Soul Contract: Obscure Requiem

di Riikah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Pelo Rosso ***
Capitolo 3: *** Predatore o Preda ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Nella mitologia antica si credeva che ogni corpo fosse in grado di assumere una forma umana dotata di poteri magici e dell'immortalità, a condizione di ricevere a tal fine sufficiente energia, ricavata per esempio, dal respiro umano e dall'essenza della Luna o del Sole. Le prime popolazioni nomadi supposero che solo una creatura scelta dal cielo avrebbe potuto ricevere il dono della lunga vita, e oltre a poter modificare la propria forma, sarebbe stata in grado di saper controllare i poteri della natura. Quando l'uomo iniziò ad esplorare l'ambiente che lo circondava, ottenendo consapevolezza e familiarità dell'esistenza di centinaia di piante e animali diversi attorno a lui, il Popolo dei Cieli inviò nelle foreste una creatura differente da tutte le altre; una volpe a nove code. Gli anziani più saggi percepirono l'essere come sovrannaturale e divino, mandato in segno di fortuna e di pace. Anche le semplici volpi terrene dotate di grande intelligenza furono venerate come vere e proprie divinità celestiali e benevole, sia dai Popoli delle Foreste e sia dai Popoli delle Montagne, e grazie a ciò riuscirono a convivere armoniosamente con tutti gli esseri umani.

Nei periodi invernali le volpi risiedevano in montagna, per poi scendere a valle in primavera durante la stagione agricola, ed erano solite avvicinarsi alle abitazioni per portare prosperità al nuovo raccolto. Molti santuari furono costruiti e dedicati a questi animali, in modo tale che i devoti avessero l'opportunità di offrire del cibo e dei regali in cambio di fortuna e protezione. Erano infatti considerate di buon auspicio, in grado di allontanare il male e agire da spiriti guardiani proteggendo le persone del posto. Si pensava fossero capaci di respingere tutto ciò che conduceva le persone alla tentazione e al peccato, impedendo l'ingresso dell'energia demoniaca nel mondo terreno. Alcune particolari volpi invece, raramente, potevano scegliere di stabilirsi nelle case e diventare famigli spirituali, usando la magia, se in grado, a beneficio dei loro compagni o padroni, affinché questi le trattassero con rispetto. Queste creature però non condividevano la morale umana e perciò venivano giudicate anche con sospetto e diffidenza, poiché capitava di introdurre negli alloggi dei padroni degli oggetti rubati da altre famiglie. Non era considerato insolito se a volte truffavano coloro pieni di orgoglio e vanità, come contadini o commercianti, indistintamente dal rango sociale. Inoltre, solo poche fortunate persone riuscivano ad osservarne la trasformazione umana. Nonostante questo, in poco tempo e da entrambi i Popoli furono riconosciute come protettrici del sangue reale e portatrici di presagi rivoluzionari.

Tutto cambiò quando gli uomini iniziarono ad usufruire dei loro poteri come segno di prestigio. La gelosia e l'avidità si diffusero molto velocemente, e la creatura intoccabile e sacra di un tempo divenne un oggetto di ambizione, un desiderio comune anche per un semplice cittadino che aspirava ad una vita migliore. Detenere una volpe con più code o anche solo in grado di utilizzare la magia, portava un immenso potere che nessuno si sarebbe mai potuto immaginare. Le volpi capirono tardi che in realtà tutti gli uomini possedevano anime impure ed era ormai impossibile allontanarli dal male. Decisero quindi di ritirarsi nei boschi diventando ancora più ricercate. I villaggi con gli anni crebbero, i santuari furono dimenticati e le volpi rimasero nei ricordi e nei desideri delle persone, le stesse che tramandarono storie e svilupparono leggende ammirate dai giovani, finché il mito divenne mistero e tutto si trasformò in tragedia.

 

 

 

Un nuovo regno nacque quando sia i Popoli delle Foreste e sia i Popoli delle Montagne stabilirono di trasferirsi a valle per coalizzarsi in un'unica grande civiltà. Gli obiettivi principali di questa alleanza erano l'espansione territoriale e la costruzione di abitazioni migliori, lo sviluppo e la crescita interiore del proprio essere, ed infine la collaborazione e la ricerca. Il glorioso Re Chae Byeongho era un uomo astuto e calcolatore che raggiunta metà della propria vita non sembrò più invecchiare, proveniente dalla dinastia reale dei Popoli delle Montagne, regnava ormai su quello che era diventato un potente impero insieme alla moglie, la giovane e invidiata Regina Minjee, proveniente invece dalla dinastia reale dei Popoli delle Foreste, mostrata spesso al suo fianco e piena di gioielli. Avevano sempre desiderato il meglio per il loro popolo, e come una grande famiglia cercavano di rendere soddisfatto ogni cittadino.

Un giorno iniziarono ad arrivare al lussuoso e splendente palazzo reale, realizzato proprio al centro dell'impero in modo tale che i raggi dell'alba lo potessero illuminare, segnalazioni di strani avvistamenti e di persone scomparse e poi ritrovate morte ai confini della città. Il Re decise di organizzare una perlustrazione nei boschi circostanti insieme ad alcuni dei guerrieri migliori, addestrati e comandati da suo fratello minore appena ventenne, Kangdae. Trascorsero lunghe mattinate e lunghe serate alla ricerca di qualcosa a loro sconosciuto, finché durante un tramonto il Re incontrò la creatura più bella che avesse mai visto durante la sua intera esistenza, una volpe dal pelo argentato che possedeva ben nove code. Meravigliato e spaventato al tempo stesso dall'animale cercò di avvicinarsi incuriosito, ma ella impaurita della presenza umana fuggì via. 

Byeongho decise di tornare al palazzo reale, senza mai smettere di pensare alla creatura incontrata e a quanto volesse possederla. In balia dei propri desideri ordinò a suo fratello Kangdae di catturarla, e pochi giorni dopo l'ordine ricevuto il diligente fratello gli consegnò la volpe, trovata aggirarsi silenziosamente intorno ai mercati alla probabile ricerca di cibo. Byeongho era consapevole delle capacità possedute dalla creatura, descritte da centinaia di miti e leggende, e non essendo diverso dal suo popolo, desiderò anche lui impossessarsi del divino potere a cui tutti aspiravano, per poter affermare la sua posizione di Re tanto ammirata e bramata; ma la volpe rifiutò di sottomettersi all'uomo, non mostrando mai ne i poteri e ne la trasformazione umana. Il Re inizialmente si sentì deluso e arrabbiato nei confronti della creatura, ma nonostante l'avesse imprigionata nei sotterranei per i suoi scopi, non si comportò mai in modo violento, si mostrò anzi gentile e leale, dedito a rivelarle con onestà la persona che realmente si nascondeva dietro quella corona.

Dopo lunghi mesi di prigionia, una donna dai lunghi capelli rossi e dagli occhi color miele apparve al posto della volpe. Byeongho si ritrovò una seconda volta ammaliato da quella bellezza nascosta, tale da farlo innamorare perdutamente, e a sua sorpresa anche la donna volpe ricambiò i sentimenti e la gentilezza ricevuta. Ma la segreta storia d'amore tra i due, appartenenti a specie diverse, non sembrò durare. La Regina Minjee scoppiò in lacrime quando catturò i due amanti nella propria camera, e per vendicarsi del marito, il quale aveva promesso di non tradirla mai nonostante non potesse concedergli eredi, decise di raccontare al popolo che il Re si trovava attualmente sotto la possessione di uno spirito volpe, ed era lui stesso il vero responsabile degli strani avvistamenti e delle recenti morti e scomparse.

Byeongho rimase scioccato dalle accuse ricevute da parte della moglie, e comprese di non poter più continuare a nascondere la volpe nei sotterranei. Minjee creò caos, proteste e ribellioni tra i cittadini per interi giorni a causa della propria gelosia, ma ancora non soddisfatta, ordinò a Kangdae, che era preoccupato per suo fratello, di formare un gruppo di cacciatori speciali per poter abbattere la volpe. I cacciatori si riunirono al castello in poco tempo grazie all'odore della volpe fiutato dai cani, e ostacolarono la fuga in corso dei due amanti. Lo scontro portò molto più spargimento di sangue previsto; il Re sacrificò la vita per poter proteggere la volpe, colei che accecata dalla rabbia e dal dolore per la perdita, strappò il cuore dal petto della Regina, per poi mangiarlo e fuggendo nei boschi. Kangdae, prossimo ormai al comando, inseguì e uccise il mostro che aveva causato la perdita delle due persone più care e importanti per lui, e riferì al popolo la triste verità accaduta. La visione della volpe cambiò radicalmente nella mente delle persone; erano descritte e considerate come demoni in grado di cambiare aspetto e vivere per centinaia di anni, poiché il risultato di una grande longevità e di un enorme accumulo di energia. Erano agili, maliziose e in grado di manifestare emozioni umane, dall'appetito insaziabile e dalla natura sfuggente, dotate di abbastanza fascino per sedurre gli uomini allo scopo di sfruttarli e poter mangiare i loro cuori. Tutti iniziarono a soprannominarle Kumiho.

