto subdola, Jude. Negli anni che ho trascorso al college non ha mai perso occasione per sottolineare quanto io fossi inferiore a lui, umiliandomi in ogni modo possibile. Credo che tragga piacere nell’infliggere dolore agli altri e, in particolar modo, a me. Non lo dico come una forma di vittimismo, mi baso piuttosto su quanto ho potuto vedere nel corso degli anni. Per questo, penso di poter affermare piuttosto con certezza che, qualora si ritrovasse tra le mani un modo per distruggermi, non esiterebbe nemmeno per un secondo prima di metterlo in atto. Ed è qui che entri in scena tu.»
Finalmente i tasselli iniziano a mettersi in ordine nella mente di Jude e, per quanto fino a un momento prima desiderasse così disperatamente capire quale disegno stesse tracciando Ray davanti ai suoi occhi, ora che finalmente comprende il senso di quel discorso vorrebbe poterlo cancellare via con una gomma.
Dubita tuttavia che questo possa essere possibile.
«Se venisse a conoscenza della nostra relazione, non perderebbe tempo per minacciarti o rovinarti per sempre la carriera» conclude il ragazzo, desolato.
«Già» conviene Ray, continuando a sorridere tristemente.
Jude sospira pesantemente, ritraendo la propria mano dalla stretta di quella di Ray. Si porta entrambi i palmi al volto, affondandocelo dentro. Cercare di dare un senso razionale a tutta quella discussione sembra ormai una possibilità estremamente remota.
«La cosa che più mi preoccupa, sinceramente, al di là del mio lavoro come insegnante e tutto il resto, è ciò che questa storia potrebbe significare per te» ammette Ray, rammaricato. «Non voglio che si vengano a creare di nuovo dei problemi con la tua famiglia, Jude. L’anno scorso hai avuto continue discussioni con tuo padre per via della banda, ti eri perfino allontanato dalla scuola… non deve ricominciare tutto daccapo.»
«E allora questo che significa?» la voce di Jude trema, sembra essere sul punto di spezzarsi. «Che non possiamo più frequentarci, che dobbiamo restare lontani…?»
«Beh… no. Non necessariamente, almeno» Ray sorride debolmente, cercando di recuperare un contatto con le dita del ragazzo. «Significa solo che dobbiamo stare un po’ più attenti. Il che vuol dire che a scuola dovremo mantenere un atteggiamento estremamente formale, ancor più di quanto già facciamo, comportandoci per quelli che siamo, ossia un insegnante e un allievo. Ci limiteremo a parlare solo lo stretto necessario, durante le lezioni, come abbiamo fatto quasi sempre. Quando saremo da soli, invece, potremo continuare a baciarci e quant’altro tranquillamente, facendo però attenzione che nessuno legato alla scuola ci veda. Lo so, è tutto così assurdo, ma non sono riuscito a trovare una soluzione migliore di questa…»
La voce di Ray si affievolisce lentamente, mentre l’insegnante si rende conto che Jude lo sta seguendo solo in parte. Il ragazzo, seduto davanti a lui, trema debolmente, mentre le mani gli coprono ancora il viso.
«Jude…?» Ray lo richiama, la voce bassa e appena udibile, mentre avvicina una mano alla spalla del ragazzo, con l’intenzione di riscuoterlo dolcemente.
Prima che possa sfiorarlo, tuttavia, Jude scatta improvvisamente, alzandosi in piedi.
«Ho bisogno di una boccata d’aria» afferma in fretta, per poi voltarsi su se stesso e muovere delle ampie falcate in direzione dell’uscita del locale.
Ray resta seduto ancora per un momento, mentre contempla ciò che lo circonda: sembra non ritrovarsi più in quel luogo, la tazza di cappuccino di Jude che è rimasta colma per metà. il trillo della campanella posta sopra la porta d’ingresso del locale lo ridesta, segno inequivocabile che qualcuno l’ha aperta, per poi uscire. Per questo Ray afferra in fretta la propria giacca, paga distrattamente il conto mentre si sbriga a raggiungere la porta e, una volta lì, non esita un momento oltre prima di lanciarsi verso l’esterno.
Fortunatamente, il ragazzo è in quel luogo, non ha mosso un passo in più per allontanarsi dalla caffetteria. Forse, in fin dei conti, non ha idea di dove andare.
Qualcosa di sottile scende dal cielo: istintivamente Ray pensa alla pioggia, eppure quelle gocce sembrano avere una consistenza più solida, quasi come se tendessero ad essere dei fiocchi di neve. Strano, pensa distrattamente: non sono affatto in periodo di neve, sebbene di recente il tempo si sia fatto molto più rigido. L’azzurro grigiastro del cielo, inoltre, ha già iniziato a scurirsi verso i toni blu della notte: pensava che avrebbero avuto a disposizione più ore di luce, evidentemente tuttavia si sbagliava. Tra poco dovrà riaccompagnare Jude a casa – con l’accortezza di doversi fermare diversi metri prima del cancello d’ingresso alla villa del ragazzo, ahimé –, non gli resta molto tempo.
I lampioni iniziano ad accendersi e, insieme alle insegne e alle luci interne dei locali che arrivano dalle vetrine, donano un’atmosfera calda alla strada.
«Jude» Ray si stringe nella sua giacca di tweed, preoccupato. Da quando ha raggiunto il ragazzo in strada, accompagnato da un nuovo trillo della porta, Jude non si è ancora voltato nella sua direzione, continuando a rivolgergli le spalle. Probabilmente è arrabbiato con lui – Ray non lo biasima per questo –, forse sta addirittura piangendo. Ne ha la conferma quando, poco dopo, lo sente tirare su col naso: proprio in quell’istante una raffica di vento gelato sferza l’aria, e Ray non ha dubbi sul fatto che Jude abbia pensato di approfittare della situazione per inghiottire un singhiozzo, nella speranza che gli agenti atmosferici coprissero il rumore della saliva che scivola giù lungo la gola. Sfortunatamente per lui, tuttavia, Ray se ne è accorto fin troppo bene.
«È tutto a posto» mente il ragazzo, la voce flebile non nasconde alcune lacrime, rimaste ancora impigliate nei suoi occhi. «Ho solo bisogno di un po’ di tempo per abituarmi alla cosa, credo.»
Finalmente Jude si volta, e Ray può vedere chiaramente i segni del pianto che hanno già rigato le guance del ragazzo.
«Oh, Jude» Ray si morde un labbro, e l’istante successivo ha già coperto la distanza che lo separa dal ragazzo, stringendolo in un abbraccio estremamente rassicurante. Si sente così in colpa: avrebbe dovuto affrontare la questione con molto più tatto, e soprattutto non lì, in mezzo a tutte quelle persone. Jude affonda il viso contro il petto dell’uomo, il collo ben coperto dalla sciarpa di lana.
«Questo non cambierà le cose tra di noi» mormora Ray, arruffando affettuosamente i capelli del ragazzo. «Dobbiamo solo stare un po’ più attenti del solito, mh?»
Jude annuisce debolmente, lasciandosi sfuggire un nuovo singhiozzo mentre stringe con dita tremanti la stoffa della giacca di Ray.
«Ti voglio bene, Ray…» mormora, desolato.
«Te ne voglio anch’io, ragazzo» ammette il professore, di rimando. «E non ho alcuna intenzione di perderti di nuovo.»


Somerville, Boston, 2nd October
h. 04:21 p.m.


Caleb resta immobile davanti alla grigia porta d’ingresso, il numero in ottone dell’interno 24 che scintilla su di essa. È al terzo piano di un elegante palazzo, che dall’esterno appare come nient’altro che un alto cumulo di cemento armato ricoperto di vernice bianca, nel quartiere residenziale di Somerville, non troppo distante da Cambridge, quello in cui si trova il liceo che frequenta. Probabilmente è uno di quei palazzi davanti a cui passerai un miliardo di volte, in vita tua, senza mai farci troppo caso. Eppure, per Caleb, quel palazzo aveva acquistato sempre più importanza, in quell’ultimo anno della sua vita.
La luce biancastra di fine pomeriggio irrompe nell’abitato attraverso delle ampie vetrate. Ha suonato il campanello da diversi minuti, e quando, dall’interno dell’appartamento, una voce delicata ha chiesto chi fosse, ha risposto con un eloquente “sono io”. Da quel momento, nessun’altra parola si è levata, dalla parte opposta della porta, tuttavia Caleb ha avvertito nitidamente diversi altri rumori, tra cui l’aprirsi e il richiudersi di cassetti e dei passi affrettati che si susseguivano uno dietro l’altro sul parquet. Ormai conosce così bene quel posto da avere in mente in maniera abbastanza chiara il tragitto che viene percorso nonostante si trovi ancora all’esterno; non che sia una casa poi così grande, certo, tuttavia sarà sempre più spaziosa di qualsiasi abitazione potrà mai definire “casa sua” – sebbene, a quel punto, anche questa lo sia diventata un po’.
Immagina gambe snelle e pallide muoversi in fretta dalla camera da letto al bagno, mentre ora il silenzio regna sovrano, sia all’interno della casa che sul pianerottolo. Nella mente di Caleb si dipinge l’immagine di una ragazza, bella come una venere, intenta ad osservare la propria immagine riflessa nello specchio con aria piuttosto critica, mentre si passa una mano tra gli spettinati capelli lilla.
Il ragazzo ne approfitta per recuperare, dalla tasca dei propri pantaloni, il telefono. Lo sblocca con un gesto automatico, mentre un suono simile ad un sasso che affonda in uno stagno precede l’apertura della schermata iniziale. Ha chiamato la ragazza una decina di volte, senza mai ricevere risposta. Per questo aveva deciso di recarsi a casa sua.
In quel momento il rumore dello scatto del chiavistello riempie l’aria, mentre la porta si dischiude appena davanti a lui. In un minuscolo spiraglio, tra la porta e la soglia d’ingresso, compare la chioma violetta di Camelia, mentre la ragazza si lascia sfuggire un lieve sorriso.
«Ciao, Caleb» lo saluta, agitando debolmente una mano davanti a sé.
«Ti ho chiamato una dozzina di volte» borbotta lui, con un grugnito. «Perché non hai risposto? Ero preoccupato.»
«Ti chiedo scusa, non ho sentito il telefono» ammette tristemente la ragazza, mentre stringe forte tra le dita la porta. «Stamattina non mi sono sentita molto bene…»
«C-come non ti sei sentita bene? Che hai avuto?» domanda subito Caleb, di nuovo preoccupato.
«Nulla di grave, tranquillo» si affretta a rassicurarlo lei. «Solo un po’ di mal di testa, tutto qui. Solo che ho preferito restare a casa.»
La ragazza si decide ad aprire completamente la porta, lasciando spazio al fidanzato. Caleb entra in fretta, camminando così rapidamente che il vestito bianco trapunto di piccoli fiori violacei di Camelia ondeggia al suo passaggio.
«Avresti comunque dovuto avvertirmi» insiste lui, ancora teso, in allarme.
«Lo so, mi dispiace…» continua lei, mentre si affretta a chiudere la porta e a seguire il ragazzo. «Purtroppo stamattina mi sono riaddormentata in fretta e non ho fatto in tempo a mandarti un messaggio. Scusami…»
Caleb si ferma sul posto, voltandosi in direzione della sua ragazza. Camelia ha in volto un’espressione così affranta…
«Ma no, non hai nulla di cui scusarti» si affretta a rassicurarla, sentendosi già in colpa per averla fatta sentire così in difetto nei suoi confronti. «Scusami tu, piuttosto, sono stato troppo duro con te… l’importante è che ora ti senti meglio.»
«Sì, certo» gli assicura lei, raggiungendolo e stringendogli la mano.
Caleb affoga il proprio sguardo in quello di Camelia, il verde petrolio di lui che si mischia all’azzurro di lei, simile alle tonalità più profonde dell’oceano – insieme creano una contaminazione perfetta. La ragazza gli sorride calorosamente, e Caleb sente tutte le preoccupazioni che gli hanno attanagliato il petto per tutto il giorno sciogliersi in un secondo.
Avvicina una mano al volto della ragazza, carezzandole una guancia con dolcezza, per poi spostarsi più in avanti, tra i suoi capelli lilla. Camelia muove degli altri passi verso di lui, e Caleb stringe istintivamente la sua chioma, per poterla sentire ancor più vicina a sé.
La ragazza poggia le proprie labbra sulle sue. Per un momento la testa di Caleb vortica pericolosamente, ben presto tuttavia si decide a ricambiare quel bacio – in un primo momento con dolcezza, tuttavia, dopo pochi istanti, il desiderio prende il sopravvento, inducendolo a lasciar scivolare la lingua nella bocca di Camelia e a chiedere di più da quel contatto. Spinge la ragazza con le spalle al muro, mentre ormai entrambe le sue mani si sono infilate tra quei capelli violetti e morbidi; Camelia, d’altro canto, avvolge le proprie braccia attorno al collo del ragazzo, mentre si fa forza con queste e solleva le gambe, che corrono a stringere i fianchi del suo fidanzato. Caleb strofina il bacino contro quello di Camelia, una, due, tre volte, e sentendo la ragazza gemere sulle sue labbra sorride soddisfatto. Fa strusciare la schiena della giovane ancora un po’ contro la parete, per poi decidersi a distaccarsi finalmente da quest’ultima, le gambe della ragazza che si sistemano al meglio attorno ai suoi fianchi e i piedi nudi che gli sfiorano il sedere.
Caleb procede a passo sicuro lungo il corridoio: ormai conosce a memoria la strada, tant’è che può permettersi il lusso di non guardare dove va, concentrandosi unicamente sul baciare Camelia.
La camera della ragazza è l’ultima alla fine del corridoio, sulla sinistra: Caleb vi entra senza esitazioni, dirigendosi in fretta verso il letto. Ha avuto paura, temeva che qualcuno dal suo passato fosse venuto a cercarlo e avesse deciso di fare del male a Camelia… se ci ripensa, si sente uno stupido: non che il rischio non ci fosse, eppure, la consapevolezza che tutto sia andato per il meglio gli riempie il cuore di gioia, al punto che Caleb non si meraviglierebbe nel sentirlo scoppiare da un momento all’altro.
La stanza è inondata dallo stesso candido lucore del pianerottolo. Caleb adagia lentamente la schiena di Camelia sul materasso, mentre preme le ginocchia ai lati del corpo della ragazza. Si china su di lei pochi istanti dopo; sente la gola andargli in fiamme, mentre scende a lasciare baci umidi sul collo della ragazza e nuovi gemiti caldi gli giungono alle orecchie. Quando l’ha distesa sul letto, il vestito candido di Camelia si è alzato leggermente, così Caleb ne approfitta, infilando una mano sotto di esso, andando ad accarezzare la coscia e parte della natica della ragazza, incurante del tessuto bordeaux della mutandina bordata di pizzo.
«Caleb, a-aspetta…» mormora la ragazza, le guance arrossate per l’imbarazzo.
«Perché? Lo vogliamo entrambi…» replica lui, confuso.
«Lo so… solo che… forse non è ancora arrivato il momento giusto» ammette Camelia, affranta. «Mio padre potrebbe arrivare da un momento all’altro. E poi non mi sento ancora del tutto bene. Non lo so, non me la sento…»
Caleb sospira lentamente. Lo sa, fermarsi è la cosa giusta da fare; la verità è che non ha mai aspettato così tanto prima di farlo per la prima volta. Nella sua vita sono entrate ed uscite alla velocità della luce una decina di ragazze, almeno finché non ha iniziato quella relazione stabile con Camelia. Con molte di loro non c’è neppure stata una vera e propria storia, bensì si sono limitate ad essere il divertimento di un sabato sera in discoteca, tra un sorso di vodka e un po’ d’eroina.
Quello era sesso. Con Camelia, invece, voleva fare l’amore. E forse, in fondo, nessuno dei due era ancora pronto per questo.
Con le sue esperienze passate non c’era trasporto, coinvolgimento emotivo, desiderio, bensì la semplice voglia di sfogare un istinto naturale. Ora che era fidanzato, invece, voleva lasciarsi trascinare da tutte quelle emozioni di cui parlavano nei film romantici che detestava.
Caleb sospira, accarezzando la fronte accaldata della fidanzata.
«Okay» concede infine, con un lieve sorriso. «Ho corso troppo, scusami…»
«Ma no» la ragazza solleva la schiena dal materasso, posando un bacio sulle labbra del fidanzato. «Va tutto bene, tranquillo.»
Caleb annuisce, un’espressione seria in volto. Scivola lentamente via dal corpo della ragazza, sedendosi al suo fianco. Camelia si tira su a sedere a sua volta, per poi accomodarsi sulle gambe di Caleb. Gli prende la testa tra le mani, e stavolta è lei ad affondare le dita tra i capelli castani di lui, mentre le loro labbra tornano ad incontrarsi. Il ragazzo poggia le mani sui seni morbidi della giovane, iniziando a palpeggiarli piano, per poi acquisire maggior confidenza man mano che i minuti passano. Porta di nuovo le labbra sul collo candido della ragazza, attento a non lasciare segni rossastri o violacei che il padre potrebbe notare facilmente, ma mettendoci comunque un certo impegno, almeno quello necessario per farla tornare a gemere, le dita che le sfilano delicatamente la spallina del vestito.
«Perché… non mi racconti… cosa avete fatto oggi a scuola?» prova a distrarlo lei, mentre sente chiaramente le mani di lui accarezzarle languidamente la schiena sopra la stoffa del vestito.
«Uhm…» Caleb arresta il movimento delle labbra, e Camelia ne approfitta per poggiare la testa sulla sua. «Le solite cose noiose, a dir la verità. Ci hanno portato a tinteggiare il nuovo edificio, Jude ha flirtato spudoratamente con Dark… e dopo la fine delle lezioni se ne sono andati via insieme, onestamente non voglio nemmeno sapere dove – anche se più o meno me lo immagino. In realtà credo che sia successo qualcosa di strano, perché Dark sembrava piuttosto agitato… chissà, magari un suo amante segreto è tornato dall’ombra e adesso minaccia di distruggere la sua relazione con Jude…»
Per tutta risposta, Camelia gli rifila una spinta leggera contro la spalla. «Intendevo cosa avete fatto oggi a lezione» puntualizza lei. «Dovresti smetterla di impicciarti nella vita di Jude. Sa quello che fa, inoltre lui e Ray stanno così bene insieme…»
«Perché, secondo te sono stato attento oppure ho capito qualcosa di quello che hanno spiegato oggi? Ti sto offrendo qualcosa di molto più redditizio, ossia del buon, sano gossip!» Camelia sospira profondamente, Caleb tuttavia non riesce a togliersi quel sorrisetto soddisfatto che gli è spuntato sul volto. «E comunque è un mio amico, è chiaro che mi preoccupo.»
«Caleb, invece faresti meglio a stare attento durante le spiegazioni. Siamo all’ultimo anno, tra pochi mesi ci diplomeremo, senza contare che dobbiamo ancora inviare le domande d’ammissione al college… e lo sai che, se i nostri voti non sono sufficientemente alti, non avremo mai la possibilità di entrare. E non posso sempre salvarti io, per quanto riguarda lo studio.» Camelia si china appena verso il basso, così da poter incontrare gli occhi di Caleb. «Devo invece iniziare a pensare che sei geloso del tuo migliore amico? Perché altrimenti riuscirei davvero difficilmente a spiegarmi questa diffidenza che nutri nei confronti della relazione tra Jude e Ray…»
«Allora, intanto è Dark, signor Dark o, al massimo, professor Dark. Questa cosa che adesso lo chiamate tutti per nome sinceramente mi fa venire la nausea» replica Caleb, il volto che si contrae in un’espressione disgustata. «E non sono geloso. Spero solo che questa relazione non lo faccia soffrire. Jude è stato già sufficientemente male, quest’anno, e ammetto che buona parte della colpa è mia, per cui non vorrei che succedesse di nuovo, soprattutto perché non se lo merita…»
«Lo chiamiamo così perché ormai ci abbiamo trascorso del tempo al di fuori della scuola e non lo consideriamo più un perfetto sconosciuto o solamente il nostro insegnante di letteratura inglese. E poi è una brava persona… vedrai che con lui Jude è al sicuro» insiste Camelia, intrecciando le dita nella chioma brunastra del suo fidanzato. È felice di essere finalmente riuscita a distrarre Caleb da quell’improvviso desiderio, eppure non riesce a capire perché s’incaponisca tanto su un discorso del genere.
«D’accordo, questa storia però continua a sembrarmi così strana…» Caleb sospira, rilassato dal tocco della ragazza. «Uno studente e il suo insegnante…»
«È il più classico dei cliché»
«Ma hanno quarant’anni di differenza…!» Caleb scuote la testa, desolato. Ha alzato troppo la voce, lo sa. Questa storia non dovrebbe turbarlo così tanto: in fondo ha ragione Camelia, non sarebbero nemmeno affari suoi, inoltre la relazione tra Ra‒ il professor Dark e Jude sembra andare a gonfie vele. Eppure è come se qualcosa continuasse a non tornargli, lo stesso qualcosa che ha letto nell’espressione corrucciata che ha visto comparire oggi sul volto di Dark. Non vorrebbe sbagliarsi, tuttavia uno strano sospetto continua a martellargli la testa…
Ricorda ancora troppo bene l’aria devastata che aveva assunto Jude negli ultimi mesi, prima del suo arresto: solo in seguito era venuto a conoscenza della relazione tra lui e il loro insegnante, e dell’allontanamento che avevano subìto in quei mesi. Se solo pensa che uno dei suoi più cari amici possa soffrire nuovamente così tanto sente la rabbia montargli al cervello.
«Scusami, ho alzato troppo la voce» Caleb sospira pesantemente, scuotendo la testa, affranto.
Camelia, per tutta risposta, gli circonda le spalle con le braccia, stringendolo delicatamente a sé.
«Smettila di scusarti per ogni cosa, Caleb. Va tutto bene» la ragazza si china fino ad infilare il capo nell’incavo tra il collo e la spalla destra del giovane. «Lo so che ci tieni a Jude, che è un tuo amico e che non vuoi vederlo soffrire. È normale, anche io la penso come te, e non ho dubbi che anche Joe e David siano del nostro stesso avviso. Per ora, però, sta andando tutto per il verso giusto, e intrometterci sarebbe una nostra mancanza di rispetto nei loro confronti. Lasciamo che tutto vada come vuole il destino e, se mai le cose dovessero andare per il verso sbagliato, allora saremo pronti ad accorrere in soccorso di Jude e a consolarlo, ma non prima, perché questa è la cosa giusta da fare. Perdere una persona fa male, ma stare a crogiolarsi quando non è ancora successo niente è perfettamente inutile.»
Caleb si lascia sfuggire un nuovo sospiro. Camelia ha perfettamente ragione, eppure ormai inizia a credere di aver perso la capacità di sapersi raccontare la verità.
«E va bene, hai vinto» le concede infine, poggiando ancora una volta il capo al suo.
«Oh, andiamo, non ti ho fatto tutto questo discorso perché volevo vincere» ribatte lei, impettita.
«Ah, no?» commenta lui, con tono ironico.
«No!» insiste Camelia, esasperata.
Caleb sorride, divertito. Afferra morbidamente i fianchi minuti della sua ragazza e, ruotando appena su se stesso, la porta a trovarsi nuovamente distesa, con la schiena premuta contro il materasso. Da quella posizione, in cui può facilmente dominare sul suo corpo, Caleb si china rapidamente su di lei, iniziando a solleticarle il collo, le spalle, i fianchi. Camelia ride divertita, scalciando appena sotto di lui, fortunatamente però i suoi piedi non colpiscono mai Caleb.
In quel momento, una chiave gira all’interno della toppa d’ingresso, richiamando l’attenzione di entrambi.
«Dev’essere arrivato mio padre» deduce in fretta la ragazza.
Caleb espira lentamente, sa tuttavia di non avere altre alternative.
«Che dici, andiamo a salutarlo?»

Brookline, Boston, 2nd October
h. 05:25 p.m.


La porta si apre alle sue spalle, eppure Jude non sembra farci troppo caso. Sono ancora sul pianerottolo, tuttavia non ha perso tempo ed è già saltato addosso a Ray, stringendogli le braccia al collo e le gambe attorno alla vita.
Si scambiano baci intensi, mentre affondano nella penombra dell’appartamento del professore. Sembrano aver già dimenticato le promesse di attenzione che si sono fatti meno di un’ora prima, fuori da quella caffetteria di Beacon Hill. In fin dei conti, tuttavia, chi mai potrebbe vederli lì, tra quelle quattro mura che appartengono solo a loro?
Ray glielo aveva detto, in fondo: dovevano fare attenzione quando si trovavano a scuola o in un qualsiasi altro luogo pubblico in cui ci sarebbe potuto essere qualcuno che li conosceva, ma lì, tra le tenebre dell’appartamento del professor Dark, potevano essere veramente loro stessi.
Ray sospinge la schiena del ragazzo contro la parete, prima indirizzandola verso l’alto, per poi trascinarla assieme a lui in basso, una discesa di appena qualche centimetro, ma che basta a scatenare nuovi gemiti caldi nel ragazzo. Dubita che arriveranno in camera vestiti, e proprio per questo inizia a sfilare la felpa di Jude, mentre si china a baciargli intensamente il collo, inebriato dai tremori che percorrono in maniera composta il corpo del ragazzo.
L’aria fredda che è entrata assieme a loro dal pianerottolo aggredisce il torso nudo di Jude, scatenando dei nuovi brividi intensi, che subito corrono lungo la sua schiena. Sa a cosa porteranno presto quei baci, quelle carezze, e onestamente non vede l’ora di arrivare alla parte successiva.
Sente Ray avviarsi lungo il corridoio, ma non per questo smettere di succhiare alcuni lembi di pelle del suo collo, costringendo il ragazzo a gemere e ad ansimare sempre più  intensamente. Jude pianta le unghie nelle spalle forti dell’uomo, reprimendo a stento le grida più forti.
Nel momento in cui arrivano in camera, il professore fa distendere il ragazzo di schiena sul letto; prima di raggiungerlo resta a contemplarlo ancora per qualche istante, incantato. Le mani di Jude, tuttavia, lo cercano, lo ghermiscono, e Ray si rende conto che lasciarlo attendere ulteriormente sarebbe una cattiveria che il suo ragazzo non merita. Così si affretta ad inginocchiarsi sopra di lui, riprendendo a baciarlo l’istante successivo. Jude chiude gli occhi e trema per bene tra le sue mani, mentre sente le dita fredde e affusolate di Ray percorrergli la schiena, accarezzargli le spalle magre e spigolose.
Jude vorrebbe poterlo spogliare come Ray ha fatto con lui, si rende conto tuttavia che le sue mani – e il suo corpo intero, a dir la verità, sono ormai in preda a dei tremori sempre più forti, che gli impediscono qualsivoglia movimento razionale.
«R-Ray…» Jude cerca di richiamare il suo amante, notando che, per quanto possa provarci, le sue mani non vogliono saperne di restare ferme neppure per il tempo necessario di slacciare i bottoni della camicia del professore.
Una camicia. Non poteva mettersi un indumento più semplice da sfilare? Un golf di lana, ad esempio?
Ray lancia un rapido sguardo verso il basso, intuendo piuttosto facilmente quale sia il problema del ragazzo. Sorride teneramente, crede di aver già trovato la soluzione.
«Non preoccuparti, tesoro» le mani di Ray sono subito su quelle di Jude, guidando le dita sottili e tremolanti del ragazzo nell’atto di sfilare ogni bottone dalla propria asola. «Tutto quello a cui devi pensare adesso è tremare e provare quanto più piacere possibile. D’accordo?»
Jude sente ancora buona parte dei propri fasci nervosi tesi dopo la scoperta di quel pomeriggio, e probabilmente anche Ray dev’essersene accorto, visto che – pochi istanti dopo, giusto il tempo di finire di aiutare il ragazzo a slacciargli la camicia e di essersi liberato di quest’ultima – corre con le dita a massaggiare il collo e le spalle del giovane. Li trova, in effetti, sorprendentemente tesi – per fortuna però niente che lui non possa sciogliere. Jude deve solo liberare la mente da ogni pensiero spiacevole e rilassarsi un po’, adesso, altrimenti nulla di quello che stanno per andare a fare potrà portargli del piacere vero e proprio.
Per contro, anche solo quel massaggio gentile basta al ragazzo per lasciar correre dei nuovi brividi lungo la propria schiena. È incredibile – affascinante, sorprendente, seducente – l’effetto che Ray riesce ad avere ogni volta su di lui.
Quando sente i nervi iniziare a sciogliersi in maniera soddisfacente, Ray torna a chinarsi sul corpo del ragazzo, nuovi baci che investono la gola candida di Jude e nuovi gemiti che sgorgano da essa. Le dita di Ray tamburellano adesso sul bassoventre del giovane, appena sopra l’allacciatura dei suoi jeans. Ormai il più è stato fatto, la strada verso l’obnubilio non fa che accorciarsi sempre di più.
Jude sente il bottone abbandonare l’asola, la zip abbassarsi. Ray gli afferra i fianchi con forza e inizia a dondolarsi su di lui, strofinandosi con intensità contro il bacino del ragazzo. Jude sente la vista appannarsi, e pensa che abbandonarsi a quelle attenzioni sarà il miglior viaggio verso l’inferno di sempre.


Dopo aver perso conoscenza, Jude avverte tutto in maniera piuttosto confusa. Ricorda che all’inizio è stato piuttosto dolce, così caldo e confortevole che per un momento ha creduto di essersi ritrovato improvvisamente immerso all’interno di una nuvola. Col passare dei minuti, tuttavia, ogni movimento si è fatto più intenso e passionale, tant’è che hanno raggiunto l’apice del piacere allo stremo delle energie fisiche.
È stato diverso da ogni altra volta in cui hanno fatto l’amore. Non in senso negativo, né positivo. Solo… diverso. O almeno, all’inizio non gli era sembrato affatto così, tuttavia tutta quell’intensità che Ray aveva impresso al rapporto gli aveva fatto percepire quasi una sensazione di disperazione da parte dell’uomo. Disperazione per cosa, poi, Jude non riusciva proprio a capacitarsene.
Il ragazzo si volta di lato, dalla parte opposta del letto. Ha riposato per poco tempo, e adesso non riesce più a riprendere sonno. La verità è che, al momento, la sua mente è così piena di pensieri che non riuscirebbe a dormire neppure volendolo; tutto ciò che è in grado di concedersi non è che una mezz’ora agitata di dormiveglia, niente di più.
Non appena si mette comodo in quella nuova posizione, la prima cosa che gli occhi rossi come sangue caldo di Jude incontrano è lo sguardo di Ray, cupo come nubi che preannunciano la tempesta.
«Non riesci a dormire…?» gli domanda l’uomo, in apprensione, mentre passa le dita tra i capelli del ragazzo.
Jude scuote la testa, un espressione stanca in volto. Per quanto vorrebbe riuscire per un momento a dimenticarsi di tutto ciò che è successo quel giorno, lasciare fuori la loro discussione da quel letto, adesso, gli riesce così difficile.
«Ho paura» ammette, sospirando. Se adesso Ray gli chiedesse di spiegargli come si sente, probabilmente Jude non ci riuscirebbe: è preoccupato, ma non vuole arrendersi. Forse rassegnarsi sarebbe la cosa più semplice, ma non è un’alternativa che possa scegliere, non se pensa a Ray e a quante cose ci siano in ballo tra loro.
Suo malgrado, Ray non può fare a meno di sorridere, le labbra che assumono una piega così inusuale per lui, gli angoli incurvati verso l’alto. Vedere Jude così vulnerabile lo intenerisce: quel ragazzo ha sempre cercato in sua presenza di mostrare unicamente il suo aspetto forte, temerario, quello di chi non ha paura di niente. Ma Ray sa che non c’è solo questo, Jude è molto di più – e non potrebbe esserne più lieto.
Il professor Dark si muove piano tra le coperte, avanzando fino a che non si ritrova vicinissimo al suo ragazzo: lo avvolge con le braccia, così da poterlo contenere completamente; subito un senso di protezione pervade Jude, che si sente istintivamente invogliato a poggiare il capo contro il petto nudo dell’uomo.
«Non dovresti» commenta Ray – e il suo non suona come un ammonimento; anzi, sembra sinceramente interessato a rassicurare il ragazzo. «Lo so che è una situazione complicata, ma non ho intenzione di lasciarti da solo ad affrontarla, ci siamo dentro fino al collo entrambi. E poi non ho alcuna intenzione di perderti.»
Jude strofina il capo nell’incavo del collo di Ray, contro cui si è ora rifugiato. Le sue parole lo confortano, ma sa che il corso degli eventi non sarà mai completamente in loro controllo. Potranno certamente fare del loro meglio per non farsi scoprire, ma se ciò dovesse accadere ugualmente… se qualcuno dovesse venire a sapere qualcosa…
Ray gli posa un bacio tra i capelli. Può quasi sentire il flusso dei pensieri scorrere furioso all’interno della mente del ragazzo, tuttavia sa di non poterlo fermare in alcun modo. Dopotutto, gli stessi pensieri, proprio in quel momento, stanno tormentando anche lui. Deve mostrarsi forte, così da rassicurare Jude, ma sarebbe sciocco da parte sua negare a se stesso di essere preoccupato. Conosce l’avversario che si sono ritrovati davanti, e sa già che sconfiggerlo non sarà affatto facile.
«Cerca di non pensarci, adesso. Non possiamo lasciarci annientare da questa cosa.» Le dita di Ray scorrono lungo la schiena di Jude, e al contatto il ragazzo subito sussulta.
«Mh…» Jude si lascia sfuggire un gemito, peccato che al momento sia così stanco da riuscire a malapena a tenere gli occhi aperti.
«Ti conviene riposare, adesso» Ray si lascia sfuggire una live risata, mentre gli posa un nuovo bacio tra i capelli, completamente innamorato di lui. «Non vorrei che domani fossi troppo esausto per seguire in maniera adeguatamente attenta le lezioni.»
«Sta’ zitto, Ray» bofonchia Jude, la voce già impastata di sonno. «E non lasciarmi…»
Ray sorride ancora, mentre stringe un po’ più a sé il ragazzo.
«Certo che non ti lascio» commenta, mentre sa di star ormai parlando ad un corpo addormentato. Poco dopo si china sul ragazzo, osservandolo ammirato, una miriade di scintille che si riflettono in quegli occhi piccoli e neri, le labbra che sfiorano piano l’orecchio del giovane.
«Buonanotte, Jude» mormora, e quel sorriso non vuole proprio saperne di scomparire dal suo volto.





Angolo autrice

And... we are back.
In questi dieci giorni il prologo ha ricevuto un discreto numero di visualizzazioni, e di questo ve ne ringrazio. Postare il seguito di una long dopo tre anni è un
po’ un azzardo, non so in effetti se ci sia un modo giusto di muoversi in una situazione del genere.
Va detto anche che siamo in piena sessione estiva, quindi, per quanto vedere l'assenza di recensioni possa essere demoralizzante, mi rendo anche conto di non aver scelto un periodo "semplice".
In ogni caso. Nuovo aggiornamento e... cominciano già ad essere presenti alcuni argomenti seri. Probabilmente adesso non è possibile immaginare l'effetto che certe scene avranno sulla trama, ma oh, fidatevi, sarà fondamentale.
Finalmente incontriamo Camelia *applausi* in DN compariva solo nella scena finale, oltre ad essere citata un paio di volte da Jude e Caleb, ma più di questo niente di che, tenendo anche conto del fatto che fino ad ora non aveva mai parlato.
Ed è un problema, perché tecnicamente il personaggio di Camelia doveva ricoprire una parte fondamentale già al tempo di DN, solo che me ne ero completamente dimenticata oltre a non aver trovato un punto adatto della trama in cui inserirla e in realtà se diwk esiste è in buona parte per lei, o perlomeno per qualcosa che la riguarda.
Sui miei due cretini, invece... beh, fanno quello che riesce loro meglio, ossia: essere cretini. Non riesco a biasimarli, perché da fuori sembrano personaggi seri e degni di stima, poi ti avvicini un 
po’ per osservarli meglio e capisci che, in effetti, sono cretini. Mi conoscete, non mi piacciono le cose facili, e anche in questa storia non dispenserò gioie a destra e a manca, sorry.
A tal proposito: siamo passati dalla relativa calma del prologo ad un primo capitolo in cui già si prospettano i drammi veri, non si può proprio dire che non sia una mia storia. E, fidatevi, questo non è che l'inizio.
Non credo di aver molto altro da dire se non che mi ero dimenticata che le date fossero in courier ma ho già sistemato per cui mi fermo qui. Grazie a chiunque legga questa storia, a chi la sta seguendo dubito che qualcuno lo faccia ma vbb e a coloro che dovessero decidere di recensire. Ripeto, capisco che sia un periodo particolare, per cui non ho grandi aspettative al riguardo.


Aria

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Capitolo 3
*** Good intentions and bad habits ***


Do-Iwanna-know

Baby we both know
That the nights were mainly made for saying things
that you can’t say tomorrow day.
Artic Monkeys — Do I Wanna Know


Somerville, Boston, 2nd October
h. 08:04 p.m.


