Chi è Ben?

di DGrey
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Porridge Day ***
Capitolo 2: *** Chi è Ben? ***
Capitolo 3: *** Egoismo ***
Capitolo 4: *** Le Foto nella Testa ***
Capitolo 5: *** Serenità ***



Capitolo 1
*** Porridge Day ***


Aprile 2021

 

Rolf si svegliò presto quella mattina. I raggi del sole che passavano dalla finestra colpirono il suo viso, cosa che lo portò ad aprire i suoi occhi scuri, non senza qualche secondo di ribellione. Ci mise un po’ a connettere tutti i pensieri del mattino. E a capire di non essere l’unico sveglio.

Luna era seduta dal suo lato del letto matrimoniale, intenta a volgere il suo sguardo spento su una parete che aveva ben poco di interessante in quel momento.

«Che ore sono?» Chiese l’uomo con la voce impastata.

«Le sei e mezza…» Rispose lei quasi bisbigliando, senza smettere di fissare il muro.

Rolf sapeva già il perché di tale comportamento:

Era il 13 Aprile.

Ogni volta che si avvicinava il 13 Aprile, Rolf si affaccendava a ideare e attuare piani atti a preparare psicologicamente sé stesso e la sua famiglia alla giornata più malinconica dell’anno.

E se le cose stavano come le scorse volte, sua moglie era sveglia da un’ora o due. Almeno.

«Perché non vai a dormire, amore. È ancora presto, abbiamo tempo prima che i ragazzi si sveglino» Provò a dire, pur sapendo l’inutilità delle sue parole.

«Non importa, non ho sonno» Infatti.

«Allora…» Fece per alzarsi, strofinandosi gli occhi «…sarà meglio andare a mangiare qualcosa, almeno dopo avremo modo di pensare alle piccole pesti con calma…»

Si avvicinò al suo lato del letto, ma lei non si mosse. Decise allora di sederle accanto.

«Senti…» Cominciò «Non sei costretta ad andarci oggi. Possiamo mandare un gufo a Hermione, dirle che abbiamo un impegno, che rimandiamo a domani, o alla pros…»

«Sto bene.» Interruppe la donna, guardando finalmente dalla sua parte, con un falso sorriso «Davvero.»

Rolf non ne era convinto ma sorrise a sua volta, mostrando i denti chiari in contrasto con la pelle olivastra

«Bene, ora andiamo perché sto morendo di fame. Oggi che vuoi mangiare?»

«Porridge…»

«Perfetto, va benissimo.»

 

Verso le sette e un quarto, la coppia sentì dei passi inconfondibili giungere verso la cucina.

Lorcan, come suo solito, correva verso il tavolo come se dovesse sparire da un momento all’altro, seguito da un più flemmatico Lysander, il quale si presentò qualche secondo dopo davanti alla porta con la faccia tipica di chi era stato svegliato malvolentieri.

«Vi siete alzati presto, vedo» Disse Rolf

«Lorcan ha aperto la finestra…» Si lamentò Lysander, strofinandosi l’occhio destro.

«Che c’è per colazione?» Incalzò il fratello, ignorando le accuse infamanti.

«Porridge» Rispose Luna con la voce leggera.

Lorcan replicò con una faccia disgustata, mentre Lysander si risvegliò dal suo torpore mattutino con un sorriso.

«E’ il giorno del Porridge?» Chiese quest’ultimo avvicinandosi finalmente al tavolo

«Non mi piace il Porridge» Lorcan era contrariato.

«Ma a te non piace mai niente…» Lysander si avvicinò all’orecchio del gemello «… e poi lo sai che per la mamma è importante il giorno del Porridge…»

«Sì ma... non poteva importarle qualcosa di meno disgustoso?»

A Rolf venne da pensare guardando i suoi figli sussurrarsi a vicenda, convinti di non essere ascoltati. Nonostante i due fossero maturi per i loro sette anni, non sapeva se avessero veramente colto e compreso la tristezza che aleggiava nella stanza o se, più semplicemente, avessero notato che qualcosa non andava nella loro mamma durante il giorno del Porridge, giorno in cui era più silenziosa, molto più distratta del solito, fintamente cortese, facilmente irritabile, cose non da lei.

Mise i piatti con la colazione sul tavolo, ma i gemelli sembravano più occupati a parlarsi piano che a mangiare.

«Vedo che nessuno sembra interessato alla nuova parola di oggi.» Rolf alzò la voce, per attirare l’attenzione. «Vorrà dire che sarà per un’altra volta…»

I bambini girarono la testa verso di lui nello stesso momento. Aveva ottenuto quello che voleva.

«Certo che siamo interessati!»

«Che parola? Che parola?»

«E’ una parola nuova?»

«Non è che ti ripeti come ieri, vero?»

Era in occasioni come queste che i due ragazzini sembravano rispecchiare appieno lo stereotipo dei gemelli che si finiscono le frasi a vicenda.

«Prima la colazione.» Disse autorevole il padre, indicando i piatti. I due, seppur controvoglia, obbedirono in fretta.

