Loop

di Picci_picci
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Loop ***
Capitolo 2: *** Prima regola di un'eroina? Scappare ***
Capitolo 3: *** Indecisa e maldestra, sono proprio io. ***
Capitolo 4: *** Carte scoperte ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Loop ***


Doveva saperlo che camminare per schiarirsi le idee le avrebbe portato solo altri pensieri per la testa. Ormai funzionava così la testa di Marinette: cercava di risolvere un problema e ne creava un altro. Cercava di risolvere la situazione con lui e creava una nuova situazione spiacevole con l'altro. Beh, non proprio spiacevole sotto certi punti di vista… le mani e i baci di Chat non erano per niente spiacevoli. Ed ecco un nuovo problema. Le piaceva come Chat la torturava. Ma perché era così dannatamente complicata?! E maldestra. Decisamente maldestra, concluse, mentre si trovava con il sedere per terra perché era scivolata su uno degli scalini che portavano fuori dalla metro.
"Marinette?", chiese la piccola Tikki sbucando dalla sua borsa.
"Tutto okay", rispose la portatrice con un sorriso che non arrivava agli occhi.
Preoccupata, Tikki si nascose di nuovo dentro la borsa, sperando che la sua portatrice uscisse presto dalla situazione in cui era caduta.
Ma era tutto così complicato. Marinette non ricordava quando la vita aveva preso quella piega. Forse quando aveva accettato quell'ombrello da Adrian? O forse quando aveva aperto la scatola contenente gli orecchini? No. La sua vita, a quel tempo, si poteva ancora definire una semplice vita da adolescente. Per quanto semplice possa essere la vita di una supereroina adolescente. 
Si è complicata la vita quando vedendo Adrien baciare Kagami aveva deciso di passare oltre? O quando aveva accettato le avances di Chat Noir?
Eppure, ora, aveva vent'anni, era iscritta all'istituto di moda che sognava da quando aveva quattordici anni, ma la sua vita continuava ad essere la stessa da due anni. Da quando il collège era finito, aveva deciso di scegliere un liceo che Adrien Agreste non avrebbe decisamente frequentato. Infatti, Marinette aveva passato gli ultimi tre mesi dell'ultimo anno del collège a piangersi addosso come se avesse perso l'amore della sua vita (cosa che credeva ancora vera). E non serviva a niente tenersi a debita distanza da ogni foto o chiacchiericcio su Adrien Agreste. Continuava a pensare a lui come l'amore della sua vita, nonostante, quasi sei anni prima, avesse visto il ragazzo dai capelli biondi frequentarsi (e non come amici) con Kagami. Aveva deciso di prendere le distanze dal modello e dalla ragazza asiatica (una delle migliori decisioni della sua vita), ma ciò non era servito niente. La sua vita, dal quel maledetto pomeriggio di aprile, sembrava essersi fermata. E così era diventata la donna che era. Una fredda ragazza, dal sorriso gentile e cupa quanto un cimitero in piena notte. Tutta la sua vitalità era scomparsa con Adrien e a poco servivano le cure amorevoli dei suoi genitori o i colpi di testa di Alya. Era rimasta solo una costante nella sua vita: il suo chaton. Forse era per questo che aveva dato inizio alla malata e contorta relazione che avevano da all'incirca due anni. Aveva accettato le avances del micio fino a che non lo aveva più considerato come un amico o un partner. Tutta l'attrazione che aveva per il gatto nero di Parigi, che era stata sopita con la sua cotta megagalattica per Adrien, era tornata più forte e con prepotenza. E stavolta non era riuscita a fermarla. 
Quindi ecco come andava avanti la sua vita: studiava, si comportava da brava figlia, sorrideva poco e dopo ogni battaglia e ogni ronda si intratteneva in appuntamenti passionali con il gatto più desiderato di tutta Parigi. Ormai era finita in quel loop e a niente servivano gli sforzi che faceva per romperlo. 
"Pure la pioggia no", sussurrò a se stessa dopo che diverse gocce di pioggia la bagnarono. Corse verso casa sua nonostante i tacchi che portava (e non erano stati una grande idea vista la sua goffaggine, ma voleva dimostrare che stava lavorando anche su quello) e cercò di bagnarsi il meno possibile per evitare di prendersi una broncopolmonite.

***

Se avesse avuto più autocontrollo e forza, ora non sarebbe incastrata tra uno dei tralicci della Tour Eiffel e il corpo di Chat Noir. E la bocca di Chat Noir, soprattutto la bocca. Doveva decisamente smettere di pensare e fare come ogni altra volta: cadere nelle braccia del gatto nero e sentirsi vita per quel lasso di tempo. Avrebbe voluto dire che quello che c'era tra lei e il gatto nero fosse amore (Oh quanto avrebbe voluto!), ma quel privilegio lo aveva avuto Adrien. E solo lui lo avrebbe avuto. Quello che c'era tra i due eroi parigini era attrazione, era passione. Come si allontanavano di pochi centimetri tornavano subito a cercarsi, come se non avessero potuto vivere un altro minuto senza la bocca dell'altro.
"Andiamo da te?" chiese la ragazza a pois tra un bacio e l'altro.
Lui annuì solamente, la sollevò tra le sue braccia e si diresse verso l'appartamento che gli aveva comprato il padre per dargli più indipendenza. Con sistema di sicurezza ultra moderno e una guardia del corpo che viveva nell'appartamento di sotto, s'intende. 
Il gatto atterrò sul terrazzino dell'appartamento all'ultimo piano e Marinette pensò a quanto somigliasse al suo. Adrien, d'altro canto, pensò alla sua dolce amica Marinette che non vedeva da più di sei anni ma che sempre era rimasta nel suo cuore. Per questo, quando aveva visto questa casa, l'aveva voluta: quel terrazzino ricordava proprio quello della sua amica. Era un modo di omaggiarla, nella testa di Adrien, per essere sempre stata al suo fianco, anche se ora si erano persi. Si chiese che fine avesse fatto la dolce ragazzina dai codini blu e se fosse proprio lei la stagista che pensava di assumere il padre. Si sarebbe dovuto informare. Ma ora, aveva altro da fare e altro a cui pensare. Ad esempio, ad una bella coccinella che era tra le sue braccia. Nel frattempo erano già arrivati alla camera da letto e le loro mani sembravano più impazienti che mai.
"Sciogli la trasformazione e spegni la luce."
"Agli ordini, my lady."
E dopo un "Plag, trasformazione", la luce si spense e tra i due amanti si accese la loro magia.

***

Di nuovo. Era successo di nuovo. E per ben tre volte di fila! Voleva sprofondare e andarsene immediatamente, ma le mani di Chat posate sulla sua vita e il suo capo poggiato vicino al suo, la fermavano. Sapeva che stava facendo del male a quel povero micio, ma non poteva smettere. Lui era innamorato di lei, glielo aveva dimostrato più volte, ma lei continuava a rifiutarlo e ad approfittarsi di lui e del suo corpo. Da quando era diventata così egoista? Possibile che un cuore spezzato potesse provocare tutto questo? 
La cosa migliore da fare era mettere un punto a questa storia, ma la loro amicizia ne sarebbe uscita distrutta così come il loro rapporto professionale. Ma Marinette era abbastanza determinata a non far soffrire più Chat Noir. Lui per lei c’era sempre stato e lei, ora, lo ripagava così? Usandolo? No, non poteva più scaricare la sua sofferenza e frustrazione per Adrien su l’eroe nero di Parigi.
“Chaton?”, chiese con timore. Sentì il capo biondo muoversi e il naso di lui che le sfiorava il collo. Così non le rendeva le cose facili!
“Che c’è insettina? Vuoi fare un altro round? Perché sono sempre a tuo disposizione, ma direi che stasera ci abbiamo dato dentro abbastanza.”
“Vedi, è questo il problema!”
“Che facciamo troppo sesso?”
“No!... Cioè, sì..in parte.”
“Decidi la risposta, my lady.” Ad Adrien non piaceva per niente quando la sua signora era così indecisa; voleva dire che era nervosa e visto che in quella camera c’erano solo loro due questo lo metteva in allarme, perché voleva dire che era indecisa su loro due.
“Chat Noir”, riprese lei con voce più ferma, “dobbiamo smetterla qui. Non possiamo continuare a rimanere in questo loop. Dobbiamo andare avanti con le nostre vite.”
Una pugnalata al cuore, ecco cosa erano state le parole di Ladybug. Sapeva che prima poi sarebbe arrivato quel momento, che la loro strana e malsana relazione avrebbe avuto una fine. Lei se ne sarebbe andata come ogni notte, rimanendo chiusa in sé stessa e non concedendogli nient'altro che il suo corpo. Ma questa volta se ne sarebbe andata per sempre. Come chiunque aveva fatto nella sua vita, riflettè Adrien. Deglutì a vuoto e non trovando le parole annuì, anche se lei non lo poteva vedere. Si mise seduto sul letto, unico testimone di quanto in fondo si fossero amati i due eroi. Lei seguì l’esempio del ragazzo e si pose di fronte a lui.
“Mi spiace così tanto gattino. Ma è la cosa giusta da fare.”
“Giusta per te”, si sentì rispondere con un tono di amarezza e rabbia che fece venire le lacrime agli occhi di Marinette.
“Ora la pensi così. Pensi che ogni cosa non sarà più la stessa e senti un dolore sordo all'altezza del cuore che ti squarcia il petto. Ma fidati passerà. Il dolore no, si affievolirà e basta, ogni giorno di più”, poi prese una mano tra le sue, “ci sono passata.” 
“Perché deve finire? Non c’è più attrazione tra noi?”
Oh, se ce n’era. Anche troppa pensò, Marinette. 
L’attrazione, c’era.
La passione? C’era.
Complicità? Come sempre.
Fiducia? Cieca.
L’amore? Forse. Ed era per quel motivo che la situazione andava stroncata.
“No, Chat. Fidati di me, non sto mettendo fine a questa storia per il motivo che pensi tu. Se potessi trascorrerei altre mille notti così, con te. Ma non posso, perché non è giusto nei tuoi confronti, perché se continueremo ne usciremmo distrutti. Ti voglio troppo bene per ferirti così tanto.”
Non vedevano nulla nel buio della camera, ma si poteva intuire il dolore di Marinette che traspariva dalla sua voce.
“Mi vuoi tanto bene, ma non così troppo da amarmi”, rispose deluso Chat. Sapeva benissimo di non poter costringere le persone ad amarlo. Era già passato in questa situazione con Kagami, anche se a parti inverse, quando lei li aveva confessato di amarlo dopo quattro mesi di frequentazioni e lui si era visto costretto a rifiutarla. Rifiutarla, perché nella sua testolina bionda c’era un’altra ragazza. In realtà due, e tutte e due avevano gli occhi celesti e i capelli legati un due codini. 
Adrien fece un respiro profondo. Doveva rispettare la decisione della sua lady, nonostante il dolore che gli provocava.
“Probabilmente le cose sarebbero andate in modo differente se il mio cuore non fosse ridotto a brandelli”, dichiarò Marinette a voce sommessa.
Adrien spalancò occhi e bocca, anche se lei non potè vederlo.
“Ti saresti potuta innamorare di me?”
“Mi sarei sicuramente innamorata di te, chaton.”
Quella frase lo fece sentire bene e male allo stesso tempo.
“Forse tra un po’ di tempo”, incominciò il gatto nero, “quando il tuo cuore sarà guarito, questo letto continuerà ad essere testimone della nostra passione.”
Marinette ebbe un improvviso groppo in gola e gli occhi le pizzicarono. Non meritava tanto dolcezza da Chat Noir, soprattutto dopo che gli aveva spezzato il cuore.
“Ehi, ragazzino, ti sei scordato che qui ci siamo anche noi? I testimoni siamo in tre, sfortunatamente.”
“Come potrei mai scordarmi di te, Plagg? Anche con tutto l’impegno di questo mondo, non riuscirei mai ad ignorare la puzza di formaggio e le battute acide.”
“Questo perché non sei un estimatore di camembert.”
Adrien stava per rispondere con una frase piccata quando sentì la dolce risata della sua lady. Quanto avrebbe voluto vederla in quel momento… Come avrebbe continuato a vivere senza di lei che riempiva le sue grigie giornate?
“Sarà meglio che vada, ora.”
Adrien annuì, sapendo che quella sarebbe stata una notte di addio. La sentì alzarsi dal letto, il frusciare delle lenzuola e dei vestiti che lei stava indossando. 
“Chat”, lo chiamò lei. Il biondo alzò di scatto la testa, pronto per qualsiasi cosa la sua signora desiderasse...come sempre, lui avrebbe dato qualsiasi cosa a quella ragazza.
“Continueremo ad essere partner in battaglia? Cioè, non cambierà niente? Saremo sempre Ladybug e Chat Noir, e Papillon non vincerà?”
Era incerta, quasi timida mentre li poneva quella domanda. Ma aveva scoperto che gli piaceva questo lato dell invincibile supereroina a pois, la rendeva più umana.