Numerosi villaggi e città furono ricostruiti dopo "la Tragedia", e mentre alcuni cittadini si allontanarono dalla capitale sperando di poter sfuggire a tali creature spaventose, altri invece viaggiarono fuori dall'impero poiché insoddisfatti delle scelte del giovane nuovo Re. Infine mentre alcuni lo sostennero e aiutarono, una minima parte la quale interpretò la morte dei reali come una punizione divina, si trasferì di nuovo nelle foreste e nelle montagne per proteggere le volpi. Il nuovo Re Kangdae, che da quel giorno mai si separò dalla corona d'oro poggiata sui suoi lunghi capelli scuri, continuò a serbare dentro di se ira e rancore nei confronti delle Kumiho. Kangdae mantenne il gruppo di cacciatori speciali al suo servizio e ordinò la costruzione di una base adatta all'arruolamento dei giovani volontari combattenti tra il suo popolo, al fine di proteggere l'impero e uccidere ogni volpe esistente e sterminarne così la specie. La caccia era iniziata.

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Capitolo 2
*** Pelo Rosso ***


Cercare di mantenere la calma e la pazienza si stava dimostrando sempre più difficile, soprattutto per un ragazzo dal temperamento come il suo. Nonostante avesse immaginato scene simili almeno un centinaio di volte nella propria testa quasi tutte le sere, il pensiero di non sentirsi abbastanza pronto gli ritornava spesso alla mente. Si domandava se mai un giorno avrebbe potuto finalmente considerarsi “pronto”, specialmente con un allenamento per più di vent’anni alle spalle. Insomma, non era di certo la prima volta ma le sensazioni provate non cambiavano mai.

Ogni respiro d’agitazione lasciava poca pausa al prossimo, frenetico e pesante, e ogni goccia di sudore tracciava i morbidi lineamenti del viso. Ciò che odiava di più era quel dannato e fastidioso tremore alle mani, che mai cessava di smettere o di diminuire. Anzi, più passavano i lunghi minuti per lui infiniti, e più l’unica cosa che diminuiva era la concentrazione. Alcune ciocche di capelli corvini iniziarono ad inumidirsi dal sudore e ad appiccicarsi sulle pieghe della fronte aggrottata. In realtà odiava anche la leggera brezza che si occupava di accarezzargli la faccia e, senza consenso, gli spostava accidentalmente la frangia, permettendole di infastidire il campo visivo. I muscoli erano tesi, dolenti e pervasi da uno strano formicolio e al tempo stesso dall’adrenalina. Le dita impugnavano saldamente la superficie dell’arco ricurvo in legno di quercia, la corda era tesa e tratteneva la fatale freccia che da lì a poco avrebbe rubato una vita. In quel momento non si preoccupò di essersi allontanato un po’ troppo dagli altri due ragazzi.

Sentendosi ormai all’apice inspirò un’ultima volta l’odore della natura attorno a lui, e lasciò andare con velocità la pressione della mano sulla corda. Precisa e scattante. La freccia aveva sferzato l’aria in un battito di ciglia, trapassando con successo il corpo dell’animale a pochi metri lontano. La bestia emise un basso e addolorato lamento e in un istante crollò sul terreno. Prima che il ragazzo potesse rendersi conto della situazione, fu stordito da uno sparo non molto distante che creò un eco nell’intera foresta. Cacciatori, pensò. Bastò quell’attimo a turbare tutta la tranquillità del bosco.

Come un predatore il ragazzo si avvicinò in silenzio alla sua preda, un nobile cervo rossastro con macchie bianche e dalle corna simili ad enormi rami d’albero. Se non gli piacevano le persone non significava che non gli piacessero anche gli animali, e se qualche volta cacciava per procurarsi da mangiare, esigeva da se stesso e da chiunque altro un lavoro pulito e indolore, per quanto possibile. Non era il tipo che godeva per la sofferenza altrui, o almeno, non sempre. Sapeva però che la morte non era mai indolore per nessun essere e nemmeno per gli animali, dopotutto questo era il ciclo della vita e conosceva abbastanza bene le leggi della natura. Dopo aver inghiottito giù per la gola bile mista a quel poco di rimorso formato per aver tolto l’ennesima vita a qualcuno, dedicò un breve momento di silenzio al cervo, per poi estrarre la freccia che aveva trapassato perfettamente il collo dell’animale ormai coloratosi di un rosso scarlatto. Il ragazzo decise di dirigersi verso i continui spari, sempre più vicini, provenienti dal cuore della foresta, lasciando per ora incustodito il corpo della sua preda.



 


Il sole continuava a filtrare attraverso i rami degli alberi più alti, mentre il vento soffiava sempre più forte fino ad indurre lentamente le foglie primaverili sul terreno, facendole depositare insieme alle altre. Fino a qualche momento prima, le cicale si trovavano accomodate su ogni tipo di pianta e non cessavano nemmeno un secondo di cantare, mentre gli uccelli danzavano con leggerezza nel cielo da una nuvola all’altra, cinguettando tra di loro senza tregua. L’acqua del fiume scorreva instancabilmente e trasportava assieme alla corrente ogni tipo di abitante marino, e non si curava di una piccola creatura che stava soddisfacendo con calma la propria sete.

Il suono appena percettibile della cartuccia inserita nel fucile da caccia rimbombava nelle orecchie dell’animale, e ad un tratto tutto si fermò. L’udito degli animali non ingannava mai, e sapeva di non potersi sbagliare, perché riconosceva quel suono e questa consapevolezza raggiunse tutto il suo corpo in due secondi, fino a fargli congelare il sangue nelle vene. Rimase bloccato a fissare il proprio riflesso nel fiume, forse nei suoi ultimi attimi di vita, mentre raccoglieva con la lingua le piccole gocce d’acqua fresca residue sul muso. Le orecchie si agitarono freneticamente in tutte le direzioni, cercando di cogliere la posizione esatta del cacciatore, o molto più probabilmente dei cacciatori. Anche se circondato, nessuno gli avrebbe potuto togliere un’ultima possibilità di vivere. Ma il piccolo corpo bloccato e tremante non stava collaborando, e aveva bisogno di molto più coraggio di quanto ne avesse mai avuto. Doveva fuggire, e subito.

Con una spinta di adrenalina scattò e iniziò a correre, portando le zampe posteriori davanti a quelle anteriori per una maggiore velocità. Sperò solo di non trovarsi ancora nel loro mirino. Fuggire sembrava essere diventata una specialità. Il primo sparo colpì il terreno appena si mosse, sfiorandolo, mentre centinaia di uccelli spaventati volarono via dai loro nidi e le cicale smisero di cantare. Il secondo sparo invece, colpì il tronco di un albero. Smise di contarli fino al quinto, quando capì che fossero presenti molti più cacciatori di quel che sperava. Ora era sicuro che non ne sarebbe mai uscito vivo. Cercò di eluderli con una serie di cambiamenti di direzione, passando per i cespugli e saltando da una roccia ad un’altra.

La foresta era diventata ormai silenziosa e dominata dai loro passi, dalle loro urla e dal riecheggio di ogni colpo di fucile che provava ad ucciderlo. I cacciatori dalle vesti color castagna continuarono ad inseguirlo instancabilmente con i fucili, e avrebbe potuto giurare che se non a causa degli spari, sarebbe comunque morto dalla fatica. Il cuore gli batteva freneticamente contro la cassa toracica, e il respiro iniziava a mancare sempre di più. Ogni muscolo e fibra del suo essere lo stavano pian piano abbandonando, le ossa sembravano consumarsi e in procinto di sgretolarsi da un momento all’altro. La vista iniziò ad essere sfocata e lampi di ricordi della sua vita gli passarono davanti; alti e possenti alberi, campi di fiori profumati, profonde tane e limpidi laghi. La fitta lancinante di dolore che percepiva alla zampa posteriore stava peggiorando ogni secondo che passava, ed era ciò che lo manteneva vivo e dolorante. Quando gli avevano sparato?

Perdendosi in quei pensieri, si accorse tardi che le zampe non stavano più toccando il suolo. L’esausto animale rotolò giù da un’alta discesa, atterrando su un morbido ammasso di foglie verdi e secche. Scuotendo il corpo per liberarsi dalle foglie indesiderate, scrutò. Questa sarebbe stata l’unica possibilità; da ciò che aveva potuto ascoltare i cacciatori si erano trovati costretti ad intraprendere un diverso sentiero, regalandogli abbastanza tempo per nascondersi o al massimo per mimetizzarsi, d’altronde la ferita alla zampa non lo avrebbe portato molto lontano. Ma dopo aver notato la zampa dolorante rimasta bloccata da uno spesso spago intorcinato ad un albero, aveva capito che niente sarebbe andato come immaginato. Una trappola. Si sentiva davvero troppo debole per provare a liberarsi, infatti i denti non riuscirono a scalfire neanche la metà della corda.

Un soffice lamento di dolore gli fuoriuscì dalla bocca. Non poteva accettare di morire in questo modo. Si guardò intorno alla ricerca di una soluzione o di un’alternativa, analizzando la situazione. Purtroppo però non si trovava nelle migliori condizioni; gli occhi faticavano a rimanere aperti e la mente sembrava in procinto di annebbiarsi in qualsiasi istante, a causa della perdita di sangue. La gola era un totale deserto arido e i cuscinetti delle zampe erano consumati e sanguinanti, per non parlare della ferita. Neanche leccandola sarebbe potuta guarire in tempo. Ma la sua attenzione fu catturata all’improvviso dal lieve rumore dei ramoscelli che si spezzavano e dalle foglie scricchiolanti. Osservò un uomo che, inaspettatamente, uscì fuori dai cespugli. Eccolo, sarà lui l’umano che mi ucciderà, realizzò.