Lysander finì per primo «Allora, questa parola?»

«Serendipity» Rispose Rolf

«E che vuol dire?» Incalzò Lorcan

«Indica la fortuna di fare felici scoperte per puro caso…»

I gemelli rimasero in silenzio. Rolf ne fu stranito.

«Che c’è adesso?»

Ricevette come risposta due sorrisi furbi.

«Dicci la verità, l’hai cercata sul dizionario!»

«No no, lo giuro…»

«Dizionario! Dizionario! Tu bari, stai barando!»

«Papà ha finito le parole, che tristezza…»

«Ne conosciamo più di quante ne conosca lui, ormai.»

Rolf vide di sfuggita un sorriso lieve formarsi sulle labbra della moglie, che aveva finalmente alzato la testa dalla sua ciotola vuota per guardare la scena familiare davanti a sé. Gli sembrò di vedere i suoi occhi lucidi.

Non aveva idea di cosa stesse pensando.

 

Fu lei a distogliere i gemelli dal prendersela con il loro genitore.

«Ora andiamo a fare qualche ora di studio» disse «… che dopo usciamo»

«Dove andiamo mamma?» Chiese Lorcan curioso

«A trovare la zia Hermione e lo zio Ron. Hanno adottato una bambina, sapete?»

«Davvero?»

«Da un paio di mesi. E noi andremo a conoscerla oggi.»

«Ha la nostra età?»

«Un anno e mezzo in meno.»

«Non è un po’ piccola?»

«Sono sicura che vi divertirete.» Incalzò Rolf «E poi la differenza non è così tanta…»

«Tu non vieni papà?»

«Oggi devo andare al ministero.»

«A fare cosa?»

«A parlare con il Capo Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche.»

«Uffa…»

«Andate adesso, altrimenti non avrete più tempo per fare inglese.»

«Ok, ok.»

I gemelli lasciarono la cucina. Rolf fermò sua moglie prima che si apprestasse a seguirli.

«Se vuoi vengo con te. Annullo l’appuntamento con il ministero, così…»

«Non ti preoccupare, sto bene, tu vai pure, è una cosa importante…»

«Ma io…»

«Insisto.» Il sorriso amaro di Luna non ammetteva repliche. Rolf fu costretto a lasciarla andare.

«Sai che mi puoi dire qualsiasi cosa, vero?»

«Certo, Rolf… lo so…»

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Capitolo 2
*** Chi è Ben? ***


«Grazie per essere venuti, comunque.» fece Hermione, mentre ripuliva il tavolo della cucina. «Sai, Dawn è qui da poco, è tutto nuovo per lei, è ancora intimidita dalla situazione, quindi abbiamo pensato che facendole conoscere bambini più o meno della sua età…»

«Certamente, avete fatto bene» La interruppe Luna con gentilezza «ci avrei pensato anche io»

Le due donne guardarono i bambini giocare da lontano, insieme a Ron che, come ci si poteva aspettare da lui, si era unito ai giochi. Avevano fatto subito amicizia, anche se la piccola Dawn sembrava confusa dai paroloni dei due gemelli e dal loro aspetto quasi identico.

Ma Luna era distratta, ancora una volta. Nel guardare i suoi figli, non riuscì a fare a meno di pensare a Lui. Si chiese se anche a lui sarebbe piaciuto discutere di parole nuove, se avrebbe mai imparato a volare, se come lei avrebbe creduto nell’esistenza di creature come i gorgosprizzi…

«Luna, tutto bene?»

Non l’avrebbe mai saputo…

«Si, certo, tutto a posto»

Hermione non sembrava convinta. Forse si stava chiedendo se fosse stato un errore mettersi d’accordo proprio per quel giorno, l’unico che si era dimostrato libero da impegni per quasi tutti.

Lorcan corse verso di loro, seguito a ruota da un tranquillo Lysander, un annoiato Hugo e un’intimidita Dawn.

«Posso avere un bicchiere d’acqua, zia?»

«Certo, tesoro, adesso te lo verso»

Forse aveva abbassato la guardia, forse era stanca per le mancate ore di sonno, o forse era semplicemente troppo stressata per fare attenzione ai dettagli, ma solo dopo qualche secondo di troppo Luna sentì uno sguardo penetrarle i ricordi.

 

«Benjamin Frank Longbottom, vieni subito qui!»

«Pestifero com’è, non puoi aspettarti che ti obbedisca così facilmente, Neville»

«Beh… uno ci prova sempre, nonna»

La festa stava andando bene, il festeggiato era intento a celebrare l’evento a modo suo, ovvero giocando come se non ci fosse un domani con lo zio Ron. Hermione teneva d’occhio il suo compagno, sperando che non succedesse niente, Harry, Ginny, Neville e Luna li guardavano da lontano, felici per la scena che si mostrava loro.

