Racconti dell’Epoca SonGoku

di Mercurionos
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Secondo Attacco ***
Capitolo 2: *** I Gusci di Mutaito ***
Capitolo 3: *** Vincere senza Combattere ***
Capitolo 4: *** Il Soffio del Vento ***
Capitolo 5: *** Il Ritorno dell'Allievo ***
Capitolo 6: *** I Tre Bonsai di Brief ***
Capitolo 7: *** Il Bersaglio Invisibile ***
Capitolo 8: *** Sfida tra i Monti Paoz ***
Capitolo 9: *** Il Guerriero Supremo ***
Capitolo 10: *** Il Torneo ***



Capitolo 1
*** Il Secondo Attacco ***


Il Secondo Attacco
 
Bisogna sempre mirare lontano
Oltre il bersaglio
Il nostro soffio
Il nostro spirito
Camminano assieme alla freccia
Quando essa ha lasciato l’arco
La vita comincia
(Tradizione orale della Via dell’Arco)
 
Il potente mago Babidi era giunto sulla Terra per ottenere il potere dell’antico demone Bu, il majin che si disse abbia combattuto con gli dei del Mondo. Una volta che il leggendario demone si era risvegliato, il mago Babidi ne saggiò la forza lasciandolo scatenare sulla popolazione. Intere città vennero ridotte in cumuli di polvere, centinaia di persone innocenti perirono schiacciate dalla forza del demone da millenni sopito nel ventre del pianeta. Fu allora che Goku e Vegeta, i due guerrieri più forti del mondo, andarono a sfidare il demone Majin Bu a singolar tenzone.
Quando arrivarono nel deserto, la dimora del mostro roseo, il suo padrone Babidi li accolse con grasse risa, divertito dall’idea che qualcuno potesse rappresentare una sfida per il suo burattino distruttivo.
Il primo a sfidare il nemico, come era stato deciso con una partita di morra, era Goku, colui che si era allenato con gli dei nell’Aldilà. Si fece avanti liberando il proprio ki e cingendosi dell’aura dorata tipica dei guerrieri Saiyan che, come lui, aveva risvegliato il potere del loro sangue. Goku inoltre, grazie agli allenamenti nel regno ultraterreno, aveva raggiunto uno splendore nuovo al compagno d’arme Vegeta, una forma del corpo che trascendeva i limiti del guerriero Saiyan.
Goku piegò le spalle e giunse le mani, raccogliendo in esse tutta l’energia che possedeva. La scagliò come un gigantesco getto di fuoco sul demone Bu secondo lo stile della Scuola delle Tartarughe di Mare, che gli era stato insegnato in gioventù. L’assalto generò una violenta esplosione, la sabbia e la polvere si sparsero in aria ma una volta ricadute in terra si poteva vedere che l’attacco non aveva sortito alcun effetto. Majin Bu, ridacchiando svagato, agitava braccia e gambe come una scimmia esaltata, il suo corpo mostrante solo qualche graffio e nessun altro danno.
Babidi allora se la rise compiaciuto dalla forza del suo guerriero, sebbene anche divertito dall’inettitudine del campione terrestre. Fu allora il turno di Vegeta che, al contrario di Goku, non aveva ancora superato i limiti del proprio sangue, ma era asceso ad essi. Anch’egli si cinse di aura dorata, piegò le spalle ed alzò una mano, indicando il demone suo avversario. L’attacco fulmineo si precipitò sul corpo di Majin Bu, e lo attraversò senza fatica alcuna come una freccia penetra un foglio di carta. Il mago Babidi, conquistato dallo spavento, si lanciò sul corpo esanime dello sconfitto, piangendone con disperazione la sconfitta.
Goku si avvicinò al compagno, chiedendogli come fosse riuscito in quell’impresa. Vegeta gli rispose: “Tu hai attaccato come un guerriero ordinario, col semplice intento di saggiare la forza del tuo avversario. Per questa tua sicurezza ti senti erroneamente invincibile sul campo di battaglia, il che è la chiave della sconfitta. Differentemente, io ho mirato oltre il mio bersaglio. Sappi dunque che, se ti scontrassi con un guerriero più responsabile di te, quella sarebbe la tua fine."

