Searching for our balance

di _Kalika_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


”Free
19 giugno: orientamenti romantici/sessuali – omosessualità
 
  Searching for our balance
 
 
«Franky si può sapere che stai facendo con quell’affare?!»
Dalla stanza adiacente il rumore della sega elettrica che da quasi mezz’ora riempiva tutta l’officina si spense all’improvviso. «Delle suuper modifiche, fratello! Vedrai, la prossima volta che uscirò in giro con la Sunny non ci sarà uomo o donna in grado di resistere al suo fascino!»
«E perché diavolo stai usando una sega? C’è gente che cerca di lavorare, qui!»
«Oh andiamo fratello, ormai ho quasi finito!»
Kidd sbuffò, tornando a concentrarsi sul motore davanti ai suoi occhi. Che potesse passare una sola giornata senza Franky che decidesse di cimentarsi in qualcuna delle sue modifiche, che sembravano avere come unico punto in comune il causare un rumore terribile, era fuori questione. E dire che credeva pure di essere stato fortunato ad essere stato accettato da Franky per lavorare in quell’officina. Adesso gli sembrava piuttosto ovvio che non era stato accettato per magnanimità del datore di lavoro, ma perché era probabilmente stato l’unico coglione in tutta Sabaody che si era offerto di lavorare con lui.
 «Dici sempre così e poi continui per ore! Dacci un taglio!»
«Ehm, scusate…?»
«Davvero, fratello, mi manca pochissimo!»
«Scusate?»
«Ma piantala! E chi è che continua a borbottare?» Eustass abbaiò in direzione di Franky prima di voltarsi verso la direzione della terza voce che si era introdotta nel litigio, trovando a guardare un ragazzo con una felpa decisamente più grande di quanto gli servisse, a causa della quale il rosso non riusciva a distinguere nessuna forma del corpo, e il cappuccio tirato sul capo.
Si era appena affacciato dalla saracinesca aperta, ed era quasi sul punto di fare retrofront quando Kidd gli si avvicinò. «Ti serve qualcosa? Chiedo scusa per Franky, è il proprietario di questo posto e pensa di poter ignorare ogni norma civica all’interno del suo regno.»
«Ehi fratello guarda che ti sento! Non è per niente super quello che dici!»
Kidd evitò di urlargli di nuovo una rispostaccia, preferendo concentrarsi sul cliente. «Allora, cos’è che vuoi sistemare?»
«Oh, niente del genere» rispose l’altro, e Kidd rimase sorpreso dalla voce tanto acuta. «Sono arrivato in città da pochi giorni e non conosco molto bene la zona. Sto cercando di raggiungere il ristorante All Blue 66 in via Aldron. Avevo le indicazioni sul cellulare ma è scarico.»
«Ah.» Kidd continuò a guardarlo, cercando di individuare dei dettagli sotto il cappuccio. Aveva gli occhi azzurri molto chiari, grandi e gentili, ma uno dei due era coperto da un ciuffo di capelli di un particolare colore rosa. Un accostamento di colori insolito – quasi quanto i suoi capelli rossi e occhi dorati, pensò fra sé e sé – che lo lasciò per qualche secondo interdetto. «Non è molto lontano» si riprese poi «devi continuare su questa strada per un centinaio di metri circa, poi arrivi a una rotatoria. Prendi la seconda uscita a destra, e via Aldron è una delle prime traverse.»
L’altro annuì mentre si guardava intorno con interesse. Si avvicinò a una moto rossa fiammante, osservandone rapito i particolari. «È una Sparking Red
Kidd avanzò qualche passo. Non capiva perché, ma desiderava abbassargli il cappuccio e vedere il suo volto. Rimase sorpreso quando l’altro lo tolse di sua spontanea volontà con un gesto automatico. I suoi capelli erano tutti dello stesso colore del ciuffo sugli occhi, rosa, ed erano giusto una corta zazzera che gli arrivava a malapena alla nuca. Ma soprattutto aveva dei lineamenti delicatissimi e una pelle candida, tanto che Kidd rimase senza fiato. Se non avesse parlato di sé al maschile, il rosso avrebbe giurato che fosse una donna. Quello si girò a guardarlo mentre Kidd realizzava che gli era stata rivolta una domanda e annuiva con un cenno secco ma confuso.
«Non sono un appassionato di moto, ma mio fratello sì e ho imparato ad apprezzare certi gioiellini» sussurrò raccontandolo più a sé stesso che a Kidd. Si chinò appena ad ammirarla meglio prima di mettersi dritto e rivolgere un sorriso gentile al rosso. Lo ringraziò, e nel giro di pochi istanti era già uscito e stava seguendo le indicazioni datagli.
«Fratello, chi era? Un cliente?»
Kidd era confuso. Confuso e accigliato. C’era qualcosa di strano in quella persona, ma non riusciva a capire cosa. E la cosa, invece di seccarlo come avrebbe fatto di solito, lo intrigava.
«Sta’ zitto e torna a fare quelle fottute modifiche!»
 
҉
 
Kidd non si era mai detto amante delle tradizioni, ma doveva ammettere che c’era una tradizione, o meglio una routine, alla quale raramente si tirava indietro.
«L’avete vista la replica di Sherlock che c’era in TV ieri sera?? Ditemi di sì, ditemi di sì!»
Passare il sabato sera al Cocoyashi Cafè, a raccontarsi gli avvenimenti della settimana e smaltire lo stress accumulato a scuola e – più recentemente, anche se gli unici due coinvolti erano Kidd stesso e Shachi – al lavoro, era un’attività che si svolgeva più o meno regolarmente fin dalla fine del terzo anno di liceo, in cui il variegato gruppetto aveva avuto modo di conoscersi e legare, e che si era mantenuta anche una volta raggiunto il diploma.
«Izou ci hai già obbligato a vederlo una volta, perché dovremmo vedere anche le repliche?»
Kidd insomma non amava le tradizioni e non mancava di ripeterselo ogni volta che metteva piede in quel locale, ma in un modo o nell’altro all’uscita dal pub si ritrovava sempre con un abbozzo di sorriso sul volto, e per quando l’inizio della serata potesse sembrare disastroso, sapeva che valeva la pena prestare attenzione a quegli idioti.
«Shacchan, sai benissimo che ci sono innumerevoli motivi! Uno: ogni episodio di Sherlock va rivisto come minimo due volte, perché ci sono parallelismi e riferimenti che si possono comprendere solo riguardando tutta la serie dall’inizio; Due-»
Un ringhio risuonò dalla postazione di Kidd. «Chiudi quella bocca o te la stacco io.»
Quella sera però non era proprio in vena, pur sapendo che Izou che sclerava per l’ennesima volta su Sherlock non era affatto uno degli inizi peggiori, visto che primo in classifica svettava con prepotenza quella volta che la loro insegnante di scienze aveva preso un tavolo proprio accanto al loro e aveva anche avuto l’audacia di interrogarli, ancora non era ben chiaro se per scherzo o meno vista l’aura di perenne serietà che circondava Madame Shirley, sulla lezione spiegata in classe quel giorno stesso. Come se ne avrebbe mai avuto bisogno, di sapere la vita delle stelle di neutroni e delle giganti rosse!
«Due» stava continuando intanto Izou, sordo alle minacce e complice Shachi che non faceva niente per fermarlo «Sherlock e John sono semplicemente troppo carini per essere visti una volta sola e tre…» Si fermò un attimo aumentando l’eccitazione nella voce e scambiando uno sguardo con Shachi che poggiò il viso sulle mani a coppa ridacchiando. «…Benedict Cumberbatch è un dio e nell’episodio di ieri indossava la camicia viola del sesso!!»
«E che cos’è la camicia viola del sesso?»
«Shachi!»
«Dai, Kidd, sono curioso!»
Eustass sbuffò in risposta e si abbandonò pesantemente allo schienale della sedia, guardandosi intorno mentre con un orecchio seguiva suo malgrado la dettagliata spiegazione di Izou. Ma mentre le orecchie ascoltavano sempre con meno attenzione, i suoi occhi si spostavano invece indagatori da una parte all’altra del locale, a osservare e analizzare ogni avventore. E prima ancora di pensarlo, Kidd si accorse che stava cercando qualcuno. Anzi, non avendo una persona, un’identità a cui associare l’embrione di idea che aleggiava nella sua mente, si limitava a cercare tra la gente un preciso contrasto di colori, l’azzurro chiarissimo e il rosa fulminante che tanto lo avevano colpito.
«…solo in questo episodio ed è una visione divina, con la stoffa tesa sotto i pettorali, la vita stretta…» Si risvegliò quando Izou gli diede una gomitata nello stomaco in un potenzialmente suicida momento di complicità. «Ma insomma te ne sarai accorto anche tu quando l’hai visto per la prima volta no? Quegli occhi cangianti così intensi, gli zigomi perfetti, per non parlare della schiena e del cu-»
«Izou quante volte devo dirti che sono etero? Non passo il tempo a sbavare dietro a quegli attori del cazzo.»
«Umpf, dicono tutti così. Marco-chan, almeno tu sei d’accordo, no??» Si voltò verso il suo migliore amico seduto davanti a lui nella ben riposta speranza di un cenno d’assenso.
Ma Kidd non era interessato a sentire il breve ma accurato commento di Marco su quel Benadryl Cucumbersnatch o come si chiamava, perché la domanda che aveva in testa era un’altra. Marco? Quando era arrivato Marco?? Quanto cazzo di tempo aveva passato perso nel mondo dei sogni a guardarsi intorno??
«Kiddo-kun ma oggi ci sei o quello che sto guardando è un clone privo di coscienza che sta sostituendo il nostro amico, che ha invece deciso di abbandonarci per sempre e intraprendere un viaggio di sola andata per chissà quale esotica località balneare?»
«Che cazzo di idea?»
«Ah, sei tu. Cos’è che ti sta impedendo di goderti la serata?»
«Ce l’ho davanti agli occhi, ha un orrendo fermaglio floreale tra i capelli e non la pianta di parlare di attori e serie TV.» Ghignò appena, di nuovo padrone delle sue capacità cognitive, quando Izou sbuffò offeso incrociando le braccia al petto. «Ahah, molto divertente.»
Shachi stese le braccia sul tavolo stiracchiandosi prima di illuminarsi come colpito da un pensiero: «Senti Kidd non è che mi puoi dare un passaggio a casa? La moto si è bloccata all’ultimo e sono venuto qua con i mezzi.»
«Ma un fottuto esame per la patente è troppo complicato, eh? E poi che cazzo, lavoro in un’officina se non ve lo ricordate, potevi chiamarmi subito!» Shachi si strinse nelle spalle e Izou ridacchiò fino a che Kidd non gli abbaiò contro. «Pure tu! Pensi che mi sia scordato di tutti gli strappi che mi hai rubato negli ultimi anni? Almeno Marco ci si impegna e tra qualche mese ce l’ha pure lui un’auto, mentre voi vi accontentate di quelle carrette a due ruote!»
I tre subirono impassibili la sfuriata dell’amico. Ah, che modo strano e contorto aveva quella testaccia rossa di preoccuparsi dei suoi amici!
«Ma quindi me lo dai un passaggio?»
«No, ti lascio qua a piedi.» E meno male che col tempo avevano imparato a decifrare il suo sarcasmo. Si voltò verso Marco in un istante di complicità: «Abituati perché dal primo secondo in cui avrai la macchina verrai etichettato come taxi umano e non avrai scampo. Almeno non dovrò più sorbirmi i lamenti della principessina sul mio modo di guidare.» Indicò con la testa il moro accanto a lui e Marco stirò appena le labbra in un ghigno prima di aprirle, come a voler dire qualcosa, e poi richiuderle indeciso.
«Che c’è?»
«…»
«Dai che cazzo c’è? Lo so che vuoi dire qualcosa!»
«…mi servirebbe un passaggio martedì pomeriggio.»
 
