Guardians

di BeaterNightFury
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sogni, Onore, Amicizia ***
Capitolo 2: *** Vicini e Distanti ***
Capitolo 3: *** Un Milione di Lanterne ***
Capitolo 4: *** Acqua e Sangue ***
Capitolo 5: *** Ghiaccio e Fuoco ***
Capitolo 6: *** La Strada Verso Casa ***
Capitolo 7: *** Un Solo Folle ***
Capitolo 8: *** Una Ragione Per Combattere ***
Capitolo 9: *** Specchi Infranti ***
Capitolo 10: *** Nessun Altro Che Me ***
Capitolo 11: *** Destati ***
Capitolo 12: *** Fractus, non Subiectus ***
Capitolo 13: *** Andiamo Insieme ***



Capitolo 1
*** Sogni, Onore, Amicizia ***



Con questa storia siamo finalmente arrivati all’inizio della trama di quella che era la prima stesura di Til Kingdom Come – o perlomeno all’ambientazione temporale, perché la trama ovviamente finirà per cambiare!
Quindi, come “regalo” per voi lettori, ho deciso di ripristinare la colonna sonora dei capitoli, ma con un’organizzazione un poco diversa. A questo link https://www.youtube.com/playlist?list=PLdgj5x-BjVma51KjTmXoxd2KpCa7nB1k5 troverete tutta la playlist di questo capitolo, e quando vedrete questo simbolo |>>| nel testo della storia, sarà il momento di passare alla traccia successiva.
Divertitevi e alla prossima!
 
Guardians – Capitolo 1
Sogni, Onore, Amicizia
 
Possono prendersi il tuo mondo.
Possono prendersi il tuo cuore.
Separarti da tutto ciò che conosci.
Ma se sarà il tuo destino, ogni passo avanti…
 

La neve fuori dalle finestre aveva imbiancato i prati del castello, e in occasioni normali, Ventus sarebbe corso immediatamente fuori a fare un pupazzo.
Quel Natale, però, era stato tutto fuorché normale, a cominciare dalla notte in cui era rimasto sveglio per cercare di sorprendere Babbo Natale e invece fortunatamente era rimasto sveglio abbastanza da avvisare il Maestro che la bambina di Aqua stava nascendo.
Erano passati alcuni giorni ed era la prima mattina di un nuovo anno, e nonostante sia Terra che Aqua ultimamente erano stati continuamente in disordine e si erano entrambi alzati più volte perché la piccola piangeva, il Maestro Eraqus aveva deciso che, come ogni anno che Ventus ricordava, il primo giorno dell’anno avrebbero scattato una foto tutti assieme (era abbastanza fissato con le foto, come Terra diceva sempre).
Tra i doni che Babbo Natale aveva lasciato sotto l’albero c’era anche una tutina da Moguri, e Terra aveva deciso di metterla addosso a Shiro soltanto quel giorno, apposta per la foto. Evidentemente, il vecchio adagio secondo il quale Babbo Natale fosse onnisciente doveva essere vero.
Un po’ Ventus capiva perché il Maestro ci tenesse tanto a fare quelle fotografie. Per quante ne aveva fatte a Terra e Aqua, rigorosamente il primo giorno dell’anno, ci si poteva vedere lo scorrere del tempo anche semplicemente sfogliando l’album. Nella primissima Terra aveva due denti che mancavano, e Aqua sembrava quasi volersi far piccola per paura dell’obiettivo. In quella successiva entrambi posavano con le spade da allenamento, e nella terza anche Aqua aveva iniziato a perdere i denti. Ventus doveva girare altre sette pagine per vedere sé stesso, in piedi su uno sgabello, con lo sguardo da un’altra parte e Terra che lo teneva per una spalla. Nella foto dell’anno successivo, anche lui sorrideva.
Ventus ricordava di aver visto foto di altri apprendisti del passato, in altri album, dove il più alto posava seduto, ma sembrava che il Maestro fosse restio a farlo, e quello era il suo primo anno senza che venisse fatto salire su uno sgabello per non sembrare troppo basso rispetto a Terra e Aqua.
Quell’anno avrebbe compiuto sedici anni, tanti quanti ne aveva avuti Terra quando lui era arrivato lì. Faceva strano.
«Hey, Ven! Pronto per la foto?» Una mano grossa e callosa gli passò tra i capelli arruffandoli, e l’altro braccio di Terra lo prese attorno al collo e lo tirò all’indietro.
«Awww, Terra, molla!» Ventus fece cadere l’album per cercare di sottrarsi alla grattugia. Neanche gli stesse davvero ubbidendo, il ragazzo più grande lo lasciò immediatamente andare per impedire che l’album toccasse il pavimento. Ventus trattenne una risata.
«Sai chi lo sentiva, il Maestro, se lo avessimo danneggiato?» Terra si scosse la polvere dai vestiti e rimise l’album delle foto al suo posto sugli scaffali.
«Sì, ma sarà comunque contento di come ci siamo ridotti.» Ventus fece del suo meglio per sistemarsi i capelli con le mani.
«Che combinate, kupò?» Aqua li prese in giro entrambi mentre faceva il suo ingresso nella stanza con Shiro in braccio. La piccolina aveva addosso il suo costumino nuovo da Moguri.
«Ven stava guardando gli album.» Terra gli diede una piccola pacca sulla spalla. Aqua si avvicinò a loro e gli mise Shiro nelle braccia. Non stava dormendo, ma era comunque tranquilla. Quando fu nelle braccia del giovane, gli angoli della sua bocca si alzarono in quello che sembrava un sorriso.
Anche se non lo era, perché il Maestro aveva spiegato a Ventus che bambini così piccoli non sorridevano in risposta al mondo attorno a loro.
Terra però non sembrava importarsene, perché le diede un delicato colpetto sul nasino con un dito e le restituì il sorriso, cantilenando: «Kupò!»
«Shiro ha fatto il bagnetto, papà.» Aqua si avvicinò a Terra e gli mise un braccio attorno alle spalle. «Ora è un Moguri profumato.»
Scene del genere facevano sorridere. Il Maestro aveva detto e ripetuto che Shiro, o meglio il fatto che fosse arrivata così presto, era stata un incidente, ma a Ventus veniva difficile credere che lo fosse guardando alla felicità dei suoi amici in quel momento.
«Credete sia stato…» Ventus mugugnò. «… destino?»
Terra e Aqua alzarono lo sguardo, entrambi perplessi dalla domanda.
«Oh, andiamo, Ventus, credo sia un po’ troppo semplice ricondurre tutto al destino.» Il Maestro entrò nella stanza, con la sua solita aria seria. «In un modo o nell’altro, è dipeso da loro. E il destino è una cosa talmente complessa che non sta bene cercare di spiegarla… o di usarla per spiegare quello che accade.»
Gli fece gesto di raggiungerlo.
«Andiamo a sistemarci quei capelli prima della foto?»
Ventus decise di non obiettare: era da mesi – da quando il Maestro sapeva di Shiro – che risultava facile contrariarlo. Fece sì con la testa e seguì il Maestro Eraqus nel bagno. L’uomo prese pettine e gel e prese a sistemare quello che Terra poco prima aveva mandato tutto all’aria.
«Io ancora non ho capito…» Ventus commentò mentre il maestro lo pettinava. «Com’è che si parla di destino quando poi parlarne è tanto difficile.»
«Perché un sacco di gente pensa di capirlo.» Il Maestro continuò a lavorare sull’acconciatura del ragazzino. «Alcuni miei compagni, quando avevo la tua età, si erano convinti che il destino non sia mai affidato al caso, ma per quanto questo possa essere vero… ci sono talmente tante possibilità che persino pensare a quale potrebbe essere il proprio va al di là anche dei Maestri più potenti che siano esistiti.»
Tirò un respiro. Ventus concluse che dovesse essere una nota dolente per lui – il Maestro Eraqus non parlava mai delle proprie avventure da ragazzo, e tutto quello che Ventus, Terra e Aqua avevano concluso, e soltanto perché lo avevano incontrato di sfuggita qualche anno prima, era che lui e il Maestro Xehanort un tempo avevano studiato insieme.
Tecnicamente, Ventus era stato allievo di Xehanort per primo, ma non ne aveva memoria. Probabilmente quel discorso sul destino gli era stato già fatto, e lui lo aveva persino dimenticato.
A volte si sentiva un po’ un idiota per aver scordato tutto. A volte si chiedeva se una vita prima avesse avuto una famiglia, degli amici, qualcuno a cui mancava…
Il Maestro finì di pettinare Ventus, si pulì le mani e gli diede una pacca sulla spalla per invitarlo a uscire.
«Il destino non è una cosa che si attende, o si rincorre. Arriva e basta, suppongo…»
Tornarono alla stanza degli album fotografici. Terra e Aqua erano lì ad aspettarli, e Terra aveva ancora Shiro tra le braccia, e una manina della bimba era stretta attorno a un dito di Aqua. Terra stava cercando di cantare qualcosa, una canzoncina un po’ scema su un gatto nero.
Ventus vide che il Maestro tirava un altro respiro… e per la prima volta dopo una settimana, sorrise alla vista della bambina.
«… e una parte del destino è sempre come siamo noi a reagire.»
 

…ti avvicinerà sempre a casa.
 
- 13 Anni Dopo -
 
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«Mi raccomando, voi due!» Kairi lanciò un’occhiataccia a Sora e Riku. Tutti e tre si erano cambiati d’abito quella mattina, e i loro vestiti nuovi li facevano sembrare più grandi. Sia Sora che Riku erano vestiti in nero, ed era la prima volta, a parte la cappa nera, che Shiro vedeva Riku usare delle maniche. La giacca di Sora aveva un colletto in plaid sul rosso, e quella di Riku righe gialle sulle maniche e i bordi inferiori a scacchi. Kairi invece aveva un vestito nero e rosa con una gonna metà nera e metà plaid sopra un paio di calzoncini aderenti che le arrivavano a metà coscia. Sora aveva chiesto a Merlino se avesse potuto dare nuovamente la sua vecchia giacca a Shiro, solo per ricevere un rifiuto perché i suoi vecchi vestiti non avrebbero garantito alcun tipo di protezione.
Anche Lea aveva ricevuto abiti nuovi, ma era l’unico a parte Shiro a non essersi cambiato affatto. Sia Kairi che Shiro gli avevano lanciato un’occhiataccia quando si erano radunati tutti al bar che Tifa aveva aperto per fare colazione, ma lui aveva accampato una scusa abbastanza patetica e aveva iniziato a riempirsi la bocca di uova strapazzate.
«Aw, per favore, quella roba addosso ce l’hai da tanto tempo che ti puzza!» Shiro scherzò puntandogli addosso il suo cucchiaio.
Elementare, Shiro. Non se la vuole levare.” Ephemer intervenne. “Ricordi che il suo amico è ancora nelle grinfie di quelli là?”
Ephemer. Le faceva strano avere finalmente un nome per chiamare la voce nella sua testa. Riku aveva cercato di descriverle il suo aspetto, ma Shiro aveva comunque difficoltà a immaginarlo.
Per come gli altri ridevano, scherzavano e si riempivano la bocca (Sora aveva iniziato a fare le smorfie con le guance piene di cibo) era difficile immaginare che fossero tutti sull’orlo di una guerra.
Le riusciva persino difficile credere che una volta alzati tutti da tavola, Riku sarebbe andato finalmente a cercare la sua mamma… che ora gli era stato permesso. Che Sora sapeva dov’era Ventus e sarebbe andato a recuperarlo dopo che le Principesse fossero state al sicuro.
Che se avessero vinto quella guerra, Shiro avrebbe avuto di nuovo una famiglia, una casa.
Probabilmente, se ci fosse stato un modo per riportare Roxas… lei aveva una promessa da mantenergli. E Naminé, che dopo aver aiutato Sora a recuperare i suoi ricordi, era sparita senza lasciare tracce. E poi… di chi si stava dimenticando? Perché aveva la sensazione di aver scordato qualcuno?
«Hey, Shiro, che c’è? Non mangi?» Riku alzò la testa verso di lei. Lei si affrettò a finire il suo pasto, ma Riku stesso sembrava sovrappensiero.
Quando tutti ebbero finito, il ragazzo si adagiò verso lo schienale, chiuse gli occhi e si coprì la faccia con le mani per tirare un sospiro. Lanciò un’occhiata prima a Sora e poi a Kairi.
«Forse sto per dire la stupidaggine più grossa della mia vita,» ammise.
«No, quella era l’anno scorso.» Kairi lo punzecchiò immediatamente, poi si fece seria. «Cosa c’è?» Sembrava quasi preoccupata.
«Beh, avevo già iniziato questo discorso ieri con Sora… ma non mi sembrava giusto dire tutto quanto senza che ci foste tutti e due.» Riku tenne lo sguardo basso. «Uhm, io…»
«Cosa c’è, dobbiamo lasciarvi la stanza?» Lea intervenne. Shiro lo fissò – non capiva cosa volesse dire, quindi rimase al suo posto, mentre Lea invece si alzò e si allontanò.
Strano. Beh, il bar non era chissà quale posto, e Shiro era dall’altro capo del tavolo rispetto a Riku, quindi non si mosse.
«Insomma, io…» Riku borbottò di nuovo. «Lo sapete che vi voglio bene, no? Che voi due siete le persone più importanti della mia vita, giusto?»
«Oh, andiamo, Riku, che dirai dopo, che il cielo è blu e l’uccello aracuan è matto?» Sora gli diede un pugno a una spalla. «Lo sappiamo. E tu sei lo stesso per noi. Giusto, Kairi?»
Niente. Niente, eh. Non ce la possono fare.” Ephemer commentò.
«Cosa vuoi dire?» Shiro si lasciò scappare ad alta voce, e Riku si diede un’occhiata allo schermo del cellulare nuovo che portava in tasca e mugugnò che si stava facendo tardi.
«Giusto… Cloud aveva detto che mi aspettava all’hangar…» Sora disse alzandosi a sua volta.
Kairi guardò i due ragazzi e tirò un sospiro.
«Beh, io vado a vedere se Merlino ha altri libri di magia, allora,» disse in tono rassegnato. «Ragazzi… ci vediamo presto. Shiro, puoi andare a cercare Lea?»
«Detto fatto!» Shiro finse un saluto ed uscì dal bar.
Non aveva idea di dove potesse essere andato il suo amico, ma la casa del giudice era poco lontano… e forse lui ne sapeva qualcosa.
Cinque minuti dopo, era diretta verso la casa del giardiniere, perché Vostro Onore le aveva asserito che Lea un tempo aveva abitato là vicino assieme alla nonna e alla sorellina.
Non si poteva sbagliare. La casa dei Fair era addossata alle mura del castello, e proprio là vicino, c’era un’altra casa, abbandonata. Shiro riusciva a vedere una ruota che pendeva dal ramo di un albero dietro alla casa vuota.
Altalena,” le precisò Ephemer. “Ci si siede sopra e si dondola.
E Lea era lì seduto sulla ruota. A piangere.
«Axel!» Shiro corse verso di lui. A malapena lui si accorse della sua presenza. Qualcuno aveva scritto “Eadmund” sulla ruota.
«Axel, che c’è, hai bisogno di un gelato?» Shiro invase di prepotenza il suo campo visivo parandoglisi davanti. Lea smise per un momento di piangere e si sfregò la faccia con una manica.
«Il gelato dopo la colazione che abbiamo fatto?» commentò. «Sai che mal di pancia?»
Si mise in piedi, lasciando libera l’“altalena”.
«Ti va di salire su? Magari ti spingo!» Le indicò la ruota che aveva preso a pendere.
Shiro fece per sedersi, ma rimase ferma. Aveva già visto Lea, anzi Axel, fingersi tranquillo per non farla preoccupare, anche se per quanto si sforzasse, non ricordava né quando, né perché.
Ma la frustrazione per quei ricordi perduti poteva aspettare in quel momento… si rese conto che Lea aveva vissuto in quella casa con la sua famiglia, con una nonna e una sorellina, una sorellina che probabilmente aveva giocato su quella ruota che pendeva, una sorellina che secondo Otto e Nove si chiamava Kairi, Kairi come l’amica di Sora, e probabilmente aveva pure quell’età.
E non era morta, perché Shiro l’aveva vista venire lanciata in un Corridoio.
«Axel, prima che mi prendessero…» confessò. «Ero nel Computer. Con Otto e Nove. Avevamo trovato qualcosa… c’era Xehanort, nella stanza del computer. C’eravate tu… e Saïx… e una bambina con i capelli rossi che aveva chiamato Xehanort faccia di maiale… e… gli aveva detto di lasciar stare suo fratello
Lea trasalì. Doveva sicuramente ricordarsi cos’era successo in una scena del genere. Quello che gli sfuggì fu un sussurro, ma Shiro colse la parola “Kairi”.
«Non è morta, Axel.» Shiro si mise in piedi. «Xehanort l’ha buttata in un Corridoio Oscuro. L’ha mandata in un altro mondo. E c’è una ragazza del liceo, si chiama Yuna, che ieri ha visto Kairi e le è sembrato di riconoscerla. Tu adesso hai ventisette anni, no? E Kairi aveva dodici anni meno di te. Se Sora ha quindici anni e Kairi la sua età…»
«Non avrebbe quindici anni, ne avrebbe quattordici.» Lea scosse la testa. «Era di Dicembre lei… dieci dicembre.» Si appoggiò all’albero, poi tirò un sospiro e guardò quella che era stata casa sua.
«Sì, Shiro… è lei.» Ammise. «Lo stavo già pensando. Da quando Merlino ci ha messo due mazze nelle mani e ci ha detto di picchiarci. Ma… non volevo pensarci. Non volevo sperarci. Non ricorda niente.»
«Non mi vorrai più adesso che te l’ho detto?» Shiro abbassò la testa.
«Cosa?» Lea scosse la testa, sconcertato. «Shiro… non pensarle queste cose! Kairi è Kairi, così come Roxas è Roxas, Sora è Sora… e tu sei tu. Voglio bene a entrambe in maniera diversa, ma non ti passi per la mente che dobbiate competere…» Abbassò di nuovo lo sguardo, rassegnato. «Comunque dubito che sarò io a ricordarle del suo passato.»
Istintivamente, Shiro marciò verso Lea e gli diede un pesante pestone su uno dei piedi.
«Ma sei fesso?» protestò.
Lea fece una smorfia, ma non reagì. Shiro fece un passo indietro. Non riusciva a capirlo… pensava a tutte le persone che conosceva che avevano perso qualcuno, pensava alla sua mamma e al suo papà, Lea avrebbe potuto riabbracciare la sorellina che aveva perso, e allora perché non lo faceva?
«Lei è la tua famiglia!» aggiunse poi. «Devi dirglielo… devi dirle che sei suo fratello… devi portarla qui, dire che è casa vostra!»
«Sì… e lo dirò quando sarò pronto.» Lea si fissò i piedi. «Lei… mi detesta, Shiro. Avevo cercato… di farle del male… perché pensavo di poter liberare Roxas.» Sbuffò. Sembrava essersi reso conto di qualcosa. «E probabilmente Saïx lo sapeva. Aveva i suoi dati nel computer… quanto mi ha tenuto nascosto
«Xemnas gli ha ferito la faccia. Quando lui ha cercato di aiutare Zack…» Shiro ammise.
Non era una semplice ferita, è un Sigillo del Dissidente.” Ephemer precisò, e Shiro ripeté ad alta voce.
«Questa mi è nuova.» Lea ammise.
In pratica, il comportamento di Saïx…
«Potrebbe essere dovuto proprio a quella ferita.» Shiro ripeté a pappagallo. «Xemnas lo vede. Xemnas lo controlla.»
Lea tirò un sospiro e si morse il labbro.
«Perché non deve mai essere facile?»
Perché deve essere sempre così testardo?” Shiro non sapeva dire se il tono di voce di Ephemer fosse più scocciato o più divertito.
«Tu almeno potresti abbracciarla. Potresti abbracciare Kairi.» La bambina ricordò all’uomo. «Io per ora posso solo incrociare le dita che Riku e il Re tornino presto con mamma.»
Lea la guardò e fece un sorrisetto triste – doveva essersi reso conto di aver detto qualcosa di sbagliato. Le mise una mano sulla spalla, poi la strinse forte con entrambe le braccia.
«Qualsiasi cosa accada, Shiro…» Le sussurrò. «Tu hai me e io ho te. E riporteremo Roxas e i tuoi genitori a casa. E anche Isa.»
La lasciò andare, poi le rimise di nuovo una mano sulla spalla.
«Riku tornerà presto. Con tua madre assieme a lui.» La rassicurò. «E… quando tutto sarà finito, ti prometto che porterò Kairi qui. Le faccio vedere le fotografie che aveva la nonna in casa. Ma… non adesso. Non…»
Non insistere, Shiro. Non credo che se la senta. Non credo che… ne sarebbe capace.” Ephemer la dissuase dal parlare.
«Va bene.» Shiro concluse, poi fece un sorrisetto. «Ma adesso è meglio se andiamo. Tua sorella ti sta cercando.»
Lea sobbalzò come se lo avessero punto, ma non disse altro, si stiracchiò e si mise in cammino.
«Quindi, pronta ad allenarti con noi…?»



Il momento era finalmente giunto.
I pianeti stavano per allinearsi perfettamente, e il piano che Ade aveva concepito 18 anni prima stava per realizzarsi.
Le Parche lo avevano predetto: un giorno avrebbe conquistato il Monte Olimpo e dominato tutto il cosmo.
I tentativi precedenti di Ade, con Terra, Cloud e Auron ad aiutarlo nella sua conquista, erano falliti.
Non era ancora tempo.
Ma ora i pianeti erano allineati e nulla poteva andare storto.
 
Un piccolo monito giunge infine…
… se Ercole combatte, per te è la fine.
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Sora non era mai stato a Tebe, e dubitava che anche Paperino e Pippo ci fossero stati prima di allora, ma Cloud doveva ricordarla bene, o non si spiegava la sua espressione preoccupata dopo la prima occhiata agli edifici.
Un momento dopo, anche Sora comprese: c’erano i segni di un attacco recente praticamente ovunque.
«… chiamerei il mio vecchio amico Icaro per rimettere tutto a posto, ma finché non siamo certi che gli attacchi si fermeranno, mandarlo a chiamare da Atene è una perdita di tempo, se non proprio pericoloso.» Ercole stava dicendo, guardando le macerie con aria quasi scocciata.
«Cosa sta succedendo?» Cloud andò dritto al punto. «Spero non sia un brutto momento.»
«Provate a indovinare. Comincia per A.» Ercole scrollò le spalle.
«Tanto per cambiare.» Cloud si coprì gli occhi con una mano. «Beh, ormai siamo qui. Tanto vale che ti aiutiamo.»
Ercole fece loro strada nella piazza. Un colosso in marmo con le sue sembianze era stato scolpito al centro di essa.
«Come mai siete tornati da queste parti?» Si fermò e fece un sorrisetto. «Immagino non sia per la feta e le olive.»
Sora si scambiò uno sguardo con Cloud e il ragazzo più grande annuì. Doveva essere lui a parlare.
«Tu… conoscevi Zack, non è vero?» Il ragazzo biondo chiese.
Ercole trasalì. Doveva ricordarlo, eccome.
«Non sento quel nome da una vita.» Ammise. «Ero, tipo, al mio primo anno di scuola ad Atene. Studiavo la mattina, mi allenavo nel pomeriggio. Phil mi portò via durante le vacanze per partecipare al torneo, e Zack cercò di farsi addestrare a sua volta. Fu anche il periodo in cui vidi per la prima volta un Keyblade. C’era questo ragazzo che aveva due anni più di me ma era più basso. Ven. Mi diede qualche dritta su come combattere. Sparì senza lasciar tracce anche lui. Fu dura… a parte Icaro e Cassandra a scuola, a quei tempi non avevo molti amici.»
«Abbiamo scoperto ieri che Zack è stato… sconfitto. Alcuni anni fa.» Sora si passò una mano tra i capelli, ma le parole non erano le sue. Si aspettò che Ventus continuasse a parlare, ma il ragazzo non disse altro, e fu Sora a concludere il discorso. «E quanto a Ven… Ventus è qui.» Si indicò il cuore.
«Parli sul serio?» Ercole ne doveva aver viste di cose strane, ma il suo volto era il ritratto dello stupore.
«Come, pensavi davvero che non sarei più tornato?» Ventus fece dire a Sora, facendogli scrollare le spalle e alzare le braccia.
Ercole abbozzò un sorriso, poi guardò Cloud con aria triste.
«Cosa è successo a Zack? Sora… beh, Ven… ha detto che è stato sconfitto…»
Cloud si fissò gli stivali.
«Non ricordavo nemmeno cosa fosse successo, prima che Shiro me lo dicesse,» mugugnò. «Dovevamo salvarla. Shiro. Dai suoi rapitori. C’era una talpa in mezzo a loro, ma la talpa venne scoperta. Venimmo attaccati… e Zack cercò di proteggermi.»
Ercole tirò un respiro. Gli sembrava quasi difficile rimanere stoico.
«Dalle nostre parti, è quello che ti rende un vero eroe.» Fece un sorriso amaro. «Porre il bene degli altri davanti al proprio, anche a costo della propria vita.»
Alzò lo sguardo al cielo coperto.
«Se fosse successo qui, gli dei gli avrebbero concesso di vivere ancora una volta.» Abbassò di nuovo lo sguardo, stavolta verso la città. «Potremmo… andare al tempio, però. Riconoscerlo come l’eroe che è stato.»
Stavano tutti attraversando la piazza quando scie infuocate attraversarono il cielo, e palle di fuoco iniziarono ad abbattersi su alcuni degli edifici.
Palle di fuoco? No, aspetta… Heartless. Erano Heartless fiammeggianti e stavano attaccando i tebani.
«Niente riposo per gli eroi!» Ercole commentò, quasi seccato, poi si guardò intorno per valutare la situazione. «Va bene, ragazzi, credo sia meglio se ci dividiamo. Sora, Paperino, Pippo, voi lavorate meglio come trio. Voi andate a nord-ovest. Cloud, est. Io prendo il sud. Ci ritroviamo in piazza quando i quartieri sono in sicurezza.»
Partirono in tre direzioni diverse. Paperino spiegò rapidamente a Sora come evocare dell’acqua dal nulla per spegnere gli incendi, e oltre agli Heartless fiammeggianti erano apparsi parecchi Shadow e Soldier, ma non era nulla di impegnativo. Anzi, a Sora risultava del tutto facile, quasi ridicolo. Fu tentato di chiedere a Ventus se stesse intervenendo, ma la voce nella sua testa anticipò la domanda.
No, non sto facendo nulla. Sono deboli e basta. Ade non è più in combutta con Malefica, quindi dubito abbia merce di prim’ordine.”
«E allora perché Ade li manda qui? Contro Ercole?» Sora chiese, ad alta voce perché anche Paperino e Pippo sentissero.
Sora, guarda meglio. Non è Ercole che stanno attaccando.” Stavolta era stato Roxas a parlare. Nel mentre, uno Shadow si stava avvicinando pericolosamente ad un bambino.
«Flare!» Paperino fu rapido ad alzare lo scettro e incenerire l’ombra con un razzo.
«Non ha senso…» Sora borbottò. «Anche mille di questi verminosi non causerebbero problemi ad Ercole. Dovrebbe soltanto stanarli tutti e impedire che nuocciano alla gente…»
«Aw-yuk, dici che non è Ercole il problema allora?» Pippo si fermò una volta che la strada fu libera. «Però… se davvero è Ade che li sta mandando, adesso Ercole è talmente tanto occupato che non può andare a chiamare il suo amico Icaro da Atene per ricostruire la città…»
«Esatto! È un diversivo!» Ventus fece dire a Sora, poi lasciò subito il controllo, lasciando Sora sbigottito a borbottare. «Un diversivo? Ma per cosa

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Non ebbero tempo di pensarci: la terra prese a tremare, e un’enorme ombra oscurò il cielo già annuvolato.
«Un gigante!» Paperino starnazzò indicandolo.
«No, Paperino, quello è un Ciclope,» lo corresse Pippo, indicando l’unico occhio al centro della fronte del mostro.
«Sì, non ha vestiti addosso quindi non possiamo intrappolarlo cucendoli, non ha scarpe e non possiamo farlo inciampare nei lacci, e non abbiamo nemmeno una pianta di fagioli. Come pensi di batterlo?» Paperino protestò, mentre il Ciclope si avvicinava alla città.
«Non da soli… andiamo alla piazza!» Sora prese il controllo della situazione e si mise a correre.
Anche Ercole e Cloud sembravano aver visto la minaccia, perché Ercole era nella piazza e Cloud lo stava raggiungendo, mentre Meg e Phil conducevano via i tebani.
«Qualche idea?» Cloud chiese subito a Sora e ad Ercole, mentre il colosso continuava ad avvicinarsi con andatura ondeggiante.
«Phil una volta mi ha raccontato di un altro suo apprendista. Odisseo.» Ercole mugugnò. «Uno di noi deve arrivare in alto. Ha un solo occhio, bisogna accecarlo!»
Arrivare in alto. Arrivare in alto.” Ventus borbottò. “Sora, fatti lanciare!”
«Cosa…?» Sora gli rispose ad alta voce. «Erc, puoi… lanciarmi
«Cosa vuoi fare, Sora?» Cloud sembrava perplesso.
«Posso lanciare un Fira…» Sora parlò, mentre Ventus gli suggeriva. «Ma è troppo in alto. Ed Ercole… ha lanciato Ventus quando andava ancora a scuola!»
«Va bene… ma dovremo disfarcene in fretta. E soprattutto, non dobbiamo farlo crollare sulla città.» Cloud si portò una mano al mento.
«C’è una rupe, dalle parti dello stadio. Un dirupo più alto di lui. Dobbiamo attirarlo lì.» Ercole fece gesto in direzione della parte alta della città.
«A distrarlo penso io!» Paperino esclamò, evocando una serie di razzi e facendoli volare attorno al gigante.
Ercole fece rapidamente strada a Sora e Cloud, fino a quando non furono in un’area della città in cui erano presenti soltanto templi e ville. Lo stadio che Ercole aveva menzionato era visibile poco lontano.
«Sicuri che accecarlo basterà?» Cloud chiese una volta che furono nello stadio. I razzi colorati di Paperino stavano lentamente portando il Ciclope verso di loro.
«Hai idee migliori?» Ercole si chinò e fece per prendere Sora per le caviglie.
«Guardate lì. Lacci!» Pippo indicò una matassa di funi lasciata lì in un carro.
«Lacci?» Cloud prese un capo della corda nelle mani.
«Non c’è tempo. Dobbiamo agire!» Ercole prese Sora per le caviglie e iniziò a rotearlo in aria. Sora stava iniziando a sentirsi male quando finalmente Ercole lo lasciò andare, e schizzò in aria come un tappo, era sempre più vicino al Ciclope, più vicino, prese la mira con il Keyblade e lo colpì all’occhio con un Fira… ora tutto quel che doveva fare era frenare la caduta… fece una capriola per aria e atterrò in piedi dentro a quella che sembrava una vasca di sabbia… era caduto nella vasca del salto in lungo?
Oh, beh, poco tempo per pensarci… Il Ciclope aveva chiuso il suo unico occhio e si stava schiaffeggiando la faccia, incedendo barcollante in preda al dolore… ma Cloud aveva teso un capo della corda davanti a lui… e Pippo aveva l’altro.
Ma certo… lacci. Lacci come quelli di cui Paperino aveva parlato quando aveva elencato modi di catturare dei giganti!
«Sora, che fai, le sabbiature? Vieni qui e aiutaci a reggere!» Cloud lo chiamò da lì. Paperino affiancò Pippo, Ercole andò da Cloud e Sora, dopo averci pensato un momento, prese la parte di corda di Pippo in mano nel momento in cui il piede del Ciclope prese a impigliarsi nella fune.
Il boato che ne seguì quando il mostro cadde dalla rupe fece tremare di nuovo la terra, e la polvere che si alzò oscurò il cielo. Per un momento, Sora temette di venire di nuovo assordato, come nel Corridoio Oscuro quando Axel si era fatto esplodere, ma quando Ercole parlò di nuovo, si rese conto di sentire la sua voce.
«… non pensavo che Ade avesse ancora assi nella toga…» stava dicendo.

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Mentre il polverone si posava, Sora fu certo di aver sentito qualcuno applaudire.
«Oh, wow. Molto bene, ragazzi, dieci e lode.»
Era la voce di Xigbar. Che volesse combinare macelli anche lì? Cercava Principesse… ma lì c’era solo Meg, e chiunque avesse dubbi riguardo al fatto che lei avesse oscurità nel suo cuore… beh, lei ce l’aveva. No, probabilmente cercava di catturare un’Oscurità…
«Bella riunione di amici qui… tre veri eroi che salvano la città… tutto questo altruismo mi fa stare così bene. Ditemi, un cuore di luce include una buona polizza di assicurazione? Considerando la situazione di questi due istrici davanti a me, direi proprio di no
Cloud serrò la mascella, e la sua faccia virò dallo stupore al porpora adirato.
«Va’ a bere una cicuta, vai… ratto di fogna.» Sibilò in una voce che non era la sua.
Xigbar fece un passo indietro, fingendo sorpresa e delusione.
«Oh, e da quando in qua i veri eroi parlano così?» gongolò.
«Forse quando incontrano un vero mostro come te.» Cloud mise mano alla spada. C’era qualcosa di diverso nel modo in cui si muoveva.
«Risparmia quel fiato, ragazzino. Preoccuparsi per gli altri non porta a nulla di buono.»
«Questo lo credi tu!» Sora diede man forte a Cloud.
«Sora e Cloud hanno ragione. Io ho potuto salvare la vita di Meg perché ero pronto a rischiare la mia.» Ercole concluse.
«Tu hai amici altolocati, caro mio.» Xigbar gli passò davanti, tronfio come un avvoltoio davanti a una carcassa. «Quei trucchetti non funzionano con la gente comune. Prova a chiedere a Sora com’è che si porta Ventus addosso a cavalluccio. O forse non ti sei accorto che non era Cloud a parlare poco fa
«Cosa?» Ercole si girò verso Cloud. Sembrava aver capito qualcosa che a Sora non era chiaro.
«Non ammiro un tizio che rischia la vita se poi qualcun altro deve andare a salvarlo.» Xigbar diede loro le spalle. «Prima o poi, vi rovinerete. E Ventus e Zack lo hanno già fatto… Zack trascinando il suo povero migliore amico nella peste con sé.»
Cloud strinse l’elsa della sua spada così forte che Sora pensava che le nocche gli si stavano facendo bianche sotto i guanti. Il labbro inferiore aveva preso a tremargli.
«Oh, e risparmiatemi la solita solfa.» Xigbar si girò verso Sora. «Sì, i cuori sono potenti quando sono collegati, ma se mettete troppa forza in un posto solo, qualche cuore potrebbe spezzarsi prima o poi
Lanciò poi un’occhiata ad Ercole.
«Quanto a te, signor raccomandato del papino, ti consiglio di controllare la tua rete di sicurezza. Qualcuno in questo mondo sta cercando di mantenerti qui.»
Si girò di nuovo, continuando a camminare nella polvere, poi aprì un Corridoio Oscuro e sparì.

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Cloud lasciò andare la spada, poi abbassò la testa e prese a mugugnare, quasi come se stesse parlando da solo.
Non sta parlando da solo,” Ventus corresse subito Sora. “Non so come sia successo, ma… Zack. Zack è qui. Era la sua voce, Sora, era la sua voce quella che abbiamo sentito.”
Qualcosa si mosse nel cielo prima che Sora potesse parlare, e in pochi momenti, Meg atterrò in sella a Pegaso davanti a loro.
«Sembra siano tutti in salvo.» Meg annunciò. «Voi eroi vi siete dati un gran da fare… ma credo ci siano altri guai. Il cielo sopra l’Olimpo è nero.»
Ercole fu il primo a guardare in alto. Per come rapidamente si stava oscurando il cielo, non voleva dire nulla di buono.
«Ade.» Ercole commentò in tono preoccupato. «Spero di sbagliarmi, ma… la mia famiglia potrebbe aver bisogno di me.»
Meg scese da Pegaso, lasciando che fosse Ercole a salire.
«Sora, Cloud, vi devo chiedere un favore. Proteggete la città.»
«Conta su di noi!» Sora si incrociò le braccia dietro la testa. E su Ven e Zack, avrebbe voluto aggiungere, ma non sapeva se dirlo ad alta voce avrebbe fatto male al suo amico.
«Buona fortuna!» Meg lo salutò con la mano mentre Ercole volava via.
Rimasero in silenzio, a guardare la cima della montagna, mentre le nuvole si facevano sempre più nere.
«Ercole non… vive lì?» Ventus parlò con il fiato di Sora. «Credevo il suo scopo fosse tornarci. L’ho conosciuto tempo fa e…»
«Le persone cambiano col tempo.» Meg scosse la testa. «Ha deciso di voler restare qui, a Tebe. E mi ha chiesto di sposarlo.»
Abbozzò un sorrisetto.
«Ovviamente ho detto di sì.»
Non sembrava quasi preoccupata dalla situazione, o forse lo era, ma non lo dava a vedere. Sora pensava che Ventus avrebbe avuto altro da chiedere, ma nella sua mente c’era silenzio. Si ficcò una mano in una tasca ed estrasse il cellulare che aveva trovato nella valigia assieme ai vestiti, guardando allo schermo per distrarsi dalla preoccupazione. La città era tranquilla, ma il cielo era ancora nero.
Forse c’era una cosa che poteva fare. Aprì la rubrica e trovò il numero di Kairi, poi aprì l’applicazione dei messaggi e le scrisse “Hey. Notizia dell’ultimo minuto. Zack è ancora vivo!”. Shiro sarebbe stata contenta di saperlo… forse anche Lea…
Il telefono confermò l’invio del messaggio, ma non ci fu la notifica di ricezione. Evidentemente, Kairi doveva essere occupata…
Qualcosa esplose in cielo, dall’altra parte rispetto all’Olimpo. Le nubi attorno alla cima della montagna si schiarirono fino a tornare bianche.
«Hanno vinto!» Paperino esultò saltando sul posto.
La gente era tornata per le strade, e aveva preso a indicare il cielo, esultare e abbracciarsi. Era finita? Sembrava di sì… e poi arrivò Ercole in sella a Pegaso, smontò e rivolse a tutti un sorriso.
«Titani. Ha mandato il Ciclope qui… e gli altri su per l’Olimpo.» Sembrava stanco, ma trionfante. «Pare che oggi le stelle fossero allineate perché riuscissero a liberarsi. Ma è finita. Sono andati per sempre. A quanto pare, dovevo essere lì all’Olimpo per fare la differenza.»
«A volte è proprio quello che possiamo fare. La differenza.» Cloud si strinse nelle spalle. O era Zack a parlare?
Poi Ercole andò da Meg e le diede un abbraccio e un bacio.
Aaaaaah, prendete una stanza, prendete una stanza!” Ventus protestò nella privacy della mente di Sora. “Giuro, era meglio guardare Terra e Aqua…
 

|>>|

Metà del tetto del tempio era stato divelto da una manata del Ciclope, e nel cielo notturno si vedevano le stelle.
Sull’altare baluginavano le braci, ed Ercole aveva poggiato su un tavolo lì vicino tre coppe che sembravano contenere latte e miele.
«Ne va fatto cadere un po’ sul pavimento. Prima di bere.» Ercole spiegò porgendone una a Sora e una a Cloud. Ne prese poi una per sé. «A Zack, e al suo onore di eroe.»
Inclinò la sua coppa, appena da far cadere un po’ di latte sul pavimento.
«Ai nostri sogni.» Cloud mormorò, alzando la propria coppa prima di compiere lo stesso gesto.
Sora rimase per un momento a fissare la coppa nelle sue mani. Si sentiva terribilmente fuori posto in quel momento. Avrebbe dovuto essere Ventus, di persona, a tenere quella tazza di latte in mano. Non era realmente lui a…
Sora, lascia stare. Hai diritto quanto me ad essere qui. Sei o non sei il mio trucchetto?” Ventus cercò di tranquillizzarlo.
«No, Ven, è diverso. Sono… tuo amico.» Sora mormorò e sorrise, poi si schiarì la gola e alzò la voce.
Inclinò la coppa e fece cadere un po’ di latte, poi incrociò lo sguardo con gli altri due.
«All’amicizia.»
Xigbar non avrebbe mai compreso perché Zack si fosse giocato la vita cercando di proteggere un compagno… ma non sarebbe stato quello a fermare Sora e i suoi amici, no.
Avevano un universo da salvare, degli amici da aiutare, e non sarebbe stata una cosa ridicola come il pericolo a fermarli… non con i destini di così tanti in gioco.
Dopotutto, non era quello, il mestiere degli eroi?

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Capitolo 2
*** Vicini e Distanti ***


Prima di lasciarvi alla lettura, ci tengo a ringraziare Saira e la sua recensione - come vedrai già da questo capitolo, ci saranno un po' di divergenze nella trama, ma a grandi linee il plot verrà mantenuto com'è, salvo per alcune tempistiche un po' diverse e un po' più di attenzione sugli altri personaggi che non siano Sora. Che ti devo dire?, leggi e vedrai. Mi ha fatto molto piacere trovare un commento, almeno qui su questo sito, un po' non ci speravo più.
 

Guardians – Capitolo 2
Vicini e Distanti
 
Sora aprì la porta della casa di Merlino soltanto per trovarsi davanti a una scena degna del club di teatro della scuola media. Flora, Fauna e Serenella discutevano animatamente, e Shiro in mezzo a loro aveva l’aria di chi sta per perdere la pazienza.
«Sora! Cloud!» gridò, correndo verso la porta e abbracciando forte Sora.
«Hey, Shiro. Non dovresti essere con Lea e Kairi?» Sora ricambiò l’abbraccio.
«Sì, dovrebbe.» Flora lanciò un’occhiataccia ai ragazzi. «Se non fosse che quel testavuota di Yen Sid s’è scordato di pensare ad abiti nuovi anche per lei, e qualcuno adesso ci deve pur pensare!»
«Beh, non ne dovrebbe aver bisogno, Flora.» Fauna la raggiunse. «Dopotutto, lei non deve andare in missione come gli altri.»
«Sgrunt! Che ci vada o non ci vada, non pensate che Xehanort possa cercarla lo stesso?» Serenella brontolò. «Non potranno tenerla al sicuro per sempre! Dovrà essere pronta
«Serenella, Shiro ha dodici anni…» Flora le fece notare. «Abbiamo detto sicura. Non pronta
«Ti devo ricordare com’è finita con Aurora quando l’hai tenuta all’oscuro di tutto, Flora?» La fata in blu fissò quella in rosso con aria di sfida.
«Sono due ore che vanno avanti così.» Shiro ridacchiò. «Potevo essere a lanciare magie con Lea e Kairi, e invece no. Liti per un vestito nuovo.»
Persino Cloud si lasciò sfuggire una risata.
Dietro Sora e Cloud la porta si aprì di nuovo, ed entrò un giovane uomo con un camice bianco e una cravatta, con un ciuffo di capelli a coprirgli parte della faccia.
«Ienzo?» Cloud fece un sobbalzo. A quanto pareva, non si aspettava di rivederlo, o perlomeno di vederlo lì.
«Sono arrivato non appena ho visto la navetta attraccare.» Il giovane tagliò corto. «Sora, Kairi ha letto il tuo messaggio. Credo di essermi fatto un’ipotesi riguardo a cosa sia successo… e probabilmente abbiamo un modo per aiutare Zack… e forse anche Roxas.»
Sora si scambiò un’occhiata con Cloud. Non era sicuro di capire il nesso tra i due, ma una notizia del genere era interessante.
«Volete seguirmi al castello?» Ienzo passò lo sguardo da un ragazzo all’altro.
Sora non se lo fece ripetere, e dopo un attimo di esitazione, anche Cloud lo seguì.
«Io e gli altri allievi di Lord Ansem ci stiamo occupando del castello,» Ienzo iniziò a spiegare. «Negli ultimi due giorni abbiamo esaminato le stanze, cercando studi e persone.» Abbassò lo sguardo. «Uno dei nostri, Even, è sparito senza lasciare tracce. Il che purtroppo complica le cose, ma non vi metto il carro davanti ai Chocobo.»
Quello che un tempo era un’area di restauro adesso era la strada maestra del borgo. Sora non poté evitare di pensare a quanto le cose fossero cambiate, ma per le strade c’era ancora più silenzio che il chiasso normale di una città.
«Ho avuto il piacere di conoscere i nuovi programmi ausiliari del computer. Otto e Nove, se non vado errato.» Ienzo riprese a parlare. «Sono impegnati in un lavoro di ripristino dei vecchi dati, e si sono imbattuti in qualcosa chiamato il Progetto Replica.»
Cloud si fermò e fece una smorfia.
«Già. Quello.» Ienzo si fermò a sua volta, poi riprese a camminare. «A me venne soltanto detto che era un piano per migliorare l’addestramento di eventuali nuove reclute della guardia cittadina, trasferendo in loro quelle che erano le abilità delle guardie che avevamo perso. Ma la realtà era diversa, e credo che ci sia lo zampino di Xehanort e Braig in tutto questo.»
«Dimmi qualcosa che non so già.» Cloud alzò gli occhi al cielo. Erano ormai arrivati al portone del castello.
«Qualcosa che non sai già: potrebbe salvare il tuo amico.» Ienzo fece un sorrisetto. «Abbiamo i suoi dati nel computer principale. Se riuscissimo a recuperare dei dati esaustivi sulla creazione di una Replica da zero, potremmo salvare sia Zack che Roxas. O chiunque abbia bisogno di un corpo fisico.»
Aprì il portone.
«E qui viene il “ma”.» Abbassò lo sguardo. «Parecchi dei file del computer sono criptati con dei codici che fanno da trappola. Otto, Nove e Tron vanno in crash se cercano di decriptarli, e credo sia successo quello quando Shiro è entrata nel computer l’altro giorno, e l’unico Creativo che potrebbe trovare o fornire un’altra copia degli studi… beh, era Even.»
Stavano per entrare quando qualcosa, o meglio qualcuno, si infilò tra Ienzo e Sora.
«Giuro, non la finivano più!» Shiro si fermò accanto a Sora e tirò un sospiro. «Rosa, blu, verde, tenermi al sicuro, tenermi pronta… accidenti a quelle tre.»
Sembrava che finalmente avesse abiti nuovi anche lei: aveva una sorta di completo prevalentemente nero, ma con parte della sinistra della giacca e la manica di colore bianco, i pantaloni avevano la gamba sinistra più corta della destra, e sopra il completo portava una giacca lilla con l’orlo inferiore a scacchi come il colletto della giacca di Sora.
Ienzo la ignorò strategicamente, ma Sora le diede un colpetto con il gomito e le fece un sorriso complice. Ne sapeva qualcosa di fate stiliste e diatribe sul colore.
«Quindi adesso bisogna trovare Even?» Sora chiese a Ienzo.
«Non si tratta solo di quello.» Ienzo li condusse per corridoi che Sora a stento ricordava. «Serve Even per creare i corpi, ma le repliche necessitano di dati, affinché il corpo corrisponda al cuore. Abbiamo i dati di Zack, ma non so nemmeno se esistono dei dati per Roxas… in tal caso, in una qualche maniera li si dovrebbero creare o recuperare.»
«Il computer di Crepuscopoli.» Shiro disse quasi senza lasciar finire Ienzo di parlare. «La città digitale. Se DiZ ha realizzato dati per tutti i residenti…»
«Potrebbe essere una soluzione!» Sora finì la frase per lei. «Va bene… vado a Crepuscopoli. Raggiungo Paperino e Pippo agli hangar e…»
Sora, Yen Sid non ti aveva incaricato di trovare e mettere al sicuro le Principesse? Hai già fatto una deviazione, e se perdiamo troppo tempo…” Ventus obiettò.
Non hai protestato alla deviazione quando la prima era tuo interesse,” Roxas gli rispose. “Senti, Sora, fammi il favore. Trova quelle principesse, raggiungi Riku e toglimi questo insulso dalle scatole!

 
Alcune ore dopo, Sora era nella carlinga della navetta, con una nuova applicazione installata da Ienzo sul cellulare – qualcosa che a parer suo avrebbe segnalato forti sorgenti di luce o di oscurità nelle immediate prossimità e sarebbe potuto tornare utile per localizzare sia altre Principesse che le Oscurità che le inseguivano.
Stava anche lavorando ad un programma più esteso che potesse localizzare fonti intense di luci o oscurità attraverso i mondi, da installare sulla Gummiship, ma aveva asserito che ci sarebbe voluto del tempo per ultimarlo, e avrebbe richiamato Sora, Paperino e Pippo quando sarebbe stato pronto, anzi se Sora avesse utilizzato il programma prototipo con il suo cellulare, i dati raccolti avrebbero accelerato lo sviluppo del programma definitivo.
«In conclusione, dove dobbiamo andare adesso?» Paperino chiese esasperato una volta che Sora ebbe finito di spiegare.
«Beh, se non abbiamo una rotta precisa, niente ci impedisce di andare a Crepuscopoli!» Sora evocò la Catena Regale e si concentrò sull’aprire un portale. «D’altra parte, siamo vicini, no?»
 