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Capitolo 2
*** I Gusci di Mutaito ***


I Gusci di Mutaito
 
Ispirato alla storia delle tre frecce di Motonari Mori, daimyo del sedicesimo secolo.
 
Intorno all’anno quattrocentosessanta, durante la grande rivolta del clan dei demoni, capitanati dal potente Grande Mago Piccolo, il maestro della lotta della Scuola delle Tartarughe di Mare, Mutaito, chiamò a sé i suoi più promettenti discepoli. Il primo era il pacato ma spesso accidioso Muten, che aveva imparato a perfezione lo stile di vita delle tartarughe di mare; il secondo era il rigido ma spesso malefico Shen, che aveva appreso oltre agli insegnamenti della scuola di Mutaito lo stile di vita dalle gru degli alberi di susino; il terzo era il silenzioso Taopaipai, fratello di Shen, che stava ancora cercando la propria strada nella vita, ma che spesso si faceva avvelenare dalle parole del consanguineo.
Sentendo che la battaglia finale contro il demoniaco Piccolo si stava facendo vicina, Mutaito temette per la propria vita e per la sopravvivenza dei suoi insegnamenti. Una volta accolti dinanzi a sé i tre studenti nella stanza della meditazione, posò di fronte a ciascuno di loro uno spesso guscio di tartaruga. Allora gli disse: “Provate, se ne siete in grado, a spezzare con le sole vostre forze questi gusci. Se siete miei alunni, ciò non dovrebbe essere per voi alcun problema!”
Muten fece scorrere il proprio ki nelle mani, e vibrò un colpo della mano sul suo guscio, che andò in pezzi. Non appena egli ebbe finito, anche Shen fece scorrere il ki nelle proprie mani, scagliando un colpo secco sul proprio guscio, che si spaccò in due parti uguali senza produrre alcun rumore. Quando fu il turno di Taopaipai, anche questi si fece scorrere il ki nelle mani, e con il movimento di un singolo dito bucò il duro carapace senza alcuna fatica.
Mutaito fece allora portare loro altri tre gusci, ma li pose uno sopra all’altro e li legò saldi con uno spago. Poi chiese nuovamente ai suoi studenti di spezzare i tre gusci, come avevano fatto precedentemente. Muten e Shen e Taopaipai provarono diverse volte a frantumare con un singolo colpo i tre gusci, come erano riusciti a fare poco prima con i loro, ma fallirono. Infine Mutaito si rivolse un’ultima volta a loro, prima della grande battaglia, e disse: “Se separerete la scuola tra voi tre, i suoi insegnamenti ne risentiranno, poiché ne avranno perso di completezza, e poi la Scuola della Tartaruga potrebbe perirne. Se invece rimarrete uniti, i suoi insegnamenti fioreranno in eterno.”
 
Direi che in Dragon Ball è andata male.
 

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Capitolo 3
*** Vincere senza Combattere ***


Vincere senza Combattere
 
Ispirato alla filosofia della scherma di Tsukahara Bokuden, il “santo della spada” (kensei) del ‘500.
 
