Sherlock, Lupin e io - Un'ultima missione

di Atenah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** L'evoluzione ***
Capitolo 3: *** Di finali e inizi ***
Capitolo 4: *** Vaghe predizioni ***
Capitolo 5: *** Cassetti della memoria ***
Capitolo 6: *** Inizia la ricerca ***
Capitolo 7: *** Sir Mackenzie ***
Capitolo 8: *** La difficile arte della pazienza ***
Capitolo 9: *** La caccia ***
Capitolo 10: *** Dubbi e speranze ***
Capitolo 11: *** Victoria Griffith ***
Capitolo 12: *** Una persona sulla faccia della terra ***
Capitolo 13: *** Di finali ed inizi (seconda parte) ***
Capitolo 14: *** Lettere ***
Capitolo 15: *** Epilogo: piccola parentesi sull'International People's College ***



Capitolo 1
*** Premessa ***


Questa storia non è in alcun modo parte ufficiale della serie Sherlock, Lupin e io e semplicemente un'alternativa di mia invenzione all'ultimo volume della serie Un ultimo ballo, Mr Holmes.
Non possiedo alcun diritto di questa serie, i personaggi (a parte quelli di mia invenzione) non sono di mia proprietà, ma bensì degli autori di questa serie.
Il 22esimo volume di Sherlock, Lupin e io, ovvero l'ultimo, mi ha lasciato con un sapore amaro in bocca e perciò nella notte subito dopo aver letto il libro ho preso una decisione pazza: io avrei riscritto Sherlock Lupin e io 22.
Questo racconto non centrerà assolutamente nulla con Un ultimo ballo, Mr Holmes e sarà un misto di idee nuove e una mia vecchia storia mai finita che ora ho deciso di rispolverare. È ambientato dopo Grande Inganno al Royal Hotel.
Detto ciò, non è necessario aver letto il 22esimo volume per leggere questa mia storia, anche se probabilmente tutti lo farete. Voglio cancellare quel retrogusto amaro che mi è rimasto e spero che lo farò anche per voi.
Buona lettura!   

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Capitolo 2
*** L'evoluzione ***


In quella lontana giornata di ottobre Londra sembrava esser stata spennellata con varie sfumature di marroni, gialli e rossi da qualche ignoto pittore.
L'autunno si era posato sorprendentemente caldo sulla capitale del regno unito e così tutto il mese di settembre e buona parte di quello di ottobre erano passati avvolti in un piacevole torpore. Ora che le strade e i prati dei parchi erano ricoperti da un tappeto di foglie di varie dimensioni e colori, un freddo vento umido stava arrivando a riappropriarsi della città.
Così quella mattina mi ero decisa a fare il mio cambio di guardaroba e passare definitivamente ai miei vestiti più pesanti. Stavo davanti allo specchio e me li provavo uno ad uno e più ne provavo, più cresceva la frustrazione in me.
Sembrava non esserci una sola cosa che mi stesse, eppure erano i miei vestiti. In alcuni le maniche erano troppo corte, ma per la maggior parte mi stavano stretti sul petto.
Se ora ci ripenso mi viene da ridere ricordandomi di come con un ultimo sbuffo scocciato avevo lasciato cadere a terra un lungo abito color ocra e avevo deciso di farmi un bagno caldo per rilassare il mio animo.
Ovviamente i miei poveri vestiti non portavano alcuna colpa e in realtà neanch'io. La semplice risposta a questo problema era che ero cresciuta e non solo in altezza.
Pensai alla mia lezione che il professor Hardwicke aveva tenuto il giorno precedente. Mi aveva parlato dell'evoluzione umana, dall'australopitecus all'homo sapiens. In un certo senso anch'io ero evoluta durante l'ultimo anno, o forse mi stavo ancora evolvendo. Il mio corpo e il mio viso da bambina stavano lentamente mutando in quello di una donna e avevo il sospetto di trovarmi solo a metà di questo processo e che avrei cambiato ancora molti vestiti.
Quando uscii dalla vasca mi avvolsi in un grande asciugamano e notai con piacere che ero effettivamente più calma. Mi osservai allo specchio mentre avvolgevo in un secondo asciugamano i miei capelli; i miei zigomi iniziavano ad essere più pronunciati e tutto il mio viso in generale sembrava più spigoloso e le labbra più piene. Altre parti del mio corpo si erano invece ammorbidite, come per esempio i miei fianchi o il mio seno. Non c'era niente da fare: avevo bisogno di fare acquisti.
Quella mattina ancora non me ne resi conto, ma in realtà io non ero l'unica ad essere in evoluzione. Erano gli anni 20 e tutto il mondo si muoveva a grande velocità. Tutto mutava, tutto cambiava e anche se a molte persone il cambiamento fa paura, esso non è sempre un male, anzi, cambiamento vuol dire anche nuove opportunità, nuove avventure.
Non lo sapevo ancora, ma dei cambiamenti erano in realtà già pronti a bussare alla porta di Briony Lodge ed essi sarebbero stati alcuni degli scalpello che mi hanno fatto diventare la persona che sono oggi. Un nuovo capitolo era proprio sul punto di incominciare.
 
Per il momento però la mia preoccupazione consisteva nell'andare a fare compere, quindi scesi in salotto per cercare mia madre, ma vi trovai soltanto Sherlock immerso nella lettura del Times. Stavo per aprire bocca per chiedergli dove fosse Irene, ma egli sembrò leggermi nel pensiero e mi indicò la sala da pranzo.
Quando entrai nella stanza mi si presentò dinanzi una scena alquanto buffa. Lupin era in piedi su uno sgabello e cercava di attaccare un Rembrandt al muro, mentre mia madre era in piedi a pochi passi di distanza con le mani sui fianchi: "Mon amie, continua ad essere storto così!", stava dicendo in quel momento.
Il delizioso quadretto era arrivato pochi giorni prima da Parigi e proveniva da ciò che Lupin chiamava la sua "collezione personale". Holmes aveva alzato un sopracciglio dubbioso, ma alla fine nessuno aveva voluto sapere da dove venisse esattamente quel Rembrandt.
Entrai in sala da pranzo e spiegai in poche parole secche che avevo bisogno di nuovi vestiti e così poco dopo Irene andò a chiamare uno scocciatissimo Sherlock affinché finisse di aiutare Arséne con il quadro e uscì insieme a me di casa.
Adoravo queste scappatelle in città improvvise con mia madre! Irene era solita a portarmi in moltissimi posti nuovi, farmi assaggiare una pietanza esotica a qualche bancarella o raccontarmi un aneddoto di una suo avventura vissuta con i suoi grandi amici.
Quella mattina la seguii fino a Regents Street, in uno dei quartieri più lussuriosi e infine ci fermammo davanti ad una lucente porta verde al numero 627, Monsieur Laurent tailleur vi era scritto sopra a lettere dorate.
"Questo", mi raccontò Irene con un sorriso: "era il mio sarto quando abitavo qui a Londra da giovane e visto che anche tu ora sei una giovane donna, credo che sia arrivato il momento di farti confezionare qualche abito su misura.".
Io arrossii un po' per l'emozione, ma sorrisi contenta a mia madre e insieme entrammo.
Chino e intento ad annotarsi qualcosa su un foglietto di carta su imponente bancone laccato di lilla stava un uomo ormai abbastanza vecchio che a prima vista mi ricordò una cavalletta. Era ossuto e spigoloso, ma un modo diverso da Sherlock nel quale si poteva vedere che possedesse forza, il sarto sembrava fatto di carta.
Quando alzò lo sguardo su di noi notai subito due baffi impomatati e due occhietti grigi che ispiravano simpatia, da come era vestito sembrava essere rimasto indietro di almeno un secolo.
Appena ebbe posato gli occhi su Irene, sembrò quasi prendere il volo. "Madame Irene Adler!  Oh mon dieu, je ne peux pas y croire!  Madame Irene Adler!  Oh, c'est un plaisir de vous voir enfin!  Le plus beau client que j'ai jamais eu!  C'est un plaisir, c'est un plaisir! (Signora Irene Adler! Oh mio Dio, non posso crederci! Signora Irene Adler! Oh, è un piacere rivederla finalmente! La cliente più bella che io abbia mai avuto! È un piacere, è un piacere!)", esclamò e per un momento temetti che gli potesse cedere il cuore.
"Mon cher Laurent, alors flatte-moi! (Mio caro Laurent, così mi lusinga!)", rispose Irene con un sorriso mentre i due si scambiavano due bacetti alla francese: "Questa è  mia figlia Mila", mi presentò poi: "Spero che potrà mostrare il suo talento e confezionare qualche abito per lei.", continuò poi.
Il sarto mi fece un formalissimo baciamano: "Absolument! (Assolutamente!) È sempre un piacere vestire signorine tanto graziose!", mi sorrise egli.
Quando uscimmo dalla sartoria due ore più tardi, avevamo acquistato tre abiti, due giacchette e una sciarpa che sarebbero stati consegnati a Briony Lodge nei prossimi giorni, come al solito Irene mi aveva viziata.
Visto che era ormai ora di pranzo ci fermammo in un piccolo, ma delizioso ristorante in Oxford Street e poi decidemmo di tornare verso casa a piedi, anziché chiamare un taxi.
Ci godemmo l'ultima aria tiepida di ottobre e i colori delle foglie cadute, ero immersa in una piacevole tranquillità.
Quella rilassante bolla scoppiò quando svoltammo in Serpentine Avenue e trovammo davanti a Briony Lodge una macchina scura con Sherlock e Lupin vestito di tutto punto ad aspettarci.
Era Mycroft Holmes, mi dissi, solo lui mandava macchine a prenderci misteriosamente. Però qualcosa nello sguardo di Sherlock mi turbò e la stessa cosa accadde ad Irene, perché ella si affrettò a raggiungere i suoi amici con la fronte corrugata, la seguii.
Holmes teneva in mano una busta che era decisamente da parte di suo fratello, ma non era una delle solite buste blu pallido del Diogenes Club, ma bensì una spessa busta grigia. La porse a mia madre: "Sei pregato di presentarti a Pall Mall a casa mia questo pomeriggio. Porta Mila e se vuoi anche gli altri due. M.H.", lesse lei ad alta voce. Le rughe sulla sua fronte si fecero ancora più profonde: "Perché mai Mycroft ci inviterebbe a casa sua e non al Diogenes? Non l'ha mai fatto.", espresse poi ad alta voce il dubbio che tutti condividevamo. "Non lo so.", fece Sherlock, ma la sua espressione non mi piacque affatto.

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Capitolo 3
*** Di finali e inizi ***


Ero stata varie volte a Pall Mall per incontrare Mycroft Holmes, ma egli ci aveva sempre accolto al Diogenes, mai a casa sua.

La macchina si infilò nel traffico di Londra come un passeggero che si fa strada in una stazione affollata. 

Durante il viaggio nessuno parlò per lasciare che gli altri inseguissero i propri pensieri. Io dal mio canto non sapevo cosa pensare. La verità è che una spiacevole sensazione si stava facendo strada dentro di me. Era quella sensazione che si ha quando si vede un vaso cadere a terra e nei secondi prima dello schianto non si riesce a fare altro che pensare che magari non si romperà. La cosa era resa ancora più frustrante dal fatto che nella mia testa continuavo a ripetermi che stavo ampiamente esagerando e che era un errore teorizzare senza dati, ma la sensazione persisteva.

Quando arrivammo a Pall Mall tirava un vento umido ed io mi strinsi nel mio cappotto leggero. La casa di Mycroft Holmes si trovava esattamente di fronte al Diogenes Club, si trattava di una villetta vittoriana dai muri di mattoni di terracotta e delle grandi finestre dalla cornice color crema su tutta la facciata.

Fummo fatti entrare e un maggiordomo dal viso inespressivo, che si presentò come Miller, ci tolse di mano i cappotti per appenderli. C'era un lungo corridoio con un pavimento di legno lucido e sulle pareti vi erano vari quadri di dimensioni diverse.

Mi sentii improvvisamente a disagio. Credo che sia una esperienza abbastanza comune: quando si conosce una persona così straordinaria da sembrare superiore a tutti gli altri è strano entrare improvvisamente nella  vita privata di essa ed io in quel momento mi sentivo proprio come se mi fossi intrufolata nel cervello di Mycroft Holmes, ovvero un posto in cui non dovevo essere.

Miller ci fece strada su per le scale ed infine indicò una pesante porta di legno scuro. Quando entrai mi resi conto con orrore che era la camera da letto.

Il fratello maggiore di Sherlock non era esattamente nel suo letto. La stanza era in realtà composta da una parte per dormire ed un piccolo salotto adiacente.

Mycroft era steso su un imponente divano di velluto color melanzana ed una coperta lo copriva fino a metà busto. Sembrava una montagna in erosione. La vista mi colpì profondamente. Il maggiore degli Holmes con la sua mente geniale mi era sempre parso quasi come un essere soprannaturale, intoccabile ed eterno. Vederlo così indifeso e vulnerabile mi fece quasi rivoltare lo stomaco e la sensazione di disagio mi ripiombò addosso senza pietà.

Egli non disse nulla, si limitò ad indicare con un movimento stanco della mano quattro sedie che aveva fatto preparare per noi. Ci sedemmo tutti a parte Sherlock che rimase in piedi, gli occhi fissi su suo fratello. 

"Così è scoccata la tua ora.", gli disse in un tono che non era né turbato né sereno. Il maggiore gli rispose con un sorriso sarcastico: "Che brillante spirito di osservazione, mio caro fratello.", rantolò. Holmes non era in vena di scherzare: "Non mi sembra il caso di sprecare voce per sarcasmo. Siamo qui per commiserarti? Ti senti solo?", chiese, ma non lo disse con cattiveria.

Lo sguardo di Mycroft tornò improvvisamente severo come quello che mi ricordavo. "Non essere ridicolo, Sherlock. Vi ho fatto chiamare per una questione di massima importanza e visto che non mi rimane...", tossì: "...non mi rimane molto tempo, sarà meglio parlarvene subito.".

Sherlock si sedette: "Di che si tratta?". Suo fratello indicò una vecchia fotografia sopra alla mensola del camino. Nella foto erano raffigurati tre ragazzi dei quali riconobbi quello in mezzo come Sherlock e quello alla sua destra doveva essere un giovane Mycroft molto più snello allora. Alla sinistra di Sherlock c'era una ragazzina dai capelli leggermente arruffati, grandi occhi ed uno sguardo vispo.

"La mia ora sta per giungere.", disse Mycroft per riattirare l'attenzione: "Per lei invece è giunta prematuramente qualche giorno fa.", raccontò.

"Quella è Violet?", parlò Irene e sembrò che avesse la bocca secca. Sherlock annuì: "Sì, è nostra sorella. Quando? Dove?", si volse poi al fratello. "È stata coinvolta in una sparatoria a Berlino cinque giorni fa avvenuta tra alcune spie tedesche e altre americane, sembra che entrambe le parti pensassero di essere stati traditi da lei. D'altronde non mi stupisce, non ha mai scelto da che parte stare.".

Ero profondamente turbata. Io stessa avevo perso la mia amata sestra in una sparatoria e per un attimo mi era sembrato che il cielo mi cadesse addosso, ma la cosa che non riuscii ad afferrare fu la freddezza con la quale i due Holmes parlavano della loro sorella che avevo appena scoperto avessero. "Ma è terrible!", sussurrai.

Sherlock sospirò e fu una delle poche volte che glielo sentii fare, poco dopo Mycroft mi spiegò affaticato: "Non abbiamo più avuto contatto con nostra sorella. Durante la Guerra fu protagonista di uno scandalo con una spia tedesca. A quanto pare furono travolti da un amore così ridicolmente passionale che tradirono entrambe i servizi segreti dei propri paesi e sparirono nel nulla. Anni dopo Violet ricomparve come se nulla fosse, pretendendo di ritornare a servire il Regno Unito come spia. Ovviamente ciò le fu negato, ma in Germania furono a quanto pare più clementi e così iniziò a lavorare per i servizi segreti tedeschi. Non si è fatta mai più sentire. Nulla.". "E noi non l'abbiamo cercata.", precisò Sherlock e mi parve di cogliere un punta di dolore nella sua voce.