«Sono già passati due anni, il tempo vola» disse Harry a Neville, con una punta di malinconia. «Tempo qualche minuto te lo ritroverai diplomato ad Hogwarts con il massimo dei voti»

«Esagerato.» Rispose Neville, ritrovandosi però a sorridere «Almeno qualche ora facciamola passare…»

Il loro discorso fu interrotto da un agitato Ron, che guardava il piccolo in modo ansioso alla frettolosa ricerca di qualche segno di colluttazione.

«Non sono stato io, lo giuro.» Diceva agitato.

«Calmati Ron.» Gli intimò Hermione «E’ solo un po’ di sangue dal naso, può succedere.»

Luna si avvicinò con la bacchetta in mano, la puntò sul bambino e lanciò un incantesimo di guarigione.

Inspiegabilmente, non funzionò. Le due donne si stranirono.

«Non ho mai fallito un epismendo prima…»

«Forse è la bacchetta.» Disse Ginny incerta, venendo nella loro direzione «Aspetta, faccio io.»

Un altro incantesimo, ma il sangue non accennava a diminuire.

Ormai l’attenzione era tutta sul piccolo Benjamin. Ognuno di loro aveva provato, ma l’epistassi non sembrava fermarsi. Il sangue aveva ormai ricoperto bocca e mento.

«Va bene, facciamo alla vecchia maniera allora…» Hermione prese la situazione in mano. «Abbassa la testa, tesoro… così, bravo. Qualcuno mi porti dei fazzoletti, per favore...»

 

Luna si sentì violata nel profondo. Non sapeva chi fosse stato e se fosse intenzionale. Semplicemente non sarebbe dovuto accadere. Chiunque fosse, voleva solo che la smettesse e la lasciasse in pace. E soprattutto che non facesse domande.

«Sei triste per Ben?»

Una piccola voce la fece tremare.

Dawn la guardava dal basso del suo probabile metro e dieci. I capelli neri e lunghi le ricoprivano parte del viso, facendola sembrare ancora più inquietante di quanto una bambina potesse essere. Sembrava dispiaciuta. Troppo dispiaciuta.

Vide Hermione e Ron con sguardi sgomenti. Non se lo aspettavano. Forse neanche sapevano cosa fosse successo. Avevano solo capito che la loro figlioletta aveva detto un nome che neanche avrebbe dovuto conoscere.

«Io…» Hermione non sapeva che dire «… non sapevo… cioè, non ho detto nulla… mi dispia…»

«Devo andare, grazie per l’ospitalità.»

«Aspetta, Luna…»

«Scusami, ma devo proprio scappare. Lorcan, Lysander, andiamo dai.»

I gemelli non avevano capito niente, a parte il fatto che non era il caso di contraddire la mamma in quella situazione. Non osarono lamentarsi mentre Luna li prendeva per mano per andarsene in fretta e furia.

«Mamma…» chiese timidamente Lysander «Chi è Ben?»

Non ricevette risposta.

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Capitolo 3
*** Egoismo ***


Verso le sedici, sentì bussare alla porta. La aprì, ritrovandosi davanti un uomo biondo dall’aspetto gentile.

«Ciao, Lysander, ti ricordi di me?»

«Sono Lorcan» Rispose piccato «Comunque sì. Lei è il professor Longbottom giusto?»

«Bravo, ti ricordi allora. C’è la mamma in casa?»

Lorcan si insospettì «Perché dovrei dirle se c’è la mamma in casa?»

«Voglio solo parlare con lei.»

«Parlare di cosa precisamente?»

Sentì una mano sulla spalla. Luna gli sorrise materna.

«Tranquillo, è un mio amico. Ci penso io adesso, tu torna a giocare.»

 

«Chi era alla porta, Loc?»

«Il professor Longbottom. Vuole parlare con la mamma.»

«Ah. Va bene.»

«Ti va di origliare?»

«Cosa? Ma non è corretto. E poi perché mai?»

«La mamma è strana oggi.»

«E’ sempre strana quando c’è il Porridge a colazione.»

«Non credo sia colpa del Porridge, Lys.»

«E secondo te cos’è?»

«Secondo me è quel Ben di cui ha parlato Dawn.»

«Dici? In effetti è sensato.»

«Io vado. Tu se vuoi seguimi.»

«Aspetta!»

 

Neville e Luna discutevano in soggiorno. I gemelli si misero ad ascoltare dal corridoio più vicino, cercando di non farsi vedere.

«Sei andata a trovarlo quest’anno?»

«Io…»

«Non lo vai mai a trovare.» Neville sembrava severo. Non aveva più l’aria gentile di prima. «Dici che ti manca, ma vedo che non ti preoccupa la possibilità che tu possa mancare a lui...?»

«… è difficile…»

«Perché per me è facilissimo invece. Vedere il suo nome su una tomba è così esilarante, dopotutto. Talmente divertente che piango dal ridere, pensa.»

«Neville…»

«Non mi puoi dirmi “difficile”, come se la cosa riguardasse solo te! Non è così, cerca di mettertelo in testa!»

Ci fu una pausa piuttosto lunga. Si sentì Luna singhiozzare. I due bambini si stupirono. Quel pianto lì non era da lei... o almeno così pensavano...