“Non cambierà niente. Non ci deve rimettere Parigi per un nostro sbaglio”, rispose lui anche se a fatica. Faceva male chiamare la loro relazione uno sbaglio, perché per lui non lo era, proprio no. Ma se la decisione della sua lady era tale, la avrebbe onorata.
“Certo… Uno sbaglio”, e incredibile anche per lei fu difficile accettarlo. Chat era stato uno sbaglio meraviglioso, come Adrien. Doveva smettere di vivere pensando ai ragazzi, al ragazzo, e godersi se stessa. Solo ed esclusivamente se stessa. 
“Allora, io vado.”
Ma prima che potesse attivare la trasformazione, una mano gentile le prese il braccio.
“So che suonerà patetico e, probabilmente, mi farà più male che bene, ma posso ricevere da te un ultimo bacio?”
Quando il suo gattino le parlava così, non gli avrebbe mai detto no. Gli sfiorò una guancia con il dorso della mano che poi immerse tra i suoi capelli biondi, e avvicinò le sue labbra a quello del biondo lasciandoci sopra un bacio. 
Un bacio casto rispetto a quelli passionali che si scambiavano solitamente, ma la purezza di questo gesto valeva più di mille parole. Perché nonostante la loro relazione malsana fosse finita, ci sarebbero stati l’un per l’altro e mai si sarebbero abbandonati. E mai avrebbero abbandonato Parigi. Quando si staccarono, Marinette provò un brivido di freddo, non capacitandosi ancora di ciò che stava accadendo.
“Hai freddo?”
Lei non rispose e Adrien lo prese come un sì. Si piegò sulle ginocchia e raccattò la sua felpa e gliela appoggiò sulle spalle. Si impose, poi, di allontanarsi dalla sua musa che altrimenti non avrebbe più fatto andare via.
“Buonanotte, mia signora.”
Doveva svegliarsi dall'ipnosi creata da Chat, e doveva farlo subito.
“Bu-buo-buonanotte.” 
Ma che le prendeva? Che fine aveva fatto la nuova vita di solo se stessa e niente ragazzi?
Si girò di fretta per fuggire da quella camera ma, grazie tante goffaggine, cadde a terra. Pur di andarsene il più velocemente possibile si appoggiò al muro per tirarsi su, peccato che non aveva messo in conto l’interruttore della luce che si trovava a pochi centimetri del suo dito. E così accadde: il dito scivolò sull’interruttore e la luce si accese. Si voltò imbarazzata e vide il suo Chaton con la mano rivolta verso di lei per aiutarla a rialzarsi. I suoi occhi corsero al suo viso che lo trovarono sconvolto con tanto di bocca spalancata e gli occhi verdi sbarrati. Occhi che lei conosceva bene da quanto ci aveva sbavato da quattordicenne.
“Marinette?”, domandò incerto. E poi sorrise. Quel deficiente sorrise. La sua vita le era appena crollata davanti e lui cosa faceva? SORRIDEVA.
Sì, perché quello davanti non era solo il suo chaton, era anche Adrien Agreste. La mega cotta della sua vita, il suo più grande amore, quello che aveva ridotto il suo cuore a pezzi e colui per il quale lei aveva rifiutato e spezzato il cuore a Chat. Peccato che Adrien era Chat. E peccato che fosse nudo, proprio davanti a lei. 
E Marinette che tanto aveva lavorato sulla sua goffaggine e il suo talento per farsi prendere dall’ansia, mandò il suo lavoro tutto all’aria in nemmeno dieci secondi: l’assalì il panico e urlò con tutto il fiato che aveva in bocca sperando che una voragine si aprisse ai suoi piedi e la inghiottisse.

ANGOLO AUTRICE
Premetto che è la prima volta che scrivo su Miraculous Ladybug e quindi non so cosa sia venuto esattamente fuori. Sinceramente volevo continuare la shot, ma non so, vedremo nel corso del tempo. Spero che la storia vi sia piaciuta e che sia qualcosa di decente. Per qualsiasi cosa, anche per farmi notare certi errori, scrivetemi!

P.S: Il collège citato nella storia corrisponde alla scuola media in Italia.

 

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Capitolo 2
*** Prima regola di un'eroina? Scappare ***


“Per l’amor del cielo! Vestiti!”
“Senza offesa, insettina, ma sono cose che conosci molto bene”, ribatté Adrien con un sorrisino, per nulla in imbarazzo di quella situazione. E poi, perché doveva essere in imbarazzo? Era Marinette la ragazza dei suoi sogni! Marinette! A poco gli importava come era venuto a conoscenza dell’identità della sua lady, lui era felice come un bambino la mattina di Natale. 
“Come fai ad essere così..così..insomma, hai capito”, esclamò la ragazza con un gesto della mano e le guance più rosse di un pomodoro maturo.
“In realtà no, non ti sei spiegata.”
“Smettila di fare lo scemo. E ti prego mettiti una maglia.”
“Se mi restituisci la felpa, volentieri.”
Marinette arrossì ancora di più e Adrien si chiese se poteva essere possibile per un essere umano diventare ancora più rosso. Ma lo avrebbe sicuramente scoperto. Stuzzicare così la sua lady era qualcosa che gli scaldava il petto e lo trovava quasi più appagante del sesso. Da sottolineare il quasi. 
Con un gesto di stizza, Marinette si tolse dalle spalle la sua felpa e gliela lanciò contro. Quello con cui stava parlando era proprio il suo chaton: labbra piegate in un ghigno costante, occhi verdi scintillanti e capelli sbarazzini. Eppure allo stesso tempo era Adrien, il suo Adrien. E lei stava andando in confusione, completamente, e non sapeva più come comportarsi. Soprattutto considerando le sue notti passionali con Chat Noir negli ultimi due anni. Oh mio dio, aveva fatto sesso con Adrien Agreste! Doveva andarsene da quegli occhi verdi, subito. 
“Io me ne vado.”
“Marinette, ti prego, aspetta”, gli chiese lui, con tono serio, “dobbiamo chiarire.”
“Chiarire cosa esattamente? Il fatto che io sono Ladybug? O il fatto che tu sei Chat Noir? O, ancora, il fatto che abbiamo fatto sesso insieme per gli ultimi due anni?”
“Tutto questo.”
“Beh, lo faremo un altro giorno.”
Incredibile come gli atteggiamenti di Ladybug fossero fusi con quelli di Marinette, come aveva fatto a non capirlo prima?
“Marinette, lo so che sei confusa.”
“Confusa è un eufemismo! Ti rendi conto che il mio mondo mi è caduto addosso in nemmeno dieci secondi?!”
Adrien non voleva pensarlo, eppure, “Sei dispiaciuta del fatto che sia io Chat Noir?”
Marinette spalancò gli occhi, “sì.”
Adrien rimase spiazzato. Quella schiettezza, il fatto che non avesse nemmeno vacillato… Lo odiava così tanto? Per questo lei non aveva voluto più vederlo?
“Perché? Perché sei rimasta delusa, Marinette?”
“Perché? Perché per colpa tua ho passato gli ultimi anni della mia vita da schifo”, c’era una parte razionale del suo cervello che le stava dicendo di non andare avanti, ma la ignorò bellamente, “perché a causa tua sono finita in questo loop, perché è colpa tua che il mio cuore è ridotto in mille pezzi! E adesso, proprio adesso, che ho deciso di andare avanti, di pensare a me senza nessun ragazzo intorno, tu lanci questa bomba!”
“Per la cronaca, la bomba è stata sganciata a causa tua.”
“Hai ragione”, rispose lei tenendo gli occhi incollati a quelli di lui. Erano lucidi per le lacrime trattenute, esattamente come quelli di lei.
“Tikki, trasformami!”
Nel caso ci fossero stati dei dubbi, questa era la conferma: Marinette, la sua dolce Marinette, era la sua lady. Ma forse non era mai stata sua, né in veste civile né in veste di supereroina.
“Prima hai detto che il tuo cuore è a pezzi per colpa mia”, disse il biondo mentre Ladybug si trovava sul cornicione della finestra, “devi farmi capire qualcosa.”
“Ero innamorata di te, Adrien. E forse lo sono ancora, ma io...io non posso”, e con questo lanciò lo yo-yo e sparì nel buio della notte.
Aveva appena fatto la cosa più coraggiosa della sua vita e poi era scappata, come potete essere realmente una eroina? E come aveva potuto non collegare Adrien con Chat Noir? Idiota, ecco cos’era, un'idiota! 