"Il punto non è questo però. Quando mi è arrivata la notizia del suo decesso ho ricevuto una strana e alquanto stramba sorpresa ed io, come potrete di certo immaginare, odio le sorprese. Mi è stato casualmente riferito che i beni di Violet andranno ad una certa signorina.", riprese la parola Mycroft e nonostante la voce roca si poteva chiaramente sentire la scocciatura. "Questa certa signorina si dia il caso che sia la figlia di nostra sorella e così la nostra carissima nipote di cui non eravamo a conoscenza.", concluse e dal suo sguardo soddisfatto, quando esso si posò sui nostri visi increduli, capii che si era aspettato tale reazione. 

"Dove si trova?", chiese Holmes e poi si affrettò a porgere a suo fratello un bicchiere d'acqua dato che egli era in preda ad un violento attacco di tosse. Quando si riprese fece un respiro profondo: "È questo il motivo per cui siete qui.", rantolò: "Non c'è traccia di lei. E non ho alcuna informazione che possa darvi su di lei apparte il fatto che si tratta di una signorina.".

Lupin si sporge in avanti sulla sedia: "Niente di niente? Nemmeno nome o età? È come cercare una precisa formica in un formicaio.". Mycroft si limitò a tossicchiare e scosse il capo: "Niente. Sarà vostro compito svolgere questa mia ultima missione.", disse: "Ed ora potete anche andare e smetterla di fissarmi con quegli sguardi dispiaciuti. Purtroppo ho la vaga sensazione che questa agonia mortale si prolungherà ancora per un po'.".

Così tutti ci alzammo,  ma quando stavo per raggiungere la porta fui fermata dalla voce di Mycroft: "Non tu, Mila.". Per qualche motivo mi scese un brivido lungo la schiena.

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Capitolo 4
*** Vaghe predizioni ***


Aspettai che tutti gli altri fossero usciti e colsi lo sguardo interrogativo che Sherlock lanciò a suo fratello.

Non sapendo esattamente cosa fare tornai a sedermi sulla sedia. Seguì un lungo momento di silenzio nel quale gli occhi penetranti di Mycroft Holmes sembravano entrare nella mia mente e nei miei pensieri, stette in silenzio però.

Mi schiarii la voce: "Il mondo cadrà a pezzi se ve ne andate.", dissi giusto perché non sapevo cosa egli si aspettasse da me. "Non dire stupidate, Mila, visto che stupida non sei. Sono morti uomini ben più importanti di me e il mondo continua a girare.", mi riprese lui subito.

Ovviamente aveva ragione, ma mi sentii lo stesso triste di non poter fare niente: "Però al mondo mancherete, ci sarà una mente brillante in meno.", dissi, ma Mycroft scosse il capo: "Sai quanti bambini nascono ogni giorno? Così tanti che tu non te lo puoi neanche immaginare e, anche se la stupidità è un difetto diffuso, dubito che tra di loro non ci sia neanche una persona intelligente. Nulla è fermo, tutto si muove nell'eterno ciclo della natura. Ci saranno altre persone a prendere il mio posto.".

Mi guardò per qualche secondo silenziosamente: "E tu potresti essere una di queste persone.", mi disse poi secco.

Era quello dunque ciò di cui mi voleva parlare: il mio futuro. Per qualche assurdo motivo non amavo parlare di esso. Forse il fatto di aver avuto un passato per lo più turbolento, rendeva per me difficile immaginare un futuro ben preciso o forse ero semplicemente un po' intimorita dall'ignoto.

"Non credo che dipenda da me.", accennai quindi, ma fui quasi immediatamente interrotta dal Holmes maggiore: "Dipende solo e unicamente da te. Noi siamo le persone che decidiamo di essere, perciò la scelta spetta a te.".

Non sapevo cosa dire, ma per fortuna continuò a parlare Mycroft: "C'è un college internazionale in Danimarca. Persone da tutto il mondo cercano di entrarvi per godere della sua ottima educazione. Molti dei nostri collaboratori dei servizi segreti sono usciti da quella scuola.". Si fermò e tossì violentemente prima di riprendere: "Se tu fossi interessata avrei la possibilità di farti ottenere una borsa di studio, Mila.", concluse.

Erano molte informazioni in una volta. Danimarca, college, servizi segreti, non sapevo né cosa pensare né cosa dire, quindi iniziai a balbettare come una bambina insicura.

Mycroft non se la prese: "Non mi devi dare la risposta ora. Hai bisogno di tempo per pensare.", constatò semplicemente ed io non potei fare altro che annuire. "In ogni modo, qualunque strada tu scelga, hai un futuro brillante dinanzi a te.", mi disse poi sorprendendomi con tale complimento che mi lasciò a bocca aperta. Riflettei per qualche secondo su cosa rispondere, ma infine le uniche parole che uscirono dalla mia bocca furono: "Farò del mio meglio.".

Mentre uscivo dalla stanza, sentii di nuovo Mycroft: "Oh, di quello sono certo. Addio, Mila.".

Non volevo rispondere perché rispondere sarebbe stato come ammettere che se ne sarebbe presto andato, ma d'altro canto era probabile che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui l'avrei visto e quindi non potevo sprecare quello possibilità di salutarlo. "Addio, Sir Holmes.", sussurrai perciò e me ne andai prima che le lacrime iniziassero a scorrere.

Quando uscii da quella casa a Pall Mall trovai mia madre, Holmes e Lupin ad aspettarmi con sguardi interrogativi, specialmente Sherlock, ma io non dissi nulla e nessuno chiese niente. Irene si limitò a circondarmi le spalle con un braccio e insieme risalimmo sulla macchina scura che ci aspettava per riportarci a Briony Lodge.

Come all'andata eravamo tutti immersi nei nostri pensieri ed i miei erano ancora più confusi di prima, quella notte l'avrei passata sicuramente insonne. 

Sherlock, seduto alla mia sinistra, osservava Londra sfrecciare fuori dal finestrino e si potevano quasi sentire gli ingranaggi della sua mente lavorare furiosamente. Poi d'improvviso egli diede un pugno alla portiera e si appoggiò al sedile con uno sbuffo scocciato. Irene, seduta alla mia destra, si volse verso di lui con la fronte corrugata: "Sherlock?" e anche Lupin si volse indietro dal sedile passeggero.

"È stato un errore!", sbraitò Holmes in quel momento: "Avremmo dovuto mantenere un minimo di contatto, è stata una decisione sciocca e dettata dalla rabbia e per cosa poi? Ora continuiamo a rincorrerla anche dopo la sua morte e in ogni caso le probabilità di trovare questa sua figlia sono vicine a nulle.", parlò in tono amaro e potei sentire la rabbia che vi si nascondeva, cosa che accadeva raramente con Holmes.

"Vale comunque la pena provare, amico mio.", disse Lupin da davanti, ma Sherlock gli regalò solo un grugnito sarcastico. Per un po' ci fu di nuovo silenzio che fu poi però interrotto da Irene: "Questa è l'ultima missione di Mycroft, glielo dobbiamo ed io sono solita a portarle a termine le mie missioni.", dichiarò decisa e nella sua voce sentii tutta la sua fierezza.

Intanto il vento umido aveva portato su Londra grigi nuvoloni carichi di pioggia che si riversò sulla città come una cascata in un fiume e violenti tuoni scossero l’aria carica di elettricità.

Quando arrivammo a casa mia madre usò la sua fine abilità di convincere e tranquillizzare le persone per raccogliere tutti noi, compreso Billy, in salotto. Pregò Mary, la nostra cuoca di preparare un the e qualche biscotto al burro e dopo di che andò a sedersi sul grazioso divanetto turchese vicino ad Arséne che era intento a raccontare l’accaduto al nostro tuttofare. Anche Gutsby si mostrò addolorato dalla condizione del maggiore degli Holmes e pur avendolo incontrato solo poche volte sapevo che il tuo turbamento era genuino. 

Quando Lupin ebbe finito di raccontare e Mary entrò per portarci il the, tutti ci godemmo per qualche attimo il piacevole torpore che la bevanda calda produceva nello scorrere giù per la gola. Solo Sherlock buttò giù il contenuto della sua tazza in qualche secondo per poi voltarsi verso la finestra con espressione frustrata.

Billy fu il primo a riprendere timidamente la parola: “Ma quindi non abbiamo neanche una pista da cui cominciare?”, chiese leggermente sconcertato. Sherlock scosse il capo: “Neanche un briciolo di informazione.”.

“Non ci resta che incominciare a cercarne allora”, disse Lupin: “E sinceramente non vedo chi potrebbe essere più adatto di noi. In fondo siamo professionisti.”.

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Capitolo 5
*** Cassetti della memoria ***


 

Durante le mie avventure insieme alla mia bizzarra famiglia di Briony Lodge mi era capitato più volte di trovarmi davanti casi intricati, eppure c'era sempre stata una qualche pista d'inizio. Poteva trattarsi del più insignificante dei dettagli, ma fino ad ora non mi era mai capitato di dover partire da zero e sinceramente, il fatto che anche Holmes reputasse la cosa quasi impossibile, non mi rendeva molto ottimista.

Eravamo ancora tutti seduti nel nostro grazioso salottino azzurro. "Sherlock, non hai proprio una minima idea da dove potremmo incominciare?", aveva chiesto Irene: "Non so magari qualche amica d'infanzia o un locale in cui era solita ad andare.".

Il detective fece un sospiro sconcertato, ma infine congiunse le sue lunghe dita affusolate sotto al mento e chiuse gli occhi probabilmente andando a rovistare negli angoli più remoti della sua mente.

Io fui invasa da un certo senso di inutilità dato che non avevo mai conosciuto la persona in questione, anzi, ne avevo appena scoperto l'esistenza. Mi girai verso Billy, seduto nella poltroncina vicino alla mia, ed egli mi regalò uno dei suoi caldi sorrisi che mi facevano battere forte il cuore. Pensai che perdendosi in quei suoi occhi azzurri tutto era possibile.

Fui riportata alla realtà da Sherlock che sembrava essersi ricordato di qualcosa: "La Royal Academy of Music. Se non mi ricordo male, e non mi succede quasi mai, Violet insegnava clavicembalo lì e faceva anche parte di un piccolo gruppo di musica da camera. È vicinissimo, giusto all'angolo di Baker Street sulla Marylebone Road, potremmo recarci subito domani mattina. Dubito che abbiano qualche informazione sulla figlia, ma magari potrebbero darci qualche informazione utile su mia sorella.".

In quel momento anche lo sguardo di Lupin si illuminò: "Non c'era anche quell'altra pestifera amichetta di Violet che una mi rovesciò dell'inchiostro sui miei mocassini nuovi di zecca? Lei come si chiamava?".

Capii che il fatto doveva essere accaduto dopo che Irene se ne era andata in America dallo sguardo che lei e Sherlock si scambiarono, comunque quest'ultimo annuì: "Victoria Griffith. Abitava al numero 35 di Onlow Street nel quartiere di Farringdon, ma dubito che ci viva ancora.".

A quel punto Billy scrollò le spalle: "Potremmo sempre provare, signor Holmes, magari via telegramma. Potrei recarmi domani mattina all'ufficio postale per inviarlo.", propose e l'iniziativa fu accolta.

Fu il turno di mia madre ad intervenire: "Sherlock, più o meni ti ricordi in che anni Violet faceva parte di quel gruppo di musica da camera? Ho collaborato con la Royal Academy per qualche spettacolo e magari potrei aver incontrato dei suoi compagni musicisti.".

Mi sembrò un'idea brillante. Spesso mi scordavo del fatto che Irene aveva alle spalle una brillante carriera da cantante lirica, oltre che da spia e quando questo mi tornava in mente ero sempre un po' infantilmente e segretamente orgogliosa di avere una madre tanto famosa e formidabile.

Holmes ci pensò su per un attimo: "Credo che abbia iniziato verso il 1884 o 85 e so per certo che ha continuato almeno fino al 1898, non so se anche oltre.", dichiarò poi. "Non importa", disse Irene: "Ho lavorato qui per due anni tra il 1886 e il 1888 e se tua sorella in quel periodo faceva parte del gruppo di musica da camera credo che il violista dovesse essere un certo David o Daniel Ross e la prima violinista allora era Margarete Steinhausen della Berliner Philharmoniker. Si potrebbero mandare dei telegrammi anche a loro, magari da parte mia sperando che si ricordino di me.", propose.

Quella sera, mentre ci godevamo a tavola il risultato della nostra talentuosa cuoca, eravamo tutti più silenziosi del solito, come se ci fossimo trascinati dietro il silenzio del pomeriggio dopo la visita a casa di Mycroft.

Fuori ormai pioveva da ore e la piacevole stagione calda sembrava decisamente finita. Dal mio canto, anch'io sentivo nella mia mente i pensieri agitarsi. Non avevo detto niente a nessuno della proposta che il maggiore degli Holmes mi aveva fatto. Non era per segretezza, ma semplicemente volevo prima pensarci un po' su da sola, senza essere influenzata da opinioni di altri e in quel momento non avevo veramente idea di quale sarebbe stata la mia decisione finale.

Riportai i miei pensieri alla nostra missione. L'idea che Sherlock avesse una sorella e che anche lei avesse talento musicale come lui, mi pareva molto dolce e mi chiesi come doveva essere stato avere Sherlock e Mycroft Holmes come fratelli maggiori, sicuramente anche Violet Holmes doveva aver avuto una mente brillante come tutto il resto della sua famiglia.

Holmes doveva aver voluto molto bene alla sua sorellina e mi potei immaginare che oltre alla scomodità di non riuscire più a rintracciare sua figlia facilmente doveva aver sofferto anche della lontananza della sorella e dal mancato contatto. Il tradimento che Violet Holmes aveva compiuto doveva essere stato veramente grave per essere stata allontanata così dai suoi stessi fratelli.

Dopo cena Irene si offrì di suonare il pianoforte e così la seguimmo tutti entusiasti nella saletta che era stata dedicata alla musica per ascoltare.

Le dita affusolate di mia madre accarezzavano dolcemente i tasti del pianoforte alla dolce melodia di Bach e sembrava quasi che la musica le scorresse nelle vene. Anch'io suonavo il pianoforte, ovviamente non così bene come Irene, ma Bach mi era sempre piaciuto di più da ascoltare che da suonare. Qualche mese prima mi ero impegnata ad imparare l'Aria in Re maggiore della Suite n. 3 e mi ricordavo ancora troppo bene i momenti di esasperazione in cui avevo pensato di abbandonare tutto.

Billy guardava il pianoforte incantato come faceva sempre quando qualcuno suonava e mi promisi che un giorno gli avrei insegnato a suonare qualcosa di semplice. Lupin invece ondeggiava leggermente a ritmo e guardava con un sorriso sulle labbra la sua amica suonare. Quando Irene finì le regalammo tutti un breve applauso che lei accolse sorridendo.

Poco dopo Sherlock annunciò quasi un po' bruscamente che si sarebbe già ritirato per la notte, ma fu fermato sul vano della porta dalla voce di mia madre: "Mi dispiace per Violet, Sherlock, davvero.", disse con dolce sincerità. Holmes non si girò del tutto, ma le fece un cenno con il capo: "Grazie, Irene.", rispose, ma non ci fu comunque modo di fermarlo.

Mia madre sospirò e si volse un po' sconcertata verso Arséne che scrollò le spalle con un'espressione che voleva dire: ci hai provato.

Poco dopo ci ritirammo anche io e Irene e rimasero di sotto solo Lupin e Billy che finirono in salotto una partita a scacchi.

Io mi preparai per la notte e una volta sotto alle coperte cercai di perdermi nel mondo dei sogni, purtroppo, come avevo già previsto quel pomeriggio, troppi pensieri si agitavano nella mia mente e così rimasi sveglia a fissare il soffitto.