«Scusami…» la voce di Neville si era addolcita.

«E’ colpa mia… io… mi dispiace…»

Lysander guardò il fratello. Sembrava triste quanto lui. Entrambi decisero che ne avevano abbastanza. Tornarono in camera.

«Che facciamo, Loc?»

«Non lo so… aspettiamo domani. Di solito sta sempre meglio dopo.»

«E se facesse finta, invece?»

Lorcan aprì la bocca per parlare, ma non riuscì a farsi venire in mente nulla. Alla fine, la richiuse.

 

 

Il guaritore era attonito.

«Io… non ho mai visto una cosa del genere.»
Il bambino soffriva di epistassi continue, cefalee cronica, la temperatura che saliva e scendeva, ipotonia progressiva e persino episodi di incontinenza. Qualsiasi tentativo di contatto con un oggetto magico o incantato, soprattutto bacchette, portava come risultato dolore e bruciature sulla pelle. Non funzionava nulla. Gli incantesimi non avevano effetto, le pozioni venivano tutte rigettate. Niente sembrava efficace. L’unica possibilità che c’era di farlo sentire meglio erano le cure palliative babbane. Di cui nessuno di loro sembrava sapere quasi niente.

Neville e Luna erano con lui. Si aspettavano un responso. Ma anche a loro era chiaro che persino l’esperto non sapeva assolutamente cosa dire.

«Sembra… ricoperto di maledizioni… su tutto il corpo… e non si comprende il perché»

Ben non capiva molto cosa stesse accadendo. Rintronato dalla febbre, vedeva solo i suoi genitori preoccupati e il guaritore che lo studiava in modo strano. Lui voleva solo capire il perché di quegli sguardi. Era colpa sua? Aveva di nuovo esagerato con il cibo?

Si vide il sangue scendere dalla sua narice. Di nuovo.

«Che succede, mamma?» chiese Ben inquieto.

 

La sera giunse lentamente. Tornato a casa, Rolf cercò la moglie nel soggiorno e in cucina, senza trovarla. Si diresse quindi in camera.

Luna era seduta su un angolo del letto, ad osservare una foto. Un bimbo biondo con gli occhi d’argento giocava tranquillo con delle semplici costruzioni. A volte alzava la testa e sorrideva salutando. Era l’unica foto di Ben che Luna teneva nel cassetto. Rolf non sapeva dove fossero le altre.

Si sedette alla sua destra, in silenzio. Le mise un braccio sulle spalle, contatto che lei accettò di buon grado.

«Sai, Rolf…» disse Luna, continuando a guardare la foto «Quando mia madre morì, ho imparato che la morte è qualcosa di inevitabile. Sentivo la sua mancanza ma… Sapevo che lei era sempre con me, nonostante tutto. Non pensavo troppo al passato... Avevo il presente: mio padre, la magia, i ricciocorni schiattosi…»

Lui rimase ad ascoltare, senza aggiungere altro. Si chiese come si sarebbe sentito se anche solo uno dei suoi figli lo avesse lasciato. Scoprì di non riuscire a sopportare il pensiero e una piccola parte di sé si rese conto di quanto potesse essere difficile per Luna patirlo ogni giorno.

«Con Ben è diverso. Cioè... perché mai pensare alla possibilità che se ne possa andare prima di me? Di non vederlo più giocare o abbuffarsi di Porridge, di vederlo spegnersi senza sapere precisamente cosa me lo stia portando via? Lento abbastanza da poterlo notare ma troppo veloce per poterlo accettare...»

La sua voce si spezzò. Rolf se ne rese conto.

«A volte vorrei essere al suo posto. Magari a lui non mancherei così tanto. Ma è così egoista tutto questo. È sbagliato, tutto sbagliato. Non deve andare così. Sono un’egoista, un’egoista e basta!»

La abbracciò d’istinto. Se avesse potuto l’avrebbe fatta stare meglio, le avrebbe tolto tutto il dolore che stava provando, tenendoselo per sé. Ma questo non poteva farlo. Poteva al massimo aspettarsi che Luna lo condividesse.

«Fossi io al tuo posto, sarei più egoista di te...»

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Capitolo 4
*** Le Foto nella Testa ***


«Mi dispiace. Davvero. Abbiamo fatto il possibile…»

 «Avete provato con la medicina babbana?»

«Babbana, Magica, Alchemica, Fitoterapica, persino Mistica. Non hanno avuto effetto. Mi dispiace Signor Longbottom, non sappiamo più cosa fare.»

Fu quello il momento in cui Neville prese davvero coscienza di quello che stava succedendo. Suo figlio sarebbe morto, senza sé e senza ma, senza alcuna speranza.

«Quanto…»

«Settimane, mesi, forse un anno, non di più. Se la maledizione continua a svilupparsi con questo ritmo…»

La Maledizione l’avevano chiamata. Non sapevano se fosse veramente una maledizione, se fosse una malattia, un virus, un veleno. Non sapevano niente, non ci avevano capito niente. Ma dovevano darle un nome per forza, come se fosse quella la cosa più importante.