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Sbloccò il cellulare con un movimento fluido della mano mentre si caricava sulla spalla la borsa e usciva dall’aula. Il messaggio che aveva mandato a Vista non era ancora stato ricevuto, segno che si trovava ancora in volo, e il suo ultimo accesso su Whatsapp segnava l’una e trenta di pomeriggio. Era in perfetto orario.
Diede un’occhiata ai messaggi in arrivo: un breve scambio sul gruppo che condivideva con i suoi amici e un messaggio vocale da Kidd. Lo attivò e si portò il cellulare all’orecchio mentre camminava piano lungo i corridoi del Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere, valutando se fermarsi a prendere qualcosa al distributore automatico.
«…’rtendo adesso quindi vedi di farti trovare al parcheggio tra venti minuti. Davanti alla statua di Roger.»
Il pacchetto di cracker cadde dalla sua postazione nella macchinetta mentre si rimetteva in tasca il telefono e Marco lo raccolse con calma prima di dirigersi a passi misurati verso il luogo d’incontro. Si fermò un attimo per lasciar passare davanti a lui un gruppetto di studenti che usciva dal suo stesso Dipartimento e intanto fece vagare gli occhi sugli edifici davanti a lui, rispettivamente il Dipartimento di Lettere e quello di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo. Fissò lo sguardo su quest’ultimo, nella vana speranza di vedere nei suoi dintorni un perfetto chignon corvino e un paio di occhi profondi che avrebbero brillato nel vederlo e salutarlo. Sospirò appena, constatando che di Izou non c’era traccia, e proseguì a capo chino verso la statua di Roger.
Forse sarebbe potuto passare a salutarlo. Se ben ricordava a quell’ora Izou non aveva lezioni, quindi magari era da qualche parte che… Bum.
«Oh! Ci scusi!» Alzò lo sguardo per vedere contro chi era andato a sbattere, e si trovò davanti un gruppetto di due ragazzi e una ragazza di diversi anni più giovani.
«Scusate me, non stavo guardando dove andavo.» Rispose pacato rivolgendosi alla ragazza che sorrise appena e scosse il cellulare che teneva in mano. «Neanche noi. Stiamo cercando di raggiungere il Dipartimento di Matematica ma Google non aiuta. Per caso può dirci dov’è?»
Marco si voltò nella direzione dell’edificio, indicandolo con una mano. «Basta proseguire lungo il marciapiede dopo l’Aula Magna e svoltare due volte a destra. È davanti a quello di Fisica.»
«Ah, grazie!» La ragazza riabbassò lo sguardo pragmatica verso il cellulare ripetendo a mezza voce le indicazioni. «Ci credo che non lo trovavamo, Mont d’Or ci aveva detto il contrario.» Si allontanò di fretta seguita dagli amici borbottando divertita a mezza voce: «Punte di diamante della squadra di Giochi Matematici e ci perdiamo alla ricerca del Dipartimento. Oh sì, il Liceo Alabasta è proprio in ottime mani.»
Marco riprese a camminare con passo più spedito, e quasi l’avesse previsto, il cellulare vibrò nella sua tasca, con tutta probabilità un messaggio di Kidd che gli intimava di darsi una mossa. Raggiunse in tempo zero la statua e si guardò intorno alla ricerca della capigliatura vermiglia dell’amico. Finalmente individuò la macchina, una New World bordeaux e nera, e una ventina di passi più avanti il proprietario girato di spalle.
Lo chiamò, e gli si avvicinò quando non ricevette alcuna risposta. Il rosso sembrava particolarmente accigliato, come confuso, con gli occhi fissi su qualcosa davanti a sé. Marco seguì la direzione dello sguardo e si trovò a fissare una ragazza elegantemente vestita con una corta ma pettinata zazzera rosa e un ciuffo che le copriva uno degli occhi chiari.
«Kidd?»
Il rosso si voltò di scatto, come se si fosse accorto solo in quel momento che Marco gli era arrivato accanto. Senza cambiare di un millimetro la sua espressione guardò l’amico e poi si girò di nuovo verso la ragazza. «Sai chi è quella?»
Il biondo annuì noncurante: «È una nuova studentessa di Lingue. È qui da qualche settimana, l’ho incrociata un paio di volte a lezione. Sembra intelligente.» Raccolse tutti gli stracci di informazioni che gli era capitato di sentire negli ultimi giorni «Dicono che sia figlia di un ricco proprietario di una serie di bar o ristoranti, non ricordo. Si è appena trasferita a Sabaody con la famiglia.»
«Mh.» Kidd borbottò tra sé e sé, quasi fosse infastidito da tutte quelle informazioni che non gli quadravano. «Vabbe’, andiamo. Ho liberato il portabagagli così Vista può metterci le sue cose.»
Marco chiuse la portiera e tirò fuori il cellulare mentre Kidd metteva in moto. Il messaggio che aveva sentito prima non era affatto di Kidd, bensì di Shachi sul gruppo. Lo lesse ad alta voce: «“Scusate ragazzi ma sabato non riesco a venire al bar. Divertitevi.”»
Kidd arcuò le sopracciglia. «E non è neanche ancora passato all’officina per la moto. Chissà che sta facendo quel coglione in realtà.»
Il biondo si poggiò allo schienale e fissò gli occhi sulla strada che scorreva sul parabrezza. «E meno male che dovrebbe essere la persona più razionale e sincera.»
«Veramente siamo tutti d’accordo che il ruolo di “persona razionale e sincera” te lo aggiudichi tu. Shachi è quello che sembra più autonomo di tutti ma che in realtà scrocca passaggi all’infinito.»
Ghignarono tutti e due prima che un’ombra oscurasse gli occhi di Marco. Si girò a guardare fuori dal finestrino. «Sincero, eh…?»
 
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«’nque è proprio bella questa giacca, sai?»
Kidd abbassò gli occhi su Izou che palpava critico la manica del suo giacchetto di pelle. Per la seconda volta nel giro di qualche minuto si accorse di essersi perso buona parte della frase, e si limitò ad annuire.
Izou arricciò le labbra non convinto: «Kiddo-kun ma va tutto bene?»
«Ah?» Spostò lo sguardo sulla strada, perdendosi nello sfrecciare delle macchine. «Sì che va tutto bene.»
«Sì, e io sono l’uomo più etero del mondo.»
Il rosso si girò a guardarlo storto, trovandosi a fissare un’espressione piuttosto simile alla sua. «Sono solo un po’ distratto, ma che vuoi?»
«Voglio sapere che ti è successo!» Berciò l’altro incrociando le braccia al petto «Siamo solo io  e te, giuro che non lo dico a nessuno! A meno che non sia qualcosa di divertente, allora lo dirò a tutti.»
Kidd borbottò contrariato. Ma sapeva che Izou non si sarebbe fermato fino a che non avrebbe avuto delle risposte, quindi sospirò. «È che ho incontrato una persona strana.»
«Il simile attira il simile.»
«E chiudi il becco! Volevi che ti spiegassi o no?»
«Okay, okay, parla!»
«È una persona strana perché la prima volta che l’ho vista indossava una felpa larga e una tuta.» Percepì lo sguardo scettico dell’altro e iniziò a irritarsi «Non dire niente e fammi finire. Poi la seconda volta era…» La lingua gli si fermò da sola mentre gli occhi guizzavano dall’altra parte della strada, attirati da qualcosa. Un rosa fragola, un azzurro appena visibile, vestiti in un paio di jeans e una felpa larga da uomo. Prese Izou per un braccio e iniziò ad attraversare la strada di corsa. «È lui! Cioè, lei! È lì!»
«Kidd ma che fai? Controlla almeno se passa qualche macc- Santo cielo Kidd! E non insultarlo, sei tu che ti sei buttato in mezzo alla strada!»
Ma Kidd non aveva tempo né interesse di ascoltarlo. Era impegnato a raggiungere la persona che, a una decina di metri da lui, si era accorta dell’inseguimento in atto e aveva cominciato a correre a sua volta, chissà quali pensieri in testa.
«Aspetta! Non voglio farti niente! Statti fermo porca puttana!»
«Kidd ma ti sembra il modo??»
Ma intanto il rosso aveva raggiunto l’altro, gli aveva fermato il braccio e l’aveva costretto a voltarsi. Lo osservò in viso e constatò che sì, era la stessa persona dell’officina e la stessa dell’Università.
«Non voglio farti del male. Mi chiamo Eustass Kidd.» esordì subito, ben conscio della poca credibilità delle sue parole «Tu chi sei?»
L’altro lo guardò confuso prima di rispondere: «Reiju Vinsmoke.»
«E sei un maschio o una femmina?»
 
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Izou ne aveva visti di occhi tristi, e aveva anche una certa esperienza in prima persona, ma gli sguardi smarriti che Reiju aveva lanciato loro quando avevano parlato erano davvero impressionanti. Da una parte era comprensibile – chi avrebbe gradito essere rincorso da un energumeno alto quasi due metri dai modi rozzi come quelli di Kidd? – ma in quel momento, con una tazza di cioccolata calda ben stretta tra le mani e gli occhi indagatori di Kidd e Izou puntati contro, sembrava la persona più insicura del mondo. Eppure c’era un non so che di elegante e dignitoso nei suoi movimenti che suggerivano un carattere solitamente ben più deciso.
«Quando hai detto che non sai che cosa sei…» Kidd riprese il discorso dall’esatto punto in cui l’avevano interrotto cercando di risuonare il meno scettico e scontroso possibile. «…che cosa intendevi?»
Reiju fissò la cioccolata. Perché si era fatta trascinare in quel caffè? Perché aveva accettato di parlarne con quei due estranei? Che razza di magia aveva fatto quel gigante rosso affinché sentisse di potersi fidare di lui? C’entrava il fatto che al primo incontro era sembrato sicuro Di sé e, se non gentile, perlomeno con un minimo di decenza? Doveva c’entrare sicuramente la decenza, altrimenti non c’era spiegazione. O forse il motivo era che nessuno aveva mai risposto alle sue parole con qualcosa che non fosse uno sbuffare divertito o peggio ancora un “sei solo confusa”. Quei due sconosciuti erano genuinamente interessati e, chissà, magari potevano anche dare una mano.
«Intendo dire che adesso non mi sento né maschio che femmina.»
«Guarda a me eri sembrata un uomo la prima volta con ‘sti vestiti, ma da quel che vedo le tette ce l’hai.»
Reiju lo fulminò con lo sguardo, ed era sul punto di andarsene che il moro al suo fianco tirò un potente scappellotto all’altro con addosso l’espressione più indignata che avesse mai visto. «Kidd!» Urlò infatti, attirando l’attenzione di mezzo bar. «Ma quanto puoi essere scemo?»
«Ma che vuoi? Che ho detto?»
«Reiju è chiaramente a disagio e tu te ne esci con una battuta transfobica del genere! Almeno la sai la differenza tra genere e sesso biologico??»
Kidd bloccò sul nascere la rispostaccia che stava per dargli, un po’ per non dare spettacolo un po’ per genuino interesse. No che non sapeva la differenza, perché mai avrebbe dovuta saperla?
«Il sesso biologico è quello definito alla nascita dal tuo corpo.» Cominciò a spiegare Izou, per una volta totalmente serio, alternando occhiate tra l’amico e Reiju dato che lo guardavano entrambi interessati. «Il genere invece è ciò che senti di essere dentro. Non sempre genere e sesso biologico corrispondono.» Alzò una mano a indicare pacatamente Reiju. «Reiju è una donna fisicamente, ma il suo genere non è femminile.»
«Aspetta» Lo bloccò Reiju mettendosi una mano sul petto. «Non è sempre così. Cioè, a volte sono femmina. Ora no. Ora… non so cosa sono, ma sicuramente non femmina.»
«Sei un maschio?» Chiese Kidd corrugando le sopracciglia, facendosi ancora più confuso quando Reiju scosse la testa.
«No, non credo… però sicuramente sono più maschio che femmina.»
«Che cazzo vuol dire?»
«Kidd la pianti? Sei stato tu a voler sapere tutto questo, ora lo fai parlare? Reiju come ti fa sentire quando uso il pronome maschile?» Finì la frase cambiando totalmente tono e voltandosi quasi apprensivo verso Reiju, che sgranò gli occhi e accennò un sorriso.
«È meglio» sentenziò piano mentre Izou ricambiava il sorriso e riprendeva la sua spiegazione. «Da quel poco che mi hai detto, credo che tu sia gender fluid. Cioè non hai un genere specifico e cambi durante il tempo. La definizione ti calza?»
«Direi di sì» Ma l’espressione che fece era tutto fuorché felice. Anzi era agitato, e per qualche istante i suoi occhi si fecero grandi e spaventati come se gli fosse venuto in mente un terribile pensiero. Scosse la testa e tornò a guardare i due ragazzi, ma nessun sorriso spuntò sul suo volto. «Quello che hai detto mi ha chiarito molte cose. Grazie.» Strinse i pugni, ma li rilasciò non appena si accorse che Kidd li stava guardando. «Ma questo non mi aiuta molto a capire chi… o cosa sono.»
«Eh che filosofo. Maschio o femmina o qualsiasi cosa ci sia in mezzo, mica cambi carattere. Tu sei sempre tu, no?»
«Non è così semplice» sibilò tagliente Reiju mentre Izou faceva saettare gli occhi da uno all’altro senza intervenire. «Quando cambio lo sento, e sento che il mio corpo non è giusto. E non ci tengo a indossare una gonna quando sono un maschio.»
«E allora non metterla!»
Reiju rimase in silenzio, come riflettendo se rivelare o meno troppe informazioni. Alla fine fece per alzarsi dal tavolo e andarsene con tranquillità. «Grazie, Izou.»
«A-aspetta!» Esclamò lui sporgendosi verso l’altro. «Rivediamoci! Cioè non fraintendere non ci sto provando, sono gay e pure-» bloccò la frase sul nascere, scuotendo la testa e ripartendo. «Insomma sei nuovo in città no? Se ci scambiamo i numeri puoi passare qualche serata con noi! Giuro che le altre due persone del gruppo sono molto più gentili e simpatiche di questo troll!»
«Oi bada a come parli.»
Reiju lo guardò interdetto, poi annuì. «Ti do il mio numero, scrivimi quando organizzate un’uscita.»
«Oh non c’è bisogno di organizzazione! Tutti i sabati alle otto e mezza al Cocoyashi Cafè!»
 