 

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Capitolo 6
*** Inizia la ricerca ***


 

Quando il sole dell’alba arrivò finalmente ad accarezzare con i suoi primi raggi le tende della mia stanza ero in realtà già sveglia da ore. Avevo passato la notte a girarmi e rigirarmi sul cuscino e quando riuscivo a chiudere gli occhi per un po’ nella mia mente iniziava una viziosa giostrina di pensieri che mi portavano da Briony Lodge alla Danimarca, alla camera di Mycroft a Pall Mall, all’America della mia infanzia e poi perfino a lontanissime estati a Gatchina. 

La notte era risultata ben più faticosa del giorno precedente e così quando posai i miei piedi per terra, mentre mi stropicciavo gli occhi seduta sul mio letto, non mi sentii affatto riposata, ma se possibile ancora più stanca della sera prima e così invidiai il sonno leggero ma facile di Irene che riusciva a dormire anche nelle più tense delle situazioni.

Mi alzai in piedi e mi diressi verso lo specchio stiracchiandomi, avevo i capelli arruffati e un’espressione stanca dipinta sul viso. Con un sospiro rassegnato tirai fuori dal mio armadio un abito color pervinca che mi stava ancora e poi tornai a sedermi alla mia vanità per spazzolarmi i capelli e poi accorciarli come meglio potevo, stringendo più volte gli occhi quando passavo le dita tra un nodo. Come al solito non fui molto contenta del risultato, ma ero troppo assonnata per ritentare e così mi dissi che l’unico modo per svegliarmi era una bella tazza di the nero e qualche biscotto al burro.    

Quando scesi le scale la casa era ancora quieta di sonno e l'unico che incontrai in sala da pranzo fu Sherlock. Era avvolto nella sua famosa vestaglia bordeaux che anche il dottor Watson aveva descritto nei suoi racconti, ed era in piedi fisso come una statua davanti alla finestra, mentre sorseggiare il suo solito the nero senza latte né zucchero.

Quando entrai nella stanza egli non disse nulla e si limitò a cercarmi una tazza di the e fui sorpresa dal fatto che sapesse esattamente quanto latte ero solita ad aggiungerci, un altro di quei dettagli che solo lui coglieva.

Mi sedetti a tavola ed allungai la mano per prendere un biscotto. Irene aveva comprato una scatola di shortbreat al Ritz proveniente direttamente dalla Scozia e quando fui invasa dal dolce sapore di quei deliziosi dolcetti, mi sentii subito un po' più energica. Inoltre provavo un particolare tipo di adrenalina. Mi succedeva ogni volta che c'era un caso, un enigma o un problema da risolvere, in fondo non vedevo l'ora di mettermi alla ricerca di indizi e persone scomparse, il fatto che si trattasse di una parente di Sherlock, che era ormai un mio "zio" adottivo, mi rendeva solo ancora più intricata.

Riportai il mio sguardo sul profilo spigoloso dell'alto detective e capii che non dovevo essere stata l'unica ad aver dormito male. Era sempre difficile immaginarsi Holmes in preda di qualche emozione, eppure sapevo che era in grado di provarne, come tutti in fondo. Sapevo da Irene e dal comportamento che avevo osservato tra i due fratelli Holmes, che la famiglia era un argomento difficile per lui e mi potei ben immaginare il fastidio e il disagio che provasse ed trovarsi improvvisamente con una sorella perduta, un fratello moribondo e in più una misteriosa nipote sparita nel nulla.

Decisi di lasciare Holmes ai suoi pensieri. Così non sapendo esattamente cosa fare, mi diressi verso la cucina per preparare un caffè per Lupin, dato che lo beveva tutte le mattine.

Ovviamente in cucina vi era già Mary,  sembrava più sveglia e fresca che mai ed in quel momento la invidiai davvero. Negli ultimi tempi riuscivo a capire un po' meglio il suo inglese dal forte accento irlandese, purtroppo però ella non ne volle sapere di farmi preparare un caffè e neanche il fatto che riuscissi a comprendere quasi tutto quello che mi diceva mi aiutò.

La nostra ottima cuoca aveva un'idea ben precisa di come dovesse comportarsi una signorina per bene, ed anche se quegli ideali appartenevano in realtà più al secolo precedente, non ci fu modo di convincerla.

Il mio salvatore, non per la prima volta, arrivò sotto forma di maggiordomo, precisamente come Billy Gutsby dai magnifici occhi azzurri e un sorriso sulle labbra. Scambiò qualche incomprensibile parola in dialetto con Mary e così ebbi improvvisamente il permesso di preparare il caffè.

Il nostro tuttofare mi aiutò e quando la cuoca si allontanò un attimo per cercare qualcosa nel cassetto di un mobiletto, mi sporsi verso Billy e gli sussurrai nell'orecchio: "Ma che cosa le hai detto per farle cambiare idea così in fretta?". Il suo sorriso si allargò: "Che ti avrei insegnato a preparare un caffè cosicché quando sarai sposata sarai una brava moglie rispettabile.", disse con espressione buffa. Io ovviamente arrossì, ma trovai la cosa comunque divertente e mi morsi la lingua per non iniziare a ridere.

Ad ogni modo Lupin apprezzò molto il caffè quando scese insieme ad Irene per fare colazione e il suo animo allegro mi fece scivolare di dosso anche gli ultimi bricioli di stanchezza.

Poco dopo l'intera banda di Briony Lodge era pronta per iniziare le indagini e così ci incamminammo di buon passo verso la Royal Academy of Music. C'era ancora lo stesso vento freddo e umido del giorno precedente che sembrava rubare agli alberi anche le ultime foglie. Il cielo londinese era di un grigio plumbeo anche se per il momento non pioveva e per un attimo rimpiansi il clima più mite di New York.

L'accademia non era lontana, era sempre nel quartiere di Marylebone, così nel giro di un quarto d'ora passammo Baker Street e poco più tardi ci fermammo davanti ad un grande edificio in mattonelle di terracotta e pietra bianca con ampie finestre decorate. Emetteva un'atmosfera di élite e classe en mi sentii quasi intimorita ad entrarvi. 

Ci trovammo in una grande sala con colonne ispirate ad un antico tempio greco illuminata da alcuni lampadari sfarzosi. Si respirava un'aria di talento, passione e serietà e dall'ampia scalinata che portava al piano superiore si potevano udire melodie soffuse di vari strumenti ed anche qualche dolce canto.

Una signora dell'espressione severa, accentuata da un impeccabile chignon e un paio di occhialetti sulla punta del naso, ci venne incontro e chiese come poter aiutarci. 

Sherlock di solito evitava di farsi riconoscere, ma in alcune occasioni come quella, il suo nome apriva porte come un grimaldello delle serrature. "Buon giorno signora, il mio nome è Sherlock Holmes e...", si volse verso mia madre per posare una mano sulla schiena e spingerla leggermente avanti: "Questa è la signora Irene Adler, una mia cara amica.", disse calcando sul "cara amica".

Il viso della signora non si fece più simpatico, ma le sue spalle si rilassarono un po': "Ah, signora Adler, è un piacere rivederla dopo così tanti anni. Conserviamo tutti un ottimo ricordo del periodo nel quale ha collaborato con noi. Come posso esserle utile?".

Irene usò tutto il suo fascino e la sua abilità di rendersi affabile e rispose in tono zuccherino: "Oh, è stata un'esperienza davvero meravigliosa di non mi scorderò mai!", disse quasi sognante per poi simulare di tornare improvvisamente alla realtà: "Sarebbe splendido se potessimo parlare con il preside Mackenzie. Immagino che sia ancora lui a ricoprire il ruolo?". La signora annuì ormai convinta e ci fece strada: "Sì, signora Adler, il nostro magnifico preside ci fa ancora l'onore di occuparsi dell'accademia.".

Fummo lasciati davanti ad una porta di legno scuro con una targhetta d'oro che diceva Sir Alexander Campbell Mackenzie, preside, Irene bussò.

 

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Capitolo 7
*** Sir Mackenzie ***


 

Da dietro alla porta si sentì una profonda e potente voce che ci ordinava di entrare. Il preside della Royal Academy of Music sembrava un cantante lirico appena sceso dal palco. Seduto dietro alla sua scrivania di mogano aveva una postura fiera e anche se non era in piedi si poteva vedere che era di statura alta e dalle spalle larghe. Sfoggiava un elegante paio di baffi ed una folta barba molto curata che compensava il suo capo calvo. I suoi occhi azzurri erano incorniciati da fitte sopracciglia e il suo viso aveva un'espressione gentile e bonaria.

Quando entrammo e Sir Mackenzie posò gli occhi su Irene, emise una buffa esclamazione accompagnata da una profonda risata: "Signora Adler! Oh, ma è un piacere! Quanto tempo!". Si alzò dalla sedia e ci venne incontro per baciare cortesemente la mano di mia madre. Ora che era effettivamente in piedi notai che era alto quasi quanto Sherlock, ma largo almeno il doppio, cosa che non risultava difficile, dato che il detective sfoggiava tutto il suo  fisico snello e nodoso.

Dopo che furono fatte le presentazioni ed un entusiastico commento sulle abilità da cantante lirica di Irene, riuscimmo finalmente a portare la discussione sull'argomento di nostro interesse.

Il preside si mostrò sinceramente dispiaciuto per la morte di Violet Holmes e disposto a fornirci tutti le informazioni delle quali fosse a conoscenza: "La signorina Holmes è sempre stata una persona molto disponibile, ma alquanto singolare e riservata", spiegò: "So che in stagione di concerti alloggiava  al Langham Hotel per evitare troppi viaggi, ma mentirei se dicessi di sapere dove abitava effettivamente, comunque non a Londra.".

Sbuffai internamente, non era un buon inizio, se non riuscivamo neanche a scoprire dove risiedeva Violet Holmes, mi chiesi come avremmo fatto a ricavare informazioni molto più private. Anche Sherlock sembrava piccato, ma sembrò giudicare Sir Mackenzie abbastanza meritevole di fiducia per dirgli che effettivamente stavamo cercando la figlia della defunta, forse anche perché si rese conto che l'unico modo per ricavare informazioni più dettagliate era fare domande più precise.

In effetti fu così e il preside si mostrò a conoscenza dell'esistenza di una figlia. "Mi sorella ha suonato per molti anni per la Royal Accademy, se non sbaglio.", disse Holmes e ciò fu confermato: "Sarebbe quindi possibile che la figlia avesse ricevuto un'educazione musicale qui?", suggerì.

Sir Mackenzie si risedette sulla sua sedia e si lisciò i baffi pensoso: "Non sono sicurissimo, ma credo che la signorina Holmes abbia effettivamente portato la figlia qui per alcuni periodi dopo che si era già ritirata dal quartetto e se la mia memoria non mi inganna credo che abbia partecipato per un breve periodo nel coro di voci bianche e nell'orchestra dei giovanissimi. Violino, se non sbaglio. Era alquanto talentuosa, anche se purtroppo non ha mai studiato qua, aveva un professore privato e  girava voce che si trattasse del violinista italiano Pietro Rovelli che in quegli anni si trovava in Gran Bretagna. Purtroppo mi ricordo ben poco di lei, non era altro che una bambina e di bambini frequentanti di corsi qui ne girano tanti. Non saprei dirti di più, mi spiace.".

Quasi sorrisi e vidi che ad Irene, Lupin e Billy successe la stessa cosa. La figlia quindi suonava il violino, proprio come Holmes e così mi ritrovai a chiedermi se essa fosse l'unica caratteristica che condividevano. 

Sherlock era ormai entrato nel suo stato d'animo di investigazione e così si limitò ad archiviare sull'informazione con tutte le altre.

Fu mia madre ad intervenire successivamente: "Voi tenete registri dei vari corsi, non è così? Se la figlia della signorina Holmes ha effettivamente partecipato anche solo per un breve periodo nei corsi di coro e orchestra, è probabile che si trovi nei registri di quegli anni?". Sir Mackenzie scrollò le spalle e sospirò un po' sconcertato: "È possibile. Se vi è utile posso farvi portare i registri di quegli anni. Vi parlo del 1911 o 1912, non posso essere sicuro esattamente.". Chiamò la signora Ferier che ci aveva accolto  all'entrata e la pregò di portare su i registri dall'archivio, dopo di che ci offrì a tutti un caffè che però rifiutammo con cortesia. 

"Sir Mackenzie, non si ricorda per caso il nome della bambina? Magari anche solo con che lettera cominciava?", chiese Lupin a quel punto, ma il preside alzò le mani sconsolato: "Ci sono fin troppe persone qui alla Royal, se mi dovessi ricordare tutti i nomi credo che impazzirei.". La cosa ovviamente risultò comprensibile e quindi Arséne gli regalò un sorriso di cortesia per fargli capire di non preoccuparsi.

Poco dopo ci furono consegnati i registri e ricevemmo il straordinario permesso di portarli con noi a casa a patto di riconsegnarli intonsi il prima possibile.

Salutammo quindi il preside con la solenne promessa di andare a sentire il prossimo concerto e riuscimmo sulle fredde strade di Londra.

Fuori dall'uscita Holmes consegnò a Billy due messaggi, uno per Victoria Griffith e un altro per Margerete Steinhausen da parte di Irene, da mandare via telegramma e lo pregò di recarsi all'ufficio postale. Io mi offrii subito di accompagnarlo forse con un po' troppo entusiasmo che ovviamente mi fece subito arrossire. Per fortuna ci fu Lupin a togliermi dall'impaccio dichiarando che ci avrebbe accompagnato fino a Regent's Park per sgranchirsi un po' le gambe e fare una passeggiata. Così ci separammo, Irene e Sherlock andarono in una direzione e noi tre nell'altra.

Mentre camminavamo affiancai Arséne e finalmente ebbi l'occasione di fare qualche domanda riguardo la faccenda: "La conoscevi Violet Holmes?", gli chiesi. Il mio zio "adottivo" fece uno sbuffo divertente: "Dire che la conoscevo mi pare un po' esagerato. La vista varie volte recandomi a casa di Sherlock, tra cui anche la volta nella quale la sua amichetta mi rovesciò un'intera boccetta di incontro sulle mie scarpe nuove.", disse. "Lì Irene se ne era già andata però, vero?", sapevo che l'argomento era ancora spiacevole anche dopo tutti quegli anni, ma non potei fare a meno di parlare. Lupin annuì con un sospiro: "Sì, era già partita per l'America allora. Io e Sherlock continuammo a frequentarci per un altro po', ma alla fine lui aveva già imboccato la sua strada ed io la mia.", raccontò ed io capii cosa intendesse, ma decisi di lasciar cadere l'argomento e tornai a concentrarmi sul nostro nuovo caso.

"E Violet? Come era?", volli sapere. Arsène sorrise: "Tanto pestifera quanto solo una sorellina minore lo può essere. Magari non è cortese parlare così di lei ora che… beh non c'è più, ma era veramente terribile! Sembrava odiare tutte le persone che passavano tempo con suo fratello, specialmente i suoi amici, eppure Sherlock le voleva molto bene. Immagino che debba essere stata una spina nel fianco rompere così i rapporti.".

Io e Billy sorridemmo al pensiero di una piccola Violet gelosa degli amici di suo fratello e con una punta di dolore pensai a tutte le volte nelle quali la mia sestra Asja mi aveva chiamato pestifera.

Una volta giunti a Regent's Park, Lupin ci lasciò all'entrata e noi proseguimmo soli verso l'ufficio postale.  

 

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Capitolo 8
*** La difficile arte della pazienza ***


 

In realtà l’ufficio postale più vicino non distava molto da Regent’s Park, ma l’enorme parco costringeva i passanti a passarvi in mezzo o a fare un lungo giro intorno. La prima opzione sarebbe stata ovviamente più veloce, ma io e Billy decidemmo in comune e silenzioso accordo di non seguire Lupin dentro al parco e fare la strada più lunga. Io mi dissi per non arrossire che era solo per non infangare le mie scarpe Oxford di pelle, ma ovviamente sapevo benissimo che era un modo per passare più tempo da sola con il magnifico Gutsby del quale gradivo assai la compagnia, forse di più di quello che volevo ammettere.

