The Hearts of the Descendants

di Lady I H V E Byron
(/viewuser.php?uid=843657)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E' davvero questo quello che desideri? Così? ***
Capitolo 2: *** L'ira di un figlio ***
Capitolo 3: *** "E se del domani avessimo solo un sogno?" ***
Capitolo 4: *** "Cosa avresti fatto al mio posto?" ***
Capitolo 5: *** Puoi essere qualunque cosa tu voglia essere ***
Capitolo 6: *** "Io voglio comunque provarci!" ***
Capitolo 7: *** Pensa a me! ***
Capitolo 8: *** "Attraverso il tempo e lo spazio, il mio cuore ti raggiungerà sempre" ***
Capitolo 9: *** Non appena la felicità si rompe, si sente l'odore del sangue ***



Capitolo 1
*** E' davvero questo quello che desideri? Così? ***


1° mese: Kingdom Hearts 1

Tema: "E' davvero questo quello che desideri?"

Avvertenze: l'intenzione, per meglio esplicare il turbamento di Mal, era scrivere a proposito di un rapporto non consensuale; tuttavia, non è possibile descrivere certe scene, per non turbare la sensibilità dei lettori.

 
-----------------------------------------------
 

Un altro rumore.
Mal si strinse sempre più nelle sue ginocchia, coprendosi il possibile con il suo vestito.
Emise persino un lamento. Riecheggiò nelle fredde mura della prigione in cui era rinchiusa.
Poi più nulla: forse era solo una goccia d’acqua.
Ogni rumore la spaventava. Pensava sempre fossero i passi dell’uomo dagli occhi rossi e dalla pelle scura. Faceva paura. Tantissimo.
Il suo sguardo, i suoi occhi…
Sembrava essere costantemente circondato dall’Oscurità.
Ogni volta che lo vedeva era come la prima, il giorno in cui l’aveva rapita dal castello di sua madre Malefica.
-La smetti di fare così?-
La voce proveniva da un'altra cella: un ragazzo.
Aveva detto di chiamarsi Riku. Ombroso, di poche parole, cupo. E di poca pazienza, a quanto pare.
-Scusa…- le uscì dalla bocca.
Non parlavano molto. Non era da molto che si erano conosciuti, ma restavano ugualmente per ore senza rivolgersi alcuna parola, a guardare il buio sotto i loro piedi.
Una perché era terrorizzata. L’altro non voleva parlare.
Sapevano solo i nomi l’un dell’altro. Non avevano nemmeno visto l’uno il volto dell’altra.
-Non sai fare altro?- ribatté Riku, strafottente –Spaventarti e chiedere scusa?-
In circostanze normali, Mal si sarebbe offesa e attaccato il suo interlocutore con lo stesso tono.
Ma qualcosa in lei non andava: tremava e sembrava alquanto provata. Come se le avessero svuotato i sentimenti.
-Se avessi vissuto quello che ho vissuto io, forse capiresti.- mormorò, senza scomporsi e senza muoversi.
Riku soffiò dal naso, ancora con aria da strafottente ed indifferente.
-E, sentiamo, quale terribile esperienza avresti passato, per diventare una piagnucolona?-
Mal strinse le mani sulle sue ginocchia: una punta di rabbia le stava tornando. Provocata da tale indifferenza, da tale apatia nei suoi confronti.
-Non sai cosa significa… essere rapiti, strappati dalla propria casa senza motivo… diventare una prigioniera, ostaggio per manipolare un genitore…-
Non sapeva quanti giorni fossero passati, ma lo ricordava ancora nitidamente, come fosse accaduto il giorno stesso.
Era seduta sulla finestra della sua stanza, in una delle torri del castello della Montagna Proibita, dimora di Malefica, sua madre, come ogni giorno.
Erano rare le volte che le veniva permesso di uscire, girare per il castello, ma senza varcare il ponte levatoio. Anche perché se osava anche solo mettervi un piede sopra, quel maledetto Diablo iniziava a gracchiare a squarciagola.
Prigioniera nella sua stessa casa.
Nella sua stanza non mancavano gli svaghi: giocattoli di quando era bambina, colori per dipingere, libri, gioielli…
Ma non aveva la libertà.
Malefica non teneva alla figlia, non la amava come una madre comune. Poche volte si era recata nella sua stanza e madre e figlia non si rivolgevano molto la parola. Solo raccomandazioni sul non uscire, sulla pericolosità del mondo esterno. Niente più.
E Mal passava le giornate alla finestra, ad osservare il cupo panorama intorno alla Montagna proibita, immaginando come fosse il mondo, oltre quella nebbia oscura che circondava l’intera montagna.
L’uomo dagli occhi rossi era apparso all’improvviso nella sua stanza, spaventandola.
Portava un soprabito con un emblema a forma di cuore sopra.
La porta era chiusa a chiave, quindi era impensabile che fosse entrato da lì.
Lei si era rannicchiata in un angolo, tremando. La paura era tale da non avere nemmeno il coraggio di urlare.
Lui restò a fissarla a lungo: il volto candido e puro, gli occhi verdi con sfumature dorate che lo fissavano con terrore, i capelli viola ondulati, il corpo esile nell’abito color pervinca.
Poi sorrise.
E si avvicinò a lei, allungando una mano.
Mal cercò di farsi scudo con le braccia, invano: una mano le afferrò con forza i capelli, trascinandola.
-Mi sarai utile con tua madre, piccola colomba…-
Mal cercava di liberarsi, dimenandosi. Ma così provava ancora più dolore.
-Lasciami!- ebbe il coraggio di urlare –MADRE!-
L’uomo la stava trascinando verso un portale oscuro: ecco, forse, realizzò Mal, da dove fosse entrato quell’uomo.
Entrarono in una stanza.
La mente di Mal era talmente offuscata dalla paura che era quasi diventata cieca. Non sapeva dove fosse o che tipo di stanza fosse, quella in cui era stata portata.
Fu spinta in un angolo, come fosse un oggetto da buttare.
Gli occhi dell’uomo sembravano brillare.
-Ora fa’ la brava bambina e stai buona.- sibilò, con voce profonda e grave -Mi servi intatta.-
Mal riuscì solo ad alzare il busto, facendosi forza con le braccia.
Osservava l’uomo con terrore.
-Cosa vuoi fare con me? Chi sei?- domandò.
L’uomo sorrise di nuovo.
-Tu sei la persona cui Malefica tiene più di ogni altra cosa al mondo. Sei l’ostaggio perfetto per farla cadere nella mia rete, piccola colomba.- spiegò –E il giusto ostaggio rende le persone più servili. Ora ti chiedo di fare la brava e non ti sarà torto un capello.-
-Io un ostaggio?!- protestò lei, alzandosi in piedi con aria da sfida –Non ti permetto di…!-
Ma lui schioccò le dita: da una nube oscura apparvero degli esseri neri, simili a formiche giganti, con grandi occhi gialli.
La ragazza si paralizzò alla loro vista.
-Basta un solo ordine da parte mia…- fece notare l’uomo, serio –E di te non resterà nemmeno un arto.-
Eseguì, infine, le sue richieste, ogni sua richiesta. Non voleva morire.
Non aveva idea di cosa quell’uomo intendesse fare con sua madre. Forse nemmeno le importava. Dopotutto, l’una non teneva molto all’altra. Quello che probabilmente Malefica provava per la figlia era lo stesso sentimento che si prova per un oggetto di necessità.
Ma l’uomo sembrava esserne a conoscenza. Per questo l’aveva rapita.
Portata via da una prigione, per entrare in una ancora peggiore.
Rinchiusa in una cella umida. Costantemente nel terrore della presenza dell’uomo dagli occhi rossi e degli esseri oscuri.
Per questo si spaventava con poco.
Il ragazzo, Riku, era giunto lì non molto tempo dopo. Accompagnato dalle creature oscure. Non aveva nemmeno tentato di ribellarsi.
Lui non aveva chiesto niente di lei, nemmeno era interessato alle sue parole.
La trattava come un oggetto.
-Davvero crudele…- fu il suo unico commento alle parole della ragazza, con indifferenza.
-Non diresti così, se lo avessi provato anche tu.- ribatté lei; il suo tono della voce si era fatto piatto, senza sentimenti –E tu? Sei stato rapito anche tu dall’uomo con gli occhi rossi?-
-Rapito? Io?- gli scappò una lieve risata –Nessuno osa rapirmi. Non sono debole come te, Mal.-
Mal non reagì.
-Volevo solo scappare dalla mia isola per visitare il mondo esterno.- raccontò, dopo un sospiro –Con i miei amici lo stavamo pianificando da giorni. Avevamo persino costruito una zattera. Ma credo che il mio desiderio di avventura abbia preso il sopravvento, e questo credo abbia causato la distruzione della mia isola, anche se non so come. Ricordo un’enorme sfera sopra l’isola e l’Oscurità avvolgermi. La mia isola è distrutta, credo, ma almeno sono finalmente fuori e libero.-
Per la prima volta dopo, forse, giorni, Mal alzò la testa, sconvolta da quanto aveva sentito.
-Tu hai fatto… cosa…?-
-Non avevo altra scelta.- si giustificò Riku -Non intendevo passare il resto della mia vita in una prigione circondata da acqua dell’oceano!-
Un’anima prigioniera bramosa di libertà da una prigione creata da altri: era esattamente come lei.
Mal compatì quel ragazzo, ma non perdonò quello che aveva fatto alla sua casa.
Lei non avrebbe mai fatto una cosa simile, nonostante odiasse il castello di sua madre.
-E quei tuoi amici con cui hai costruito la zattera?-
-Non ne ho idea. Speravo che fossero con me. Ma quando mi sono risvegliato, ero da solo. Confesso di avere qualche ripensamento, su quello che ho fatto alla mia isola. Ma, Mal, rifletti. Entrambi siamo liberi dalle nostre prigioni. Se riusciremo ad uscire di qui e se troveremo un modo per visitare i mondi, pensa a quante cose potremo vedere, finalmente comprendere perché, fra tutti i mondi, noi siamo nati in quelli sbagliati! E anche ritrovare i miei amici!-
-Riku, è davvero questo quello che desideri?- fece notare Mal, preoccupata -Non ti è bastato quello che hai causato per arrivare fin qui? Hai distrutto la tua casa! Il tuo unico luogo di rifugio, se dovessi smarrirti! Fin dove intendi andare, per inseguire il tuo desiderio, Riku? Potresti perdere tutto ciò che ti è caro, le persone che vuoi proteggere, i tuoi amici! Ne vale davvero la pena?-
Nel buio, gli occhi azzurri di Riku osservarono in basso, pieni di delusione.
-Viaggerei nello spazio per tutta la mia vita, per i miei amici…!- mormorò, a denti stretti –Non mi importa nient’altro! Viaggerò, per ritrovare i miei amici.-
Dei passi.
Mal alzò di nuovo la testa, preoccupata.
-Oh, no! Sta tornando!-
L’uomo con gli occhi rossi. Era proprio di fronte alla cella di Mal.
La guardava sorridendo.
-Ciao, piccola colomba…-

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** L'ira di un figlio ***


2° mese: Kingdom Hearts - Chain of Memories

Tema: "Hai mai fatto caso che ogni tanto si incontra qualcuno che non va fatto incazzare? Quello sono io."

Avvertenze: qui si notano già elementi OOC che avevo usato in altri contest in cui avevo messo i Descendants come protagonisti, come il passato di Jay ad Agrabah e l'ipotetico padre di Carlos


---------------------------------------------



-Muovetevi! Sono stanco di aspettarvi!-
Mal, dietro di lui, si fermò, riprendendo fiato.
-Jay, aspetta! Fermati! Sei davvero sicuro di quello che vuoi fare?-
Era dal momento in cui la Fata Smemorina aveva citato il suo nome, che Jay non aveva altro nella testa: il Castello dell’Oblio. Un luogo in cui perdere era trovare e trovare era perdere. Si narrava che chiunque entrasse in quel luogo, più piani saliva, più dimenticava una parte dei suoi ricordi, fossero essi importanti che non. Tuttavia, si diceva anche che all’ultimo piano vi fosse una sfera di cristallo, in grado di vedere nel passato, nel presente e persino nel futuro.
Forse, finalmente, Jay avrebbe scoperto la verità riguardo la scomparsa di sua madre, avvenuta sette anni prima, poco prima di essere stato esiliato da Agrabah dal suo stesso padre Jafar, inviandolo ad Auradon.
Aveva preso la sua decisione: sarebbe andato al Castello dell’Oblio.
E quando Jay aveva in mente qualcosa, era impossibile distoglierlo dal suo fine. Ed era facilmente incline a perdere la testa dall’ira, se qualcuno avesse osato contraddirlo.
Mal, Evie e Carlos avevano deciso di andare con lui. Persino Uma, Harry e Gil si erano uniti a loro. Non volevano perdersi alcun tipo di divertimento, avevano detto.
Quel luogo era situato in un punto ignoto: era impossibile raggiungerlo con i loro scooter. Forse non si trovava nemmeno ad Auradon.
Evie aveva usato il suo Specchio Magico, per creare un portale.
Le era bastato gettarlo per terra e dire: -Specchio, portaci al Castello dell’Oblio-
Dal vetro si levò una luce accecante, dentro la quale saltarono tutti.
Raggiunta la destinazione, compresero tutti il motivo della posizione ignota del Castello dell’Oblio: c’era solo un sentiero che collegava loro a un castello dalla forma particolare.
Non c’era un cielo: solo nuvole oscure.
Quel luogo incuteva timore; ed inquietudine. Nessuna montagna, nessun prato, niente intorno al castello: solo il vuoto ed il buio.
Quello era il Castello dell’Oblio.
Non fu complicato aprire il portone; l’interno era praticamente l’opposto dell’esterno. Erano entrati in una hall completamente bianca, ma spoglia.
Gil si guardò intorno, sorpreso.
-Cavolo, che posto…!- disse –Non c’è niente, qui! Neanche un bagno! Come facciamo se ci scappa?-
Uma si innervosì. Come ogni volta che Gil apriva bocca.
-Gil, ti sembra il momento di pensare a certe cose?!- esclamò, prendendolo per i capelli dorati.
Harry ridacchiò.
Salirono un piano di corsa.
Quando Mal si era fermata, intimando a Jay di arretrare, Evie la raggiunse, dello stesso umore dell’amica.
-Mal ha ragione.- aggiunse, ansimando –Jay, forse dovresti lasciar perdere.-
Persino Carlos dovette riprendere fiato, una volta fermo: solitamente, era lui il più veloce del gruppo, ma in certi momenti Jay sapeva essere più veloce di lui.
Il ragazzo moro serrò le labbra: quelle parole… non potevano essere state pronunciate dai loro amici. Loro, che dovevano sostenerlo in qualunque momento, dargli supporto, stare dalla sua parte.
-Lasciar… perdere?!- si avvicinò a loro, quasi minaccioso –Cosa vi dice il cervello?! Pensavo steste dalla mia parte!-
Carlos si fece avanti, facendo quasi da scudo alle amiche.
-Noi siamo dalla tua parte, Jay!- chiarì, mantenendo la calma –E siamo pronti ad andare in capo al mondo, per te, ma ora stai esagerando! Comprendiamo quello che provi, ma…-
-Comprendete?!- tagliò corto Jay, sempre più furioso; girò per la stanza, agitando le mani –Voi non sapete cosa significhi ritrovarsi orfano di madre a nove anni! Non sapete cosa si prova, quando il vostro stesso padre vi lancia contro un portale, e vi dice che non vi ha mai voluto bene e che siete solo un peso per voi! Mal, tua madre Malefica ti ha tenuta prigioniera in una torre, ma non è stata lei a mandarti ad Auradon! Evie, tua madre Grimilde ha ucciso tuo padre, il tuo patrigno e ha cercato di uccidere la tua sorellastra, ma almeno lei ti voleva bene e non ti ha mai sfiorato nemmeno con un dito! E Carlos, è vero, persino tua madre ti ha abbandonato e non ti ha mai amato, ma almeno hai trovato tuo padre, un padre che ti ama. Voi non saprete mai cosa sto provando! Per anni ho passato notti insonni, domandandomi cosa fosse accaduto a mia madre, sperando che sia viva, perché è scomparsa, o se è morta! Ora, finalmente, posso scoprirlo e voi volete impedirmelo?! Preferite piuttosto continuare a vedermi così o volete aiutarmi a liberarmi di un peso?-
I tre amici si osservarono, abbassando lo sguardo. Jay aveva detto la verità, in fondo. Non erano come lui:
anche loro erano stati separati dai propri genitori, ma non nello stesso modo.
E sì: volevano aiutarlo. Per questo lo avevano seguito. Forse era la paura a parlare per loro. Ma desideravano con tutto il loro cuore che Jay si liberasse del suo dolore.
Uma non sapeva cosa dire. Gil non aveva idea di cosa stessero parlando.
Harry rise di nuovo.
-Ciccio… sul serio?- stava di nuovo prendendo la questione sottogamba; una cosa che Jay non sopportava –Tutto questo viaggio per sentirti sbottare e autocommiserarti sul tuo passato? A saperlo, sarei rimasto a Auradon.-
Rise di nuovo, ancora divertito dalle parole e dal tono del ragazzo.
Ma poi realizzò che non era stata una buona idea: Jay serrò le labbra, aggrottò le sopracciglia e si avvicinò minaccioso ad Harry, prendendolo per la giacca rossa e sollevarlo da terra.
Da divertito, Harry sgranò gli occhi color del ghiaccio, sorpreso da quella reazione.
-Senti, bello…- sibilò Jay; i suoi occhi stavano quasi mutando: l’iride stava diventando gialla e la pupilla si stava stringendo, come quella di un serpente; questo spaventò ancor più il giovane pirata –Nessuno ti ha chiesto di venire. A nessuno di voi ho chiesto di seguirmi. Se volete aiutarmi, sarò più che felice di portarvi con me. Ma se il vostro obiettivo è quello di farmi incazzare, allora tanto vale che giriate i tacchi e ve la diate a gambe, prima di vedermi arrabbiato sul serio. Tu non vuoi farmi incazzare, vero, Harry?-
Harry scosse la testa, senza dire una parola. Non rise più.
-Bene.-
Jay lo riportò con i piedi per terra.
Persino i tre amici furono sorpresi per la sua reazione: non era raro che Jay si arrabbiasse e diventasse minatorio. Ma in quel momento… era come se un’aura oscura lo avesse circondato.
Ma non era il momento per rimuginarci sopra.
-Jane, Ben e Doug non tratterranno la Fata Smemorina a lungo.- fece ricordare Carlos, inquieto –Sarà meglio muoverci.-
Cercarono, infatti, di concentrarsi sulla loro missione, dimenticando l’episodio appena accaduto.
Non dovevano perdere di vista il vero obiettivo.
Infatti, si diressero verso le scale che portavano al secondo piano.
-Già, così non rischio di perdermi la nuova puntata del documentario sulle tartarughe giganti che si muovono come ninja.- aggiunse Gil, sorridendo con aria assente.
Jay sospirò, fermandosi.
-Per l’ultima volta, Gil!- chiarì, quasi ringhiando -“Teenage Mutant Ninja Turtles” non è un documentario! E’ un cartone animato!-
-Oh, ecco perché era così interessante!-
Uma, anche lei innervosita dall’ottusità dell’amico, lo prese per un orecchio, spingendolo a tenere il passo e “non pensare a idiozie simili”.
Erano ben coscienti del pericolo contro cui correvano, addentrandosi sempre più nel Castello dell’Oblio: infatti, con un pennarello blu, avevano scritto SFERA ULTIMO PIANO MADRE JAY sui palmi delle mani sinistre, sicuri che li avrebbe aiutati a recuperare la memoria sulla loro missione, nel caso ne avessero perduto la memoria.
I primi segni seri di Oblio si manifestarono nel sesto piano. Jay era in testa al gruppo.
-Io vengo da Agrabah… mio padre è Jafar… siamo venuti qui da Auradon… devo scoprire la verità su mia madre...- continuava a ripetersi, sottovoce, per non dimenticare le sue origini e perché si trovava lì.
Il primo a rallentare, infatti, fu Gil, che chiudeva il gruppo.
-Ehi, ragazzi…- disse, guardandosi intorno, spaesato –Che ci facciamo qui?-
Si fermarono tutti, anche Jay, preoccupato.
-Come “perché?- sdrammatizzò Harry, come suo solito –Per esplorare e saccheggiare, come facciamo di solito.-
Anche Harry stava dimenticando.
Gil lo osservò in modo strano, come se fosse la prima volta in cui lo vedeva.
-E tu chi sei? Voi chi siete? Ci conosciamo?-
Il pirata e la ragazza polpo si allarmarono. Come Mal, Evie, Carlos e Jay.
-Gil, smettila di fare lo scemo.- fece Uma, prendendolo per un braccio –Lo sai chi siamo. Siamo Uma e Harry. I tuoi compagni di razzia.-
-Razzia? Che parola complicata. Che significa? Ahi, non tirare così, chiunque tu sia.-
Harry rise di nuovo.
-Ha dimenticato tutto.- la sua risata si faceva sempre più sguaiata –E’ logico. Cosa aspettarsi da uno dei figli di uno con poco cervello?-
-Parla del tuo, Harry.- fece notare Uma.
-Non so chi tu sia, bello, ma non ti permetto di parlare così del mio papà, chiunque egli sia!- protestò Gil -Ho anche una mamma? Forse sì. Altrimenti perché sono qui?-
-E’ quello che mi sto domandando da una vita…- borbottò Uma.
Si voltò, poi, verso il resto del gruppo.
–In ogni modo… voi quattro cosa fate qui? Questo è il nostro territorio di razzia.-
Gil aveva già dimenticato tutto. Harry non ricordava il motivo per cui erano nel Castello dell’Oblio. Uma non ricordava di essere entrata lì dentro con Mal, Evie, Jay e Carlos.
Questi si osservavano preoccupati.
-Stiamo… stiamo cominciando a dimenticare!- esclamò Evie, la più preoccupata.
-No, niente panico!- invitò Mal –Almeno voi ricordate perché siamo qui, vero?-
-Io non ricordo nemmeno come ci siamo finiti, qui…- iniziò Carlos, stranito.
Evie guardò in basso, riflessiva.
-Mia madre si chiama Grimilde, la mia sorellastra è Biancaneve…- mormorò, sperando di ricordare le sue origini, come Jay –So solo che siamo qui per Jay…- poi ebbe un’illuminazione –Le mani! Guardiamoci le mani!-
Ricordava qualcosa collegato alle mani, ma non ricordava di cosa precisamente si trattasse.
-Scusa, cosa dovremo guardarci?- domandò, acida, Uma –Sulla mia non c’è scritto nulla. Nemmeno nell’altra.-
Infatti, i suoi palmi erano spogli. Nessuna scritta. I promemoria erano spariti.
Erano ignari che il Castello dell’Oblio avesse anche questo potere. Nemmeno la Fata Smemorina ne era a conoscenza, a quanto pare…
Evie era preoccupata. Anche Mal. Anche lei aveva avuto la stessa impressione. Non ricordo. Impressione.
-Che ci sta succedendo…?!- lamentò, preoccupata.
Cercò di sforzarsi di ricordare il volto della madre, il suo nome, la sua casa. Purtroppo ricordava ancora il giorno in cui venne rapita dall’uomo dagli occhi rossi. Ma non ricordò nulla di Riku, il ragazzo prigioniero insieme a lei.
Prima di allora, si domandava spesso che fine avesse fatto, se fosse riuscito a scappare dalla prigione. Poi, tutt’a un tratto, l’oblio.
E Carlos… si era persino dimenticato del suo cane Rudy. E del padre aveva solo ormai un’immagine sfocata. Come di Jane. E di sua madre Crudelia.
Jay rimase serio, guardando il vuoto.
-Il Castello dell’Oblio…- mormorò –Ci sta impedendo di salire sempre più in alto.-
Harry sorrise in modo strano, come se non fosse preoccupato o non fosse ben cosciente del pericolo.
-Impedendo?- disse, camminando in avanti, sgranando gli occhi celesti pieni di avidità di denaro –Parla per te, Jay. Io direi di proseguire comunque. Chissà, magari potrebbe esserci un tesoro che aspetta solo di essere toccato dal mio uncino…-
Il suo amato uncino. Non se ne separava mai. E se lo perdeva, partiva immediatamente alla sua ricerca. Non ammirava suo padre, ma riconosceva ugualmente l’utilità dell’uncino, specialmente nei furti e nelle risse.
Uma, trascinando Gil, lo seguì, perfettamente d’accordo.
-Beh, non sarebbe male.- commentò, sorridendo anche lei –Almeno diamo un senso a questa strana gita.-
Solo Jay ancora ricordava il motivo per cui erano nel Castello dell’Oblio: trovare la sfera di cristallo all’ultimo piano e scoprire il destino di sua madre.
Ripresero a salire i piani, correndo.
Più salivano, più dimenticavano, arrivando persino a dimenticare i loro luoghi natii. Secondo la loro nuova “memoria”, loro avevano vissuto sempre ad Auradon e non avevano mai conosciuto i loro genitori.
Ma Mal non aveva dimenticato l’uomo dagli occhi rossi. Neppure arrivati al tredicesimo piano.
Entrarono nella stanza della sfera.
-Cosa?!- esclamò Harry, deluso; se non fosse stato affezionato al suo uncino e il terreno non fosse stato così solido, lo avrebbe scaraventato per terra –Una stanza così e neppure un forziere?! Cosa diavolo ci facciamo qui, allora?!-
-E’ tutto così bianco…- Gil aveva lo sguardo perso nell’aria e sorrideva con aria tonta; lui aveva dimenticato tutto, persino il suo nome –E bello… dove siamo? In Paradiso…?-
Nessuno ricordava come e perché si trovassero lì.
E Jay… fra tutti il più determinato a raggiungere la cima… non ricordava più il suo obiettivo. Si era lasciato guidare dallo stesso istinto di Harry, per salire i piani.
Dall’ottavo, aveva cominciato a dimenticare ciò che più per lui contava davvero.
Ma quella sfera… lo attirava. Era grande, trasparente. Sembrava un grosso diamante. Forse erano lì per rubarlo. Questo pensò, mentre si avvicinava.
-Jay…- avvertì Evie, allarmata –Stai attento. Potrebbe essere una trappola.-
Avevano dimenticato che quella che avevano di fronte era la sfera che stavano cercando, la sfera in grado di mostrare passato, presente e futuro.
Il ragazzo di Agrabah vi mise la mano sopra, per toccarla e capire se fosse di vetro o se fosse veramente un grosso diamante.
Improvvisamente, sentì una strana vibrazione provenire dal suo cuore: la vibrazione divenne una debole, ma rapida scossa elettrica che percorse il suo braccio, fino ad arrivare alla mano poggiata sulla sfera.
Essa si illuminò, di luce propria.
Era stato il suo cuore. Era stato il cuore di Jay a dire alla sfera di mostrargli ciò che desiderava.
Il resto del gruppo, incuriosito da quella strana luce, si riunì intorno ad essa.
-Jay, cosa hai fatto?- domandò Uma, seria.
-Non lo so, ho solo messo la mano…- fu la risposta, incerta.
La sfera mostro finalmente delle immagini: una stanza da letto. Una donna avvenente, vestita con abiti arabi sgargianti e gioielli, che urlava e strisciava sul pavimento, supina. Stava guardando in alto, terrorizzata.
-No… ti prego…! Hai un figlio! Abbiamo un figlio!-
Jay ebbe un sussulto: era sua madre!
Un pugnale le trafisse il petto, nonostante le suppliche. Il colpo fece urlare le ragazze e Gil, dalla sorpresa e dallo spavento.
Quel ricordo era in prima persona; Jay aveva assistito all’assassinio della madre con gli occhi dell’assassino.
In quella stanza era presente uno specchio: finalmente lo avrebbe visto negli occhi.
Tuttavia, sentì il suo sangue gelare nelle sue vene, appena scoprì l’identità dell’assassino di sua madre: suo padre, Jafar.
Poi notò un individuo, vestito con un cappotto nero; un anziano, a giudicare dal suo modo di camminare. Non riuscì a vederne il volto, a causa del cappuccio. Gli aveva messo una mano sulla spalla.
-Ben fatto.- gli sussurrò; era una voce gracchiante; sì, era un anziano -Ora non ti resta che liberarti di tuo figlio, se vuoi ottenere il potere che tanto ambisci…-
La visione finì, con una luce accecante.
Nessuno sapeva cosa dire. Non sapevano neppure cosa avevano visto. Non ricordavano più perché fossero lì.
Ma Jay sì. La sua memoria era ritornata.
Guardava nervosamente più punti, in basso; il cuore gli batteva forte dallo sgomento; le gambe gli tremavano, a tal punto da cedere. Si sedette sulle sue ginocchia.
Singhiozzò, senza sbattere le palpebre.
Evie, Carlos e Mal lo soccorsero, allarmati dal suo comportamento.
-Jay! Stai bene?-
-Cosa hai visto?- domandarono le ragazze, preoccupate.
Uma, Harry e Gil rimasero indifferenti alla sua reazione.
Le lacrime scendevano a cascate sulle guance del ragazzo moro. E forti erano i suoi singhiozzi.
-Mia madre…- mormorò, stringendosi nelle sue spalle; tremava; non lo avevano mai visto così vulnerabile; solitamente, era lui a dare man forte agli amici, quando erano tristi; ma stavolta, a quanto pare, era lui ad aver bisogno di affetto e conforto dai suoi amici –Mia madre… non era scomparsa… E’ stata uccisa… da mio padre…- osservò i suoi tre amici, con rabbia e disperazione insieme -MIO PADRE! HA UCCISO MIA MADRE! E MI HA ESILIATO! PER IL POTERE…!-
Si mise gattoni sul pavimento, continuando a piangere e singhiozzare, battendo i pugni per terra, uno più forte dell’altro, senza curarsi del rischio di rompersi le ossa delle mani.
Evie, Mal e Carlos si osservarono l’un l’altra, confusi e preoccupati. Ma il loro amico stava piangendo; stava soffrendo. Dovevano sollevargli il morale.
Evie gli mise affettuosamente una mano sulla schiena, poi facendolo alzare, stringendolo a sé, con lo stesso affetto che si prova per un fratello maggiore.
Uma storse la bocca a quella scena.
-E lui si definisce un duro?- commentò, acida; se avesse ricordato in cosa consisteva davvero la loro missione, forse avrebbe provato compassione –Che delusione, Jay…-
Ma il ragazzo sembrò non averla sentita.
Mal e Carlos non sapevano cosa fare. Ma provavano ugualmente quello che stava provando l’amico.
Intanto, uno strano rumore fece voltare Harry e Gil.
-Ehm… non per interrompere questa manifestazione di affetto…- disse il pirata, non chiaro se fosse allarmato o curioso –Ma abbiamo visite…-
Nella stanza, infatti, era entrata un’altra persona: un giovane, molto alto e magro, che aveva superato i vent’anni di età, dai capelli rossi a punta. Sotto gli occhi chiari aveva degli strani segni viola, due disegni.
Gil gli sorrise.
-Ehi, amico, bei capelli!- complimentò, incurante del pericolo incombente.
-Chi siete?- domandò il nuovo arrivato, sorpreso di vedere i ragazzi –E come siete arrivati qui?-
Mal e Uma, le più coraggiose dei loro gruppi, si fecero avanti, con aria determinata, incrociando le braccia.
-Ad un primo incontro occorre presentarsi, non trovi?- rispose Mal, a tono con il giovane.
Questi ridacchiò.
-Giusto, che maleducato.- disse, sarcastico –Il mio nome è Axel.- indicò una tempia -Memorizzato?-
-Io sono Uma, vedi anche tu di ricordarlo.- tagliò corto Uma.
-Uma?-
-Giusto. Così mi chiamo.-
Il giovane, Axel, scrutò con attenzione i sette ragazzi nella stanza: i loro volti erano molto familiari.
-Sì… io so chi siete… la figlia di Malefica, la figlia di Ursula, il figlio di Uncino, il figlio di Gaston, la figlia di Grimilde, il figlio di Jafar…- Evie lo stava osservando con aria da sfida, quasi facendo da scudo a Jay -E, dulcis in fundo, il figlio di Crudelia De Mon.-
Su Carlos, si soffermò di più: non vedeva solo Crudelia, in lui.
-Sì… la somiglianza è davvero notevole…- notò, con sorpresa.
Il ragazzo assunse un’aria preoccupata.
-Con chi? Con mia madre?-
Notò il suo cappotto: avvertì una strana sensazione, come se non fosse stata la prima volta in cui lo aveva visto.
-No, con Xigbar.- rispose Axel, secco –Levagli qualche decade e siete due gocce d’acqua. Allora le storie su un suo presunto figlio non sono inventate…-
Carlos alzò le sopracciglia.
-Tu… conosci mio padre…?-
Non si ricordava più di lui: il nome pronunciato era vagamente familiare, ma nient’altro.
Axel non rispose: decise di concentrarsi su tutto il gruppo.
-A quanto pare avete scrutato la sfera…- rimase in silenzio per qualche secondo; poi sospirò –Ma perché devo sempre essere io a fare il lavoro sporco…?-
Mal aveva quasi intuito le sue intenzioni; lo stesso Uma.
Il giovane, infatti, allargò le braccia: due turbini di fiamme si estesero dalle sue spalle alle sue mani. Quei turbini divennero un paio di chakram.
-Sono spiacente, ragazzini…- avvertì Axel, serio –Ma voi avete visto troppo. Non posso lasciarvi vivere.-
Li avrebbe uccisi.
Gil saltò su Harry, urlando.
-Ah! Ti prego! Non voglio morire! Sono troppo giovane per morire! Ti prego, chiunque tu sia, salvami!- urlava, come una donna isterica.
Harry si stava innervosendo.
-Ma salvati da solo!- esclamò, spingendolo da una parte.
Mal e Uma si osservavano: dovevano fare qualcosa.
Entrambe aprirono le loro mani: quelle di Mal si illuminarono, e delle piccole scariche elettriche attraversavano le sue dita; su quelle di Uma si formarono due bolle d’acqua.
Decisero di combinare i loro poteri, del fulmine e dell’acqua, contro Axel.
Mal scagliò un fulmine e Uma cercò di amplificarne l’effetto, colpendo il fulmine con un getto d’acqua.
Non c’era abbastanza spazio affinché Mal potesse trasformarsi in un drago ed era impossibile, per Uma, rendere le sue gambe otto tentacoli, data l’assenza di acqua nei paraggi.
Il giovane deviò l’attacco con un chakram.
Le due ragazze si stupirono ed indietreggiarono. Axel le seguì, deluso.
-Sul serio? Un attacco così debole, nonostante lo abbiate scagliato in due? Le vostre madri avrebbero fatto di più… o forse no. Ma in qualunque caso, mi dispiace.-
Alzò un chakram, probabilmente diretto ad entrambe. Mal ed Uma, visto vanificare il tentativo di unificare i loro poteri, schivarono il colpo, separandosi.
Sette contro uno. Non era la prima volta che Axel affrontava più avversari da solo, ma loro erano solo ragazzini, di poco più grandi di Sora e Roxas, inesperti. Non importava che fossero figli di persone cattive, non erano come i loro genitori.
Harry, inizialmente, decise di intraprendere un piccolo duello con Axel, uncino contro chakram. Ma era bastato una deviazione ed un rapido gioco di polso per strappare l’uncino dalla mano del ragazzo: si conficcò nel muro.
Anziché continuare a combattere, Harry si precipitò a recuperarlo.
Evie continuava a fare da scudo a Jay, ancora sconvolto dalla visione della morte della madre. Ma i suoi amici erano in pericolo: doveva fare qualcosa.
Gil si era nascosto dietro la sfera, sperando di non essere visto da Axel: ma, non essendo molto sveglio e, inoltre, essendo completamente smemorato, non intuì che quello era un punto troppo scoperto. Axel lo notò subito.
-Buh!- urlò, infatti.
-Ah!-
Sentì una forza prendergli le spalle e spingerlo all’indietro: Carlos.
Non fu difficile liberarsi di lui: bastò una gomitata e un calcio posteriore per farlo schiantare contro la parete.
-Carlos!- esclamò Evie, preoccupata. Jay osservò indietro: qualcosa di nuovo stava crescendo dentro di lui. E bruciava.
Axel era ormai vicino al ragazzo biondo, che ormai semicosciente, a causa della botta ricevuta. Non si rese conto della punta del chakram vicino alla sua gola.
-Beh, tuo padre non mi perdonerà mai per questo.- constatò, sospirando –Ma gli potrei dire che è stato un incidente!-
Era pronto ad ucciderlo.
Ma una presa ferrea gli strinse il polso: era talmente forte che mancava poco che lo spezzasse.
-Lascia… stare… i miei amici…!-
Jay.
Osservava Axel in modo freddo e minatorio nello stesso momento, come un serpente prima di catturare la sua preda.
Gli occhi erano di nuovo cambiati: era tornata l’iride gialla e la pupilla stretta. E l’aura intorno a lui non era più oscura, quanto, piuttosto… infuocata.
Il giovane non si lasciò intimorire: cercò di liberarsi dalla presa.
-Lasciami, ragazzino!- protestò, dimenando il polso –Ti ordino di lasciarmi o sarà peggio per te!-
Jay non si oppose.
-Come desideri…-
Lasciò il polso: Axel si sbilanciò all’indietro, cadendo. Per poco non cadeva su Gil, che si spostò appena in tempo.
Non aveva più il suo chakram destro: Jay ne aveva preso possesso.
Realizzò che forse quei “figli dei cattivi” non dovessero essere presi sottogamba.
-Ridammelo immediatamente!- esclamò, sempre più furioso.
Jay ricambiò lo sguardo furioso.
-Vieni a prendertelo.- sibilò.
Axel, digrignando i denti, evocò una sfera infuocata con la mano libera: la lanciò verso Jay.
Lui non si mosse: assorbì il colpo, con il petto gonfio.
Quella mossa stupì persino gli amici, oltre che Axel stesso. Non sapevano che fosse dotato di poteri simili. Anche lui, forse, aveva doti magiche come Mal e Uma.
Quel campo era troppo piccolo per sette persone: il ragazzo di Agrabah aveva già preso la sua decisione.
-Ragazzi, tornate nel primo piano.- ordinò –Se fra un’ora non dovessi tornare, tornate ad Auradon.-
Mal si rifiutò categoricamente.
-Non se ne parla, Jay!- protestò –O tutti o nessuno!-
-Se restiamo tutti qui, sarà più facile che questo individuo vi uccida tutti! Io sono l’unico in grado di tenergli testa! Vi farò guadagnare tempo per la vostra fuga!-
-E come facciamo a tornare ad Auradon?- domandò Evie.
-Come siamo arrivati. Con il tuo specchio magico, Evie.-
Lei non comprese: aveva persino dimenticato il suo potere.
-Ora, andate! ANDATE!-
Harry caricò Carlos sulle spalle. Riluttanti, persino Mal ed Evie, infine, decisero di seguire il consiglio dell’amico.
-Stai attento…- sussurrarono, prima di uscire dalla porta.
Axel si mostrò come preoccupato.
-Ehi! Tornate qui!- esclamò, partendo al loro inseguimento, con l’altro chakram a mezz’aria.
Jay fu più rapido di lui: parò quel colpo, resistendo di nuovo ad ogni tentativo di liberarsi dell’avversario.
-Se vuoi vedermi incazzato, non ti conviene.- avvertì; non era un’impressione: Jay aveva davvero gli occhi di un serpente -Io sono una di quelle persone che faresti meglio a non far incazzare, se tieni alla vita…-
Dopo minuti di combattimento elemento contro elemento, la porta della stanza della sfera venne distrutta a causa di un’esplosione: Axel rotolò fuori dalla stanza, con il cappotto fumante e il volto pieno di graffi.
Tra le fiamme, avanzava un minaccioso Jay. Con entrambi i chakram di Axel nelle mani. Le fiamme lo sfioravano, ma non lo nuocevano come ad una persona comune: era pur sempre figlio di uno stregone. Il suo sangue circolava nelle sue vene.
Gli occhi gialli e la pupilla stretta brillavano tra quelle lingue di fuoco. E i suoi lunghi capelli mori seguivano i movimenti ondulatori delle fiamme.
Axel decise di non farsi intimorire dal ragazzo: aveva affrontato avversari peggiori e ne era sempre uscito vincitore. Questo continuava a pensare, per darsi forza.
Si rialzò, ridendo.
-Sei abile, figlio di Jafar…- barcollò, tenendosi una mano sul punto dove stava la milza –Non avrei mai pensato di trovare una persona più abile di me con l’arte del fuoco. Pensa se l’avessi scoperta solo oggi…-
Jay non lo ascoltava: con una rapida mossa, lanciò i chakram contro Axel. No, non era lui l’obiettivo: le punte si conficcarono nel pavimento, poco distanti dal vero portatore.
-Tanto per cominciare…- chiarì il ragazzo, sibilando ancora come un serpente –Ero già nervoso prima di giungere qui. Quella rabbia non ha fatto altro che bruciarmi dentro. E non bastava scoprire che mio padre ha ucciso mia madre per diventare un temuto stregone…- fece una pausa: il fuoco dentro il suo cuore bruciava ancora; anzi, sentì una vera e propria esplosione -Se volevi evitare tutto questo, non avresti dovuto minacciare i miei amici!-
Mentre lo pronunciava, i suoi denti diventavano sempre più aguzzi e una lingua biforcuta uscì dalla sua bocca.
I capelli si ritrassero, come il suo naso e il suo mento; il collo si fece sempre più lungo, le sue braccia si unirono al torso e le gambe divennero tutt’una. La sua carnagione mulatta divenne ruvida e squamosa. Diventava più grande e più alto, sempre più grande e alto.
Axel non credette ai propri occhi: Jay era diventato un cobra gigante! Esattamente come Jafar aveva fatto contro Aladdin!
A Jay non era mai importato come fosse finito lo scontro tra suo padre e un ragazzo comune. Ma Axel ne era cosciente. Infatti, sorrise, riprendendo i chakram.
-Bene! In fondo, i serpenti sono sempre stati tra i miei animali preferiti!-
Jay-cobra scattò verso di lui, con le fauci aperte…
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** "E se del domani avessimo solo un sogno?" ***