Capitò un giorno di maggio, nella città residenza di Mark Satan, l’uomo più forte del mondo, che Son Gohan si trovasse sulla linea sette del bus. Benché pochi conoscessero di persona il giovane ragazzo, in verità era nota ai molti la sua identità di “Guerriero Dorato”, il giustiziere difensore dei deboli e dell’amore. Aveva adottato questo stratagemma trasformista per sfuggire al peso e ai brogli della fama e per qualche mese era riuscito nel suo intento. Ora che però era limitato dalla strettezza di quel mezzo di trasporto, in caso di necessità non sarebbe potuto intervenire evitando la rivelazione della sua identità segreta. E infatti, poiché si sa come la fortuna sia cieca ma la sfiga ci veda benissimo, quel giorno capitò un misfatto.
Salì sul largo veicolo un signore corpulento dai modi rozzi e chiassosi, tanto che spinse ai lati del mezzo una povera vecchina indifesa. Non potendo accettare un tale comportamento, Son Gohan si fece largo tra i pendolari e giunse faccia a faccia con il massiccio omone.
“Ehi tu, – disse a gran voce – ti sembra forse il caso di maltrattare questa signora?”
Il gradasso digrignò i denti divertito e infastidito dalle parole del giovane, al che si abbassò per guardarlo diritto negli occhi: “Non mi dare noie, ragazzino. Se la gente non sta attenta a dove mette i piedi non è di certo affar mio. Ora smamma, e te la caverai impunito.”
Per nulla impressionato dalle parole del superbo, Son Gohan raddrizzò ancora di più la schiena e ripeté: “Scusati con la signora, ciccione!” Così l’altro, colpito nel profondo dall’insulto tanto degno dell’adattamento Mediaset, tirò all’insù ambo le maniche e si mise a minacciare senza ritegno il giovane ragazzo con voce iraconda: “Senti pivello, se volevi farmi arrabbiare ci sei riuscito! Pensavi forse di intimidirmi con quel fare altruista e i polsini da lottatore, ma so bene che negli ultimi tempi girano tanti impostori che dicono di essere combattenti, e tu non sembri né sei altro che un impostore. Stai in guardia, perché io sono Spopovich, l’esperto di Muteki-ryu, la Scuola Invincibile!”
“Per me va bene. Lei – disse Son Gohan al conducente del mezzo – si fermi immediatamente, per cortesia. Devo insegnare una lezione a questo gradasso.” Poiché cercava di evitare altre rogne, l’autista fermò il veicolo. L’arrogante Spopovich, che era più vicino alla porta scese per primo, ma anche per ultimo. L’autobus ripartì non appena l’omaccione fu sceso, indi Son Gohan ne aprì un finestrino, sporgendosi nell’aria tiepida della primavera e si rivolse gridando sarcastico a Spopovich, che stava guardando la corriera allontanarsi: “Signor Spopovich, io sono della Non-mi-piace-combattere-ryu, la Scuola della gente a cui non piace combattere in un manga shonen, e come puoi vedere ti ho sconfitto senza nemmeno toccarti."

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Capitolo 4
*** Il Soffio del Vento ***


Il Soffio del Vento
 
Ah, l’usignolo!
C’era tanta gente
E nessuno lo ha udito!
 
In cima all’obelisco al centro della Sacra Terra di Karin, viveva l’anziano e saggio gatto Karin, il dio delle arti marziali. Nell’anno 750, l’abile maestro stava allenando il giovane Son Goku: il compito del ragazzo era di rubare al suo insegnante la brocca contenente l’acqua divina, che gli avrebbe permesso di diventare ancora più forte. Goku si era allenato per giorni, senza riuscire a rubare al gatto l’acqua divina.
“Oggi sembri ancora più incapace di ieri, Son Goku. Ti stai concentrando?”
“Si che sono concentrato. Sono focalizzato sulla bottiglia che devo sottrarti, non mi lascio distrarre da nient’altro!”
“Hai sentito il sibilo della brezza primaverile?”
“No.”
“Allora è come temevo, non hai ancora compreso che cosa sia la concentrazione. Se il tuo spirito è volto in una sola direzione è come bloccato, e non può più rispondere a tutte le situazioni. Infatti
Se guardi una sola foglia
Non vedi che quella.
Se non ne guardi nessuna
L’albero intero ti appare.”

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Capitolo 5
*** Il Ritorno dell'Allievo ***


Il Ritorno dell’Allievo
 
Se non siete stati sette volte ronin,
non potete rivendicare il titolo di samurai.
Inciampate sette volte ma rialzatevi all’ottava,
come una bambola Daruma.
(dal libro del Bushido, lo Hagakure)
Ispirato alle vicende del ronin Nishimura Gonshiro.
 