C’è silenzio all’interno della sala da pranzo, rotto unicamente dal monotono tintinnio delle posate contro la superficie ceramica dei piatti.
Di tanto in tanto, Caleb lancia qualche sguardo di sottecchi a Camelia: gli sembra piuttosto agitata, ed è abbastanza certo di averla vista muovere nervosamente le gambe nel suo vestito candido un paio di volte, sotto il tavolo, durante la cena.
Non riesce a biasimarla, in fin dei conti. Percival Travis è un uomo che emana tutto, fuorché serenità. L’espressione austera incute timore reverenziale, e Caleb si chiede come abbia fatto Camelia, in tutti quegli anni, a crescere accanto ad un uomo tanto severo.
In effetti, forse crescere non è il termine più adatto: Percival è uno degli avvocati più influenti di Boston, ed era sempre stato piuttosto assente nella vita della figlia. Gliel’aveva raccontato Camelia, ma nella sua voce non c’era rancore: amava suo padre, e non le era dispiaciuto crescere da sola. S’era fatta forte, e poi sapeva che suo padre non avrebbe mai potuto privarsi del suo lavoro per starle accanto. Che fosse giusto o meno non spettava a lei dirlo: era grazie al lavoro di suo padre, infatti, se si potevano permettere di mangiare, di abitare in quell’appartamento o se lei aveva la possibilità di frequentare la sua scuola.
Quanto a sua madre, Camelia non aveva mai avuto la possibilità di conoscerla veramente. Era morta quando lei era ancora molto piccola, e Camelia non aveva alcun ricordo di lei. Caleb, da quel punto di vista, poteva capirla: anche lui aveva perso entrambi i suoi genitori mentre era ancora un bambino, ma non amava parlare di quella storia. In parte, il suo destino era stato simile a quello di Jude, anche lui rimasto orfano sia di madre che di padre, tuttavia, a differenza sua, alla fine il suo migliore amico aveva trovato una famiglia adottiva. Caleb, invece, era sempre stato l’incubo degli assistenti sociali: un bambino piuttosto ribelle, di cui nessuno s’era voluto prendere cura. Alla fine, compiuta un’età che la legge aveva definito giusta, era finito a vivere da solo, e forse da lì in poi la vita di Caleb era migliorata: non gli dispiaceva la solitudine, anzi, forse la preferiva perfino ad alcune famiglie in cui, per brevissimo tempo, gli era capitato di stare: quel caos non faceva per lui; si trovava decisamente meglio nel suo silenzio.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma forse, se si trovava così bene con Jude, era anche per via del loro passato così simile. 
Caleb osserva il suo piatto, non senza una certa diffidenza: gli sembra di avere lo stomaco chiuso, quella sera – e dire che, generalmente, era un tipo a cui l’appetito non mancava mai –, infatti non ha ancora praticamente per nulla intaccato i ravioli che Percival ha preparato per loro.
Quando il padre di Camelia è arrivato a casa, qualche ora prima, i ragazzi lo hanno raggiunto in salotto per salutarlo. Hanno scambiato a malapena qualche parola, dopodiché Percival s’era chiuso nel suo studio a leggere un libro. Caleb e Camelia, invece, erano tornati in camera della ragazza.
«Credo che abbia avuto una giornata particolarmente difficile» aveva commentato Camelia, poggiando il suo libro di matematica sulle coperte del proprio letto.
«Mh.» Caleb, disposto perpendicolarmente rispetto al materasso, la testa che pendeva di lato, in direzione del pavimento, aveva roteato gli occhi. «Oppure, più semplicemente, mi odia.»
«No che non ti odia» si era affrettata a negare Camelia.
«Oh, sì, invece» aveva insistito lui. «E non mi ha mai potuto sopportare, per l’esattezza. In fondo non lo biasimo: d’altronde anch’io probabilmente, se fossi padre, non sarei poi così entusiasta se mia figlia fosse fidanzata con un ex teppista.»
Camelia, per zittirlo, gli aveva posato un bacio leggero sulle labbra.
«Peccato che a me non importi nulla del suo parere» era stato il suo commento, mentre rifletteva la sua espressione sardonica a pochi centimetri di distanza dal volto del ragazzo.
«Dovrebbe, invece» era stato il commento di Caleb.
Camelia aveva sospirato profondamente, mentre si lasciava cadere distesa piano sul letto alle sue spalle. «Non fraintendermi» s’era affrettata a chiarire, poco dopo, «è chiaro che per me la sua opinione sia importante: è mio padre, dopotutto. Tuttavia, non voglio che sia lui a decidere chi devo amare o meno: i miei sentimenti sono qualcosa di cui posso occuparmi solo io, credo.»
Il resto del pomeriggio lo avevano passato a studiare – o meglio, Camelia aveva studiato; di tanto in tanto, Caleb cercava di distrarla per infastidirla, ma la ragazza era stata intransigente. Caleb, dal canto suo, non aveva fatto un bel niente, ma il pensiero di separarsi dalla sua amata era insostenibile, così alla fine era rimasto lì, ad osservare la sua affascinante chioma di capelli lilla ondeggiare soavemente mentre scriveva il risultato di una nuova equazione, sorridendo ogni volta che la ragazza sollevava lo sguardo per chiedergli cosa stesse facendo, e quando lei si rendeva di nuovo conto che se ne stava con le mani in mano i suoi occhi turchesi venivano attraversati da una buffa scintilla di rabbia, che faceva scoppiare a ridere Caleb.
Dio, ma quant’era bella quando si arrabbiava?
Verso sera Percival era riemerso dal suo studio, diretto verso la cucina. In pochi minuti aveva fatto saltare i ravioli nella padella, salvo poi chiamare i due ragazzi per la cena, chiedendo anche a Caleb di restare.
Il ragazzo aveva accettato, ma non senza qualche indugio: lui e il padre di Camelia non si erano mai particolarmente sopportati, dunque il pensiero di cenarci insieme non rientrava nella sua lista dei desideri. Camelia, tuttavia, aveva insistito, e alla fine non aveva potuto far altro che accettare – in fin dei conti, neanche lui era ancora pronto per lasciare quella casa, e soprattutto la sua ragazza.
Così s’era ritrovato in quella situazione paradossale, seduto ad una tavola di persone che non interagivano tra loro, tutti e tre evidentemente in imbarazzo.
Camelia sospira pesantemente; non riesce a sopportare quel silenzio così opprimente, ed è del tutto intenzionata a romperlo.
«P-possiamo provare a vedere se in frigo c’è del dessert…» propone, titubante.
«No» replica Percival, lapidario, alzandosi dalla tavola. «Non ho più fame. Torno nel mio studio.»
Così dicendo, l’uomo si alza, sparendo in pochi istanti dalla sala da pranzo.
Caleb e Camelia restano a guardarsi, in un silenzio imbarazzato. Camelia si morde il labbro inferiore, mentre alcune lacrime fanno capolino dai suoi occhi, minacciando di cadere e rigarle le guance innocenti da un momento all’altro.
«Mi dispiace…» mormora, sinceramente mortificata. «Dovevo aspettarmi che sarebbe andata a finire così…»
«Non è colpa tua» Caleb sospira pesantemente, ma riesce lo stesso a rivolgere un live sorriso alla ragazza.
Lo pensava sul serio. In realtà avrebbe dovuto aspettarsi che sarebbe andata a finire in quel modo – entrambi lo sospettavano, fin dall’inizio, ma forse s’erano illusi che potesse andare diversamente. Che sciocchi che erano stati. La verità era che Percival detestava Caleb – e, di conseguenza, nemmeno il ragazzo aveva un’alta considerazione di lui – e non aveva apparentemente alcuna intenzione di cambiare opinione su di lui. Caleb sapeva che Camelia aveva cercato in ogni modo di convincerlo che fosse cambiato, e che ormai non avesse più nulla a che fare con la banda, i crimini e quant’altro, ma sembrava quasi che Percival non l’avesse ascoltata affatto. Per lui, ciò di cui Caleb si era macchiato in passato era troppo grave, e il pensiero che restando vicino a sua figlia potesse ferirla – volontariamente o meno – era insopportabile.
«Mi accompagni alla porta?» domanda il ragazzo, gli occhi fissi in quelli della fidanzata.
Camelia annuisce e fa per alzarsi, ma quelle lacrime non vogliono saperne di allontanarsi dai suoi occhi. Ed è quella la cosa che più detesta Caleb: non è giusto che ci vada in mezzo lei, che in tutta la vicenda non c’entrava niente. Poteva capire che suo padre potesse avere una cattiva idea di lui, e in un certo senso Caleb lo rispettava perfino per questo – teneva troppo a Camelia per non volerne il suo bene, e sapere di non essere l’unico a pensarla in quel modo era quasi rassicurante, per lui –, tuttavia non sopportava di vederla piangere, né di sapere che per quell’astio che intercorreva tra lui e Percival la persona a soffrirne maggiormente fosse proprio Camelia. La loro era una questione privata, ed era giusto che rimanesse tale. Non aveva senso mettere in mezzo Camelia, e forse questo Caleb e Percival lo sapevano già, nonostante ciò tuttavia ora la persona che per entrambi era la più importante della loro vita ne stava rimanendo ingiustamente vittima – e per cosa, poi? Perché si stavano comportando come dei ragazzini per quell’odio reciproco?
All’ingresso, Caleb s’infila la giacca, e Camelia continua ad osservarlo con gli occhi lucidi.
«Ci sarai domani a scuola?» le domanda il ragazzo, cercando di sottrarla dai suoi pensieri.
«Credo di sì» gli conferma lei, la voce ancora un po’ incerta. «Caleb, mi dispiace davvero per stasera…»
«Non pensarci» il ragazzo le posa un bacio premuroso sulla fronte. «Nulla che non potessimo prevedere, d’altronde… ma non importa, ci abbiamo provato.»
A quelle parole, Camelia gli rivolge un debole sorriso. Ecco, era questo il Caleb che le era mancato, l’anno precedente, quando con la storia della banda si era allontanato così drasticamente da lei, il ragazzo che cercava di trovare il lato positivo in ogni situazione – sebbene non senza un pizzico di sarcasmo –, il ragazzo di cui, in fin dei conti, era innamorata.
Camelia apre la porta, e sente già un pezzo di sé allontanarsi da quella casa.
«Buonanotte» la ragazza saluta il fidanzato, lasciando ondeggiare la chioma violetta nell’aria fredda del pianerottolo.
«Buonanotte» Caleb si volta, e inizia ad incamminarsi verso le scale.
Camelia resta ad osservarlo, e aspetta paziente fino a che la figura del ragazzo è ormai diventata invisibile ai suoi occhi. Solo allora chiude il portone, con un lieve clangore, mentre si lascia sfuggire un sospiro affranto e la sua figura scivola lentamente verso il basso, rannicchiandosi a terra, le ginocchia strette al petto.
Sa di non essere del tutto sincera con Caleb, di recente, ma ha paura che – se solo lo fosse – finirebbe per perderlo per sempre.
E Camelia non può permetterselo.


Broadway, Boston, 14th October
h. 04:10 p.m.


Jude sorride, passandosi pigramente una mano tra i capelli. Le lezioni sono appena finite, e lui è già uscito dalla scuola. È seduto di lato, sulle grandi gradinate della scuola, e sta aspettando che Caleb, Joe e David lo raggiungano.
Spera solo che facciano presto: ultimamente ha avuto un sacco di grattacapi di cui occuparsi, e per un pomeriggio vorrebbe solo poter svuotare la mente da qualsiasi pensiero assieme ai suoi amici, proprio come un tempo.
Continua a pensare a ciò che Ray gli ha detto, meno di due settimane prima: davvero rischia di dover sacrificare la relazione con la persona che ama a causa di un demone prepotente?
Il ragazzo lascia vagare gli occhi sulla folla di studenti che si è dispersa attorno all’uscita dell’edificio scolastico: alcuni sono già fuggiti via – come biasimarli, d’altronde –, altri invece sono ancora fermi nei paraggi, raccolti in piccoli gruppi, intenti a domandarsi come sia andata la verifica che avevano in programma per quel giorno o ad organizzarsi per uscire insieme quel pomeriggio.
D’un tratto, a Jude sembra di incrociare, all’interno della folla, un paio di occhi grigi intenti ad osservarlo. Sul volto del ragazzo compare un’espressione confusa, non riesce a riconoscere a chi appartengano…
Una mano si posa sulla spalla di Jude, facendolo sussultare.
«Oh! S-scusami, Jude, non mi ero accorto che fossi soprappensiero…» si affretta a giustificarsi David, un lieve rossore che compare sulle sue guance.
Jude rivolge un lieve sorriso all’amico, con l’intento di rassicurarlo. Poco dopo, tuttavia, il suo sguardo torna a saettare in direzione della folla, nel punto in cui, poco prima, aveva visto quegli occhi grigi osservarlo…
Impossibile. Sembravano essere spariti in un battito di ciglia.
Eppure non se li era sognati… o forse sì? Jude si porta una mano alla tempia, massaggiandosela brevemente. Gli sembra di star impazzendo, di recente. Di sicuro, tutto lo stress che sta accumulando non gli sta facendo bene.
Forse ha davvero bisogno di staccare la spina assieme ai ragazzi, per quel pomeriggio, decreta infine. Jude si volta nuovamente verso David, con un sospiro sconsolato.
«No… ti chiedo scusa io, piuttosto» si affretta a rassicurarlo. «Non era niente di importante, tranquillo.»
«Sicuro?» fa per domandargli l’amico.
Prima che il ragazzo possa rispondergli, tuttavia, i due amici vengono interrotti di colpo.
«Ehi, di che state parlando?» Caleb sbuca da dietro David, circondando le spalle dell’amico con un braccio. «Non starete mica confabulando senza di noi, mh?»
«Magari confabulano contro di noi» puntualizza Joe, con tono fortemente sarcastico, la schiena poggiata allo stipite del portone d’ingresso della scuola – deve essere arrivato insieme a Caleb, realizza in fretta Jude.
«Oh, andiamo, lo sapete che non lo faremmo mai…» si affretta ad assicurare loro David.
Jude, dal canto suo, rotea gli occhi: gli è chiaro che Joe e Caleb stessero scherzando – come sempre, d’altronde. A volte si chiede come faccia David a non averlo ancora capito, e a cadere ancora nelle trappole di Caleb, dopo tutto quel tempo…
Diversamente dal solito, tuttavia, Caleb non coglie la palla al balzo per prendersi gioco di David. Sembra stranamente concentrato in pensieri seri, e Jude è piuttosto curioso di sapere quali siano – ma sa perfettamente che quello non è né il luogo né il momento adatto per domandargli di che cosa si tratti.
L’ex capo della banda, nel frattempo, riacquista il solito sorriso spavaldo.
«Ehi, branco d’idioti, parlando di roba importante, che ne dite di fare un salto alla cara, vecchia tana, oggi?» propone infatti, sogghignando entusiasta.
«B-branco d’idioti a chi?» fa per obiettare David.
«Caleb, ma non avevamo chiuso con quella vita?» gli fa notare Joe, con un cipiglio alterato.
«Non ho mica detto “andiamo in giro a devastare cose e a rubare roba”, ragazzi» precisa Caleb, il sogghigno sul suo volto che sembra allargarsi sempre di più. «Pensavo piuttosto a qualcosa della serie “ci beviamo qualcosa e ce ne stiamo sul nostro divano sfondato”. Allora, chi è con me?»
Sorprendentemente, Jude è il primo ad alzare la mano. David e Joe lo osservano confusi, ma alla fine si limitano ad imitarlo.
Caleb annuisce, soddisfatto. «Bene, per la gioia di David ritiro il “branco d’idioti”. Alla fine non siete poi così stupidi, a quanto pare» commenta, infatti. «Direi che possiamo andare. Prima, però, volevo avvisare Camelia…»
«È inutile che la cerchi, Caleb» lo informa David, risoluto. «Oggi aveva laboratorio di scultura con me, e non si è presentata. Ho chiesto ad una sua amica, una certa Nelly, e mi ha detto che oggi non c’era neanche a inglese, né ad algebra. Temo che sia assente…»
Per un momento, il ragazzo sembra accigliarsi. È strano: di recente Camelia è spesso assente da scuola, e quando c’è sembra impegnarsi in tutti i modi ad evitarlo. Caleb è confuso, non ha idea di cosa le stia succedendo: è per quello che era successo l’ultima volta che si erano visti, a cena a casa di lei? No, impossibile: avevano risolto, in fin dei conti. Dev’esserci qualcosa di più grosso sotto, Caleb ne è certo, d’altronde ormai conosce fin troppo bene Camelia e sa che non si comporterebbe mai in un modo del genere senza un motivo importante. E allora che sta succedendo…? Vorrebbe poterlo sapere già in quel momento, tuttavia ora si è impegnato a stare con la banda, e non li può abbandonare senza dire loro nulla.
«Va bene, andiamo» afferma allora. Fa per incamminarsi giù dalle gradinate, ma si ferma un momento prima di scendere dal primo scalino. «Tu non devi salutare nessuno, Jude?»
«No…» il ragazzo scuote leggermente il capo, per poi lanciare uno sguardo malinconico verso l’interno della scuola.
Caleb inarca le sopracciglia. “Non di nuovo…” borbotta tra sé, angustiato. Non avrà di nuovo litigato con Ray, vero? Forse è solo troppo preoccupato dal pensiero che il suo migliore amico possa di nuovo soffrire come l’anno precedente, ma se davvero dovesse essere così…
Caleb si ammonisce mentalmente, richiamando al pensiero le parole di Camelia. “Perdere una persona fa male, ma stare a crogiolarsi quando non è ancora successo niente è perfettamente inutile”… aveva detto così, no?
«Ottimo» conclude infine, sbuffando rumorosamente, mentre inizia finalmente a scendere giù per le scale. «Allora cosa aspettiamo, gente? Forza, andiamo: ci attende un pomeriggio elettrizzante.»


 Southwest Corridor, Boston, 14th October
h. 05:58 p.m.


Sono mesi dall’ultima volta che sono stati lì, eppure nulla sembra essere cambiato – almeno all’apparenza.
Il vecchio covo di Southwest Corridor li accoglie con la solita desolante fatiscenza, alti strati di polvere e sporcizia che invadono ogni angolo, il vecchio tappeto che non era mai stato lavato ancora sporco di fango, proprio come l’ultimo giorno.
Ogni dettaglio è al solito posto, e potrebbe essere ieri l’ultimo giorno in cui vi sono entrati, se non fosse per un dettaglio. Perché sì, il covo era sempre lo stesso, ma quelli ad essere cambiati, in fondo, erano proprio loro.
David si lascia cadere sul vecchio divano dalle sedute sfondate e stiracchia le braccia, con una leggera risata. Joe, invece, è già scattato verso un piccolo mobile, in fondo alla stanza, dove un tempo conservavano le scorte di alcol.
Jude si volta di lato. La vecchia finestra, dalla parte opposta della stanza, è ancora lì, con i suoi vetri rotti. Pensa a quando era lì, mesi fa, a fare compagnia a Caleb, mentre entrambi fumavano, e un sorriso malinconico gli fa capolino sulle labbra. È giusto che i tempi andati rimangano tali, forse però, in fin dei conti, non tutto è da buttare: basta pensare a quella strana amicizia con quei tre ragazzi. Era nata in maniera rocambolesca, per salvare la famiglia Sharp da uno scandalo mediatico, ma a conti fatti i quattro erano finiti per diventare inseparabili, legati da un rapporto sincero e profondo.
Joe recupera una bottiglia di bourbon – da quando in qua c’era roba così pregiata, tra le loro scorte? – e la lancia in direzione di Caleb, che l’afferra senza troppi sforzi.
«Dobbiamo festeggiare qualcosa?» domanda David, sorpreso, aggrottando le sopracciglia.
Il suo fidanzato si volta a guardarlo, con un sorriso complice. «Beh, per esempio il fatto che per una volta non siamo entrati qui dopo aver devastato qualcosa o in seguito all’essere sfuggiti alla polizia» commenta infatti, poco dopo, Joe, ironico.
David, cogliendo quella sfumatura, decide di assecondarlo. «Oh, sì» aggiunge infatti, «e nemmeno dopo aver rubato qualcosa!»
«Che vocine allegre» commenta Caleb. «Cos’è, avete sfogato le vostre frustrazioni sessuali nei  bagni di scuola, stamattina?»
David allarga le braccia, esasperato. «Possibile che per te debba ridursi tutto sempre e solo a una questione di sesso?» domanda, la voce chiara che, alzandosi di qualche ottava per l’irritazione, sembra quasi uno scampanellio agitato, come di sonagli agitati dal vento forte dell’inverno.
«In tal caso, visto l’umor nero che sembri avere oggi, di recente tu devi essere andato in bianco, Caleb» commenta Jude, con un sorriso scaltro.
Per un momento, nel covo cala il più gelido dei silenzi. Jude, sebbene il suo volto non lasci trasparire emozioni, dentro trema come una foglia. E adesso che succederà? Caleb vorrà fare a botte, come ai vecchi tempi?
Sorprendentemente, invece, sono le risate di Joe e David ad irrompere nell’aria. Caleb finge disinteresse, ma il suo volto s’imbroncia lo stesso, in maniera quasi inevitabile.
«Sì, ridete, ridete» commenta, a bassa voce – ma non lo sente comunque nessuno, a causa del fragore delle risate degli altri ragazzi. «Tanto poi ci penso io, a voi.»
Anche Jude scoppia a ridere, sinceramente divertito. Forse era proprio quella la parte che gli era mancata di più di quella vita di strada che si era ritrovato ad intraprendere, nell’ultimo anno della sua vita: quei momenti di spensieratezza e di euforia, in cui essere vivi sembrava avare un valore così importante.
Caleb gli passa la bottiglia di bourbon, come una vecchia tradizione che tornava a ripetersi – era sempre il vice il primo a cui il capo della banda offriva da bere –, dopodiché Jude resta ad osservarlo mentre lo vede allontanarsi in direzione della finestra.
Non riflette a lungo sul se seguirlo o meno: un istante dopo sta già camminando dietro di lui.
Caleb si ferma, e Jude con lui. L’ex capo della banda sembra avere lo sguardo perso nel vuoto, mentre osserva i mattoni rossi che compongono il fabbricato, o le schegge di vetro abbandonate sul davanzale della finestra. Uno spiffero di vento irrompe con prepotenza nella stanza, soffiando ululante tra gli spifferi.
«Te la sei presa, per quello che ho detto prima?» s’informa Jude, più per rompere il silenzio che si è venuto a formare tra loro che perché lo pensi davvero.
«No» ammette infatti Caleb. «Forse un tempo l’avrei fatto, ma ormai credo di essere cambiato. E comunque, per tua informazione, avevi ragione.»
Jude scrolla le spalle. «Non m’interessava, a dir la verità. Devo supporre che tu sia così nervoso per questo, oggi?» chiede ancora, cercando di deviare il discorso su qualcosa che, in realtà, gli interessa di più.
«E io devo supporre che tu abbia tutta questa voglia di fare battute perché invece la tua vita sessuale è molto più attiva della mia?» sbotta Caleb, con un leggero sogghigno sulle labbra. «In ogni caso, non era poi così male, quella battuta.»
«Per tua informazione, la risposta sarebbe un sì» Jude sorride, strizzando appena gli occhi.
«Beh, non m’interessava» Caleb agita le braccia, a disagio. Jude ormai sa bene che il ragazzo sia in imbarazzo ogni volta che la storia del suo fidanzamento con Ray viene tirata in ballo, e proprio per questo si diverte a farla sbucare fuori appositamente nei loro discorsi, di tanto in tanto. Caleb in difficoltà è uno degli sfizi più entusiasmanti che Jude ami concedersi.
«Ad ogni modo, se proprio vuoi saperlo, non era questo a preoccuparmi» Caleb tira fuori da una delle tasche dei suoi pantaloni un pacchetto di sigarette.
«Non avevi smesso, con quelle?» gli domanda Jude. Nel frattempo, il rumore dello schiocco di baci tra David e Joe arriva alle loro orecchie dalla parte opposta della stanza.
«Non sarà certo una sigaretta ogni tanto ad uccidermi, Jude» commenta Caleb, mentre dal suo accendino schizzano scintille aranciate.
Jude incrocia le braccia, irremovibile. «Una ogni tanto no, ma tutte quelle che ti sei fumato prima lo faranno, un giorno di questi» gli fa notare, con un tono saccente involontario.
«Beh, tanto prima o poi dobbiamo morire tutti, no?» Caleb sbuffa, e una nuvola di fumo inonda l’aria tra di loro. «Quando fai questi discorsi sembri mia madre, Jude.»
«Meglio morire il più tardi possibile, non trovi?» insiste il ragazzo, testardo. «Comunque, per quale motivo saresti nervoso, allora?»
«Da che pulpito.» Caleb inarca le sopracciglia, sogghignando appena. «Non eri tu quello che voleva buttarsi da un ponte, l’anno scorso?»
«Era una situazione diversa!» Jude, che finora ha parlato a voce sommariamente bassa, per un momento sembra perdere la sua compostezza. Caleb lo osserva, con un sorriso trionfante sul volto, e questo basta a Jude per comprendere di aver appena commesso un errore. Subito dopo, infatti, prende dei respiri profondi, senza smettere di osservare l’altro ragazzo. «Non hai ancora risposto alla mia domanda» gli fa notare, di nuovo calmo.
«Ci scaldiamo facilmente, mh? Allora forse la tua vita sessuale non è poi così attiva come vuoi farci credere.» Caleb sembra essere così divertito che Jude non si sorprenderebbe se, da lì a breve, gli scoppiasse a ridere in faccia. E tutto questo perché Jude non sa controllare le proprie emozioni.
Perfetto.
Il ragazzo poco dopo, tuttavia, riprende a parlare, e senza avere, almeno apparentemente, alcuna intenzione di prendersi gioco dell’altro, non questa volta, almeno. «Il padre di Camelia mi detesta» gli confida infatti, con una spontaneità che mai Jude si sarebbe aspettato da Caleb. Il loro rapporto era evoluto in maniera considerevole, nel tempo, ma Caleb era sempre stato restio ad aprirsi con qualcuno.
«Cosa te lo fa pensare?» Jude si appoggia con la schiena alla parete alle sue spalle, senza mai distogliere lo sguardo dalla figura di Caleb.
«Non mi ha mai rivolto veramente la parola. L’altra sera, quando ero a cena da loro, non appena ha potuto alzarsi dal tavolo se n’è andato, senza dire niente né a me né a Camelia. Lui e la figlia litigano spesso, e anche se Camelia non fa altro che ripetergli che sono cambiato, che non sono più un teppista e che la mia vita non è più la stessa di prima, lui continua a non tollerare la nostra relazione.» Le dita di Caleb picchiettano contro la sigaretta, residui di cenere che cadono lentamente verso il suolo. «Non lo biasimo, Jude, ma non voglio che lei stia male per questo. Non c’entra niente, cazzo.»
Jude annuisce. La situazione è leggermente più complessa di quanto si aspettasse e, in un certo senso, crede di riuscire a comprendere Caleb.
Una relazione difficile da portare avanti, mh?
«Hai parlato con lei di questo?» Jude lancia un calcio a terra, e una piccola nuvola di polvere si solleva nel punto in cui il suo piede ha colpito.
«Dice che non le importa di suo padre e che per lei ciò che conta è stare con me» Caleb scuote la testa. «Però non voglio che si metta nei guai a causa mia.»
«Beh, magari potresti parlare tu con suo padre» gli suggerisce Jude, in tono conciliante. «Forse, se sei tu ad assicurargli che hai chiuso con quella vita, se ne convincerebbe.»
Caleb resta in silenzio, come rapito da chissà quali pensieri. Jude si chiede se stia realmente valutando la sua proposta; poco dopo, tuttavia, si rende conto che non è così.
«Invece cosa sta succedendo tra te e Dark, Jude?» gli domanda Caleb, prendendolo alla sprovvista.
Una risata sale alle labbra di Jude. «Come sarebbe a dire “cosa sta succedendo”?» domanda, divertito.
«Credi che non me ne sia accorto?» Caleb fissa intensamente Jude negli occhi, come se stesse cercando le tracce della sua bugia. «Ultimamente sembra che tu lo stia evitando.»
«Beh, è una tua impressione» Jude stappa la bottiglia di bourbon, per poi berne un sorso, cercando di dissimulare il disagio. Mentre il liquore ambrato gli scivola giù sente l’alcol raschiargli la gola, ma è una sensazione a cui è ormai abituato. «Sfortunatamente non posso saltargli addosso ogni volta che voglio, in particolar modo mentre siamo a scuola. Deve pur sempre mantenere un profilo rispettabile, no?»
Caleb non sembra essere convinto dalla spiegazione di Jude. Si spinge appena in avanti, fino a ritrovarsi davanti all’amico; gli poggia le mani sulle spalle, con fare paternalistico.
«Se dovessi di nuovo soffrire a causa sua… lo sai che non me lo perdonerei mai, vero?» gli domanda, il tono che di colpo sembra essersi fatto cupo, solenne.
Jude sobbalza, ma continua a sorridere, ostentando quella serenità che in realtà sa di non avere. Con un gesto rapido della mano si libera dalla presa di Caleb, allontanandosi di qualche passo. «Di che hai paura, Caleb? La nostra relazione procede nel migliore dei modi.» Il ragazzo si affaccia dalla finestra: sono in un quartiere periferico, e tutto ciò che riesce a vedere da lì è il palazzo accanto a loro. Il paesaggio nelle vicinanze, ormai Jude lo sa bene, non è poi così diverso: una sfilza di magazzini abbandonati, i mattoni rossi a vista. «Io amo Ray, e Ray ama me. Non c’è motivo di preoccuparsi che qualcosa possa andare per il verso sbagliato.»
Jude non ha idea del perché, eppure, mentre pronuncia quelle frasi, sembra quasi star cercando di convincere anche se stesso di tutto ciò.
Caleb scrolla il capo; c’è qualcosa che continua non convincerlo, in tutta quella faccenda. Forse ha ragione Camelia e si sta preoccupando più del dovuto, però… mah, chissà.
«C’è anche un’altra cosa, a dir la verità» Caleb sospira, passando la sigaretta a Jude. «Ho l’impressione che Camelia mi stia nascondendo qualcosa.»
Jude aspira avidamente una boccata di quel fumo insalubre che sa lacerargli i polmoni, ma di cui sente di avere così disperatamente bisogno, adesso. «Credo che dovresti provare a parlare anche di questo con lei, Caleb.» commenta, gli occhi cremisi che nel mentre cercano quelli dell’altro.
«Mh…» Caleb annuisce, e fa per commentare, ma dal divano il rumore dei baci di Joe e David sembra essersi fatto più intenso.
A Caleb sembra di star vivendo un déjà-vu.
«La fate finita, voi due?» sbottano insieme lui e Jude.
Quando i due ragazzi si rendono conto di aver parlato all’unisono, si lanciano uno sguardo d’intesa, e un sorriso compare sul volto di entrambi.





Angolo autrice

Non ho molta voglia di parlare.
Avrei tante cose da dire, però sono talmente devastata che faccio fatica a tirarle fuori. Di solito preparo le note dei capitoli qualche giorno prima della pubblicazione, ed è stato così anche con quelle del precedente. Forse è stato meglio così, perché se le avessi dovute scrivere il 27 stesso non so come avrei fatto.
Uno dei miei migliori amici del liceo non c'è più. Non so nemmeno perché lo sto scrivendo qui, forse non è giusto, non dovrei farlo... ma dopo più di una settimana faccio ancora fatica ad accettarlo.
Non credo che lui abbia mai dato al nostro rapporto il valore che gli attribuivo io. Però per quattro anni della mia vita, di cui tre vissuti praticamente in simbiosi, è stato per me una presenza costante. E anche se adesso non c'è più e la cosa mi fa star male, so che sarebbe felici di sapermi ancora alle prese con la scrittura. Mi ha sempre sostenuta molto, da sotto questo punto di vista. Per questo sto cercando di andare avanti con la pubblicazione della storia, nonostante questo non sia chiaramente un periodo positivo per me.
Esattamente tre anni fa cominciavo a pubblicare Dark Necessities, e oggi sono qui a postare il nuovo capitolo del seguito di quella storia. Com'è strana la vita. Spero che la storia vi stia piacendo.
Per il resto... in realtà su questo capitolo non ho molto da dire. Quello che succede qui è più una "transizione" verso gli sviluppi di trama che vedremo già a partire dal prossimo aggiornamento. Vi dico solo che sta per arrivare l'angst, uhuh.
Curiosità: nella vecchia storia il quartiere della scuola (realmente esistente, lo ricordo) era identificato con quello di Cambridge, invece poi ho scoperto che in realtà è a Broadway, ecco perché l'ho cambiato, lol. Invece già dal precedente capitolo ho inserito nuove zone, come Beacon Hill (dove si trova lo Starbucks dove Jude e Ray si fermano a conversare) e Somerville (che invece è il quartiere di residenza di Camelia).
Ah, ci siamo anche lasciati il capitolo più lungo alle spalle. Era il precedente, non so nemmeno io il perché. Sì, ho fatto il calcolo di quante parole ci sono in ciascun capitolo, oltre ad aver in effetti già ultimato la divisione in capitoli e dato un nome a ciascuno di essi. Il che è un bene, considerando che prima passavo l'intero giorno della pubblicazione a scervellarmi pensando a cosa avrei dovuto scegliere. Tra l'altro probabilmente già tra uno o due aggiornamenti inizierete a vedere alcuni cambiamenti nello stile di scrittura, perché come ho già spiegato ho lasciato e ripreso diverse volte la stesura di questa storia.
Probabilmente dovevo dire anche qualcos'altro, ma onestamente al momento mi sfugge, inoltre queste note sono già fin troppo lunghe, per cui sarà meglio chiuderle qui.
Scusate se per la maggior parte del tempo ho parlato di cose a caso, ma credo che ne avessi bisogno.
A presto


Aria

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Capitolo 4
*** Tears and wounds ***


Do-Iwanna-know

Baby we both know
That the nights were mainly made for saying things
that you can’t say tomorrow day.
Artic Monkeys — Do I Wanna Know


Broadway, Boston, 6th November
h. 10:22 a.m.
 」


È da poco suonata la fine dell’intervallo alla Cambridge Rindge and Latin School, ma stranamente il professore di matematica non è ancora arrivato in classe. Gli studenti si godono quegli ultimi attimi di tregua prima dell’inizio dell’agonia, un piccolo capannello radunato nel corridoio davanti alla loro aula.
Jude osserva lo schermo del suo telefono, con aria impensierita. Di recente è tutto così silente: Ray si fa sentire di rado, giusto con qualche messaggio durante il corso della giornata, oltre a quelli del buongiorno e della buonanotte. Quella mattina, tuttavia, Jude non ha ricevuto alcun genere di comunicazione da parte sua. È una cosa insolita, ma Jude vorrebbe poterci non dare troppo peso: magari è impegnato a spiegare un argomento importante alla classe, oppure un collega l’ha intrattenuto a parlare. Il fatto che di recente si parlino meno è dovuto al fatto che, come gli ha detto Ray, devono stare attenti, non perché d’improvviso l’insegnante ha perso interesse nei suoi confronti… no?
Forse il problema è che sono troppo giovane… e se stesse pensando che ormai ha l’età per mettere su famiglia, e con me non potrebbe mai farlo?
Jude vorrebbe darsi uno schiaffo per quei pensieri, che così poco gli appartengono. Da quando in qua si lasciava tormentare da dei dubbi del genere? Sta solo riflettendo troppo, tutto qui.
Il professore di matematica compare in fondo al corridoio, e un generale brusio indolente serpeggia tra i ragazzi.
«Beh, che fate ancora lì? Filate in classe, forza!» li ammonisce l’uomo, severo.
Subito i ragazzi chinano il capo, rassegnati al fatto che le loro deboli proteste non sortirebbero alcun effetto, così iniziano ad avviarsi verso la classe.
Jude fa per seguirli, ma, quando il professore lo raggiunge, poggia una mano sulla sua spalla, fermandolo.
«Tu no, Sharp» gli comunica, in tono grave. «Sei stato convocato in presidenza.»



Mentre sale le scale diretto al piano della presidenza, Jude sente il cuore martellargli nel petto ad una velocità insostenibile. Ha un sospetto, ma spera tanto di sbagliarsi… il problema è che, fondamentalmente, per quale ragione potrebbe mai essere stato convocato in presidenza? La scuola è ricominciata da appena tre mesi, e non gli sembra di aver commesso alcun errore. È stato presente ad ogni lezione, ha ottimi voti in tutte le materie, non ha avuto discussioni con nessun professore… allora cosa potrebbe mai essere?
Magari si sbaglia e si tratta si una cosa bella. Potrebbe… potrebbe essere… che per i suoi meriti scolastici abbiano deciso di premiarlo, sì. Oppure potrebbero voler parlare di quanto successo lo scorso anno, ma anche di questo non doveva preoccuparsi: ormai la banda non esisteva più, per cui andava tutto bene, no?
Jude si arresta di colpo, rendendosi conto che ha ormai raggiunto la porta della presidenza. È verniciata di bianco, una targhetta dorata al centro riporta il nome del nuovo dirigente scolastico.
“Il Cambridge Rindge and Latine School ha un nuovo preside. Che tu conosci. E lui conosce te, perché… avete avuto una relazione al tempo del college.”
“Ho paura che possa scoprire della nostra relazione e usarla contro di noi”
“Credo che tragga piacere nell’infliggere dolore agli altri”
“Se venisse a conoscenza della nostra relazione, non perderebbe tempo per minacciarti o rovinarti per sempre la carriera”
Jude non sa perché, ma d’improvviso gli torna alla mente quella conversazione avuta con Ray poco più di un mese prima, nello Starbucks di Beacon Hill. Sembra come se i tasselli di un enorme mosaico abbiano trovato la loro collocazione, in quel momento, eppure Jude si rifiuta di accettarlo.
Lui e Ray sono stati attenti a non farsi scoprire, limitando a zero le loro interazioni a scuola e prestando massima attenzione nello scambiarsi effusioni anche all’infuori di essa, le loro labbra che s’incontravano solo nel buio della camera da letto del professore.
Non ha senso, non ha senso, non ha senso…
Jude ha la gola completamente secca, mentre bussa piano alla porta della presidenza.
Dall’interno, si leva una voce atona.
«Avanti» concede infatti un tono roco e maschile.
Jude abbassa la maniglia, e spinge lentamente la porta davanti a sé. Quando inizia a rendersi conto della scena che si è appena ritrovato davanti, non riesce a non trasalire, sbiancando visibilmente.
Due delle tre persone presenti nella stanza le conosce bene: una di esse è suo padre.
L’altro è Ray.
Cazzo.
Jude vorrebbe poter illudersi che vogliano solo parlare del numero esorbitante di assenze che ha collezionato l’anno scorso e metterlo in guardia sul fatto che quest’anno farà bene a non farne, altrimenti la sua possibile ammissione ai college più prestigiosi della nazione potrebbe risentirne, ma a giudicare dall’espressione disperata sul volto di Ray dubita che sia così. Anche perché, se fosse per quello, la presenza del suo insegnante di letteratura inglese all’interno di quella stanza non avrebbe senso, no?
Eppure… erano stati attenti… a non farsi scoprire…
«Ben arrivato, signorino Sharp» lo accoglie il preside – e Jude, sebbene non abbia idea del perché, percepisce una nota di scherno nelle parole dell’uomo. «Prego, si accomodi, la stavamo aspettando.»
Jude lascia che la porta si chiuda alle sue spalle, mentre si avvia lungo la stanza, prendendo posto cercando di ostentare una calma che al momento non gli appartiene. Ma certo: deve fingere che non ci sia nulla di strano, così non potranno incolparlo di nulla.
«Come mai sono stato convocato qui?» domanda, simulando un tono innocente. «Non mi risulta di aver commesso niente di sbagliato.»
Jude si sofferma ad osservare l’uomo di fronte a sé: non è particolarmente alto, ma emana un’aura di potere tale da farlo sembrare un gigante. I suoi occhi sono piccoli e verdi, come foglie di magnolia, tuttavia sono completamente freddi, come se non fossero mai attraversati da emozioni – se non da quelle negative. Ha una barba folta e scura, sembra una nube in tempesta.
Forse, se si trovasse in una situazione diversa, non farebbe caso a tutti quei dettagli, o non si sentirebbe così inquietato da essi. Ma ora che è lì, a Jude sembra quasi che si stia per decidere il suo destino.
«Questo dovrebbe dirmelo lei, in realtà.» L’uomo spegne un grosso sigaro in un posacenere vitreo di fronte a sé, premendo attentamente la testa che ha acceso – chissà perché, di colpo, Jude si sente come quella bacchetta di tabacco: a testa in giù, spremuto per il capo. «Mi sono giunte alle orecchie delle voci secondo cui lei e il professor Dark stareste intrattenendo una relazione.»
Panico.
L’aria si blocca nella gola di Jude, e per poco il ragazzo non finisce per strozzarsi.
Accanto a lui, Ray smette di respirare, per un momento fin troppo lungo.
«N-non c-credo di aver capito…» Jude sente mormorare da suo padre, con tono incredulo.
«È una menzogna» risponde Jude, in tono perentorio, forse fin troppo. Perché fa così male dirlo? «Non ha prove di questo.»
«Vero» il preside agita una mano a mezz’aria, scacciando via un alone di fumo del suo sigaro, senza curarsene troppo. «Ma ho preferito accertarmene di persona. Sapete, sarebbe stato uno scandalo immane se fosse stato vero. Uno studente che ha una relazione con il suo insegnante… non avrebbe certo giovato alla rinomata reputazione del nostro istituto.»
Un freddo cieco investe Jude, tormentandolo fin nelle ossa. Ray ha il capo chino, e da quando quel colloquio ha avuto inizio non ha aperto bocca.
Di colpo Jude si rende conto di quanto sta accadendo: può negare fino alla morte la loro relazione, non è quello il punto della questione. Quella convocazione in realtà non è che una farsa, una dimostrazione di potere. Posso distruggervi, se voglio, ma lascerò che siate voi stessi a farlo.
Dopo le parole di Ray, Jude aveva compreso di avere a che fare con un individuo senza scrupoli, eppure non era riuscito ad immaginare una vendetta così subdola.
«Preside Rice…» fa per richiamarlo il signor Sharp, confuso.
«Pertanto» l’uomo fa roteare appena la sedia su cui è seduto – sta dondolando le gambe? È felice? –, gli occhi crudeli che non si schiodano da quelli di Jude. Ha completamente ignorato suo padre, si rende conto il ragazzo. «L’unica cosa che posso augurarmi è che certe brutte voci non si diffondano più. Ovviamente… questo significa che il vostro dovrà limitarsi ad essere un normale rapporto tra studente e insegnante, come d’altronde è sempre stato, dico bene?»
Prima di rispondere, Jude lancia uno sguardo a Ray. Nei suoi occhi c’è una scintilla di terrore, oltre ad una nota vittimista che Jude non riesce a sopportare.
Perdonami…
«Certo, signor preside.»