3° mese: Kingdom Hearts 2
Tema: "E se domani fosse solo un sogno?"
---------------------------------------

-Salgano sul ring: Hayner e Jay!-
Jay saltellò, riscaldandosi. Toccava a lui. Aveva già indosso la pettorina ed il casco con le palline sopra.
-Vai, Jay! Spaccalo!- incitò Doug, da vero tifoso; forse aveva esagerato; non era da lui.
-Magari potresti incenerirlo o trasformarti in cobra, come hai fatto con quel tizio dai fighissimi capelli rossi!- aggiunse Gil, anche lui da vero tifoso.
-Te l’ho già detto, non mi ricordo più come ho fatto!- fece notare Jay –E’ stato solo per un attimo.-
-Vai, Jay! Il tizio ti sta aspettando!- esclamò Mal, spingendo l’amico sul ring.
Il suo avversario, un ragazzo biondo con i pantaloni mimetici, era già sul ring, in posizione di combattimento. Sembrava determinato.
Ma Jay sorrideva, sicuro di sé.
Il nome con cui era chiamato quel torneo era “Torneo Struggle”.
Altri tre si erano iscritti: Ben, Uma e Lonnie.
Doug non era bravo con le armi, per Harry quel torneo era una cosa da bambini, Mal si sentiva più portata per la magia e Gil aveva altro per la testa, che combattere.
Andare a Crepuscopoli era stata un’idea di Carlos. Nemmeno lui si era iscritto al torneo. Non perché si reputasse debole o poco dotato per gli scontri armati.
Aveva lo sguardo triste. E non guardava nemmeno il torneo. Guardava in basso, il vuoto, come ipnotizzato.
Nemmeno la voce squillante di Gil lo aveva svegliato da quella catalessi.
-Carlof!- aveva la bocca piena di patatine; e tra le braccia aveva hamburger, wurstel sullo stecco, hot dog, pizza, tacos, donuts e gelato; tutte cose che aveva comprato con i soldi che la fata Smemorina dava ai ragazzi di Auradon residenti nei dormitori per le spese settimanali –Quefto pofto è fantaftico! C’è un riftorante faft food in ogni angolo! Fono in paradifo! E’ ftata una bella idea venire qui! Ma come conofevi quefto pofto?-
Già. Come faceva a conoscerlo… Grazie a suo padre Xigbar, ovvio.
Era già passato un anno… dal suo primo incontro con suo padre. Un incontro casuale. Ma Xigbar aveva riconosciuto se stesso in Carlos.
Da quel momento, andava spesso a fargli visita ad Auradon, a parlare con lui, a conoscerlo, ad insaputa degli amici di Carlos, persino di Rudy, o avrebbe fatto la spia.
Avere avuto un figlio lo aveva sorpreso, ma, nonostante il suo dovere, trovava sempre tempo per lui. Gli aveva persino permesso di unirsi a lui nelle missioni di ricognizione, quando era da solo. Aveva preso un vecchio cappotto appartenuto ad uno dei membri deceduti dell’OrganizzazionXIII, per permettere a Carlos di attraversare i varchi oscuri.
Carlos apprezzava le visite del padre, come i viaggi in sua compagnia.
In uno di quei viaggi, si erano recati a Crepuscopoli, ma non per una missione. Xigbar aveva appena completato la sua vera missione; voleva solo approfittare del tempo rimastogli per andare a far visita al figlio e portarlo, per una volta, in un luogo non ostile.
Gli aveva offerto un gelato particolare, un gelato sullo stecco, azzurro, e dal sapore salato e dolce nel medesimo momento.
-E’ il gusto preferito di due nostri membri dell’Organizzazione.- aveva spiegato, un po’ scettico e un po’ disgustato –Ma non capisco che cosa ci trovino in un gelato simile…-
Tempi lontani, eppure così vicini.
In un attimo, Carlos aveva perso tutto: l’uomo di nome Xemnas che lo aveva spinto a commettere un atto crudele, e poi Auradon risucchiata nell’Oscurità; era ancora tutto nella sua mente.
Si sentiva responsabile della sua distruzione.
-Carlos, tutto bene? Ti stai perdendo il torneo.-
Jane era accanto a lui, come sempre. La sua Jane. Con i suoi grandi occhi color del cielo che lo osservavano con tenerezza e dolcezza. Gli stringeva il braccio, come un abbraccio. Al collo portava la collana con la scritta “Jarlos”, suo regalo di compleanno. Non se ne separava mai.
Carlos fece un lieve sorriso e scosse la testa, per dirle “Tutto bene”, per rassicurarla. Non era così. Ma non voleva rovinare la giornata con il suo malumore.
Era una giornata di svago. Doveva essere felice, o, almeno, sereno. Ma non lo era. Non riusciva ad esserlo.
Non riuscì nemmeno ad esultare quando Jay vinse contro Setzer, il campione in carica del Torneo Struggle.
Era lui il nuovo vincitore, “il combattente venuto da lontano”. L’organizzatore del torneo gli diede la cintura ed il trofeo, che esibì con orgoglio.
Harry provò un lieve sentimento di invidia nei suoi confronti; mai quanto il ragazzo biondo con una cicatrice sul volto sconfitto da Uma, Seifer. Ma si unì al resto degli amici per sollevarlo da terra e farlo saltare. Jane e Carlos erano gli ultimi. Lei aveva messo un piede sul ring. Lui rimase fuori: di nuovo lo sguardo triste rivolto verso il basso. Si mordeva il labbro inferiore. Stava persino stringendo un pugno.
-Ho paura.-
Quelle parole fermarono la ragazza, voltandosi preoccupata.
-Cosa?-
Carlos alzò la testa: dai suoi occhi stavano scendendo delle lacrime.
-Jane, ho paura.-
Lei si avvicinò a lui, allarmata e premurosa.
-Hai paura? In che senso hai paura?-
-Ho paura di perdere tutto, Jane. Di nuovo.-
Lei non comprese.
In quel momento, il gruppo dei loro amici si avvicinò a loro, ridendo.
-Non posso credere di avere vinto! Questa sta sul mobile più alto della mia stanza!- diceva Jay, il più allegro di tutti.
-Sei stato grande, Jay!- complimentò Doug, dandogli una pacca sulla schiena.
-Ahi! Piano! Devo avere ancora una scottatura lì!-
-Ma sentitelo!- derise Mal –Hai preso delle botte da quell’invasato di Hayner, non hai emesso nemmeno un lamento quando quel tizio del Castello dell’Oblio ti ha lanciato quelle fiamme, e ti lamenti per una bottarella?-
-E non solo!- ricordò Evie –Ricordi quando gli medicavo le ferite e lui faceva “Ahi! Ahi! Ahi!” come un bambino?-
Harry fu quello che rise più di tutti. Lo ricordava perfettamente. Aveva riso anche allora.
-L’alcool pizzica, se permetti!- si difese il ragazzo di Agrabah –Ehi, Carlos! Non ti ho visto sul ring, cosa…? Carlos…?-
Si allarmarono tutti a vederlo triste, in lacrime. Jane lo stava abbracciando, per risollevargli il morale. Ma invano.
-Jay, sono felice per te, davvero.- disse il ragazzo, tirando su con il naso; si staccò delicatamente da Jane –E’ solo che… non ci riesco.-
Erano tutti confusi.
-A fare… cosa?- domandò Jay.
-Aspettate.- intimò Ben, interrompendo il discorso -Questo non è il posto giusto per parlare in segreto.-
Attraversarono la piazza del mercato, entrando in una delle gallerie.
Lì avrebbero potuto parlare in pace.
-Sentiamo, perché stai rovinando questa giornata?- riprese Uma, secca.
Mal le rivolse un’occhiata storta, per rimproverarle la sua mancanza di tatto di fronte allo stato d’animo dell’amico.
Lui si stringeva nelle sue spalle, toccando la mano di Jane, che continuava ad abbracciarlo, per confortarlo.
-Da quando siamo tornati… non faccio altro che pensarci… A volte lo sogno anche di notte.- rivelò, con tono tremante, continuando a guardare in basso –Penso alle nostre vite, la nostra vita su Auradon. Come, improvvisamente, abbiamo perso tutto. Tutto quello che avevamo, i nostri sogni, i nostri progetti per il futuro… divorato da quelle creature oscure, gli Heartless.-
Lo ricordava ancora come fosse passato un giorno o un’ora: una sfera oscura nel cielo, il cielo di Auradon farsi scuro, crepe sul pavimento, persone che correvano da tutte le parti, spaventate. Heartless che saltavano sulle persone, affondando le loro mani sui loro petti, estirpandone i cuori. Anche a loro era capitato il medesimo destino. Doug aveva fatto persino da scudo ad Evie, lasciando che un Heartless prendesse il suo cuore al posto della sua ragazza. Ma fu tutto inutile. Inutili i tentativi di Mal e Uma combinare i loro poteri per eliminare gli Heartless. Sembravano ritornare, più di prima. E Jay non riusciva a lanciare le sfere di fuoco per aiutare le amiche, solo piccole scintille. In mezzo a quel caos, Carlos aveva perso i suoi amici. Lui era rimasto per ultimo, ma un Heartless colpì anche lui. Svanì tra le braccia del padre Xigbar, lì in missione con Roxas, custode del Keyblade. Fu l’ultima volta in cui lo vide.
Auradon era distrutta. I suoi abitanti svaniti nel nulla.
Tutto per colpa di Carlos.
No, nessuno gli aveva dato la colpa. Era una colpa che si stava attribuendo da solo.
-Se solo…- proseguì questi, singhiozzando; si staccò di nuovo da Jane, camminando avanti ed indietro, a volte lisciandosi i capelli all’indietro –Quello Xemnas mi ha ingannato. Ha detto che avrei rivisto mio padre. Mi ha costretto a uccidere mia madre, questo ha oscurato il mio cuore ed è per la mia Oscurità che Auradon è scomparsa, che tutti noi siamo scomparsi! Per il mio egoismo!-
Evie fece un passo in avanti, con la mano rivolta verso l’amico.
-Carlos, non fartene una colpa…-
-Sì, invece!- si fermò; i suoi occhi erano rossi e pieni di lacrime -Per il mio egoismo, ho visto svanire tutto ciò a cui tenevo! Quando Auradon è stata distrutta, mi sono risvegliato in un castello bianco, avevo cambiato forma. Ero un Nessuno. Il mio desiderio era ricongiungermi con mio padre e finalmente ne avevo l’occasione. Ma non potevo avvicinarmi a lui. Xemnas mi minacciò che lo avrebbe ucciso, se solo avessi osato avvicinarmi o parlare con mio padre. Non sapete cosa significa essere finalmente vicini ad un genitore che AMI, ma non poter nemmeno parlare con lui! Ho visto mio padre SVANIRE nel NULLA per colpa di quel Custode del Keyblade, Sora! Avevo perso mio padre, avevo perso ogni mia voglia di vivere…-
Si era gettato volontariamente sul Keyblade di Sora. Sperava fosse davvero la fine per lui. Sperava che, almeno nella morte, si sarebbe ricongiunto a suo padre.
Poi, si risvegliò. Era tornato come prima. I suoi amici, Jane, Mal, Evie, Jay, Ben, Doug, Gil, Harry, Uma, persino quella scorbutica di Audrey e l’inutile Chad (in quel momento rimasti nella Città di Mezzo) erano con lui. Intatti. Umani. Umani come lui. Ma non erano più ad Auradon. L’insegna che lessero sopra un portone diceva “La Città di Mezzo”. Ritrovarono la Fata Smemorina, per fortuna. Li ragguagliò sugli ultimi avvenimenti, su come Sora avesse liberato i cuori dal Kingdom Hearts artificiale dell’OrganizzazioneXIII. Questo spiegava il loro ritorno, ma non quello di Auradon.
Avevano perso la loro casa. Per fortuna, la fata Smemorina aveva una casa, lì nella Città di Mezzo, dove ospitò la figlia Jane ed i suoi amici. Piano piano, avevano ripreso la loro vita, i loro ritmi. Ma non Carlos.
Quanto era capitato ad Auradon, quello che aveva fatto a sua madre, aver visto svanire suo padre… lo segnò. Non era più lo stesso da quando era tornato “completo”. Era sempre nervoso, come se temesse che qualcosa lo aggredisse dal nulla.
-Mi dispiace avervi rovinato la giornata, soprattutto a te, Jay…- si scusò, fermandosi e chiudendosi di nuovo su se stesso –Non pensate che lo faccia per puro piacere sadico. Lo dico… perché sono preoccupato. Me lo sono tenuto dentro per troppo tempo. Vi vedo felici, e mi dispiacerebbe se ci venisse strappata anche questa vita. Ma penso costantemente a cosa potrebbe capitarci. Siamo davvero in pace? E se ci fosse un nuovo pericolo a minacciare i mondi? E se non fossimo nuovamente in grado di contrastarlo come è successo con gli Heartless? Perché fare progetti, se il nostro futuro è minacciato? E se del domani avessimo solo un sogno? Se, improvvisamente, vedessimo di nuovo tutto sparire di fronte a noi, senza la possibilità di difenderci? Io non voglio perdervi di nuovo, ragazzi.-
Le sue parole preoccuparono i suoi amici, lasciando quasi indifferenti i tre pirati.
Erano parole dettate dalla paura, ma non aveva tutti i torti: la loro casa, le loro vite, erano state distrutte, e non potevano permettere che una probabile nuova minaccia distruggesse la loro nuova vita.
In mezzo a quel silenzio, Jane parlò a Carlos.
-Cosa intendi fare, allora?-
Lui si asciugò le lacrime, si girò verso la galleria, ma continuò ad osservare la ragazza, determinato. La tristezza aveva lasciato spazio ad un altro sentimento, rabbia, delusione e determinazione insieme.
-Andrò da Yen Sid.- rivelò –Mi allenerò per diventare un Custode del Keyblade.-
Tutti, proprio tutti, furono sgomenti da quella rivelazione.
-EHHHHHHHH?!- esclamarono i maschi, compresi Harry e Gil.
-Un Custode del Keyblade?!- aggiunse Evie, sconvolta –Carlos, non ricordi cosa ci ha detto la fata Smemorina, durante la lezione sulle origini del Keyblade? Richiede un lungo e arduo addestramento, anche solo per ottenerne uno. Ma anche se uno si allenasse con tutto se stesso non è detto che riesca a possederne uno.-
-Lo so benissimo. Ma il Keyblade è l’unica arma in grado di eliminare gli Heartless.- ricordò Carlos –E sono pronto a superare qualsiasi prova, se significa che sarò in grado di proteggere ciò a cui tengo. Non voglio che quello che abbiamo passato si ripeta.-
Si osservarono tutti; nessuno sapeva cosa dire; speravano che qualcuno si facesse avanti per esprimere la sua opinione.
Solo due risate: Uma ed Harry. E anche quella di Gil, anche se poco convinto: come al solito, non aveva capito nulla della situazione.
-Che discorso strappalacrime, Carlos.- derise Harry, passando il dito sull’uncino –Mai pensato di darti al teatro tragico?-
-E poi… sul serio?- aggiunse Uma –Una spada a forma di chiave? Che idea assurda…-
-Ma non ha tutti i torti.- fece notare Mal, appoggiando l’idea dell’amico –Ricordi quando Auradon è stata invasa dagli Heartless, Uma? I nostri poteri combinati e le vostre spade non hanno saputo eliminarli.-
La ragazza polpo fece spallucce.
-Un errore di valutazione.- commentò, indifferente -Non ci servono spade assurde per eliminare un mostro.-
-Persino la fata Smemorina ha spiegato che l’unica arma in grado di eliminare quelle creature è il Keyblade.- ripeté Evie –Vedere quelle creature distruggere tutto e non essere in grado di fare qualcosa ha turbato persino me. Io vado con Carlos. Doug, tu vieni con me?-
Il ragazzo occhialuto scosse la testa, alzando le mani.
-Io? Sei matta?- disse, quasi sorpreso –Lo sai che non sono bravo con le armi. No, sarei inutile.-
-Tranquillo, vado io con lei.- rassicurò Mal.
-Mi aggrego anch’io.- fece Jay.
-Vengo anche io con voi, ragazzi.- anche Ben si era fatto avanti –I miei genitori mi hanno raccontato che Sora li ha aiutati più volte, alla Fortezza Oscura e contro uno dell’Organizzazione di nome Xaldin. E’ giusto che ricambi il favore al loro posto.-
-Ha aiutato anche i miei genitori contro Shan Yu.- aggiunse Lonnie –E zio Mushu lo ha aiutato contro gli Heartless, tempo fa. Mi unirò anch’io a voi.-
Uma era sempre meno convinta.
-E anche se andaste tutti insieme, sapete dove abita questo Yen Sid?-
-Io sì.- rispose Jane, senza indugio –E possiamo raggiungerlo direttamente qui da Crepuscopoli, in treno.-
-In treno?- domandò Jay, interessato.
-Sì, è… complicato da spiegare. E’ meglio se vi mostro direttamente la stazione del treno.-
I tre pirati si guardarono l’un l’altro. Uma fece di nuovo spallucce.
-Evie, riportaci alla Città di Mezzo.- decise, dando le spalle agli amici.
-Oh, perché?!- si lamentò Gil –E’ fico qui. E il cibo è ottimo.-
-Non sai fare altro che ingozzarti, tu?! E poi hai appena mangiato!-
Evie eseguì quanto richiesto: ordinò al suo Specchio Magico di riportare i tre amici alla Città di Mezzo.
Doug non era interessato ad ottenere un Keyblade, ma voleva ugualmente accompagnare Evie e gli altri da Yen Sid.
Le gallerie erano un modo rapido di attraversare Crepuscopoli: una delle uscite portò proprio alla stazione del treno.
Jane apriva il gruppo: indicò un treno viola, con una sola carrozza, decorato con lune e stelle, su cui salì.
Si stupirono tutti, quando notarono che il treno non stava più percorrendo un binario. O meglio, sì, il binario c’era ancora ma era fatto di luce, etereo. Sotto di esso vi era il vuoto. Si stavano avvicinando ad una torre.
-Come facevi a sapere del treno?- domandò Ben a Jane, appena scesi dal treno.
-Me lo ha detto mia madre.-
Dovettero salire molte rampe di scale, prima di raggiungere la cima. Yen Sid, come suo solito, era chino su un libro.
Jane bussò alla porta.
-M-Maestro Yen Sid…?- salutò, con un filo di voce, entrando; fece un lieve inchino, di saluto.
Yen Sid sembrava stupito e lieto di vederla.
-Jane?!- esclamò, infatti, alzandosi –Allora sei viva!-
Lei annuì, sorridendo.
-Sì, sono tornata.- spiegò –Ancora non so spiegarmi come, però.-
Lo stregone tornò a sedersi, con una mano sul cuore.
-Grazie al cielo… quando ho sentito di Auradon, ho temuto il peggio. Anche tua madre sta bene, vero?-
-Sì, è al sicuro, nella Città di Mezzo.-
-Ad ogni modo, a cosa devo la tua visita?-
-Ho portato degli amici che vorrebbero parlare con voi…-
Uno ad uno, entrarono tutti.
Yen Sid assunse uno sguardo sospettoso ed incuriosito, vedendo Mal, Evie, Jay e Carlos.
Si inchinarono tutti al suo cospetto.
-Maestro Yen Sid, è un onore…- iniziò Ben –Io sono…-
-So chi siete. Tutti voi.- tagliò corto Yen Sid –Soprattutto voi quattro. La figlia di Malefica, la figlia di Grimilde, il figlio di Jafar e il figlio di Crudelia De Mon… e di Xigbar, dell’OrganizzazioneXIII.-
Su quell’ultimo punto, il volto dello stregone si era incupito. E Carlos lo aveva intuito. Si incupì anche lui.
-E tu, giovane Mal…- il volto dello stregone tornò sereno -Riku sarebbe lieto di sapere che sei ancora viva.-
Sentire il nome di Riku fece stupire la ragazza.
-Riku? Lui sta bene, vero?-
-Sì. E’ riuscito a dominare la sua Oscurità e divenire anche lui Custode del Keyblade. Ora è a casa sua, nelle Isole del Destino, con Sora e Kairi.-
Mal era sollevata: il suo amico Riku stava bene. Ben era confuso, invece: Mal non gli aveva mai parlato di Riku. Provò una nota di gelosia.
Carlos si schiarì la voce.
-Con tutto il rispetto, maestro Yen Sid…- riportò l’attenzione su di sé –Siamo qui per chiedervi un grande favore…-
Yen Sid ascoltò con serietà e silenzio le vicende di Auradon e Carlos confessò la sua colpa, il matricidio. Aveva invitato i ragazzi a sedere, offrendo loro tè e pasticcini.
Come risposta, li aggiornò sugli ultimi fatti avvenuti, su Sora, Riku, Re Topolino, l’OrganizzazioneXIII, Xemnas ed il Kingdom Hearts artificiale, come aveva fatto Smemorina. E non solo.
Mal sorrise, appena saputa della caduta di Ansem, l’uomo che l’aveva rapita tempo addietro. Ma rimase sgomenta quando le venne rivelato che sua madre Malefica era ancora viva, nonostante fosse stata eliminata da Sora.
-Con la sconfitta di Ansem e Xemnas, però…- concluse Yen Sid –Farà ritornare l’uomo che ha dato inizio a tutto questo, il Maestro Xehanort.-
Mal, Evie e Carlos ebbero una strana sensazione: quel nome lo avevano già sentito, in passato, pronunciato dai propri genitori.
-E’ un uomo pericoloso. Dieci anni fa ha tentato di replicare la Guerra del Keyblade, mettendo a rischio la vita di tre Custodi del Keyblade. Se dovesse tornare, ripeterà le sue azioni. Ancora non sappiamo la sua prossima mossa, ma è nostro dovere prevenire ogni pericolo. Abbiamo bisogno di altri guerrieri del Keyblade e voi avete il giusto spirito combattivo per essere degni di portare quest’arma.- dopo una lunga riflessione, anche Jane e Doug avevano deciso di voler prendere parte all’addestramento per divenire Custodi del Keyblade -Forse potevano esserlo anche i vostri amici pirati…-
-Hanno sminuito il problema.- rispose Mal, scuotendo la testa –Hanno detto che era inutile, che gli Heartless non erano nemici che non potessero tenere a bada con le loro armi.-
-Anche la prepotenza può essere un modo di manifestare paura ed insicurezza.- rivelò Yen Sid –Forse la vostra amica Uma ha paura di non essere degna di divenire Custode del Keyblade. Lo stesso vale per gli altri due.-
Era un buon punto di vista: Mal non lo aveva mai considerato in questo modo. Ma aveva la sua logica. Forse per Uma. Per Harry e Gil aveva i suoi dubbi.
Gli occhi dello stregone conversero su Carlos.
-Carlos, per favore, alzati.-
Il ragazzo eseguì tale richiesta. Si sentì leggere dentro, dentro il suo cuore, appena incrociò lo sguardo della persona che aveva di fronte.
-Vedo ancora dell’Oscurità nel tuo cuore, Carlos.- rivelò Yen Sid, serio -C’è la possibilità che tu non riesca ad ottenere un Keyblade, ma è la medesima possibilità che tu riesca. Nonostante quello che ti è stato raccontato sull’OrganizzazioneXIII e su tuo padre, tu ancora gli vuoi bene e vuoi incontrarlo di nuovo. Dimmi, perché vuoi diventare Custode del Keyblade?-
Carlos gli rivolse uno sguardo determinato e strinse i pugni.
-Voglio un domani reale, non un domani destinato a svanire… come un sogno… Sono disposto a tutto, per proteggere ciò che mi rimane.-
Yen Sid tornò composto. Incrociò le dita, chiudendo gli occhi.
Poi li riaprì, sorridendo.
-Comincerete domani.- decise -E portate anche il resto dei vostri amici.-

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** "Cosa avresti fatto al mio posto?" ***


4° mese: Kingdom Hearts 358/2 Days
Tema: "Tu, al posto mio, cosa avresti fatto?"