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Kidd spense la TV, deciso ad andare a dormire dopo il meritatissimo film della serata. Era passata da poco mezzanotte e cominciava ad accusare la stanchezza dopo la lunga giornata. Non che fosse successo niente di particolare, Franky aveva fatto casini come al solito e Vista, il fratello di Marco che era passato a Sabaody per lavoro, si era unito al gruppo per un giro al centro nel pomeriggio.
Rimase un attimo immobile prima di ricordarsi che anche Reiju aveva passato la giornata con loro. Non perché si fosse dimenticato della sua presenza, ma perché si era integrata così bene – e la pensò al femminile, dato che l’ultima volta che l’aveva vista si sentiva una donna – che era quasi come ci fosse sempre stata. Però era strano, tanto strano, considerando che la conoscevano da una settimana o giù di lì. La sua prima serata al Cocoyashi era andata alla grande perché tra le sue conoscenze culinarie e il discreto interesse per i veicoli e la moda aveva conquistato tutti i membri del gruppo. Peccato che Shachi non fosse venuto, si sarebbe divertito anche lui. Se non altro era stato con loro al centro, salvo andarsene prima per “impegni urgenti” non ben definiti.
Eustass si lasciò cadere pesantemente sul letto, iniziando a infilarsi sotto le coperte. Era fine ottobre e se di giorno si stava bene, di notte cominciava a fare freddo, per non parlare delle ore di luce che diminuivano sempre di più. Sbuffò a questi pensieri – pur con essendo meno sociale di un orso, aveva sempre preferito l’estate – e lanciò un’occhiata al cellulare, che in quel momento iniziò a squillare. Gli lanciò un’occhiata di striscio prima di portarselo all’orecchio: «Iz-»
«Ciao, so che è tardi.» Di fronte a un tono talmente agitato e urgente, Kidd non riuscì neanche a commentare che il moro lo travolse con una valanga di parole. «Probabilmente dovrei dirtelo a voce, o meglio faccia a faccia, così potremmo parlarne con più tranquillità, m-ma non so quando ritroverò il coraggio.» Ridacchiò appena, il nervosismo ben presente nella voce tremante. «Anzi stavo per scrivertelo per messaggio ma, insomma s-so che ci tieni a parlare e non ti piace scrivere, e poi te lo meriti.» Kidd inarcò le sopracciglia. Non gli piaceva scrivere? Okay non era proprio un fan dei messaggi, specie se il gruppo Whatsapp era sempre sommerso di sticker e meme senza senso che avrebbero meritato di stare nel cestino piuttosto che sul pannello notifiche del suo cellulare, ma… «..'da tanto e adesso voglio dirtelo. Non serve che rispondi.»
Kidd ritornò alla realtà realizzando che Izou stava continuando a parlare e parlare nel suo orecchio. «Marco, mi piaci. Anzi. No, non mi piaci.» Izou prese un respiro profondo ma Kidd non riuscì a bloccarlo in tempo, a dirgli che aveva sbagliato destinatario. Sentì la sua voce tremare di passione e di paura mentre pronunciava quelle tre parole tutte d’un fiato. «Io ti amo. Marco io ti amo e non sai da quanto tempo.» La sua voce si spezzò e si fece più flebile ad ogni parola. «Mi dispiace di non avertelo detto prima ma non ce la facevo. L-lo so che per te non è lo stesso, insomma non sono una persona che piace alla gente, ma… m-mi sembrava giusto che lo sapessi.» Kidd restò ancora in silenzio, cercando il più velocemente possibile la frase giusta da dire per rompere l’incantesimo – perché che cazzo, poteva dire qualsiasi cosa per bloccarlo ma un po’ di tatto se lo meritava – ma i neuroni non gli si collegarono abbastanza in fretta, e smisero di lavorare del tutto quando dall’altra parte del telefono risuonò un singhiozzo seguito da quello che più che una frase era un pigolio. «Non è vero che non voglio che rispondi. Per favore dì qualcosa. Marco…? Per favore…»
Kidd si passò una mano sulla faccia, incapace di reagire prontamente. Come poteva… Cosa doveva fare? Mai come allora aveva desiderato tra le mani un fottuto manuale d’istruzioni per gestire la situazione, lui che si era sempre tanto vantato di non avere bisogno di consigli. Prese un respiro e chiamò piano il suo amico.
«Izou.»
Dall’altra parte del telefono il ragazzo sussultò e un altro singhiozzo gli sfuggì dalle labbra. «K-Kidd?»
«Izou hai chiamato il numero sbagliato.» Chiuse gli occhi mentre sentiva l’altro trattenere il respiro e, con ogni probabilità, portarsi il telefono davanti agli occhi per controllare. Un singhiozzo più ovattato e Kidd poteva quasi vederlo, rannicchiato su sé stesso con le mani a coprirsi la faccia e stringersi le spalle da solo.
«Izou va tutto bene» Provò mantenendo un tono calmo. «Adesso lo chiami e gli dici ciò che mi hai detto, che problema c’è?»
«Non va tutto bene!» Gemette fra sé e sé prima di tirare su col naso, la testa che si scuoteva spasmodica. «Non ce la faccio a ripeterlo. Kidd, per favore, fa’ come se non avessi sentito niente.»
«Che cazzo dici?» Sbottò senza pensarci, salvo pentirsene quando sentì l’altro squittire in risposta.
«N-Non so neanche perché ho iniziato la chiamata. Oh kami… oh kami, cosa ho fatto?»
Kidd sentì distintamente il respiro dell’altro farsi sempre più affannoso. «Izou, ascoltami un attimo. Non dare per scontato la risposta di-»
«Oh certo perché io sono proprio il tipo di Marco no?» Sputò nervoso senza riuscire a fermare il tremolio nella voce e nel corpo. «Anzi è stato meglio così. È… sì, è stato meglio.»
«Oi non dire stronzate! Chiama Marco!»
Izou tirò su col naso, a un passo dal crollare del tutto. «Ho paura. Ho troppa paura. Non gli piacerò mai, Kidd. N-Non posso.» Per un istante gli sembrò che fosse sul punto di iniziare a parlare a ruota libera, e Kidd si mise all’ascolto per cercare di capire cosa fare. Dei singhiozzi, un respiro tremulo, come se stesse prendendo fiato. Poi il silenzio.
«Izou?»
Aspettò ancora qualche secondo prima di abbassare il cellulare e constatare che Izou aveva riattaccato. «Ma porca puttana…» Si affrettò a ricomporre il numero del ragazzo e si riportò il cellulare all’orecchio, macinando passi e imprecazioni. La voce squillante di Izou risuonò informandolo che stava parlando con la segreteria telefonica. Uno, due, tre tentativi, poi perse le speranze. Perché non aveva già abbastanza problemi, tra Reiju sempre un po’ sperduta e Shachi che non si sapeva che avesse!
Non che stesse incolpando Izou, eh. Perché Izou ne aveva fatte di cazzate nella vita e Kidd si era premurato di rinfacciargliele tutte e pure più di una volta, ma su una cosa come quella non poteva proprio permettersi di dire niente. Perché sapeva benissimo quanto per lui fossero importanti concetti come l’amore e il trovare la persona giusta, e se aveva detto di essere innamorato di Marco… Non osava neanche immaginare come si dovesse sentire dentro.
Si afferrò il ponte del naso. Non poteva parlarne con nessuno, se non per paura di incasinare la situazione quantomeno per un minimo di rispetto. Ma l’avrebbe fatto parlare, in un modo o nell’altro.
 