«Non si dia colpe, professor Nox, lei ha fatto del suo meglio. La ringrazio per tutto.»

Se ne andò via dal San Mungo con Ben. Se davvero non potevano fare niente, non avrebbe avuto senso farlo rimanere lì. Sarebbe stata un ulteriore scelta sofferta.

Decise di portarlo al parco. Si sedette su una panchina per guardarlo giocare. Ormai non si muoveva più tanto bene, inciampava, barcollava, erano finiti i tempi in cui correva spensierato. Non aveva ancora sei anni.

Si accorse di stare piangendo. Non riuscì a farne a meno. Lasciò che le lacrime scendessero da sole, senza trattenerle o forzarle.

«Che c’è, papà?»

Se n’era accorto. Di tutto quanto. Aveva l’intelligenza di sua madre, lo sapeva già dall’inizio. Eppure, nonostante tutto, la sua paura sembrava essere svanita, sostituita da un’ingenua preoccupazione per i suoi genitori e dalla sofferenza nel sorprenderli a litigare a causa sua. Sembrava che della sua futura morte non gli importasse più di tanto ormai.

Neville gli sorrise.

«Niente bestiolina, allergia.»

«Allergia?»

«Allora, hai fame? Ti va di mangiare qualcosa?»

«Porridge. Con Gelato. Al Cioccolato.»

Se suo figlio sarebbe sopravvissuto solo pochi mesi, per le mutande di Merlino, allora sarebbero stati i mesi migliori della sua vita.

«E va bene. Porridge e Gelato sia!»


Luglio 2021

 

Si svegliò di soprassalto. I ricordi avevano preso di nuovo i suoi sogni. Lo facevano spesso negli ultimi anni.

Guardò l’orologio, era notte fonda. Cercò di riaddormentarsi, ma fu inutile. Neville sapeva che, quando si svegliava, poteva solo alzarsi. Si diresse verso la cucina per bere qualcosa. Dopo decise di preparare le lezioni per l’anno scolastico che sarebbe arrivato.

L’aveva già fatto, in realtà, ma importava poco.

«Che ci fai sveglio?»

Non aveva sentito arrivare sua moglie, che lo guardava assonnata in camicia da notte.

«Non riesco a dormire.»

«Lo hai sognato di nuovo.»

Non era una domanda. Andava dritta al punto. Rispose annuendo.

«Ti va di parlarne?»

Non c’era bisogno di rispondere. Neville lasciò che si sedesse al suo fianco.

«Era un ricordo, più che un sogno…» Disse «Di quella volta che mi chiese il Porridge con Gelato.»

«Richiesta eccentrica.»

«Era fatto così. Fosse stato per lui avrebbe messo il porridge anche sulla pizza.»

«E tu che hai fatto?»

«L’ho accontentato. Semplice. Non sarei riuscito a fare altro. Luna divenne una furia dopo aver scoperto che lo avevo fatto mangiare fuori pasto.»

«Luna che si arrabbia? Per una cosa del genere?»

«Era molto strano, neanche io me lo aspettavo, lei amava le cose fuori dall’ordinario. Ma era diventata… iperprotettiva. Stava negando la realtà, non so se mi spiego…»

«Capisco…»

«Sono stato parecchio duro con lei. Le ho detto in faccia che nostro figlio stava morendo e che non poteva proteggerlo da qualcosa di inevitabile… non l’ha presa bene…»

«Luna sta negando la realtà anche adesso.»

«Tu dici?»

«Pensa di non essere cambiata per niente, ma non potrà nascondere per sempre il fatto che qualcosa l’ha scossa dal profondo. Questa cosa ha cambiato tutti e due, sia Lei che Te.»

«Vorrei che tu lo avessi conosciuto, Hannah. Ben era così… Ben.»

«Lo so. Vorrei averlo conosciuto anche io.»

 

 



«Zio?»

«Cosa c’è, piccoletto?»

«Io… sto morendo, vero?»

Ron rimase di sasso. Non se l’aspettava una domanda del genere da lui, pensava che non fosse abbastanza grande da capire. Ma, in effetti, lo avrebbe dovuto prevedere. Era sempre stato un bambino intelligente.

Cercò di evitare una risposta diretta.

«Perché pensi di stare morendo?»

«Siete tutti tristi per me. Mamma, Papà, la Nonna e il Nonno, il professor Nox. Anche tu sei triste. Non voglio che siate tristi per me.»

«Non siamo tristi, piccoletto, siamo solo… preoccupati.»

«Non voglio far preoccupare nessuno io.»

«Chi ti vuole bene si preoccupa per te. È normale, non si può evitare.»

«Se muoio prima smetterete di preoccuparvi?»

SbagliatoSbagliatoSbagliato. Non era questo quello che voleva dire. Si sentì un idiota. Mai che ne facesse una giusta.

Cambiò approccio.

«Senti… ti posso dire un segreto?»

«Che segreto.»