------------------

Auradon, un anno prima.
Prima dell’invasione degli Heartless, prima della sua distruzione.
Persino prima di Uma e di Audrey.
Da poco Mal aveva deciso di cambiare aspetto, di rinunciare ai capelli viola e cominciare a portarli biondi con le sole punte viola. Magari per dimenticare una parte del suo passato e guardare al futuro.
Il suo futuro, Ben. E Evie, Jay e Carlos.
Erano loro la sua famiglia, ormai.
La sua vita, ad Auradon, scorreva tranquilla e serena.
Peccato per quei fastidiosi giornalisti e paparazzi che la inseguivano costantemente. Per vari motivi. Per essere la fidanzata del futuro re di Auradon, per essere la figlia redenta di una cattiva, e per altre stupidaggini.
Non ne poteva più. In quei momenti si chiedeva, infatti, cosa avrebbe fatto sua madre, in una situazione simile. Sicuramente li avrebbe inceneriti tutti senza pensarci due volte.
Ma lei non era Malefica.
Un giorno aveva finalmente trovato una scusa per scappare dai paparazzi.
-Scusate, non mi sento bene. Devo scappare in bagno!-
Ben era in compagnia dei suoi genitori e della Fata Smemorina. Evie era in camera sua, circondata, come al solito, dai suoi tessuti dai suoi fili e dai suoi aghi. Jay era al campo per gli allenamenti. E Carlos… molto probabilmente era con suo padre Xigbar, in ricognizione per i mondi.
Era da sola, contro tutta quella gente. La soluzione più efficace, quando siamo da soli, è la fuga. In un luogo sicuro.
E il luogo sicuro in questione era il bagno dell’Auradon Prep.
Non c’era nessuno, per fortuna.
Mal corse immediatamente verso il primo lavandino che vide, sciacquandosi la faccia con dell’ottima acqua fredda.
Sospirò, sollevata. Recuperò la calma, il controllo, il fiato, il battito cardiaco in quel getto d’acqua.
Quella vita la stava stremando.
Non ne poteva più dei giornalisti. E Ben non stava facendo nulla a proposito. E non era nemmeno lì per difenderla o aiutarla a scappare dalla curiosità opprimente dei giornalisti.
Chiuse l’acqua fredda e mise le mani sul lavandino, mentre l’acqua gocciolava dal suo mento, posandosi sull’abito che indossava.
Sospirò di nuovo. Aveva l’aria triste. Stanca.
Si guardò allo specchio: l’acqua le aveva rovinato il trucco. L’eyeliner le stava colando dagli occhi, come fossero lacrime nere. O forse erano proprio le sue lacrime.
Ma non poteva uscire in quello stato: rapida, prese della carta assorbente e fece del suo meglio per rimuovere ogni imperfezione.
Le dispiacque per Evie: aveva impiegato un’ora per truccarla come una principessa.
Rimosse ogni traccia di trucco dal suo volto. Era naturale, se stessa. Senza maschere. Come doveva essere.
Ma non aveva rimosso del tutto le tracce dell’eyeliner: sembrava quasi un panda.
Prese dell’altra carta e vi mise del sapone. Poi lo strofinò sugli occhi, dopo averlo leggermente inumidito.
Si sciacquò di nuovo il volto, per rimuovere il sapone dagli occhi, e si asciugò di nuovo.
Si guardò di nuovo allo specchio.
C’era qualcuno alle sue spalle!
Una persona alta, con un cappotto nero.
Mal si voltò di scatto: occhi rossi luminosi, pelle scura come la notte, lunghi capelli grigi. Sguardo serio e minaccioso.
Il suo rapitore! L’uomo dagli occhi rossi! Ad Auradon! Com’era possibile?
Impallidì. Non ebbe la forza di urlare. La sua voce rimase come bloccata nella sua gola. Ansimava, senza emettere suoni.
Si abbassò ed indietreggiò, finendo al muro, sotto un lavandino.
L’uomo si avvicinava sempre di più, serio.
-N-no! Fermo!- esclamò Mal, chiudendosi in se stessa –Non avvicinarti!-
Allungò una mano, mentre nascondeva il volto tra le gambe: una saetta uscì da essa. Non prese l’uomo, solo lo stipite della porta del bagno. Non lo aveva nemmeno sfiorato.
Ma lui continuava ad avvicinarsi, senza alcun timore.
Lei era sempre più terrorizzata. Si tolse una scarpa e minacciò di lanciarla.
-Non mi avrai di nuovo!- esclamò, quasi mettendosi a piangere; i ricordi legati alla Fortezza Oscura tornarono di nuovo, gli orrori cui quell’uomo l’aveva sottoposta –Prima mi mandi qui e ora mi vuoi di nuovo? Vattene via!-
Fece per lanciare la scarpa, ma la mano dell’uomo le bloccò il polso. Lei, finalmente, urlò e distolse lo sguardo dal suo rapitore, proteggendosi con l’altro braccio.
-Mal, calmati! Sono io!-
La paura l’aveva resa sorda per un attimo.
Ma poi realizzò un particolare: “Mal”? L’uomo dagli occhi rossi l’aveva sempre chiamata “piccola colomba”. Non l’aveva mai chiamata per nome.
L’uomo osservò in avanti, notando il suo riflesso nello specchio.
-Oh, giusto…- mormorò, abbassando lo sguardo.
Lasciò il polso della ragazza, ancora paralizzata e confusa, e si alzò.
Mise la mano dentro una tasca, estraendo un nastro nero.
“Cosa vorrà fare con quello…?” pensò Mal, ancora pallida e piena di paura.
Il nastro coprì gli occhi dell’uomo.
Improvvisamente, venne circondato da una nube nera. La sua altezza cambiò, come il colore della sua pelle e quello dei suoi capelli. E la sua voce.
-Spero così vada meglio…-
Mal si illuminò.
-Non posso crederci…- mormorò, alzandosi in piedi; la persona che aveva di fronte a lui aveva i capelli argentati e la pelle chiara –Riku!-
Non lo aveva mai visto in faccia, quando entrambi erano prigionieri alla Fortezza Oscura: a malapena era riuscita a scorgere i capelli argentei. Ma la sua voce l’aveva impressa nella sua mente.
Riku le sorrise.
-Ciao, Mal.-
Anche Mal ricambiò il sorriso. Corse verso di lui, abbracciandolo.
Delle lacrime vere stavano scendendo dai suoi occhi. Lacrime per scaricare la paura e lacrime di gioia insieme.
Lacrime che inumidirono il cappotto del ragazzo.
Lui ricambiò l’abbraccio, strofinando più volte la mano sulla schiena della ragazza.
Poi si osservarono in faccia.
Lui le scostò un ciuffo umido di capelli dal volto.
-Riku, io… io…- mormorò lei, tra i singhiozzi –Io non so proprio cosa dire… Tu, qui?! Ma come…? Perché prima eri…?-
Il sorriso di Riku si tramutò in un’espressione triste.
-E’ una storia lunga, Mal.- le prese il volto –Ma non parliamo di me. Parliamo di te, piuttosto! Guardati!- le osservò il vestito, i capelli -Come sei cambiata da quando ti ho conosciuta! Mai avrei immaginato di vederti così! Tempo fa non lo credevo possibile. Come hai fatto a scappare dalla Fortezza Oscura?-
-Non sono scappata. E’ stato l’uomo dagli occhi rossi a mandarmi qui.- spiegò Mal, tirando su con il naso –Quella volta che è venuto nelle prigioni e c’eri anche tu, mi ha trascinata un una stanza con un grande portale a forma di cuore e mi ha spinta in un varco oscuro. Disse che ormai aveva mia madre in pugno e finché avesse continuato a credere che ero sua prigioniera, poteva usarla come burattino per i suoi piani. Ma non era necessario che rimanessi lì. Mi sono ritrovata nell’Isola degli Sperduti e poi sono venuta qui, ad Auradon.-
Un ricatto. Un modo efficace per manipolare le persone.
Riku continuava ad avere l’espressione triste, ma sollevata: non passava giorno senza che pensasse a lei, preoccupato. Ma la ragazza che singhiozzava, impaurita, nelle fredde prigioni della Fortezza Oscura era di fronte a lui, cresciuta, serena, felice. Forse anche più forte.
-Ma ogni giorno ho pensato a te, là da solo in quella prigione.- proseguì lei –Avrei tanto voluto liberarti, ma non sapevo come fare. Ma ora sei qui e ne sono felice! Quindi anche tu sei scappato da lui!-
Lui scosse la testa.
-No. Ho permesso ad Ansem di manovrarmi.-
Ansem. Dunque era quello il nome dell’uomo dagli occhi rossi, pensò Mal.
-Mi ha persino costretto a mettermi contro il mio migliore amico. Ho permesso all’Oscurità nel mio cuore di prevalere. Ansem è ormai una parte di me. Ecco perché prima mi hai visto con quell’aspetto. Devo indossare questa benda, per non permettere a nessuno di vedere l’Oscurità dentro di me.-
Raccontò l’intera storia, da quando aveva visto la ragazza portata via da Ansem.
Mal impallidì quando le raccontò del destino di sua madre, di come era morta.
Entrambi erano sopravvissuti ad Ansem. Anche se in due modi differenti.
Lei provò compassione per il ragazzo. Non era suo amico. Nelle prigioni si erano a malapena rivolti la parola.
Provava solo pietà per lui, commossa dalla sua storia, dal suo desiderio di scappare dalla sua isola. Ma non per quello che aveva fatto per realizzarlo.
In quel momento, però, Mal stava provando per lui lo stesso affetto che provava per Jay, per esempio: un profondo affetto fraterno.
E forse era ricambiata.
E lui, nonostante il suo comportamento maleducato ed indisponente, le aveva offerto una possibilità di scappare, insieme. Forse non voleva rimanere solo, forse aveva provato tenerezza per la ragazza, in fondo non così diversa da lui.
-Mal…- riprese Riku, prendendole le mani e stringendole lievemente; sembrava imbarazzato –Mi dispiace per le cose che ti ho detto alla Fortezza Oscura. Mascheravo la mia paura e la mia insicurezza dietro all’arroganza e non sono stato capace di comprendere la tua situazione ed essere un vero amico.-
La ragazza scosse la testa, sorridendo dolcemente.
-Non devi scusarti. Eri spaventato, disperso e confuso. E’ perfettamente normale.- abbracciò di nuovo il ragazzo –Oh, Riku, che sollievo rivederti…-
-Anche per me è la stessa cosa.- rispose lui, tornando a sorridere –Non sapevo sapessi lanciare dei fulmini.-
-L’ho scoperto da poco. Avresti dovuto vedere la faccia della fata Smemorina quando ho lanciato il primo fulmine per caso…-
-Beh, intanto dovrai ripagare quello stipite…-
Risero entrambi.
-E davvero mi avresti colpito con una scarpa?-
-Beh, i tacchi possono essere letali, non lo sapevi?-
Scrutò con attenzione il cappotto indossato dal ragazzo. Ebbe l’impressione di aver già visto qualcosa di simile, non molto tempo prima…
-Riku, perché sei vestito così?- domandò, allarmata.
Riku tornò serio.
-Credimi, Mal, sono davvero felice di rivederti sana e salva, ma purtroppo non sono qui per una semplice visita.- spiegò –Sono in missione. Re Topolino e io stiamo spiando e seguendo le tracce dell’OrganizzazioneXIII.-
Mal era confusa. Inclinò la testa, preoccupata.
-Organizzazione… XIII?-
-Sono un gruppo di persone… ecco non sono proprio persone, sono Nessuno… Ah, troppo da spiegare in poco tempo! Girano per i mondi seminando il caos, con gli Heartless e i Nessuno. Non sono così diversi da tua madre o Ansem. E sono tutti vestiti con questo cappotto. Ignoro il loro fine, ma sembra che stiano usando il potere del Keyblade per costruire una specie di Kingdom Hearts artificiale. Tranquilla, io non faccio parte dell’OrganizzazioneXIII, ma DiZ mi ha detto che era necessario per non farmi scoprire da loro. In questo modo, celo la mia presenza.-
Mal si staccò per pochi istanti da lui.
-Aspetta, aspetta…- disse, mettendosi le mani sulle tempie; era sempre più confusa –Cielo, quante cose da assimilare in un giorno… Mi stai dicendo che ci sono tizi con il cappotto nero che mandano mostri in tutti i mondi per costruire un coso-Hearts artificiale usando il Keyblade?-
Era da poco tempo che, nelle lezioni della fata Smemorina, avevano affrontato il tema del Keyblade. Era a conoscenza del suo potere e della sua storia.
-Sì, in parole povere, sì.- rispose Riku, dopo un breve istante di silenzio.
-E temi che potrebbero venire anche qui?-
-No, temo sia già accaduto. Dov’è il tuo amico Carlos?-
-Non lo so. Se non è con Rudy a fare una passeggiata, credo sia con suo padre.-
-Suo padre? Vuoi dire Xigbar?-
Xigbar? Come faceva Riku a sapere il nome del padre di Carlos?
-Come fai a sapere il suo nome?- domandò la ragazza.
Riku si morse il labbro inferiore, imbarazzato.
-Ecco… Xigbar è un membro dell’OrganizzazioneXIII.-
Improvvisamente, Mal ebbe come un bagliore: un flashback. Il cappotto nero! Ecco dove lo aveva visto!
Giorni prima, infatti, aveva intravisto, nella camera di Carlos, lui e suo padre Xigbar entrare in un portale.
Entrambi indossavano un cappotto nero, uguale a quello di Riku!
Il ragazzo si allarmò dallo sguardo preoccupato della ragazza: la prese per le spalle, senza stringerle.
-Ascolta, Mal.- disse, con tono calmo –Che sia suo padre o no, Carlos non deve avvicinarsi a quell’uomo. E’ molto pericoloso. E’ un manipolatore, un ingannatore. Lo costringerà a cedere all’Oscurità con ogni mezzo possibile, e lo userà per i fini dell’OrganizzazioneXIII perché questo è il modus operandi di tutti loro. Devi tenerlo lontano da lui. E’ per il suo bene e per questo mondo. Promettimelo, Mal! Promettimi che terrai il tuo amico Carlos lontano da suo padre!-
Gli diede la sua parola.
Non la mantenne.
Era passato un anno.
Carlos aveva ceduto all’Oscurità, uccidendo sua madre Crudelia. E Auradon era stata distrutta.
Mal stava contemplando il paesaggio boscoso di fronte a sé, stringendo il suo Keyblade, con aria malinconica, con i capelli viola in preda al vento leggero che soffiava. Pensava all’evento di un anno prima, al suo nuovo incontro con Riku. Pensava alla sua promessa, che non aveva mantenuto.
Da un certo punto di vista, si sentiva responsabile della distruzione di Auradon.
Non aveva avvertito Carlos su Xigbar.
Non ci riusciva. Non ne aveva il coraggio.
Ogni volta che lui tornava da un viaggio in un altro mondo con suo padre, era felice. E l’entusiasmo che mostrava quando raccontava ogni sua esperienza non aveva paragoni. Non lo aveva mai visto così felice in tutta la sua vita. E si sentiva felice anche lei.
Non voleva farlo soffrire: aveva sofferto così tanto nella sua vita, nella sua infanzia, e non aveva mai conosciuto l’amore di un genitore. Ma lo stava scoprendo a piccoli passi, grazie a suo padre Xigbar.
Aveva ritrovato la sua famiglia.
Meritava di essere felice.
Ma, in quel momento, realizzò che avrebbe dovuto farlo: Auradon era distrutta, e lei, Carlos, e i loro amici avevano perso tutto. Una cosa persino peggiore che venire a conoscenza che tuo padre è membro di un’organizzazione che corrompe le persone facendole cedere all’Oscurità.
E nel tentativo di proteggere il poco che rimaneva loro, Carlos aveva proposto di diventare Custodi del Keyblade.
Avevano tutti superato l’esame; ognuno ebbe un Keyblade del cuore, un Keyblade che rispecchiava il loro essere, la loro personalità.
Mal osservò il suo: aveva la forma di sua madre versione drago.
Poi osservò i suoi amici: il sole stava tramontando, quindi Chad, Ben, Gil ed Harry stavano montando le tende, mentre Jay stava accendendo il fuoco del falò. Aveva imparato a controllare i suoi poteri del fuoco.
Sembravano entusiasti dei loro risultati, dei loro Keyblade. Il Maestro Yen Sid li aveva portati in un bosco,  in un mondo cui non conoscevano il nome, per perfezionare le loro abilità con il Keyblade. E Carlos ci metteva più impegno di tutti. Era quello più determinato a divenire un degno Custode del Keyblade.
Tutti loro erano cambiati, in un solo anno. Fisicamente e mentalmente.
Ma le cose non dovevano andare così. Se Mal avesse mantenuto la sua promessa e avesse avvertito in tempo Carlos su suo padre, loro sarebbero ancora ad Auradon, a vivere la loro vita, tranquilla, serena, come ogni adolescente della loro età.
Ma lei aveva anteposto i suoi sentimenti alla sicurezza di un mondo, e, come conseguenza, questo era stato distrutto. Tuttavia, non era del tutto pentita di quello che aveva fatto.
Carlos era suo amico, in fondo, quasi un fratello. Ed è sempre difficile dire la cruda verità ad una persona a noi cara. Ma è ancora più grave rendersi conto di ciò che può portare l’omertà.
E’ dunque meglio dire la verità, a costo di rendere triste la persona cara, o mentire per il suo bene, ma causando una perdita ancora più grande?
Nemmeno Mal conosceva la risposta.
-Riku, se io ti avessi chiesto di fare la stessa cosa con Sora, cosa avresti fatto?-

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Puoi essere qualunque cosa tu voglia essere ***


5° mese: Kingdom Hearts Birt By Sleep
Tema del mese (il mio): Puoi essere qualunque cosa tu voglia essere

-----------------------------------

I’m so tired of pretending
Where’s my happy ending?
 
Audrey aveva come lo sguardo assente.
Vedeva la bocca di Yen Sid aprirsi e chiudersi, ma le sue parole erano vuote. O era solo lei a non sentirle.
La sua testa era altrove, in quel momento.
Era tornata indietro nel tempo, quando Auradon era ancora intatta, il giorno in cui Ben e Mal si erano fidanzati ufficialmente.
Lei era stata pervasa da uno tsunami di ira ed invidia: quell’anello doveva essere suo. La proposta di matrimonio doveva essere per lei. Era lei la legittima fidanzata di Ben!
 
I followed all the rules
I drew inside the lines
I never asked for anything that wasn’t mine
I waited patiently for my time
And when it finally came
He called her name
 
Sua nonna, la regina Leah, era rimasta delusa da lei.
-Progetti di tutta una vita, svaniti. Tua madre si è tenuta stretta un principe dormendo.-
Questo paragone la fece infuriare ancora di più.
Malefica aveva fatto del male ai suoi genitori, facendo condannare sua madre Aurora ad un sonno profondo e rinchiudendo suo padre Filippo nel suo castello. Ma almeno tutto era stato risolto grazie alle tre fate buone, Flora, Fauna e Serenella, e grazie anche ad una forestiera armata di una spada a forma di chiave, il Keyblade, che combatté al fianco di suo padre anche contro Malefica.
Ma quello che aveva fatto Mal… non vi era rimedio. Le aveva rubato il fidanzato, l’aveva costretto ad innamorarsi di lei con un incantesimo. E anche con l’incantesimo svanito, lui aveva scelto comunque Mal.
Mal e Malefica… nome diverso, ma stesso sangue. Destinate a far soffrire il prossimo.
 
And now I fell this overwhelming pain
I mean it’s in my veins
I mean it’s in my brain
My thought are running in a circle like a toy train
I’m kind of like a perfect picture with a broken frame
I know exactly who to blame
 
Era scoppiata in lacrime, appena entrò in camera sua; aveva scritto sul suo diario, disegnando se stessa con la corona della regina di Auradon sulla testa. Quella corona, destinata a lei per diritto di nascita… non riuscì a immaginarla sulla testa della figlia di Malefica.
Fu in quel momento che udì uno strano rumore alle sue spalle: un portale oscuro era apparso. Da questo vi era uscito un uomo con un cappotto nero con un cappuccio che gli copriva il volto. Ma la ragazza notava delle ciocche grigie che spuntavano dal cappuccio. Il primo istinto fu quello di chiamare le guardie, dopo aver sobbalzato con un lieve urlo.
Ma l’uomo, con un gesto della mano, era riuscito a fermarla.
-Una terribile ingiustizia, vero, Audrey?- le aveva detto; la voce era molto calma, profonda, grave –Tu, figlia di Aurora, Principessa del cuore, hai dato ad Auradon il meglio che potevi, hai sempre seguito le regole, sei stata una ragazza modello per tutte le studentesse della Auradon Prep, e cosa accade? Che il tuo ragazzo ti lascia per una proveniente dall’Isola degli Sperduti come se niente fosse.-
Sapeva il suo nome. Sapeva della sua storia. Sapeva persino che era figlia di una Principessa del cuore.
Audrey era ancora paralizzata. Non sapeva delle intenzioni di quell’uomo. Ma doveva mantenere la calma. Così le avevano insegnato, al corso di galateo. Come futura regina di Auradon, doveva avere la mente ferma ed i nervi di acciaio in qualunque situazione.
Per tutta una vita si era preparata a quel momento. Non Mal.
A malapena lei riusciva a frenare la sua indole ad innervosirsi con poco.
Cosa la rendeva più degna a divenire regina?
-Cosa vuoi?- aveva detto Audrey, fissando l’uomo con aria seria; doveva nascondere la paura che provava nel suo cuore.
Chi era quell’uomo? Cosa voleva da lei?
Lui le aveva sorriso, da dietro il cappuccio.
-Voglio donarti quello che ti è stato negato.- aveva allungato una mano –Vieni con me.-
Non si fidava di lui. E lui lo aveva percepit. Da dietro il cappuccio brillavano due occhi gialli con sfumature rosse. Audrey li aveva osservati, come ipnotizzata: non avrebbe dovuto farlo.
Aveva percepito una strana sensazione nel suo cuore, sentimenti maligni, di vendetta. Una nube oscura era partita dagli occhi di quell’uomo ed era entrata nei suoi, di occhi, insediandosi nel suo cuore, facendo emergere il suo lato malvagio.
 
I never thought of myself as mean
I always thought I’d be the Queen
And there’s “no” in between
‘Cause if I can’t have that
Then I will be the leader of the dark and the bad
Now there’s a devil on the shoulder where the angels used to be
And it’s callin’ me the Queen of Mean
 
Lo aveva seguito fino al museo di Auradon, alla volta della teca dove era custodita la corona della regina di Auradon, destinata a Mal, ma sua di diritto.
L’uomo, che si era presentato come Xemnas, aveva fatto persino comparire dal nulla uno scettro, simile a quello di Malefica, dopo aver distrutto la teca con un proiettile laser.
-Una corona non è sufficiente a governare un regno, Audrey.- aveva spiegato Xemnas –Devi fare in modo che ti rispettino, ti temano. E niente è meglio della magia, per farsi temere e rispettare. Perché credi che Malefica sia così tanto temuta nel tuo mondo di provenienza? Per via della sua magia. Con questo scettro, tu sarai persino più potente di sua figlia. Nessun’altra oserà toglierti il trono e la corona che ti spettano di diritto. Sarai una regina potente e temuta. Il tuo regno sarà eterno.-
Non lo faceva per il suo bene. Gli serviva un cuore da corrompere, per distruggere Auradon e farla inghiottire nell’Oscurità.
E quale scelta migliore di un cuore affranto dall’ira, dall’invidia e dalla tristezza di non veder realizzati i propri desideri? Specie di una discendente di una Principessa del cuore.
Audrey, ormai corrotta, aveva accettato l’offerta. Aveva preso lo scettro dalle mani dell’uomo. Poi si era inchinata e lasciato che fosse lui a metterle la corona sulla testa.
 
I want what I deserve!
I want to rule the world!
Sit back and watch them learn
It’s finally my turn!
If they want a villain for a Queen
I’m gonna be one like they’ve never seen
 
Audrey ricordava con orrore ed imbarazzo quel giorno.
Sperò che fosse solo un sogno. Ma era tutto vero. Se non fosse stato per Mal e Uma, e anche per Ade, sarebbe stata malvagia per sempre.
Aveva lasciato che la sua delusione e la sua invidia la rendessero schiava dell’Oscurità. Xemnas, lo stesso uomo che successivamente aveva corrotto Carlos, spingendolo ad uccidere sua madre Crudelia, aveva corrotto anche lei.
-Audrey? Audrey!- il vocione di Yen Sid la riportò nella realtà.
Era nella Torre Misteriosa, di fronte a Yen Sid. Accanto a lei c’erano Ben e Chad. Erano stati chiamati tutti e tre dallo stregone. Sembrava avere delle notizie urgenti per loro. No, in realtà, era stata Audrey a chiedere di vedere lo stregone. E lui l’aveva mandata a chiamare, chiedendole di presentarsi in compagnia dei due ragazzi.
-Scusatemi, Maestro Yen Sid…- mormorò lei, con un filo di voce; aveva ancora lo sguardo assente.
Lo stregone si fece cupo e preoccupato nello stesso momento.
-Noto dell’inquietudine in te, giovane Audrey.- notò, con tono rassicurante –Qualcosa ti turba, forse?-
La ragazza si morse entrambe le labbra e strinse il pugno. Qualcosa la stava divorando dentro. Qualcosa che si teneva dentro da troppo tempo. E non riusciva più a trattenerlo.
-Maestro Yen Sid…- iniziò, come se fosse vicina a piangere –Capisco che abbiate permesso a Carlos e agli altri di diventare Custodi del Keyblade perché ve lo hanno chiesto. Ma… io non capisco… perché avete voluto anche me come apprendista? Anche noi? Soprattutto questo idiota?-
Stava indicando anche Chad. Lui le rivolse un’occhiata offesa.
-Ehi! Guarda che anche io ho dei sentimenti!- ribatté il figlio di Cenerentola.
Yen Sid abbassò lo sguardo per un attimo, chiudendo gli occhi. Poi li riaprì, fissi sui tre ragazzi.
-Perché voi tre, Benjamin, Audrey e Chad, siete figli di tre Principesse del cuore, custodi della Luce. E anche se ora hanno passato il loro potere ad altre Principesse, un giorno, il compito di preservare la Luce sarà vostro. Le vostre madri non vi hanno inviato ad Auradon solo per proteggervi dall’Oscurità, ma anche perché era il luogo per loro adatto per prepararvi a questo compito. Le vostre madri erano indifese, questo le ha rese facili prede per Malefica e Xehanort. Ma voi, divenendo Custodi del Keyblade, avrete più possibilità di proteggere i mondi dall’Oscurità, e, se sarete abbastanza forti, potrete persino ricostruire Auradon.-
Ben si illuminò.
-Ricostruire… Auradon?!-
-Ma come? Non si può costruire un mondo dal nulla.- fece notare, scettico, Chad.
-Un’antica leggenda racconta che, quando la luce venne inghiottita dall’Oscurità, pochi eletti, usando i frammenti di luce conservate nei loro cuori, furono in grado di costruire un nuovo mondo.- spiegò Yen Sid - Avrebbe dovuto esserci anche la figlia di Biancaneve con voi, ma, purtroppo, risulta scomparsa da quando il suo mondo è stato inghiottito dall’Oscurità. Ma voi tre sarete perfettamente in grado di svolgere il vostro dovere di futuri Principi e Principessa del cuore.-
Quella notizia sconvolse Audrey: lei, la prossima Principessa del cuore? Come sua madre?
Strinse di nuovo la mano a pugno.
-No… non posso…- mormorò, scuotendo la testa; i capelli rosa e azzurri ondeggiarono al suo movimento con la testa; alzò la testa, mostrando le lacrime che scendevano dagli occhi –Non posso essere come mia madre. Non posso essere la custode della Luce.-
Ben si stupì di quelle risposte. Chad non sapeva cosa dire.
-Audrey, cosa stai dicendo?- domandò Ben, preoccupato.
-Carlos non è stato l’unico a cedere all’Oscurità per colpa di quel tizio dell’OrganizzazioneXIII, Xemnas.- spiegò Audrey –Ricordate quando sono diventata malvagia e ho seminato il terrore ad Auradon? Mi sono fatta manovrare come un’idiota. Ero così cieca di invidia e di rabbia… per forza ero una preda facile per persone come lui. Mi sento anche io responsabile della distruzione di Auradon. Non mi sento nemmeno degna di possedere un Keyblade, figuriamoci di essere una Custode della Luce.-
Ben le mise una mano dietro la schiena.
-Audrey, ormai è acqua passata…-
-TI HO TRASFORMATO IN UNA BESTIA, BEN!- tagliò corto Audrey, con le sopracciglia aggrottate e le labbra serrate, nonostante le lacrime –E TU, CHAD, TI HO MALTRATTATO E RINCHIUSO IN UNO SGABUZZINO! HO LANCIATO L’INCANTESIMO DI SONNO A TUTTA AURADON E TRASFORMATO LA FATA SMEMORINA IN UNA STATUA! DITEMI! E’ FORSE UN COMPORTAMENTO CONSONO AD UNA PRINCIPESSA O, MEGLIO, AD UNA CUSTODE DELLA LUCE?!-
Nessuno dei due ragazzi sapeva cosa dire.
Ma Yen Sid invitò a tornare alla calma.
-Audrey…- iniziò; non sembrava arrabbiato –Comprendo il tuo stato d’animo. E comprendo i tuoi dubbi. Luce e Oscurità sono due lati della stessa medaglia. Anche all’uomo più buono del mondo può capitare di compiere atti malvagi, anche se agisce per il bene delle persone cui tiene. Non biasimare te stessa per le tue azioni e per il destino di Auradon. Hai comunque trovato il modo di redimerti e di pentirti, questo ti rende onore. E il tuo cuore è stato salvato appena in tempo dalla vera Oscurità, prima che tu avessi modo di compiere un’azione davvero maligna, persino peggiore di addormentare e trasformare le persone in statue. Senza contare che quello che hai fatto non dipendeva da te. Era tutto frutto della manipolazione di Xemnas.-
-No, invece dipendeva da me.- ammise Audrey, stringendo di nuovo il pugno –Io… lo sentivo… sentivo tutta la rabbia dentro di me. Volevo far soffrire tutti, non volevo che tutti fossero felici, mentre io soffrivo. Xemnas non c’entra niente. Quello che è successo è colpa mia.-
-Uno dei Custodi del Keyblade, da poco diventato Maestro…- riprese Yen Sid –Era esattamente come te. Aveva ceduto all’Oscurità e, come te, non si sentiva degno di essere un Custode del Keyblade. Ma ha affrontato il suo destino, la sua Oscurità, e ha accettato se stesso, con l’aiuto dei suoi amici. Audrey, puoi farlo anche tu. Devi solo avere fiducia in te stessa, avere il coraggio di perdonarti, e affidarti a Ben e Chad.-
I due ragazzi le stavano sorridendo, per confortarla, per esprimerle la loro vicinanza e la loro intenzione a compiere i loro doveri.
-Audrey, non devi avere paura.- la consolò Ben –Noi siamo qui. Non sentirti sola o inadeguata, perché non lo sei. Se facciamo quello che ci consiglia il Maestro Yen Sid, saremo in grado di proteggere i nostri mondi di provenienza. E non possiamo fallire. Ce lo abbiamo nel sangue. E’ il nostro dovere non solo da futuri custodi del Keyblade, ma anche come figli delle Principesse del cuore.-
Chad sorrise a quel discorso; non ottenne lo stesso effetto sull’interessata. Riprese a piangere, a mordersi le labbra, a scuotere la testa. Il suo cuore era pieno di dubbi.
-E’ ineccepibile.- mormorò, quasi battendo un piede per terra -Non posso essere una Custode della Luce solo perché lo è stata anche mia madre! No, non posso! Non posso!-
Era al limite: uscì dalla stanza dello stregone correndo e singhiozzando.
Ben e Chad si mossero nel tentativo di seguirla, ma Yen Sid li fermò con la sua mano e la sua voce.
-Lasciatela sola.- suggerì –E’ ancora confusa e sconvolta. Non potete obbligarla a percorrere un sentiero per cui non è ancora pronta.-
-Ma, Maestro Yen Sid…- protestò Ben.
-La cosa migliore da fare è lasciarla da sola e darle il tempo di riflettere e decidere il suo destino.-
-Ben, credo che il Maestro Yen Sid abbia ragione.- aggiunse Chad, storcendo la bocca. In realtà, non sapeva nemmeno cosa fare. –Non facciamo pressione su Audrey e lasciamo che decida da sola.-
Ben sospirò, ma accettò i consigli del maestro e dell’amico.
Un portale, nelle stanze sottostanti, aveva condotto Audrey nel mondo dove lei e gli altri si stavano allenando con i Keyblade.
Per fortuna, sbucò in un punto lontano dall’accampamento. Non voleva farsi vedere da Mal, Uma, e dagli altri in quello stato.
Si sedette su un tronco cavo, messo in orizzontale.
Aveva bisogno di piangere. Di stare da sola. Di riflettere. Di decidere cosa fare.
Non aveva scelto lei di allenarsi con il Keyblade. Era stata una decisione presa da altre persone. Fin da bambina non avevano fatto altro che dirle cosa fare e decidere per lei il suo futuro.
Ma ora quale era il suo futuro? Un futuro dove il dovere della madre sarebbe divenuto il suo nuovo fardello?
I suoi singhiozzi erano tali da non sentire il rumore di passi che si avvicinavano a lei, già quasi impercepibili dall’erba.
Evie.
Osservava Audrey con aria preoccupata e le dita intrecciate.
Si era nascosta dietro la porta dello spogliatoio per tutto il tempo in cui i tre figli delle Principesse del cuore avevano parlato con Yen Sid. Non sapeva perché, ma sentiva che non erano in arrivo buone notizie. Inoltre, Audrey si stava comportando in modo strano, quasi distaccato, da giorni. E finalmente aveva scoperto il motivo.
Aveva persino avuto un flashback, durante il discorso di Audrey, un ricordo della sua infanzia, l’immagine di un giovane che parlava con lei.
Era tornata nel mondo con il suo Specchio Magico.
Doveva parlare con Audrey. Voleva parlare con Audrey.
-Ciao, Audrey…- disse, con voce fievole, sedendosi accanto a lei, sistemandosi i capelli blu –Sai, so che non avrei dovuto, ma ho ascoltato la tua conversazione con il Maestro Yen Sid.-
Audrey alzò lo sguardo, verso la figlia della Regina Cattiva.
-Ora fai anche la spia, Evie?-
-No, da giorni non fai altro che comportarti in modo strano. Ero preoccupata. E ora so perché. E’ davvero frustrante, vero? La gente crede che sei in un certo modo solo perché un tuo genitore è così. E allora ti trattano come la versione in miniatura dei tuoi genitori ed è impossibile convincere la gente del contrario. E poi ti convinci anche tu che sei come i tuoi genitori e diventi carceriera del tuo stesso cuore.-
Quelle parole fecero incuriosire la figlia della Bella Addormentata. Era proprio come si sentiva lei. Le parve impossibile che fossero parole di una figlia di cattivi.
Audrey ed Evie non erano mai state amiche. Non avevano mai avuto un buon rapporto. Ma essere tra i superstiti della distruzione di Auradon aveva avvicinato tutti l’un l’altro. Evie ed Audrey comprese.
-Come fai a saperlo…?-
Evie sorrise con occhi tristi.
-Anche io ero così.- rivelò –Quando il mio patrigno morì, il regno passò a mia madre. Lei non era amata dal popolo, nemmeno dalla servitù e dalle guardie reali, specie da quando ha cominciato a mostrare segni di… Oscurità. Non ho mai compreso perché è divenuta malvagia. Ero troppo piccola per comprendere. Ma la cosa peggiore era che la gente teneva alla larga persino me. Dicevano che, visto che ero figlia di mia madre, io ero esattamente come lei. Solo Biancaneve continuava a parlarmi e vedermi, nonostante mia madre le avesse proibito di rivolgermi la parola. Lei è sempre stata così buona con me. Io… beh, ero una bambina viziata, protetta dall’ala di mia madre. Lo so che ha fama di essere la Regina Cattiva, ma con me non è mai stata cattiva o severa. Mi ricopriva di attenzioni, ma non di affetto. Ma io le volevo ugualmente bene. E mi andava bene come stavano le cose. Avevo sette anni, allora. Non mi rendevo conto della realtà delle cose. Ma poi, al castello, si era presentato un forestiero. Era molto bello. E alto. E aveva persino un Keyblade.-
 