Il preside apre la porta del suo studio, congedandoli. Suo padre si avvia subito verso le scale, e Jude fa per seguirlo.
Non ha salutato il preside, troppo ripugnato per farlo, limitandosi a chinare il capo e ad allontanarsi. Ha ricevuto il più grande pugno nello stomaco della sua esistenza, e al momento vorrebbe solo poter dimenticare quanto appena successo.
«Jude, aspetta.»
Il ragazzo si arresta sul posto, affranto. Cosa c’è ancora, Ray? Cos’altro hai da dirmi? Non vedi che tutti i nostri sogni sono appena stati infranti?
Jude solleva lo sguardo, e si rende conto che deve avere un’espressione stravolta, in quel momento, perché Ray lo fissa negli occhi e sembra rimanere ferito. O forse c’è dell’altro, ma adesso Jude è troppo affranto per provare a domandarsi di che cosa si tratti.
«Che vuoi?» domanda, con un tono che suona più scontroso del dovuto.
Ray fa per parlare, ma il modo in cui Jude gli si è rivolto lo fa tentennare. D’un tratto sono tornati indietro di mesi, quando sul tetto il ragazzo gli aveva detto di non cercarlo più.
Il professor Dark si volta indietro. Alle sue spalle, dalla dirigenza, il preside li sta ancora fissando. L’uomo lascia loro un ultimo sogghigno, per poi tornarsene nel suo studio, chiudendo la porta.
Ray torna ad osservare Jude, un lieve sorriso di sollievo che gli compare sul volto. Cerca allora di afferrare il polso del ragazzo, ma Jude si ritrae dalla presa.
«Ascolta…» Ray sospira pesantemente, mentre smette di sorridere. Le parole che sta per pronunciare pesano come macigni, e sa già che feriranno entrambi. «Allo stato attuale delle cose, continuare sarebbe un suicidio. Non voglio metterti in difficoltà, rischieresti di rovinarti la carriera scolastica, o peggio…»
Jude scuote la testa. Non riesce a capire sinceramente dove voglia andare a parare.
«Ray, che cosa…»
«Forse è meglio se la finiamo qui, Jude.»
Crack.
Un milione di vetri infranti.
Fili invisibili che si spezzano, rendendolo di colpo incapace di stare in piedi.
Jude non cade, eppure sente di star precipitando, una caduta infinita nel vuoto, terribile vertigine che precede un impatto devastante.
Ghiaccio che s’infrange, e colpisce la sua pelle sotto forma di schegge, ferendolo mortalmente.
Era così che si era sentito Ray, mesi prima, quando aveva tagliato tutti i ponti con lui?
E allora perché adesso stava facendo la stessa cosa, se sapeva quanto facesse male?
«Continuerò ad essere il tuo insegnante» continua, come se non avesse appena visto quell’esile figura spezzarsi, andare in frantumi, distruggersi. «Ma frequentarci al di fuori di qui… è impossibile. Se davvero c’è qualcuno, qualcuno che sa, allora non possiamo rischiare di rovinare tutto. Perché deve esserci qualcuno, Jude, altrimenti tutto ciò non avrebbe alcun senso…»
«Sei stato tu.»
Le parole di Jude sono un sussurro così flebile che, per un momento, Ray crede di averle sognate.
«Jude, come puoi pensare una cosa del genere? Credi davvero che avrei potuto dirgli della nostra…» fa per ribattere Ray, ma Jude lo interrompe di nuovo.
«Sei stato tu a rovinare tutto, Ray»
L’uomo apre la bocca, come a voler dire qualcosa, ma Jude non gliene dà la possibilità.
Il ragazzo, infatti, è già scattato in direzione delle scale, incapace di trattenere oltre le lacrime.


Broadway, Boston, 6th November
h. 04:36 p.m.



Caleb flette pigramente la testa in avanti, per poi sospingerla all’indietro, facendo pressione sulle spalle. Le lezioni sono finite già da diversi minuti, eppure nessuno dei suoi amici l’ha ancora raggiunto all’esterno dell’edificio.
Strano… da quando in qua quei tre si facevano pregare per non fuggire a gambe levate da scuola, una volta che la giornata era giunta al termine?
L’unico che sarebbe potuto essere stato giustificato, da quel punto di vista, era Jude. Eppure anche lui, ultimamente, aveva cominciato a comportarsi in maniera insolita. Già, Caleb non se l’era ancora tolto dalla testa. Avrebbe dovuto farlo, in realtà: non sembrava esserci nessun pericolo imminente, inoltre probabilmente, se avesse continuato ad essere così diffidente, Camelia gli avrebbe fatto l’ennesima ramanzina. C’era qualcosa, tuttavia, in tutta quella vicenda, che continuava a tormentare Caleb, a dirgli che diversi aspetti non quadravano, senza lasciarlo in pace.
«Caleb!»
Dei passi affrettati lo strappano violentemente dalle sue riflessioni. Ha già riconosciuto la voce, per cui non prova nessuna sorpresa quando, voltandosi, incontra lo sguardo color ruggine di David, che gli corre incontro, Joe al suo fianco.
Anche qui, però, qualcosa non torna, nella mente del ragazzo: perché sono solo loro due? Che fine ha fatto Jude?
Quando lui e Joe raggiungono finalmente Caleb e possono così smettere di correre, David si piega su se stesso, poggiando le mani sulle ginocchia mentre cerca affannosamente di riprendere fiato.
«Siete in ritardo» fa notare loro seccamente il ragazzo dagli occhi verde petrolio.
«Scusa…» risponde David, il respiro che ancora incespica. «Abbiamo fatto il giro di tutta la scuola, correndo come disperati… è da stamattina che non vedevamo più Jude, eravamo preoccupati…»
Caleb inarca un sopracciglio. Effettivamente, adesso che ci riflette, neppure lui vede Jude da ore. Ricorda di averlo incrociato quella mattina, all’ingresso, solo che quel giorno avevano tutti corsi diversi, per cui era stato impossibile incontrarlo a lezione. A pranzo, nella sala della mensa, i ragazzi si erano riuniti al solito tavolo, tuttavia Jude non li aveva raggiunti. Nessuno dei tre ci aveva dato troppo peso, dopotutto non era la prima volta che succedeva: a volte Jude passava l’ora del pranzo con Dark, e nessuno gliene aveva mai fatto una colpa. Certo, ultimamente le interazioni tra i due si erano ridotte praticamente a zero, perlomeno a scuola, tuttavia nessuno di loro poteva sapere se avessero qualcosa da dirsi o meno. Le questioni private di quei due non erano affar loro, dopotutto, no?
«Beh, magari è con…» fa per dire Caleb.
«Ray?» lo interrompe David. «No, non aveva lezioni dopo la pausa pranzo. Comunque, Caleb, c’è qualcosa che non va… prima, in corridoio, ho incontrato una ragazza che oggi era al corso di matematica con lui. Mi ha detto che all’inizio Jude era con loro, poi, quando il professore li ha raggiunti, è scomparso. Infine, una ventina di minuti dopo, è tornato in classe, ha preso lo zaino e se ne è andato. A quanto pare si vocifera che sia venuto a prenderlo suo padre…»
La testa di Caleb tentenna. Il governatore Sharp era un uomo profondamente impegnato, difficilmente si sarebbe mosso spontaneamente per il figlio. Se l’aveva fatto, significava che doveva star succedendo qualcosa di grosso.
«Non è tutto.» David riprende, e subito l’attenzione di Caleb torna a puntarsi su di lui. «La ragazza con cui ho parlato mi ha detto anche che, quando è tornato in classe, Jude pareva essere piuttosto sconvolto. Ha parlato a malapena, e sembrava che avesse… pianto… Caleb, che cosa sta succedendo?»
L’ex capo della banda sospira sonoramente. La situazione in cui si trovavano non appariva affatto facile.
«Non lo so, ragazzi» ammette infine, infilando nervosamente le mani nelle tasche dei suoi jeans laceri. «Ma ho come l’impressione che stia succedendo qualcosa di molto brutto…»
Caleb si ferma di colpo. Forse vorrebbe aggiungere dell’altro, forse no, fatto sta che di colpo ogni parola diventa priva d’importanza.
Dall’altra parte della strada, una chioma violetta sfila lungo la strada, rapida come un soffio di vento, quasi non volesse farsi notare da nessuno.
Caleb la osserva, e stenta a credere ai suoi occhi.
Un basco color sabbia le cade dolcemente sulla nuca, mantenendo tuttavia una certa rigidità, una mano, all’altezza del petto, tiene stretta una giacca nera. La borsa di cuoio scuro le rimbalza ritmicamente contro il fianco destro, mentre passi veloci si susseguono uno dietro l’altro.
Per un momento teme di aver visto un fantasma, e quella pelle così pallida gli sembra una conferma.
Erano giorni che nessuno la vedeva più, a scuola. Aveva provato a chiedere in giro, ma nessuno sembrava saperne nulla. Aveva ipotizzato che stesse male, quando però aveva cercato di chiamarla non gli aveva mai risposto.
Era una situazione strana, e avrebbe voluto poterne parlare con qualcuno, ma non l’aveva fatto, sia perché non ne aveva avuto il tempo materiale, sia perché di recente Jude, l’unico con cui si sarebbe potuto confidare in merito, sembrava essere più impegnato ad evitare Dark per i corridoi che a curarsi di qualsiasi altra cosa.
«Camelia…» mormora, come ipnotizzato.
Caleb sembra accorgersi che lui e i ragazzi sono rimasti in piedi per tutto quel tempo davanti all’ingresso della scuola, senza muoversi. Adesso, invece, una forza sconosciuta pare spingerlo via da lì.
Il ragazzo ignora le voci degli amici che lo richiamano e si getta nel mare di persone che ancora affollano il cortile dell’istituto, pronto a seguire la ragazza.
L’unica cosa che conta per lui è Camelia, adesso.


 Cambridge, Boston, 6th November
h. 04:36 p.m.



L’aveva seguita, restando sempre qualche passo indietro, attento a non farsi vedere.
In realtà non aveva idea del perché facesse così attenzione affinché non lo scoprisse; se Camelia si fosse accorta che la stava pedinando di nascosto, probabilmente sarebbe andata su tutte le furie. Caleb temeva tuttavia che, se si fosse rivelato a lei, la ragazza non gli avrebbe mai detto la verità sulla sua destinazione, eludendo a tutti i costi ogni domanda in merito.
Non capiva perché di colpo fosse diventata così misteriosa, e in un certo senso Caleb temeva quella situazione. Non sopportava quando qualcuno non gli diceva tutta la verità, e di recente sia Jude che Camelia erano diventati fin troppo sospetti per i suoi gusti. Caleb ricordava ancora fin troppo bene le facce delle persone attorno a lui quando i suoi genitori erano morti: lo fissavano con quegli sguardi colmi di compassione unita a falsa pietà, ed erano così disgustosi che non era riuscito a sopportarli in alcun modo. Sentiva che gli nascondevano qualcosa, come se la verità fosse troppo dolorosa da sopportare per lui. Caleb non aveva mai richiesto alcun tipo di trattamento di favore, perché d’altronde sapeva che prima o poi avrebbe pur dovuto affrontare la verità. Anche se era ancora un bambino, non avrebbe avuto senso addolcire la pillola.
Da quel momento, aveva iniziato a detestare tutte le persone che sentiva gli stessero nascondendo qualcosa.
E occuparsene di due contemporaneamente, specie se sono la tua ragazza e il tuo migliore amico, non è affatto facile.
Camelia aveva raggiunto la fermata della metro di Harvard, dopodiché aveva iniziato a scendere giù per i gradini con lena, il passo leggero e aggraziato come al solito. Caleb si era calato il cappuccio grigio sul capo, così da non farsi riconoscere, per poi seguire la ragazza anche sottoterra.
Per fortuna era l’orario di punta, il che significava che, nella calca di studenti appena usciti da scuola, difficilmente Camelia si sarebbe accorta di lui. Il fatto che ci fosse così tanta gente, tuttavia, implicava che andar dietro ad una persona, per di più senza che questa se ne accorgesse, fosse ancora più difficile.
Non che fosse entusiasta di nascondere qualcosa alla sua ragazza. Ma era stata Camelia la prima a farlo, no? In ogni caso, continuava a sperare che lei non si accorgesse di nulla, perché spiegargli cosa ci facesse lì sarebbe stato complicato, e rinfacciarle che lei non gli aveva detto a sua volta delle cose non era un’opzione possibile – era fin troppo vile.
Caleb detestava chi gli nascondeva qualcosa, ma ancora di più non sopportava quando era lui a non dire tutta la verità. Sentiva tuttavia che, sotto a quella vicenda, si celava qualcosa di serio. Se lo faceva a fin di bene, e se scoprire quella verità lo avrebbe aiutato veramente a risolvere qualcosa, seguirla di nascosto non sarebbe stato poi così spregevole, giusto?
Camelia era salita su uno dei vagoni della red line. Era rimasta in piedi, gettando di tanto in tanto qualche sguardo furtivo intorno a sé. Caleb, invece, si era seduto, lasciandosi il cappuccio a coprirgli il volto. Lo scorso anno aveva trascorso la maggior parte del suo tempo a sfuggire alla polizia, e ormai aveva imparato qualche trucchetto per riuscire a farla franca. Ad ogni modo, le occhiate guardinghe di Camelia continuavano a sembrargli strane, come se la ragazza avesse paura che qualcuno potesse seguirla, solo che… perché avrebbe dovuto averne?
Tre fermate dopo, all’altezza di Charles, Camelia era scesa. Caleb non riusciva a capire dove stesse andando: non gli risultava che frequentasse quella zona, e aveva iniziato ad innalzare grandi e improbabili scenari nella sua mente. Che lo tradisse…?
Era un pensiero così sciocco che si distrusse nella sua mente nel momento stesso in cui si era formato: nessuno al mondo lo amava più di Camelia. Era rimasta al suo fianco anche quando, nel corso dell’ultimo anno, si era ritrovato a prendere delle decisioni che la ragazza aveva disapprovato, e non l’aveva lasciato neppure quando lo avevano arrestato. Non riusciva ad immaginare qualcuno che potesse tenere a lui più di quella ragazza, ed era certo che i suoi sentimenti fossero sinceri e disinteressati. Non gli avrebbe mai mentito, non su questo, ecco perché era sicuro che non ci fosse qualcun altro. In caso contrario, Camelia era una persona così onesta che Caleb non stentava a dubitare che sarebbe stata lei stessa a dirgli se ci fosse stato qualcosa che non andasse. Eppure gli pareva evidente che stesse nascondendo qualcosa, altrimenti non avrebbe avuto motivo di comportarsi in quel modo. Solo che, di cosa si trattasse, Caleb non ne aveva proprio idea.
Camelia riemerge all’aria aperta, i tunnel caldi, affollati e maleodoranti della metropolitana d’improvviso sembrano essere un lontano ricordo. La ragazza inizia a destreggiarsi tra ampi viali, e Caleb fatica a starle dietro, sia perché quella zona gli è così poco familiare e sia perché centinaia di persone affollano i marciapiedi.
Nel frattempo, Caleb cerca di fare mente locale, ricordando a se stesso cosa ci sia in quel quartiere: Cambridge è, da sempre, il quartiere universitario, frequentato da studenti e professori, pieno di caffetterie perfette in cui rifugiarsi per studiare. L’odore intenso di cappuccino invade le strade, mentre si alterna ad alcune librerie dalle pittoresche insegne in legno e agli onnipresenti grattacieli.
Forse Camelia è lì per incontrare una sua amica, eppure tutto ciò continua a sembrare piuttosto strano agli occhi di Caleb: Cambridge non è esattamente vicina alla loro scuola – e neppure a casa di Camelia, visto che non gli risulta che la ragazza si sia presentata alle lezioni, quel giorno; che motivo avrebbe dunque di andare così lontano per incontrarsi con delle amiche?
Un’ultima svolta, e Caleb s’immobilizza sul posto, come pietrificato.
Una struttura dalle innumerevoli vetrate si erge davanti a lui. È piuttosto imponente, e finisce per incutere in Caleb un certo timore reverenziale.
Non era mai entrato là dentro – grazie al cielo –, tuttavia sapeva perfettamente di che luogo si trattasse.
Il Massachusetts General Hospital.
Che motivo aveva Camelia di recarsi in quel luogo? D’accordo, di recente si era assentata da scuola, il che poteva significare che non stesse bene, ma ciò implicava che si trattasse necessariamente di qualcosa di grave…? Camelia… Camelia gliel’avrebbe detto, qualora fosse stato così, no…? Si erano sempre detti tutto, loro due…
Caleb sembra risvegliarsi solo in quel momento da quel torpore che l’ha colto d’improvviso, e realizza con sgomento che, in quei pochi attimi di distrazione, ha completamente perso di vista Camelia. Il ragazzo si getta in avanti con uno scatto fulmineo, alla ricerca della giovane.
L’interno è di un bianco asettico, abbagliante, e per un momento Caleb è costretto a chiudere gli occhi: il passaggio dal grigiore della città a quel candore è stato fin troppo repentino, e adesso piccoli puntini neri danzano sotto il riparo sicuro delle sue palpebre. Il ragazzo si scosta lentamente dal volto il braccio che aveva avvicinato per proteggere la vista e, riaprendo lentamente gli occhi, si accorge delle occhiate diffidenti che quasi tutti i presenti gli stanno lanciando, a cominciare dagli infermieri dell’accettazione fino ai vari pazienti.
Non che a Caleb importi poi molto di quella gente, di cui non conosce né il nome né il volto. C’è solo un motivo per cui si trova lì, e non ha intenzione di lasciarsi distrarre da niente o nessuno.
Il ragazzo scatta in direzione delle scale, correndo letteralmente su per i gradini. Di tanto in tanto incontra qualche medico o infermiera che lo guardano in maniera stranita, o che gli urlano dietro di andare più piano, ma Caleb sembra essere del tutto sordo alle loro parole.
Il ragazzo ispeziona ogni reparto minuziosamente, e man mano che va avanti una profonda inquietudine continua a crescere dentro di lui. Dov’è Camelia? Che cos’ha? Perché si trova lì? Sta molto male? Per quale motivo non gli ha detto niente di tutto ciò…?
Caleb apre la porta della stanza successiva quasi per sbaglio. Non ha letto neppure il cartello sulla porta, talmente forte è l’apprensione che sente adesso star divorandogli il cuore. Ciò che si ritrova davanti agli occhi, tuttavia, lo sconvolge profondamente.
Ci sono una serie di lettini, bianchi, asettici, lo schienale inclinato in verticale. Caleb sente di star odiando tutto quel bianco, ed è quasi sollevato dal fatto che le pareti della stanza siano tinteggiate di un blu intenso, un turchese scuro. È una tinta calma, rassicurante quasi, e per un momento Caleb sente i suoi sensi rilassarsi, come se non ci fosse più alcun motivo per restare ancora all’erta.
Poi, però, i suoi occhi si soffermano sui sostegni, bianchi anch’essi – maledetti –, ai lati dei letti. Sono formati di modo che, in alto, ci sia una parte incurvata, utile per contenere un oggetto. Ed effettivamente ogni asta ha la sua insenatura e, all’interno di essa, è contenuto una sorta di flacone di vetro, ricolmo di un inconsistente liquido trasparente. Illudersi che contenga acqua è inutile.
Dall’estremità inferiore della boccia vitrea pendono alcuni tubicini di plastica. All’interno della stanza ci sono almeno quattro di essi, e Caleb nota che quei piccoli tubi sono posti di modo che la loro parte finale, costituita da un ago a farfalla, sia infilato endovena ai pazienti.
C’è ancora un altro dettaglio, tuttavia, che contribuisce a turbare maggiormente Caleb. Buona parte dei pazienti, infatti, ha perso tutti i capelli, o gliene sono rimasti pochi, a ciuffi radi sulla nuca.
E poi, il colpo di grazia.
Camelia, in fondo alla stanza; si toglie la giacca, e un’infermiera cortese gliela prende, per poi poggiarla su una sedia poco distante. La ragazza si siede su uno dei lettini, per poi cominciare a sollevare una delle maniche della sua maglietta. L’infermiera si avvicina di nuovo, tenendo tra le mani l’ago della flebo.
Le parole chemioterapia e tumore rimbombano forte nella mente di Caleb, sebbene tutto intorno a lui ci sia un silenzio assordante e quasi innaturale.
Il ragazzo osserva ancora la sua fidanzata. È incredibilmente pallida, e cupe occhiaie violacee fanno capolino da sotto i suoi occhi. Camelia è sempre stata una ragazza fragile, almeno all’apparenza, ma dotata di una grande forza d’animo e bontà. Ora, invece, seduta su quel lettino, con la flebo nella vena, di colpo Caleb la trova vulnerabile come mai gli è apparsa, ed è una consapevolezza così dolorosa che d’un tratto gli sembra di avvertire una fitta al petto.
Caleb indietreggia, e quasi gli pare di aver perso la capacità di stare in piedi. Barcolla piano, finendo per urtare un carrello pieno di strumenti medici alle sue spalle. Prima che qualcuno possa rimproverarlo, e che Camelia possa notare la sua presenza all’interno della stanza, il ragazzo schizza via, la porta che sbatte piano alle sue spalle.
Camelia si volta, incuriosita dal rumore, ma ormai non c’è più nessuna persona di cui incontrare lo sguardo.
Caleb corre di nuovo lungo i corridoi, e ancora una volta non ascolta minimamente i dottori che gli intimano di procedere più lentamente.
Si sente un vigliacco, a fuggire in quel modo, sa tuttavia di essere completamente disarmato in quella situazione.





Angolo autrice

Oh. Il capitolo delle sofferenze.
Ve la ricordate la relativa calma dei capitoli precedenti? Ecco, dimenticatevela.
Ah, penso siano passati due anni
– forse meno okay – da quando ho scritto questa parte. Ricordo la sofferenza nello scriverla, e ancora oggi rileggerla è un colpo al cuore.
Partiamo dalla fine. La malattia di Camelia. Sì, è questa la cosa che mi ero dimenticata di mettere in DN, il pretesto che mi ha dato modo di scrivere una nuova long che si è rivelata essere più lunga della precedente. Più passa il tempo e più mi chiedo dove avrei dovuto inserire questo snodo di trama nell'altra storia, e sinceramente non riesco a darmi una risposta.
Ovviamente è tutto fuorché un dettaglio buttato là a caso. La vicenda di Camelia avrà una rilevanza preponderante all'interno della storia. Ricordo come se fosse ieri tutte le ricerche che ho fatto prima di trattare quest'argomento. Non mi piace essere inaccurata, e il terrore di aver scritto qualcosa di sbagliato mi attanaglia ancora oggi.
Ad ogni modo. Nei prossimi capitoli approfondiremo meglio questo aspetto, e siccome non voglio togliervi la curiosità è tempo di andare avanti!
Di male in peggio. Forse qualcuno di voi starà festeggiando. Io, sinceramente, no.
No, questa serie non è tale se Jude e Ray non vengono separati a un certo punto della storia. Non so chi ricordi quello che era successo in DN 
– o perlomeno se qualcuno qui abbia letto quella storia – ma a un certo punto *SPOILER ALERT* Jude lasciava Ray perché, secondo Caleb, continuare a seguire le lezioni era incompatibile con la loro vita da teppisti. Jude si recava così per un'ultima volta alla Cambridge, ma solo per comunicare a Ray la sua intenzione di lasciare gli studi in realtà nella storia gli consegnava il modulo di rinuncia agli studi, ma visto che ho poi scoperto che questo può essere firmato solo da studenti maggiorenni e Jude lì non lo era ancora facciamo finta che le cose siano andate in maniera diversa, shh. In seguito all'arresto di Caleb, tuttavia, Jude è disperato, e solo grazie a Ray, che lo incontra casualmente su un vecchio ponte di metallo prima che il ragazzo possa compiere una sciocchezza, la situazione si risolve, perché Ray salva Jude e, in seguito, sarà proprio il professor Dark a pagare la cauzione per la scarcerazione di Caleb, anche se gli unici due a conoscenza della cosa rimarranno sempre e solo Jude e Ray, per volontà di quest'ultimo.
In questo caso, invece, a determinare la separazione dei due amanti è il nuovo e pericoloso preside della Cambridge che, senza troppe sorprese a dir la verità, si rivela essere Zoolan. Forse i due avrebbero potuto continuare a vedersi, in qualche modo, ma il rischio era troppo alto: essendo stati esposti così, un altro passo falso avrebbe comportato senza tante esitazioni il licenziamento per Ray e, in maniera molto probabile, la preclusione a tutte le università più prestigiose del paese per Jude. E, per quanto a mio avviso Ray sarebbe quasi stato contento di allontanarsi da quella scuola e dal suo passato meno da Jude, e probabilmente è per questo motivo se non si è dimesso fino a questo momento, oltre al fatto che avrebbe dovuto trovare prima un altro impiego [non che sarebbe stato difficile, per lui, ma okay, di questo ne riparleremo in seguito
– forse], mettere nei guai Jude è l'ultimo dei suoi desideri. Chiaramente, lo stesso discorso vale anche a parti inverse per Jude. E come si risolve tutto ciò? Probabilmente nel modo peggiore che avrebbero potuto auspicarsi: per quanto qualcuno di loro – ossia Jude – continui a negarlo a se stesso, l'unica soluzione che hanno al momento è troncare i rapporti. Ray in questo momento è quello meno sconvolto tra i due – intendiamoci, sta soffrendo anche lui, così come va detto che anche il comportamento di Jude è da elogiare, visto che nonostante il modo in cui Zoolan li ha messi in difficoltà è stato l'unico a non perdere il sangue freddo sul momento, a differenza di Ray anche se si sono comunque ritrovati fregati ma vbb – e riesce a trovare la lucidità sufficiente per comunicare a Jude l'interruzione della loro relazione. Sinceramente non riesco a biasimare la successiva reazione di Jude, è sconvolto, stanno succedendo troppe cose insieme, gli sta letteralmente crollando il mondo addosso. In effetti è come se si fossero invertite le parti rispetto all'anno precedente.
E adesso? Eheh... ovviamente non posso dirvi niente. Stiamo per entrare in un tunnel fitto di eventi, che ci terrà impegnati per diverse settimane. Cosa succederà? Eh, chi lo sa... ma siamo solo all'inizio della storia, sappiatelo.
Ed è apparso il quartiere di Cambridge, ohoh. Ho passato la scorsa storia ad inserirlo continuamente in maniera scorretta e adesso finalmente compare sensatamente.
Queste lunghe note per un lungo capitolo si chiudono qui. Ci vediamo tra gieci giorni per il prossimo aggiornamento.


Aria

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Capitolo 5
*** Hopes and dead-end streets ***


Do-Iwanna-know

Baby we both know
That the nights were mainly made for saying things
that you can’t say tomorrow day.
Artic Monkeys — Do I Wanna Know


Brookline, Boston, 20th November
h. 05:21 p.m.
 」


Silenzio. Tutto intorno a lui c’è silenzio, e non riesce ad immaginare niente di più piacevole.
Le imposte sono serrate, così che la luce non possa entrare; per una sicurezza in più, inoltre, le tende sono state tirate.
Jude sente di non aver mai detestato tanto la luce come in quell’ultimo periodo.
D’altronde, di recente gli sembra che neppure più il sole abbia senso: sente sempre quel freddo che lo divora da dentro, gli martella le ossa, e per quanto possa ostinarsi ad avvolgersi in un vecchio plaid non vuole saperne di abbandonarlo.
Jude strofina appena una guancia contro il cuscino morbido di piume; il suo letto ha lenzuola di raso vellutato, di un color oro impolverato. Tutto sembra più scuro nella penombra della stanza, ma deve ammettere che non gli dispiace affatto.
Gli occhi gli bruciano dolorosamente, come se avesse fiamme vive al loro interno, e per quanto vorrebbe poter trovare una soluzione a quel suo stato si è ormai rassegnato all’idea di non poterlo fare. Forse, in fin dei conti, gli va anche bene così. Magari è una sorta di punizione divina che gli è toccata in sorte per il suo più grande errore: essersi illuso, credendo di potersi fidare dell’amore.
Mai leggerezza gli era costata tanto.
Il silenzio è rotto da alcuni rumori improvvisi al piano inferiore, ma Jude non ha molta voglia di domandarsi di che cosa si tratti.
Anzi, a dir la verità non ha voglia di chiedersi alcunché.
Gli manca il silenzio che c’era poco fa. Era rassicurante, in un certo senso: c’è stato per giorni, da quando si è rinchiuso in camera sua, uscendo solo di notte, per andare in bagno e bere un po’ d’acqua. Non avrebbe voluto farlo, a dir la verità, e lasciarsi semplicemente morire, ma forse aveva paura che potessero incolpare suo padre di averlo costretto a farlo.
Non era vero, ovviamente. Dopo la convocazione in presidenza il signor Sharp aveva preteso che lo seguisse a casa, e Jude era stato ben lieto di accontentarlo. Non si erano parlati, né lungo il tragitto verso la villa, né una volta arrivati. Jude s’era subito rinchiuso in camera sua, la porta serrata a chiave, ma era certo che, anche se non l’avesse fatto, non ci sarebbe stato comunque nulla che avrebbero dovuto dirsi: era già tutto così fin troppo palese, continuare con quella pantomima non avrebbe giovato a nessuno.
Per quanto s’impegnasse per non mangiare, alla fine cedeva sempre. Quando si alzava in piedi era così debole che gli tremavano le gambe, quindi si rifugiava in cucina, seduto a terra dietro l’isola che dominava la stanza, nel cuore della notte a sgranocchiare barrette energetiche. Era certo che i domestici si fossero accorti di quello che stava combinando, ma se era fortunato avrebbe potuto contare sul loro appoggio ancora per un po’.
Come se fosse mai stato fortunato, in vita sua.
Dal piano di sotto i rumori non accennano a diminuire. Adesso passi affrettati sembrano star salendo su per le scale, mentre voci accese animano un diverbio.
«Dove credete di andare? Questa è casa mia!»
Voce austera, tono imperioso. Suo padre, senza ombra di dubbio.
Nonostante i suoi modi autoritari, tuttavia, i passi continuano a rincorrersi. Probabilmente adesso devono star percorrendo il corridoio, valuta in fretta Jude.
La porta della sua stanza si apre di scatto. Jude ha un lieve sobbalzo, mentre si rende conto di averla lasciata aperta per distrazione durante la sua ultima spedizione notturna. Ora che ci pensa, è da più di una settimana che non ha interazioni con alcun essere umano. I primi giorni si è sforzato di andare a scuola, tuttavia seguire le lezioni di letteratura e ritrovarsi davanti quello che, fino a poco prima, era il suo fidanzato e che di colpo era diventato un estraneo era fin troppo doloroso. Non riusciva a capacitarsi che l’avesse lasciato: fino a qualche giorno prima erano lì, nel buio di una camera da letto, a scambiarsi baci intensi, e adesso non erano che due sconosciuti. Ray lasciava cadere il foglio di una verifica in cui aveva preso D – il voto più basso che avesse mai preso in letteratura, a sua memoria – sul suo banco, con aria completamente casuale, senza nemmeno guardarlo; Jude che, una volta suonata la fine dell’ora, era il primo a schizzare fuori dall’aula, recuperando distrattamente la cartella e sfilando a gran velocità davanti alla cattedra, senza fermarsi.
I loro occhi non s’incontravano più, nemmeno per sbaglio, e faceva male, troppo male. Non parlarsi lo logorava, ignorarsi gli veniva innaturale. Durante le lezioni era distratto, e finiva sempre per guardare fuori la finestra, perdendosi in pensieri che lo ferivano fin nell’anima.
Era per questo che, nell’ultima settimana, aveva deciso di non uscire più di casa. Suo padre aveva provato ad imporsi, a costringerlo ad andare a scuola, ma non c’era stato verso di farlo uscire da lì.
«È casa sua? E a noi che importa?» domanda una voce sfrontata, che Jude conosce fin troppo bene.
Il signor Sharp fa per ribattere, ma la porta viene richiusa di colpo.
Caleb avanza senza esitazioni attraverso la stanza, nessuno che cerchi di ostacolare il suo cammino. David, invece, corre ad inginocchiarsi ai piedi del suo letto.
«Jude!» il ragazzo con i capelli turchini lo chiama con voce apprensiva. «Sono giorni che non ti vedevamo più a scuola, eravamo preoccupati…»
Caleb apre la finestra, spingendo le imposte verso l’esterno. Un fascio di luce intensa e grigiastra irrompe nella stanza, insieme ad una folata di vento gelido. Jude si copre il volto con un lembo del plaid, proteggendosi da quella luce. C’è… c’è troppa luce…
«Non c’è… bisogno che vi preoccupiate» mormora, e si rende conto in quel momento che ha appena pronunciato le sue prime parole dopo aver passato un bel po’ di tempo in silenzio. Si pente di averlo fatto nel momento esatto in cui la sua bocca inizia a muoversi, ma ormai è troppo tardi. La sua voce, inoltre, è suonata incredibilmente incerta, e Jude se ne vergogna infinitamente.
«Sì, invece!» insiste David. Joe si siede in fondo al letto, mentre Caleb continua ad osservare il paesaggio fuori dalla finestra. «Sei nostro amico, è normale che ci preoccupiamo per te.»
Jude si stringe maggiormente la coperta attorno al corpo; non riesce proprio a smettere di sentire freddo. Non sa bene cosa dire ai ragazzi: non vuole che si preoccupino per lui, né che cerchino di sollevarlo da quella sua misera condizione.
«Si può sapere cos’è successo?» si azzarda a domandare Joe, temerariamente.
Un silenzio gelido cala nella stanza; Jude non crede di avere la forza necessaria per poter pronunciare quelle parole. Quel silenzio che si è di nuovo venuto a formare, inoltre, gli piace da morire, vorrebbe potersi cullare al suo interno all’infinito.
Quando parla non si accorge di star facendolo. La voce gli risale lungo la gola, senza che abbia la possibilità di controllarla, di fermarla. Le parole che pronuncia fanno male, soprattutto perché è la prima volta che lo ammette davanti a qualcun altro.
«Ray mi ha lasciato» confessa, e sente una parte di sé morire definitivamente.
L’espressione di sconcerto che vede comparire sul volto di David è la stessa che si forma su quelli di Joe e Caleb. Tutto si sarebbero aspettati nella vita, tranne che assistere alla rottura del rapporto tra quei due. Erano una coppia strana, ma tutto sommato funzionante. Che motivo avevano di lasciarsi…?
«Jude…» David lo osserva con gli occhi pieni di tristezza, e Jude riconosce sincerità nell’emozione del ragazzo. Nessuno, tra loro, aveva mai voluto del male né a lui né a Ray, anzi, in un certo senso si erano affezionati ad entrambi, e adesso sapere che la loro relazione era finita così improvvisamente lasciava spiazzati tutti quanti.
Non c’erano i presupposti per una fine così improvvisa, lo sapevano tutti, e forse era proprio questo a sconvolgerli tanto.
Da sopra il plaid, Joe stringe appena il polpaccio di Jude – gli sembra così debole che ha quasi paura di metterci troppa forza –, in un lieve gesto di incoraggiamento. «Mi dispiace…» mormora, sinceramente coinvolto.
«Questo non è il Jude che conosco.»
Tre teste si muovono, nel medesimo istante, in direzione della finestra.
«Raramente ti ho visto abbatterti per qualcosa» gli fa notare l’ex capo della banda «specialmente per una situazione del genere.»
In un primo momento Jude apre la bocca e fa per ribattere, ben presto tuttavia si trova a dover abbandonare quel progetto. La verità è che Caleb ha ragione: caratterialmente, è sempre stato incline ad accusare ogni colpo senza troppe ripercussioni. Vorrebbe dire che questa volta è diverso, ma già in passato gli è capitato di dover affrontare momenti particolarmente difficili. Forse, in fondo, ha solo perso la voglia di continuare a lottare.
C’è anche qualcos’altro, che Jude non riesce a comprendere con precisione. La voce di Caleb sembra lontana, assente, come se fosse rapito da pensieri tremendamente cupi. Sono giorni che Jude ha notato che qualcosa non va nel suo migliore amico, ma egoisticamente non si è mai premurato di chiedergli cosa fosse ad angustiarlo. Si sente quasi in colpa per non essersi preoccupato a dovere di lui, troppo concentrato a lasciarsi trascinare sul fondo dai propri problemi.
Per la prima volta da quando è arrivato nella stanza, Caleb smette di guardare fuori dalla finestra.
«Sentivo che c’era qualcosa che non andava» commenta, e Jude non riesce a fare a meno di notare la sfumatura di rabbia presente nella sua voce. «Eravate troppo strani, non riuscivo a spiegarmelo… ma mi sono ripromesso che non ti avrei più voluto vedere star male a causa sua. Dio, se solo potessi gli metterei le mani addosso seduta stante…»
«Non farlo» Jude sospira pesantemente, lo sguardo basso. «Io tengo a lui, e sono convinto che ci sia una spiegazione dietro a questo comportamento…»
Caleb aggrotta le sopracciglia.
«D’accordo» concede infatti «ciò non toglie tuttavia che non ti permetteremo di restartene qui a deprimerti»
Jude sbuffa, e nella sua amarezza si lascia quasi sfuggire una risata di disperata rassegnazione.
«Ah, sì?» domanda, quasi schernendolo. «E come avresti intenzione di fare?»
Caleb si avvicina al letto a grandi falcate. Quando se lo ritrova davanti, Jude nota che ha uno strano ghigno sul volto.
«Una sola parola, caro mio: discoteca.»