Entrambi sorpresi della presenza dell’altro rimasero immobili, esaminandosi per qualche secondo. Il giovane era un ragazzo dai capelli incasinati color carbone, con la pelle pallida simile alla porcellana e un viso rotondo che incorniciava due piccole pozze nere allungate, e un naso a bottone. Non aveva per niente una corporatura robusta e non era neanche molto alto. Un elegante arco sbucava da dietro la schiena, inserito dentro una faretra insieme ad alcune frecce. Dalla cintura invece era riposto un coltello e da una custodia pendeva un’arma, una pistola dorata. Brividi di paura percorsero tutta la pelliccia dell’animale, alzandogli il pelo fino alla punta della coda. Un qualche essere superiore stava desiderando ardentemente la sua morte quel giorno. Il ragazzo provò ad avvicinarsi notando la zampa ferita, ma invano perché la creatura arricciò il muso mostrando dei lunghi e affilati canini, abbassò le orecchie ed emise un basso ringhio d’avvertimento, assomigliante più ad un sibilo. Le labbra del ragazzo si serrarono in una linea ferma, mentre il profumo di caffè mescolato ad un pizzico di menta aveva pervaso le narici dell’animale.

«Se avessi voluto ucciderti l’avrei già fatto, pelo rosso.» Le parole sussurrate uscirono in modo molto più duro di come avesse previsto il giovane, e convinto di non essere stato affatto convincente, riprovò più dolcemente.

«So che hai paura di me, ma non voglio farti del male.» Qualcosa era spaventosamente affascinante nel pericolo per gli animali. Questa era la sopravvivenza, una continua sfida eccitante; procurarsi tutti i giorni il proprio cibo, rizzare il pelo ad ogni minimo rumore e temere gli umani. Il ragazzo non poteva biasimarlo, era a conoscenza dell’esistenza di umani gentili e onesti, ma come poteva sapere se avrebbe potuto davvero fidarsi di lui?

«Lascia che ti aiuti.» Parlò di nuovo l’aggressore, alzando le mani e mostrandole vuote in segno di pace. La voce risultò ruvida e profonda, poco adatta ai suoi lineamenti ma adatta al suo sguardo freddo. Forse non era un cacciatore, rifletté l’animale paralizzato dall’ansia. Il mantello che indossava era nero e un cappuccio ricopriva a malapena il viso, e soprattutto del fucile non ce n’era traccia. Poi tutto accadde lentamente. L’umano provò di nuovo ad avvicinarsi, e con cautela allungò il braccio verso la zampa ferita dell’altro, che rispose con l’ennesimo ringhio di paura ma non si mosse. L’uomo afferrò lo spago tra il pollice e l’indice della sua mano, e senza mai distogliere lo sguardo da quello terrorizzato dell’animale, evocò una piccola fiamma di fuoco blu tra le dita che bruciò la corda. Le vene si illuminarono di un azzurro scuro e profondo, come se il fuoco le avesse letteralmente attraversate.

Appena la zampa fu liberata la creatura sconvolta ne approfittò per scappare via zoppicando, ma non si accorse di aver lasciato cadere qualcosa sul terriccio, proveniente dall’interno della coda. Anche il ragazzo, udendo le voci dei cacciatori, decise di tornare indietro a riprendere il cervo. Ma qualcosa gli attirò l’attenzione; la piccola sfera lucente appartenente a quello scaltro pelo rosso. Rigirandosela tra le dita, in un attimo capì. Un lato del labbro si arricciò all’insù, formando un sapiente ghigno. L’animale non sarebbe potuto andare molto lontano, ne era sicuro. Intraprendendo il percorso verso casa si accorse che il cervo sembrava essere scomparso, ma non riusciva a sentirsi arrabbiato, perché non smetteva un secondo di pensare che quel giorno aveva ottenuto qualcosa di molto, molto più prezioso di un cervo.

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Capitolo 3
*** Predatore o Preda ***


«Yoongi, ti rendi conto di cosa hai fatto?!»

La furia del ragazzo era di solito incontrollabile, e mentre cercava di riprendere fiato, non allontanò mai lo sguardo dall’amico nominato. Quest’ultimo si trovava, apparentemente, in una posizione rilassata. L’uomo era appoggiato con la schiena contro la parete in legno e teneva gli occhi chiusi, in realtà in attesa di accogliere l’arrivo sia di un feroce mal di testa, e sia del rimpianto per aver convocato tutto l’equipaggio. Non era in questo modo che aveva immaginato il suo ritorno a bordo, quel giorno. Per Yoongi l’unico luogo degno di essere definito “casa” era il dirigibile Astro. Simile ad un piccolo regno in grado di ospitare la prima e unica famiglia che avesse mai avuto, ossia i cinque compagni di viaggio. Non solo il veliero aveva salvato la vita a lui e ai suoi amici garantendo loro una via d’uscita dalla base dei Cacciatori di Khorford, ma era diventato in tutto e per tutto un alleato in grado di portarli a centinaia di metri d’altezza e letteralmente in qualsiasi angolo del mondo ancora inesplorato. L’averlo rubato era giusto un piccolo dettaglio insignificante su cui i due ragazzi più giovani scherzavano sempre, definendolo invece “un prestito”. Namjoon però, puntualizzava spesso il fatto che il furto fosse invece qualcos’altro; diceva che dopotutto l’Astro gli appartenesse, perché prima di loro nessuno a Khorford l’aveva ancora mai pilotato.

Khorford rappresentava la punta di una possente piramide; era il più grande e importante impero mai formatosi, poiché aveva accolto la Prima Dinastia dei Reali dopo l’Alleanza dei Popoli. Il regno possedeva anche la più estesa milizia dei Cacciatori tra i reami presenti, ovvero una base dove venivano arruolati e addestrati giovani adolescenti, i quali aspiravano a proteggere i propri cari, ad uccidere le entità demoniache che minacciavano l’umanità, vale a dire le Kumiho. I generali della base dei Cacciatori di Khorford insegnavano alle loro nuove reclute parole come educazione e rispetto, coraggio, solidarietà, dignità e sacrificio. Era necessario infatti rispettare i superiori e gli ordini da loro impartiti, e d’obbligo occorreva superare la propria paura per il nemico; non bisognava lasciarsi sopraffare dalle emozioni, che spesso potevano risultare come uno dei più grandi ostacoli. Gli obiettivi da comprendere e da ricordare erano semplici ma necessari; dover rendersi sempre utile al prossimo e promettere l’impegno in qualsiasi situazione, essere coscienti di meritare onori per una buona causa, e capire di starsi sacrificando per dei giusti valori. La pratica era la parte più importante; veniva insegnato come maneggiare un fucile, un arco, una balestra, una spada e anche semplicemente un coltello o qualsiasi altra arma che avrebbe potuto salvare una vita ed ucciderne un’altra.

Dopo anni di addestramento, apprendimento e continui test su come proteggersi dai poteri nemici, aumentava l’opportunità di inserimento in una squadra studiata appositamente per completare ogni debolezza dei singoli prescelti. La base assegnava un piccolo dirigibile alle squadre e le inviava nelle foreste varie volte, anche a migliaia di chilometri lontano da casa e famiglie, e lì il gruppo avrebbe iniziato la cosiddetta “caccia ai demoni”; una missione di sopravvivenza in boschi mai visitati prima, dove ogni recluta avrebbe messo in atto conoscenze e capacità, anche semplicemente accendendo fuochi o proteggendosi dagli animali selvatici. I componenti dell’Astro erano quindi stati decisi e studiati dalla base di Khorford, infatti ognuno di loro all’inizio fu nient’altro che uno sconosciuto per l’altro. Ma nonostante le evidenti differenze caratteriali, i ragazzi si erano ritrovati insieme come una squadra di Cacciatori e siccome in nessun altro modo avrebbero potuto cambiare ciò, l’unica soluzione fu quella di imparare a collaborare.

Conoscendosi e aiutandosi durante le prime missioni, compresero insieme molte verità di cui all’inizio ne ignoravano la completa esistenza. Ogni missione e ogni ordine dei superiori risultò sempre più strano, quasi sbagliato. Educazione, rispetto, coraggio, solidarietà, dignità e sacrificio avevano ottenuto significati ben diversi e non tutto quel mucchio di bugie che gli era sempre stato inculcato nella testa fin da giovani. Quel giorno fu stravolgente e inaspettato, e il loro futuro tramutò in qualcosa di ben diverso da quello immaginato, dopo tutti gli anni trascorsi a Khorford. Prima di allora, non avrebbero mai pensato di possedere talmente tanto coraggio da rubare il dirigibile Astro e volare lontano dalla capitale. Ma non furono gli unici, perché molti dirigibili tradirono la fiducia del Re e dei comandanti.

«Yoongi puoi smetterla di ignorarmi?» La richiesta uscì nuovamente dalla voce esasperata di Seokjin, ma con una tonalità molto più alta rispetto alla precedente domanda. Il resto dell’equipaggio, completamente ammutolito e impallidito, si era ormai del tutto radunato nella cabina principale, l’ufficio del capitano, del dirigibile Astro al momento ancorato sulla terraferma. Ogni componente si stava lanciando veloci occhiate ciascuno, insicuri se un qualsiasi loro commento avrebbe solo che peggiorato la situazione anziché migliorarla. Erano in grado di poter percepire nell’aria l’imminente scontro che sarebbe avvenuto a breve tra l’insistenza di un tornado e la forza di un vulcano.