Per Evie erano passati quasi dieci anni. Chissà quanti ne erano passati, nel suo mondo…
Evie, allora una bambina di sette anni, stava giocando con la sorellastra Biancaneve, come erano solite fare ad insaputa di Grimilde. Passavano ore ad intrecciarsi i capelli con i fiori, a giocare con le bambole, a leggere libri…
Una guardia era entrato nella sua cameretta e ordinato alla principessina di recarsi alla sala del trono, assieme a sua madre.
Evie, come figlia della regina, doveva assistere alle udienze della madre, anche se noiose.
Sedeva su un trono accanto a quello della madre, più piccolo, adatto ad una bambina. A volte si portava una bambola dietro, per giocare.
Ma quel giorno non si sarebbe annoiata.
Quel giorno, delle guardie avevano portato al cospetto della regina un giovane di circa diciotto anni, alto, brillanti occhi blu. I suoi abiti erano particolari, non erano come quelli dei popolani.
E non era venuto lì per una semplice udienza con la regina. Le guardie lo tenevano stretto per le braccia e costretto ad inginocchiarsi al suo cospetto.
Doveva essere un prigioniero.
Evie non aveva mai compreso il motivo della sua prigionia, ma l’aspetto l’aveva colpita molto. Specie i suoi capelli ed i suoi vestiti. Forse era un giramondo, pensò.
Aveva persino attirato l’attenzione del cacciatore, suo padre. E lui non si stupiva con poco.
Doveva conoscerlo, parlargli, vederlo più da vicino.
A cena, quella stessa sera, finse di stare male e si fece portare la cena in cameretta.
Attese che fosse scesa la notte, per scendere nelle prigioni, con il vassoio degli avanzi della sua cena in mano. Aveva rinunciato ad una parte della minestra e anche ai suoi panini per quel misterioso e affascinante forestiero. Chissà quante cose aveva da raccontare… delle storie per una cena. Poteva essere uno scambio equo. Magari poteva persino convincere la madre a renderlo suo servo personale.
Le prigioni erano fredde, umide e cupe. Evie aveva paura, ma era troppo curiosa per tornare indietro. Non badò neppure che il suo vestitino si sporcasse. E lei, esattamente come sua madre, teneva al suo aspetto e anche ai suoi vestiti.
-Signore…?- chiese, guardandosi intorno. Le celle erano vuote. Raramente la madre faceva prigionieri; condannava sempre a morte chiunque si muovesse contro di lei. Quel forestiero era stato fortunato.
-Signore?-
Udì un fruscio strano. E un’ombra si stava muovendo nella cella cui stava passando accanto.
-Chi c’è…?-
Quella voce profonda e improvvisa fece sobbalzare la bambina. Per poco non fece rovesciare la minestra.
-Non avere paura, piccola.- la confortò quella voce –Non ti farò del male. Scusami se ti ho spaventata. Cosa ci fa una bambina come te in queste prigioni?-
Se al suo posto ci fosse stato un popolano, Evie si sarebbe offesa e avrebbe risposto in malo modo, facendo ricordare alla persona davanti a lei che era una principessa e non era quello il modo in cui doveva rivolgersi a lei.
La tentazione era forte; ma lo sguardo di disprezzo era già disegnato sul suo volto.
-Io sono la principessa Evie.- si presentò, con sguardo altezzoso; poi si addolcì; non era lì per fare una predica; si abbassò, poggiando il vassoio per terra; per fortuna, messo con il lato più corto dalla parte della cella, riusciva a passare attraverso gli spazi –Ho pensato che avevi fame, quindi ti ho portato questo. Ma tu devi fare qualcosa per me.-
Oltre al vassoio, aveva portato anche una candela; le prigioni erano molto buie. Era puntata verso la cella.
Qualcosa si mosse nel buio: era il prigioniero. Si era avvicinato alle sbarre per prendere il vassoio. Il suo volto era molto vicino a quello della bambina.
Era davvero molto bello.
-Ti ringrazio, principessa Evie.- disse, sorridendo –Io sono Terra.-
Terra… un nome davvero inusuale, pensò Evie, quasi ridacchiando.
Ma non si sarebbe mai scordata di quel nome, tantomeno di quel volto.
Lo osservava mangiare: sembrava non aver mangiato da secoli.
Delle gocce di minestra caddero persino su quella strana casacca che aderiva al suo torace.
-Signor Terra, io ti ho dato la mia cena, ora tu devi fare qualcosa per me.- fece notare Evie, alzandosi.
Terra la osservò perplesso.
-Sì, qualunque cosa tu voglia.-
-Rispondi a delle domande. Sei un giramondo? Hai qualche storia da raccontare? Perché sei venuto qui? E perché la mamma ti ha messo in prigione?-
Lui si pulì la bocca con la mano.
-Wow. Quante domande. Siamo curiosi qui, eh?- ridacchiò –Diciamo che, sì, in un certo senso sono un giramondo. Purtroppo non ho molto da raccontare, solo che vengo da molto lontano. E questo porta alla tua domanda sul perché sia qui. In realtà, non sto girando il mondo per puro piacere. Sto cercando un uomo di nome Xehanort.-
Xehanort. Durante l’udienza aveva già sentito quel nome.
-E sono venuto a conoscenza che tua madre possiede uno Specchio in grado di dare ogni risposta. Ero giunto da lei per chiedere il suo aiuto, ma, come vedi, mi ha mandato in prigione.-
Evie sospirò. Distratta com’era dall’aspetto di Terra, non aveva colto granché dell’udienza.
-Sì, la mamma è fatta così. Si arrabbia con poco. Sei stato fortunato che non ti abbia condannato a morte.- si abbassò di nuovo, con la schiena poggiata al muro; sembrava triste e Terra lo intuì –Sgrida spesso la mia sorellastra Biancaneve, anche se non so perché, e ora l’ha resa persino una domestica. E le ha persino proibito di parlarmi.-
-E con te com’è?-
-Non è severa, con me. Ma nemmeno affettuosa. Però mi fa sempre dei bei regali e mi permette di girare liberamente per il castello.-
-Eppure non mi sembri molto contenta.-
-A nessuno piace la mia mamma. E nemmeno io piaccio alle persone. Deve essere per qualcosa che ho fatto, non lo so. Ma Biancaneve dice continuamente che io non ho fatto niente. È solo perché credono tutti che sono come mia madre e un giorno diventerò cattiva e vanitosa come lei, se diventerò regina. E io ho paura di diventarlo davvero. E forse la gente ha ragione a dirmi che sono come mia madre…-
Evie faceva il possibile per trattenere una lacrima che le stava per scendere da un occhio.
Terra aveva addentato un panino, quando udì la storia della piccola, e lo posò nuovamente sul vassoio. Cercò di avvicinarsi a lei, ma non poteva toccarla.
-Ehi, non essere triste.- le disse, gentilmente, per confortarla –Le persone dicono queste cose perché non ti conoscono, Evie. Mi hai dato da mangiare. Questo tua madre, per il poco che la conosco, non lo avrebbe fatto. Nessuno deve decidere al posto tuo cosa vuoi fare della tua vita o chi o cosa vuoi essere. Non lo devi permettere. Non badare a quello che dice la gente, tu puoi essere qualunque cosa tu voglia essere.-
Evie si voltò verso Terra, quasi sorridendo.
-Dici davvero?-
Lui annuì.
-Certo. Non devi avere alcun dubbio su questo.-
 
-E poi mi mostrò il suo Keyblade.- riprese Evie, sorridendo, ricordando quel giorno –Era la sua arma, mi disse. Mi raccontò la sua storia, i suoi poteri. Nel suo viaggio aveva incontrato delle creature che potevano essere eliminate solo con il Keyblade. Dovetti correre in camera mia, poi, perché mia madre stava scendendo verso le prigioni. Da quel giorno non vidi più Terra. Se sono scappata dal castello di mia madre, è stato anche perché volevo incontrarlo di nuovo.-
Audrey aveva ascoltato con interesse la storia di Evie.
“Chissà se questo Terra è in qualche modo collegato alla forestiera che ha aiutato mio padre contro Malefica…” pensò.
-Evie, cosa stai cercando di dirmi?-
-Che tu non sei obbligata a seguire le orme di tua madre. Come io non ero obbligata a seguire le orme della mia. Siamo libere, Audrey. Possiamo essere quello che vogliamo. Oggi Custodi del Keyblade, domani, chissà. Abbiamo tante scelte, di fronte a noi. E tu devi decidere la tua, quella che ti renderà felice.-
Una scelta… la scelta giusta. Audrey non ne era sicura. Non aveva mai avuto scelta. Diventare regina… era una decisione presa da altre persone, ma sentiva che poteva renderla felice e anche appagata. Xemnas le aveva offerto il potere, per farsi temere da Auradon. E ora Yen Sid aveva rivelato a lei, Ben e Chad che un giorno sarebbero divenuti i nuovi Custodi della Luce, come le loro madri prima di loro. Proteggere la Luce… combattere l’Oscurità…
No, non avrebbe mai più permesso ad altre persone di subire il suo stesso destino, nessuno avrebbe mai più ceduto all’Oscurità.
In quel breve lasso di tempo, Audrey accettò il suo destino. Lo faceva anche per il suo, di futuro.
-Forse ho esagerato a reagire in quel modo, con il Maestro Yen Sid.- ammise, con un po’ di imbarazzo –Ero ancora sconvolta dal mio trauma, e ho sbagliato a sfogarmi con lui. Ma ora so cosa devo fare. Mi darò da fare anche io per proteggere quello che mi rimane, e essere abbastanza forte da proteggere il mio mondo di provenienza. Ma per prima cosa, devo chiedere scusa a Ben e Chad. Grazie, Evie.-
La ragazza sorrise con un cenno della testa.
-Sì, torniamo dagli altri.- propose, alzandosi in piedi -Vorrei confrontarmi con te. Mettere alla prova il mio Keyblade.-
Audrey accettò la sfida, sorridendo anche lei.
-Ma certo, però sappi che ti batterò in un minuto.-
-Scopriamolo.-
Udirono degli spari, nel punto dove si erano raccolti i loro amici.
Il Keyblade di Carlos si era tramutato in un mitra portatile a canne mobili e stava sparando in direzione di Chad.
-Scappa, Chad! Come il vigliacco che sei!- urlò; ma la sua voce era coperta dal suono degli spari, altrimenti i suoi amici non avrebbero riso. Rideva anche lui, ma non per divertimento…
Anche il Keyblade di Chad aveva mutato forma: era una piccola balestra che ricordava un orologio e le frecce avevano la forma di lancette. Inoltre, aveva delle scarpe di vetro che gli permettevano di procedere a rasoterra, simulando un pattinatore. Si rivelarono utili per scappare dai proiettili.
-Ok! Ok! Carlos! Time out!- esclamava Chad, scivolando più veloce che poteva –Non vale! Avevamo parlato di uno scontro leale!-
Non aveva modo di contrattaccare: Carlos non glielo permetteva.
Gli altri ridevano, ma per il modo in cui correva Chad.
Non passò molto tempo, prima che nei loro volti si intuisse la preoccupazione.
L’espressione spaventata di Chad, mentre correva, non era paragonabile a quella che aveva quando aveva visto Audrey corrotta dall’Oscurità. Era la tipica espressione di una persona che temeva per la propria vita.
Inoltre, c’era qualcosa di strano nell’espressione di Carlos, mentre sparava. Sorrideva, ma malignamente. Uno sguardo spaventoso, sadico, cinico, come se… traesse gioia nel veder soffrire il prossimo per causa sua.
Non era più un allenamento. Era uno scontro all’ultimo sangue.
Ben scattò in avanti: il suo Keyblade divenne uno scudo blu con la cornice dorata, con al centro un rilievo dorato del volto di suo padre quando era ancora la Bestia.
Si mise tra Carlos e Chad.
-Carlos, basta! Adesso stai esagerando!- esclamò, facendo assorbire allo scudo tutti i proiettili del mitra di Carlos; attese il momento giusto per contrattaccare; la bocca della Bestia in rilievo si aprì, emettendo un ruggito che fece cadere il ragazzo dai capelli platino con la ricrescita nera.
Chad si era fermato: aveva trovato rifugio dietro un masso, ma si potevano ancora scorgere i suoi riccioli dorati.
Anche il resto del gruppo si alzò, preoccupati per Chad e, soprattutto, per l’atteggiamento di Carlos.
Questi si alzò, scocciato: il mitra era tornato un Keyblade nero e bianco.
-Cosa hai fatto, Ben?!-
-Così lo uccidevi!- fece notare Ben, preoccupato e serio nello stesso momento.
-Non avevi il diritto di intervenire!-
-Carlos, no!-
Carlos aveva alzato il Keyblade contro Ben, ma qualcosa bloccò il suo polso: era il Keyblade di Jay, tramutato in una frusta.
-Lasciami stare, Jay!-
Tentò persino di dare un pugno con la mano libera, ma Gil lo aveva fermato appena in tempo, bloccando il suo braccio. Per fortuna, era più muscoloso, quindi più forte di Carlos.
E, per sicurezza, Uma aveva bloccato persino le sue caviglie, con due suoi tentacoli, apparsi dalla coda del giacchetto di pelle.
-Lasciatemi! Ma che vi prende?!- si stava dimenando, ma gli amici non mollavano.
Suscettibile e violento.
Non si era mai comportato in quel modo. Era cambiato radicalmente da quando era tornato umano. Il vecchio Carlos era molto più mansueto e dolce. Cosa lo aveva reso così?
Lonnie e Doug erano accorsi da Chad, per soccorrerlo.
-Ha…! Ha cercato di uccidermi!- esclamò quest’ultimo, indicando Carlos con dito tremante.
-Sei fortunato a essere ancora vivo!- rispose Carlos, cercando di liberarsi.
-Carlos, calmati, ti prego!-
Jane era corsa da lui, mettendosi tra lui e Ben. Fra tutti era la più preoccupata.
Harry ridacchiava, confuso, ma anche divertito da quello a cui stava assistendo.
Mal, invece, era paralizzata. Non sapeva cosa fare. Non poteva folgorare l’amico.
-Ti senti quando parli?- riprese Jane, mantenendo la calma e osservando il suo ragazzo negli occhi –Non ti sei mai comportato così. Da quando ci stiamo allenando per diventare Custodi del Keyblade, non sei più lo stesso, Carlos.-
Restarono tutti in silenzio. Carlos aveva persino smesso di muoversi.
Fissava gli occhi chiari della sua ragazza in modo freddo, come se di fronte a sé non avesse una persona, ma un oggetto.
-Certo che sono cambiato…- mormorò lui; il suo tono era piatto, apatico –Ragazzi, vi rendete conto di quello che abbiamo perso? Avete dimenticato perché siamo qui? Perché voglio diventare un Custode del Keyblade? Io voglio proteggere il poco che mi è rimasto! E devo essere pronto a qualsiasi cosa, pur di farlo!-
-Anche a costo di uccidere uno di noi?-
-Umpf. Sarebbe stato un idiota in meno.-
-Ehi!- esclamò Chad, offeso.
Jane era sempre più preoccupata, anche Ben. E Mal, e Jay, tutti.
-Carlos, ti rendi conto quello che stai dicendo?!- fece notare la ragazza –Per proteggere quello che ti rimane stai rischiando di perdere quello che vuoi proteggere! Questo discorso non ha senso!-
Carlos si lasciò sfuggire una lieve risata malefica, come gesto di scherno nei confronti di chi aveva di fronte.
-Tu proprio non comprendi, vero, Jane? Nessuno di voi lo comprende! Ad Auradon, io avevo una vita! Avevo ritrovato mio padre, una persona che finalmente mi comprendeva, mi amava, era sempre lì per me! Non sapete cosa si prova a vedere il proprio padre morire di fronte ai vostri occhi! E so che ora è completo, ancora vivo! Io voglio diventare abbastanza forte da cercare e ritrovare mio padre, là fuori, nei mondi, setacciandone uno per uno, se necessario! E non mi lascerò fermare da voi!-
Mentre urlava, aveva dato uno strattone al polso destro, facendo barcollare e cadere Jay in avanti, poi una gomitata allo stomaco di Gil, che arretrò, mettendo una mano sul punto offeso, pestò uno dei tentacoli di Uma, che ritirò istantaneamente insieme all’altro, e spinse Jane in avanti, che cadde sull’erba insieme a Ben.
Evie ed Audrey avevano assistito a tutta la scena, impallidendo alla reazione di Carlos.
Mal soccorse Jay, mentre Harry fece la medesima cosa con Gil, smettendo di ridere.
Lo stavano guardando tutti terrorizzati.
Avevano di fronte un nuovo Carlos.
-Carlos…- mormorò Jane, ancora scossa dallo spintone ricevuto; era pallida in volto; indicava il proprio occhio sinistro –Il tuo occhio…-
Lui era sempre più irritato.
-Cosa il mio occhio?-
Evie aveva trovato il coraggio di avvicinarsi a lui: richiamò la sua attenzione, facendolo voltare verso di lei, e gli porse il suo Specchio Magico.
Lui lo prese senza timore.
Poi si specchiò dentro. Il suo cuore fece un battito fortissimo e anche lui divenne pallido.
-Oh, no…!-
Il suo occhio sinistro era diventato giallo! Come quello di suo padre Xigbar.
Per poco non fece cadere il piccolo specchio, sgomento.
Si guardò intorno, notando gli sguardi terrorizzati dei suoi amici.
Stava cambiando.
Il suo desiderio, il suo proposito di diventare più forte, lo aveva reso cieco. Non si era mai reso conto di ciò che stava causando. Agli altri. Soprattutto a se stesso.
Il suo occhio, misteriosamente diventato giallo, lo aveva destato dalla sua ipnosi.
Senso di colpa, terrore. Questo era ciò che stava provando.
Vide Jane, ancora per terra, con lo sguardo terrorizzato.
Una lacrima scese dall’occhio marrone. Poi ne scese un’altra da quello giallo.
-Perdonatemi…- mormorò –Io… io voglio… io volevo solo… rivedere mio padre…-
Non raccolse il suo Keyblade: corse verso i boschi, nascondendo il volto tra le mani, continuando a singhiozzare.
Jane si era alzata, con l’intenzione di seguirlo. Ma Ben la fermò.
-No, Jane, lascialo solo.- le suggerì.
Lei non voleva lasciarlo solo, ma non aveva altra scelta.
Nello spiazzo, il tempo sembrava essersi fermato. Nessuno osava muoversi, o parlare.
Anche Audrey era sconvolta. E preoccupata per Carlos.
Si avvicinò a Evie.
-Cosa ti ha detto quel tizio, Evie? “Non badare a quello che dice la gente, tu puoi essere qualunque cosa tu voglia essere”? Lui sembra già aver deciso la sua strada…-

-----------------------------------

Queen of Mean: https://www.youtube.com/watch?v=r9o1QS-itsU
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** "Io voglio comunque provarci!" ***


6° mese: Kingdom Hearts Coded
Tema: "Al diavolo: io ci provo!"