Back Bay, Boston, 20th November
h. 02:04 a.m.



Il buio è così intenso da risultare quasi accecante, in alcuni momenti. Le tenebre vengono dissipate solo a tratti dai colori intensi e fluorescenti delle luci a led, che si muovono inquieti sopra le teste dei ragazzi in pista. Danzano ammassati, in maniera scomposta, eppure sembra che una felicità ebbra si sia impossessata dei loro corpi, scossi da movimenti scoordinati sopra la musica sparata a tutto volume.
Il Blue Lagoon nel suo bicchiere da cocktail è di un azzurro intenso, scintillante, tanto da sembrare una pozione magica. Jude muove con le dita la cannuccia nera, facendola roteare nel bicchiere, tra piccoli flutti di alcol.
In quel momento vorrebbe solo dimenticare ogni cosa. Più riflette sul fatto di essersi lasciato trascinare lì e più non riesce a comprendere come sia stato possibile. Non ha mai amato le discoteche, e il fatto che adesso si trovasse lì, da solo in un angolo a sorseggiare il suo drink, senza neppure la compagnia dei suoi amici ne era l’ennesima dimostrazione.
Già, i suoi amici. Avevano insistito tanto per farlo uscire di casa, salvo poi abbandonarlo prontamente una volta arrivati all’interno del locale. Probabilmente adesso stavano ballando, chissà con chi, chissà su quale canzone, ma in fin dei conti a Jude non importava più di tanto. Non era mai stato l’anima della festa, ne era consapevole, e non s’era mai dato pena per questo.
Il ragazzo si porta la cannuccia alle labbra e, non appena un sorso gli invade la bocca, avverte un’esplosione di sapori esotici in bocca: l’ananas si mischia al sapore dolciastro dell’alcol e alle note aromatiche dell’arancia. Una nebbia piacevole gli avvolge la mente, e Jude inizia a valutare che l’unico lato positivo di aver accettato quell’invito – sebbene sarebbe più corretto dire che si sia lasciato trascinare passivamente lì – sia la possibilità di dimenticare tutto ciò che gli è successo in quell’ultimo periodo, almeno per qualche ora. È un sollievo breve, questo Jude lo sa, tuttavia al momento è così disperato che si accontenterebbe perfino di cinque minuti di tregua.
Sente il cuscino duro e rivestito di pelle scura dello sgabello accanto al suo piegarsi lievemente sotto il peso leggero della persona che ora lo occupa. È una ragazza giovane e avvenente: pelle ambrata e labbra carnose da far girare la testa ad ogni ragazzo, incorniciati da una chioma della stessa tonalità di azzurro del cocktail di Jude.
«Un Margarita, grazie» chiede al barman, con una voce calda e morbida, come burro fuso.
Jude la osserva meglio e, nel buio del locale, la riconosce. Si chiama Suzette e, l’anno precedente, aveva avuto un flirt con Caleb, prima che il ragazzo mettesse la testa a posto e decidesse di impegnarsi seriamente con Camelia.
Suzette e Camelia non si conoscevano minimamente e, a detta di Jude, non avevano nulla da spartire l’una con l’altra. La giovane che adesso sedeva poco distante da Jude era estroversa, energica, allegra; Camelia, invece, era sempre stata avvolta da un’aura riflessiva e cauta. Forse era per questo che lei e Caleb stavano così bene assieme: l’uno compensava le mancanze dell’altra.
L’uomo dall’atra parte del bancone allunga in direzione di Suzette un bicchiere contenente un liquido bianco dalle sfumature giallastre: Jude riesce a sentirne il profumo intenso di limone fin da lì. La ragazza afferra il drink e, nel farlo, il suo corpo si protende in avanti: nel buio del locale, paillettes rosse scintillano come fuochi d’artificio nella notte.
Jude fa per voltarsi, come realizzando d’improvviso che forse sta osservando quella ragazza da fin troppo tempo – ma che poteva farci, lui, se gli era capitato un catalizzatore di attenzioni accanto – e fa per tornare a sorseggiare il suo cocktail. Suzette, però, sembra essersi accorta del suo sguardo, infatti poco dopo inclina il capo di lato.
«Che ci fa un tipo come te qui, tutto solo soletto?» gli domanda, il rossetto cremisi che sottolinea il movimento lento e sinuoso delle sue labbra.
A Jude ci vogliono diversi secondi prima di comprendere che quella ragazza così incredibile avesse deciso di degnare proprio lui della sua considerazione. Il ragazzo sbatte le palpebre diverse volte, dopodiché apre la bocca, come per parlare, tuttavia Suzette lo anticipa.
«Dovresti andare a ballare» gli fa notare – e nel suo tono non c’è boria né malizia, ma solo il tentativo sincero di offrirgli un consiglio spassionato. «Il vero divertimento è lì.»
Jude sa che forse dovrebbe dirle qualcosa, perché non si aspettava che qualcuno – per il quale era pressoché uno sconosciuto – potesse dimostrarsi così gentile nei suoi confronti. Alla fine, tuttavia, si limita ad alzarsi in piedi, chinando lievemente il capo e mormorando un leggero “grazie” a fior di labbra. La ragazza annuisce, e Jude non ha idea se abbia capito le sue parole o meno, tuttavia decide di non restare lì a domandarselo oltre, perché probabilmente finirebbe per fare una figura ancor più miserabile di quella che ha già fatto.
Così Jude si allontana, in direzione della folla sulla pista da ballo. L’idea di infilarsi in quella calca non gli piace affatto, forse però raggiungere i suoi amici sarà una scelta migliore che restarsene da solo in un angolo.
Jude sta avanzando a stento, quando incontra di nuovo tra la folla due occhi grigi che lo fissano con intensità.
È lo stesso sguardo che lo ha inchiodato a terra, all’ingresso della scuola; continua ad essere certo di conoscere la persona a cui appartiene, eppure non riesce a ricordare dove l’abbia vista prima…
Una vertigine lo coglie all’improvviso. Jude si porta una mano alla fronte, e ha paura di stare per svenire da un momento all’altro…
«Jude!»
La voce di David sembra ridestarlo. Jude si guarda intorno, e intravede i suoi amici a pochi passi da lui.
Di quegli occhi grigi, invece, non v’è più nessuna traccia.
Jude scuote lievemente la testa, come cercando di liberarsi da un improvviso torpore. Nel frattempo, ha già ripreso a muoversi faticosamente in direzione dei ragazzi: David agita una mano nella sua direzione, mentre Joe e Caleb, accorgendosi del suo imminente arrivo, hanno momentaneamente smesso di ballare.
David, tuttavia, deve essersi accorto che qualcosa non va, perché di colpo un’espressione preoccupata compare sul suo volto.
«Va tutto bene?» gli domanda infatti, poco dopo, quando Jude li ha ormai raggiunti.
«Oh…?» Jude sembra rendersi conto solo in quel momento di avere ancora le dita fredde che premono contro la sua tempia. «Sì, tutto sotto controllo, è solo un capogiro…»
«Forse faresti meglio ad uscire fuori a prendere un po’ d’aria» gli propone Joe, «oppure potresti andare in bagno a sciacquarti i polsi. In ogni caso, se vuoi veniamo con te nel parcheggio…»
«Oh, no, non sarà necessario!» si affretta ad assicurargli Jude. «Ti ringrazio, Joe, ma credo che mi limiterò ad andare un momento in bagno.»
«Sicuro?» insiste David, con un cipiglio preoccupato in volto.
Jude si limita ad annuire e, poco dopo, si è già avviato in direzione del bagno, prima che qualcuno possa aggiungere altro.
Non riesce a smettere di pensare al fatto che, da quando sono usciti da casa sua, Caleb non abbia proferito nemmeno mezza parola. È strano, non ha neppure approfittato del suo improvviso malore per deriderlo, come invece avrebbe fatto di solito. Deve esserci qualcosa di grosso sotto, Jude ne è certo, solo che l’unico modo che ha di scoprire di che cosa si tratti è parlarne direttamente con Caleb.
Arrivare in bagno è una sorta di odissea, un percorso ostacolato da quei corpi così vicini gli uni agli altri. Quando Jude preme finalmente i propri palmi sul maniglione antipanico della porta del bagno gli sembra un miracolo; il ragazzo si spinge in avanti, lasciandosi cadere all’interno della toilette.
Il bianco di quella stanza è accecante, in netta contrapposizione con il buio pesto della sala da ballo. La buona notizia è che, fortunatamente, non sembra esserci nessuno a parte lui, là dentro.
Jude sospira pesantemente. Si rimbocca appena le maniche, lasciando scoperti gli avambracci pallidi ed esili, dopodiché lascia che l’acqua inizi a fluire lentamente nel lavandino. Porta i polsi sotto il getto freddo, espirando di piacere quando questo entra in contatto con la sua pelle.
Non credeva di averne così bisogno.
Il ragazzo chiude gli occhi, lasciando che un brivido gli percorra la schiena. Sente la testa smettere di vorticargli, piano, come che il gorgo che l’aveva ingoiata stesse rallentando e adesso si trovasse in uno degli anelli più esterni, dove tutto gira più lentamente, come se la tempesta si stesse placando.
Quando Jude riapre gli occhi, tuttavia, sente che quelle acque sono incredibilmente lontane dal calmarsi.
Lo sguardo cremisi del ragazzo si posa nello specchio davanti a lui, e ciò che vede alle sue spalle gli fa sentire il corpo pesante come una statua di gesso.
Appoggiato ad una delle porte lignee dei bagni, Ray lo osserva attentamente, come se non lo vedesse da anni e stesse cercando di imprimere nella propria memoria ogni suo minimo dettaglio.
«Jude» l’uomo si lascia sfuggire un sospiro profondo. «Speravo di poterti parlare.»
Il ragazzo sbarra gli occhi, mentre un brivido corre lungo il suo corpo.
«Parlarmi?» domanda, con tono acido, voltandosi. «Cos’altro devi dirmi, Ray? Non credi di aver già rovinato sufficientemente tutto, l’ultima volta?»
«Aspetta, lasciami spiegare…» Ray si sposta in avanti, stringendo piano il polso del ragazzo tra pollice ed indice. «Credevo che lo avessi capito… lo sai che, fosse stato per me, non sarei mai arrivato a questo, Jude. Ci stavano col fiato sul collo, che altre scelte avevo se non quella di allontanarti da me? Non è per me che temo, ma per la tua carriera scolastica. Se qualcuno dovesse scoprire quello che c’è tra di noi non perderebbero occasione per rovinarti in ogni modo, visto che sa perfettamente che non temo nulla, se non che possano farti qualcosa…»
Il ragazzo agita il polso violentemente, finché strattonandosi non riesce a liberarsi.
«Ma lo senti quello che dici?» sbotta, irato. «Come se a me importasse qualcosa di essere il migliore della scuola o di essere ammesso in una delle migliori università del paese! Io volevo stare con te, è così difficile da capire?»
Ray si morde un labbro; sta facendo molta fatica a rimanere fermo sul posto, tuttavia sa che, se tentasse nuovamente di afferrare il ragazzo, Jude si adirerebbe ancora di più. «Tu pensi che queste cose non t’interessino, ma se di colpo ti venisse negata la possibilità di poterle avere sono certo che ne soffriresti, anche se faresti di tutto per non darlo a vedere. La tua afflizione sarebbe la mia punizione, e no, non posso condannarti ad una condizione del genere» commenta, rammaricato.
Negli occhi di Jude la rabbia scintilla come lapilli incandescenti. «E da quando in qua pensi di conoscermi meglio di me stesso, Ray? Di sapere ciò che voglio più di quanto lo sappia io?» gli domanda, algido.
Prima che l’uomo possa rispondere, Jude gli volta in fretta le spalle, uscendo dal bagno. Non ha idea di come sia arrivato lì, né di come abbia fatto a sapere che lui e i suoi amici ci si sarebbero recati, quella sera – probabilmente li ha pedinati fin da quando sono usciti da casa sua –, tuttavia non gli interessa affatto saperlo. Per ora, l’unica priorità di Jude è lasciare quel posto più in fretta possibile.
Di nuovo tra la calca, Jude cerca di farsi strada, lungo una zona rialzata di qualche gradino rispetto alla pista da ballo. Spera che Caleb, David e Joe lo vedano e lo raggiungano fuori, perché non ha intenzione di trascorre anche un altro solo momento là dentro.
Non appena esce dalla discoteca, l’aria gelida di fine novembre lo accoglie impietosa, pungendogli la pelle con crudeltà. Neppure la vicinanza al mare mitiga la temperatura; d’altronde, hanno detto che quello sarà uno degli inverni più freddi degli ultimi anni, e che presto arriverà anche la neve.
Jude cammina a passo spedito, il vento che gli schiaffeggia la faccia, come se volesse punirlo della sua codardia. Non ha avuto abbastanza coraggio nell’affrontare Ray, ecco perché adesso sta fuggendo con passo spedito. Sente alcune lacrime affacciarsi agli angoli dei suoi occhi, decide però di fingere che siano lì a causa del freddo.
Il parcheggio alla sua sinistra è pressoché deserto – è troppo presto per andarsene di già, lo sa, ma non ha altra scelta. Meglio così, valuta tra sé il ragazzo, almeno nessuno lo vedrà mentre ha gli occhi lucidi.
Dei passi affrettati, poi di nuovo una voce, sempre la stessa.
«Jude…!» Ray gli corre dietro, senza curarsi che là intorno qualcuno possa vederli. Un tempo Jude avrebbe apprezzato quel gesto, ma ormai gli sembra di non provare più niente a riguardo.
Il ragazzo si volta di scatto, lo sguardo colmo di dardeggianti lampi di furia. «Lasciami in pace!» grida, e nelle sue parole c’è tutta la frustrazione, l’amarezza e la delusione che ha covato nell’ultimo periodo.
Ray si arresta di colpo, sul volto un’espressione esterrefatta; tardi, troppo tardi Jude comprende che il motivo di tanto stupore sono le lacrime che hanno iniziato a solcargli il volto.
L’uomo fa per andargli incontro – vorrebbe così tanto poter cancellare ogni traccia di quel pianto nefando –; non appena muove un passo in avanti, tuttavia, qualcuno lo precede.
«Jude…!» La voce di David, ancora una volta. Lui, Joe e Caleb sfilano da dietro la schiena del professor Dark, e l’ex capo della banda non perde occasione per urtare l’uomo poco involontariamente.
David circonda le spalle di Jude con un braccio, in maniera protettiva.
«Ti portiamo a casa» lo rassicura Joe, deciso. Jude annuisce, senza riuscire a smettere di fremere dalla rabbia, e i tre ragazzi si allontanano insieme, venendo inghiottiti dal buio di quella notte gelida, mentre Ray resta immobile sul posto, a guardarli scomparire.




Angolo autrice

"Due cose: una brtt e una brttixima" cit.
No, okay, in realtà sono una brutta e una bella forse. Da quale volete che cominci?
Vbb, decido io, facciamo prima quella che almeno io ritengo bella – poi magari per voi è una piaga ma chi sono io per giudicare –: ultimamente editavo i capitoli qualche giorno prima della pubblicazione, perché mi dava un senso di organizzazione maggiore disagi mentali personali, ignorate pls, invece oggi mi sono ridotta all'ultimo, anzi scusate se doveste trovare errori sparsi da qualche parte. E per quale motivo, direte voi? Perché "procrastinazione is the way"? Anche. Ma la verità è che...
*inhales*
*big annuncione is coming*
... HO FINITO UN'ALTRA LONG! YAAAY!
Ecco, per quanto nei giorni precedenti mi sia ripetuta spesso di non volerne sovrapporre la pubblicazione a diwk, mi sono detta che alla fine non mi fila nessuno, quindi anche se postassi due long in contemporanea le cose non cambierebbero :) è una storia che ho letteralmente iniziato e finito in circa una settimana, più o meno come ttoym, e considerando che l'idea m'era venuta circa un anno fa ma non l'avevo mai presa in mano per mie pare mentali varie ("Sarò all'altezza di rendere il concetto che ho in mente? E se venisse male?" e via dicendo) e che nel mentre aveva subito cambiamenti, ampliamenti e modifiche varie nel mio cervello direi che è un bel traguardo. In ogni caso, se non le avessi pubblicate in contemporanea avrei dovuto aspettare l'anno prossimo, perché a mio avviso è una storia che va postata in estate altre pare rip, per cui yay! Per quanto riguarda la trama non posso fare spoiler, in ogni caso spero che possa piacervi.
Passiamo alla notizia brutta: ultimamente ho poca voglia di aggiornare/editare questa storia. Non so perché... sarà il caldo direi di no visto che nel mentre ho scritto un'intera long? Sarà la stanchezza per gli ultimi giorni in cui ho scritto e basta? Non lo so, fatto sta che per me diwk è un progetto davvero importante a cui ho lavorato letteralmente per degli anni, per cui sinceramente mi sentirei tremendamente in colpa ad abbandonarlo, soprattutto considerando che ho tutti i capitoli pronti. Venendo a questo, di capitolo... in realtà non succede niente di particolare, e vi anticipo che lo stesso varrà anche per l'aggiornamento del 7 agosto. Dal 17, invece, le cose si complicheranno ancor di più... però avevo bisogno di preparare il terreno. La situazione è delicata, ci sono più personaggi sofferenti, ognuno sul proprio fronte, e ci tenevo ad inquadrare bene tutto prima di proseguire con altre parti della storia che saranno altrettanto importanti.
Anyway! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e grazie a chiunque continui a leggere! See you soon!


Aria

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Capitolo 6
*** Truths and worries ***


Do-Iwanna-know

Baby we both know
That the nights were mainly made for saying things
that you can’t say tomorrow day.
Artic Monkeys — Do I Wanna Know


Broadway, Boston, 1st December
h. 02:21 p.m.
 」


Il pennello danza lentamente nell’acqua, lasciando scie di colore azzurro all’intero di essa.
Jude resta ad osservarlo, come incantato. Per un momento gli sembra di dimenticare la tela davanti a sé, su cui sta dipingendo un paesaggio dai colori freddi, una spiaggia deserta, dalla sabbia grigiastra, e un mare in tempesta, onde agitate e schiuma bianca che schizza nell’aria.
È un paesaggio invernale che ha imparato a conoscere bene, in quell’ultimo periodo. Ha la mente troppo piena di pensieri, di dubbi e di dolore, così, appena può, si rifugia a Back Bay, da solo, senza che nessuno sappia nulla. Si siede alla fine di un pontile, accoccolandosi alla ringhiera in ferro, e resta lì anche per ore, incurante del vento freddo che ruggisce e gli fa sbattere i vestiti contro la pelle, ad ascoltare lo sciabordio nervoso delle onde e cercando di trarre da esso le risposte di cui sente di aver così disperatamente bisogno, in quell’ultimo periodo, ma che crudeli continuano a sfuggirgli.
Jude non è mai stato un fervente amante dell’arte; ultimamente, tuttavia, gli sembra di aver trovato in essa l’unico modo che ha per sfogarsi.
Accanto a lui, David sospira di frustrazione. Sta litigando da un po’ con la creta davanti a sé, senza troppi risultati.
L’insegnante passa alle loro spalle, sollevando un sopracciglio – se per disapprovazione o per sorpresa è impossibile dirlo.
«Samford, stai cercando di fare una scultura al fango?» domanda, non senza una punta di sarcasmo. Poi si volta in direzione di Jude e aggiunge:«Sharp, in cinque anni che frequenti questa scuola non ti ho mai visto ottenere dei risultati così buoni in arte. Che sta succedendo?»
Il ragazzo scrolla le spalle, mentre estrae il pennello dal vasetto colmo d’acqua davanti a sé.
«Nulla, professore» risponde semplicemente, ostentando noncuranza.
L’uomo non sembra molto convinto, per fortuna, però – con sommo sollievo di Jude – decide di non indagare oltre, limitandosi a proseguire verso altri ragazzi.
Gli alunni sono disposti a cerchio, in un’aula spaziosa, e ognuno lavora con la tecnica che preferisce. Nell’ultimo periodo Jude è tornato a detestare la sua scuola, deve però almeno darle il merito di avere diversi corsi interessanti, in cui vengono concesse diverse libertà agli studenti.
David si lascia ciondolare in avanti, sconsolato. «Mi arrendo» commenta infatti, poco dopo. «Sono negato per queste cose.»
Jude sospira, e un sorriso accenna quasi a comparire sul suo volto, ma ci sono troppe ferite, troppi fili dentro di lui che lo trattengono affinché ciò non avvenga. «Ma se sei sempre stato tu il più bravo tra noi due in arte?» gli fa notare, cercando di rassicurarlo.
«Già, ma…» David alza lo sguardo, facendo per parlare. Ben presto, tuttavia, è costretto a interrompersi, lo sguardo che cade sul dipinto di Jude. «Non sapevo che disegnassi così bene…» ammette, stupito.
Jude rotea gli occhi, trattenendosi a stento dal sospirare nuovamente. D’accordo, non era mai stato un granché nelle materie artistiche, però perché adesso si stavano mettendo d’impegno tutti insieme per farglielo notare?
«Non lo sapevo nemmeno io, a dir la verità» commenta, con una semplicità che finisce per stupire anzitutto se stesso.
David appoggia le testa contro la spalla di Jude. Hanno sempre avuto un legame molto particolare, e Jude non stenta a credere che abbia intuito perfettamente cosa si cela dietro quelle onde in tempesta.
«Vuoi che ti vada a prendere dell’acqua pulita?» gli propone, con il solito tono gentile.
Jude abbassa lo guardo di colpo, come ricordandosi solo in quel momento del dipinto. La tavolozza di plastica bianca che ha usato per mescere i suoi acquerelli è piena di macchie grigie e azzurre, mentre il contenitore per l’acqua davanti a sé, vetro trasparente dalle forme tondeggianti, ha striature di blu in più punti. Probabilmente era così assorto da non essersene accorto.
«Va bene» concede infine, non tanto per una vera e propria necessità, quanto piuttosto perché teme altrimenti di deludere David.
In quell’ultimo periodo sono stati tutti molto gentili, con lui. Alla fine di quella disastrosa serata in discoteca, i ragazzi lo hanno scortato fino alla sua abitazione, e se ne sono andati soltanto nel momento in cui ha preso definitivamente sonno. Jude si è sentito rassicurato e protetto da quelle accortezze, così, quando si è accorto che nei giorni successivi i ragazzi hanno continuato a prendersi cura di lui, non ha fatto nulla per fermarli – anche perché, in realtà, è troppo stremato da ciò che gli è successo in quell’ultimo periodo per opporsi in alcun modo.
Così, ogni giorno, al momento di tornare a casa, c’è sempre almeno uno di loro pronto a fare la strada assieme a lui. Oppure, all’ora di pranzo, gli impediscono sempre di restarsene da solo in mensa, perché sanno che altrimenti passerebbe il tempo a intristirsi e a cercare lo sguardo di Ray tra la folla, per cui lo trascinano a mangiare fuori, sotto ad un grande albero, davanti all’ingresso della scuola. Fa freddo, e il vento pizzica insistentemente le loro guance, ma anche solo il fatto di essere lì, loro quattro, assieme, è sufficiente a riscaldarli, almeno un po’.
Lui e Ray non hanno più parlato, ovviamente. Dopo quanto è successo in discoteca, probabilmente entrambi hanno perso la voglia di discutere in maniera definitiva. In classe, durante le sue lezioni, Jude sembra essere diventato di vetro, troppo fragile e sul punto di spezzarsi. Le parole gli passano attraverso, e le lezioni di letteratura inglese hanno ormai perso tutto il loro splendore, almeno ai suoi occhi.
Gli manca. Gli manca terribilmente, davvero. Ha cercato di capire cosa abbia sbagliato, cosa non abbia funzionato. E non ci è arrivato, nonostante tutto il suo ragionare; per quanto si sia spremuto le meningi, c’è sempre un pezzo che non torna – andava tutto bene, fino al giorno prima… di colpo, però, ogni cosa era crollata –; e poi, c’è quello che gli ha detto Ray in discoteca. Quella sera Jude era troppo poco lucido per comprendere veramente quelle parole, nei giorni successivi, tuttavia, non ha fatto che pensarci. Non era stata colpa sua? E di chi, allora? Stava forse alludendo al fatto che qualcuno gli avesse fatto delle pressioni affinché troncasse il loro rapporto? E, se così fosse stato, di chi si trattava?
C’è qualcosa, però, che tortura Jude ancor di più: se veramente è stato costretto a lasciarlo, perché ha accettato di farlo?
Più ci pensa, e più soffre. Crogiolarsi non ha senso, si era detto, ma se veramente Ray lo aveva lasciato… se gli aveva detto quelle cose… cos’avrebbe dovuto significare, che non l’aveva mai amato?
È un pensiero destabilizzante, che Jude tenta di evitare con tutto se stesso. Eppure, nonostante ciò, la sua mente torna spesso a solleticarlo, con malignità.
Jude osserva quella tela, su cui ha cercato di rappresentare quello che, nell’ultimo periodo, è il suo stato d’animo: l’oceano in tempesta, onde alte pronte a trascinare via ogni certezza. Ci sono scogli appuntiti, di un colore cinereo, e Jude pensa distrattamente che siano un’ottima resa delle difficoltà che sta affrontando di recente. Non si è accorto di cosa stesse raffigurando, né è partito con un progetto preciso nella mente: ha lasciato andare la mano, e quello è il risultato.
David non è ancora tornato, e Jude valuta che è un fatto alquanto curioso. Il ragazzo lascia vagare lo sguardo di lato, attraverso la stanza, e individua in fretta l’amico ancora nei pressi del lavello, dalla parte opposta dell’aula rispetto a lui. Sta osservando una ragazza alle sue spalle; la giovane, non appena si accorge che qualcuno la sta fissando, arrossisce di colpo, stringendosi al petto il foglio su cui sta disegnando. David inarca le sopracciglia, sorpreso, dopodiché attraversa nuovamente la stanza, con passo spedito, mentre un sorriso divertito fa capolino sul suo volto.
Jude inclina la testa di lato. È confuso, non ha la più pallida idea di cosa stia succedendo: non ha ben capito a che scena ha appena assistito, né perché d’improvviso David sembra essere diventato così ilare e quella ragazza imbarazzata.
L’amico torna a sedersi accanto a lui, restituendogli il vasetto, di nuovo colmo d’acqua pulita. Nell’impeto di tornarsene al posto, David ha lasciato uscire alcune gocce, così adesso la superficie vitrea è piuttosto scivolosa. Jude recupera un panno, lo stesso su cui prima ha asciugato le setole del proprio pennello, ed inizia a passarlo sul recipiente. Nel frattempo, David non riesce a trattenere oltre una risata divertita, che copre portandosi una mano alle labbra.
Il ragazzo si china in avanti in direzione di Jude, finché non è così vicino da potergli sussurrare all’orecchio.
«A quanto pare hai una spasimante» mormora infatti, trattenendo Jude per un braccio, così da tenerselo vicino. «La vedi la ragazza con i capelli rossi, dall’altra parte della stanza? Ti stava disegnando di nascosto un ritratto al carboncino. Quando si è accorta che ero dietro di lei ha nascosto l’album su cui stava lavorando, ma sono riuscito a vedere lo stesso il ritratto. Hai fatto colpo, Jude!»
«Macché» Jude si libera dalla presa di David, poco convinto dalle sue parole. «Come se qualcuno potrebbe mai essere interessato a…»
Jude non riesce a finire la frase.
Il suo sguardo vaga, ancora una volta, lungo l’aula di arte, fino a quando non si posa esattamente davanti a sé, dalla parte opposta del circolo in cui gli studenti sono seduti, e per un lungo momento Jude rimane pietrificato.
Di nuovo loro.
Per giorni Jude ha continuato a incrociare quegli occhi grigi, senza riuscire a realizzare a chi appartenessero. Ora ce si ha lì davanti, e di colpo ogni cosa sembra essere tornata ad avere un senso.
Una ragazza qualunque, che in ogni altra occasione avrebbe continuato a passargli inosservata, le guance leggermente paffute, i capelli di un rosso opaco, come impolverato, e poi quegli occhi grigi, grandi, espressivi, profondi come un fosso pieno di ragnatele, agitati come nubi cariche di pioggia pronte a scatenare un temporale. Sembra voler sfuggire allo sguardo di Jude, eppure, per qualche motivo ignoto al ragazzo, è come incapace di farlo, imprigionata in un legame troppo forte.
Una ragazza che segue il suo stesso corso di arte, che ha continuato ad osservarlo per tutto quel tempo, di nascosto, circondata da altre persone, così che Jude non fosse in grado di accorgersi a chi appartenesse quello sguardo. Adesso che ce l’ha davanti, però, sarebbe sciocco negare a se stesso l’evidenza: quegli occhi che lo seguono ovunque vada – davanti a scuola, in discoteca… – quelle guance che, ad un suo sguardo, subito arrossiscono…
Quella ragazza è innamorata di lui? E cosa dovrebbe fare, esattamente? È ancora troppo innamorato di Ray per lasciarsi intrappolare in una nuova relazione, o almeno così si dice; inoltre non la conosce affatto, come potrebbe provare qualcosa per lei…?
È strano, sentirsi desiderati: gratificante, certamente, se non che Jude preferirebbe di gran lunga che a farlo sia qualcun altro.
Il ragazzo immerge il pennello nell’acqua pulita, e sente di nuovo quello sguardo grigio tornare a puntarsi su di lui.


Somerville, Boston, 4th December
h. 05:26 p.m.



Ancora lì, davanti a quella porta. A Caleb sembra che sia diventata un’abitudine, nell’ultimo tempo – le attese, i rumori dalla parte opposta –, ma la verità è che non sa se ci sia un modo per cambiarla.
Sono giorni che non fa che pensare ad altro; a causa del crollo improvviso di Jude, non ha avuto molto tempo per stare a riflettere sulla propria vita privata, tuttavia non può continuare a ignorarla, fare come se non esistesse.
Ha suonato al campanello di Camelia da almeno cinque minuti, eppure la ragazza non gli ha ancora aperto. Fino a qualche mese fa la immaginava a farsi bella ai suoi occhi davanti allo specchio del bagno, adesso però sa che si nasconde qualcosa di più profondo della leziosità dietro quei gesti.
Pudore. Ripudio verso se stessa e le proprie condizioni.
La porta si apre lentamente, e da dietro di essa compare appena Camelia.
Ha la pelle chiarissima, come se stesse per scomparire da un momento all’altro, mentre un maglione di lana azzurra le cinge dolcemente le spalle, come se volesse inghiottire la sua figura. Il freddo è arrivato in anticipo quest’anno, a Boston, e Camelia sembra essere stata colta impreparata da quell’evenienza: le scapole e il collo magrissimo sfuggono al riparo del pullover, troppo grande per lei, e Caleb non stenta a credere che stia morendo di freddo.
«Ciao…» lo saluta lei, dolcemente.
Caleb nemmeno ricambia. Entra in casa con furia, lasciando la ragazza ferma sul posto.
Non è riuscito a fare a meno di notare gli occhi azzurri e profondi come l’oceano di Camelia leggermente annebbiati di lacrime, e non ha dubbi sul perché.
Questo non vuol dire che faccia meno male.
Camelia chiude la porta, con un sospiro pesante. «Caleb…» lo richiama piano, dall’ingresso, con un tono di voce spezzato, come se perfino parlare fosse troppo faticoso, per lei.
Il ragazzo entra in bagno, per poi riemergerne poco dopo, con una spazzola in mano. Camelia inizia ad avvicinarsi, il jeans stretto che le fascia perfettamente le gambe esili.
«E questa cosa vorrebbe dire?» le domanda il ragazzo, agitandole la spazzola davanti agli occhi. È piena di capelli violacei, fin troppi, come se intere ciocche fossero venute via dal suo capo.
«In autunno si perdono molti più capelli che durante il resto dell’anno…» gli fa notare lei. C’è qualcosa che non va, Caleb lo percepisce nitidamente: la sua voce sembra affetta da un morbo complesso, che la rende pesante e innaturalmente accaldata. Camelia preme una mano contro il muro, come se stesse per cadere da un momento all’altro.
«Stronzate» ringhia Caleb. Il ragazzo lascia cadere la spazzola a terra, senza curarsene troppo, per poi riprendere a marciare, stavolta in direzione della camera della ragazza.
Camelia sospira pesantemente. È già stanca, non sa per quanto tempo riuscirà ancora a reggersi in piedi. Cerca comunque di trascinarsi fino in camera sua, per non destare ulteriori sospetti in Caleb.
Non sa che, ormai, è già troppo tardi.
Quando arriva sulla soglia della stanza, infatti, trova il ragazzo con le mani nei suoi cassetti. In altre circostanze sarebbe furiosa, ma è troppo debole per arrabbiarsi con lui – e poi sa che Caleb ha perfettamente ragione: gli ha nascosto qualcosa di troppo importante, e adesso ha tutto il diritto di avercela con lei.
Anzi, per la verità si sorprenderebbe del contrario.
Tra le mani di Caleb ci sono diverse scatole di farmaci. Non ne riconosce i nomi, e sono così complessi che bastano a spaventarlo terribilmente.
Camelia li nascondeva tra reggiseni e mutandine, certa che Caleb non sarebbe stato così sfacciato da andare a frugare tra la sua biancheria intima. Il ragazzo sente il pizzo sfiorargli le dita, ma è l’ultima cosa di cui riesce a preoccuparsi al momento.
«Caleb, allontanati da quei cassetti…» gli intima Camelia, stringendo con forza lo stipite della porta per reggersi in piedi.
«Cos’è questa roba?» domanda, ignorando completamente le sue parole.
«Antibiotici» risponde lei, cercando di non tradire la nota incerta che si nasconde nella sua voce. «Sono stata poco bene, ho avuto un’influenza e il mio medico me li ha somministrati per aiutarmi a riprendermi…»
Caleb scaglia le scatole nel cassetto con veemenza.
«E ti aspetti che ci creda? Che non mi accorga che non sono farmaci per l’influenza?» Il ragazzo si volta ad osservarla, furioso. «Come se non avessi mai avuto un’influenza in vita mia…» commenta, e nella sua voce c’è amarezza, delusione.
«Caleb…» lo chiama ancora lei, cercando di farlo ragionare.
«Ti ho vista, un mese fa, fuori dal Cambridge» ammette. «Erano giorni che non venivi più a scuola, nessuno sapeva che fine avessi fatto, provavo a chiamarti e non mi rispondevi… ero preoccupato, cazzo! Così ti ho seguita, e…»
«Aspetta, mi hai seguita…?» domanda lei. Probabilmente è arrabbiata, ma a Caleb non interessa.
«Oh, andiamo, non venire a farmi la paternale per averti seguita, quando tu mi hai tenuto nascosto qualcosa di ben più grave!» sbotta lui, avanzando verso di lei con ampie falcate. «Per un momento ho perfino pensato che avessi un altro, e lo avrei quasi preferito…!»
«Caleb, mi hai seguita di nascosto! Non ne avevi nessun diritto!» lo riprende lei, stringendo i pugni. Non sa da dove le venga tutta quella forza, credeva di non averne più, in corpo. «A-avresti dovuto parlarne con me, se avevi dei dubbi su di me o sulla nostra relazione, ti avrei detto la verità…»
«E mi avresti risposto?» la sfida lui, ormai giunto davanti a lei. Si trattiene a stento dal toccarla, perché teme che, qualora lo facesse, la vedrebbe frantumarsi dinanzi ai propri occhi. «Se non me l’hai detto prima, perché avresti dovuto farlo adesso?»
Camelia sente le forze venirgli meno del tutto. Non è sorpresa, ha resistito fin troppo – è da tempo che non riesce a restare a lungo in piedi. Le gambe cedono sotto il suo peso esile, e sente il suo corpo cadere verso il basso, come reclamato dalla gravità.
Caleb non fa in tempo ad afferrarla. Ha la mente annebbiata, continua non credere che ciò che ha visto al Massachusetts General Hospital possa essere la verità. Ha sperato, a lungo si è illuso di essersi sbagliato, ma vederla adesso cadere così inerme a terra non è che l’ennesima conferma ai suoi timori.
Le ginocchia di Camelia impattano violentemente contro il suolo, e una smorfia di dolore attraversa il volto della ragazza. Caleb sembra risvegliarsi solo in quel momento, e subito s’inginocchia a terra, circondando le spalle della fidanzata con un braccio.
«Non volevo… che lo venissi a sapere così.» Il corpo di Camelia è scosso da violenti colpi di tosse, che la ragazza non riesce in alcun modo a controllare.
«E allora co…» fa per domandarle il Caleb, ma un nuovo colpo di tosse di Camelia lo interrompe.
«N-non lo so, ma non così…!» gli risponde lei, in un momento di tregua che il suo corpo le concede dal dolore.
Cala un silenzio profondo, in cui nessuno dei due sa cosa dire, entrambi troppo pieni di ferite per comportarsi come se non ne abbiano. Camelia guarda in basso, con uno sguardo colpevole che fa soffrire ancora di più Caleb – non può lasciare che si distrugga così, non è in grado di concederglielo. Così la afferra piano, circondandole la schiena e le ginocchia con le braccia, per poi sollevarsi da terra, tenendola stretta a sé in braccio.
La sente tremare, e di riflesso la stringe ancor di più, pregando con tutto il cuore di non farle male – è così fragile…
Caleb attraversa lentamente la stanza, fino a quando non si ritrova davanti al letto della giovane. Distende con cautela il corpo di Camelia sul materasso, per poi inginocchiarsi ai suoi piedi, un amante pronto a servire in ogni modo la padrona del suo cuore.
Il ragazzo sfiora piano la mano della fidanzata, disegnandole con le dita piccole spirali sul dorso. Quel gesto sembra rilassare immediatamente Camelia, che si lascia sfuggire un lieve sospiro.
«Ho una leucemia linfoblastica acuta» spiega la ragazza, lo sguardo fisso sul soffitto – perché guardare Caleb, adesso, le farebbe fin troppo male. «I farmaci che hai visto sono antidolorifici. A volte sto così male che prenderli è l’unico modo che ho per alleviare almeno un po’ il dolore.»
Caleb sbatte le palpebre diverse volte, come incapace di credere alle proprie orecchie. Preservarsi da quel dolore aveva senso quando ancora non aveva la certezza che Camelia fosse malata; ora che lo ha ammesso lei stessa non serve a nulla continuare a mentire a se stessi dicendo che tutto ciò non esiste se non a stare peggio, no…?
E allora perché il suo cervello si rifiuta di accettarlo?
«N-non ho capito…» ammette, con aria sconsolata.
Camelia sospira, accarezzando rassegnata il capo del fidanzato.
«È una malattia infida» continua, le dita che tracciano percorsi invisibili tra i capelli bruni di Caleb. «Ho più globuli bianchi di quanti dovrei averne, e il mio corpo continua a produrne, senza fermarsi.»
Caleb deglutisce a vuoto, sente la gola secchissima.
«Da… da quant’è che lo sai…?» le domanda.
«Mesi, in realtà» si ritrova a confessare lei, cercando di sistemare la testa in una posizione comoda sul cuscino.
Per Caleb è come ricevere l’ennesimo pugno allo stomaco.
«Mesi…?» chiede ancora, incredulo. «E perché non me l’hai detto prima?»
Camelia chiude stancamente gli occhi, mentre un brivido le percorre la schiena. «Per lo stesso motivo per cui adesso mi sto pentendo di avertelo detto, Caleb. Perché temevo la tua reazione, e sapevo perfettamente che non sarei stata in grado di gestirla» gli rivela, col più sincero dei dispiaceri a riempirle la voce.
«Se… se me l’avessi detto prima avremmo potuto affrontare insieme questa cosa fin dall’inizio!» le fa notare il ragazzo, ancora ferito dal fatto che gli abbia nascosto qualcosa di tanto importante così a lungo.
«Volevo dirtelo solo quando sarei stata certa delle mie condizioni» continua lei, «poi però hai ricominciato ad andare a scuola, e avevo paura che, se lo avessi saputo, avresti di nuovo smesso di studiare pur di starmi accanto giorno e notte… e, beh, non è questo ciò che voglio, né per te né per me.»
Caleb si porta in avanti, sovrastando il corpo della ragazza con il proprio. Camelia lo osserva attentamente, mentre lo sente posarle le mani sul volto e iniziare ad accarezzarle le guance, pieno di delicatezza e di premure.
«Sei proprio una stupida» commenta, e il volto di Camelia arrossisce con levità. «Io ti amo, e tu credevi che avrei potuto lasciarti se avessi saputo che eri malata?»
Camelia abbassa lo sguardo – di nuovo quell’aria colpevole che si forma sul suo volto. Doveva immaginare che Caleb avrebbe compreso subito le motivazioni: d’altronde, nessuno la conosceva bene quanto quel ragazzo.
«Guarirai, vero?» le chiede Caleb, con un tono che difficilmente accetterà un no come risposta.
Camelia sospira di nuovo, pesantemente. Sta diventando così difficile, continuare a parlare…
«Caleb, non lo so» si ritrova ad ammettere, tristemente. «Ho finito il primo ciclo di chemioterapia, e adesso i medici stanno aspettando di vedere come reagirà il mio corpo. Nel frattempo, non ci resta che aspettare…»
Caleb è così furioso che vorrebbe poter prendere a pugni la trapunta di Camelia, e se non lo fa è solo perché ha troppa paura di spaventarla. Detesta aspettare, restarsene con le mano: è una cosa che lo fa sentire completamente vulnerabile, vittima del fato – e a Caleb quell’idea non piace affatto; se deve seguire il destino, preferisce farlo per delle scelte che ha preso lui, non un essere superiore.
«Non è possibile che questa sia l’unica cosa che possiamo fare…» ringhia, chiudendo gli occhi con forza.
Camelia lo osserva, una dolcezza lenita dal dolore le riempie gli occhi mentre gli stringe piano una mano. Quel gesto porta Caleb a riaprire subito gli occhi, sorpreso.
«Qualcos’altro forse c’è» gli confida lei, inclinando il capo di lato, così da poter ricambiare lo sguardo del ragazzo.
Le parole di Camelia sono fiamme che accendono una pericolosa scintilla di speranza in Caleb.
«Cosa?» le domanda subito lui, impaziente.
Camelia allunga una mano in direzione del volto di Caleb, accarezzandoglielo piena di premura, mentre un sorriso sincero le compare sul viso.
«Restami vicino, Caleb» risponde lei, come trovando finalmente la serenità, dopo tanto dolore. «Se mi resti vicino, sento di poter riuscire a fare qualsiasi cosa.»
Gli occhi di Caleb vengono attraversati da una luce indecifrabile – speranza, forse – che lo porta, poco dopo, ad afferrare la mano di Camelia, avvicinandosela alle labbra e riempiendola di piccoli baci.
«Certo… certo che ti rimango vicino» le assicura, tremando appena. «Non ti lascerei da sola per nessun motivo al mondo… affronteremo questa cosa insieme, te lo prometto…»
Camelia chiude gli occhi, esausta, senza smettere di sorridere. È rimasta cosciente per molto più tempo di quanto le sia in grado di resistere ultimamente, e ora sente di stare per addormentarsi di nuovo. Questa volta, però, accanto a lei c’è Caleb, e sa già che finché le sarà vicino non potrà accaderle nulla di male.