Durante gli anni a Khorford, Yoongi aveva ottenuto il titolo del tipo “solitario e scontroso”, infatti più volte aveva fatto intendere che se ne avesse avuto l’opportunità, avrebbe di gran lunga preferito lavorare da solo, senza ritrovarsi obbligato a dover condividere i suoi spazi con sconosciuti dalle personalità totalmente opposte. Ma non era stato così semplice, perché ogni membro si completava, e Yoongi aveva bisogno di loro. Ci fu chi, più velocemente di altri, si abituò al suo atteggiamento freddo e distaccato, scoprendo che se Yoongi riusciva a tollerare la presenza di qualcuno, significava che in fondo ci teneva, e se ne prendeva cura in silenzio. Infatti dopo aver trascorso molti anni insieme, cacciando, dormendo, mangiando e praticamente respirando lo stesso ossigeno, nemmeno poteva negare che fossero diventate per lui le persone più importanti e vicine. Quindi si poteva affermare che fosse in grado di sopportarli. Ormai si potevano definire una sorta di famiglia anche se non di sangue, ma di certo questo non stava a significare che si amassero e sostenessero a vicenda qualunque cosa facessero. Anzi, forse erano maggiori le occasioni in cui discutevano e litigavano per le idee diverse e i pensieri contrastanti, che quelle volte in cui si appoggiavano. Nonostante tutto Yoongi avrebbe ucciso per difenderli, avrebbe lottato per ognuno di loro com’era già successo in passato, e sapeva che si trattasse di un patto non dichiarato ma valido per tutti. Si sarebbero protetti e aiutati in qualsiasi occasione e lasciati persino uccidere per salvare l’altro, se necessario.

«Sono qui, Min Yoongi! Non hai nemmeno il coraggio di guardarmi, adesso?» L’ira di Seokjin aveva ormai pervaso tutte le pareti dell’intera stanza. Yoongi sapeva che se il suo silenzio si fosse prolungato qualche secondo in più, probabilmente il ragazzo lo avrebbe ucciso in quel momento, se solo ci fosse riuscito.

Dopo aver emesso un lungo e basso brontolio, rispose annoiato. «Grazie per averci onorato della tua presenza, Seokjin. Ti vedo e ti sto ascoltando.» Aprendo uno dei suoi occhi chiusi, offrì una veloce occhiata al ragazzo con le braccia conserte e al resto dei compagni. Notò che dopo la sua risposta, l’equipaggio sembrò leggermente più rilassato. Jungkook non li guardava più come se fosse un animale impaurito, e Taehyung aveva finito di staccarsi la pellicina del dito con i denti. Anche Namjoon smise di tamburellare l’indice e il medio sul tavolo. Solo l’oscillare delle gambe di Hoseok, che era l’unico seduto, non cessò.

«Sei tu quello che deve ringraziare Jungkook e Taehyung per essere riusciti a procurarci la cena, visto che siamo a corto di scorte.» Yoongi sbuffò alla provocazione per poi interromperlo, ma non osando guardare i due ragazzi interpellati.

«Ti ho già detto che non so chi diavolo abbia preso il mio cervo, mi sono distratto.» Il tono della sua voce si spense verso la fine. Nonostante fosse la verità, magari se non avesse agito impulsivamente, la faccenda sarebbe finita in modo diverso e con più carne per cena. Si morse leggermente il labbro inferiore e continuò a roteare il coltello tra le dita.

«Non mi interessa! hai riportato la sfera di un Kumiho al posto di un cervo, sei per caso impazzito? Sai cosa significa? Quella volpe ti verrà a cercare! Ci stai mettendo in pericolo e solo perché hai già incontrato un Kumiho, non vuol dire che saranno tutti gentili con te.» Poche volte Seokjin si era mostrato così turbato. La pressione aumentava a dismisura e il sangue circolò a massima velocità. La sua faccia e le sue orecchie erano talmente arrossate che sembrarono andare a fuoco, e non smetteva un attimo di strizzare gli occhi dal nervosismo. Yoongi invece, cercò di rimanere il più calmo possibile. Trovava esagerato il comportamento dell’amico in certe situazioni. In fondo però, si stava chiedendo se avesse davvero esagerato lui questa volta. Le parole di Seokjin caddero nel vuoto, seguite da un profondo silenzio e dal cipiglio pensieroso di Yoongi, occupato a fissare le travi del pavimento.

Sul dirigibile Astro ogni componente aveva ricevuto sin da Khorford un proprio ruolo, e il ruolo di Yoongi potrebbe brevemente essere definito come capitano, grazie al carattere intrepido. Nonostante impartisse lui decisioni e comandi, le scelte più difficili e importanti venivano discusse in gruppo, così da poter ascoltare tutte le opinioni e soprattutto gli efficaci consigli di Namjoon. In più Yoongi, se ne aveva l’opportunità, prendeva volentieri parte alla caccia per la procura del cibo con i più giovani, Jungkook e Taehyung. Ogni ruolo assegnato a Khorford era sempre rimasto il medesimo, e alcune volte ci si provava ad insegnare le attività a vicenda, per migliorare le proprie capacità. Non c’era un ruolo migliore, più importante o più faticoso di un altro a bordo dell’Astro, i lavori dovevano essere rispettati in ugual modo. Seokjin era coraggioso, forse quello più schietto e deciso, l’unico che non reprimeva mai qualsiasi pensiero verso il capitano, o meglio, non gli interessava affatto contenersi davanti ad un Min Yoongi dal temperamento spesso bollente.

Dopo che Yoongi raccontò brevemente del cervo, dei Cacciatori e del Kumiho, aveva mostrato ai compagni la sfera sottratta all’animale, poggiandola sul tavolo e ricevendo da tutti uno sguardo sorpreso e sbalordito. Gli spari dei Cacciatori lo avevano avvertito della loro medesima presenza e di una probabile volpe nei paraggi, ma mai onestamente si sarebbe aspettato, proprio in quella foresta, un Kumiho. Non voleva dimenticarsi di quella scena, ne tanto meno di quella sensazione speciale, di quel brivido alla schiena trasmesso dagli occhi dell’animale impaurito, che lo fissava aspettando un solo passo falso. I suoi occhi erano come un fuoco danzante che bruciava in tutta gloria, pieni di orrore e in totale ricerca di anche solo una minima traccia di tradimento nelle parole dell’umano.

L’aspetto del demone era uguale a quello di una comune e semplice volpe, ma la sfera fu ciò che lo tradì. La creatura dal corpo piccolo e snello si stagliava tra una miriade di foglie con un pelo arancione intenso, sporco e leggermente arruffato. La gola e l’addome dell’animale avevano delle sfumature grigio biancastre, mentre le zampe posteriori e anteriori erano nere come la punta delle orecchie e l’estremità della coda. Quest’ultima era davvero folta e sproporzionata, grande quasi il doppio rispetto al resto del corpo, e agitata si muoveva come una fiamma a causa dell’estranea presenza. Il muso era appuntito e le grandi orecchie erette potevano probabilmente catturare il respiro irrequieto di Yoongi. Guardando più attentamente, il ragazzo notò che una delle zampe della bestia era ferita, sanguinante e rimasta intrappolata da uno spago. In ogni caso non aveva dovuto fare chissà quale grande sforzo per aiutarla. La creatura era anche stata fortunata, visto che Yoongi in pochi mesi era riuscito a padroneggiare il potere delle fiamme blu. Ma se solo la volpe non avesse commesso quell’errore, facendo cadere la preziosa sfera, l’animale avrebbe avuto la fortuna di non rivederlo mai più. Yoongi a stento credeva di aver davvero salvato la vita ad un Kumiho, ed era sicuro che quel demone se ne sarebbe ricordato. Ciò, poteva significare una sola cosa; l’animale era in debito nei suoi confronti. Non capitava spesso di avere la fortuna dalla sua parte, e di certo non si sarebbe lasciato sfuggire un’opportunità del genere.

«Sicuramente ti salterà addosso dalla gioia quando ti vedrà, magari ti leccherà la faccia come fa Nun.» Mormorò sarcasticamente Seokjin, più a se stesso che a Yoongi, rompendo il silenzio e osservando il compagno più giovane accarezzare l’animale. Il cane pastore dal lungo pelo bianco e dalle orecchie abbassate, abbaiò due volte al richiamo del proprio nome, mentre si trovava stretto nell’abbraccio di Jungkook.

«Quella creatura ci aiuterà, me lo deve.» Disse schietto e convinto Yoongi, ignorando il precedente commento dell’altro.

«Oh non mi dire che- stai davvero pensando che lo farà? È una creatura selvaggia, appartiene alla foresta. Siamo stati allenati per uccidere, non per contrattare.» Seokjin guardò Namjoon per avere il l’appoggio dell’uomo, ma la mente più razionale dell’equipaggio aveva uno sguardo vacante e riflessivo, e prima che potesse aggiungere qualsiasi cosa, Yoongi aveva deciso di esprimere ad alta voce i successivi pensieri.

«Hai un’idea migliore? Perché se ce l’hai, Seokjin, sei pregato di farcela sapere. Abbiamo già avuto questa conversazione quando abbiamo abbandonato Khorford più di un anno fa, ed eravamo tutti d’accordo. Non abbiamo fatto nessun progresso da allora, e oggi si è presentata l’occasione perfetta, proprio nelle nostre mani. Ricorda che lo stiamo facendo anche per loro.» Seokjin scosse la testa, passandosi una mano tra i capelli e sospirando. «La trovo ancora un’idea assurda, Namjoon?»