«Tra poco sarò Papà. Io e la zia Hermione stiamo per avere un bambino.»

«Davvero? È fantastico! Avrò una cuginetta!»

«Cosa ti fa pensare che sia femmina?»

«Secondo me è una femmina.»

«Va bene. Però acqua in bocca, che non lo sa ancora nessuno.»

«Ok. Però… quando nascerà… io ci sarò ancora?»

«Mi prometti che farai del tuo meglio per esserci?»

«Si!»

«Bravo il mio piccoletto.»

«E tu mi prometti che la farai ridere? E anche gli altri?»

Ben faceva domande inaspettate a volte. Ron sorrise.

«Certo, lo prometto. Farò ridere lei e tutti quanti.»

 

Gennaio 2022


«Ron?»

Dawn si era affacciata dalla porta della camera. Gli sarebbe piaciuto tanto che lo avesse chiamato Papà, ma non voleva farle pressione. Da poco aveva smesso di chiamarlo “Signor Weasley”

«Che c’è, Didi.»

«Sei triste di nuovo?»

Non poteva nasconderle niente. Non c’era verso di riuscirci. Decise che era il momento di dirle qualcosa. Le fece cenno di sedersi sulle sue gambe, aspettando che si accomodasse per cominciare a parlare.

«Ti ricordi di quando sono venuti Lorcan e Lysander?»

«Quella volta in cui ho fatto arrabbiare Zia Luna? Non è più venuta per colpa mia.»

Se la ricordava troppo bene, a quanto pare.

«No. Non è stata colpa tua. Zia Luna era un po’ triste quel giorno.»

«Per Ben?»

«Si. Per Ben.»

«Ben era suo figlio? È morto, non è vero?»

«Si. Aveva una brutta malattia.»

«Anche tu sei triste per Ben?»

«A volte. Ero il suo zio preferito sai? Adorava gli scherzi che facevo con Zio George. E che gli facessi il solletico.»

«Perché lo facevi ridere?»

«Si.»

«Hai pianto quando è morto?»

«Si. Tanto.»

Ron vide la bambina rabbuiarsi.

«Mi dispiace…»

«Di cosa?»

«Io… ho visto Le foto nella Testa. Non volevo.»

Dawn ancora non sapeva come chiamare quei pensieri che scorgeva nella mente delle persone. Per lei erano “Le foto nella Testa”.

«Tranquilla. Non l’hai fatto apposta, giusto? Devi solo imparare a controllarlo.» le accarezzò la testa in modo affettuoso. «Al massimo ti posso dare un consiglio…»

«Che consiglio?»

«Quando vedi “Le foto nella Testa”, cerca di non dire quello che vedi a voce alta davanti a tutti. Sono cose private, qualcuno potrebbe arrabbiarsi.»

«Capito. Cose Private.»

«Brava Didi. Adesso andiamo a fare una cosa importante.»

«Cosa?»

«Andiamo a trovare zia Luna.»

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Capitolo 5
*** Serenità ***


Scusate il ritardo stratosferico nella consegna dell'ultimo capitolo. Ci sono stati alcuni impegni ed eventi che mi hanno portato lontano dalla scrittura in generale e da Harry Potter in particolare.

Nel caso qualcuno se lo stia chiedendo, si, tra questi eventi ci sono Anche le parole non molto felici della Rowling sulle persone transessuali. Si parla di un argomento a cui tengo molto, cosa che mi ha portato ad allontanarmi per un po' dal pensiero di quella donna e da tutte le cose a lei legate.

Non intendo allontanarmi per sempre dalla saga, anche perché parliamo pur sempre della mia adolescenza, però ho bisogno di un po' di tempo in più per separare l'artista dall'opera. Intanto finisco di postare questa storia, perché mi sembra giusto finire quello che ho iniziato (La storia era già finita, dovevo solo pubblicarla), poi vediamo come vanno le cose.

Grazie in anticipo per la vostra attenzione.

 

 

 

 

«Chiedermi scusa? E per cosa?» Luna rimase incerta alle parole improvvise di Ron.

«Per l’ultima volta che sei venuta, sai.» rispose lui «Non avevamo capito… che Dawn avesse quella capacità, quindi…»

Lo sguardo della donna si rabbuiò.

«Capisco. Non è colpa vostra.»

Luna aveva passato anni a cercare di non pensarci, ad andare avanti. Era diventata magizoologa, aveva sposato un uomo che amava e che la amava e aveva avuto con lui due splendidi bambini. Eppure, il passato ancora la inseguiva. Non riusciva a lasciarselo alle spalle, come molto più facilmente faceva quando era giovane. Forse era la vecchiaia, forse le foto di Ben, forse l’imprevedibilità degli eventi.

«Senti…» Sembrava che Ron stesse facendo fatica a dire quello che pensava realmente. «C’è il direttore della casa-famiglia… dove abbiamo trovato Dawn… lui… è anche uno psico…psicoterapeuta. Credo si dica così, si.»