Tre ragazzi erano seduti ad una delle panchine della stazione.
Uno dei tre fissava il vuoto, la sola ragazza guardava i tabelloni degli orari, e il più grasso dei tre aveva in mano una lettera.
«Oh, per l’amor del cielo, Pence, finirai per consumarlo, quel pezzo di carta!» Il ragazzo magro, che aveva la testa coperta di riccioli color sabbia, apostrofò l’altro.
Luna si sistemò il borsone su una spalla e rimase a guardarli. Pence doveva essere il fratellino di Prompto. Per certi versi non gli somigliava affatto – specialmente per l’aspetto fisico – ma la macchina fotografica che portava appesa al collo e il suo stile di vestiti non lasciavano spazio a dubbi.
Si fermò. Era una sconosciuta in quel mondo, e se pur si era avviata via dagli hangar prima dei ragazzi, non conosceva affatto la strada e si sarebbe risparmiata volentieri l’imbarazzo di perdersi.
«Da non crederci. Qualcun altro ha usato gli hangar mentre eravamo via.» Noctis la raggiunse, ridacchiando. «Beh, Pence aveva menzionato un Sora. Probabilmente è stato lui.»
Sulla spalla del ragazzo, Cookie il cacatua gracchiò: «Biscotto! Noct! BISCOTTO!». Il ragazzo fu rapido a coprirgli la testa con una mano per zittirlo.
Prompto li raggiunse e si fermò a fissare i tre ragazzi. Stava visibilmente lottando per non rivelarsi subito.
«Il mio fratellino. Guardate com’è cresciuto.» Sussurrò.
«Quanti anni ha Pence?» Luna gli chiese.
«Quindici. Mi sono perso il suo compleanno.» Prompto tirò un sospiro.
«Qui non sei mica l’unico ad aver lasciato un fratello a casa. Datti un contegno, campione.» Gladio gli passò davanti e gli diede una forte manata sulla spalla.
«Allora, vogliamo andare a casa o no?» Ignis li raggiunse con l’ultima delle borse.
«Parla per te, Iggy. Tu non hai il vecchiaccio in casa tua.» Noctis tirò un sospiro e si avviò verso l’uscita della stazione.
«Non capisco davvero la sua ansia, lo sai?» Prompto disse a Gladio. «Sta soltanto portando a casa la sua ragazza!»
«Tu non sai proprio niente, eh?» Gladio lo spintonò. «Oh, piccolo figlio dell’estate…» Si era abbastanza fissato con una serie TV su draghi, giganti di ghiaccio e politica medievale durante la loro permanenza a New York.
La ragazza che guardava i tabelloni puntò lo sguardo su di loro, poi diede una manata al ragazzo basso.
«Pence!» gli chiese. «Non sono loro?»
Il ragazzo alzò la testa. Buttò via le lettere. Scattò in piedi e corse verso di loro, poi quasi placcò Prompto al suolo.
«Non ci speravo più!» Pence nascose la faccia contro i vestiti del fratello. Luna poteva sentirlo singhiozzare.
«Oh, andiamo, lo sai che sarei tornato.» Prompto ricambiò il suo abbraccio, poi fece un passo indietro e gli arruffò i capelli. «Allora, che mi racconti? La storia della città copiata, com’è finita?»
«Oh…» Pence si ricompose e si strofinò le guance con il dorso della mano. «Venite, è una storia lunga e ci conviene parlarne mentre camminiamo!» Fece loro gesto di seguirlo, poi guardò Luna. «E… non ci conosciamo noi, vero? Io sono Pence, Prompto è mio fratello. E quelli laggiù sono Olette e Hayner.»
Passò gran parte del tragitto a piedi a raccontare loro di un ragazzo comparso dal nulla di nome Sora, di come sembrava essere l’unico in grado di combattere dei mostri bianchi che sembravano lenzuola animate, della comparsa di una ragazza di nome Kairi che sembrava correlata a Sora stesso, di un incappucciato che l’aveva rapita, e di malintenzionati in cappe nere che avevano portato scompiglio in paese.
Pareva fosse stato lo stesso Sora, alla fine, a risolvere la situazione entrando nella Crepuscopoli parallela, che si era rivelata essere un mondo all’interno di un computer, ma non avevano più avuto sue notizie a seguito.
«Mio padre non ha indagato per nulla a proposito?» Noctis chiese perplesso.
«Abbiamo provato a parlarne alle autorità. Ma non abbiamo alcun tipo di prove…» Il più alto dei tre, Hayner, che agli occhi di Luna sembrava quasi il leader del trio, spiegò ai ragazzi più grandi. «Pence aveva provato persino a scattare delle fotografie, soltanto perché i negativi sparissero ancora prima che le sviluppassimo… dovremmo avere più fortuna ora che ci siamo potuti permettere dei cellulari, ma per come puzza questa storia, non ci tengo a perdere anche quelli
«E comunque è qualche giorno che sembra tutto tranquillo.» Olette ammise.
«Per caso Sora ha una strana arma?» Luna si rivolse alla ragazzina. «Tipo, una spada? Che somiglia ad una chiave? E ce ne sono altri con armi come le sue?»
«… sì…» Olette mormorò.
«Sì uno e sì due. Anche il Re ha una spada così. O comunque Sora lo chiamasse.» Pence aggiunse.
«E avete detto che è sparito senza tornare?» Noctis chiese ai ragazzi.
«Sì, ma… qualche ora dopo che è partito… l’aria si è fatta più leggera. E i mostri sono scomparsi.» Olette asserì.
«Per poi iniziare a riapparire nelle gallerie un paio di giorni fa, ma dettagli.» Hayner incrociò le braccia. «Oh, e la sapete l’ultima? Seifer se l’è smammata! Qualcosa tipo un viaggio per diventare forte… s’è portato dietro Rai e Fuu, ma Vivi è rimasto in città.»
«Non so proprio perché quel bambino gli andasse dietro.» Olette commentò. «Sembra quasi che senta il bisogno di frequentare i grandi. Adesso di tanto in tanto va a dare una mano al nuovo bar che ha aperto. Pulire i pavimenti e quelle cose lì… Comet non è tanto d’accordo, ma il piccoletto vuol rendersi utile.»
«Al bar che ha aperto chi?» Noctis non sembrava riconoscere il nome.
«Aspetta… me ne avete parlato in quella lettera…» Prompto si grattò la testa. «Vendeva i gelati? Dopo che Iggy ha lasciato il posto al chiosco?»
«Esattamente!» Hayner sorrise. «Adesso è Iris che ha preso il posto. La andiamo a salutare?»
 
«Wow, è cambiato così tanto…» Sora non poté fare a meno di ammettere. Locali nuovi sembravano aver aperto, adesso c’era una ragazza poco più grande di lui a gestire il chiosco dei gelati, e per le strade sembrava persino esserci più gente.
Dici nulla. È come se fosse un’altra città.” Roxas commentò con un certo tono amaro nella voce. “In che mese siamo? Ho perso il conto dei giorni.
«Dovremmo essere a Novembre, se non vado errato.» Sora si incrociò le braccia dietro la testa. «I primi di Novembre.»
Sono già passati due mesi?” Se Roxas fosse stato davanti a lui, Sora immaginava che sarebbe stato visibilmente abbattuto. “Fa strano. Pensare che non sono mai davvero stato a scuola, ma mi stavo preparando a tornarci… e nemmeno volevo, ma ora non posso fare a meno di pensare a come sarebbe.
«Non ti stai perdendo niente.» Sora cercò di scherzare, ma non gli sembrava di aver sortito l’effetto che sperava. «È soltanto la scuola. Ci sono cose più interessanti da vivere. Tipo, accendere un fuoco sulla spiaggia, riempirsi le guance di marshmallow e cercare di dire “Chocobo ciccio!”»
Paperino gli menò una bastonata al braccio.
«Ti rendi conto di quanto sia pericoloso quel gioco?»
«Dai, Paperino, non sei mia madre!» Sora alzò gli occhi al cielo.
«Se avessi un munny per tutte le volte che l’ho sentita…»
Mentre Paperino e Sora discutevano sulla legittimità del Chocobo Ciccio come gioco, Pippo prese a guardare da un’altra parte. Tre ragazzi stavano correndo via, mentre uno più grande era loro davanti, con in mano una specie di pistola. Sora pensò che il ragazzo più grande stesse attaccando gli altri, ma quando ebbero girato l’angolo, la situazione gli fu subito chiara – il ragazzo stava proteggendo gli altri tre, ed altri tre ragazzi e una ragazza erano intenti ad attaccare quello che sembrava un enorme, brulicante ammasso di Shadow.
«Oh, ma sul serio?» Sora brontolò, ma evocò il Keyblade e andò addosso all’ammasso di Heartless.
I cinque nuovi arrivati sembravano avere armi e potevano combattere – oltre alla pistola a razzi di quello nelle retrovie, uno con gli occhiali lanciava coltelli e piccole bombe magiche, il più grosso aveva uno spadone, l’unico che indossava un cappello aveva una spada e sembrava quasi lanciarla per poi teletrasportarsi dove l’arma arrivava, e la ragazza una sorta di lancia – tridente? – di luce che alternava a delle specie di portali in cui faceva sparire tutti gli Heartless che si allontanavano dalla massa.
Non sembrava fosse la prima volta che vedevano degli Heartless, per come erano ben coordinati nell’affrontarli, ma sembravano affaticati. Doveva essere un avversario al di là delle loro abilità consuete.
«Serve una mano?» Sora si avvicinò al ragazzo con il cappello, falciando un paio di Heartless un po’ troppo vicini a lui.
«Grazie tante!» Il ragazzo col cappello rialzò la sua spada e ne fece fuori altri.
«Ed ecco spiegato perché dovevamo tornare adesso!» La ragazza affiancò il ragazzo con il cappello e gli fece un sorriso trionfale, poi aprì un altro portale con una mano e lasciò che inghiottisse alcuni degli Heartless. Da parte sua, Sora faceva a pezzi tutti quelli che vedeva, ma la marea oscura si disgregava realmente soltanto se colpiva l’assembramento che ne sembrava a capo.
Dopo un po’, il branco (stormo? Conglomero?) di Heartless sembrò essersi stancato, perché schizzarono letteralmente verso il cielo e sparirono.
I cinque giovani che avevano affrontato la marea oscura tirarono un sospiro di sollievo. Quello con la pistola a razzi fece un salto sul posto e intonò un motivetto trionfale.
«Da dove è venuta fuori?» Sora commentò, appoggiandosi le mani sulle ginocchia.
«La domanda è, da dove sei venuto fuori tu!» Uno dei tre ragazzi più piccoli alzò le mani davanti alla bocca e gli urlò contro ridendo… e Sora riconobbe Hayner.
«Sora è tornato!» Pence esclamò trionfale, e i tre – c’era anche Olette – corsero verso di loro. Portavano abiti più autunnali e probabilmente avevano guadagnato qualche centimetro, ma erano decisamente loro.
«Se non è questa la giornata dei ritorni.» Olette si fermò davanti a lui.
«Amici vostri?» Il ragazzo con la pistola a razzi chiese a Pence.
«Oh, sì.» Pence fece sì con la testa. «Prompto, il ragazzo in nero è Sora. Te ne avevo parlato. I due con lui sono Paperino e Pippo. Sora, Paperino, Pippo, questo è mio fratello Prompto e loro sono i suoi amici.» Prese ad indicare. «Noctis è quello con il cappello… Ignis… Gladio… e Luna. E il pappagallo che ci sta volando attorno si chiama Cookie.»
Il pappagallo in questione si posò sul cappello di Noctis e prese a gracchiare: «Heartless! Chiave! Buongiorno!»
Il ragazzo di nome Noctis si diede una manata alla fronte sotto al cappello.
«Lo preferivo quando mi implorava di mangiare…»
«Sta succedendo di nuovo qualcosa di strano, non è vero?» Pence si rivolse subito a Sora.
«Stai scherzando, Pence? Non è strano, è straordinario!» Hayner gli diede una botta alla spalla.
«Quel che vi pare, resta che voi tre dovreste smetterla di andarvi a ficcare nei guai.» Gladio prese Hayner per il dietro della giacca. Non lo stava sollevando, ma a giudicare dalla sua stazza ne sembrava più che capace. «Non scordatevi chi ha risolto le Sette Meraviglie di Crepuscopoli.»
Lasciò andare Hayner, che si risistemò la giacca e bofonchiò: «Sì. Noctis.» in tono di sfida.
«Comunque sia, voi non sareste qui senza un buon motivo.» Olette riprese il filo del discorso.
«Già.» Sora fece sì con la testa. «Stiamo cercando indizi. Per aiutare Roxas.»
Tra le altre cose,” Ventus commentò. “Sora, non hai acceso il radar di Ienzo. Ricordi che prima finiamo quella missione, prima saremo più liberi di agire?
Mentre i tre ragazzi parlavano del fatto che il nome di Roxas sembrava loro familiare, Sora si trasse il telefono di tasca e aprì l’applicazione di ricerca. Immediatamente il telefono emise un segnale acustico abbastanza forte, e sullo schermo comparve la scritta “LUCE VICINA”.
Sora alzò il telefono in modo da orientarlo sulla sorgente, e i segnali acustici si fecero sempre più vicini tra loro fino a diventare un beeeeeeeeeeeeeep piatto quando lo puntò verso Luna, la ragazza bionda che aveva combattuto con il tridente.
«Domando scusa.» Sora abbassò il telefono imbarazzato quando notò che la ragazza lo stava guardando. Come spiegarle che era una Principessa del Cuore senza compromettere l’ordine dei mondi in qualche modo?
«Sei un Custode del Keyblade, vero?» Luna gli chiese, a bruciapelo. «Il mio maestro mi ha detto di cercarvi. Di cercare il vostro ordine.»
«Al momento… siamo quattro gatti.» Sora si incrociò le braccia dietro la testa. «C’è un Maestro pazzo che minaccia la fine del mondo per come la conosciamo, stiamo cercando di fare del nostro meglio per impedirlo, e io sono stato quello a cui hanno chiesto di tenere d’occhio le Principesse del Cuore per evitare che dei malviventi in nero ci mettano le mani.»
«Ah. Tutto chiaro.» Prompto commentò in tono sarcastico. «E quel beep beep vorrebbe dire che…?»
«Che Luna è una delle ragazze a cui dovrei guardare le spalle.» Sora concluse. Era molto più facile spiegare le cose sapendo che la diretta interessata sembrava avere una minima idea di quello che stesse accadendo.
«Mi guardo le spalle da sola, grazie.» La ragazza fece un sorriso, poi rimase un momento a pensare. «Hai parlato di un Roxas. Chi è?»
Sora si mise una mano nelle tasche e recuperò la foto che Riku gli aveva lasciato quando Malefica li aveva fatti “fuggire” nel Reame Oscuro. Hayner, Olette, Pence e Roxas sorridevano all’obiettivo in costume da bagno, con una spiaggia assolata a fare loro da sfondo.
I ragazzi fecero capannello attorno a lui, e Prompto fu il primo a dire qualcosa.
«Non esiste!» Obiettò. «La scattai io quella foto, l’estate prima che partimmo, e sono sicuro che stessero posando in tre… cos’è, un falso?»
«O una copia.» Pence lo corresse, tirando fuori la foto originale, in cui erano presenti solo tre ragazzi. «Non è la prima volta che compaiono oggetti di cui dovrebbe esserci solo uno… questa viene dall’altra Crepuscopoli, non è vero, Sora?»
«È come se lo conoscessimo già.» Hayner commentò in tono quasi triste. «Quindi nell’altra Crepuscopoli… Roxas è nostro amico?»
Si ricordano di me?” C’era quasi un tremito nella voce di Roxas, ma non voleva prendere il controllo e parlare a loro. Anche se Sora pensava che forse avrebbe dovuto.
«Sembra un tipo a posto. Come possiamo aiutarti?» Hayner concluse.
«Qualsiasi prova che lui esista sarebbe qualcosa.» Sora si passò una mano tra i capelli.
«Potremmo chiedere in giro.» Pence ipotizzò. «Non possiamo essere gli unici a ricordarlo. Nell’altra Crepuscopoli magari avrà avuto altri amici… o potremmo chiedere ai professori, considerando che ha la nostra età e sarà andato a scuola… e dite che non avrà avuto dei genitori?»
Olette ci pensò un momento, poi parlò a sua volta. «Sora, se c’entra con l’altra Crepuscopoli, forse dovreste tornare alla vecchia villa. Se quello è il punto di passaggio, è un buon posto per cominciare.»
«E andiamo noi con loro.» Luna prese l’iniziativa. «Ci vediamo lì quando avrete finito?»
«Ovviamente!» Pence li salutò con la mano mentre i tre ragazzi si allontanavano.
«Fate attenzione!» Prompto raccomandò al fratello.
Noctis si mise letteralmente alla guida del gruppo e li condusse attraverso l’area del mercato fino ad un punto della muraglia dove Sora ricordava ci fosse stato un buco che dava verso i boschi. A quanto pareva era stato murato di recente, ma Noctis trovò un’altra strada che passava dai tunnel sotterranei.
«Questa storia delle città parallele mi ricorda una cosa che mi ha detto il mio maestro poco dopo che ho incontrato Noctis.» Luna raccontò a Sora, mentre il rumore dei loro passi echeggiava nelle gallerie. «A quanto pare chiunque abbia creato la falsa Crepuscopoli potrebbe saperne qualcosa di linee temporali parallele.»
«Di cosa?» Sora si incrociò le braccia dietro la testa.
«Argomento abbastanza complicato. Ma se è vero che sei un Custode del Keyblade, sono anche cose che avresti il diritto di sapere.» Luna continuò ad avanzare. «In pratica, c’è un te che sta parlando con me e cerca di dare un senso a quello che dico. Ce ne potrebbe essere un altro che non è mai diventato un Custode del Keyblade. O magari non è neanche al tuo livello attuale di conoscenza. Che non ha mai conosciuto me o Noctis. Un te che combatte dalla parte dei cattivi, uno che magari aiuta un Noctis principe a scacciare un usurpatore che trasforma la gente in mostri, o… viene reclutato da un sindacato criminale dopo essere rimasto orfano? Le possibilità sono infinite. Le linee temporali sono infinite. E sono tutti più o meno vicini al te del qui e dell’ora, dove i più vicini li possiamo chiamare Fulcra e i più lontani Divergenze. Peraltro, potrebbe essere che in un’altra linea temporale ci potrebbe essere un Fulcrum per te, ma una Divergenza per qualcun altro. Ad esempio… potrebbe esserci questa linea temporale in cui tu sei un gatto mannaro e amico del gestore di quel pub che abbiamo passato poco fa, e comunque sarebbe un Fulcrum perché saresti un Custode del Keyblade e staresti cercando Roxas, ma il padre di Noctis non sarebbe il sindaco e Prompto e Pence non sarebbero stati adottati dalla stessa famiglia. Oppure potresti aver già trovato e salvato Roxas in un’altra linea temporale… e sarebbe una divergenza sia per te che per lui. Ma potresti aver comunque incontrato Noctis e gli altri combattendo quella marea nera. Ci sono possibilità infinite, e a volte può capitare che un Fulcrum senta quello che gli è accaduto di diverso in un’altra linea temporale. E adesso è successa la stessa cosa a Pence, Olette e Hayner, ma in modo artificiale
«Non è molto chiaro.» Sora si strinse nelle spalle.
«Forse il mio maestro te lo potrebbe spiegare meglio. Ma non è adesso il momento di andare a parlargli.» Luna abbassò la testa. «Ora, cosa sono le Principesse del Cuore? Saresti capace di spiegarmi?»
Sora le raccontò dello scontro imminente tra le Tredici Oscurità e le Sette Luci. Raccontò loro di Kairi, di come stesse cercando le altre sei e sulla sua quasi certezza che Luna fosse la seconda. Che le altre cinque avrebbero potuto essere ovunque, e che Xehanort non doveva assolutamente mettere le mani su di loro. Raccontò anche di Riku, Lea, Topolino e dei guardiani perduti Terra, Aqua e Ventus. E di come Roxas avrebbe potuto essere probabilmente un guardiano egli stesso, fosse stato liberato, e della piccola Shiro e di come fosse quasi stata presa e usata dalle Oscurità.
Attraversare il boschetto prese loro più tempo del previsto – c’era un ratto intento a raccogliere della frutta che era stato attaccato da degli Heartless – ma Sora ebbe il tempo di finire il suo racconto prima che arrivassero a destinazione.
«Che orribile essere umano, quello Xehanort.» Prompto asserì, disgustato, una volta che furono dentro i cancelli della villa. «Allevare una bambina per cercare di usarla per i suoi scopi. Mi si accappona la pelle.»
«È una mia impressione o questo posto è più inquietante rispetto a quando siamo partiti?» Noctis avanzò a passo sicuro, con il suo sorriso e il suo tono di voce che esprimevano l’opposto delle sue parole. Sembrava quasi divertito. Guardò Sora e Luna.
«Io e Prompto avevamo appena finito la scuola media quando ci intrufolammo qui per vedere se le leggende sui fantasmi erano vere.»
«E…?» Luna gli chiese.
«Solo polvere e spazzatura.» Prompto si fece avanti, afferrò la maniglia e tirò forte per aprire.
Stavano per entrare quando Hayner, Olette e Pence li raggiunsero di corsa.
«Chiedere in giro è stato solo una perdita di tempo.» Pence ammise, sconfitto e con il fiatone. «Il professor Jones, Iris, Vivi, i negozianti… nessuno ricorda un ragazzo di nome Roxas. Non esiste… né nei registri di scuola, né nei libri mastri… da nessuna parte. Però chiedendo loro di persone che sembrano venire dal nulla… Vivi ha parlato di una bambina di nome Shiro che ha incrociato a volte per strada. E di alcuni ragazzini con strani vestiti che… effettivamente, Hayner, ricordi quando mi accusasti di pensare troppo a Scarier Things? Questa sembra davvero la questione Quattordici.»
«Shiro sta bene, yuk. È in buone mani.» Pippo asserì.
«Questa villa ora è la nostra ultima speranza.» Olette commentò.
«Beh, allora che aspettiamo a entrare? Prompto ha detto che c’erano solo polvere e spazzatura…» Hayner si fece avanti, ma Paperino lo bloccò con una magia.
«C’erano solo polvere e spazzatura.» Il papero enfatizzò l’ultima frase del ragazzo.
 


Ienzo era rimasto al computer per ore.
Sembrava non voler affatto staccarsi dallo schermo, e Dilan gli aveva già portato due panini, ma era rimasto là con gli occhi puntati su un elenco di dati e files che aveva riorganizzato e catalogato dalla memoria del computer e sembrava essere giunto ad una conclusione.
«Dovrebbe essere abbastanza per riuscire a salvare Zack.» Ienzo spiegò a Shiro una volta che ebbe finito. «Questo non appena avremo una Replica. Per Roxas sarà molto più complicato.»
C’erano descrizioni dell’aspetto fisico del ragazzo – capelli neri, occhi azzurri, cicatrici… c’erano referti medici, interventi, vaccinazioni. Le scuole che aveva frequentato, le sue pagelle, i suoi rapporti di parentela. Shiro iniziava a capire perché per Roxas sarebbe stato più complesso… la cartella di Zack peraltro era piena di fotografie. Foto di classe, foto della guardia cittadina, c’era persino uno scatto in tre dimensioni… le prove che un Zack Fair era esistito, andato a scuola, aveva amato e sofferto e aveva lavorato, erano tutte là in quel computer, pronte per salvargli la vita.
Roxas non aveva quel privilegio.
«Vedi, Shiro, esistere è una faccenda complicata.» Ienzo chiuse la cartella e ne aprì un’altra. C’era il suo nome – pochissimi documenti, una foto di Shiro a un anno con un pigiamino lercio e ciuffi di capelli che mancavano, elenchi di visite mediche, un’altra fotografia o due, documenti incompleti sulla possibilità di mandarla a un nido… «Io e te sappiamo che Roxas esiste. Lo abbiamo conosciuto, abbiamo vissuto assieme a lui. Ma per Radiant Garden e per quasi tutti gli altri mondi, Roxas non è mai esistito e non è mai dovuto esistere. Tutto quello che sapevamo di lui è svanito con il Mondo Che Non Esiste.» Abbassò lo sguardo, amareggiato. «Il mio maestro diceva sempre che i ricordi e le parole volano, e solo quello che viene scritto rimane. Ora inizio a capire perché continuava a ripeterlo.»
Sembrava abbastanza sconfortato.
«Non abbiamo niente. Niente immagini della sua faccia. Non abbiamo la sua statura, il suo numero di scarpe, una descrizione del suo comportamento, potremmo copiare i dati di Sora per le sue dimensioni ma chi ci dice che sia davvero lo stesso per Roxas? Non hanno nemmeno lo stesso colore di capelli per dirne una!»
«Ienzo, io…»
Non avrebbe voluto separarsi da quel tesoro. Ma se avesse significato riavere Roxas… aveva la foto che aveva scattato il Genio. Aveva il suo diario, in cui più volte aveva parlato di Roxas e delle loro giornate insieme.
Si tolse lo zaino dalle spalle e rovistò all’interno. Saïx le aveva raccomandato di portarselo dietro quando aveva mandato lei e Axel a recuperare Roxas a Crepuscopoli, assieme alla sua spada da allenamento e a Mister Kupò. Le aveva detto che sarebbero stati oggetti utili a fargli tornare la memoria. Il diario era lì, la foto del Genio che spuntava da in mezzo alle pagine.
«Come ci sei riuscita?» Ienzo sgranò gli occhi. «Pensavo fosse rimasto al Castello, assieme agli altri diari.»
«Saïx mi disse di portarlo con me nella mia prima missione. In quella stessa missione, Riku mi portò via con tutto quello che avevo con me.» Shiro gli mise il diario tra le mani. Ienzo aprì il libriccino e ne prese a sfogliare le pagine, poi lo chiuse, digitò alcuni comandi al computer e lo pose sotto una specie di proiettore.
«Nove, ho bisogno che mi scannerizzi queste note e… oh, c’è una fotografia. Chi l’ha scattata? Ha preso luce!»
Rimosse la fotografia e una luce si accese, mentre le pagine prendevano a sfogliarsi da sole e un muro di testo appariva sullo schermo del computer. Non appena il testo smise di comparire, Ienzo mise anche la fotografia sotto la luce.
«Dite che la faccia di Roxas sia ben visibile, voi due?»
«Affermativo!» La voce di Nove uscì dal computer, seguita dallo: «Yo!» di Otto.
«Beh… almeno è un inizio.» Ienzo si concesse di sorridere, poi parlò di nuovo ai programmi. «Pensate si possa mettere insieme qualcosa a partire da questi dati?»
«Qualcosa.» Il tono di voce di Nove non lasciava spazio a molto ottimismo, ma qualcosa era meglio di niente. «Ma… Ienzo, c’è qualcosa che non va in queste memorie. Mancano frasi nelle pagine, se non intere pagine nel testo. E le lacune sono incoerenti, come se…»
«Come se qualcuno avesse cancellato un pianeta dalle mappe e ci fosse ancora il contorno della gravità?» la voce di Otto lo interruppe.
«Come se io mi fossi dimenticata di qualcosa e anche il diario lo avesse fatto?» Shiro azzeccò un’ipotesi.
«E sembra che la maggior parte dei pezzi mancanti sia dopo il Castello dell’Oblio.» Ienzo prese il diario e si mise a sfogliare le pagine. «Non posso nemmeno aiutarti a ricordare.» Chiuse il libro e abbassò la testa con aria rassegnata.
«Signor Ienzo, è perché qualcuno lo ha cancellato dalla memoria!» Otto intervenne di nuovo. «Magari i cattivi non vogliono che si scopra un esercito di cloni fatto da…»
Ienzo sgranò gli occhi.
«Il Progetto Replica!» Diede inavvertitamente una manata alla tastiera, e sia Otto che Nove protestarono. «Vexen portò uno dei suoi test al Castello che Non Esiste dopo l’arrivo di Roxas. E non ne vedo menzionata una sola parola.» Poggiò il diario sulla scrivania. «Ma ricordo quanto sei sempre stata ficcanaso. Era impossibile tenerti un segreto. Devi aver scoperto qualcosa, e ora…» Strinse un pugno.
E ora sono cavoli amari.” Ephemer commentò nel silenzio. “Il brutto è che neanche io ricordo niente! E per quanto potrebbe davvero essere una Replica… chi era? O meglio, di chi era? Poteva combattere? Perché non ne sappiamo nulla? Senza ricordi o dati, è come se non esistesse affatto!
«E ora è come se non esistesse affatto?» Shiro ripeté ad alta voce l’ultima frase di Ephemer.
«Il che per certi versi è un bene. Un oblio così radicale vorrebbe dire che nemmeno l’Organizzazione ricorda. Che probabilmente c’è lo zampino di Naminé e quindi lo ha fatto per aiutarci.» Ienzo mormorò.
Shiro non rispose. Aveva soltanto vaghi ricordi di Naminé – ricordava solo di averla considerata sempre troppo distaccata per provare anche solo a farci amicizia. Roxas era già stato diverso, c’era sempre stato Axel di mezzo e… c’era stato qualcun altro oltre a Roxas?
Aerith aveva insegnato a Shiro a far volare gli aquiloni nei giorni prima dell’inizio della scuola. Shiro in quel momento si sentiva come se avesse perso il suo aquilone, ma il filo spezzato fosse ancora nelle sue mani.
«Shiro, inutile pensarci ora. Non è rimuginando da soli che si risolvono le questioni della vita.» Ienzo le mise una mano sulla spalla, poi si girò e andò verso uno degli scaffali. «Ma ho bisogno di tenere il tuo diario per un po’. Forse con delle analisi accurate riusciremo a capire cosa è sparito.» Le mise un altro quaderno nelle mani. «D’altra parte, è anche ora che tu ne abbia uno nuovo. Quando Even tornerà, risponderò io della carta che manca. Non ti preoccupare.»
Shiro prese il libro nelle mani e guardò Ienzo negli occhi. Non era mai stato realmente vicino a lei in tutti quegli anni. Sia da bambino che da Nessuno, era sempre più interessato alla scienza che ad altro… o forse a lei era sembrato. Oppure era stato soltanto un bambino, e non poteva realmente puntargli il dito contro… un piccolino come Finn avrebbe potuto dire la stessa cosa su di lei e il Keyblade? Aveva l’età che Ienzo aveva avuto quando tutto era successo…
«Non sei l’unica qui ad essere cresciuta senza genitori.» Ienzo abbozzò il fantasma di un sorriso. «Con un altro sovrano, ci avrebbero cresciuti da fratelli.»
Shiro sorrise e mise il quaderno nella borsa. Stava per ringraziare quando la voce di Otto echeggiò nella stanza.
«YO! Ienzo! Qualcuno sta cercando di accedere!» Il programma stava quasi strillando. La sua animazione sullo schermo lo raffigurava intento a saltellare su e giù, in preda all’agitazione.
Ienzo e Shiro tornarono allo schermo del computer.
«Riesci ad acquisire un’immagine dei loro volti?» Ienzo chiese immediatamente. «Dove si trova il terminale?»
«In un altro mondo.» Fu Nove a rispondere. «Il server lo denomina come Crepuscopoli. Provo a prendere il controllo di una telecamera.»
«Potrebbe essere la villa abbandonata…» Shiro ipotizzò. «Un momento, Sora è a Crepuscopoli. Potremmo chiamarlo!»
Ienzo si pescò il telefono dalla tasca e compose un numero. Il telefono squillò a vuoto un paio di volte, poi Sora aprì la chiamata. A giudicare dal brusio di voci che veniva dall’altra parte, non era da solo.
Non era stato lui ad accendere il computer, ma era in compagnia di chi lo aveva fatto: due fratelli del posto di cui il minore, Pence, era in buoni rapporti con lui. Shiro ricordava il nome: nella falsa Crepuscopoli, era stato uno degli amici di Roxas.
«Abbiamo eseguito l’accesso al terminale, ma non ci da l’accesso alla città digitale.» Pence spiegò a Ienzo attraverso l’applicazione di chiamata. «Potete fare qualcosa dalla vostra parte?»
«Metto Otto e Nove al lavoro, dovrebbero riuscire a mettere i due terminali propriamente in rete con il resto del server.» Ienzo rispose a Pence, poi si rivolse ai due comandi nel computer. «Usate il telefono di Sora come ponte, se dovesse essere necessario. La rete dei telefoni esiste per aiutare anche voi, non solo i Creativi.»
«Even è ancora scomparso?» La faccia di Sora invase lo schermo del telefono.
Ienzo fece sì con la testa, poi si rivolse di nuovo a Pence.
«Ho bisogno che qualcuno resti qui finché non stabilizziamo la rete. Puoi farlo tu?» Gli chiese.
Pence borbottò qualcosa a proposito di un lavoro part-time a cui doveva essere a momenti, ma la voce di un altro ragazzo lo rassicurò che lo avrebbero coperto.
«… ci servono i soldi per la spiaggia, e non dimenticare le ciambelle. Dobbiamo prenderne quattro, per quando Roxas riuscirà a tornare!»
A Shiro tornarono in mente gli “amici” che Roxas si era fatto nella Crepuscopoli. Ricordava ancora di quando Roxas, immemore della loro amicizia, le aveva proposto di unirsi alla banda. Il vero Pence e i suoi amici non avevano mai conosciuto Roxas, se proprio non lo avevano visto di sfuggita e preso per un fantasma, eppure adesso Pence stava rinunciando alla sua giornata di lavoro – correndo un rischio – per aiutare a riportarlo indietro, proprio come Shiro aveva lasciato andare il suo diario.
Magari se avesse ripreso a tenere d’occhio Finn… o a scacciare gli Shadow dalle cantine delle case… ci sarebbe stato un posto anche per lei su quella spiaggia?
«Potremmo fare di meglio.» Sora intervenne. «Dalle mie parti c’è la spiaggia più bella di sempre. Potreste venire lì. Quando tutto questo sarà finito…»
Hayner stava per andare via, ma Shiro lo vide fermarsi dallo schermo – e così pure fece anche la ragazza, Olette (era quello il suo nome, giusto?)
«Ho come la sensazione che saremo in tanti ad avere qualcosa da festeggiare.» Sora tirò un respiro e disse. Il suo sorriso allo schermo era quasi amaro, come se sapesse qualcosa, come se si rendesse conto che c’era ancora qualcuno che stavano aspettando.
«Beh, noi andiamo allora.» Concluse. «I mondi non si salvano da soli, no?»
Lo schermo del telefono tornò ad essere nero.
«Credo che lo senta anche lui.» Ienzo commentò subito. «Qualcosa manca. Qualcuno manca. Bisogna mettersi al lavoro anche su questo.»
Prese di nuovo il vecchio diario di Shiro, e si mise a sfogliare le pagine.
«Non avevi usato il limone come inchiostro, giusto?» Alzò lo sguardo.
«No.» Shiro rispose immediatamente.
«Puoi mandare a chiamare Kairi? Naminé potrebbe avere delle risposte, e non so se riusciremo a comunicare con lei, ma vale la pena tentare.» Lo studioso alzò nuovamente lo sguardo verso il computer, dove Otto e Nove continuavano a stabilire la rete.
Shiro andò verso la porta e salutò Ienzo, ma il giovane le prestò attenzione a malapena. Era chino su una pagina aperta del diario, il volto in ombra e quel poco che gli si vedeva deformato dalla concentrazione.
Qualsiasi fosse quel mistero, si era sicuramente impegnato a risolverlo.
«Sarà una gran bella corsa nel buio…»

 

Chi screma la parte internazionale del fandom avrà trovato un po' di riscontri in tutte le linee temporali alternative di cui parlava Luna a Sora... sono tutte fanfiction o serie web a fumetti presenti nella parte internazionale del fandom - sì, esatto, quella dei gatti mannari, della yakuza, di Sora portato dalla parte di Xehanort, delle avventure di Sora ad Eos... quella in cui "Sora ha già salvato Roxas ma comunque incontra Noctis a Crepuscopoli", invece, per chi già mi seguiva in passato, era la mia vecchia storia "Til Kingdom Come", che ha ispirato questa.
 
 

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Capitolo 3
*** Un Milione di Lanterne ***


Tenete Destiny's Union pronta e preparatevi ai feels, perché ce ne saranno ;)
In questo capitolo sono anche riuscita ad integrare un po' di gameplay nella storia, come vedrete... (THIS COULD BE A GOOD SPOT TO FIND SOME INGREDIENTS... è rimasta in testa anche a voi, giusto?)
 

Guardians – Capitolo 3
Un Milione di Lanterne
 
Il susseguirsi delle giornate era sempre strano, con gli allenamenti di Merlino. Kairi si svegliava ogni giorno, si vedeva con Lea a casa del mago, entravano nella dimensione parallela e sembrava che passassero due giornate ad allenarsi ma invece era una sola mattinata prima che arrivasse Shiro bofonchiando su quello che aveva fatto a scuola quel giorno, buttasse lo zaino sull’erba, distribuisse i panini del pranzo ed evocasse il suo Keyblade per unirsi alla pratica. Poi sembravano passare altri due giorni, poi Merlino li chiamava per cenare e dopo cena, Kairi aiutava Shiro con i compiti. A volte, Ienzo telefonava a Shiro nel bel mezzo dell’allenamento, e la bambina li lasciava e andava ad aiutare lo scienziato a raccogliere dati.
Per certi versi era una routine, per quanto strana potesse essere. Fu un’interruzione quasi piacevole quando una sera, mentre Lea e Kairi stavano per mettersi a tavola, qualcuno bussò alla porta e Sora, Paperino e Pippo entrarono nella stanza.
«Sono ufficialmente stanco morto!» Il ragazzo protestò, buttandosi su una sedia vuota. Merlino doveva aver previsto il suo arrivo, perché aveva apparecchiato per altri tre, e la zuppiera al centro del tavolo, dotata a quanto pareva di mente propria come quasi tutte le altre stoviglie nella casa, afferrò un forchettone e gli riempì il piatto di spaghetti e polpette. Sora alzò lo sguardo sentendo il profumo del cibo, poi con un gesto quasi automatico prese la forchetta e prese a riempirsi la bocca come un roditore. (Paperino protestò sonoramente prima che lui e Pippo si mettessero a tavola a loro volta)
«Abbiamo trovato Xehanort nel mondo in cui siamo stati.» Riprese fiato e parlò dopo un paio di bocconi di pasta. «Ha rapito i giocattoli di un bambino… voleva studiare i legami tra i cuori, ha detto… e lo ha fatto lì dove i giocattoli prendono vita.»
«I giocattoli?» Lea quasi si soffocò con una polpetta. «Intendi proprio che, per dire, Mister Kupò lì si muoverebbe?»
«E ricorderebbe sia Shiro che Zack, probabilmente. I giocattoli che ho incontrato erano incredibilmente legati al loro bambino.» Sora inghiottì un altro boccone.
Finì in fretta di mangiare, poi spinse via il suo piatto, si tirò il telefono fuori dalla tasca, e aprì l’applicazione dei messaggi.
«Novità da Riku?» Sora alzò lo sguardo e chiese a Kairi. Sembrava visibilmente preoccupato.
«Non credo che nel Reame Oscuro ci sia campo come qui.» Lea scherzò prima che Kairi potesse rispondere che, no, Riku non aveva né chiamato né visitato negli ultimi giorni.
Sora rimase zitto per qualche attimo, poi spostò la sua sedia per avvicinarsi a Kairi, aprì la sezione chiamate e fece partire una telefonata al numero dell’amico.
Dal dispositivo partirono un paio di squilli, poi la chiamata venne aperta.
«Pronto… Sora?» Dall’altra parte dello schermo, Riku era visibilmente esausto e sporco, ma sorrise quando vide con chi parlava. «Come mai sei con Kairi? Avevi una missione, morto di sonno!»
«Sì, lo so, passo la notte qui così Ienzo può montarmi un radar sulla navetta.» Sora gli rispose con un sorriso stiracchiato. «Novità?»
Riku scosse la testa, e l’aria scherzosa gli si dissolse in faccia.
«Secondo il Re, molto di questo mondo è cambiato. Abbiamo perso un po’ di punti di riferimento rispetto a quando chiudemmo la porta, e non sappiamo dove Aqua possa essersi rifugiata.»
«Oh.» Sora non commentò altro. Kairi gli mise una mano sulla spalla. Non sapeva se quel momento di sconforto fosse realmente suo, ma conoscendolo poteva anche esserlo. Quando Sora era giù di morale, lo era sia per gli affari propri che per quelli altrui.
Rimasero per un po’ a parlare del più e del meno, almeno fino a quando Paperino e Pippo non insistettero per salutare il Re. Kairi ancora non riusciva a capire cosa avrebbe voluto dire Riku la mattina della sua partenza, ma il ragazzo non sembrava volerne parlare, non in quel momento.
«Mi devi un abbraccio quando ci vediamo.» Sora bofonchiò in tono triste quando Riku gli disse che doveva chiudere. Riku si lasciò scappare una risata e poi li salutò, e lo schermo si rifece nero.
«Starà bene, lo sai.» Kairi mise una mano sulla schiena a Sora, che ancora fissava lo schermo del suo telefono.
«Vorrei essere lì ad aiutarlo.» Sora le disse. «Sono felice di essere con te adesso, ma mi manca anche lui. Come mi mancavi tu fino a qualche ora fa.»
«Andiamo, Sora. Pensa a tutte le persone che stanno soffrendo in questo momento.» Paperino lo rassicurò. «Contano su di noi
«Paperino ha ragione. Pensa a quando sarà tutto finito. Come saranno felici tutti quanti di essere a casa.» Pippo aggiunse.
Sora alzò lo sguardo verso i due e sorrise. Dall’altra parte del tavolo, Lea si girò e prese a fissare la parete. Kairi gli lanciò un’occhiata… stava sicuramente pensando a Roxas, o ad Isa.
Loro, almeno, con Riku ci potevano parlare.
«Va bene, signori, penso di andarmene a letto.» Fu a quel punto che Lea spinse indietro la sua sedia e camminò verso la porta. «Buonanotte e a domattina. Non sognate gli Shadow!»
Aprì la porta, uscì e se la chiuse alle spalle. Kairi non poté evitare di sbuffare.
«Non si è ancora cambiato.» Fu il primo commento di Sora. «Perché non butta via quella cappa?»
«Boh, dice che vuol finire di distruggerla.» Kairi scosse la testa. «Fa tanto il pagliaccio, ma poi torna serio e non dice mai davvero quel che pensa.»
«Qualcosa non va.» Sora rimase serio. «Anche Roxas ne è convinto. Anche Shiro me ne ha parlato al telefono. Pare che ci fosse qualcun altro da salvare… probabilmente un amico di Shiro, considerando le pagine sparite dal suo diario.»
«E dici che è per quello che Lea sia così giù di morale?» Kairi gli chiese. Alcuni giorni prima, Ienzo e Shiro ne avevano parlato anche con lei, cercando di reclutare l’aiuto di Naminé, ma l’altra ragazza sembrava quasi sorda alle loro domande. (“Forse è meglio non insistere,” aveva detto Ephemer tramite Shiro. “Non si può rompere una persona per salvarne un’altra.”)
«Potrebbero esserci tante ragioni. Gli manca Roxas. Saïx, pure. E quel Zack che Ienzo sta cercando di riportare indietro era suo amico.» Sora si strinse nelle spalle. «Il loro dolore sarà alleviato quando tornerete a mettervi fine. Mi sento un po’ inutile a giocare in difesa.»
«Beh, almeno tu lo stai facendo. In questi giorni, persino Shiro sta facendo più di me e Lea aiutando Ienzo con quelle ricerche.»
Dopo quella frase, Sora fu rapido a scusarsi e a cambiare argomento, e iniziò a parlare con Kairi della sola Principessa del Cuore che aveva incontrato finora, una ragazza di nome Luna, appartenente all’Ordine degli Stregoni, che aveva lasciato i suoi studi di medicina all’università per aiutare il figlio del sindaco di Crepuscopoli a risolvere la faccenda degli Heartless. Quasi si mise a ridere quando menzionò una specie di storiella che Luna gli aveva raccontato a proposito di universi paralleli e linee temporali alternative.
«Solo che se penso che da qualche parte c’è un me che è stato preso da Xehanort… brrr. Mi chiedo come potrebbe averla presa l’altra te.»
«Pensa ad un’altra cosa, però.» Kairi gli passò una mano tra i capelli. «Se tutto questo è vero, da qualche parte magari ci saranno degli altri noi che hanno già vinto.»

 
 
La mattina dopo, Sora, Paperino e Pippo si presentarono di buon’ora agli hangar solo per trovare il radar perfettamente montato e funzionante.
Avendo già salutato Kairi e Lea, che anche dopo la notte era ancora rimasto un po’ troppo serio, avrebbero svegliato Shiro, ma Ienzo aveva asserito che non era il caso – non era giorno di scuola, e la ragazzina era rimasta nel castello fino a tardi cercando di ritrovare i suoi ricordi perduti con Otto e Nove.
«L’ho trovata addormentata alla scrivania quando ho finito di calibrare il radar.» Ienzo sorrise imbarazzato. «Dilan l’ha portata a dormire nella sua vecchia stanza. Non credo si sveglierà tanto presto.»
«Grazie di tutto, Ienzo.» Sora gli rispose con un sorriso fino alle orecchie. «Spero davvero che questo possa rendere le ricerche più veloci.»
«Non credo avrei fatto così in fretta se tu non avessi trovato quella ragazza a Crepuscopoli. Comunque, buona fortuna, Sora.»
«Anche a te!» Sora salì sullo scivolo della navetta e salutò con la mano mentre la pedana si alzava. «Che il tuo cuore sia la tua chiave guida!»
Il segnale del radar li portò in un mondo che era diametralmente opposto nello spazio attorno a loro alla direzione da cui erano venuti. Fu un viaggio breve e niente sbarrò loro la strada, e quando sbarcarono vennero accolti dalla luce del sole che filtrava tra il fogliame di una rada foresta per illuminare un prato che sembrava quasi coltivato.
Sembrava di trovarsi in un dipinto.
Se non si fossero trovati là per cercare e salvare una delle Principesse, sarebbe stata una giornata perfetta per una gita e una merenda sull’erba. Sora ci stava soltanto iniziando a pensare, quando un giovane in casacca blu, stivali e pantaloni verdi attraversò la foresta, inseguito da Heartless dalla strana forma di semi di dente di leone.
Il giovane si rifugiò dietro ad una roccia, e Sora fu rapido ad evocare il Keyblade e far sparire il mostriciattolo più vicino a lui. Lo sconosciuto tirò un respiro di sollievo.
«Ehi, mi sembra che sappiate il fatto vostro. Vi scoccia se lascio fare a voi?»
«Per niente, ci pensiamo noi.» Sora si girò verso il ragazzo. Davanti a lui, gli Heartless superstiti arretravano alla vista del Keyblade. «Forza, dattela a gambe!»
«Vi ringrazio. Mi chiamo Flynn, Flynn Rider.» Il ragazzo li salutò prima di sparire nella boscaglia.
La presenza degli Heartless in quel tratto di bosco la diceva lunga sul fatto che fossero vicini alla persona che cercavano: da quando Sora aveva memoria di conoscere quei mostri, erano attratti dalla luce come gli insetti dalle lampade. Per loro sfortuna, Sora e il suo Keyblade erano una di quelle lampade che friggevano le zanzare.
Flynn Rider se l’era filata come suggeritogli da Sora, ma la direzione che aveva preso sembrava un vicolo cieco. Per quanto sarebbe stato utile avere l’aiuto di un locale nelle ricerche – non era mai successo che una Principessa passasse inosservata nel suo mondo di appartenenza – non era il momento di cercarlo. Sora si tirò fuori di tasca il telefono e aprì l’applicazione del radar. La luce che cercavano non era lontana… ma la direzione era lo stesso vicolo cieco in cui Flynn sembrava essere sparito.
«Okay, questa è nuova.» Sora si grattò la testa. Davanti a loro c’era soltanto un cumulo di rocce coperto da rampicanti.
«Non può essere passato di qua.» Paperino si guardò ripetutamente attorno.
«Eppure Ienzo aveva calibrato il segnale…» Sora fece per tastare la parete davanti a lui, coperta da vegetazione. Oltre le piante… la sua mano toccò il vuoto.
Cosa?
Si ficcò il telefono in tasca, poi usò l’altra mano per spostare un po’ di vegetazione. C’era una grotta! Le piante celavano un passaggio!
«Di qua, ragazzi!» Sora spostò abbastanza rampicanti da mostrare a Paperino e Pippo la strada, poi si avventurò nella caverna.
Non sembrava andare avanti a lungo… c’era già una luce che indicava un’uscita, e l’uscita sbucava in una radura, una specie di conca rocciosa in cui una cascata formava un laghetto. Al centro della radura c’era una torre.
Il segnale veniva da lì.
«Suppongo dovremmo trovare una porta e bussare, no?» Pippo fissò la torre. «Sora, sicuro che il segnale venga da lì?»
Sora alzò nuovamente il telefono. Il radar continuava ad emettere dei beep ravvicinati. Sì, erano vicini. Poi, senza alcun preavviso, il dispositivo emise uno squillo di chiamata e lo schermo mostrò il contatto di Kairi. Quasi senza pensare, Sora aprì la chiamata. Kairi era nella stanza del computer del castello, Lea dietro di lei, e sembravano entrambi spaventati.
«Sora, Shiro è sparita di nuovo.» Kairi disse immediatamente.
«Cosa?» Per poco Sora non fece cadere il telefono.
«Abbiamo chiesto a Otto e Nove se l’avessero vista.» Lea aggiunse indicando il computer. «Niente. Ieri notte s’è fatta mezza nottata davanti allo schermo ad analizzare i dati del suo diario. Poi Dilan l’ha presa e l’ha portata a letto. Non l’hanno più vista. Le telecamere non hanno rilevato niente di sospetto… nessun intruso. Nessun Corridoio Oscuro.»
«Non avete pensato che si sia allontanata spontaneamente?» Paperino ribatté stizzito. «Quando Quo era piccolo, cose del genere accadevano di continuo.»
«I sistemi di sicurezza della città non l’hanno trovata.» Lea scosse la testa. «E gli unici che hanno lasciato il mondo ultimamente sono…»
«… oh, cavolo.» Kairi intercettò la sua frase.
Sora ci mise un momento a capire. Avevano parcheggiato la loro Gummiship negli hangar del castello, quindi quello voleva dire…
… che si è nascosta nella navetta. Aaaargh!” Ventus arrivò alla risposta prima di lui. “Sora, dobbiamo tornare indietro prima che si allontani.
«Come facciamo con…?» Sora fece per protestare, ma in quel momento Flynn si affacciò alla sola finestra della torre e prese a scendere utilizzando due dardi come ramponi. Guardò di nuovo il telefono. «Forse sappiamo dov’è Shiro. Ti richiamo!»
Alzò di nuovo lo sguardo.
«Hey, Flynn! C’è qualcuno lassù?» urlò all’indirizzo del ragazzo. Flynn scese un altro po’, lo guardò, poi guardò verso la finestra.
«Non vieni, biondina?» chiese a chiunque fosse ancora nella torre. Immediatamente dopo, quella che sembrava una spessa corda dorata cadde dalla finestra, e una ragazza vi si calò verso il basso.
Un momento. Non era una corda, erano capelli!
La ragazza rimase un momento appesa a pochi centimetri da terra – come accidenti faceva? Erano i suoi stessi capelli… e quanto accidenti erano lunghi? – e finalmente toccò l’erba con i piedi nudi, per poi inginocchiarvisi, toccarla con le mani e sdraiarsi sul prato.
Sembrava quasi che non avesse mai toccato un prato prima d’allora.
Flynn finì di scendere con calma e sembrò subito sollevato di vedere Sora.
«Ragazzi! Siete arrivati e giusto in tempo!» Sorrideva anche un po’ troppo per qualcuno appena scampato agli Heartless. Indicò la ragazza, che si era rialzata e aveva appena messo i piedi nel laghetto. «Quella è Rapunzel. Ho l’impressione che sia la sua prima volta all’aperto. Datele qualche minuto per abituarcisi.»
«Cerchiamo di fare in fretta. Abbiamo perso una dei nostri nel bosco, e devo correre a ritrovarla.» Sora si fece serio. Non avrebbe mostrato la Gummiship a Flynn, ma dovevano tornare indietro il prima possibile.
«Credo che sia proprio dove Rapunzel stia andando…» Flynn indicò la ragazza che correva verso la galleria. «Quindi eravate in quattro? E avete parlato di una ragazza… ma dimmi un po’, anche lei è armata?»
«Intendi Shiro?» Sora chiese mentre correvano dietro Rapunzel. Non era affatto difficile capire dove stesse andando, dovevano solo seguire i capelli. «Sì… ha una spada come la mia.»
«Bene!» Flynn esclamò allegramente. «Più siamo, meglio stiamo!»
Questo sta male,” Roxas bofonchiò nella testa di Sora.
I capelli di Rapunzel avevano smesso di strusciare sul terreno, evidentemente la ragazza doveva essersi fermata. La ragione fu chiara a Sora e Flynn quando uscirono dalla Galleria: c’era una fila di Budini, un tipo di Heartless inoffensivo che Sora aveva già avvistato a Tebe e nel negozio di giocattoli. Sembrava quasi fossero in formazione per un qualche motivo… anzi no, sembravano in posa. Come se qualcuno stesse per fare loro una foto…
«Tu sulla sinistra! Avanti, sei troppo lontano dagli altri! Quante volte te lo devo dire che se vuoi uscire nella foto devi stare in formazione?» Shiro era davanti a loro, il cellulare alzato, pronta per scattare.
Sora si mosse senza volerlo e le corse vicino, con in cuore una preoccupazione che gli sembrava quasi il triplo della sua.
«Cosa ci fai qui?» Ventus gli fece dire. «Avresti potuto farti rapire di nuovo!»
Shiro portò le mani sui fianchi e guardò Sora, Paperino e Pippo con aria di sfida.
«Sono solo venuta ad aiutarvi… in fondo, se ti aiuto, tu puoi andare con Riku a cercare la mamma…» Prese un respiro, come se ci stesse pensando. «Ormai non c’è molto da fare per aiutare Ienzo, Otto e Nove possono farcela da soli.»
Sora si diede una manata alla fronte. “Mi sembra di rivedere Terra che fa di testa sua,” Ventus gli commentò. “Io sono per riportarla da Aerith, prima che succeda altro.
«Così non mi stai aiutando, Shiro.» Sora cercò di fare la parte del grande ragionevole. «Dovrei riportarti da Aerith, lo sai?»
Flynn si avvicinò silenziosamente a loro, guardando Shiro con fare sospettoso.
«Sarebbe lei la guerriera rimasta indietro? Non mi hai detto che era una bambina
Shiro gli lanciò un’occhiataccia. «Non sono una bambina, ho quasi tredici anni!» Si rivolse di nuovo a Sora. «Ti prometto che non farò di testa mia… e poi se sono con voi non posso mettermi nei guai, no? E potrei darvi una mano… così potete anche vedere se sono diventata brava!»
«Shiro, e se arrivassero le Oscurità?» Sora alzò gli occhi al cielo. Li aveva già incontrati in ogni singolo mondo su cui aveva messo piede, Xigbar all’Olimpo, Ansem e Xemnas a Crepuscopoli, e lo Xehanort del passato nel mondo dei giocattoli. Con la fortuna che aveva, sicuramente avrebbe potuto saltare fuori Vanitas o chissà chi altro in quel mondo. E se Vanitas si fosse spacciato per lui, Shiro avrebbe passato guai grossi.
«Hai dodici anni e ti lasciano andare in giro?»
Rapunzel, che fino a quel momento era rimasta quasi impietrita ad osservare i budini, sembrò accorgersi della ragazzina in quel momento.
«Uhmm... diciamo che ha leggermente sconfinato stavolta. Per la seconda volta in due settimane.» Sora si grattò la nuca. «E la prima abbiamo dovuto tirarla fuori dai guai.»
«Secondo me dovresti darle una possibilità.» Flynn intervenne. «Sbagliando s'impara, dopotutto.»
«Dai, Sora, andiamo. Probabilmente la mamma sarebbe anche d’accordo.» Shiro insistette.
Le piacerebbe.” Ventus commentò in tono molto sarcastico, poi prese il controllo della voce di Sora. «Tua madre ti avrebbe portata a casa di peso, probabilmente.»
«Però ora mamma non c’è e magari sarei qui con lei se non fosse…» La bambina si strinse nelle spalle. Probabilmente stava per esaurire gli argomenti, ma Sora si sentiva un po’ in colpa a sgridarla. D’altra parte, aveva avuto solo un anno più di lei quando si era ritrovato in quella guerra da solo. Si sentiva quasi un ipocrita.
Sora, tu hai anche avuto fortuna. Adesso le cose sono anche peggiori di come erano…” Ventus cercò di farlo ragionare.
La chiami fortuna la sua? Ricordati che io esisto!” Roxas gli ribatté.
Appunto. Dicevamo?” Non era chiaro se Ventus fosse più divertito o più sarcastico.
«Io voglio aiutare…» Shiro sfruttò il silenzio per perorare la sua causa. «Voglio solo aiutare…»
Il loro battibecco doveva aver sortito degli effetti inaspettati, perché Rapunzel si era seduta su di una roccia e si fissava le dita dei piedi. Doveva essersi resa conto di aver fatto qualcosa di apparentemente sbagliato, perché stava mormorando tra sé e sé di essere una pessima figlia e un essere spregevole e voleva tornare indietro. Era sull’orlo delle lacrime quando Flynn si avvicinò a lei.
«Lo sai? Non riesco a fare a meno di notare che sembri leggermente in guerra con te stessa. Madre iperprotettiva, vietatissimo uscire… insomma, ragazzi, è roba seria.»
Senti, chiudi il becco, Rider. Staremmo per portare a casa la cucciola.” Ventus commentò, sempre più stizzito.
«Fa parte del crescere! Un po’ di ribellione… qualche avventura… è giusto così, salutare addirittura!» Il giovane continuò con il suo solito sorriso sulle labbra.
Racconta un po’ un’altra storia…” Sembrava che Ventus stesse per perdere la pazienza.
«Quale sarebbe il problema?» Shiro si intromise tra i due.
Rapunzel alzò lo sguardo.
«Beh, ecco ho sempre vissuto sola in una torre. Con mia madre e Pascal.» Mentre la ragazza spiegava, un piccolo rettile verde le saltò sulla spalla. «Secondo mia madre, il mondo fuori è pericoloso. Per me, almeno. Ogni anno, il giorno del mio compleanno, compaiono luci fluttuanti nel cielo…»
«Lanterne.» Rider precisò.
«… che secondo lui sono le lanterne in memoria della principessa perduta del regno qui vicino. Sono un vero spettacolo, credimi… uhm, come ti chiami?»
«Shiro.» Ora che non era più sotto lo sguardo inquisitorio di Sora, la bambina sembrava più sollevata. Sora si rese conto che, a parte Aerith e Kairi, Shiro non frequentava molte ragazze.
«Piacere di conoscerti. Io sono Rapunzel. Compio diciotto anni domani.»
«Io ne farò tredici il mese prossimo… forse.» Shiro fece un sorrisetto imbarazzato. «Dove sono cresciuta non gli importava moltissimo del mio compleanno. Mio padre… beh, non era nemmeno il mio vero padre…» Prese a tormentarsi l’orlo della giacca con le mani. «Anche lui mi teneva chiusa in un castello. Mi fece uscire soltanto una volta o due, per prendere e portare lì quello che alla fine è diventato il mio migliore amico.»
Shiro si sedette sul sasso accanto a Rapunzel e lanciò un’occhiata a Sora. «Era sempre distante con me. Non mi ascoltava mai. Ho scoperto solo un po’ di tempo fa che mi aveva rapita e aveva attirato i miei veri genitori in una trappola. Non ero affatto felice con lui, anche se cercava di convincermi che io lo fossi… volevo stare con i miei amici. Forse… forse sono felice con Sora e i suoi amici, adesso. Ma stiamo cercando i miei adesso… e voglio fare del mio meglio per ritrovarli.»
Sora avrebbe giurato di vedere le sopracciglia di Rapunzel aggrottarsi quando Shiro disse “non ero felice”, ma avrebbe anche potuto essere una coincidenza. Aveva sentito fin troppe volte Riku lamentarsi dei suoi per vedere un cattivo in ogni genitore severo.
Anche il mio maestro non voleva che mi allontanassi dal castello, ma considerando che sono riusciti ad attirare ME in una trappola…” Ventus commentò brevemente. “Sora, forse dovresti dire a Kairi e Lea che Shiro sta bene.
«Come, non la portiamo da Aerith?» Sora si grattò la testa.
In circostanze normali lo farei. Ma se è Rapunzel la ragazza che dobbiamo tenere d’occhio… ci vorrà parecchio a ritrovarla se ci allontaniamo.
Sora tirò un sospiro, si estrasse il cellulare dalla tasca, e mandò un messaggio a Kairi informandola che Shiro era con lui, ma non potevano riportarla immediatamente indietro. La risposta di Kairi arrivò nella forma di una faccina preoccupata, ma Sora le rispose rapidamente che sarebbe andato tutto bene.
Non pensavo mi sarei ritrovato a fare il rompiscatole noioso quando neanche sono ancora un Maestro.” Ventus commentò mentre si rimettevano in marcia. “Per favore… che nessuno lo dica ad Aqua.
Sora non poté evitare di scoppiare in risatine quando Roxas ribatté con un: “AHEM”.
 