«Possiamo provarci.» Iniziò Namjoon, aggiustandosi i piccoli occhiali rotondi sul naso. «Non era così che doveva andare, è vero ma è esattamente ciò che cerchiamo, un Kumiho dalla nostra parte. Abbiamo vagato per i cieli un intero anno, senza sapere dove davvero iniziare a cercare. Non si fiderà facilmente di noi, questo è certo, visto che quella sfera è letteralmente la manifestazione fisica della loro forza vitale, e Yoongi gliel’ha rubata.»

«Rubata? Yoongi non si terrà la sfera. Non è prestare questo?» Aveva interrotto chiedendo con innocenza Taehyung, e sollevando un sopracciglio in direzione di Jungkook, il quale scrollò le spalle. Il capitano si pizzicò il ponte del naso. I ragazzi avrebbero dovuto aggiornare i loro significati dei concetti “rubare” e “prendere in prestito”, una volta per tutte.

«Io penso solo che ci vorrà del tempo.» Affermò Jungkook, rivolgendosi a Seokjin per suggerirgli l’effettiva possibilità. «Se capirà perché l’abbiamo fatto sono sicuro che dopo ci vorrà aiutare, come ha detto Yoongi, è una cosa che lo riguarda, non può tirarsi indietro.»

«E se non vorrà lo stesso? Ad esempio, quando gli racconteremo la verità potrebbe non credere alle nostre parole.» Hoseok, che era stranamente rimasto in silenzio per tutta la discussione, decise di dar voce alla sua preoccupazione, attirando l’attenzione di tutti.

«Non credo che si rifiuterà, ma se davvero dubiterà di noi possiamo sempre chiedere un favore in cambio della sfera, visto che è la sua anima e morirà se non la riavrà indietro.» Propose il più giovane mentre ancora coccolava Nun, ora insieme a Taehyung.

«Hoseok potrebbe aver ragione. Poi, un favore potrebbe essere troppo debole e non bastare. Nemmeno noi sappiamo a cosa stiamo andando incontro, non penso che prometterà niente se sente di star rischiando per la sua vita. Non possiamo nemmeno tenerci la sfera fin quando tutto sarà finito e poi ridargliela.» Parlò Namjoon, lisciandosi il mento. «A meno che..» Anche se la fine della frase non arrivò mai, tutti a bordo avevano capito cosa stesse insinuando il compagno. Il ragazzo guardò Yoongi come se fosse colpevole di ciò che aveva pensato, ma il capitano con semplicità annuì.

«State davvero insinuando ciò che penso? Se lo state facendo, continuo a non essere d’accordo.» Seokjin aveva chiuso gli occhi e sospirato di nuovo, le sue spalle si erano afflosciate verso l’interno in segno di sconfitta ma la sua espressione preoccupata non scivolò via nemmeno un secondo dalla faccia, e nonostante non ci fosse più nulla da decidere, borbottò. «E’ uno scherzo? Non ci posso credere, così lo obbligheremo. Non sappiamo nemmeno che potere abbia, potrebbe ucciderci tutti in un secondo.»

«Quindi è deciso? Un Kumiho viaggerà con noi? Ma è fantastico, non vedo l’ora!» Urlò eccitato Taehyung, battendo le mani e smorzando la pesante atmosfera.

«Quella è l’idea, però mai dare nulla per certo quando si tratta di Kumiho. Potrebbero non essere tutti uguali, ma questo non li rende meno pericolosi.» Disse Hoseok, cercando di contenere l’emozioni dell’amico e annunciando l’ovvio, provando a mascherare la propria felicità. «Immagino che questa notte dormiremo sulla terraferma, miei cari.» Il ragazzo timoniere era un controsenso vivente. Tutti sapevano quanto, dopotutto, non apprezzasse le altezze ma nessuno era riuscito a capire perché, nonostante la paura, fosse così bravo a pilotare l’Astro e a mantenere sempre un largo sorriso. Namjoon si avvicinò a Seokjin accarezzandogli la schiena per rincuorarlo, e dopo le ultime occhiate di consenso ognuno tornò alle proprie postazioni.

La notte calò molto velocemente, ma del Kumiho non se ne vedeva nemmeno l’ombra. Yoongi era l’unico membro dell’equipaggio ancora sveglio, e aspettava seduto sul bordo dell’Astro, mentre roteava di continuo la sfera bianca tra le mani. Questo era un nuovo e recente vizio; quando era annoiato o nervoso faceva roteare qualsiasi oggetto gli capitasse a tiro. Non conosceva il motivo preciso del perché riuscisse a distrarlo. Ma finché lo aiutava, perché non approfittarne. Osservando il cielo scuro e senza nuvole, si avvicinò la sfera al petto e notò come apparisse simile ad una piccola Luna in suo possesso. Per Yoongi era stato un peccato che quella sera non fossero visibili ne le stelle ne le costellazioni che aveva tanto amato e cercato quand’era un bambino. Le aveva sempre trovate come una delle pochissime cose che chiunque avrebbe potuto apprezzare. Non importava quanto piccole fossero, erano lo stesso in grado di emanare una potente luce e creare delle bellissime figure su un’infinita tela creata solo per loro. Riflettendo, durante la breve discussione che aveva avuto poco prima a bordo, si era un po’ sentito in colpa per come avesse trattato Seokjin. Aveva capito che l’uomo fosse semplicemente preoccupato, oltre che esagerato. Il ragazzo era sì molto coraggioso, ma non amava rischiare. Soprattutto quando si trattava di decidere azioni che avrebbero potuto danneggiare la vita dei compagni. Non era che Yoongi fosse meno protettivo o che non lo avesse affatto preso in considerazione, ma non avrebbe mai portato qualcosa di altamente pericoloso anche per lui stesso. Erano in grado di difendersi, quindi tutto sarebbe andato secondo i piani. Era ciò che sperava. In ogni caso, aveva deciso di assumersi la totale responsabilità, e non si sarebbe tirato indietro. Yoongi aveva paura di una sola cosa, e quella cosa non era un Kumiho, quindi per ora, non aveva nulla di cui temere.

Lo scorrere dei pensieri fu interrotto da un lungo e stridulo ululato che aveva squarciato il silenzio dell’oscurità. L’attimo successivo la sfera sembrò prendere vita e, illuminandosi e sollevandosi dalla mano, proprio come una stella, galleggiò incerta nell’aria. Eccola, l’anima imprigionata del Kumiho, così come una porzione del loro potere. Yoongi sapeva che di tanto in tanto il punto luminoso veniva utilizzato come una sorta di fuoco fatuo per far smarrire le persone, e di solito succedeva quando i Kumiho necessitavano di cibarsi perché all’estremo delle forze. Ma ora, la sfera sembrava solo rispondere al richiamo urgente del proprietario. Yoongi afferrò la pistola e la faretra con arco e frecce, ormai pronto alla lunga nottata che lo aspettava. Il globo intraprese con sicurezza la propria strada attraverso il bosco, come se ne avesse sempre conosciuto ogni sentiero. Seguita dall’uomo, si rendeva più incandescente man mano che si addentrava tra i possenti alberi, gli stessi che avevano già incontrato il ragazzo qualche ora prima.

Ad un certo punto Yoongi riuscì a scorgere qualcuno, una figura accasciata e singhiozzante sul terriccio umido. Prima che la sfera potesse avvicinarsi oltre, il ragazzo l’afferrò con le dita, e la incastrò nel pugno della mano. Alla sua azione il globo sembrò emanare ancora più luce, illuminando la presenza raggomitolata davanti a lui. Ora Yoongi poteva vederlo meglio. Era un ragazzo. Un ragazzo nudo, dall’aria selvaggia e dai tratti volpini e la cui pelle appariva rosea e liscia sotto la luce della Luna sorta poco prima, lo stava fissando come se fosse pronto ad azzannargli la gola. Sarebbe potuto sembrare benissimo un umano, forse un innocente ragazzino, se non fosse stato per le orecchie e la coda da volpe che spuntavano fuori dal corpo. Il viso aveva una forma allungata e affilata, e gli occhi erano ravvicinati e felini; pieni di rabbia e paura, riflettevano le stesse emozioni provate durante il primo incontro. Le lacrime gli rigavano gli zigomi alti, e scivolavano giù verso i denti aguzzi, piccoli e serrati in un ringhio gengivale. Ogni muscolo si trovava in preda ad evidenti e feroci spasmi, gli artigli sfoderati dall’estremità delle dita erano sanguinanti ed affondavano aggressivamente nel terreno. Un paio di orecchie nere erano appiattite su un groviglio di capelli lunghi e aranciati, ma Yoongi non riuscì a notare bene fino a dove gli ricadessero. La sua attenzione fu catturata da un enorme e temibile coda che si dimenava come un grondante fuoco sopra la testa della volpe. Sapeva che i demoni non possedevano voci melliflue, ma questa sembrò la colonna sonora di un incubo. Un urlo acuto e rauco di angoscia risuonò nell’intera foresta. La creatura stava mostrando la propria vera natura.

«Ridammela! Ridammi la mia sfera! Non ti appartiene!» Il suono della voce fu cristallina ma pungente. Yoongi si sentì, una seconda volta nello stesso giorno, impreparato. Non gli era mai capitato di incontrare un Kumiho in tutta la sua debolezza, ma soprattutto, era la prima volta che avrebbe dovuto contrattare con un demone, e per di più nella forma umana. Notò che la zampa, o meglio, la gamba ferita, gli affliggeva così tanto dolore da non riuscire a tenerlo in piedi. Anche se impotente, l’animale continuò a torreggiarsi su di lui con aria da sfida, con il corpo al limite e tremante, sperando di intimorirlo. Ma Yoongi conosceva bene questo comportamento. I due sembravano quasi spaventosamente simili. Non era difficile nascondere la paura e mascherarla con altre emozioni, come la pura rabbia ribollente dallo stomaco.