Di ritorno dalla grande battaglia contro le forze del Grande Mago Piccolo, che dopo giorni di terrore per tutto il Mondo era stato ucciso dal giovane Son Goku dei monti Paoz, il maestro Muten tornò alla sua residenza insieme ai suoi allievi, gli studenti della Scuola della Tartaruga. La sera si festeggiò con allegria e durante il banchetto Muten Roshi distribuì a tutti i suoi allievi ricompense e complimenti. Uno dei suoi studenti, Crilin del tempio Orin, si aspettava di essere festeggiato dai suoi compagni come dal suo maestro, poiché nella frenesia della battaglia aveva salvato la vita di quest’ultimo. La festa proseguì fino a notte fonda, ma Crilin, dimenticato e nemmeno citato dal suo precettore, abbandonò la scuola. I suoi compagni lo cercarono a lungo, ma non lo trovarono.
Tre anni dopo, alla porta della Scuola della Tartaruga si presentò un giovane guerriero dagli abiti lordi. Nessuno lo riconobbe, così chiese di parlare con il maestro di quel santuario delle arti marziali. Il vecchio Muten uscì subito per andargli incontro: “Crilin, quanto mi sei mancato!” Il giovane, sentendo queste parole, si chinò in terra: “Perdonatemi, maestro Muten. Ingelosito per non essere stato ricordato mi sono comportato come un bambino. Vi prego, accettatemi di nuovo nella vostra scuola, anche come novizio!”
“Sei dimagrito tanto, vedo. Nel tuo viaggio non hai potuto fare carriera?”
“No, non ho incontrato nessun guerriero degno di essere seguito. Ho pensato che fosse meglio essere l’apprendista di un vero maestro piuttosto che il prediletto di un incompetente.”
“Mi lusinghi e ti fai onore. Ora vai pure a lavarti e cambiarti, stasera festeggeremo il tuo ritorno.”
Al banchetto tutti bevvero alla salute del loro compagno. Muten Roshi chiese: “In ricordo del tempo passato, sfidiamoci amichevolmente. Quando te ne sei andato eri già più forte di me, voglio vedere se ora che ti sei indebolito sono nuovamente il migliore.” Mentre tutti gli studenti facevano spazio nella sala, alcuni consigliarono a Crilin di lasciar vincere il vecchio maestro: ora che era stato nuovamente accolto tra le loro fila, non avrebbe dovuto rovinare tutto.
Lo scontro cominciò. Tanti attacchi vennero abilmente schivati, ma Crilin riuscì a far perdere l’equilibrio al suo maestro, che andò a rotolare per terra. Una volta rialzatosi, alzò nuovamente il boccale brindando in favore del suo allievo: “Beviamo ancora alla salute di Crilin, perché è ancora lo stesso di una volta. Ho voluto metterlo alla prova non dandogli subito la sua giusta ricompensa. Mai fidarsi di un guerriero che non ha mai perso: Crilin ha avuto il coraggio di tornare da noi e, invece di lusingarmi con la vittoria, mi ha dimostrato la sua superiorità. È finalmente giunto il momento che io mi ritiri, e che lasci la posizione di maestro a questo mio capace allievo, che nomino mio successore.”
 
Effettivamente Toriyama aveva pensato a Crilin come nuovo Maestro della Scuola della Tartaruga, per la storia di Dragon Ball Online, riposi in pace quel gioco. No davvero, non voglio più vedere Trunks in altri giochi.

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Capitolo 6
*** I Tre Bonsai di Brief ***


I Tre Bonsai di Brief
 
Ispirato al racconto dei tre bonsai.
 