Angolo autrice

Ho passato mezzo capitolo a litigare con i tempi verbali. Spero con tutto il mio cuore che siano giusti.
Come vi avevo anticipato nelle note dello scorso capitolo, in realtà per questo aggiornamento non ci sono particolari avvenimenti degni di nota. Chiamiamolo capitolo di transizione o come volete, fatto sta che in realtà non succede molto. Per quanto riguarda la prima parte, ci sono come al solito un mare di paranoie di Jude e, forse, la cosa più interessante è il fatto che, per la prima volta, il nostro caro protagonista abbia visto in maniera più nitida la persona che di recente continua a fissarlo. Avete capito di chi si tratta? Non preoccupatevi, perché anche qualora la risposta dovesse essere no, credo che lo scoprirete molto prima di quanto possiate immaginare...
Quanto alla seconda parte, invece, finalmente abbiamo avuto una panoramica più chiara sulla situazione di Camelia. Qualche anno fa ho scritto una one shot, che si chiama Colorful lenses, dove avevo già trattato il tema di Camelia malata di leucemia. L'idea era quella di inserire questo espediente narrativo già in DN, solo che, tra una cosa e un'altra, ho finito per dimenticarmene. E così eccoci qui, a distanza di tre anni, mentre cerco di porre rimedio alle mie inadempienze, lol. Continuo a sperare di essermi documentata a sufficienza e di non aver scritto nulla di incorretto, soprattutto in ambito medico, anyway, here we are.
E adesso? Mah, nulla in particolare. Tra dieci giorni ci sarà il prossimo aggiornamento, e io già soffro per una cosa in particolare...
Ma non è tempo di disperarsi! Ci stiamo avvicinando a importanti snodi di trama, so... stay tuned!


Aria

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Capitolo 7
*** Fears and hazards ***


Do-Iwanna-know

Baby we both know
That the nights were mainly made for saying things
that you can’t say tomorrow day.
Artic Monkeys — Do I Wanna Know


Broadway, Boston, 9th December
h. 10:41 a.m.
 」


«Le cose diventano più dolci quando sono perdute. Lo so: perché una volta volevo qualcosa e l’ho ottenuta. È stata la sola cosa che abbia mai voluto davvero, Dot. E quando l’ho ottenuta mi si è ridotta in polvere tra le mani.»
Ray chiude il libro, contenente diversi racconti di Francis Scott Fitzgerald, davanti a sé, sospirando piano. La classe è piombata in un silenzio profondo, tutti gli studenti ascoltano ammirati le parole lette dal professore.
Tutti, eccetto uno.
Jude osserva il mondo scorrere fuori dalla finestra, senza alcun vero interesse per quelle parole. Le sente vicine, eppure sa che non gli apparterranno mai completamente.
La cosa che lo infastidisce più di ogni altra è che solo lui riesce a cogliere il vero significato che si cela dietro a quella lettura, e se un tempo ne sarebbe stato onorato adesso non può che trovarlo un crudele scherzo del destino.
Che senso ha? Prima mi lascia e poi legge davanti a tutta la classe un brano su quanto sia difficile perdere qualcosa a cui si teneva?
Jude continua a pensare che, in realtà, sia stato un atto di estrema vigliaccheria da parte di Ray: giusto qualche mese prima aveva insistito in tutti i modi pur di tenerlo vicino a sé e allontanarlo dalla vita sregolata della banda, dichiarandosi pronto ad ogni genere di sacrificio e poi, messo di fronte alla prima vera prova del loro amore, lo aveva lasciato?
Aveva mai contato qualcosa quel legame, per lui?
Lo sai che, fosse stato per me, non sarei mai arrivato a questo, Jude.
Come no.
Non sa perché si ostini a seguire le lezioni di Ray – anzi, no, del professor Dark. Ormai non c’è più alcun genere di legame tra di loro, per cui è sciocco da parte sua continuare a chiamarlo per nome. O forse lo fa per lo stesso motivo per cui continua a seguire le sue lezioni, perché – in fondo – spera che tra loro non sia tutto finito.
Oppure è semplicemente autolesionista.
«Allora» il professore chiude gli occhi per un momento, per poi riaprirli poco dopo. «Chi vuole dire qualcosa in merito a quello che abbiamo letto?»
Jude avverte un movimento d’aria alle sue spalle. Qualcuno deve aver alzato la mano.
«Prego» concede Ray.
«Mi scusi, professore» si introduce una voce femminile, pochi posti dietro a Jude. «Solo che mi chiedevo… come mai abbiamo letto un brano di Francis Scott Fitzgerald? Non ci siamo ancora arrivati, con il programma…»
Ray scuote la testa, con aria sconsolata. Jude ormai lo conosce abbastanza bene da aspettarsi già cosa sta per rispondere alla ragazza, e sarebbe una circostanza perfino esilarante, se solo loro due fossero ancora una coppia.
Il professore si mette in piedi, per poi fare lentamente il giro della cattedra, a cui poco dopo si appoggia, con fare casuale. Jude non dovrebbe trovarlo affascinante, non dopo quello che è successo tra loro, eppure il modo in cui la camicia aderisce al suo corpo è sufficiente ad annebbiargli la mente.
Va’ al diavolo, Ray Dark.
«Più passano gli anni» esordisce, in tono grave «e più mi auguro di riuscire a lasciare qualcosa, nella mente dei miei studenti. Un segno, un’impronta – seppur appena tangibile – dei miei insegnamenti. Quando ricevo domande del genere, tuttavia, mi viene spontaneo domandarmi se stia svolgendo bene il mio mestiere o meno.»
Una pausa. La ragazza fa nuovamente per parlare, o quantomeno cercare di limitare i danni del suo intervento, tuttavia poco dopo Ray le nega la possibilità di farlo.
«Quello che ho sempre cercato di insegnarvi, nella mia mediocrità» prosegue infatti il professor Dark, non senza una nota di teatralità nella voce, «è di andare oltre queste concezioni mentali. Le gabbie, gli ordini cronologici, i programmi… lasciateli da parte, quando assistete ad una mia lezione. Ciò che mi preme che voi comprendiate sono le idee, non le date.»
Un’altra pausa. Buona parte degli studenti si guardano tra loro, mentre probabilmente la studentessa che ha posto quella domanda starà morendo d’imbarazzo, adesso.
«Penso che a tutti noi sia capitato, almeno una volta nella vita, di perdere qualcosa che ci era particolarmente cara» riprende Ray, sollevando lo sguardo sulla classe. «Come vi siete sentiti, quando ciò è avvenuto? Confusi? Feriti? Spaesati?»
Gli studenti continuano a rivolgersi occhiate, mentre in loro sboccia una nuova consapevolezza. Sì, l’hanno già provato il dolore della perdita, Ray sa di star parlando di qualcosa di universalmente comprensibile, ed era esattamente ciò che desiderava fare.
«Ecco, non è importante tanto cosa abbiate provato, quanto piuttosto il fatto che siate passati attraverso tale dolore. Ed è qui che sta il punto della lezione di oggi: la perdita di qualcosa, di qualcuno è un avvenimento non raro nella nostra esistenza, che talvolta può lasciare segni profondi dentro di noi. La dolcezza di cui parla l’autore è il rimpianto che proviamo, nel momento in cui non li abbiamo più. Avremmo dovuto dire loro qualcosa, prima che se ne andassero, e ora non potremo farlo più. Quanto al concetto dello spezzarsi tra le mani» conclude il professore, con aria solenne, «più desideriamo qualcosa e più siamo disposti a tutto pur di ottenerla. Poi, però, una volta che finalmente l’abbiamo posseduta, finiamo spesso e volentieri per distruggerla, perché non sappiamo come preservarla. Questo vorrei che voi imparaste: a trattare ciò che ci viene donato con gentilezza, a non lasciarlo andare via. E questo continuerò a ripetervi nelle mie lezioni, affinché possiate farne tesoro: voglio che vi sia chiaro ciò a cui punta veramente la letteratura. Potrete anche sapere la vita intera di un autore, ma non vi servirà a nulla se non riuscirete a comprenderne il messaggio. Ci sono poesie, o romanzi, che sono stati scritti secoli fa, ma che ancora trovano un terreno su cui attecchire ai giorni nostri. Questo vorrei che capiste, e che ci rifletteste su.»
La campanella della fine dell’ora trilla, e gli studenti si preparano a lasciare l’aula con più lentezza del solito, ancora incantati dalle parole del loro insegnante.
Jude, invece, è il primo ad andarsene. S’infila un singolo spallaccio, dopodiché si alza, schizzando via davanti alla cattedra. Ray si è rimesso seduto sulla sua sedia, e tiene lo sguardo basso. Un tempo Jude sarebbe stato l’ultimo ad andarsene, e sarebbe rimasto assieme a lui a discutere sulla lezione appena conclusa.
Ormai, però, quei giorni erano lontani – ed era stato proprio Ray a lasciarli fuggire.
Una volta in corridoio, a Jude sembra di tornare a respirare dopo un lungo periodo di apnea. Non gli sembra di aver trattenuto il fiato, durante la lezione, quindi forse è solo colpa di Ray che continua ad ucciderlo, nonostante tutto.
Sì, deve essere assolutamente così.
In corridoio si sono riversate già centinaia di studenti, tutti pronti a vagare verso l’aula della loro prossima lezione. Jude li segue, almeno fino al suo armadietto – si è dimenticato di prendere i libri per la materia successiva, può essere così sciocco?
Forse, il pensiero di dover seguire l’ennesima ora di letteratura inglese gli ha fatto dimenticare tutto il resto. E se riflette su quanto gli faccia male il pensiero di essersene andato da quella classe senza aver scambiato neanche mezza parola con Ray non fa che stare peggio. In quel momento, Jude vorrebbe solo sbattere con veemenza l’anta del suo armadietto, alla fine però riesce a trattenersi a stento, stringendo tra le dita il metallo freddo, verniciato di rosso.
Il ragazzo batte un paio di volte le palpebre, cercando di ricomporsi. Controlla l’orario, un foglietto attaccato nella parte interna dell’anta dell’armadietto: la prossima lezione sarà quella di storia moderna, per cui farà meglio a recuperare il loro corposo manuale e a dirigersi in fretta verso l’aula del corso.
Le dita di Jude si stringono giustappunto attorno al libro, quando una voce alle sue spalle richiama la sua attenzione.
«Scusa, tu sei Jude?» si sente domandare, infatti.
Il ragazzo inizia a voltarsi. Gli sembra di aver riconosciuto, in quel timbro, lo stesso della ragazza che prima, in classe, ha posto quella domanda a Ray. Jude vorrebbe chiederle se sia nuova di quel corso, perché ormai tutti sanno che il professor Dark odia quel genere di domande, ma è costretto ad interrompersi prima ancora di farlo.
Salopette di jeans, t-shirt rosa pallido.
Capelli rossi come piccole fiamme.
Occhi grigi, simili a nuvole in tempesta.
È lei, la ragazza che ha visto fuori da scuola, poi in discoteca e infine al corso di arte. Il suo sguardo lo ha seguito dovunque, e ora che se la ritrova davanti e che può finalmente associare una voce a quegli occhi, lo stupore cresce in modo esponenziale in Jude, lasciandolo pressoché a corto di parole.
Sono tante le cose che non riusciva a spiegarsi: perché lo ha osservato di nascosto, in tutti quei mesi? E perché, proprio adesso, si è palesata davanti a lui?
Prima di rispondere, Jude inspira profondamente.
«Sì, sono io» risponde, con tono calmo ma controllato. «Con chi ho il piacere di parlare?»
«Oh!» La ragazza sembra sorpresa che le abbia concesso la parola, e subito allunga una mano nella sua direzione. «Mi chiamo Victoria, piacere! Frequentiamo lo stesso corso di arte…»
«… e di letteratura» conclude Jude, battendola sul tempo.
La ragazza arrossisce, colta di sorpresa. Poco dopo si lascia sfuggire una lieve risata imbarazzata.
«Te ne sei accorto» commenta, passandosi una mano tra gli scarmigliati capelli rossi.
Jude scrolla le spalle. Si è già accorto di molteplici cose, a dir la verità: del ritratto che quella ragazza gli ha fatto durante l’ora di arte, ad esempio – anche se il merito di quella scoperta è da attribuire interamente a David –, oppure dell’imbarazzo che le tinge le gote ogni volta che lo guarda. Non ci vuole un genio per comprendere che quella ragazza si sia presa una cotta per lui, solo che Jude non ha la più pallida idea di come gestire quella situazione. «Ho solo riconosciuto la tua voce, tutto qui» ammette lui, offrendole un sorriso di incoraggiamento.
«C-che acuto osservatore…» nota lei, senza riuscire a liberarsi di quell’imbarazzo. «Anche io ho notato una cosa, però, sai? Oggi, a lezione, eri parecchio distratto, e non hai preso nemmeno un appunto. Così, mh, mi chiedevo se te ne servissero…»
«No, in realtà.» Jude chiude gli occhi per un momento, pensieroso. È un pretesto stupido per attaccare bottone, lo sanno entrambi. «Un mio amico segue lo stesso corso, e mi ha già passato una copia dei suoi appunti» le spiega, remissivo.
«Oh! Oh… c-capisco…» si affretta a concludere lei, mortificata. Probabilmente si è appena resa conto di aver fatto una delle peggiori figuracce della sua vita, e non vede l’ora di troncare quel discorso. «Beh, allora… ci vediamo, mh?»
La ragazza si volta, facendo per allontanarsi lungo il corridoio. C’è qualcosa, però, che trattiene Jude dal considerare quella conversazione conclusa. Una voce che mormora al suo orecchio, persuasiva – forse fin troppo. Dopotutto, Ray non si è fatto troppi problemi a lasciarlo, allora perché adesso dovrebbe gettare al vento la sua giovane vita, nell’attesa di un ritorno che potrebbe non esserci mai?
Non lasciarla andare via, Jude.
«Ehi, aspetta!» si ritrova ad esclamare, prima ancora che se ne possa rendere conto.
La ragazza si volta subito, sorpresa. È ormai già quasi arrivata a metà del corridoio.
«S-sì?» domanda, incerta.
Prima di pronunciare la frase successiva, Jude prende un respiro profondo.
Andrà tutto bene. Non puoi aspettarlo per sempre.
«Ti andrebbe di uscire insieme, un giorno?» le chiede, con gentilezza.
Il volto di Victoria si illumina, come se avesse appena ricevuto la proposta più bella della sua vita.
«Volentieri!» acconsente, e questa volta la sua voce non trema.
La ragazza lo saluta, agitando una mano nella sua direzione, per poi riprendere a camminare lungo il corridoio, un sorriso che fatica a scomparire dal suo volto.
Jude resta ad osservarla, incapace di comprendere fino in fondo ciò che è appena accaduto.
Cosa diavolo ha combinato?


Southwest Corridor, Boston, 14th December
h. 04:49 p.m.



Ormai dev'essere diventata un’abitudine per loro. Ogni volta che Jude è sul punto di persuadersi che siano entrati per l’ultima volta nel vecchio covo di Southwest Corridor, i suoi amici finiscono puntualmente per smentirlo.
Non che gli dispiaccia più di tanto, in fin dei conti. Di recente gli sembra che, più va avanti, e più ogni cosa perde di significato.
Il ragazzo è seduto sul vecchio divano, gli occhi chiusi e la mente assorta in mille pensieri. Probabilmente si sta cacciando in un guaio più grosso di lui.
«Non mi avete ancora detto per quale motivo siamo qui» commenta, cercando di accantonare tutte le sue preoccupazioni. Come sarebbe bello, a volte, avere la mente vuota e leggera…
David attraversa la stanza quasi saltellando, stringendo tra le mani una bottiglia di liquore ambrato. Dev’essere parecchio allegro, valuta tra sé Jude.
«Dobbiamo festeggiare, ovviamente!» risponde, sedendosi a sua volta sul divano e avvolgendo le spalle di Jude con un braccio. «Hai un appuntamento e non volevi dirci niente, Jude?»
Per poco Joe non finisce per strozzarsi con la sua stessa saliva.
«C-che?» domanda a fatica poco dopo, tra i colpi di tosse.
«E-ecco…» Jude cerca di sottrarsi dalla stretta del braccio di David, mentre le sue guance s’imporporano appena per l’imbarazzo. «C’è una ragazza, nel corso di arte che frequentiamo io e David… una certa Victoria… diciamo che di recente è stata piuttosto carina con me, così ho pensato di invitarla ad uscire…»
Sul volto di Joe compare all’istante un sorriso radioso. «Ma è una notizia fantastica!» esclama poco dopo, avvicinandosi a grandi falcate al divano e restando in piedi a pochi passi da questo.
«Visto? Lo dicevo io che avevamo un buon motivo per festeggiare» insiste David, mentre si appresta a versare il bourbon nel bicchiere che Joe gli sta tendendo.
L’unico a non sembrare particolarmente entusiasta della notizia è Caleb. Il ragazzo non ha fatto altro che restarsene in disparte per tutto il tempo, la schiena premuta contro uno dei piloni di cemento a vista che sostengono l’edificio. Evita di fissare i suoi compagni, forse perché non vuole che si accorgano di tutti i pensieri che gli affollano la mente: basterebbe infatti guardarlo negli occhi per comprendere che ci sia qualcosa che non va.
L’unico ad essersi accorto di quel comportamento insolito, apparentemente, è David.
«Ehi, Caleb» lo richiama, con fare gentile. «Smettila di fare il musone e vieni qua! Non vorrai mica guastare la festa, no?»
Gli occhi di Caleb si aprono di colpo, rivelando una severa disapprovazione.
«Una festa, eh? E sentiamo, che cosa ci sarebbe da festeggiare?» domanda, non senza una nota di sdegno nella voce. «Il fatto che Jude esca con una ragazza sebbene non sia minimamente interessato a lei?»
«A-aspetta…» fa per obiettare David.
«E a te questo chi lo ha detto?» replica Jude, lo sguardo fisso sul bicchiere, mentre continua a mescere il liquore con un leggero movimento della mano.
Caleb sbuffa, spazientito. «Non prendermi per il culo, Jude, come se qua dentro nessuno avesse capito che sei ancora innamorato di lui e che esci con questa poverella solo per convincerti del contrario.»
«Pensi di essere nella mia testa, Caleb? Di sapere meglio di me ciò che provo?» Jude si porta il bicchiere alle labbra, bevendo un sorso di liquore. È piuttosto soddisfatto di come sta portando avanti la discussione con Caleb, un tempo arrivato a questo punto avrebbe perso la calma già da un bel po’. «È vero, magari adesso non sono ancora del tutto sicuro dei sentimenti che nutro nei confronti di Victoria, tuttavia non è detto che uscire con lei non mi aiuti proprio ad avere delle idee più chiare in merito, no?»
«Stronzate» Caleb scosta la schiena dal pilastro, muovendo qualche passo in avanti. «Stai cercando di rimpiazzarlo – forse anche per farlo ingelosire, non lo so –, fatto sta che a te di questa Victoria non frega niente. Lascia perdere, Jude, non sei bravo a fare l’infame.»
Oh, al diavolo la calma.
«Tu non hai la minima idea di cosa voglia dire perdere qualcuno» sibila Jude, alzandosi in piedi e fulminando Caleb con lo sguardo.
«Sì che ce l’ho, invece!» sbotta l’altro, serrando i pugni. «Fa male, eh? Ti sembra di non saper più respirare, e per quanti sforzi faccia niente potrà cambiare la realtà dei fatti…!»
Un silenzio gelido cala nella stanza. Caleb abbassa lo sguardo, osservando furente il pavimento. Sa di dovere agli altri delle spiegazioni, peccato che lasciar scivolare fuori quelle parole dalle labbra faccia così male.
«Camelia è malata» ammette, con voce apparentemente piatta, che tuttavia nasconde tutte le emozioni che sta provando in quel momento – rabbia, dolore, frustrazione –, questo i ragazzi lo sanno bene. «Ha un cazzo di tumore, una leucemia. E io mi sento così fottutamente inutile, in una situazione del genere…»
Per degli istanti che paiono durare ore, l’aria nella stanza sembra quasi congelarsi.
Caleb attraversa lentamente la stanza, fino a ritrovarsi accanto al divano. Una volta lì, si lascia cadere pigramente su di esso, finendo seduto tra David e Jude. I due ragazzi si lanciano una rapida occhiata, e un secondo dopo entrambi si sono fatti un po’ più vicini a lui.
«C-che stai dicendo?» domanda David, sconvolto, mentre gli avvolge un braccio intorno alle spalle. «Quando l’hai saputo?»
«I primi di novembre» ammette lui, mestamente. «Ho avuto la conferma da parte sua qualche giorno fa.»
Joe, nel frattempo, si è avvicinato, e adesso si trova alle loro spalle; il ragazzo afferra l’imbottitura dello schienale, imprimendo con rabbia la sua presa su di essa. «Perché non ce ne hai parlato prima? Hai sempre detto che tra noi non dovevano esserci segreti.»
Jude sospira pesantemente.
«Credo che sia stato a causa mia» spiega il ragazzo, con espressione affranta. «Era appena successa la cosa con Ray e… temo che Caleb abbia preferito non parlarci dei suoi problemi per non guastare ulteriormente l’umore generale. Avevo notato che era insolitamente giù di morale, e avrei voluto chiedergli cosa stesse succedendo, ma ero… troppo disperato per caricarmi le spalle di altre preoccupazioni. Ti chiedo scusa, Caleb, sono stato fin troppo egoista.»
«Tks» Caleb rotea gli occhi. «Non ti facevo così egocentrico, Jude. Non puoi sapere sempre tutto, non sei… il centro del mondo.»
Jude si lascia sfuggire un sospiro profondo, tuttavia volta la testa di lato, nascondendo un lieve sorriso. Forse è questo ciò che più ammira in Caleb, la sua capacità di non perdersi d’animo, neppure nelle situazioni più drammatiche. A volte vorrebbe avere anche lui un briciolo di quella tenacia, gli sarebbe senza dubbio d’aiuto.
«Senti, Caleb» la voce di Jude ha un suono inaspettatamente dolce quando riprende a parlare. «A me non importa niente del perché tu non ci abbia parlato prima di questa cosa. Sono affari tuoi, alla fine, e si vede che evidentemente non eri ancora pronto per farlo. In ogni caso, ora ce l’hai detto, e sappi che per qualsiasi cosa potrai sempre contare su di noi. Siamo amici, no? Per cui è ovvio che saremo al tuo fianco.»
«Giusto!» conviene David, riacquistando il solito tono entusiasta.
Sul volto di Caleb compare un sogghigno appena accennato. C’è poco da stare allegri, lo sa bene, tuttavia inizia a pensare di aver fatto la cosa giusta parlando di quella situazione ai suoi amici. Dopotutto, quando si condivide un peso diventa più leggero, no?
«Ora non esagerate con i sentimentalismi» commenta poco dopo, cercando di tornare ad un’apparente imperturbabilità. «Quella che ha più bisogno di qualcosa al momento è Camelia, non io. Cerca di dimostrarsi forte agli occhi di tutti, ma da sola non può farcela.»
Il volto di David sembra illuminarsi.
«Beh, allora dobbiamo starle vicini!» esclama, entusiasta di quell’idea improvvisa. «Potremmo organizzare dei turni per passare il pomeriggio insieme a lei, così non sarebbe mai sola‒»
Jude posa una mano sulla spalla di David, e il ragazzo subito smette di parlare.
«David» s’intromette il primo, poco dopo. «L’idea di passare del tempo con Camelia è senza dubbio lodabile, e sono certo che lei ne sarebbe molto lieta, ma temo che prima dovremo informarci in merito alle sue condizioni. Non abbiamo idea del tipo di cure a cui dovrà sottoporsi, né del luogo in cui le verranno somministrate, né quanto a lungo durerà il trattamento. Lei non ci allontanerebbe mai qualora la infastidissimo, però, nel caso in cui fosse troppo debole…»
Jude lascia la frase in sospeso, facendola cadere nel vuoto. Le sue parole hanno una risonanza inaspettata sui ragazzi, tanto che per un momento l’entusiasmo sembra svanire dal volto di David.
Caleb, tuttavia, non sembra essere dello stesso avviso di Jude.
«David ha ragione» commenta infatti – e sul volto del diretto interessato sembra tornare un accenno di sorriso. «Cercherò di restare vicino a Camelia, per quanto mi sarà possibile. Se deciderete di fare lo stesso, credo che lei non potrà che esserne felice.»
David accetta subito, seguito poco dopo da Joe. A Jude basta rivolgere un sorriso appena accennato a Caleb, e sa che non c’è bisogno di aggiungere altro. Certo che sarà accanto a loro, per Camelia farebbe questo ed altro. Inoltre è lieto di non essere più al centro dell’attenzione, sebbene non possa non essere preoccupato per Camelia. Ha paura che i ragazzi stiano prendendo la questione con fin troppa leggerezza: chiedersi come intrattenere la ragazza dovrebbe essere l’ultimo dei loro problemi, adesso.
Oppure… oppure hanno ragione loro. Forse Jude si sta preoccupando troppo. Dovrebbe essere positivo e cercare un modo per rendere quei giorni meno gravosi per Camelia, solo che…
Magari è solo troppo sconvolto dalla notizia che ha appena ricevuto, o si sta lasciando influenzare dalla negatività che ha accumulato in quell’ultimo periodo, eppure non riesce ad essere così ottimista come i suoi amici.

Back Bay, Boston, 21st December
h. 04:10 p.m.

Il Copley Place è un lussuoso centro commerciale situato nel centro di Boston. Illuminato come per le migliori occasioni in vista delle imminenti festività natalizie, la struttura dà sfoggio di sé, con le sue ampie vetrate e centinaia di persone che si aggirano attorno ad essa. Ci sono famiglie piene di buste e pacchi regalo che passeggiano in piena tranquillità, i bambini che corrono da una parte all’altra dell’ampio atrio, le sciarpe che danzano lievi al loro passaggio mentre le loro risate si propagano nell’ara; qualcuno sta acquistando, in netto ritardo, l’albero di Natale, mentre in molti sono seduti ai tavoli di una caffetteria, intenti a chiacchierare e a sorseggiare un caramel macchiato.
In quell’atmosfera, Jude si sente così maledettamente fuori posto. Si stringe il colletto della giacca attorno al mento, mentre avanza imperturbabile attraverso i corridoi di quella sorta di tempio dello shopping. Ha dato appuntamento a Victoria lì per quel pomeriggio, ma la verità è che vorrebbe solo poter scappare, tornarsene di nuovo fuori, sotto i freddi fiocchi di neve che hanno iniziato a cadere già da qualche ora, e poi correre a perdifiato fino a casa sua, per poi non uscirvi più.
No. Deve andare avanti, se l’è ripetuto decine di volte… non può tornare indietro.
Individua Victoria piuttosto in fretta. È in piedi davanti ad una fontana, esattamente al centro del grande atrio. Indossa un vestito color fragola, e sopra di esso una giacca pesante blu. I capelli, lunghi fino alle spalle, sono stati pettinati e lasciati sciolti, sebbene tra di essi vi siano alcuni fermagli argentei, mentre sul volto sono presenti alcune tracce di trucco, soprattutto sulle guance e sulle labbra.
Dio, no.
È tutto così sbagliato, Jude non prova nessun interesse per quella ragazza, per lui non ha assolutamente alcun valore quell’uscita insieme. Si sente un mostro ad illuderla così, eppure una parte di lui continua a desiderare di innamorarsi almeno un poco di quella ragazza, così da liberarsi di quel chiodo fisso che lo tormenta – l’altra metà del suo animo, invece, ci tiene a ricordargli che niente di tutto ciò potrà mai avvenire.
Quando arriva davanti a lei, le rivolge un sorriso cortese.
«Ciao» la saluta, assicurandosi di mettere premura nella sua voce.
La ragazza sorride di rimando, per poi abbassare per un momento lo sguardo. Fissa le punte dei suoi scarponcini, o forse le calze nere, trapunte di piccoli pois del medesimo colore, ottenuto con del filo cucito in modo da risultare in rilievo.
Jude non si aspettava quell’atteggiamento così pudico. Quando incrociava il suo sguardo, nei corridoi della scuola, Victoria interrompeva subito il contatto ed arrossiva, eppure, quando gli aveva rivolto la parola per la prima volta, un paio di settimane addietro, aveva dimostrato anche un certo coraggio, essendo stata lei ad attaccare bottone.
Poco dopo la ragazza torna a ricambiare il suo sguardo, occhi grigi che affondano nel rosso dei suoi. È tutto così sbagliato, dovrebbero essere nere le iridi davanti a lui…
Victoria sorride, sembra aver riacquisito un po’ di sicurezza. «Sono felice che tu sia qui» commenta, quasi in un sussurro. «Che ne dici di farci un giro?»