«Cosa fa precisamente uno psico… coso…»

«Non l’ho capito bene neanche io, in realtà. So che riguarda… il cervello, o una cosa del genere. Però so che se gli parli… ti può dare una mano…  a superare… sai…»

Luna lo guardò in modo severo. Voleva aiutarla? O cosa?

«Insomma dovrei raccontare i fatti miei a uno sconosciuto?»

«Si. Cioè no. Cioè… a quanto ho capito alcuni babbani studiano per aiutare le persone a superare i traumi… almeno credo… a dir la verità non so nemmeno io Cosa studino, però per molte persone funziona. Il dottor Saunders poi ha vissuto tra i babbani molto a lungo, però conosce anche la magia, quindi…»

«Ci devo pensare…»

«Quello che volevo dirti è… che se hai bisogno di aiuto…»

«Ho capito… grazie.»

«Se posso esserti utile in qualche modo, io…»

«Ti voleva molto bene, sai?»

«Si, lo so.»

«Non ho parlato molto di lui… ai ragazzi… e a Rolf.»

«Forse dovresti. Intendo dire, penso che ti aiuterebbe parlarne di più. Non fa bene tenersi dentro una roba del genere.»

«Si. Forse sì»

«E penso che a loro faccia piacere conoscere una persona che per te è così importa...»

«Grazie Ron.»

«Per cosa?»

«Tutto.»

 

«E quello cos’è?»

A sorpresa, quando tornò a casa, Rolf vide Luna nel soggiorno, con la bacchetta in mano, a trafficare con quella che sembrava una bacinella di metallo.

«Un pensatoio. Non vedi?» Rispose Luna con nonchalance.

«E… quanto ci è costato?»

Luna lo guardò, insicura di cosa rispondere.

«Io… Ho pensato che… Ben debba essere ricordato… in qualche modo…»

Lui, a sentire queste parole, cambiò atteggiamento, sorridendo.

«Hai già messo qualcosa?»

«Solo un ricordo… a dir la verità. Poi ne metterò anche altri. Stavo pensando di dirlo anche a Neville, Papà, Augusta, Ron… magari possono contribuire.»

«Va bene. Allora ti lascio…»

«Ti va di vedere?»

A quella domanda, l’uomo fissò la moglie con stupore.

«Io… Posso?»

«Si.»

Luna sembrava convinta. Rolf si avvicinò incerto al pensatoio…

 

In una sera come le altre, Ben era sdraiato su un lettino del San Mungo. Ormai non riusciva più a tenersi in piedi. Da giorni, i genitori erano accanto a lui. In quel momento, Luna stava leggendo un libro a voce alta.

Ron entrò nella stanza, trafelato. Sorrise a trentadue denti.

«E’ in salute… tre chili e cento…»

«Sono contento per voi, Ron!» rispose Neville, sorridendo a sua volta.

Fu un momento felice per tutti loro. Ben cominciò ad agitarsi nel letto.

«Possiamo andare a vederla? Mamma? Papà? Possiamo?»

Neville guardò Luna, non sapendo come avrebbe reagito a quella richiesta. Dopo qualche secondo di incertezza, la vide sorridere.

«Va bene, andiamo.»

Nessuno di loro credette di avere mai visto Ben più felice di così.

Della nebbia ricoprì la scena. Forse il ricordo era sfumato. Rolf rimase concentrato, aspettando che si diradasse…

La maggior parte dei maghi non aveva idea del perché il direttore del San Mungo, giusto l’anno prima, avesse sentito il bisogno di inaugurare un reparto di ostetricia, maternità e cura neonatale al piano sotterraneo, e ancora non erano molte le streghe che usufruivano di tale servizio, preferendolo al parto casalingo. Nonostante questo, nel corridoio vi era comunque un via vai di persone abbastanza consistente.

In braccio alla madre, Ben guardava attraverso il vetro con lo stupore tipico di un bambino. Tra i neonati dietro di esso, aveva immediatamente riconosciuto la figlia di Ron, una bimba che si era dimostrata subito molto attiva, con un ciuffo di capelli rossi sulla testa.

«Come si chiama?» Chiese il bambino, girandosi verso lo zio.

«L’abbiamo chiamata Rose.» Spiegò lui, con un certo orgoglio.

«E’ proprio un bel nome, zio.»

«Modestamente, l’ho scelto io.»

Ben iniziò a strofinarsi gli occhi. Sembrava assonnato. Aveva senso, la giornata per lui era stata particolarmente faticosa e ormai era passata la mezzanotte.

«Zio?»

«Che c’è Piccoletto?»

La domanda fatta da Ben allo zio sfumò dietro un rumore statico, risultando impossibile da comprendere.

«Eh, ma questa cosa la sanno solo in pochi...» Rispose Ron, sforzandosi di sorridere «In compenso, quei pochi dicono sempre sia una gran figata...»

«Forte! Ti ricordi la promessa, vero Zio?»

Ron si fece improvvisamente serio. Probabilmente, aveva capito.

«Ovvio. Per chi mi hai preso?»