----------------------------------

-Bene. Jay, Lonnie, potete tornare indietro!-
Si erano sistemati tutti in una stanza della Torre Misteriosa, una stanza che Yen Sid aveva messo a disposizione per i suoi nuovi allievi per un allenamento speciale.
Carlos e Doug erano di fronte a due computer. Carlos aveva una benda all’occhio, precisamente sull’occhio giallo, su consiglio di Yen Sid.
Per evitare incidenti come quello avvenuto con Chad, Yen Sid decise che era giunto il momento per un addestramento speciale per i novelli Custodi del Keyblade. Tale decisione era stata presa anche per distrarre Carlos dal suo turbamento, e tentare, almeno, di distoglierlo dalla sua Oscurità.
Oltre ai due computer, c’erano anche due letti, su cui erano sdraiati Jay e Lonnie. Delle fasce cingevano le loro fronti e i loro occhi erano chiusi.
Sui due schermi erano presenti i due ragazzi, con i loro Keyblade in mano. E si trovavano nello stesso mondo in cui avevano risieduto fino a una settimana prima. No, la sua ricostruzione nel mondo dei dati, creato da Carlos e Doug. Essendo i più bravi con i computer, avevano ideato loro stessi l’algoritmo, la programmazione, la struttura, tutto quanto. Prendendo come base i mondi che conoscevano (i mondi natali, Auradon, il bosco), avevano creato un mondo virtuale.
E le fasce collegavano la mente del volontario al computer, in modo da creare una loro proiezione nel mondo virtuale.
Era un allenamento che piaceva persino ad Harry: da quando aveva ottenuto il suo Keyblade, non piangeva più il suo uncino. Anche perché la lama del suo Keyblade era un uncino.
Bastò solo che Doug e Carlos digitassero una serie di codici che Jay e Lonnie riaprirono gli occhi: le loro proiezioni virtuali svanirono nel nulla.
Per i due ragazzi era come avere avuto un sogno.
Gli unici a non poter entrare erano proprio Doug e Carlos, essendo i due programmatori: Doug non era portato per le armi e Carlos non doveva esercitare alcuna forma di violenza, fino a quando non avrebbe fatto svanire l’Oscurità dal suo cuore.
Era da una settimana che non sorrideva più: era sempre serio, furioso, turbato. Jane era sempre più preoccupata per il suo Carlos. Faceva il possibile per supportarlo e restargli vicino, con la promessa di aiutarlo a liberarsi della sua Oscurità. E Carlos, anche se non lo dimostrava, lo apprezzava.
-Bene, avete visto tutti come ho sistemato quei mostri!- si vantò il ragazzo di Agrabah, mostrando i muscoli.
Lonnie lo osservò con sguardo buffo.
-Sei serio? Ma se ne ho eliminati più di te.-
-Saranno i nostri tecnici a deciderlo. Allora? Chi ha eliminato più virtual-Heartless?-
Erano stati creati anche proiezioni degli Heartless, forse per motivare i ragazzi a sviluppare i poteri dei loro Keyblade, per vendicarsi della sorte di Auradon.
-Ragazzi, non è una gara.- fece notare Evie, appoggiata alla sedia dove sedeva Doug.
-Ok, c’è tempo per un’ultima simulazione.- avvertì il ragazzo occhialuto –Chi si offre volontario?-
Mal, sorridendo, si fece avanti.
-Vado io.-
-E io con te.- aggiunse Ben, anticipando Uma.
Stava per fare un passo avanti, ma il figlio di Belle era stato più veloce di lei.
-Oh, volevo andarci anch’io!-
-Scusami, Uma.- fece Ben –Domani vi farò andare insieme. Volevo solo confrontarmi con la mia ragazza.-
Comprensibile. Ma per Uma disgustoso e sdolcinato.
-Guardate che se volete sbaciucchiarvi, vi vediamo, lo sapete?-
Tale osservazione fece arrossire Ben.
-Cosa?! Ma… io non…!-
Ridacchiarono tutti, anche Mal.
Uma gli diede un colpetto sulla spalla.
-Ti stavo prendendo in giro, Vostra Maestà. Andate e divertitevi.-
Mal e Ben si sdraiarono sui due letti, mettendo le fasce sulle loro fronti.
-Pronti?- iniziò Doug, mentre digitava sulla tastiera del computer; lo stesso fece Carlos –Ora rilassatevi. E… via!-
Ben e Mal chiusero gli occhi.
Doug si fece inquieto. Anche Carlos.
-Ma cosa…?- fece il primo.
-Ehi, che succede?- fece Jay, avvicinandosi ai due schermi; anche il resto dei ragazzi lo seguì.
In entrambi gli schermi erano comparse delle interferenze. A brevi intervalli l’una dall’altra.
-Non… non lo so…- si scusò il ragazzo occhialuto –Qualcosa ha interferito con il sistema. Come se fosse entrato un virus. Non mi piace. Dobbiamo far tornare Ben e Mal!-
Entrambi gli informatici digitarono i codici di uscita, ma non funzionarono.
-Doug! Non riesco ad accedere nel database di Mal!- avvertì Carlos, preoccupato per l’amica.
-Nemmeno io in quello di Ben! Il sistema ha inibito i nostri comandi! Dobbiamo disattivare il programma!-
-E’ inutile, Doug! Non riconosce più i codici!-
-Ne ho abbastanza di queste diavolerie tecnologiche!- commentò Uma, innervosita da quella situazione –Harry, Gil, rimuovete quelle fasce da Mal e Ben!-
-Uma! No!- la fermò Doug –La separazione manuale e repentina dal mondo virtuale potrebbe causare danni mentali permanenti! Mal e Ben potrebbero vivere come vegetali per tutta la vita, nel migliore dei casi.-
-E quindi che significa?- aggiunse Audrey, preoccupata.
-Che, mi spiace dirlo, ma Ben e Mal sono prigionieri nel mondo virtuale.-
-Oddio! Mal! Ben!- esclamò Jane.
Erano tutti preoccupati. E circondati intorno ai due schermi.
Il mondo virtuale creato da Doug e Carlos non era più sotto il loro controllo. Era come se un virus si fosse introdotto. Ma loro avevano creato anche un efficiente antivirus, mentre programmavano i computer.
Era un’ipotesi impossibile. Ma non sapevano come spiegarsi quell’imprevisto.
-Cosa ne sarà di Mal e Ben?- domandò Evie, impotente, turbata dal fatto di non poter salvare la sua migliore amica –Cosa possiamo fare?-
Carlos sospirò, mettendosi comodo sulla sua sedia.
-Non ci resta che aspettare e sperare che stiano bene.-
“Sperando che non compaiano frammentati.” pensò, ma non disse per non far allarmare ulteriormente gli amici.
Non ci furono conseguenze nel viaggio di Ben e Mal nel mondo virtuale.
Quando si risvegliarono, erano dentro un mondo. Ma notarono subito qualcosa di strano: non erano mai stati in quel mondo.
Erano all’interno di un colonnato, e stavano camminando sulla sabbia. Di fronte a loro c’era un portone con due statue che incrociavano le proprie strade.
-Ma… dove siamo?- mormorò Mal, confusa.
-Io lo so.- rivelò Ben –Secondo il libro di geografia dei mondi, questo deve essere il Monte Olimpo.-
-Il Monte Olimpo?!-
La proiezione del mondo natale del padre di Mal, Ade. Non era il vero Monte Olimpo. Erano in un computer.
Sentirono entrambi dei rumori provenire dalle loro orecchie.
-Mal? Ben? Ci sentite?- era Doug.
Tra i codici, Carlos e Doug ne avevano inserito uno per installare un comunicatore nelle orecchie dei volontari del mondo virtuale, per contattare il mondo reale, ovvero i due programmatori.
-Sì, forte e chiaro.- rispose il figlio della Bestia.
I ragazzi fecero un collettivo sospiro di sollievo.
-Meno male. E’ stata dura, ma siamo finalmente riusciti a connettervi con voi.-
-Cosa è successo?- aggiunse Mal –Questo mondo è diverso dal solito. Non ricordo di esserci mai stata. O qualcuno di voi.-
-C’è stato un problema.- spiegò Carlos –Non sappiamo esattamente cosa sia successo, ma credo che si sia introdotto un virus, nel programma. E questo ha causato degli effetti collaterali all’intero sistema. Non riusciamo nemmeno a svegliarvi.-
Questo spiegava il motivo per cui si trovavano in un mondo che non conoscevano. E perché Mal e Ben non potevano essere risvegliati.
-Faremo il possibile per tirarvi fuori.- concluse Carlos, dopo le spiegazioni -Voi state attenti a non farvi eliminare. In queste circostanze, potreste non risvegliarvi più.-
Ben si voltò di scatto, allarmato.
-Sssh! Arriva qualcuno!- avvertì, sottovoce. Tirò Mal verso una colonna, dove si nascosero.
Una persona stava uscendo dal portone con le statue: un ragazzo di circa quattordici anni, dai capelli bruni appuntiti e un completo rosso.
-Quello chi è? Magari può aiutarci.- ipotizzò la ragazza.
Ben lo squadrò, poi alzò le sopracciglia.
-E’ incredibile! Corrisponde alla descrizione!- realizzò –Mal, lui deve essere Sora, il ragazzo di cui mia madre e mio padre mi hanno parlato, il ragazzo che li ha salvati alla Fortezza Oscura e contro il tizio con il cappotto nero.-
Anche Mal si stupì.
-Sora?! Quel Sora?! E cosa ci fa qui?-
-Non lo so. Ma di una cosa sono certo: se lui è qui, può riportarci nel mondo reale. Però è strano. Mia madre me lo ha descritto più alto e con un altro tipo di abbigliamento. E non ci sono Paperino e Pippo con lui.-
-Ehi, sta arrivando qualcun altro!-
Sora si era avvicinato ad un altro portone, ma qualcosa lo aveva bloccato e fatto indietreggiare. O meglio, qualcuno. Un gatto obeso e vestito di nero.
Mal aprì la bocca dallo sgomento. O dalla sorpresa. Anche Carlos, dal mondo reale, provò la stessa sensazione.
-Pietro?!- esclamarono, all’unisono.
-Mal, conosci quel tizio?- domandò Carlos, stranito, come il resto degli amici.
-Certo che lo conosco! Se non era Diablo a gracchiare per ogni volta che mettevo il naso fuori dalla mia stanza, lo era quel gattaccio grassone. E tu come fai a conoscere il leccapiedi di mia madre?-
-Chi credi abbia chiamato mia madre per spedirmi nell’Isola degli Sperduti?-
-Una volta l’ho visto con mio padre.- informò Jay.
-Pure io con il mio.- aggiunse Harry
-Anche mia madre lo conosce.- Jafar, Uncino ed Ursula, infatti, avevano avuto a che fare con Pietro, in passato, nel primo viaggio di Sora, reclutati da Malefica.
-E se lui è qui, vuol dire che…- Mal interruppe il suo discorso, illuminandosi –Ben, dobbiamo seguirli!-
-Sono d’accordo con lei, Ben.- suggerì Carlos, digitando qualcosa al computer, con Doug –Rilevo qualcosa di particolare in Sora. Doug ed io vedremo di scoprire di più a proposito. Ma forse può aiutarvi.-
-Sì, chiaro.-
-E state attenti.- avvertì Evie, premurosa, parlando nel microfono di Doug.
Non avevano sentito molto dalla conversazione tra Pietro e Sora, ma entrambi erano diretti verso un portale fatto di dati. Dovevano correre anche loro, per non rimanere intrappolati in quel mondo digitale.
Carlos e Doug stavano facendo il possibile per liberare gli amici da quella trappola digitale, in più scoprire qualcosa in più sull’anomalia e su Sora, in particolare come fosse entrato nel mondo digitale e se davvero fosse stato in grado di aiutare Mal e Ben.
I due ragazzi riconobbero il posto in cui erano stati teletrasportati: Agrabah. Il mondo natio di Jay. Anche quello era stato creato dai due amici informatici.
Notarono subito Sora in compagnia di Aladdin, Jasmine e del padre di Jay, Jafar.
-Laggiù!- urlò Ben –Dobbiamo aiutarlo!-
Qualcosa li ostacolò: Heartless. E strane scatole dotate di zampe di ragno.
-Cosa sono questi?! Carlos? Doug?-
-Noi non c’entriamo niente, Mal!- chiarì Doug.
-Deve far parte del virus che ha colpito i nostri computer! Non possiamo fare niente!-
-Allora dovremo cavarcela da noi!- dedusse Ben, mettendosi in posizione di combattimento.
Insieme, sconfissero i loro avversari, ma era troppo tardi. Jasmine e Jafar erano scomparsi. Anche Sora. E Aladdin era bloccato.
-Mio padre ha usato una copia della lampada per bloccare il tempo!- spiegò Jay, dal microfono di Carlos –Sora è l’unico ad essere rimasto impassibile! Ora lui è diretto alla Caverna delle Meraviglie!-
-La Caverna delle Meraviglie?-
-Come ci arriviamo?- domandò Ben.
-Sto cercando di collegarmi al server in cui è collegato a Sora, così da aggiornarvi sui suoi movimenti e per inviarvi le sue coordinate.- annunciò Doug; solo il computer di Carlos stava trasmettendo le immagini dei due amici; in quello di Doug c’erano solo delle file di codici che lui stesso stava digitando; poi, finalmente, trovò Sora –Fatto! Vi invio un segnale dove potrete trovarlo.-
-Grazie, Doug.- ringraziò Ben –Andiamo, Mal.-
-Sbrigatevi!- incitò Carlos –Sora non se la sta passando bene! Potrebbe essere in pericolo!-
Faceva strano, per lui, rivedere e quasi aiutare “l’assassino” di suo padre. Ma non era il momento per rimuginare sul passato: Mal e Ben avevano bisogno di aiuto.
Questi trovarono il segnale lasciato da Doug: una colonna luminosa.
Raggiunsero la Caverna delle Meraviglie. Notarono delle persone all’esterno di essa.
C’era Pietro, con una donna dalla veste lunga e nera. E Sora era in compagnia di un ragazzo dai capelli argentei e un topo gigante.
-Dannazione!- imprecò Carlos, osservando lo schermo di Doug, collegato al server di Sora –Sono arrivati tardi!-
Il ragazzo dai capelli argentei, all’improvviso, venne circondato da un alone nero, dopo aver tentato di aggredire la donna dalla veste nera.
Mal impallidì; uscì dal suo nascondiglio e corse in quella direzione. Ben, sorpreso, la inseguì.
-Questo ragazzo è sotto il mio controllo, ora.- sibilò la donna –Sono fiduciosa che mi sarà di grande aiuto.-
-MAMMA!-
Quell’urlo attirò l’attenzione di tutti.
Soprattutto nella donna e in Pietro.
-Mal?!- esclamò, sgomenta –Cosa… cosa fai qui?!- le guardò una mano –E possiedi un Keyblade?!-
-Ti prego, fermati! Lascialo andare!- implorò la ragazza, ansimando dalla corsa.
Il più sgomento di tutti fu Topolino, però. E Sora.
-Aspetta… hai detto “mamma”?!- esclamò il primo, rivolto a Mal, ma non fu ascoltato.
Malefica era bloccata alla vista della figlia: non aveva più sue notizie da anni. L’aveva ormai data per morta. Fu quasi come vedere un fantasma. Non sapeva cosa dire.
Per fortuna, intervenne Pietro.
-Mally cara!- salutò, con tono di scherno; Mal lo fissò minacciosa; odiava essere chiamata “Mally” –Come sei cresciuta! E che bel Keyblade che hai! Ci piacerebbe tanto discorrere con te, ma, sai, come al solito, tua madre ed io abbiamo i nostri piani di conquista e abbiamo poco tempo. Quindi, tante belle cose! Anche a voi, perdenti!-
Con questo saluto, lui si teletrasportò in un portale di dati. E Malefica scomparve con Riku in una fiamma verde e nera. Osservò la figlia negli occhi un ultimo istante, in un misto di stupore ed indifferenza.
-Riku, no!- esclamò Mal.
Sora stava correndo in loro direzione, per tentare di salvare Riku. Ma era ormai senza Keyblade: era stato distrutto da Malefica.
Non era riuscito a proteggere l’amico. Si sedette sulle sue ginocchia.
-E’… sparito…- mormorò, abbassando lo sguardo. Non riuscì nemmeno a sentire la mano di Topolino toccargli la spalla.
Ben e Mal restarono immobili. Non sapevano cosa dire. O fare.
Mal aveva di nuovo visto sua madre. Viva. Non era sicura se fosse anch’ella una proiezione del mondo virtuale. Lo stesso pensava di Pietro. Ma la sua era solo sorpresa e sgomento. In fondo, madre e figlia non avevano mai tenuto molto l’una nell’altra.
Ben fece un passo avanti, incredulo.
-Chiedo scusa…- disse al topo, con un filo di voce –Ma voi non siete re Topolino?-
Topolino osservò i due ragazzi, curioso e sospettoso.
-Sì, sono io. Voi chi siete? Come siete arrivati qui?-
Ben si inchinò, invitando Mal a fare la stessa cosa.
-Oh, perdonatemi. Non vi avevo riconosciuto.- si scusò il ragazzo –Il mio nome è Benjamin. Sono il figlio di Belle e Adam, che voi e Sora, probabilmente, avete conosciuto come Bestia. E lei è Mal.-
-La figlia di Malefica?- tagliò corto Topolino, avvicinandosi a loro; persino Sora si voltò per guardarli; era impensabile, per lui, che una persona come Malefica avesse generato prole.
-Vorrei chiedervi come siete finiti qui…- constatò –Ma questo non è il luogo adatto per parlare. Venite con me.-
Mal e Ben furono condotti al Castello Disney, precisamente nella biblioteca. Lì conobbero Paperino e Pippo, sorpresi anche loro di conoscere il figlio di Belle e la Bestia, ma sgomenti di scoprire che Malefica avesse avuto una figlia.
Entrambi i gruppi diedero spiegazioni sulla propria condizione, ottenendo varie risposte.
-Quindi volete dire che questo Sora è un Sora creato con i dati?- dedusse Ben, indicando Sora, che stava nell’angolo, ancora sconsolato per la perdita di Riku e del suo Keyblade.
-E Riku non era il vero Riku, ma la proiezione del Grillario…?- aggiunse Mal, abbassando lo sguardo. Se lo avesse ritrovato non l’avrebbe riconosciuta, in quanto non era il vero Riku, e questo la intristì. Dal primo momento in cui aveva ottenuto il suo Keyblade, Mal bramava di rivedere l’amico e mostrarglielo, per dimostrargli che era diventata forte, persino più di sua madre.
-E non sapete come tornare nel mondo reale?- concluse Topolino, pensieroso; un problema che avevano entrambi.
-In realtà, no.- rispose Ben –Pensavamo che Sora potesse aiutarci…-
Sora rimase in silenzio. “E come posso aiutarvi senza un Keyblade?!” avrebbe voluto dire, ma lo pensò e basta.
-Quindi siamo di nuovo al punto di partenza…- sospirò il re. Anche Paperino e Pippo sospirarono, scoraggiati.
In quel momento, lo schermo del computer lì presente, da immagini dei mondi visitati dal Sora virtuale, presentò delle interferenze.
I tre abitanti del castello si allarmarono. Anche Ben e Mal.
-Sì… sì…- udirono; era la voce di un ragazzo; poi le interferenze svanirono, mostrando un ragazzo dai capell bianchi con la ricrescita nera e una benda sull’occhio e cuffie alle orecchie, circondato da suoi coetanei –Finalmente sono riuscito a collegarmi! Mal, Ben, mi sentite?-
I due ragazzi si misero di fronte allo schermo.
-CARLOS!- salutarono, felici di vedere gli amici;  il sentimento fu ricambiato.
Topolino, Paperino, Pippo e Sora erano confusi.
-Vostra Maestà…- spiegò Ben –Loro sono i nostri amici.-
Dopo le presentazioni, Doug prese la parola.
-Mal, Ben, abbiamo scoperto come farvi tornare nel mondo reale.- rivelò. I due amici si osservarono, sorridendo.
-Ma c’è un problema.- aggiunse Carlos -La chiave è il Riku virtuale.-
Il sorriso si trasformò in un’espressione preoccupata.
-Tua madre ha preso Riku.- ricordò Ben, rivolto a Mal.
-E’ vero…- abbassò lo sguardo per poco tempo, per poi rialzarlo -Doug, Carlos, per caso avete scoperto dove l’hanno portato?-
-Per fortuna, sì.- rispose il ragazzo trasmesso nello schermo -In questo mondo.-
Inviò un’immagine al computer di re Topolino.
-Conosciamo quel mondo!- rivelò Paperino –E’ la Fortezza Oscura!-
Mal sentì il suo cuore sobbalzare a quel nome: il luogo dove Ansem l’aveva rinchiusa. Non l’aveva mai visto dall’esterno. Solo all’interno.
Ben intuì lo stato d’animo della sua ragazza.
-Mal…-
-Sto bene.- rassicurò lei, determinata.
Paperino sobbalzò urlando, tanto che persino il cappello fece un balzo in alto con capriola, per poi tornare in testa al suo possessore
-Ehi! Sora è sparito!-
Si voltarono tutti verso il punto in cui Sora si era messo: era vuoto.
-Si sarà diretto alla Fortezza Oscura!- ipotizzò Topolino, preoccupato.
-Infatti è così.- rivelò Doug, digitando sul suo computer –In questo momento si trova nella Cascata Inversa. Ed è faccia a faccia con Pietro.-
-Ma non ha un Keyblade!- fece notare Pippo, avanzando di un passo verso il portone, da cui, forse, era uscito Sora –Dobbiamo cercarlo!-
-No!- lo fermò Mal; indicò se stessa e Ben –Lo faremo noi.-
I tre abitanti del castello non si opposero alla loro decisione, ma erano comunque preoccupati.
Il più preoccupato, però, era Ben.
-Mal… potrebbe essere pericoloso.- mormorò, prendendole amorevolmente le braccia -Non sappiamo cosa potrebbe accaderci.  Potremo non essere più in grado di tornare nel mondo reale, se qualcosa, lì dentro, ci eliminasse.-
-Non mi interessa!- protestò lei -Io voglio comunque provarci! Non possiamo stare qui con le mani in mano! L’unico modo per tornare nel mondo reale è Riku, e lui è in pericolo! E Sora ha bisogno del nostro aiuto! Hanno entrambi bisogno di noi, Ben! Dei nostri Keyblade!-
-Mal ha ragione, Ben…- aggiunse Topolino, supportando la ragazza –In queste circostanze, voi siete gli unici in grado di salvare Sora e Riku. Forse è per questo che i nostri programmi si sono incrociati. Questi Sora e Riku saranno pure proiezioni digitali, ma, non so perché, è come se una parte dei loro cuori sia dentro di loro. E questi frammenti di cuore vi hanno inviato una richiesta di aiuto.-
Anche Doug e Carlos udirono le parole del re.
-Un’ipotesi che va contro ogni legge scientifico-informatica…- commentò il primo, continuando a digitare sul computer –Ma non impossibile.-
-Lasciate che venga con voi.-
-No, Maestà. E’ più sicuro se voi tutti rimanete qui.- informò Ben, fermando il topo –Abbiamo bisogno di qualcuno che rimanga qui per ogni evenienza, o se dovessero rivelarsi altri problemi con il programma. I nostri amici vi aiuteranno.-
Topolino sospirò, ma comprese.
-Va bene, ma state attenti.-
-E riportateci Sora sano e salvo.- implorò Pippo.
Ben gli sorrise.
-Sì, lo faremo.-
Il portale di dati li condusse direttamente nel salone della Fortezza Oscura, dove trovarono Sora, disarmato, di fronte a degli Heartless. Non poteva fare nulla, neppure combattere.
-Sora!-
Quasi si spaventò a vedere i due ragazzi spuntare alle sue spalle e sconfiggerli con i loro Keyblade. Erano diversi dalla sua Catena Regale: quello della ragazza aveva la forma di un drago nero, quello del ragazzo aveva delle graziose decorazioni dorate e la testa della Bestia ruggente come lama.
Bastò un colpo per eliminare gli Heartless. I tre ragazzi rimasero da soli.
-Ehm… Ben e Mal, giusto?- fece Sora, leggermente imbarazzato –Grazie.-
-Sei impazzito?!- esclamò la ragazza, preoccupata –Venire qui senza un Keyblade?! Hai la vaga idea di cosa poteva succederti, se non fossimo intervenuti.-
-Sì, lo so, ma… volevo solo salvare Riku. Però avete ragione anche voi. Topolino vi ha chiesto di riportarmi al castello?-
-No.- rispose Ben, mettendogli una mano sulla spalla –Siamo venuti per aiutarti e per salvare Riku.-
Non era la risposta che Sora si stava aspettando.
-Davvero…?-
-Certo che sì. Vedi, forse tu non lo sai, ma il “te” reale ha salvato i miei genitori più di una volta, in passato. Devo restituirti il favore.-
Anche Mal gli sorrise, mettendogli un braccio sulle spalle.
-E Riku è anche mio amico. E gli amici di Riku sono anche i miei amici.- rivelò, facendo sorridere il ragazzo bruno.
-Lo stesso vale per me. Andiamo! Pietro è andato in questa direzione!-
Seguendo anche le indicazioni di Carlos e Doug, i tre ragazzi raggiunsero il salone dove, anni prima la madre di Ben era stata imprigionata insieme alle madri di Audrey e Chad, la sorellastra di Evie, l’amica d’infanzia di Jay, insieme ad Alice e Kairi, il resto delle Principesse del Cuore.
Il gatto era proprio lì.
-Arrenditi, Pietro! Non hai più scampo!- esclamò Sora, alzando i pugni, in posa da combattimento.
Era intrappolato: negli altri lati del soppalco erano apparsi persino Mal e Ben, con i loro Keyblade puntati verso di lui.
Ma non provò timore. Anzi.
-Ah! Non riuscivi a combinare niente senza il tuo giocattolo a chiave così ti sei portato dietro la piccola Mally e il suo amato principino. Peccato che non servirà a niente!-
Avevano tutti una questione personale contro Pietro: anche Ben.
-Tu hai rapito mia madre, non è così?- fece, serio in volto.
Pietro lo fissò a lungo. Poi sorrise.
-Oh, ora noto la somiglianza.- notò, sorpreso e divertito -Tu sei il figlio di Belle. Vuoi vedere come ho rapito la tua mammina?-
Allungò entrambe le mani: una dozzina di Shadows apparve intorno a lui.
Mal arretrò di un passo.
-Può invocare gli Heartless?!- esclamò.
Non fu un problema eliminarli. Peccato, però, che si rivelarono essere un diversivo dal vero obiettivo di Pietro: rise, osservando Sora con la coda dell’occhio.
-E non finisce qui!-
Alzò di nuovo le braccia: non apparvero altri Heartless, ma scatole nere con segni rossi. I bug.
Erano tutti contro Sora.
Ben scacciò l’ultimo Heartless; per fortuna, guardò indietro, notando il pericolo.
-Sora!-
Corse verso di lui, spingendolo in avanti.
I bug lo stavano per attaccare. Ma non lo presero. Sora cadde di lato, illeso.
Ma i bug avevano già preso una vittima.
-Ben!- esclamarono Mal e Sora.
-BEN!- si unirono dal mondo reale, preoccupati, con qualche urlo di terrore.
Anche il gruppo del castello Disney si allarmò.
I bug stavano circondando Ben, senza toccarlo. Era circondato da un incantesimo Reflex. Faceva il possibile per resistere.
Sora e Mal corsero da lui, cercando di separare i bug dal campo di forza del ragazzo.
-Resisti, Ben! Ti tireremo fuori!- esclamò Mal.
-No!- esortò lui, parlando sotto sforzo -Pensate a Pietro e trovate Riku!-
Pietro soffiò dal naso, infastidito.
-Davvero rischieresti la vita per un mucchio di dati, principino?- schernì.
-Sora non è solo un mucchio di dati, Pietro!- rispose Ben –Non è quello vero, ma mi fa ugualmente ricordare il bene che ha fatto ai miei genitori. E io ho promesso a me stesso che avrei ricambiato il favore al loro posto! Sora è il mio idolo! Il mio desiderio è diventare come lui! Quindi sì, mi sacrificherò volentieri per lui! E per Mal! E per i miei amici! I miei amici sono la mia forza!-
Era per questo che Mal si era innamorata di lui: per il suo coraggio nelle situazioni di emergenza. E Sora si sentiva onorato delle sue parole.
L’ultima frase suonava familiare nelle orecchie di Sora. “I miei amici sono la mia forza”.
Ma Pietro era sempre più infastidito.
-Bah, odio queste smancerie da eroi!- sbuffò –Vi riempite di belle parole solo per darvi forza. Siete davvero bravi a parlare, ma le vostre belle parole quanto vi salvano dai pericoli? Vediamo se la tua cosiddetta “forza” ti salverà, principino!-
Mal era sempre più furiosa: strinse la mano a pugno. Si illuminò di scintille elettriche. E i suoi occhi si illuminarono di verde.
-CHIUDI LA BOCCA!- urlò, scagliando un fulmine contro Pietro. Lo colpì in pieno, facendolo volare verso il muro, per poi cadere.
I bug erano invincibili: Mal e Sora non riuscivano a separarli.
Nel mondo reale erano tutti preoccupati.
-Oh, no, Ben!- esclamò Audrey.
-Che possiamo fare?!- aggiunse Doug, cercando tra i codici.
-Andiamo noi!- propose Topolino –Insieme riusciremo a salvare Ben!-
-No, non arrivereste in tempo!-
Anche Carlos stava cercando tra i codici, alla ricerca di una soluzione. Erano entrambi in un vicolo cieco. E Ben non avrebbe resistito a lungo.
Tuttavia, sentì come una voce nella sua testa.
“Possa il tuo cuore essere la tua chiave guida”.
Sapeva cosa fare!
-Doug, sei ancora nel database del castello Disney?- domandò al ragazzo occhialuto.
-Sì, perché?-
-Scusami, sarà solo per un attimo!-
Si mise alla sua postazione, senza sedersi.
Cominciò a digitare qualcosa: un altro codice. Il suo occhio marrone si muoveva nevroticamente su tutto lo schermo. Voleva togliersi la benda, per vedere meglio, ma non voleva allarmare il gruppo del castello, riconoscendo in lui come progenie di un loro nemico.
-E dai, e dai, e dai…!- mormorava di continuo; poi concluse con un sorriso –Sì, ecco, è questo! Invia!-
In mezzo ai bug si levò una luce accecante. I bug erano scomparsi, Ben cadde per terra. Mal corse da lui e lo abbracciò. E Sora… aveva di nuovo un Keyblade!
-Cosa…?-
Carlos esultò.
-Evviva! Ce l’ho fatta!-
Erano tutti contenti, ma confusi.
-Carlos, come hai fatto?- domandò Doug.
-Oh, in realtà è stato facile.- lo stavano ascoltando tutti, persino nel castello Disney –Essendoci già introdotti nel server del computer del castello, ho semplicemente collegato i dati ancora integri del Grillario e le prime esperienze del Sora digitale con il Keyblade al tuo server e fatto un backup. Poi ho ripristinato quei dati e ho copiato il codice.-
Persino il gruppo del castello ne fu sorpreso.
-Bravo, ragazzo.- complimentò Topolino.
Quasi nessuno si accorse di Pietro: era riuscito ad alzarsi. Aveva il pelo tutto dritto, gli occhi quasi fuori dalle orbite ed espirò una nuvola di fumo. Procedeva ondeggiando.
-Wow! La piccola Mally si è fatta fulminosa!- mormorò, ancora sotto shock -Tutta sua madre…-
Sora notò la sua sagoma allontanarsi.
-Ehi! Pietro sta scappando!-
Mal e Ben si lanciarono al suo inseguimento, insieme a Sora.
Per fortuna, non lo lasciarono uscire dal salone.
-Oh, ma voi tre proprio non vi arrendete mai, vero?-
Tutti e tre i ragazzi si misero in posizione.
-Mai! Fino a quando non ci dirai dove si trova Riku!- chiarì Mal, serrando le labbra.
Pietro non le diede la risposta che voleva. Fece dei versi da bambino capriccioso.
-Non mi bastava una seccatura, adesso ne ho tre! E’ l’ultima volta che mi scombinate i piani! Ho ancora un asso nella mia manica! Vieni a salutare!-
Comparve un altro portale di dati, in cui si poteva notare una sagoma.
Mal e Sora sgranarono gli occhi, sconvolti.
-RIKU!- esclamarono.
Aveva la tuta di quando era sotto il controllo di Ansem, era curvo e stava emettendo lamenti.
Anche Ben era sconvolto.
-Cosa gli hai fatto?!- domandò.
-Davvero una bella domanda, principino! Mi sono preso la libertà di togliergli la libertà. Mi è solo bastato infilargli dei bug! Ora ti ordino di attaccare!-
Non era il vero Riku: era la proiezione creata nel mondo virtuale. Secondo quanto spiegato da Topolino, quel Riku era il Grillario. Ma dotato di libero arbitrio. Stava lottando, infatti, per contrastare gli ordini di Pietro. Ovviamente, questi non accettava l’insubordinazione: evocò altri bug che entrarono nel suo corpo, facendolo urlare di dolore. Poi si bloccò, con lo sguardo fisso nel vuoto.
Mal e Sora corsero da lui, allarmati. Pietro, nel frattempo decise di scappare.
-Fermati!- esclamò Ben, inseguendolo; un manrovescio lo fece cadere per terra. Pietro non c’era più.
-Riku! Dimmi qualcosa!- esclamò Sora, scuotendo l’amico.
-Riku! C’è il tuo amico Sora, qui! Non lo senti?!- poi mise la mano sul comunicatore –Doug, Carlos, potete fare qualcosa per Riku?-
-Ci stiamo provando, dannazione!- rispose Doug; lui e Carlos erano entrati nel database di Riku, ma in ogni schermata a cui accedevano compariva la scritta “accesso non autorizzato” –Stanno apparendo dei codici in cui non possiamo accedere! Devono essere i bug che ha messo Pietro!-
Riku era ancora immobile: poi scattò, allontanandosi dai due. Evocò la sua spada, l’Animofago.
-Ti prego…- implorò Sora –Non riesci a sentirci?-
Il ragazzo strinse un pugno: stava ancora lottando contro i bug. Ma una parte del suo libero arbitrio era ancora integra.
-Distruggetemi…- questa fu la sua unica richiesta. Poi attaccò. Ben era ancora mezzo stordito dal colpo di Pietro. Mal e Sora furono da soli contro Riku. Due contro uno. E l’uno riusciva a tenere testa ad entrambi.
Bastò un colpo sferrato da Sora, dietro la nuca, per farlo cadere, privo di sensi.
Sul suo corpo comparvero altri bug. Erano incastonati.
Ciò fece preoccupare i ragazzi.
-Oh, Riku…- mormorò Mal, chinandosi su di lui. Non sapeva cosa fare per aiutarlo. Nessuno di loro sapeva cosa fare.
-Ragazzi, siamo riusciti ad entrare in uno dei database di Riku.- informò Carlos, anche al gruppo del castello, a cui lui e Doug avevano inviato i risultati del loro hackeraggio –Purtroppo l’accesso ai suoi codici è ancora bloccato. Ma abbiamo scoperto che c’è un modo per riattivarlo e liberarlo dei bug.-
-E come?- domandò Ben.
-Deve pensarci Sora. Il codice di cui è composto è la chiave per sbloccare i bug dentro Riku. O meglio, lo è il suo Keyblade.-
Sora alzò lo sguardo, confuso, ma speranzoso.
-Quindi sono l’unico che può salvare Riku?- dedusse.
-Sì, come un antivirus, in poche parole.- Carlos non credeva di pronunciare tali parole alla proiezione virtuale del ragazzo che aveva eliminato suo padre. Da un certo punto di vista, lo stava aiutando.
-D’accordo. Dimmi cosa devo fare.-
-Devi puntare il tuo Keyblade su Riku.- suggerì Topolino, una volta letto i codici dei due ragazzi.
-Capito!-
Sora fece quanto richiesto: il Keyblade, come il corpo di Riku, si illuminò. Una scia di luce rivelò una serratura.
-Bene, ora è lì che devo entrare.- annunciò, determinato
-Sora, aspetta!- lo fermò Mal, preoccupata –Veniamo con te. Potrebbe essere pericoloso.-
-No, voi aspettate qui.- tagliò corto il ragazzo bruno –Voglio che teniate d’occhio Riku. Assicurarvi che si svegli, quando lo libererò dai bug.-
-Ma, Sora…!-
-Lo so. Forse ciò che mi attenderà è rischioso, ma è meglio che vada io. Voi siete persone reali. Se dovesse succedervi qualcosa, potreste non tornare più nel mondo reale. Io sono fatto di dati. Sono sacrificabile. E io mi sacrificherei volentieri per voi.- osservava Ben, ricordando il gesto di poco prima e le parole da lui pronunciate.
Ben sorrise: era questo il Sora di cui gli aveva raccontato sua madre, generoso e coraggioso.
Entrambi i ragazzi dovettero rassegnarsi a quel fatto: loro non erano codici. Non erano creazioni virtuali. Erano persone vere dentro una realtà virtuale. Un viaggio simile non faceva per loro.
-Stai attento, allora. Riportalo sano e salvo.- supplicò la ragazza.
Sora mantenne la sua promessa: Riku fu privato dei suoi bug e si risvegliò. E anche Sora tornò sano e salvo.
Mal era rimasta al fianco di Riku, per tutto quel periodo. Pianse di gioia quando si svegliò. Gli altri tirarono un sospiro di sollievo.
-Riku! Sei salvo!- esultò, abbracciandolo.
Questi ricambiò l’abbraccio, confuso.
-Ehm, scusa…- si osservarono negli occhi –Ci… conosciamo?-
Per un attimo, Mal si era dimenticata del fatto che il ragazzo di fronte a lui non era il vero Riku. Dopo quella visita ad Auradon, non lo aveva più incontrato. Faceva uno strano effetto vedere una persona con il suo volto, il suo nome, ma che non era lui.
-No.- rispose, senza smettere di piangere –Conosco il te reale. Io sono Mal.-
-E io Ben, molto piacere.-
-Mi hanno aiutato contro gli Heartless mentre venivo a cercarti, Riku. Loro e i loro amici.-
Anche Topolino, Paperino e Pippo erano presenti: avevano lasciato la proiezione virtuale del Castello Disney per raggiungere gli amici. Spiegarono ogni cosa a Riku e lui ascoltò con interesse.
-E’ davvero un peccato che Pietro ci sia sfuggito…- sospirò Ben.
-Non importa.- rivelò Riku, scuotendo la testa –Ormai non è più un problema e voi siete rimasti per troppo tempo nel cybermondo. -
Allungò una mano: comparve un portale, di fronte ai reali.
-Questo portale vi riporterà nel mondo reale. Consideratelo un mio ringraziamento per avermi salvato.- spiegò Riku.
Topolino inspirò e poi respirò. Sembrava un sospiro di dispiacere.
-Beh, è ora di dire addio al cybermondo.- disse.
-Non dimenticate di “salutarci”.- fece ricordare Sora, alludendo ai loro “reali”.
-E Ben, Mal… salutate il Maestro Yen Sid da parte nostra.-
-Senz’altro, Vostra Maestà.-
-Spero proprio di rivedervi, un giorno, magari nella vita reale.- aggiunse Mal, sorridendo.
-Perché no?- commentò Paperino –Tu sei molto più simpatica di tua madre.-
-O anche qui nel cybermondo.- propose Pippo –Togliendo i bug, non si sta così male.-
Risero tutti a quella frase.
-Forza, è ora di andare.- incitò Ben, gentilmente -Sora, è stato un piacere.-
Si strinsero le mani.
-E io ti ringrazio, Ben. Spero che anche il me reale abbia il piacere di incontrarti.-
-Lo spero anch’io.-
Uno ad uno, entrarono nel portale.
Mal era l’ultima.
-E, Mal…- iniziò Riku, fermandola.
-Sì?-
-Io non sono il vero Riku, è vero.- ammise, facendo un passo verso di lei -E mi rendo conto che lui ti manca molto. Ma sono sicuro che sarebbe fiero di te.-
-Dici davvero?-
-Beh, per quello che vale, io lo sono. Sei una ragazza forte e determinata. Non sei come tua madre. Tu sei nettamente superiore a lei. E Ben è molto fortunato ad avere una come te al suo fianco.-
Mal gli sorrise e lo abbracciò per un’ultima volta. Stavolta l’abbraccio fu ricambiato.
-Buon ritorno, Mal.- fu l’ultima frase che udì, prima di risvegliarsi nel mondo reale.
Ben e Mal furono sollevati nel vedere i loro amici, vicini a loro, sollevati e sorridenti.
-Ah, grazie al cielo! Siete salvi!- esclamò Jane, mettendo entrambe le mani al cuore –Temevamo che quelle macchine avrebbero fatto qualcosa al vostro cervello. Invece, eccovi qui!-
Si liberarono delle fasce sulle loro fronti.
-Cielo! La mia testa stava esplodendo!- disse Ben, scuotendo la testa e mettendosi una mano sulla fronte –Che mi dite di re Topolino? E Paperino? E Pippo? Loro sono tornati nel loro mondo?-
-Guarda tu stesso.- rispose Doug, indicando il suo schermo: li vide tutti e tre, Topolino, Paperino e Pippo, insieme al Grillo Parlante ed a Cip e Ciop, che li salutavano. Nell’altra finestra, anche Sora e Riku stavano salutando.
-Sora! Riku!- chiamò Ben, come saluto –Siamo tornati! E stiamo bene! Ma ammetto che un po’ mi dispiace essermene andato. Alla nostra prossima simulazione virtuale, spero ci rincontreremo di nuovo.-
Riku abbassò lo sguardo. E si morse un labbro.
-C’è una cosa che devo rivelarvi. Avrei dovuto dirvelo prima.- confessò –Non potrete più entrare nel Grillario.-
-Cosa? E perché?-
-Ora che i bug sono eliminati, il Grillario è tornato nel suo stadio originario. Le annotazioni sono tornate come prima. Questo significa che anche le nostre memorie, mia e di Sora, verranno resettate. Dimenticheremo tutto quello che abbiamo passato insieme.-
Una decisione difficile. I reali si dispiacquero per i virtuali. Ma forse era meglio così. Almeno Riku avrebbe dimenticato le torture di Pietro ed il rapimento di Malefica. Ma Mal e Ben non avrebbero dimenticato quell’avventura: Ben aveva incontrato il suo idolo e salvatore dei suoi genitori e Mal aveva incontrato di nuovo Riku, il suo primo amico.
-Allora è stato un piacere fare la vostra conoscenza.- salutò Carlos.
Si inquietò: il suo schermo, come quello del Castello, si oscurò.
 
Rilevata anomalia.
 
Cancellare cybermondo?
-Sì
-No
 
Il soppalco della Fortezza Oscura iniziò a tremare.
-Sora! Riku! Che succede?- domandò Topolino, allarmato.
-Non lo so!- rispose Riku –Sento… una forte energia!-
Carlos e Doug ripresero a digitare.
-E’ apparsa una schermata, dicendo “Cancellare cybermondo”? Qualcosa ha risposto “Sì”, ma non siamo stati noi!-
-Nemmeno noi! Aspettate! Vedete quello che vediamo noi?-
In tutti i computer era apparsa una nuova finestra: Malefica e Pietro in una dimensione del cybermondo. Contro un Heartless gigante!
-Mamma!- esclamò Mal, preoccupata.
-Malefica e Pietro! Sono ancora nel cybermondo!- notò Carlos, stranito.
-Non possiamo lasciarli lì!- aggiunse Sora, anche lui preoccupato –Sono persone reali! Devo salvarli!-
Mal sentiva il suo cuore battere forte. La sua mano stringeva forte la sedia di Carlos, quasi ci stava affondando le unghie. Era in preda ad un dilemma: non teneva a sua madre, non amava sua madre.
Tuttavia, prese la sua decisione.
-Non può andare da solo…- mormorò; poi parlò forte –Doug! Carlos! Rimandatemi nel cybermondo!-
Tale rivelazione sconvolse gli amici. Ma lei si era già sistemata nel letto e messa la fascia.
-Di nuovo nel cybermondo?! Ma sei appena tornata!- fece ricordare Doug –Devi attendere un’ora prima di rientrare! Il tuo cervello, se esposto troppo a lungo, potrebbe subire danni e…-
Mal non volle sentire ragioni o scuse.
-Devo salvare mia madre e ti ho detto di farmi tornare nel cybermondo!-
Quando si arrabbiava incuteva timore a tutti. Per fortuna, i suoi occhi non si illuminarono di verde.
-Forse è meglio se va qualcun altro…- propose Jay, lasciando intuire che si sarebbe offerto volontario.
Ben si avvicinò a Mal, prendendole la mano.
-Mal, Doug ha ragione. E’ troppo rischioso. Potresti non tornare più.- le disse, premuroso.
Ma lei aveva già deciso; gli sorrise dolcemente.
-E’ pur sempre mia madre, Ben.- ribadì, con tono calmo e stringendogli la mano –Tu non faresti la stessa cosa per la tua?-
Questo ed altro, pensò il ragazzo. Comprese la decisione della sua ragazza e non aggiunse altro.
-Fate come dice.- ordinò ai due informatici.
Anche Uma si avvicinò a Mal.
-Ehi, Mal… vedi di tornare o vengo lì e ti trascino a forza.- avvertì, con una lieve nota di sarcasmo velata di minaccia.
Anche Doug e Carlos compresero e si rassegnarono.
-Io penso al suo trasferimento nel mondo virtuale.- ordinò Doug a Carlos –Tu occupati di inviarla nel luogo in cui si trova Sora.-
Mal chiuse gli occhi di nuovo. Sora aveva raggiunto la zona in cui si trovavano Malefica e Pietro.
Erano in difficoltà contro l’Heartless.
-Malefica… una domanda. Pensi stiamo facendo progressi contro quel colosso?- Pietro sembrava terrorizzato.
Ma lei non sembrava preoccupata, tantomeno terrorizzata.
-Non importa. Un avversario inferiore sarebbe un insulto.-
L’Heartless di fronte a loro era un Darkside, fatto di codici e bug.
Sora si era ormai teletrasportato lì. Pochi secondi dopo era apparsa anche Mal.
-Cosa?! Tu qui?!- si stupì il ragazzo –Con tutta la fatica che Riku…-
-Devo salvare mia madre!- tagliò corto lei.
Insieme corsero da Malefica e Pietro, mettendosi di fronte a loro, come scudo contro il Darkside.
-Mal? Ancora tu?!- si stupì lei.
-Mamma! Pietro!- avvertì Mal –Dovete andare via da qui! Noi terremo occupato l’Heartless!-
-Scappare?! Mai!- si ostinò lei.
-Dovete farlo! Altrimenti rischierete di essere cancellati per sempre!- aggiunse Sora.
Pietro alzò un dito, con sguardo terrorizzato.
-Ehm… non vorrei dire, ma credo che Mally e l’impiastro abbiano ragione.-
In quel momento, il Darkside sferrò un attacco, diretto verso il quartetto.
-Cosa?!- esclamò Malefica, stupita.
Erano tutti paralizzati. Ma non Mal.
Si mise a capo del gruppo e allungò una mano.
Un fulmine colpì la sfera del Darkside. Si formò un’esplosione accecante.
Malefica era sempre più stupita. Non per paura, ma per ammirazione. Per la figlia.
-Scappate! Adesso!- esclamò quest’ultima, più convincente.
Pietro e Malefica seguirono il suo consiglio.
-Mal...- disse lei, prima far svanire se stessa e il socio in una lingua di fuoco -Vedi di non morire.-
Non le aveva mai rivolto una frase simile: forse era il suo modo di dire che era fiera di lei. Ed era quello il fine della ragazza: averla vista con un Keyblade e capace di lanciare una magia fu motivo di orgoglio per la strega. Ma non lo avrebbe mai ammesso. Non direttamente.
-Mal! Sora! Brutte notizie!- avvertì Carlos -Abbiamo trovato un’anomalia!-
Mal si toccò il trasmettitore, allarmata.
-Cosa si tratta?-
-L’Heartless di fronte a voi! Non è proprio un Heartless! E’ lui la causa dei bug all’interno del Grillario! Più Sora proseguiva con il suo viaggio, più lui cresceva!-
-Quindi ci basta sconfiggerlo per salvare il cybermondo?-
-Esatto. E non temere, Mal. Se le cose andranno male, Riku ci ha fornito il codice di emergenza per riportarti nel mondo reale.-
La ragazza non provò alcun timore: anzi, era sempre più determinata. E stavolta non sarebbe stata sola.
-Non ce ne sarà bisogno!- lei e Sora condividevano la stessa determinazione -Sora, sei pronto?-
Lui annuì, sorridendo.
-Sì!-
-Andiamo!-
Corsero entrambi verso l’anomalia, con i Keyblade puntati in avanti.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Pensa a me! ***