La giornata passò in maniera quasi tranquilla – almeno, per Sora, Paperino, Pippo e Shiro. Flynn li fece “riposare” in una taverna dove un manipolo di fuorilegge cercò di consegnare lui alla legge per riscuotere un po’ di soldi. L’idea era stata quella di spaventare Rapunzel a quanto pareva, che però era riuscita a far cambiare idea alla banda chiedendo loro quali fossero i loro sogni. Si erano rimessi in marcia grazie a una galleria sotto la taverna, salvo poi incontrare comunque le guardie, una diga era crollata, e mentre Sora, Paperino, Pippo e Shiro erano riusciti a evocare un canotto e mettersi in salvo, Rapunzel e Flynn erano rimasti quasi intrappolati in una caverna, e quest’ultimo si era ferito una mano nello scavare una via d’uscita.
Si erano ritrovati vicino all’argine del fiume, e mentre Sora e Shiro erano andati a fare legna per accendere un fuoco, Rapunzel aveva deciso di occuparsi della mano di Flynn. O meglio, aveva cominciato a chiamarlo Eugene, che Flynn ammise essere il suo vero nome all’occhiata più che perplessa di Sora.
Quando tornarono, Eugene aveva la mano illesa come se non si fosse mai fatto male, fissava Rapunzel, ed era sul punto di trattenere un urlo.
«È la prima volta che vedi un Energira, Eugene?» Shiro lasciò andare i rami che aveva tra le mani e cercò di fare del suo meglio per disporli in una pila. Sora la lasciò sbagliare soltanto quattro o cinque volte prima di intervenire e sistemare i rami in un’altra maniera, disponendoli piano in modo che Shiro vedesse come si faceva.
«Un cosa?» Eugene la guardò visibilmente perplesso.
«Magia di cura. Penso che fosse un Energira, almeno. Kairi ci si stava esercitando ieri… la mia amica.» Shiro cercò di spiegare mentre Sora finiva di sistemare la legna. «Io per il momento riesco a fare più che altro questo.»
Tese entrambe le mani davanti a sé, e dalla catasta di legna divampò una fiammella.
Eugene emise un altro rantolo.
«Beh, che c’è? Non l’avevi vista con gli Heartless?» Paperino prese posto su una roccia.
«Giusto. Cos’è questa storia degli Heartless?» Rapunzel chiese loro mentre Sora ravvivava le fiamme con un ramo più lungo che doveva essersi lasciato di proposito.
«Beh, sono dei parassiti. Un po’ come i ratti.» Sora spiegò, ma Shiro aveva l’impressione che non fosse realmente lui a parlare. «Anni fa esisteva un collegio. Una scuola che istruiva… possiamo chiamarle guardie… addestrate per tenerli sotto controllo. Via dalle persone. C’erano tre studenti in quella scuola. I loro nomi erano Terra, Aqua e Ventus.» Sora si mise a sedere sul tronco, guardando Eugene e Rapunzel con aria quasi triste. «Ventus aveva quindici anni quando Terra e Aqua, che ne avevano diciannove e diciassette, ebbero una bambina. Quasi due anni dopo, ci fu… un incidente, una trappola. Ancora non è chiaro, e Shiro rimase da sola mentre i tre e il loro maestro sparirono. Da allora, gli Heartless sono aumentati. E aumenteranno ancora, se non troviamo chi li comanda e non lo sconfiggiamo.»
«Alla taverna avevi detto che sogni di ritrovare i tuoi genitori.» Rapunzel disse a Shiro. «Pensi siano ancora… da qualche parte? Magari a cercare te?»
«Li stiamo cercando. Sono qui per aiutare Sora così anche lui potrà unirsi alle ricerche.» Shiro si ficcò una mano in tasca e ne estrasse il suo Trovavia. «Questo è uno dei pochi ricordi che ho di loro.»
«Lo hai ancora? Credevo che Vanitas lo avesse rotto!» Sora sobbalzò sul posto, poi sembrò ricordarsi di qualcosa. «Ah… aspetta… era il mondo dei sogni… è successo nell’incubo.»
«Va bene, una parte della storia la sappiamo.» Eugene si decise a sorridere. «Quanto a te, Rapunzel? Da quanto tempo la cosa va così con i tuoi capelli?»
«Da sempre, credo io. Mamma dice che quando ero bambina tutti cercavano di tagliarli… se li volevano tenere tutti per loro.» Rapunzel mostrò una ciocca nascosta dietro un orecchio, inusualmente corta e scura rispetto al resto dei capelli. «Ma una volta tagliati diventano scuri e perdono tutto il loro potere. Un dono come questo deve essere sempre protetto. Ecco perché mia madre non mi ha mai… ecco perché io non sono mai uscita da…»
Questa signora non me la conta giusta.” Ephemer asserì. Era rimasto in silenzio da quella mattina, da quando Shiro aveva deciso di filarsela dalla cameretta, ma adesso finalmente si decideva a parlare.
Fu Eugene a protestare del comportamento della madre di Rapunzel, ma a Shiro quella storia puzzava più dei pannolini di Finn. Chiunque fosse la madre della ragazza, il suo comportamento era orribilmente simile a quello di Xemnas.
Non hai tutti i torti. Un genitore solitamente dovrebbe comportarsi nell’interesse del bambino. Non so cosa avrebbe fatto Xemnas se io non ti avessi impedito di evocare il Keyblade la prima volta che stavi per mostrarlo… Rapunzel non deve essere stata tanto fortunata, se ha parlato della sua infanzia.” Ephemer commentò. “Se davvero Sora ci ha visto giusto ed è una delle Principesse, bisogna capire nelle mani di chi è lei, adesso. Questa storia non mi piace.
«Beh, se resta con Eugene secondo me starà bene.» Shiro si raccolse una mano a coppa davanti alla bocca e bisbigliò con un fil di voce per non farsi sentire da nessuno.
Fu il turno di Eugene di parlare. Anche lui, come Shiro, era cresciuto senza i genitori… e il nome che usava per presentarsi a quanto pare era uscito da un libro di avventure.
«… in realtà aveva abbastanza denaro per fare quello che voleva e andarsene anche dove voleva… e agli occhi di un ragazzo che non aveva niente… non lo so, però… sembrava la scelta migliore.»
Stavano ancora scherzando attorno al fuoco quando dallo stomaco di Sora partì un distinto, inequivocabile brontolio, e il gruppo si rese conto che nessuno di loro aveva mangiato fin da quella mattina.
«C’è il fiume qui vicino. Potrebbe essere un buon posto per trovare degli ingredienti.» Paperino suggerì.
«Ha ragione, potreste trovare qualche anguilla d’acqua dolce in questa stagione.» Eugene si mise in piedi. «La padella l’abbiamo… ci sarà giusto bisogno di un altro po’ di legna. Se dobbiamo cucinare ci servirà un fuoco più grande.»
Indicò a Sora la strada del fiume.
«Se siete rapidi abbastanza, le anguille le potete anche prendere a mani nude.»
Sora, Paperino e Pippo si alzarono a loro volta.
«Shiro, Rapunzel, voi restate insieme. Urlate se vedete Heartless o altro, saremo qui di corsa.» Sora raccomandò prima di allontanarsi dal fuoco.
Sia Eugene che i tre avventurieri lasciarono il cerchio di luce del fuoco. Shiro non poté evitare di sentirsi osservata… c’era qualcuno da quelle parti?
Non sei la sola a pensarlo, ci stanno spiand…
«Bene! Finalmente se ne sono andati!» Una voce femminile parlò alle loro spalle, e le due ragazze scattarono in piedi e si girarono sul posto.
C’era una donna, leggermente anziana, incappucciata in un manto nero che Shiro avrebbe preso per la cappa dell’Organizzazione se non fosse stato privo di maniche e con un orlo particolare.
«Madre?» Rapunzel chiese.
«Quella è tua madre? Non ti somiglia per niente!» Shiro commentò.
«Come hai fatto a trovarmi?» Rapunzel chiese alla donna mentre lei la spingeva quasi via da Shiro, cercando di abbracciarla.
«Oh, è stato facilissimo. È stato sufficiente ascoltare l’eco del più completo tradimento e lasciarsi guidare.» La donna rispose come se niente fosse.
Ma da dove esce fuori questa megera? Non è modo di parlare a una persona cara!” Ephemer protestò nella testa di Shiro.
«Tu non capisci… ascolta!» Fu Rapunzel a reagire. «Sto facendo un viaggio incredibile. Ho imparato e visto talmente tanto… e incontrato delle persone…»
«Quel Flynn Rider? È un ladro ricercato. Sono molto orgogliosa. E lo scriccioletto qui vicino, so che cercano anche lei. È scappata di casa.»
«Hey! I miei amici sanno dove sono!» Shiro strinse i pugni e protestò sonoramente. Se avesse alzato abbastanza la voce, forse Sora li avrebbe sentiti.
«Ti porto a casa. Cammina, Rapunzel.» La madre della ragazza la prese per il polso e fece per trascinarla via.
«La lasci andare!» Ephemer fece parlare Shiro, facendole alzare le braccia a pugno in segno di minaccia. La stellina del Trovavia le cadde dalla tasca per il movimento improvviso, prendendo a pendere da una delle cinture.
La donna fulminò la bambina con lo sguardo.
«Io quel portafortuna l’ho già visto.» Lasciò andare il polso di Rapunzel e fissò la stella di vetro. «Un uomo stava cercando sua figlia nel bosco. Una bambina di tredici anni, diceva. E mi ha fatto vedere quella stessa stella, ma di un altro colore. Allora, scricciolo, da quante settimane sei fuggita da tuo padre?»
«Sono decenni che i marinai fanno stelle come questa.» Shiro ribatté, con Ephemer che le suggeriva le parole per evitare di lasciarla spiazzata. «E io sono qui per aiutare i miei amici a cercare mia madre
«Sul serio, Rapunzel. Un solo giorno fuori dalla torre e ti accompagni a una bugiarda e a un criminale?»
«Non sono una bugiarda e Rapunzel è mia amica!» Shiro ribatté ancora.
Rapunzel sembrava quasi ancora pietrificata dalla predica, poi sembrò farsi coraggio.
«Madre… quel ragazzo… io credo di piacergli.»
La vecchia rimase zitta per un momento, poi aggrottò ancora più le sopracciglia.
«Piacergli? Ma dai, Rapunzel, che vai a pensare? Ecco perché non volevo che andassi via. Questo è un bel romanzo che tu vuoi inventare, e prova soltanto che tu non sei grande abbastanza, cara mia. Come puoi piacergli tu, ti prego, ragazza… guardati un po’! Credi sia rimasto colpito?»
In tutto questo, la donna continuava a toccare la ragazza, scuoterla, strattonarla… come poteva anche farsi chiamare madre in tutto questo? Non era come Xemnas, era quasi peggio… e Saïx e Axel avevano detto anche troppe volte a Shiro che un comportamento del genere era sbagliato.
«Non farne un dramma, e abbraccia la mamma…»
Se soltanto potessi picchiarla, invece…” Ephemer stava ringhiando. Ma fu Rapunzel a reagire.
«NO!»
«No? Le cose stanno così?» Il sorriso della donna si fece beffardo. «Rapunzel non sbaglia. E cosa accadrà, dimmi, quando gli darai questa
Si tolse una borsa da sotto il mantello, e da quella estrasse quella che Ephemer identificò prontamente come una tiara. Rapunzel fu di nuovo pietrificata sul posto.
«Per questo lui ti segue. Non farti fregare… dagliela, e se ne andrà.»
«Io mi fido di lui.» La ragazza ribatté.
«Non ti dirò di non averti avvertita!» La vecchia le lanciò la tiara, poi le mise la borsa attorno alle spalle. «Ma tu credi a questo tipo? Allora mettilo alla prova.»
Si allontanò da lei, fino a quasi sparire nelle tenebre.
«Se ti ha mentito, non tornare qui a piangere… perché vuol solo dire che avevo ragione!»
«Aspetta…»
E svanì.
Le due ragazze rimasero a fissare il buio, fino a quando la voce di Sora non le scosse entrambe.
«Ragazze, ragazze, una mano, le anguille sono scivolose!»
 
Quando Eugene tornò al campo, Shiro e Rapunzel avevano preso ad aiutare Sora a pulire i pesci, ma entrambe erano rimaste in silenzio dal ritorno di Sora. Probabilmente qualcosa nella foresta le aveva spaventate – d’altra parte era la prima volta per entrambe in un bosco di notte.
Mangiarono quasi in silenzio, Eugene, l’unico che parlava, quasi sperando che l’incanto di guarigione gli potesse dare una forza sovrumana, poi cercarono di improvvisare dei giacigli sul terreno.
Non va bene, sono ancora spaventate.” Ventus commentò mentre Sora guardava le due ragazze. Un momento dopo, anche Pippo chiese alle due se stessero bene e se fosse necessario che trovasse una lucina antipaura da qualche parte nel suo zaino.
«Aspetta, ho un’idea migliore.» Sora si frugò nelle tasche fino a quando non trovò uno dei Legacuori che Yen Sid gli aveva dato. «Cicciomiao, vieni qui, su bello!»
Il Fiormiao si materializzò dal nulla, iniziando ad annusare l’aria e scodinzolare.
«No, niente Heartless stavolta. Ma credo che Shiro qua possa rischiare qualche incubo. Le puoi stare vicino?»
Cicciomiao scodinzolò di nuovo, fece un paio di balzi sul posto, poi si accoccolò tra Shiro e Rapunzel, annusandole entrambe mentre chiudevano gli occhi.
«Va bene, ho paura di chiederti cosa sia quel coso.» Eugene commentò guardando Sora, poi sorrise e si sdraiò a sua volta.
 
«Oh, ma sei proprio un bravo cavallino! Sì che lo sei!»
Sora aprì gli occhi. Un cavallo bianco – lo stesso che li aveva inseguiti nel tunnel il giorno prima – puntava Eugene con sguardo minaccioso, e Rapunzel stava cercando di calmarlo.
«Sora, come hai fatto a dormire finora?» Shiro commentò, tirandolo da parte. Intanto, Rapunzel aveva preso a coccolare il cavallo tanto che l’animale le stava facendo le feste.
«Beh, ero stanco.» Sora si alzò e incrociò le braccia.
«Sei stanco perché hai inseguito quel brutto cattivone dappertutto? Nessuno ti apprezza come meriteresti, non è vero?» Rapunzel stava continuando a coccolare il cavallo, ignorando le proteste di Eugene. Sembrava che avesse un proposito, anzi che stesse contrattando, perché sembrava che il cavallo – Maximus – accettò di non infastidire Eugene per tutta quella giornata.
Erano vicini alla città. Talmente vicini da poter sentire le campane che suonavano le otto.
La capitale sorgeva su un isolotto, collegato alla terraferma da un ponte di pietra. Sembrava che si stesse preparando una festa, a giudicare da tutta la gente che attraversava il ponte. E all’interno delle mura erano ancora di più… Rapunzel passò i suoi primi dieci minuti in città con i capelli che le si impigliavano da qualche parte, almeno fino a quando Eugene non si fece aiutare da tre bambine e chiese loro di fare alla ragazza una treccia.
«Eugene, cos’è questa festa?» Sora chiese al ragazzo più grande, mentre Rapunzel e Shiro erano intente a disegnare con i gessi sul selciato.
«Il re e la regina festeggiano ancora il compleanno della loro figlia…» Eugene si fece serio. «L’avevano desiderata da anni, la regina aveva persino rischiato di morire durante il parto… poi, prima che facesse un anno… la bambina sparì. Il re e la regina ancora sperano di ritrovarla, un giorno. La festa è per non perdere la speranza, presumo.»
Scrollò le spalle.
«Il pezzo forte della serata sarà il lancio delle lanterne, dopo il tramonto. Fossi in te e i tuoi amici ve ne procurerei qualcuna.»
Sora si incrociò le braccia dietro la testa. Non potevano ancora restare a lungo, non con la situazione così tranquilla in quel posto e Shiro dove non doveva essere, e Riku nel Reame Oscuro. Se niente sarebbe accaduto, e se davvero Eugene si era affezionato a Rapunzel come sembrava, allora la loro missione lì era finita.
Ma sentiva di non poter negare a Shiro quella giornata. Non ricordava di averla mai vista ridere tanto mentre disegnava assieme alla sua nuova amica.
La ragazzina aveva riempito la sua parte di selciato di Budini, e di una specie di salsiccia che ricordava Cicciomiao, e se il suo uso del giallo suggeriva a Sora qualcosa, probabilmente stava per disegnare anche Roxas da qualche parte…
«Penso di portare Shiro a casa quando finirà la festa.» Sora confessò a mezza voce. «Ma se per te e Rapunzel non c’è niente in contrario, se pensate di tornare qui l’anno prossimo, potremmo rivederci. Sempre che tu e Rapunzel, insomma, non vi salutiate dopo questa giornata.»
Eugene sorrise e scosse la testa.
«Sai, non penso che lo farò.» Asserì. «Ho… fatto un affare ultimamente. Qualcosa che mi dovrebbe fruttare un po’ di soldi, e se lei volesse venire con me… beh, sarebbero abbastanza per una casa. Un posto dove tornare dopo un’avventura ogni tanto. E tu, Shiro e gli altri due sareste comunque sempre i benvenuti. Assieme a tutta la compagnia del Bell’Anatroccolo.»
«Mi piacerebbe.» Sora ammise.
In un altro angolo della piazza un’orchestrina aveva preso a suonare un motivetto, e Rapunzel e Shiro si erano alzate e avevano cominciato a ballare. Alcuni bambini avevano preso ad imitarle a loro volta.
Sora stette a guardarle distratto per un paio di attimi, battendo un piede per terra, poi decise di buttarsi nella mischia a sua volta – da quanto tempo non si era messo a ballare per il semplice piacere di farlo?
Mai visto qualcosa del genere,” Roxas commentò nella sua testa. Ai bambini che ballavano in piazza stavano iniziando ad aggiungersi anche ragazzi e adulti, e Shiro dopo i primi passi incerti stava iniziando ad essere sempre più sicura, guardando Rapunzel con la coda dell’occhio per imitarla.
Cosa ti sei perso. È una delle cose più belle del mondo!” Ventus gli ribatté, poi chiese a Sora il controllo e iniziò a fargli fare qualche passo che il ragazzo non conosceva. Sora sperava ci andasse piano… non avrebbe potuto proteggere nessuno con una storta a una caviglia o a un polso… Ventus lo fece atterrare con una mano su un barile, fare una verticale e girare sul posto, e la folla intorno a loro applaudì e scoppiò in ovazioni.
«Posso avere questo ballo?» Sora chiese a Shiro mentre Ventus gli faceva tendere la mano verso di lei. Era strano, anche se Sora si stava divertendo un mondo. Sentiva l’orgoglio di Ventus nel suo cuore, sentiva che erano anni che aveva aspettato un momento del genere, e sentiva Roxas farsi sempre più imbarazzato e confuso nonostante anche lui fosse in qualche modo felice.
Shiro arrossì appena, quasi imbarazzata dalla richiesta, poi accennò un sì con la testa e avvicinò le mani a quelle di Sora.
«Però... È la prima volta io non sono brava...»
«Tranquilla, ho gli stivali tosti.» Sora scherzò, riprendendo a lasciarsi guidare dalla musica e dagli amici nel suo cuore.
«Sì, e anche Zio Ven che ti aiuta a non sbagliare, eh?» Shiro ridacchiò.
La piazza era ormai piena di gente che ballava, persino Eugene si era unito alle danze, e Paperino e Pippo erano al bordo a battere le mani. Il cielo si stava facendo arancione sopra di loro, e l’aria si faceva più fresca.
Poi, da qualche parte fuori dalla piazza, qualcuno gridò: «Alle barche!»
La gente in piazza prese a voltarsi verso la fonte dell’urlo. Venne urlato di nuovo, e lo spiazzo si svuotò, mentre le persone correvano verso i moli.
Eugene, che era riuscito a ballare con Rapunzel appena prima che le danze terminassero, prese la ragazza per la mano e le disse che aveva un posto speciale, ma Shiro indicò quasi subito a Sora il faro alla fine del porto.
«Ci vediamo lì?» gli chiese.
Sora esitò un momento quando la vide deviare, ma decise di fidarsi. La città era affollata, c’era Ephemer con lei, e non sarebbe stato facile per un qualsiasi cattivo arrivare a lei.
Lui, Paperino e Pippo si erano arrampicati sulla cima dell’edificio e stavano guardando le barche prendere il largo quando Shiro arrivò sulla cima della torre con quattro mele caramellate nelle mani.
«Non ho trovato gelatai, ma credo che questo non sarà malaccio.» Disse passandone una a Sora. «Come direbbe Axel, la ciliegina sulla torta.» Fece un sorriso.
Sopra di loro, una singola lanterna si accese dalle mura del castello. Come in risposta ad un segnale, dalle barche se ne accesero altre, e poi altre ancora dalla riva del mare.
Attorno a loro decine di lanterne si illuminavano e prendevano il volo, e Sora fissava lo spettacolo… tutte quelle luci che si alzavano, si abbassavano, e fluttuavano sopra di loro, illuminando la notte quasi a giorno.
Ogni luce era una persona, un abitante di quella città, uno dei tanti che sperava nel ritorno della principessa. Sora non stentava a credere che Rapunzel, guardandole da lontano, ne fosse stata attirata… gli ricordava qualcosa… anzi no, quel ricordo non era suo.
Gli stava venendo un nodo alla gola, e capì che Ventus aveva bisogno di dire qualcosa.
Parla pure, Ven.
«Sai una cosa, Shiro?»
La ragazzina lo fissò, e a giudicare dalla sua espressione stupita doveva aver notato che la sua voce suonava diversa.
«… zio Ven?»
«Una volta qualcuno mi disse che ogni stella è un mondo a sé.» Ventus fece annuire Sora, poi lo fece alzare in piedi. «E che la loro luce brilla su di noi come un milione di lanterne.»
Sora si sentiva la faccia bagnata, ma ancora non aveva il controllo delle braccia per pulirsi.
«Sì… ma che cosa vuol dire?» Shiro guardò prima lui, poi le lanterne.
«Tuo padre mi disse che sono come noi.» Ventus spiegò. «Io allora non capivo, ma… guarda davanti a noi. Ogni persona di questa città sta facendo luce, sperando di portare la principessa perduta a casa. Aveva ragione. Terra aveva ragione. Lo avrei capito un giorno… e ora lo so. Siamo tutti noi le luci della gente a cui teniamo.»
Si appoggiò ad una delle colonne del faro, e lasciò di nuovo a Sora il controllo. Ma al ragazzo veniva ancora da piangere. Si asciugò gli occhi con il dorso della mano, e rimase di nuovo a fissare l’orizzonte illuminato.
«Sora, e le nostre lanterne?» Pippo gli ricordò, porgendogli un pacco di carta.
Il ragazzo si morse il labbro, poi tirò un sospiro e aiutò i suoi amici a spiegarle e accenderle. Pochi attimi dopo, altre quattro lanterne si levarono dal faro, e poco prima che si allontanassero Sora fece in tempo a notare che Shiro aveva tracciato la figura del suo Trovavia sulla sua con uno dei gessetti.
Niente ci potrà separare. Troveremo sempre il modo di riunirci.” Ventus commentò nella sua testa… sembrava stesse ripetendo le parole di qualcuno. “Siete le persone più importanti della mia vita.
Un’altra lacrima uscì dagli occhi di Sora, ma stavolta non alzò la mano per asciugarla.
Mise una mano sulla spalla di Shiro, chiuse gli occhi per un momento, e lasciò Ventus parlare ancora una volta.
«Saranno così fieri di te quando ti rivedranno.»


Angolo dell'Autore 1 - 
Una cosa che non tanto mi è piaciuta di Kingdom Hearts 3 è stato che hanno avuto molti punti nelle trame dei mondi che potevano essere utilizzati meglio per dare dei richiami. La scena delle lanterne fluttuanti era una, ma ci sono altri momenti che potevano essere utilizzati meglio... e che abbiamo effettivamente preso e sistemato alla fine, perché sì.
Questa scena è uno dei momenti sopravvissuti alla "prima stesura" della storia, presa quasi pari pari con alcune differenze.
AH: quando Sora dice che potrebbe esserci Vanitas o spacciarsi per lui... era quello che accadeva nella prima stesura. OOOPS.

 

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Capitolo 4
*** Acqua e Sangue ***


Oooops, lo abbiamo fatto di nuovo!
Io e Miraha - che in questo capitolo ha avuto la mano pesante più che mai - AVEVAMO detto che avremmo mantenuto la trama di Kingdom Hearts 3... ma perché lasciare tutte le parti belle alla fine? Nope eh, è il momento di riparare la trama!
 

Guardians – Capitolo 4
Acqua e Sangue
 
Riku atterrò con i piedi nella sabbia, Via per l’Alba stretta salda nella mano, e si guardò alle spalle.
L’ammasso di Shadow che aveva eretto quella specie di torre oscura si andava via via smembrando e sparendo, ma dietro di lui, Topolino sembrava ancora preoccupato.
Poco prima, aveva detto che Aqua era caduta in un abisso profondo e pericoloso, probabilmente troppo rischioso anche per loro, come era stato per Shiro alcuni giorni prima.
Ma per quanto fosse urgente recuperare i Guardiani, lo era anche tenere le Principesse al sicuro, e Sora, che era più versato nel perlustrare i Reami della Luce, era stato mandato a cercarle e non potevano avere Ventus lì. Proprio Ventus che sarebbe stato la chiave per salvare Aqua così come aveva potuto aiutare con Shiro.
«Inutile restare qui. Rischiamo la vita ogni momento di troppo.» Topolino si guardò brevemente attorno, un’espressione delusa sul suo volto. «Torniamo alla Torre. Aspettiamo che Sora faccia rapporto.»
«I telefoni funzionano. Posso avvert…» Riku si ficcò una mano in tasca e prese il suo telefono, ma qualcosa sbalzò lui da un lato e il Re dall’altro.
Gli Heartless erano tornati, e non erano soli. Una figura nera, troppo grande per essere uno Shadow, troppo esile per essere uno Shadow Gigas, troppo umana per essere uno di quei mostri, si avvicinò a loro camminando sul mare oscuro. Topolino era stato sbalzato in aria, il suo Keyblade era volato lontano… Riku strinse nella mano il suo, pronto a vendere cara la pelle…
… fino a quando l’aiuto non sarebbe arrivato.
Aveva ancora il cellulare nella mano sinistra, il contatto di Sora ancora aperto.
Mosse il pollice a pigiare tre lettere. Il suo amico avrebbe capito.
Doveva solo sperare che arrivasse in tempo.
Ma il tempo, nel Reame Oscuro, aveva un modo abbastanza particolare di passare.
 


Le campane dell’orologio della città suonarono le dieci di sera.
Le strade iniziavano a farsi vuote, salvo qualche paesano brillo ancora intento a godersi la festa, e il buio era illuminato da qualche rara lanterna cittadina.
Sora andava avanti e indietro con le mani nelle tasche, buttando uno sguardo sia alle strade che al mare, ma ancora nessuno sembrava raggiungerli.
«Si saranno persi?» mormorò sovrappensiero, incrociando le braccia dietro la testa.
Non credo. Eugene dovrebbe conoscere questa città.” Roxas lo corresse quasi subito. “Forse avranno voluto rimanere da soli. Da qualche parte.
No, non credo, sapeva che ce ne saremmo andati. E non credo Rapunzel sia tipa da non salutare.” Ventus lo contraddisse.
«Rapunzel aveva detto che mi avrebbe insegnato i nomi delle costellazioni alla fine delle luci.» Shiro sbuffò. «Non può essersene dimenticata così.»
Pippo, appoggiato a una pila di casse, pronunciò ad alta voce la frase che sicuramente tutti pensavano e nessuno avrebbe voluto ammettere.
«Potrebbero esser stati aggrediti da qualcuno, yuk.»
Vicino a lui, Paperino ebbe una delle sue reazioni violente, arruffò le piume e saltellò per terra.
«Uack! E lo dici solo adesso, testa vuota?»
«Sì, ma chi potrebbe aver interesse a farle del male?» Shiro chiese, poi il suo sguardo si fece vitreo per un momento e la sua voce si fece leggermente più profonda.
«Ragionate. E se fosse Rapunzel la principessa perduta?» Senza dubbio, era Ephemer a parlare per lei. «I compleanni coincidono, e l’età anche. E ieri notte Shiro ha incontrato la sedicente madre… è peggio di Xemnas. E ho visto un ritratto nella piazza… le probabilità sono altissime… e forse potrebbe persino rendersene conto!»
Shiro scosse la testa e il suo sguardo ritornò a fuoco.
«Pezzo di strudel!» sbottò. Sembrava livida di rabbia.
«Va bene, la andiamo a cercare.» Sora le fece gesto di seguirla. Dopotutto, era andato tutto bene fino ad allora… cosa altro sarebbe potuto accadere?
Ebbe la sua risposta quando lui e Shiro, con Paperino e Pippo al seguito, presero a correre sul ponte dopo aver perlustrato la città. Una barca stava galleggiando verso la direzione opposta, ed Eugene era legato al timone, privo di sensi. Alla sponda opposta, due brutti ceffi erano svenuti per terra, e una lanterna verde illuminava Rapunzel e una donna incappucciata.
«È quella strega di ieri notte!» Shiro esclamò, accelerando il passo e superando Sora. «Rapunzel! RAPUNZEL! Non andare, è una trapp…»
Si fermò di colpo. Nebbia oscura aveva preso a salire dalle pietre del ponte, e un incappucciato con i capelli rosa e una falce le si parò davanti con aria di sfida.
Shiro evocò immediatamente il Keyblade.
«Vattene, Merluzzia
Sora la raggiunse e portò lui stesso Stella Azzurra alla mano. Ricordava che Shiro avesse menzionato un Marluxia tempo prima… ma non era morto?
«Shiro, torna in città e trova Maximus. Mi occupo io di questo trapassato.» Fece un passo in avanti e si portò tra lei e il Nessuno.
 
L’hai sentito, no? Gira i tacchi!” Ephemer le rincarò subito la dose. A malincuore, Shiro si girò e prese a correre nella direzione opposta, senza dismettere l’arma.
Ma non erano i soli sul ponte. C’era un’ombra, una figura umana verso la città. Probabilmente una guardia… oh beh, Eugene non sembrava avere buoni rapporti con loro, ma se Rapunzel era davvero la principessa…
«Aiuto! Qualcuno ci aiuti! Stanno rapendo una ragazza!»
L’uomo davanti a lei, con i capelli scuri pettinati all’indietro e vestito in nero e marrone, la fissò con aria interrogativa. Shiro si fermò, e il Trovavia le cadde nuovamente di tasca, prendendo a penderle dai vestiti.
«La prego…»
Lo sguardo dell’uomo cadde sul portafortuna. Emise un gemito di sorpresa, come se avesse visto qualcosa di familiare.
«… Aqua…?» mormorò.
Shiro spalancò gli occhi alla voce, se aveva fatto il nome di sua madre poteva essere soltanto una persona: possibile che la stesse davvero cercando?
«Non Aqua, sono io... Shiro...»
«Shiro…?» L’uomo la fissò, l’ombra di un sorriso sul suo volto. Sembrava quasi che soffrisse, ma si stava sforzando di sorridere. «Come… come ti sei fatta grande…»
La bambina sentì le guance inumidirsi, cercò di guardarlo meglio… ma non era più il Papà del quadro… era come Stitch lo aveva descritto. Dismise il Keyblade e gli corse incontro portando le mani sul petto dell'adulto.
«Ti ho trovato... ti ho trovato! Adesso Sora e Zio Ven non diranno più che sono solo una combinaguai!»
Shiro, aspetta… la strega non aveva detto di averlo visto?” Ephemer le cercò di far notare. Shiro decise di ignorarlo… era Papà… ne era sicura… stavolta doveva essere lui.
«Papà, la mia amica è in pericolo.» Shiro rivolse di nuovo lo sguardo verso il mare. Indicò il punto in cui Rapunzel era sparita, e Marluxia bloccava ancora la fine del ponte.
Papà si irrigidì. Mentre si portava una mano alla fronte, fece appena in tempo a sibilare un: «Scappa…» e nel buio della notte Shiro avrebbe giurato di vedere i suoi capelli schiarirsi.
Keyblade, Shiro. KEYBLADE!” Ephemer la esortò immediatamente.
Shiro alzò il braccio, ma non invocò nulla. Non voleva fargli del male… era Papà e non era lui, adesso era di nuovo l’uomo del ritratto, e probabilmente era tutta una trappola, ma…
Qualcosa le passò davanti e sentì rimbombare il suono di metallo su metallo.
«Toh, ciao Terra
Era Sora che stava parlando, e Stella Azzurra il Keyblade nelle sue mani, ma la voce era quella di Ventus.
«Stavo giusto parlando di te.»
Aveva parato tenendo Stella Azzurra al contrario, con una sicurezza che lasciava pensare che conoscesse i movimenti dell’uomo che aveva davanti.
«Paperino e Pippo stanno tenendo Marluxia occupato.» Fu Sora a parlare mentre continuava a tenere Papà occupato. «Trova Maximus. Salvate Eugene. Resta al sicuro.»
«Sora… il ponte… il mare…» Shiro protestò – lo sapeva almeno, lui, che lei non sapeva nuotare?
«Vai! Ora!» Con la mano sinistra, Sora prese qualcosa dai pantaloni e lo lanciò verso la balaustra del ponte. Cicciomiao emerse dal Legacuori e si fermò davanti a Shiro, facendole gesto di salirgli in groppa. Sul ponte, Sora – o Ventus? – stava ancora combattendo contro Papà, cercando di impedirgli di avanzare.
Shiro lanciò loro un’occhiata, poi salì in groppa al Dream Eater.
Cicciomiao si lanciò dal ponte verso il mare, prendendo a nuotare verso i moli. Shiro gli abbracciò il collo, cercando di tenersi forte, e si diede un’ultima occhiata alle spalle.
Sei spade di luce traslucida si erano materializzate dietro la schiena di Sora, e il ragazzo aveva preso a emettere un’aura argentea. Sembrava un attacco molto potente… ma cosa gli sarebbe potuto succedere?
 


Kairi mostrò a Ienzo l’applicazione fotografica che lei e Sora usavano per comunicare. Dopo una foto di un cielo notturno pieno di lanterne, e un autoscatto di Shiro a fare boccacce all’obiettivo assieme alla ragazza con i capelli più lunghi che Kairi avesse mai visto, non c’erano altre notizie da loro due o da Paperino e Pippo.
«Vuol dire che avranno qualche gatta da pelare giù a Corona.» Ienzo si portò una mano al mento. «Piove sul bagnato, suppongo.»
«Fammi indovinare, c’è qualcos’altro che necessita dell’immediata attenzione di Sora.» Lea fece una smorfia, lanciando un’occhiata al computer dove finalmente c’erano delle foto di Roxas nella cartella, e dei dati sulla sua descrizione fisica. «Heh, potessimo riavere già Roxas adesso.»
«Inizia ad essere un po’ meno cretino e a prestare orecchio.» Ienzo gli diede una librata su un orecchio con il vecchio diario di Shiro. «Credimi, preferirei avere Roxas che te, in questo momento, ma al momento i Custodi del Keyblade siete voi due.»
Ridusse a icona la cartella nella quale Otto e Nove stavano facendo un backup dei dati di Roxas dalla Crepuscopoli virtuale, e ne aprì un’altra che Kairi riconobbe come una mappa dei mondi.
«Con Sora che si è mosso, ho potuto amplificare i dati del radar.» Ienzo prese a spiegare. «Vedete quei punti luminosi? Beh, Kairi, considerando che uno è Radiant Garden penso che tu possa arrivare a cosa siano. Gli altri sono Crepuscopoli, il Regno di Corona, dov’è Sora adesso, e altri tre di cui non abbiamo affatto informazioni. Questo in particolare ha attirato la mia attenzione.» Indicò un mondo dove il segnale luminoso sembrava essere più intenso.
«C’è qualcosa di molto strano a prescindere.» Kairi rispose immediatamente. «Credevo fossimo in sette.»
«Non è detto che la settima luce sia visibile. Sora ha detto che Luna, la ragazza che ha conosciuto, viene da un mondo che non ritrovo su queste mappe, quindi può essere che ancora non sia compreso nel raggio del segnale.» Ienzo la contraddisse. «Ma il segnale che viene da qui è fortissimo, e non posso capire per quale ragione a meno che qualcuno non vada immediatamente a controllare. Le macchine possono fare ben poco, a volte, rispetto a un paio di occhi.»
«Magnifico. Se andiamo avanti di questo passo, col cavolo che Sora raggiungerà Riku e il Re a cercare i Guardiani Perduti.» Lea si fissò gli stivali. «No, dico. Anche soltanto con Aqua di nuovo nei ranghi saremmo due volte più rapidi a trovare damigelle in difficoltà. E invece adesso bisogna intervenire in fretta e chi accidenti è rimasto?»
Dalla sua sedia scattò in piedi, e sembrava quasi sul punto di concludere con qualche espressione colorita riguardo al fatto che non c’erano più Custodi operativi per indagare, ma Kairi decise di interromperlo.
«Noi.» Fece un sorriso e alzò le spalle. «Ienzo ha ragione, Lea. Restiamo io e te.»
Lea rimase quasi congelato sul posto alla risposta di Kairi.
«Cosa?» Scosse la testa, incredulo. «Vuoi forse rischiare la pelle prima del necessario?»
Kairi lo fissò. «Io so difendermi. La ragazza che potremmo trovare là probabilmente non ne è capace. Come la mettiamo?»
Lea rimase in silenzio a guardarla, quasi non sapendo cosa rispondere. Kairi decise di rincarare la dose.
«E se Xehanort vuole davvero i suoi sette contro tredici, allora non può permettersi di farci davvero del male fino a quando non saremo nelle sue terre maledette.»
Lea sembrò cedere in quel momento.
«Va bene. Ma vai dai Moguri in questo esatto momento e fai scorta di Granpozioni o di qualsiasi cosa più forte che abbiano.»
«Sarà fatto, ammiraglio!» Kairi finse un saluto, poi partì di corsa per i corridoi. Si stava facendo freddo in città, e il castello di Radiant Garden non era eccezione, specie considerando che per quanto erano poche le persone a occuparlo, ancora non erano stati accesi tutti i camini.
Una porta sbatté, e alcuni fogli volarono da una delle stanze. Kairi si affrettò a raccoglierli – Ienzo non sarebbe stato contento se si fossero perse delle carte – e fece per rimetterle sulla scrivania da dove erano cadute. La placca sul tavolo recitava “E. Hightower, bibliotecaria”, e accanto ad essa c’erano due fotografie in cornice. In una, un giovane uomo biondo e una ragazza dai capelli rossi posavano sorridenti, in abiti da festa. L’altra ritraeva due bambini… no, il più alto era un adolescente… in piedi in un giardino innevato, ai due lati di un pupazzo di neve che arrivava al gomito del più alto. Entrambi avevano ciuffi di capelli rossi che spuntavano da sotto i berretti di lana, e il volto arrossato, e sorridevano all’obiettivo… o così sembrava, perché la bocca e il naso del piccolino erano coperti dalla sciarpa. Kairi riconobbe l’altalena dei vicini dei Fair dietro i due.
Aspetta un momento, il grande non era mica Lea?
 