«Ora la sfera ce l’ho io, quindi è mia, pelo rosso.» Rispose in modo sincero, mostrandola e accucciandosi all’altezza dell’altro. Se Taehyung avesse sentito la risposta di Yoongi, non ne sarebbe stato molto orgoglioso. Un basso ringhio vibrò attraverso la profondità del petto del Kumiho.

«La sfera non è tua!» Nonostante non fossero così vicini, Yoongi era in grado di odorare la paura dell’altro crescere sempre di più. Non era sicuro di come avrebbe dovuto convincere una volpe ad aiutarlo di sua spontanea volontà. Nessun demone si sarebbe sottomesso ad una simile richiesta, e in tutta onestà, nemmeno lui lo avrebbe fatto se si fosse trovato al posto del Kumiho. Ma non era nei piani di Yoongi lasciarsi sventrare vivo senza nemmeno aver prima fatto un qualsiasi tentativo. Arrivati a quel punto, avrebbe provato a giocare d’intelligenza contro l’emblema stesso dell’astuzia. «Ma tu l’hai fatta cadere e se la vuoi.. la riavrai in cambio di un favore.»

«Tu l’hai rubata, non ti devo nessun favore.» Insisté la volpe. Le sue orecchie stavano iniziando ad agitarsi, e anche i suoi occhi vagarono altrove, come per cercare qualcuno. Probabilmente voleva accertarsi che l’uomo fosse da solo.

«Io l’ho trovata.» Lo corresse. «E non dimenticare che ti ho salvato.»

Se Yoongi avesse dovuto decidere una parola per descrivere la volpe, avrebbe scelto testardo. Alla menzione del salvataggio, il Kumiho aveva increspato ancora di più la fronte e quando sembrava averlo riconosciuto, abbassò lo sguardo, stringendo gli artigli cremisi nella sua stessa carne. Annuì lentamente, come fosse insicuro. «Cosa vuoi in cambio, una donna? Ma sappi che sarà solo per una notte. Oppure.. ti interessa l’oro? Non importa quanto, posso darti tutta la ricchezza che vuoi.» Le parole emesse dal ragazzo contenevano delle sfumature quasi civettuole, e portarono Yoongi a chiedersi se davvero fosse questa una delle cause per cui gli uomini si lasciavano abbindolare. Erano le sue parole? Le proposte formulate dalla sua voce, o solo il suo aspetto? Canticchiando come se stesse effettivamente pensando alla proposta ricevuta, Yoongi sogghignò.

«Bugiardo.» Conosceva i trucchi dei Kumiho, li aveva studiati per anni. Le loro vere ricompense erano beni immateriali come la conoscenza, più raramente la fiducia, ma non il denaro. Esso sarebbe diventato semplice carta, foglie, rami, o pietre senza valore mascherati da oggetti preziosi. Si trattava solo di finzione. Se un uomo avesse chiesto di poter rivedere la defunta moglie o la donna di cui era innamorato, l’abilità illusoria sarebbe stata in grado di ricreare lo stesso aspetto. A Yoongi però, sfortunatamente per il Kumiho, non occorrevano ne denaro ne donne. «Mi serve il tuo aiuto.»

«No.» La risposta arrivò in un istante, chiara e netta, e lasciò Yoongi confuso.

«No?»

«No.» Confermò la volpe.

Yoongi socchiuse gli occhi e sospirò. «Non capisci la situazione in cui ti trovi? Non hai una scelta, o preferisci morire?»

«Non aiuterò mai uno sporco umano, soprattutto tu che hai rubato la mia sfera.»

Il mal di testa di Yoongi stava ritornando più forte di prima. Ora poteva dire a Jungkook di averci almeno provato, ma forse avrebbe dovuto seguire il consiglio di Namjoon sin dall’inizio. «Allora voglio un contratto.»

Gli occhi del Kumiho si spalancarono quasi comicamente e la bocca rimase semiaperta per qualche secondo, lasciando intravedere tutti i denti, soprattutto i lunghi canini. Se Yoongi avesse voluto, avrebbe potuto contarli. «Non puoi rifiutare un contratto.» In realtà, Yoongi possedeva poca conoscenza sui contratti; non sapeva come l’accordo avvenisse e nemmeno sapeva se un demone avesse avuto la libertà di accettare o di rifiutare un contratto proposto da un umano. Accordare un favore era molto più semplice e proprio per questo gli uomini negoziavano; non implicava nient’altro, solo una veloce richiesta, e poi l’umano e il demone non si sarebbero più rivisti. L’unica informazione che possedeva era che i contratti, a differenza dei favori, prevedevano promesse in grado di durare anche per interi anni, ma non c’erano inganni e il Kumiho non poteva uccidere l’umano scelto. Un contratto con un demone era però considerato spesso pericoloso, a causa del loro carattere e dei loro poteri, e dopotutto nessuno avrebbe voluto trascorrere così tanti anni affianco ad una tale creatura.

Il Kumiho richiuse la bocca, e poi finalmente parlò. «Tu non mi dici quello che posso fare.»

Yoongi doveva ammettere di star perdendo un po’ la pazienza, ma l’altro sembrava non voler cedere. Per questo, si era trovato costretto a cambiare atteggiamento. L’aveva voluto la volpe. «Cambiamo gioco.» Il capitano tirò fuori la pistola d’oro puntandogliela contro, e la ripercussione delle sue azioni arrivò in un attimo; il Kumiho rimase incredulo e allo stesso tempo terrorizzato, più di quanto già lo fosse prima.

«Adesso le regole le faccio io, quindi prima il contratto, e poi ti do la sfera.» Se il demone si fosse ripreso prima la sfera, probabilmente lo avrebbe sbranato o sarebbe fuggito. Yoongi era sicuro che, ovviamente, prima lo avrebbe ucciso, e magari dopo avrebbe ballato sul suo cadavere per poi scappare via. «Come promessa voglio la tua protezione, e come da contratto dovrai rimanere al mio fianco.» Yoongi sperava di essere stato abbastanza diretto ed esplicativo, perché se l’animale avesse rifiutato di nuovo, non avrebbe saputo in che altro modo convincerlo. Forse gli avrebbe sparato.

«Tutto qui quello che devo sapere? Non mi dirai nient’altro?» La volpe deglutì rumorosamente il boccone amaro. Chiedere la protezione senza specificare da che cosa, e chiedere di rimanere al fianco di qualcuno senza specificare per quanto, valeva a dire una sola cosa. «Mi stai chiedendo di darti la mia vita.»

«Ora non ho più voglia di spiegarmi. Sappi solo che mi servi vivo, non morto, pelo rosso.»

Nonostante trasparisse già dai lineamenti lo stato pietoso e addolorato del Kumiho, Yoongi era sicuro di aver catturato dagli occhi anche una leggera tristezza. La volpe aveva capito di essere stata di nuovo incastrata, così allungandosi verso il ragazzo e con un ultimo sforzo, affondò violentemente le unghie nella carne dell’umano. All’inizio Yoongi aveva gridato dal dolore, e quando aveva provato a ritrarsi per istinto, credendo che il demone avesse deciso di ucciderlo, era ormai troppo tardi. «Stai fermo!» Dopo che il Kumiho lo aveva ferito, racchiuse con le dita il polso dell’uomo, e un calore insopportabile iniziò a disperdersi in ogni parte del corpo. Il capitano non capiva. Grazie ai suoi poteri, che gli conferivano una certa immunità, sarebbe dovuto riuscire a sopportare il calore ad alta temperatura. Lo sguardo della volpe passò da smarrito a demoralizzato. «Tu..» L’animale rimosse la sua mano, come fosse stato lui quello appena bruciato. Yoongi osservò i tre graffi verticali di diverse dimensioni impressi sulla pelle, non sanguinavano ma erano visibili anche al buio. Era appena stato marchiato.

«Non ti perdonerò per aver rubato la mia sfera ma.. avrai la mia fiducia.» Disse il Kumiho, non molto convinto. Ora Yoongi possedeva una minima sicurezza che il proprietario della sfera, una volta restituita, non sarebbe stato in grado di ucciderlo, per quanto ne sapeva. Il Kumiho afferrò con velocità il globo offerto, portandoselo al petto e visibilmente riprendendo le forze. La volpe smise di piangere, ed ogni lacrima si trasformò in un soffice gemito. Avvicinò a se la gamba ancora sanguinante, iniziando a leccarla. Sembrarono passate ore quando finalmente l’emorragia si arrestò. Il Kumiho apparì più rilassato e meno sofferente, come fosse diventata una persona totalmente diversa e nuova, ma lo sguardo di sconfitta nei suoi occhi era ancora molto evidente. Yoongi si appuntò mentalmente l’abilità di guarigione, per poi alzarsi da terra.

«Seguimi, pelo rosso.» Ma l’altro non si mosse e un silenzio assordante calò tra i due, fino a quando Yoongi non registrò una debole voce brontolare. «Cosa c’è, adesso?» Domandò esasperato.

«Mi chiamo Jimin.» Ripetè la volpe.

Yoongi aveva sbattuto un paio di volte le palpebre, guardandolo perplesso. «Non è quello che ti ho chiesto, ora alzati.» Schioccando la lingua contro il palato si rimosse il mantello nero e lo gettò verso il Kumiho, Jimin, ancora nudo e solo ricoperto dalla sua possente coda.