***

Era andata via, come ogni notte. Però, stavolta, non aveva avuto solo il suo corpo, no. Stavolta Adrien sapeva l’identità della sua lady.
Il fatto che lei gli avesse appena detto che era innamorata di lui e che il suo cuore era in pezzi a causa sua, era un altro dettaglio.
“La conosco, Plagg. Ti rendi conto? Ladybug è Marinette!”
“Alla buon ora, genio. Pensavo che nemmeno ora lo avessi capito.”
“Ladybug è Marinette! MARINETTE.”
“Grazie, ma lo so. Già da un pezzo. Perché ho un portatore così stupido?”
“Guarda che il portatore così stupido è anche quello che ti sfama e ti compra la miglior marca al mondo di camembert.”
“L’unica cosa buona che ti salva.”
Plagg, con una fetta di camembert tra le zampine, osservava il suo portatore fare su e giù per la stanza.
“Che cosa ti frulla in quella testolina bionda?” Lo chiese solo a titolo informativo e perché, era sicuro, volesse commettere qualche sciocchezza.
“Devo andare. Ora.” 
Come volevasi dimostrare, pensò Plagg.
“Ti rendi conto che lei, adesso, è sconvolta e non ti vorrà vedere, vero?”
“Sì, ma ci devo parlare.”
“Che ne dici di aspettare domani, così, anche tu provi a mettere in ordine i tuoi pensieri?”
“Forse hai ragione.
“No, io ho sempre ragione”, ribatté il kwami col visetto puntato in alto con fare altezzoso.
“Plagg”, iniziò Adrien con tono petulante, “di addio alla tua marca preferita di camembert.”
E con in sottofondo le lamentele del kwami della sfortuna, Adrien andò a letto, convinto che domani avrebbe parlato con la sua lady.

***

Marinette non aveva chiuso occhio e le sue occhiaie ne erano la testimonianza. Si era svegliata presto e con una lentezza disarmante aveva fatto una doccia, si era vestita con un grazioso abito rosso e aveva cercato di coprire in tutti i modi le occhiaie.
Adesso era diretta a lezione, con i tacchi degli stivali che producevano un rumore secco sul marciapiede e la borsa a tracolla che stringeva convulsamente con una mano.
Fece per togliersi una ciocca di capelli dagli occhi e lo vide.
Giubbotto di pelle nera, ma era serio?, occhiali da sole e una testa bionda che conosceva dannatamente bene. Dietro di lui si trovava una delle macchine del marchio Agreste, pronta ad ogni ordine del giovane. Il genio, in senso ironico, si era appostato davanti all’entrata della sua università in modo tale da vedere chiunque entrasse. Poco, ma sicuro, l'avrebbe vista e fermata per parlare della loro assurda situazione.
Voleva essere vista da Adrien? No.
Voleva parlare con Adrien? Dio no, chissà che imbarazzo.
Cosa fare, allora?  
“Ehi, Marinette che c’è?”
Si girò e davanti a lei vide una massa di capelli ricci, “Keyla, ciao, che bello vederti qui.”
“Sai com’è, siamo in classe insieme. Tutto bene?”
No, per niente. Keyla lo aveva già capito, quanto tempo ci avrebbero messo gli altri?
“Per caso”, iniziò titubante, “ c’è un ingresso secondario”, disse indicando con il pollice la struttura dietro di lei.
“Credo di sì, ma perché?”
“Beh, ecco, c’è una persona che non voglio vedere.”
Keyla si sporse oltre di lei e dopo vari secondi a scrutare l’entrata della facoltà, individuò il problema.
“Adrien Agreste?”
Marinette annuì. 
“Ma dolcezza, non hai frequentato il collège con lui? Chi vorrebbe evitare Adrien Agreste?”
Tutti lo vorrebbero evitare se avessero commesso il mio stesso errore, pensò Marinete.
“Con quel giubbotto è ancora più figo!”, esclamò Keyla.
Keyla aveva assolutamente ragione. Aspetta, cosa? Marinette ripigliati e non pensare con gli ormoni.
“Keyla abbassa la voce”, sussurrò prendendola per il braccio.
“Va bene. Che dici, ho speranze con un Agreste?”
Nessuno avrebbe avuto speranze con un Agreste, benché meno con quel Agreste che aveva il cuore spezzato per un'eroina che lo aveva sfruttato per i suoi interessi e lasciato solo. E se invece, quello che voleva Adrien era proprio quello?  Trovare una nuova fiamma per dimenticare lei?
“Okay dalla tua stretta deduco di no. Molla il mio braccio che sennò mi verrà un livido.”
Marinette lasciò subito l’arto in questione diventando rossa come il suo vestito.
“L’entrata?”, domandò con un filo di voce.
“Gira subito in queste stradina che abbiamo alle spalle, la seconda porta, quella con gli infissi blu, ti porterà nel corridoio secondario.”
“Grazie Keyla e..scusami per il braccio.”
“Fa niente. Ci vediamo in aula.”
Osservò Keyla allontanarsi con i ricci che danzavano ad ogni suo passo.
“Marinette?”, sentì mentre imboccava la strada consigliatele da Keyla.
“Non guardarmi con quello sguardo, Tikki. Non sono ancora pronta.”
Infissi blu, infissi blu. Dove erano gli infissi blu?
“Rimandare farà soltanto peggio. Via il cerotto, via il dolore.”
“Vorrei fosse vero”, sussurrò la portatrice.
Ecco gli infissi blu!
“Tikki ha ragione, sai?”
Cos’era, il suo tormento personale? Da grande e coraggiosa eroina, Marinette corse il più velocemente possibile verso la porta. Non abbastanza, però, perché si sentì strattonare per un braccio. La presa di lui era salda e gentile, ma mandava un messaggio chiaro: non ti lascio andare finché non lo decido io. Gatto possessivo.
“Che vuoi?”
“Secondo te, insettina?”
“Io l’avevo detto che non era una buona idea”, esclamò Plagg uscendo la suo nascondiglio.
“Nessuno ti ha interpellato, Plagg.”
“Sì, ma io gli do ragione”, ribatté Marinette.
“Visto! Lei sì che è geniale. Enchanté, mademoiselle”, esclamò il kwami con un piccolo inchino.
“Plagg, lasciamoli soli”, e, stranamente, non si lamentò alle parole di Tikki, ma la seguì tranquillo.
“Continuo a dire che sei fortunata ad avere Tikki come kwami.”
“Anche Plagg non mi sembra male. Tranne per il formaggio.”
“Come darti torto?”, rispose Adrien con un sorriso sulle labbra che durò pochi secondi, “Dobbiamo parlare.”
“Devo andare a lezione.”
“Marinette.”
“Adrien.”
Lui scosse il capo biondo, “non vincerò mai contro di te.”
“Mi sembra strano che tu avessi ancora speranze al riguardo.”
Ed eccoli qui, Ladybug e Chat Noir, a parlare e scherzare come se niente fosse, come se niente fosse successo. Ma era successo perché quelli erano Marinette e Adrien che parlavano come Ladybug e Chat Noir.
“Marinette, ti prego.”
“No, Adrien, non potrò mai perdonarmi per quello che ti ho fatto.”
“Ma io sì.”
“Non m’importa.”
“E tu?”, chiese il ragazzo passandosi una mano tra i capelli.
“Ed io cosa?”
“Potrai mai perdonarmi per il dolore che ti ho causato nella mia veste civile?”
“Adrien.. Non si può forzare una persona ad amare e grazie a te l’ho capito...forse è stato doloroso, ma è stato giusto.”
“My lady...io”, incredibile che gli mancassero le parole.
“Non mi amavi, probabilmente nemmeno adesso visto che hai scoperto che razza di egoista sono, ma va bene così. Tu sei innamorato di Kagami e va bene così”, va bene così, anche se lo disse con le lacrime agli occhi.
“Marinette..”
“Non dire niente, ti prego”, lo fermò lei.
Adrien le lasciò il braccio di fronte ai suoi occhi lacrimanti e lei andò via, di nuovo.
Ma stavolta, Adrien non accettava che lei se ne andasse senza che lui le avesse detto quello che le voleva dire.
“Io non sto più con Kagami, l’ho lasciata anni fa, dopo nemmeno sei mesi di relazione. E sai di chi è stata la colpa? Tua, Marinette. Perché, anche se ero convinto di amare Ladybug, la tua lontananza, il tuo abbandono mi ha fatto male più di qualsiasi cosa. E lo sai perché? Perché ti amavo, ti amo.”
Marinette si fermò con la mano posata sulla maniglia. Ma cos’è, voleva ucciderla?
“Vattene”, disse tremante.
“Cosa?”
“Ho detto di andartene, Adrien. Vattene!”, urlò lei guardandolo negli occhi. Aveva le lacrime che le rigavano le guance, il mascara colato e le occhiaie. Non si era mai sentita peggio di così. Continuarono a guardarsi negli occhi, nessuno dei due muoveva un muscolo.
“Va bene, se non te ne vai tu, me ne vado io”, esclamò lei.
“Certo che per essere una coraggiosa eroina, sei brava a scappare”, disse lui con veleno nella voce.
Lei lo ignorò, entrò nella facoltà e chiuse la porta dietro di sé. Come ogni volta, pensò Adrien.