«Sora. Sora. SORA!»
Qualcosa di caldo e umido gli si strofinò sulla faccia. Caldo, umido, e rasposo. Sora aprì gli occhi e si trovò le due zampe anteriori di Cicciomiao piantate sulle spalle, e Shiro che era in piedi davanti a lui e gli teneva le caviglie sollevate.
«Ti è andata bene che sia stato il ciccio miao a svegliarti. Il prossimo sarebbe stato Maximus.»
Era la voce di Eugene! Cosa era successo?
Cicciomiao svanì in uno sbuffo di fumo, e Sora cercò di tirarsi su a sedere. Gli faceva ancora male dappertutto, Paperino era alla sua sinistra, e Pippo alla sua destra, ed Eugene e Maximus erano dietro di lui, pronti a un eventuale intervento.
«Bevilo tutto.» Paperino gli mise immediatamente un Elisir nelle mani. «Dobbiamo muoverci!»
Sora stappò la bottiglia, ma prima di bere si guardò lentamente attorno.
«Cosa…?» chiese. Shiro gli lasciò andare i piedi.
«Devi ringraziare la ragazzina se stiamo tutti bene. Pare che tu l’abbia difesa da un impostore che si spacciava per suo padre… ma a quanto pare, lei e Maximus hanno anche radunato i furfanti dell’Anatroccolo e sono venuti di gran carriera a tirarmi fuori dal gabbio.» Eugene si strinse nelle spalle. «Te la senti di alzarti? Abbiamo una principessa da salvare.»
Sora inghiottì l’Elisir in un colpo solo e attese che l’intruglio curativo lo rendesse abbastanza forte da alzarsi.
«Dobbiamo muoverci.» Eugene non era mai stato così serio nei due giorni in cui Sora lo aveva conosciuto. Balzò in groppa a Maximus e fece gesto a Sora perché gli salisse dietro.
«Non siamo un po’ troppi?» il ragazzo gli chiese.
«Siamo un po’ troppi.» Shiro si tirò di tasca il Legacuori ed evocò nuovamente Cicciomiao. «Paperino, Pippo, voi andate con Eugene e Maximus, ci pensiamo io e Cicciomiao a Sora.»
La strada che aveva preso loro un giorno a piedi fu molto più rapida con due cavalcature. Maximus sembrava quasi stanco con tre cavalieri, e nonostante Cicciomiao non sembrasse veloce non aveva problemi a balzellargli dietro.
Nella radura dei Budini c’erano degli Heartless e dei Nessuno, e Sora e Shiro lasciarono che Eugene andasse avanti, offrendosi come diversione.
«Non sarà pericoloso?» Shiro osservò ad un tratto, mentre i due ragazzi falciavano i nemici attorno a loro.
«Eugene sa badare a sé stesso.» Sora le fece presente. «Io ho anche te da tenere d’occhio.»
In quel momento, Sora avrebbe gradito parecchio che Ventus e Roxas avessero potuto combattere al suo fianco per falciare le fila nemiche. Aveva un brutto presentimento riguardo a chi o cosa avrebbero potuto trovare ai piedi della Torre, e poteva capire il suggerimento di Ventus di mandare Eugene avanti.
Xehanort e Marluxia non lo avrebbero considerato come una minaccia, o un obiettivo. Lui e Shiro, invece sì.
Arrivarono alla caverna nascosta dai rampicanti, Paperino e Pippo dietro Sora e Shiro a coprire loro le spalle, passarono di corsa attraverso il tunnel, fino alla radura con la torre… soltanto in quel momento Sora riconosceva che una torre in quel posto, dove non c’era niente a cui fare la guardia e la cui cima non superava i costoni rocciosi attorno, non era altro che una specie di prigione nascosta…
… e Xehanort, lo Xehanort che aveva preso il possesso di Terra, era in piedi davanti a una porta che doveva essere stata murata fino al giorno prima.
Non possiamo batterlo, Sora.” Ventus disse immediatamente in tono sconfitto, ancora prima che Sora evocasse il Keyblade.
«Cosa?» Sora gli bisbigliò.
Dovrei essere me stesso per resistergli. Non voglio farti di nuovo del male.”
«E cosa possiamo fare allora?»
Non potevano restare fermi, questo era sicuro. Eugene non era visibile da nessuna parte, e i capelli dorati di Rapunzel pendevano dalla finestra. Dovevano capire cosa era successo, e Terra-Xehanort era di mezzo, e stava alzando una mano verso di loro.
«Shiro…» Stava dicendo. «Ti porto a casa, andiamo.»
No, Terra, ti porteremo noi a casa.” Ventus ringhiò nella testa di Sora. Poi, senza alcun preavviso, fece schiarire a Sora la gola e gli fece fare due passi in avanti.
«I patti erano chiari…» Quello che Ventus stava facendo dire a Sora era quasi una minaccia, ma allora perché stava cantando? «L’intero zoo per te, e tu dovevi dare un gatto nero a me!»
Cosa? Una canzoncina? Xehanort però barcollò sul posto, prendendo a tenersi la tempia con una mano. Ventus fece avanzare Sora, senza smettere di cantare, e Shiro gli prese la mano, continuando anche lei a cantare.
Dalla finestra, i capelli di Rapunzel presero a divenire scuri… alcune ciocche caddero. Cosa stava succedendo lassù? Ma Ventus non smetteva di farlo cantare… Xehanort era come paralizzato sul posto… un manto nero cadde dalla finestra, sembrava ci fosse una persona che cadeva dentro di esso… ma quando cadde al suolo, solo il mantello raggiunse il terreno.
Il tonfo del tessuto fu come un segnale per Xehanort, che evocò un Corridoio Oscuro e fuggì via. Sora e Shiro corsero verso il punto dove l’oggetto era caduto.
«Il mantello della strega!» Shiro disse non appena furono vicini. C’era anche il suo vestito… e polvere, tanta polvere.
Oh…” Ventus commentò nella sua testa, e dallo stomaco di Sora salì la nausea. Non voleva immaginare cosa fosse quella polvere, o la ragione di quell’odore orrendo.
«I capelli di Rapunzel guariscono…» Shiro iniziò a dire, ma a giudicare dal suo tono di voce era Ephemer a parlare. «Quanto doveva essere vecchia quella strega?»
«Andiamo!» Paperino indicò loro la porta. Qualsiasi cosa dovesse essere successa, probabilmente non era finita.
Presero la porticina e salirono di corsa per le scale. In cima c’era uno stanzone in penombra, il pavimento disseminato di capelli e frammenti di specchio. Rapunzel, con i capelli tagliati all’altezza del collo, era china su Eugene, che non sembrava più muoversi, e piangeva. Un pezzo di vetro era ancora nella mano del giovane, e la sua giacca era sporca di sangue.
Il telefono prese a vibrare nella tasca di Sora, ma lui lo ignorò. Non poteva essere… cosa era successo lassù? Sora sentì i suoi occhi riempirsi di lacrime, ma Shiro lo strinse forte e prese a piangergli addosso. Paperino e Pippo si strinsero attorno a loro… Sora sentiva la rabbia salire dentro di lui… perché lo avevano lasciato andare? Adesso era troppo tardi, avevano perso un amico… soltanto il pomeriggio prima Eugene aveva raccontato a Sora dei suoi sogni e delle sue speranze e non poteva essere andato via così, non poteva…
Una delle lacrime di Rapunzel cadde sul viso di Eugene…
… e accadde qualcosa.
La torre in penombra si riempì di luce, luce che veniva da loro, e Sora e Shiro alzarono la testa, e quando il bagliore scemò, Eugene Fitzherbert aveva aperto gli occhi.
Aiutarono i due ad alzarsi. Tutti e due tremavano visibilmente, ma stavano sorridendo. Eugene aveva pure iniziato a scherzare sul fatto che preferisse Rapunzel da bruna, e Rapunzel ammise di aver scoperto di essere la principessa perduta di Corona.
«Ce l’avete fatta!» Shiro esultò. «Adesso andrete a casa!»
«Verrai con me al castello?» chiese a Eugene, e per un momento si fece seria. Il giovane rimase zitto per un momento, poi abbozzò un sogghigno.
«Beh, sono già morto una volta. Cos’altro avrei da temere?»
Rapunzel si fermò e raccolse qualcosa dal pavimento – una corona dall’aria preziosa.
«Credo che non avranno niente da ridire se avrò questa con me.» Gli sorrise.
Mentre scendevano dalle scale e uscivano ancora una volta all’aria, Shiro abbassò lo sguardo, e con la coda dell’occhio Sora la vide mettersi una mano nella tasca e stringere il Trovavia.
«Hai visto? Alla fine hai la tua famiglia… hai realizzato il tuo sogno e…» Sembrava si stesse sforzando di essere felice per la sua amica, ma Sora ricordava che nella locanda del Bell’Anatroccolo, Shiro aveva urlato a gran voce che il suo sogno era riavere una famiglia. «Forse anche io posso sperarci un pochino…»
«Intanto ti riportiamo da Aerith.» Paperino le puntò contro un dito, inarcando un sopracciglio. «E magari durante il viaggio possiamo chiamare Riku e chiedergli a che punto sono.»
«Shiro, dai, vieni qui.» Rapunzel le fece gesto di avvicinarsi. Quando la ragazzina fu davanti a lei, la principessa la strinse forte in un abbraccio.
Shiro era paonazza, ma non resistette all’abbraccio. Rapunzel la lasciò andare, fece un passo indietro, e le fece alzare il mento con una mano.
«Va’ a cercare la tua mamma adesso. E poi torna a trovarmi, eh? Ci rivedremo al castello, e voglio conoscere la tua famiglia quando la troverai.»
Il discorso sembrava essere tutto quello, ma Rapunzel aveva ancora gli occhi lucidi. Si asciugò con una mano, facendosi seria, poi sorrise nuovamente a Shiro.
«Sono contenta che tu sia mia amica.»
«Beh, allora direi che questo sia un arrivederci.» Sora si pescò il telefono dalla tasca dei pantaloni. «Vogliamo farci una foto ricordo prima di riparti…?»
C’era ancora una notifica sul telefono. Sora aprì immediatamente il messaggio quando vide che il mittente era Riku, e il suo stomaco si mutò istantaneamente in piombo congelato quando vide che il solo testo del messaggio erano le lettere “SOS”.
«Che succede?» Paperino fu il primo a notare il suo repentino cambio d’umore.
«Riku è nei guai,» fu tutto quello che Sora riuscì a dire. «Dobbiamo andare. Ora
 


Shiro non riusciva a stare ferma. Avevano lasciato Corona da un po’, Sora stringeva i comandi della navetta talmente forte che aveva le nocche pallide… e aveva paura che se davvero l’avessero lasciata a Radiant Garden, sarebbe stato troppo tardi per salvare Riku, il Re…
… e Mamma.
«Ienzo ha detto che secondo gli studi di Ansem il Saggio, la nostra spiaggia è un punto di accesso.» Sora stava dicendo, guardando lo spazio dritto davanti a sé. «Quando saremo lì, Shiro, non mi dovrai seguire. Non mi va di salvare tua madre e subito dopo rispondere a lei se ti dovessi fare male.»
Rimase di nuovo in silenzio, poi fece per prendere di nuovo il cellulare e guardare lo schermo, ma poi lo ficcò di nuovo in tasca.
«Hai parlato con Kairi?» Pippo gli chiese.
«L’hanno mandata in missione.» Sora rispose di nuovo, in tono piatto. Sembrava stesse lottando per non mettersi a urlare… e Shiro poteva capirlo, ma non sapeva come sentirsi in quel momento… erano a pochi passi da sua madre, ma qualcosa doveva essere successo… perché Riku aveva chiesto aiuto?
Deve avere a che fare con quello che è successo nell’incubo.” Ephemer ipotizzò. “Qualsiasi cosa Xehanort abbia fatto a tua madre per impedirle di andargli dietro… adesso potrebbe aver aggredito Riku.”
Il resto del viaggio passò in silenzio.
Sora sembrava più ansioso che mai di arrivare a destinazione, e anche Paperino e Pippo si erano accorti di quanto serio fosse stavolta.
Atterrarono su un isolotto sabbioso e Sora aprì il portello e scese subito, guardandosi attorno.
Fu allora che Shiro si accorse che non erano soli.
Un ragazzo con una maglietta bianca, un paio di jeans e un berretto con una A dalla forma strana sul davanti stava ispezionando la parete rocciosa, e una ragazza bionda con un giaccone beige, uno scialle bianco e celeste, e i capelli raccolti in una treccia sulla sinistra del suo volto, fissava qualcosa che sembrava essere stato portato lì dalle onde.
«Immaginavo che ti avrei ritrovato qui, Sora.» La giovane donna gli disse.
«Luna? Che ci fate tu e Noctis qui?» Sora corse verso di loro.
«È questo posto. Sembra essere legato alla marea oscura che ci ha attaccato a Crepuscopoli.» Si chinò. L’oggetto che stava esaminando – era un Keyblade! E anche un Keyblade abbastanza speciale, se Shiro doveva stare all’imprecazione che Ephemer si era appena lasciato scappare. «Ne abbiamo seguito le tracce fino a qui. Questo è arrivato a riva mentre controllavamo le scogliere. Ha l’aria di essere una reliquia… ne sento il potere. È qualcosa che non mi posso permettere di toccare. Sora, avevi detto di essere un Maestro…?»
«In effetti, è un Keyblade.» Sora raccolse la chiave dalla spiaggia.
«Non è solo un Keyblade. È il Tutore del Maestro!» Paperino precisò. «Il Keyblade del Maestro custode del Castello di Partenza!»
«E tu che ne sai di queste cose?» Sora si voltò verso di lui. Paperino si tirò di tasca il proprio cellulare.
«C’è scritto negli archivi del Grillo. Il Re deve averglielo riferito.» Spiegò. «E secondo queste note, l’ultimo Maestro che ne è stato in possesso era Aqua!»
Mamma! Ma allora, lei dov’era?
«Non abbiamo visto nessuno, a parte voi.» Noctis, il ragazzo, scosse la testa.
Sora era sempre più pensieroso, poi guardò Shiro, Noctis e Luna.
«Giorni fa, io e il mio amico Riku venimmo intrappolati in un Reame Oscuro. Riuscimmo a creare un portale grazie a una lettera affidata alle onde…» Soppesò il Keyblade. «Se Paperino e Ventus hanno ragione, e Aqua ha affidato questo al mare, forse ne potremo creare un altro.»
Puntò il Keyblade alla parete rocciosa, nel punto dove si apriva una piccola grotta. Un raggio luminoso partì dalla punta di Tutore del Maestro, e la grotta si trasformò in un portale plumbeo con gli infissi e le maniglie dorate. Sora, Paperino, Pippo e Shiro corsero su per le scogliere fino ad esso.
«Wow, è letteralmente un portale. Pensavo fosse qualcosa tipo i tuoi cerchi di scintille, Luna.» Noctis commentò, poi affiancò Sora. «Avete bisogno di una mano da quella parte?»
Sora dismise il Keyblade e scosse la testa. «No. Restate qui. Anche voi, Paperino e Pippo.» Fece due passi in avanti, poi sembrò ricordare qualcosa e si girò verso Shiro. «E soprattutto tu, Shiro. Il Reame Oscuro non è sicuro per voi.»
«Scordatelo! Vengo anche io!» Paperino ribatté alzando i pugni piumati.
«C’è la mia mamma da quella parte!» Shiro riuscì a dire prima che Ephemer la fermasse.
«Riflettete. Riku ha appena chiesto aiuto. Qualcuno deve rimanere qui… se dovesse succederci qualcosa, toccherebbe a voi andare avanti.» Sora si fece serio, quasi triste. «Se non dovessi tornare, prendetevi cura di Shiro.»
«Sora, smettila!»
«Non vogliamo lasciarti in pericolo da solo, yuk.»
Dietro di loro, Noctis e Luna avevano impugnato le loro armi, una spada e un’asta con tre punte, ma non sembravano voler intervenire. Dovevano aver capito…
“… che questa battaglia è di Sora e Ventus.” Ephemer commentò. “Un po’ mi dispiace, devo dire. Il mio vecchio amico si fa valere e io non posso stare a guardare.”
«Ragazzi, non sono mica solo!» Sora fece un sorriso fino alle orecchie. «Ricordate chi c’è con me? Ce la caveremo!»
Percorse gli ultimi passi che lo separavano dal portale, e mise la mano sulla maniglia.
 
Stava precipitando. Attorno a lui era tutto buio.
Atterrò di piedi nell’acqua bassa e piegò le ginocchia, sollevando spruzzi attorno a sé.
Riconosceva il posto… era quella spiaggia.
Riku era appena dietro di lui, e davanti c’era quella che sembrava una colonna fatta interamente di Shadow. Luna e Noctis avevano ragione, erano vicini al mostro di Crepuscopoli. O a qualcosa di simile.
«Cosa è successo?» Sora chiese a Riku.
«Non lo so…» Il suo amico scosse la testa. «Gli Shadow… hanno preso il Re… e Aqua sembra impazzita. Ci ha aggrediti… ha preso la spada del Re… dicendo che siamo arrivati tardi.»
Questo è quel che ha accennato Shiro.” Ventus stava cercando di mantenere la calma, ma Sora percepiva il tremito nelle sue parole.
«Va bene. Dove sono Aqua e il Re adesso?» Sora non perse tempo a chiedergli, e Riku indicò la torre demoniaca. «Al mio tre, colpiamo insieme
Riku fece un passo in avanti e lo affiancò, e nonostante apparisse stremato, sul suo volto si fece strada un sorriso.
«Perché, ora sai contare
«Uno…» Sora decise di ignorarlo. «Due… TRE!»
I loro Keyblade si unirono, diventando la lama eterea che più volte avevano usato per farsi strada nell’incubo.
Un solo fendente della lama doppia portò la torre a smembrarsi… e due figure ne vennero sbalzate fuori.
Riku corse immediatamente in soccorso del Re, ma Aqua sfrecciò verso di loro, il Keyblade in posizione di attacco.
Cosa le hanno fatto?” Ventus commentò, mentre Sora si metteva in mezzo e parava il colpo. I suoi capelli stavano sbiadendo verso il bianco, e quando Sora la guardò negli occhi, riconobbe lo stesso giallo dell’Organizzazione.
L’oscurità stessa sembrava coprirla, come una coltre.
Non posso muoverti, Sora. Devi farlo con le tue forze.” Ventus annunciò immediatamente. “Ma forse…
Lei balzò all’indietro. Sora si girò verso Riku e gli disse di occuparsi di Topolino.
«Shiro è dall’altra parte del portale. Ci sono Paperino e Pippo con lei, assieme a due nuovi amici.» Sora si rimise in guardia. Gli sembrò che Aqua avesse avuto un sussulto nel sentir nominare la figlia, ma… no, forse era solo una sua impressione.
Aqua attaccò di nuovo.
«Ti sta aspettando!» Sora parò il colpo, ma fu Ventus a parlare per lui. Evidentemente temeva ancora di sovraccaricare il corpo di Sora, ma niente gli impediva di usare la voce. «Sogna di rivederti ogni notte. Come pensi che reagirà a vederti ridotta così?»
Colpo. Parata.
Attento a quella piroetta, spostati!”
Ventus sembrava conoscere gli attacchi della sua vecchia compagna d’armi, ma era anche lui sorpreso dai movimenti. Sora lo sentì imprecare quando Aqua prese a sparire in mezzo alle tenebre, per poi comparire più in là, per poi riapparire in tre
Questi non sono i suoi attacchi… questo non mi sembra nemmeno umano… Sora CHE ACCIDENTI FAI!
Il suo ultimo commento era riferito ad un Comando di Tiro che con parecchi degli ultimi nemici si era rivelato quasi letale. Sora non avrebbe voluto fare del male a una persona amica, ma la raffica di Blizzaga che aveva parato cinque minuti prima non lasciava molto spazio a indovinare le intenzioni della donna che aveva davanti.
«Aqua, non è così che deve andare!» Ventus gridò, e Sora sentì la gola che gli iniziava a bruciare. «Mi sbagliavo… non sarei dovuto scappare… avevi ragione su di me!»
Lei sembrò esitare, e Ventus lasciò che Sora riprendesse fiato prima di gridare ancora.
«VOGLIO ANDARE A CASA!»
In alto, attraverso il portale, un bagliore li illuminò per un momento. Sia Sora che Aqua si fermarono… lei alzò lo sguardo, quasi fosse confusa sul da farsi…
«MAMMA!»
… la voce di Shiro echeggiò sopra di loro.
«Shiro, non avvicinarti!» La voce di Noctis era udibile a malapena. La bambina continuò a chiamare.
Aqua non si muoveva… continuava a guardare in alto… poi si portò una mano al capo, mentre l’oscurità che la copriva prendeva ad esalare come vapore. Barcollò sul posto, la mano a premerle la fronte, come Terra… come Xehanort davanti alla torre.
È la nostra occasione! Sora, il Potere del Risveglio! Adesso!” Ventus non gli lasciò il tempo di pensare, facendogli alzare le braccia che reggevano il Keyblade mentre gli parlava.
Sora socchiuse gli occhi e si concentrò sulla magia che aveva appreso nel Reame dei Sogni. Anche senza vedere chiaramente Aqua, vedeva il suo cuore, la sua luce, sul punto di venire soffocata da propaggini di tenebre. Concentrò la sua volontà nell’incantesimo… sentiva dietro di sé la presenza di Ventus, quasi come se l’altro ragazzo gli stesse tenendo la mano sulla spalla…
… e poi lasciò andare.
 
«Va bene, ragazzi. State indietro. Lasciatela respirare, non possiamo sapere cosa ha passato lì dentro.»
La prima voce che Aqua sentì non le era affatto familiare. Chi c’era lì? Era la voce di una ragazza. Eppure ricordava ci fossero stati due uomini l’ultima volta che…
«Quanto a voi laggiù, volete restare sdraiato? Grazie. Paperino, Pippo, non fatelo muovere. Non mi stupirei se nel Reame Oscuro ci fosse stato un mastino gigante che lo abbia sballottato qua e là come un giochino a fischietto.»
Paperino… Pippo…? Cosa era successo?
Aqua cercò di aprire gli occhi, ma la luce era troppo forte. Le era quasi sembrato di vedere Ven e Terra davanti a lei… di sentire le loro voci…
«Va tutto bene. Sei al sicuro. Queste sono le…» La ragazza di prima riprese a parlare.
«Isole del Destino, Luna. Si chiamano così.» Fu un altro ragazzo a rispondere. Per un momento, Aqua si irrigidì. Quella voce. Era familiare… la voce di Vanitas? No, no, nonostante avesse sentito una leggera raucedine, Vanitas non aveva mai avuto quel tono dolce, era sempre stato molto più rauco.
Ma certo… le Isole del Destino… e se fosse stato…?
«Sora?» Aqua si sforzò di nuovo di aprire gli occhi, e si alzò lentamente a sedere. Sora era lì, davanti a lei, la faccia e i vestiti sporchi ma sorrideva. E vicino a lui, con l’aria stanca e le braccia segnate da graffi… quei capelli argentati… non poteva che essere «Riku…?»
I due la guardarono, e accanto a Riku, una bambina che sembrava forse avere undici anni gli si nascose dietro. L’uomo incappucciato nel Reame Oscuro aveva ragione… ricordava Sora e Riku come due bambini di età prescolare, invece adesso Riku dimostrava l’età che aveva avuto Ventus quando tutto era crollato, e Sora sembrava appena più giovane, anche se, come Ventus, aveva anche l’aggravante di essere basso per la sua età.
«Riconosci questi due ragazzi?» La ragazza alla sua destra, Luna, bionda con una treccia, e con una giacca forse un po’ troppo pesante per la temperatura insulare, le chiese con aria sollevata.
Aqua annuì, guardandosi nuovamente in giro. Paperino e Pippo erano alla sua sinistra, e cercavano di tenere Topolino quanto più possibile fermo. Accanto a Luna c’era un ragazzo con un cappello sui capelli neri, ma Aqua non ricordava di averlo mai conosciuto.
«Ven… avrei giurato che fosse qui… ma forse mi sbagliavo.»
Rivolse il suo sguardo alla bambina accanto a Riku, che aveva preso a stringergli il braccio, mentre il labbro le tremava leggermente.
«Non essere timida. Su, vai.» Riku le mise una mano sulla spalla.
«Cosa ti aveva detto Rapunzel, cucciola?» Sora la incoraggiò, ma la sua voce suonava quasi…
Cucciola. Non era come Ventus chiamava…
Shiro!
«Ma… Mamma?» Shiro fece un passo in avanti, poi due.
Aqua alzò le braccia, muovendo una mano nel gesto che aveva compiuto innumerevoli volte quando la sua piccolina aveva imparato a camminare. Quel ricordo le era sembrato terribilmente lontano in mezzo alle tenebre… e adesso lo stava facendo di nuovo
Shiro fece qualche passo, poi scoppiò in singhiozzi e si lanciò addosso a lei.
«Sono qui… siamo a casa, principessa…» Aqua sussurrò, chiudendo le braccia attorno alla bambina e baciandole il capo. «Shhh, è finita. Ti ho ritrovata.»
Davanti a lei, Riku diede di gomito a Sora, abbozzando un sorriso. Il ragazzo più basso, però, sembrava quasi paralizzato sul posto, capace solo di restare a guardare, le braccia diritte lungo i fianchi, gli occhi lucidi. Aveva in volto una smorfia che lasciava presagire un dolore che voleva tenersi dentro.
«Hey, cos’è quel muso? Andiamo, hai fatto un ottimo lavoro!» Riku gli mise una mano sulla spalla. «Sora… dai… non fare così.»
C’era decisamente qualcosa che non andava. Anche Shiro sembrava essersene accorta, perché si lasciò scivolare giù sulla sabbia accanto ad Aqua e commentò con un’occhiata critica che le ricordò immediatamente di quella di Terra: «C’entra Zio Ven, mi ci gioco il Keyblade.»
Prima che Aqua potesse chiederle del Keyblade (Lei? Di già? E chi glielo aveva passato?), Shiro sobbalzò dove era seduta, mentre un lampo le partiva dalla mano destra.
In mezzo alle dita le si materializzò una lama sottile e filiforme, avvolta da due spirali, una bianca e una nera, con la base che ricordava delle ali stilizzate, tenute ancorate al corpo principale dallo stesso Simbolo della Maestria che i Custodi del Keyblade avevano portato per anni, fino alla distruzione del castello.
«Wow… ti è cambiato. Come è successo a me.» Riku si chinò e si avvicinò a lei.
«E che succede adesso, Maestro?» Shiro gli chiese, perplessa. Riku trasalì e cadde di sedere sulla sabbia. Shiro dismise il Keyblade e soffocò una risatina.
«Sei o non sei un Maestro, eh Riku?»
Si sentì un trillo venire dalle tasche di Sora, e il ragazzo fece due passi più in là, estraendo un telefono dai pantaloni. L’espressione pensierosa non aveva ancora lasciato il suo volto.
«Sora, che succede?» Paperino fu il primo a raggiungerlo, evidentemente doveva averlo tenuto d’occhio da un po’.
«Ancora guai.» Il ragazzo alzò il telefono, mostrando un messaggio di testo. «Ienzo ha lanciato una scansione nel quadrante dove Lea e Kairi sono stati mandati a esplorare. Non ci sono altre luci… ma ha registrato una fonte di oscurità. Una molto potente… qualcosa che Ienzo sostiene che i sistemi operativi di Radiant Garden avevano già registrato in città, undici anni fa.»
Aqua sentì il panico salire dentro di lei. Non poteva essere una coincidenza. E proprio quando non era in condizione di combattere… non aveva più un Keyblade, era stanca, aveva una bambina da difendere…
«Vanitas.» Asserì, un tremito di tensione nella voce.
Sia Sora che Riku apparvero turbati.
«Ah, lui.» Sora fece una smorfia. Tese il braccio, e Tutore del Maestro gli comparve nel pugno. Lo lasciò sulla sabbia, davanti ai piedi di Aqua. «Credo che questo sia tuo. Noctis, Luna, ho bisogno del vostro aiuto. Potete portare Aqua e gli altri al sicuro? Radiant Garden sarebbe il massimo, ma anche Crepuscopoli va bene, il padrone del ristorante è lo zio di Paperino.»
«Sappiamo dov’è Radiant Garden, ci siamo stati.» Noctis raggiunse Sora.
Il ragazzo castano abbozzò un sorriso sollevato, poi scosse la testa e guardò le persone sulla spiaggia.
«Vado io a stanare Vanitas. Voi tre pensate a riprendervi.» Nella sua aria determinata, ad Aqua sembrò quasi di rivedere Ventus. «Paperino, Pippo, andiamo?»



 

NdA: Luna in questa "linea temporale" oltre ad essere un'apprendista delle Arti Mistiche è anche... "apprendista medico". Ovvio che si comporti come dovrebbe fare un dottore e dica ai feriti più gravi di stare fermi!
Ed ebbene sì, la trama sta cambiando... non vi diciamo quanto rimarrà lo stesso e quanto finirà per cambiare, ma state pur certi che quello che era cominciato con Shiro accadrà anche agli altri Guardiani della Luce... perché Sora dovrebbe tenersi tutte le avventure per sé?

 

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Capitolo 5
*** Ghiaccio e Fuoco ***


Che dire? Questo capitolo è abbastanza atipico, ma è stato una figata e uno strazio scriverlo tutto per bene... e direi che lo possiamo usare per festeggiare Melody of Memory, dato che ci sono un po' di citazioni anche al MUSICAL di Frozen, di cui sono riuscita a vedere un po' di pezzetti sul tubo.
E sì, canonicamente Kristoff ha un cognome.

Guardians – Capitolo 5
Ghiaccio e Fuoco
 
«Non mi fermerà nessuno!»
Una ragazza con i capelli rossi raccolti in cima alla testa e un vestito verde stava correndo per strada, nella direzione opposta rispetto alla maggior parte della gente in città.
Kairi non poté evitare di stringersi nelle spalle e guardare dall’altra parte quando andò a cozzare con un uomo e un carro carico di ghiaccio nello stesso momento, finendo lunga distesa sul giovane e sul ghiaccio.
«Le ultime parole famose.» Lea alzò gli occhi al cielo, ma aveva in volto un sorrisetto divertito. Kairi si chiese come accidenti facesse a mantenere la cappa nera con un caldo del genere, in quel mondo doveva essere piena estate rispetto al Novembre di Radiant Garden.
«Chiedo scusa, piccioncini?» Un altro ragazzo, probabilmente il padrone del carro, si avvicinò ai due con un’occhiataccia in volto. La ragazza e l’altro giovane, visibilmente imbarazzati, si scusarono e specificarono di essersi appena incontrati.
«A voi piacciono le bevande fresche?» Il padrone del carro sembrava abbastanza innervosito, ma stava cercando di mantenersi civile. «Beh, per tenerle fresche serve ghiaccio. Ghiaccio pulito. Potreste evitare di sporcarmelo?»
«Io farei di peggio se mi sporcassero gli ingredienti del gelato.» Lea commentò, ridendo di nuovo.
«Tu pensi solo a mangiare?» Kairi gli allungò una gomitata.
«Rilassati! Non vedi tutta questa gente? Credo che a giudicare dai vestiti, dalle campane e dal ghiaccio, qui stanno preparando una festa.» Lea indicò il borgo attorno a loro con una mano. C’erano dovunque delle bandiere verde e violetto, con l’effigie di una giovane donna dipinta in dorato.
I due falsi piccioncini sembravano essersi dileguati, e il padrone del carro si passò una mano nei capelli biondi. Non sembrava essere molto abituato alla folla, a giudicare dalla sua espressione turbata.
«Sven, non so se sia stata una buona idea fare questo lavoretto alla capitale.» Si chinò verso la renna che doveva essere l’animale che trainava il carro. Poi si rispose da solo, quasi fosse la renna stessa a parlare. «Sì, ma Sua Maestà pagherà bene.»
Lea gli lanciò un’occhiata strana, ma si avvicinò al giovane e fece per chiedergli qualcosa. Kairi lo seguì, sperando con tutto il cuore che non fosse se il ragazzo vendesse gelati.
«Che succede qui?» Lea chiese al ragazzo.
«La regina Elsa è arrivata alla maggiore età.» Il giovane si strinse nelle spalle. «La città è tirata a lucido, la gente è tirata a lucido, e io e il qui presente Sven stiamo cercando di fare un po’ di soldi alla festa dell’incoronazione. Se soltanto la gente non giocasse attorno al mio ghiaccio… comunque, io sono Kristoff Bjorgman. Voi?»
«Io sono Kairi e quel beota è Lea.» Kairi fu più rapida a presentarsi.
«Lo hai memorizzato?» Lea aggiunse immediatamente.
«Cosa, il tuo nome o che tua sorella ti ha dato del beota?» Kristoff soffocò una risata. «Perché, parola mia, devi esserlo se porti una palandrana del genere in piena estate.»
Scosse la testa, legò la renna al carro e iniziò a procedere verso un palazzo che dominava il borgo. A un certo punto iniziò a dividere una carota con la renna stessa.
«Credo sia lui lo svitato.» Lea inclinò la testa di lato, guardandolo andar via. «Perché non gli hai detto che non siamo parenti?»
«Lasciamoglielo credere, daremo meno nell’occhio.» Kairi si strinse nelle spalle. Per quanto poco quel Kristoff avesse saputo dire loro, aveva parlato di una regina Elsa, e sapendo chi comandava in quel posto, perlomeno sapevano a chi chiedere una mano a perlustrare la zona. Se aveva parlato di maggiore età, probabilmente si trattava di una ragazza abbastanza giovane, e Kairi sperava di poter riuscire a legare con lei.
Quel mondo, si disse mentre attraversavano il paese e raggiungevano la cappella del castello, sembrava quasi un quadro, e non era molto diverso dalle fotografie che Sora e Shiro avevano mandato da Corona. Pensando a cosa potesse essere successo a Sora, Kairi si prese il cellulare da una delle tasche e controllò la bacheca di Kingstagram di Sora. Non c’erano nuove fotografie, ma in quella di Shiro… era di nuovo a Radiant Garden! E Riku era con lei
«Cosa sbirci, Kairi?» Lea si chinò su di lei. «Riku è tornato? Che dire, li abbiamo mancati di un soffio! Forse potremmo ancora tornare indietro, sai?»
«Come, non vuoi vedere se al ricevimento serviranno il gelato?» Kairi lo prese per una manica. Aveva bisogno di restare da sola con lui per un po’, specie dopo la fotografia che aveva trovato sulla scrivania della bibliotecaria.
I Fair le avevano giurato di averla conosciuta da bambina, che il loro Zack era andato a scuola con suo fratello, e adesso era comparsa quella foto in cui Lea era in quel giardino con un bambino piccolo che avrebbe potuto essere una bambina piccola, e quando Kairi era stata trovata alle Isole del Destino aveva addosso delle mutandine da maschio che avevano tutta l’aria di essere di seconda mano!
Ma allora perché Lea si comportava come se niente fosse, nonostante tutti gli indizi sembravano sostenere altrimenti?
Perché non gli hai detto che non siamo parenti?
Kristoff aveva ragione… Lea era un beota.
Riuscirono ad entrare nel palazzo confondendosi con la folla e i nobili in visita. La regina Elsa, come ipotizzato da Kairi, era poco più che una ragazza, ma la sua aria solenne le faceva portare male quelli che dovevano essere venti o ventuno anni. Portava i capelli biondo chiarissimo strettamente raccolti, si stringeva su sé stessa quasi volesse sparire, e ogni centimetro della sua pelle tranne il volto era coperto da vestiti. Persino le sue mani erano guantate.
Nel salone riapparve la ragazza del carro di ghiaccio, quella che Kairi e Lea avevano sorpreso a urlare per strada. Sembrava anche troppo felice ed eccitata di essere lì. Solo in quel momento, Kairi notò che in mezzo ai suoi capelli rossi c’era una stria bianca.
«… e la principessa di Arendelle, Anna!» Il maggiordomo annunciò… per poi prendere la ragazza del carro per le spalle, e spingerla fino a lasciarla sullo stesso gradino della regina Elsa, a due passi da lei.
«La sorella di Sua Maestà?» Lea sgranò gli occhi. «Seriamente quelle due sono parenti? Non ci avrei scommesso un munny! No dico le hai viste?»
«Sì, le ho viste, e hanno gli stessi occhi e lo stesso naso.» Kairi obiettò. «Allora, dobbiamo cercare la nostra ragazza. E non possiamo usare il radar.»
«Come no?» A Lea cascò quasi la mascella. «Non parlarmi dell’ordine dei mondi, perché sei stata tu la prima a tirar fuori il cellulare…»
«Lea, cosa credi accadrebbe se tu usassi il radar in questo momento?» Kairi gli bisbigliò.
«Beh, finirebbe per trovare la Principessa più vicin… ah.» Lea fece per rispondere, ma sembrò capire perché non sarebbe stata una buona idea. «Sai, sono ancora del parere che dovremmo tornare indietro e mandare qui Riku.»
«Senti, siamo in questa stanza, potremmo parlare con la regina.» Kairi si mise le mani sui fianchi. «Conosco le altre Principesse che hanno passato il testimone. Pur non avendo sempre il titolo, erano ragazze che emergevano in un qualche modo. Belle era additata come strana nel suo villaggio. Alice per i suoi familiari era un po’ svitata. Jasmine si sentiva costretta dalle leggi del suo paese. E quanto a me, ero la bambina che venne dal nulla a scuola. Stiamo parlando di una ragazza che non passa inosservata! Sicuramente la regina… la persona che governa il paese, potrebbe averne sentito parlare!»
«Va bene, parliamo con la regina.» Lea si strinse nelle spalle e fece un sorrisetto sornione… poi indicò la fila di persone che si era formata soltanto per avere l’occasione di salutare la sovrana. «Ci mettiamo in coda?»
L’attesa fu molto più lunga del previsto. Mentre erano in fila, Kairi vide la principessa Anna ballare con un duca stempiato, bassino e con i tacchi alti, poi venire presa da parte dallo stesso ragazzo a cui era finita addosso prima di cadere sul carro di Kristoff.
Li vide lasciare la sala, poi cercò di concentrarsi su quello che avrebbero dovuto dire alla regina. Quattro persone… tre… due… una… fu finalmente il loro turno.
«Vostra Maestà, i miei omaggi.» Fu Lea a parlare per primo, accompagnando un inchino alle sue parole. «Veniamo da molto lontano perché abbiamo sentito storie su una ragazza speciale che potrebbe essere da qualche parte in questo regno. Siete chi comanda qui… dovrete sicuramente sapere qualcosa. O conoscere qualcuno che possa aiutarci.»
La regina si ritrasse, come se qualcosa che Lea aveva detto l’avesse offesa.
«Chi siete?» Se le occhiate avessero potuto congelare, Kairi non aveva dubbio, Lea si sarebbe fatto molto male.
«Lea, mi spieghi che accidenti combini?» Kairi prese il Custode più anziano per un orecchio e tirò forte, come faceva di solito con Riku. «Domando umilmente scusa, Vostra Maestà, mio fratello è una testa calda… per essere gentili
Stava per riformulare la domanda quando la principessa Anna rientrò nel salone, mano nella mano con il giovanotto di prima.
«Elsa! Regina!» Anna si fece strada tra gli ospiti, fino a raggiungerli. «Posso presentarvi il Principe Hans delle Isole del Sud?»
«Maestà.» Il suddetto principe Hans le fece un inchino. «Noi vorremmo… vorremmo la vostra benedizione… per il nostro matrimonio.»
Elsa sgranò gli occhi e scosse la testa, visibilmente sorpresa e confusa. «Che? MATRIMONIO
«Sìììììì!» Anna abbracciò il principe.
«Perdonatemi, sono confusa.»
«Ecco, se c’è qualcuna che escludo come una delle Sette, è quella Principessa Anna.» Lea commentò a Kairi sottovoce mentre Anna parlottava di cerimonie, banchetto, gelato, fratelli e traslochi. «Non è una principessa, è un’ochetta!»
«Qui non viene a stare nessuno!» Elsa obiettò, zittendo sia Anna che Hans. «E non ci sarà alcun matrimonio. Non puoi sposare un uomo che conosci appena!»
«Puoi, se è vero amore!»
«Vero amore? Stamattina eravate estranei!» Lea si intromise con aria seccata.
Sembrava tuttavia qualcosa di cui Elsa fosse a conoscenza, perché alzò gli occhi al cielo e rimproverò la sorella.
«Anna, che cosa sai tu del vero amore?»
«Beh, molto più di te. Tu sai solo chiudere le porte in faccia!» La minore era livida di rabbia…
… ma Elsa, se possibile, parve persino più adirata da quell’offesa, stringendo i denti e allontanandosi dalla sorella.
«Oh, no.» Lea, che era rimasto a guardare tutto il discorso con aria indifferente, a quel punto trasalì come se lo avessero punto. «Kairi, guarda la sua mimica delle braccia.»
«Quale mimica delle braccia?» La ragazza gli bisbigliò. «Non ne ha! Le tiene sempre contro al suo corpo…»
Mentre Elsa continuava a camminare, Lea continuò a sussurrare a Kairi.
«Esatto.» Lea prese Kairi da parte, senza smettere di fissare Elsa. «Come se avesse paura di bruciare quello che tocca. E quei guanti? Non era estate
Proprio mentre parlava, Anna corse verso Elsa e riuscì a strappargliene uno via dalla mano. Elsa trattenne un grido e tese finalmente una mano verso la sorella – nel tentativo di riprenderlo.
«Ma che cosa ti ho mai fatto?» Anna chiese di nuovo, mentre Elsa camminava verso la porta.
«Basta, Anna!» Elsa aveva la testa bassa, i denti stretti, le braccia sempre più premute contro il corpo. Quello era il volto della paura.
Lea scattò in avanti, forse per cercare di separare le due ragazze e portarle alla calma, mentre Anna continuava a urlare addosso alla maggiore, accusandola di respingere lei e chiunque altro.
Aveva appena raggiunto Anna, prendendola per un braccio nel tentativo di spingerla indietro, quando Elsa, dando loro le spalle, alzò la mano nuda sopra la spalla e fece un gesto esasperato contro la sorella.
«HO DETTO BASTA!» Si girò verso di loro.
Stalagmiti di ghiaccio grigiastro si alzarono dal pavimento, formando un cerchio attorno a lei. Se prima sembrava turbata, adesso la regina era terrorizzata.
«Oh, cacchio.» Lea sgranò gli occhi, fissando il ghiaccio sul pavimento. «Va tutto bene.» Fece due passi in avanti, poi evocò il Keyblade e sciolse le punte più vicine a lui con una fiammata. «Kairi…!»
Non ebbe bisogno di dirle altro perché Kairi si parasse davanti ad Anna ed estraesse il Keyblade a sua volta – la Principessa del Cuore, dovunque fosse, avrebbe aspettato. Una situazione del genere poteva essere un pericolo a prescindere da chi ne fosse coinvolto.
«Stregoneria!» sbottò l’ometto con gli occhiali che aveva estorto un ballo ad Anna poco prima. «Sapevo che c’era sotto qualcosa di losco, qui…»
Nessuno sembrava avere una chiara idea di quello che stesse accadendo… a parte, forse Lea.
«State calmi! Qui nessuno si farà del male!» Abbassò il Keyblade in quella che doveva essere una posizione di offerta di pace. Come avrebbero fatto a spiegare l’esistenza della magia senza compromettere troppo l’ordine dei mondi? Non sapevano nemmeno se in quel posto, la magia fosse vista o meno di buon occhio… ma a giudicare dall’espressione della gente, non doveva essere quello il caso.
La prima a guardarlo con il terrore negli occhi era proprio Elsa. Si stringeva la mano nuda contro il petto, premendo la destra ancora guantata contro la porta… fino a trovare la maniglia, aprire e fuggire via.
«Fermi. Tutti fermi. Vado io.» Lea alzò una mano e fece per prendere la porta. Kairi fece per girarsi verso i presenti, ma qualcuno la spinse di lato, buttandola al pavimento e facendole perdere il Keyblade, e quando si rimise in piedi vide che, di tutte le persone, Anna aveva superato Lea ed era partita all’inseguimento della regina.
«Sorelle minori!» Lea sbuffò, ma attese che Kairi si rimettesse in piedi prima di inseguire la regina e la principessa. «Stai bene, Kairi?»
«Non è niente. Mi ha solo colta di sorpresa.» La ragazza gli sorrise, mentre correvano per i corridoi in cerca dell’uscita. «Come hai capito che…?»
«Se devo essere onesto, non mi aspettavo il ghiaccio.» Lea le rispose, in tono imbarazzato. «Ma adesso capisco perché era così tesa quando le abbiamo fatto quelle domande. Pensava stessimo cercando lei

 
 
Quando Shiro era arrivata nel bel mezzo dello studio di Ansem con il portale di Luna, assieme a Mamma, Riku e il Re – nonché Noctis e Luna stessi – Ienzo aveva fatto cadere al pavimento una pila di libri per la sorpresa, ma non aveva perso molto tempo a chiamare Aerith e le fate perché si prendessero cura dei feriti.
Luna aveva insistito per restare, ma Aerith le aveva assicurato che avevano la situazione sotto controllo, e in quel momento Flora, Fauna e Serenella erano intente a pulire e chiudere con la magia i tagli che Riku aveva subito durante la sua permanenza nel Reame Oscuro.
«Sgrunt, quello Xehanort.» Serenella brontolò quando ebbero finito. «Quanto vorrei trasformarlo in un vecchio rospo grasso!»
«Suvvia, non è una cosa carina da dire.» Fauna la redarguì mettendo via le bende che non avevano utilizzato.
«Per me se lo merita.» Riku si stiracchiò e scosse la testa. Sembrava quasi stanco, ma lottava per restare vigile. «Shiro, tu come stai? Perché eri con Sora?»
«Ehm…» la bambina strofinò un piede sul pavimento. Non riusciva a pensare a una scusa plausibile, e rimase in silenzio sperando che Riku non volesse approfondire l’argomento.
«Si era nascosta nella navetta l’ultima volta che è ripartito.» Flora vuotò il sacco.
Riku celò una risata con una mano. «Beh, ho sentito gente fare peggio.»
«Già, e poi è andato tutto bene.» Shiro confermò.
Il giovane Maestro si fece di nuovo serio. «Shiro… volevo parlare con tua madre se è possibile. Non l’ho mai ringraziata per avermi salvato la vita.»
«Oh…» La bambina annuì. «Tranquillo, ci penso io!»
Shiro uscì dalla stanza di Riku, percorse il corridoio, ritrovò la camera di Mamma, infilò la porta e la richiuse velocemente verso di sé, sperava che la madre riposasse ancora per poter passare senza dare troppo nell'occhio del tempo assieme, ma non fu troppo delusa quando la vide sveglia.
«Mamma, il Maestro Riku voleva parlarti…»
«Shh, siediti qui, solo un momento…» Mamma, seduta su un letto, le fece gesto di avvicinarsi. Era stata la prima assieme a Topolino ad essere stata curata da Aerith, e non sembrava fosse stata ferita, anche se era ancora visibilmente stanca.
La bambina non esitò ad obbedire, e rimase qualche secondo in silenzio accennando un leggero sorriso quando sua madre le portò una mano sulla testa.
«Secondo Aerith dovrei proprio farlo.»
Shiro sentì che la mamma le disfaceva la frangia che era solita tirare indietro e capì quasi subito che aveva intenzione di fare. Forse. Sentì un peso appoggiarsi, poi sentì che i capelli le si erano fatti più leggeri.
«Ho incontrato papà… il… mio vero papà.» confessò la piccola quando percepì la madre fermarsi per un istante: «Torneremo a casa con lui e zio Ven vero?»
Mamma le si sedette davanti e alzandole appena il viso le sorrise quasi per rassicurarla.
«Torneremo a casa, te lo prometto.» rispose la donna prima di passare sulla frangetta disfatta la spazzola abbassandogliela da un lato. «Andremo a svegliare lo zio e tutti insieme porteremo a casa papà, sarebbe fiero di vedere quanto è diventata grande la sua gattina.»
Sfiorandole il naso le scappò una risatina, e Shiro si strinse forte alla donna prima di chiudere gli occhi per qualche secondo.
«Mi sento a casa… se ci sei tu.»
 


Quella notte, la neve riluceva candida sulla montagna, cadendo talmente in fretta che Lea e Kairi facevano fatica a seguire le impronte di Elsa – venivano cancellate quasi immediatamente dalla neve fresca.
Essere stati i più veloci a seguirla fino a quel momento sarebbe valso a ben poco se l’avessero persa nella bufera. Sembrava che fosse lei stessa a cercare di andare nel posto più remoto e più impervio possibile…
… e considerando la neve e il ghiaccio, Lea poteva immaginare perché.
Il vento e la neve parvero calmarsi leggermente, tanto che per un momento fu possibile vedere un’altra volta il cielo.
Poi un grido echeggiò nella notte.
«BASTA ADESSO!»
Era la voce di Elsa.
«Dici che si è accorta di noi?» Kairi bisbigliò a Lea. Lui scosse la testa.
Elsa gridò di nuovo.
«Basta adesso!» Lea la sentì riprendere fiato, poi vide la neve vorticare in lontananza attorno alla sua sagoma. «Non mi importa quello che diranno… che la tempesta infuri sulla montagna, tanto il freddo non mi ha mai dato fastidio…»
Il giovane abbozzò un sorriso.
«Non ce l’ha con noi. Credo stia semplicemente urlando al vento.»
Per certi versi, Lea sentiva di poterla capire. Aveva sentito Anna parlare di porte chiuse, aveva visto la mimica di Elsa che tradiva la paura di ferire le persone che aveva attorno – dieci anni a sentire il nulla gli avevano insegnato a simulare con il corpo quello che avrebbe dovuto provare per non dare nell’occhio più di quanto non faceva – e a giudicare dalle espressioni sorprese di chiunque avesse visto il ghiaccio, nessuno doveva esserne a conoscenza.
Per quanto tempo Elsa si era nascosta al mondo – persino alla sua stessa sorella?
Ha, ha, Lea vecchio mio, senti chi parla. Si ricordava ancora della predica di Shiro, alcuni giorni prima. Era un’ironia crudele che adesso Kairi stesse fingendo che fossero fratelli quando in realtà lo erano.
«Che facciamo adesso?» Kairi gli chiese, prendendolo per una manica. Lea evocò istintivamente un cerchio di fiamme attorno a loro due – per lui quella tempesta non era un problema, ma Kairi non aveva maniche e sotto la gonna i suoi leggings erano troppo corti per quelle temperature.
«Aspettiamo che smetta di sfogarsi, e proviamo a vedere se le va di parlare.» Lea si strinse nelle spalle. «Ti chiederei se vuoi fare un pupazzo di neve, ma credo che Sua Maestà ci abbia già pensato.» Indicò una figura rotondetta in lontananza.
Kairi sorrise, e scoppiò a ridere quando Elsa buttò via il suo mantello al vento e quello volò via… portandosi il pupazzo di neve con sé. Lea dovette trattenere il nodo alla gola. Ricordava ancora quello più alto di lei nell’ultimo inverno che avevano passato assieme, e di come Kairi era scoppiata in lacrime quando si era sciolto all’arrivo della primavera.
Sembrava che “sfogarsi” per Elsa volesse dire fare le cose in grande. Era passata da una scalinata per attraversare un crepaccio a pareti, pavimento, un intero palazzo di ghiaccio che svettava sulla cima della montagna come una guglia.
Lea sperò non volesse restare là per sempre – non era male come rifugio in mezzo al nulla, ma sarebbe tornata a casa presto non appena si sarebbe accorta che non aveva da mangiare lì. Lui ne sapeva parecchio, a dodici anni aveva provato a scappare di casa, e un paio di ore dopo si era rifugiato a casa di Isa, e Ilyas e Suzan avevano chiamato le guardie cittadine e i suoi genitori.
«Credo abbia finito.» Kairi indicò il castello, che non sembrava più voler crescere. Lea dismise il cerchio di fuoco perché potessero muoversi, e corsero entrambi verso la scalinata.
«Smamma, idiota.» Una voce tristemente familiare fece fermare Lea sul posto. La neve davanti a loro si tinse di nero, e… di tutte le seccatrici… Larxene emerse dal Corridoio Oscuro. «Non mi risulta che alla regina serva un giullare
«Non eri un po’ troppo acida per il ripescaggio, tu?» Lea evocò immediatamente il Keyblade, pronto a toglierla di mezzo. La presenza di un’Oscurità nei paraggi lasciava poco spazio a dubbi… era Elsa stessa la ragazza che cercavano?
«Vecchia conoscenza?» Anche Kairi si mise in guardia, arma in resta, ma rimase più indietro rispetto a lui.
«Già. Credevo che Sora le avesse dato una lezione, un anno fa.» Lea le spiegò. «Poco male. Ci tenevo a farlo io stesso!»
«Ho detto smamma!» Larxene alzò le mani, e due lampi saettarono verso di loro, assieme ad una folata di vento gelido. Lea sarebbe finito immediatamente gambe all’aria se non fosse stato per la barriera evocata da Kairi.
«Hey, hai iniziato a cavartela con la magia?» Il giovane rivolse un sorriso alla ragazza.
«Dopo Xigbar, ho iniziato ad apprezzare una buona difesa.» Kairi si strinse nelle spalle.
«Oh, ma che bravi, come vi comportate da fratellini voi.» Larxene li schernì. «Bella recita, ma credete davvero di insegnare qualcosa alla regina e alla principessa? Siete solo due ipocriti che fingono di conoscersi!»
Lea strinse l’impugnatura della sua arma fino a sentire dolore. Non poteva ribattere… ma non poteva nemmeno lasciarla parlare. Non era vero!
Con la mano libera, evocò una palla di fuoco davanti a sé, ma Kairi lo prese per una manica.
«Elsa è lì dentro. E forse è ancora spaventata!» Lo redarguì. «Vuoi farla scappare ancora?»
«Molto bene. Ora smammate voi. La bambolina qui fa tanta luce che non riesco a capire se la regina lo è.» Larxene sogghignò.
Kairi strinse forte il suo Keyblade, livida di rabbia e di freddo. Si stava visibilmente trattenendo dall’intervenire… e probabilmente lo avrebbe anche fatto, ma Larxene evocò un’altra ventata elettrica. Lea cercò di resistere, ma senza contrattaccare non sarebbero riusciti a contrastarla a lungo… e non potevano contrattaccare, non con Elsa e il suo castello lì dietro…
… e la tempesta li scaraventò all’indietro.
 