҉
 
Scese dall’autobus con passo malfermo, sistemandosi il borsone sulle spalle. Dio, quant’era ridicolo.
Camminò in direzione del familiare palazzo, ripassando nella mente più e più volte ciò che doveva dire. Non era tanto difficile, in realtà. Si scostò una ciocca di capelli dalla fronte e rimase fermo come uno stoccafisso davanti al citofono, adocchiando in pochi istanti la targhetta vecchia di pochi anni nella seconda colonna della lista di inquilini. Marco Newgate.
Chiuse gli occhi, sospirò, tranquillizzò il respiro, poi premette sul pulsante del citofono. Pochi secondi e la lucetta lampeggiò, segno che la telecamera era entrata in funzione. «Ciao Marco. Scusa se non ti ho avvisato.» Sentì che la voce stava per rompersi ma continuò. «Posso salire?»
«Certo», accompagnato dal rumore della porta che si apriva. Salì i tre piani di scale senza fiatare, con ritmo sostenuto, ma gli sembrò un’eternità. Ad ogni passo voleva soltanto girarsi indietro, scappare e non tornare più, ma ne aveva bisogno. Se non di Marco, perlomeno di aiuto.
Lo trovò appoggiato allo stipite della porta, l’espressione calma eppure interrogativa sul volto, una felpa e dei pantaloncini addosso. «Shachi» lo chiamò quando raggiunse il pianerottolo.
Il rosso prese un grosso respiro e lo guardò negli occhi, deciso a spiegare tutto in un’unica frase: «Il Logue Bar ha chiuso e mia sorella è andata a vivere dal suo ragazzo. Non so dove andare.»
Marco sgranò appena gli occhi e mosse un passo verso di lui, ma l’altro invece indietreggiò. Non poteva costringerlo così ad ospitarlo. Santo cielo, ma perché non l’aveva chiamato prima? Perché mai aveva pensato che andare di persona all’ultimo minuto fosse una buona idea? «P-Però avrei dovuto avvisarti, mi dispiace. Va bene se non vuoi che resto.» Prima ancora che potesse allontanarsi di un altro centimetro il biondo lo raggiunse e gli prese la borsa, mettendogli poi la mano sulla nuca per confortarlo e avvicinarlo a sé. «Non dirlo neanche per scherzo, Shachi. Puoi restare quanto vuoi.»
Shachi si lasciò poggiare la fronte sulla spalla di Marco in silenzio. Non se lo meritava, non se lo meritava per niente. Ma la premura quasi imprevedibile di Marco gli scaldava il cuore. Per un attimo gli occhi si fecero lucidi. Odiava tutta quella situazione. «Mi dispiace di non avervi detto niente prima. Pensavo di riuscire a sistemare tutto. Grazie. Grazie davvero…» Il biondo lo strinse ancora qualche istante prima di posargli una mano sulla spalla.
«Almeno adesso so cosa c’era che non andava.» Sussurrò pacato mentre i due entravano in casa e il biondo iniziava a spostare i cuscini dal divano. «È per questo motivo che hai saltato le ultime serate al Cocoyashi?»
Shachi annuì. «Sì… Io e Ikkaku stiamo cercando lavoro da quasi un mese senza successo. Lavoravamo entrambi al Logue quindi siamo rimasti fregati. Ho… ho cercato di evitare qualsiasi spesa superflua, ma l’affitto era comunque un problema. Alla fine Ikkaku è andata dal ragazzo, e io… eccomi qua.»
«Potevi dircelo prima» Non un rimprovero, ma una constatazione.
«Lo so, ma pensavo di cavarmela!» La voce gli tremò lievemente, ma ormai stava digerendo le emozioni una dopo l’altra. «Ho anche chiesto aiuto a mio padre e mi ha dato un po’ di soldi. Non guardarmi così, non è che avessi altra scelta! Speravo di riuscire a farmeli bastare fino a che non avrei trovato un altro lavoro, ma sono finiti e non vuole aiutarmi oltre.»
Bevve tutto d’un fiato il bicchiere d’acqua che Marco gli aveva offerto, poi si strofinò la faccia energeticamente. «Ma ora basta lamentarsi! Mi metto subito a cercare un lavoro, così mi schiodo il prima possibile! Sarò invisibile, tutto ciò di cui ho bisogno è un tetto sulla testa.»
Marco lo guardò serio, ben sapendo che qualsiasi parola non avrebbe avuto alcun effetto. Invece indicò pratico il divano con una mano. «Ti dispiace se questa notte dormi qui? Con un po’ di olio di gomito entro domani riusciamo a ripulire la seconda stanza, ma penso che ora sia tutta impolverata.»
«Non c’è problema. Anzi, mi metto a preparare la cena così mi rendo utile.»
Marco annuì, poi un pensiero lo colpì. «La moto è davvero rotta?»
Shachi si mordicchiò il labbro. Non gli sfuggiva proprio nulla, eh. «Non volevo venderla, quindi la noleggio ad alcuni ex compagni di scuola. Così non sto proprio al verde.»
«Bella pensata. Ma domani ci vieni lo stesso al Cocoyashi, e racconti tutto. Va bene?»
 


 
҉
 
Kidd era fermo davanti alla porta del frigo, indeciso su cosa mangiare per cena. Alternava gli occhi svogliato dal prosciutto preconfezionato al formaggio mezzo aperto e allo sportello chiuso del freezer, in cui sapeva esserci un hamburger surgelato. Non che avesse molta fame, in realtà. Tutti i problemi del gruppo, nascosti sotto la superficie da chissà quanto tempo, erano venuti a galla nel giro di una settimana, e alcuni restavano ancora segreti. A Kidd passava l’appetito solo a pensarci.
Non che si desse la colpa di alcunché, visto che sia per quanto riguardava Izou sia per Shachi non c’entrava proprio un cazzo, però ecco, se non avesse avuto i paraocchi forse si sarebbe anche potuto accorgere prima di ciò che turbava i suoi amici. Sbuffò mentre optava per un panino al prosciutto e appoggiava al ripiano della cucina per prepararlo. Che poi porca puttana, due dei suoi quattro amici erano praticamente nella merda, un altro era emotivamente instabile, e lui se ne stava lì a tagliare in due un panino!
Sollevò un sopracciglio mentre realizzava il pensiero appena fatto. No, davvero, non c’era proprio niente di male nel voler mangiare. Non che potesse fare altro in quel momento, comunque.
Però restava il fatto che avrebbe voluto poter fare di più. Con Izou soprattutto, che non si faceva sentire da una settimana. E lui che l’aveva pure coperto, inventandosi al momento una balla che potesse almeno giustificare la sua assenza al Cocoyashi! E il bastardo manco a ricambiare la sua premura, non si era degnato di rispondere alle sue telefonate né di farsi vivo quando, in un preoccupato quanto idiota momento di follia, era passato sotto casa sua e aveva sprecato non sapeva quanti minuti a premere ripetutamente sul citofono.
Ma che pensava di fare, rintanandosi in casa e uscendo solo per l’Università? Credeva che così si sarebbe magicamente risolto tutto da solo? Gli avrebbe dato solo altri tre giorni, si disse fra sé e sé mentre addentava il panino, poi sarebbe tornato a casa sua e l’avrebbe portato fuori, volente o nolente. Se pensava che sarebbe bastata una porta chiusa a farlo desistere, si sbagliava di grosso.
Per non parlare di Shachi, poi. Non aveva mai avuto una situazione economica particolarmente agiata, neanche da bambino, e anzi si riteneva fortunato ad aver potuto finire il liceo. L’Università però a quel punto non era mai stata neanche un’opzione, visto che non appena aveva raggiunto la maggiore età, il padre – se padre si poteva definire, quel Doflamingo, visto come aveva sempre ignorato Shachi e la sorella – li aveva praticamente cacciati di casa, impaziente di godersi la pensione senza doversi occupare dei figli.
Shachi non aveva mai dato un quadro troppo preciso della sua situazione familiare e a Kidd andava benissimo così, fintanto che poteva comunque fornirgli il suo appoggio in qualunque situazione, come si erano promessi anni e anni prima. Eppure aveva nascosto loro un problema che lo tormentava da chissà quanto.
Non era arrabbiato, non direttamente almeno, ma non poteva fare a meno di sentirsi una merda per non aver dato neanche una mano in tutta quella spinosa situazione. La cosa gli ribolliva dentro malignamente, e non bastava uno stupido panino a distrarlo da tutto. Forse doveva parlarne con Marco, anche se non era sicuro di riuscire a nascondere del tutto l’argomento Izou o, nel caso in cui ne parlassero, di omettere qualche particolare che avrebbe fottuto Izou o lui stesso. Forse Reiju era l’opzione migliore. Non che fosse un membro esterno del gruppo, ormai si era integrato quasi totalmente e la prova definitiva era la sua presenza nel gruppo Whatsapp – come non l’avesse abbandonato dopo i primi 100 messaggi a raffica era un mistero – ma forse aveva ancora una visione abbastanza imparziale da permettergli di parlare senza farsi influenzare da una parte o dall’altra.
Ah, ma perché mai avrebbe dovuto infastidire Reiju solo per parlare a vanvera di tutti quegli stupidi pensieri? Mica era uno psicoterapeuta! Eppure a conti fatti l’idea di confidarcisi gli era venuta quasi spontanea, e qualcosa nella mente scattò facendogli ricordare che nelle settimane scorse ci si era confidato, e pure tanto. Che fosse per affinità o altro, non poteva negare che le sue conversazioni con Reiju fossero state molte più di quanto si era aspettato.
Perché la verità era che Reiju era interessante, estremamente interessante agli occhi di Kidd. Raramente riusciva a capire a fondo di cosa parlasse quando si riferiva alle disavventure dovute al suo genere, ma era interessante. Era bello vedere come si facesse strada giorno dopo giorno nonostante quell’insidioso problema che Kidd faticava a inquadrare, ma che lo faceva sembrare ogni giorno diverso, sempre con nuovi tratti e nuova forza. Era interessante vedere come a poco a poco Reiju si fosse aperto con Kidd, parlando della sua vita, della scuola, del lavoro del padre e dei fratelli, e come ultima cosa della chiusura mentale del padre, principale ostacolo alla sua libera espressione. Se all’Università, e in qualunque altro luogo in cui sarebbe potuta essere vista da un membro della sua famiglia, indossava solo gonne e vestitini, era perché il padre non accettava il suo vestirsi maschile. Davvero, avrebbero dovuto fare una gara al padre peggiore, lui e Doflamingo. Chissà chi avrebbe vinto.
E Kidd, non poteva non ammetterlo almeno a sé stesso, a sua volta si era ritrovato più e più volte a raccontargli del lavoro, di quel deficiente di Franky, dei suoi anni passati al liceo. Così non si sorprese neanche quando si accorse di aver preso in mano il cellulare, sul punto di aprire la rubrica e cercare il nome di Reiju. Ma bastò un’occhiata all’orario per desistere dall’intento. Magari in quel momento stava mangiando, o studiando, e in ogni caso non aveva senso disturbarlo per una cazzata del genere che avrebbe potuto benissimo aspettare qualche giorno. Quindi fu con estrema sorpresa che riabbassò gli occhi verso il cellulare per accorgersi che lo schermo si stava illuminando, segno di una chiamata in arrivo.
«Pronto, Reiju?»
«Ciao, Kidd» sussurrava quasi, probabilmente nel tentativo di suonare tranquillo, ma il tono agitato e triste allertò il rosso fin da subito. «Scusa se ti chiamo ora. Sei impegnato?»
«No, affatto» rispose prudente.
«Meno male. Avevo voglia di chiacchierare.» Sembrò sussultare appena mentre si sentivano in lontananza voci di persone che urlavano, ma riprese a parlare con voce incerta. Sembrava che si stesse sforzando al massimo per sorridere. «Come stai?»
«Bene. Tu?»
«Mh. Penso che potrebbe andare meglio.» Fece una piccola pausa in cui Kidd poté di nuovo ascoltare le voci ovattate. «Sono un po’ stanco, confuso.. » Il rosso lo sentì irrigidirsi mentre dei passi rimbombavano.
«Ma va tutto bene? Chi è che urla?»
«Oh sì tranquillo, va tutto bene.» Mentiva, eccome se mentiva, ma Kidd non sapeva come tirargli fuori la verità. Però i passi si facevano sempre più vicini, sempre più minacciosi, e Reiju continuava a parlare del più e del meno. «…le lezioni sono impegnative, per quanto sia un bravo studente mi è difficile abituarmi.» E adesso Kidd poteva sentire distintamente una voce maschile urlargli contro, intimargli di smetterla parlare così, di stare zitta.
«Reiju che sta succedendo?»
«Ma niente, ti dico che sono solo stanco. Sono dispiaciuto di disturbarti a quest’ora, ma-» e adesso Kidd ne era sicuro, stava insistendo volontariamente a usare pronomi maschili, con tono ostinato, una determinazione e una sicurezza che il rosso non poteva fare a meno di ammirare. E intanto l’altra voce aumentava e sovrastava quella di Reiju. «’arla finita con questa storia! Sei una donna, e resti una donna! Che cosa ti serve per capirlo?»
«Oi, chi è che ti sta urlando contro?»
«Padre, sto parlando con un amic- Spegni subito quel telefono e stammi a sentire! Ma chi ti credi di essere, a prendere in giro la tua famiglia comportandoti così?»
E Kidd sentì qualcosa ribollirgli dentro come fuoco mentre sentiva la voce di Reiju lamentarsi, come fosse stato spintonato, e la voce del padre farsi più lontana. «…’are zitta! …’mportarti bene!» Ebbe la visione del telefono che veniva lanciato via e istintivamente strinse il suo cellulare. Provò ancora a chiamare il suo nome ma non rispose nessuno.
«-on farmi usare le maniere forti e piantala subito con questa scenata!»
«Reiju! Che cazzo sta succedendo?!»
Ancora qualche urlo irato, Reiju in sottofondo che cercava di rispondere, poi la chiamata si interruppe, lasciando un silenzio troppo invadente. «Ma porca puttana! Reiju!» Kidd si alzò di scatto rovesciando la sedia e si precipitò verso la porta, le chiavi della macchina già in mano. Tremava di rabbia. Tutto in lui gli urlava di sbrigarsi, di correre, perché Reiju non l’aveva chiamato così a caso.
Il rumore assordante dei passi che si confondevano al fiato grosso furono tutto ciò che sentì mentre raggiungeva l’auto. Adesso iniziavano i guai, se lo sentiva.
 