 

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Capitolo 3
*** Indecisa e maldestra, sono proprio io. ***


Questa giornata poteva rientrare nella sua top ten ‘i giorni peggiori della mia vita’. Non molto tempo fa, si classificava primo il giorno in cui aveva scoperto che Adrien frequentava Kagami, ma questo era stato scalzato dal giorno in cui era venuta sapere che Adrien era Chat Noir. La giornata che aveva appena trascorso poteva essere tranquillamente posizionarsi al terzo posto della classifica. Adrien, Adrien!, così dolce e gentile era venuto fino alla sua facoltà per parlarle, per chiarire e lei lo aveva cacciato via! 
“Sono una persona orribile, Tikki!”
La sua portatrice sdraiata sul letto a pancia in giù come una stella marina, teneva la faccia premuta sul cuscino.
“Sei solo sconvolta e non colleghi la mente alla tua bocca. Non ti preoccupare, passerà”, rispose la kwami volandole vicino.
“Per te è semplice. Mica hai maltrattato l’amore della tua vita.”
“Marinette..”
“Zitta, Tikki”, disse mettendosi un dito sulle labbra, “senti questo rumore?”
La kwami, prima offesasi per essere stata zittita in quel modo brusco, si mise in ascolto.
“Qualcosa sta battendo sulla botola”, concluse poi.
“Non qualcosa”, disse Marinette scuotendo la testa, “qualcuno.”
Si arrampicò sul letto e aprì di uno spiraglio la botola.
“Devi lasciarmi del tempo per riflettere.”
“Lo sai”, iniziò Chat con quel suo perenne ghigno e la coda che ruotava tra la sua mano, “è la stessa cosa che mi ha consigliato Plagg.”
“Comincio a credere che io e Plagg andremmo molto d’accordo.”
“Basta che gli regali un po’ di camembert e va d’accordo con tutti. Diciamo che è uno che si fa comprare facilmente. Allora, mademoiselle, vuole lasciare un povero micio qua al freddo o lo fa entrare?”
Lei arrossì, sperando che lui nel buio della notte non lo notasse, e strinse più forte la botola.
“Va bene, ho capito”, disse lui allontanandosi. Lei sospirò di sollievo.
“Volevo solo darti la buonanotte e scusarmi per oggi. Sono stato precipitoso.”
“Come sempre, gattino.”
Lui sorrise al quel nomignolo e prese in mano il bastone per allontanarsi da lì.
“Grazie, Adrien”, sussurrò lei, arrossendo. 
Questa era la sua Marinette, pensò il gatto nero. Poi fece un saluto con la mano e saltò via.
“Visto, è stato un grande passo avanti! E poi, Marinette, pensa alla parte positiva di questa situazione: non balbetti più cose senza senso davanti a Adrien.”
“Tikki!”

***

Stamattina nemmeno il tempo di arrivare alla facoltà che Marinette era stata spedita (dio, ancora non ci credeva!) da Gabriel Agreste, il suo stilista preferito e padre del suo gatto nero preferito. Ora che fare?
Non poteva tirarsi indietro visto che era stato proprio il noto stilista a chiamarla, chiedendo alla segreteria dell’università di fargli incontrare il più velocemente possibile Marinette Dupain-Chen. Non aveva voluto sentire ragioni, avrebbe parlato solo con lei e nessun altro, né insegnanti né alunne. 
Si sentiva lusingata da ciò? Bè, come poteva essere altrimenti?! Ma la paura di incontrare Adrien era tanta. Fece un respiro profondo. 
“Anche lui frequenta l’università, quindi sarà sicuramente a lezione. Non preoccuparti e vai Marinette, non puoi perderti questa occasione.”
Dopo questo discorso motivazionale e la ritrovata calma, Marinette scelse con cura cosa indossare, ma, improvvisamente, le sembrava che non avesse niente di adatto all'interno del suo armadio e che nessun abito potesse andare bene per un incontro con monsieur Agreste.
“Sono finita, Tikki. Non ho niente da mettermi, mi vestirò con quello che lui decreterà uno straccio e la mia carriera da stilista sarà finita ancor prima di cominciare!”
“Marinette, calmati. Troveremo sicuramente qualcosa”, e dicendo ciò, l’esserino rosso si tuffò dentro l’armadio della sua portatrice.
“Che ne pensi di questo. Lo hai realizzato molto tempo fa, ma non lo hai mai indossato.”
È vero, realizzò Marinette. Si era completamente scordata di quell’abito che aveva cucito mesi addietro. Lo prese tra le mani e lo esaminò con occhio critico. Era un abito semplice, senza nessuna decorazione. Aveva le spalline sottili, era avvitato fino alla vita e poi scendeva morbido fino a metà coscia; il tessuto era la parte più importante dell’abito: seta color crema. Annuì convinta della scelta. Indossó delle scarpe nere con il tacco largo e il cinturino alla caviglia e, invece della sua solita borsa, scelse una borsetta a tracolla nera.
“Tikki, vieni." E accompagnata dalla sua fedele amica, scese giù dai suoi genitori per avvertirli del cambio di programma.
“Tesoro, ma è favoloso!”, esclamò suo padre.
“Vai pure, non preoccuparti”, disse sua madre abbracciandola, “noi ti aspettiamo qui.”
Sorrise ai suoi genitori e uscì dal negozio diretta verso Villa Agreste.