Procedemmo in silenzio per un po’, entrambe lasciandoci trasportare dall’odore di foglie bagnate che veniva portato dal vento freddo che solleticava i nostri nasi e dal solito via vai londinese. Capivo Sherlock ed il suo amore per la capitale della Gran Bretagna, Londra era l’equivalente di un’enorme arnia vibrante e pulsante di vita e come le api ogni abitante, ricco o povero, inglese o straniero, aveva il proprio ruolo nel caos straordinariamente organizzato della città. Nulla succedeva veramente per caso e se sì l’avvenimento provocava comunque una catena di conseguenze, come un sassolino che provoca una valanga. Londra era una delle città più vive del mondo, in modo molto diverso dalla colorata New York per esempio, perché erano le persone e il modo nel quale frequentavano i luoghi che la rendevano tale. Avrei rivisto una cosa simile a Berlino molti anni dopo e in una situazione completamente diversa, ma la sensazione sarebbe stata la stessa, perché a rendere una città viva non bastano mai solo la gente o i posti, deve esserci un’armoniosa convivenza di entrambe, un po’ come in un bosco con i suoi animali, solo che gli alberi vengono sostituiti dagli edifici, dalle piazze, dalle strade e i suoi abitanti siamo noi, gli uomini.

Immersa in quella sinfonia di suoni, odori e viste, persi ovviamente completamente il senso di ciò che mi stava attorno. Avrei in futuro imparato a non fare mai quell’errore ed a tenere i miei sensi sempre all’erta anche se magari intorpiditi, ma per il momento ero solo una ragazzina abbagliata dalla bellezza del mondo e così nel giro di pochi secondi mi ritrovai a scivolare come pattino sul ghiaccio su un mucchio di foglie bagnate. Nella mia testa ovviamente mi immaginai subito vari scenari di una giovane fanciulla sbadata che piomba a terra in modo sgraziato e gli sguardi perplessi delle persone, ma soprattutto il male della botta sul duro marciapiede. Probabilmente sarebbe effettivamente tutto successo come me lo ero immaginato, se non ci fosse stata una pronta mano di Billy ad acchiappare la mia all’ultimo secondo prima che perdessi completamente l’equilibrio.

Il nostro tuttofare dagli splendidi occhi azzurri aveva avuto i sensi decisamente più all’erta dei miei e così mi aiutò a rimettermi in piedi con un perfetto sorriso che era in forte contrasto con le mie guance in fiamme. Anche la sua mano nella mia mi sembrò scottare e per un momento pensai che si trattasse della mia immaginazione. La cosa fu però smentita poco dopo da Billy che prese entrambe le mie mani nelle sue e le sfregò soffiandoci sopra: “Hai le mani gelide! Hai freddo?”, mi chiese accigliato. Io mi accorsi solo in quel momento che effettivamente il vento freddo aveva un po’ intorpidito le mie dita. Trovai finalmente il coraggio di spostare lo sguardo dalle nostre mani ai suoi ed in qualche modo sorrisi: “No, non ho freddo, non ti preoccupare. Quando ero in Russia ero abituata a temperature decisamente più rigide.”. Lui annuì, ma per qualche motivo la mia mano destra rimase comunque nella sua e non si staccò neanche quando entrammo finalmente nell’ufficio postale per inviare i telegrammi. Il tutto mi provocò una strana sensazione di calore e solletichio in tutto il corpo e quando rientrammo a Briony Lodge avevo la punta del naso rossa e un largo sorriso felice sulle labbra.  

Fummo accolti dall'invitante calore e l'odore rassicurante di casa, ma a differenza di tutti i rumori che si sentivano fuori a Briony Lodge regnava silenzio. Ci svestimmo e percorremmo il corridoio fino alla sala da pranzo che risultò però vuota, così continuammo la nostra ricerca fino a trovare Sherlock e Irene nel salottino azzurro. 

Erano seduti sui due capi del divanetto ed immersi nella lettura di fogli e fogli che sembravano provenire da due grossi raccoglitori ai loro piedi, i registri della Royal Academy of Music. I due sembravano talmente concentrati da non rendersi neanche conto della nostra presenza, o almeno da non giudicarla abbastanza importante da distrarsi dal loro lavoro. 

Billy si schiarì la voce in un tentativo di catturare la loro attenzione, ma rimase ignorato ed io mi dovetti trattenere dal ridere di cuore. Mi avvicinai e, con uno slancio di malizia della bambina birichina che era ancora un po' in me, mi lasciai cadere sul divano in mezzo a Holmes e mia madre. La cosa fu accolta con una risata squillante da parte di Irene ed uno sbuffo imbronciato da parte di Sherlock, anche se potevo vedere che sotto sotto c'era un sorriso. 

"Come possiamo aiutarvi?" chiesi volenterosa di essere utile nell' ultima missione di Mycroft Holmes. Irene indicò i due registri: "Ogni studente o frequentante della Royal Academy of Music degli anni 1911 e 1912 e segnato lì dentro con nome, cognome, il corso frequentato, l'indirizzo stradale  ed una fotografia. Cerchiamo una bambina di allora 9, 10 o 11 anni che assomigli un po' a Violet Holmes" ci spiegò e indicò una fotografia incorniciata, la stessa che Mycroft aveva a Pall Mall, che Sherlock aveva probabilmente portato di sotto per aiutare nella ricerca.

Un po' del mio entusiasmo iniziale svanì, le informazioni che possedevamo erano poco e niente e i registri erano pieni di fotografie. "È tutto ciò su cui possiamo basarci?" chiesi con un sospiro sconcertato. Holmes si fermò un attimo per alzare lo sguardo su di noi: "Se il padre della signorina dovesse effettivamente essere quella spia tedesca coinvolta nello scandalo e mia sorella aveva una relazione con egli già prima della Guerra, è probabile che la figlia abbia un cognome tedesco, ma non ne possiamo essere sicuri.".

Mi ritrovai a sperare intensamente che la figlia di Violet avesse veramente un cognome tedesco, sicuramente avrebbe ristretto la ricerca, e con un sospiro mi sedetti di fianco a Billy sul tappeto ed iniziammo a cercare tra i fogli e i nomi. 

Poco tempo dopo ero convinta del fatto che neanche una delle mie peggiori  lezioni di latino sarebbe potuta essere così noiosa. Mi ritrovai a perdere più volte il segno ed a dover rileggere tutti i nomi e osservare tutte le fotografie dalla cima della pagina. Il mio umore che fino a poco prima era stato ottimo, sprofondò nella scocciatura più nera. Il compito mi parve letteralmente impossibile.

Per fortuna verso l'ora di pranzo rientrò Lupin e portò con sé un po' di benvoluto buon umore sotto forma di fish and chips comprato in una baracchina lungo il Tamigi.

Ovviamente Sherlock, ormai già entrato nel suo solito ritmo di investigazione, provò a rifiutarsi categoricamente di mangiare, ma fu comunque praticamente trascinato in sala da pranzo da Irene alla quale regalò uno sguardo torvo e decisamente scocciato che strappò una risata a tutti i presenti.

Posso dire con certezza che quel fish and chips fu il migliore che io abbia mai mangiato, non perché fosse particolarmente buono, almeno non più di quello di qualunque altra baracchina di Londra, ma semplicemente perché fu il mio salvatore dalla noia delle ultime ore.

Dopo il pranzo ci rimettemmo al lavoro e questa volta procedemmo un po' più velocemente con anche l'aiuto di Lupin, ma nonostante ciò la figlia di Violet Holmes sembrava introvabile.

Fu proprio quando decisi di arrendermi e buttare per terra il foglio che stavo analizzando con uno sbuffo scocciato, che il mio sguardo cadde su una pagina del registro non ancora letta.

In un'indagine spesso serve essere svegli e veloci ad acchiappare ricordi ed ad avere un buon spirito d'osservazione, ma il miglior investigatore deve anche essere estremamente bravo nell'esercitare la difficile e faticosa arte della pazienza, perché essa è spesso la chiave per la soluzione del mistero. Purtroppo io ero ancora una ragazzina e la pazienza non era decisamente il mio forte, quindi in quel caso si trattò di semplice e pura fortuna. 

"Lì!" strillai quasi ed allungai la mano per prendere il foglio. La terza fotografia di quella pagina raffigurava una bambina dai capelli mossi e dei grandi occhi decisamente familiari, a fianco vi era scritto:

Nome: Elise  

Cognome: Holmes 

Residenza: Westcliff House, Malborough Kingsbridge, Devon

Corsi frequentanti: coro voci bianche, orchestra giovanissimi, solfeggio e teoria musicale

"Deve essere lei" disse Arséne mentre passava la pagina ad Irene e Sherlock: "Brava Mila!".

 

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Capitolo 9
*** La caccia ***


 

La mattina seguente l'aria era piena di elettricità che illuminava il cielo sotto forma di fulmini accompagnati da rombanti tuoni e della pioggia degna del Diluvio Universale.

Anche nella sala da pranzo aleggiava una certa tensione, ma a differenza dei boati che provenivano dall'esterno, regnava silenzio. Ognuno di noi, compreso Billy, se ne stava mezzo nascosto dietro alla propria tazza di caffè o the, immerso nel temporale che infuriava e i propri pensieri. Dal canto mio faticavo a mandar giù la mia colazione. Avevo passato la notte con il volto della fotografia di Elise Holmes fisso in mente, cercando di immaginare che aspetto potesse avere 10 anni dopo.

Avevamo deciso di presentarci all'indirizzo senza preavviso. Non sapevamo se il motivo per il quale la figlia di Violet non si era messa in contatto con noi fosse mancanza d'informazione o per qualche altro motivo e avvisando del nostro arrivo le avremmo procurato tempo per scappare o qualcosa di simile.

Irene aveva da poco acquistato una nuova automobile di fattura italiana, si trattava precisamente di un'Isotta Fraschini. Vivendo a Londra, però, non aveva avuto ancora molte occasioni per provarla, dato che nel centro città un'automobile era utile solo per rimanere bloccati nel traffico. Così in quella tempestosa mattina d'autunno mia madre aveva deciso che ci avrebbe portato lei nella sua Isotta Fraschini nel Devon.

Quando fummo tutti imbacuccati nei nostri cappotti e con tutti gli ombrelli disponibili in mano osammo finalmente aprire la porta di casa. Un vento freddo e carico di pioggia mi colpì immediatamente il viso e mi portai subito una mano al mio cappellino cloche antipioggia per proteggere il più possibile la mia pettinatura dal vento e l'umidità. Lupin tentó di aprire il suo ombrello, ma esso non resistette più di 20 secondi prima di cedere al vento diventando completamente inutile. Holmes asistette allo spettacolo del suo amico che imprecava il tempo inglese con una sopracciglia sollevata, poi Arsène tornó a ripararsi nell’uscio. 

Corremmo alla macchina come dei naufraghi che si affannano per raggiungere la zattera, ma una volta seduti al suo interno eravamo comunque abbastanza fradici. Ovviamente tutti i tre uomini della casa avevano cavallerescamente insistito che mi sedessi nel sedile passeggero al fianco di Irene ed io non volli fare la figura della fifona e non accettare. Non mi era mai veramente piaciuto viaggiare in macchina, forse era perché in confronto ad un treno o una nave c’era vi ci si trovava piuttosto ristretti, o forse con mia madre al volante, che amava la brezza della velocità, avevo avuto qualche esperienza leggermente traumatizzante.

In ogni caso non accadde molto durante il tragitto ed in generale mi sembró lunghissimo e stancante. Presto la città e le sue case fu sostituita con la campagna inglese incluse pecore, immensi pascoli e vecchie stalle. Piú  ci allontanavamo da Londra, più spesso ci capitava di vedere ancora qualche piccola carrozza o carretto ed era come se uscendo dall’ambiente urbano si tornasse indietro nel tempo di almeno 10 anni. L’unica conversazione che ci fu, fu tra Sherlock e Lupin, dato che il primo sosteneva che la causa della brutta fine che l’ombrello del suo vecchio amico aveva fatto, non fosse il tempo inglese, ma bensí la fattura francese. La cosa fu accolta da Irene con una clamorosa risata e da Arsène con un ardente tentativo di difendere gli ombrelli francesi.         

Per il resto del viaggio mi persi ad osservare nello specchietto retrovisore il profilo di Billy. La pioggia aveva leggermente inumidito i suoi capelli, ma ciò nonostante la sua pettinatura risultava come al solito perfetta. I suoi occhi color del mare seguivano il paesaggio fuori dal finestrino ed io rimasi a guardare la sua immagine riflessa nello specchietto pensando a tutte le volte in cui ci eravamo trovati così vicini. Senza neanche accorgermene sospirai. Quella era un’altra cosa a cui dovevo pensare, cosa era Gutsby veramente per me? Ma anche, cosa volevo nel mio futuro? Avrei dovuto accettare la proposta di Mycroft?

Ad un certo punto Billy si giró dall’altra parte ed incontró i miei occhi nello specchietto. Inizialmente distolsi in fretta lo sguardo arrossendo violentemente, ma poi quando osai rialzare gli occhi lui era ancora lí ad osservarmi con un sorriso e cosí sorrisi anch'io.

Malborough era un villaggetto di media grandezza con due pub, qualche negozio ed una chiesa gotica circondata da roseti. Fummo costretti a chiedere piú volte, ma alla fine scoprimmo che Westcliff House si trovava in realtà nella campagna verso il mare.

Era ormai ora di pranzo, ma visto che nessuno di noi voleva perdere tempo, ci limitammo ad acquistare cinque sandwiches in uno dei due pub, The Royal Oak precisamente.  

Ci risedemmo in macchina, la pioggia era ormai cessata. Man mano che ci allontanavamo dal villaggio le strade si facevano sempre più strette e spesso erano delimitate da muretti con alte siepi. Irene fu obbligata più volte a suonare a delle pecore che ci bloccavano il passaggio ed io speravo internamente di non incontrare altre macchine che arrivavano dal senso opposto al nostro, dato che la strada era troppo stretta.  

Arrivammo ad una villa circondata da campi e vasti pascoli con pecore e mucche. Si poteva vedere l'oceano del Canale inglese, anche se per arrivare all'acqua ci sarebbe voluto sicuramente un altro quarto d'ora.

Westcliff House risplendeva con i suoi muri bianchi ed era circondata da un grazioso giardinetto con rose canine, iris, edera, delfinio e malvarosa.

Ci aprimmo il cancelletto e ci avvicinammo alla porta mentre i nostri passi stridevano sulla ghiaia. Non vi era un campanello, così Irene alzò la mano per bussare, ma Sherlock le fermò il polso all'ultimo, la porta era aperta. Ci scambiammo un'occhiata ed in comune accordo entammo silenziosamente nella casa.

L'interno era spazioso. I pavimenti di legno erano ricoperti da tappeti persiani ed i muri decorati con quadri e ritratti di famiglia. Passo dopo passo procedemmo lungo il corridoio finché potremmo sbirciare all'interno della sala da pranzo e successivamente il salotto. 

Tutto era silenzioso ed anche se la casa sembrava decisamente abitata, la quiete le regalava una strana aria d'inquietudine. Ci separammo, io, Billy e mia madre salimmo le scale verso il secondo piano, mentre Holmes e Lupin continuarono la loro ispezione di sotto.

Le scale scricchiolavano ed io mi trovai più volte a mordermi la lingua per paura di fare troppo rumore. Irene dal suo canto sembrava fluttuare sui gradini e arrivò in cima alle scale in perfetto silenzio. 

Al secondo piano c'erano tre stanze ed io ed i miei compagni ci dividemmo automaticamente nelle tre. La stanza nella quale entrai era una biblioteca e per un attimo mi fermai ad ammirare la vista sul mare che si aveva dalle finestre. Poi tutto accadde molto in fretta.