Durante il freddo inverno, un monaco solitario stava attraversando le pianure che circondano la piccola cittadina chiamata Ginger Town. Avanzava lento e solitario, salutando con un sorriso tutti coloro che incontrava, di tanto in tanto scostando la gelida neve che continuamente si accumulava sopra i suoi baffi. Una volta giunto ad un ponte, si accorse che il sole stava calando oltre le montagne vicine, così si diresse verso una casupola vicina, abitata da un dottore e dalla moglie. Quando batté le nocche sulla porta venne accolto da una donna bella, che per nulla dimostrava nel corpo la propria età, dalla corta acconciatura color paglia. Ella lo fece entrare in casa accogliendolo come se fosse parte della famiglia, lo fece sedere al kotatsu ricamato e gli offrì del the, indi andò a chiamare il marito, cosicché potesse salutare il viaggiatore. Il monaco si alzò e salutò il padrone di casa con un inchino, ma venne pregato di accomodarsi senza pensare alla cortesia.
“Vi prego, non fate complimenti. Al momento non siamo in grado di accogliervi con il dovuto rispetto.”
“Non si preoccupi, dottor Brief, non voglio provocarvi alcun disturbo. In verità mi sono recato da voi per chiedere se nei dintorni vi sia una locanda in cui passare la notte.”
“Forse è meglio che lasciate perdere, bonzo. Non ci sono alloggi, né in questa città, né in quelle vicine. Come se non bastasse, le ore notturne nella pianura sono gelide e mortali, potete trascorrere la notte qui.”
Il monaco itinerante fu contrario ad arrecare disturbo, ma Panchy, la moglie dottore, insistette per ospitare il religioso, e così calò la notte. Prima di coricarsi, il monaco e il dottore conversarono in compagnia di una tazza di sakè accanto al fuoco.
“Ditemi, dottore, per quale motivo non vivete in città? Il vostro lavoro di certo ne risente, isolato nella campagna!”
“Noi vivevamo in città, e nella casa che avevo affittato c’era anche il mio grande laboratorio. Qualche tempo fa, però, i teppisti del Fiocco Rosso, durante una delle loro razzie, ha fatto irruzione nella nostra abitazione, scacciandoci da West City.”
“Non vi siete rivolto alle autorità?” Chiese il monaco.
“Ai tempi dell’accaduto il governo era stato destituito dal Grande Mago Piccolo, che di certo non mi avrebbe aiutato. Però ora lasciatemi ravvivare la fiamma, che il fuoco si sta spegnendo.”
Il dottor Brief si alzò e prese in mano uno dei bonsai nel vaso accanto alla finestra, poi lo gettò tra le fiamme crepitanti, che iniziarono a consumare lentamente il legno di pesco. Il monaco si spaventò: “Cosa fate? Perché uccidete quelle povere piante?”
“Non ho più legna da ardere, e mi restano solo questi inutili alberelli.”
“Non potreste venderli, invece che bruciarli?”
“Un tempo avevo molti bonsai, erano il mio passatempo preferito. Questi, che sono rimasti con me, li stavo studiando per combattere la fame, ingrandendo a dismisura i frutti degli alberi. Però senza soldi non ho potuto concludere la mia ricerca, e come vede il pesco non è fiorito.”
“Allora per quale motivo non avete venduto la vostra attrezzatura? Sono certo che quella può valere molto!”
“Giammai. Dopo le malefatte di Piccolo, al popolo serve più cibo. Se non riesco a risolvere io stesso la situazione, dubito che qualcun altro al mondo ci riesca.”
Durante la notte, per combattere il freddo, il dottore lanciò nel focolaio anche l’alberello di ciliegie e l’alberello di mele, e il mattino successivo, quando il monaco ringraziò la coppia per l’ospitalità e si congedò, erano completamente ridotti in cenere.
Pochi giorni dopo arrivò un comunicato: il re avrebbe tenuto un convegno con tutti gli scienziati del mondo, per combattere gli effetti dell’insurrezione di Piccolo. Allora il dottor Brief indossò il camice sporco e spiegazzato, raccolse i suoi strumenti nella valigia consunta dal tempo e si diresse verso Central City. Al suo arrivo, i funzionari del re chiesero al dottore di seguirli ed in silenzio lo condussero alla sala del trono. Giunto dinanzi al re, il dottor Brief guardò negli occhi il sovrano, e riconobbe il volto canino baffuto del monaco itinerante.
“Dottor Brief, mi è giunta voce delle disgrazie che le sono avvenute. Ho proceduto ad individuare e punire i responsabili. Inoltre, per scusarmi del ritardo, ho voluto farle dono del terreno compreso tra via dei peschi e via dei meli, nel quartiere dei ciliegi di West City, il luogo dal bizzarro indirizzo ove un tempo abitavate.”

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Capitolo 7
*** Il Bersaglio Invisibile ***


Il Bersaglio Invisibile
 
Ispirato ad una storia della tradizione orale della Via dell’Arco.
 