***

Camminava per le strade di Parigi continuando a contare fino a quattro per poi ricominciare, evitando così che la testa pensasse a un certo gatto nero di sua conoscenza.
Uno, due, tre, quattro. Uno, due, tre, quattro.
“Mary?”
Uno, due, tre, quattro. 
“Marinette?”
Uno, due-
“Che c’è, Tikki?”
-tre, quattro.
“Marinette!”
Si bloccò in mezzo al marciapiede e guardò la sua amica che fluttuava davanti a lei, “cosa?”
“Sei passata davanti casa di Adrien quattro metri fa.”
“Com’è possibile che non me ne sia accorta? Perché non mi hai avvertito prima, Tikki?”
“Io ci ho provato, ma eri da un’altra parte.”
Marinette sospirò e fece dietrofront arrivando a casa Agreste, stavolta senza contare.
Suonò al campanello, ancora una volta intimorita da quella enorme magione.
“Sì?”, si sentì chiedere la citofono. Sicuramente Natalie.
“Sono Marinette Dupain-Chen, ho un appuntamento con monsieur Agreste.”
Non ricevete nessuna risposta, ma il cancello si aprì e Marinette lo prese come un muto invito ad entrare. Attraversò velocemente il giardino, salì la scalinata monumentale dell’ingresso ed entrò.
“Buongiorno mademoiselle.”
“Buongiorno Natalie.”
“Mi segua”, e con un cenno della mano la condusse fino all’ufficio di Gabriel. Bussò piano e, dopo aver ricevuto una risposta affermativa, entrò insieme a Marinette. 
“Marinette Dupain-Cheng, signore.”
“Oh, certo”, disse Gabriel seduto alla sua scrivania, “si accomodi, Marinette”, continuò, accompagnando la frase con un gesto elegante della mano ad indicare la sedia posta davanti a lui. Marinette, seppur intimidita, fece ciò che le era stato chiesto.
“Natalie, puoi lasciarci soli.”
Dopo il tonfo della porta che si chiudeva, Gabriel si schiarì la gola e si sistemò gli occhiali.
“Si chiederà perché l’abbia fatta venire qui.”
“In effetti…”, disse Marinette con un filo di voce.
“Sa, Marinette, sto seguendo i suoi passi da un po’. Sinceramente la tengo d’occhio da quando realizzò quella bombetta, vincendo il concorso del collegè. È migliorata molto.”
“Grazie mille”, rispose lei, convinta che miglior complimento non lo avrebbe potuto ricevere da nessun altro.
“C’è da dire che nei suoi lavori si trovano degli sbagli.”
No, okay, un altro colpo duro non lo avrebbe potuto reggere. Bastava già Adrien/Chat Noir ha farla sentire una buona nulla e un'incapace, non voleva aggiugere anche Gabriel Agreste.
“Però”, continuò lo stilista, “è anche molto giovane ed è capibile.”
Questa frase fece sperare Marinette e la sua ansia aumentò, cercando di capire la fine di quel discorso.
“Sa qual’è il più grande requisito per uno stilista di successo, Marinette?”
“La creatività?”
“Saper riconoscere il talento. Non solo nelle persone, ma anche in un oggetto, vederne le potenzialità. E tu hai talento.”
Marinette pensò che avesse una faccia buffa, con gli occhi e la bocca spalancata, e si convinse che era per quello che il signor Agreste stesse sorridendo.
“I-io?”
“Sì, tu.”
Ora sarebbe potuta morire soddisfatta. Il suo stilista preferito le stava dicendo che la trovava un talento. Cosa poteva chiedere di più?
Adrien. 
Ecco, forse era meglio se il suo subconscio si zittisse un attimo.
“La ringrazio, monsieur Agreste.”
“Non mi ringrazi, è la verità. Per questo motivo le voglio chiedere di diventare la mia stagista personale, così da lavorare sulle sue lacune e imparare il mestiere sul campo.”
“Io...ne-ne sarei o-onorata, signore.”
“Dobbiamo lavorare anche su questa tua timidezza, il mondo della moda è pieno di squali.”
Ammutolita, Marinette annuì.
“Bene. Mi metterò in contatto con la facoltà e ci organizzeremo. Appena saprò qualcosa le farò sapere, Marinette. Nel frattempo mi mandi alcuni dei suoi bozzetti, li studierò così da parlarne insieme la prossima volta che ci vedremo.”
“Come vuole, monsieur Agreste”, replicò la ragazza cercando di non balbettare.
“Lasci i bozzetti alla facoltà in modo tale che li possano dare alla mia assistente. Spero di vederci al più presto”, disse lo stilista alzandosi dalla sedia.
“Concordo”, disse Marinette, imitando il gesto del signor Agreste.
Con un lieve cenno del capo, Marinette si diresse verso la porta, ma prima che potesse andare via sentì l’uomo schiarirsi la voce.
“E la prego, Marinette, mi chiami Gabriel.”
“Va bene, signor-”, si bloccò appena in tempo e, dopo un automatico timido sorriso, riaprì bocca, “Va bene, Gabriel. Buona giornata.”
“Anche a lei.”
Dopo che la porta dietro di lei si fu chiusa, Marinette si lasciò scappare un strillo di pura gioia.
“Dio, ci credi, Tikki? Io! Io stagista di Gabriel Agreste!”
Dalla contentezza fece una giravolta su se stessa, finendo, inevitabilmente, contro qualcosa.
“Sapevo che non poteva essere di mio padre tutta quella gioia. Se è per questo, nemmeno la voce stridula.”
Forse era finita contro qualcuno. Alzò timidamente gli occhi e si ritrovò Adrien Agreste davanti a lei in tutta la sua gloriosa bellezza.
“Buongiorno”, disse allontanandosi di un passo da lui e dalle sue braccia che erano finite sulla sua vita per sorreggerla.
“Buongiorno. Notizie felici, vedo.”
“Oh, sì! Sono la nuova stagista di tuo padre.”
“Sono contento per te, mia signora.”
E improvvisamente, quel soprannome fece scattare qualcosa in Marinette.
“Tu c’entri qualcosa? Intendo, è grazie a te se sono stagista di tuo padre?”, disse in tono velatamente minaccioso.
“Cosa?! No! È grazie al tuo talento, Marinette. Solo grazie a quello.”
Aveva ancora un sospetto, eppure, sapeva che Chat Noir non le avrebbe mai mentito. E sapeva pure che nemmeno Adrien le avrebbe mentito. Accidenti, era fregata.
“Piuttosto, che ci fai tu qui?”
“Stai scherzando? Marinette, questa è casa mia.”
Dio, che gaffe aveva fatto! Meglio dire che figura di mer...Marinette non essere volgare. Si impose di fare un respiro profondo.
“Avevo intuito che avessi un appartamento tutto tuo”, disse con lieve imbarazzo, perché pensare a quell'appartamento portava a pensare a quel letto e, di conseguenza, alle loro notti passate insieme.
“Sì, ma questa rimane pur sempre casa mia. Con la mia camera e con la mia roba. Vengo qua per non lasciare solo mio padre in questa enorme villa e, anche se non vorrei, passo molto più tempo qui che nel mio appartamento.”
“Davvero?”, chiese lei cercando di capire quel micio che l’aveva ospitata tante volte.
Lui annuì, seppur con una faccia desolata, “Mio padre non sarà il padre dell’anno, ma è mio padre e gli voglio bene. E poi, qui, c’è uno chef a mia disposizione che cucina molto meglio di qualsiasi altra cosa potrei mai cucinare io”, disse sdrammatizzando un po’.
“Questo perché sei stato viziato. Io cucino benissimo.”
“La mia cucina ti aspetta.”
Lei fece un sorriso mesto, “vedremo Adrien.”
Si girò e avendo notato Natalie vicino alla porta le si avvicinò, “le farò avere i miei bozzetti il prima possibile.”
“Va bene, mademoiselle Marinette.”
“La prego, mi chiami Marinette e basta.”
Natalie annuì e se ne andò, dopo aver appreso la nuova informazione. Quella donna era decisamente un robot, pensò Marinette. Aprì il portone della villa e uscì, non prima di aver visto un’ultima volta il suo Chaton. Era di spalle, con la camicia bianca che gli abbracciava le braccia e il torace in una maniera sublime, i capelli biondi non erano pettinati ordinatamente ma somigliavano molto più ai capelli sbarazzini della sua controparte da eroe. Poteva immaginare anche il cipiglio dubbioso sul suo bel viso, i lineamenti tesi per la situazione che si era venuta a creare tra loro due, e, infine, i suoi occhi. Ah, i suoi occhi! Quel verde tanto ipnotizzante, circondato da delle lunghe ciglia bionde. E così, dopo essersi beata per un’ultima volta della vista di Adrien, chiuse la porta dietro di sé.
In quell'esatto momento, Marinette decise che avrebbe continuato ad amare quel ragazzo. Avrebbe continuato ad amare Adrien Agreste da lontano e in silenzio.

 
Angolo autore...
Grazie mille per il sostegno e le recensioni che questa storia sta avendo, davvero grazie mille a tutti, anche a te che stai solo leggendo. Alla fine penso che la storia non si concluderà qui, ma che continuerà. Ho in programma un altro finale per questi due e spero di finire di scriverlo al più presto, in uno o due capitoli.
Un abbraccio,
Cassie

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Capitolo 4
*** Carte scoperte ***


Erano passati quattro giorni da quell'incontro a casa Agreste.
Quattro giorni di silenzio stampa da parte di Marinette.
Quattro giorni di silenzio stampa da parte di Adrien.
E quattro giorni di silenzio stampa da parte di Gabriel. Adesso, Marinette si sentiva turbata, in ansia che Gabriel Agreste avesse deciso che un’altra ragazza meritasse il posto di stagista nella sua maison. 

“Marinette, rilassati, andrà tutto bene. Hai lasciato i tuoi bozzetti alla segreteria dell’università, no?”
“Sì”, rispose lei trascinando la vocale.
“Allora tra poco avrai sue notizie, non preoccuparti.”
Come se quella frase avesse invocato una divinità, alias Gabriel Agreste, il cellulare di Marinette si mise a squillare. La ragazza si scambiò una veloce occhiata con Tikki e poi corse verso la scrivania per afferrare il telefono. Nel frattempo, perse una botta al costato per non aver notato lo spigolo del mobile, ma quelli erano dettagli.
“Pronto?”
“La signorina Marinette Dupain-Chen?”
Solo una persona, a questo mondo, poteva chiamarla così, “Sì, Natalie, sono io. Buongiorno.”
Sentì, dall’altro capo del telefono, un ‘uhm-uhm’ che probabilmente era un saluto.
“La chiamo da parte del signor Agreste. Abbiamo parlato con la direttrice dell’università e trovato un accordo: parteciperà a tutte le sue lezioni nella mattina e nel pomeriggio, invece, sarà in compagnia del signor Agreste. Se ci fossero impegni della maison Agreste che intaccano con il suo programma mattutino, si è già deciso che lei resti con il signor Agreste. Nel caso dei compiti avrà una deroga di tempo rispetto agli altri suoi compagni. Le è tutto chiaro?”
“Penso di sì.”
Quell’impegno l’avrebbe praticamente occupata tutti i giorni e se si sommava all’università e a l’atra sua vita da eroina, il tempo per Marinette sarebbe stato praticamente nullo. 
Ma quella era l’occasione della sua vita e un traguardo importante per il suo futuro e la sua carriera.
“Va bene, quando incomincio?”
“Oggi pomeriggio ci sarà un servizio fotografico per la nuova campagna della maison. Le manderò un auto dell’azienda a casa sua alle quattro in punto che la porterà sul luogo del servizio. La prego di non fare ritardo.”
“Okay, grazie mille. Arri-”, ma nemmeno il tempo di salutarla che Natalie aveva già chiuso la chiamata. Quella donna doveva essere impegnata ventiquattr’ore su ventiquattro.
Fece un respiro profondo pensando che le conveniva studiare ora quel capitolo di storia della moda, visto che questo pomeriggio avrebbe iniziato a lavorare come stagista personale di Gabriel Agreste. Qualcuno avrebbe dovuto darle un pizzicotto perché non riusciva ancora a crederci. Un sorriso si formò sulle sue labbra, ma venne presto interrotto quando le cadde sul piede il telefono che aveva ancora in mano. Ecco il pizzicotto che voleva.
“Mamma! Potresti portarmi del ghiaccio?!”

***

L’aveva saputo oggi a pranzo, quando, casualmente, Natalie, elencandoli tutti i suoi impegni della giornata, gli aveva annunciato che oggi al servizio fotografico ci sarebbe stata anche la nuova stagista di suo padre, Marinette Dupain-Chen.
Aveva mandato giù il boccone di insalata, evitando di commentare, ma era dal quel momento che la sua testa non smetteva di pensare a lei. E ora erano le quattro...aveva pensato a Marinette per tre ore consecutive, quanto poteva star male?
“Ragazzino, adesso basta. Vedo il fumo uscire dalla tua testolina bionda. Non è che se pensi troppo, poi mi vai in corto circuito?”
“Devi smetterla di vedere quei film, Plagg. Io non sono un robot.”
“Allora è Natalie.”
Adrien sorrise. Per quanto avvolte detestasse Plagg, sapeva sempre fargli tornare il sorriso sulle labbra.
Si trovava sul set, un parco completamente all’aperto appena fuori Parigi, e vedeva davanti a sé scattare avanti e indietro truccatori, parrucchieri e scenografi. Il suo amatissimo fotografo (suvvia, pensa agli spaghetti della mamma!) era fermo immobile a guardare che le luci e l’ambiente dove avrebbe lavorato fossero perfetti. 
Lui era l’unico a non preoccuparsi di niente. Sedeva su una delle sedie da regista, davanti a lui la postazione del trucco dove il parrucchiere aveva appena finito di sistemargli i capelli biondi e, nascosto dietro un bicchiere con i pennelli del trucco, si trovava Plagg che, pigramente, stava mangiando un’altra forma di camembert. 
“Hai sentito? A quanto pare quella è la nuova stagista di monsieur Agreste.”
“Vorrai dire la prima nuova stagista. Sai, non ne ha mai avuto una, infatti l’abbiamo trovato strano quando Natalie ci ha informato.”
“Deve avere talento per aver attirato l’attenzione di Gabriel Agreste.”
Avevano dannatamente ragione, pensò Adrien quando finì di ascoltare la conversazione delle due costumiste che erano appena passate.
Si girò alla ricerca del padre e, dopo che lo ebbe individuato, trovò accanto a lui Marinette. 
In effetti era un pò buffa, lei che era già bassina di suo, in mezzo a suo padre e Natalie. Loro così seri e distaccati e lei che sembrava una bambina davanti al suo gioco preferito.
“Smettila di guardarla così. Se ne accorgerà”, sentì dire da dietro i pennelli del trucco.
“Chi ti ha detto che non voglio che se ne accorga?”, chiese lui retorico.
“Gatto pervertito e in calore.”
Adrien non negò.