«Meno male…»

Il bambino poggiò la testa sulla spalla della madre, chiudendo gli occhi. Nel tentativo di accarezzargli la testa, Ron fece per sbaglio scivolare la sua mano prima sulla guancia e poi sulla spalla.

«Dovresti essere a dormire già da un pezzo. Fai bei sogni, piccoletto.»

«Il Porridge. Voglio mangiare il Porridge...»

Luna lasciò che si addormentasse, accarezzandogli leggermente la schiena. Ron e Neville si guardarono negli occhi, versando una lacrima a vicenda.

Ancora Nebbia. Delle urla. Voci confuse. Un pianto disperato.

«Luna… ti prego.»

Una giovane donna dai capelli biondo sporco piangeva il figlio, ancora tra le braccia della madre. Il compagno era davanti a lei, cercava di convincerla, in qualche modo, ma lei sembrava decisa a volerlo tenere con sé per sempre…

«Luna… lascialo andare…»

La sua voce era dolce, ma non era sufficiente. Luna era sotto shock, quasi inconsapevole di ciò che stesse facendo e sul perché si trovasse in quel posto. Dopotutto, era ora di tornare a casa. Con Neville. Con Ben. A Casa.

Ma non erano a Casa, erano ancora al San Mungo. Diverse persone la circondavano, aspettandosi qualcosa che lei non poteva fare.

Non poteva, semplicemente non poteva…

«Luna…»

Finalmente riuscì a guardare meglio Neville: Anche lui era in lacrime, con la voce spezzata, nonostante ciò, stava cercando di essere forte per entrambi. Le fece un cenno di assenso. Entrambi volsero il loro sguardo sul figlio: Ben, nella morte, sembrava sereno. Forse il suo ultimo sogno era tra i più belli che avesse avuto.

Finalmente, Luna lasciò andare il corpicino, cedendolo con delicatezza a Neville, il quale indugiò qualche secondo, dandogli un ultimo bacio sulla fronte, prima che un infermiere lo portasse via…

 

Rolf alzò finalmente la testa, rendendosi conto di stare piangendo anche lui, sconvolto dall’esperienza appena avuta. Luna, che gli era rimasta accanto, sorrise malinconica.

«Mi rendo conto di avere dei ricordi un po’ distorti dell’accaduto.» Disse lei con amarezza «E’ come se una parte di me non voglia ricordare com’è andata esattamente. Però ricordo che il 13 Aprile, l’una del mattino, credo...»

Rolf rimase a bocca aperta, non avendo la forza di dire altro.

«Io e Neville non abbiamo retto molto senza di lui… neanche un anno dopo ci siamo lasciati. Ce ne siamo andati entrambi da quella casa. Non ce la facevamo a rimanere lì. Siamo stati cattivi l’uno con l’altro. Io pensavo che a lui non importasse, lui pensava che negassi la realtà dei fatti. Il che era vero, in realtà. Non ho mai voluto ammettere la sua morte. Pensavo che prima o poi lo avrei rivisto uscire dalla sua camera correndomi in braccio…»

«Da quel che ho visto…» disse Rolf timidamente «… sembrava un bambino stupendo.»

«Lo era…» Confermò Luna con voce pacifica «Era dolce, intelligente, un po’ capriccioso a dire il vero. Dovevamo controllare quanto mangiava, perché tendeva ad esagerare. Mi ha sempre chiesto un cucciolo, ma tra una cosa e l’altra non ho mai avuto modo di…»

Si interruppe. Il marito prese la parola.

«Non ne parli quasi mai…»

«Vorrei farlo più spesso.»

«Sarò sempre felice di ascoltare.»

 

Al risveglio, i gemelli si stranirono nello scoprire che il giorno del Porridge sembrava essere arrivato in anticipo, ma non si fecero tante domande, in verità.

Come al solito, la loro questione di vitale importanza era un’altra.

«Qual è la parola di oggi, Mamma?» Chiese Lysander affascinato. Luna sorrise a trentadue denti.

«Ben.» Rispose semplicemente.

«Ben?» Ribattè Lorcan «E chi è Ben?»

«Vostro fratello.»

 

«Quindi tu sei Ben?»

«Qui sopra c’è scritto Benjamin.»

«Direi che Ben è molto meglio.»

«Sono d’accordo.»

«Sai che ci siamo chiesti a lungo chi fossi?»

«Sei anche figlio del professor Longbottom.»

«Questo sì che è curioso.»

«Eh, già…»

Luna lasciò che i suoi figli parlassero alla tomba silenziosa come se fosse una vecchia conoscenza, mentre il vento soffiava leggero. Nonostante fosse inverno, la giornata sembrava primaverile, come se anche il tempo sapesse che quella era un’occasione importante.

«Verremo qui qualche volta, vero Mamma?»

«Certo, naturalmente.»

Solo quando sentì le braccia dei figli circondargli il fianco, Luna si rese conto di stare piangendo di nuovo.

Questa volta, si prese il diritto di piangere con serenità.

 

Benjamin Longbottom

Che la tua risata possa illuminare il cielo

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