C’è un bar, all’ultimo piano del centro commerciale. Una terrazza corre lungo tutta la circonferenza dell’edificio, offrendo una visuale sui negozi sottostanti. La vita continua a scorrere imperturbabile.
Lui e Victoria hanno girato per un po’, soffermandosi di tanto in tanto in qualche negozio di abbigliamento. Victoria osservava maglioni e parigine, sorridendo entusiasta e chiedendo di tanto in tanto un parere a Jude. Il ragazzo finiva per fare apprezzamenti su tutto ciò che lei gli mostrava, senza crederci veramente.
E così sono finiti lì, seduti al tavolo di quel bar, due cioccolate calde con panna davanti a loro e il pacchettino dello shopping di Victoria poco distante. Sarebbero potuti essere una normalissima coppia di ragazzi al loro primo appuntamento, eppure Jude continua a percepire tutta quella situazione come profondamente sbagliata.
Ormai è giunto il momento che più di tutti Jude ha cercato di rimandare, durante quel pomeriggio. Mentre passavano da un negozio all’altro è riuscito in qualche modo a salvarsi, adesso che sono seduti l’uno davanti all’altra, tuttavia, evitare di fare conversazione sarebbe impossibile.
Avrebbe dovuto metterlo in conto, nel momento in cui aveva chiesto a quella ragazza di uscire insieme.
Il cucchiaino di Victoria affonda nella panna bianca e morbida, impreziosita da qualche sprazzo di cannella in polvere, per poi volare subito verso la sua bocca con un gesto leggiadro della mano.
«Ancora non ci credo!» esordisce, entusiasta. «Il ragazzo più carino della scuola che m’invita ad un appuntamento…»
Suo malgrado, Jude non riesce a fare a meno di avvertire le proprie guance scaldarsi, segno che probabilmente si sono anche tinte di rosso. «B-beh» si affrettata a precisare «ci sono un sacco di ragazzi più carini di me, a scuola…»
Gli occhi di Victoria si puntano nei suoi. Per un momento Jude teme che quella fuliggine finirà per soffocarlo, prima o poi.
La ragazza gli rivolge un sorriso enigmatico, per poi sporgersi sul tavolo in direzione di Jude. «Oh, ma io gli altri non li considero affatto, sai?»
Jude sobbalza. Sbagliato, tutto sbagliato…
La ragazza nel frattempo torna a sedersi di nuovo correttamente al suo posto, lasciandosi sfuggire una risata simile ad uno scampanellio.
«Non dirmi che ti ho spaventato!» commenta, affondando il cucchiaino sotto la panna, permettendogli di danzare tra strati liquidi e bollenti di cioccolata. «In realtà sono sorpresa. Non pensavo che ti saresti mai accorto di me, né che mi avresti mai rivolto la parola, figurarsi un invito ad uscire…»
«Ora non mortificarti» cerca di riprendersi Jude, sorridendo appena. Ormai è in quella situazione, e non ha alcun modo di tirarsi indietro. «Cioè, non… non c’è motivo per cui non avrei dovuto farlo, no? Voglio dire, sei… una ragazza carina, è normale che qualcuno voglia uscire con te, no?»
Victoria arrossisce lievemente al complimento, abbassando lo sguardo con fare timido. “Sbagliato, tutto sbagliato…” continua a mormorare la voce maligna all’interno della mente di Jude.
«È solo che… mi sei sempre sembrato così distante. Ogni tanto ti osservavo a scuola, ed eri sempre così… sfuggevole. Come un fantasma, sai? Qualcuno che non è mai completamente in un luogo, ma sempre in parte altrove» spiega lei, lo sguardo che per un momento si perde tra la folla del centro commerciale.
Jude si ferma a riflettere sulle parole di Victoria. È quella l’impressione di sé che dà agli altri? Probabilmente sì. All’inizio, durante i primi anni del liceo, era sempre stato il ragazzo perfetto, quello con i voti più alti di tutta la scuola, ammirato da tutti, figlio integerrimo di una famiglia ricca e impeccabile. Poi, quando Caleb e gli altri ragazzi della banda erano entrati a far parte della sua vita, aveva lasciato la scuola, sparendo misteriosamente dalla circolazione. Forse era per questo che Victoria lo aveva definito un “fantasma”. Infine, nelle ultime settimane, era diventato più che mai trasparente: a volte Jude temeva di essere diventato come di vetro, e che gli altro potessero vedere attraverso il suo corpo. Solo che, ad attenderli, non v’era altro che una distesa infinita di dolore e sofferenza.
Lo sguardo di Jude si posa in quello di Victoria, e questo basta a farlo ridestare. Per un momento sobbalza anche, davanti all’espressione serena e sorridente della ragazza.
«Tutto bene?» gli domanda lei, inclinando leggermente la testa di lato.
«S-sì» risponde subito lui, sebbene appaia un poco tentennante. «Stavo solo pensando a quello che mi hai detto. Non pensavo che gli altri mi vedessero così…»
Jude si porta la tazza di cioccolata alle labbra, facendo per prenderne un altro sorso, ma Victoria allunga le mani sopra il tavolo, raggiungendo quelle di Jude e carezzandogli le dita con le proprie. A quel contatto, il ragazzo non riesce a non sobbalzare nuovamente.
«Non è una cosa negativa!» si affretta a rassicurarlo lei. «In questo modo non hai fatto altro che accrescere la tua aura di “ragazzo misterioso”… è affascinante.»
Jude si allontana lentamente la tazza dal volto. «Non credo di aver mai voluto avere questa reputazione. È qualcosa di ancor più pesante da sostenere se ad attribuirtela non sei tu ma gli altri, non pensi?» replica, una nota di amarezza stoica che preme nella sua voce.
Le dita di Victoria scivolano sul naso di Jude, dove è rimasta qualche traccia di panna. La ragazza si affretta a portargliele via con tocchi leggeri delle dita, che disegnano piccoli archi lungo la punta elegante del naso del ragazzo. Le guance di Jude s’imporporano nuovamente, per un nuovo tipo di imbarazzo.
È strano lasciarsi toccare così da qualcuno che non è la persona che si ama. È strano fingere di non amare più la persona che si ama.
Victoria volta la testa di lato, e d’improvviso sembra illuminarsi.
«Oh» commenta, entusiasta, «guarda chi c’è!»
Jude ha quasi paura di voltarsi. Conosce bene la sua proverbiale sfortuna, ed è certo che non abbia smesso di accompagnarlo tutto d’un colpo. Però no, è impossibile, il destino non può star prendendosi gioco di lui in modo così plateale.
Invece, a quanto pare, è proprio così. Perché Jude segue lo sguardo di Victoria, e nota che si è posato sull’ingresso di un’erboristeria.
Erboristeria dalla quale sta giustappunto uscendo in quel momento il loro insegnante di letteratura, Ray Dark.
«Andiamo a salutarlo!» esclama Victoria, completamente ignara di ciò che sta innescando. La ragazza si alza in fretta dal tavolo, afferrando Jude per un braccio ed iniziando a trascinarlo via dal bar.
«N-no, Victoria, ferma, aspetta!» cerca di farla ragionare Jude. «È un nostro professore, non puoi andare lì e fare finta di niente. Che fai, vai lì e gli gridi “Buon Natale!”? E poi starà facendo acquisti per le feste, sarà impegnato‒»
«Ma è da solo!» replica lei, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Jude apre la bocca. Vorrebbe dirle tante cose, tipo che a quanto pare non ha preso minimamente in considerazione quello che ha appena finito di elencarle, e al tempo stesso ci sono altrettante cose che non le confiderebbe mai, nemmeno sotto tortura – come ad esempio il fatto che, fino a poco più di un mese fa, lui e Ray stavano insieme, che si sono lasciati in maniera tutt’altro che pacifica e che forse non è il caso che lui lo veda adesso in compagnia di una ragazza, ma forse è meglio che Victoria non sappia niente di tutto ciò –, tuttavia a Jude manca letteralmente il tempo materiale per parlare alla ragazza, perché ecco che un secondo dopo – giusto il tempo di un battito di ciglia – la folla davanti a loro si è dipanata, ed ora l’unica persona che si erge di fronte a loro è proprio Ray.
Per un attimo che pare infinito lo sguardo di Jude affonda nuovamente in quello dell’uomo. Mentirebbe a se stesso se dicesse che non gli è mancata quella sensazione, potente e annullante, di quel vortice nero che lo attira e lo cattura, senza lasciargli più alcuna via d’uscita. Però adesso è tutto diverso – tutto sbagliato – perché Jude non è più il suo ragazzo e quella prigione non ha motivo di essere piacevole.
Victoria, nel frattempo, non sembra essersi accorta minimamente dello scambio di sguardi tra il suo insegnante e il ragazzo con cui sta uscendo, né del fatto che la bocca di Jude è ancora socchiusa, come se avesse voluto dirle qualcosa, senza tuttavia esserci riuscito. Ignara di tutto ciò, rivolge un sorriso a trentadue denti a Dark.
«Buonasera, professore!» esclama, raggiante. «Anche lei da queste parti?»
«Già.» Ray non stacca nemmeno per un momento gli occhi di dosso da Jude. «Dovevo finire di acquistare alcuni regali di Natale. Dopotutto, ormai non manca molto tempo.»
Jude ha la testa voltata di lato. Non ha il coraggio di fissarlo, per quanto senta lo sguardo dell’uomo ancora fisso su di sé. Avverte le proprie guance in fiamme, e sta faticando per non scoppiare a piangere. L’anno precedente ha passato questo periodo proprio con Ray. Ricorda i fuochi d’artificio, la colonna sonora dei loro baci mentre facevano l’amore, la notte di capodanno, e vorrebbe solo singhiozzare.
«Oh, non la facevo uno da regali dell’ultimo momento, professore!» commenta Victoria, senza perdere quel pizzico di entusiasmo che sembra contraddistinguerla.
Sono così radicalmente differenti, lei e Ray. L’una esuberante e creativa, l’altro pacato e razionale. Jude quasi si augura che lui se ne renda conto, che Victoria non è il suo tipo, che se dipendesse da lui sarebbe ancora sotto quelle coperte a gemere forte, e a pregarlo di farlo ancora, ancora, ancora… ma forse si sta solo illudendo. Forse Ray non capirà, penserà che sta solo andando avanti e che forse dovrebbe farlo anche lui.
No, amore mio, aspettami…
Ray lo conosce meglio di chiunque altro, cerca di rassicurarsi Jude. Lui capirà, ne è certo.
O forse no?
Dopotutto, cosa c’è da capire, Jude? Non avevi detto di voler andare avanti? Che non potevi rimanere ad aspettarlo in eterno?
Sbagliato, tutto sbagliato…
Ray si lascia sfuggire un lieve colpo di tosse, richiamando l’attenzione di entrambi i ragazzi.
«Mi ha fatto piacere incontrarvi, ragazzi. Adesso devo andare, vi auguro una buona serata. E mi raccomando, studiate, al ritorno dalle vacanze vi attende un incessante periodo di verifiche» conclude l’uomo, lasciando un leggero sorriso ad entrambi.
Victoria, al contrario, s’imbroncia.
«Uff, ma doveva proprio ricordarcelo?» bofonchia, sospirando pesantemente.
Nel frattempo Ray inizia ad allontanarsi, salutandoli con una mano.
«Arrivederci, prof! Buon Natale!» lo saluta Victoria, che nel frattempo sembra aver ritrovato il suo consueto entusiasmo.
In quel momento, Jude si sente così terribilmente in conflitto con se stesso. È lieto che Ray se ne sia andato, lo ha tolto da un imbarazzo immane, tuttavia ora che lo vede allontanarsi già gli manca.
Perché, perché la vita ci ha fatto questo, Ray?
Victoria lo strattona per una manica. Jude si volta a guardarla, un'espressione tristissima in volto, e la ragazza muove il capo verso l’alto. Jude la imita, e attraverso le enormi vetrate poste sul soffitto del centro commerciale si accorge che la neve ha cominciato a cadere con maggiore abbondanza.
Prima che Jude possa dire alcunché, Victoria ha già iniziato a trascinarlo verso l’esterno. Quando si ritrovano nel piazzale d’ingresso, i fiocchi di neve iniziano subito ad impigliarsi tra i capelli del ragazzo.
«È tutto perfetto» commenta Victoria, sorridendogli dolcemente.
Poco dopo delle labbra di posano su quelle di Jude, ma non sono quelle che vorrebbe.





Angolo autrice


Non so perchè ma ultimamente trovo più soddisfacente editare diwk che la long sui pirati. Ed è strano, perché tra l'altro questo è il capitolo della sofferenza...
Aehm. Andiamo con ordine.
Mi ero ripromessa di non arrivare all'ultimo per editare, e invece toh, eccoci qua. Ho litigato per mezzo pomeriggio con tempi verbali sballati e html posseduto da satana, e adesso sono le nove di sera e sono ancora qui a scrivere le note a fine capitolo, per cui yay, mega stonks direi.
Questo capitolo mi riporta alla mente un mare di ricordi. La frase all'inizio, ad esempio, ossia la citazione di Francis Scott Fitzgerald. Ricordo di aver passato un mare di tempo a sceglierla, perché avevo bisogno di una che aderisse alla situazione. Oh, e il discorso di Ray. All'epoca ero abbastanza fiera del risultato, adesso invece temo di essermi dilungata troppo. Comunque, finalmente abbiamo svelato anche l'identità del personaggio che tanto a lungo è rimasto a fissare Jude, e, senza troppe sorprese, si è rivelato
– anzi, rivelata...? – essere Victoria. Voglio dire, capelli rossi, occhi grigi, diciamo che negli scorsi capitoli avevo disseminato fin troppi indizi perché non si fosse intuito che si trattasse di lei. E sì, la nostra cara ragazza ha una palese cotta per Jude. Lui non sembra ricambiare, ma decide di darsi comunque una possibilità, di provare ad andare avanti e di lasciarsi alle spalle il passato, Ray e le sofferenze dell'ultimo periodo. Funzionerà? Chi lo sa...
Oh, inoltre finalmente i ragazzi hanno scoperto da Caleb della malattia di Camelia. Ricordo che quando ho scritto questo pezzo ho usato la modalità revisione per sistemare alcuni pezzi, ero disturbata dalla temporalità con cui avveniva ogni azione, mi sembrava tutto troppo affrettato stavo male lol. In ogni caso, sinceramente sono quasi sollevata, perché alla fine dubito che per un ragazzo giovane come Caleb sia possibile sopportare da solo un peso così grande. La banda affronterà insieme questa situazione, e nei prossimi capitoli vedremo come se la caveranno.
Infine, il pezzo che per me
è fonte di maggiori sofferenze. L'aneddoto per questa parte è che è una di quelle che mi ha creato maggiore difficoltà, credo di essermici bloccata sopra per tipo un anno. Il perché è presto detto: la sofferenza. Sentite, sono strana, sto male nel veder soffrire i miei personaggi preferiti però poi sono io stessa la prima a metterli in certe situazioni e questo potrebbe essere un buon riassunto di com'è nata questa storia. Perché? Non lo so, forse perché mi piace complicarmi l'esistenza o forse perché trovo che le gioie dopo tanto dolore siano più dolci, fatto sta che eccoci qui, con Jude intrappolato in un appuntamento a cui non avrebbe voluto essere e che, mentre si trova lì, incontra perfino il suo ex, che lo vede in compagnia di una ragazza. E, dulcis in fundo perché noi non ci facciamo mancare proprio niente, no no, abbiamo perfino un bacio finale tra Jude e Victoria. Okay, Aria, bellissimo l'angst e tutto quello che vuoi, ma non credi di aver esagerato un pochino, stavolta?
s c u s a t e m i
Okay, anche per stavolta vi ho detto tutto, ma prima di andare un annuncione: dal prossimo capitolo sarà tutta roba nuova, cose che nessuno ha mai letto prima d'ora perché sì, ogni tanto facevo leggiucchiare parte di questa storia ad alcune mie conoscenti, e loro tanto quanto me erano convinte che non l'avrei mai finita, e invece surprise b****.
Probabilmente lo stile sarà diverso 
– forse lo si percepiva già qui, visto che avevo ripreso in mano la storia dopo un mare di tempo –, ma non saprei dirvi se in positivo o in negativo, dopotutto dopo uno stop si è sempre un po' arrugginiti. Sono quasi emozionata, sapete?
A presto
   

Aria

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Capitolo 8
*** Faith and wishes ***


Do-Iwanna-know

Baby we both know
That the nights were mainly made for saying things
that you can’t say tomorrow day.
Artic Monkeys — Do I Wanna Know


West End, Boston, 22nd December
h. 09:57 a.m.
 」


Caleb sa che non dovrebbe essere lì.
Camelia gli ha chiesto esplicitamente di non andarci. Ormai però sono cominciate le vacanze di Natale, e visto che non deve andare a scuola l’alternativa sarebbe restarsene a casa ad annoiarsi, e non rientra decisamente nei suoi piani.
O forse, più semplicemente, non riesce ad accettare di lasciare da sola la sua ragazza il giorno in cui deve iniziare il secondo ciclo di chemioterapia.
Le è stato lontano a lungo, in parte anche contro la sua volontà. Camelia non voleva che la vedesse in quello stato, debole, fragile, vulnerabile, eppure Caleb non riesce a non sentirsi in colpa. Per non essersi accorto prima di cosa stava succedendo alla sua ragazza, per non esserle stato accanto in un momento così difficile.
Ecco perché adesso è li, nel reparto di oncologia del Massachusetts General Hospital, all’insaputa di Camelia, attendendo di veder comparire la sua ragazza da un momento all’altro.
Caleb è certo che, da quando è arrivato, le infermiere del reparto gli abbiano lanciato diverse occhiate sospettose, ma non gli importa. L’unica cosa che conta per lui, adesso, è restare accanto a Camelia.
Un ascensore arriva al piano. Viene annunciato da un trillare insopportabile, ma quel suono persistente svanisce dalla mente di Caleb nel momento in cui le porte si dischiudono.
Due persone scendono al piano, ma gli occhi di Caleb sono puntati solo su una di queste.
Camelia affonda il mento nel collo alto del suo morbido maglione di lana color crema. Ha gli occhi spalancati, grandi come due tazza da tè: di sicuro non è la prima volta che mette piede in quel luogo, eppure sembra essere spaventata come se lo fosse. Sotto la corta gonna lilla, le gambe avvolte da collant candidi sembrano tremare, e i passi incerti dei suoi piedi sono celati da bassi stivaletti marroni, non più alti della caviglia.
È stupenda. Semplicemente stupenda. Nonostante il luogo in cui si trovano, e l’angoscia che quest’ultimo gli infonde, Caleb non riesce davvero a pensare a nient’altro.
Era da tanto tempo che non la vedeva uscire fuori da casa sua. Immersa in quel reparto ospedaliero sembra un pesce fuor d’acqua, e Caleb vorrebbe ancor più aiutarla.
Qualcuno posa le mani sul suo pesante cappotto dalle tonalità della sabbia del deserto. Le stringe le spalle, con fare simpatetico, per poi muovere la destra in direzione del capo, lasciando la chioma di capelli lavanda finalmente libera dal berretto di lana bianco e soffice. Nessuna acconciatura elegante o elaborata: scendono liberi lungo la schiena, dolcemente.
Per un momento, l’attenzione di Caleb viene rapita dalla figura alle spalle di Camelia. Percival indossa un completo blu notte, e al braccio porta un soprabito dalle stesse tonalità scure. A dir la verità, Caleb è sorpreso di vederlo: non si aspettava che riuscisse a trovare del tempo, nella sua vita faticosa e piena d’impegni, per stare vicino a Camelia. Forse, però, avrebbe dovuto prevederlo: in fondo, per quell’uomo non c’era nulla di più prezioso di sua figlia, esattamente come per lui.
I due muovono i primi passi all’interno del reparto, e Caleb sa che è giunto il momento di raggiungerli. Gli basta scostare la schiena dalla colonna a cui si era appoggiato, e sa già di avere l’attenzione di Camelia su di sé.
Gli occhi della ragazza, se possibile, si allargano ancor di più.
«Caleb!» sussulta subito, destando subito anche l’interesse di Percival.
L’uomo gli rivolge un’occhiata che, da sola, basterebbe ad incenerire il più agguerrito degli eserciti, ma Caleb non sembra darci troppo peso. Tira fuori il sorriso migliore che riesca a trovare in quel momento, inclina leggermente la testa di lato e continua ad avvicinarsi a loro.
«Toh, che coincidenza» commenta, sarcastico. Nel momento in cui raggiunge Camelia, cerca con dolcezza la mano della ragazza. La trova quasi subito, e ne approfitta per accarezzarle il dorso vellutato con le dita. «Lo so, mi avevi chiesto di non esserci, ti chiedo scusa…»
Percival è già sul punto di lasciarsi sfuggire una replica acida, sua figlia tuttavia lo precede.
«Non fa niente» lo rassicura infatti la ragazza, sorridendo dolcemente. «Sono felice di vederti qui.»
Caleb le restituisce il sorriso, gli occhi che non riescono a spezzare la catena che li lega. D’improvviso il ragazzo sente un calore stupendo avvolgere il suo corpo, e sa che nessun’altra persona al mondo sarebbe in grado di fargli provare quelle sensazioni che Camelia suscita in lui.
A rompere l’incantesimo in cui di colpo si sentono catapultati, è Percival, che si lascia sfuggire alcuni colpi di tosse.
«Camelia, dobbiamo andare» la richiama piano.
La ragazza annuisce, comprensiva. Alcuni infermieri stanno già venendo nella loro direzione.
Durante il trattamento, Camelia non permette né a Caleb né a suo padre di entrare, così entrambi restano nella sala d’attesa, ad aspettare che tutto finisca.
Travis va a prendersi un caffè al distributore automatico, senza nemmeno chiedere a Caleb se anche lui voglia qualcosa. Al ragazzo, in fin dei conti, va bene anche così: lui è lì per Camelia, alla fine non gli importa se suo padre nemmeno gli parla.
Non gli resta molto da fare. Se ne sta lì, seduto su una poltroncina di pelle verde in un corridoio di quella struttura dalle pareti asettiche che tanto odia, e aspetta.


Southwest Corridor, Boston, 21st January
h. 04:14 p.m.



Non c’è un bel niente da festeggiare.
Jude continua a ripeterselo dal primo momento in cui ha messo piede, per l’ennesima volta nella sua vita, nella tana di Southwest Corridor, e lo stesso aveva fatto nelle ore, giorni e settimane precedenti. In fondo, che senso ha festeggiare il tuo compleanno quando non hai accanto a te l’unica persona che invece vorresti?
Peccato che, apparentemente, Victoria non fosse dello stesso avviso.
Aveva contattato di nascosto David, chiedendogli di aiutarla a preparare una festa a sorpresa, nonostante Jude le avesse ripetuto più e più volte che non fosse in vena di festeggiare – come biasimarlo, in fin dei conti?
E così, ecco che si erano ritrovati lì, un capannello di sei persone stipati in un vecchio nascondiglio polveroso e abbandonato, cartelloni recitanti la scritta “Buon compleanno Jude” appesi a mezz’aria e un tavolo di plastica su cui erano state appoggiate ciotole di patatine e bottiglie di aranciata.
C’è qualcosa di profondamente triste in tutto ciò, e Jude non sa spiegarsi del tutto da dove venga.
Quando erano arrivati, Jude aveva preso da parte David, e il ragazzo gli aveva confessato che, al telefono, Victoria si era presentata come la sua ragazza.
Uh. Ancora peggio.
Seduto sul vecchio divano distrutto, Jude osserva quella scena, che nella sua mente stride tremendamente. I suoi più cari amici che si aggirano attorno a un tavolo imbandito di schifezze varie, e due ragazze – Victoria e Suzette, sebbene Jude non riusciva a spiegarsi a che titolo fosse stata invitata quest’ultima – che non riuscivano a smettere di ronzare vicino a loro. È tutto così cacofonico e stridente, perlomeno se lo paragona all’immagine che è ormai abituato ad attribuire a quel luogo.
Non è l’unica cosa insensata che gli viene in mente se pensa a quell’ultimo periodo. Natale e Capodanno erano passati in maniera buffa, senza che lui stesso riuscisse a dare loro un senso. Poco prima della Vigilia il governatore Sharp aveva invitato a cena Victoria e suo padre. Era stato un avvenimento ai limiti del paradossale: una volta scoperto che il signor Vanguard era un importante diplomatico aveva iniziato a pregustare un’importante alleanza governativa, così avevano passato buona parte della cena a discutere di lavoro, tra i silenzi imbarazzati riempiti solo dal cozzare delle posate contro la ceramica dei piatti e gli sguardi di Victoria che non volevano saperne di smettere di posarsi su Jude, mettendolo continuamente in imbarazzo. Quando suo padre era venuto a conoscenza del fidanzamento con Victoria, si era mostrato eccessivamente entusiasta della cosa. La verità era che il signor Sharp fremeva dalla gioia al pensiero che il figlio si fosse tolto così in fretta dalla testa quella storia con quell’insegnante che reputava sciocca e priva di senso – la verità, tuttavia, era ben altra, ma ad esserne a conoscenza era solo Jude.
Capodanno, se possibile, si era dimostrato ancor più faticoso: Jude aveva passato il tempo a sentire la mancanza di Ray, ricordando come, esattamente un anno prima, avessero trascorso assieme quella notte. Avrebbe voluto così tanto trovarsi ancora tra le sue braccia, e invece adesso erano divisi, e Jude non aveva idea se e quando sarebbe riuscito a tornare con lui. L’unica cosa che gli restava era il pacchetto che aveva trovato sotto l’abete di casa Sharp. Non sapeva come fosse giunto lì, ma scartandolo aveva avuto la certezza di chi glielo avesse mandato. Un segnalibro, che profumava di pino marittimo e proveniva dall’erboristeria del Copley Place, la stessa fuori dalla quale, pochi giorni prima, lui e Victoria avevano incontrato Ray, intento a fare compere. Faceva male, perché era l’ultima cosa che gli restava di lui. Jude l’aveva nascosta allo sguardo severo di suo padre, e a Capodanno l’aveva stretta a sé tra le lacrime.
Paradossale. Era tutto così assolutamente e ridicolmente paradossale.
Jude si alza mestamente dal divano. Sa di avere gli occhi di Caleb addosso, ma cerca di non darci troppo peso.
Attraversa la stanza, cercando di non dare nell’occhio, e si rifugia nell’angolo opposto a quello del tavolo. Si ritrova davanti alla vecchia finestra rotta, schegge di vetro che spuntano come aghi acuminati dal telaio metallico. Jude le sfiora con le dita, sentendo di essere ancora con la mente altrove, lontano, in un posto decisamente più felice.
«Non è cortese da parte del festeggiato abbandonare il party in suo onore.»
La voce di Caleb alle sue spalle lo fa sobbalzare. Non ha avvertito il rumore dei suoi passi, doveva essere completamente assorto nei propri pensieri.
«Avevo solo… bisogno di prendere una boccata d’aria, credo» cerca di giustificarsi il ragazzo.
Caleb gli rivolge un sorriso sghembo. È chiaro che non ci creda, tuttavia, a quanto pare, ha deciso di lasciar correre e risparmiargli uno dei suoi soliti commenti sbeffeggiatori. Probabilmente nemmeno lui è in vena di scherzare, riflette Jude.
Caleb gli porge un piccolo pacchetto. Jude solleva un sopracciglio, rivolgendogli un’espressione dubbiosa.
«È da parte di Camelia» si affretta a spiegare l’altro. «Lo so che non volevi regali, gliel’ho detto, ma lei ha insistito comunque per fartene uno.»
Jude sorride e accetta il regalo. Non stenta ad immaginare Camelia incaponirsi e insistere pur di fargli un regalo, e alla fine è quasi un sollievo sapere che la testardaggine non l’abbia abbandonata, nonostante tutto. Jude non ha mai conosciuto una ragazza tanto caparbia quanto Camelia, e quello è senza dubbio uno dei motivi per cui la ammira così tanto – tra i quali figura chiaramente anche il riuscire a sopportare Caleb.
«Grazie» commenta Jude, cominciando a disfarsi della carta spessa, di un porpora intenso.
Caleb sbuffa sonoramente. «E comunque anche gli altri ti hanno fatto dei regali» annuncia, quasi infastidito.
Per un momento Jude solleva lo sguardo, fissando Caleb quasi incredulo. Possibile che per gli altri la sua parola non valga un bel niente? Aveva chiesto di non avere una festa di compleanno, di non ricevere regali e, puntualmente, ogni sua richiesta era stata bellamente ignorata.
Da una parte è consapevole di non poter colpevolizzare Victoria, d’altronde lei è all’oscuro di tutta la vicenda con Ray – e Jude si augura che possa continuare ad esserlo per sempre. Nonostante tutto, però, la voglia di fuggire via da lì a gambe levate continua ad essere così incredibilmente forte…
L’incarto del regalo cade a terra, e tra le mani di Jude rimare una scatolina bluastra. Il ragazzo la apre, e quest’ultima gli svela finalmente il suo contenuto: un braccialetto sottile, argenteo, a cui è appeso un ciondolo a forma di libro. Incastonata nella copertina c’è una piccola pietra azzurra, forse uno zaffiro.
«Oh… non dovevate…» comincia Jude, sentendosi già terribilmente in colpa al pensiero di quanto possa essere costato loro un oggetto del genere.
Caleb si stringe nelle spalle. «Ha detto che le faceva pensare a te» commenta, per poi estrarre qualcosa dalla tasca. «C’è anche questo.»
Jude si vede porgere un piccolo biglietto. Apre in fretta la busta, e un sorriso sincero gli spunta sul volto leggendo il messaggio.
A Jude, il miglior insegnante che abbia mai avuto. Passa una serena giornata di compleanno.
Jude si lascia sfuggire un lieve sospiro. Ricorda in maniera così vivida i pomeriggi che hanno trascorso assieme, lui, Caleb, Camelia, David e Joe, poco prima della fine dello scorso anno scolastico. Rifugiati nella camera della ragazza, libri di algebra e storia sempre spalancati, chi disteso a terra con la pancia premuta contro il pavimento e chi supino sul materasso morbido. È stato un periodo caotico ma al tempo stesso piacevole, e Jude vi è profondamente legato.
Ripensa al modo buffo e tenero al tempo stesso che Camelia ha di mordicchiare le sue matite, e un sorriso non può fare a meno di spuntare sul suo volto.
«Si scusa per non essere venuta, è rimasta a casa a riposare ma avrebbe voluto esserci con tutta se stessa» gli confida Caleb.
Jude scuote piano la testa. «Non c’è problema» lo rassicura. «È da così tanto tempo che non la vedo… mi manca. Uno di questi giorni dovrei farle visita…»
«Sarebbe felicissima di vederti» gli assicura Caleb.
Jude fissa intensamente l’amico. Ci sono così tante cose che vorrebbe dirgli, e altrettante è certo che Caleb abbia già compreso.
«Caleb, io…» fa per confessare, prima che, l’istante successivo, una voce li interrompa.
«Ehi, voi due!» esclama Suzette. «Farete meglio a correre qui!»
Caleb gli lancia un ultimo, intenso sguardo, e Jude ha quasi la percezione che sia riuscito a leggere dentro di lui, che sappia già tutto ciò che c’è da sapere. Non sarebbe la prima volta che succede una cosa del genere, in fin dei conti.
Un secondo dopo, gli ha già voltato le spalle. «Umpf, arriviamo» risponde, lasciandosi sfuggire un grugnito fintamente infastidito, mentre ha già cominciato ad avviarsi verso gli altri.
Jude ripone il braccialetto nella scatola, col desiderio di conservarlo quanto più in sicurezza possibile, dopodiché si affretta a sua volta a fare ritorno verso il centro della festa.
La scatola che tiene tra le mani non sfugge allo sguardo di Victoria.
«Ehi, avete già cominciato a scartare i regali, non vale!» strepita, serrando i pugni come una bambina leziosa.
«Beh, ormai è successo, fattelo andare bene» replica seccamente Caleb, sogghignando appena.
Il volto di Victoria arrossisce per la stizza. «Caleb, sapevi che i regali dovevano essere aperti dopo la torta…» comincia a rimproverarlo.
L’arrivo di Jude, tuttavia, sembra far calmare gli animi all’istante.
«Torta? Che torta?» domanda, posando una mano sul braccio della ragazza.
In un istante, l’espressione di Victoria sembra rilassarsi. «Oh» risponde, allargando le braccia in direzione del tavolino. «Beh… questa torta!»
In effetti, bibite e salatini hanno ora lasciato posto ad un dolce ricoperto di soffice panna montata. Diciotto candeline azzurre sono accese lungo la circonferenza perfetta del pan di spagna. Quel contesto intimo e rilassato stride sempre di più con lo stato di abbandono e sfacelo della tana, Jude non riesce a non percepirlo.
Il ragazzo sta per spegnere le candeline, non vede l’ora di buttarsi alle spalle tutta quella giornata, ma Suzette lo ferma.
«Ricordati di esprimere un desiderio quando soffi!» esclama infatti.
Jude ci riflette per un momento. Un desiderio, eh? Beh, in realtà non ha molti dubbi al riguardo, c’è solo una cosa che desidera davvero.
Un secondo dopo, Jude chiude gli occhi e soffia, soffiando sulle candeline.
Vorrei che Ray tornasse accanto a me.
Uno scroscio di applausi gli aveva fatto risollevare le palpebre.
«Che desiderio hai espresso?» gli chiede Victoria, stringendosi al suo braccio.
«Non posso dirtelo, altrimenti non si avvererà» le risponde Jude, e sente di essersi salvato per un pelo.
Victoria ride, e Jude è pressoché certo che stia immaginando che il desiderio sia qualcosa della serie “Vorrei che io e Victoria rimanessimo per sempre insieme” – oh, niente di più lontano dalla realtà, valuta tra sé il ragazzo.
Ma tanto questo tu non lo saprai mai, Victoria.
Quando giunge il momento dei regali, Jude si ritrova sommerso da buste e pacchetti. Quello che più apprezza viene da Joe e David: è una felpa, dalle tonalità fiammanti. Ricorda di averla vista assieme a loro nella vetrina di un negozio, qualche settimana prima, e di aver commentato ad alta voce il fatto che fosse decisamente bella. È felice che i ragazzi se ne siano ricordati – allora, forse, non parlava sempre a vuoto.
Da parte di Suzette riceve un profumo, dalle fragranze maschili. A detta della ragazza è quello più in voga al momento tra i giovani della loro età, e Jude si fida ciecamente del suo parere. Ne spruzza una piccola quantità nell’aria in mezzo a loro, e non è un’oppressione ammettere che, in effetti, sembri davvero delizioso.
L’ultimo, infine – prevedibilmente – è il regalo di Victoria. E, altrettanto prevedibilmente, è un libro, per l’esattezza la raccolta di racconti di Francis Scott Fitzgerald che Ray ha letto in classe il giorno in cui la ragazza gli ha rivolto la parola per la prima volta. Victoria si dilunga per diversi minuti spiegando quanto quel libro sia importante per lei, visto che in un certo senso le ha permesso di conoscere il ragazzo che tanto ama e che è ora la parte più luminosa e importante della sua vita, e Jude decide di evitare di dirle che lo ha già letto tempo fa, a casa di Ray.
A volte Jude si sente ancora un mostro al pensiero di essersi messo con quella ragazza che lo ama alla follia e che farebbe letteralmente qualsiasi cosa per lui solo nella speranza di riconquistare il professor Dark, prima o poi. Però non vuole ferirla: troverà il modo più dolce possibile per lasciarla, lo ha già deciso da tempo. E, ormai, non dovrebbe mancare molto.
Suzette taglia e posa fette di torta di panna e pan di spagna in piccoli piattini di plastica mentre Victoria gli getta le braccia al collo e bacia le sue labbra, in quel momento tuttavia la mente di Jude riesce a pensare solo a Ray.



Angolo autrice

Capitolo corto. Cortissimo. E non fa niente, perché i prossimi due saranno pieni di avvenimenti importanti, quindi va bene così.
Sapevo che questa settimana sarebbe stata dura, che avrei dovuto editare un giorno sì e l'altro pure, ciononostante oggi è mercoledì intendo mentre sto scrivendo queste note, so che quando voi le leggerete sarà già giovedì ma vbb e sono già esausta. Ma okay, non fa niente, stringo i denti, tengo duro e vado avanti.
Come vi avevo anticipato a partire da questo capitolo trovate le ultime cose che ho scritto, più o meno intorno a maggio di quest'anno. Buffo, considerando da quanto tempo mi porto avanti questa storia. Tra l'altro prima stavo ridando un'occhiata all'epilogo i privilegi di essere l'autrice di questa storia comportano anche non dover aspettare un altro mese prima di leggerlo e mi sono resa conto di aver descritto una cosa che mi è successa davvero nella vita reale esattamente un mese dopo, quindi senza averla già vissuta.
È paradossale, perché la somiglianza dei due eventi è tale da mettere i brividi, però c'è poco da stare allegri... vbb cambiamo argomento, non vorrei spoilerare troppo.
Tra l'altro !! ora che abbiamo finito gli aggiornamenti di agosto passeremo a quelli di settembre, e vi annuncio già che per i prossimi due capitoli io saltellerò come un coniglietto per la gioia. Poi ci sarà l'epilogo e, se ci penso, provo un misto di emozioni al riguardo. Mi sembra che sia passato già un mare di tempo da quando ho iniziato a pubblicare questa storia a giugno, però se rifletto sugli anni che ho impiegato per scriverla mi sembra un periodo decisamente breve. Ah, ora che ci penso domani
– cioè oggi per voi che leggete – saranno esattamente tre anni dal 27 agosto 2017, il giorno in cui ho postato l'epilogo di Dark Necessities, quella che sarebbe dovuta essere la mia ultima storia su questo fandom. Inutile dirvi che da allora è passato diverso tempo e io ho chiaramente ripreso a postare qui, per cui uhm, a quanto pare non sono poi così brava a mantenere le promesse che faccio che poi non è vero, scusate. prendete ad esempio la rigorosa precisione dei miei aggiornamenti... qualcosa mi riesce bene, no?
Su questo capitolo in realtà non ho molto da dire, perché ve lo ripeto, secondo me è un po' come la quiete prima della tempesta, considerando quello che ci attende nei prossimi capitoli. Caleb finalmente sta dimostrando a Camelia la sua vicinanza, e siamo tutti felici di questo
.
Per quanto riguarda Jude, invece, sì, lo so che in teoria in Ares hanno detto che il suo compleanno è il 14 aprile, ma per me Ares e Orion non esistono, lasciatemi perdere o se esistono è solo perché lì Kageyama è vivo e posso fantasticare su lui e Kidou che si incontrano, ma avrei talmente tanto da ridire sulle caratterizzazioni di un po' tutti i personaggi che forse è meglio lasciar perdere e andare avanti per cui sì, qui ho deciso di lasciare un mio vecchio headcanon
– ma vecchio vecchio, giuro, tipo del periodo in cui non pubblicavo ancora ff qui la preistoria, quindi – per cui il bday del mio best boy fosse il 21 gennaio. Non ho ancora capito se ce lo vedo bene come acquario o sarebbe meglio toro come nella ""realtà"", ma oh well, immagino sia un side issue, dico bene?
E potrei dirvi che il microscopico riferimento a quel segnalibro mi manda in brodo di giuggiole e vorrei darmi un bacio in fronte da sola per questo
ho problemi, ignoratemi così come che in realtà mi sono piaciuti un po' tutti i regali, li ho trovati azzeccati per Jude, e anche la festa alla tana, un luogo che mi fa subito tornare con la mente ai tempi di DN, perché questo è sempre stato un posto importante per i ragazzi e sono felice che alla fine, nonostante tutto, ogni tanto continuino a tornare lì.
Non so se ho detto tutto, spero di sì. Continuo a dire che sono impaziente di arrivare al prossimo mese e mostrarvi quello che ho combinato ma gnn, immagino di dover rimanere qui buona buona in un angolo e aspettare ancora per un po' :(
See ya,
   

Aria

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Capitolo 9
*** Epiphany and determination ***


Do-Iwanna-know

Baby we both know
That the nights were mainly made for saying things
that you can’t say tomorrow day.
Artic Monkeys — Do I Wanna Know


Somerville, Boston, 4th February
h. 03:22 p.m.