La quiete fu rotta come un vetro da una pietra ed esplose in urli e pesanti passi. Improvvisamente mi trovai circondata da quattro uomini in giacca e cravatta che urlavano qualcosa. Io però non sentivo niente. Nelle loro mani tenevano delle rivoltella puntate dritte alla mia testa. 

Non ero il tipo di persona che rimane paralizzata in situazioni di stress, ma in quel momento io non mi trovavo più nella biblioteca di una villa nel Devon. Mi trovavo nel porto di Danzica. Il maresciallo Kindjal e l'uomo dalla voglia rossa puntavano le loro pistole verso di me, ed Asja moriva, ed io sentivo il suo sangue caldo sulle mie mani e non potevo fare niente. Non potevo fare niente. Quello era ciò che sentivo quel giorno con quattro rivoltelle puntate alla mia testa e mi resi conto per la prima volta che ciò che avevo vissuto aveva lasciato una traccia profonda in me.

Non riuscii a muovermi, né respirare. 

"Giú le armi.". Fu l'ordine che mia madre diede con un urlo secco che mi fece tornare alla realtà. Irene aveva impugnato la sua pistola con l'impugnatura di madreperla e la teneva puntata verso uno dei quattro uomini, sembrava una pantera pronta all'attacco che protegge il suo cucciolo.

Billy, Arséne e Sherlock erano dietro di lei e in quel momento capii cosa intendesse il dottor Watson quando descriveva nei suoi racconti lo sguardo intenso del grande investigatore. Una fiamma feroce sembrava ardere negli occhi di Holmes. Sembrava garantire agli uomini in cravatta che se non avessero eseguito l'ordine di Irene li avrebbe annientati lì in quel preciso istante.

Gli uomini abbassarono leggermente le loro rivoltelle. "Chi sareste voi, signora, per darci ordini?"chiese uno dagli occhi scuri e la voce roca. "Adler, Agente Speciale Incaricato, Divisione Uniforme dei Servizi Segreti degli Stati Uniti. Giù le mani da mia figlia." disse Irene caricò il cane della sua rivoltella. 

Fu abbastanza e gli agenti abbassarono completamente le loro armi. Io trovai finalmente la forza di muovermi ed andai a rifugiarmi in fretta dietro la schiena di mia madre. Holmes mi posò una mano sulla spalla e mi accorsi quanto rigida ero e quanto veloce andava il mio respiro; Billy cercò la mia mano, la strinse forte ed io strinsi forte la sua. Tremava leggermente e così passai il mio pollice sul dorso della sua mano e dopo un po' lui fece lo stesso.

"Non sapevamo che ci fosse un quinto inviato." parlò in quel momento il tipo dagli occhi scuri: "Si era deciso che 4 uomini fossero decisamente abbastanza per trovare una ragazza scappata di casa.". "A quanto pare non è così." rispose Holmes: "Vista la stupidità di 4 uomini che puntano armi contro una giovane ragazza disarmata nel bel mezzo di una casa in campagna, direi che neanche con il doppio della massa dei vostri cervelli sareste in grado di completare la missione.".

"Abbiamo il compito di trovare una giovane donna e l'indirizzo di questa casa risulta come abitazione di essa, mi scusi signore, se reagiamo nel momento che vediamo una ragazza proprio in questa casa." sputò un altro agente offeso. Sherlock fece una risata secca: "Sembra che la vostra incompetenza non abbia limiti, signori, tanto da sbagliare abitazione nella quale cercare dato che la persona che state cercando non abita più qua da almeno 5 anni, il che vuol dire che siete entrati senza permesso in una proprietà privata e vi si potrebbe accusare di furto o...". "Va bene, va bene!" fu interrotto dall'agente con gli occhi scuri che fece un cenno con il capo agli altri: "Andiamo.".

Aspettammo di sentire la porta dell'ingresso chiudersi prima di fiatare. "Mila, stai bene?" mi chiese Irene ed io annuii, ma mi rifugiai comunque per un attimo nelle braccia di mia madre. "Cosa intendi dicendo che Elise Holmes non vive più qui da almeno 5 anni?" chiese Lupin in quel momento. Holmes indicò una fotografia incorniciata sulla parete sinistra, era una foto di famiglia, ma non riconobbi Elise Holmes in nessuna delle facce. Era datata 08 marzo 1916. A quanto pareva Elise Holmes aveva veramente vissuto in quella casa per un periodo, ma si era trasferita per lo meno 5 anni fa da qualche altra parte. 

Quando uscimmo da Westcliff House diluviava ancora più forte della mattina ma decidemmo comunque di fare una passeggiata verso il mare per calmare le nostre menti. Ero ancora scossa e fui felice quando Lupin mi raggiunse e mi cinse le spalle con un braccio e semplicemente camminò al mio fianco per un po' il che mi fece sentire davvero più tranquilla.  Ringraziai Arséne prestandogli il mio ombrello per raggiungere Irene e Sherlock che camminavano davanti a noi. 

Per fortuna venne Billy con il suo ombrello a proteggermi dalla pioggia incessante. "Promettimi di non farlo mai più." mi disse. Mi voltai verso di lui: "Hmm?" feci. Lui mi guardò e rise un po': "Ciò che intendo dire è che ti sarei grato se potessi evitare di farmi prendere così tanta paura come prima.".

Sentii che stavo arrossendo, ma per una volta non abbassai lo sguardo e risposi al sorriso: "Ci proverò!" dissi ed infilai la mia mano sotto il suo braccio per sentire un po' di più il suo calore.

 

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Capitolo 10
*** Dubbi e speranze ***


Il viaggio di ritorno verso Briony Lodge fu quieto, ma per motivi diversi da quelli dell’andata. Se prima la mia mente fremeva con l’aspettativa di andare ad una avventurosa ricerca di una persona sparita e avvolta nei segreti del passato, ora mi sentivo come vuota e mi sembrava quasi che i miei pensieri fossero stati risucchiati dalla mia mente. Guardavo fuori dal finestrino, ma allo stesso tempo non vedevo niente.

Ero delusa. Delusa di non aver trovato niente a Westcliff House e delusa della mia mancata reazione e rigidità durante ciò che era successo nella biblioteca della casa. Mycroft Holmes aveva previsto per me una carriera come spia nei servizi segreti e se un tempo questo era stato nei miei sogni dove mi immaginavo nei panni di donna fiera, indipendente e intelligente come Irene, ora non ero così sicura.

A Londra la tempesta si era calmata e qualche raggio di pallido sole si batteva con le nuvole per illuminare la città. Una volta entrata a Briony Lodge mi tolsi il cappotto e i miei stivaletti e mi ritirai direttamente nella mia camera. Ancora frustrata, l’unica cosa che avevo voglia di fare era un bagno caldo per togliermi di dosso tutta l'umidità che avevo assorbito durante la nostra visita piovosa a Malborough. Mary propose un the che tutti gli altri accettarono grati, ma io, già a metà delle scale, decisi che l’avrei saltato.

Solitamente ero abbastanza ordinata, ma quel giorno mi svestii e lasciai gli indumenti in un piccolo mucchio davanti al mio letto. Avvolta nel mio accappatoio di seta aspettai impaziente che la vasca si riempisse e sbuffai perché sembrava metterci un’eternità.

Una volta immersa tra le bolle di sapone dal profumo di vaniglia feci qualche respiro profondo e cercai di non pensare a niente concentrandomi solo sulla sensazione dell’acqua calda che avvolgeva il mio corpo. Purtroppo, come spesso accade, quando si prova consciamente a non pensare a niente, si finisce per avere la testa più piena che mai. 

Nella mia frustrazione persi completamente il senso del tempo. Mi accorsi che ero stata a fissare un punto impreciso della parete del bagno per quasi un’ora, quando fui riscossa da qualcuno che bussava alla porta della mia camera. “Mila?” sentii Irene. “Sí?” risposi, mentre cercavo di uscire dalla vasca il più in fretta possibile. Mi infilai di nuovo il mio accappatoio e mi avvolsi i capelli bagnati in malo modo in un turbante.

Uscii dal bagno lasciano una lunga fila di impronte bagnate sul pavimento e con la sensazione di essere più stanca di prima. Irene era seduta sulla poltroncina blu vicino alla finestra e notai che aveva raccolto e ripiegato i vestiti che avevo butatto per terra davanti al letto. “Hai bisogno di me?” chiesi, mia madre scosse il capo: “No. E tu?”. Mi andai a sedere davanti alla mia vanità e sciolsi il turbante dal quale uscì la mia massa di capelli bagnati e annodati: “mmh-mmhh” feci scuotendo la testa anche se ovviamente il mio mugugno non convinse mia madre.

Si avvicinò a me, prelevò la spazzola dalle mie mani e iniziò a pettinare le mie lunghe ciocche bionde: “E da quando in qua salti il the e la possibilità di riempirti di biscotti e scones?” mi chiese. Alzai le spalle: “Non so, non mi andavano.” feci. 

Irene fece il giro della sedia per guardarmi in viso, notai che aveva un’espressione preoccupata. “Sei turbata… quello che è successo oggi a Malborough… mi dispiace, non sarebbe dovuto accadere.” mi disse. Spalancai gli occhi quando capii i suoi dubbi: “Ma no mamma! Non è per quello e sicuramente non devi fartene una colpa. È solo che… io ecco… io non ho fatto niente, non ho reagito minimamente e sono stata ferma impalata come una sciocca quando c’era quattro persone che mi puntavano addosso delle rivoltelle. Mycroft Holmes dice che potrei un giorno lavorare nei servizi segreti, ma sinceramente non so se è poi un’idea così brillante visto che chiaramente l’unica cosa che sono in grado di fare è pietrificarmi.”.

Con mia grande sorpresa Irene rise squillante e mi abbracciò forte incurante dei miei capelli bagnati. “Ah Mila! I geni non nascono, vengono creati, modellati e cresciuti. Nessuno sviluppa talento da un giorno all’altro e anche quando si inizia a migliorare, non si smette mai di imparare, neanche dopo anni ed anni di esperienza. Inoltre posso assicurarti che Mycroft ha il 0,001% di possibilità di sbagliare, anzi, si potrebbe dire che ha sempre ragione.” mi disse Irene sorridendo.

Mi sentivo un po’ ridicola, come una bambinetta imbronciata che si lamenta da sua madre, ma in quel momento le parole di Irene mi rincuorarono davvero e spazzarono via gran parte del mio malumore. “Ci sono ancora dei biscotti?” chiesi, mia madre annuì: “Sono riuscita a salvarne due da Lupin.”, poi mentre scendevamo insieme le scale verso la sala da pranzo aggiunse: “Ah e per favore non menzionare mai il fatto che ho detto che Mycroft Holmes ha sempre ragione in sua presenza.”.

Se la sala da pranzo mi aveva accolto con un’atmosfera dolce e di conforto, quando passammo poco dopo al salotto adiacente mi sembrò di sprofondare nella depressione più buia. Holmes camminava nervoso su e giù per la stanza, mentre Arséne se ne stava seduto sul divanetto davanti al camino ed emetteva un sospiro dopo l’altro. Mi andai a sedere vicino a Lupin: “Quindi siamo di nuovo da capo?” chiesi ciò che sapevo già essere vero.

“Ah!” emise Sherlock in un verso scocciato: “Di preciso. Ottima osservazione.”. Sapevo che quando Holmes diventava brusco era perché qualcosa lo frustrava profondamente e sinceramente lo capivo.

“Una nuova informazione l’abbiamo: i Servizi Segreti Americani sono alla caccia di Elise Holmes come lo siamo noi.” disse Irene cercando di sollevare un po’ l’atmosfera. “Mi chiedo perché.” fece Lupin mentre aggiungeva della legna al fuoco: “Violet era coinvolta con essi, ma sua figlia? Perché dare la caccia ad una ragazza con quattro agenti muniti di rivoltelle?”. Irene scrollò le spalle: “Ci credo che non si è fatta viva. Che abbia qualcosa che i Servizi Segreti vogliono?”. Holmes diede un’ultima occhiata ad una finestra e poi si lasciò sprofondare con uno sbuffo in una poltroncina: “Non lo possiamo sapere ed io evito sempre di ipotizzare senza fatti. Forse però Billy ha qualche risposta.”.

Lo guardai confuso, ma ovviamente pochi secondi dopo il magnifico Gutsby, che Holmes aveva visto dalla finestra, fece la sua entrata con tre pezzi di carta in mano.

Il primo telegramma, il quale finì dritto nel fuoco con uno sbuffo da parte di Sherlock, era la risposta da parte di Daniel Ross, il violista del gruppo di musica da camera, che però ci informava di aver perso Violet Holmes completamente di vista dopo che ella aveva smesso di lavorare alla Royal Academy of Music. 

La seconda risposta era da parte di Margarete Steinhausen, l’altra musicista, che ci riferiva l’indirizzo di casa di Violet Holmes che peró corrispondeva purtroppo con quello di Westcliff House; raccontava inoltre di considerare Violet un’amica e di aver scambiato lettere con lei per qualche anno, ma che ella era stata sempre estremamente riservata.

Avevo quasi perso le speranze di ottenere una nuova pista per la nostra missione e in effetti fu cosí, ma almeno in risposta al telegramma che avevamo tentato di mandare a Victoria Griffith, l’amica di gioventú della sorella di Holmes, scoprimmo che essa non abitava piú al numero 35 di Onlow Street, ma che la sua zia, una certa signora Miles, risiedeva in quella casa e che aveva inoltrato il messaggio a sua nipote. Eravamo invitati ad un incontro con lei nella casa della zia il giorno seguente.  Non era la miglior risposta che avremmo potuto ricevere, ma era meglio di niente ed eravamo molto fortunati riguardo il telegramma a Violet Griffith.

La cena passó silenziosa e Holmes si ritiró subito dopo nelle sue stanze accompagnato dalla musica del suo famoso stradivari. Irene e Lupin si impegnarono in un discorso riguardo il nuovo quadro che avevano appeso pochi giorni prima nella sala da pranzo e di altre opere di Rembrandt. 

Trovavo visitare musei un’attivitá abbastanza piacevole, ma non mi ero mai interessata nella parte piú tecnica di storia dell’arte e cosí persi in fretta interesse per l’appassionata discussione sul quadretto. Inevitabilmente mi ritrovai cosí a cercare Billy con lo sguardo per qualche suggestione. Lui sembró leggermi nel pensiero: “Ti va di andare a leggere in biblioteca?” mi chiese con un sorriso. Io annuii e ci alzammo entrambe da tavola.

La biblioteca di Briony Lodge conteneva una collezione di libri impressionante che consisteva in volumi che Irene aveva fatto portare da New York, altri che aveva posseduto giá quando abitava ancora in Europa, tutti i libri che Lupin era riuscito a raccattare in giro per il mondo e l’intera collezione che Holmes aveva avuto a Baker Street; ovviamente io mi vantavo di averne letto un buon numero. 

Quella grande stanza al secondo piano era diventata una sorta di punto di incontro per me e Gutsby e vi avevamo passato interi pomeriggi. Mia madre era convinta del fatto fossi una vera lettrice accanita, dato che ogni volta che io e Billy ci recavamo lí dichiarevamo che andevamo a leggere. In realtá la biblioteca era il nostro rifugio per lunghe chiacchiere su argomenti frivoli, ma anche per discorsi e dibattiti su tutto e di piú, da una notizia specifica da qualche parte del mondo al movimento delle suffragette che mi infuocavano l’animo.

Quel giorno peró ci dedicammo veramente alla lettura, precisamente al nostro adorato Detective Pennington. Il nostro posto preferito era vicino alla grande finestra che illuminava la stanza, era perfetto per appoggiare la schiena comodamente contro il muro e leggere comodi seduti su un tappeto. Avevamo messo una coperta di lana che Irene aveva acquistato in Perú in un armadio e la usavamo quasi ogni volta per avvolgerci nel suo dolce calore e nell’aria di tranquillitá che emanava.