***Angolo dell’autrice***
Ehilà! Pur sapendo che sarebbe potuta venire meglio, sono molto soddisfatta di questa storia. Ho cominciato a scriverla qualcosa come due settimane fa, cosa assolutamente rara per me che di solito scrivo tutto all’ultimo, e così ho avuto un po’ di tempo per modificare le cose, specialmente tagliare parti che per quanto carine, di fatto non servivano a niente.
A che serve la scena in cui Marco incontra i ragazzi dei Giochi Matematici, vi chiederete voi? Assolutamente a niente, ma un mio compagno della squadra di Matematica fa di cognome Montedoro e, accorgendomi del fatto che c’è un personaggio di nome Mont d’Or in One Piece, ho voluto fare un piccolo e stupido gioco di parole che capiranno soltanto in dieci e che, per quanto inutile, non avrei mai potuto aggiungere in qualche altra storia. Parlando della storia in sé, è divisa in due capitoli, e domani pubblicherò il secondo, così avrò scritto qualcosa per i 3Dyas of Pride sia per la giornata dedicata agli orientamenti che per le identità di genere.
È la prima volta che scrivo una Kidd/Reiju, devo dire che sono una coppia niente male. Beh, non ho altro da dire, spero solo che questo primo capitolo vi sia piaciuto!
Kalika

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


”Free
20 giugno: identità di genere – gender fluid


Capitolo 2


Il timer a forma di pulcino azzurro trillò e Shachi si alzò dal tavolo, lasciando in sospeso la sua ricerca al computer. Rigirò il sugo e pesto nella padella prima di scolare la pasta, poggiando poi pesantemente la pentola vuota nel lavello e sospirando. Era passata quasi una settimana e non aveva ancora trovato niente che potesse aiutarlo a schiodarsi da quella situazione.
D’altro canto, la convivenza con Marco si era rivelata oltremodo interessante. Aveva scoperto lati dell’amico che solo una lunga serie di giorni a stretto contatto nel suo ambiente naturale avrebbero mai potuto rivelare; alcune abitudini di cui Shachi era assolutamente certo di poter fare a meno di conoscere, come il girare per casa con solo un asciugamano addosso dopo aver fatto la doccia – e il sospetto era che l’asciugamano l’avesse soltanto per una questione di decenza nei confronti dell’ospite – altre più simpatiche, come il parlare alle pianticelle del terrazzo mentre le innaffiava, altre ancora strane o addirittura oscure. Ma il comportamento più insolito e tuttavia evidente era la sua costante, apparentemente incomprensibile, genuina e quasi ossessiva preoccupazione per il fatto che Izou non si faceva sentire da circa dieci giorni.
E va bene che in effetti Izou era solito dare notizie di sé almeno una volta al giorno e non mancava mai né di rispondere alle chiamate né di partecipare alle serate al Cocoyashi, ma era impossibile che un adulto grande e vaccinato come Marco non potesse capire che tutti passavano dei momenti in cui preferivano stare da soli o più semplicemente erano troppo impegnati per uscire.
Versò con cura la pasta scolata nella padella con il condimento e chiamò il coinquilino per avvisarlo che la cena era pronta. Marco arrivò nel giro di un minuto, cellulare all’orecchio e sguardo teso. Shachi gli lanciò un’occhiata indagatoria ma lui non rispose, continuando a camminare in cerchio in assoluto silenzio. Una manciata di secondi ancora, poi riabbassò il cellulare con un sospiro e andò ad apparecchiare la tavola mentre l’amico divideva la pasta nei due piatti di ceramica.
«Izou ancora non risponde?»
Marco sembrò esitare un attimo, quel tanto che bastava perché Shachi si chiedesse se era il caso di ripetere la domanda. «…già. Pensi che domani dovremmo andarlo a trovare?»
Il rosso si girò accigliato. Ma che gli prendeva? Non era lui il tipo che aveva sempre disdegnato le visite a sorpresa?
«Non saprei…» Cominciò prudentemente mentre si sedeva a tavola, percependo con la coda dell’occhio Marco alzare lo sguardo sorpreso. «Stiamo parlando di Izou. Se si trovasse in difficoltà ne parlerebbe con noi, no? Kidd ha detto che non si sentiva molto bene sabato, magari è solo pieno un periodo impegnativo all’Università.»
«Se così fosse, se ne sarebbe lamentato almeno una volta su Whatsapp.»
Shachi rigirò un po’ la pasta con la forchetta. Non negava che fosse un comportamento strano da parte di Izou, ma tutta quell’attenzione lo confondeva. Insomma okay, Marco e Izou erano migliori amici, ma c’era davvero un tale rapporto di dipendenza? «Forse è davvero tanto impegnato» tentò poco convinto. «Ma non ti sembra di star ingigantendo la questione?»
Si fissarono negli occhi, uno interrogativo e l’altro apparentemente impassibile. Marco sembrò sul punto di dire qualcosa, poi invece abbassò lo sguardo e commentò con tono strascicato. «Forse hai ragione.»
«No, no, aspetta un attimo! Che cos’era quello?»
«“Quello” cosa?»
«Quello sguardo!» Si sporse appena verso di lui, le sopracciglia corrugate nel tentativo di mettere insieme i pezzi. «Sarà che ormai ti conosco da anni o che in casa tua sei meno impassibile, ma è chiaro come il sole che volevi dire qualc…» Si bloccò in mezzo alla frase, un presentimento in testa. «Tu c’entri qualcosa col motivo per cui Izou è sparito? Non voglio farmi gli affari tuoi ma-»
«Non c’entro niente, te lo posso assicurare. E non ne so neanche il motivo.»
«Ma allora perché tutta questa apprensione?»
«Non sono apprensivo.»
Shachi alzò un sopracciglio. Davvero? Non aveva neanche un minimo di autocritica? «Comincio a pensare che Izou avesse ragione» incrociò le braccia al petto, la labbra già piegate in un sorriso scemo «Kidd si è fatto sostituire da un clone ed è partito per godersi il clima e le bellezze di Raftel qualche settimana fa, e l’hai seguito. Ma il clone che ho davanti non è affatto realistico.»
Marco sbuffò una risata, piantando gli occhi sul piatto di pasta mezzo vuoto. «Giuro che sono io.»
«E come puoi dimostrarlo?» Shachi continuò lo scherzo, preferendo alleggerire l’atmosfera che tirar fuori con le pinze qualunque fosse il segreto che Marco si portava dietro.
«Mh, vediamo» finse di rifletterci l’altro «Solo il vero Marco saprebbe che il mio cibo preferito è la torta all’ananas e il mio colore preferito è il verde acqua.»
«No, non è vero» lo sfidò Shachi intrecciando le dita con aria saputa «Questo potrebbe avertelo detto il vero Marco. Per convincermi devi aggiungere dettagli, darmi un contesto, dire cose che neanche io potrei conoscere…»
«Contesto dici…» stette al gioco il biondo «..la torta all’ananas è il dolce che preparava mia madre quando ero bambino, preferito non solo da me ma anche da papà e da Haruta, mentre il verde acqua è il mio colore preferito da… dalla festa di fine anno di secondo liceo, quando Izou indossò un kimono di quel colore decorato a foglie d’acero, e che altro posso dirti di segreto…» lanciò un’occhiata all’amico che lo osservava fingendosi giocosamente rapito dal suo racconto «…sono un fan accanito di Lie to Me e, per finire con un pizzico di piccante, l’assenza di Izou negli ultimi giorni è ampiamente compensata dalla sua presenza nei miei sogni erotici.»
Shachi si spalmò sulla sedia ridacchiando mentre si portava un bicchiere d’acqua alle labbra. «“Segreto” non vuol dire che ti puoi inventare la prima cosa che ti viene in mente! Ammesso che sia inventato perché altrimenti, amico, la mia diagnosi finale è che sei gay, e anzi sei molto, molto gay per Izou.»
«Già.»
L’acqua che Shachi stava bevendo invertì il suo corso e per poco non si riversò sul tavolo. «C-che cosa?» Ora sì che si collegava tutto. Ma possibile che dovesse scoprirlo così? Alzò lo sguardo verso l’amico per confermare ogni sospetto. «Ti piace Izou?»
Marco poggiò i gomiti sul tavolo guardandolo serafico. «Tanto sorpreso?»
L’altro lo guardò di traverso. «Be’, sì. Cioè no, voglio dire, se ci penso ha senso. Ora parecchie cose hanno senso. Quando pensavi di dircelo?»
L’espressione prima rilassata si indurì impercettibilmente. «Non programmavo di dirvelo.»
«Cosa? Perché? Non potete mica tenerlo nascosto in eterno!» Shachi lo sguardò confuso prima di realizzare la gaffe. «O Izou non…»
Marco distolse lo sguardo. «Izou non lo sa, e non intendo dirglielo» e fissò penetrante il rosso con un chiaro messaggio: tu non glielo dirai. Si alzò in piedi, iniziando a sparecchiare mentre concludeva il discorso con tono morbido. «Ci conosciamo da quando siamo alti così, e per me è insostituibile. Non voglio rovinare la nostra amicizia, siamo in perfetto equilibrio così e…» scrollò la testa guardando il vuoto «potresti non essere d’accordo ma non voglio rischiare. Forse è egoista, ma-»
«Ehi, ehi, è una tua decisione che riguarda la tua vita!» Shachi lo interruppe con un sorriso incoraggiante. «Non posso che appoggiarti, amico, davvero. Lo capisco.» Da premurosa la sua espressione si trasformò in quella da deficiente che aveva sempre prima di sparare qualcuna delle sue. «Ma sei proprio di conoscere bene Izou? Voglio dire, è parecchio impegnativo da sopportare. Voglio solo assicurarmi, eh!»
«Certe volte me lo chiedo anch’io» rise Marco complice. E Shachi lo guardò e si accorse che per la prima volta da giorni gli brillavano gli occhi. Adesso che lo sapeva, gli era inevitabile chiedersi come non se ne fosse accorto prima. Marco era assolutamente, totalmente, inequivocabilmente innamorato di Izou, e il fatto che sembrasse risorto dalle sue stesse ceneri mentre stavano lì a chiacchierare e scherzare sul moro ne era la prova. Vederlo così insolitamente allegro, pure se in un periodo complicato, era una gioia per gli occhi. Shachi si augurò genuinamente che un giorno Izou si accorgesse dell’effetto che aveva sul suo migliore amico, e che magari se ne prendesse le responsabilità.
«Comunque com’è che non mi hai mai parlato di Lie to me? Lo adoro anch’io!»
 