Quattro giovani guerrieri si trovavano in una foresta per completare l’allenamento. Quella era la Osoroshi no Mori, la foresta delle paure. Vi si erano recati per ordine del loro precettore di arti marziali, il genio Popo, che si disse avesse servito gli dei in questo e nell’altro mondo per cinquemila anni. Poiché la foresta era un posto pericoloso, erano stati incoraggiati a recarvisi insieme. Loro erano Crilin e Yamcha, della Scuola della Tartaruga, e Tenshinhan e Jiaozi, della Scuola della Gru. Ognuno di loro aveva una specialità in cui eccellevano: lo spirito, il coraggio, il potere della mente e il potere del controllo del ki.
Arrivò la notte, che portò con sé una fitta nebbia, allora decisero di accamparsi per la notte sotto una quercia ampia e frondosa. Accadde però che, nel cuore della notte, si udì una risata agghiacciante, tac tac, tac tac, e i quattro apprendisti guerrieri si svegliarono. Le leggende parlavano di molte creature che si celavano nelle foreste più buie, yokai, demoni volpe, alieni stempiati, imperatori dello spazio, cyborg attraenti, uomini-insetto geneticamente modificati e caramelle gommose demoniache.
La nebbia era troppo fitta per comprendere da dove venisse quel ghigno agghiacciante. Tre dei guerrieri non si trovarono più a loro agio, poiché la luce della Luna produceva ombre fantasmagoriche sulla cortina della nebbia. Spaventati, questi cominciarono a combattere con le figure che la loro immaginazione aveva prodotto, scagliarono attacchi nella nebbia profonda, ma il ghigno non cessò. Pregarono il tranquillo Tenshinhan, il più esperto di loro nel controllo del ki, di eseguire il rituale di Amaterasu, la dea del Sole, che con le sue frecce di luce solare disperde le tenebre.
Stancato dallo schiamazzo, Tenshinhan disse ai suoi compari di calmarsi e ancora in dormiveglia alzò un dito in direzione della nebbia, scagliando verso di essa il Dodonpa, la tecnica omicida della Scuola della Gru. L’esorcismo era riuscito, e la risata demoniaca svanì dalla notte.
All’alba la nebbia fu dissolta dai caldi raggi del sole, così i quattro guerrieri andarono ad esaminare il luogo dal quale proveniva il ghigno della notte precedente. Chi aveva colpito Tenshinhan, forse il fratello del loro amico Son Goku, qualche scagnozzo della banda del Fiocco Rosso, o forse era il Grande Mago Piccolo? Invece trovarono due canne di bambù spezzate, che sfregando tra di loro avevano prodotto l’inquietante suono di una risata. Tenshinhan aveva fatto centro a più di cento metri di distanza, affidandosi soltanto al suo fine orecchio! Vessato dai complimenti dei compagni, Tenshinhan lamentò che si era trattato di un puro colpo di fortuna, indi si prodigò per dimostrarlo.
Si posizionò a cento metri da una grande canna di bambù, quindi cominciò a scagliarvi contro il filiforme Dodonpa impiegando tutta la sua abilità di mira, ma solo dopo cinque tentativi riuscì a colpire la pianta. Allora chiuse gli occhi, imitando lo smarrimento della sera precedente, e dopo innumerevoli tentativi non riuscì a spezzare la pianta con il suo sottile attacco.
Ciò non fece che confermare la sua impressione della notte precedente: con lo spirito libero da ogni intenzione della mente, aveva scagliato il suo attacco in armonia con sé stesso e con l’Universo. Tale è il potere di una mente svuotata, la quintessenza dell’istinto del guerriero.

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Capitolo 8
*** Sfida tra i Monti Paoz ***


Sfida tra i Monti Paoz
 
Ispirato al duello tra Benkei, il monaco guerriero, e il giovane Minamoto Yoshitsune, samurai del dodicesimo secolo.
 