È da poco pomeriggio quando Jude raggiunge il palazzo di Camelia.
Sale le scale a piedi, sorprendendosi del silenzio che sembra regnare in ogni appartamento.
Quando arriva al piano giusto e si ritrova davanti al portone dei Travis, avverte quasi uno strano senso di soggezione. Stringe a sé il quaderno che si è portato dietro, deglutisce una volta a vuoto e, finalmente, si decide a suonare il campanello. Dal pianerottolo inferiore si avvertono alcune voci schiamazzanti di bimbi.
Dei passi sicuri si avvertono avvicinarsi dall’altro lato della porta. Poco dopo, Percival gli apre.
«Ciao, Jude» lo saluta.
«Buonasera, signor Travis.» ricambia composto Jude. Il ragazzo muove a mezz’aria i libri che tiene tra le mani. «Sono passato per aiutare Camelia con gli ultimi argomenti di algebra.»
L’uomo annuisce comprensivo. «Sì, David mi aveva avvisato che ci saresti stato tu oggi pomeriggio.» conclude. «Prego, accomodati.»
Travis si scansa di lato, e Jude s’infila all’interno dell’appartamento. Non c’è molta luce – forse infastidisce Camelia, chi lo sa.
Il padrone di casa fa strada al ragazzo verso la camera della figlia, sebbene Jude sappia bene da tempo come raggiungerla. Probabilmente non ha mai rivolto le stesse cortesie a Caleb: Travis, infatti, è indulgente e permissivo con gli altri componenti della banda – soprattutto con Jude –, quando si tratta di Caleb, tuttavia, la sua remissività viene un poco meno. Di recente si sono tacitamente accordati, per il bene di Camelia, che limitarsi a tollerare in silenzio l’altro sia la migliore scelta possibile, ma Jude non riesce a fare a meno di chiedersi se sarà così per sempre.
Arrivati davanti alla camera della ragazza, Percival fa un passo indietro. «Buono studio, ragazzi» si congeda, per poi allontanarsi in direzione del suo studio.
Jude non entra subito nella stanza. Per un momento resta sulla soglia, e osserva.
Camelia è seduta sul letto, lo sguardo puntato sulla finestra e un vestito candido a cingerle il corpo. La casa è calda e riscaldata, il golf di lana turchina che le copriva le spalle è caduto tra le trapunte, così ora le braccia nude sono lasciate scoperte.
Jude non stenta a credere che Caleb si sia innamorato di quella ragazza. Se dovesse trovare un aggettivo per definirla, probabilmente questo sarebbe eterea. Ed è buffo, perché è quanto di più lontano Jude riesca ad immaginare pensando invece a Caleb, eppure quei due funzionano così bene, e non esiste al mondo qualcuno che possa negarlo.
Il lucore pallido e grigiastro di febbraio s’infrange sulle pareti violette della stanza con eleganza, quasi come a voler rimarcare quel concetto.
Prima di entrare, Jude si lascia sfuggire un colpo di tosse.
Camelia volta la testa nella sua direzione. «Ehi» lo saluta, un lieve sorriso che fa capolino sul suo volto.
«Ciao» ricambia lui. «Sono passato per…»
«Algebra» lo anticipa lei. «Lo so. Vieni.»
Jude sorride e china appena il capo, facendo ingresso nella stanza. Sulla parete alla sua sinistra ci sono un sacco di foto che seguono la crescita di Camelia, la ritraggono fin da quando era una bambina piccolissima fino ad arrivare a giorni più recenti. In molte compaiono i suoi genitori, in alcune Caleb e perfino un paio con gli altri membri della banda. La prima volta in bicicletta, le candeline che si spengono alla festa per il quinto compleanno, una giornata passata alla baia assieme ai ragazzi. Jude è sempre stato affascinato da quei piccoli scorci di vita, e non fatica a comprendere perché Camelia tenga così tanto a conservarli.
La ragazza dà dei colpetti con la mano alla porzione di materasso accanto a sé, e Jude si affretta ad accettare l’invito sedendosi accanto a lei. Gli occhi delle stesse tonalità dell’oceano della ragazza sono fissi su di lui, e come sempre Jude vi legge dentro solo tanta dolcezza.
«È passato un sacco di tempo dall’ultima volta che ci siamo visti» gli fa notare la ragazza, posando piano il proprio palmo della mano sul suo.
«Già» Jude inclina la testa di lato. «Mi dispiace non essere stato presente‒»
«Non dirlo nemmeno per scherzo» taglia corto Camelia. «Ora sei qui, è questo che conta.»
Jude le sorride grato. Abbassa lo sguardo e apre il libro di algebra. David gli ha accennato a che punto fossero arrivati con gli argomenti, per cui ha un’idea abbastanza chiara di ciò di cui le parlerà oggi…
La voce di Camelia richiama ancora la sua attenzione.
«Jude?»
«Uhm?» La testa del ragazzo si solleva di scatto.
Camelia sorride. Incrocia le gambe sul letto, per poi chinarsi leggermente in avanti.
Quando la voce soave della ragazza torna a riempire il silenzio della stanza, alle orecchie di Jude giunge una domanda che mai si sarebbe aspettato di ricevere.
«Come stai, Jude?» gli chiede infatti Camelia, con quella sua disarmante ingenuità.
Per un momento Jude finisce per strozzarsi con il suo stesso respiro.
«I‒ In che senso…?» domanda a sua volta. In effetti è piuttosto spiazzato, non mente a se stesso se si dice di non sapere come rispondere a quella domanda.
Camelia inclina la testa di lato, come intenerita dalla difficoltà in cui ora, di colpo, sembra trovarsi Jude – lui, sempre perfetto in ogni occasione, sembra impossibile vederlo annaspare. «Beh…» Camelia si avvicina ancora un po’ di più a lui, «Caleb mi ha detto che stai frequentando una ragazza. Victoria, giusto?»
Jude tentenna. Perché stanno parlando di questo, adesso?
«Sì» ammette. «Da circa un mesetto.»
«Oh» Camelia sembra sinceramente incuriosita. «E com’è? Dai, parlami di lei!»
Il ragazzo si porta una mano dietro alla testa, cercando di dissimulare il suo imbarazzo. «Beh… ha gli occhi grigi come nuvole in tempesta e i capelli rossi. Frequentiamo lo stesso corso di arte e lei si è presentata a me dopo una lezione di letteratura…»
«E la ami?»
La domanda arriva mentre Jude sta ancora parlando. È così improvvisa che ci mette qualche secondo per elaborarla correttamente, e quando ci riesce è come se qualcuno gli abbia procurato un graffio sulla guancia.
Mentirebbe se dicesse di non esserselo mai chiesto. Ci riflette, ma sono più frequenti le volte in cui la sua mente cerca di mettere a tacere le risposte.
«Io… non lo so» ammette, sebbene si senta così terribilmente in colpa per questo.
L’intenzione di Camelia, tuttavia, non è apparentemente quella di fargli pesare i suoi errori.
«E Ray?»
Se possibile, quella domanda fa ancora più male della precedente. Come se d’improvviso qualcuno gli abbia tirato un secchio d’acqua gelida addosso, o come se di colpo il mondo avesse perso ogni colore. Per un attimo i suoi occhi non sembrano più percepire alcunché, tutto intorno a lui diventa d’un nero cieco ed asfissiante.
«C-che c’entra Ray…?» chiede, quasi annaspando.
Camelia inclina la testa di lato e sorride, come se si fosse resa conto solo in quel momento di avere a che fare con un bambino, un bambino che si approccia per la prima volta ad una realtà tutta nuova e si trova piuttosto in difficoltà. «Beh… la vostra era una storia importante, ed è finita in modo improvviso» commenta. «Non oso immaginare come tu possa esserti sentito dopo.»
Un sorriso amaro compare sul volto di Jude. Parlare di Ray è così difficile, adesso. Camelia ha sottolineato qualcosa di fin troppo importante, per lui, vale a dire la chiusura brusca del loro rapporto. Forse, più di tutta la situazione in sé, era stata quella lacerazione a ferirlo maggiormente: un solo, singolo strappo, e nulla era stato più come prima.
Era stato come se ogni cosa avesse perso importanza d’improvviso. Non riusciva ad immaginare una vita che non comprendesse l’uomo accanto a sé. Il mondo era diventato privo di ogni colore, e il gelo regnava sovrano per le strade.
Gli era parso di venire sommerso di colpo da un’onda enorme, e di non riuscire più a respirare. Perderlo era stato tutte quelle cose, e per la verità ne era anche molte di più, tuttavia Jude non era in grado di esprimere a parole nessuna di queste.
«È… passato del tempo» cerca di giustificarsi il ragazzo, senza fare minimamente accenno a ciò che ha pensato. «Sto cercando di andare avanti. Passerà, prima o poi.»
«Lo ami ancora?»
Una domanda. Una sola, semplicissima domanda, che basta tuttavia a mandare in frantumi tutta l’instabile realtà che Jude s’è premurato di costruirsi attorno in tutti quei mesi.
Cosa dovrebbe rispondere? Che è andato avanti? Che l’ha superato? Mentirebbe a se stesso, e lo sa lui come lo sa Camelia. Non passa giorno in cui non pensi a Ray, e a volerla dire tutta anche quella nuova, folle relazione era nata nella speranza che la situazione, in qualche modo, migliorasse, si stabilizzasse.
Tornasse come prima.
Vorrebbe che Ray fosse ancora al suo fianco. Vorrebbe poter tornare a fare assieme a lui progetti sulla loro vita futura, fantasticare sul college, invecchiare insieme, uno accanto all’altro.
Da quando non c’è più, invece, gli sembra di camminare bendato lungo un sentiero che non sa dove lo porterà.
Non ha bisogno di riflettere su quella domanda, in cuor suo sa già quale sia la risposta. Il problema è che non sa come fare, né come potrebbe riuscire ad ottenere ciò che realmente desidera.
Ma una cosa è certa: cercherà di raggiungerla, vuole almeno provarci.
Jude tamburella con le dita sul libro, cercando di concentrarsi nuovamente sullo studio nel quale si prepara ad immergersi.
«Dunque, proviamo a risolvere un’equazione…»


West End, Boston, 18th March
h. 11:03 a.m.



È una primavera strana, quella.
Manca ancora qualche giorno all’inizio ufficiale di quella nuova stagione, e per quanto il clima continui ad essere ancora piuttosto freddo alcuni fiori hanno già cominciato a sbocciare sugli alberi.
Caleb si augura di tutto cuore che sia un buon auspicio.
La pausa primaverile quest’anno è una manna dal cielo, perché gli permette di restare ancor più vicino a Camelia. Finalmente, per una settimana potrà starle accanto da mattina a sera, e non potrebbe chiedere davvero di meglio in attesa dell’estate.
Questo, chiaramente, comporta anche accompagnare Camelia in ospedale.
La ragazza è ancora abbastanza reticente all’idea, ma Caleb non ha voluto saperne niente. Che razza di fidanzato sarebbe, se non fosse accanto a lei anche nei momenti difficili?
Camelia sbuffa con levità, e Caleb affonda maggiormente il mento nella felpa azzurra che indossa.
«Non è questo il punto» gli ripete lei, sistemando il collo alto del maglione lilla che indossa. «È un momento particolarmente brutto e doloroso per me. M’infastidisce l’idea che tu possa vedermi in uno stato simile…»
Lui si volta di scatto, e deve trattenersi per non sferrare un pugno nell’aria che li circonda. «Sì, ma come pretendi che il peso di certe situazioni si allievi se non mi permetti di starti accanto? Se non mi permetti di aiutarti…?»
Camelia gli rivolge un sorriso simpatetico. Afferra la sua mano, stringendola piano.
«Caleb» lo richiama. «Sarebbe da sciocchi credere che tu non mi stia aiutando. Guardati!»
Ha ragione, lo sa. Quando gli ha confessato della sua malattia, Camelia ha ammesso di non avergliene parlato prima perché sapeva che, altrimenti, Caleb sarebbe stato disposto ad abbandonare ogni cosa – la scuola, i ragazzi – pur di accertarsi che lei stesse bene, rimanendo sempre al suo fianco per essere sicuro che non le mancasse nulla. Probabilmente sarebbe andata così, Caleb lo sa bene. Eppure ha sempre quella sensazione, quella paura di non essere mai abbastanza per lei. È abbastanza presente? Riesce a fare tutto ciò che potrebbe per lei?
Accompagnarla in ospedale per le terapie è davvero il minimo. Il pensiero di restare separato da lei più del tempo necessario lo dilania.
E, per quanto Camelia sia riluttante al pensiero di averlo attorno in certi momenti, sa che buona parte delle sue convinzioni siano dettate da una buona dose di orgoglio. Ha paura di apparire vulnerabile ai suoi occhi, teme che possa trovarla fragile, che vedendola in quel modo non la amerà più. Quello che Camelia non ha capito, tuttavia, è che, agli occhi di Caleb, lei ora sembri ancor più forte e bella.
L’ascensore trilla piano e le porte si aprono, accompagnandoli all’ingresso del loro piano. Un altro piccolo traguardo sa di averlo raggiunto nel momento in cui, a partire dal mese precedente, Percival ha cominciato a permettergli di accompagnare Camelia da solo in ospedale, senza più la sua supervisione. Caleb non sa esattamente come prendere quella cosa: ha iniziato a fidarsi maggiormente di lui, oppure ha solo più lavoro da fare come ha detto loro?
Non lo sa. Sono tante le cose che ignora, di recente. Da una parte, però, è quasi felice di non conoscerle, perché così può immaginare lui la risposta, e di recente ha scoperto che questo è proprio un gran sollievo, soprattutto se ci si trova in una situazione difficile come la loro: puoi cercare sempre di vederla in positivo, e tanto basta ad aumentare almeno un po’ la motivazione.
I due ragazzi attraversano i corridoi del reparto continuando a tenersi per mano, come se quel legame fosse più forte di qualsiasi ostacolo – e per Caleb lo è, se accanto a lui c’è Camelia si sente invincibile. Gli infermieri che incontrano lungo il loro cammino li salutano tutti, ormai a forza di presentarsi lì così spesso hanno imparato a conoscerli.
Camelia si ferma solo una volta raggiunta una certa porta, e Caleb sa il perché della sua incertezza fin troppo bene. Serra leggermente di più la stretta attorno alla mano della ragazza, cercando di infonderle un po’ di coraggio.
Camelia lo guarda, e in quegli occhi blu come il mare Caleb ci vede un milione di sfumature. E, forse per la prima volta da quando hanno cominciato quel percorso assieme, anche della pura.
Perché?
«Entra anche tu, oggi» gli propone lei, rivolgendogli un sorriso dolcissimo.
Caleb si acciglia per un momento. «Sei sicura?» domanda. «Mi era parso di capire che non volessi…»
Camelia inclina appena la testa di lato. «Forse hai ragione tu» ammette. «Credevo di poter affrontare questo mostro da sola, ma inizio a domandarmi per quanto ancora le mie forze mi sosterranno…»
Caleb apre la bocca, cerca di dire qualcosa, ma le parole sembrano essersi impigliate nella sua gola, come se non volessero proprio saperne niente di uscire. Sbatte le palpebre un paio di volte, prova ad afferrare un pensiero che evidentemente continua a sfuggirgli.
Camelia però non gli lascia possibilità di replica. Un momento dopo è già entrata nella stanza, salutando il suo medico.
«Buongiorno, dottoressa Schiller» esordisce infatti, muovendo appena una mano a mezz’aria.
«Buongiorno, ragazzi» ricambia la donna. «Sono felice di vedere che ci sia anche Caleb, oggi.»
Il ragazzo segue Camelia all’interno della stanza. Lei, nel mentre, sta sistemando la giacca sull’appendiabiti.
«Sì» concorda Camelia. «Gli ho chiesto io di venire. Sono felice che lui sia qui.»
La ragazza si accomoda sulla poltroncina di pelle blu presente nella stanza, sollevandosi una manica del maglione mentre la dottoressa Schiller finisce di preparare l’ago che deve iniettarle.
Caleb resta in disparte, premendo la schiena contro la parete – quasi come se sperasse che quest’ultima lo risucchiasse. Continua a pensare alle parole che gli ha rivolto poco prima Camelia, senza riuscire a venire a capo del loro vero significato. Che voleva dire quel discorso? Per mesi Camelia ha affrontato quel calvario con tenacia, senza mai retrocedere né dare la possibilità alla malattia di spaventarla. Ha combattuto fin da subito e non è mai stata intenzionata a demoralizzarsi. E adesso? Che sta succedendo?
Caleb fino ad ora è sempre stato certo che le cure stessero andando per il meglio, o perlomeno questo è ciò che Camelia gli ha sempre ripetuto. Certo, sa anche che la ragazza è sempre stata preoccupata dal mancato ritrovamento di un donatore di midollo osseo compatibile con lei, tuttavia la cosa non l’ha mai scoraggiata. È cambiato qualcosa, senza che Caleb se ne accorgesse?
Il ragazzo volta la testa di lato. Fin da lì, riesce ad intravedere alcuni rami di alberi, su cui stanno cominciando a sbocciare dei fiori.
E Caleb non vede l’ora di ammirare quella primavera assieme a Camelia.
 

「 Brookline, Boston, 26th May
h. 04:49 p.m.



Aprile è stato devastante.
Al rientro dalla settimana di pausa a marzo, i professori si sono messi d'impegno per farli trovare in difficoltà, ammassando verifiche su verifiche nel giro di pochi giorni.
Per Jude, fortunatamente, non è stato poi nulla di così impossibile.
Ha sempre amato studiare, gli riesce pressoché naturale – nonostante passi comunque ore ed ore sui libri ogni giorno alla stregua dei suoi compagni, giacché se desidera raggiungere i risultati che si è prefissato deve essere pressoché perfetto –, in più studiare lo aiuta a distrarsi.
A non pensare.
La sua vita è diventata un vero e proprio disastro. Intrappolato in una relazione che non ha mai veramente voluto, destinato a perdere per sempre chi ama nel giro di poco più di una settimana.
Già, perché il suo tempo è ormai concluso.
Manca circa una settimana alla cerimonia dei diplomi, e non ha la minima idea di cosa succederà dopo. Sarà l’ultima volta in cui vedrà Ray. No, non riesce ad accettare un futuro che non lo comprenda.
E allora?
Non è mai stato a casa di Victoria. Finalmente liberi dagli impegni scolastici, lei lo ha invitato lì e a Jude, seppur di malavoglia, è toccato andarci. Anche lei come lui – e come Ray, gli ricorda una vocina malefica nel suo cervello – vive in uno dei quartieri più eleganti e alla moda di Boston. C’era da aspettarselo, in effetti. Ora che ci pensa, non riesce a fare a meno di chiedersi come faccia Ray con il solo stipendio da insegnante a…
No. Non deve pensare a lui.
Soprattutto se si trova nei paraggi di Victoria.
Casa Vanguard, come immaginava, è di una bellezza ricca, sfarzosa, appariscente. Ignorando tuttavia i pregiati tappeti dell’ingresso, i quadri alle pareti e il lusso del salone, fatto di divani di pelle, volumi dalle apparenze antichissime stipati tra gli scaffali di una lunga libreria e una vetrina contenente liquori di pregiate annate, Victoria si era diretta senza troppe cerimonie verso la sua camera da letto.
E questo non aveva fatto altro che mettere ancor più a disagio Jude
La stanza di Victoria sembra in contrapposizione con il resto della casa. È come se lì il tempo si sia fermato, bloccandosi all’infanzia della ragazza. Ci sono stelle adesive incollate al soffitto, di quelle fluorescenti che s’illuminano col buio. Un telescopio è posto vicino alla finestra, le tende sono aperte e arricciate sul fondo, a offrire una piacevole visuale su una delle più raffinate e trafficate vie della città, poco sotto di loro. Sulle pareti azzurre ci sono macchie di altri colori, e questo fa subito pensare a Jude alla vena artistica di Victoria.
«Benvenuto nel mio mondo» commenta lei, saltellandogli tra le braccia.
È a dir poco euforica, e Jude teme di sapere fin troppo bene perché. Seppur con riluttanza, finisce per cingere la vita della ragazza con le braccia, e per Victoria quello è un gesto fin troppo eloquente. Poggia le labbra su quelle di Jude, e prende a baciarle con dolcezza e desiderio al tempo stesso.
Sbagliato. È tutto così sbagliato. Jude lo sa, lo sente, e non riesce a fare a meno di pensarci. Vorrebbe poter fuggire via da lì a gambe levate, lo ha sempre voluto, eppure eccolo qui, intrappolato per l’ennesima volta, un nodo in gola che gli rende complicato perfino respirare.
Victoria lo conduce verso il letto. Si lascia cadere sul materasso, trascinando il corpo del ragazzo sopra di sé. Suo padre sarà fuori per lavoro fino a sera, è l’occasione che attende da mesi.
Oh, no.
Le labbra di Victoria scivolano sul collo di Jude, mentre le dita abili cominciano a slacciargli i bottoni della camicia. Probabilmente si è accorta dell’incertezza del ragazzo, forse l’ha scambiata per goffaggine e ha deciso di cercare di aiutarlo, prendendo un’iniziativa così insolita per lei. Jude le tiene le mani sui fianchi, ma sembra non collaborare in nessun modo, né riuscire a godere delle attenzioni che gli sta dedicando, non un gemito, neppure un sospiro a dimostrare il suo compiacimento.
Forse Victoria starà pensando che sia strano, oppure magari lo ritiene normale, dopotutto ormai frequenta Jude da mesi e, per quanto stiano insieme da un po’, non lo ha mai visto lasciarsi andare del tutto. Potrebbe pensare che sia parte del suo carattere.
La verità, tuttavia, è ben altra.
«Victoria…» Jude la chiama piano, sperando che riesca a percepire il disagio nella sua voce.
A quanto pare funziona. La ragazza solleva il capo, tuttavia sembra crucciata.
«Ehi, che succede?» domanda, carezzandogli piano una guancia.
Le labbra di Jude tremano, e il ragazzo deve fare appello a tutto il suo autocontrollo per non crollare. «Andiamo con calma» propone. «Non ci corre dietro nessuno, no?»
La ragazza sospira sonoramente ma lo lascia andare. Jude non stenta ad immaginare quanto sia impaziente, quanto non veda l’ora di donarsi completamente al ragazzo che ama. E questo basta e avanza a farlo indugiare.
Per l’ennesima volta, finisce per sentirsi in colpa. Non ha mai voluto farle del male, perciò si sentirebbe di una crudeltà inaudita a prendere la sua verginità senza amarla nemmeno un briciolo. E, d’accordo, non è attratto da lei, e non riesce ad immaginare in alcun modo di avere un rapporto così intimo con una ragazza, ma quello è un discorso che non ha alcuna voglia di tirare in ballo. Non con Victoria, almeno.
Se dovesse essere davvero sincero, c’è solo una persona al mondo a cui si donerebbe interamente, ora però gli sembra così lontana e irraggiungibile…
Jude si tira a sedere sul letto, incrociando le gambe e sospirando a sua volta. Sa che è solo questione di secondi prima che Victoria torni nuovamente alla carica, per cui deve trovare un modo per distrarla, almeno per un po’.
Si guarda attorno. In fondo alla stanza c’è una piccola libreria. Deve essere piuttosto vecchia, perché al suo interno Jude v’individua anche alcuni libri per l’infanzia. Immagina gli scaffali crescere assieme a Victoria, così come l’intera stanza, modificarsi a seconda della sua età, passando dalle stelle adesive da bambina ai classici di Louisa May Alcott durante l’adolescenza. Jude sorride: non stenterebbe a credere, se glielo dicessero, che anche gli arredi posseggano vita propria.
Jude si alza in piedi. Attraversa la stanza, con calma misurata, senza riuscire a staccare gli occhi di dosso da quella libreria. Alcuni scaffali ospitano souvenir provenienti da tutto il mondo: Parigi, Berlino, Madrid…
Su uno di questi, poi, c’è un oggetto che Jude non si aspettava di trovare.
È in fondo ad uno scaffale pieno di libri, all’estrema destra, come se qualcuno cercasse di nasconderla alla vista di occhi indiscreti. E in effetti se quello è l’effetto desiderato funziona in pieno, perché prima di avvicinarsi Jude non l’aveva proprio notata. Jude si chiede perché nascondere un oggetto del genere, dopotutto sembra così affascinante…
Una macchina fotografica per polaroid, di un celeste molto chiaro. Il ragazzo è sorpreso, non si aspettava di trovarne una lì.
«Non sapevo fossi appassionata di fotografia…» commenta, come esprimendo a parole i suoi ultimi pensieri.
«Sì, è… una passione che ho da parecchi anni. In effetti non te ne ho mai parlato prima» ammette.
C’è qualcosa di strano, nella voce di Victoria. Sembra… tesa, eppure Jude decide di non darci troppo peso. Magari è solo poco entusiasta al pensiero che possa toccare le sue cose, anche se è strano, in tutti quei mesi non gli ha mai dato l’impressione di non sopportare una cosa del genere. Jude decide di non farci caso, forse sta solo immaginando cose che in realtà non esistono. E poi quella macchina fotografica gli piace sul serio, non gli dispiace l’idea di darle un’occhiata più da vicino.
Il ragazzo si ferma davanti alla libreria. Allunga una mano in direzione dell’oggetto che l’ha attirato a sé, come un canto di sirena, e alle sue spalle Victoria si muove tra le coperte, cercando di alzarsi in fretta e furia dal letto.
Troppo tardi.
Jude afferra la macchina fotografica e, con essa, qualcosa cade a terra. Il ragazzo batte le palpebre un paio di volte, confuso, alla fine tuttavia si china verso il basso a raccoglierle. Dopotutto è stato lui a farle cadere, sarebbe scortese da parte sua lasciarle lì.
Prendendole in mano, si rende conto che si tratta di alcune polaroid. Ma non del genere di scatti che una ragazza appenderebbe in camera sua, circondati da una striscia di lucine dalle tonalità calde. Si aspetta foto di Victoria, magari in compagnia delle sue amiche, o al massimo memorie della sua infanzia, come quelle in camera di Camelia. E invece no, ad attenderlo non trova niente del genere.
In quelle foto c’è lui. In ogni singolo scatto.
Ed è evidente che sia finito impresso su quelle pellicole contro la sua volontà, perché in nessuno scatto fissa l’obiettivo. Una volta è a scuola, intento a recuperare qualcosa nel suo armadietto, un’altra è con i ragazzi e ridono, chissà ripensando a quale impresa.
Sono foto risalenti a mesi prima del loro fidanzamento, Jude lo sa bene, perché non ha mai visto Victoria con quella macchina fotografica in mano da quando stanno insieme. C’è un dettaglio, tuttavia, che lo inquieta più di ogni altra cosa.
Jude riconosce quello scatto. Risale ai primi giorni di ottobre, e il luogo sullo sfondo è innegabilmente lo Starbucks di Beacon Hill.
In quella foto, Jude ha lo sguardo basso. Dietro di lui, Ray lo abbraccia, cercando di confortarlo.
È allora che Jude capisce. Una prospettiva agghiacciante si affaccia nella sua mente – spera tanto di sbagliarsi, ma dubita di farlo.
D’improvviso una rabbia cieca inizia a montargli dentro, e Jude decide che è arrivato il momento di abbandonare il suo consueto autocontrollo.
Se solo pensa che per tutti quei mesi è stato lui a sentirsi meschino…
«J‒Jude…» Victoria lo raggiunge alle spalle, di soppiatto. Probabilmente ha già capito cos’è appena successo.
«Fammi capire» Jude si volta nella sua direzione, furioso. Nel suo sguardo non c’è spazio per la compassione. «Cosa significherebbero queste
«I‒Io…»
«Che c’è, non riesci a rispondere? Oh, se vuoi posso aiutarti io» continua il ragazzo. Sul suo volto compare un sogghigno malefico. «Mi hai spiato per mesi. Eri così ossessionata da me che hai iniziato a seguirmi ovunque e a scattarmi queste fotografie. Poi, però, hai scoperto qualcosa che non immaginavi: la mia relazione con Ray. Così, accecata dal desiderio di avermi solo per te, hai portato queste foto al preside Rice…»
«N‒No!» strepita la ragazza. «È vero, ho detto al preside di aver scoperto che avevate una relazione, ma non gli ho dato le foto! Lui le voleva, ma io mi sono rifiutata di dargliele, perché temevo che se lo avessi fatto saresti riuscito in qualche modo a risalire a me… J‒Jude, mi dispiace, non volevo… non volevo che lo venissi a sapere così…»
«Beh, è ovvio, perché se non avessi trovato queste foto oggi tu non me l’avresti mai detto!» sbotta Jude, lasciando cadere le polaroid a terra, sulla moquette scura e pregiata della stanza. «Pensi che non avergli dato le foto ti renda meno colpevole? Hai letteralmente esposto la vita privata di due persone per il tuo tornaconto!»
Victoria cerca di afferrare la manica della camicia di Jude. «M‒Ma io ti amo…» ammette, negli occhi ancora un piccolo barlume di speranza.
«Beh, io no!» esclama Jude, liberandosi dalla sua presa. Si sente libero, più leggero di almeno dieci chili. Finalmente ha ammesso la verità, e non ha più paura di ferire Victoria, non dopo quanto ha appena scoperto, non dopo tutto il male che lei gli ha procurato. «Non ti ho mai amata, a dir la verità! Mi sono messo con te nella stupida, vana, miserevole speranza che Ray s’ingelosisse e provasse in qualche modo a riconquistarmi. Non ho mai provato nulla per te. Dio, se solo penso che ho perso tutti questi mesi lontano dall’uomo che amo a causa di questo sciocco teatrino…!»
Gli occhi di Victoria si riempiono di lacrime. La ragazza si lascia cadere a terra, ma a Jude non importa più nulla. Si sente così felice che sta quasi per scoppiare a ridere, ma evita di farlo perché inizia a temere di aver perso per sempre la sua sanità mentale.
Volta le spalle a Victoria. Ormai non ha più motivi per rimanere lì. Tutte le catene che lo imprigionavano si sono di colpo spezzate, e non riesce ad immaginare una sensazione migliore di quella.
Jude attraversa la stanza senza fermarsi. S’arresta solo per un momento, arrivato ormai sulla soglia.
«Penso che sia inutile dirti che tra noi è finita» conclude.
Jude esce dalla stanza, poi dalla casa. Si lascia alle spalle il pianto di Victoria che irrompe nell’aria, ma non gliene importa niente, vuole solo dimenticare tutta quella storia il prima possibile.




Angolo autrice


È un orario imbarazzante della notte. Sto editando. Va tutto bene.
Domani voglio buttarmi su un treno e andare via lontano, non pensare più a niente, almeno per un giorno. Quindi, visto che tecnicamente è già il 7 settembre, edito e pubblico adesso, così non ci penso più.
A proposito, siamo finalmente arrivati a settembre. Ma ci pensate che il prossimo capitolo è l'ultimo prima dell'epilogo? Io non riesco ancora a realizzarlo, ho passato così tanto tempo ad essere incapace di finire questa storia che darle invece una conclusione mi lascerà disarmata. Tecnicamente l'ha già fatto quando l'ho scritta, ma penso che pubblicarla sarà diverso.
Tra l'altro questo è un capitolo che attendevo con ansia, per cui non capisco perché non mi andasse di editarlo ed ecco anche perché mi sono ridotta a quest'ora per farlo, tanto per me dormire è un optional--
Ma andiamo con ordine. Per quanto riguarda le prime due scene in realtà non ho molto da dire. La prima ci mostra l'amicizia tra Camelia e Jude, che purtroppo visto che sono scema ho sempre fatto passare in secondo piano. E a pensarci bene sì, è un po' Camelia a dare la "spinta" a Jude affinché apra gli occhi su ciò che prova realmente.
Nella seconda scena probabilmente invece sembra che non succeda niente, ma vedrete, nel prossimo capitolo sarà tutto più chiaro.
Infine, arriviamo al punto di cui mi preme parlare. Sì, finalmente la relazione tra Jude e Victoria è finita, e io sono felice, perché ovviamente non li shipperò mai nella vita e poi soprattutto perché più che una relazione era una menzogna ‒ da parte di entrambi, se ci pensate: Jude che si ostinava a stare con lei nonostante non la amasse e Victoria che gli ha nascosto fin dal principio di essere stata lei ad aver rivelato a Zoolan la relazione tra Jude e Ray.
Per questa cosa mi sono scervellata da morire. Sono sicura che inizialmente non avessi messo in conto questo plot twist, probabilmente le cose dovevano andare diversamente, tipo che Zoolan aveva dei sospetti e bluffava malamente ma non riuscivo a farmi quadrare le cose, perché così non mi tornava il ruolo di Victoria in tutta la questione. Poi mi è venuto in mente che poteva essere lei l'anello di conginuzione e boh, l'ho arrangiata così. Io spero sinceramente che non ci siano buchi di trama, mi sono portata dietro questa long per tre anni e anche se so che in realtà non è neanche tanto tempo per me è molto, fidatevi.
Sento di star dimenticandomi di dire qualcosa, rip
Ho l'impressione che Jude possa sembrare troppo crudele nel lasciare Victoria. Però da una parte lo capisco, l'hanno imbrogliato e preso in giro un po' tutti, forse adesso vorrà rifarsi anche lui.
Nulla, come dicevo il prossimo è l'ultimo capitolo prima dell'epilogo sigh e again, ci sarà un'altra importante svolta della trama... sì, me le sono lasciate tutte alla fine, ahahah.
Ma non temete, miei cari. Siamo in dirittura di arrivo, per cui tutto è destinato a risolversi, nel bene e nel male.
A presto mentre prego di non aver lasciato troppi errori lungo il testo


Aria

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Capitolo 10
*** Love and death ***


Do-Iwanna-know

Baby we both know
That the nights were mainly made for saying things
that you can’t say tomorrow day.
Artic Monkeys — Do I Wanna Know


Broadway, Boston, 1st June
h. 10:44 a.m.


La toga nera continua a frusciargli attorno alle caviglie.
Probabilmente sono in ritardo, ma suo padre ha preteso che lo aspettasse prima di raggiungere il liceo.
Jude è piuttosto divertito dal fatto che l’integerrimo governatore Sharp sia riuscito a trovare del tempo nelle sue giornate piene d’impegni da dedicare al figlio.
Forse è così solo perché quello non è un giorno come un altro.
In effetti Jude non sente per niente ansia o altre emozioni di quel tipo, perché, di fatto, per lui quello è un normalissimo giorno come un altro. Gli esami sono finiti, non ha niente da temere.
Immagina qualcuno dell’ufficio di direzione generale scoprire da suo padre che quel giorno ci sarà la cerimonia di consegna dei diplomi e consigliare al governatore di presenziare. Un figlio si diploma una sola volta nella vita, dopotutto.
A detta di Jude, è tutta una gran questione di ipocrisia. Suo padre lo reputa la più grande delusione della sua vita, e Jude non nutre più alcun timore nei suoi confronti. Presto si trasferirà per l’università, è inutile continuare con quella farsa di benevolenza.
Si sopportano a malapena, meno tempo trascorrono l’uno con l’altro meglio stanno, per la maggior parte delle volte evitano perfino di parlarsi. Dev’essere davvero una grande sofferenza un figlio delinquente, e soprattutto incapace d’innamorarsi di una ragazza.
Suo padre è stato il primo a sapere della rottura con Victoria. Lo ha visto rientrare a casa insolitamente in anticipo rispetto all’orario che gli aveva prospettato, e quando gli aveva chiesto se fosse capitato qualcosa aveva risposto seccamente:«Ho lasciato Victoria.»
Quella dev'essere stata l’ennesima delusione per suo padre, ma in tutta franchezza a Jude non importa davvero più niente di tutto ciò. Quella sera si era sentito forte come non gli capitava da tempo, percepiva di essere riuscito finalmente a riprendere in mano la propria vita.
E non avrebbe potuto desiderare niente di meglio, davvero.
In lontananza, Jude scorge Joe fare un cenno nella sua direzione. Senza alcuna esitazione, si affretta a raggiungere i ragazzi.
Subito dopo aver informato suo padre della fine della sua relazione, a saperlo sono stati i ragazzi. Caleb gli aveva lasciato una pacca sulla spalla, soddisfatto.
«Era ora che ti decidessi a fare la cosa giusta», aveva commentato.
E lo era davvero. Suo padre vedeva in quel fidanzamento solo interessi politici al pensiero di avere un ambasciatore parte della sua famiglia, inoltre già lo immaginava sposato, lui e Victoria felici con a carico un esercito di pargoletti. Se solo ci pensa a Jude viene il voltastomaco.
Non è mai stato questo ciò che desidera per se stesso. Si sente così sciocco al pensiero di essere rimasto intrappolato in quella realtà per fin troppo tempo.
«Ehi!» saluta gli altri, entusiasta.
«In ritardo come le star» commenta Caleb, un sorriso sardonico che gli compare in volto.
«Beh, a quanto pare c’è qualcuno che ha tardato più di me, no?» replica Jude, posandosi le mani sui fianchi, in segno di sfida.
«Sì, David non è ancora arrivato» conferma Joe. Il ragazzo estrae il telefono dalla tasca dei pantaloni, litigando un po’ con il tessuto ingombrante della toga prima di riuscire a tirarlo fuori del tutto. «Forse dovrei chiamarlo di nuovo…»
Caleb sta per fare uno dei suoi soliti commenti pungenti, Jude tuttavia fa arrestare entrambi.
«Ragazzi, eccolo!» esclama infatti.
Gli altri due alzano la testa, e vedono a loro volta la figura di David. L’amico sta correndo nella loro direzione, il fiato corto e il volto arrossato.
«Siamo alle solite» commenta Caleb, in un sussurro.
Non appena li raggiunge, David si lancia tra le braccia di Joe, scoppiando in una risata cristallina. Ci sono centinaia di altri studenti a circondarli, ma a loro non importa. Jude vorrebbe così tanto che la stessa cosa potesse valere anche per lui e Ray.
«Non ditemi che volevate cominciare la festa senza di me?» scherza David, sistemandosi una ciocca di capelli turchini e scompigliati dopo la corsa dietro ad un orecchio.
«Oh, non lo abbiamo mai pensato…» replica Caleb. Jude si rende conto che nella voce dell’ex capo della banda c’è qualcosa di strano. È passato tanto tempo dall’ultima volta in cui hanno parlato, forse dovrebbe chiedergli se sia tutto a posto, tuttavia non gliene viene concesso il tempo.
Poco dopo, infatti, una professoressa compare alle loro spalle, sulla soglia dell’edificio.
«La cerimonia sta per cominciare!» annuncia, per poi sparire l’istante successivo di nuovo all’interno dell’istituto.
Jude guarda i suoi amici. Sa che continua a sembrargli tutto così strano, come se il tempo fosse di colpo sospeso, ma stanno effettivamente per mettere la parola fine a un capitolo importante della loro vita. È tutto così solenne, ma al tempo stesso inverosimile. Jude sorride.
«Forza, andiamo» esorta gli altri.


I locali della palestra sono stati riconvertiti in vista della cerimonia. Centinaia di sedie di plastica si susseguono in file ordinate lungo il parquet del campo di basket e, in fondo all’enorme stanza, un fondale nero è stato appoggiato a nascondere la presenza di uno dei canestri. Davanti a quello che sembra essere un pezzo riciclato da una scenografia del club di teatro, qualcuno ha montato un palco. Ci sono sedie a sufficienza per tutti gli insegnanti, e una cattedra munita di microfono dalla quale Jude immagina che il preside consegnerà i diplomi e esporrà il suo discorso di fine anno.
Peccato che Jude non abbia voglia di ascoltare mezza parola proveniente dalle labbra di Zoolan Rice.
Si è servito delle – discutibili – prove di una studentessa minorenne pur di rovinare l'esistenza di un uomo che aveva passato la vita a tormentare e di un ragazzo che nemmeno conosceva. A Jude sembra di essere precipitato in uno di quei film dalla trama assurda e irrealizzabile, e non è ancora certo di essere riuscito a trovare la via d’uscita.
I ragazzi decidono di sedersi a metà del grande mare di sedie. Jude si accorge che fin da lì riesce a vedere Ray, seduto assieme ad altri professori sul palco. È impeccabile nel completo scuro che indossa, e i capelli sono legati nella solita coda bassa.
Gli manca. Terribilmente. Jude sa che è egoista da parte sua aspettarselo, tuttavia spera che non abbia mai smesso di aspettarlo per tutto quel tempo. Non sa come, ma è ancora certo di voler tornare da lui.
Gli studenti continuano a prendere posto. Ad un certo punto, nella folla, Jude si accorge di avere ancora una volta gli occhi grigi di Victoria puntati su di sé. Gli basta una sola, breve occhiata gelida per dissuaderla dall’osservarlo: non appena la fulmina con lo sguardo, occhi rossi che inceneriscono i suoi color del fumo, la ragazza punta all’istante lo sguardo a terra, il volto rosso d’imbarazzo.
Per Jude quella è una parentesi di vita ampiamente conclusa. Spera che Victoria se ne renda presto conto.
Non appena la stanza si è riempita del tutto, Zoolan si avvicina al microfono e attira l’attenzione dei presenti, cominciando il suo discorso. Come previsto, Jude non ne ascolta nemmeno mezza parola.
Tra i ragazzi, in effetti, si è sollevato un argomento decisamente più interessante.
«Caleb» chiede infatti David, «ma Camelia non c’è?»
Sul volto dell’ex capo della banda compare, per la prima volta da quella mattina, un’espressione triste. «Ha detto che stava poco bene e non se la sentiva di venire» ammette.
Jude s’impensierisce. Ha sottovalutato per mesi la salute di Camelia, gli sembra di rendersene conto solo in quel momento. Gli dispiace che lei non sia lì con loro, in quel momento: Camelia è una parte effettiva della sua vita, Jude non se la sentirebbe mai di tagliarla fuori. Le vuole bene, e sperava di poter vivere quell’esperienza assieme a lei.
Non importa, cerca di rassicurarsi. Sta per arrivare l’estate, ed è certo che sarà un periodo meraviglioso che vivranno assieme, tutti e cinque.
O tutti e sei, contando speranzosamente anche Ray. Non aveva motivo di preoccuparsi.
«Jude Sharp»
La voce di Zoolan lo strappa violentemente dalle sue fantasie. Per un momento Jude teme che voglia metterlo in ridicolo davanti a tutta la scuola, lo scroscio di applausi che tuttavia lo travolge di lì a poco gli fa capire cosa realmente stia succedendo.
Il ragazzo si alza in piedi, e accompagnato da quegli applausi che non vogliono saperne di fermarsi cammina verso il palco.
Va tutto bene. Respira.
È il ragazzo che si è diplomato con i voti più alti dell’istituto. Ha ottenuto l’accesso ad una delle più prestigiose università di tutto il paese.
All’improvviso un sorriso di consapevolezza compare sul volto di Jude.
È tutto finito.
Nei pochi metri che lo separano dal palco, a Jude sembra di rivivere tutti i momenti che ha trascorso in quel liceo. I voti altissimi in matematica e quelli inspiegabilmente bassi in letteratura, la relazione con Ray, l’ingresso nella banda, l’allontanamento dagli studi e il conseguente riavvicinamento una volta risolta tutta la situazione con i ragazzi, l’arrivo di quel nuovo preside che aveva sconvolto loro l’esistenza, la rottura con Ray, il dolore, la sofferenza, poi quel suo lanciarsi a capofitto nella storia con Victoria, sperando che le cose tornassero alla normalità. La scoperta delle menzogne, la rottura con la ragazza, e poi, Ray, Ray, Ray…
Jude non riesce a toglierselo dalla testa. Per quanto si ostinasse a negarlo, ha continuato a pensare a lui per tutti quei mesi. E adesso è lì, a pochi passi da lui, e Jude vorrebbe con tutto se stesso correre da lui e baciarlo davanti a tutti, noncurante del loro parere.
Ma non può. Lo sa.
Gli occhi rossi tornano ad annegare in quelli neri, e d’improvviso sembra che una luce sia tornata ad illuminare lo sguardo di entrambi.
Jude sale i gradini del palco. Zoolan gli consegna il suo diploma. Sotto la barba dell’uomo vi è un ghigno crudele, ma quest’ultimo si infrange nel momento esatto in cui i suoi occhi si posano sul ragazzo.
Jude sorride.
Zoolan ancora non lo sa, ma la partita l’ha vinta Jude.
Il ragazzo prende il diploma e si volta di spalle, tornando a scendere giù dal palco, mentre gli altri studenti continuano a battere le mani per lui.
Quando tutti i diplomi sono stati consegnati, ognuno lancia il proprio tocco in aria. Alcune lacrime di commozione scorrono sul volto di David, mentre Jude trattiene le proprie.
Non c’è tempo per piangere. Deve fare ancora una cosa.