7° mese: Kingdom Hearts Dream Drop Distance
Tema: Think of me

--------------------------------------------------------

Solo la luce del corridoio illuminava la cella.
Carlos era seduto al centro, fissando il vuoto.
Non aveva la sua benda: l’occhio era ancora giallo.
La sua Oscurità non era ancora svanita.
L’uomo con gli occhi rossi, Ansem, aveva rapito anche lui.
Era uscito un attimo dalla Torre Misteriosa per prendere una boccata d’aria e ammirare le stelle. Un momento per rimanere da solo e sgomberare la mente. Aveva dovuto insistere non poco affinché Jane non lo seguisse.
E lui, Ansem, era apparso dal nulla. Non gli aveva nemmeno dato il tempo di difendersi con il Keyblade che il Guardiano lo aveva afferrato e stretto forte da fargli quasi togliere il respiro.
Al suo risveglio, era in quella cella.
-Il tuo caro padre ci sarà utile.- gli aveva detto Ansem –Avrà bisogno del giusto incentivo per obbedire ai nostri ordini.-
“Mio padre?” pensò Carlos, confuso “Ma lui è morto.”
Lo aveva persino visto con i suoi occhi: suo padre Xigbar che cadeva di fronte a Sora e svanire.
Per lui era morto.
Una voce e dei passi in corsa lo distolsero dalla sua trance.
-Carlos? Carlos!-
La voce della speranza.
Xigbar.
Suo padre.
Si fermò davanti a lui, ansimando, riprendendo fiato dalla corsa.
Vedeva qualcosa di strano in lui. Sollievo.
E stava persino sorridendo.
Era diverso dai primi tempi in cui lo aveva conosciuto.
Carlos si alzò in piedi. I suoi occhi erano umidi di lacrime.
-Papà…!-
Non avrebbe mai creduto di rivederlo. Vivo.
Nonostante le sbarre, riuscirono ad abbracciarsi.
-Carlos… sei qui…-
Le dita di Xigbar stavano affondando sui capelli bianchi del figlio, fino a toccare la radice nera.
E le lacrime di Carlos stavano bagnando il cappotto nero, lo stesso che stava coprendo i suoi singhiozzi di commozione.
Si staccarono per un attimo, guardandosi negli occhi, per assicurarsi che fossero entrambi reali e non un frutto dell’illusione.
Le guance del ragazzo erano ancora umide. Ma sorrideva. Dopo tanto tempo, da quando era tornato umano, stava sorridendo. Vedere suo padre gli aveva donato speranza e sollievo. Era vivo.
-Papà, sei vivo!- esultò lui –Non riesco a crederci! Eri svanito. E, quel ragazzo, Sora…-
Xigbar scosse la testa.
-Tsk. Ci vuole ben altro di un sempliciotto armato di chiave gigante per eliminarmi…- si guardò la mano; poi prese quella del figlio e la mise a contatto con il suo petto.
Carlos sentì qualcosa muoversi all’interno del petto del padre. Un battito.
Infatti sorrise. Era tornato umano. Non era più un Nessuno.
-Ma se non altro, il ragazzino mi ha fatto un favore.- spiegò l’uomo, lasciando la mano del figlio –Eliminando il mio Nessuno mi ha fatto tornare umano.-
-Vuol dire che prima fingevi con me, papà?-
-Carlos, con te non ho mai finto.- la mano toccò di nuovo i capelli del figlio –In realtà, non ho mai perso il mio cuore. È troppo potente per svanire del tutto. Avevamo delle proiezioni di un cuore, ma provavamo davvero dei sentimenti. E quello che provavo per te non era una finzione. Ti volevo e ti voglio tutt’ora bene. E, fidati, questo non si sente dire spesso, da me.-
Carlos sorrise di nuovo. Suo padre era lì, di fronte a lui. Vivo. Non gli importava essere in una cella. Niente importava.
Tuttavia, lo sguardo sollevato di Xigbar si tramutò in sorpresa e preoccupazione: scostando accidentalmente una ciocca di capelli notò che qualcosa del figlio era cambiato.
-Carlos, il tuo occhio…!- notò; non sembrava preoccupato, quanto incuriosito.
Carlos si inquietò. Si era dimenticato del suo occhio giallo. Era troppo felice di aver ritrovato suo padre, a tal punto da dimenticare il suo segno di Oscurità.
Si toccò la palpebra sottostante l’occhio giallo. Poi scattò improvvisamente all’indietro.
-Oh, papà, ho troppe cose da raccontarti!- esclamò, preso da un’insolita euforia; girò per tutta la cella -Prima di tutto, dopo la distruzione di Auradon, mi sono ritrovato in un castello bianco e ti ho visto! Poi ti ho visto svanire nel nulla e il ragazzo con il Keyblade ha ucciso anche me. Mi sono risvegliato nella Terra di Mezzo e c’erano tutti i miei amici e la Fata Smemorina! Io ho proposto a tutti di addestrarci nel Keyblade e tutti mi dicevano “Ma sei fuori? Perché dovremo farlo?” e io “Per difendere ciò che ci resta!” e poi siamo andati dallo stregone Yen Sid e ora tutti noi abbiamo un Keyblade. E, durante un allenamento, ho quasi ucciso Chad, il figlio di Cenerentola, ma non volevo! Ed è allora che ho questo occhio! Yen Sid dice che è legato all’Oscurità che si è formata da quando ho ucciso mia madre...!-
-Aspetta, aspetta, aspetta!- lo fermò Xigbar, confuso dalla spiegazione; ma anche sorpreso da un particolare –Vorresti dire… che TU hai un Keyblade?!-
-Sì. Vuoi vederlo? Oh, no! È rimasto alla Torre Misteriosa! Quell’Ansem deve avermelo fatto cadere quando mi ha catturato!-
-E… anche i tuoi amici hanno un Keyblade…?-
-Sì…- l’inquietudine tornò in Carlos –Yen Sid dice che grazie ai poteri legati al Keyblade, Ben, Audrey e Chad potrebbero ricostruire Auradon. E noi possiamo aiutarli.-
Xigbar si guardò intorno, serio.
-Ok, figliolo.- disse, rivolto al ragazzo -È meglio se mi racconti dettagliatamente cosa è successo dalla distruzione di Auradon. Non c’è nessuno a guardia della prigione, abbiamo tutto il tempo che vogliamo. E non la spiegazione a razzo che mi hai fatto prima.-
Si misero entrambi a sedere. Carlos aveva fatto del suo meglio per spiegare in modo dettagliato gli eventi succeduti alla caduta di Auradon: la sua tramutazione in Nessuno, il suo divieto imposto da Xemnas di rivolgere la parola al padre, della sua “morte” per mano di Sora, il suo risveglio nella Terra di Mezzo, la sua idea di divenire custode del Keyblade, il suo addestramento.
Xigbar gli chiese in particolare di dettagliare quest’ultimo fatto. Sembrava interessato e affascinato che il figlio detenesse un Keyblade.
Si era rassegnato all’occhio giallo del figlio; il sinistro, proprio come il suo. Dopotutto, era frutto dell’unione di due persone malvage: era impensabile che sarebbe rimasto incorrotto per sempre.
Tuttavia, stava ugualmente provando dispiacere. Per Carlos. Puro istinto paterno.
-Povero figliolo. Mi dispiace ti sia capitata questa seccatura…- disse, indicandogli l’occhio giallo –Non lo meriti. Se solo fossi riuscito a portarti via da Auradon…-
-Non ha importanza.- tagliò corto Carlos, accennando un sorriso –Ora so che sei vivo. E sei di fronte a me. Non mi importa di nient’altro.-
Le dita delle loro mani erano intrecciate, forse per sostenersi l’un l’altro.
-Quindi, il tuo Keyblade può mutare forma? Un mitra a canne mobili?-
-Sì, adoro quella forma.-
-Sei proprio mio figlio. Ti alleni tutti i giorni?-
-Continuamente. Ma non mi sento soddisfatto. Sento che mi manca qualcosa, papà. Non mi sento ancora abbastanza forte. Ho deciso di diventare custode del Keyblade non solo per proteggere quello che ho e per ritrovarti. Voglio misurarmi con Sora, affrontarlo e vendicare quello che ti ha fatto. Ma non mi sento ancora abbastanza forte. Non mi sento al suo livello. Yen Sid mi ha raccontato tutto di Sora, i suoi viaggi, i suoi nemici, le sue esperienze. Non sono assolutamente al suo livello. Come se non bastasse, di recente ci ha raccontato la storia della Guerra dei Keyblade. Teme che presto o tardi ce ne sarà un’altra, alla quale parteciperà Sora e non noi! Dice che non vuole coinvolgerci nella guerra per non distoglierci dal nostro principale dovere di aiutare i due Principi e la Principessa della Luce a ricostruire Auradon. Mi sento così… frustrato!-
Stava stringendo un pugno e ritirando entrambe le labbra. Era arrabbiato. E invidioso. Entrambi sentimenti oscuri.
L’occhio di Xigbar stava fissando il figlio apparentemente impassibile. Non era chiaro cosa stesse provando: se preoccupazione, soddisfazione o inquietudine. Anni come guardia del castello di Radiant Garden e come Nessuno lo avevano formato nel controllo dei sentimenti. Non mentiva riguardo a quello che aveva sempre provato per il figlio.
Ma di fronte non aveva più il ragazzo dolce e gentile che aveva conosciuto e, a modo suo, amato. Era cambiato: era più oscuro, nell’animo.
Era simile a lui. Stava diventando la sua copia.
Gli scappò un sorriso malefico. Ma per un attimo. Parlò con tono rassicurante.
-Forse è meglio così, figliolo.- cercò di calmarlo –Il tuo maestro non ha torto sulla guerra che verrà. I Sette Guardiani della Luce contro i Tredici Cercatori dell’Oscurità. Il ragazzino, sì, verrà coinvolto. E anche io.-
Carlos impallidì.
-Cosa…?-
-Non devi preoccuparti per me, Carlos.- tagliò corto Xigbar -Tu devi pensare a ricostruire Auradon. Non voglio che tu sia coinvolto in qualcosa di pericoloso. E se sei con lo stregone, noi due saremo costretti ad essere nemici. E io non voglio essere costretto incrociare le mie armi contro di te.-
-Papà, io non voglio perderti di nuovo. Ho faticato per ottenere un Keyblade e ho quasi ucciso un mio amico, per ritrovarti!-
-Lo so. Ma a volte dobbiamo compiere delle scelte difficili per salvare coloro che amiamo.-
Strofinò di nuovo la sua mano sui suoi capelli. Carlos pianse di nuovo.
-Non piangere, figliolo.- gli disse, con tono confortevole –Non mi hai ancora perduto. E sono certo che ci rivedremo di nuovo, stavolta per davvero.-
Carlos si insospettì.
-“Per davvero”? Cosa intendi dire…?-
Xigbar guardò in alto, serio.
Improvvisamente, la terra tremò.
Il ragazzo si inquietò, guardandosi nevroticamente intorno.
-Papà, che succede?-
Un’altra scossa, più forte. Padre e figlio si separarono, a causa dell’impatto.
-Il tempo sta per scadere.- rivelò l’uomo, recuperando l’equilibrio -Come al solito, ho sottovalutato la situazione.-
-Cosa intendi dire, papà?-
-Tu sai che non siamo davvero qui, vero?-
Carlos si guardò di nuovo intorno: sapeva di trovarsi nel Castello Che Non Esiste. Ricordava Ansem, il Guardiano che lo aveva afferrato. E la Torre Misteriosa. Ma non ricordava cosa era successo antecedentemente. Poi ebbe un’epifania.
-Questo posto non è reale.- realizzò -Niente di quello che sto vivendo ora è reale.-
Xigbar sorrise con occhio triste.
-Mi dispiace, Carlos. Era l’unico modo per incontrarti.- rivelò –Sono costantemente sott’occhio. Non posso spostarmi nei mondi come prima senza che qualcuno faccia la spia.-
Erano nel mondo dei sogni. Xigbar aveva trovato il modo di incontrare il figlio attraverso i sogni.
Il corridoio cominciò a sgretolarsi, come fosse in balìa di un forte vento.
Anche la cella di Carlos fece la stessa fine. Il ragazzo dovette aggrapparsi alle sbarre, per non essere trascinato. Xigbar gli prese una mano, anche lui aggrappandosi a una sbarra.
-Mi dispiace, Carlos! Davvero! Ma ti prometto che ci rivedremo, nel mondo reale!-
-Papà, come posso trovarti?-
Il vento era sempre più forte: padre e figlio stavano per separarsi.
-Pensa a me.- disse -Per il resto, lascia che sia il tuo cuore a guidarti.-
Quell’ultima frase, separò Carlos da Xigbar, lanciandolo verso il vuoto.
Carlos si svegliò di soprassalto.
Era ancora buio.
Si trovava nel suo letto, in camera sua.
La luna illuminava la città. Si trovava a Crepuscopoli, in comunità, con i suoi amici. Come ricordava. Era da una settimana che non tornava alla Torre Misteriosa. Ecco come si era reso conto di essere in un sogno.
Yen Sid era impegnato con l’Esame di maestria del Keyblade con Sora e Riku, ecco perché aveva mandato via i profughi di Auradon. Forse per proteggerli dagli eventi che si stavano verificando. O per evitare un incontro tra Sora e Carlos e prevenire ogni tentativo di vendetta di quest’ultimo.
Sora. Il ragazzo che aveva ucciso suo padre.
Ma lo aveva riportato nel suo stato originale. Umano.
Non sapeva se essergli grato o odiarlo.
Da quando era tornato umano, Carlos non aveva più provato alcun sentimento positivo. Solo odio per Sora.
E al solo pensiero di suo padre contro di lui…
Sembrava sicuro, rilassato, tranquillo. Forse i timori del ragazzo erano inutili. O suo padre voleva rassicurarlo, nascondendo la sua reale preoccupazione con parole confortanti.
Non poteva permetterlo. Non poteva permettere che Sora gli impedisse di riunirsi con suo padre.
Doveva trovarlo.
E per farlo, doveva solo lasciarsi guidare dal suo cuore.
Possa il tuo cuore essere la tua chiave guida.
Carlos strinse la mano a pugno sul suo petto e guardò la luna. Il suo occhio giallo brillò alla sua luce.
-Papà…- mormorò –Ora so come trovarti.-
 
----------------------------------------------------------------------------------------

-Xigbar.-
Saix. Di nuovo.
Era accanto al suo letto.
Un vizio che non aveva perso, nonostante non fosse più il secondo in comando dell’OrganizzazioneXIII, quello di svegliare i membri dell’Organizzazione all’improvviso.
-Cosa vuoi?- domandò maleducatamente l’ex-numero II, alzandosi dal letto.
Saix non era solo: c’era anche il giovane Xehanort nella sua stanza. Faceva paura quanto quello anziano. Stesso sguardo e stesso tono freddo e subdolo. Xigbar non avrebbe esitato ad eseguire i suoi ordini.
-Sora è sempre più vicino a noi.- rivelò, forse con una lieve nota di soddisfazione nel suo tono –Conosci la tua parte del piano. Fatti trovare pronto al nostro segnale.-
Xigbar appoggiò entrambi i piedi per terra, per mettersi gli stivali.
-Sì, sì… datemi un attimo e poi sarò ai vostri ordini.-
Fu lasciato da solo nella stanza. Saix sarebbe tornato nella Sala Circolare e il giovane Xehanort di nuovo a giro nel mondo dei sogni per confondere i due custodi del Keyblade.
Usare quel potere aveva quasi sfinito Xigbar.
Decise di lavarsi il volto con acqua fredda, per riprendere le forze.
Non doveva mostrare esitazioni o segni di debolezza di fronte a Sora.
Ciononostante, la sua mente era ancora fissa su una cosa.
-Dunque, anche il mio caro figlioletto ha un Keyblade…?- sibilò; non era affatto preoccupato per il figlio o la sua condizione -Davvero interessante. Questo renderà le cose più facili…-
Sorrise. Ma non era un sorriso soddisfatto, da genitore orgoglioso del proprio figlio.
Era un sorriso malefico.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** "Attraverso il tempo e lo spazio, il mio cuore ti raggiungerà sempre" ***


8° mese: Kingdom Hearts Unchained
Tema del mese: Attraverso il tempo e lo spazio, il mio cuore ti raggiungerà sempre


------------------------------------------------

Il Keyblade di Mal poteva trasformarsi in un paio di ali meccaniche ed in un paio di artigli da drago. Il suo potere era il fulmine.
Il Keyblade di Evie poteva trasformarsi in due grandi specchi fluttuanti che potevano creare delle copie della loro portatrice. Il suo potere era l’illusione.
Il Keyblade di Jay poteva trasformarsi in una frusta. Il suo potere era il fuoco.
Il Keyblade di Carlos poteva trasformarsi in un mitra a canne mobili. Il suo potere era lo spazio.
Il Keyblade di Uma poteva trasformarsi in un tridente. Il suo potere era l’acqua.
Il Keyblade di Harry poteva trasformarsi in due grandi uncini, uno per mano, di cui uno dotato di catena per attacchi a distanza. Il suo potere era il vento.
Il Keyblade di Gil poteva trasformarsi in due tirapugni, di cui uno dotato di due lame che ricordavano le corna di un alce. Il suo potere era la terra.
Il Keyblade di Ben poteva trasformarsi in uno scudo con un rilievo della testa di suo padre da Bestia, che ruggiva ad ogni contrattacco. Il suo potere erano i campi di forza.
Il Keyblade di Jane poteva trasformarsi in un giglio dai poteri curativi. Il suo potere era la guarigione.
Il Keyblade di Doug poteva trasformarsi in un keytar con un bocchino simile a quello di una tromba in grado di emettere raggi stordenti. Il suo potere era la confusione.
Il Keyblade di Audrey poteva trasformarsi in due ponpon da cheerleader, uno rosa l’altro azzurro, i cui fronzoli potevano indurirsi come spilli. Il suo stesso Keyblade poteva dividersi in due Keyblade. I suoi poteri erano la luce e l’oscurità.
Il Keyblade di Chad poteva trasformarsi in una balestra con il potere di rallentare i movimenti di chiunque venisse colpito da una delle frecce ed in un paio di scarpe di cristallo che acceleravano il suo, di movimento. Il suo potere era il tempo.
Il Keyblade di Lonnie poteva trasformarsi in una palla catenata. Il suo potere era il ghiaccio.
 
Si erano allenati duramente, per meritare i poteri dei loro Keyblade: avevano tutti affrontato il Tuffo nel Cuore, superato delle prove, affrontato la loro ombra, ottenuto il loro Keyblade, scoperto una parte dei loro poteri, si erano fortificati, nel corpo e nella mente.
Allenamento i cui effetti ebbero modo di provare nella loro permanenza a Crepuscopoli: in poco tempo, si erano creati una notorietà tra gli abitanti che proteggevano dagli attacchi degli Heartless.
Salvare le persone da quelle creature oscure gratificava i “Paladini del Keyblade”; così li avevano chiamati gli abitanti di Crepuscopoli.
Tre ragazzi, di nome Hayner, Pence ed Olette, avevano tentato di legare con loro, riuscendo infine a stringere amicizia con i profughi di Auradon, ammirati dalle loro gesta, perfino dimenticando la “rivalità” creata nel Torneo Struggle.
Questi venivano spesso paragonati ad un ragazzo loro amico, un tale di nome Sora, anche lui possessore del Keyblade.
A sentire il suo nome, Carlos si voltava sempre da una parte, per nascondere la sua rabbia ed il suo disgusto nel venire paragonato al ragazzo che avrebbe presto o tardi incrociato il suo Keyblade con il padre Xigbar.
Ma più passavano i giorni, più le apparizioni degli Heartless divenivano sempre più frequenti, ed essi aumentavano persino di numero.
Pur essendo in tredici, i profughi di Auradon erano ancora dei neofiti del Keyblade.
E Ben, Chad ed Audrey non erano ancora forti abbastanza da poter ricostruire Auradon: Yen Sid aveva interrotto il loro allenamento, con la promessa di riprenderlo alla fine della nuova Guerra dei Keyblade.
Ma finché restavano insieme, in gruppo, potevano affrontare qualsiasi Heartless.
O così credevano.
Con un’agile piroetta, Evie credette di aver eliminato l’ultimo Shadow.
Non si era accorta che un’orda di Shadow, unita a tal punto da formare un’unica entità, stava per travolgerla.
Neanche l’urlo di avvertimento di Doug le avrebbe dato il tempo di schivare l’aggressione.
Fu una luce a dissipare quell’orda: re Topolino.
Raccontò ai profughi la situazione, che la guerra era vicina e, dunque, Crepuscopoli non era più un posto sicuro per loro.
Li condusse in una gummiship grande abbastanza per quattordici persone, nonostante le proteste di Mal, Uma, Harry, Jay e Ben, che volevano rimanere a Crepuscopoli per difenderla.
-Gli Heartless stanno diventando sempre più potenti e voi non siete ancora abbastanza forti da contrastarli.- li fece ragionare Re Topolino –Siete fondamentali per la ricostruzione di Auradon. Non posso farvi rischiare di farvi travolgere dagli Heartless!-
Li ospitò nel suo castello, sotto l’ala dell’amorevole e premurosa regina Minni; un ringraziamento ed uno sdebitamento per il loro aiuto nel cybermondo, aveva detto.
Il castello Disney era protetto dall’Oscurità dalla Prima Pietra della Luce: era un luogo adatto per proteggere i profughi di Auradon.
Presto scoprirono che anche Topolino sarebbe stato coinvolto nella Guerra del Keyblade, e con lui anche Paperino e Pippo.
Topolino aveva detto loro che se fosse successo qualcosa, sarebbe toccato a loro tredici contrastare Xehanort e fermare il suo piano folle.
Il giardino venne messo a loro disposizione per proseguire gli allenamenti con il Keyblade.
E grazie ai due scoiattolini, Cip e Ciop, avevano persino ripreso gli allenamenti virtuali per migliorare le loro abilità con armi trasformate. Avevano persino simulato dei combattimenti individuali contro le tredici Oscurità: per alcuni volti noti, per altri no. Ma erano comunque nemici, proiezioni di persone che minavano alla vita degli innocenti, strappare la luce dai loro cuori e dalle loro vite.
Come Malefica. La madre di Mal.
Era notte, mentre ci pensava: non riusciva a dormire; aveva deciso, dunque, di fare una passeggiata per i corridoi del castello. La regina Minni aveva ordinato alle guardie di lasciar girare liberamente i profughi di Auradon, senza restrizioni di tempo. Per questo Mal era tranquilla.
Ma, nello stesso tempo, era turbata.
Notò una figura, illuminata dalla luna, che rivolgeva lo sguardo verso il giardino.
-Carlos.- chiamò lei, correndo dall’amico.
Si era tolto la benda: l’occhio giallo brillava con la luce lunare.
-Non riesci a dormire?- domandò premurosamente lei; erano entrambi in pigiama, con le vestaglie.
Lui continuava a fissare la luna, malinconico. Immaginò una luna a forma di cuore al suo posto: Kingdom Hearts.
-Non lo so.- rispose, con tono triste –L’altra notte ho sognato mio padre, sai? So che anche lui verrà coinvolto nella Guerra dei Keyblade e io ho paura di perderlo, di nuovo. So che sta dalla parte di Xehanort, ma… il solo pensiero di perderlo mi sta straziando, letteralmente. Non mi sono mai sentito così solo.-
Mal gli prese una mano, colma di compassione per l’amico.
-Carlos, tu non sei solo.- rassicurò –Possiamo essere noi la tua famiglia.-
-Voi siete solo i miei amici, non siamo una famiglia.- tagliò corto lui, freddo e malinconico –Una famiglia è composta dal padre, dalla madre e dai figli. Io non avevo nulla di questo, prima di incontrare mio padre. Mal, tu non sai cosa significa essere considerati meno di zero dalla tua stessa madre.-
Anche Mal si fece malinconica. E pallida. La percorse un lieve brivido lungo la schiena.
-Hai ragione.- rivelò –Mia madre mi ha rinchiusa in una torre da quando sono nata, non mi faceva mai uscire. Ho sempre pensato per non espormi ad alcun pericolo, da madre premurosa che credevo fosse. Non la vedevo mai. Veniva nella mia stanza ogni sera, prima che mi addormentassi, e mi raccontava una storia. Parlava di un uomo, un Maestro del Keyblade, e dei suoi sei allievi. I loro nomi sono tutt’ora ignoti, ma sembra che alla scomparsa del Maestro, ognuno dei suoi sei allievi ricevette una copia di un libro, un ruolo, ed il compito di allenare altri ragazzi all’uso del Keyblade. Questi allievi scomparvero nella Guerra del Keyblade, ma pare che uno di loro, il più giovane, trovò un modo per sopravvivere nei secoli e che viva tutt’ora, per realizzare l’ultimo desiderio del suo Maestro.-
Carlos accennò una risata.
- È una storia un po’ inquietante, ma bella, nel suo genere.- commentò, tornando a guardare la luna.
-Lo sarebbe se fosse una leggenda.- Mal era ancora pallida e preoccupata; Carlos non nascose la sua preoccupazione per lei –Ma ho scoperto che è una storia vera.-
Il ragazzo si incupì.
-Che vuoi dire?-
Lei abbassò lo sguardo, mordendosi entrambe le labbra.
-L’ho scoperto in biblioteca, l’altro giorno, casualmente.-
Entrarono insieme in biblioteca. Mal tirò fuori un tomo da uno degli scaffali in alto.
-Ho chiesto alla regina Minni se avessero dei volumi che parlassero della Guerra del Keyblade e ho trovato questo.-
Le pagine erano illuminate dalla fiamma di una candela accesa sulla scrivania.
La Fata Smemorina aveva parlato loro della Guerra dei Keyblade, quando erano ancora ad Auradon, di come tutto fosse iniziato da un tradimento. Ma quella sera, la figlia di Malefica e Ade ed il figlio di Crudelia De Mon e Xigbar scoprirono più di quanto fosse stato loro insegnato.
-Guarda, qui c’è scritto tutto.- indicò la ragazza: c’era una pagina, infatti, con su raffigurate sette sagome, di cui sei indossavano maschere di animali: un unicorno, un serpente, un orso, un leopardo, una volpe ed una capra. Solo quello in mezzo indossava un cappotto uguale a quello indossato dai membri dell’OrganizzazioneXIII.
-Il Maestro dei Maestri, Super…- lesse Carlos, con un filo di voce –Ira, Invi, Aced, Gula, Ava e… Luxu.-
-Il maestro e i suoi sei allievi.- ricordò Mal; girò diverse pagine –E in questa pagina c’è scritto qualcosa a proposito di una “metempsicosi del cuore”. Si prepara un corpo, rendendolo compatibile con noi. E con compatibile si intende la quantità di Luce o Oscurità che abbiamo nel cuore. E, al momento del nostro decadimento, trasferiamo il nostro cuore nel nuovo contenitore. Ai tempi della Guerra del Keyblade era stata creata una specie di “ancora di salvataggio”, in grado di far viaggiare i cuori nel tempo.-
-Far viaggiare i cuori nel tempo?-
-A quei tempi non era stata nemmeno ultimata, ma sembra fosse perfettamente funzionante per il suo scopo. Non dice chiaramente le fasi, ma credo sia collegato col processo di metempsicosi del cuore. E guarda questa scritta, in basso.-
In fondo alla pagina, a grandi lettere, c’era infatti scritto:
 
“Attraverso il tempo e lo spazio, il mio cuore ti raggiungerà sempre.”
 
Una frase tanto inquietante quanto poetica.
Carlos vide con la coda dell’occhio l’espressione pallida e preoccupata di Mal. Qualcosa la terrorizzava.
-Mal, cosa ti preoccupa? Che succede?-
Restò in silenzio per pochi istanti. Il suo respiro tremava.
-Credo che sia per questo che mia madre mi ha tenuta rinchiusa in quella torre.- rivelò –Non per proteggermi dal mondo esterno, ma per prepararmi ad essere il nuovo contenitore del suo cuore.-
Quella notizia sconvolse Carlos.
-Cosa?!-
-Forse sarebbe stato quello il piano, se Ansem non mi avesse rapita. Mamma non avrebbe usato la sua Oscurità per tornare in vita dopo essere stata sconfitta da Filippo e Aqua o da Sora. Si sarebbe reincarnata… in me.-
Una notizia sconvolgente, persino per Carlos.
Mal come reincarnazione della madre Malefica?
Evie era già rimasta sgomenta alla notizia che l’uomo che aveva incontrato anni fa nelle prigioni del castello di sua madre, Terra, fosse ormai diventato contenitore del cuore di Xehanort, diventando egli stesso Xehanort; Carlos non osò immaginare cosa avrebbe provato, se Mal fosse davvero diventata Malefica.
E non solo Evie: ma tutti loro, soprattutto Ben.
In quel momento, fu lui a consolarla, mettendole una mano dietro la schiena.
-Ma non è accaduto.- le fece notare -Tu non sei come tua madre, Mal. Tu sei buona.-
Tuttavia, lo sguardo pallido e preoccupato non abbandonò la ragazza: non sembrava preoccupata per se stessa.
-Carlos…- disse, con un filo di voce -Non è solo per me stessa che sono preoccupata. Non so perché, ma sento che sei in pericolo.-
Il ragazzo inclinò la testa, quasi confuso.
-Il tuo occhio giallo, Carlos. Anche se siamo in un regno protetto dalla Luce, non è ancora svanito. Ma non hai ancora il cuore abbastanza oscuro da farti rigettare. E ho anche una brutta sensazione a proposito…- osservò di nuovo il libro, tornando alla pagina del Maestro dei Maestri e dei suoi sei allievi -Guarda questo ragazzo. Non credi che ti somigli?-
Stava indicando l’allievo con la maschera da capra, Luxu, il più giovane: la parte inferiore del volto era scoperta, come gli altri cinque allievi. Mandibola ovale, labbra piene, delle lentiggini sulle guance.
Ma Carlos non ne sembrava turbato. Non esteriormente.
Fece, infatti, spallucce.
-Non sono l’unico ragazzo con queste caratteristiche.- fece notare, con una sottile nota di ironia –E poi perché è così importante?-
-L’allievo che è sopravvissuto nei secoli, Carlos.- Mal era sempre più pallida e preoccupata –Credo sia lui, Carlos.-
-Solo perché mi somiglia? Devi essere davvero stanca, Mal…-
Stava di nuovo usando l’ironia.
Per nascondere il suo vero stato d’animo: vedere quel ragazzo, Luxu, infatti, faceva tremare il suo cuore.
Provare angoscia. Un timore quasi incomprensibile.
Come se qualcosa lo stesse risucchiando dall’interno.
Non riusciva a staccare gli occhi di dosso da quel disegno.
-Vieni, Carlos…- sentì, nella sua testa –Vieni da me…-
Non sbatté le palpebre. Le sue pupille svanirono. Le iridi divennero opache. Come fosse in trance.
Il suo cuore lo stava chiamando.
Intorno a lui regnava il buio.
Notò di non avere più il suo pigiama indosso, ma le vesti da allenamento.
L’unica luce proveniva dalla piattaforma a lui sottostante. Era tutta fatta di vetro colorato, come un rosone. Vi era raffigurato se stesso. Con gli occhi chiusi.
Era nel suo cuore. Quella era la Stazione del Risveglio. Era dal suo Tuffo nel Cuore che non vi metteva piede.
Perché era tornato lì?
Di fronte a sé notò un’altra figura: Luxu.
Nella sua veste da Veggente. E la maschera da capra che copriva solo la parte superiore del volto.
Stava sorridendo.
Avanzò verso Carlos, mentre una luce misteriosa compariva sulla sua mano: un Keyblade. Nero, con un occhio azzurro sulla lama.
-Non avere paura di ciò che sei.- gli sibilò, puntandogli il Keyblade contro.
Carlos non comprese il significato di quella frase.
Ma il ragazzo di fronte a lui era un avversario: doveva affrontarlo. Forse sarebbe tornato nel mondo reale, pensò.
Evocò anche il suo Keyblade, bianco e nero, a forma di osso, con una zampa di dalmata come lama.
Scattò in avanti, per attaccare per primo. Luxu deviò il suo colpo, ma Carlos riprese con un attacco orizzontale. Nessuno dei suoi colpi andava a segno: Luxu prevedeva ogni suo attacco e parava, deviava, contrattaccava di conseguenza.
Carlos si era impegnato più di tutti i suoi amici nell’addestramento del Keyblade: aveva lavorato a lungo sui suoi punti deboli. Infatti, era imbattuto dai suoi amici.
Ma Luxu sembrava conoscere perfettamente i suoi punti deboli.
Non era una scusa, per Carlos, di lasciarsi battere. Sentiva una grande rabbia dentro di lui. Ma quel sentimento di angoscia, di timore, non lo abbandonava un istante.
Forse era quello ad indebolirlo, constatò.
Non doveva indugiare: Luxu stava per sferrare un attacco frontale.
Carlos gli rivolse un’espressione determinata, strinse il Keyblade nella sua mano, e scattò in alto.
I due Keyblade si scontrarono: l’impatto fece leggermente indietreggiare i due custodi, oltre ad aprire le guardie.
Luxu era stato preso alla sprovvista: era il momento, per Carlos, di attaccare.
Eseguì un colpo ascendente, come se volesse dividere il suo avversario a metà.
Il colpo lo fece solo cadere; ma la maschera venne rimossa. Atterrò vicina al bordo della piattaforma.
Entrambi i Keyblade svanirono.
Carlos si avvicinò a Luxu, con aria soddisfatta, ma altrettanto furiosa.
In quel momento, anche l’altro ragazzo rivolse lo sguardo in avanti, facendo fermare Carlos.
Impallidì. E si bloccò.
Il volto di Luxu… era uguale al suo! Stessi lineamenti del volto, lentiggini, labbra carnose, sopracciglia nere. Con la sola eccezione che Luxu aveva entrambi gli occhi marroni.
-Sei stupito, vero?- sibilò, tornando in piedi; la sua voce era mutata: alla voce da ragazzo della sua età, si era sovrapposta quella di uomo adulto, quasi roca –Che noi due abbiamo lo stesso volto? Tu hai ancora paura, Carlos. Non riesci ancora ad accettarti, non è così? Credi sia stato facile anche per me, accettare il mio destino? Vuoi sapere di più su di me? Come sono sopravvissuto in tutti questi anni? Sulla Guerra dei Keyblade? Sulla leggenda del Maestro e dei sei allievi? Guarda, Carlos. Guarda… DAI MIEI OCCHI!-
Scattò velocemente in avanti, con una mano allungata in avanti: agguantò l’intero volto di Carlos, premendo le proprie dita sulla sua fronte.
Nella mente di Carlos scorsero miriadi di immagini. Per uno frammenti di sogno. Per l’altro ricordi lontani.
Carlos vide tutto: la Guerra dei Keyblade, il traditore, il Maestro dei Maestri, una misteriosa scatola nera, il Keyblade con l’Occhio Che Scruta, e Luxu. Tutte le sue reincarnazioni. Come fosse riuscito a sopravvivere dai tempi della Guerra dei Keyblade.
-Carlos? Carlos! Carlos!-
Mal stava continuando a scuotere l’amico per le spalle.
Lui sobbalzò, come se avesse sentito un rumore assordante, emettendo un lieve urlo.
Al suo urlo seguì un sospiro di sollievo.
-Oh, grazie al cielo, Carlos. Stai bene. Ti eri bloccato di fronte all’immagine di Luxu e mi sono preoccupata. Sembrava che quel disegno ti stesse ipnotizzando.-
In quel momento, fu lei a ridacchiare. E Carlos ad essere pallido.
-Carlos? Che succede? Stai male? Sei pallido…-
-Sto… bene.- guardò la luna -Sono un po’ stanco. Ed è tardi. Dobbiamo andare a dormire. Buonanotte.-
Freddo e sfuggevole. Non era da lui.
Mal non poté non preoccuparsi.
Carlos continuava a vedere quelle immagini: guerra, inganni, tradimenti. Era come se lui stesso le avesse vissute. Come se lui fosse stato Luxu.
E prima di svegliarsi dalla sua trance, aveva sentito la sua voce sibilante sussurrargli: -Attraverso il tempo e lo spazio, il mio cuore ti raggiungerà sempre…-
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Non appena la felicità si rompe, si sente l'odore del sangue ***


Note dell'autrice: eeeeeeeee... CAPITOLO FINALE!!! Scusate se è lungo, ma volevo finire in grande stile.
Alla prossima, ciao!