Nascosto tra le alture e le valli delle Montagne Paoz, il giovane Son Goku conduceva una vita tranquilla. Ogni giorno coglieva i frutti dagli alberi verdi, pescava i grassi pesci-mostro dal ruscello d’acqua cristallina, e allenava il proprio corpo prima di coricarsi. Con la sua immensa forza innata, difendeva il santuario che fungeva per lui da casa, immerso nel canneto di bambù. Molti malintenzionati si aggiravano da quelle parti, alla ricerca di cibo, rifugio, ma molto più spesso di ricchezze di cui impossessarsi. Son Goku non possedeva alcunché se non la sfera dalle quattro stelle, Sushinchu, che proteggeva in ricordo del defunto padre. Aveva già sconfitto e scacciato molti invasori con l’ausilio del potente bastone Nyoi, l’arma che si modellava in base alle esigenze del combattimento, e aveva reclamato le armi dei barbari assalitori.
Son Goku, però, desideroso di vedere il mondo, si era promesso di abbandonare i Monti Paoz insieme alla sfera Sushinchu, quando avrebbe sconfitto mille nemici e ottenuto mille delle loro armi, inutili di fronte alla sua forza. Aveva già ottenuto novecentonovantanove esemplari di sciabole, pistole, mitraglie e pugnali quando, di fronte al santuario sua casa, si presentò un vecchio signore in groppa ad un cucciolo di Gamera. Son Goku lo lasciò avvicinare, finché notò che l’anziano portava con sé un nodoso randello di legno di nespolo, con il quale avrebbe potuto completare la propria collezione di armi, al che lo fermò minacciandolo con il bastone rosso.
“Chi sei?”
Il vecchio dalla testa calva non rispose, continuando sul suo cammino, quindi Son Goku chiese al bastone Nyoi di allungarsi, e con esso colpì la nuca del signore, che cadde dal cucciolo di Gamera.
“Ma che modi sono? Colpire un vecchio indifeso con un bastone magico! Chiedimi scusa, ragazzo!”
“Tu non mi hai risposto, vecchietto! Sei qui anche tu per prenderti il nonno?”
“Non so di che parli, giovanotto, ma ti meriti una bella lezione.”
“Non ho voglia di prendermela con un vecchio. Cedimi il tuo bastone, e ti lascerò andare.”
“Prenditelo da solo, se ci riesci.”
Son Goku venne colto da un guizzo d’ira, così si lanciò sul vecchio malcapitato. L’arzillo signore però, saltò verso il cielo e superò la schiena del ragazzo, schivandone l’attacco. Goku impugnò ancora più saldo il bastone Nyoi, lo allargò di una spanna e lo allungò di dieci passi e lo agitò nell’aria, ruotandolo vorticoso come un turbine autunnale. Il vecchio però, agile come una giovane volpe, attraversò i colpi uno dopo l’altro, confondendo il giovane guerriero. Son Goku si distrasse per un breve istante, quindi il viaggiatore ne approfittò, sfilando dalle forti mani di Goku il bastone Nyoi, che tornò alle sue proprie dimensioni.
“Perché ti sei fermato, ragazzo? Hai compreso il tuo errore?” Chiese il vecchio a Son Goku.
“No, ho avuto paura di danneggiare il canneto con i miei attacchi. Tu mi hai sconfitto, vecchio, ma ti prego, non prendere con te il mio nonno.”
Il signore si poggiò su una roccia vicina, asciugando il sudore dalla propria fronte: “Non temere, Son Goku, non sono qui per derubarti.”
Il giovane sentì pronunciare il proprio nome per la prima volta dopo tanti anni e si stupì, allora volle indagare sull’identità del vecchio: “Chi sei, tu che mi hai sconfitto?”
“Sono l’eremita delle tartarughe di mare, il maestro Muten. Sono stato per anni l’insegnante di tuo padre Son Gohan, al quale ho insegnato le tecniche che lui ha insegnato a te, e sono anche colui che gli ha fatto dono del bastone Nyoi.”
Il vecchio eremita lanciò il bastone nelle mani di Goku ed esclamò: “Ora hai ottenuto mille armi da quelli che si sono diretti qui. Se vuoi, posso insegnarti ciò che non ho avuto il tempo di insegnare a tuo padre.”
Il ragazzo accettò felice, e si allontanò con l’anziano Muten in direzione del mare.