Jimin lo afferrò grazie ai suoi riflessi, e alzò entrambe le sopracciglia. «Perché me lo stai dando?»

Il capitano roteò gli occhi. Una sola frase si stava ripetendo nella sua testa ed era la seguente: Perché diavolo questo demone non era in grado di starsene zitto? «Non so quante esperienze tu abbia in questa forma, ma non hai la pelliccia e morirai di freddo se non ti copri.» In realtà il minimo era tornare dai suoi compagni con un Kumiho presentabile e vivo, e Jimin era molto vivo ma poco presentabile.

«Non so quante esperienze tu abbia con i Kumiho, ma noi non siamo come voi deboli umani.» Yoongi emise un suono gutturale in segno di menefreghismo e riprese a camminare verso l’Astro, convinto che la volpe lo avrebbe seguito. Infatti, i suoi pensieri furono confermati quando sentì morbidi passi seguirlo dietro di lui, e una piccola voce fastidiosa e gracchiante disturbarlo, di nuovo.

«Non mi hai detto come ti chiami, cacciatore.»

L’occhio di Yoongi si era contratto automaticamente al nomignolo. «Yoongi, e non sono un cacciatore.» Non più, almeno, ma non lo disse.

Jimin sembrò aver sbuffato e riso brevemente. «Non lo sei? Non sembri tanto diverso da loro.»

«Ascoltati quando parli, se fossi stato un cacciatore saresti già morto questa mattina.»

«Avrei preferito morire, piuttosto che offrire la mia vita ad un manipolatore.» La voce rabbiosa di Jimin si era abbassata di qualche tono, ma Yoongi era ancora in grado di percepirla, e continuò. «Per questo oggi non mi hai ucciso, no? Ti servivo vivo.»

«Manipolatore, io? Così furbo, lamentarsi di un tuo stesso errore. Sembri solo una stupida volpe ingenua.»

«E tu sembri uno stronzo.» Questa era stata una sorpresa. Yoongi si bloccò sul posto, girandosi verso il Kumiho, che stava di nuovo ringhiando. «Mi hai ingannato, ma non per questo hai il diritto di trattarmi come vuoi.»

Non aveva davvero bisogno delle lamentele, giuste o no, di un ragazzino in questo momento. Se c’era una cosa, e in realtà erano davvero tante, che Yoongi non sopportava, era che qualcuno gli mancasse di rispetto e lo insultasse. Ora, gli insulti provenivano addirittura da un Kumiho. Il capitano si girò e accorciando la distanza tra lui e il demone con un paio di passi, socchiuse la gola della volpe e con forza lo spinse all’albero più vicino facendogli sbattere la schiena contro il tronco. «Non mi interessa se ti sembro uno stronzo, sono stufo della tua testardaggine. Quindi ora smettila di ringhiare e smettila di provocarmi, stupida volpe.»

«Oppure?» Il Kumiho ridacchiò in modo inquietante, bagnandosi poi le labbra secche e screpolate con la lingua. «Mi ucciderai?»

«Vuoi che ti uccida?» Le dita fredde del ragazzo strinsero ancora di più la presa. Ovviamente Yoongi non lo avrebbe mai ucciso, ma di questo Jimin non poteva averne la conferma. Non sarebbe arrivato a stipulare un contratto con un demone per poi ucciderlo. Ma onestamente, se avesse potuto, lo avrebbe fatto. Questa dannata volpe sembrava fargli perdere ogni grammo del suo autocontrollo, e Yoongi già non era in grado di controllarsi bene. «Posso ucciderti in qualsiasi momento e quando voglio, pelo rosso.»

«Fottiti.» Jimin scandì ogni lettera a denti stretti, dimenandosi violentemente sotto la presa dell’altro, e affondando i suoi artigli nella mano marchiata che lo stava tenendo bloccato. Yoongi gemette, e ritraendo dal dolore la propria mano con velocità, non vide arrivare di nuovo gli artigli di Jimin, ma questa volta sul viso. Si morse la lingua per bloccare un sibilo di sofferenza. Yoongi afferrò la pistola dalla cintura, caricandola e premendo il metallo ghiacciato contro la fronte della volpe.

«Sono già stato abbastanza gentile con te, quindi obbedisci se non vuoi che ti strappi la coda pelo per pelo.» Sbottò, mentre i graffi iniziarono a bruciare. Era già la seconda volta, nell’arco di poco tempo, che Yoongi era in grado di percepire una bruciatura. La volpe alla vista e al contatto dell’arma trasalì, e benché avesse la coda tra le gambe e compresso le labbra, quest’ultime non restarono immobili a lungo.

«Non ti lascerò nemmeno sfiorare la mia coda, umano. Non posso ucciderti, ma posso ferirti, e ti assicuro che ti staccherò la mano se solo ci proverai.»

Ora, se Yoongi fosse stato più riposato e non avesse passato l’intera notte a discutere con un demone, probabilmente avrebbe lasciato cadere la discussione un po’ di tempo prima, o forse lo avrebbe già addirittura ucciso, ma questa volpe gli stava facendo letteralmente ribollire il sangue nelle vene, come fosse lava incandescente. Quando aveva perso la capacità di controllare la sua bocca? Yoongi puntò la pistola a ruota verso il cielo lasciando andare il grilletto con il primo proiettile. L’improvviso sparo fece sussultare Jimin, che appiattì le sue orecchie sulla testa a causa del rumore. Yoongi percepì un fastidioso liquido scivolare sopra l’occhio. Inspirò a lungo. «Se tu mi stacchi la mano io ti pianto la seconda pallottola nel cranio.» Dopo di ciò, i due continuarono a camminare verso l’Astro senza rivolgersi più la parola.

 

 

«Dimmi che te l’avevo detto.» Mormorò compiaciuto Seokjin alla sua sinistra, desideroso di adulazioni e quasi divertito dalla situazione. Yoongi lo intimò di stare zitto, ricevendo in cambio un broncio.

Dopo aver sentito lo sparo della pistola di Yoongi nel pieno cuore della notte, ogni membro dell’equipaggio si era contemporaneamente svegliato allarmato, pensando si potesse trattare di cacciatori notturni o peggio. Il peggio era che Yoongi avesse sparato per uccidere il demone o per avvertire che fosse lui quello che stava per essere ucciso, ma siccome nessuno avrebbe potuto saperlo con sicurezza, fu per loro frustrante. Il capitano era stato chiaro; siccome aveva trovato la sfera, lui e nessun altro avrebbe proposto al Kumiho il contratto, e aveva deciso di andarci da solo. Dopo la “lotta” con Seokjin, l’uomo aveva avvertito di nuovo Yoongi di fare attenzione, e prima che potesse andare a preparare la cena, gli aveva dichiarato scherzosamente che il minimo fosse tornare vivo, e con Kumiho altrettanto vivo. Il ragazzo in risposta aveva sbuffato come al solito, non promettendogli nulla. Seokjin in realtà, era diventato eccessivamente ansioso di quella decisione e aveva manifestato il dispiacere a suo modo. In fondo, sapeva di non aver avuto tutti i torti, e di essere stato un minimo la voce della verità. Portare un Kumiho a bordo equivaleva a trasportare una bomba. Nessuno sapeva quando sarebbe scoppiata, e nessuno si sarebbe salvato. Ma osservare Yoongi, più incazzato di quanto non lo fosse mai stato qualche ora prima, sbraitare a raffica e sussultare ad ogni tocco di Seokjin sulle ferite mentre provava a pulirle, si stava per lui mostrando quasi divertente.

Il capitano era tornato a bordo dell’Astro poco dopo lo sparo, camminando come nulla fosse successo sulla passerella mobile, seguito a sua volta da una piccola figura incappucciata. Il primo ad accorgersene fu Nun. Il cane abbaiò per avvertire l’equipaggio e non smise di scodinzolargli attorno. Poi tutto accadde in fretta. Yoongi aveva incontrato le facce preoccupate di Seokjin, Namjoon e Hoseok. Hoseok in un attimo si avvicinò, e dopo aver notato l’enorme squarcio sulla faccia grondante di sangue, lo inondò con una miriade di domande. «Yoongi?! Ma che diavolo è successo? Sei ferito e stai perdendo un sacco di sangue! Seokjin prendi le bende!»

Il capitano non rispose a nessuna delle perplessità di Hoseok, biascicando solo un semplice “ma non mi dire”. Seokjin invece, dopo averlo osservato meglio era andato subito a prendere delle bende come gli aveva suggerito l’amico, e a riempire un secchio d’acqua per poter ripulire e disinfettare i tagli.

Namjoon fu il secondo ad accorgersi di Jimin. Non era riuscito a vederlo bene a causa del mantello nero di Yoongi, ma aveva notato la possente coda e l’espressione infuocata e turbata dipinta sul viso. Fissava Nun. Ringhiando. Prima che Namjoon potesse persino aprire bocca, il cane dal pelo bianco, che non smetteva di abbaiare, aveva provato ad avvicinarsi al demone volpe per annusarlo ma Jimin si era allontanato di scatto. Namjoon non riusciva a distinguere se il Kumiho fosse impaurito o se fosse pronto a saltargli addosso. Nun guaì dalla paura, e Jungkook, seguito da Taehyung, si era catapultato in un secondo davanti all’animale, in segno di protezione. Preoccupato che lo potesse ferire, urlò al demone. «Stai lontano! Non ti azzardare a toccarlo!»