Rossa in viso appoggiai il capo sulla spalla di Gustby e aprii il libro, poco dopo sentii con il cuore mi batteva a mille il suo braccio circondarmi le spalle e non potei fare a meno di sorridere.

Cercai di immegermi nello straordinario e poco probabile caso del grande detective Pennington, ma non riuscivo a concentrarmi e mi ritrovai a perdere il segno piú volte di fila. C’era un pensiero nella mia mente che rubava tutta la mia attenzione e la necessitá di dargli voce cresceva di secondo in secondo.

Chiusi il libro con un sospiro e mi girai verso Billy che mi guardó interrogativo: “Tutto a posto?”. Mi morsi il labbro: “Mycroft mi ha offerto una borsa di studio in una scuola internazionale.” dissi a bruciapelo perché sapevo che girarci intorno non sarebbe stata una perdita di tempo. “Potrebbe essere un grande aiuto per il mio futuro e…” “Ma è fantastico!” disse Billy con lo sguardo luminoso, ma vedendo che non ebbi la stessa reazione alzó un sopracciglio. Io rimasi quieta per un po’ poi mi decisi a parlare: “É in Danimarca.” dissi, lui mi guardó silenzioso per un po’ e il suo sguardo era cambiato: “Ah.” rispose poi: “É comunque una grande possibilitá.” aggiunse comunque, ma notai chiaramente una nota di tristezza.  

 

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Capitolo 11
*** Victoria Griffith ***


Ci saremmo recati al numero 35 di Onlow Street per l’ora del the, così mi ero trovata ad avere l’intera mattinata gonfia di noia e di aspettative per il pomeriggio. 

Avevo dormito in una strana posizione contorta e perciò avevo il collo spiacevolmente indolenzito ed una leggera cefalea. Mi ero comunque messa in testa che avrei usato la mattinata per fare qualcosa di produttivo e quindi mi misi sul grande tavolo della sala da pranzo armata di matite, gomma e la mia stilografica pronta per dedicarmi alle basi della stechiometria.

Avevo sempre apprezzato e avevo avuto più successo nelle materie scientifiche come l’algebra, la geometria o le scienze, ma quella mattina, alle prese con le stechiometria delle reazioni chimiche, for per il mal di testa o per la voglia di incontrare finalmente Victoria Griffith, non riuscii proprio a concentrarmi. I calcoli non funzionavano e dovetti controllare la tavola periodica più volte perché non mi ricordavo la formula di un elemento. 

Mi arresi dopo neanche una ventina di minuti tirando più righe sul mio ultimo calcolo ed abbandonandomi con uno sbuffo allo schienale della sedia, rimanendo a fissare il foglio.

Decisi che avrei avuto bisogno di un bicchiere d’acqua fresca e mi sfregai gli occhi per via del mal di testa. La mia mente era però talmente affollata che rimasi lì seduta con le mani sul viso, mezza accasciata sulla sedia.    

Ovviamente non mi accorsi di Sherlock che entro’ nella sala da pranzo per prendere il giornale che era rimasto sulla tavola dopo la colazione. 

“Pensavo che la chimica non ti facesse disperare tanto.” mi disse con un tono carico di ironia, ma bonario. La mia testa scatto in alto il che mi provocò una spiacevole fitta alla nuca. Mi sentii abbastanza ridicola e goffa li su quella sedia, quindi drizzai la schiena e mi schiarii la voce: “Di solito non ha questo effetto.” risposi quindi a Holmes.

Lui buttò un’occhiata più attenta al mio quaderno: “Problemi con la stechiometria?” mi fece ed io annuii rassegnata: “Non credo di essere abbastanza concentrata.” gli dissi con un sospiro.

“Il fatto, mia cara Mila, è che questo non è  un distanziamento psicologico adatto per te.” mi spiegò come se fosse la cosa più ovvia al mondo. “Distanziamento psicologico?” feci.

Holmes annuì e si sedette sulla sedia di fianco a me: “Nella nostra mente abbiamo una parte conscia ed una inconscia. Possiamo controllare completamente quella conscia e lo facciamo così spesso che finiamo di scordarci di quanto potente può essere l'inconscio. In esso stanno archiviate molte informazioni e memorie della quale esistenza la parte conscia si completamente scordata. Ora, nel momento che ci viene posto un problema o qualcosa su cui riflettere, nel mio e tuo caso la ricerca di Elise Holmes e l’incontro con la signora Griffith, tutta la nostra parte conscia si spreme per trovare una soluzione senza usare tutte le informazioni che magari sarebbero disponibili nell'inconscio e perciò si entra in un circolo vizioso senza fine. La cosa migliore da fare, per quanto possa sembrare strana, è non pensarci affatto e lasciare che la nostra mente affronti il problema per conto suo, senza il nostro costante controllo. Ed è questo il punto in cui salta in gioco il distanziamento psicologico. Può essere qualunque attività che ti faccia pensare a qualcosa di completamente diverso, a patto che essa non sia troppo impegnativa per te cosicché il tuo inconscio abbia la possibilità di lavorare.”.

“E che attività avrebbero questo effetto?” chiesi pensosa. “Cambia di persona in persona. Per funziona molto bene suonare il violino o andare a vedere un’opera a teatro o fumare la pipa, quando ancora lo facevo. Sta a te, Mila, trovare qualcosa che funzioni e sicuramente non si tratta di stechiometria.” mi disse Holmes.

Questo fu uno dei tanti insegnamenti che il grande detective mi diede, ma è uno che tengo particolarmente a cuore fino al giorno d’oggi, dato che mi aprì veramente un mondo ed un nuovo modo di interagire con la mia mente, senza avere sempre la sete di tenerla sotto totale controllo. Anche se non l’aveva nominato capii quel giorno la malsana abitudine dell'iniezione di cocaina che Holmes aveva avuto in passato: era un modo per sfuggire al controllo che lui tendeva ad esercitare sulla propria mente, che però in alcuni casi capitava d’intralcio.

Effettivamente quella mattina trovai il mio metodo di distanziarmi psicologicamente: si trattava del pianoforte. Potevo suonare per ore melodie astratte e sempre nuove senza stancarmi e sentivo tutto il mio corpo andare in uno stato di relax. 

In seguito, durante il corso della mia vita, mi ritrovai a suonare in tantissimi posti diversi per ottenere lo stesso effetto; stazioni, case di conoscenti, bar, scuole di musica, teatri, ovunque potevo avrei suonato, anche durante missioni estremamente stressanti trovavo sempre qualche minuto per un pianoforte.

Quando arrivò l’ora di pranzo Irene mi dovette chiamare più volte perché sentissi visto che ero talmente immersa nella musica che veramente non mi accorsi di lei. Mentre mangiavo mi sentivo semplicemente in pace con il mondo ed anche ero molto curiosa riguardo cosa avremmo saputo da Victoria Griffith non sentivo più la fastidiosa agonia che mi aveva perseguitato durante la mattina.

Le prime ore del pomeriggio sembrarono passare almeno dieci volte tanto velocemente che quelle della mattinata e così ben presto dovemmo prendere i nostri cappotti e sciarpe e prepararci per presentarci all’incontro.   

Onlow street si trovava nel quartiere di Clerkenwell e quindi da Saint John’s Wood, dove ci trovavamo noi, era troppo lontana da raggiungere a piedi. Guidare a Londra con la propria macchina non aveva senso, ed anche se mia madre era una guidatrice accanita non aveva nessuna voglia di rimanere per ore incastrata nel traffico della City. Decidemmo perciò di prendere un taxi, o come lo chiamano a Londra un black cab.  

Un po’ meno di mezz’ora più tardi scendemmo davanti alla porta di casa del numero 35 di Onlow street. Clerkenwell era uno dei quartieri del centro Londra ed era stato denominato Little Italy per il grande numero di immigrati italiani che vi vivevano. Sicuramente non era uno dei quartieri poveri della città, ma certamente non così lussurioso come quello nel quale vivevo io insieme alla mia bizzarra famiglia; mi sentii un po’ viziata.

Suonammo alla porta laccata di grigio e poco dopo ci venne ad aprire un donnone con i capelli ormai grigi raccolti in un concio, il  viso arrossato e la bocca larga, ma con un sorriso e occhi gentili che si presentò come Mrs Miles e ci invitò subito ad entrare. 

La casa era vecchia e si iniziavano a vedere i segni degli anni da un po’ di intonaco che si staccava dal muro o una trave bucata dai tarli; nonostante ciò era arredata bene ed emanava un senso di sicurezza e familiarità. La proprietaria di casa ci condusse in una stanza abbastanza grande, ma dal soffitto basso, adiacente alla cucina. Ci spiego che sua nipote ci avrebbe raggiunto tra poco ed intanto mise a scaldare l’acqua per il the. 

La signora Miles si rivelò essere davvero simpatica, ma anche eccessivamente chiacchierona. Dopo dieci minuti di un monologo ininterrotto su come suo marito era morto da vero eroe durante la Guerra e di come lei si era trovata un lavoro e si era rimessa in piedi tutta da sola, ero sicura che Holmes fosse pronto ad andarsene e Lupin a tentare una spericolata fuga dalla finestra. Per quanto la sua storia fosse veramente ammirabile il suo discorso senza termine rischiò seriamente di farci scappare.      

Fu l’acqua che cominciò finalmente a bollire a salvarci e poi finalmente, mentre Mrs Miles ci serviva un assam e una caraffina di latte da aggiungere, sentimmo il campanello della porta suonare.

Victoria Griffith era alta e secca, ma non allo stesso modo che lo era mia madre che sfoggiava il suo fisico con grazia. La donna di mezza età che avevamo davanti sembrava un fiume prosciugato e vi era qualcosa nei suoi occhi azzurri leggermente a mandorla che raccontava di una vita travagliata. La sua magrezza, che stava tanto in contrasto con la corporatura di sua zia, era però compensata da una lunga treccia nera di bei capelli lucidi che era di certo da invidiare.

Si sedette al tavolo senza dire nulla e si riempì una tazza di the che prese a sorseggiare senza aggiungere latte né zucchero. Tutto in lei mi dava l’impressione di essere amaro come quell’assam che stava bevendo senza niente.

“Non è stato molto chiaro nel vostro telegramma, Mr Holmes.” parlò poi saltando le presentazioni. “Direi che perciò che è un bene che ci incontriamo in modo da poter chiarire i suoi dubbi riguardo a ciò che non ha capito” rispose schietto Holmes, sostenendo il tono di sfida che l’altra aveva usato.

Victoria Griffith alzò lo sguardo dalla tazza che aveva osservato fino a quel momento ed andò a posare i suoi occhi di ghiaccio direttamente su quelli di Sherlock che però non si lasciò turbare. “Non era al funerale anche se la salma è stata trasportata da Berlino fino a Londra per essere seppellita.” disse poi: “Non riesco ad immaginare da dove venga improvvisamente tanto interesse per una sorella che ha fatto finta di non avere per quasi 20 anni.”. 

Un colpo basso. La donna era andata a colpire proprio dove le difese di Holmes erano deboli e l’aveva fatto con cura. Ma egli si riprese in fretta e fu altrettanto duro: “Non mi pare, signora Griffith, di aver menzionato nel mio telegramma il suo bisogno di interessarsi a faccende che chiaramente non la riguardano. Se ha qualche informazione che intende condividere con noi lo faccia ora, altrimenti non ha alcun motivo di restare.”. 

L’atmosfera nella stanza era pesantissima e per fortuna venne Mrs Miles a migliorarla un po’ con degli scones appena sfornati accompagnati da cottage cream e marmellata di mirtilli. Come c’era da aspettarselo Victoria Griffith prese a spezzetarne uno per poi mangiarlo senza cream né marmellata. Poi finalmente decise di parlare: “Io e Violet eravamo buone amiche fin da piccole e anche quando ognuna di noi ha imboccato la propria strada abbiamo continuato a mandarci lettere regolarmente ed a vederci quando potevamo. Durante la Guerra avevo perso quasi completamente il contatto con lei, ricevetti una lettera dalla Danimarca nel 1919. Violet era scappata durante la Guerra con il padre di sua figlia. Egli era stato assassinato qualche giorno prima dai Servizi Segreti tedeschi e lei temeva di fare la stessa fine. Aveva lasciato Elise qui in Inghilterra in custodia del suo insegnante di violino Pietro Rovelli e mi chiese aiutarla a trovare una casa sicura e isolata nel quale stare quando sarebbe tornata in Gran Bretagna. Ovviamente feci ciò che mi aveva chiesto anche se ormai il nostro apporto non era più così stretto come una volta  e così per un periodo Violet ha vissuto con sua figlia. Non era mai tranquilla però e ormai era già scivolata in quello stile di vita e non riusciva a starne lontana. Dopo di che non so più niente a parte il fatto che l’hanno uccisa a Berlino.”, concluse il racconto ed io capii il motivo di tanta amarezza riguardo il soggetto.

Ci fu un momento di silenzio che fu poi interrotto da Irene: “E la figlia? Abita ancora in questa casa sicura?” chiese. Victoria annuì e il mio cuore prese a battere forte. “Dove?” fece Holmes. 

“Aish House, ad Aish, vicino a Stoke Gabriel.”  

 
 

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Capitolo 12
*** Una persona sulla faccia della terra ***


 

Aish, come anche Malborough, si trova nel Devon e pur essendo un po’ più vicina di quest’ultima, partimmo comunque presto la mattina. Più precisamente alle 07.00 in punto. 

Francamente non mi ricordavo l’ultima volta che mi ero alzata così presto, ma d’altronde non ne avevo mai avuto veramente bisogno, dato che non avevo una scuola da raggiungere in tempo, oltre al fatto che ero e tutt’ora sono una gran dormigliona.

Per questi motivi appena nominati, salii in macchina con la sensazione del mio morbido cuscino ancora sulla guancia e sfregandomi gli occhi tutt’altro che sveglia. L’idea di sedermi davanti così presto la mattina mi faceva rivoltare lo stomaco, quindi cedetti volenterosamente il posto a Sherlock che con le sue gambe lunghe ne aveva sicuramente più bisogno di me. 

L’alba era verso le 07.20 e perciò con l’aria buia e umida della notte, neanche l’eccitazione provocata dalla nostra missione riuscii veramente a svegliarmi; ciò accadde solo poco più tardi quando Billy mi scosse leggermente la mano e indicò fuori dal finestrino. Il sole inondava pian piano i tetti di Londra con i suoi deboli raggi, era come una marea: un po’ alla volta la luce cresceva, inghiottiva anche gli angoli più nascosti e gli abitanti si svegliavano con la loro città. Io mi sentii un po’ come una margherita, ma mano che il cielo si faceva più luminoso, le mie palpebre si dischiudevano ed iniziavo a sentirmi un po’ più energetica. Anche se fu una questione di pochi minuti, il ricordo del sole che nacque su Londra quella mattina mi è tuttora molto caro.

Con i raggi di luce iniziò’ a farsi strada in me anche tutta l’agitazione che mi solleticava come le bollicine di quell’orrenda bevanda dolcissima, la Coca Cola, che andava tanto di moda negli Stati Uniti. Con ogni minuto che passava, mi sembrava che il tempo pian piano rallentasse e che ogni istante divenisse sempre più lungo. Divenni così impaziente che iniziai a tremolare con il mio piede sinistro, poi con il destro ed infine con entrambe, il che strappò un sorriso a Lupin.

Davvero non capivo come gli altri potessero essere così calmi quando c’era buona possibilità che fossimo ad un passo dal completamento della nostra missione! Sapevo che Billy mascherava la tensione con il suo portamento sempre perfetto, ma Irene, Sherlock e Arséne sembravano aver sviluppato negli anni una strana capacità di non lasciarsi mai travolgere dall’adrenalina, certo, anche loro vivevano momenti di agitazione, ma avevano in qualche modo imparato a non sprecare le proprie energie facendo prendersi dall’ansia. Io però ero ancora molto lontana dall’acquisire tale talento allora e mi rassegnai perciò con uno sbuffo, sperando di arrivare il prima possibile.