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Capitolo 9
*** Il Guerriero Supremo ***


Il Guerriero Supremo
 
Ispirato ad una delle leggendarie sfide tra i maestri armaioli Masamune e Muramasa
 
Accadde che il Hakaishin Beerus, il dio della distruzione portatore dell’equilibrio, decise di ritirarsi dal suo impiego divino per dedicarsi alla pesca. L’angelo Whis, supervisore degli dei dell’Universo, chiamò a sé i guerrieri più promettenti che avevano studiato sotto la sua ala protettrice, Goku e Vegeta, e li portò con sé in un bosco vicino. Il divino Whis chiese ai due potenti guerrieri di mostrare i loro progressi come combattenti.
Il primo fu Goku, che cominciò la sua focosa danza: i suoi pugni viaggiavano celeri nell’aria, fendendo il vento silenzioso e creando onde di vuoto; le foglie che cadevano dagli alberi venivano divise in due lobi con estrema precisione; l’acqua del ruscello si separò come se fosse stata tagliata con una spada dall’impeccabile affilatura.
Quindi venne il turno di Vegeta, e anch’egli cominciò la propria esibizione: le sue mani vibravano mute nell’aria ad impressionante velocità e il vento accarezzava i suoi palmi; le foglie si scansavano eleganti dai suoi colpi, che le sfioravano con tanta rapidità; l’acqua fresca del torrente non oscillò nel suo chiaro specchio, e continuò a scorrere oltre.
Una volta conclusa la tenzone, l’angelo Whis prese la sua decisione, e scelse Vegeta come successore del Hakaishin: i suoi colpi erano mortali quanto quelli del suo rivale, ma non distruggevano ciò che non meritava di essere distrutto, mantenendo l’equilibrio nell’Universo.


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Capitolo 10
*** Il Torneo ***


Il Torneo
 
Ispirato alla vita di Hoshino Kanzaemon.
 
Quando vennero inventate e distribuite in tutto il mondo le armi da fuoco, sempre meno coraggiosi si erano dedicati al Bushido, la Via del Guerriero. Per mantenere viva la nobile tradizione delle arti marziali venne istituito il Tenkaichi Budokai, il torneo di arti marziali che avrebbe decretato il miglior guerriero del Mondo. Come luogo dell’evento venne scelta l’Isola Papaya, che ospitava il Budodera, il tempio delle arti marziali. Avrebbe vinto colui che, nell’arco di ventiquattro ore, avrebbe sconfitto più avversari, quindi era importante per tutti i guerrieri saper dosare la propria forza in modo da non affaticarsi troppo nelle prime ore. Si presentarono ogni cinque anni migliaia di pretendenti al titolo di campione. Una prova tanto lunga e faticosa richiedeva sì un corpo duramente allenato, ma anche un animo forte e resistente, che aveva superato i limiti del corpo. Il primo a vincere il torneo fu Muten Roshi, l’Eremita delle Tartarughe di Mare, che per primo poté fregiarsi del titolo “Primo sotto il Cielo”: dei 10’542 candidati che si presentarono, riuscì a sconfiggerne esattamente 8’000.
Nell’anno 756 si presentò al torneo il giovane Son Goku, che si era allenato per anni interi in vista del torneo. Dopo aver combattuto per molte ore senza interruzione, avendo già sconfitto più di 5000 avversari, si concesse una pausa per rifocillarsi. Quando volle però riprendere i combattimenti non ne ebbe più la forza: braccia e gambe erano tanto indolenzite da non permettergli più di ignorare il dolore. Allora un altro dei concorrenti, un arzillo vecchietto dai capelli d’argento, si avvicinò a Son Goku e lo rimproverò di essersi fermato. Con un rapido ed esperto colpo della mano, ferì la pelle del giovane guerriero su tutti gli arti. Il sangue colò lentamente dai muscoli gonfi, quindi Son Goku riuscì a riprendere il combattimento. Degli oltre 13'000 candidati, ne sconfisse 8133 con poco più un colpo ciascuno, frutto del suo duro allenamento. Divenne il nuovo Tenkaichi, il “Primo sotto il Cielo”, finora ineguagliato.
Dopo la consegna del titolo, Son Goku si diresse dal vecchio che lo aveva aiutato: “Grazie per avermi aiutato a superare il primato del maestro Muten. Potete dirmi il vostro nome?” Il vecchio lo guardò contento negli occhi e si rimosse la parrucca argentata dal capo, esclamando: “Lo conosci già, perché lo hai appena pronunciato.” Il nome di Muten così entrò nella storia: sulla via del Guerriero non c’è più grande traguardo di superare sé stessi.

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