Riku soffocò uno sbadiglio. Riusciva a capire come si era sentito Sora negli scorsi giorni, relegato alle retrovie mentre qualcun altro si occupava della missione più urgente.
Adesso Sora si stava occupando di un’emergenza, Kairi si era impossessata delle retrovie… e lui era letteralmente in panchina. Se c’era una definizione di ironia, quella ci si avvicinava parecchio.
La cosa più avventurosa che aveva fatto nelle ore prima era stata avventurarsi con Shiro e Aqua a cercare un Keyblade perduto nei sotterranei del castello. Keyblade che poi si era scoperto appartenere ad Aqua.
Per poi aiutare Shiro, Otto, e Nove, a risolvere un mistero che riguardava il diario di Shiro. Il paradosso era che lui ricordava di aver avuto a che fare con qualcuno… ma non ne ricordava più né il volto, né il nome. Ienzo aveva rapidamente concluso che quella storia riguardasse anche lui, ma Riku ricordava soltanto di aver cercato notizie su Roxas mandando Pluto all’interno del castello.
Shiro ricordava Pluto, ma non chi lo aveva portato dentro.
Le loro indagini erano state portate ad un’interruzione quella mattina: per Shiro, a scuola era il giorno della foto di classe, ed era più che decisa a non perderlo. Per non restare tappato nel castello come era stato ordinato a Topolino dalle fate, Riku adesso era su una panchina del borgo assieme ad Aqua, in attesa che la campana della scuola decretasse l’apertura dei cancelli.
«Ehi, Aqua…» Sapeva che si sarebbe pentito di una frase del genere, ma era l’unica adulta che lui conoscesse di cui sentiva di potersi fidare a fare quella domanda. «Ma… com’è che ci si innamora? Come ci si sente?»
«Come ci si sente? Beh…» Aqua portò una mano al mento e rimase per un momento in silenzio. «Per questa persona… scaleresti la montagna più ripida. A mani nude, anche allo stremo delle forze. Il cuore batte all’impazzata e vorresti che gli attimi con lei non finissero mai.» Le sue dita si strinsero attorno a un portafortuna che teneva appeso ai vestiti, uguale a quello di Shiro ma blu, poi guardò di nuovo Riku.
«Io e Terra siamo sempre stati come fratelli… e giuro che che non avrei immaginato mai di poterlo considerare il mio compagno se non come avversario ed amico…»
Riku guardò la Maestra sorridere, e si rese conto di ritrovarsi in quelle parole. Fino a un paio di mesi prima non avrebbe mai pensato a Sora e Kairi come… aaah, che razza di storia. Si nascose la faccia tra le mani, consapevole del fatto che le orecchie gli si stessero facendo calde.
«Ci s'innamora all'improvviso e arriva tutto spesso nel modo in cui non te lo aspetti. Nel nostro caso è stata proprio l'attesa di Shiro a renderlo più forte.» Aqua stava dicendo, ma Riku non le prestò molta attenzione. Se quello che provava era reale… era ancora più importante che lo dicesse, ma non voleva dirlo soltanto per la minaccia di Xehanort… quelle cose prendevano tempo, e lui non…
«Dimmi... Qualcuno ha fatto breccia nel tuo cuore? Puoi dirmelo...so tenere un segreto.» Aqua gli mise una mano sulla spalla, e Riku si sforzò di non sobbalzare.
Si fissò gli stivali, poi alzò lo sguardo verso i cancelli della scuola. Non c’erano molti ragazzi – la città era ancora in ripresa – e Shiro era una dei primi ad uscire di corsa, ma una ragazza dell’età di Sora e Kairi – Yuna, se Riku ricordava bene – aveva un pallone nelle mani e chiese a Shiro se volesse fare qualche tiro al canestro.
«Sì.» Riku ammise. «E… ho paura»
«Credi di non piacerle?»
«Non è una ragazza!» Se avesse potuto, Riku sarebbe sprofondato… si sentiva sempre più idiota per quanto poco e male si stesse spiegando… ma non riusciva a spiegarsi come avrebbe voluto. Sembrava quasi fosse tutto troppo. «Non solo lei, almeno. Ora mi prenderai per scemo… ma me la sono presa brutta, e per entrambi i miei migliori amici. E… la cosa è che si piacciono. Tra loro. O almeno credo, da come ne parlano. E non so se quello che provo io è vero, oppure no.»
Aqua portò una mano sulla testa del ragazzo.
«È normale, Riku. Anzi, è normalissimo. Se si piacciono tra loro… quello che puoi fare è proteggerli. Voler bene, o amare una persona… o due, in questo caso… è essere pronti a rischiare tutto per loro. Hai soltanto sedici anni… è anche normale non sapere come ci si sente. D’altra parte, non sei il primo sedicenne che finisco per ascoltare, e non credo che sarai l’ultimo.»
«Io ci provo.» Riku si forzò a sorridere. «Ma mi sento quasi inutile a restare qui. Sora è ripartito, e senza di lui non possiamo recuperare Ventus. Kairi adesso è con Lea a cercare le altre Principesse. E io… beh.» Scrollò le spalle e si lasciò scappare una risatina. «Non serve che ti dica che sono in panchina.»
«Non sei e non devi sentirti inutile, d’altra parte, a Shiro piaci un sacco, non smetteva di parlarmi del suo Maestro Riku.»
«Davvero? Credevo potesse avercela con me.» Riku era sorpreso di quel dettaglio… era o non era stato lui a portare Roxas da DiZ?
«Le si arrossano le guance quando parla di te, quasi avesse una cotta. E succedeva anche con un altro nome…» Aqua rimase un momento a riflettere. «Roxas. Sì, anzi mi stavo chiedendo chi fosse.»
«Oh, cavoli.» Riku sobbalzò. Adesso doveva spiegare ad Aqua chi era quel ragazzo? E se Shiro avesse davvero una cotta per lui? «Non… non spaventarti, quando lo vedrai.»
«Quindi lo conosci anche tu. Sono più tranquilla, alla fine sei come un fratello maggiore per lei o meglio, sono sicura che Terra te l'affiderebbe, geloso com'è.»
«No, Aqua, dico sul serio…» Riku non sapeva come spiegare alla Maestra che non era quello il punto della situazione. «Ahem… Ho visto Ventus. Nel mondo dei sogni. E Roxas… beh, dire che gli somiglia è poco.» 
 


Non avevano passato neanche ventiquattro ore ad Arendelle, e Kairi si stupiva sempre di più di tutto quello che era accaduto in quel mondo. I poteri di Elsa, il palazzo di ghiaccio… e adesso lei e Lea, in un tentativo di risalire, si erano imbattuti in Kristoff Bjorgman in persona, che stava scortando la principessa Anna sulla montagna assieme alla sua renna.
E un pupazzo di neve che si muoveva e parlava.
«E chi è quella specie di somaro lì?» Il pupazzo di neve, Olaf, stava chiedendo ad Anna.
«Quello è Sven.»
«E la renna invece?»
Fu Kristoff il primo ad alzare lo sguardo e accorgersi di loro.
«Ehi! Voi eravate in città ieri mattina!» Corse verso di loro. «Che ci fate qui?»
«Ciao, Kristoff.» Kairi gli fece un cenno di saluto.
«Aspetta, che?» Anche Anna li raggiunse. «Tu sei… il tizio misterioso nel palazzo! Quello che controlla il fuoco!» Segnò Lea a dito.
«Sì, il nome è Lea.» Lui alzò gli occhi al cielo, poi si ricordò di puntarsi il dito alla tempia. «Lo hai memorizzato? Io e Kairi qui pensiamo che tua sorella Elsa sia in pericolo.»
«Fino a ieri mattina non sapevate neanche chi era.» Kristoff li guardò storto.
«Sì, ma conosciamo la persona che le sta addosso.» Lea ricambiò l’occhiataccia di Kristoff. «Comunque, credo che la regina sia scossa, e molto. Ma che problemi ha?»
«Chi, Elsa?» Anna scosse la testa. «È una vita che non fa altro che stare da sola. Quando eravamo piccole, io ero la sua ombra e lei era la mia. Mi stava per insegnare a pattinare, in inverno scivolavamo sulle colline innevate, e spesso la sera facevamo quello che lei chiamava il gioco della foresta incantata. Dopo che compii cinque anni, le cose cambiarono. I miei divisero le nostre stanze, e lei non lasciava un momento la sua, a stento usciva per mangiare.»
«Fammi indovinare, magari è stato anche il momento in cui ha iniziato a portare i guanti?» Lea sogghignò. «Non mi stupirei se fosse stato allora che i suoi poteri siano venuti fuori.»
«Perché, tu quanti anni avevi quando ti è successo?» Anna chiese a Lea.
«Kairi aveva cinque anni. Io diciassette.» Si strinse nelle spalle. «Ma erano successe altre cose intanto. Credo siano storie diverse… ma quel che conta è la vostra storia, adesso.»
«La nostra? Non c’è molto da dire.» Anna scosse la testa. «Fino a tre anni fa, c’eravamo solo noi nel castello… alcuni servi… e i nostri genitori. Papà era sempre a sbrigare le faccende di stato… e mamma passava gran parte del suo tempo nella biblioteca. Elsa… ci parlava, con loro. Poi loro sono partiti e non sono più tornati. Un tempo… credevo che Elsa mi volesse bene. E per un momento, ieri, alla festa, ero sul punto di crederci di nuovo.»
«E poi sei cascata con tutte le scarpe per quel pezzo di bronzo.» Lea commentò, guadagnandosi una gomitata nelle reni da Kairi.
«Che c’è?» Protestò il giovane. «Elsa aveva ragione!»
«E tu non hai tatto,» Kairi gli rispose, poi si rivolse ad Anna. «Elsa è sola in cima alla montagna, e ci sono dei malintenzionati in nero che pensano che lei non abbia solo i poteri del ghiaccio, ma anche poteri di luce, come me. Se così fosse, non può rimanere da sola. Dobbiamo assicurarci che sia al sicuro.»
«Scusa, se minacciano anche te, che ci fai in giro per le foreste che bazzicano anche loro?» Kristoff si grattò la testa sotto al cappello.
«Beh, lei ha una spada. E suo fratello.» Lea le strinse le spalle.
«Già, bel fratello, si tiene il cappotto e la lascia al…» Kristoff fece per ribattere, ma Lea tese una mano e accese un fuoco in mezzo a loro. «… Okay. Oggi ho visto tutto.» Il montanaro si lasciò scappare una risata.
«Va bene. Non mi serve sapere molto altro, dobbiamo andare.» Anna indicò la strada per cui Lea e Kairi erano arrivati.
«Seguitemi, conosco la strada!» Olaf, che si era avvicinato pericolosamente al fuoco prima che Anna parlasse, prese a trotterellare verso Nord facendo strada.
Kairi prese Lea con sé e lo mantenne a chiudere la fila. Se possibile, voleva cercare di parlargli ora che non dovevano più correre dietro a una regina che faceva nevicare.
«Senti, Lea, riguardo a tutta la messinscena che stiamo facendo…» Kairi iniziò, ma Lea la interruppe.
«Dovremmo chiamare gli altri a Radiant Garden. Informarli di Larxene,» disse lui.
Kairi sbuffò. Perché Lea non ne voleva parlare? Forse messinscena non era il termine che Kairi avrebbe dovuto usare… e forse era vero che non era realmente il momento giusto, ma era come se Lea non volesse ammettere che erano una famiglia, nonostante tutte le prove fossero contro di lui.
Aveva ancora nella tasca la foto che aveva trovato sulla scrivania della bibliotecaria, i due bambini con il pupazzo di neve. Se i Fair avevano detto il vero, se era davvero Lea l’adolescente nella foto… una volta a Radiant Garden, Kairi lo avrebbe portato davanti a loro per le orecchie, e avrebbe chiesto ai due anziani giardinieri se Lea fosse davvero il ragazzo che andava a scuola con loro figlio Zack...
Un momento. Aerith. Aerith era stata la ragazza di Zack, magari se Shiro era ancora da lei…!
Kairi tirò fuori il telefono e compose il numero di Shiro, sperando che la bambina non fosse a scuola. Shiro rispose immediatamente – ed era nel cortile del castello, con i capelli nettamente più corti e in ordine, e la faccia rossa e sudata.
«RIKU!» Strillò a qualcuno fuori dal campo visivo della chiamata. «Ci sono Kairi e Axel!»
Si udì un rumore di passi dall’altra parte, e Riku invase il campo dell’obiettivo. Anche lui sembrava accaldato, ma meno affaticato della bambina. «Kairi, Lea! Va tutto bene?»
«La ragazza che dovremmo riportare al sicuro ha congelato l’estate qui, ma a parte quello tutto a posto.» Lea borbottò mentre arrancavano nella neve. «E voi? State lavorando?»
«Stai a vedere!» Shiro sfoggiò il sorriso più acceso che Kairi le avesse mai visto in volto. Per un momento sparì dall’immagine, e il giardino divenne una sola macchia sfocata, poi la bambina si fermò e si sedette su una panchina. «Axel, Kairi, questa è la mia mamma!»
Una donna dall’aria giovane, ma con una certa saggezza negli occhi, i capelli blu e abiti scuri comparve sullo schermo. La sua faccia perplessa divenne stupita quando vide il telefono, ma anche Lea sgranò gli occhi.
«Incredibile! Sei tu!» Esclamò la Maestra.
«La conosci?» Si sentì la voce di Topolino, poco lontano.
«Ricordi la prima volta che ci incontrammo? Qui, in questo giardino?» La donna gli rispose. «I Nesciens cercarono di attaccare una bambina. Era lei
 
Lea, Lea, ci sono i cavalieri in città!
Una signora. Con i capelli blu e una spada. Ah e poi c’era un altro. Basso basso con delle orecchie grandi così!
Hanno sconfitto i mostri al castello. Poi è arrivata la nonna e mi ha accompagnata qui a casa.
 
Lea avrebbe voluto piangere. Avrebbe voluto dire tutta la verità e sfogarsi come aveva fatto Elsa in cima alla montagna.
Shiro era di nuovo con la sua famiglia, e lui non era stato lì a vederla.
Lui era con ciò che restava della sua, e ancora non aveva il coraggio di ammetterlo. In una missione idiota che si poteva riassumere con il riunire due sorelle dopo il casino che era successo loro… era un pasticcio. Un tremendo pasticcio.
Si era messo in quella faccenda dei Guardiani di Luce per salvare il suo migliore amico e tenere Shiro fuori dai guai, ma iniziava a chiedersi se ne stesse valendo la pena, a quel punto.
Forse non c’era realmente bisogno di lui, in quella squadra.
Riconobbe di nuovo la zona attorno a loro: le correnti gelate che formavano spuntoni acuminati sulle rocce, puntati verso di loro, quasi come a voler respingere degli aggressori… si stavano avvicinando al castello.
«Credo che sia il caso che chiudiamo,» Kairi stava dicendo. «Ci siamo quasi. Vi richiamo più tardi!»
Chiuse la telefonata. Lea si morse un labbro per non emettere un sospiro di sollievo. Sarebbe stato tremendo quando avrebbe dovuto spiegare a Kairi che tutta quella recita era vera… e non era pronto per l’eventuale arrabbiatura che ne sarebbe uscita.
Che razza di fratello maggiore era? In quel momento, si sentiva molto peggio di Elsa, nonostante la regina fosse scappata e le fosse bastato un semplice attacco di panico per congelare un’intera regione.
«E come pensi di far cambiare questo tempaccio?» Davanti a loro, Kristoff stava chiedendo ad Anna.
«Intendo parlare con mia sorella!» La principessa gli rispose senza nemmeno pensarci prima. Lea avrebbe voluto schiaffeggiarsi la fronte.
«È questo il tuo piano?» Kristoff si scansò all’ultimo momento per non venire infilzato da una stalagmite. «Mi chiedo se tu ci abbia almeno pensato. Chiunque con un briciolo di cervello sarebbe partito con vestiti pesanti, anziché doverli comprare a prezzo maggiorato da quello strozzino giù alla sauna.»
«Beh, chiunque con un briciolo di vita avrebbe un amico che non sia una renna…» Anna avanzò davanti a lui.
«Te l’ho detto, ne ho!»
«Gli esperti in amore?»
«Esatto.» Kristoff guardò la parete rocciosa a strapiombo davanti a loro. «Troppo ripido, ho solo una fune, e tu non sai scalare le montagne. A meno che i fratelli fiamma qui dietro non abbiano qualche asso nella manica…»
«No, ma Elsa ha evocato una scala proprio qui dietro.» Lea gli rispose con nonchalance. «Neanche lei sa scalare le montagne.»
Stavolta furono Lea e Kairi a condurre la fila. Guidarono Anna, Kristoff, Olaf e Sven attraverso un crepaccio nella parete, fino ad arrivare allo spiazzo dove Elsa aveva creato prima la scala, e poi il palazzo di ghiaccio abbarbicato sulla vetta.
Kristoff aveva sul volto un’espressione di assoluto stupore, e sembrava persino sul punto di piangere… e cosa più importante, Larxene non sembrava essere da nessuna parte.
Dopo un po’ di discussione tra Kristoff e Anna, e parecchia insistenza da parte del primo, la principessa entrò da sola. Vicino a Kristoff, Olaf sembrava contare, e Lea e Kairi, superando Sven che scivolava troppo per arrampicarsi, arrivarono al portone e Lea si appoggiò alla ringhiera.
«Scusa, Kairi, ma non credo sia una buona idea accendere un altro fuoco.» Lea si strinse nelle spalle.
«Beh, scusa, perché non le dai la giacca?» Kristoff ribatté, seduto sullo scalino con aria imbronciata.
«Scherzi? Ne entrano due di lei!» Lea avrebbe dato tutto il gelato del mondo per sentire cosa si dicevano lì dentro, ma non era più in grado di aprire Corridoi Oscuri per andare a origliare. E fondere la parete era altrettanto fuori questione, era la cosa meno discreta che avrebbe potuto fare, anche se nei giorni precedenti aveva imparato a rendersi invisibile…
«Cinquantotto, cinquantanove, sessanta, un minuto è passato. Io entro!» Olaf annunciò spingendo il portone.
«Kairi, io vado.» Lea mormorò, poi si rese invisibile e imboccò la porta appena dopo il pupazzo di neve. Se davvero Anna era entrata lì senza un piano preciso, qualcuno doveva osservare la situazione, e intervenire se necessario.
«Sembra quello che abbiamo fatto da piccole!» Anna era seduta ai piedi di una scalinata, e indicava Olaf con una mano. Elsa, con la treccia sciolta su una spalla e un abito nuovo che sembrava interamente fatto di ghiaccio, invece era in cima. «Elsa, eravamo così unite. Possiamo esserlo di nuovo!»
Elsa, pur più sollevata rispetto al momento dell’incidente della sera prima, si rabbuiò visibilmente.
«Anna, cosa pensi ti sia successo ai capelli? La striscia bianca?» Le chiese.
«Mamma diceva che l’ho sempre avuta…» Anna borbottò, visibilmente confusa da una domanda del genere.
«No, sono stata io. Ti ho quasi uccisa, Anna, e non avevi che cinque anni.»
Un lampo passò nella mente di Lea, e per un momento era di nuovo un diciassettenne con la schiena contro al muro, mentre Xehanort teneva Kairi in aria per un polso. Anche Elsa si era sentita così quando Anna era finita in pericolo di vita?
Anna si alzò e strinse i pugni. «Non sono più una bambina, Elsa!»
«Nemmeno io!» Elsa ribatté a sua volta. «E i miei poteri sono molto più forti di quanto lo fossero allora.»
«Io non ho paura… non escludermi di nuovo dalla tua vita!» Anna prese a salire le scale, ma Elsa prese ad allontanarsi da lei, imboccando un’altra rampa che portava ancora più in alto. «Possiamo risolvere tutto ora che so le cose come stanno!»
Le stanze vuote del palazzo trasmettevano l’eco all’interno, e Lea non seguì le ragazze. Vedeva tutto e sentiva tutto, in un edificio del genere.
«Va’ a casa, Anna. La tua vita ti aspetta. Goditi il sole… apri le porte per sempre.»
«Sì, ma Arendelle…»
«Sarai una bravissima regina.»
«Elsa, il regno è congelato
Per un momento, Elsa non disse nulla… poi cominciò a nevicare. All’interno del castello. Persino Kristoff sembrava essersi accorto che qualcosa non andava, perché Lea lo vide attraversare di corsa il salone e prendere le scale.
Anche Kairi entrò, ma anziché seguire Kristoff si fermò e prese a cercare Lea con lo sguardo. Riluttantemente, lui tornò visibile.
«Cosa è successo?» Kairi gli chiese, a bassa voce.
«Andata male.» Lea fece una smorfia, parlando anche lui a voce bassa. «Mi nascondo qui da qualche parte, vedo di parlarle io. Tu tieni d’occhio la combinaguai!»
Kairi fece sì con la testa, poi prese a correre anche lei su per le scale. Lea si rese di nuovo invisibile, si rifugiò in un angolo e attese. Le cose stavano davvero andando male da quanto sembrava: non molto tempo dopo, un colosso di neve scese le scale e uscì, portando via Anna, Kristoff, Kairi e Olaf di peso.
Lea rimase in attesa, in silenzio. Il freddo delle pareti aveva iniziato ad attraversargli la cappa, e lo sentiva quasi sulla giacca e la camicia che portava sotto… ma rimase lì, in attesa, in silenzio, fino a quando da fuori non percepì più rumori.
«Cerca di dominarti… controllati… niente emozioni… niente emozioni… niente emozioni!» Elsa aveva preso a camminare su e giù per il salone, le mani sulla testa, i denti stretti in quella che era decisamente una pessima dimostrazione di non avere emozioni.
«NIENTE EMOZIONI!» ringhiò di nuovo la ragazza, ma attorno a lei le pareti avevano iniziato a coprirsi di spine di ghiaccio. Fu allora che Lea decise di rendersi visibile.
«Sai, ci ho provato quando avevo l’età di tua sorella. Non funziona. Neanche a strapparsi il cuore funziona.» Commentò.
Elsa urlò e gli puntò contro le mani. Un fiotto di aria gelida e brina venne sparato verso di lui, ma Lea se lo aspettava e aveva già il Keyblade in mano. Una vampata di fuoco mutò il ghiaccio in vapore.
«Prima che tu chiami il mostrone là fuori, non sono qui per farti del male. E tu non ne puoi fare a me, come credo di averti appena mostrato.» Lea si strinse nelle spalle. «Io e Kairi stiamo cercando una ragazza. Una il cui cuore ha una forza incommensurabile… perché là fuori ci sono dei malintenzionati pronti ad abusarne.»
«Intendi mia sorella?» Elsa abbassò le braccia, portandosele al petto come a proteggersi.
«No, Elsa. Te.» Lea si trovò il cellulare in tasca con la mano libera. Ora che Kairi era lontana, forse avrebbe funzionato. Non dovette nemmeno aspettare – il segnale era fortissimo. «Il tuo potere non è solo il ghiaccio, come il mio non è solo il fuoco.»
La regina rimase in silenzio, guardando Lea negli occhi con aria smarrita.
Ecco, adesso Lea era da solo e doveva giocarsi il tutto per tutto. Ma in un qualche modo, si sentiva vicino a quella ragazza. Anche lui avrebbe voluto poter buttare quel mantello al vento, buttare all’aria i suoi segreti e vivere da uomo libero.
«Credo che io e te siamo molto simili. Anna dice che le hai sempre chiuso le porte in faccia… io per undici anni non sapevo che mia sorella Kairi fosse ancora viva. E lei… non ha affatto memoria della sua infanzia.»
«Cosa?» Per un momento, Elsa sembrò più calma, ma era una parvenza fugace. «Eppure sembra trattarti da fratello.»
«Per lei è una recita. E crede che anche per me lo sia.» Lea dismise il Keyblade e si guardò gli stivali. «E non riconoscendola… settimane fa ho cercato di farle del male. So come ti senti, Elsa, perché anche io porto i miei mostri dentro di me.» Alzò lo sguardo ancora una volta. «Anna ha ragione. Devi tornare ad Arendelle… starle vicino. Non puoi restare da sola, non qui fuori dove sei in pericolo.»
«Non voglio mettere in pericolo lei.» Elsa sibilò.
«E che farai allora? Correrai ancora più lontano? Fino a dove pensi di arrivare… e porteresti la tempesta via con te, o la renderesti solo più grande?» Lea prese a camminare attorno a lei.
«E cosa farai, tu, quando tua sorella scoprirà che le hai mentito?» Elsa gli ribatté. «Hai ragione. Siamo simili. Sei un ipocrita come lo sono io!»
Gli lanciò di nuovo addosso del ghiaccio, stavolta delle stalattiti, quasi a forma di freccia. Lea rispose di nuovo con una vampata di fiamme.
«Non hai più paura di fare del male alla gente?» Lea sogghignò. «Perché quello a me sembrava intenzionale.»
«E infatti lo era.» Elsa gli rispose, in tono piatto. «Ti basta o ne vuoi ancora?»
«Tranquilla, posso andare avanti tutto il giorno. Penserà mia sorella a tenere al sicuro la tua… fino al tuo ritorno.» Lea roteò il Keyblade nella mano come avrebbe fatto un tempo con i suoi frisbee. «Ma pensaci un momento. Perché hai iniziato a caricare i tuoi colpi? Pensi che io sia impervio al tuo ghiaccio? Beh, credo che i tuoi poteri lo pensino, come minimo. È la tua testa che domina tutto, Elsa, il tuo cuore. Come la mia testa e il mio cuore dominano la mia magia, o quella di Kairi. Questa neve è quello che tu pensi possa essere, e sarà quello che tu pensi possa diventare.»
«Cosa?» Elsa sembrava non capire… o forse, aveva capito.
«Elsa, da quanto tempo pensi che il tuo ghiaccio possa essere un pericolo per chiunque?» Lea abbassò le braccia, poi dismise il Keyblade. «Da quanto tempo pensi di essere un mostro?»
Sì, lui e quella ragazza erano spiriti affini. Lea avrebbe soltanto voluto essere in grado di rispondere lui stesso alla domanda che aveva appena fatto. Ricordava solo… ricordava solo che c’entrava Roxas, ricordava il momento in cui lo aveva salvato da una trappola postagli da Xemnas stesso… ricordava di aver fatto qualcosa di cui non si riusciva più a perdonare… e che per quel motivo Roxas era fuggito.
Anche lui aveva chiuso una porta tra sé e la sua famiglia. Perché allora aveva dimenticato… e cosa?
«Elsa… basta adesso. Sia io che te… dobbiamo finirla con questa storia.» Ad imitare il suo gesto della notte prima, Lea si aprì la cerniera del mantello nero e lo buttò via di lato, rimanendo in giacca, camicia e pantaloni. Voleva essere un gesto di fiducia, ma Elsa si irrigidì… e Lea stava per iniziare a chiedersi dove avesse sbagliato fino a quando non sentì rumori arrivare da fuori. Arrivava qualcuno, e sembravano anche parecchi.
«Sarò con te, Elsa. Sono pronto ad aiutarti.» Girò lo sguardo verso la porta, e riprese il Keyblade in mano. «Ma devi restare a testa alta e porre rimedio a tutto questo.»
Attraverso il portone trasparente, Lea riusciva a vedere guardie con una divisa che non era quella di Arendelle, e il principe Hans, attaccare lo stesso mostro di neve che aveva messo alla porta Anna e Kairi.
Erano ancora in tempo, tutti e due, per salvare le persone a cui tenevano.
 


Sora si lasciò cadere sul sedile della Gummiship e strinse i pugni per far smettere alle sue mani di tremare.
L’ipotesi di Aqua era giusta – Vanitas era vivo ed era libero di girare, e chissà da quanto tempo aveva usato i macchinari di Mostropoli per rifornirsi di oscurità come un vampiro.
Io non… io non… capisco.” Ventus sembrava allibito quanto lui. “Mi sono sacrificato per annientarlo. È legato a me a doppia mandata. Se io non sono sveglio… se non sono me stesso… come è possibile che lui lo sia?”
Notizia dell’ultimo minuto, Ventus. L’ORGANIZZAZIONE BARA.” Roxas gli ribatté. “Dovevamo aspettarcelo. La tua amica aveva ragione.”
Sora abbozzò un sorriso e fece per rispondere ai due, ma Roxas parlò per primo.
Ricordatemi che non voglio mai più vedere quella cappa quando sarò fuori di qui. Se me la ritrovo addosso, me la tolgo e la brucio.
«Dillo a Lea, tanto per cominciare.» Sora si raddrizzò e riprese fiato. Quella mezza battuta gli aveva aggiustato un po’ l’umore.
«Umpf! Ne ho un po’ abbastanza dei tuoi soliloqui.» Paperino commentò da dietro di lui. «Vogliamo ripartire per fare rapporto o devo pilotare io?»
Sora si strinse nelle spalle e lasciò la posizione di guida, poi indicò la botola che portava alle cuccette a far capire che sarebbe andato a sdraiarsi un momento. Ci era mancato poco, attimi prima, che perdessero Ventus.
Il piano di Vanitas era stato quasi perfetto – li aveva fatti correre per tutta la fabbrica, aggrediti con un Nesciens enorme, per poi attaccarli di nuovo al punto di partenza, stavolta da solo. E, per quanto Ventus avesse riconosciuto quel genere di trappola, non avevano avuto altra scelta che andare avanti – le vite dei mostri che lavoravano lì, e di una bambina innocente, erano state messe a repentaglio.
Non potevamo fare altro. È stato un bene che Vanitas non si sia reso conto di essere un umano, in un mondo dove i mostri andavano a caccia di umani da spaventare.” Ventus commentò di nuovo mentre Sora si buttava sul letto.
«Non so tu, ma io stavolta sono rimasto più spaventato dall’umano che dai mostri.» Sora scherzò di nuovo.
La domanda è, chi è umano e chi è mostro?” Roxas stava sicuramente sorridendo.
Dobbiamo tornare da Aqua.” Ventus asserì. “Fare a pezzi una porta non sarà abbastanza per fermare Vanitas. Può viaggiare tra i mondi senza alcuna protezione.”
Sotto di loro, sentivano il rombo dei motori. La navetta aveva iniziato a muoversi, e a prendere velocità. Sora chiuse gli occhi, e provò ad immaginare che Ventus fosse nel letto a castello sopra il suo, e Roxas sotto.
Forse sarebbe stata soltanto questione di poco, e non avrebbe dovuto più soltanto immaginarseli accanto.
«Ven… credo sia il momento di tornare a casa.»

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Capitolo 6
*** La Strada Verso Casa ***


Okay, facciamo schifo. Ma questo capitolo ha preso un po' di pezzi da parti già scritte della stesura iniziale e scene tagliate, e la musa ispiratrice a volte lega alla tastiera. E niente, sperando che anche il prossimo capitolo venga ispirato tanto in fretta!
 

Guardians – Capitolo 6
La Strada Verso Casa
 
Il cielo sopra di loro era in penombra e coperto di nuvole, e dal paesaggio brullo sembrava quasi di essere ancora nel Reame Oscuro, ma davanti a Sora, Paperino e Pippo, Aqua camminava con passo spedito e a testa alta.
Shiro e Riku chiudevano la fila, il ragazzo dietro alla bambina. Entrambi si muovevano come se conoscessero il posto, cosa che in effetti era vera.
«Siamo tutti stati qui, anche se te ne sei dimenticato, Sora.» Riku commentò. «Naminé ha dovuto cancellare i tuoi ricordi di questo posto perché la tua mente ne era uscita troppo ferita.»
Questo posto è spettrale…” Roxas commentò nella testa di Sora. “Perdi la strada… l’orientamento… io non riuscii nemmeno ad entrarci senza perdere i sensi. Il Castello dell’Oblio, lo chiamavamo. Xemnas cercava qualcosa lì.
Aqua si fermò davanti al portone ed evocò Tutore del Maestro. Dall’edificio partì un bagliore accecante, e delle sagome di luce balenarono sulle pareti. Quasi come seguendo un diagramma, le torri si riarrangiarono e le pareti divennero bianche, e finalmente il deserto semibuio attorno a loro divenne un prato, e nel cielo spuntò il sole.
Mi vorreste dire che questo è il vero Castello dell’Oblio?” Roxas esclamò, sbigottito.
Oblio?” Ventus, che era rimasto in silenzio quasi tutto il tempo, si azzardò finalmente a commentare. “No… questa è casa.”
Sora si guardò intorno – riconosceva quel luogo. Aveva visto le montagne nel sogno di Shiro – ricordava ancora Ephemer in piedi su uno dei muretti – e lo spiazzo di fronte al castello… non lo aveva visto in uno dei suoi sogni?
«Aqua, tu hai mai sentito di Custodi del Keyblade che avessero sogni premonitori?» Sora chiese, cercando di sembrare quanto più possibile calmo e distaccato.
«Dovresti farla a Ventus questa domanda.» Aqua aprì il portone, accennandogli un sorriso. «Di punto in bianco, gli capitava di fare domande, spesso appena sveglio. A volte passavamo anche un’ora a rimettere insieme i pezzi di quello che aveva sognato.»
… e la maggior parte delle volte finivo con più domande che risposte.” Ventus concluse la frase, e Sora sentì un nodo salirgli su per la gola.
Shiro gli passò davanti mentre varcavano il portone, visibilmente impaziente di rivedere quella che era stata casa sua. Un corridoio illuminato si estendeva davanti a loro, sovrastato da una balconata che secondo i ricordi di Ventus portava ad un salone.
«Non sembra la scuola media al giardino. Quando mi vedo con Yuna e i gemelli devo raccontargli tutto.» Shiro commentò facendo alcuni passi nel corridoio, precedendo tutti quanti.
«Shiro, non ti allontanare.» Aqua la raggiunse e la prese per un braccio. Il rumore dei loro passi sul pavimento di marmo e le loro voci echeggiavano nel corridoio vuoto. In basso sul muro, dei segni colorati, probabilmente lasciati da un pastello, e c’erano persino gli stessi pastelli, sparsi sul marmo, alcuni spezzati a metà.
«Questo posto mi fa sentire strano,» Sora confessò, facendo una smorfia. «Sembra quasi che il tempo si sia fermato.»
Non me ne parlare, Sora. Io ci vivevo, qui.” Ventus ribatté.
Attraversarono il corridoio fino a una scalinata, e dalla scalinata passarono al salone. A Sora tornò immediatamente in mente la navata della Cattedrale a Parigi – lo spettacolo era lo stesso, lo spazio della sala combinato con la luce colorata da fuori.
«Riku, ricordi Notre Dame?» Si girò verso l’amico con un sorriso. «Che spettacolo, eh?»
Riku, che fu l’ultimo ad entrare, fissò la predella della sala con aria preoccupata.
«Già, la cattedrale.» Commentò. Aveva una smorfia in volto.
«Cosa c’è?» Shiro si girò verso di lui.
«Non lo so. C’è qualcosa che puzza.» Riku scosse la testa, guardandosi ancora attorno.
«Pensi sia oscurità?» Sora si incrociò le braccia dietro la testa. «Non preoccuparti troppo, Riku. Ci sono uno, due, tre, quattro, cinque, sei di noi. Non dovrebbe essere un problema.»
Corsero verso la predella, il rumore dei loro passi moltiplicato dall’eco del salone.
Ventus era lì, addormentato su uno dei troni, come non avesse voluto far altro che approfittare del pomeriggio assolato per chiudere gli occhi qualche minuto.
«Sora, sai cosa fare.» Riku gli diede una pacca sulla schiena, spingendolo in avanti.
«Ed eccoci qua, Ven.» Sora prese a salire gli scalini e si fermò davanti al corpo del ragazzo. «Finalmente… ci conosciamo.»
Possiamo vedere di parlarne faccia a faccia? Grazie.”
«Sora, muoviti!» Riku sibilò tra i denti.
Sora evocò il Keyblade – aveva ottenuto un altro portachiavi a Mostropoli, ma lo aveva riportato a Catena Regale – e fece per chiudere gli occhi quando sentì nuovamente l’eco di passi in avvicinamento.
Riku fu ancora più rapido e girò immediatamente i tacchi, portando Via per l’Alba alla mano.
«Un trucco niente male
Era la voce di Vanitas.
«Ecco perché nessuno riusciva a trovarlo!»
Aqua portò istintivamente Shiro dietro di sé, e Paperino e Pippo le si pararono davanti.
«Pensa a lui, tu! A Shiro pensiamo noi!»
«Oh, sono di disturbo?» Vanitas continuò a camminare imperterrito verso la predella. «E io che volevo solo parlare con mio fratello.»
Il gruppo si strinse di istinto attorno al trono, Sora e Shiro i più vicini, il primo davanti alle ginocchia di Ventus e la ragazzina aggrappata al bracciolo. Shiro in particolare stava guardando Vanitas in cagnesco, come se lo conoscesse già. O era Ephemer?
«Sora, hai sentito Riku, muoviti!» Shiro lo prese per la giacca, e Sora sospettò ancora di più che ci fosse l’influenza di Ephemer nelle sue parole e nelle sue azioni.
Sora non voleva dare le spalle al nemico, ma Paperino e Pippo si pararono davanti a lui. Riku e Aqua lasciarono la predella, le loro lame alzate contro l’intruso.
Sora tirò un respiro… sentiva la preoccupazione di Ventus unirsi alla sua… ma non c’era tempo da perdere… si girò e chiuse gli occhi.
 
Attorno a loro era buio.
Sora era in piedi sulla sua Stazione del Risveglio.
E Ventus era là, in piedi davanti a lui.
«Me lo aspettavo diverso, questo momento.» Sora ammise.
Attorno a loro c’era silenzio, ma i rumori del salone arrivavano come un’eco distante.
Ventus si strinse nelle spalle e forzò una risata. «Benvenuto nella mia vita, suppongo.»
«Sta’ pronto. Sto per lasciarti andare.» Sora alzò il Keyblade, poi lo puntò sul vetro sotto i loro piedi. Ventus girò i tacchi e prese la rincorsa verso il bordo.
 
Ventus prese a correre, senza voltarsi indietro. Riusciva a vedere con la coda dell’occhio una luce bianca dietro di sé, sagome bianche di uccelli in volo… continuava a correre, e la luce invase il suo campo visivo… non vedeva più nulla, solo bianco…
Chiuse gli occhi, tirò un respiro…
… e spiccò un salto.
 
Ventus si sentì improvvisamente pesante, come se qualcosa lo stesse comprimendo. Qualcosa dentro di lui sembrò scattare, come di istinto, e sentì la sua gabbia toracica alzarsi e abbassarsi sempre più velocemente.
Andò quasi in panico fino a che non si rese conto che aveva semplicemente ripreso a respirare.
Era seduto su qualcosa. Duro, forse legno. Si sforzò di aprire gli occhi, e una mano calda e ruvida prese la sua.
«Stai bene?» Sora era davanti a lui, e alla sua sinistra, Shiro gli prese l’altro braccio. La bambina non sembrava quasi sapere cosa dire, e passava lo sguardo da lui al centro della sala…
… Vanitas era ancora lì, e Aqua e Riku stavano resistendo, ma erano visibilmente affaticati. Le loro ferite erano state curate, ma non erano guarite completamente.
Non c’era tempo di pensare.
Si scrollò Sora e Shiro di dosso – avrebbe chiesto loro scusa dopo – portò i piedi sul trono e usò le gambe piegate per scattare come una molla, evocando il Keyblade mentre era in aria.
Con l’aria che gli fischiava nelle orecchie, riuscì a stento a sentire Sora che sbottava: «Ma che…?», poi atterrò sul pavimento con una capriola, e si infilò tra Vanitas e Aqua proprio mentre lui stava menando un fendente dall’alto, rispondendo con un colpo laterale.
«Non hai imparato niente dall’ultima volta?» Schernì Vanitas mentre quest’ultimo veniva sbalzato indietro. «Tocca di nuovo i miei amici e… sei… morto
Prese un momento per riprendere fiato. Era tutto familiare ed alieno allo stesso tempo… era di nuovo sé stesso, quel che sentiva era suo… il fiato corto, il rumore del sangue nelle orecchie, il marmo sotto ai suoi piedi, il peso di Evocavento nella sua mano…
«Pensi davvero di potermi uccidere?» Vanitas si rimise in piedi. Sembrava illeso, ma Ventus riusciva a intravedere una crepa nella sua maschera. «Di volermi uccidere, idiota? Credevo tu fossi pura luce.»
Ventus non gli lasciò la soddisfazione di una risposta, limitandosi a rigirare il Keyblade nella mano. Ci aveva già provato una volta, e non aveva bisogno di farglielo presente. Ci aveva già provato una volta, e ci era pure riuscito.
Se era vero che l’Organizzazione barava, come Roxas aveva detto, doveva solo capire come questo Vanitas facesse ad essere rimasto in vita – il suo stesso trucco lo avrebbe portato alla rovina senza che lui portasse Ventus con sé. O, se il loro legame era rotto…
«Beh, non voglio sapere cosa potrebbe accadermi contro quattro Guardiani della Luce,» Vanitas scosse la testa con aria sprezzante, e un Corridoio Oscuro si aprì ai suoi piedi. «Ma tanto ci vediamo presto, fratello
Senza dire altro, sparì.
Sora e Shiro raggiunsero Ventus, fermandosi da un lato e dall’altro. Lui si girò verso di loro e si passò una mano tra i capelli.
«Scusate lo spintone. Dovevo fare in fretta.»
Né Sora né Shiro sembravano offesi, anzi Sora sorrideva. Dopo un primo momento d’imbarazzo, Shiro invece gli si lanciò al collo.
«Zio Ven! Zio Ven, sei qui!»
«Come sta la mia cucciola grande?» Ventus le ricambiò l’abbraccio e la sollevò di qualche centimetro. Non ricordava di aver mai sollevato bambini di quell’età… «Ora non posso più tenerti in braccio, heh…» Non pensava si sarebbe stancato troppo presto, ma la lasciò andare.
«Prima o poi ti supero!» Shiro ridacchiò.
«Continua pure a dirlo e forse lo farai nei tuoi sogni!» Ventus si diede una sistemata ai capelli e guardò le altre persone nella stanza. Paperino e Pippo non erano cambiati affatto, e conosceva Riku tramite Sora… si sentiva un po’ in imbarazzo davanti a lui, aveva sedici anni e Ventus gli arrivava alle orecchie… aveva tanto da dire, tanto da sistemare, e iniziava persino a sentire che lo stomaco gli brontolava (c’era sempre stato un vaso di frutta secca e cioccolato nella cucina, sarebbe stato ancora pieno…?).
«Ven, qualcosa non va?» Aqua gli chiese. Alle solite. Era sempre stata capace di leggergli in faccia come fosse un libro aperto.
Tanto meglio sistemare subito le cose – quello che le aveva detto nel Reame Oscuro, con la voce di Sora, non contava realmente.
«Aqua, volevo solo dirti che… mi dispiace.» Era tentato di abbassare lo sguardo, ma rimase a testa alta, guardandola negli occhi. «Mi dispiace per tutto.»
Aqua si avvicinò a lui e gli mise una mano sulla testa.
«Va tutto bene, dormiglione. Sei qui. Siamo a casa
 


Lea si addossò alla parete di una delle case. Dopo che Elsa aveva deciso di consegnarsi agli uomini venuti là per cercare Anna, il principe Hans – gli stava sempre meno simpatico, per la cronaca – lo aveva congedato con una stretta di mano e gli aveva caldamente raccomandato di andare in città e soccorrere la gente, e che avrebbe pensato lui a tenere la regina al sicuro.
Lea si sarebbe ribellato, ma l’ultima cosa che voleva fare – specialmente dopo che aveva esortato Elsa a non mostrare resistenza per non rendersi la gente ancora più ostile – era mettersi in cattiva luce. Se fosse rimasto libero di andare, sarebbe anche rimasto libero di intervenire se le cose avessero preso una brutta piega.
E aveva il presentimento che così sarebbe stato, ma fino a quando non avesse avuto notizie di Kairi, Kristoff e Anna non poteva che aspettare. Tanto valeva aiutare la gente di Arendelle – che eroe della luce sarebbe stato, se avesse lasciato della gente in pericolo?
Aveva finito di accendere dei fuochi in punti strategici della città, poi si era messo in disparte e aveva aperto il suo telefono. Sperava che quella brutta tempesta potesse cessare, che Elsa e Anna si riconciliassero… voleva solo tornare a casa e rivedere Shiro e raccontarle tutta quella brutta storia come non fosse altro che una vecchia favola…
ah no, Shiro aveva di nuovo sua madre adesso.
Un momento, chi era quel ragazzo biondo in foto con lei…? Lea dovette ritornare alla foto di prima, gli sembrava quasi di aver visto Roxas… no, non era Roxas, era VENTUS, il tag sulla fotografia portava il suo nome, avevano ritrovato Ventus e il ragazzo non era cambiato di una virgola!
«Kristoff, dovremmo tornare al castello secondo me.»
Kairi? Era in città? Cosa ci faceva in città? Le aveva chiesto di tenere Anna d’occhio…!
«Cosa?» Il tono di voce del montanaro sembrava seccato, quasi adirato.
«Senti, mio fratello ci ha chiesti di tenere Anna d’occhio, e non mi va di dovermi spiegare davanti a lui, già litighiamo abbastanza senza essere in situazioni come questa.» Kairi ribatté, e Lea si appiattì contro la parete. Se non altro, sembrava che la decisione di lasciare Anna al castello non fosse dipesa da lei. «E quell’Hans non me la contava per niente giusta.»
«Anna dice di amarlo.» Kristoff mugugnò.
«E se lui amasse lei, non credo l’avrebbe lasciata andare su per la montagna da sola.» Kairi ribatté.
«Beh, quali altre possibilità abbiamo per salvarla?» Kristoff sbuffò. «Hai sentito i troll… le si sta gelando il cuore. Soltanto un atto di vero amore può salvarla. Se fosse successo a te, a chi avresti pensato?»
«Mi accadde qualcosa di simile un anno fa. Non avevo neanche compiuto quattordici anni, e non avevo un fidanzato… neanche adesso ce l’ho. Furono i miei due migliori amici a salvarmi, ed entrambi quasi ci lasciarono le penne. Sora aveva solo quattordici anni, e Riku quindici, eppure entrambi misero la loro vita a repentaglio perché potessi fuggire dalle stesse persone che stanno minacciando Elsa adesso. Forse è la cosa più vicina a un atto di vero amore che io possa ricordare.»
Cos’è l’amore?
L’amore è per persone che hanno un legame molto speciale
Il pensiero di Lea tornò a quella notte nel castello – quando aveva chiesto a Kairi di chiudersi nella biblioteca e invece lei lo aveva seguito, affrontando Xehanort con un pastello a cera nel tentativo di salvare lui. Affiorò nei suoi ricordi anche il momento in cui Shiro aveva quasi manifestato il Keyblade la prima volta, nell’arena della sabbia, cercando di evitare che Roxas venisse aggredito.
Il Corridoio Oscuro, l’esplosione, per salvare Sora e Roxas da morte certa.
«Kairi ha ragione.» Disse girando l’angolo. «È molto più complesso di quanto non sembri. Kristoff, hai portato Anna con te su per la montagna, e ora l’hai portata a casa…»
«E prima l’ha portata dai troll della foresta per cercare di rompere la maledizione…» Kairi incrociò le braccia. «Lea. Cosa è successo a Elsa? Ci hai parlato?»
«Hans l’ha riportata a casa.» Lea abbassò la testa. «L’ho convinta a smettere di lottare… forse… ma al momento mi sento solo un imbecille.» Spazzò via la neve da una panca e vi si sedette.
«Beh, se hai lasciato quel cappotto da qualche parte ora che fa davvero freddo, non ti voglio contraddire.» Kristoff si grattò la testa. Parlava lui? Lea non vedeva più il suo berretto. Beh, non aveva importanza. Finì di spazzare via la neve dalla panchina, poi accese una fiammella davanti ai suoi piedi.
Elsa aveva ragione – se era vero che i segreti avevano fatto male a lei e Anna, era la stessa cosa per Lea e Kairi. Se soltanto avesse immaginato, se solo avesse saputo, che la ragazzina adottata dal sindaco, la migliore amica di Sora, era la piccola peste mordace che lui aveva creduto persa per sempre, molto del dolore che aveva passato non sarebbe stato così forte.
Se la verità gli avesse fatto male, sarebbe stato comunque meglio che tenersi in corpo quel veleno.
«Kairi, potresti sederti vicino a me, per favore? Non so come potresti reagire a quello che ti sto dicendo.» Il vento continuava a soffiare forte e gelido attorno a loro, ma il calore della fiamma creava quasi una sorta di bolla. Anche Kristoff e Sven si stavano avvicinando al fuoco, ma Lea decise di non importarsene. Avrebbe risposto alle loro domande, se fosse stato necessario.
«Senti, Lea, avrei anche io qualcosa di importante da dirti.»
«Va bene, ma prima io. Non sono stato onesto con te. Avrei dovuto dirti tutto quanto dal primo giorno nella foresta, da quando abbiamo imparato a conoscerci.»
«Aspetta, voi due non eravate fratelli?» Kristoff obiettò.
Tutto si sarebbe aspettato Lea di sentire, tranne che Kairi ribattere: «Lo siamo, infatti!»
«Aspetta, che?» Lea scosse la testa. Guardò Kairi negli occhi, cercando spiegazioni. Stava ancora recitando… o sapeva la verità?
Kairi si mise la mano in una delle tasche del vestito, tirandone fuori una fotografia stropicciata. Era il giardino di casa della nonna, il loro pupazzo di neve colossale. Loro due, davanti alla vecchia altalena di Papà, Kairi che sembrava ancora più piccola nel suo vecchio cappotto.
«Edith Hightower. Nonna si chiamava così. Non è vero?» Kairi strinse un angolo della foto, mentre la mano le prendeva a tremare. «Lavorava alla biblioteca del castello. I vicini avevano un figlio della tua età che si chiamava Zack. La mia migliore amica all’asilo si chiamava Yuna. Si ricorda ancora di me
Chiuse gli occhi e riprese fiato.
«Ti eri dimenticato?»
«No… credevo di averti persa.» Lea appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si nascose la faccia con le mani. «La prima volta, quando l’ultima cosa che vidi fu Xehanort che ti teneva per il polso. La seconda, quando mi resi conto che eri tu e che mi odiavi
«Perché non me lo hai detto?» Kairi gli chiese, con gli occhi che le si facevano lucidi.
«Ti sarebbe andato bene, un simile beota per fratello maggiore?»
Kairi fece per dire qualcosa, ma una raffica di vento più forte delle altre spense la fiamma che li teneva al caldo. Kristoff fu il primo a girarsi verso il castello.
«Ma che cosa… Anna
Anche Lea e Kairi scattarono in piedi, Kairi che infilava la loro fotografia nelle tasche del vestito. La tempesta si stava intensificando… faceva sempre più freddo
«Qualcosa è andato storto. Di nuovo!» Lea cercò di capire la direzione del vento – sembrava arrivare dal castello, o forse dal fiordo sottostante. «Elsa è fuggita, probabilmente. O forse è ancora più spaventata.»
«O entrambe le cose!» Kairi ribatté, correndo in avanti. «Quell’Hans non me la conta giusta. E hai detto che è stato lui a riportarla al castello?»
Si tirò su il cappuccio del vestito, nonostante il vento facesse subito per portarglielo via.
«Pensaci un momento, Lea. Un principe straniero che inizia subito a corteggiare una principessa che non sembra aver molti contatti con la gente. E adesso ha la vita di entrambe le ragazze nelle mani!»
«Non c’è tempo da perdere. Andiamo!» Kristoff montò in sella a Sven e partirono al galoppo verso il castello. Lea e Kairi evocarono i loro Keyblade e gli corsero dietro. La neve era sempre più alta, e più volte Lea dovette lanciare una fiammata davanti a loro per scavarla e farsi strada… era sempre più difficile guardare in avanti, il vento l’unica direzione possibile per orientarsi…
«Kairi, prendimi la mano. Non perdiamoci nella tempesta!» Lea le disse a un certo punto, passandosi Fiamma Liberatrice dalla mano destra alla sinistra. Era tutto attutito – i rumori, il paesaggio attorno a loro, non si vedeva che il bianco, e delle ombre indistinte in lontananza.
Quanto doveva essere terrorizzata la regina?
Si resero conto di essere sul fiordo quando sentirono sotto le loro scarpe il ghiaccio anziché la neve.
«Stammi vicino, Kairi, stammi vicino.» Lea non si sarebbe mai perdonato se si fosse fatta male di nuovo, mentre lui era lì.
Kairi si strinse a lui. Stava tremando a vista d’occhio, ma sentendo la voce portata dal vento, Lea capì che si trattava di paura.
«Tua sorella è tornata dalla montagna debole e fredda. Ha detto che le hai gelato il cuore!»
Il Custode riconobbe la voce del principe Hans. Era andato tutto storto?
«No!» Il vento portò anche la voce di Elsa.
«Ho tentato di salvarla, ma era troppo tardi. La sua pelle era ghiaccio, i capelli bianchi. Tua sorella è morta per colpa tua
«Tu, lurido…!» Kairi sibilò tra i denti. «Era da te che sperava soccorso!» Doveva aver dedotto che i suoi sospetti erano fondati.
La neve si fermò di colpo, e tornò la calma piatta. Senza più la paura che Elsa provava, il vento gelido si era fermato.
E ora la regina non sentiva più niente.
«BUGIARDO!» Kairi lasciò andare la mano di Lea e puntò il Keyblade addosso al principe fedifrago. Ma erano lontani, troppo rispetto all’esigua distanza tra Hans ed Elsa.
Lea si guardò intorno… no, non poteva usare il fuoco. Troppo vicini. Avrebbe fatto del male a Elsa…
… e Anna?
Anna era lì, pochi passi lì dietro! Sembrava a stento in grado di muoversi, ma era lì… si mise a correre, prendendo di nuovo la mano a Kairi, forse erano ancora in tempo, forse potevano prendere tempo… Hans stava alzando la spada sulla regina…
Anna fu più veloce. Balzò in avanti, una mano tesa a fermare la lama, ma qualcosa stava andando orribilmente storto, perché il suo colorito era così bluastro…?, e perché era così rigida, e stava letteralmente congelando davanti ai loro occhi!
Per un momento, sembrò che la spada fosse rimbalzata sulla mano ghiacciata della principessa, ma un secondo più tardi si sbriciolò per il gelo, e la forza dell’impatto mandò Hans a cadere all’indietro. Elsa parve accorgersi di quello che era appena successo e si buttò al collo della sorella.
Lea fece per raggiungerla, ma Kairi lo fermò. Si stava mordendo il labbro.
«Yen Sid ci uccide, dopo un fallimento del genere.» Lea commentò in un bisbiglio. «Se non lo farà direttamente Aqua.»
«No, non può essere.» Kairi scosse la testa. «Doveva essere un atto di vero amore, quello era un atto di vero amore
«Cosa?» Lea girò la testa verso di lei.
«Non può andare a finire così.» La ragazza gli strinse la mano nella sua.
«Così va il mondo, Kai.» Lea la strinse a sé, il silenzio attorno a loro rotto soltanto dai singhiozzi di Elsa. «Quando avevi cinque anni… facesti la stessa cosa, per me. Xehanort aveva attaccato gli occupanti del castello. Ero riuscito a barricare te e la nonna nella biblioteca… o almeno così mi era sembrato, forse il portone non avrebbe nemmeno resistito. Io e Isa andammo a cercare Shiro, ma Xehanort ci mise all’angolo. Non lo sapevo, ma tu mi avevi seguito.» Si prese un momento per riprendere fiato. «Iniziasti a lanciargli addosso i tuoi pastelli a cera. A urlargli di lasciarmi stare. Gli mordesti la mano. L’ultima cosa che vidi fu lui che ti teneva in aria, per il polso.»
Sentì quasi il fiato mozzarglisi quando Kairi ricambiò il suo abbraccio, stringendolo forte.
«Mi dispiace,» gli mormorò lei contro i vestiti, e Lea non disse nulla, alzando di poco lo sguardo, e… che stava succedendo lì davanti?
«Kairi!» Lea le diede un colpetto sulla spalla con una mano. «Girati… girati, devi vedere!»
Era Anna. Non era più prigioniera del ghiaccio – era viva e stava bene, e stava abbracciando sua sorella. Kairi scosse la testa e sgranò gli occhi, sollevata ma forse troppo sorpresa per parlare.
«Volevi sacrificarti per me?» Elsa stava chiedendo alla sorella minore, sciogliendo l’abbraccio. Kristoff, Sven e Olaf le avevano raggiunte sul mare ghiacciato.
«Io ti voglio bene.» Anna le prese le mani.
 