҉
 
Parcheggiò in doppia fila il più velocemente possibile non appena notò la figura di una persona seduta sui gradini di casa Vinsmoke, con i lampioni che la illuminavano abbastanza da poter distinguere gli inconfondibili capelli rosa.
«Reiju!»
Si avvicinò di corsa mentre i suoi occhi riconoscevano meglio le forme, a partire dalle sue braccia sottili che si abbracciavano le ginocchia e la testa reclinata verso il basso, che si mosse sorpresa quando si sentì chiamare.
«Che ti ha fatto? Stai bene?» Il tono agitato vagamente nascosto sotto uno strato di preoccupazione, Kidd si fiondò istintivamente accanto a lui e gli si sedette vicino. Gli prese con foga il viso tra le mani spostandolo in tutte le angolazioni, quasi temesse di star nascondendo qualche taglio o livido.
«Sto bene… oh! Ehi!» Reiju si liberò dalla presa sgranando gli occhi «Sto bene ho detto!»
Kidd continuò a fissarlo, non convinto. «Ma ho sentito… Ti stava urlando contro e-»
«Sì, mi stava urlando contro, ma non si azzarderebbe mai a colpirmi.» Abbassò le mani di Kidd che ancora erano bloccate a mezz’aria. «Non è violento. E soprattutto… per lui sono sempre una “dolce ragazza indifesa”.» Commentò amaramente.
«Quindi non sei ferita?»
«Ferito. E no, non lo sono.»
Kidd sentì un peso levarglisi dal cuore, e si concesse un respiro sollevato. Abbassò la testa, le mani ancora strette tra quelle di Reiju. «Non pensavo che la situazione fosse tanto tesa a casa tua.»
Lui scosse la testa girandosi a guardare il rosso. «Di solito è un po’ più tranquillo. Di solito fingo sempre di essere una ragazza, e casomai pensano che voglia solo vestirmi da maschiaccio.» Il tono di voce era calmo ma Kidd sentiva dentro di esso una tristezza incredibile, che gli placava ogni traccia di rabbia e gli faceva venire voglia di abbracciarlo. «Però certe volte non ce la faccio proprio a nascondermi.» Gli occhi si fecero più lucidi a ogni parola che passava.
«Certe volte vorrei gridare al mondo che in quel momento non sono una donna, e che voglio che nessuno mi tratti come tale. E poi invece se provo anche solo a usare una parola al maschile, mio padre inizia a urlarmi contro.»
Stava iniziando a parlare a ruota libera, a sfogarsi, e Kidd rimase in silenzio lasciandolo fare. Tremò, forse per il freddo forse per qualcos’altro, e strinse i pugni mentre sputava una parola avvelenata dopo l’altra. «Hai idea di come ci si sente a cambiare genere senza preavviso, e comunque essere obbligati a mostrarti sempre uguale?» Fece per guardare in faccia Kidd ma all’ultimo la testa gli crollò verso il basso. Non era più solo triste, era stanco.
«Non ne posso più di passare da una parte all’altra.» E la sua voce, che quasi sussurrava, iniziò a tremare di rabbia mentre le sue mani, prima ad abbracciarsi da solo le spalle, si passavano in rassegna il corpo con nervosismo. «E adesso non la voglio questa stupida voce acuta, e questa stupida gonna,» si toccò il petto all’altezza dei seni quasi con ribrezzo mentre la vista gli si appannava di lacrime «e queste… non ci faccio niente, non le voglio! Eppure fra qualche ora mi andranno bene! Ma perché non posso essere normale?»
Si sentì trascinare con impeto a sinistra e sussultò quando si ritrovò il viso contro il petto di Kidd, il suo braccio caldo a riscaldargli le spalle. Eustass non era mai stato bravo a confortare ma questa volta sapeva che non c’era bisogno di dire molto, e l’istinto aveva fatto il suo lavoro quando si era stretto l’amico. Lo sentì singhiozzare contro di lui e lo abbracciò più forte, poggiando il mento sulla sua testa, carezzandogli la schiena.
Rimasero un po’ così, in muta comprensione, fino a che Reiju non si mosse appena. Allora l’altro lo lasciò andare e gli scostò una ciocca di capelli dal viso mentre gli si avvicinava, un’idea sorta nella sua testa. «Non c’è niente di male a non essere normali. Prendi Izou!» Aggiunse, e Reiju rise tra le lacrime. «Lo dici tanto per dire.»
«Perché io sono proprio il tipo che mente per consolare la gente.» Non staccò per un istante gli occhi da Reiju mentre lui si asciugava gli occhi. «E poi te l’ho già detto una volta, ma a quanto pare non l’hai ascoltato abbastanza bene. Tu sei Reiju. Non importa quale sia il tuo genere. E se questo non ti aiuta per niente con la disforia, almeno sappi che io e Izou e tutti gli altri ci saremo sempre per sostenerti.» Una vocina nella sua testa si congratulò con lui per aver preso parte alle lezioni di Izou, grazie alle quali sapeva cosa fosse la disforia. Era un discorso motivazionale di merda, ma in qualche modo funzionò.
Aspettò che Reiju tornasse a sorridere prima di avvicinarsi un altro po’: «Sai cosa facciamo ora?» Gli chiese mentre si toglieva il giacchetto di pelle e glielo metteva sulle spalle. «Ora ti porto a fare un giro e ci compriamo vestiti per ogni occasione. Per quando sei maschio, per quando sei femmina, anche se mi sa che di quelli ne hai già tanti, per quando non sei niente e per quanto sei tutto.» Gli si seccò la gola alla fine della frase, perché si accorse che era sul punto di aggiungere qualcosa che non era assolutamente nel suo stile. Perché dai, quale razza di decerebrato avrebbe mai potuto pensare di dire a qualcuno “sei sempre il mio tutto”? Gli vennero i brividi solo all’idea. No, non aveva assolutamente pensato una cosa del genere e soprattutto non aveva pensato di dirla a Reiju. Assolutamente no.
«’nsavo non ti piacesse fare shopping.» Kidd si risvegliò quando Reiju si alzò in piedi, aspettando che il rosso facesse lo stesso per iniziare a camminare verso la macchina.
«E invece mi piace. Izou si veste come una donna ma a conti fatti se ne intende di vestiti, e insiste per accompagnarmi perché altrimenti “non saprei neanche abbinare una giacca a una cravatta”. Come se le indossassi, le cravatte.»
 
҉
 
Scostò il ciuffo rosato con un movimento del capo mentre faceva vagare gli occhi da una parte all’altra della vetrina alla ricerca di un dolce che attirasse la sua attenzione. Ah, eccolo finalmente! Un bel… «Vorrei uno di quei bignè al pistacchio, grazie» Qualcuno accanto a lei diede voce ai suoi pensieri con tono lievemente nasale. Si voltò alla sua destra per posare gli occhi sul ragazzo che a quanto pare stava già nel bar quando lei era entrata, ma che non aveva notato fino a pochi secondi prima. Strano, eppure di solito era piuttosto appariscente.
Reiju ripeté l’ordine per sé stessa prima di voltarsi sorridendo. «Ciao, Izou. È da un po’ che non ci vediamo.»
Lui si voltò a guardarla e alzò le sopracciglia sorpreso quando si accorse di lei, nascondendo alla meglio il nervosismo. «Buongiorno!» Il suo sorriso era tirato, ma Reiju lo ricambiò gentile senza esitazione. Uscirono insieme dal bar universitario. «Come va? Oggi “lei”, “lui” o “altro”?»
Reiju abbassò lo sguardo concentrata arricciando piacevolmente le labbra di fronte a quella premura tanto insolita quanto gradita. Rialzò gli occhi e si concesse qualche istante per osservare l’amico prima di rispondere. Il raccolto dei capelli meno ordinato del solito, i vestiti privi di colori sgargianti, due occhiaie da far paura. C’era decisamente qualcosa che non andava. «…Non so. Penso “lei”. Per ora, almeno.»
«E “lei” sia. Come mai qui?»
Raggiunsero una panchina e Reiju diede l’ultimo morso al bignè prima di sedersi composta. «Faccio uno spuntino prima della prossima lezione. La scorsa ora è stata piuttosto impegnativa. Devo chiedere a Marco gli appunti di… Tutto bene?»
Izou sollevò lo sguardo spento dalle punte dei piedi fino agli occhi cerulei della ragazza, conscio dell’espressione impossibile da reprimere che si era dipinta sulla sua faccia al solo sentire il nome “Marco”. Avrebbe voluto piangere ma l’aveva già fatto abbastanza negli ultimi giorni. Sospirò. «Oh certo, va tutto bene! Dicevi, della lezione?»
Reiju restò in silenzio ad osservarlo che si grattava l’angolo dell’occhio cercando di non rovinare l’eyeliner. Attese un attimo in silenzio. «Non è mio interesse immischiarmi nei tuoi affari, Izou» esordì pacata «..ma tu e i tuoi amici mi avete aiutata moltissimo in questo periodo.» Un flash nella sua testa le ricordò la serata di appena tre giorni prima, le ore passate a ridere e divertirsi con Kidd, che nonostante tutti i pronostici le aveva fatto fare lo shopping più fruttuoso e coinvolgente del secolo. Sentì qualcosa riscaldarle il cuore mentre nella testa le risuonavano le ultime parole di Kidd di quella serata, un augurio della buonanotte un po’ impacciato, la promessa di farsi chiamare se si fosse trovata in difficoltà, gli sguardi complici. Ma adesso doveva ricambiare il favore, se non a Kidd perlomeno al gruppo di amici che l’avevano accolta con tanto affetto. Inclinò appena la testa per guardare meglio il ragazzo che aveva di nuovo abbassato la testa. «E se c’è qualcosa che posso fare per aiutarti…»
Izou si stropicciò le mani mentre il suo ginocchio iniziava a muoversi su e giù con nervosismo. Gli occhi vagavano ovunque che non fosse Reiju. «Non per essere melodrammatico, anche se mi riesce molto bene, ma credo che nessuno possa aiutarmi.»
«È successo qualcosa tra te e Marco?» Reiju provò a insistere un’ultima volta, inconsapevole del campo minato in cui si era andata a cacciare. «Non conosco la situazione, ma… è normale litigare in una coppia.»
Il verso che fece Izou sembrava quello di un pollo a cui stavano per tirare il collo. «Rei-chan… io e Marco non stiamo insieme.» Abbozzò un sorriso quando vide la ragazza spalancare gli occhi sinceramente sorpresa. Neanche sapeva cosa provare. Reiju usciva con loro da settimane ormai, e aveva dato per scontato che lui e Marco fossero una coppia. Cosa significava? Gli stava davvero tanto appiccicato? Si sentì ridicolo. Aveva fatto bene ad allontanarsi. Sicuramente Marco si stava godendo tutto quel tempo in cui non doveva preoccuparsi che di abbracci senza preavviso o di stupidi nomignoli. Alla fine si era rivelato un bene che avesse sbagliato a digitare il numero di telefono, gli aveva aperto gli occhi. Però faceva un male…
«Perdonami, non…»
«No, non fa niente. Insomma, alla fine… è quello il problema.» Fissò di nuovo lo sguardo a terra con un sorriso sofferente. Quando lo rialzò Reiju lo guardava comprensiva, quasi materna. Izou si trovò a pensare che quella benedetta ragazza aveva riempito un vuoto che il suo gruppo di amici non sapeva di avere. Non pensava di voler parlare, eppure all’incrociare quello sguardo tranquillo la voglia di confidarsi salì prorompente. «È il mio migliore amico da sempre, siamo cresciuti insieme. Ci conosciamo alla perfezione, oserei dire che ci completiamo. Per me… Marco è praticamente perfetto.» Scosse la testa e sollevò un sopracciglio, sospirando piano. «Ma mi conosco. Per quanto Marco mi voglia bene, so che per lui non è lo stesso.»
Reiju non rispose, confusa. Tutto nell’atteggiamento di Marco, per quanto privo di enfasi, le aveva sempre suggerito il contrario. Le era impossibile dimenticare con quanto affetto il biondo guardava, quasi ammirava Izou in ogni momento, con quale delicatezza rispondeva agli abbracci del ragazzo, con quale muta complicità poggiava la testa sulla sua spalla quando era stanco.
«Ma io mi sono innamorato di lui.» Gli sembrò un miracolo riuscire a dirlo tutto d’un fiato senza che la voce lo tradisse. «Non è cambiato poi così molto rispetto a prima. Però, però qualcosa è cambiato e lo sento.» Alzò una mano, prima ancorata al bordo della panchina, per mimare con le dita quanto piccola fosse la quantità del cambiamento.
«E vuoi dirglielo?»
«Una parte di me lo vorrebbe gridare al mondo intero.» Sorrise genuinamente di fronte all’espressione incoraggiante di Reiju – sapeva bene cosa si provava – e un guizzo tornò nei suoi occhi. «Ma ho paura di cosa potrebbe succedere dopo, quindi non lo farò.»
La ragazza continuò a osservarlo alla ricerca della cosa giusta da dire. C’erano tante cose che non le quadravano, ma una era preponderante: «Perché sei sicuro che Marco non provi lo stesso?»
Izou sgranò gli occhi e indietreggiò appena con la testa, poi indicò sé stesso con le mani e l’espressione più basita del mondo. «Rei-chan, guardami!»
Reiju si accigliò. Cosa voleva dire?
«Sono la persona più eccentrica dell’universo! Non passa giorno senza che qualcuno mi insulti perché mi comporto o mi vesto “troppo da gay”!» Ricalcò l’ultima frase facendo le virgolette con le mani. «Marco è calmo e perfetto e dice sempre la cosa giusta al momento giusto, e io non so mai quando tenere la bocca chiusa o come sembrare normale! Sono insopportabile! E anche se nessuno mi apprezza, io mi piaccio così come sono.» Si fermò per riprendere fiato, ma non appena si accorse che Reiju stava per dire qualcosa riprese a parlare se possibile ancora più velocemente. «E a Marco sicuramente piacciono le persone calme e perfette come lui, ma io non voglio cambiare, neanche se è per lui.» La voce gli si incrinò appena mentre cercava il modo di concludere. «Per questo non ha senso che glielo dica. Io sono fatto così e-»
«Izou ma cosa dici?»
Izou sentì le sue mani ancora a mezz’aria venire prese con delicatezza da quelle di Reiju, e si fermò un attimo quando il tono allarmato superò il suo. «E-eh?»
«Pensi davvero tutto questo?» L’espressione del ragazzo si fece seria all’improvviso e Reiju gli strinse le mani. «Non è vero che nessuno ti apprezza, Izou. Hai un gruppo di amici che ti ama così come sei. Nessuno di noi pensa che tu sia insopportabile. Meno che mai Marco. Sei eccentrico, e allora?»
«Ma…»
«Pensi davvero che una persona come Marco starebbe in un gruppo di persone casinare e senza speranze come il nostro se non gli piacesse?»
Izou abbassò lo sguardo colpito, come se ci avesse pensato solo in quel momento. «No, ma questo non significa che-»
«L’hai detto tu stesso, Marco è il tuo migliore amico. Dentro di te sai benissimo che non potrebbe mai pensare tutte quelle brutte cose che hai detto.» Sorrise appena mentre Izou la fissava con l’insicurezza negli occhi. Gli carezzò piano una guancia.
«Nessuno mi accettava prima di conoscere voi, quindi so bene che la gente non si fa problemi a rifiutare chi non gli piace. Izou, sei perfetto così come sei e lo sai anche tu. Lo sappiamo tutti, quindi penso proprio che dovresti prendere un po’ di coraggio e dire a Marco ciò che hai detto a me. Oh, dai, non piangere!»
«Come se mi avessi lasciato altra scelta! Oh andiamo, che l’eyeliner si rovina! Fermatevi, lacrime!» Izou alzò lo sguardo al cielo e si sventolò teatralmente la faccia con le mani mentre un sorrisone gli sorgeva spontaneo sul volto. «Cosa sei, una strega? Come hai fatto?» Si voltò a guardare Reiju con gli occhi lucidi e due grosse lacrime che marciavano verso il mento, e la ragazza scoppiò a ridere sollevata, salvo bloccarsi sorpresa quando l’altro le si fiondò addosso per abbracciarla. «Grazie. Grazie, grazie, grazie.» tirò appena su col naso mentre le sussurrava all’orecchio. «Forse avevo giusto bisogno di una dose di autostima.»
Reiju sospirò carezzandogli la schiena. «Lo penso anch’io. Adesso vai.»
 