Man mano che ci avvicinavamo ad Aish, ci rendemmo conto che doveva trattarsi veramente di un villaggetto minuscolo perché le strade si facevano sempre più strette ed in alcuni casi invase da pecore, inoltre dovemmo fermarci più per chiedere indicazioni.

In effetti Aish non si sarebbe veramente potuto definire come “villaggio”, ma piuttosto come alcune villette e case lungo una stretta e bagnata via di campagna. 

Nascosto da alte querce tronava, come ultimo edificio di Aish, una villa georgiana della quale si riuscivano ad intravedere le pareti bianche oltre al cancello. Vicino ad esso vi era una targa di pietra quasi completamente ricoperta di muschio, ma sulla quale si poteva ancora leggere “Aish House”. 

Quando Holmes posò le mani sul cancello, per qualche motivo mi immaginai che avrebbe cigolato, ma ciò non accadde e così entrammo nella proprieta che circondava la villa. 

Il giardino era rigoroso, anche se si poteva notare che non era stato curato negli ultimi tempi. Fiori coltivati si mischiavano a violette selvatiche ed una scultura era quasi completamente ricoperta di edera, l’erba ai bordi del sentiero di ghiaia che portava all’entrata era stata però tagliata e il posto emanava un’aria di decadenza in qualche modo ordinata.

Dovetti affrettare il mio passo per rimanere dietro alle lunghe gambe di Holmes che non perse un attimo di tempo e si diresse subito al portone di entrata che era incorniciato da due colonne classicheggianti. Appoggiò la mano sul pomello ed immediatamente imprecò tra i denti. La porta era aperta. 

Per un momento pensai che fossero gli agenti americani che erano arrivati prima di noi, poi però osservai meglio il legno scuro  e non nessun graffio od altro segno di scassinamento, la porta sembrava essere lasciata aperta volontariamente.

Sherlock spalancò il portone ed entrò con foga, ci accolse un profumo di menta, frutti rossi e libri polverosi. C’era un lungo corridoio le cui pareti erano completamente ricoperte di quadri di varie dimensioni tutti firmati con le iniziali E. H., una pittrice, pensai. In fondo al corridoio c’era l’unica cornice che non conteneva un dipinto, ma una foto che raffigurava Mycroft, Sherlock e Violet Holmes, la stessa che avevo visto per la prima volta a Pall Mall quando ci era stata affidata questa missione. Nella cornice era stata infilata una busta ed appena vidi quella capii: Elise Holmes non c’era.

Ai signori Holmes” vi era scritto sopra con inchiostro curiosamente verde. Sherlock la lesse in silenzio e poi me la passo’. 

Signori Holmes,

sappiate che mi sarei voluta presentare di persona, ma le circostanze nelle quali mi trovavo hanno reso ciò impossibile e così vi prego di scusare la mia mancate presenza. Mia madre raccontava spesso di voi e sono sempre stata impaziente di fare vostra conoscenza, ma purtroppo ho dovuto rimandare un’altra volta.

Quando leggerete questa lettera sarò a bordo di un battello per Calais o forse addirittura già in Francia, dalla quale mi dirigerò  poi in vari paesi d’Europa. Con me ci sono tante persone meravigliose e talentuose che costituiscono insieme il Wiener Zircus, di cui ora ho la fortuna di far parte anch’io.

Ho diciassette anni e tra pochi mesi verrò considerata un adulto, questi mesi sono i miei ultimi di libertà spensierata e la voglio assaporare e sfruttare al massimo. Questo io lo devo fare, perché so bene che le persone come me hanno una responsabilità particolare  nei confronti della società e sono pronta ad offrire le mie abilità per migliorare la condizione umana e disposta a fare del mio meglio per soddisfare le aspettative delle persone. 

Ma non adesso. Adesso sono solo una bambina e voglio esserlo fino al momento giusto. Non voglio essere misurata dalle mie abilità o talenti, non voglio essere considerata nulla di più che una persona sulla faccia della terra. Non uno strumento, non un genio, non una traditrice, solo io.

Dopo la morte di mia madre i servizi segreti americani hanno cercato di rintracciarmi più volte, ma loro non sono a caccia di me, ma del mio cervello ed ho preso perciò la decisione di andarmene per un po’, per vedere tutta la foresta anzi che solo gli alberi. 

Il nostro incontro non tarderà molto però, sarò disponibile e al servizio del bene comune appena giungerà il mio diciottesimo compleanno e come ho detto mancano solo alcuni mesi. Fino ad allora fatemi il piacere di non cercarmi, mi farò trovare io quando sarà ora.

Inoltre devo dirvi che mia madre vi ha perdonato, anzi, so che si  è pentita di ciò che le sue azioni hanno causato, anche se non lo avrebbe mai detto.  

Prima di concludere vorrei pregarvi di scegliere due dei quadri che trovate in questo corridoio che vi sembrano di più valore e facilmente vendibili e di consegnarli alla signorina Griffiths che immagino vi abbia aiutato a rintracciarmi. Non credo che io le sia stata mai molto simpatica, soprattutto negli ultimi tempi quando il rapporto con mia madre si è fatto più complicato, ma tutto ciò che lei ha fatto per noi e l’aiuto che ci ha dato è impagabile ed intendo ripagarla per quanto posso. 

A presto e spero possiate accettare la mia decisione,

Elise Holmes

P.S.= non intendevo rendere  questa faccenda una replica da pochi soldi della conclusione di “Uno scandalo in Boemia”, ma ho dovuto prendere ispirazione da qualcosa.       

 

Avrei provato delusione, se non fosse per il sorriso che si dipinse sulle mie labbra. Non avevamo completato la nostra missione e la figlia di Violet Holmes ci era scivolata tra le dita come sabbia, ma non importava. Sapevamo che Elise Holmes stava bene, anzi, sapevamo precisamente dove era e che intenzioni aveva ed esse non sarebbero potute essere più buone. 

Quel giorno imparai che spesso c'è più di una soluzione ad un problema ed anche se non era quella che ci eravamo immaginati, può essere comunque buona. Il risultato non dovrebbe mai essere lo scopo assoluto, ma tutto il processo che si fa per arrivarcisi perché è lì che vengono prese le decisioni che determineranno il successo. 

Con l’aiuto di Arséne scegliemmo due quadri, un ritratto ad olio di una bellissima donna ed un paesaggio montagnoso all’alba,  che avrebbero ricompensato la signorina Violet Griffiths abbondantemente, li avvolgemmo in dei panni che trovammo nella lavanderia e li mettemmo nel cofano dell’Isotta Fraschini, poi salimmo anche noi. 

 

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Capitolo 13
*** Di finali ed inizi (seconda parte) ***


Durante il viaggio di ritorno verso Briony Lodge ero contenta, ma pensosa. La lettera che Elise Holmes aveva lasciato ad Aish House mi aveva in qualche modo scosso. “Le persone come me hanno una responsabilità particolare  nei confronti della società.”, aveva scritto. Non aveva specificato cosa intendesse esattamente, ma io avevo capito. Persone come lei e come me: tutti coloro che hanno qualcosa, un dono, un talento, un'abilità che possono condividere e mettere a disposizione di tutti gli altri e hanno il dovere di fare ciò per il motivo stesso di possederlo, perché non farlo sarebbe estremamente egoista. Era ciò che avevano fatto Irene, Sherlock e Lupin ed era anche il motivo perché ad un certo punto si erano dovuti separare. Ognuno di loro aveva abilità brillanti, ma diverse ed erano stati obbligati a metterle a disposizione del bene in modi diversi.  

Sarebbe toccato anche a me prima o poi, capii cosa intendeva Mycroft Holmes, eppure anch’io ero solo una bambina.

Arrivammo a Londra giusto in tempo per il pranzo e la nostra fantastica Mary ci accolse con il suo dialetto incomprensibile e delle Jacked Potatoes fumanti e piene di cheddar che mi fecero ricordare che non mangiavo niente dalla mattina.

Ci sedemmo a tavola nella sala da pranzo e per una volta si unì a noi anche Billy senza essere fulminato da Holmes. I primi attimi passarono in silenzio, ma poi prese la parola Lupin: “Quindi, chi va a dire a Mycroft che siamo miseramente falliti nella sua missione? E soprattutto che ci siamo fatti prendere per il naso da una ragazza?”, ovviamente ciò fece ridere tutti ed anche a Sherlock scappò un mezzo sorriso. “In fondo è una Holmes, era abbastanza ovvio che sarebbe stata dura acchiapparla.” commentò Irene ed Arséne dovette darle ragione con una scrollata di spalle.

Il resto del pranzo trascorse tranquillamente e devo ammettere che rimasi sorpresa dal fatto che Holmes non sembrava particolarmente disturbato di non aver portato a termine la nostra missione fino in fondo, credo che in realtà fosse soddisfatto della conclusione e che in qualche modo avesse fatto pace con sua sorella e sé stesso finalmente.

Nel pomeriggio Sherlock ci annunciò che sarebbe andato da suo fratello ed io lo accompagnai. Prendemmo un taxi ed in esso fui intrattenuta dall’alto detective che cercava di spiegare in modo sempre più scocciato al povero tassista che la strada più veloce per arrivare a Pall Mall non era affatto quella che lui aveva scelto.

Dopo venti minuti che immaginai dovessero essere stati di puro inferno per il tassista, scendemmo, mai io mi fermai sul marciapiede. “Non vieni?” mi chiese Holmes ed io scossi il capo: “Gli ho già detto addio.” spiegai e notai che la cosa mi rendeva triste, ma non disperata. Lui acconsentì ed io rimasi a guardare le nuvole che scorrevano veloci come un pennello sulla tela del cielo.

Fui riscossa solo quando udii il rumore del portone che si apriva e poco dopo Sherlock mi fu di nuovo davanti. Aveva un’espressione serena sul viso e fui contenta di aver dato ai due fratelli la possibilità di salutarsi per bene e forse anche di dirsi che si volevano bene. 

“Come è andata?” chiesi. “Ovviamente non ha mancato di dirmi che siamo un branco di vecchi incapaci, ma in realtà intendeva dire che è soddisfatto. Mi ha anche calorosamente ricordato che nell’assurdo caso che esistesse un Aldilà, mi aspetta felicemente all’Inferno, dato che è sicuro che nessuno di noi due verrebbe sopportato in paradiso.”. Mi sembrò una conclusione molto epica e molto Mycroftiana.

Sherlock si era decisamente stancato di usare taxi dopo la sua esperienza di qualche attimo precedente e perciò decidemmo di fare una lunga passeggiata fino a Briony Lodge. Mi per qualche motivo mi tornò in mente la passeggiata che avevo fatto insieme a lui dopo il mio ritorno da Edimburgo e tutta la faccenda di Godfrey Norton, allora tra di noi le acque erano meno calme ed io avevo tenuto nascosto un segreto per molto tempo ed effettivamente… forse ne avevo uno anche in quel momento.

Sherlock Holmes non verrebbe chiamato però il più grande investigatore di tutti i tempi se dopo un po’ non mi avesse detto: “Dovrai iniziare a fare i bagagli per la Danimarca.”. Io ovviamente strabuzzai gli occhi e mi voltai di scatto verso di lui, non mi sarei mai abituata completamente ai suoi colpi di genio. Per un po’ dovetti cercare le parole giuste: “Non ci andrò.” parlai infine.

Holmes si fermò nel bel mezzo del marciapiede e mi regalo uno sguardo tanto intenso che mi trovai ad abbassare gli occhi. “Non essere sciocca Mila.” disse secco: “È una grandissima opportunità.”. 

“Lo so” risposi piano: “Ma forse non dovrei pensare solo a me stessa, sono solo una bambina. Ci sono Irene, tu e Lupin e… Billy.” conclusi in un bisbiglio. 

“Posso assicurarti che io e Lupin siamo più che disposti a tener d’occhio tua madre e sono certo che Irene sarà disposta a fare la stessa cosa per noi. Riguardo a Billy non credo che tu ti debba preoccupare, ti aspetterà.” mi disse lui: “A parte il fatto che quel posto brulicherà di ragazzini come te e sinceramente hai quasi 14 anni, non so se ti si può ancora considerare un mocciosa.”.   

Io ovviamente diventai rossa come un peperone, ma mi venne in mente solo una cosa da dire: Hai ragione.”.

Decisi che ne avrei parlato a cena, da una parte perché pensavo che sarebbe stato più corretto farlo sapere a tutti, dall’altro perché non me la sentivo di avere un colloquio a quattr'occhi con mia madre, temevo che sarei diventata sentimentale.

Curiosamente incontrammo Irene, Lupin e Billy nella Serpentine Avenue che stavano rientrando a Briony Lodge come noi. Ci raccontarono poi che erano andati a consegnare i quadri a Victoria Griffiths ed Arséne le aveva consigliato un commerciante d’arte molto affidabile che l’avrebbe pagata abbondantemente. Billy mi disse con le labbra increspate che la signorina li aveva accolti tanto bruscamente come la volta precedente e che però, dopo aver sentito della nostra piccola avventura ad Aish, aveva quasi sorriso. Sorrisi anch'io, ma poi mi sentii il cuore un po’ pesante, mi sarebbe mancato molto Billy e per qualche motivo gli chiesi se potesse preparare le sue squisite salsicce alla Gutsby per quella sera. Credo che lui intese qualcosa, ma acconsentì ad ogni modo ed anch’io sgusciai in cucina per aiutarlo, il che ovviamente fu accolto da Mary con uno sbuffo e scuotendo la testa.

Le salsicce quella sera furono buonissime, o forse me le ricordo così perché dopo di che non le avrei più mangiate per alcuni anni.

Non affrontai subito il tema, ma non volevo neanche aspettare troppo a lungo e magari finire per girarci attorno. Perciò tagliai un altro pezzo di salsiccia e presi internamente un gran respiro.

“Mamma, vorrei parlarti di una proposta che mi ha fatto Mycroft la scorsa settimana. Ho dovuto pensarci su un po’ e quindi non ho detto nulla, ma adesso ne ho parlato anche con Sherlock e credo di avere idee più chiare.” mi feci coraggio ed ovviamente l’attenzione fu subito tutta su di me.

“Mi ha parlato di un college internazionale in Danimarca. A quanto pare è un’ottima scuola e nonostante sia molto difficile entravici, Mycroft mi ha offerto una borsa di studio.” raccontai e mi resi conto improvvisamente di avere la bocca secca.

Per fortuna Irene prese la parola: “Lo conosco e ne ho sentito parlare molto bene.” disse, ma poi calò silenzio. Io presi un sorso d’acqua sentendo lo sguardo pungente di Holmes su di me: “Ecco io…” balbettai: “A me piacerebbe andarci.” conclusi e mi voltai verso Billy. Ritrovai nei suoi occhi il velo di tristezza che vi avevo visto anche quel pomeriggio in biblioteca, ma mi sorrise comunque e seppi che era sincero.

Dopo di che il mio sguardo andò a mia madre e per un momento mi sembrò di tornare la bambina di sei o sette anni che aspetta ansiosamente il permesso di mangiare una caramella. Irene aveva lo sguardo pensoso e quasi temetti che non fosse d’accordo, ma poi sorrise, uno dei suoi sorrisi caldi che raggiungevano gli occhi e la facevano sembrare bellissima: “È un'opportunità da non perdere, Mila. Mi fa molto piacere che tu ci voglia andare ed hai ovviamente il mio permesso e supporto.”.

Sentii il cuore battermi forte e con uno scatto di quelli da bambina mi alzai ed andai ad abbracciare mia madre lasciandole un gran bacio sulla guancia: “Grazie mamma.” le dissi. Lei mi strinse forte: “La mia bambina sta diventando una donna coi fiocchi, che bello!”. “Direi una Adler coi fiocchi!” specificò Lupin e come al solito riuscì a strapparci una risata con le sue battute. 

Ero davvero contenta, mi sentivo come se un peso mi fosse scivolato dalle spalle ed ora che avevo preso la mia decisione ero curiosa riguardo cosa mi aspettasse in Danimarca: ero pronta per un’avventura, anzi per il futuro.