Brookline, Boston, 5th June
h. 03:28 p.m.



Una pioggia sottile tamburella contro i finestrini dell’auto.
Jude osserva con disinteresse il panorama esterno, invariato ormai da interminabili minuti. È per questo che non ama muoversi in auto a Boston, si finisce sempre per restare imbottigliati nel traffico. Suo padre non sembra curarsi troppo della cosa: da quando sono partiti da casa non ha mai smesso di parlare al telefono con uno dei suoi più stretti collaboratori, discutendo sulle prossime manovre politiche da effettuare o di alcuni avversari che gli stanno dando del filo da torcere. Jude non è particolarmente sorpreso dal fatto che l’uomo passi praticamente tutto il suo tempo ad ignorarlo, è solo l’ennesima conferma della disapprovazione che prova nei suoi confronti; Jude, tuttavia, non riesce a biasimarlo: in fin dei conti, il loro è un disinteresse reciproco.
La pioggia bagna tutto ciò che incontra sul suo cammino, le pareti dei palazzi sembrano essere madide e grondanti d'acqua. Se si perde con lo sguardo tra le varie architetture, capisce che lo stile è così simile alla loro abitazione, segno che hanno fatto veramente poca strada finora. Qualcuno fuori suona il clacson, la fila interminabile non avanza di un millimetro.
Suo padre, ancora al telefono, borbotta nervosamente. È buffo, per un uomo sempre così composto come lui.
«Lo so che sono in ritardo, Albert!» sbotta frustrato al suo collaboratore. «Sembra che in questa città la gente perda la capacità di muoversi non appena dal cielo cominciano a cadere due gocce! Non puoi chiedere ai rappresentanti di questa impresa di costruzioni di attendere ancora per qualche minuto…?»
Jude poggia pigramente la testa contro lo sportello. Non sa ancora cosa gli abbia detto il cervello quando ha accettato la proposta di suo padre di seguirlo a questo importante incontro di lavoro. A lui non interessa niente dei suoi impegni governativi, la politica non è certo la strada che vuole prendere nella sua vita. La verità è che a casa non ha niente da fare, e piuttosto che restare rinchiuso tra quelle quattro mura a commiserarsi su quanto faccia pena la sua vita ha pensato che andare con lui fosse l’unico modo per distrarsi.
Deve ammettere che non sta funzionando per niente.
Qualcuno suona nuovamente il clacson, suo padre inveisce ancora una volta contro il traffico e Jude sta seriamente cominciando a pensare di mettersi ad ascoltare un po’ di musica in cuffia, improvvisamente però la sua attenzione viene attirata da qualcos’altro.
Non si è nemmeno accorto di quale sia la via in cui ora si trovano.
Col tempo Jude ha imparato a conoscerla così bene, ed è certo che anche i palazzi lì ormai sappianoo chi lui sia. Troppe notti lo hanno osservato sfilare sui marciapiedi, in un silenzio tombale, ed infilarsi in uno di quegli appartamenti.
Lo trova subito, a pochi metri da loro. Si chiede come abbia fatto a non notarlo prima.
Quando la banda era ancora in piedi, quello era stato il suo rifugio. Lontano da casa, dalle continue ramanzine di suo padre e al tempo stesso anche dall’alcol e dalle notti piene di eccessi di Caleb e gli altri.
Un porto sicuro in cui sostare, mentre tutto intorno a lui era tempesta.
Si rende conto che, in effetti, in quegli ultimi mesi si è trovato proprio nel bel mezzo di una burrasca, una relazione che non ha mai desiderato, una delle sue più care amiche gravemente malata, il rapporto con suo padre completamente perduto e, soprattutto, l’unica persona che avrebbe voluto accanto così lontana. Ray aveva questa straordinaria abitudine di riuscire a rimettere tutto a posto, come era successo con l’arresto di Caleb, l’anno precedente. Senza dubbio, se non fossero stati divisi a causa di Victoria e Zoolan, sopportare quel periodo difficile sarebbe stato meno gravoso.
Certo, ragionare per ipotesi non serve poi a molto. Ormai, teme di aver perso Ray per sempre…
Quel pensiero fugace s’interrompe nel momento esatto in cui i suoi occhi si posano sul portone d’ingresso del palazzo. Qualcuno sta uscendo: osserva dubbioso il cielo e la pioggia che cade giù da esso, incerto se prendere la bicicletta che tiene tra le mani, ancora immobile sui gradini dell’uscio, mentre una borsa di cuoio bruno gli pende da una spalla.
Per un momento Jude crede di esserselo immaginato, dopotutto una visione così idilliaca sarebbe degna dei suoi sogni più dolci, tuttavia è impossibile: non confonderebbe mai Ray Dark con nessun’altra persona al mondo.
Ray abbassa lo sguardo, e sembra quasi che i loro occhi s’incontrino ancora una volta: il rosso che annega nel nero, che, di nuovo, gli chiede di essere salvato.
E così accade.
A Jude sembra di avere d’improvviso tutto chiaro. Si sente uno sciocco per non averlo compreso prima, quasi gli viene da ridere. Posa la mano sulla maniglia della portiera, sta quasi per aprirla quando si rende conto che, nel frattempo, la telefonata di suo padre si è conclusa.
Era così rapito dai suoi pensieri da non essersene reso conto. Suo padre, il governatore Sharp, gli rivolge uno sguardo affilato.
Ha compreso, Jude ne è certo. Deve aver visto anche lui Ray, e in quegli occhi Jude non trova possibilità di perdono.
«Se scendi da questa macchina puoi smettere di considerarti mio figlio» pronuncia, lapidario.
Agli occhi di Jude, quello è un ricatto in piena regola. Scegliere tra suo padre e l’uomo che ama.
Non gli è mai sembrata una decisione così facile. Non ha più nulla da spartire col governatore Sharp, è da lungo tempo che il filo che li legava si è spezzato, senza contare che a lungo, troppo a lungo è stato costretto a restare lontano da Ray. E Jude è davvero stanco di tutte quelle persone che si sono interposte nella loro relazione.
Jude si china in avanti. Sul suo volto compare un sorriso scaltro.
«Convivrò con questo peso» conclude.
Il volto del governatore Sharp diventa paonazzo dalla rabbia, ma Jude non ha tempo per ascoltare qualsiasi replica abbia intenzione di rifilargli. Tira la maniglia, e si lascia scivolare fuori dalla vettura scura.
La portiera sbatte alle sue spalle, ma Jude non se ne cura. La pioggia comincia a cadere sul suo corpo, e d’improvviso si ritrova catapultato indietro di un anno, ed è di nuovo su quel ponte di ferro. Non deve più scegliere tra vita e morte, l’ha già presa la sua decisione, ed è la migliore che potesse aspettarsi.
Jude inizia a correre. Le auto continuano a suonare il clacson e i guidatori lo fissano con sguardi pieni di disapprovazione mentre cerca di trovare uno spiraglio per attraversare quella strada affollatissima.
A Jude non importa davvero più di nulla. Vede solo lo sguardo esterrefatto di Ray che non si scolla più dal suo, e quella è la vittoria più grande per lui.
Senza dargli il tempo di dire una parola, sale quei gradini che li separano trattenendo il fiato, per poi lanciarsi finalmente tra le sue braccia. Preme le labbra sulle sue, e per la prima volta dopo mesi sente di star facendo la cosa giusta.
I pezzi di un puzzle scomposto troppo a lungo che finalmente trovano la loro collocazione, l’allineamento di pianeti che ha sempre cercato.
Ray lo stringe come se tenesse tra le braccia la cosa più preziosa del mondo, ma al tempo stesso senza alcuna intenzione di lasciarlo andare più, mai più.
Jude lo avverte ricambiare quel bacio, e sente che potrebbe svenirgli tra le braccia in quel preciso momento, tanta è la gioia di averlo finalmente ritrovato.
È la prima volta in cui non si curano di ciò che la gente possa pensare di loro. Non conta più nessuna opinione, ci sono solo loro e quei baci di cui hanno sentito così tanto la mancanza.
Nessuno dei due vorrebbe separarsi, ma Ray allontana appena i loro volti, così che possano riprendere fiato. Accarezza piano le guance di Jude, ancora incredulo al pensiero che sia lì, davanti a lui.
«Ma… tuo padre… quella ragazza…» accenna confuso.
«Non me ne importa niente» Jude prende a sua volta il volto di Ray tra le mani, i loro occhi che continuano a divorarsi. «Ti amo, voglio passare il resto della mia vita con te… quello che pensano gli altri non mi interessa.»
Ray sorride e lo bacia nuovamente. Lo trascina piano all’interno dell’edificio, e di colpo la pioggia, Boston, nulla ha più senso. Ci sono solo loro, e quella è l’unica cosa che conta.


Fare l’amore dopo tutti quei mesi di lontananza è come cadere di nuovo per la prima volta nella spirale che l’ha intrappolati fin dal primo momento, da quel bacio nascosti dai finestrini di un’auto, e prima ancora gli sguardi in classe, le chiacchierate, la voglia di scoprire insieme un nuovo mondo, fatto di racconti e parole, provenienti da epoche vicine e lontane, stralci di vite che facevano vibrare l’anima.
Jude si gode ogni momento, ogni tocco di Ray sul suo corpo, le dita che sembrano voler lasciare un solco sui suoi fianchi, tanto ferrea è la presa in cui li stringe. Le labbra sono incapaci di staccarsi, i corpi ancora bagnati di pioggia si asciugano nella carezza confortante delle lenzuola.
È tutto così bello e perfetto, e Jude si domanda come abbia potuto rinunciarvi tanto a lungo. Anche quando tutto è finito non riescono a smettere di annegare l’uno negli occhi dell’altro, Ray che lo tiene stretto contro il suo petto e al caldo sotto le coperte. È chiaro che non hanno più intenzione di perdersi. Sorridono entrambi, finalmente felici.
E di colpo Jude ci crede, a quel futuro assieme che tanto a lungo hanno sognato.
 

Somerville, Boston, 5th June
h. 05:17 p.m.



Caleb detesta i temporali.
Quella pioggia odiosa ha cominciato a cadere da qualche ora, intensificandosi negli ultimi momenti. Insomma, stanno andando incontro all’estate, possibile che debba ancora piovere?
Si stringe maggiormente il cappuccio attorno al capo, sbuffando sonoramente. Sta andando a casa di Camelia, ed è già terribilmente in ritardo.
Ha atteso a lungo quell’estate e beh, un temporale non è esattamente il modo migliore in cui potesse cominciare, ma non importa. Ci saranno un mare di giorni per recuperare, e sa già che li passerà accanto a Camelia, per cui saranno stupendi.
Questo basta a fargli tornare il sorriso sul volto. Non vede l’ora di organizzare una giornata alla baia come l’anno precedente, sarebbe bello tornare lì, magari anche insieme ai ragazzi.
Caleb sta per mettersi a camminare più in fretta, motivato da quei propositi, quando il suo cellulare si mette a suonare.
Non sa nemmeno come faccia a sentirlo sopra al trambusto del temporale, dev’essere un caso.
Il ragazzo sbuffa di nuovo. Recupera in fretta il telefono dalla tasca dei pantaloni, e si ferma per un momento sotto alla pioggia per rispondere. Sarà sicuramente qualcosa di breve, immagina che sia David per una delle sue solite idiozie…
Il numero che gli compare sul display è quello di Percival. È strano che lo chiami, dopotutto sa che sta per arrivare a casa loro.
Caleb decide di rispondere comunque.
«Pronto?»
Silenzio. La pioggia non si ferma. Caleb sente la voce dall’altro capo del telefono, ma dopo le prime frasi è come se non la stesse ascoltando veramente. Gli sembra che il suo cervello sia incapace di processare quell’informazione.
La pioggia continua a cadere, mischiandosi alle lacrime.




Angolo autrice


Ed eccolo qui, finalmente, l'ultimo capitolo prima dell'epilogo. Se qualcuno dovesse chiedermi se ho elaborato il fatto che tra dieci giorni posterò la conclusione di questa storia la risposta è no, non è così. Ma andiamo avanti, non è ancora il momento di parlare di questo, anche perché penso che gli dedicherò ampio spazio nelle note del prossimo capitolo, lol.
Sì, fondamentalmente questo aggiornamento si intitola ἔρως e θάνατος, concetto che mi porto dietro dalla terza media e che mi ha sempre affascinata. Perché sì, questo capitolo è di sicuro il trionfo dell'amore, ma non solo. Anyway, ci arriviamo tra un attimo.
Andiamo con ordine. Anzitutto: la cerimonia dei diplomi. Pensandoci bene è un cerchio che si chiude anche per me, perché tre anni fa ho cominciato questa storia con i ragazzi che frequentavano il liceo 
– o meglio, che a causa della banda non lo frequentavano – e adesso si sono finalmente diplomati. Sono una proud mom, potrei quasi commuovermi.
Come al solito Jude è il solito secchione e ha ottenuto i voti più alti della scuola. Sì, è anche entrato in un'università prestigiosa, ma non voglio spoilerarvi niente, ne parleremo meglio nell'epilogo.
Tra l'altro in questo capitolo abbiamo chiuso diverse sottotrame, per esempio quelle di Zoolan, Victoria e del signor Sharp. Personalmente non ne sentirò affatto la mancanza, di nessuno di loro, ma immagino lo sospettaste già.
A proposito di Victoria, spero che non vi sembri che l'abbia fatta soffrire troppo. Per quanto mi riguarda, merita questo e altro.
E siamo arrivati finalmente al punto che aspettavo. C'è la pioggia, come nella scena finale del penultimo capitolo di Dark Necessities e, a ben pensarci, non è l'unica similitudine tra i due pezzi.
Jude, prevedibilmente, ha scelto Ray, e io sinceramente non riesco a fargliene una colpa, e non tanto perché siano la mia otp, quanto piuttosto perché non riesco a immaginare l'uno vivere senza l'altro. Se Jude fosse rimasto con suo padre, d'altronde, che futuro avrebbe avuto? Infelice, e per sempre lontano dalla persona che ama? Anche su questo discorso credo che torneremo nelle note finali della long, per cui per ora mi limito a dire che sono felice che si siano finalmente ricongiunti e... yaaay!, I guess...?
La parte finale preferisco non spiegarla, anche perché temo sarebbe uno spoiler immane. L'epilogo verterà praticamente intorno ad essa, per cui credo di non poter far altro che lasciare tutto alla vostra immaginazione 
– anche se, secondo me, è tutto fin troppo chiaro, ma okay, io sono l'autrice per cui sono di parte.
Credo di aver detto tutto per oggi un applauso a me che finisco sempre per editare tutto all'ultimo nonostante i miei mille buoni propositi, ahahah. Ci vediamo domenica 27 settembre per l'epilogo
– ancora non ci credo. 

Aria

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Capitolo 11
*** Epilogue – Do I wanna know ***


Do-Iwanna-know

Baby we both know
That the nights were mainly made for saying things
that you can’t say tomorrow day.
Artic Monkeys — Do I Wanna Know

Epilogue – one year later


Cambridge, Boston, 5th June
h. 09:02 a.m.


Un raggio di sole fastidioso penetra dalla finestra, finendo direttamente sul suo volto.
Jude mugugna pigramente, affondando il viso nel cuscino. Inspira a fondo il profumo di pulito delle lenzuola, e subito un sorriso gli compare sul volto.
Il ragazzo si ritrova a rotolare tra le lenzuola, finché non si ritrova a puntare lo sguardo sul soffitto. Travi di legno che si susseguono, in un’alternanza perfetta.
Percepisce una moltitudine di profumi: legno stagionato, il delizioso profumo della carta dei libri e, infine, l’aroma meraviglioso del caffè.
Il sorriso sul suo volto si allarga ancor di più mentre si mette a sedere sul materasso.
Non si sono trasferiti da molto tempo nel campus universitario di Harvard. Il letto è l’unico mobile che i trasportatori non hanno ancora consegnato, ma Jude non riesce a dispiacersene, in fin dei conti si trova comodissimo anche con il solo materasso poggiato a terra. Le ultime due settimane sono state piuttosto caotiche, piene di scatoloni da riempire, bagagliai di automobili da colmare, viaggi da un appartamento all’altro e poi la ricerca del posto adatto per ciascun oggetto nella loro nuova collocazione, un attico da poco ristrutturato all’interno di quello che, in pochissimo tempo, era diventato il loro nuovo mondo. Un luogo piccolo, calmo, accogliente, il migliore che potesse desiderare.
Boston è veramente dietro l’angolo, eppure Jude sente in un certo senso di essersela lasciata alle spalle. Il campus è la sua nuova dimensione: le lezioni occupano la maggior parte del suo tempo, ma quando è lontano dalle aule gli piace entrare in un caffè e prendersi un cappuccino caldo da sorseggiare.
In quella nuova dimensione si sente così a suo agio. I suoi compagni di corso lo adorano, gli esami stanno andando benissimo – ha sempre totalizzato il massimo dei voti, per ora – e le lezioni sono una più interessante dell’altra. È felice di aver scelto la facoltà di matematica e non quella di economia, come invece la sua famiglia aveva da sempre progettato per lui. Gli sembra di aver cominciato a respirare veramente solo in quell’ultimo anno di vita.
Il parquet scricchiola mentre dei passi si avvicinano a lui. Istintivamente il volto del ragazzo si illumina di gioia.
Ray tiene in mano due tazze di caffè, e ricambia subito il sorriso del ragazzo non appena lo vede seduto sul materasso.
«Oh, ti sei svegliato» commenta, sedendosi accanto a lui. «Buongiorno, tesoro.»
Ray gli posa un bacio sulle labbra, e Jude sente il cuore battere ancor più veloce. Quella convivenza è l’esperienza migliore della sua vita, sul serio.
«Buongiorno» ricambia, lasciandosi passare la tazza che Ray gli sta porgendo.
«Spero di non averti svegliato io mentre litigavo con i fornelli» commenta, infilando una mano tra i capelli arruffati del ragazzo e scompigliandoli ancor di più.
«Nah» lo rassicura Jude. «Diciamo piuttosto che è stata colpa di un raggio di sole dispettoso…»
Ray si prende il mento in una mano, pensieroso. «Mh, in effetti forse dovremmo prendere delle tende…»
Jude sospira, ma un sorriso si forma comunque sul suo volto. Sgattaiola piano lungo il letto fino a raggiungere la figura dell’uomo, per poi accoccolarsi tra le sue gambe.
Ray Dark è l’uomo più straordinario che esista al mondo, di questo Jude ne è convinto da molto tempo. Dopo che Jude era tornato da lui, Ray gli aveva raccontato di aver consegnato le dimissioni dal Cambridge Ringe già prima della cerimonia dei diplomi. In inverno, dopo la loro separazione, Ray aveva mandato il suo curriculum ad Harvard, certo che i dottorati che aveva conseguito ai tempi del college e le varie ricerche che aveva pubblicato su diverse riviste letterarie nel corso degli anni fossero delle referenze più che valide. La verità è che avrebbe potuto fare quel passo già molto tempo prima, solo che fino ad allora non aveva avuto il coraggio né, soprattutto, una valida motivazione per farlo. Certo, la paga come insegnante in un liceo non sarebbe mai equivalsa a quella che una delle migliori università americane avrebbe potuto offrirgli, tuttavia nella piccola e quieta dimensione liceale non s’era mai trovato male.
Da quando Zoolan aveva ottenuto la cattedra del liceo in cui così a lungo aveva insegnato, tuttavia, la sua vita aveva ricominciato ad essere un incubo. Credeva di essersi liberato di quell’individuo una volta terminati gli studi, e invece no, era tornato direttamente dal suo passato per rendergli ancora una volta la vita un inferno. Quella volta, tuttavia, Ray aveva deciso di non rimanere spettatore. Non voleva più osservare immobile tutto ciò che nel tempo e con molti sacrifici aveva costruito andare in frantumi, così s’era mosso prima che fosse troppo tardi.
Il rettore Raimon si era dimostrato entusiasta al pensiero di assumere uno dei più brillanti ex studenti dell’università come nuovo professore. Ray aveva ottenuto la cattedra di letteratura inglese moderna, e per lui era stata una vera e propria benedizione. Nel momento in cui aveva cominciato ad insegnare ad Harvard, a Jude gli era parso di vederlo rinascere: di rado lo aveva mai visto così felice prima.
È tutto perfetto. Compreso il fatto che tutti sono a conoscenza della loro relazione. Stanco di nascondersi, Ray prima di accettare l’incarico aveva parlato con il rettore della loro relazione. La sua risposta era stata semplice quanto spiazzante.
“Finché non interferisce con il tuo insegnamento, non vedo che problema possa esserci.”
Ed era vero. Jude frequenta la facoltà di matematica, Ray insegna in quella di letteratura. Due mondi che non avranno mai modo di collidere e di influenzarsi dal punto di vista professionale. Così era cominciata la loro nuova vita, fatta di passeggiate mano nella mano lungo i viali del campus e pomeriggi passati a sorseggiare insieme tè verde in una caffetteria. Felici, innamorati, sotto agli occhi di tutti.
Il sogno che avevano sempre conservato si era finalmente realizzato.
Ray osserva accigliato il ragazzo, che gli si è stretto al petto in cerca di protezione. Gli accarezza piano i capelli, scivolando verso la spalla.
«Oggi è il giorno» mormora, intuendo le sue preoccupazioni.
Jude si abbandona alle sue carezze. «Mh mh» mugola, ancora intrappolato nei suoi pensieri.
Ray si china piano su di lui. Gli tiene il volto tra le mani, e lo bacia con tutta la dolcezza del mondo. Percepisce la paura crescere piano dentro di lui, e adesso vorrebbe solo poter alleggerire un poco il peso che gli grava sul cuore.
«Ehi» lo chiama piano. «Sarò lì accanto a te, non hai nulla di cui temere. Ho intenzione di tenere la tua mano stretta e di non lasciarla nemmeno per un secondo…»
Ray si interrompe, avvertendo il ragazzo affondare il volto contro il suo petto e strusciarsi sul tessuto candido della camicia che indossa.
«Lo so» ammette. «Tu sei l’unico motivo per cui sento di potercela fare…»
Ray gli posa piano un bacio tra i capelli. Ce la farebbe comunque, perché per quanto Jude si ostini a non volerlo comprendere lui è probabilmente la persona più forte che abbia mai conosciuto in vita sua, ma se il suo supporto può essergli in qualche modo d’aiuto Ray è determinato a non farglielo mai mancare in alcun modo.
«Partiamo solo quando te la senti» conclude, continuando a tenerlo stretto a sé.


L’autostrada si schiude davanti a loro come una lunga lingua di asfalto grigio.
Jude preme la suola delle sue scarpe contro il cruscotto dell’auto. Ray ha perso il conto delle volte in cui gli ha chiesto di non farlo, ma ormai si è arreso.
E poi quello non è un giorno come un altro. È tutto diverso, e lo sanno bene entrambi.
«Hai più sentito tuo padre?» domanda soprappensiero.
Jude cambia stazione radio e Ray si morde la lingua, certo di aver combinato un casino. Apparentemente, però, non è così.
«No» si limita a rispondere Jude.
Il ragazzo volta lo sguardo di lato, mettendosi a fissare le auto che scorrono accanto a loro lungo la strada. È una giornata calda, e il sole è alto nel cielo. Una strana discordanza, considerando che esattamente un anno fa quello stesso giorno si era scatenato un violento temporale.
A ripensarci bene, forse si era trattata di un’avvisaglia di quello che sarebbe successo poche ore dopo.
Jude viene rapito nuovamente dai suoi pensieri. No, non ha più sentito suo padre da quando, quel pomeriggio a Brookline, ha scelto Ray. Sinceramente, la cosa non gli ha mai pesato per nulla, perché alla fine lui ha sempre voluto passare il resto della sua vita con Ray, e ora che finalmente c’è riuscito sente di non avere alcun rimpianto. Non sa se un giorno lui e suo padre torneranno a parlarsi, per ora si accontenta di quella nuova normalità che così tanto ama.
Più si avvicinano alla loro meta, e più Jude sente quel peso che già dal mattino s’è fermato nel suo petto crescere ancor di più. Non c’è nulla di bello nel momento che si stanno apprestando a vivere, lo sa bene.
Ray svolta a destra, e la macchina imbocca un ampio viale. Fin da lì, Jude riesce a vedere le mura alte che si stagliano verso il cielo.
La macchina s’arresta. Jude comprende che sono arrivati. Scende piano dall’auto, mentre Ray recupera dai sedili posteriori ciò che hanno portato.
Non appena lo raggiunge, Jude lo sente stringergli la mano, e gli è così grato per quel gesto.
Non è da solo. Sono insieme. Affronteranno insieme ciò che sta per accadere.
S’incamminano assieme verso i cancelli, e Jude riesce ad individuare fin da lì le tre figure che li stanno attendendo.
Non vede i ragazzi dall’estate precedente, ed è grato di averli finalmente ritrovati, anche se si sarebbe auspicato delle circostanze più liete.
David si era iscritto all’università di San Francisco. Joe, chiaramente, l’aveva seguito, e aveva trovato lavoro presso un’officina in città. I due sembrano il ritratto della felicità, e la loro relazione procede a gonfie vele.
Caleb, invece, era rimasto a Boston. Si manteneva trovando di tanto in tanto qualche lavoretto saltuario, tuttavia nessuno di loro aveva informazioni precise al riguardo.
Non appena lo vede avvicinarsi, David gli rivolge un sorriso smagliante.
«Jude» lo saluta. «Sono felice che siate venuti.»
«Ciao, ragazzi» ricambia Jude, incerto.
Joe accenna un saluto a mezza voce, mentre Caleb si limita ad osservarlo. In quegli occhi verdi Jude ci legge un mare di emozioni, da troppo tempo tuttavia vi vede albergare una tristezza che mai avrebbe immaginato di attribuire all’ex capo della banda. Purtroppo però è evidente che nel corso dell’ultimo anno le cose non sono cambiate poi molto.
«Andiamo?» domanda Joe, e sa già che la risposta rimarrà sospesa nell’aria.
Varcano i grandi cancelli di ferro in un silenzio inviolabile. Jude continua a tenere la mano di Ray serrata nella propria, e gli pare l’ultimo contatto che ancora gli rimane con la realtà. David sta tutto stretto al corpo di Joe, e fatica già a trattenere i singhiozzi.
Caleb è imperscrutabile. Più Jude ci pensa, e più non riesce a fare a meno di chiedersi se lasciarlo da solo in quei mesi sia stata la scelta giusta. I primi tempi ha fatto la spola tra Boston e l’università, cercando di rimanergli vicino quanto più possibile. Ora che però la vita universitaria l’ha risucchiato del tutto, non può che chiedersi se le cose siano migliorate.
Il cimitero di Boston è una continua alternanza tra piccole lapidi e mausolei imponenti. Jude lo ricorda ancora dall’unica altra volta in cui è entrato lì, circa un anno prima. Quel luogo riesce ad infondergli uno strano senso di soggezione, che lo porta ad affondare il capo nella felpa e le mani ancor più a fondo nelle tasche. Ray tiene tra le mani un mazzo di piccoli fiori azzurri, non ti scordar di me. È sembrata loro la scelta floreale migliore: nel nome risiede tutto ciò che hanno da dire.
L’idea di quell’incontro è stata di Caleb, ma a contattarlo ci ha pensato David. Per un po’ Jude si è chiesto il perché di quell’anomalia, ed è giunto alla conclusione che, forse, Caleb non avrebbe avuto le forze per pensarci da solo.
Si fermano solo una volta raggiunta una lapide in particolare. È di pietra, bianca e lucida, e sembra spiccare tra le altre che la circondano.
In alto al centro compare la foto della persona sepolta là sotto: una ragazza dai capelli violetti, che nello scatto tiene gli occhi chiusi mentre un sorriso le solca il viso.
Jude non avrebbe saputo scegliere una foto migliore per rappresentare Camelia: una ragazza dolcissima, sempre sorridente, altruista e leale. Era stata il collante delle anime di quei quattro ragazzi disperati, la luce nella loro miseria.
No, non è riuscita a vincere la sua battaglia. Ma l’ha condotta fino alla fine con una grande perseveranza, e forse questo è ciò che conta di più.
David e Joe sono i primi a deporre i fiori accanto al sepolcro.
«Me lo ricordo ancora il giorno in cui Caleb ci ha presentati» racconta David. «Avevi un sorriso delizioso, ed è lo stesso che ti è rimasto sempre in volto. Anche quando passavo ad aiutarti con lo studio, negli ultimi mesi, non hai mai smesso di sorridere. Senza di te non so dove saremmo oggi. Ci hai aiutati a ritrovare la strada, e d‒di questo te ne saremo sempre grati…»
La voce di David si spezza verso la fine. Le lacrime bagnano copiose il suo volto, e Joe lo aiuta ad allontanarsi pacatamente, cercando di provare a fargli riprendere fiato.
Jude sa che ora tocca a lui. Non lascia la mano di Ray nemmeno per un momento, e si avvicinano assieme alla lapide. Posa i non ti scordar di me accanto ai fiori di David e Joe, e poi, lentamente, comincia a parlare.
«Siamo sempre state quattro navi perse nel mare» ammette. «Cercavamo una via, la luce di un faro che c’indicasse la rotta da percorrere, senza però riuscire a trovarla. Se c’era qualcosa su cui fossimo tutti d’accordo, tuttavia, era il fatto che tu stessa fossi una luce di salvezza. Quando Caleb ci parlava di te, vedevamo i suoi occhi illuminarsi, e per un attimo ci sembrava di averla trovata, la via per fuggire dal baratro che ci aveva inghiottiti. Ci avevano definiti “giovani senza speranze”, senza un futuro, ma credo che se adesso quel futuro l’abbiamo trovato sia solo merito tuo. Caleb è letteralmente tornato alla vita grazie a te, noi abbiamo ricominciato a studiare, ci siamo diplomati… tutto per merito tuo. Questo non significa che non ci siano stati altri momenti bui. Mi ricordo che l’anno scorso mi ero letteralmente perso, mi guardavo allo specchio senza riconoscermi. Quando ne ho parlato con te, però, tu sorridendo sei stata in grado di farmi aprire gli occhi. Finalmente ho capito quello che avrei dovuto fare, e se oggi sono la persona che sono non esagero dicendo che il merito è quasi tutto tuo. Sei stata una delle migliori amiche che potessi desiderare...»
Jude si ferma. Respira a fondo e tira su col naso, cercando di non crollare proprio all’ultimo.
«Ti voglio bene, Camelia. Riposa in pace, ovunque tu sia» conclude.
Un brivido gli corre lungo la schiena. Ray lo stringe forte a sé, e insieme si allontanano di qualche passo.
L’ultimo ad essere rimasto davanti alla lapide è Caleb. Per un momento un sorriso triste gli compare sul volto: è fin troppo evidente che gli altri gli abbiano voluto lasciare un po’ di tempo da solo.
Si avvicina alla lapide, inginocchiandosi a terra. Posa i propri fiori tra quelli di David e gli altri portati da Jude, per poi passare le dita lungo la pietra candida e gelida. Stacca piano alcuni fili d’erba che sono cresciuti in prossimità del sepolcro, infine si perde per un momento ad accarezzare la foto di quella che è stata la sua ragazza.
L’ha amata. L’ha amata con tutto se stesso, e l’ama tutt’ora. Non riesce ad immaginare di poter amare un’altra persona tanto quanto ha amato lei.
«Beh, è stato un bel viaggio» commenta. «Penso che non ti dimenticherò mai.»
Un soffio di vento si alza, carezzando la pelle di Caleb, e per un momento gli occhi del ragazzo si riempiono di lacrime. Caleb le ricaccia subito indietro, troppo l’orgoglio che gli arde dentro per mostrarsi più vulnerabile di quanto già sia, e volta la testa di lato.
Si rimette in piedi, piano. Non riesce a fare a meno di pensare che quel soffio di vento sia stato l’ultimo saluto di Camelia.
Caleb tossisce, cercando di ricacciare quelle lacrime che, nel mentre, gli sono di nuovo salite agli occhi. Volta lentamente le spalle alla tomba, per poi cominciare a raggiungere gli altri.
David e Jude gli sorridono. Insieme, un passo alla volta, cominciano ad avviarsi nuovamente verso i cancelli del cimitero.
Prendono ancora una volta tre strade differenti: Ray e Jude s’incamminano verso Harvard, David e Joe partono in direzione San Francisco, e a Caleb infine non resta che avviarsi verso il suo appartamento, lì a Boston.
Anche se adesso vivono lontani, sanno che il legame che li unisce non si spezzerà mai del tutto.
È quello che Camelia avrebbe voluto per loro.


The end.



Angolo autrice

È strano mettere la parola "fine" a questa storia. Penso a quando l'ho cominciata, ormai quasi tre anni fa, e a tutte le volte in cui sono stata certa che no, non l'avrei mai conclusa. E invece no, ecco che adesso siamo qui, all'epilogo. Do I wanna know ha voluto dire tanto per me, è stata una compagna di viaggio per lungo tempo e adesso che è arrivato il momento di salutarci penso a quante cose sono cambiate nel frattempo. Lo stile che è mutato non è che la punta dell'iceberg; sto letteralmente per affacciarmi a una nuova fase della mia vita, e probabilmente la ragazza che aveva così tanto bisogno di fuggire da questo fandom una volta finita Dark Necessities adesso non c'è più. Ed è un grande passo avanti, aver compreso che fuggire non serve a niente e che, in fondo, io qui mi sento un po' come a casa. Una casa da cui sono scappata a lungo, perché di colpo per me non era più ospitale, ma è bello vedere che, di tanto in tanto, le cose cambino anche in maniera positiva.
Parlo. Parlo tanto, tantissimo, e so che lo sto facendo per tergiversare. Rileggere quest'epilogo mi ha fatto male, profondamente. L'ho scritto a fine maggio e, esattamente un mese dopo, ho vissuto un lutto che mi ha segnata, e mi segna tutt'ora.
È stato tutto così strano, soprattutto rileggere la scena finale, in cui Caleb sente quel soffio di vento sfiorargli la pelle, a distanza di mesi, perché mi sono resa conto che, quest'estate, è accaduta la stessa identica cosa a me. Ho perso qualcuno, qualcuno a cui sono stata profondamente legata. La notizia mi è arrivata il giorno in cui ho pubblicato il secondo capitolo di questa long, infatti non so con quale forza io sia riuscita a farlo. Poi, il giorno del funerale, ho sentito quello stesso vento alzarsi, e più ci penso e più mi convinco del fatto che non sia una coincidenza. Un paio di settimane fa, dopo aver editato lo scorso aggiornamento, ho riletto per la prima volta l'epilogo, dopo averlo scritto a maggio, e ritrovare quella scena, quella stessa scena che avevo vissuto in prima persona a fine giugno m'ha provocato un dolore simile a una coltellata, perché per me è stato come essere di nuovo lì, a quel funerale. Fa così strano, è come se avessi anticipato gli eventi della vita reale, e anche se so che non è così non riesco a non sentirmi in colpa per questo.
Quando ho finito la storia non avevo ancora idea di cosa significasse perdere qualcuno a cui hai voluto così tanto bene. Ora ce l'ho, e posso assicurarvi che ogni dolore è amplificato.
Perché sì, per quanto possa aver lasciato la cosa sul vago alla fine dello scorso capitolo, Camelia è morta, non c'è più. A distanza di un anno, la banda si riunisce, e le porge ancora una volta i suoi saluti.
Jude e Ray vivono insieme, e io, ovviamente, sono felice. Stanotte m'è venuto in mente che ci sarebbe potuta stare bene una scena in cui Ray aiutava Jude a prepararsi, ma non l'ho messa, sia a causa della mia innata pigrizia, sia perché ormai era troppo tardi per aggiungerla e sia perché, essendo io scema, ogni volta che modifico a posteriori una scena che ho già scritto tutto il risultato finisce per non soddisfarmi più. E così penso che ci limiteremo a gioire perché la mia coppietta preferita finalmente può vivere insieme felice e contenta, facendo ciò che amano e soprattutto senza Zoolan, Victoria o signor Sharp vari ed eventuali a rovinare loro la vita, yaay.
Per i motivi di cui vi ho parlato sopra faccio fatica a commentare la scena del cimitero. Penso che mi limiterò a lasciarvi una chiosa finale.
Diwk ha sempre voluto dire molto per me e, dopo quello che è successo quest'estate, significa ancora di più. Non m'importa del mancato riscontro, questa storia resterà online, a imperitura memoria, perché è giusto che sia così, perché dopo tre anni è bene che la storia si concluda e resti qui col suo epilogo. Poi chissà, magari un giorno qualcuno in preda alla noia finirà per imbattersi in questa ff, deciderà di leggerla e io non potrò che esserne più lieta. A tal proposito, ringrazio chiunque abbia deciso di leggerla e chi lo farà in futuro, chi ha inserito la storia tra le preferite o anche chi si è solo limitato a seguirla. Per me è un sostegno che vale più di quanto possiate immaginare, sul serio.
E adesso? Non lo so. Ho scritto una flash che dovrebbe partecipare ad un contest e che dovrei pubblicare tra una decina di giorni, ma vi confesso che non so ancora se lo farò, visto che non sono particolarmente soddisfatta del risultato. Dopodiché, penso che mi prenderò una pausa un po' da tutto, compreso il mondo delle ff. Ho scritto e pubblicato tanto, quest'anno, e forse con la chiusura di questa long a cui ho lavorato tanto a lungo ci sta che riprenda fiato. Per un folle attimo ho pensato di partecipare al writober, ma... nah, siete salvi ahahah.
E
così siamo all'epilogo di questo capitolo della mia vita. Da domani dovrei anche cominciare le lezioni all'università, per cui sì, ci siamo.
Grazie a chiunque ci sia stato, e anche a chi non c'è più.

Aria

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