Aprì gli occhi. Dov’era finito?
Era sdraiato sulla schiena su quello che probabilmente era il materasso più morbido che avesse mai avuto, e sentiva un cuscino sotto la testa e coperte sul suo torso e sulle sue gambe.
Tutto pesava. La testa, le braccia, le gambe… persino le sue stesse palpebre.
Come se adesso ci mancava anche questa… avrebbe voluto soltanto ficcare un pugno in una parete, ma sembrava che anche quello fosse al di là delle sue possibilità, in quel momento.
«Sei sveglio?» Una voce rauca e stanca, dall’altra parte della stanza. Un uomo coperto da un cappotto lungo fino alle caviglie, con capelli bianchi mossi che spuntavano da sotto alla larga tesa di un cappello e il volto coperto da una barba corta e ispida arrancò verso di lui. «Credevo più nessuno apparisse qui alla Città di Mezzo. Men che meno ragazzi della tua età… ritieniti fortunato che io abbia un nipote poco più vecchio. Sono riuscito a trovare dei vestiti che gli vadano piccoli.»
Probabilmente, in passato l’uomo aveva avuto i capelli rossi, ma gli erano schiariti con l’età. Un tonfo sul pavimento tradiva la presenza di un bastone.
«Chi… siete?» Se c’era una cosa che doveva fare, era capire cosa gli fosse successo – e tutti i suoi sforzi andarono nel comporre quelle due parole. Partendo da chi fosse il suo ignaro soccorritore, poteva rimettere assieme i pezzi e sparire.
«Un uomo di nessuna importanza. Adesso pensa a riposare, o finisco di stenderti.»
 


Kairi fu la prima a scendere dalla navetta. Il posto di cui avevano ricevuto le coordinate da Sora e Riku era un castello tra le montagne, illuminato dalla luce delle stelle. Una brezza dolce faceva ondeggiare l’erba e l’aria era pervasa dal profumo dell’autunno.
Lea aveva mugugnato qualcosa a proposito di un Castello dell’Oblio, ma quello forse era la cosa che poteva somigliarvi di meno. No, quel posto aveva quasi l’aria di un tempio… forse un tempio della conoscenza.
«Ora aspettiamoci le facce di tutti quanti quando dovremo spiegare tutto quanto.» Lea le diede una pacca sulla spalla. «Uff… quante altre volte dovrò ripetere questa storia?»
«Quello, e di cosa è successo con Elsa e Anna. Piuttosto, mi sarei aspettata che quella Larxene riapparisse. Che cercasse di mettere le mani su di loro.» Kairi si sistemò il vestito.
«Non ne avrebbero più il motivo.» Lea si infilò le mani in tasca. «Aqua è tornata a casa, e se devo credere a Kingstagram, anche Ventus. Abbiamo le nostre Sette Luci, suppongo. A proposito, sei davvero sicura della tua ipotesi? Qua abbiamo un rapporto da fare, sorellina.»
Mentre si avvicinavano al portone del castello, il solo rumore attorno a loro era il frinire dei grilli, e sull’erba fluttuavano le lucciole.
«Ne sono certa, Lea. Anna magari non domina un elemento, ma l’ho vista mostrare una forza di carattere straordinaria.» Kairi appoggiò una mano al portone. «E Ienzo non ha trovato altre Principesse sulle mappe. Potrebbe anche essere che ci fosse una settima fuori portata, ma allora perché il segnale da Arendelle veniva doppio? Ricordi? Stiamo parlando di una ragazza che emerge. Direi che Anna corrisponda alla descrizione pienamente.»
Spinse la porta ed entrò. Il corridoio davanti a loro era illuminato, anche se non erano visibili lampade o lumi, e dal piano superiore si sentiva la voce di una donna che parlava. Percorsero il corridoio fino a imboccare una scalinata, e raggiunsero il salone, dove un gruppo di persone sembrava impegnato a fare il punto di qualcosa.
«… ora, la situazione delle Principesse sembra coperta per adesso, ora che siamo in sette non dovrebbero andarle a cercare. Ma se le notizie da Yen Sid e Ienzo sono vere, e ancora loro non hanno il loro numero tredici, possiamo fare uno sforzo e prendere tempo in modo da arrivare pronti.» La madre di Shiro, la maestra Aqua, era in piedi al margine di un cerchio, mentre gli altri erano tutti seduti su cuscini poggiati sul pavimento.
«Hai un piano, Aqua?» Re Topolino era seduto tra Pippo e Riku, all’opposto di un cerchio immaginario.
«Dopo aver ascoltato tutta la storia, mi viene da pensare che chiunque sia questa persona misteriosa, probabilmente è quello che l’Organizzazione cerca.» La Maestra si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Accanto a lei, un ragazzo biondo che Kairi non aveva mai visto stava trafficando con un barattolo di biscotti. Ne estrasse uno e se lo infilò in bocca tutto intero.
Shiro, seduta alla sinistra di Aqua, lo fissò chiedendogli: «Anche io, zio!»
«Okay, stai pronta!» Il giovane estrasse un altro biscotto dal barattolo e lo lanciò gentilmente, facendolo atterrare in mano alla bambina. Si udì lo scatto di un otturatore, e Kairi non poté evitare di ridere vedendo che Sora, seduto davanti al ragazzo, lo aveva appena fotografato.
«Ven, fa’ attenzione.» Aqua lanciò un’occhiata al ragazzo alla sua destra, ma sorrideva.
«Quindi serve qualcuno che possa aiutare Ienzo a recuperare dei ricordi perduti…» Sora mise giù il telefono. «Beh, non io, suppongo. Sono una frana con i computer.»
«Guarda che dovrebbe essere Axel. Lui sicuramente conosceva la persona di cui parliamo.» Shiro lo redarguì, poi alzò lo sguardo – li aveva visti. «AXEL!»
Scattò in piedi e corse fuori dal cerchio, approfittando di uno spazio libero tra Riku e Ven. Arrivò da loro e si buttò al collo di Lea.
«Funghetto!» Lea la prese e la tirò su. «Allora, che mi racconti? Hai fatto la brava?»
«Avevi dubbi? Sai che sono brava!» Shiro lo lasciò andare, e Kairi poteva vederla arrossire. «Zio Ven mi ha dato un biscotto e soprattutto… guarda, somiglia a Roxas!»
Lea stava per rispondere qualcosa quando anche Sora e Riku attraversarono la stanza, quasi facendo a gomiti e manate tra loro. Riku aveva parti delle braccia coperte da garze, ma anche Sora sembrava visibilmente stanco. Kairi prese un po’ di rincorsa e li abbracciò entrambi.
«Non credereste mai a tutto quello che è successo!» disse loro mentre ricambiavano il suo abbraccio.
«Beh, puoi cominciare a raccontare!» Riku le fece il solletico con una mano.
Anche il nuovo arrivato, Ven, si era avvicinato a loro, e stava squadrando Lea con aria curiosa. Kairi non poté evitare di notare che suo fratello sembrava quasi triste nel fissarlo… poi il ragazzo parlò.
«Ciao, Lea.»
Lea fece un balzo all’indietro.
«Ti ricordi di me
«Ma certo! Siamo amici o no?» Il ragazzo si strinse nelle spalle e sorrise. «Non riesco a crederci… anche tu un Custode!»
Lea tirò il fiato e sorrise.
«Oho! Guardate chi si è cambiato d’abito!» Sora lasciò andare Kairi e Riku e guardò Lea. «Allora, Kairi, chi lo ha convinto a buttare la cappa?»
Ci vollero un paio di richiami all’ordine da parte di Aqua affinché tutti tornassero al centro della sala, e Kairi e Lea presero posto nello spazio vuoto tra Riku e Ventus. Sora divenne pallido come un fantasma e si mise a boccheggiare come un pesce rosso quando Lea ammise che Kairi e lui fossero fratelli, e Kairi arrivò a chiedersi se la reazione fosse veramente la sua o se Roxas ne fosse entrato in merito.
«Dai, Sora, non fare quella faccia. Non avevi mai notato che si somigliano?» Ventus commentò ridendo, poi Aqua riprese la parola.
«Va bene, come stavamo dicendo prima che Lea e Kairi arrivassero, abbiamo tre piste per contrastare l’Organizzazione, e prendere tempo in modo da non lasciarci trovare impreparati.» La Maestra fu l’unica a rimanere in piedi nonostante avesse raccomandato ai fratelli di sedersi. «La prima è la persona che nessuno ricorda. Dobbiamo capire chi sia, e per farlo è necessario che ci pensi qualcuno che potrebbe averla conosciuta. Lea, sei il nostro uomo. In secondo luogo, in due mondi non lontani da Arendelle e Mostropoli sono state segnalate presenze oscure. In uno c’è stato un massiccio attacco di Heartless, mentre in un altro sono presenti due membri dell’Organizzazione… tra cui uno che Ienzo potrebbe aver identificato come Vexen, e potrebbe essere anche una possibilità di salvataggio per Roxas. Abbiamo volontari?»
 


La stanza di Terra non era cambiata per niente.
Il letto a una piazza e mezza era ancora contro la parete destra, sotto l’enorme finestra che dava sui giardini. Vecchie foto erano appese ai muri – in una Terra aveva sei anni e mostrava due incisivi mancanti all’obiettivo, in un’altra c’era il primo incontro tra lui e Aqua, un’altra ancora era la stessa che Ventus teneva in camera sua – quella in cui Terra lo teneva in braccio e lui non aveva che dodici anni e mezzo. Nella più recente, Terra era chino nel salone, e una piccola Shiro camminava verso di lui.
Ventus sfiorò lo stipite della porta. Anche lì c’erano una serie di tacche, ma partivano da molto più in basso e arrivavano molto più in alto rispetto a camera sua. C’era la calligrafia del Maestro Eraqus su quelle in fondo.
Il letto era disfatto, c’era un paio di calzini abbandonato sul pavimento che ancora puzzava di piedi, e – Aqua sarebbe stata inorridita se lo avesse visto – un libro di magia aperto, con un orecchio a una pagina.
Era calata la notte sul castello, ma Ventus non riusciva a dormire. La mattina dopo sarebbe dovuto partire assieme a Sora – sarebbe andato con lui a cercare di catturare Vexen per liberare anche Roxas – ma aveva quasi paura di andare a letto. Non era nemmeno tornato nella sua stanza, da quando aveva riaperto gli occhi.
Non ci era più tornato, da quando Vanitas vi era entrato per minacciarlo.
Capiva i ragionamenti di Aqua, la sua intenzione di prendere tempo per poter arrivare pronti al giorno della battaglia, ma dall’altro lato gli bruciava il pensiero che prendere tempo avrebbe voluto dire lasciare Terra ancora più tempo nelle grinfie delle Oscurità.
Quanto sarebbe durata ancora?
Non voleva fare il bambino – aveva quasi ventisette anni, era nel suo corpo di sedicenne e come se non bastasse era a prescindere piccolo per la sua età, e nel suo passato c’erano ancora i buchi neri – ma in quel momento avrebbe soltanto voluto che il suo migliore amico – suo fratello – varcasse quella porta, lo sollevasse in aria, gli grattasse la testa con le nocche del pugno chiuso, e gli dicesse che tutto sarebbe andato per il meglio.
«Ven?»
Una voce dal corridoio lo fece girare. Era Aqua.
«Non riesco a dormire.» Ventus disse immediatamente. Non era nemmeno una bugia. Aqua gli rivolse un sorriso di comprensione.
«Vuoi una cioccolata calda? Neanche io me la sento di andare a letto.»
Ventus non rispose, ma fece sì con la testa e seguì Aqua in cucina. Riusciva a sentire il russare di Riku da una delle stanze vuote che i nuovi ospiti del castello avevano approntato. Aveva insistito per dormire con Sora e Kairi, cosa che all’inizio aveva lasciato Ventus perplesso – Kairi non avrebbe voluto dormire con suo fratello, invece?
«Aqua, perché sembra tutto così sbagliato?» Ventus trovò finalmente il coraggio di chiedere, non appena furono fuori portata d’orecchio.
«Questo posto è pieno di ricordi,» La Maestra disse al ragazzo. «E gli ultimi ricordi che ci restano di questo posto, forse sono anche i peggiori. Ven… quando tornammo qui, i miei peggiori timori erano diventati realtà. Non sapevo nemmeno se potevo sperare di parlarti di nuovo un giorno, come sto facendo adesso.»
Ventus si sforzò di sorridere.
Anche in cucina sembrava nulla fosse cambiato dal giorno dell’esame, a parte il barattolo dei biscotti che Ventus e Shiro avevano razziato qualche ora prima. Ventus prese immediatamente lo sgabello dall’angolo in cui era sempre stato e ritrovò il barattolo del cacao su uno scaffale, mentre Aqua cercava il latte nella ghiacciaia e lo metteva a bollire.
Una vita prima, c’era stato anche Terra, a cercare i marshmallow in un’altra credenza e protestare perché non sapeva come facessero, loro due, a zuccherare la loro cioccolata e riempirla con “quello che era letteralmente altro zucchero”.
«Fa quasi strano essere di nuovo a casa. Siamo rimasti senza tutto questo per troppo tempo.» Ventus ammise quando la cioccolata fu pronta, prendendo la sua tazza e sedendosi al suo solito posto a tavola.
«Lo so.» Aqua ammise, andando al suo posto. Il suo sguardo andò al vecchio seggiolone di Shiro, in un angolo della stanza – quello andava messo via, ormai. E avrebbero dovuto prendere altre sedie…
«Ricordo… di aver sognato molto, prima di iniziare a vedere tutto con gli occhi di Sora.» Ventus rimase a fissare il vapore che saliva dalla sua tazza. «Te e Terra, e Shiro, e anche Sora e i suoi amici. E c’erano anche altri… molti che non riconoscevo, ma credo che uno fosse Ephemer. Prima o poi dovrò parlarti di lui. Sostiene di essere un mio amico d’infanzia… dice che sono molto cambiato.»
Alzò lo sguardo.
«In meglio, da quanto ho capito.»
Aqua prese in mano la sua tazza, ma neanche lei bevve subito.
«Presto, sarà tutto normale un’altra volta,» lo rassicurò abbozzando un sorriso.
Ventus la conosceva troppo bene per non sapere che gli stava parlando così per farlo sentire meglio. Guardò di nuovo la sua tazza e poi prese a bere, poi prese il cucchiaio dal tavolo e cercò di pescare i marshmallows prima che si sciogliessero.
«Tu cosa pensi direbbe il Maestro? Se mi vedesse adesso?»
Aqua alzò lo sguardo, e quella che poteva essere, forse, una risposta seria, venne intercettata da una risata.
«Direbbe che ti sei sporcato come mai nella tua vita, Ven!» Aqua si coprì la bocca mentre rideva.
«Huh?» Ventus cercò di guardare il suo riflesso nel cucchiaio, poi lasciò perdere e prese un tovagliolo per pulirsi. Quando fu sicuro di aver pulito via tutto, Aqua si indicò la punta del naso a mostrargli dove invece era ancora sporco.
Forse le cose non sarebbero mai tornate com’erano, ma erano di nuovo a casa. Presto sarebbe tutto finito, e Ventus intendeva fare tutto il possibile per riportare Terra indietro. E il nuovo normale sarebbe arrivato – sì, i loro migliori ricordi dovevano ancora venire.
«Avremo tanto da raccontare, quando Terra sarà tornato.»
 

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Capitolo 7
*** Un Solo Folle ***


E qui - parla Beater - andiamo a toccare un tasto un pochino dolente per quello che per me è stato il trattamento di Pirati dei Caraibi in Kingdom Hearts 3. Ammettiamolo, ho un CERTO debole per i pirati. Non mi è piaciuto molto come si sono mangiati la trama del terzo film, anche se posso capire che sia stato per mantenere il rating il più basso possibile.
L'aspetto di Ventus in questo capitolo è liberamente ispirato agli abiti di Will Turner nella graphic novel di "La Maledizione del Forziere Fantasma", e l'anno scorso l'ho anche disegnato e realizzato come cosplay (è sul mio Twitter se volete vederlo) 
 

Guardians – Capitolo 7
Un Solo Folle
 
Il cielo era grigio, e il mare era grosso.
Si preannunciava una tempesta, ma tutti i marinai sulla nave sembravano essere intenzionati a proseguire sulla loro rotta. Ventus avrebbe osato dire che veleggiavano… come se avessero il diavolo alle calcagna?
«Hai detto che conosci questo mondo, giusto?» chiese a Sora. «Ci sei già stato?»
«Sì, ho amici qua.» Sora sorrise fino alle orecchie e si appoggiò all’albero della nave.
I loro vestiti erano cambiati quando erano usciti dal portale e si erano tolti le armature (Sora doveva ancora abituarsi a quella che gli era stata prestata): adesso Sora aveva un giaccone di cuoio che sembrava essere stato cucito interamente da toppe, un paio di pantaloni a righe, un paio di stivali, un gilet rosso su una camicia bianca, e i suoi capelli solitamente irti erano stati appiattiti da una bandana azzurra e un tricorno in cuoio.
Gli abiti di Ventus avevano subito un trattamento simile: aveva ai piedi degli stivali neri anziché le sue solite scarpe da ginnastica, i suoi pantaloni grigi erano visibilmente logori e coperti all’altezza delle ginocchia da toppe cucite alla men peggio, aveva i polsi e i palmi delle mani coperti da stracci annodati a mo’ di guanti, una camicia bianca con le maniche rimboccate coperta da un gilet nero tenuto chiuso con una striscia di lana verde a righe, e una bandana dello stesso colore – ne aveva un lembo nel suo campo visivo – era legata attorno alla sua testa. Un esame più attento rivelò il Simbolo della Maestria, marcato con inchiostro nero sul suo avambraccio sinistro, e una stella di cui non ricordava il significato più in alto sul destro.
«Beh, tecnicamente sei maggiorenne.» Sora si infilò una mano sotto il cappello mentre Ventus si esaminava le braccia. Non che lui fosse rimasto con il suo solito aspetto, a quanto pare il travestimento gli aveva anche lasciato un paio di cicatrici in volto e un dente d’oro o due in bocca.
«Che tipi sono i tuoi amici?» Ventus chiese a Sora, sedendosi accanto a lui su una panca del ponte.
«Pirati. Lupi di mare.» Sora si sistemò il cappello. «Si chiamano Jack, William ed Elizabeth. Non so se siano ancora a Port Royal o se stiano percorrendo qualche tratto di mare perduto, ma Jack sarà sicuramente felice di vedermi. Era interessato al Keyblade l’ultima volta che lo vidi… non so perché, ma sembrava ne parlasse quasi come la soluzione ad un problema.»
«Beh, se è di pirati che parliamo, una chiave che apre qualsiasi cosa vuol dire tesoro.» Ventus fece un sogghigno, memore delle sue avventure contro Capitan Uncino.
La ciurma sembrava ancora in apprensione mentre si affaccendavano a governare la nave. Ora che avevano smesso di parlare, Ventus poteva sentirli cantare una canzone dalla melodia greve… qualcosa che suonava come una chiamata alle armi…
«Il Re la colpì, la Regina rapì… nell’ossa sue la fermò… ch’il mar sia nostro, in ogni posto… ma i ladri qui guidò…»
«Non avevo mai sentito questa canzone.» Sora si mise in piedi.
«Yo, ho, su i vessilli, quella gloria vivrà…»
Una campana suonò da poppa, e una nave spettrale con vele stracciate e l’intero scafo coperto da molluschi, coralli, e crostacei, li raggiunse ad una velocità che Ventus non credeva nemmeno possibile.
Heartless gli volavano attorno.
Sia Sora che Ventus portarono i Keyblade alla mano, pronti a vendere cara la pelle, ma una mareggiata più potente delle altre fece oscillare pericolosamente la nave, e la forza dell’onda li raggiunse in pieno, quasi spingendoli via.
Entrambi finirono in mare, e senza dirsi nulla presero a nuotare per raggiungere di nuovo l’imbarcazione. Non c’era verso – la corrente andava loro contro, quasi come se lo stesse facendo apposta. Come se volesse impedire loro di difendere la nave pirata, che stava venendo cannoneggiata brutalmente dai loro aggressori. Una trave fluttuò verso di loro, permettendo loro di aggrapparsi, ma il mare li stava portando via… la nave che aveva dato loro un passaggio stava rapidamente finendo a pezzi, e in fiamme… e colava a picco… Ventus alzò una mano dalla trave e prese Sora per il braccio, se il mare si fosse ingrossato ancora non potevano separarsi, troppo pericoloso… le onde li spingevano ancora più lontani…
… e l’ultimo pensiero del ragazzo vedendo la nave sparire fu se, fossero rimasti a bordo, avrebbero davvero potuto fare la differenza per quella ciurma sfortunata.
 


Dopo che Sora e Ventus si erano offerti volontari per occuparsi dei Caraibi – era comprensibile che dovessero andarci in due, con due Oscurità a perlustrare quel luogo, e lo era altrettanto che Ventus volesse andare con Sora perché era il momento che capissero anche come combattere assieme – Riku si era trovato con quello che era l’equivalente astratto del fiammifero senza capocchia. Kairi e Lea si erano appena ritirati da una missione che erano riusciti a stento a portare a termine e avevano bisogno di allenarsi ancora, Topolino non era ancora in condizione di combattere, e Aqua era intenzionata a fare delle ricerche sulla Guerra dei Keyblade nella biblioteca del castello.
Fu con estrema riluttanza che Riku lasciò Lea, Kairi e Shiro agli hangar del castello di Radiant Garden perché cominciassero le loro ricerche sulla persona sparita – eppure ricordava di aver avuto contatti anche lui con qualcuno di cui non ricordava il volto.
Si sentiva come se stesse cercando di afferrare il fumo a mani nude – aveva la risposta davanti a sé, eppure non riusciva ad arrivarci.
Era ancora immerso nei suoi pensieri quando stava scendendo dal portellone della navetta – sarebbe rimasto qualche ora ad aiutare Lea, probabilmente assieme potevano rimettere in ordine quei pezzi – e per poco non si spaventò quando vide una delle persone là per accoglierli all’atterraggio – per un momento gli era sembrato di vedere Saïx, ma si rese quasi subito conto che invece l’uomo aveva ciuffi di grigio tra i capelli, una pettinatura diversa, e il volto segnato da alcune rughe.
«Buongiorno, ragazzi!» Sembrava contento di vederli.
«Salve, Vostro Onore.» Lea fu il primo a fargli un cenno di saluto. Sembrava contento di vederlo. «Ricordate Kairi?» La indicò con una mano.
«La tua sorellina?» Il giudice – se era un giudice – la fissò, poi si rivolse a lei. «Ricordo ancora di quando venivi da noi a giocare con il cane. Adesso sono io ad avere un bimbo in casa.» Aggrappato alla gamba dei suoi pantaloni c’era un bambino con la pelle scura, di forse un anno e mezzo, con dei riccioli scuri che dovevano essere stati tagliati a macchinetta di recente e un piccolo zainetto sulla schiena. «Finn, vuoi salutare i signori?»
«Shiro!» pigolò il bambino, poi lasciò la gamba del giudice e si lanciò ad abbracciare la ragazzina.
Oltre al giudice e al piccolo Finn, nell’hangar c’erano Stitch, Cloud, e un uomo con i capelli rossi che si presentò come Genesis.
«Si sta preparando una battaglia in un mondo non lontano da qui.» Fu Riku, da Maestro del Keyblade, a trovarsi a spiegare al giudice – Ilyas, si chiamava così? – e a Genesis cosa stesse accadendo mentre percorrevano i corridoi che portavano allo studio. «Xehanort è un nome noto per voi, no? Abbiamo nei piani di fermarlo una volta per tutte. Riportare a casa le persone che ha strappato alle loro famiglie.»
«Ne so qualcosa, ha ancora il mio maggiore nelle sue grinfie luride,» il giudice commentò, e Riku non si stupì di averlo scambiato per una delle Oscurità. «Finn non ha mai conosciuto suo fratello Isa.»
«Terra!» Stitch rincarò la dose trotterellando sul pavimento.
«Dire che sia noto è poco. Mi ha quasi fatto a pezzi come una bambola di pezza.» Genesis per poco non sputò per terra. «Lui e quel Braig. Anzi, stavo iniziando a chiedermi se non fosse quello a comandare.»
«Xigbar?» Kairi alzò un sopracciglio.
«Comunque si chiami.» Cloud si portò una mano alla fronte. «Di sicuro, prima di Xehanort c’è sempre stato lui, almeno qui.»
«Ha ragione Cloud.» Lea commentò con un sospiro. «Braig era ancora Braig quando lo Xehanort che conosciamo noi era ancora Terra
Ienzo era al suo solito posto nella sala computer, intento a parlare a Otto e Nove tramite il microfono. I cerchi scuri sotto i suoi occhi si erano allargati, e Riku non poté fare a meno di pensare che lo studioso stesse combattendo la loro stessa battaglia, e altrettanto strenuamente.
«’giorno,» bofonchiò vedendoli entrare. «Ancora nessuna novità. Otto e Nove vanno in crash tutte le volte che si spingono troppo in avanti. E dopo quel che è successo a Shiro non mi fido a mandare un altro Custode del Keyblade lì dentro.»
«Beh, le tue preghiere sono esaudite, perché la Maestra Aqua ha detto…» Lea fece per annunciarsi trionfalmente, ma Kairi lo prese per un orecchio.
«La Maestra Aqua non ha detto di metterci in pericolo inutilmente. Se ti perdi, sarà Elsa che andranno a cercare.»
Ienzo incrociò le braccia.
«Dovevi davvero tenere al membro che abbiamo perso, Lea.» Commentò con un raro sorriso. «Secondo i miei calcoli, sarebbe certo che Xigbar ha lasciato una trappola nei dati delle ricerche, e certo che verrebbe fatta scattare se ci fosse un Creativo lì dentro.»
«Ienzo, non è che aggiornando il sistema operativo potremmo disabilitare le trappole?» Kairi intervenne.
Sia Riku che Lea si girarono verso di lei.
«Cosa
Kairi guardò Riku e soffocò una risatina.
«Tu e Sora vi siete davvero persi l’ultimo anno di scuola.» Commentò. «Mi ero scordata di dirvelo. Hanno iniziato a insegnarci informatica e a farci fare molto più lavoro ai computer. Non mi voglio considerare un’esperta, ma se i programmi che stiamo usando per decrittare il disco vanno in crash, vuol dire che abbiamo bisogno di più potenza di fuoco. Se i computer della scuola venivano attaccati da dei malware complessi, la prima cosa che facevano i professori era aggiornare l’antivirus…»
Ienzo scosse la testa e abbassò lo sguardo.
«Fosse facile. Il sistema operativo di questo computer non è affatto semplice come si potrebbe pensare. È stato progettato da uno studioso di un altro mondo di cui si sono perse le tracce anni e anni fa…»
Un momento. Riku questa storia l’aveva già sentita.
«Kevin Flynn?» Azzardò a chiedere.
Ienzo alzò la testa.
«Riku, come sai quel nome?»
«L’ho conosciuto. Durante il mio esame del Simbolo della Maestria.» Riku si cercò nelle tasche fino a trovare il suo giornale dell’esame, poi guardò Ienzo negli occhi. «Mi dispiace dirti che è morto… e di recente. Ma ha un figlio, un ragazzo di nome Sam. Ed essendo io, come dice Kairi, un gran pezzo di tonto, mi feci dare la sua e-mail e me ne sono quasi dimenticato.»
Aprì il giornale alla pagina a cui lo aveva annotato, poi lo passò a Ienzo.
«Di’ che sei mio amico,» gli disse, accennando a un sorriso.
 


«Dove pensi siamo finiti?»
Dopo essere naufragati dopo l’attacco della nave fantasma, Sora e Ventus si erano risvegliati in quella che sembrava un’enorme distesa deserta. Il che non aveva senso – erano ancora vestiti da pirati, ed entrambi avevano i capelli e gli abiti ancora incrostati di salsedine.
«Non lo so. Credevo di conoscere questo mondo.» Sora fece qualche passo, poi si guardò attorno. Il terreno attorno a loro era costellato di ciottoli tondi. «Deve essere successo qualcosa di grosso mentre ero via.»
Alla faccia del grosso, Sora. Siamo passati dal mare aperto al deserto! È quasi come se fossimo fuori dal mondo!” Roxas commentò nella sua testa.
«Tu non hai visto niente quando io e Ventus abbiamo perso i sensi, suppongo.»
Notizia dell’ultimo minuto, Sora. Io vedo quel che vedi tu.
«Almeno potresti esserci d’aiuto.» Sora commentò, esasperato. Ventus si lasciò scappare una risata.
«Scusami, non dovrei ridere,» si fece serio quasi immediatamente. «Fa un effetto strano, però. Non riuscire più a sentire Roxas.»
Sora lanciò un’altra occhiata ai sassi. Avrebbe giurato di aver visto uno o due di essi muoversi.
«Lo avete visto anche voi?»
«Visto cosa?» Ventus si grattò la testa sotto la bandana.
«I sassi…» Sora segnò a dito il più vicino a loro. Proprio mentre lo indicava, il ciottolo mise le zampe. Letteralmente. Spuntarono chele e zampe sotto di esso, e prese a zampettare lontano da loro. La stessa cosa fece quello immediatamente accanto, e poi altri tre, quattro, cinque… non erano ciottoli, erano granchi.
Va bene, questa non me l’aspettavo.” Roxas commentò.
«Se sono granchi, staranno andando verso il mare!» Ventus prese a inseguirli. «Non dobbiamo essere tanto lontani dalla costa!»
Sembravano soltanto aumentare, e Ventus sembrava avere ragione – andavano tutti in una direzione. Restava la domanda di cosa ci facessero là – e cosa ci facessero là loro, soprattutto. Sora si sentiva tanto come quella volta in cui era atterrato ad Atlantica senza sapere di essere lì. Evidentemente, proprio come in quel caso, si era imbattuto in una parte di quel mondo di cui ancora non era a conoscenza.
Si intravedeva un’enorme ombra davanti a loro, e dopo il silenzio spettrale, interrotto soltanto dai loro passi, Sora finalmente sentì una voce familiare.
«Siamo anche inseguiti dai sassi… ci mancava solo questa!»
E anche lui sembrava parlare da solo.
«Oh, guarda. Una cima!»
Sora accelerò il passo… non si rendeva conto di quanto perso si era sentito fino a un momento prima, ma quella davanti a loro, se pur spiaggiata nel deserto, era la Perla Nera… e quello che stava cercando di trainarla, con solo una cima, era nientemeno che…
«JACK SPARROW!» Sora si fermò davanti al pirata, sorridendo da orecchio a orecchio. Ventus si fermò un passo dietro a lui, esaminando con lo sguardo quello che per lui era un perfetto sconosciuto.
Jack sferrò a Sora un’occhiata di rimprovero.
«Capitan Jack Sparrow!» Sbuffò esasperato, poi fissò Sora e parve riconoscerlo. «Salve, Sora! Ti chiederei se tu fossi un miraggio, ma… non conosco il tuo amico. Ergo per cui, non sei un miraggio.»
«Io mi preoccuperei della nave, signore.» Ventus indicò la chiglia. I granchi si erano ammassati sotto lo scafo della Perla Nera, cominciando a sollevarla e a portarla in avanti… lontano da loro.
«Mannaggia!» Jack si girò subito, prendendo a inseguire la nave di corsa. Sora e Ventus lo seguirono a ruota, ma Ventus fu il più rapido dei tre e con un salto raggiunse la poppa e prese ad arrampicarsi.
Qualche minuto dopo, calò una cima dal castello di poppa, e prima Sora, poi Jack si arrampicarono su e risalirono a bordo.
«Bene, e adesso?» Sora si incrociò le braccia dietro la testa mentre il deserto roccioso sfrecciava davanti a loro.
Una linea azzurra era comparsa all’orizzonte.
«Adesso ce ne andiamo da qui!» Jack annunciò, trionfante.
Mentre la nave si inerpicava su una duna e scivolava giù, con Jack in posa maestosa su uno dei pennoni, Sora e Ventus si affacciarono al parapetto – c’erano altri pirati in riva al mare. Sora riconobbe il Signor Gibbs in mezzo a loro, e il muto Cotton con il pappagallo, e Marty… era la ciurma di Jack! Li riconosceva!
«Credo di aver capito perché siamo finiti qui. Scendiamo!» Sora scavalcò il parapetto e balzò nell’acqua bassa. Ventus arrivò immediatamente dopo, ultimo Jack che dovette scendere dall’albero.
«Sora? Cosa ci fai qui?»
Era una ragazza ad aver parlato. Sora non la riconobbe immediatamente per Elizabeth.
«Siamo sulle tracce dell’Organizzazione.» Sora spiegò. «Sono tornati a combinare macelli.»
«Ci mancava questa.» Un altro pirata si avvicinò a loro… un momento, era Will! Quanto erano cambiati?
«Mi hai preso le parole di bocca.» Accanto a Sora, Ventus si incrociò le braccia dietro la testa. «Ci ho quasi lasciato le penne anni fa, per aiutare a fermare il loro fondatore. Ma l’erba cattiva a quanto pare non muore mai. E si è comunque presa la mia famiglia.»
«Ne so qualcosa,» Will sbuffò, poi tese stancamente una mano a Ventus. «Sei un amico di Sora? William Turner. Puoi chiamarmi Will.»
Ventus abbozzò un sorriso mentre stringeva la mano del pirata. «Io sono Ventus. Puoi chiamarmi Ven.»
«Elizabeth, cosa è successo mentre ero via?» Sora non perse tempo a chiedere. «Sembrate tutti molto cambiati.»
Elizabeth si guardò attorno e scosse la testa.
«Jack si è messo nei guai con il capitano dell’Olandese Volante. La Compagnia delle Indie ne ha approfittato per prendere il controllo di quella nave… usarla come arma contro i pirati.» La ragazza raccontò. «Jack era stato intrappolato nello scrigno di Davy Jones… credo dobbiamo ringraziare voi due se lo avete portato qui.»
«Quindi era l’Olandese Volante… la nave che abbiamo visto?» Ventus azzardò un’ipotesi. «Ha affondato una nave come fosse una barchetta di carta. Ne siamo scampati solo perché qualcosa ci ha sbalzati lontano.»
Una donna con la pelle scura e i capelli raccolti in treccine si avvicinò a loro, lanciando un’occhiata penetrante.
«Rinforzi per il brillante Jack!» Esclamò. Il tono della sua voce e il suo portamento erano quelli di una donna saggia, forse una sacerdotessa. «Mi domando, sarete voi la chiave della vittoria?»
Ventus fece un passo indietro e andò quasi dietro Sora. Mentre la donna rideva, Sora notò qualcun altro in mezzo ai pirati sulla spiaggia – un’altra faccia nota che non gli piaceva.
«Cosa ci fa Barbossa qui?» Lo segnò a dito mentre Jack iniziava a litigare con il pirata.
«È uno dei Nove Pirati Nobili.» Will spiegò, facendo un paio di passi verso Jack. «Ci servono tutti e nove per convocare il Consiglio della Fratellanza. Né Jack, né Barbossa avevano nominato un successore.»
«Il Consiglio della Fratellanza?» Sora ripeté. Gli ricordava molto la loro missione per radunare i Guardiani della Luce.
«Sì, per fronteggiare la Compagnia delle Indie.» Elizabeth finì di spiegare. «Sora… siamo in guerra.»
Jack doveva aver appena sentito una spiegazione simile da Gibbs, o da Barbossa, perché visto da lontano sembrava abbastanza esasperato.
«Non vi posso lasciare soli un momento, ma che diamine!» Jack si allontanò da tutti con il suo solito incedere barcollante. «Perché mai dovrei imbarcarmi con voi, di cui quattro hanno tentato di uccidermi e una ci è riuscita
Nessuno sembrò aver capito le parole di Jack… tranne Will ed Elizabeth.
Entrambi sobbalzarono come se fossero stati punti, e Will si girò verso la ragazza.
«Oh… non te l’ha detto?» Jack sogghignò.
 
Ventus scese sottocoperta e appoggiò la schiena ad uno dei pali. Sora era stato entusiasta di essere di nuovo in quel mondo, ma lui non sapeva dire se fosse stata una buona idea seguirlo.
Persone che secondo il giornale nel telefono erano stati avversari adesso erano alleati, Elizabeth a quanto pareva aveva voltato le spalle a Jack, lasciandolo alla mercé di un mostro chiamato Kraken, i pirati erano braccati e sull’orlo di una guerra, e adesso stavano facendo vela per sfuggire ad un mare oscuro ostile a qualsiasi cosa fosse vivo.
Non era proprio la migliore delle avventure, anche se lui e Sora avrebbero potuto andarsene in qualsiasi momento. Ma Ventus era certo che Sora non avrebbe mai voltato le spalle a un amico.
«Will, non avevo scelta. Ero io a dover portare quel peso.»
Non era solo lì sotto. Elizabeth e Will erano intenti a discutere di qualcosa, ignari che Ventus fosse lì sotto a sua volta per cercare di mettere in ordine i suoi pensieri.
«Se fai le tue scelte da sola, come posso fidarmi?» Will le ribatté. Il suo tono di voce sembrava calmo, ma Ventus aveva già sentito discussioni del genere. Al Cimitero dei Keyblade, ed era stata Aqua ad accusare Terra in maniera simile.
«Non puoi
Rimase fermo e in silenzio fino a quando non sentì i loro passi allontanarsi.
Sulla nave era calato di nuovo il silenzio, e Ventus si lasciò scivolare in posizione seduta.
«Hey, Ven.»
Era la voce di Sora. Evidentemente doveva essere venuto a cercarlo.
«Successo qualcosa di sopra?» Ventus si rimise in piedi.
«Tia Dalma. Dice che vuole spiegarci che succede.» Sora era appena visibile nella penombra, ma gli stava chiaramente facendo gesto di seguirlo.
Stava iniziando a farsi buio anche sul ponte, e un membro della ciurma aveva preso ad accendere delle lanterne. Sul castello di poppa, Jack e Barbossa erano intenti a esaminare una mappa, anche se il loro sembrava più un tiro alla fune. Tia Dalma, la sacerdotessa vudù che aveva quasi spaventato Ventus, era seduta su di una cassa verso prua, e fissava la superficie piatta del mare.
«Cosa sapete di Davy Jones?» chiese ai ragazzi.
«Ne avevo sentito parlare di sfuggita la mia prima volta qui. Mi era parso più una leggenda che altro.» Sora ammise.
«A me pare un nome di persona.» Ventus scosse la testa. «Chi sarebbe, qualcuno con cui Jack si è messo nei guai? E perché sarebbe tanto potente?»
«Stessa storia. Diverse versioni. Vere entrambe.» Tia Dalma scosse la testa. «Era un lupo di mare, e del mare si innamorò. La dea… Calypso… gli conferì il compito di portare coloro che muoiono in mare al mondo finale, e ogni dieci anni gli permise di vedere colei che ama… ma la dea era volubile e crudele, e il dolore che lei gli inflisse era troppo per poter vivere, ma non abbastanza da morire.»
Ventus cercò lo sguardo di Sora, e vide che la sua espressione era turbata quanto la sua doveva esserlo. Una persona ferita dai propri sentimenti in quel modo non poteva che voler dire brutte notizie.
«Ma non si può sbarazzarsi dei propri sentimenti.» Sora si infilò una mano sotto il cappello. «Non funzionerebbe neanche cavarsi il c…»
«… Il cuore.» Tia Dalma annuì. «Si strappò il cuore dal petto e lo nascose in un forziere. E ora lo ha la Compagnia delle Indie.»
«Ma gli è andato in pappa il cervello?» Sora esclamò.
La sacerdotessa non disse nulla, e si limitò a fissare una flottiglia di barche davanti a loro, ognuna con una singola lanterna a bordo, occupate da una o due persone. Non sembravano sbattere minimamente le palpebre, fermi come statue. Ventus era quasi certo che fossero morti, in viaggio verso l’altro mondo.
Altri membri della ciurma si affacciarono al parapetto, ed Elizabeth Swann sembrò riconoscere uno degli occupanti delle barche.
«Mio padre…?» Gemette. «Non può essere qui… non deve essere qui!»
Ventus si sporse verso l’esterno – un uomo anziano, con un tricorno e una parrucca dai boccoli grigi, alzò lo sguardo e parve riconoscerla. La fissò negli occhi e iniziò ad enunciare un monito.
«È stato per un forziere… e un cuore… se pugnali il cuore, devi prenderne il posto…» mormorò. Sembrava quasi far fatica a ricordare. «… per l’eternità… l’Olandese Volante deve avere un capitano…»
Alla luce di quello che Tia Dalma aveva appena raccontato a Sora e Ventus, non era difficile immaginare cosa fosse successo – il padre di Elizabeth doveva sapere che Davy Jones dava la caccia ai pirati… e probabilmente aveva cercato di toglierlo di mezzo, forse per salvare la vita alla figlia.
E aveva fallito.
Era tutto orribilmente familiare. Ventus ricordava ancora di quando, per impedire il X-blade, il Maestro aveva… e Terra aveva… e quello che era stato sperato come un tentativo, per quanto disperato, per quanto ingiusto, di impedire che la situazione precipitasse, l’aveva soltanto portata a peggiorare ancora più in fretta.
Gli tremavano le gambe… non riusciva più quasi a reggersi. Qualcuno lo aveva preso, riconobbe Sora… nonostante il ronzio nelle orecchie, e la sensazione di non essere davvero lì… riuscì a vedere Will che portava via Elizabeth dal parapetto, e lei che prendeva a piangere sulla sua spalla.
«Non c’è un modo…?» Sora stava chiedendo alla sacerdotessa, la sua voce quasi una supplica.
Tia Dalma scosse la testa.
«È in pace.»
 


Lea girò la chiave nella toppa e spinse la porta.
Casa sua era esattamente come la ricordava… a parte il disordine. Sembrava quasi normale, quasi come se ci fosse stato un aiuto a fare i lavori di casa quando lui e la nonna non avevano potuto. Non c’erano calzini sparsi sul pavimento, i giocattoli di Kairi erano in una cesta e i libri di scuola tutti su uno scaffale, c’era persino la sua uniforme scolastica appesa ad una gruccia… sembrava quasi irreale.
«La magia di Merlino, suppongo.» Lea commentò, facendo gesto a Kairi di precederlo. «Era molto più in disordine nei miei ricordi.»
Non si sentiva molto di parlare, e lasciò che Kairi osservasse, che mettesse insieme i pezzi della vita che avevano vissuto guardando le foto alle pareti, il divano e la televisione nel soggiorno… su un tavolino era stata poggiata, vuota, la ciotola in cui la nonna aveva servito loro i biscotti dopo la partita in cui Cloud aveva segnato un fuoricampo, e sul pavimento appena vicino al divano c’era il barattolo di cerone blu che Lea, Isa e Zack avevano usato per tingersi la faccia.
Un momento, cosa ci facevano quelle cose lì? Non ricordava ci fossero state quell’ultima notte – era quasi certo che il cerone fosse stato dimenticato in uno dei suoi armadi, e la nonna non aveva più infornato biscotti da quando Cloud e Zack erano spariti…
«Lea, credo che dovremo riparare una delle cornici.» Kairi lo chiamò dal corridoio. Era davanti alla parete dove la nonna aveva conservato tutte le fotografie dei loro compleanni, e il vetro di una delle cornici sembrava essere stato fatto a pezzi con una botta. Lea staccò la fotografia dalla parete e la esaminò – forse era stato il suo peggior compleanno, quello, da ragazzo. Era stata scattata a casa di Isa – riusciva a vedere Bolt che cercava di salire sul tavolo – e nell’inquadratura c’erano soltanto lui, Isa, e Kairi. Le candeline sulla torta erano quattordici.
«Qualcuno è entrato in casa.» Lea mugugnò. «Anche se sembra tutto in ordine.»
«Non ha senso. Qualcuno entra in casa solo per dare una martellata a una cornice?» Kairi scosse la testa, poi entrò in quella che era stata prima la stanzetta di Papà e poi la loro. «Potrebbe essere un difetto della magia di Merlino. Magari la foto ha picchiato contro la parete.»
«Potrebbe. Ma…» Lea guardò nella stanza. Kairi ancora non ricordava, e a prescindere dall’amnesia, le sarebbe stato difficile ricordare le loro vite prima di quanto gli era successo. «La ciotola nel soggiorno e il barattolo di trucco… l’ultima partita che giocò Cloud, settimane prima che Radiant Garden cadesse. Tornammo tutti qui, con le facce impiastricciate di blu, e tu mi rubasti l’ultimo biscotto da quella ciotola.»
«E che c’entra con la fot…?» Kairi stava per dire, ma qualcosa sulla loro libreria attirò la sua attenzione. L’enciclopedia dei ragazzi sullo scaffale più alto aveva uno dei volumi infilato sottosopra.
«Perché il volume quattordici è stato infilato dalla parte sbagliata?» Kairi si mise sulle punte per prendere il libro. «E quel pallottoliere sul pavimento, guarda il numero che sta segnando. Quattordici
«C’era un vecchio film che io e Isa vedevamo sempre da ragazzi in cui Quattordici era il nome di un personaggio.» Lea commentò. «Ma dubito ci sia il suo zampino. Non parlavamo più nei nostri ultimi giorni, e la cosa brutta è che, a parte alcune discussioni su Shiro e Roxas che non possono aver causato tutto quanto, non ricordo nemmeno il perché
Kairi si avvicinò una mano al mento.
«Lea, Shiro aveva un numero? Nell’Organizzazione?»
Lui scosse la testa.
«Questo Quattordici doveva essere importante. Xigbar ha bloccato i dati del Progetto Replica. Tu e Saïx probabilmente avete anche litigato per lui, e dato che è scomparso molto dai diari di Shiro, doveva essere qualcuno molto importante… forse un migliore amico, come lo era Roxas.» Kairi prese a camminare avanti e indietro.
«Pensi fosse una Replica? Non avrebbe senso... La Replica di Riku non l’abbiamo mica dimenticata.» Lea si lasciò cadere sul suo letto. «E ammesso e non concesso che Quattordici sia una Replica… di chi?»
«La risposta più ovvia sarebbe Sora.» Kairi gli si sedette accanto. «Se hanno copiato Riku, che all’epoca non aveva un Keyblade… e il Keyblade era il loro obiettivo…»
«Non ha senso. Avevamo Roxas.»
«Forse lo ha. E se a un certo punto i due non fossero più potuti coesistere, come i ricordi di Naminé nella testa di Sora?»
Un flash passò nella mente di Lea. Era un ricordo indistinto, non riusciva a capire di quando, ma ricordava Saïx, e una domanda.
Preferiresti perdere un’amicizia fittizia o una autentica?
«Torniamo da Ienzo.» Lea si mise in piedi. «Se Sam Flynn non ci aggiorna il sistema, possiamo sempre ricorrere alla vecchia maniera. Si mettono insieme tutti i pezzi… e speriamo che combacino.»
 