Fandom: Kingdom Hearts 3
Tema: Non appena la felicità si rompe, si sente l'odore del sangue


-----------------------------------------------------------


La guerra era finita.
La Luce aveva prevalso sull’Oscurità.
Maestro Xehanort era stato sconfitto da Sora.
I mondi erano in pace.
Yen Sid era tornato al castello Disney insieme a Re Topolino, Paperino e Pippo.
I profughi di Auradon attendevano con impazienza il loro ritorno.
Insieme a Yen Sid tornarono nella Torre Misteriosa, per proseguire i loro allenamenti, soprattutto per i futuri principi e principessa della Luce.
Ma essi avevano tante domande da porre, sulla recente Guerra dei Keyblade.
-Maestro Yen Sid…- iniziò Mal, con una nota di preoccupazione sul suo volto; per una persona, in particolare –Il resto dei Sette Guardiani della Luce stanno bene? Voglio dire… sono ancora vivi?-
Yen Sid sorrise lievemente: sapeva perfettamente per chi davvero la ragazza fosse preoccupata.
-Perché non lo chiedi direttamente al nostro ospite, giovane Mal?-
Con un gesto della mano, aveva indicato il portone alle spalle dei profughi di Auradon: un’altra persona si unì a loro. Un ragazzo alto e dai capelli bianchi.
Nel vedere la figlia di Malefica e di Ade aprì la bocca dallo stupore.
-Non ci posso credere… Mal?!-
Anche Mal si illuminò.
-RIKU!!!- esclamò, prima di saltargli letteralmente addosso, abbracciandolo persino con le gambe. La felicità nel rivedere il suo primo amico era tale da farla lacrimare.
Lui ricambiò l’abbraccio, contento anche lui di rivedere la ragazza.
Ben fu sconvolto da quella scena: Mal non lo aveva mai abbracciato così. Non nascose un po’ di gelosia.
Uma, invece, trattenne a stento una risata.
-Riku, sei ancora vivo…- mormorò lei, affondando il volto sulla spalla di Riku.
Lui rise.
-Sono sopravvissuto ad Ansem. Niente è impossibile, per me.-
Si guardarono un attimo negli occhi e poi Mal toccò di nuovo terra. Ma abbracciò di nuovo Riku. Erano anni che non lo vedeva. Aveva sentito la sua mancanza. Inoltre, era preoccupata per lui, per l’Esame di maestria del Keyblade e per la Guerra dei Keyblade.
-Riku, che bello rivederti…-
-Anche per me. Quando ho sentito di Auradon, pensavo di non vederti più…-
La gelosia era insopportabile: Ben dovette farsi avanti.
-Ehm!- iniziò, separando la ragazza da Riku; esibì un sorriso forzato –Quindi tu sei il famoso Riku…- gli allungò la mano -Piacere, Benjamin, figlio di Belle e Adam. E fidanzato di Mal.-
Alzò il tono della voce a “fidanzato”.
Riku si mostrò sorpreso.
-F-fidanzato…?- commentò; poi gli strinse la mano –P-piacere, Riku… Io… Mal, non mi avevi parlato di lui, l’ultima volta.-
Ben si voltò di scatto verso Mal, sconvolto.
-Non gli hai parlato di me?!- esclamò, geloso.
Mal divenne rossa d’imbarazzo.
-Uh… la cosa si fa interessante…- commentò Uma, ridacchiando. Anche Harry e Gil risero con lei.
Anche Yen Sid si schiarì la voce, per riportare l’attenzione sulla questione principale.
-Dicevo, il maestro Riku qui presente è venuto sin qui per parlarci degli sviluppi relativi alla Guerra dei Keyblade e rispondere a ogni vostra domanda.-
Riku raccontò dettagliatamente quanto avvenuto alla Guerra.
Le persone perdute, quelle ritrovate.
Evie tirò un sospiro di sollievo al ritorno di Terra, come Chad su quello di Ventus, il ragazzo che aveva aiutato i topolini a realizzare un vestito per la madre Cenerentola, e anche Audrey su quello di Aqua, la ragazza che aveva aiutato il padre Filippo contro Malefica.
Ben, ovviamente, volle chiedere di Sora: sperava finalmente di incontrarlo, alla fine della Guerra. Ma Riku scosse la testa, triste.
-Sora… è scomparso, poco dopo la fine della Guerra. Mi dispiace, Ben.-
Ben sospirò, scoraggiato.
-Ma con gli altri ci stiamo organizzando per ritrovarlo.- aggiunse il ragazzo albino, mettendogli le mani sulle spalle –Quindi non tutto è perduto.-
-E mio padre?-
L’unico a preoccuparsi per uno dei Tredici Cercatori dell’Oscurità. Il frutto dei lombi di uno di essi.
Carlos.
Riku lo osservò, sospetto: non aveva la benda. L’occhio giallo era ancora presente.
-Tuo padre…?-
-Il suo nome è Xigbar.-
-Tu sei il figlio di Xigbar?!-
Solo gli abitanti del Castello Disney sapevano delle ascendenze degli ex-abitanti dell’Isola degli Sperduti, comprese quelle di Carlos.
-Sì, sono suo figlio. E per questo ti chiedo, lui dov’è?!- il suo tono era sempre più preoccupato, più rabbioso.
Forse aveva già intuito la risposta; ma nutriva ancora speranza. Che fosse ancora vivo.
Ma lo sguardo di Riku gli stava esprimendo il contrario delle sue aspettative.
-Mi dispiace, ma… Sora e io non abbiamo avuto scelta. Lui non ci ha lasciato scelta. Abbiamo dovuto affrontarlo. Quando lo abbiamo sconfitto, lui… si è gettato in un dirupo.-
Qualcosa, dentro Carlos, si spezzò. Sentì un grande vuoto dentro, dopo un attimo di dolore.
Le gambe gli tremavano; doveva sedersi.
Delle lacrime scendevano dai suoi occhi.
-No… No…! No!- singhiozzò, mettendosi a sedere e coprendosi il volto con le mani.
Jane accorse da lui, per abbracciarlo.
-Oh, Carlos…-
Lui ricambiò l’abbraccio, per un attimo. Gli amici si erano riuniti intorno a lui, cercando un modo per sollevargli il morale.
Ma lui non provava niente. Solo… rabbia. E odio.
-Carlos, mi dispiace.- riprese Riku, cercando di avvicinarsi al ragazzo –Sora e io abbiamo cercato di salvarlo, ma…-
Improvvisamente, un Keyblade a forma di osso con una zampa di dalmata come lama gli sfiorò il naso: un colpo ascendente con il fine di tagliarlo in due. Riku si era schivato appena in tempo, eseguendo una capriola all’indietro.
Carlos lo stava osservando come un cane rabbioso, e con le lacrime che ancora scendevano dai suoi occhi: aveva spinto Jane da una parte ed allontanato gli amici.
-HAI UCCISO MIO PADRE!- esclamò, eseguendo un altro colpo.
Anche Riku evocò il suo Keyblade. Parò il colpo. Ma sentì la sua gamba cedere. Percepiva molta rabbia nel ragazzo che aveva di fronte. Riconobbe lo sguardo di Xigbar in quello di Carlos. Era indubbiamente suo figlio.
-Non ho avuto scelta!- si giustificò Riku -I mondi sarebbero sommersi di Oscurità, adesso! Ho dovuto farlo!-
-Ma era mio padre! Non avevi alcun diritto di decidere sulla sua vita! Vorrà dire che farò io quello che lui avrebbe dovuto fare!-
Yen Sid scattò in piedi, severo.
-Basta così, Carlos!- esclamò.
Lanciò un fulmine, colpendo il Keyblade di Carlos, insieme alle sue mani. L’arma svanì come era comparsa.
L’atmosfera, nella biblioteca, si era fatta pesante.
I profughi di Auradon stavano osservando, spaventati, l’amico: da quando era tornato umano, era cambiato. E non faceva che peggiorare. Specie da quando aveva ottenuto il Keyblade.
-Che cosa hai fatto, stregone?!- esclamò Carlos, tenendosi le mani. La rabbia in lui era ancora tanta.
-Quello che era giusto.- spiegò Yen Sid -Tuo padre era un pericolo, Carlos. Riku, il Re e il resto dei Guardiani della Luce hanno dovuto fare quello che era giusto per salvare i mondi.-
-Carlos, sono d’accordo con il Maestro Yen Sid.- aggiunse Ben, un po’ allarmato per la possibile reazione di Carlos –Sora e Riku hanno fatto solo il loro dovere. Tuo padre aveva preso parte al piano di far invadere tutti i mondi di Oscurità. Anche se fosse sopravvissuto, non avreste comunque avuto un posto in cui stare. E avresti perso noi…-
-Ma era mio padre!- protestò il ragazzo, continuando a singhiozzare -Ora sono solo…-
-Carlos, non sei solo…- cercò di consolarlo Jane –Tu hai noi. Noi siamo una famiglia.-
Carlos non udì le sue parole: era diventato sordo, per la disperazione. Nessuno dei suoi amici stava sostenendo la sua parola: erano d’accordo con Yen Sid e con Riku.
Gli avevano voltato le spalle. Lo avevano tradito.
-Voi non siete la mia famiglia!- tuonò, aggressivo -Mio padre era la mia famiglia! Avevo trovato la famiglia di cui avevo bisogno.- riprese ad osservare Riku -Ma lui e quell’incapace di Sora hanno rovinato tutto!-
Un altro sentimento oscuro si era insediato nel cuore del ragazzo: l’odio per Riku.
Yen Sid sospirò e scosse la testa.
-Nemmeno questi mesi di addestramento sono stati sufficienti per farti cancellare l’Oscurità dal tuo cuore, Carlos.- mormorò, dispiaciuto -Hai lasciato che la rabbia, l’odio e la disperazione prendessero il sopravvento su di te. Un Keyblade in mani simili diventa un’arma pericolosa. Non posso permettere che gli errori del passato si ripetano. Carlos, se non imparerai a cacciare questi sentimenti dal tuo cuore, non posso più tenerti come allievo.-
Quella notizia non solo sconvolse l’interessato, ma anche i suoi amici.
Riku, come uno dei sette Guardiani della Luce, era da poco uscito illeso da una guerra contro un uomo che aveva usato il Keyblade per scopi malvagi.
E Yen Sid non voleva diventare Maestro di uno come lui.
Carlos non si sentì in colpa per le sue parole o le sue recenti azioni.
Qualcosa stava crescendo in lui: bruciava e gli faceva male, ma lo faceva sentire sempre più potente.
Rivolse uno sguardo carico di odio verso Yen Sid.
-Io ti odio!- esclamò, senza indugio; poi osservò i suoi amici -Io vi detesto!- strinse una mano a pugno -IO… ODIO… TUTTI…- intorno a lui si stava materializzando qualcosa, una nebbia nera e viola; l’Oscurità; aveva finalmente trovato posto nel suo cuore; aveva cancellato l’amore, l’amicizia, i sentimenti che ancora lo legavano al regno della luce; il filo che lo aveva fatto precipitare era la notizia della morte di suo padre; la coscienza di essere di nuovo da solo -VOOOOOIIII!!!-
Con quell’urlo, un’onda di Oscurità era partita dal suo corpo, espandendosi per tutta la stanza, rendendola buia come fosse notte: sembrava  fosse entrato un uragano, e il vento partiva da Carlos. Erano i suoi sentimenti negativi: rabbia, odio, disperazione, solitudine, rancore.
Ben, con l’aiuto della magia di Yen Sid, aveva fatto il possibile per proteggere gli amici in un suo campo di forza: l’Oscurità di Carlos era potente.
L’uragano, per fortuna, durò poco tempo e la stanza tornò come prima. Ma non senza conseguenze.
Lo sguardo di Carlos era ancora furioso, e gli occhi guardavano con odio verso Riku. Con grande sgomento dei presenti, specialmente dei figli dei cattivi, entrambi i suoi occhi erano diventati gialli. Anche l’occhio destro si era tinto di giallo, durante il rilascio dell’aura oscura.
Era perduto. Aveva ceduto all’Oscurità.
Gli sguardi puntati su di lui esprimevano paura e preoccupazione.
Esattamente come quella volta in cui era quasi vicino ad uccidere Chad.
E come quella volta, diede le spalle a tutti, ma senza versare lacrime o parole di pentimento: aveva preso la sua decisione.
Ben e Jane decisero di corrergli dietro, preoccupati. Avevano anticipato le intenzioni di Mal, Evie e Jay.
-Carlos, mi dispiace. Non sapevo avresti reagito così…- si scusò Ben.
-Ti prego, non andartene, Carlos.- aggiunse Jane, la più preoccupata di tutti –Sistemeremo tutto.-
-Silenzio! Tutti e due!- tuonò Carlos; il suo tono era aggressivo –Non ne posso più della vostra ipocrisia! Di tutti voi abitanti di Auradon! Prima fate il terzo grado a chiunque infranga una regola e poi pretendete di essere perdonati! Proprio tu, Ben, che non ti sei fatto scrupoli a tradire Audrey per Mal, anche dopo che l’incantesimo era svanito! Ricordi a cosa l’ha portata?! A cedere all’Oscurità! E tu…- stava fissando Jane come un leone a digiuno da una settimana di fronte ad una preda inerme –Più di tutti mi hai deluso! Avresti dovuto stare dalla mia parte, adesso!-
-Ma io sto dalla tua parte, Carlos!-
-E allora perché non hai detto nulla?! Tutto quello che sai dire sono solo belle parole, ma cosa mi dici dei fatti? Io lo so che non ti piaccio. Ho visto come guardi me e vedo come guardi Harry. Credi che non me ne sia accorto? Vuoi stare con Harry? Accomodati. Tra noi è finita. L’ho sempre saputo che il mio regalo non ti è mai piaciuto.-
Jane stava facendo di no con la testa alle insinuazioni del ragazzo; ma lui le aveva preso ugualmente la collana con scritto “Jarlos” strappandogliela dal collo e gettarla per terra, per poi pesarla.
-No!- esclamò lei, con le lacrime agli occhi.
Si era gettata per terra, per recuperare la collana. Si era spezzata in due. In “Ja” e “rlos”.
Sembrava che con quell’onda di Oscurità si fossero risvegliati anche i dubbi e le incertezze di Carlos, oltre che ai suoi rancori.
-E tu!- si era di nuovo avvicinato a Riku -Quelli come te si vantano di essere degli eroi, di poter salvare tutto e tutti, ma non pensate mai alle conseguenze delle vostre azioni! Pensate che i vostri nemici siano esseri senza cuore, senza legami! Ma agendo così non siete meglio di loro! Siete degli ipocriti!-
Poi osservò i suoi amici, carico di odio e delusione.
-Mi avete deluso tutti. Pensavo fossimo amici, che ci sostenessimo a vicenda, ma vedo che preferite aggrapparvi a degli stereotipi e seguire il pensiero dei più potenti che aiutare un amico.- tornò ad osservare il portone -Tanto che mi importa? Prima di essere scaricato nell’Isola degli Sperduti, io ero da solo. Non mi cambia nulla tornare ad esserlo.-
Allungò una mano in avanti, chiudendo gli occhi. Di fronte allo sguardo stupito di tutti, Carlos aveva aperto un Portale Oscuro.
E di certo non era per far venire qualcuno o mandarvi qualcuno.
-Carlos!- esclamò Mal, preoccupata -Non hai una protezione! L’Oscurità ti divorerà!-
Lui le rivolse un’occhiata fredda.
-La Luce mi ha fatto questo.- indicò entrambi gli occhi gialli –Credi davvero che l’Oscurità possa farmi di peggio? Come no.-
Aveva cambiato modo di parlare. Definitivamente.
Riku ebbe la prova definitiva che quel ragazzo fosse il figlio di Xigbar: solo lui parlava con quel tono.
Entrò nel portale, senza voltarsi indietro; svanì, come una nuvola di fumo.
Carlos aveva fatto la sua scelta. Aveva ceduto all’Oscurità. Per farlo, aveva abbandonato le ancore che ancora lo tenevano legato alla Luce: la sua ragazza ed i suoi amici.
Nessuno, all’interno di quella sala, nonostante ciò a cui avevano assistito, sembravano sollevati.
Soprattutto Riku.
-Mi dispiace tanto, davvero.- si scusò, provando disagio; Carlos era figlio di un suo nemico, ma lui non aveva le stesse colpe del padre; o così sperava -Mi sento responsabile. Se lo avessi saputo prima, non avrei detto quelle parole…-
Mal gli mise una mano su un braccio, guardandolo teneramente.
-No, Riku, non è colpa tua.- lo rincuorò -Nessuno ti sta biasimando. Hai solo fatto il tuo dovere.-
-Io lo sentivo nel suo cuore, la disperazione, il rancore, la solitudine che Carlos provava dalla perdita di suo padre...- mormorò Yen Sid, scuotendo la testa e sospirando, come per esprimere delusione; ma non per Carlos -Speravo che diminuissero con il tempo e con l’addestramento. Ma non facevano altro che aumentare, riempiendogli il cuore sempre più di Oscurità. Lo immaginavo che non ci fosse niente da fare per lui.-
Jane stava ancora piangendo sulla collana spezzata: si era divisa in “Ja” e “rlos”. L’unione tra Jane e Carlos. Quel regalo era importante per lei. Carlos era stato il primo ragazzo a farla sentire carina e speciale. Non lo avrebbe mai tradito con Harry, nonostante lui avesse cercato di sedurla, chiamandola “anatroccolo affascinante”.
Evie, Audrey e Lonnie si erano riunite intorno a lei, per confortarla.
Persino Jay avrebbe voluto piangere: ma era troppo orgoglioso. Sostituì le lacrime con la rabbia.
Batté con forza una mano sulla scrivania di Yen Sid.
-Ma non è una buona scusa per mandarlo via così!- tuonò, furioso. La rabbia nascondeva la preoccupazione per l’amico, per lui un fratello minore, come Evie e Mal.
La sua reazione fu inaspettata per lo stregone, che sobbalzò, allarmato: per un attimo, aveva intravisto le pupille di serpente, nei suoi occhi.
Tuttavia, le sue parole avevano scosso Jane: si asciugò le lacrime e si alzò in piedi, determinata. Non era il momento per piangere. Anche lei si era allenata sodo con il Keyblade: doveva dimostrare di essere una degna guerriera, oltre che mezza fata.
-Jay ha ragione.- disse, ancora con la collana spezzata tra le mani -Carlos è pur sempre uno di noi. È nostro amico! E dobbiamo cercarlo!-
Mal e gli abitanti di Auradon furono unanimemente d’accordo con la proposta della figlia della Fata Smemorina. Ma non un’abitante dell’Isola degli Sperduti.
-Ehm, pronto?- chiamò Uma, cinica, con un gesto della mano come per salutare -Non avete sentito quello che ha detto? Cosa vi fa pensare che voglia essere ritrovato?-
-Non è tanto questione di riportarlo da noi.- fece notare Ben -Si tratta di salvarlo. Là fuori, da solo, senza Keyblade, potrebbe essere in pericolo.-
-O potrebbe essere lui il pericolo…-
Si voltarono tutti verso Chad.
Aveva pronunciato quella frase con un tono che non era da lui: sembrava serio, riflessivo, sospettoso. L’addestramento con il Keyblade aveva cambiato anche lui, rendendolo più responsabile. Aveva preso l’impegno di ricostruire Auradon seriamente, questo aveva anche forgiato il suo carattere.
Ben era confuso.
-Che vuoi dire, Chad?-
Il figlio di Cenerentola si rivolse al figlio di Belle ed alla figlia di Aurora, sempre con lo sguardo serio e sospettoso.
-L’avete percepita anche voi, vero? La sua Oscurità. Era davvero potente.- fece notare –Mi sono sentito schiacciare, quasi espellere la Luce dentro di me.-
Allora non era un’impressione, pensarono Ben ed Audrey. Avevano percepito anche loro qualcosa, come un artiglio nel loro cuore, che dava l’impressione di volerlo strappare dal petto. Loro in particolare, poiché i loro cuori erano puri, come quelli delle loro madri.
-Chad ha ragione.- approvò Yen Sid; l’attenzione fu rivolta a lui -Non serve un Keyblade per rappresentare un pericolo per i mondi.- si rivolse agli ex-abitanti dell’Isola degli Sperduti -I vostri genitori non avevano un Keyblade, ma la loro Oscurità era molto potente e sono stati un pericolo per i vostri mondi.-
Non aveva torto: Mal, Evie e Jay ricordavano come le proprie madri e padre avessero esercitato terrore sui propri mondi, senza Keyblade. E Ursula, la madre di Uma, non era un’eccezione. Uncino e Gaston non erano al loro pari, ma anche la loro Oscurità rischiava di compromettere l’equilibrio dei loro mondi.
Carlos era sempre stato un ragazzo buono. Non sembrava figlio di Crudelia De Mon, tantomeno di Xigbar. Ma i recenti eventi lo avevano avvicinato sempre più all’Oscurità. Lo avevano costretto ad avvicinarsi all’Oscurità. Per amore aveva ceduto ad essa. Era stata la Luce la causa della sua caduta.
E quella Luce doveva aiutarlo ad elevarsi di nuovo ad essa.
Mal aveva preso la sua decisione: avrebbe fatto di tutto per salvare un suo amico. Come Riku con Sora.
-Suggerisco, allora, di cercare nei posti in cui andiamo spesso.- propose -Come Crepuscopoli e la Città di Mezzo. Dovremo dividerci in due gruppi.-
Era un buon piano. Ma Audrey non sembrava convinta.
-Lui saprà che quelli sarebbero i primi luoghi in cui potremo trovarlo.- fece notare, anche lei preoccupata.
-Ma dovremo comunque tentare.-
Anche Ben disse la sua.
-Ci potrebbe essere una possibilità che sia tornato nel suo mondo d’origine.-
-Ma lui ha detto di odiare il suo mondo d’origine.- ricordò Evie, sospetta.
-Appunto per questo dobbiamo tentare anche lì. Come ha detto Audrey, Carlos si aspetterà che lo cerchiamo nei mondi in cui andiamo spesso. Il posto migliore per nascondersi è l’ultimo posto in cui ci aspetteremo di trovarlo. E questo potrebbe essere il suo mondo d’origine.-
-Se posso permettermi…- aggiunse Riku, intromettendosi nel discorso; voleva aiutare l’amica a ritrovare Carlos -Se mi venisse detto della scomparsa di una persona cara, io tornerei in quel luogo, per cercarla.-
Mal approvò l’idea: non aveva tutti i torti al riguardo.
-Ma non avevi detto che suo padre si era suicidato?- domandò, confuso, Gil.
-Con i Nessuno non si tratta di una vera e propria morte.- spiegò il ragazzo albino -Yen Sid vi avrà spiegato la differenza tra Heartless e Nessuno, vero? Eliminando entrambi, possiamo far tornare i Nessuno un… qualcuno, se così si può dire.-
Rifletterono tutti sulle sue parole. Yen Sid aveva già spiegato ai profughi di Auradon la nascita degli Heartless e dei Nessuno e cosa aveva provocato l’eliminazione di Ansem e Xemnas da parte di Sora, ovvero il ritorno di Xehanort. Ansem era un Heartless e Xemnas un Nessuno. La loro eliminazione aveva ricreato un “qualcuno”.
Ripensando a quel discorso, avevano già ottenuto la risposta.
­-Quindi questo potrebbe voler dire…- disse Ben, spezzando la frase; lo sguardo freddo di Riku ed il modo in cui aveva annuito la testa significava che entrambi stavano pensando la medesima cosa.
-Che Xigbar è ancora vivo.- dedusse, infatti; era quello che stava pensando il figlio di Belle -E che Carlos stia andando a cercarlo proprio nel luogo in cui Sora e io lo abbiamo visto per l’ultima volta. Il Cimitero dei Keyblade.-
Il Cimitero dei Keyblade. Il luogo in cui si era svolta la recente Guerra dei Keyblade.
I Sette Guardiani della Luce, contro i Tredici Cercatori dell’Oscurità.
Luce contro Oscurità. Per Kingdom Hearts.
I profughi si sentivano più sollevati: almeno non avrebbero cercato Carlos alla cieca.
Uma, infatti, sorrise, soddisfatta.
-Quindi abbiamo i nostri luoghi di ricerca…- disse, sicura di sé.
Ma Yen Sid era ancora preoccupato: scattò in piedi, battendo entrambe le mani sulla scrivania.
-Non c’è altro tempo da perdere!- esclamò -Trovate Carlos, prima che semini il caos nei mondi!-
Annuirono tutti.
-Bene.- iniziò Ben -Chad, Audrey ed io andremo nella Città di Mezzo.-
I tre pirati si scambiarono un’occhiata d’intesa: avevano preso la loro decisione.
-Noi tre andremo nel suo mondo d’origine.- propose la figlia di Ursula.
-E noi nel cimitero dei Keyblade.- disse Mal, indicando anche Evie e Jay.
Restava un ultimo mondo, per Lonnie, Doug e Jane.
-Allora a noi tocca Crepuscopoli.- concluse la figlia di Mulan, seria.
-Chiederemo ai ragazzi di Crepuscopoli di darci una mano.- aggiunse Doug -Sicuramente accetteranno.-
Ma la figlia della Fata Smemorina non era d’accordo. Fece un passo verso Mal.
-No, voglio andare con voi!- disse, decisa e determinata.
Nessuno obiettò.
-D’accordo, Jane, ma perché?- domandò Evie, premurosa.
Jane non era forte, e non aveva talento nei combattimenti. Era la guaritrice del gruppo. Temeva che il Cimitero dei Keyblade fosse un mondo pericoloso per lei. Ma lo sguardo della ragazza le stava esprimendo il contrario.
-Se davvero Carlos è andato a cercare suo padre, allora deve essere per forza al Cimitero dei Keyblade.- si mise una mano sul cuore, tenendo ancora stretta la collana spezzata -Io… non so perché, ma… lo sento. Lo sento che è laggiù.-
 
-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*
 
Il Cimitero dei Keyblade.
Un deserto spoglio con tanti Keyblade logorati dal tempo conficcati nel terreno.
Segni di una guerra combattuta secoli prima, per la luce. Una guerra che vide cadere molti giovani guerrieri del Keyblade, e cinque dei Veggenti di cui si narra nella leggenda della Guerra dei Keyblade.
Solo uno, il più giovane, era riuscito a sopravvivere, lasciando Auropoli poco dopo la scomparsa del Maestro dei Maestri.
Di Auropoli non era rimasto più niente: solo rovina, desolazione, e segni di guerra ben palesi, creando il Cimitero dei Keyblade.
I Keyblade erano disposti in modo da creare dei sentieri, come un vero cimitero con le tombe.
In mezzo ad uno di questi sentieri si materializzò un Portale Oscuro: Carlos vi uscì cadendo piegato su se stesso. Ansimava. E tremava. Come se avesse corso una maratona.
-Cielo!- imprecò, osservandosi le mani sul terreno -Non immaginavo che l’Oscurità fosse così… schiacciante…-
Aveva sottovalutato l’Oscurità. Era davvero potente. Ma vi era sopravvissuto. La Luce lo aveva ferito di più. Perché lo aveva ferito dentro. Con la delusione. La perdita. E la solitudine.
Riuscì ad alzarsi.
-Ma almeno sono arrivato tutto intero.- fece un sospiro; l’Oscurità che aveva “assorbito” nel Portale Oscuro era entrata nelle sue vene; l’aveva accettata, non respinta; ben presto divenne “sua”. Essendo per metà un essere oscuro, l’Oscurità gli aveva impedito di trasformarsi in un Heartless.
Era un pensiero fisso nella sua testa ad avergli dato la forza di proseguire e resistere al dolore cui l’Oscurità lo stava sottoponendo: suo padre. E la speranza.
E la rabbia nata dalla rivelazione di Riku.
-No… mi rifiuto di credere che mio padre sia morto.- mormorò, scuotendo la testa. -Lo sento che è ancora vivo! E che è ancora qui!-
Non sapeva dove andare: i sentieri creati con i Keyblade avevano creato un labirinto senza muri, e sembravano non finire mai. Aveva persino perso il suo Keyblade, per colpa di Yen Sid. Lo avrebbe aiutato a trovare suo padre.
Ma a Carlos non importava. Si sarebbe affidato al suo cuore, per ritrovare il padre.
Si mise la mano sul cuore, recitando: -Possa il mio cuore essere la mia chiave guida.-
Realizzò che non gli serviva il Keyblade, per il suo scopo: bastava il suo cuore.
Quella frase gli diede forza. Camminò in avanti.
-Papà!- chiamava, a ritmi di cinque passi -Papà! Papà!-
Sentiva la sua presenza.
Ma stava camminando da troppo tempo in mezzo a quei Keyblade logori ed arrugginiti senza risultati: avevano quasi tutti la stessa forma, con una stella come lama.
L’unico rumore che sentiva erano le sue scarpe sul terreno arido.
Era un luogo quasi spoglio, come un deserto o un canyon, ma non sentiva caldo. Tantomeno freddo.
Avvertiva solo un senso di vuoto. E di angoscia. Forse era dovuta all’Oscurità che si era ormai impossessata del suo cuore. O, da un certo punto di vista, percepiva i cuori spenti dei custodi scomparsi nei Keyblade che lo stavano circondando.
Ricordava ancora le visioni di settimane prima, quando con Mal aveva sfogliato quel libro sui Veggenti e sul Maestro dei Maestri.
Aveva visto una piccola parte della Guerra dei Keyblade. Come se lui stesso vi avesse fatto parte. Camminare in mezzo al campo di battaglia gli riportò alla mente le sensazioni provate allora: angoscia, solitudine.
E una scatola nera.
Con un cuore sopra.
La stava vedendo ancora. Ma in lontananza.
E una figura la stava trascinando con sé. Una figura che vestiva un cappotto nero.
Il cappuccio era calato, mostrando un lungo codino grigio e nero.
Carlos, finalmente, sorrise.
-Papà!- esclamò, correndo in avanti.
La figura si voltò: un occhio giallo fu puntato contro il ragazzo.
-Carlos?!-
Xigbar dovette abbandonare la scatola nera e voltarsi: Carlos lo aveva raggiunto. Ansimava, ma sorrideva.
E delle lacrime di gioia stavano per scendere dai suoi occhi.
-Papà…- mormorò, senza smettere di sorridere piangendo -Sei vivo… lo sapevo… lo sapevo!-
Xigbar era sorpreso di rivedere il figlio. Non si aspettava di rivederlo proprio nel Cimitero dei Keyblade. O era quello che voleva far credere. Ma sorrise anche lui.
-Davvero credi che bastino due pivellini con il Keyblade per fermare il tuo vecchio? Come no!- aveva parlato con il suo solito tono sicuro e lievemente strafottente; ma si inquietò nel osservare il figlio negli occhi, notando il loro colore; da marroni erano diventati gialli; proprio come era accaduto a lui -A proposito, che ti è successo agli occhi?-
Aveva fatto un passo in avanti, per avvicinarsi al figlio ed osservarlo bene. O per elemosinare un abbraccio da lui. Ma Carlos aveva cambiato espressione e fatto un passo indietro: la felicità di poco prima era svanita.
-Beh, che ti succede, figliolo? Non vuoi dare un abbraccio al tuo vecchio?-
-Prima rispondi tu a una domanda, papà.- sembrava preoccupato -Notti fa, la mia amica Mal mi ha mostrato un libro sull’antica Guerra dei Keyblade, o meglio, sui Veggenti, allievi di un uomo chiamato il Maestro dei Maestri. Poi ho avuto delle visioni, di vite non appartenute a me. E in queste visioni, io ho visto te, papà. O meglio, io ero te.- Xigbar si fece serio e sospetto; gli occhi gialli del ragazzo erano puntati verso quello dell’uomo –Papà… il tuo vero nome è Luxu, non è vero?- domandò, ancora con sguardo preoccupato -Il sesto Veggente, l’allievo più giovane del Maestro dei Maestri, l’allievo che è riuscito a sopravvivere nei secoli.-
Vi fu un piccolo momento di silenzio tra padre e figlio. Silenzio improvvisamente rotto con la risata del primo. Una risata divertita, non malefica.
-Ah, figliolo, sei sempre stato una mente acuta. Motivo di orgoglio per me.- adulò, con un sorriso rassegnato; dovette ammettere la verità -Ebbene sì, mi hai beccato. Non mi chiamo Xigbar, tantomeno Braig, ma Luxu.- rivelò, con un sospiro -Il mio caro Maestro mi ha affidato un compito, anni e anni fa, ma non potevo completarlo in una sola vita, quindi ho dovuto cambiare più volte carcassa. Ma poi è arrivato quel vecchiardo…-
-Non mi importa.-
Carlos aveva interrotto la sua spiegazione. Teneva lo sguardo basso. Xigbar inclinò la testa, quasi confuso.
-Luxu, Braig, Xigbar… sono solo tre nomi.- disse il ragazzo, alzando la testa; si avvicinò al padre, guardandolo teneramente, come un cucciolo in cerca di attenzioni -Ma appartengono tutti alla stessa persona. Tu sei mio padre. È questo ciò che conta, per me, non come ti chiami. I miei amici si sbagliano su di te. Non ti conoscono come ti conosco io. Anzi, ora che ci penso, non mi importa più niente di loro o quello che pensano. Io voglio solo stare con te, papà. Non voglio altro.-
Senza indugio, aveva abbracciato il padre, provando affetto e amore, nel suo cuore. Sentimenti collegati alla Luce. Gli stessi per cui aveva ceduto all’Oscurità: per l’amore che provava per il padre.
Leggermente preso di sprovvista, Xigbar ricambiò l’abbraccio. Percepiva il proprio battito cardiaco; stava accelerando, per l’emozione. Il suo sguardo era fisso sul vuoto.
Trascinò una mano sopra la schiena del figlio, affondandola tra i capelli bianchi, e facendo premere la sua testa contro la sua spalla: gli era sempre piaciuto toccargli i capelli. Da Nessuno e anche da “qualcuno”.
-Sì, figliolo.- disse, con tono atono -Tu e io resteremo insieme… per sempre.-
Con una mano gli stava toccando i capelli, ma l’altra non era aderente al corpo del figlio.
Carlos, infatti, sentì qualcosa toccargli il petto. Qualcosa di freddo e tagliente.
Guardò in basso: un Keyblade.
Nero, con un occhio incastonato sulla lama. Come quello del primo Luxu, che aveva affrontato notti prima.
Non lo aveva semplicemente toccato, ma proprio perforato.
Osservò in alto, incrociando lo sguardo vuoto del padre. No, forse stava notando una lieve nota di pentimento.
-Pa…pà…?!- balbettò, sorpreso ed incredulo. Sentì le proprie forze mancare. Chiuse gli occhi.
Xigbar lo prese tra le sue braccia. Indifferente.
Udì un urlo. Di quattro persone.
-CARLOS!!!-
Dalla polvere, uscirono quattro sagome, una maschile e tre femminili: Jay, Mal, Evie e Jane. Impugnavano ognuno il proprio Keyblade.
Le ragazze osservavano lo spettacolo con terrore; Jay con rabbia. Videro il loro amico Carlos tra le braccia dell’uomo che lui chiamava padre. La stessa persona per cui Carlos ambiva a divenire custode del Keyblade. Lo aveva letteralmente pugnalato.
Jane era scoppiata a piangere, urlando dalla disperazione di aver perduto la persona che amava di più; Evie cercava inutilmente di consolarla con un abbraccio. Ma anche lei provava la stessa sensazione dell’amica.
Mal e Jay, invece, si osservarono, scambiandosi uno sguardo di intesa: gli occhi di Mal si illuminarono di verde, mentre quelli di Jay di giallo e con le pupille strette.
Corsero verso Xigbar, con i cuori colmi di rabbia: delle nubi si formarono intorno a loro, circondandoli.
Le loro sagome divenivano sempre più grandi: sulle scapole di Mal erano comparse delle ali, mentre le spalle di Jay divennero tutt’uno con la testa ed i capelli.
Mal si era trasformata in un drago e Jay in un cobra gigante.
Avevano avuto modo di esercitarsi e controllare le loro trasformazioni durante i loro allenamenti nella realtà virtuale creata da Carlos e Doug. Sempre con la supervisione ed i consigli di Yen Sid.
Erano finalmente in grado di controllare le loro trasformazioni.
Xigbar non sembrava spaventato, anzi. Rise, addirittura. Si permise di ridere.
-Oh! Ma guarda un po’ qua!- esclamò, sorridendo soddisfatto, come un padre orgoglioso dei propri figli -Siete proprio i degni figli dei vostri genitori!-
Mal e Jay avanzavano
Il sorriso derisorio svanì, lasciando posto ad uno sguardo freddo e minatorio. Afferrò la testa di Carlos, stringendo i capelli. Il suo volto, ancora privo di conoscenza, era rivolto verso gli amici.
La lama del Keyblade nero premette sulla sua gola.
-Fate un’altra mossa e io sarò costretto ad uccidere il mio figlioletto.-
Evie e Jane impallidirono: Yen Sid aveva parlato loro dell’OrganizzazioneXIII, quindi anche di Xigbar. Era incredibile, pensarono, che un uomo come lui fosse il padre di un ragazzo come Carlos.
Mal e Jay, seppur nelle forme animali, erano ancora umani dentro: il fumo li avvolse di nuovo. Ritornarono umani.
Di conseguenza, l’uomo aveva allontanato il Keyblade dalla gola del figlio. Ma ancora teneva la mano stretta sui suoi capelli.
-Bravi, così mi piacete.- commentò, sorridendo malignamente.
Non erano stati in grado di salvare Carlos. Tutti e quattro i ragazzi provarono impotenza, nonostante i loro poteri.
La rabbia che Mal e Jay provavano per l’uomo era grande, ma erano bloccati: in condizioni normali, non si sarebbero fatti scrupoli ad incenerirlo, nelle loro forme animali. Ma Xigbar aveva usato Carlos come scudo. E lui sapeva che non avrebbero fatto del male al loro amico.
-Come hai potuto?!- esclamò Evie, quasi in lacrime, staccandosi da Jane e avanzando di qualche passo, superando Mal e Jay -Lui è tuo figlio!-
Xigbar non abbandonò il suo sorriso: convinto che nessuno si sarebbe fatto avanti, riprese il figlio tra le braccia e, con un piede, aprì la scatola nera che stava trascinando poco prima.
Nessuno dei quattro profughi riuscì a vederne l’interno.
-Già.- ammise l’uomo, lasciando scivolare Carlos dentro la scatola nera, per poi chiuderla -E Radiant Garden è il luogo in cui sono nato e cresciuto. Eppure, ne ho causato la distruzione, figlia di Grimilde.-
Lo aveva detto senza provare alcun rimpianto o pentimento: anzi, ne sembrava orgoglioso. Della distruzione della sua casa e dell’apparente omicidio del figlio.
Aveva ancora quel sorriso malefico e sicuro sul volto. Lo stesso sorriso che avevano notato sul volto di Carlos il giorno in cui aveva tentato di uccidere Chad ed era comparso il primo occhio giallo.
Non era la prima volta che Jane provava un sentimento negativo, ma la rabbia si era insidiata anche nel suo cuore. Strinse la mano a pugno e raggiunse Evie, agguerrita; il suo Keyblade era apparso, con un fiocco come elsa, ed una “J” decorata con un piccolo fiocco come lama.
-Sei un uomo senza cuore!- tuonò, con un tono misto tra il pianto e la rabbia -Come può un uomo come te essere il padre di uno come Carlos?!-
Lui assunse uno sguardo curioso, come se stesse fingendo di essere spaventato od offeso.
-Oh. Avete davvero creduto alle storie del mio figlioletto sulle nostre avventure insieme?!- notò -E credete che passassi a trovarlo e che mi fossi preoccupato per lui alla distruzione di Auradon per amore?! Come no!- accennò una risata; camminò avanti ed indietro, restando di fronte alla scatola nera, come per proteggerla -Vedete, miei cari, il mio vero nome non è Xigbar, ma Luxu, e sono uno dei Veggenti di cui si narra nelle leggende. Quello che non ha combattuto nella Guerra dei Keyblade ed è scomparso al suo inizio, ma che è riuscito a sopravvivere nei secoli.-
Mal ebbe come un sussulto: di fronte a sé aveva il sesto Veggente, Luxu, il più giovane degli allievi del Maestro dei Maestri. Lo stesso Luxu di cui aveva letto nel libro della biblioteca del Castello Disney, che aveva i tratti del volto simili a Carlos. I suoi timori erano fondati: Luxu e Carlos erano collegati.
-Come ho fatto?- riprese Xigbar, facendo spallucce -Semplice, per anni ho trasferito il mio cuore in un corpo che fosse compatibile al mio, come il vegliardo ha fatto con Terra dieci anni fa.-
Evie provò una nota di rabbia: odiava il pensiero di Terra posseduto da Maestro Xehanort, divenire Maestro Xehanort. Si era pentita di non essere stata in grado di salvarlo.
-Ragazzi miei, non sapete che faticaccia. A volte temevo che la mia ora fosse davvero finita, ma all’ultimo minuto riuscivo a trovare qualcuno alla mia altezza in cui reincarnarmi. Ma poi ho avuto una brillante idea: quale miglior corpo compatibile di uno che è sangue del tuo sangue, in cui reincarnarti? Per questo ho voluto generare il mio figlioletto.-
Esattamente come Malefica aveva intenzione di fare con Mal, se Ansem non l’avesse rapita.
-Ma dovevo trovare una donna che avesse un’Oscurità compatibile alla mia.- il suo occhio era fisso su Mal ed Evie -Avevo pensato alle vostre madri e anche ad Ursula, belle fanciulle, ma Malefica e Ursula erano troppo potenti per me e Grimilde troppo debole.-
Entrambe le ragazze rabbrividirono al pensiero di avere uno come Xigbar come patrigno.
-Crudelia era idonea per me, quindi l’ho sedotta. Dalla nostra unione è nato questo bel faccino di mio figlio.- aveva messo una mano sulla scatola nera, strofinandoci sopra -Non dite che mi somiglia? Ha esattamente lo stesso volto che avevo quando avevo il mio vero corpo. Ma per reincarnarmi in lui dovevo instaurare un legame. E un legame tra padre e figlio è indissolubile di natura. E ora il suo livello di Oscurità è quasi pari al mio e detiene persino un Keyblade. Direi che è più che pronto per divenire il mio prossimo recipiente. Confesso che alla distruzione di Auradon temevo di dover trovare una nuova donna con cui procreare, ma vedendo come lui è venuto da me, direi che le cose stanno andando nel verso giusto.-
Di nuovo esibì il suo sorriso malefico.
Ma quel sorriso fomentò la rabbia dei quattro ragazzi.
Specialmente di Jane. Strinse con più forza sull’impugnatura del suo Keyblade.
-Carlos non merita un padre come te!- ringhiò; non aveva mai provato tanta ira in tutta la sua vita -Fallo uscire subito da lì!-
I suoi amici tentarono invano di fermarla, ma lei aveva già caricato contro l’uomo.
Ma lei era una guaritrice, non una guerriera: i suoi colpi si erano rivelati lenti e prevedibili. Xigbar ne aveva schivati un paio senza problemi. Il terzo lo parò con il suo Keyblade.
L’occhio giallo era fisso, freddo, su quelli azzurri della figlia della Fata Smemorina. Resisteva, senza sforzo, nonostante la corporatura esile.
-Io non sono degno di essere suo padre?- ripeté, indisponente -Mio figlio è venuto qui da solo e mi ha detto specificatamente che non gli importa più di voi! A giudicare dai suoi occhi, voi lo avete allontanato perché è troppo “oscuro” per voi altri.- spostò lo sguardo verso Mal, Evie e Jay, anche loro in procinto di attaccare -Voi, che siete figli di cattivi! Come no! E tu…- riprese a fissare Jane; la rabbia che vide nei suoi occhi lo divertì, ma non sorrise -Hai davvero un bel visino… ora capisco la luce che ho percepito nel cuore di Carlos… E francamente, non posso biasimarlo. Ma per quello che voglio fare con lui, questa luce è troppo accecante. Meglio spegnerla.-
Respinse il Keyblade della ragazza da un lato e, rapido, eseguì un fendente su Jane.
Lei rimase immobile, fissando Xigbar. Poi il punto in cui era stata colpita. Poi si voltò verso gli amici.
Questi la osservarono impietriti e pallidi. Specie quando tossì: sputò sangue.
Lasciò cadere il Keyblade. Svanì, appena toccò terra.
Anche la sua portatrice cadde per terra, con lo sguardo rivolto verso l’alto.
Mal ed Evie corsero da lei, abbassandosi.
-NO, JANE!- esclamarono, spaventate.
Aveva un taglio, sul completo cobalto da allenamento, che partiva dal ventre e finiva al petto. Da questo stava fuoriuscendo del sangue, che macchiò una buona parte del completo.
E quello che stava uscendo dalla bocca di Jane non finiva. Fu colta da spasmi e colpi di tosse, che allarmarono gli amici. Si bloccò all’improvviso; il suo sguardo era ormai vitreo.
Xigbar non fissò lo spettacolo: qualcosa era caduto dalla tasca della ragazza, quando l’aveva colpita. La raccolse: era la catenina “Jarlos” ancora spezzata.
-Guarda guarda…- commentò, affascinato –Davvero interessante. Credo che la terrò, non si sa mai…-
La mise in tasca.
Jane non si muoveva più. Mal ed Evie stavano piangendo. Le iridi gialle con le pupille strette stavano già comparendo negli occhi di Jay.
-Mostro!- esclamò, aggredendo l’uomo.
Esattamente come con Jane, Xigbar parò il colpo con il Keyblade.
Nemmeno le ragazze rimasero con le mani in mano: evocarono anche i loro Keyblade. Mal si unì all’amico.
Evie, invece, trasformò il suo Keyblade in due grandi specchi. Li fece rivolgere verso se stessa, facendoli, inoltre, girare intorno a lei. Poi li allontanò da sé: da essi uscirono delle illusioni di lei. Come riflessi di uno specchio. Tutte armate di Keyblade.
Le diresse verso l’uomo, intento ad affrontare Mal e Jay.
Teneva testa ad entrambi, senza problemi: quando parava il colpo di uno, con un calcio respingeva l’altra.
Riuscì persino a parare i loro incantesimi di fuoco e fulmine insieme.
Li allontanò da sé dopo aver respinto un loro attacco congiunto, spingendo in avanti e facendoli cadere.
-È incredibile!- esclamò Jay, sorpreso –I cecchini non dovrebbero nemmeno essere bravi nei combattimenti ravvicinati!-
-Hai dimenticato che è un Maestro del Keyblade, Jay.- fece notare Mal.
Fu lì che intervennero le copie di Evie. Tra di esse doveva esserci quella vera.
-Oh… questo sì che è interessante…- commentò, sorridendo.
Cercavano tutte quante di attaccarlo nello stesso momento. Ma fu uno sbaglio. Un fendente le fece svanire tutte. Colpì anche quella vera, al ventre.
Fu scaraventata verso i due amici, quasi travolgendoli.
-Evie!- esclamò Mal, preoccupata. Per fortuna, la ferita dell’amica non era grave quanto quella di Jane.
Ma Jane non era lì per guarire le ferite degli amici.
Questo spinse Jay a guardare di nuovo avanti e tentare un nuovo attacco contro Xigbar e riprendere Carlos.
Ma era sparito.
Si era levato un vento tale da sollevare la terra, come una tempesta di sabbia. Xigbar aveva approfittato della distrazione dei ragazzi e di quella tempesta per svanire dai loro sguardi.
-Non ce l’abbiamo fatta…- mormorò Mal; stava parlando con un tono piatto, senza sentimenti.
Avevano fallito.
I profughi di Auradon non erano ancora all’altezza di un combattimento contro un esperto. Avevano da poco imparato a controllare i loro poteri, ma, escludendo gli Heartless di Crepuscopoli, non avevano mai affrontato un vero avversario.
Questo li aveva portati a perdere Carlos e Jane.
Jay strinse il suo Keyblade in mano, digrignando i denti. Poi batté un piede sul terreno ed urlò di rabbia.
 