Jimin sembrava sorpreso. Aveva gli occhi sbarrati, e fissava in silenzio e senza sbattere le ciglia il ragazzo che aveva alzato la voce. Tutti si congelarono quando la volpe riprese a ringhiare profondamente, finché Yoongi non si avvicinò al Kumiho premendogli la pistola dietro la schiena, e costringendolo a muoversi secondo le sue indicazioni. Dopo aver sceso una breve scala insieme ai compagni, il capitano aprì una delle porte e agitò alcune volte la mano, accendendo le lampade con le proprie fiamme blu per avere un po’ di illuminazione. Yoongi aveva deciso di incatenare Jimin alla parete, grazie a delle catene che agganciò ai polsi e alle caviglie, in modo tale da limitarne i movimenti. Non avevano mai imprigionato nessuno, ne chi cercava di spiarli o ucciderli, e ne per torturare qualcuno. Yoongi non si sarebbe mai immaginato che un giorno avrebbe legato ad esso un demone. Seokjin lo spinse sulla sedia posta all’estremità del muro, lontano dalla volpe. Osservò meglio le ferite e bagnò un panno, passandolo delicatamente sul sangue quasi seccato, cercando di rimuoverlo. Ma ad ogni movimento il capitano avrebbe imprecato, continuando a guardare fisso negli occhi del Kumiho, come se ogni insulto scivolato sulla lingua fosse indirizzato a lui. Il principale colpevole delle ferite. Jimin ricambiò ogni sguardo con un ghigno divertito.

«Non è fottutamente divertente, Seokjin.»

«Anche io pensavo non lo fosse all’inizio.» Rispose ridacchiando, dopo aver osservato lo scambio di sguardi profondi tra i due. Probabilmente tutti nella stanza se ne erano ormai accorti. «Ma fidati, lo è. Comunque, ho una brutta notizia per te. Non penso che questa lunga cicatrice sparirà.» Disse Seokjin avvicinandogli uno specchio. La cicatrice era di un colore acceso e iniziava da poco sopra il sopracciglio, per poi finire lungo la metà della guancia. Dopo aver pulito tutto il sangue, grazie all’aiuto di Hoseok, e aver fatto notare la cicatrice a Yoongi, il medico l’aveva fasciata, evitando che si potesse riaprire ed eventualmente infettarsi. Poi l’amico indirizzò lo sguardo sul braccio. «Per quanto riguarda questi graffi, anche se sono profondi penso che se ne andranno via con il tempo. Ovviamente tranne quelli al polso, Yoongi non so se quelli-» Prima che Yoongi potesse, di nuovo, insultare il demone poco lontano da lui per questi graziosi regali non richiesti, tranne il marchio, ogni sguardo si bloccò su Taehyung, che nel mentre si era avvicinato senza alcuna paura alla creatura.

«Ciao! Io mi chiamo Taehyung, tu? E’ la prima volta che incontro un Kumiho!» Esclamò, sfoggiando un sorriso rettangolare.

Il Kumiho lo osservò annoiato, non rispondendogli. Taehyung non sembrò offeso da quell’atteggiamento e continuò allegramente a parlargli, nonostante Jungkook gli suggerisse a bassa voce di allontanarsi da lui. Nessuno poteva prevedere fin dove sarebbe arrivata la curiosità di Taehyung, e nessuno riusciva mai a fermarla.

«Per caso sei quel tipo di demone assetato di sangue che mangia cuori umani? Tipo, mangeresti anche i nostri fegati? Sai si dice che di notte vaghiate per i cimiteri profanando le tombe per mangiare gli organi dei cadaveri!» L’equipaggio rilasciò un sospiro collettivo, domandandosi perché il ragazzo doveva sempre comportarsi così assurdamente nei momenti meno opportuni. «Oh, e vivete per cento o mille anni? Ed è vero che se un umano mangia il cuore di un Kumiho, diventa immortale?»

Il Kumiho sembrò sorpreso dalla raffica delle domande che gli erano state poste, ma la sua espressione sembrò solo un miscuglio di disgusto e orrore. Taehyung attese qualche istante. Quando non ricevette ancora nessuna risposta verbale, il ragazzo prese una breve boccata d’aria come se fosse già pronto a bombardare la volpe con altre domande, ma prima che potesse farlo, a sua sorpresa, Jimin parlò. Il Kumiho aveva provato ad avvicinarsi all’altro uomo, ma invano, poiché le catene lo tirarono subito verso il muro. L’intero equipaggio sembrò interessato a voler ascoltare per la prima volta la voce del demone, e ciò che aveva da dire.

«Io non sono un mostro come voi uomini mi dipingete, ma non esiterò a diventarlo divorando i vostri cuori.»

Questa fu l’unica frase che pronunciò, seguita da un angosciante silenzio, osservando il ragazzo di fronte a lui, Taehyung, il quale sembrò sbigottito da tale affermazione.

«Taehyung, per favore allontanati. Può essere pericoloso.» Jungkook ci riprovò di nuovo, alzando la voce e afferrando per la spalla l’amico, che si era accucciato per parlare con il demone seduto a terra e incatenato.

L’attenzione di Jimin era ora passata su di lui. «Tu, che cosa sei? Perché sei qui con loro?» Jungkook lo ignorò, aumentando la presa sulla spalla di Taehyung, che mise il broncio ma tornò al fianco del ragazzo più giovane nell’attimo successivo, arrendendosi.

«Non fa paura, penso sia solo frainteso.» Mormorò Taehyung. Jimin, dopo aver contratto una delle sue orecchie, parlò di nuovo, rispondendogli come se lo avesse sentito e anche questa volta, indirizzò la frase a Yoongi, guardandolo.

«Frainteso? Esistono Kumiho benevoli che assistono gli umani e umani malvagi che ingannano volpi gentili, questa è la verità.»

Yoongi ricambiò lo sguardo. L’aria nella stanza si fece più tesa al battibecco dei due, nulla in confronto alle discussioni del capitano e di Seokjin.

«E la parte in cui invece Kumiho malvagi ingannano umani gentili?» Lo provocò Yoongi, meritandosi però una brutta occhiata da parte di Jungkook.

«Dove sarebbero gli umani gentili? Vedo solo uno sporco umano che possiede già una sfera di Kumiho ma ne tiene imprigionato un altro!»

Yoongi doveva ammettere di essere rimasto un po’ sorpreso, non sapeva come la volpe avesse avuto un informazione del genere. L’unica risposta sensata che si era dato, era che forse il demone l’aveva scoperto grazie al contratto. In qualche modo i due erano ormai collegati, non c’era altra spiegazione.

Namjoon si schiarì la gola prima di parlare, cercando di cambiare la direzione della conversazione. «Possiamo chiedere il tuo nome?»

«Si chiama Jimin.» Rispose Yoongi, prima di lasciarlo dire alla volpe e facendo notare a Namjoon il marchio impresso sul polso, sotto la fioca luce delle lampade. Namjoon, che era alla sua destra, non sembrò meravigliato, in realtà l’aveva già adocchiato poco prima. Tutti l’avevano visto. «Sai già quale sia il suo potere?» Questa volta Namjoon si rivolse direttamente al capitano. «No, non l’ha ancora usato, e non penso ce lo dirà presto.»

«Devo ammettere che però è davvero attraente. Non è come me l’aspettavo, ma emana lo stesso quell’aria..» Sussurrò piano Seokjin, rimasto seduto vicino a Yoongi. L’uomo era ovviamente ancora diffidente sul portare un Kumiho a bordo, ma ormai ci avrebbe dovuto fare l’abitudine e addirittura imparare a collaborare. Dovevano fidarsi e allo stesso tempo guadagnare fiducia. «Selvaggia.» Aggiunse Hoseok, annuendo. Yoongi si prese un momento per osservare meglio Jimin, e quando lui se ne accorse, sorrise sapientemente. I due ragazzi in ogni caso, avevano ragione. Tutte le volpi erano oggettivamente belle, e l’aspetto di Jimin urlava selvaggio in ogni particolare, soprattutto gli occhi e i lunghissimi capelli scompigliati. Inoltre, sembrò avere un fantastico udito.

«Più un predatore è bello e più è facile attirare la preda.» Il sorriso stuzzicante di Jimin si allargò alla propria affermazione. «Purtroppo vale anche quando si tratta di attirare dei completi stronzi.» La provocazione lo colpì in pieno, e adirò ancora di più il capitano. Yoongi si alzò dalla sedia, marciando dritto e veloce verso l’animale, guardandolo dall’alto al basso. Sbilanciò il corpo in avanti, poggiando il palmo della mano sul muro per reggersi, mentre con l’altra mano afferrò violentemente i capelli dietro la nuca della volpe, tirandoli in modo tale che il viso di Jimin fosse abbastanza in alto per guardarlo dritto negli occhi. Yoongi era così stanco, e necessitava così tanto una dormita. Doveva rilassare urgentemente i suoi nervi, perché poteva percepire la vena della fronte pulsare con violenza contro il cranio.

«Stammi a sentire, perché non mi ripeterò un’altra volta.» Yoongi odiava davvero ripetersi. «Non ti trovi più in una foresta, qui sono io il predatore e tu sei la mia preda.»

Detto questo si ritirò nella propria cabina, non guardando nessuno. Un chiaro segno che avrebbe continuato la conversazione con il resto dei compagni il giorno dopo. Sbattendo la porta, non riuscì ad ascoltare le parole di Seokjin.

«In questo modo non otterremo affatto la sua fiducia.»

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