***

“Hai capito, Marinette?”
La ragazza con una cartellina in una mano e una penna nell’altra, stava annotando tutto ciò che il signor Agreste le stava spiegando sui set fotografici.
“Cosa ne pensi?”
“Che queste cose non le insegnano all’università.”
Lui sorrise e scuotè il capo, “ti ringrazio di questo appunto, ma ti chiedevo che ne pensavi dei modelli”, disse indicando con il capo Adrien al centro del set.
Guardò il ragazzo che definiva l’amore della sua vita (amore silenzioso, Marinette, silenzioso!) e arrivò alla conclusione che la giacca in tessuto scozzese grigio li donava proprio.
“È favoloso”, sussurrò sognante.
“La giacca o il pantalone?”
Si riscosse alla domanda di Gabriel.
“Tutto!”, rispose troppo freneticamente, “cioè l’insieme, tutto è favoloso anche il modello. Cioè no! Non che il modello non sia favoloso, non mi fraintenda, è che il modello e i capi insieme sono favolosi, ecco”. Cosa aveva appena detto?
Sentì una risata dietro di lei e, ci avrebbe scommesso la sua macchina da cucire, apparteneva ad Adrien.
“La prego mi dica che mi ha capito, Gabriel.”
Lui sorrise, “sì, Marinette, ho capito il tuo punto di vista. Ma cosa abbiamo stabilito prima?”
“Che devo tenere sotto controllo la mia ansia e la mia goffaggine”, disse sconsolata versando accidentalmente il caffè sulla sua borsetta di pelle, “o almeno provarci”. Sbuffando cercò un fazzoletto nella sua borsa.
“Le conviene andare in bagno per tamponare la macchia con un po’ d’acqua o non verrà più via da quel tessuto.”
Marinette annuì e, seguendo il consiglio dello stilista, cercò uno dei bagni pubblici del parco.
Una volta trovato, entrò e si mise di buona lena a tamponare la macchia con un fazzolettino bagnato.
“Ma perché tutte a me?”, disse a voce alta tra sé e sé. 
“Se fossi meno sbadata, non succederebbe.”
Con la spalla appoggiata allo stipite della porta, le mani in tasca e le gambe incrociate, Adrien Agreste era identico a Chat Noir. 
Stupita di quel pensiero e della persona che si trovava davanti a lei, Marinette fece un salto per aria facendo scivolare la suola delle scarpe sul pavimento e cadendo in avanti contro il muro dove finì per batterci una testata.
“Cavolo, quanto sei maldestra”, disse lui prendendole la testa fra le mani, “ti sei fatta male?”, continuò sfiorandole i capelli.
“Sì”, sussurrò lei, “cioè no, non mi sono fatta male. Sto bene”, disse allontanandosi dalle sue mani, “è solo una botta, ormai ci sono abituata.”
Lui sorrise, “questo è uno dei motivi per cui non ti ho riconosciuto. Cavolo, quando indossi quella tutina-”
“Fammi indovinare”, lo interruppe lei, “sono dannatamente sexi?”
“Stavo per dire che non inciampi continuamente, che non ti imbarazzi e che sei...diversa.”
“Ah”, rispose lei con le guance arrossate.
“E poi”, disse lui con un ghigno sul volto, “sei sempre sexi, con o senza tutina. E con senza intendo proprio senza niente.”
“Okay, silenziati!”, esclamò con le mani al volto per coprire le guance in fiamme, “e comunque, anche per te vale lo stesso.”
“Ah, signora coccinella, non mi sarei mai aspettato una dichiarazione del genere così apertamente!”
“Cosa? No, ma che hai capito, gatto pervertito! Io mi riferivo al fatto che anche tu sei diverso con la maschera. O meglio è quello che credevo prima di scoprire la tua identità. Ora tu e Chat non mi sembrate così diversi.”
“La stessa cosa vale per te.”
Si guardarono negli occhi e per la prima volta si guardarono con la consepevolezza, non di essere Ladybug e Chat noir o Adrien e Marinette, ma che erano entrambi. Erano sempre loro due, erano sempre le stesse persone, non due entità diverse. 
Imbarazzata, Marinette voltò lo sguardo e si trovò a fissare la sua immagine nello specchio.
“Per l’amor del cielo, ma somiglio ad un peperone! O a quando Chloè utilizzò troppo autoabbronzante.”
All’ultima affermazione, Adrien scoppiò in una fragorosa risata.
“Cosa ridi tu! Se esco così, cosa potranno pensare?”
“Che hai utilizzato anche tu troppo autoabbronzante?”, lei lo colpì con la borsetta in pieno petto, “o che ti sei intrattenuta in giochetti passionali con un certo modello.”
Marinette arrossì così tanto che Adrien ebbe paura che morisse in quel momento.
“Adrien!”, urlò con la voce più alta di un’ottava, “va fuori di qui o non farò nessun miglioramento.”
“Sei sicura? No perché se vuoi-”
“No, sono sicura. Esci, gattaccio.”
“Come vuoi”, rispose lui con un sorriso e le mani alzate, “ma…”
“Odio i ‘ma’.”
“Ma, stasera vieni con me.”
“Non ho capito.”
“Stasera, tu ed io, usciamo.”
“Usciamo fuori?”
“E dove sennò?”
“I-io…”, iniziò lei indecisa e pronta a riufitare la proposta.
“Marinette puoi girarci intorno quanto ti pare, ma non possiamo fare finta di nulla.”
Lei sospirò e guardò altrove.
“Non potremmo, che ne so, rimanere amici?”
Adrien non credeva alle sue parole, “Amici”, ripetè dubbioso, “tu vuoi che rimaniamo amici.”
“Migliori amici”, buttò lì Marinette, dandosi subito dopo dell’idiota.
“Bè, signorina, sappi che i migliori amici non si vogliono portare a letto a vicenda.”
“Plagg, ti prego non ora”, disse prendendo il kwami per la collottola.
Il kwami della sfortuna stava per riaprire bocca, ma vedendo lo sguardo serio del suo portatore (che, tra l'altro, non gli aveva mai visto) decise di essere magnanimo e di rimanere in silenzio. Avrebbe commentato tutto più tardi.
“Marinette vuoi veramente che rimaniamo amici?”
Perché continuava a ripeterlo? No, non voleva che restassero amici, ma dovevano. Le loro relazioni erano sempre finite male, ne uscivano distrutti e Marinette era stanca di soffrire. Aveva già sofferto per sei anni, si era autodistrutta per sei anni e sapeva che il modo migliore per non soffrire più era chiudere definitivamente con Adrien Agreste, ma non poteva farlo. Non poteva non vederlo più, non poteva non sentire più la sua voce, non poteva non sentirlo scherzare più con delle terribili battute. Era innamorata di Adrien Agreste e non avrebbe potuto vivere senza di lui. Per questo l’amicizia le era sembrato il modo migliore per continuare a vedersi senza soffrire. All’inizio sarebbe stato difficile, ma ce l’avrebbero fatta, ognuno avrebbe costruito la propria vita e avrebbe trovato qualcuno con cui condividerla senza dover soffrire.
“Sì, rimaniamo amici”, si convinse a dire.
Lui la scrutò a fondo e lei si sentì nuda per la prima volta davanti a lui.
“Non ti credo”, decretò infine, “non credo che tu voglia rimanere una mia amica”, disse l’ultima parola con veleno, “perché se volessi solo rimanere mia amica non balbetteresti in quel modo adorabile, non arrossiresti per ogni parola un po’ più sconcia che esce dalla mia bocca e non scapperesti in questo modo. Quindi, no, non ti credo e no, non rimaniamo amici.”
Marinette deglutì a vuoto perché ogni maledetta parola era vera.
“Adrien esci.”
“Ricordi? Esco solo se stasera usciamo”, disse serio.
“Va bene, esco io.”
“Come sempre”, disse con un sorriso amaro.
Però, Marinette, prima di uscire da quel bagno che era diventato un confessionale, si morse il labbro, “stasera alle dieci sulla Tour Eiffel.”
Uscì, pronta al fatto che avrebbe dovuto vedere per tutta la fine del giorno Adrien con quella meravigliosa giacca scozzese che li faceva delle spalle da dio. Anche i bicipiti, se per questo. E anche i pettorali. E se ci pensava bene, anche la vita era fasciata perfett-
“Marinette, la macchia è venuta?”
“Eh?”, disse posando gli occhi sul signor Agreste.
“La macchia”, ripeté lui indicando la borsa.
“Ah, sì. Diciamo.”
Lui annuì e la guardò sistemandosi gli occhiali, “e, se posso sapere, come mai ha questo aspetto...come posso dire...sconvolto?”
“Cosa? No no, non sono sconvolta è che sono...sono su di giri ecco, sono su di giri perché è la prima volta che sono su un set fotografico vero e proprio. Sì, certo è per questo, mica per altro”, continuò a ripetere Marinette annuendo, “vuole un caffè, Gabriel? Glielo vado a prendere. Corto e nero, come piace a lei.”
Detto questo, Marinette si volatilizzò e tornò solo dopo aver preso il caffè e qualche macarons dalla pasticceria di suo padre. Gabriel non menzionò il fatto che la pasticceria dei Dupain-Chen fosse a venti minuti di distanza dal set, nè fece notare lo sguardo avvilito del figlio. Stette semplicemente là, in silenzio, ad osservare la scena.
“Crede di aver preso una buona decisione, signore?”
“Sì, Natalie. A volte bisogna dare una spinta ai propri figli e mettere i loro bisogni davanti ai nostri. Perché pensi che Papillon sia uscito di scena?”
“Poteva ottenere i miraculous facilmente.”
“Mio figlio è più importante di alcuni gioielli. Emilie è morta, molto tempo fa, e devo accettarlo. Avrei dovuto accettarlo anni fa. Domani lasciami la mattinata libera, devo andare a parlare con qualcuno.”
“Chi?”, domandò Natalie, per la prima volta, con una punta di curiosità.
“Un vecchio massaggiatore cinese” e con un sorriso, Gabriel Agreste rimase in silenzio.