^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*
 
Erano tutti riuniti nella Torre Misteriosa.
Jane era stata sistemata su un letto.
Vederla praticamente coperta di sangue non lasciò Yen Sid impassibile: lesto, aveva chiamato tutti i maghi conosciuti nei mondi, tra cui la madre di lei, la Fata Smemorina.
Fu uno shock vedere la figlia in quello stato.
La ferita era stata rimarginata. Ma la ragazza ancora non si era svegliata.
Era immobile, con le braccia conserte, ma con sguardo sereno. Avevano dovuto toglierle il completo da allenamento e metterle un abito bianco di cotone.
Yen Sid sospirò, appena diede il permesso ai profughi di Auradon ed a Riku di entrare nella stanza: questi erano appena stati aggiornati sugli eventi del Cimitero dei Keyblade, di Carlos, Xigbar e Jane. Di conseguenza, il morale si era abbassato.
Ancora più con la notizia di Yen Sid.
-Abbiamo fatto il possibile.- spiegò, scuotendo la testa, con aria triste -Ma la ferita era troppo grave. Il suo corpo è salvo, ma il suo cuore è spento, come se avesse perduto la voglia di vivere.-
Due persone perdute lo stesso giorno. Le ragazze piansero, anche Doug e Gil. I maschi ed Uma si limitarono ad abbassare lo sguardo.
-Povera Jane…- mormorò Audrey, rivolgendo lo sguardo all’amica.
La Fata Smemorina era seduta accanto al suo capezzale, osservando teneramente la figlia, tenendole la mano, a volte baciandola.
-Oh, Jane, tesoro mio…- mormorò, tra le lacrime. Merlino, accanto a lei, le mise una mano sulla spalla.
Persino le tre fate buone, Flora, Fauna e Serenella, abbassarono lo sguardo.
-È come si dice.- aggiunse Harry, per la prima volta senza sorridere o ridere a mo’ di scherno; sapeva essere giudizioso, quando voleva -Quando la felicità si rompe, si sente l’odore del sangue…-
Un amico era scomparso, un’amica era deceduta. I profughi di Auradon si sentivano perduti.
-E ora che facciamo?- aggiunse Chad, dopo un breve momento di silenzio -Abbiamo perso Sora, abbiamo perso Carlos, abbiamo perso Jane…-
Yen Sid inspirò dal naso, riprendendo il controllo delle proprie emozioni. Diede uno sguardo fugace a Jane, reprimendo le lacrime che volevano scendere dai suoi occhi: varie erano state le visite della Fata Smemorina con la figlia. Si era affezionato a lei. Perderla così era stato un colpo anche per lui.
Ma doveva restare lucido per incoraggiare i suoi allievi; non doveva farsi guidare dalle emozioni.
-Voi tre ragazzi dovete concentrarvi a ricostruire Auradon.- disse, rivolto a Ben, Chad ed Audrey -Insieme al Castello Disney, è il rifugio più sicuro dall’Oscurità. Re Topolino e noi maghi offriamo il nostro aiuto per aiutarvi a velocizzare il processo.-
Anche Ben stava piangendo per la perdita di Jane. Ma anche lui realizzò che aveva un altro dovere da svolgere. E, per quanto tenesse a Jane, non doveva lasciarsi abbattere.
-Grazie.- disse, a nome dei due amici principi. Anche questi annuirono, senza sorridere.
-E riguardo Carlos?- aggiunse Evie, preoccupata -Non possiamo abbandonarlo così.-
-Xigbar lo avrà portato dalla sua parte.- ipotizzò Riku, serio; non conosceva Jane, ma provò ugualmente rabbia per la persona che l’aveva eliminata -Lo conosco, sa essere alquanto convincente. E Carlos non si separerà dal padre.-
-Me nemmeno noi abbandoniamo i nostri amici. Come tu con Sora.- fece notare Jay, puntando il dito contro il ragazzo albino -Noi non ci fermeremo, fino a quando non ritroveremo Carlos.-
-Almeno sapete dove cercarlo?-
La domanda del Maestro spiazzò il figlio di Jafar. Di nuovo si era lasciato guidare dall’irruenza. E dalla vendetta. Per Carlos e Jane.
Mal prese la parola: il suo sguardo era ancora vuoto, come la sua voce.
-L’unico indizio a nostra disposizione è una scatola nera che stava trasportando Xigbar.- rivelò -Se le cose stanno come hai detto tu, Riku, altre due persone sono alla ricerca di quella scatola, ovvero mia madre e Pietro. Da soli non possono farcela.-
Questo presuppose un’unica cosa.
-Stai dicendo dovremo allearci con tua madre per trovare Carlos?!- dedusse Jay, avvicinandosi all’amica con aria sconvolta. Nemmeno ad Uma andava a genio l’idea di collaborare con Malefica.
-Non vedo altre soluzioni.- fu la risposta, sempre atona.
-Conosci la sua posizione?- domandò Riku.
-No. Ma so che l’ultimo ad aver visto mia madre è stato mio padre Ade. Se glielo chiedo io, forse mi aiuterà.-
Un piano azzardato.
Ma furono tutti unanimi nel considerare che fosse l’unica soluzione, attualmente.
-Non credo sarà sufficiente.- aggiunse Doug -E restare qui non è la scelta giusta. Propongo di tornare ognuno nei mondi d’origine e fare domande su Malefica e su questa scatola nera.-
Malefica e Pietro avevano calpestato molti mondi. Quelli dei profughi di Auradon dovevano essere tra questi.
Jay accennò un sorriso.
-Sono anni che non torno ad Agrabah. Ne sentivo la mancanza.- avrebbe rivisto Jasmine, la sua amica d’infanzia, mostrarle che era ancora vivo ed era sopravvissuto.
-Forse farà bene anche al nostro morale tornare a casa.- fece notare Evie, anche lei sorridendo.
Ben sarebbe tornato dai suoi genitori e dai domestici che lo avevano accudito. Chad anche dagli amici topolini, figli dei topolini amici di sua madre. Audrey avrebbe riabbracciato i suoi genitori, in compagnia delle zie fate. Lonnie avrebbe rivisto la madre, “zio” Mushu ed i nonni. Evie si sarebbe ricongiunta con la sua sorellastra Biancaneve. Ed Harry sperò che Peter Pan si ricordasse di lui e di poter volare ancora, una volta tornato all’Isola Che Non C’è.
Riku approvò l’idea: anche a lui era risultata utile una breve permanenza nella sua isola per ripartire all’avventura con più determinazione.
-Vi porterò io personalmente nei vostri mondi.- propose -La gummiship è qui fuori.-
Quel lieve momento di serenità aveva un poco risollevato il morale generale.
Ma Yen Sid era ancora inquieto. Preoccupato per Sora, deluso per Carlos ed amareggiato per la sorte di Jane.
-La lotta contro l’Oscurità non è ancora finita, ragazzi miei.- disse, sospirando -Essa è sempre in agguato per colpirci quando meno ce lo aspettiamo. Dovrete essere tutti pronti per gli eventi futuri e le conseguenze delle vostre azioni.-
Non aveva torto. E da poco ne avevano avuto una prova.
Ben si voltò verso il corpo esanime di Jane: una vittima della crudeltà dell’Oscurità, per mano di un figlio e di un padre. Nel corpo e nel cuore. E si erano spenti entrambi, come conseguenza.
L’improvvisa rottura della felicità di Carlos aveva causato il sangue versato da Jane.
-Maestro, noi siamo pronti per qualsiasi sfida l’Oscurità ci proporrà.- disse, deciso. Come avrebbe fatto Sora, il suo idolo.
Per questo Yen Sid aveva sorriso ed annuito, come per congratularlo per il suo coraggio e la sua determinazione. Pensò, e Riku con lui, che Ben e Sora avrebbero stretto subito amicizia.
E Riku aveva stretto amicizia nientemeno che con la figlia di Malefica.
Si guardò intorno: non era più nella stanza.
Mal era infatti uscita dalla torre. Si era messa a sedere sugli scalini dell’entrata, abbracciandosi le ginocchia e sospirando continuamente.
Aveva le gambe bagnate dalle lacrime versate per i due amici scomparsi.
-Ehi, ti ho trovata.-
Anche Riku era sceso. Principalmente per cercare l’amica. Stava sorridendo lievemente, per cortesia.
Ma lei distolse lo sguardo, tornando a fissare le stelle.
-Scusami, volevo rimanere un po’ da sola.-
-Allora, se vuoi, me ne vado.-
-No, resta, ti prego. Non ti vedo da troppo tempo. Voglio godermi questi attimi, prima di iniziare le nostre missioni.-
-Ok, allora mi siedo qui.-
Si era messo accanto a Mal, anche lui seduto sui gradini.
La presenza del ragazzo le aveva un poco sollevato l’umore.
-Sai, quando ancora abitavo nel castello di mia madre, ogni notte guardavo le stelle.- aveva ripreso a parlare come una persona normale, con le tonalità, e con un accenno di sollievo e serenità -Mamma mi raccontava che ogni stella che vedevo nel cielo era un mondo e che risplendevano così per la luce che brillava nei loro cuori. Sognavo sempre di poter volare via dal castello e andare in uno di quei mondi.-
-Beh, anche io sognavo la stessa cosa.- rivelò Riku -E Xehanort prima di me. È ironico pensare di essere nato nello stesso mondo del mio nemico.-
Risero entrambi. Per scacciare la tensione di poco prima. Ma era rimasta una cicatrice nel cuore di Mal. E questo Riku lo sapeva. Sentiva dei lievi singhiozzi della ragazza.
-Mal, mi spiace per Carlos e Jane.- disse, triste -Dovevate essere molto amici.-
-E a me dispiace per Sora.- si asciugò le lacrime, tirando indietro con il naso; ma continuò a parlare singhiozzando -Sai, Ben desiderava tanto incontrarlo. Era il suo idolo. E non solo perché ha salvato i suoi genitori più di una volta. Questo proprio non ci voleva.-
Riku, per consolarla, le abbracciò le spalle con un braccio. Sentì la sua testa sulla spalla, ed i capelli viola solleticargli il collo.
-Io e gli altri Guardiani della Luce ci stiamo dando da fare per ritrovarlo. Spero anche voi riusciate a trovare Carlos.-
-Lo spero anche io.-
Rimasero un attimo in silenzio. In pace. Il tempo per far passare l’aura di tristezza che aveva colpito la ragazza.
Decise di pensare e rivelare qualcosa di piacevole, per alleviare il suo dolore. O, almeno, tentare di alleviarlo.
-Sai, quando tutto questo inferno sarà finito, troveremo Carlos e Sora, e Auradon sarà finalmente ricostruita, Ben e io ci sposeremo.-
Tutto il corpo di Riku si bloccò a quella rivelazione così improvvisa. Inaspettata.
-D-davvero…?!- balbettò, imbarazzato; da come Ben aveva reagito all’abbraccio di Mal con lui e da come aveva chiaramente specificato “fidanzato”, non ne fu così stupito; ma era comunque stata una rivelazione improvvisa; neppure un’orda di Heartless lo avrebbe colpito così.
Ma Mal sembrava felice. Anche lui doveva mostrarsi felice. Doveva almeno tentare. O fingere.
-Beh, congratulazioni, Mal. Sono orgoglioso di te, davvero.- rispose, sorridendo, ancora imbarazzato; ridacchiò, confuso, e quasi si sdraiò sui gradini -Certo che ne abbiamo fatta di strada, dalla prima volta che ci siamo incontrati. Eravamo entrambi prigionieri, e ora io un Maestro del Keyblade e tu promessa sposa del figlio di una Principessa della Luce. La vita sorride ad entrambi. Ora non ci manca niente.-
Il cambio di tono del ragazzo aveva leggermente insospettito Mal. Una lieve nota di gelosia. O invidia nei confronti di Ben.
Forse, in un altro momento, o se fossero riusciti a scappare insieme, Mal avrebbe potuto dare una possibilità a Riku.
Ma Ben, nonostante i loro alti e bassi, la completava. Sentiva di non poter fare a meno di lui.
Tuttavia, Riku avrebbe avuto per sempre un posto speciale nel suo cuore.
La sua vita era cambiata grazie a due ragazzi. Doveva trovare un modo per ringraziare entrambi.
Per uno l’aveva già trovato il modo. Mancava l’altro. E sapeva come.
-A dire la verità…- iniziò, sorridendo con aria furba, come se stesse pianificando qualcosa -…qualcosa manca, nella mia vita, per essere felice.-
Riku la osservò, confuso. Lei si era alzata e fermata di fronte a lui. Poi si era inchinata e gli aveva preso una mano.
-Maestro Riku.- iniziò, con tono solenne -Vuoi accompagnarmi all’altare, il giorno del mio matrimonio?-
Imbarazzo, euforia, sorpresa, lusinga, tutte nello stesso momento. Riku divenne di tutti i colori.
-S-Stai scherzando spero!?- balbettò, senza fiato. Il suo cuore batteva molto forte.
Mal scosse la testa, con calma e serenità. Era sicura della sua decisione, nonostante lo scetticismo dell’amico.
-No, Riku, sto dicendo sul serio.-
-Non dovrebbe essere tuo padre a farlo?!-
-Davvero ce lo vedresti mio padre Ade a sfilare in una navata in mezzo a tanta gente che ha paura di quelli come lui?-
Ridacchiò a quel pensiero: Ade che la teneva sottobraccio fino all’altare, mentre si pavoneggiava in mezzo agli ospiti, fiero della figlia, mentre Pena teneva il velo di Mal e Panico spargeva petali di fiori sulla navata centrale.
No, non sarebbe spettato ad Ade quel privilegio. Ma ad una persona per Mal più importante.
-Riku, non l’ho chiesto a te perché sei il primo che mi è capitato di fronte.- si era fatta seria ed oggettiva; e stringeva la mano del ragazzo con convinzione delle sue parle -Tu sei stato il mio primo amico, il primo con cui ho parlato e mi sono aperta. Tu mi capivi perché eri come me, un cuore imprigionato nella propria casa e che altro non desiderava che scappare per viaggiare, scoprire i segreti di tutti i mondi. Siamo cresciuti e cambiati, ma i nostri inizi coincidono. Credimi, Riku, non c’è nessuno più degno di te per accompagnarmi all’altare, come mi avresti accompagnato se fossimo riusciti a scappare insieme dalla prigione della Fortezza Oscura.-
Se Riku aveva provato in passato qualcosa per Mal? Forse. Ma qualunque cosa fosse, era sempre sorpassata dal suo tormento interiore, la sua Oscurità ed Ansem. Non avrebbe mai dimenticato le sensazioni provate, al loro incontro ad Auradon. Entrambi erano sollevati nel scoprire di essere sopravvissuti ad Ansem, il loro carceriere comune, di essere risorti dalla sua Oscurità.
Riku ricordava bene quell’incontro: aveva visto lo sguardo perso di Mal, confuso, dubbioso. Se non fosse stato in missione per conto di DiZ o se non fosse ancora in contrasto con la parte di Ansem dentro di lui, l’avrebbe portata via da Auradon.
Poi l’aveva rivista da poco, serena, felice. Anche se nel suo cuore regnava il lutto per la perdita dei due amici, la vedeva comunque risplendere di una luce propria. E doveva ringraziare Ben, per questo.
Non voleva spegnere quella fiamma, così viva, luminosa, accesa.
Tutto quello che voleva, era che Mal fosse felice.
-Sì, Mal.- rispose, sorridendo -Sarò più che lieto di accompagnarti all’altare, il giorno del tuo matrimonio.-
Mal si illuminò di nuovo.
-Davvero?! Accetti?!-
-E perché no? Mi hai dato delle ottime ragioni. Come potrei rifiutare?-
Mal urlò di gioia, scattando in piedi e abbracciando di nuovo il suo primo amico.
Era finalmente felice: entrambi i ragazzi della sua vita, per il giorno più importante della sua vita.
Ma prima, dovevano ritrovare Sora e Carlos.
 
*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^
 
C’era solo un lume ad illuminare una stanza oscura.
Le finestre erano grandi, ma l’esterno era letteralmente coperto dall’Oscurità.
La stanza era disordinata, in rovina. Sembrava esservi passato un uragano.
Doveva essere, in origine, uno studio. Ma i mobili erano spogli, consumati dal tempo e dalle tarme.
Come l’unica scrivania lì presente. Erano rimaste delle provette, ma rotte, od impolverate.
Quella stanza sembrava essere abbandonata da anni.
Solo tre persone furono gli unici visitatori dopo tutto quel tempo.
Carlos era sdraiato su un letto, proprio sotto la grande finestra. Era ancora privo di coscienza.
Accanto a lui, Xigbar ed un uomo con la maschera di unicorno lo stavano fissando.
-Quel ragazzo è tuo figlio?- disse il secondo, un po’ sospetto, un po’ curioso.
Xigbar rimase in silenzio: fissava il figlio, il suo volto, il suo sguardo sereno. Come un padre premuroso. O come un oggetto prezioso cui non voleva separarsi.
-Esatto.- rispose, sorridendo -Notato come mi somiglia? Ha i miei lineamenti.-
-E vuoi farne il tuo nuovo recipiente?-
-Sì. Se quegli squinternati ritroveranno il ragazzino, io devo pur trovare un modo per reincarnarmi per poi scoprire cosa accadrà.-
-Ma non avevi detto di aver completato la tua missione? Perché vuoi ancora reincarnarti?-
-Ormai ci ho preso gusto a cambiare corpi e vedere come i mondi cambiano nel tempo. La curiosità fa il suo gioco, oltre che il dovere. Ed essendo mio figlio, non sarà complicato reincarnare il mio cuore nel suo corpo… E poi mi manca avere due occhi.-
Quella risposta non convinse l’uomo dalla maschera di unicorno. Il suo sguardo era sospetto, da dietro la maschera. Era come se fosse riuscito a leggergli nella mente e scoprire i suoi veri piani.
Sembrava non essere la prima volta che fossero coinvolti in una conversazione simile. Era come se uno vedesse l’altro come lo ricordava.
-Tuttavia… ha ancora molta Luce nel suo cuore.- aggiunse Xigbar, cupo in volto –Pensavo che eliminare la sua ragazzetta l’avesse spenta. Ma qualcuno lo sta tenendo ancora ancorato al mondo della Luce.-
-Chi?-
-Io.-
Degli strani mugolii interruppero la conversazione. Carlos stava increspando le labbra e strizzando gli occhi.
Xigbar si allarmò.
-Si sta svegliando. Meglio se sparisci, Ira. Devo prepararlo gradualmente a quello che accadrà. E poi potrete conoscervi.- avvertì all’altro.
Ira rimase fermo, a fissare Xigbar. Lui lo aveva conosciuto come Luxu, con un altro aspetto, e tutt’altro carattere. Ricordava un ragazzo un po’ incerto, non sicuro delle proprie capacità.
Anni di reincarnazioni lo avevano cambiato. Aveva fatto esperienza con il Keyblade, con le manipolazioni delle menti altrui. Era diventato come il Maestro.
Uscì dalla stanza, come richiesto. Ma non senza sospetti.
Xigbar si era messo a sedere sul letto, accanto al figlio.
Non aveva mai dimenticato il primo incontro con Carlos. Un ragazzo impacciato, insicuro, timido. Come lui tanti anni prima, nei suoi primi tempi di apprendista presso il Maestro dei Maestri.
Fissò il suo volto. Un misto di emozioni si insidiarono nel suo cuore.
Non era la prima volta che incrociava lo sguardo dolce del figlio. Forse, nel profondo, ne aveva sentito la mancanza. Come dei suoi abbracci.
Non si era mai reputato uno dall’istinto paterno. Non prima di incontrare il figlio e passare il tempo con lui. Non poteva negare a se stesso di provare affetto per il figlio. Come non poteva negare di aver trascorso dei momenti piacevoli con lui.
Ma il dovere, per lui, contava più dei sentimenti. Doveva reprimere quei sentimenti e fingere quello che provava davvero. Come aveva sempre fatto.
Ma doveva trovare un modo per estirpare definitivamente la Luce dal suo cuore, per realizzare quel piano.
Lui doveva morire.
Carlos riaprì gli occhi: erano ancora gialli.
La prima sagoma che vide, una volta messo a fuoco, fu quella del padre.
Sentiva la sua mano sulla sua spalla.
-Ben svegliato, figliolo.-
Gli stava sorridendo senza mostrare i denti. Come era solito fare, ogni volta che si incontravano.
Carlos tentò di rialzarsi, mettendosi seduto sul letto. I tre occhi gialli del padre e del figlio brillavano nel buio.
-Papà…?- mormorò, ancora stordito; si guardò intorno, provando una sensazione di disagio ed angoscia alla vista della stanza -Ma cosa…? Dove siamo?-
Forse la vera domanda che doveva porre era “Come ho fatto a venire qui?”
Le ultime cose che ricordava era il suo arrivo al Cimitero dei Keyblade, la riunione con il padre, e…
Sgranò gli occhi e si abbassò la zip della tuta, sollevando, poi, la maglia fino al petto. Lo tastò.
Niente. Nessuna ferita.
Alzò lo sguardo verso il padre.
-Perché mi hai puntato il Keyblade contro?-
Xigbar sospirò, scuotendo la testa.
-Mi dispiace, figliolo. Era l’unico modo per portarti qui sano e salvo.- spiegò, fingendo dispiacere -Ho dovuto addormentarti.-
Aveva completamente perso i sensi. Non si era accorto di essere stato trasportato in una scatola nera. E nemmeno aveva udito le urla dei suoi amici.
Nemmeno quelle per la morte di Jane.
-Dove siamo?- domandò. Aveva cambiato posizione: era sempre seduto sul letto, ma con i piedi sul pavimento.
Anche Xigbar si mise comodo sul letto, alzando lo sguardo anche lui. Si scorgeva una nota di nostalgia nel suo occhio. E nel suo sospiro.
-È un luogo che non calpestavo da troppo tempo. Qui saremo entrambi al sicuro.- prese una mano del figlio, osservandolo negli occhi -Sarà un ottimo luogo per ricominciare.-
Carlos era confuso.
-Ricominciare? Cosa?-
-Il nostro rapporto.- gli accarezzò i capelli -Sei mio figlio, dopotutto. Devo occuparmi di te. E, soprattutto, voglio occuparmi di te. E voglio esserti di supporto per ogni cosa.- mentiva; erano altri i suoi piani; ma doveva sempre stabilire un legame con il figlio -Anche aiutarti a migliorare con il Keyblade.-
-Il mio Keyblade…?- si stupì il ragazzo; si osservò la mano, con sguardo sconsolato ed arrabbiato nello stesso momento -Ma Yen Sid lo ha distrutto mentre cercavo di aggredire Riku.-
-Un Keyblade non è mai distrutto per sempre.- rivelò il padre -I nostri Keyblade sono praticamente manifestazioni del nostro cuore e sono collegati ad esso. Per distruggere un Keyblade, devi distruggere il cuore del suo portatore. Su, prova a evocare il tuo.-
-Papà, non so se ce la faccio…- disse, scoraggiato.
-Non saprai mai, se non provi. Io so che puoi farcela. Mi fido di te.- gli sussurrò all’orecchio -Possa il tuo cuore essere la tua chiave guida.-
Carlos credette al padre. Si fidava di lui. Era sempre stato l’unica persona cui poteva fidarsi.
Allungò una mano, chiudendo gli occhi.
Vedeva solo il buio. E le immagini degli eventi più recenti, la notizia di Riku, i rimproveri di Yen Sid, gli sguardi spaventati di Jane e dei suoi amici…
Tremò, pensando alle sensazioni oscure provate: disperazione, rabbia, delusione.
Secondo Yen Sid, la magia era fatta di emozioni.
Carlos sfruttò quelle emozioni negative, per evocare nuovamente il Keyblade.
Ad esse subentrò una nuova emozione, più lucente ed altrettanto potente: la speranza. La felicità del genitore ritrovato.
La ragione per cui aveva deciso di divenire Custode del Keyblade.
Sentì un formicolio sulla mano: e la sua mano strinse qualcosa di freddo.
Riaprì gli occhi: stava stringendo un Keyblade a forma di osso e con una zampa di dalmata come lama.
-Papà! Avevi ragione!- esultò, saltellando da seduto sul letto -Ho ancora il mio Keyblade!-
Xigbar applaudì, orgoglioso.
-Bravo, ragazzo.-
La speranza dentro di lui si stava riaccendendo. Pensava di aver perduto il suo Keyblade, ma non era così.
Magari suo padre poteva aiutarlo con un’altra questione che gli gravava nel petto.
-Quindi, mi aiuterai anche a espellere l’Oscurità dal mio cuore?-
Sperò che la risposta fosse affermativa. Nonostante il sorriso orgoglioso del padre, ottenne un’altra risposta.
-Ancora meglio, figliolo.- rivelò, sicuro ed orgoglioso -Ti insegnerò a controllarla.-
La risposta inquietò il ragazzo: durante l’addestramento, Yen Sid aveva spiegato le conseguenze di una persona che cede all’Oscurità, parlando degli Heartless, e dei genitori degli ex-abitanti dell’Isola degli Sperduti, deceduti per mano della loro stessa Oscurità. Temeva di fare la loro stessa fine.
-Quelli come Yen Sid temono l’Oscurità perché non sanno niente dei suoi vantaggi e si fermano solo agli svantaggi.- riprese a spiegare Xigbar -Luce e Oscurità devono coesistere insieme, come il giorno e la notte. L’una non può esistere senza l’altra. Per vedere meglio di notte dobbiamo accendere un lume, ma se la luce è troppo intensa, getti ombra sui tuoi occhi per non rimanere cieco.-
Un insegnamento logico. E basilare. Che né Yen Sid, tantomeno la Fata Smemorina avevano esposto ai profughi di Auradon, forse per timore che si avvicinassero ancor più all’Oscurità.
Mal, Evie e Jay avevano avuto le loro opportunità ad Auradon, si erano integrati con i loro abitanti, divenendo parte di quel mondo. Anche Carlos stesso si era integrato. Avevano seguito le regole imposte dalla Luce.
La prima era respingere chiunque avesse un cuore oscuro. Ed era quello che aveva subito Carlos, non appena entrambi gli occhi erano divenuti gialli.
Osservò il suo Keyblade, con rabbia e delusione.
-Anche i miei amici mi hanno abbandonato. E dire che molti di loro sono come me. Perché non mi comprendono?-
Xigbar sorrise, malignamente, senza farsi vedere dal figlio: aveva rinunciato alle sue prime ancore della Luce, Amicizia ed Amore. Gli mancava solo la Famiglia, ovvero Xigbar stesso, e poi sarebbe stato perfettamente compatibile con la sua Oscurità, per reincarnarsi in lui.
Lo abbracciò, mettendogli le mani sulle spalle.
-Si sono lasciati influenzare dalle frivole e superficiali leggi della Luce, figliolo.- disse, con tono confortante -Lasciali stare, non fanno per te.-
Anche Carlos sorrise. Non provò sensi di colpa. Solo appagamento.
-Hai ragione, papà. A cosa mi servono loro, quando ho te?-
Padre e figlio si guardarono di nuovo negli occhi. Stesso sguardo. Stessi occhi.
Xigbar gli accarezzò di nuovo i capelli.
-Ho fatto tante cose cattive nelle mie innumerevoli vite, ma tu sei la più bella che ho realizzato. Ah, figliolo… quasi mi pento di aver lasciato tua madre. Ti avrei visto crescere. Abbiamo troppo tempo da recuperare. Ma ora finalmente possiamo essere una famiglia e io non potrei essere più felice…-
Carlos ricambiò il sorriso. Abbracciò il padre, una volta lasciato il Keyblade sul pavimento.
Xigbar ricambiò, poggiando la testa sulla spalla del figlio.
Il suo sorriso era cambiato: non da padre affettuoso e premuroso, ma maligno.
“…mio recipiente.”

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3873068