Ventus salì le scale, avanzando cautamente e a passo leggero ad ogni gradino. Non voleva svegliare Sora – non voleva farlo preoccupare dopo che si erano addormentati ridendo e fingendo di duellare a gomitate nella stessa branda.
Si era già fatto in quattro per calmarlo dopo tutto il giorno, dopo che era venuto fuori che Will li avesse venduti a un certo Capitan Sao Feng, Sao Feng si fosse venduto da solo alla Compagnia delle Indie, Barbossa avesse rivelato di aver fatto un patto con la dea Calypso, Elizabeth avesse deciso di andarsene con Sao Feng, e i pirati si fossero riconciliati giusto in tempo per scacciare la marina inglese e fuggire.
Dopo un viaggio che gli era parso interminabile nel mare oscuro dei confini del mondo, rivedere le stelle era quasi un sollievo, ma Ventus si sentiva troppo male per apprezzarlo. Amici che alzavano le lame tra loro, un padre che aveva dato la vita per la propria figlia, una situazione talmente incasinata e ignota che non riusciva più a capire chi fosse nel giusto… Sora non aveva mai avuto esperienza di eventi del genere, ma lui sì. E li ricordava ancora come fossero accaduti il giorno prima.
Si lasciò cadere su una cassa e smise di trattenere il nodo che gli aveva stretto la gola fino a quel momento. Aveva bisogno di piangere. Era come rivedere sé stesso, Terra e Aqua rifarsi un’altra volta la vita a pezzi.
Era quasi riuscito a calmarsi quando un tonfo di legno contro acqua lo distrasse dai suoi pensieri, e si asciugò subito la faccia con il dorso della mano per guardarsi attorno meglio.
«Chi va là?» Portò Evocavento alla mano e chiese, sperando che non fosse percepibile che la sua voce fosse ancora rotta dopo i singhiozzi.
«Shhh… sono io, sono Will!»
La voce e l’ombra di Will Turner si stagliarono contro una delle lanterne del castello di poppa.
«Credevo che Jack ti avesse messo sotto chiave.» Ventus non abbassò l’arma.
«Jack fa un sacco di cose.» Will si strinse nelle spalle. «E poi cambia idea dopo un paio d’ore. Abituatici, perché succede fin troppo spesso.»
Si avvicinò a lui abbastanza perché Ventus vedesse che stava abbozzando un sorriso. Il ragazzo dismise il Keyblade e si rilassò.
«Qualcuno ha aperto la porta di notte.» Will disse con una risatina silenziosa. «È quasi impossibile capire cosa passa per la mente di Jack, a parte che non riesce a stare cinque minuti senza almeno un goccio di rum.»
«E cosa passa per la tua?» Ventus si grattò i capelli sotto la bandana.
«Davy Jones ha mio padre.» Will mormorò. «Precettato nella sua ciurma. Gli ho promesso che avrei ucciso Jones e lo avrei liberato, e quello che ho fatto… il patto con Sao Feng, la ricerca di Jack… lo sto facendo per lui.»
Oh. Ventus non poteva essere certo di capire, ma per certi versi si sentiva affine al pirata.
«Beh, mio fratello è nell’Organizzazione.» Gli si sedette accanto. «Hanno portato via il nostro tutore e lo hanno preso con l’inganno.»
«Non è quello che ha sempre in mano un mazzo di carte, vero?» Will alzò lo sguardo.
«No…» Ventus scosse la testa e abbozzò un sorriso. «Si chiama Terra, e non è mio fratello di sangue. Siamo soltanto stati cresciuti dallo stesso maestro, assieme a un’altra ragazza.» Abbassò di nuovo lo sguardo. «Venimmo attirati in una trappola… il capo dell’Organizzazione ci mise uno contro l’altro, non ci fidavamo più tra noi. Io ero sulle tracce di Terra perché mi era stato detto che sarebbe stato perso, ma non avevo il permesso di allontanarmi da casa. E la nostra amica Aqua, era stata incaricata di sorvegliare lui e portare a casa me. Terra non voleva tornare a casa senza provare sé stesso, e io non volevo tornare a casa senza di lui
«Oh…» Will mormorò. «Spero di non incontrare mai questo tipo.»
«Non ti preoccupare. L’ultima volta che s’è realmente sporcato le mani da solo è stato quindici anni fa… per spaccarmi il cuore a metà.»
«Come diamine…?» Will scattò su con la schiena.
Ventus si sbottonò la camicia ed espose la cicatrice da taglio che aveva a sinistra dello sterno.
«Campo così da quando avevo dodici anni. Non fare quella faccia, sto benissimo. Certo, esiste un mio doppio cattivo da qualche parte con l’altra parte del mio cuore, e probabilmente finché sono vivo io, lui non può morire, ma… sto bene
Riusciva quasi a sentire Paperino starnazzargli “L’ORDINE!” nelle orecchie, ma in quel momento aveva bisogno di sfogarsi.
«O almeno stavo bene, fino a quando non mi è sembrato di rivedere tutto quanto. Tu, Jack ed Elizabeth che scappate e vi inseguite. Il vecchio nella barca. E se quel Davy Jones si prendesse uno di voi?»
«Lo ha già fatto.» Will non fece una piega. «E siamo comunque venuti a riprenderlo.» Rimase un momento in silenzio. «Jack ti potrà sembrare un incorreggibile farabutto perennemente ubriaco, e a volte lo è… ma quelle che possono sembrare fantasie campate in aria a prima vista, con il tempo per lui finiscono per avere senso, e in un qualche modo finisce a ridere davanti a te asserendo che è andato tutto come da piano. Come quando ha fatto capovolgere la nave per ritornare nel mare dei vivi. Quando avevamo bisogno di lui, Jack c’è sempre stato.»
«Non hai paura?» Ventus chiese a Will. «Sembra quasi che questa guerra sia una causa persa.»
«Nessuna causa è persa, Ven. Non finché un solo folle combatte per essa.» Will gli mise una mano sulla spalla. «In un qualche modo riusciremo a fare Jones secco. Jack o non Jack, maledizione o non maledizione. E in un qualche modo, tu riporterai tuo fratello a casa.»
Ventus non sapeva se Will stesse solo cercando di calmarlo o se intendesse davvero quello che stava dicendo, ma evidentemente aveva avuto bisogno di quelle parole. Si sentiva meglio. Will capiva. Alzò lo sguardo e sorrise, poi indicò le stelle sopra di loro.
«Sai, una volta Terra mi disse che le persone importanti ti illuminano la strada come le stelle nel cielo.» Raccontò. «Ho capito che voleva dire soltanto qualche giorno fa… e sono sempre più convinto che avesse ragione.»
Quando avrò bisogno di te, Ven, so che ci sarai.
Ventus non lo aveva scordato. Anche se fosse sembrata una causa persa, se ci fosse voluto del tempo, lui sarebbe stato lì per il suo vero fratello.

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Capitolo 8
*** Una Ragione Per Combattere ***


Probabilmente un po' di dettagli di San Fransokyo (la prof, Karmi, Viscidino, il cappuccino di Krei, e Noodle Burger) non vi saranno familiari. Beh, è tutto nella serie TV. ;) 

Guardians – Capitolo 8
Una Ragione Per Combattere
 
«E poi Will dov’è finito?» Sora finì di pulire i pesci che erano riusciti a prendere prima di attraccare alla Baia dei Relitti. I Pirati Nobili si erano riuniti in Consiglio, ma a gran parte delle ciurme non era stato concesso di assistere.
A Sora sarebbe piaciuto vedere un consiglio di pirati, ma a giudicare dai rumori che venivano dal piano di sopra era stata una buona idea restare di sotto e aiutare nelle cambuse. D’altra parte, quello che aveva imparato con Piccolo Chef poteva tornargli utile, e quando era stato bambino, la mamma gli aveva sempre detto e ripetuto che c’erano abilità che erano necessarie per qualsiasi persona che si definisse un adulto – e cucinare era una di queste. Tanto valeva far pratica.
«Avevamo appena finito di parlare quando Jack ci ha sorpresi. Pare che Will stesse lanciando barili marcati in mare,» Ventus, che stava badando al fuoco, disse a voce bassa. «Voleva attirare qui l’Olandese Volante. Per uccidere Jones e liberare suo padre.»
«E la maledizione del forziere fantasma?» Sora chiese subito. Ricordava ancora le ultime parole del governatore Swann.
«Come ho detto, Jack lo ha scoperto.» Ventus sistemò una pentola sul fuoco e iniziò a buttarci dei pezzi di galletta e della carne salata che avevano trovato sulla nave. «Se non era stato proprio lui a lasciarlo uscire. Anche Jack ha dei piani… la maledizione lo renderebbe immortale, a quanto pare, e adesso è lui che vuol pugnalare Jones.»
«Oh. Okay.» Sora pulì il coltello, poi buttò il pesce nella pentola. «Non mi spiego perché Will non è qui con noi, allora.»
«Jack gli ha dato una bussola e lo ha buttato in mare in uno dei barili.» Ventus si strinse nelle spalle. «Poi ha fissato me e mi ha detto che nessuno doveva sapere cosa era successo, e non mi aveva spinto giù con Will solo perché a quanto pare il mio nome significa qualcosa di importante in un’antica lingua di questo mondo e non voleva tirarsi contro la malasorte.»
«Se Jack sa che mi hai detto tutto, potresti finire nei guai.» Sora guardò lo stufato che bolliva.
«Oh, non credo. Ha detto che nessuno doveva sapere.» Sul volto di Ventus si dipinse un sogghigno malandrino. «Non di non dirti nulla.»
Non ci credo. Ventus no, Ventus QUESTA è SQUALLIDA.” Roxas protestò nella testa di Sora. Ventus non poteva sentire, ma rise. Forse aveva immaginato che Roxas avrebbe reagito in quel modo.
«Non capisco però perché Jack abbia dato a Will una bussola.» Ventus si rifece serio.
«Gli ha dato la bussola?» Sora commentò. «Allora vuol dire che si fida di lui. Quella bussola non segna il Nord. Segna quello che cerchi e quello che vuoi
«Quindi se Will stava lasciando tracce per Beckett… e Jack lo ha lasciato assieme alle tracce con la sua bussola…» Ventus aggrottò le sopracciglia.
Vuol dire che stanno collaborando. O che Jack sta aiutando Will.” Roxas disse, e Sora ripeté.
«Sarebbe forte avere una bussola come quella,» Ventus ammise, tirando qualcosa fuori dai pantaloni. Sora riconobbe la stessa stella di vetro che avevano Aqua e Shiro, solo che questa era di due diversi toni di verde. «Quando Aqua fece questi, disse che ci avrebbero legati in qualche modo. Come se fossero stati una specie di bussola.»
«Da noi è una specie di tradizione. Li fanno i marinai… è una specie di scongiuro per tornare a casa.» Sora estrasse il suo. «Anche Terra ne ha uno, vero?»
Ventus sorrise e annuì, poi rimase in silenzio. Qualcosa lo aveva turbato in quei giorni, Sora ne era certo, ma aveva rinunciato a parlargliene per non sembrare un idiota. Quello, e aveva anche le sue, di gatte da pelare.
Avevano i Sette Guardiani anche senza aver salvato Terra, e quello voleva dire che da un momento all’altro, il telefono nella sua tasca avrebbe squillato, e Aqua o Topolino o Yen Sid avrebbero annunciato il momento di andare a quel cimitero maledetto e combattere. E Sora non si sentiva pronto.
Aveva visto come era stato rapido Ventus quando degli Heartless avevano cercato di abbordare la Perla Nera, ed era riuscito a tener testa ad Aqua solo dopo che lei era stata apparentemente stancata da Riku – che pur essendo più forte di Sora, ne era comunque uscito lievemente ferito.
Quanto a Terra, non era sicuro che fosse stato lui, ma settimane prima, appena prima che Pence fosse riuscito a contattarlo dicendo di aver ritrovato la doppia Crepuscopoli, Sora aveva indagato con Cip e Ciop su uno strano portale. Soltanto dopo essere arrivato ai Caraibi aveva fatto due più due, dopo aver visto l’armatura di Ventus e quella che era stata prestata a lui: l’armatura abbandonata nel deserto, quella che gliele aveva suonate di santa ragione prima di “rendersi conto” che lui non era un’Oscurità… somigliava tantissimo alle armature del Castello di Partenza… e se fosse stata l’armatura di Terra?
In tal caso, sarebbero stati cavoli amari. Xehanort da solo li ha tolti dai giochi, Riku aveva detto nei mondi dormienti, e Sora non era ancora all’altezza di nessuno dei tre.
  


Riku non ricordava l’ultima volta che era stato nella mensa di una scuola, ma questa era senza dubbio diversa dal suo liceo alle Isole. La sala mensa del San Fransokyo Institute of Technology era un edificio in vetro e metallo, ed era piena di ragazzi, chiasso, e odori vari.
«Immagino che tu sia abituato al liceo.» Gogo lo guidò – ahem, spinse – in avanti fino a quando il gruppo non arrivò a un tavolo. «Bene, scordatelo. Questo è un college, mozzo.»
Gli pareva quasi strano che fino a qualche ora prima, aveva dovuto proteggere i cinque ragazzi e il loro robot da un attacco di Heartless meccanici su un ponte, per poi essere portato di peso in un garage a spiegare cosa fossero gli Heartless e come combatterli.
A quanto pareva, i ragazzi, il quattordicenne Hiro e i suoi amici Gogo, Wasabi, Fred e Honey Lemon, erano studenti in quel college di giorno e supereroi di notte, con la direttrice del laboratorio, la professoressa Granville, a coprire i loro atti eroici e a garantire la scuola come base operativa. Ed era così che adesso Riku si trovava un cartellino con il suo nome e la scritta “IN VISITA” appuntato ai vestiti, i numeri dei cinque ragazzi sul telefono, e Baymax il robot che avvertiva Gogo di non spingere Riku troppo forte, o lui sarebbe potuto cadere a terra e provocarsi un trauma alle braccia o ai denti.
«Quindi hai detto di essere in visita dalle Hawaii e che stai considerando una possibile opzione di carriera dopo il liceo?» Hiro gli ripeté la recita che avevano messo a punto con la professoressa Granville perché Riku avesse una scusa per girare nella città e nella scuola senza dare troppo nell’occhio. «Ti consiglio di lavorare sodo, qui abbiamo un esame di ammissione per entrare.»
«Oh, guarda, ha parlato lui
A intervenire era stata una ragazza, piccola di statura rispetto agli altri studenti ma leggermente più alta di Hiro, che era il più basso in tutta la stanza. Aveva i capelli castano scuro raccolti in una coda e l’aria stizzita. Hiro alzò gli occhi al cielo.
«Karmi, devo ricordarti com’è andata quando hai dovuto fare gli onori di casa con me?»
La ragazza non rispose e si allontanò, lasciando Hiro a sogghignare.
«La Granville voleva che la spingessi a socializzare. Diciamo solo che parla con i batteri,» disse a Riku.
Si sedettero al tavolo e Hiro tirò fuori un tablet.
«Allora, questa è la città. Il sindaco ha posto un ordine di evacuazione nel quartiere dove sono stati avvistati gli Heartless, quindi se ci tieni alla pelle non andarci… disarmato.» Mostrò una mappa. «Principalmente si parla dei quartieri dello shopping, di alcuni edifici affaristici… e la Kreitech, per la mia gioia, dato che mi fanno fare lo stagista a tempo perso e ora non hanno più scuse per farmi portare il cappuccino ad Alistair Krei.»
«Beh, sei stato tu a pregarlo di avere quel posto dopo che Karmi è stata presa da Liv Amara.» Wasabi precisò. Hiro gli lanciò un’occhiataccia.
Riku ridacchiò. Evidentemente, Hiro e Karmi dovevano essere rivali sul campus. La cosa gli portava alla mente qualche ricordo dei tempi del liceo.
«Bene, quando cominciate questo lavoro di gruppo allora?» Riku cercò lo sguardo di Hiro, sperando che capisse l’allusione.
«Se vuoi vederci all’opera, possiamo vederci stasera, a casa di Fred. Da lì, ci rimbocchiamo le maniche.» Hiro chiuse il tablet e fece un sorrisetto.
 
Riku passò la giornata a fingere di visitare il campus, con sullo smartphone una delle mappe della città passatagli da Hiro, che prendeva a studiare ogni volta che poteva. Al tramonto del sole, si recò sul posto che Hiro aveva segnato sulla mappa come casa di Fred, che più che una casa, magari poteva definirsi una villa.
«Bene, hai fatto presto.» Hiro lo accolse con un sorriso. Come tutti i ragazzi del gruppo e Baymax, era coperto da un’armatura con un visore scuro che rendeva impossibile riconoscerlo. Se Riku non li avesse già visti così sul ponte, difficilmente avrebbe fatto due più due. Avevano quasi un portamento diverso rispetto agli studenti universitari, mascotte, e robot impacciato che gli avevano fatto da ciceroni nel campus.
«È l’ora di fare pulizia!» Fred, coperto da un costume da mostro, annunciò felice.
«Aspetta, credo che qualcuno Karmi potrebbe ricordarsi di aver visto Riku allo SFIT, se dovessimo venire ripresi.» Hiro prese qualcosa da uno zaino. «Riku, mettiti questo in faccia e quest’altro in testa. Non possiamo correre rischi, specie con quella zecca.» Gli mise nelle mani un visore e un berretto beanie.
«La biologa è pericolosa?» Riku si infilò il cappello in testa. Non sarebbe sicuramente stato peggio che portare cappa nera e benda.
«La biologa scrive fanfiction su di noi.» Wasabi si strinse nelle spalle. «E Hiro non le sopporta.»
Riku dovette trattenersi per non scoppiare a ridere. , la sua ipotesi sembrava giusta. Si sistemò il visore sul volto e fece cenno di essere pronto.
Si diressero verso il quartiere invaso, che rispetto alle luci e alla vita notturna della città attorno a loro sembrava quasi buio e spettrale. Pur essendo la persona più grossa tra i cinque esseri umani, Wasabi tremava come una foglia sotto l’armatura.
«L’ultima volta non è andata tanto bene… non è che stiamo sbagliando?» mormorò, quasi facendosi piccolo.
«Tranquilli, so quello che faccio.» Riku camminò davanti ai sei, il telefono nella mano con la telecamera accesa. Avendo principalmente girato il Reame Oscuro, non poteva dire di conoscere gli Heartless dei Reami della Luce, ma fortunatamente da quando Otto e Nove registravano i giornali dei Guardiani della Luce su un server collegato ai cellulari, la telecamera del telefono poteva essere usata per registrare e consultare quei mostri. Se ci fosse stato qualcosa che Sora o Kairi avevano già incontrato, Riku avrebbe potuto consultare il giornale e sapere come eliminarlo in fretta.
Erano arrivati al palazzo della Kreitech quando li videro. Heartless gelatinosi di colore giallo e marrone, con solo due braccia tozze e che camminavano ondeggiando sul loro stesso corpo. Riku puntò su di loro la telecamera – e il giornale li riconobbe.
Avevano l’appropriato nome di Budini, Sora li aveva segnalati nel mondo dei giocattoli, a Tebe e nella fabbrica di Mostropoli. C’erano anche una segnalazione di Kairi ad Arendelle, una di Ventus in un posto chiamato Baia dei Relitti… e persino una di Shiro, nelle foreste di Corona!
«Signori, la trama si infittisce!» Fred raggiunse Riku. «Viscidino è stato clonato!»
«Viscidino?» Riku lo fissò.
«Prima o poi te lo presento.» Il ragazzo tagliò corto. Riku si concentrò sulla voce del giornale che parlava dei Budini.
«Questi sono inoffensivi.» Non lesse ad alta voce, ma riassunse quel che aveva letto perché i suoi sei nuovi amici potessero capire. «Se ne andranno da soli non appena li avremo soddisfatti… giocando con loro
Sora, dimmi che stai scherzando.
«Giocando?» Gogo affiancò Riku, cercando di leggere. «Chi ha scritto questo database?»
«Giocare aumenta i livelli di serotonina nel sistema nervoso.» Baymax enunciò. «Riduce lo stress e…»
Fred non lo lasciò finire e spiccò una corsa verso i budini. «E allora giochiamo!» Urlò, alzando trionfalmente le braccia. «Allora, Viscidini, a che volete giocare?»
I Budini presero a saltellare sul posto, e alcuni di loro indicarono le loro stesse teste. Fred rimase per un momento perplesso dal loro comportamento, poi spiccò un salto… e atterrò sulla testa di uno di loro.
Il Budino si acquattò, poi scagliò Fred in alto, facendolo atterrare sulla testa di un altro Budino, che a sua volta lo lanciò su un altro. Fred rideva e urlava a gran voce una filastrocca su novantanove scimmie su un letto, e dopo un attimo, Honey Lemon buttò una delle sue bombe chimiche a terra, creando una bolla elastica e prendendo a saltare anche lei, dalla bolla a un Budino, a un altro Budino, ad un altro Budino ancora… Gogo e Hiro presero a saltare anche loro prima che Riku cedesse, e soltanto dopo che Riku fu al suo secondo Budino, anche Wasabi prese a saltare assieme a loro, lamentandosi a ogni balzo di soffrire di vertigini.
A poca distanza, Baymax li fissava impassibile, commentando nella sua voce piatta di fare attenzione a non cadere per evitare traumi.
Dopo alcuni minuti, i Budini li lasciarono scendere a terra, per poi dedicare loro un applauso con le loro zampe tozze, e svanire nel nulla. Riku aveva il fiatone e sentiva la sua vecchia ferita al fianco tirare, ma non poteva negare di essersi divertito.
«Dubito saranno tutti come questi.» Si sistemò il berretto. «Saranno stati Budini, ma questo non era che l’antipasto.»
Si maledisse mentalmente per la battuta involontaria. Aveva passato troppo tempo a parlare con Ventus, prima di partire.
Come Riku aveva previsto, gli altri Heartless non furono altrettanto innocui. Dovette più volte rimanere a spiegare a Hiro e agli altri come muoversi per affrontarli, e in più casi Baymax lo analizzava e riprendeva – letteralmente – prima di entrare nella mischia. A quanto pareva, il visore non serviva a Riku soltanto per mantenere l’incognito, ma raccoglieva anche dati sul suo modo di combattere.
Avevano ripulito una dozzina di isolati dalle creature del buio quando Hiro annunciò che era abbastanza per una serata, e propose di andare a ordinare qualcosa da mangiare e riposarsi.
«Ordiniamo le consegne da Noodle Burger?» Propose con un mezzo sorriso. «Riku, non so cosa ti piace, ma si può ordinare con l’app e hanno il menu per intero.»
A Riku ci volle qualche interminabile minuto per decidere – non era abituato ad una scelta così vasta, considerando che la tavola calda alle Isole non aveva tutta quella varietà – ma una mezz’ora dopo erano seduti sul divano in camera di Fred, intenti a tirare le somme sulle operazioni della serata.
«Tu com’è che sai come battere quei cosi, Riku?» Honey Lemon gli chiese dopo che i ragazzi ebbero discusso tra loro di quello che aveva funzionato e di come migliorarlo.
«Un anno fa attaccarono casa mia.» Riku abbassò lo sguardo. Non era troppo entusiasta di condividere con degli estranei la storia nei dettagli. «Io e i miei amici Sora e Kairi abbiamo imparato a combatterli e adesso siamo noi a inseguire loro.» Posò il panino accanto a sé e guardò i supereroi part-time. «E voi? Com’è che vi siete trovati a fare la ronda di notte?»
Fred, Gogo, Honey Lemon e Wasabi fissarono Hiro. Hiro fissò Riku, poi inghiottì il boccone e mise da parte il suo sacchetto di patatine.
«Ricordi di quando ho menzionato l’esame di ammissione? Beh, è accaduto appena dopo.» Hiro non sembrava voler guardare Riku negli occhi mentre parlava. «Mi venne rubato il mio lavoro d’esame, e l’incendio appiccato dal ladro uccise mio fratello. Volevo farla pagare all’uomo che aveva fatto tutto questo… e se non fosse stato per loro ci sarei anche riuscito. E il ladro a sua volta voleva distruggere la Kreitech perché sembrava che avessero provocato la morte di sua figlia.»
Fu allora che Hiro alzò lo sguardo e abbozzò un sorriso.
«Ma la ragazza era ancora viva. Fummo io e Baymax a portarla a casa.»
«E Baymax ci è quasi rimasto e lo hai dovuto ricostruire.» Wasabi precisò. «Il resto è storia. Dopo Callaghan, altri criminali hanno deciso di approfittare del polverone, quindi non abbiamo mai realmente smesso quello che abbiamo cominciato.»
«Il passato oscuro del cavaliere senza paura!» Fred commentò a bocca piena.
«Mio fratello Tadashi aveva costruito Baymax per aiutare la gente.» Hiro soffocò una risata al commento di Fred, ma non smise di raccontare. «Stiamo facendo tutto questo in sua memoria. Usiamo le nostre conoscenze per proteggere la nostra città.»
«Forza per proteggere quello che conta.» Riku annuì. «Vi capisco.»
Prese il suo panino e si rimise a mangiare in silenzio. La loro storia sembrava molto più complessa e lunga di come l’avevano raccontata, ma non erano realmente affari suoi e non insistette per i dettagli.
Per certi versi, un po’ invidiava Hiro. Da quanto tempo lui, Sora e Kairi non si sedevano alla tavola calda delle Isole, sotto il ventilatore che pendeva sbilenco dal soffitto, a discutere dei compiti di algebra davanti a una pizza con il salame?
Doveva parlare con loro una volta di nuovo al castello. Doveva.
 

 
Su un banco di sabbia che affiorava vicino all’Isola dei Relitti, due uomini e una donna si avvicinavano ad altre tre figure, una delle quali aveva entrambi i piedi in un grosso catino d’acqua.
Elizabeth Swann, recentemente eletta Re della Fratellanza, procedeva affiancata da Capitan Jack Sparrow e Capitan Hector Barbossa, a loro volta Pirati Nobili.
Dall’altro lato, Lord Cutler Beckett, Davy Jones… e Will Turner.
 
«Ecco la pecora che ci ha portato il lupo alla porta!» Barbossa squadrò Will con espressione di disgusto e sfida.
«Non incolpate Turner… lui non è che lo strumento del tradimento. Se volete vedere il grande architetto, guardate a sinistra.» Beckett asserì con voce strascicata, guardando Jack, che era in piedi alla sinistra di Elizabeth.
Barbossa ed Elizabeth girarono la testa, e così fece anche Jack, apparendo abbastanza stupido.
«Io ho le mani pulite!» Sparrow alzò le mani sudicie. «In senso figurato!» Iniziò a mangiarsi le unghie.
«Rivendico le mie azioni per raggiungere il mio scopo,» Will ribatté, restando impassibile per tutto il tempo. «E Jack non c’entra niente.»
«Ben detto!» Jack sorrise trionfante indicando Will. «Ascolta lo strumento!»
«Will, sono stata a bordo dell’Olandese.» Elizabeth era l’unica che apparisse realmente preoccupata dei presenti. «Posso capire il peso che porti, ma temo che sia una causa persa.»
Will sostenne lo sguardo della sua fidanzata, non cambiando minimamente la sua espressione.
«Nessuna causa è persa, finché ci sarà un solo folle a combattere per essa.»
Alla risposta del ragazzo calò il silenzio, e per alcuni interminabili attimi tutto ciò che si sentì fu il rumore delle onde.
Beckett ruppe il silenzio alzando una familiare bussola nera, fissando Jack.
«Se Turner non agiva per tuo conto, allora come mai mi ha dato questa? Tu avevi un accordo con me, Jack… di consegnarmi i pirati. E così è stato.»
Gli lanciò la bussola, che Jack prese al volo.
«Non essere timido, fatti avanti! Chiedi la ricompensa!»
«Il tuo debito con me non è stato ancora soddisfatto! Erano cento anni di schiavitù a bordo dell’Olandese, per iniziare!» Davy Jones intervenne nella conversazione, latrando contro Jack.
Will rimase fermo al suo posto, senza fare nulla che tradisse la sua posizione e i suoi colori. Beckett aveva parlato di tradimento, certo, di strumento e di architetto, ma ci aveva visto più che sbagliato in parecchi dettagli del piano.
Ad esempio nel piccolo dettaglio che Jack e Will non erano né strumento né architetto, ma semplicemente l’esca.
«Quello era stato pagato, compare, con un… aiuto!» Jack ribatté a Jones, indicando Elizabeth con il suo solito sorrisetto fastidioso.
«Tu sei scappato!» Jones lo fulminò con lo sguardo.
«Tecnicamente…»
Ecco, Will pensò. Proprio dove volevano arrivare. Jack sull’Olandese Volante non sarebbe stato solo un’esca, ma un boccone avvelenato. Se davvero la sua intenzione era di pugnalare il cuore, avrebbero potuto fare a pezzi la flotta nemica con l’Olandese come Beckett aveva ordinato a Jones di fare.
E suo padre sarebbe stato libero.
Era un ottimo piano, poteva funzionare.
Will incrociò lo sguardo di Elizabeth e le fece un cenno, sperando che capisse cosa stavano pianificando.
«Io propongo uno scambio!» Elizabeth alzò la voce, e in quel momento Will dovette trattenersi per non lasciar trapelare il suo sollievo e la sua soddisfazione.
«Will parte con noi… e tu ti tieni Jack.» Elizabeth sogghignò, guardando Beckett ma continuando a lanciare occhiate a Will.
«Andata!» Will si permise di sorridere, immediatamente.
«Ritorno!» Jack stette al gioco, con un’espressione di finta paura in volto.
«Andata.» Beckett concluse.
Barbossa prese Elizabeth per una manica.
«Jack è uno dei nove Pirati Nobili! Tu non hai il diritto!»
Elizabeth sostenne lo sguardo del pirata più anziano.
«Il Re?» gli chiese, senza battere ciglio, poi si girò verso Jack, che fece un inchino di scherno e si tolse il cappello, poi fece un passo in avanti.
«Come comandate, Vostra Altezza.»
Barbossa sguainò la sua sciabola.
«CANE!»
Nel tirargli un fendente pericolosamente vicino al volto, gli staccò una fila di perline che gli pendeva da sopra alla bandana. La scimmietta di Barbossa gli balzò dalla spalla e raccolse le perline dalla sabbia.
«Attento a quel che dirai. Avrei parecchio da dire anch’io.» Barbossa si avvicinò a Jack e lo fissò negli occhi.
«Facciamo a chi arriva prima?» Jack ribatté, poi si incamminò verso Beckett.
Will colse il segnale e si incamminò a sua volta, raggiungendo Barbossa ed Elizabeth.
Beckett fece un passo in avanti, come a concludere le trattative.
«Avvisate la Fratellanza… potete combattere e morire tutti quanti, oppure non combattere, e morire solo per la maggior parte.»
Non diresti queste parole, se sapessi cosa ti aspetta, Will pensò affiancando Elizabeth.
Elizabeth fece un passo in avanti a sua volta.
«Avete ucciso mio padre.»
«Si è scelto il suo fato.»
«E voi avete scelto il vostro.» La ragazza concluse. «Noi combatteremo. E voi morirete.»
Si girò e si incamminò nel punto in cui Will vedeva una scialuppa. Barbossa la seguì a ruota, e anche Will lo fece.
Potevano solo sperare che il loro piano andasse bene.
«Re?» Will chiese ad Elizabeth.
«Della Fratellanza.» Elizabeth sorrise. «Grazie a Jack.»
«Comincio a pensare che sappia quel che fa!» Will sorrise a sua volta.
Avrebbe soltanto dovuto trovare un altro capitano, a quel punto. E magari un testimone non sarebbe guastato… se avessero dovuto giocare il tutto per tutto in quella battaglia…
  


Guidati da cinque leader, i Denti di Leone lasciarono Auropoli al suono delle campane, con lo scopo di ricostruire i mondi quando la guerra fosse finita…
 
«Uhm, Maestra… ehm, Aqua, disturbo?»
Lea apparve sulla soglia della biblioteca, quasi avesse timore di essere là. Shiro era con lui, apparentemente imbronciata.
«Mia nonna ci lavorava, in una biblioteca. Tutte le volte che mettevo piede lì mi sentivo come un cane in un tempio.»
«Beh, un cane in un tempio non ha molto da fare.» Shiro incrociò le braccia. «Ma non sorprenderti se Kairi ti chiama tonto poi!»
Aqua stava per ridere, ma si trattenne. Le sembrava di sentire i commenti che faceva Terra da ragazzino, che spesso si erano conclusi con una mezza predica del Maestro. Non senza un peso al cuore, si rese conto che adesso il compito di rimproverare un allievo sfacciato sarebbe caduto su di lei.
«Forse abbiamo una pista. Qualcuno ha lasciato delle tracce in casa mia…» Lea prese a spiegare.
«Lo sai che è stato Saïx.» Shiro lo interruppe. Lea la fissò, ma riprese a parlare.
«… e tutte le tracce facevano capo ad un numero, il numero quattordici. Sapendo che ricordo che sette giorni dopo Roxas, Vexen portò al Castello che non Esiste una Replica, che con Roxas eravamo già tredici, e che tutti sembriamo esserci dimenticati di cosa sia successo, probabilmente Quattordici è esistito, ed è rimasto con noi per quasi un anno, perché le lacune nel diario di Shiro coprono più o meno quel periodo.»
«Trecentocinquanta giorni.» Shiro precisò. «Da quando scrissi che Xemnas voleva presentare un nuovo membro, a quando mi misero sotto chiave, Axel mi fece uscire, ed entrambi avevamo scordato qualcosa
«E non era qualcosa, era qualcuno.» Lea riprese la conversazione. «Abbiamo messo insieme i pezzi e ora ci ricordiamo di lui come Replica ma non di lui come individuo. E mi ci gioco il Keyblade, l’Organizzazione lo userà come contenitore per Xehanort.»
Rimase in silenzio per un momento.
«E considerando tutto quello che hanno fatto per mettere le loro mani su Sora, non mi stupirei se stessimo parlando di un altro doppio di Sora. Avrebbe senso. Anche perché Shiro si è subito affezionata a Sora quando lo ha incontrato.»
Aqua annuì. Sarebbe stato, assieme a Terra e Isa, un altro nome sull’elenco delle persone che avrebbero dovuto salvare dalle grinfie di Xehanort. Come se già non fossero stati abbastanza
Shiro non stava dicendo niente, ma camminò attorno al tavolo dove Aqua era seduta, si mise sulla panca accanto a lei e la strinse forte con un braccio. Per quanto non ne parlasse, probabilmente c’era qualcosa che la turbava.
«Ehi, funghetto.» Lea si sedette all’altro lato del tavolo, e il suo solito tono sfrontato era molto più calmo. «Neanche io mi ricordo chi era. Hai fatto tutto quello che potevi, Shiro, ed è stato più che abbastanza.»
Lea posò le mani sul tavolo e fissò per un momento le assi, poi guardò Aqua e fece un mezzo sorriso.
«Non voleva tornare. O meglio, così mi aveva detto. Ma pensavo che avesse bisogno di stare a casa per un po’.» Spiegò. «So cosa vuol dire. Avere tredici anni… e venire calciati nel mondo prima di essere pronti. Era quella l’età che avevo quando i miei…» Guardò da un’altra parte. «Quando accadde parlarono di un incidente nelle gallerie. Erano pompieri. Morti sul lavoro, disse Lord Ansem. Ma Cloud qualche giorno fa mi ha detto che c’erano gli Heartless lì sotto.»
Guardò di nuovo Aqua.
«Cos’è la Guerra dei Keyblade? Cosa vuole fare Xehanort con noi?»
Aqua esitò prima di rispondere. Non avrebbe voluto parlare, non davanti a Shiro – ma accanto a lei la bambina le fece un cenno col capo, come a convincerla a parlare.
«Non è nemmeno chiaro quando accadde, solo che è storia ed è divenuta leggenda ben prima che il nostro maestro nascesse.» Aqua mise le mani sul libro che stava leggendo. «Sette Maestri Perduti predissero una catastrofe, e cinque di loro ordinarono ai loro allievi di raccogliere la luce per impedirla. Le cose andarono male.»
«Male quanto?» La faccia di Lea si contorse in una smorfia.
«Esiste un mondo che ancora oggi chiamano il Cimitero dei Keyblade.» Aqua abbassò lo sguardo. «Ed è uno dei pochi posti che restano del mondo che era. Tutto quello che conosciamo ora è il lavoro di alcuni degli apprendisti, che anziché restare a combattere decisero di fuggire.»
«E Xehanort vuole… rifare tutto questo? Ricominciare daccapo? Perché
«Qualcosa deve averlo corrotto. O qualcuno.» Shiro intervenne, ma non nel suo solito tono di voce. Lea le lanciò un’occhiata, come se avesse già visto la bambina comportarsi in quel modo.
«Aqua, Shiro ti ha detto di Ephemer?» Le chiese.
Ephemer? L’amico d’infanzia che Ventus le aveva menzionato? Cosa c’entrava?
Shiro guardò Lea, poi Aqua, poi abbassò lo sguardo mentre il volto le si arrossiva.
«No… credevo che non mi avrebbe creduto.» La bambina ammise.
Lea le fece un sorriso di comprensione.
«Shiro, non siamo più al Castello che Non Esiste. Sii onesta.»
«Ephemer… è sempre stato con me, mamma.» Per Shiro, la frase di Lea fu quasi un permesso. Quanto male le avevano fatto, in tutto quel tempo. «Saïx diceva che è la mia coscienza. Sora che è un amico di Ventus di quando erano bambini. E… credo che fa come Ventus. Sa un sacco di cose… mi ha raccontato un sacco di cose.»
«E… riesce a sentirci?» Aqua chiese a Shiro, che annuì. «Ephemer… è grazie a te se Shiro ha il Keyblade?»
Shiro fece per parlare, ma la sua voce sembrava diversa.
«No, quello è tutto merito suo. Io gliel’ho semplicemente tenuto nascosto fino a quando non era lontana abbastanza da Xemnas.»
«Diciamo che ha tenute nascoste parecchie cose.» Lea scherzò. «Ienzo ha aggiornato il sistema. Bisognerà vedere se adesso Tron, Otto e Nove riusciranno a disfarsi delle trappole. Se così fosse… potremmo creare delle Repliche. Roxas, Zack ed Ephemer riavrebbero le loro vite.»
«E Naminé.» Shiro precisò.
«E Naminé, anche se per come interagisce con noi sembra quasi non esistere affatto.» Lea si fece mesto. «La Nessuno di Kairi. Ha potere sui ricordi. Per l’Organizzazione non era che una pedina, e non credo che capisca che può essere viva senza essere utile a qualcuno o avere un qualche scopo…»
Giudicando dalla rabbia nel suo tono di voce, Aqua dedusse che Lea stesse pensando che, se non fosse stato per Ephemer, probabilmente anche Shiro avrebbe potuto avere un’opinione simile di sé stessa.
Vedendo che Aqua lo fissava, Lea sembrò calmarsi un momento, e abbozzò di nuovo un sorriso.
«Beh, forse ce l’ho uno scopo per lei. A mia nonna non sarebbe dispiaciuta un’altra nipote, ora che ci penso. Glielo devo dire… o dirlo a Kairi, almeno.»
 
 
Nonostante in precedenza Will avesse rassicurato Ventus che Jack sapesse quel che faceva, il ragazzo aveva sempre più l’impressione che i pirati stessero improvvisando. E anche se fossero stati solo i suoi pensieri, il fatto che Tia Dalma fosse legata sul ponte della nave con molte più corde di quante sarebbero state necessarie per un essere umano non lo rassicurava, e nemmeno il fatto che avessero preso Will ed Elizabeth e li stessero spingendo via e tenendo a portata di tiro.
L’Organizzazione sembrava svanita nel nulla.
Sora sempre più taciturno fin dall’alba, poi? Quello era ragione di panico.
La situazione gli ricordava sempre più la lugubre canzone di quando erano arrivati in quel mondo. Il re, e ora i pirati avevano un re, la regina rapì, e Tia Dalma era in ceppi, su le bandiere, ed erano sull’orlo di una guerra. Che quella canzone fosse una sorta di profezia, una storia che si ripeteva, come la Guerra dei Keyblade? Forse era per quello che Sora era così pallido?
«Le mie scuse, vostra maestà. Troppo a lungo il mio fato non è stato nelle mie mani.» Barbossa strappò via qualcosa dai vestiti di Elizabeth, poi lo buttò in una ciotola in argilla dove già erano stati posizionati altri oggetti. «Adesso bruciamo questi oggetti e pronunciamo la formula!»
Un pirata versò dell’alcool nella ciotola e avvicinò una miccia accesa.
«Cosa contano di fare?» Ventus scosse la testa.
«Liberare Calypso, o così ho capito.» Sora aggrottò le sopracciglia. «Quei nove cosi. Devono essere una specie di sigillo
E se Tia Dalma era in ceppi, Ventus ci avrebbe giocato il Trovavia, probabilmente lei era Calypso. Tutto tornava, anche come faceva a sapere cosa fosse successo a Davy Jones.
Si tennero a distanza, ma entrambi erano tesi, pronti a scattare se qualcosa fosse accaduto. Dopo un primo momento in cui parve non accadere nulla – e uno degli uomini di Barbossa ripeté la formula avvicinandosi alla sacerdotessa fino a quasi toccarla – la ciotola prese fuoco con una vampata, e gli oggetti al suo interno divennero cenere.
«Tia Dalma! Calypso!» Will si liberò del pirata che lo teneva fermo e fissò la donna. «Quando il concilio della Fratellanza ti imprigionò… chi fu a dire loro come fare?»
«Dimmi il nome!» A giudicare dal suo tono di voce, lei sembrava non saperlo…
ma Will sì.
«Davy Jones!»
Davy Jones. Lo stesso uomo che una volta l’aveva amata, e che si era cavato dal petto il cuore per smettere di soffrire. Quella trama era sempre più intricata, Ventus pensò mentre davanti a loro Tia Dalma… no, Calypso… diveniva sempre più grande e spezzava una per una le funi e mandava in brandelli i suoi stessi vestiti; e se Ventus aveva capito il piano di Will, il giovane voleva sfruttare la sua furia contro il pirata maledetto.
«Oh-oh.» Sora commentò mentre Barbossa si inchinava e tentava una supplica di aiuto. «Ho già visto quella furia addosso a qualcuno. E quando è successo, ho passato un brutto quarto d’ora.»
«Davvero?» Ventus gli sussurrò.
«Un’armatura abbandonata in un deserto. Piena di ruggine e polvere. Pare che lo stesso odio del suo padrone verso Xehanort la faccia muovere.» Sora spiegò, anche lui a bassa voce.
Calypso urlò qualcosa contro i pirati davanti a lei, che nonostante Ventus avesse studiato più lingue nei suoi quattro anni di studi non riusciva comunque a capire… se non per il fatto che il suo tono e il suo volto fossero quelli di una maledizione. La dea mutò in un banco di granchi, e mentre ancora parlava svanì nell’oceano.
«Meno tredici punti per Barbossa.» Ventus scosse la testa con un sorriso amaro, mentre gli ultimi granchi lasciavano la nave. Il pirata più anziano aveva l’aria sconfitta.
«Abbiamo perso anche l’ultima speranza.» Barbossa asserì fissando il mare.
«Non è finita.»
Fu Elizabeth a fare un passo in avanti.
«La vendetta non vi renderà vostro padre, Miss Swann, e io non intendo morire perché voi saldiate il conto.» Barbossa la prese per un braccio.
«È giusto.» Elizabeth tolse il braccio dalla sua presa e lo dismise, camminando noncurantemente verso il parapetto. «E per che moriremo, allora?» Si girò verso Barbossa e Will.
Qualcosa nella sua freddezza, nel modo in cui parlava, ricordò subito a Ventus di Aqua. Ci aveva visto giusto quando gli sembrava di aver già visto quei momenti… Elizabeth aveva la stessa determinazione di Aqua al Cimitero quasi dodici anni prima.
«Voi, ascoltatemi!» Elizabeth continuò a parlare, alzando ancora la voce. Si aggrappò a una fune e si tirò sul parapetto della nave per farsi vedere e sentire. «Ascoltate! La Fratellanza ha gli occhi puntati qui, su di noi! Sull’ammiraglia, la Perla Nera! E cosa vedranno? Topi impauriti su una nave alla deriva? No, no! Vedranno uomini liberi… e libertà! E quel che vedrà il nemico sarà il lampo dei nostri cannoni, e udirà il fragore delle nostre spade, e si renderà conto di quel che valiamo noi!»
Mentre la ragazza parlava, Ventus sentiva un nodo salirgli in gola. Avrebbe voluto che in quella manciata di minuti di silenzio, al Cimitero, avessero potuto rimanere uniti come quella ciurma, prima che Xehanort, Vanitas e Braig attaccassero. Come loro dodici anni prima, i pirati erano inferiori di potenza, ma a loro differenza volevano affrontare il mostro davanti a loro a viso aperto. Forse sarebbero stati sconfitti, e Ventus e Sora sarebbero tornati al Castello di Partenza con una brutta storia da raccontare, ma avevano intenzione di andarsene a testa alta, che fosse verso una vittoria o verso la fine.
Ventus aveva avuto quel lusso soltanto nell’intimità del proprio cuore, apostrofando Vanitas che non capiva per quale motivo lui continuava a resistere.
Sono diventato parte del loro cuore, così come loro sono parte del mio.
«… grazie al sudore della fronte, e alla forza delle nostre schiene, e al coraggio dei nostri cuori!»
Sembrava quasi che la ragazza stesse per piangere… e Ventus non la biasimava. Ma in quel momento, Elizabeth doveva mostrarsi forte, e forte si stava mostrando.
«Signori, su le bandiere!»
I pirati della Perla Nera issarono la bandiera nera, e a loro volta così fecero tutti i pirati sulle altre navi.
Ma la Perla Nera fu la prima – e l’unica – nave ad avanzare.
Nella nebbia, dritto davanti a loro, veleggiava l’Olandese Volante.
 
 
«E che stavolta sia quella buona!» Vexen non poté evitare di storcere il naso per la puzza di pesci e cadaveri a bordo dell’Olandese Volante. «Se quel demonio di Xigbar ci ha mandati qui solo per mettere le grinfie sui miei esperimenti e mandarli in battaglia, gli cavo l’occhio che gli rimane!»
Erano nascosti in una delle stanze della stiva, pronti a scattare e cercare il forziere fantasma – la presunta scatola nera – non appena un eventuale arrembaggio avrebbe portato la ciurma allo scoperto del ponte. Xigbar aveva parlato di qualcosa che contenesse speranza, e secondo alcuni lupi di mare che avevano interrogato – uno dei marinai di Jones, un certo Sputafuoco, si era rivelato loquace e ripetitivo come un carillon rotto – il forziere conteneva il cuore del capitano.
Se fosse stato possibile isolare un cuore in qualche modo – un modo che non richiedesse un Keyblade – forse c’era speranza che No.i, responsivo come un sasso da quando aveva riaperto gli occhi animato solo dagli ultimi dati che Vexen aveva raccolto prima di venire mandato al Castello dell’Oblio, potesse riavere la sua vita e ricordare chi era.
Sto provando a trovare un modo di riportare i ricordi di chi lo conosceva, Saïx aveva detto, Lea e Shiro sembrano avere dei ricordi residui… ma non sembra io abbia sortito dei risultati.
Non era facile, quando nessuno ricordava l’identità che la Replica aveva assunto. A rigor di logica, avrebbe dovuto assumere l’aspetto di Sora, o forse di Roxas, ma il volto che aveva assunto era impersonale e anonimo, e la sua voce, le poche volte che apriva bocca per rispondere a una domanda, era quella acerba di un bambino che ancora non aveva raggiunto lo sviluppo.
Soltanto la sua arma aveva preso una forma – era una Catena Regale, come quella di Sora. E tanto per Xehanort sembrava bastare.
Luxord, l’altro clandestino nella stanza, si girò verso di lui.
«Ci basterà trovare Jack Sparrow. Porta su di sé una bussola che segna quello che chiunque vuole di più al mondo. Anche se il Forziere Fantasma non fosse quello che cerchiamo, prenderò quell’arnese e lo consegneremo al Superiore.»
 