҉
 
Si sciacquò il viso con l’acqua fredda stando attento a non bagnare il contorno occhi. Quando sollevò la testa e si osservò allo specchio, il rossore del viso se n’era andato. Si sistemò al volo l’eyeliner, guardandosi critico. Non era minimamente presentabile se messo in confronto ai suoi giorni migliori, ma non era il momento di fermarsi ai dettagli. Si rilegò i capelli, prese un grosso respiro e uscì dal bagno a passo deciso.
A quell’ora Marco sarebbe dovuto essere sul punto di finire l’ultima lezione, quindi si diresse con calma verso il parcheggio. Arrivato, adocchiò la moto del biondo, ma di lui nessuna traccia. Passò giusto qualche minuto a girare in tondo prima che si decidesse a raggiungere a piedi il Dipartimento di Lingue. L’impazienza lo stava uccidendo forse più della paura del rifiuto.
A metà strada lo intravide, svettante nel suo metro e quasi novanta, l’andatura controllata. Gli camminò incontro stropicciandosi le mani. Oddio, ma che stava facendo? Era davvero sicuro di voler continuare? Non era meglio girare i tacchi e continuare a ignorarlo?
No che non è meglio, non hai visto come ti sei ridotto? Gli rispose qualcosa nel petto, che normalmente avrebbe chiamato cuore ma che aveva l’ambigua e inquietante intonazione di Kidd incazzato. Prese l’ennesimo respiro e chiamò la sua attenzione. «Marco-chan!»
Non appena lo vide, Marco sembrò ghiacciarsi sul posto. Ma solo per un secondo, perché subito dopo aveva aumentato esponenzialmente l’andatura e l’aveva raggiunto in tre falcate. Anzi Izou ebbe l’impressione che stesse per investirlo, se non si fosse fermato giusto a pochi centimetri dai suoi piedi. E la stessa cosa successe al suo viso, passò dal sorpreso al preoccupato all’impassibile in poche frazioni di secondo, per non parlare delle sue mani che sembravano sul punto di abbracciarlo e stringerlo e invece all’ultimo erano ridiscese pacate lungo i fianchi e Izou ebbe appena il tempo di registrare la cosa che già gli parlava. «Stai bene?»
No, non proprio. Mi sono innamorato di te e ho provato ad allontanarmi per non darti fastidio, ma sto malissimo, e voglio chiarire la questione. La bocca già aperta, la frase ben chiara in mente e in attesa di trovare le parole migliori per esprimerla, ma il cervello andò in blackout di fronte all’espressione indecifrabile con cui Marco lo guardava. Senza parole, confuso, come di fronte a un intricato dipinto, e si avvicinava sempre di più.
E quando Izou tornò in sé, sentì l’eco delle sue parole ripetersi in gola. Cosa era successo? Aveva parlato? No, impossibile. Aveva solo pensato quelle cose, giusto? Doveva sbrigarsi o tutta la sua forza di volontà sarebbe scivolata via dal suo corpo, si sarebbe riversata in un tombino e avrebbe coronato il sogno d’amore di due topi di fogna. «Marco, io-»
Poi la mano di Marco carezzò la sua, l’afferrò con dolcezza, e l’altra intanto andava a sfiorare la sua guancia. Poi Marco si chinò e posò le sue labbra su quelle di Izou, che rimase immobile per un lungo, lunghissimo, interminabile secondo pieno di sorpresa ed elucubrazioni mentali. Ma allora aveva parlato? Qualcuno gli poteva spiegare cosa era successo?
Ma la sete di conoscenza passò in secondo piano quando percepì la mano di Marco muoversi pianissimo e posarsi sulla sua nuca, per sostenerlo e attirarlo a sé. Sentì il cuore battere forte, fortissimo, e le guance andare a fuoco quando Marco si allontanò di qualche centimetro e lo guardò intenso. Sorrideva. Sorrideva e le sue labbra erano bellissime, invitanti come sempre ma con qualcosa in più adesso che sapeva che sorridevano solo per lui. Alzò a sua volta le mani e vi circondò il volto di Marco prima di tirarlo di nuovo a sé in un altro delicatissimo bacio. Dio, quant’era bello. Sembrava tutto bellissimo, il vento, gli uccellini che cantavano, anche il vociare degli studenti attorno a loro, e Izou non aveva dubbi che anche avesse piovuto o nevicato o fatto burrasca sarebbe stato comunque bellissimo. E rispose al sorriso con uno altrettanto radioso, anzi di più, e si perse qualche istante negli occhi indaco in cui si era già perso innumerevoli milioni di volte prima di poggiare la testa sulla spalla di Marco e abbracciarlo. Marco lo baciò di nuovo. Era ottenebrante. Le gambe gli tremavano, il cuore rimbombava all’impazzata. Tutto il suo corpo esplodeva di felicità.
 
҉
 
«Hai preparato un discorso?»
Reiju sistemò il poggiatesta dell’auto di Kidd alla sua altezza prima di rispondere con una scrollata di spalle. «Niente di particolare. Le cose da dire le so, e Sanji sa ascoltare attentamente.»
Era una giornata importante. Reiju aveva preso il coraggio a quattro mani e aveva deciso di spiegare per filo e per segno la sua identità di genere a uno dei suoi fratelli. Quel giorno si sentiva particolarmente euforica, un po’ per la sua decisione, un po’ per il discorso avuto poco prima con Izou. Era sicura che, se non per entrambi, almeno per uno di loro due la giornata si sarebbe conclusa felicemente.
«Siamo quasi arrivati. La prossima a destra, poi è dietro l’angolo. C’è il parcheggio interno.»
Il rosso seguì le indicazioni dopo aver scoccato giusto un’occhiata alla ragazza, poi parcheggiò con calma. Uscirono entrambi dall’auto mettendosi uno accanto all’altra prima di varcare la soglia.
Gli All Blue 66 avevano tutti un arredamento tipico e riconoscibile, ma i particolari variavano in base al gestore singolare. Quello di Sanji aveva la carta da parati di un azzurro pallido decorato da stampe marine tono su tono e da stelle marina gialle intense, quasi a voler unire il cielo all’oceano. L’ambiente era caldo e accogliente.
Reiju guidò Kidd verso la cucina, dove il fratello era impegnato a decorare una serie di dolci con della glassa al cioccolato. «Reiju?»
«Ciao. Devo parlarti.»
Sanji terminò gli ultimi dessert prima di voltarsi totalmente verso la ragazza e darle tutta la sua attenzione. «Dimmi pure. È qualcosa di importante?»
«Sì.» Fece un piccolo passo verso Kidd, senza accorgersi dell’occhiata che il fratello aveva lanciato al rosso, poi iniziò a spiegare. Non ci mise tanto, giusto il tempo di spiegare i termini principali. Sanji non staccò gli occhi da lei neanche un secondo.
«Quindi non è una ricerca di attenzioni, o un volersi vestire da maschiaccio.» Commentò infine. Sembrava che gli si fosse aperto un mondo. Reiju lo guardò con un sorriso tenue. «Già.»
«Nostro padre non capirebbe.»
«No. Non ora.»
Rimasero entrambi in silenzio per qualche secondo. Poi Sanji riprese la parola. «Perché me l’hai detto?»
Lei scrollò le spalle. «Sentivo il bisogno di dirlo a qualcuno. Qualcuno che avrebbe potuto aiutarmi a casa.»
Sanji le sorrise rassicurante. «Hai tutto il mio appoggio. E penso che con il tempo anche gli altri diranno lo stesso.» Si voltò verso il bancone dei dolci, come a voler indicare che doveva continuare a lavorare, e Reiju seppe che la conversazione era finita.
Si voltò verso Kidd, già prossimo a uscire dalla cucina. Non c’erano stati abbracci, lacrime, dichiarazioni d’amore fraterno – non era nello stile dei Vinsmoke, dopotutto – ma Reiju si sentiva felice. Fare coming out non era solo questione di avere un alleato in casa, qualcuno con cui parlare. Così facendo aveva affermato sé stessa, aveva dichiarato la sua identità anche nell’ambiente familiare in cui era sempre stata abituata a nascondersi. Era felice, tanto felice, al punto che se fosse stata un po’ meno introversa si sarebbe anche permessa di abbracciare Kidd o lo stesso fratello. E la sua allegria aumentò quando Sanji la richiamò mentre era sull’uscita della cucina, come se si fosse appena ricordato di qualcosa di importante. «Reiju! Puoi dire a quel tuo amico che stiamo cercando un cameriere.»
 