 

La settimana successiva passò a tratti molto velocemente tra preparativi e valigie che non si volevano chiudere neanche se mi ci sedevo sopra,  anche se in alcuni momenti mi sembrava che il lunedì mattina in cui avrei preso il treno per Dover non sarebbe arrivato mai. 

Ovviamente tutti si erano offerti di accompagnarmi fino al College, ma io sapevo che sarebbe stato troppo difficile voltare per un po’ le spalle alla mia vita a Londra se mi fossi portata tutta la mia famiglia fino alle porte della mia nuova esperienza e perciò avevo rifiutato. Ovviamente la persona più difficile da convincere era stata Irene ed in effetti aveva ragione: dopo tutto il trambusto che avevo vissuto nella mia infanzia per via delle mie origini, era troppo pericoloso farmi viaggiare da sola a quattordici anni. Per un’ultima volta fu Mycroft a risolvere il problema e rese disponibile un agente dei servizi segreti che mi avrebbe accompagnato fino in Danimarca per garantire la mia sicurezza.  

La notte prima della partenza non riuscii a chiudere occhio, ero troppo agitata, nonostante ciò non feci fatica ad alzarmi la mattina successiva. La colazione passo più lentamente che mai e facevo una gran fatica a mandare giù la mia fetta di pane con burro e marmellata, mentre tremolavo senza riuscire a smettere con i miei piedi.

Caricammo tutti i miei bagagli sull’Isotta Fraschini e per una volta ero così impaziente di arrivare in stazione, che non feci per niente caso all’ansia che mi prendeva solitamente quando stavo seduta davanti.

Una volta arrivati in stazione incontrammo l’agente Thomson che mi avrebbe accompagnato. Mi sembrò simpatico e dopo un acuto esame anche da parte di Sherlock notai che sembrava soddisfatto. Thomson si offrì di occuparsi dei miei bagagli e mi disse che mi avrebbe aspettato in treno nel nostro scompartimento. Capii che era un modo per darci un po’ più di intimità negli, ahimè, saluti che si avvicinavano rapidamente ed ai quali non avevo voluto pensare fino a quel momento.

Il mio treno da Charing Cross a Dover partiva alle 09.28 dal binario 5  e vi ci dirigemmo in silenzio, cercando di rimandare fino all’ultimo l’arrivederci. Poi fummo davanti al treno che sarebbe partito tra pochi minuti e non ci fu più’ modo di aspettare oltre.

Il primo ad abbracciarmi fu Arséne che mi strinse forte mi sollevo addirittura in aria: “Mi raccomando continua ad essere una Adler coi fiocchi e ricordati i trucchetti che ti ha insegnato zio Lupin, sono sicuro che ti saranno utili!” mi disse ed io risi.

Sherlock non disse nulla, ma mi abbracciò anche lui e mi regalò uno dei suoi rari sorrisi. Poi mi buttai fra le braccia di Irene che mi strinse a lungo: “Cresci troppo in fretta Mila!” mi sussurrò ed io sentii che era vicina alle lacrime, però non lo diede a vedere e mi diede una bacio sulla fronte: “Ti voglio un mondo di bene.” mi disse. “Anch’io mamma.” risposi: “A presto.”.

Era rimasto solo Billy, un po’ in disparte ed un po’ triste. Gli presi le mani e mi persi nei suoi occhi di oceano, poi mi dissi che il mio cuore batteva già così forte che nulla faceva più la differenza e quindi mi avvicinai, mi misi in punta di piedi e posai le mie labbra sulle sue. Mi sentii felicissima e coraggiosa e quindi quando mi allontanai non arrossii affatto, anzi, gli sorrisi e lui ricambiò e mi scaldò ancora di più il cuore.

Salii sul treno ed entrai nello scompartimento dove l’agente Thomson mi aspettava, lo salutai con un cenno e mi andai a sedere sul mio posto vicino al finestrino. Irene ora piangeva ed era appoggiata a Lupin alla sua sinistra che la cingeva con un braccio, mentre Sherlock stava alla sua destra ed aveva le sue dita intrecciate con quelle di lei, era bello vedere il Trio al completo. Billy stava ancora un po’ in disparte ma aveva ancora sulle labbra quel sorriso che gli avevo lasciato con il mio bacio.

Quando il treno partì, tutti salutarono a lungo finché non riuscii più a vederli. Ero un po’ triste, ma l’agitazione predominava.

Il giorno dopo mi raggiunse un telegramma alla Gare du Nord a Parigi: Mycroft se ne era andato. Da un lato ero triste di non poter partecipare al funerale, ma dall’altro ero contenta che fosse stato a conoscenza del fatto che mi fossi messa in viaggio e che ero pronta a vivere il futuro che lui mi aveva proposto. In effetti risultò essere una decisione meravigliosa. 

Lì in Danimarca conobbi persone che mi cambiarono la vita che sarebbero rimasti miei amici per sempre, anche se venivano da paesi completamente. Imparai moltissimo sul mondo, ma soprattutto su me stessa. Quando uscii da quella scuola, oltre al fatto di versare disperatamente infinite lacrime, ero più Mila Adler che mai.

Nel mio soggiorno li scoprii curiosamente che anche Elise Holmes aveva frequentato quel college qualche anno prima e dopo qualche mese mi giunse effettivamente una lettera da parte di Sherlock che mi raccontava di aver conosciuto sua nipote, che era tanto insubordinata come sua madre e che mi sarebbe piaciuta. Effettivamente feci conoscenza con Elise dopo il mio ritorno a Londra, dato che lei ci veniva a trovare a Briony Lodge alcune volte, ma era sempre impegnata tra studi di filosofia all'Università di Oxford ed i suoi primi compiti come agente. Non inziammo però a frequentarci fino a qualche anno dopo, quando entrai anch’io nei servizi segreti e collaborammo spesso, divenendo amiche strette. Era brillante come suo zio ovviamente, ma senza quella rigidità così tipica di Sherlock Holmes. 

Così si concluse in un certo senso l’era dei Segugi di Briony Lodge, non perché non eravamo gli stessi di prima, perché c’eravamo sempre io, Billy, Irene, Sherlock e Lupin, ma semplicemente perché il tempo scorre, il mondo non sta fermo ed io ero cresciuta. La cosa non mi dispiacque e la mantenni semplicemente come il mio ricordo preferito.

 
 

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Capitolo 14
*** Lettere ***


9 febbraio 1922

Briony Lodge, Serpentine Avenue, 

Londra

Mia carissima Mila,

visto che sono io a mandarti la prima lettera immagino che tu ti stia trovando bene in Danimarca e che tu ti sia fatta tanti nuovi amici; sono molto contenta per te. Spero che il college sia tutto ciò che ti eri immaginata e che imparerai tutto ciò che desideri. Temo proprio che quando tornerai sarai una giovane donna acuta ed intelligente a tutti gli effetti, ma spero che avrai ancora voglia di qualche avventura con la tua mamma perché sappi che sarai sempre il mio tesoro.

Ovviamente mi manchi tanto, anche se devo dire che Sherlock e Lupin stanno facendo abbastanza per tenermi impegnata e all’erta. Holmes ha messo in giardino altre due arnie e si è messo in testa di cominciare una piccola vendita di miele pregiato qui a Londra, nella quale la sottoscritta dovrebbe aiutarlo dato che lui è decisamente troppo scorbutico per attirare anche solo un cliente. Il nostro caro Gutsby è stato invece assunto quasi ufficialmente come aiutante, o socio d’affari, come dice Sherlock.

Sicuramente noi tre come apicoltori siamo una combinazione un po’ strana, ma se la cosa va a buon fine e diventiamo veramente venditori di miele pregiato nei prossimi mesi ti farò sicuramente sapere.

Holmes ha cercato di tirar dentro alla faccenda anche Lupin, ma egli si è categoricamente rifiutato con la motivazione di fare volentieri a meno di punture od altri generi di problemi connessi alle api, come rompersi una gamba cercando di recuperare la regina.

Invece ha contattato una rivista d’arte ed ora scrive un pezzo di critica artistica ogni mese che viene pubblicato nel Burlington Magazine sotto il nome di Auguste Papon, il che ovviamente lo diverte un sacco.

Abbiamo anche fatto conoscenza con Elise Holmes, che al contrario della madre è una ragazza deliziosa. Credo però che ti racconterà più in dettaglio Holmes.

Divertiti tanto e fai tutto ciò che vuoi fare, senza però cacciarti troppo nei guai.

Ti abbraccio, a presto,

la tua mamma 

Irene A.


Mila,

non credo che tu abbia veramente bisogno di letterine consolatrici da casa, perché sono sicuro che tu ti stia trovando bene. Tua madre però ha insistito e quindi tanto vale usare questa lettera per tenerti informata riguardo la nostra ultima missione che ora può essere definitivamente considerata conclusa.

La signorina Elise si è presentata ovviamente senza preavviso qui a Briony Lodge una settimana fa, del resto c’era d’aspettarselo da una ragazza come lei ai tempi d’oggi. Altrimenti è abbastanza educata e sinceramente è quasi un peccato che tu non sia qui perché so per certo che ti piacerebbe fin troppo scorrazzare per Londra con lei. 

Al momento la stiamo ospitando ed anche se assomiglia un po’ a Violet, è decisamente più gradevole ed oserei dire una giovane donna brillante proprio come lo sarai te. Le uniche inconvenienze sono il fatto che ha invaso il sottotetto con tele, colori e dipinti vari, inoltre Irene e Lupin hanno purtroppo notato che si è portata il suo violino e quindi ora insistono a farci esibire come un duetto di scimmie da circo fin troppo spesso; suona piuttosto bene però. 

Ad ogni modo la sistemazione di Elise qui è solo temporanea perché intende iscriversi alla facoltà di filosofia ad Oxford e quindi si trasferirà nei dormitori per studenti all'università. Ti invito calorosamente di non prendere esempio da lei e scegliere un percorso di studi più utile che la filosofia quando sarà il tuo turno.

Mi aspetto inoltre da te che in questo periodo tu impari tutto ciò su cui riesci a mettere le mani e che tu mantenga la mente sveglia ed allenata cosicché tu non ritorni come ragazza imborghesita, ma come collaboratrice su cui posso contare.    

Saluti,

Holmes


Ma très chère Mila,

qui a Briony Lodge sentiamo profondamente la tua mancanza, anche se immagino che non si possa dire la stessa cosa dal tuo punto di vista. Comunque non ti devi preoccupare io e Sherlock ci occupiamo amorevolmente di Irene o forse è lei che si prende cura di noi. In ogni caso stiamo tutti bene come solo tre amici di vecchia data e con qualche rotella fuori posto possono stare.

Probabilmente te l’avrà già  detto Irene, ma io mi sono ridato ad un’attività e questa volta posso apertamente dichiarare che si tratta di qualcosa di assolutamente onesto, anzi quasi elitario, dato che ora sono ufficialmente un critico d’arte del Burlington Magazine. 

Da qualche giorno è arrivata qui a Briony Lodge anche la nipotina perduta di Sherlock, che sinceramente è tutt'altro che piccina, ma piuttosto già una donna fatta e finita. È molto simpatica e per niente spigolosa come il suo caro zio e sono sicuro che diventerete ottime amiche quando tornerai a Londra. 

Ha portato con sé un gran numero dei suoi quadri e dipinge quasi quotidianamente, forse riuscirò a convincerla ad aprire un piccolo atelier in centro città e con l’aiuto e la guida del sottoscritto sono sicuro che avrebbe un gran successo. Purtroppo la ragazza è tutta presa da pile e pile di libri su vari pensatori già morti da tempo e quindi temo che l’atelier dovrà aspettare. 

Mi raccomando divertiti in Danimarca e fai perdere la testa a tutti i ragazzi che incontri, anche se in realtà qui c'è qualcuno che ti aspetta ansiosamente e sono abbastanza sicuro che anche tu pensi un po’ al nostro caro Gutsby.

Comunque non mi dovrei dilungare su affari che non mi riguardano, quindi ti mando un bacio,

il tuo zio preferito,

Lupin


Cara Mila,

la signora Adler mi ha detto che intendevano mandarti delle lettere e quindi te ne mando una anch’io.  

Mi manchi molto, Mila, ed anche se il signor Holmes mi ha ingaggiato come suo socio d’affari per la vendita di miele che intende cominciare e quindi ho sempre da fare, spesso ti penso e vorrei poter passare un pomeriggio con te in biblioteca.

Sono però molto contentento per te e spero che il college lì in Danimarca sia proprio come te lo ero immaginata! Anch’io forse farò qualcosa di simile in questo periodo. La signora Adler ha detto che al momento non sono necessari i miei servigi a tempo pieno e Holmes mi ha quasi obbligato ad informarmi su vari corsi universitari. È misteriosamente apparsa una mia vecchia prozia di cui non ero assolutamente a conoscenza che mi ha lasciato una parte della sua eredità cosicché io la possa utilizzare per i miei studi… in realtà sono abbastanza convinto del fatto che si tratti di ben tre zii di nome Irene, Sherlock e Lupin, ma sono sicuro che non riuscirò mai a farli confessare. 

La mia scelta è caduta su un corso di sociologia alla Goldsmiths University che mi sembra molto interessante. Dovrei cominciare a frequentarlo tra 2 settimane e sono molto contento di averne la possibilità.

Intanto è spuntata anche Elise Holmes anche se i due Holmes che ora ci sono a Briony Lodge non potrebbero essere più diversi e questo rende la cosa abbastanza divertente. Non ho molto a che fare con la signorina, perché lei è sempre in giro, anche se sono abbastanza sicuro che sarebbe un’ottima compagna d’avventure o marachelle varie; tutte cose decisamente da testare, ma solo quando torni tu dato che sennò non è la stessa cosa.

Fino ad allora ti penso ed alcune volte spero che tu faccia lo stesso.

Ti bacio,

Billy

 
 

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Capitolo 15
*** Epilogo: piccola parentesi sull'International People's College ***


Dovete sapere che la scuola che Mila decide di frequentare non è frutto della mia immaginazione, ma è un posto che esiste veramente a tutti gli effetti.

Fu fondata nel 1921 da Peter Manniche, che aveva capito l’importanza della pace e tolleranza, in risposta alla Prima Guerra Mondiale, sull’esempio del fondatore delle Folk High Schools N.F.S. Grundtvig. (Perciò in realtà Elise Holmes non ci sarebbe mai potuta andare.)

La scuola esiste tuttora ed è una delle tante folk high schools della Danimarca. Questo tipo di scuole sono aperte a tutti e l'obiettivo principale è rendere possibile l’imparare per chiunque, senza fare differenza di classe sociale o situazione economica.

Io stessa ho avuto la fortuna di frequentare l’International People’s College a Helsingør (la citta di Amleto) per quattro mesi (che corrisponde alla durata di un term) e posso confermare che tuttora promuove la pace nel mondo, la tolleranza ed il rispetto e che mi ha aperto la mente più di qualunque altra esperienza fatta.

La scuola è specializzata in materie umanistiche ed è, come suggerisce il nome, internazionale. Vi ci sono stati studenti da tutti i  paesi del mondo, fuorché Antartica (se si può considerare un paese) e le persone che si incontrano lì diventano più che amici, ma una vera e proprio famiglia che resterà per sempre unita.

Anche certe persone importanti hanno frequentato il college come: il poeta danese Halfdan Rasmussen, il primo Primo Ministro del Kenya Jomo Kenyatta, il pittore Carl Henning Pedersen e l'artista Jørgen Nash, il premio Nobel per la letteratura Rabindranath Tagore, il fisico Niels Bohr, lo scrittore Martin Andersen Nexø, sua altezza reale la regina di Danimarca Margrethe e suo marito, il principe Henrik, l'ex principessa duchessa Alexandra e l'avvocato per i diritti umani Cecil Rajendra.

Insomma è una piccola bolla di speranza nel mondo. 

 
 

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