***

Erano le dieci in punto e di Ladybug non si vedeva nemmeno l’ombra. Chat Noir si era accomodato su una delle travi più alte della Tour Eiffel così da poter ammirare la città di Parigi. Sospirò e mosse le orecchie quando la sentì avvicinarsi.
“Sono qua”, disse lei appena atterrò accanto al partner. 
“Mettiti qua con me, guardiamo per un po’ Parigi.”
Lei fece come le era stato chiesto e si accomodò accanto a Chat con lo sguardo rivolto verso la città.
“Cosa stiamo facendo?”, chiese Marinette, più rivolta a se stessa che a Adrien.
“Ci godiamo la reciproca compagnia?”
“Lo sai a cosa mi sto riferendo, Chat.”
Rimasero per un altro po’ in silenzio ad ascoltare i rumori della città che piano piano erano sempre di meno.
“Oggi mio padre, dopo il servizio fotografico, ha voluto cenare con me. Sai, è la terza volta di fila questa settimana”, disse con un sorriso mesto, “è da qualche settimana che sta provando a fare seriamente il padre.”
Prese un sospiro profondo e poi la guardò negli occhi, “io non voglio perderti.”
“Non mi perderai”, rispose lei in maniera automatica. 
“Ho paura che succederà, dopo che ti avrò detto questo.”
Anche se una voce dentro di lei le diceva di non lasciarsi andare, di non commettere di nuovo quell’errore, Marinette decise che Adrien era più importante di lei, del suo dolore e di qualsiasi altra cosa.
“Mon minou”, disse prendendogli la mano.
“Papillon”, disse lui solamente.
“Papillon, cosa?”
“È mio padre. Mio padre è Papillon. Voleva i nostri miraculous per riportare indietro la mamma”, spiegò lui con gli occhi lucidi, “voleva solo sua moglie, la donna che ama. E anche se dovrei essere arrabbiato con lui, da una parte lo capisco, perché se succedesse a te non so se reagirei come lui.”
Marinette inghiottì il boccone amaro e accarezzò il viso di Chat. Lei aveva scoperto che il suo idolo e datore di lavoro, era il nemico che terrorizzava Parigi, Adrien aveva scoperto che suo padre era l’uomo con il quale aveva combattuto tutti questi anni.
“Te lo ha detto lui?”
“Sì, stasera. Ha detto che domani andrà a parlare con il maestro Fu e che si assumerà tutte le conseguenze delle sue azioni. Ha deciso che vuole essere un buon padre e di voler superare la morte di mia madre e che, se vogliamo e lo riteniamo giusto, possiamo consegnarlo alla giustizia.”
Marinette annuì e, solo dopo qualche secondo, realizzò una cosa, “tuo padre sa le nostre identità?”
“L’ha capito qualche settimana fa e, anche se voleva approfittarsi di ciò e rubarci i miraculous, ha riflettuto e ha capito che se avesse continuato ad agire così avrebbe forse ottenuto indietro sua moglie, ma avrebbe perso suo figlio. E ora io perderò lui.”
“Non per forza”, disse Marinette prendendogli il viso tra le mani, “tuo padre si è già pentito dei suoi sbagli e con il tempo migliorerà. Non dobbiamo consegnarlo alla giustizia, né dire al mondo la verità.”
“Sai qual’è la cosa più assurda di tutto ciò?”, chiese il gatto nero alzandosi in piedi, “il fatto che di tutto questo me ne interessi solo in parte.”
Marinette si alzò a sua volta, guardandolo curiosa.
“Perché farei qualsiasi cosa, affronterei qualsiasi cosa, ma solo con te al mio fianco. E la probabilità che tu non ci possa essere, mi terrorizza più di scoprire che mio padre è Papillion.”
Erano occhi negli occhi e lei, che a forza di indietreggiare, si era trovata con le spalle contro la trave della torre con lui davanti che invadeva il suo spazio personale, le stringeva la vita così forte, quasi da farle male, per paura che lei scappasse via di nuovo.
“Mi terrorizza, Marinette. Mi terrorizza completamente fino a togliermi il fiato.”
“Adrien”, esclamò lei sfiorandoli il capo biondo.
Si guardarono e Marinette si arrese. Fanculo a tutti suoi principi.
Si baciarono come se fosse la prima volta, le mani avvinghiate ai corpi, le bocche fameliche. Si baciarono quasi a farsi male con Marinette premuta tra la trave e il corpo di Chat, non si riusciva a capire dove iniziasse uno e dove finisse l’altro.
Quando si staccarono con le labbra gonfie e ansanti, Marinette si domandò come aveva potuto sopravvivere in quei giorni senza lui così vicino. Gli accarezzò il capo biondo mentre Adrien sfiorava con leggeri baci il collo di lei.
“Andiamo a casa tua?”
“Mi sembra un deja-vù, my lady”, le rispose con un ghigno e le diede un veloce bacio a stampo, “le cose cambieranno?”
Lei gli sorrise, “sai, in momenti come questi non bisogna parlare. Stasera saremo solo io, te e il tuo letto.”
“Se qua ci fosse Plagg, farebbe notare che sono presenti anche due innocenti kwami”, disse posando le mani sulla vita della sua lady.
“Perché dobbiamo tirare in ballo Plagg anche quando non c’è?”
Adrien sorrise e scosse il capo, “forza dell’abitudine.”
“Stiamo ancora continuando a parlare, mon minou, e l’unica cosa che vorrei fare è togliermi questa tuta.”
“Ho già detto che amo questa tua determinazione quando sei nei panni di Ladybug? No, perché sennò rimedio subito: amo la tua determinazione. E amo scoprire cosa c’è sotto questa tutina sexy.”
“Chaton?”
“Sì?”
“La curiosità uccise il gatto”, sussurrò al suo orecchio.
“Questa è la mia eroina.”


Angolo Autrice
Ebbene sì, siamo arrivati all'ultimo capitolo di quella che era iniziata come un semplice shot. Visto che voglio dare un vero e proprio finale a questi due meravigliosi personaggi, ho deciso di scrivere un'epilogo. Visto che è già in fase di scrittura spero di pubblicarlo entro la fine della settimana così da concludere degnamente e definitivamente questa storia. 
Grazie a tutte le persone che sono arrivate fin qui,
Cassie.

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Capitolo 5
*** Epilogo ***


“Guarda là, come siamo felici!”, esclamò Alya durante la loro conversazione.
Era mattina presto e avevano deciso di fare colazione insieme al bar vicino alla facoltà di Alya, prima che quest’ultima dovesse andare a lezione e prima che Marinette dovesse andare da monsieur Agreste.
“Ovvio che sono felice! Mancano pochissimi giorni all’inizio della settimana della moda e io potrò partecipare a tutti gli eventi! Certo, è vero che il signor Agreste non mi lascia in pace un minuto, e praticamente sono più in atelier che in facoltà o in casa mia, se è per questo, ma sono così elettrizzata, Alya.”
“Bè”, rispose lei ridendo, “io mi riferivo ad Adrien, ma sono contenta di sapere anche questo.”
Marinette arrossì e sorrise, poi si portò alle labbra la tazza con il cappuccino, che finì.
“Adrien è semplicemente...fantastico. Davvero. E non lo dico perché sono di parte, ma...mi fa sentire come una principessa, come una delle cose più preziose che ha. È bello, Alya. È bello sentirsi amati.”
Alya sorrise e le strinse una mano, “i tuoi l’hanno presa bene?”
“I miei adorano Adrien, dico sul serio. È diventato il cliente preferito di mio padre, incredibile quante cose riesca a mangiare...per non parlare delle brioches, va pazzo per le brioches. I miei genitori sono contenti che io sia felice e sono convinta che mia madre stia già preparando il nostro matrimonio. Gabriel, invece, è stato felice. L’ha dimostrato a modo suo, intendiamoci, però è contento e sta migliorando molto.”
“Chi l’avrebbe mai detto che Gabriel Agreste ha un cuore?”
Marinette annuì e guardò l’ora, “Alya, devo andare o non arriverò mai a Villa Agreste in orario.”
“Va bene, amica mia”, disse Alya ridendo. 
Si abbracciarono e si salutarono velocemente.
“Marinette?”
“Dimmi.”
“Non pensavo che l’avrei mai detto, ma Adrien ti sta facendo bene. Finalmente rivedo la mia dolce amica e non quella che eri fino a qualche settimana fa.”
“Lo so”, rispose lei semplicemente e uscì dal locale. Bene, se non voleva arrivare in ritardo avrebbe dovuto muoversi. Si nascose in una stradina là vicino e poco frequentata, “Tikki.”
“Non si usano i poteri a scopi personali.”
“Lo so, ma è un’urgenza. Se arrivo di ritardo, il signor Agreste mi licenzia.”
“Sappiamo entrambe che non lo farebbe mai. Poi se la dovrebbe vedere con un bel gatto nero.”
Marinette accarezzò il capino della sua kwami, “quindi?”
“Basta dire due paroline.”
“Tikki, trasformami.”