҉
 
 
Il citofono risuonò all’improvviso. Shachi chiuse il pc e andò a rispondere, chiedendosi chi potesse essere. Marco non aveva invitato nessuno a quanto ne sapeva. Forse aveva dimenticato le chiavi di casa?
«Chi è?»
«Siamo noi! Abbiamo buone notizie da darti!» La voce di Reiju più squillante del solito risuonò con allegria.
«Vi apro subito!»
Tempo un minuto, e Kidd e Reiju erano davanti alla porta.
«Beh? Non tenetemi sulle spine.»
Shachi iniziò a versare loro del tè – limone per Kidd, verde per Reiju – mentre si accomodavano e la ragazza spiegava in fretta: «Ho chiesto ai miei fratelli se avessero bisogno di qualcuno che lavorasse da loro. Al ristorante di mio fratello Sanji manca un cameriere. Ho fatto il tuo nome.»
Shachi la guardò senza parole mentre il tè iniziava a fuori uscire dalla tazza. «Co…cosa?»
Reiju sorrise mentre Kidd guardava l’amico incrociando le braccia con un ghigno saputo sulle labbra. «Ti ho trovato un lavoro. Il colloquio è lunedì alle 11, ti invio subito la posizione su Whatsapp. Se gli vai bene, e non ho dubbi che lo farai, puoi cominciare il giorno stesso.»
Shachi abbassò la testa senza fiato. Poi la sorpresa lasciò posto alla gioia, e un sorrisone gli spuntò sul volto. Reiju socchiuse gli occhi. «Sai di chi sono figlia, vero? Non per farti la paternale, ma forse se ci avessi detto prima dei tuoi problemi sarei riuscita a sistemarti anche prima.»
Shachi iniziò a ridere incredulo mentre Kidd commentava con la delicatezza di sempre. «L’ho sempre saputo io che eri un coglione.»
Lo era davvero. Si prese la faccia tra le mani mentre Reiju aggiungeva qualche spiegazione. «Non te l’ho detto prima perché non volevo illuderti nel caso non avessi risolto niente. Ma ci sono cinque All Blue 66 in Sabaody e la fortuna a quanto pare ha girato dalla tua parte.»
Shachi alzò finalmente gli occhi su di lei. «È… è fantastico. Non so come ringraziarti.»
«Magari questa volta non nasconderci niente, sì?» intervenne il rosso mentre Reiju agitava la mano e sorrideva. «Davvero, basta questo» confermò lei.
«Sì ma-» La conversazione si interruppe all’improvviso quando da fuori la porta dell’appartamento risuonò uno strano rumore.
«L’avete sentito anche voi?»
Tutti e tre rimasero in silenzio fino a che non si ripresentò.
«Ma che è?»
Shachi fece appena qualche passo in avanti, visibilmente confuso: «Sembra quasi il rumore di un gatto che graffia alla porta.»
«Sì ma di un gatto alto due metri.» Commentò in un soffio Reiju, stringendosi nelle spalle quando l’altro si girò con un’espressione basita. «Forse è solo qualcuno nel pianerottolo?»
Stavano quasi per convincersi quando si ripropose il rumore di un tonfo che veniva inconfondibilmente dal lato opposto della porta che tutti e tre stavano fissando.
«Il gatto ha lanciato un gomitolo gigante contro la porta.» Provò ad allentare la tensione Shachi, impresa fallita quando la maniglia della porta iniziò a tremare come se qualcuno stesse cercando di forzarla. Possibile che un ladro stesse tentando di entrare proprio quando c’erano non una, non due ma ben tre persone in casa, di cui nessuna di loro era l’effettivo proprietario?
Reiju si mosse istintivamente all’indietro mentre Kidd avanzava, facendole da scudo, e si guardava intorno alla ricerca di qualcosa che potesse usare come arma. Il tempo di adocchiare la lampada sul mobiletto all’entrata, che il rumore delle chiavi che si infilavano nella toppa lo bloccò sul posto.
Tutti e tre fecero qualche passo indietro e si ghiacciarono sul posto quando la porta si aprì e richiuse freneticamente facendo entrare un groviglio di arti e vestiti che solo successivamente riconobbero come Marco e Izou. Marco e Izou ora addossati alla porta, presumibilmente nella stessa posizione che fino a pochi istanti prima avevano sul pianerottolo, con il biondo che bloccava l’altro contro la porta e lo sommergeva di baci, le mani che pur delicate scorrevano dappertutto.
«Ah-ehm.»
Marco e Izou che stavano pomiciando con tutta la passione del mondo, probabilmente con l’intenzione di recuperare quello stesso giorno tutti gli anni persi a girarsi attorno, e totalmente  inconsapevoli degli sguardi dei loro amici, tutti e tre indecisi se cercare di attirare la loro attenzione o se, visto il tentativo già andato a vuoto, potevano considerare di aprire la porta su cui Marco stava spalmando Izou e uscire dall’appartamento senza che i due si accorgessero di niente.
«Ah-ehm!» Kidd alzò la voce, preferendo però allontanarsi ancora. Finalmente scorse Izou che allungava il collo e li guardava, scoccando loro l’occhiata più infastidita che riuscisse a fare prima di realizzare e sgranare gli occhi: «Ah! Ma-Marco! Ci sono-» Si fece piccolo piccolo mentre il biondo si girava, li notava a sua volta e, con un tempo di reazione esemplare, si schiacciava impercettibilmente contro l’altro come a nasconderlo. «Ciao, persone che non abitano qui e Shachi.»
E con tutta la tranquillità del mondo, come se non fossero appena stati colti nel bel mezzo di quello che sarebbe diventato aneddoto storico e motivo di infinite prese per il culo, afferrò Izou per i fianchi e se lo trascinò contro un’altra parete dell’ingresso, invitando poi con la mano gli amici a uscire. «A meno che non vogliate accomodarvi e versarvi un tè.»
«Ah io ho già visto abbastanza! Ci vediamo al bar!» Kidd si fiondò verso la porta come una furia, arpionando Reiju per il braccio e trascinandosela dietro mentre lei, gli occhi accesi di puro divertimento, faceva segno a Shachi di chiudere la fila e seguirli lungo le scale.
«Tu c’entri qualcosa vero?»
«No, non direi» sorrise incrociando lo sguardo con Kidd «era chiaro come il sole che si piacessero a vicenda, non ho dovuto fare niente.» E quando vide che il rosso aveva staccato gli occhi da lei, seppe che li stava alzando verso Shachi, che con tutta probabilità aveva la stessa espressione interrogativa in faccia. Non si preoccupò neanche di nascondere un sospiro esasperato mentre raggiungevano il portone d’ingresso e uscivano.
Rimasero tutti e tre fermi per qualche secondo, un po’ per pigrizia, un po’ per elaborare le tante notizie della giornata. Il semaforo della strada di fronte aveva già cambiato colore per la terza volta quando Shachi si riscosse, stiracchiandosi e guardando verso gli altri due: «Beh, io vado a farmi un giro. Ci vediamo al bar stasera, sì?» E dopo il cenno d’assenso di Kidd, aggiunse con un sorriso sghembo «Per quanto ne so, Marco e Izou potrebbero essere ancora impegnati per le otto, magari pure per la notte. Se non scendono al bar, mi dai asilo per la notte?»
«Normalmente ti riderei in faccia, ma l’idea di farti dormire con Marco e Izou che ci danno dentro nella stanza accanto fa rabbrividire anche un cuore di pietra come me. Preparo il divano.»
Si salutarono con un cenno divertito, e Kidd e Reiju rimasero a guardare la schiena di Shachi che si allontanava, tornati nella trance di poco prima.
Quante cose erano successe nel giro di neanche un mese. Shachi aveva nascosto loro la sua condizione economica per chissà quanto tempo, e ora si trovava con un lavoro stabile in uno dei più ricchi ristoranti di Sabaody. Un po’ di segreti andavano bene ma nascondere troppe cose agli amici era sempre un’arma a doppio taglio, e l’aveva imparato a sue spese.
Izou non pensava che i suoi amici lo apprezzassero per quello che era. Una mancanza sempre coperta dall’atteggiamento allegro e baldanzoso, tanto che i suoi amici, che comunque mai avevano mostrato una particolare capacità d’osservazione, non avevano sospettato niente.
Marco, che sembrava tanto sicuro di sé, temeva di poter perdere l’amicizia con Izou e preferiva limitarsi a vivere una vita ad ammirarlo a distanza, a nascondere il suo amore. Finalmente aveva capito che forse valeva la pena tentare, o quantomeno aprire gli occhi.
E Reiju, Reiju era forte, era bellissima. Kidd la guardava e le prime cose che gli passavano in testa non erano gli errori, le paure, le insicurezze di quella ragazza. Reiju ai suoi occhi era bellissima, e quando sarebbe stato un maschio sarebbe stato bellissimo, e quando non sarebbe stato né maschio né femmina sarebbe comunque stato spettacolare, magari un termine neutro, bellissimum o qualche altra stronzata in latino, tanto il concetto era quello. Reiju che quando l’aveva conosciuta tutto ciò che cercava era stabilità, e invece era stata quella che aveva dato una fottuta sistemata a quel gruppo di amici scapestrati.
Reiju che gli aveva insegnato a non fermarsi alle apparenze, a informarsi su ciò che non conosceva, a cercare di comprendere anche chi gli sembrava incomprensibile, a pensare prima di agire. Kidd aveva sì imparato a non lasciarsi sempre trascinare dalle emozioni ma per una volta si permise di seguire i suoi impulsi, avvicinandosi a lei e prendendola per i fianchi, fissandola negli occhi quel tanto che bastava per farle capire le sue intenzioni prima di trarla ancora più vicino a sé e baciarla. Chiuse gli occhi, percependo la ragazza che alzava le braccia a cingergli il collo. Si allontanò lentamente. «E cosa farai quando sarò un maschio?» lo sfidò con un sorriso sornione.
Kidd la strinse ancora rispondendo al suo sguardo con un ghigno mal trattenuto, sussurrandole sulle labbra per concludere con eleganza: «Tu sei tu. Non me ne fregherà un cazzo.»
 




 
***Angolo dell’autrice***
Finita! È la prima volta che finisco una long, se long si può definire avendo solo due capitoli, quindi mettere la spunta su “completa” è davvero emozionante. Penso che avrei potuto fare molto di meglio quindi sono sicura che prima o poi riprenderò in mano questa storia e la sistemerò, ma per ora sono felice e soddisfatta di averla conclusa. Spero che a voi sia piaciuta leggerla tanto quanto a me è piaciuta scriverla.
Come al solito vi invito a scrivermi una recensione per farmi sapere cosa ne pensate, se vi è piaciuta, se pensate che avrei potuto aggiungere, levare o modificare parti, tutto ciò che vi passa per la testa, a me fa solo piacere leggere le opinioni dei lettori.
A presto!
Kalika

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