***

“È una brioches quella che stai mangiando?”, chiese suo padre entrando in sala da pranzo.
“Probabile.”
“Togliamo il probabile, è una brioches ed è la terza che si mangia”, esclamò il kwami.
“Vuoi ancora mangiare camembert?”
“Vuoi ancora diventare Chat Noir per andare a trovare la tua bella?”
Adrien lanciò un’occhiata a suo padre che nel frattempo si era seduto e si versava una tazza di caffè.
“Plagg sta buono, non vorrai impedire a due giovani amanti di incontrarsi”, commentò Gabriel.
“Lo sai?”, chiese stupito Adrien.
“Certo, mica sono nato ieri”, disse il padre, “ poi una settimana fa ho installato un nuovo sistema di sicurezza e delle nuove telecamere.”
“Cosa avevamo detto sui sistemi di sicurezza?”
“Ho detto che non ti segregavo più in casa, non che non ti avrei sorvegliato. E poi è l’ultimo allarme uscito, con anche un sistema ad infrarossi.”
“Come non farsi prendere dalla voglia di comprarlo?”, chiese retorico Adrien, “Papà.”
“Sì?”
“L’allarme si trova anche nel mio appartamento?”
“Ovvio, per chi mi hai preso? Un'idiota?”
“No, per mio padre”, disse addentando un’altra brioches.
“Basta dolci, tra quattro giorni inizia la settimana della moda.”
“Ma gli ha fatti il padre di Marinette. A proposito dovresti assaggiarli, sono favolosi.”
“Questo non lo metto in dubbio.”
Gabriel prese un macarons e lo addentò, mentre guardava sul tablet gli ultimi preparativi per la sfilata della sua maison.
“A proposito di Marinette, sai dov’è?”
“L’ho chiamata stamattina per darle il buongiorno e la chiamata è finita con lei che mi urlava ‘Adrienn!’ con una voce così forte che mezza Parigi l’ha sentita.”
“Cosa hai detto a quella povera ragazza?”
“Signor Gabriel, vorrà dire cosa non ha detto a quella povera ragazza”, esclamò Plagg.
“Ehi, perché pensate che sia colpa mia?”
“Perché?! Mi vieni anche a chiedere perché? Perché sei un dannato gatto pervertito in perenne calore e..”
“Plagg, dovresti calmarti”, disse Noroo volando vicino al kwami dalla sfortuna.
“Calmarmi? Calma è il mio secondo nome.”
“No, il tuo secondo nome è rottura”, disse Adrien con la testa tra le mani.
“Senti, moccioso..”, ma si interruppe vedendo un lampo rosso nel cielo, “è arrivata la tua bella.”
Adrien sorrise e bevve il suo succo d'arancia. 
“Chi l’avrebbe mai detto che Ladybug era una ritardataria?”, chiese retorico Gabriel.
“E chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stata l’amore della mia vita?”, rispose Adrien con un sopracciglio alzato, “o sì, io l’avevo detto.”
“Sdolcinato”, commentò secco Plagg.
“Figliolo”, iniziò Gabriel, “non farti scappare questa ragazza.” 
Adrien sorrise e mentre stava per rispondere al padre, si sentì un rumore e a seguire un gemito di dolore.
“È ufficialmente arrivata Marinette”, concluse il ragazzo.
Come a testimonianza delle sue parole, la porta si aprì e velocemente entrò la ragazza in questione.
“Buongiorno signor Gabriel, mi scusi per il ritardo”, disse porgendogli un fascicolo mentre provava a togliersi il foulard intorno al collo.
Gabriel annuì e prese a sfogliare i fogli appena arrivati, “non preoccuparti, stavamo ancora facendo colazione.”
“Bello il fatto che la mia ragazza arriva e saluta mio padre prima di me.”
“Sei per caso diventato un famoso stilista questa notte e io non ne sono a conoscenza?”, chiese Marinette.
“No, l’unico stilista famoso della famiglia sono io”, disse con un sorriso Gabriel.
“Allora, mi spiace Chaton, ma saluto prima tuo padre.”
Adrien imbronciò le labbra e borbottò qualcosa.
Marinette gli si avvicinò da dietro, gli mise le mani sulle spalle e si abbassò fino a dargli un bacio, “per farmi perdonare, ti ho portato dei macarons di mio papà.”
“Ma sì, diamogli altri dolci, tanto non ne ha mangiati abbastanza.”
“Plagg, silenziati se vuoi mangiare altro camembert.”
“Silenziati tu, ragazzino, se vuoi..”
“Basta!”, li interruppe Tikki, “possiamo fare colazione in pace?”
I due si guardarono con gli occhi verdi assottigliati, poi alzarono le spalle.
“Tikki”, esclamò il signor Agreste, “ti ho preso dei biscotti con le gocce di cioccolato.”
“Grazie mille, Gabriel.”
Così i kwami si misero tutti e tre insieme a fare colazione al centro del tavolo.
“Sta procedendo tutto bene?”, chiese Marinette al signor Agreste.
“A parte l’incapacità di alcune persone, procede tutto secondo i piani. A proposito, oggi abbiamo le prove della sfilata, quindi Marinette recati subito là, controlla che abbiano montato tutte le luci e che gli abiti siano perfetti e con le modifiche che abbiamo concordato insieme. Vai pure con Natalie, tra poco dovrebbe partire, io vi raggiungo più tardi.”
“Va bene, signor Agreste”, rispose Marinette con un cenno del capo.
“Oh e ti prego, fammi trovare altri macarons di tuo padre e un caffè.”
“Certamente”, disse Marinette annotandosi tutto mentalmente.
“Oh, capisco, tu puoi mangiare i macarons, ma io non posso mangiare le brioches?”, replicò Adrien.
“Sei tu il modello, non io.”
“Vedi, è qui che viene fuori la tua indole malvagia. Dovevo capirlo che solo tu potevi essere Papillon.”
“Tutto questo perché ti sta negando del cibo?”, domandò con un sorriso Marinette.
“Il cibo non si nega!”, esclamarono allo stesso momento Plagg e Adrien.
Tikki rise divertita, “ora si spiega perché Adrien è il portatore del miraculous del gatto nero. Sei identico a Plagg.”
I due in questione la guardarono indignati.
“Non provare più a dire una cosa del genere, quel ragazzino non mi assomiglia.”
“Per l’amor del cielo, Tikki, no!”
Marinette rise di cuore e dopo aver recuperato tutte le sue cose si avvicinò ad Adrien.
“Vado, Chaton, ci vediamo dopo.”
“Sicuramente, my lady”, rispose lui lasciandole un bacio a stampa sulle labbra, “fa attenzione.”
“A-anche t-tu.”
“È incredibile che tu balbetti ancora.”
Marinette sbuffò, diventato ancora più rossa, e borbottò qualcosa che Adrien non comprese appieno, ma captò qualche parola come ‘è tutta colpa tua’, un ‘sei tu che sei troppo bello’ e ‘come mi sono potuta innamorare di te?’.
Adrien rise e le baciò la fronte, “ma è anche per questo che ti amo.”
Marinette si immobilizzò e lo guardò con occhi sgranati, lui in risposta ghignò.
“L’hai persa definitivamente”, esclamò Plagg.
“Amore della mia vita, ci sei?”
“Mi ha chiamato l’amore della sua vita”, rispose lei in trance.
Adrien si guardò intorno spaesato e divertito allo stesso tempo.
“Ci penso io”, esclamò Tikki volando davanti alla sua protetta.
“Marinette? Marinette, dai”, disse scuotendola.
“Tikki, dammi un pizzicotto, non mi sembra ver- Ahi!”
“Me lo hai detto te.”
“Almeno è tornata tra noi”, esclamò Gabriel.
Marinette guardò Adrien, poi Gabriel e continuò così per altre tre volte.
“Che figura! Perché non si apre una voragine, quando serve?!”
“Che io sappia non abbiamo un sotterraneo o roba simile”, disse Gabriel con nonchalance.
“È vero, ma abbiamo un fantastico covo segreto dove mio padre allevava farfalle.”
“Adrien”,iniziò lui.
“Che ho detto?”
“Adrien.”
“È la verità!”
“Ti akumattizzo, figliolo.”
“Cosa si era detto sulla questione dell’akumizzare le persone? Non si fa, papà.”
“Per te, faccio uno strappo alla regola.”
“Okay, va bene”, esclamò Marinette mettendosi in mezzo, “io vado, signor Gabriel.”
Si girò verso Adrien lasciandogli un bacio a fior di labbra, “Tikki, Plagg, Noroo, venite vi tengo io nella borsa.”
Così si incamminò fuori dalla sala da pranzo, pronta ad uscire insieme a Natalie.
“Ah, Adrien.”
Lui si girò a guardarla. “Ti amo anch’io”, poi andò via.
Rimase perplesso un attimo, poi sorrise, “è unica.”
“Concordo”, disse Gabriel, “ l’ho capito quando ha deciso di perdonarmi e di non consegnarmi alla giustizia.”
“Io l’ho capito dal momento che ha giurato di proteggere Parigi e tutti i suoi abitanti da te.”
“Siamo spiritosi, oggi?”, domandò Gabriel con un sopracciglio alzato e un sorriso sul volto.
“No, siamo divertenti. Solo che è qualcosa che tu non capisci, papà.”
“Ti akumatizzo.”


Angolo Autrice
Bene, siamo ufficialmente arrivati alla fine di questa storia, la mia primissima vera storia. Anche se corto, è stato un bel viaggio che mi ha permesso di crescere.
Voglio ringraziare tutte le persone che nella loro quotidianità hanno trovato un posto per queste mie parole, a tutte quelle persone che hanno aggiunto la mia storia nelle preferite, a tutte quelle persone che mi hanno seguito fin qui e che hanno commentato questa storia. Un ringraziamneto speciale a tanomax che ha sempre avuto parole di incoraggiamento e di apprezzamento per me e questa storia.
Grazie per aver concluso questo viaggio con me,
Un abbraccio,
Cassie.

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