 

 
«Ehi, nipote!»
Una voce fastidiosamente familiare distolse Noctis dalla sua passeggiata. Per ricambiare l’appuntamento a New York, si era deciso a portare Luna a fare un giro – principalmente, la stazione del tram, la Terrazza del Tramonto, le “sette meraviglie” che lui e i suoi amici avevano smascherato, e il cinema che aveva finalmente riaperto i battenti dopo anni.
In quel momento, il vecchio, cappello, cappotto, bastone e tutto, era seduto ad uno dei tavolini fuori dal bistrot, intento a giocare a scacchi con un altro uomo anziano, che invece indossava con una palandrana e un cappello a punta piegato all’indietro.
Noctis non gli aveva ancora parlato da quando era tornato a casa, determinato più che mai a evitarlo ora che Luna era con lui, ma a quanto pare lui non era della stessa opinione.
«Cosa c’è?» Noctis si avvicinò al suo anziano parente con fare seccato.
«Ho preso un po’ dei tuoi vecchi vestiti di quando avevi quattordici anni dalle casse in cantina. C’è un ragazzino comparso dal nulla a Città di Mezzo, e aveva un disperato bisogno di abiti.» Il vecchio si strinse nelle spalle. «Non credo che li user… un momento, signorino, è la tua ragazza quella?»
Noctis non disse nulla, ma si spostò istintivamente a nascondere Luna dalla sua vista. Se c’era una persona che non sopportava le stesse troppo vicino… beh, era quel vecchio.
«Andiamo, ragazzo, quante volte devo ripeterti che non mordo?»
«Noct, lascia stare.» Fu la stessa Luna a farsi avanti. «Siete suo zio, giusto? Noctis mi ha parlato di voi. Immagino di dovervi ringraziare se lo conosco. Molto piacere di conoscervi. Il mio nome è Luna, studio medicina a New York e pratico le Arti Mistiche quando non sono sui libri.»
Il vecchio si puntellò con il bastone per alzarsi, ma non le strinse la mano nonostante Luna gliela stesse offrendo. A Noctis tornò in mente la storia dei Fulcra che Strange aveva accennato a lui e ai suoi amici, e poi Luna aveva spiegato a Sora nei dettagli, e si chiese cosa potesse aver fatto loro il ve… cosa potesse aver fatto loro Ardyn in un’altra linea temporale perché fossero tanto reciprocamente guardinghi tra loro. Soltanto Luna sembrava voler resistere attivamente a quell’inspiegabile scorno.
«Merlino qui dice che si sta avvicinando un’altra tempesta.» Ardyn indicò il suo compagno di scacchi con il pollice.
«Abbiamo conosciuto un ragazzo che pare stia combattendo l’oscurità.» Noctis si infilò una mano in tasca. «Si chiama Sora. E ci sono anche Riku, Topolino, e Aqua. Guardiani della Luce, si fanno chiamare. E stanno tenendo di guardia sette ragazze che pare abbiano un cuore di pura luce.»
«E aveva menzionato un Roxas che pare abbia passato parecchio tempo in questa città.» Luna aggiunse. «Ma nessuno sembra ricordarsi di lui.»
«La gente dovrebbe stare più attenta. Io stesso ho visto un sacco di stranieri, specie durante lo scorso anno. Quasi tutti con cappe nere.» Ardyn annuì. «E non penso di essere stato l’unico. Il tipo del pub… il piccolo Vivi… li hanno visti anche loro. Forse c’entra qualcosa. Avete già pensato a pattugliare il paese?»
«Diciamo che ci ha già pensato il fratellino di Prompto.» Noctis commentò, quasi imbarazzato. Ardyn si schiacciò il cappello contro la testa.
«Ancora? Quei ragazzi hanno quindici anni.» Il vecchio tirò un sospiro, sibilando tra i denti. «Parlerò io con i genitori di quel ragazzino. Devono smetterla di mettersi in pericolo. Se c’è qualcuno che dovrebbe occuparsi di queste cose, Noctis, siete tu e i tuoi amici. Non vi ho mandati in giro per i mondi perché battiate la fiacca una volta a casa!»
Sembrava quasi che avesse fatto uno sforzo per pronunciare il nome di Noctis, come succedeva sempre le rare volte che lo diceva. E come succedeva sempre le rare volte che glielo sentiva dire, Noctis strinse i denti e dovette trattenersi per non brandire a mo’ di arma l’oggetto pericoloso più vicino che avesse a portata.
«Direi che sia il caso di trovare Prompto e gli altri.» Luna prese Noctis da parte. «Su, andiamo.» Gli tenne la mano e lo condusse verso la fermata del tram. Soltanto quando furono lontani dal vecchio, sulla carrozza del filobus che li avrebbe portati a casa di Prompto e Pence, Noctis si concesse di rilassarsi.
Fu allora che notò la tensione e la paura nello sguardo di Luna.
«Spero non ti abbia fatto una cattiva impressione. Il vecchio è insopportabile… ma in fondo non è cattivo.»
Scesero dal tram, e fu alla fermata deserta che Luna si appoggiò al muro più vicino.
«Quell’uomo mi ha pugnalata a morte,» asserì in un bisbiglio.
«Cosa?» Noctis scosse la testa, incredulo. Stava parlando di Ardyn? Quel vecchio non avrebbe fatto male a una mosca, era più inoffensivo di Babbo Natale…
«… e ha ucciso mio fratello. E ha cercato di uccidere te
Il ragazzo scosse la testa. Non il vecchio… no, aveva sempre avuto buone intenzioni…
Luna lo guardò negli occhi.
«Dovesti ottenere un potere che ti avrebbe ucciso per sconfiggerlo una volta per tutte. Lo facesti.» Il volto della ragazza era talmente serio che sembrava non avere affatto espressione. «Ho… ho sentito tutto questo, mentre gli parlavo. E credo che, in un’altra linea temporale, ci alleammo, tutti e tre, per detronizzare un dio folle. Capisco perché fai fatica a parlargli nonostante sia la tua famiglia. Capisco perché per lui è difficile dire il tuo nome.»
«Quindi è per questo che non lo sopporto?» La cosa iniziava, finalmente, ad avere senso. «Credevo ci fosse qualcosa che non andava. Ardyn… è un brav’uomo. È stato lui il primo a pensare che questa oscurità fosse pericolosa.»
«Quello che è successo agli altri noi non dovrebbe influenzare le nostre vite.» Luna sorrise. «In questa, non tocca a noi essere gli eroi della storia.»
Attraversarono la strada, e si diressero verso la porta della casa di Prompto e Pence. Luna si fermò prima di suonare il campanello.
«Ma questo non ci impedirà di aiutare.»

 

Non credo vi sia servito sapere il latino per sapere perché Jack temeva di far incacchiare Ventus. =P

E sì, il calcio di Hayner non s'ha da fare.

 

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Capitolo 9
*** Specchi Infranti ***


La sessione invernale è sempre un mezzo incubo, ma che dire?, ce l’abbiamo fatta anche stavolta.
(quello, e anche un epocale blocco dello scrittore. Scrivere di Riku risulta un po’ difficile…)
Ci stiamo avvicinando alla battaglia finale… e anche a scene molto feels, e a un certo punto di questo capitolo c’è stato bisogno di ascoltare la canzone da marinai “Leave Her Johnny” per entrare nell’atmosfera.
Dite un po’ e leggete bene il capitolo: notate qualcosa di particolare? 😉
 

Guardians – Capitolo 9
Specchi Infranti
 
Di tutte le cose che Jack si sarebbe aspettato in quella battaglia, di certo non avrebbe previsto che un maelstrom, un enorme vortice marino, allontanasse la Perla Nera e l’Olandese Volante dal resto delle navi. Secondo le leggende, soltanto qualcuno con un enorme potere, come Calypso, sarebbe stata capace di… un momento. Barbossa doveva averla liberata.
Oh, beh, inutile farsi quelle domande. Probabilmente alla fine di quella battaglia non sarebbe nemmeno stato possibile ottenere delle risposte senza beccarsi una maledizione.
Elizabeth e gli altri contavano su di lui, . Trova il Forziere Fantasma. Strappa la chiave dalla barba tentacolata del Capitano. Pugnala il cuore e prendine il posto.
Facile come bere un bicchiere di rum, sì. La cabina del Capitano ormai era deserta – la ciurma era tutta ai cannoni e alle vele, e gli bastò distrarre i due marinai britannici alle spingarde per andarsene via con il Forziere.
Quanto alla chiave, la sua bussola indicava…
… una pozza d’ombra si allargò davanti a lui, e comparve uno di quei disgustosi stranieri in nero. Sì, era Luxord, quello che aveva cercato di maledire mezza Port Royal con il suo mostro mangiamedaglioni!
… e prima che Elizabeth ammanettasse Jack all’albero, lasciandolo alla mercé del Kraken, aveva anche cercato di seguirli ad Isla Cruces (non che Jack avesse disapprovato, Jones gli aveva chiesto cento anime in cambio della sua e…) e aveva leggermente scoperto da quel derelitto di Norrington cosa stavano cercando.
«E così hai ottenuto ciò che volevi!» Esordì quel rompiforzieri. «Forse sei più astuto di tutti noi. Tuttavia, devo chiederti di consegnarmela.»
«Come? Temo che ti sbagli, compare. Non ti darò proprio niente.» Era fuori questione. Se dovevano uscire vivi da quel pastrocchio, Jones doveva morire, e doveva essere Jack a farlo fuori.
«Allora invoco il diritto di parl…» Luxord cercò di richiedere il parlay, come aveva fatto ogni singola volta che aveva mostrato là il suo brutto muso. Ma col cavolo che Jack glielo avrebbe concesso – il parlay era solo per la Fratellanza, e gentaglia come Luxord ed Elizabeth qualche anno prima tendeva a scordarselo.
«Oh, no, niente parlay.» Senza pensarci troppo, Jack si avvicinò a Luxord, parlando ad alta voce. «Siamo un po’ indaffarati qui.» Sembrava che il vecchio trucco dell’alito fetido stesse funzionando, perché il seccatore aveva fatto un passo indietro, due… era fin troppo vicino al parapetto.
Jack fiatò di nuovo, e Luxord balzò all’indietro… cadendo fuori bordo, dritto nel mare.
Sì, quel trucco funzionava sempre. Infallibile.
La bussola puntò dritta dietro di lui.
Sentì la risata di Davy Jones alle sue spalle.
«Guardate qui, uomini! Un uccellino disperso… un povero passero che non ha mai imparato a volare!»
Si girò. Jones, in carne, ossa, tentacoli e chele, era davanti a lui con i suoi marinai maledetti, e aveva appena sguainato una spada.
La chiave doveva averla lui, ma c’erano decisamente troppi avversari per un duello leale. Doveva sfoltire le fila.
Volare sarebbe proprio servito, in quel momento.
«Con mio sommo dispiacere!» Jack prese a guardarsi attorno. Doveva esserci qualche cima… «Ma… non è mai troppo tardi, sai?»
Afferrò quella più vicina a lui, e colpì con il Forziere il nodo che la teneva ferma. La fune lo portò in alto, e Jack atterrò su uno dei pennoni.
Jones lo avrebbe sicuramente raggiunto, ma… uno contro uno? Si poteva fare.
 
Perla Nera e Olandese Volante erano ormai fianco a fianco, e le ciurme delle rispettive navi erano intente all’abbordaggio.
Era soltanto questione di tempo, Ventus si disse… senza la sua ciurma e con la nave sotto assedio, Davy Jones sarebbe presto uscito allo scoperto.
La pioggia era talmente fitta che si faceva fatica a vedere a pochi passi di distanza, e i rumori della battaglia, del mare e della tempesta talmente forti che tutto risultava ovattato. La presenza dei marinai maledetti sembrava complicare ulteriormente il suo orientamento, ma la confusione durò poco – puzzavano maledettamente, un misto tra il pesce e l’odore di putrefazione, ed era facile distinguerli dagli alleati anche da come si muovevano e parlavano.
«Credevo di aver visto il massimo dell’orrido quando il Baubau ha perso tutti gli insetti!» Sora commentò, visibilmente pallido e disgustato nonostante il maltempo.
«Beh, vivi e impara!» Ventus gli rispose con un sorrisetto sbalzando i due pirati maledetti più vicini all’indietro con un Aeroga.
«Mettiamo in sicurezza la nave, poi si va ad aiutare Jack!» Will li affiancò, poi alzò una pistola e sparò ad uno dei marinai maledetti che si avvicinavano alla nave con l’ausilio di corde.
«Sì. Buona idea.» Sora annuì nervosamente. Stava correndo su e giù per la nave come un mozzo aspettato dal capitano, cercando di sfidare e vincere più avversari possibile.
Ma ne arrivavano ancora. Ventus era tentato di prendere Sora da parte, dirgli di risparmiare le energie per quando avrebbero dovuto arrembare la nave nemica, ma in quel momento Will fece qualcosa che distrasse la loro attenzione.
«Elizabeth, vuoi sposarmi?» Il giovane aveva preso la mano della ragazza.
Elizabeth guardò Will negli occhi un momento, poi venne distratta da un pirata ricoperto di spugne di mare che gli si stava avventando contro.
«Non mi pare il momento più adatto!» ansimò, respingendo l’aggressore.
«Potrebbe essere l’unico!» Will ribatté prendendo a sciabolate e a calci un altro pirata pesce. «Io ho preso la mia decisione. Qual è la tua?»
Un pirata dell’Olandese si stava avvicinando troppo con una spada incrostata di crostacei, e Ventus lo fece volare lontano, oltre il parapetto.
«BARBOSSA! SPOSACI!» Elizabeth si girò verso il castello di poppa e urlò.
Il pirata più anziano era impegnato nel difficile compito di reggere il timone e respingere un pirata interamente coperto di spine di riccio, mentre altri lo minacciavano a loro volta, ma ebbe il tempo di reagire all’urlo.
«Al momento sono un po’ occupato!»
«Ora ti disoccupo io!» Sora raggiunse il timone con un paio di balzi e lo affiancò a Keyblade alzato.
«Barbossa, adesso!» Will insistette, mentre altri nemici si iniziavano ad avvicinare.
Barbossa balzò sulla base del timone e si schiarì la gola.
«Amici carissimi, siamo qui riuniti oggi… per appenderti all’albero maestro, cane rognoso!» Allontanò via con un calcio uno dei marinai maledetti, che Sora bloccò con una magia di gelo.
Will guardò Barbossa, poi Elizabeth, poi gli aggressori, e sembrò aver deciso di andare avanti con la cerimonia nonostante tutto. Dopo un giro attorno alla base dell’albero maestro per respingere un altro pirata maledetto, prese Elizabeth per la mano.
«Elizabeth Swann, vuoi tu prendermi come tuo sposo?»
«Oh, sì!» Elizabeth sorrise.
«Bene…» Will stava dicendo, ma dovette rapidamente abbassarsi quando un pirata con la faccia interamente coperta di coralli lo aggredì. Ventus si avvicinò ai due e usò un Magnetega per togliere il brutto ceffo dalla circolazione, poi evocò una mina magica sotto di lui, per evitare che desse loro fastidio una volta caduto.
«Will Turner, vuoi tu prendermi come tua sposa… in salute e in malattia…» Elizabeth ansimò, senza lasciare la mano a Will. C’erano nemici da ogni direzione ed entrambi tiravano sciabolate con la mano libera. «… sempre che di salute ce ne resti?»
«Sì!» Will abbracciò Elizabeth.
Barbossa e Sora erano ancora impegnati a difendersi nell’area del timone, ma il capitano sembrava aver tenuto d’occhio tutta la cerimonia improvvisata.
«Come capitano, io vi dichiaro…» Cercò di annunciare, ma un marinaio inglese gli venne addosso.
«Non fermarti!» Sora allontanò il soldato.
«Puoi baciare…» Altri pirati maledetti e marinai inglesi arrivarono verso il castello di poppa, e Barbossa e Sora si ritrovarono circondati.
«Puoi baciarla!» Sora urlò a sua volta, ma Will non gli diede retta.
Barbossa si liberò degli aggressori e sbottò.
«E BACIALA!»
Attorno ai due, finalmente, non c’erano più nemici a minacciarli. Will ed Elizabeth abbassarono le lame, si guardarono negli occhi, e si scambiarono un bacio sotto la pioggia. Con la coda dell’occhio, mentre teneva loro guardia, Ventus riusciva a vedere Barbossa vedersela con l’ultimo avversario, mentre Sora aveva preso il timone e lo teneva fermo con una mano e una spalla, mentre con la mano libera aveva preso quella che sembrava una Granpozione dalle loro scorte mediche, e se la teneva vicina alla faccia per togliere via il tappo con i denti.
«Ne arrivano sempre meno!» Ventus indicò l’Olandese Volante. «Sora, come siamo messi?»
Il ragazzo bevve la medicina e lasciò di nuovo a Barbossa il timone, correndo verso Ventus. La pioggia gli colava in rivoli dal tricorno, ma non per la prima volta in quel giorno Ventus desiderò di essere altrettanto coperto.
«Jack! Lassù!» Will, appena liberatosi da un marinaio inglese, puntò il dito ai pennoni dell’Olandese. Davy Jones era sdraiato sulla trave, con alcuni tentacoli che gli mancavano dalla “barba” e la sua mano destra stretta alla maniglia di un forziere. All’altra maniglia, sospeso nel vuoto, era appeso Capitan Jack Sparrow.
«Ora di andare!» Sora fu il primo a cercare una cima e appendervisi, seguito a ruota da Will.
Non sarebbero arrivati mai in tempo così in alto… Ventus non ci pensò un momento. Lanciò il Keyblade in aria e lo fece mutare nel glider, poi ci balzò su e schizzò con quello verso l’alto… ora doveva solo raggiungere i pennoni.
E magari sperare che Sora non si facesse troppo male.
  


Per la seconda sera di seguito, Riku e i Big Hero 6 avevano fatto piazza pulita nel quartiere infestato. Riku era più che fiducioso che, una volta insegnato ai ragazzi e al robot come tenere a bada le creature del buio, avrebbe potuto salutarli sapendo che avrebbero tenuto la loro città al sicuro fino a quando i Guardiani della Luce non avessero affrontato Xehanort e i suoi Cercatori Oscuri.
Erano al margine dell’area pericolosa, e già sembrava di essere di nuovo in una città normale. L’altoparlante di un negozio di abbigliamento trasmetteva una canzone che faceva tipo: «I know I took the path that you would never want for me, I gave you hell through all the years… So I, I bet my life for you…»
Riku sentì Hiro tirare su col naso nell’ascoltare la canzone, e non riusciva a dargli torto.
«A cosa pensi?» Hiro chiese quasi subito a Riku. Il ragazzo si morse il labbro. Evidentemente, non era riuscito a rendere il suo volto illeggibile nel sentire quelle parole.
«Rilevo livelli anomali di neurotrasmettitori.» Baymax intervenne senza che nessuno glielo chiedesse. «Riku, ti senti. Triste. In colpa. Il tuo battito cardiaco è aumentato. I livelli ematici dei tuoi ormoni sono alti. Diagnosi: è innamorato
Riku avrebbe voluto sprofondare nell’asfalto. Perché proprio in quel momento il suo pensiero si era soffermato su Sora e Kairi, e su cosa avrebbe dovuto dire loro una volta a casa?
Hiro fece un sorrisetto imbarazzato sotto il casco.
«Mi dispiace per Baymax! Mio fratello non gli ha mai impostato la privacy…»
Riku stava per rispondere al ragazzino, ma intravide un’ombra scura dietro di lui.
«Ragazzi, c’è qualcosa!»
Evocò Via Per l’Alba mentre gli altri si giravano. La creatura che aveva intravisto sembrava un nero ammasso informe, fatto di più pezzi che brulicavano uno sull’altro, arrancando come una strana fanghiglia vivente verso di loro.
Nonostante il casco che gli celava il volto, Riku vide che Hiro era atterrito.
«I Microbot?» Stava boccheggiando.
«Sai cosa sono?» Riku si mise tra lui e il mostro, il Keyblade alzato pronto a parare.
«Erano il mio lavoro d’ammissione. Finirono in un portale dimensionale assieme al primo Baymax…» Hiro spiegò d’un fiato. «Ma il trasmettitore che li comandava venne distrutto…»
«Beh, qualcosa mi dice che l’Oscurità lo ha trovato!» Riku fece un balzo in avanti e tagliò in due il coso con il Keyblade. Fece appena in tempo a sentire Hiro urlargli che era inutile prima che i due pezzi di mostro si animassero e tornassero all’attacco, neanche fossero stati le scope incantate del Maestro Yen Sid quando qualcuno cercava di impedire loro di riempire la cisterna.
Una delle due montagnole scure prese la forma di un pugno, e prima di accorgersi che stava saettando verso di lui, Riku si sentì sbalzare all’indietro e sentì due mani forti che lo prendevano al volo.
«Ho eseguito uno scan del mostro!» Baymax annunciò, il suo tono impersonale quasi soddisfatto mentre teneva Riku in braccio. «Presenta analogie importanti con quelli che chiami Heartless
«Quindi non sono microbot?» Gogo inclinò la testa di lato. «Hiro, bisogna analizzare qualsiasi cosa possano essere. Credi che la Granville sarà ai laboratori?»
«Beh, dove altro potrebbe essere?» Hiro alzò le spalle. «Dovrei andare a confrontare i dati con lei?»
«Non “dovresti”. Vai!» Gogo lo prese per un braccio e gli indicò la strada laterale. «Baymax, portalo ai laboratori! Gli serviranno i dati che hai raccolto!»
«Ma… e voi come…?» Hiro fece per obiettare, ma Baymax, lasciato scendere Riku si era già messo in posizione per far salire Hiro sulla sua schiena.
«Vuol dire che per stasera, San Fransokyo sarà una delle mie cose che contano!» Riku si portò di nuovo alla mano il Keyblade e si rimise in guardia. «Hai sentito Baymax. Questi non sono microbot… sono Heartless!»
  


La Perla Nera e l’Olandese Volante erano bloccate, i loro alberi maestri incastrati tra loro l’unica cosa che impediva loro di venire trascinate in fondo al maelstrom.
Sora aveva tutti i muscoli che facevano male, ma teneva i denti stretti pur di resistere. Era già stato in battaglia – assieme a Paperino e Pippo, alla fine dell’estate, aveva tenuto testa a qualcosa come un migliaio di Heartless a Radiant Garden, ma questi non erano Heartless. Erano uomini adulti, combattenti addestrati, e mostri dall’intelletto umano.
Per giunta, girava tutto, pioveva come se non ci fosse un domani, e gli era dolorosamente evidente che Ventus se la stesse cavando meglio. Persino Will se la stava cavando meglio, era riuscito a recuperare il forziere dal ponte della nave in mezzo alla battaglia e…
… uno dei marinai maledetti! Stava andando contro di lui, spada in resta, ma Will, pur difendendosi, non contrattaccò.
«Fermati! Sono io… sono Will!» Urlò al pirata maledetto.
Sora si rese conto che l’avversario del suo amico, pur essendo coperto di coralli, cozze e stelle marine, manteneva ancora delle parvenze umane. Anzi, sembrava piuttosto avanti con gli anni… che fosse…?
Non c’era tempo per pensare, no, Will aveva il forziere, ma doveva difendersi… e bisognava trovare Jack e dargli il Forziere Fantasma perché quella battaglia finisse… cosa fare, cosa fare?
 
Se c’era qualcosa che poteva far sentire Will Turner completamente disarmato, era una situazione del genere.
Aveva trovato immediatamente il Forziere Fantasma quando era caduto dai pennoni, poi suo padre lo aveva aggredito.
Inizialmente era anche stato difficile riconoscerlo. Era già stato coperto di cirripedi, echinodermi e altre creature marine quando Will lo aveva incontrato, ma le sue condizioni si erano aggravate.
Quel che era peggio, aveva perso la propria lucidità. Sputafuoco Bill non lo riconosceva più come suo figlio, ma come un nemico.
Una botta più forte delle altre lo costrinse a lasciar andare il Forziere. Dov’era Jack? Vide la figura minuta di Sora con la coda dell’occhio. Il ragazzo esitò per un momento, poi si buttò verso la cassa come un bambino che afferra una palla, si rimise in piedi e schizzò via.
Questione di tempo, bene. Tutto quel che doveva fare Will ora era restare vivo.
 
Dalla posizione che Ventus era riuscito a guadagnare sui pennoni, era facile capire cosa succedeva sulla nave.
Non era riuscito a impedire che Jack cadesse, ma era stato in grado di lanciargli una cima e fare in modo che tornasse sul ponte, e con un Thundara aveva fatto mollare la presa a Jones sul suo forziere maledetto.
Da lì in poi, i suoi amici sul ponte avevano fatto il resto: Will era stato il primo a recuperare la cassa, poi quando era stato bloccato da uno dei sottoposti di Jones – suo padre? – era stato Sora a prendere il forziere, e adesso cercava Jack con lo sguardo.
Dal canto suo, Jack stava ancora dondolando appeso alla fune, ma sembrava essere abbastanza vicino al ponte da poter scendere senza farsi male. Ora, Sora era sul ponte con il Forziere, Jack stava per arrivarci, come avrebbero aperto quella cassa maledetta?
E perché Ventus si sentiva osservato?
«Ci incontriamo di nuovo, ragazzino
Una voce. Un’ombra dietro di lui. Su una delle passerelle c’era una figura coperta da una cappa nera, ma la voce era familiare.
«Dovevo aspettarmelo.» Un angolo della bocca di Ventus si alzò in una smorfia. «Voi e la vostra abitudine di imbucarvi al momento peggiore!»
Piegò le ginocchia, pronto a scattare come una molla, e portò Evocavento alla mano.
«Alla faccia del cuore di luce pura…»  L’incappucciato in nero rise e si portò le mani al cappuccio, mostrando un volto appuntito, un naso adunco, lunghi capelli biondo platino, e un’aria quasi noncurante. «Qualcuno ha perso l’innocenza in mezzo ai ratti di mare?»
Ventus ricordava quel volto: era uno degli studiosi di Radiant Garden… quello che aveva cresciuto Ienzo. Era lo studioso che era sparito, quello che sapeva come creare le Repliche…
… se avesse potuto legarlo e portarlo al Castello…! Era la chiave per riportare Zack e Roxas… e forse se lo avessero interrogato… forse avrebbe saputo dov’era Terra…
In equilibrio sul pennone, corse verso la piattaforma, portando il braccio all’indietro per vibrare un colpo. Il suo nemico evocò dal nulla uno scudo di ghiaccio e parò, sbalzandolo all’indietro. Ventus sarebbe caduto sul ponte se una delle vele non avesse fermato la sua caduta. Se ne liberò planando di nuovo sul pennone, e si rimise in guardia prima di riprendere l’offensiva.
«Giurerei di stare combattendo Roxas se non fosse per la tua guardia rovesciata.» il Nessuno ghignò.
«Glielo dirai tu stesso, quando ti riporterò di peso a Radiant Garden perché tu lo salvi?» Ventus gli ruggì contro. Cercò di lanciare un Blizzaga contro il suo avversario, ma non sembrò neanche fargli il solletico. Evidentemente, il freddo doveva giocare a suo favore.
«E cosa ti fa pensare che verrò con te
«Beh, è per questo che ho Evocavento con me!» Ventus girò il Keyblade nella sua mano, rilassandosi per un momento. «Fa’ del tuo peggio, ho resistito più a lungo di così!»
Il Nessuno – Vexen, se i ricordi che aveva preso da Sora erano chiari – non fece una piega. Dal ponte, qualcuno emise un urlo.
«Tu forse,» Vexen indicò in basso. «Ma i tuoi amici?»
Ventus guardò giù. Elizabeth era rintanata in un angolo, la sua spada fuori dalla sua portata, Sora era appoggiato al suo stesso Keyblade, perdeva sangue dal naso e aveva l’aria esausta, e Jack… dov’era Jack? Doveva essersi nascosto…
… e Davy Jones era stato sul punto di colpire Elizabeth e Sora, ed era stato lui a urlare, perché Will lo aveva passato da parte a parte con la sua spada.
Ma Tia Dalma non aveva detto che…?
«Mastro, hai dimenticato?» Jones girò la testa verso Will. A parte il dolore, non sembrava minimamente disturbato dalla ferita. Con la mano sinistra mutata in chela, prima che Will potesse avere tempo di reagire, piegò la punta della spada perché Will non la potesse riestrarre. «Io sono senza cuore
Il capitano maledetto mandò all’indietro Will con un calcio e gli puntò contro la spada.
Senza il tempo di pensare ad altro, Ventus cercò con lo sguardo una cima che lo potesse portare rapidamente giù…
 
«Ah, l’amore… un’orrenda colpa. Eppure tanto facile da rinnegare!»
Mentre Sora, con le ginocchia che tremavano, cercava di rimettersi in piedi usando la sua stessa arma, Davy Jones passava lo sguardo da Elizabeth a Will. Sora poteva soltanto sperare che, quando Jack aveva visto la chiave strisciare via sul ponte, attaccata a uno dei tentacoli tagliati via della barba di Jones, fosse riuscito a prenderla e ad aprire il forziere mentre lui ed Elizabeth avevano duellato contro il mostro per prendere tempo.
Davy Jones non sembrava essersi stancato minimamente, eppure Sora ed Elizabeth gli avevano tenuto testa per parecchio – almeno fino a quando Sora non aveva ricevuto un calcio in faccia ed aveva battuto la testa nel cadere. Gli faceva male dappertutto, e non ricordava di aver mai provato tanto freddo, per quando era inzuppato.
Avrebbe avuto bisogno di un Elisir, ma durante la battaglia si era svuotato le tasche.
«Non è vero!»
Si sforzò nuovamente di raddrizzarsi e ci riuscì, nonostante non si azzardava a fare un passo. Jack, muoviti
Davy Jones si girò verso di lui.
«Ho ancora molto da imparare sull’amore, ma so cosa significa condividere il mio cuore con gli altri. E non basterai a spezzare un legame simile!»
Xehanort non era riuscito a dominare su Riku, o ad ottenere un vero controllo su Terra… cosa era un qualunque Davy Jones, a confronto?
«Cosa può sapere un moccioso come te del cuore?» Jones azzardò un passo. Sora strinse i denti… poi il calore familiare di un’Energiga gli rinsaldò le gambe.
«Ha parlato quello che ha preferito liberarsene!» Il ponte dietro Sora vibrò, e Ventus gli mise una mano sulla spalla. «Ma ne è valsa davvero la pena, mostro? Io davanti a me vedo soltanto un perdente!»
«E allora?» Jones voltò loro le spalle, poi puntò di nuovo la spada verso Will. «Dimmi, William Turner… temi tu la morte
«E TU?»
Era la voce di Jack. Sora e Ventus girarono la testa… Jack aveva aperto il forziere, e teneva nella mano destra una spada spezzata, e nella sinistra un qualcosa che poteva sembrare un’illustrazione da libro di scienze di un cuore, ma era coperto di patelle e altri molluschi. E stava ancora battendo.
 
Sulla coffa dove si era rifugiato, Vexen non poteva credere ai suoi occhi. E così quello che avevano inteso per “cuore” era il semplice muscolo cardiaco?
Aveva soltanto perso tempo in quel mondo dimenticato… e soltanto per un qualche tipo di vudù che non sarebbe servito per riportare No.i alla sua identità… non c’era più ragione di mantenere quella mascherata, no.
Non c’era più tempo.
 
«Da alla testa, tenere la vita e la morte nel palmo della mano!» Jack continuava a tenere la spada e il cuore nelle mani, e da un momento all’altro avrebbe fatto l’unica cosa che avrebbe potuto uccidere Davy Jones.
Ventus sfruttò quel momento di fiato per controllare Sora: il naso aveva smesso di perdergli sangue e sembrava essere più saldo sulle gambe, ma era visibilmente provato. Doveva aver combattuto troppo, in quella battaglia.
«Sei la crudeltà in persona, Jack Sparrow!» Jones sbraitò, ma guardando il pirata, Ventus vedeva soltanto una persona che stava proteggendo i suoi amici.
«La crudeltà è un fatto di punti di vista!» Jack ribatté, rimanendo fermo. Cosa stava facendo? Perché non colpiva?
«Tu dici?» Jones gli rispose. Si mosse.
Sia Ventus che Sora balzarono in avanti, Ventus era il più veloce, riuscì persino a toccarlo con il Keyblade, ma quel mostro era persino più massiccio di Terra… era come attaccare un muro di mattoni, e lo sbalzò all’indietro con la chela… caduto di schiena, Ventus alzò subito la testa e…
NO!
… la spada di Davy Jones era infilata nel torace di Will.
Sora non aspettò nemmeno che Ventus si rimettesse in piedi, aveva iniziato a mormorare la formula di una magia di cura, ma Ventus lo fermò… troppe volte aveva sentito, dal Maestro, che una ferita del genere era al di là di ogni cura.
Elizabeth era china su Will, come Rapunzel lo era stata su Eugene soltanto alcuni giorni prima… eppure stavolta, nessuna magia avrebbe salvato il ragazzo… nessuna benedizione…
«William… mio figlio
Fu qualcun altro a urlare.
Il marinaio maledetto che aveva attaccato Will poco prima sembrava essere tornato in sé. Aveva un coltello in mano – lo stesso coltello che Ventus aveva visto in mano a Will sulla Perla Nera! – e aveva preso a tempestare Davy Jones di pugni e pugnalate alla cieca. Aveva ripreso il senno… sì, ma troppo tardi, e solo perché suo figlio stava morendo.
«Non possiamo fare niente? Ci deve essere un modo!» Sora girava la testa a scatti, guardando prima Ventus, poi Will, poi Jones. «Ventus…»
Ventus avrebbe voluto spiegare a Sora le complicatezze dietro alle magie di cura. Gli avrebbe facilmente fatto presente come Riku, dopo lo scontro con Xemnas, non si era completamente ripreso da quel colpo al fianco, ma dubitava che Sora sarebbe stato in grado di capire.
L’unica cosa che capiva era che un suo amico stava morendo, e Ventus probabilmente non era preso dal suo stesso panico solo perché sapeva di non poter fare niente…
«Spostati!»
La voce di Jack li scosse entrambi. Un momento dopo, il pirata li prese entrambi a gomitate, spingendoli di lato. Aveva ancora la lama in una mano, e il cuore di Davy Jones nell’altra.
«Chi pugnala il cuore deve sostituirlo.» Jack indicò Davy Jones, ancora occupato a resistere all’assalto, con la testa. «Chi pugnala il cuore non può morire.»
Posò l’organo sul ponte della nave, appena accanto a Will, e gli fece chiudere il pugno attorno alla spada rotta. Lanciò un’occhiata a Ventus e Sora, poi abbozzò un sorrisetto.
«L’eternità è lunga senza rum… ragazze allegre… e un amico
Lasciò andare la mano di Will. Il braccio del giovane ricadde verso il basso, e la lama che ancora stringeva andò a ficcarsi nel cuore coperto di patelle del mostro che lo aveva ferito a morte.
«Dici che ci perdonerà?» Sora chiese, tirando la manica a Ventus. Lui si strinse nelle spalle.
A pochi metri di distanza da loro, Davy Jones, ancora intento a combattere il suo stesso sottoposto, strillò nuovamente di dolore. Ma stavolta non rimase in piedi. Crollò esanime, e il vecchio Turner lo buttò immediatamente fuori bordo.
I marinai dell’Olandese iniziarono a reagire alla scomparsa del loro capitano. Smisero di combattere e iniziarono a marciare verso il punto in cui il cuore era stato pugnalato, Turner in testa, con il coltello di suo figlio in mano.
«Parte della ciurma, parte della nave,» continuavano a ripetere.
Senza più nessuno ai posti di manovra, la nave stava iniziando a inabissarsi nel maelstrom. Jack tirò via Elizabeth, in cerca di un modo per sfuggire alla nave in affondamento, Ventus mutò il suo Keyblade nel glider e prese Sora con sé, schizzando verso l’alto mentre l’enorme mulinello veniva lentamente riassorbito dal mare. Jack ed Elizabeth, con un paracadute di fortuna, erano riusciti a sfuggire anche loro al gorgo.
L’Olandese Volante sembrava essere sparito per sempre… così come Will.
«Vexen era sull’Olandese.» Ventus disse a Sora. «E anche se Luxord fosse stato lì, sicuramente ora non lo è più. Dobbiamo tornare a casa… fare rapporto… ad Aqua.»
Per poco, non aveva meccanicamente detto “al Maestro”. Si chiese se avrebbe mai perso l’abitudine.
Il mare era tornato calmo, ma la battaglia non sembrava finita. Una delle navi della flotta inglese stava veleggiando in avanti, pronta ad attaccare. La Perla Nera fece lo stesso, con Jack ed Elizabeth a comandare.
«No, dobbiamo aiutarli.» Sora evocò il suo Keyblade e fece un passo in avanti, quasi andando a sbilanciare il glider prima che Ventus lo prendesse per il cappotto.
«Credi davvero…?» Ventus iniziò un discorso – perché toccava a lui la parte dell’adulto? – ma il mare sotto di loro prese a incresparsi, quasi in risposta alle loro parole, e tre pali di legno… no, tre alberi emersero dall’acqua, seguiti da pennoni, vele, da un’intera nave che emerse dal mare e galleggiò sulla superficie.
L’Olandese Volante era di nuovo sul mare. Ma non era la stessa nave di prima.
Le alghe e i crostacei che lo coprivano stavano cadendo pezzo per pezzo, così come le raffigurazioni dei mostri, e al posto del verdastro viscido emergevano decorazioni in oro e in bronzo.
Anche la ciurma stava cambiando. Stavano perdendo l’aspetto mostruoso, e tornavano ad essere gli uomini che erano stati.
«Serve un passaggio?»
Will era al timone. Aveva ancora la camicia semiaperta, e gli si intravedeva una cicatrice ancora rossa sotto ai vestiti, ma era vivo ed era al timone.
Non era più una nave sola ad andare contro la Compagnia delle Indie e la sua ammiraglia. Erano due.
Sora balzò giù dal glider e atterrò sul ponte, seguito da Ventus. Per un momento, Sora parve voler andare subito al parapetto, o ad aiutare, ma invece adocchiò un angolo tranquillo e ci si appoggiò per riprendere fiato.
Ventus lanciò un’occhiata a Will e si strinse nelle spalle.
Mentre gli uomini liberati dalla maledizione si affaccendavano, pronti per un altro attacco, Ventus si affacciò al parapetto e cercò di capire la situazione. Soltanto l’ammiraglia nemica era in avanzata, e si avvicinava sempre di più.
Ma arrivati al punto in cui si riuscivano a vedere gli uomini sulla nave… non sembrava essere stata data alcuna disposizione di attacco.
In pochissimo tempo, la Perla Nera e l’Olandese Volante intrappolarono la nave nemica tra di loro e la crivellarono di cannonate. Dopo soltanto una batteria di cannoni, la nave nemica era ridotta a un mucchio di legno alla deriva sul mare.
La battaglia era vinta.
Dalle altre navi della flotta pirata si sentivano, anche da lontano, urla di gioia e festeggiamenti.
L’unica nave su cui regnava il silenzio era proprio l’Olandese, la cui ciurma stava ancora venendo a patti, presumibilmente, con l’essersi liberati della maledizione e del flagello di Jones.
«Voglio dormire per due giorni di fila…» Sora commentò, barcollando leggermente mentre raggiungeva Ventus. Sul castello di poppa, Will stava parlando con suo padre, poi scesero le scale e li raggiunsero sul ponte.
«Allora, chi di voi due sarebbe Ventus?» chiese l’uomo più anziano, che aveva il naso adunco e una specie di berretto sopra i capelli scuri striati di grigio.
«Potete chiamarmi Ven.» Ventus tese la mano. «Signor Turner.»
«E tu puoi chiamarmi Bill.» L’uomo sorrise. «Will mi ha detto che anche tu hai qualcuno da salvare. Vedi soltanto di non metterti nei guai come lui.» Poi guardò Sora. «Quanto a te. Sora, giusto? Will mi ha detto che ti sei battuto come una furia.»
«Immagino stiate per andare via.» Will ammise in tono triste.
«Torneremo a trovarvi.» Sora si incrociò le braccia dietro la testa.
«Non è così semplice, ragazzo.» Turner senior alzò una mano, ma Will scosse la testa.
«Le regole di questo mondo per loro non valgono.» Il giovane capitano sorrise. «Vedrai. Hanno tirato loro fuori Jack dallo scrigno. Li rivedremo presto.»
Fece un gesto di saluto e fece per andare verso delle scialuppe, poi si girò verso Ventus un’ultima volta.
«E quando accadrà, Ven, voglio conoscere tuo fratello!»
Ventus non ebbe letteralmente il cuore di ammettere davanti a Will che Terra soffriva tremendamente il mal di mare.
  


Prompto si appiattì con la schiena contro la quercia più grossa del boschetto e disattivò il sonoro del suo telefono. Nessuno conosceva la foresta come lui, Noctis, Ignis e Gladio… a parte forse Hayner, Pence e Olette, ma loro presto sarebbero stati i proverbiali allievi, se già non lo erano. Avessero avuto altri due ragazzi nella loro comitiva, avrebbero potuto essere la loro “seconda stagione”. E adesso, il mistero che loro avevano scoperto aveva molto a che fare con la ragione per cui Prompto, Noctis e gli altri avevano lasciato il loro mondo.
Prompto scattò in silenzio una foto ai due uomini vestiti in nero che attraversavano il sentiero del boschetto e la mandò subito a Noctis, che era appostato con Luna nel tunnel che portava dal bosco alla città. I due uomini si stavano dirigendo verso la villa, ma uno sembrava quasi condurre l’altro. Il ragazzo si nascose dietro il cancello e rimase in ascolto e osservazione.
«Ti prego. Ho creato abbastanza vittime.» Quello più anziano, che probabilmente era stato forzato ad essere lì, sembrava riluttante a proseguire. «Te l’ho detto. Non l’ho presa io. Ho interrotto la mia ricerca proprio a causa della sua scomparsa!»
«E saresti nel giusto allora? Hai usato Roxas e Naminé e poi li hai gettati via. Dubito che ci sia una briciola di compassione in te!»
Roxas. Sì, erano le persone che dovevano tener d’occhio. Quell’uomo sapeva cosa fosse accaduto a Roxas, dovevano portarlo via da lì!
Sentì dietro di sé il sibilo che accompagnava l’apertura dei portali, e Noctis e Luna comparvero dietro di lui.
«Credo che il vecchio sia stato rapito.» Prompto bisbigliò a Noctis. «Gli ho sentito nominare Roxas.»
I due stavano ancora parlando. Il più giovane stava esigendo dei dati che il più anziano teneva nascosto, e chiedeva informazioni sul fato di una ragazza.
«Non sai quanto ti sbagli, Xehanort!» L’anziano sbottò. Vicino a Prompto, gli occhi di Luna divennero due fessure.
«L’orribile essere umano…» Prompto mormorò, poi Luna gli diede di gomito e gli fece gesto di uscire allo scoperto.
«Signori! Questa villa è proprietà del patrimonio comunale!» Prompto cercò di inventarsi una frottola, puntando il dito verso i due. «Risponderete al Sindaco Regis di sconfinamento se fate un altro passo!»
Forse era anche vero che la villa fosse proprietà del comune, ma era una vita che i ragazzini vi si infilavano senza che nessuno se la prendesse veramente – e Prompto ne sapeva qualcosa, era stato uno di quei ragazzi.
«Cosa?» Xehanort fissò Prompto, incredulo. «Sparisci, seccatore!»
«Lo sto dicendo per voi, signore!» Prompto fece appello a tutto il suo sangue freddo per mantenere la calma e sperare che l’uomo davanti a lui non lo trasformasse in un rospo o qualcosa. «Conosco il sindaco, e non è una persona che vorreste contrariare!»
Dietro Xehanort, si aprì un portale e Luna prese l’uomo per una manica e lo tirò via. A quanto pareva, Noctis stava aspettando quel segnale, perché prese Prompto per il dietro della giacca, lo tirò via e buttò verso Xehanort una bomba fumogena.
Un enorme colosso nero emerse dall’ombra di Xehanort e intercettò la bomba in una mano, ma quella scoppiò lo stesso, riempiendo il giardino della villa di fumo grigiastro. Non c’era tempo da perdere – Luna aprì un altro portale e riemersero nel vecchio covo di Noctis, quello che adesso era letteralmente in possesso della banda di Pence.
«Non dovrebbe poterci rintracciare.» Luna chiuse il portale dietro di sé, indicando il vecchio divano cigolante all’uomo perché si sedesse. «Perché quell’uomo ce l’aveva con voi?»
L’uomo alzò a malapena lo sguardo. «Chi siete?» I suoi occhi arancioni passarono da Prompto, a Noctis, per poi indugiare su Luna. «Io so cosa sei tu. Ti sei messa in un immenso pericolo, ad avvicinarti tanto a un Cercatore Oscuro.»
«Meglio noi, che mio fratello e i suoi amici. Troppi ragazzini in questa storia.» Prompto si sedette sulla vecchia caldaia. «Vi abbiamo sentito menzionare un Roxas. Mio fratello Pence è suo amico. Sapete qualcosa su… se esiste un modo per riportarlo a casa?»
L’uomo alzò la testa, e guardò di nuovo i tre. C’era quasi un barlume di speranza nei suoi occhi.
«Va’ a chiamare tuo fratello, allora. E tenete pronte delle sedie. Questa potrebbe essere una lunga storia.»
 

 
«Ce l’ho ancora sul radar! Avanti, ci siamo quasi!» Riku era alle calcagna dei Cuboscuri (era quello il nome che Fred aveva dato all’Heartless informe… avevano iniziato a usarlo perché non sapevano come altro chiamarlo realmente).
Dire che la caccia era stata pura pazzia era un eufemismo. Quel coso poteva dividersi, e così aveva fatto, intrappolando da soli tutti i membri della squadra prima che Riku potesse trovare un modo per liberarli.
Dopo che Riku ne aveva sconfitto ogni pezzo, ogni volta in maniera diversa, Hiro aveva annunciato loro via radio che doveva esserci una sorta di punto debole – un nucleo che dava gli ordini, come per i Microbot.
«Qualsiasi cosa siano questi cubi oscuri, in un qualche modo stanno imitando i Microbot. Sono con la prof, stiamo cercando di indagare. Continuate a riprendere, ce la stiamo mettendo tutta!»
Erano di nuovo davanti alla Krei Tech, e i Cuboscuri si erano radunati, formando qualcosa di simile alla sagoma di un cuore che girava.
«D’accordo, gente, se non sono io a vibrare il colpo potrebbe anche solo riapparire da un’altra parte.» Riku evocò il suo Keyblade e caricò il mostro. «Lasciatelo a me!»
Scattò verso la cosa. Uno dei software di Hiro gli indicò di colpire dritto verso il centro. Era vicino… vicinissimo…
… e una figura umana in nero, con addosso la cappa, gli apparve davanti…
Aveva un Keyblade – e non un Keyblade qualunque.
«Sora…?»
La figura lo aggredì con un fendente. Riku fece appena in tempo a puntare i piedi e chiudere la guardia, e poi…
CRACK.
La Catena Regale nelle mani del suo avversario sfarfallò per un secondo in un’arma diversa mentre si scontrava con Via per l’Alba. Riku sentì la sua arma vibrargli pericolosamente in mano, poi un’onda d’urto lo spinse all’indietro.
Non di nuovo… si trovò a pensare, e stavolta non c’era nemmeno Baymax… qualcosa di soffice gli attutì la caduta, e riconobbe una delle bombe chimiche di Honey Lemon, che in quel caso si comportava da airbag.
«Avete finito di giocare?» Una voce venne dalla cima dell’edificio. In un qualche modo sembrava familiare… ed estranea.
«Ma che…?» Go Go si guardò in giro. Non era non-Sora ad aver parlato.
Qualcuno era comparso vicino a Non-Sora. E quel qualcuno era il riflesso di Riku – se fosse stato in uno specchio rotto. Era più basso, con i capelli più lunghi, aveva una cappa nera e i suoi occhi erano gialli.
«Ohi, Riku, il cattivo è il tuo mini-te!» Fred scattò al fianco di Riku.
«Ma che…» Riku si rimise in piedi. Il Keyblade sembrava più leggero nella sua mano… si era rotto? Come era potuto accadere?
«Sorpreso di rivedermi? L’ultima volta era al Paese dei Balocchi, ora non mi dire che hai finalmente deciso di andare a scuola a fare il ragazzo modello.» Il doppio di Riku lo schernì.
Sparì ancora una volta, e quando riapparve con una scheda elettronica rossa nella mano, i Cuboscuri si smembrarono davanti a loro, crollando al suolo.
«Sei falso.» L’altro Riku lo irrise nuovamente. «Proprio come quella patetica scusa per un Keyblade. Siete falsi tutti voi! Perdenti che giocano agli eroi. Insomma, guardatevi attorno!»
Indicò la città attorno a loro.
«Buttate via la vostra vita per degli ingrati. Voi smanettoni state buttando alle ortiche le vostre carriere così una biologa svampita può scrivere ficcine su di voi mentre lavora in un posto che poteva essere vostro. Quanto a te, Riku? O dovrei dire, quanto a me? Non penso che ritornare sui tuoi… sui miei passi… ti abbia portato da qualche parte. Se il mio futuro è qui, da solo, con un’arma scassata, mentre Sora e Kairi magari si scambiano un paopu, beh, non penso che sia qui che voglio andare!»
«… che accidenti?» Wasabi guardò prima Riku, poi l’altro Riku.
«Oh, non glielo hai detto.» L’altro Riku ghignò. «Sapevate che è stato lui? È stato lui ad aiutare gli Heartless a invadere i mondi un anno fa… il povero bimbo voleva diventare forte. Voleva trovare il suo mentore. Voleva essere quello che salvava la ragazza. Ma non è per te che sono qui adesso.»
Mostrò loro di nuovo il chip. Qualcuno vi aveva disegnato sopra un teschio con tibie incrociate con un pennarello da due soldi. Gli altri sembravano quasi spaventati nel vederlo, ora che lo vedevano chiaramente.
«Il mio nuovo amico qui combatte bene, ma fa soltanto quel che gli viene ordinato.» L’altro Riku si strinse nelle spalle. «Avremmo potuto avere Sora o Shiro, ma no, voi volevate fare gli eroi dell’ultimo minuto, quindi abbiamo creato un corpo… e ora gli serve un cuore.»
«Quell’affare è pericoloso!» Wasabi sbottò alle figure in nero. «Non sapete che state facendo…»
«Oh, quindi volete che io lo rimetta dove l’ho trovato?» L’altro Riku aprì un Corridoio Oscuro, e fece gesto a non-Sora di entrarvi. «Bene, perché intendo proprio farlo.»
Sparirono. Un momento più tardi, i Cuboscuri svanirono nel nulla.
«Grandioso.» Go Go commentò in tono piatto. «Siamo morti.»
 
Nei laboratori di robotica dello SFIT le luci erano ancora accese. Hiro li attendeva davanti allo schermo di un computer, una tazza di cioccolata calda poggiata vicino alla tastiera, il casco abbandonato su una scrivania assieme al resto dell’armatura, ed al suo fianco c’era una donna nera di mezza età con abiti scuri e i capelli tagliati corti.
«Mi state seriamente dicendo che esiste un altro Riku e gli Heartless c’entrano con lui?» La professoressa Granville sbottò prima che Riku o chiunque altro potesse dire “Buona sera, prof”.
«Per l’esattezza, è Riku che c’entra con gli Heartless, non il contrario.» Baymax precisò da una stazione di ricarica in un angolo.
«Beh, non è l’unico doppio che ci ritroveremo tanto presto.» Hiro sembrava quasi arrabbiato. «Il falso Riku ha detto che avrebbe rimesso il chip dove lo aveva trovato… se ha trovato il chip, ha trovato anche…» Fece una smorfia. «Baymax
«Io sono qui.» Il robot obiettò.
«Già, ma esiste un altro te con licenza di distruggere.» Go Go commentò, prendendo una sedia.
«Distruggere?» Riku si tolse il cappello e il visore.
Hiro andò verso Baymax e gli premette uno sportello circolare. Comparve un cassettino che conteneva tre chip.
«Vedi quel chip verde? Quello è ciò che rende Baymax… Baymax. È la sua programmazione originale. Il suo carattere, il suo istinto di proteggere e curare, quello che gli impedisce di fare del male a chiunque. Era il chip che ha programmato mio fratello. Il secondo, quello rosso, è opera mia. Programmazione di combattimento, e soprattutto istinto da eroe. Anche se il primo venisse rimosso, anche in questo ci sarebbe un impedimento dell’aggressione. Il terzo è il programma overdrive, ma non è importante adesso. Prima del chip eroe, c’era quello che hai visto nelle mani del tuo doppio.»
«L’altro me ha detto di aver trovato quel chip…»
«Se ha trovato quel chip, ha trovato il corpo originale di Baymax, quello che è andato perso nel salvataggio di Abigail Callaghan.» Hiro richiuse lo sportello dei chip. «Dobbiamo distruggere quel chip prima che venga reinserito.»
«E fin qui ci siamo.» Wasabi annuì.
Ma sembravano tutti preoccupati. Visibilmente.
«Riku, chi era quello davanti alla Krei Tech? Perché aveva detto di essere te?» Honey Lemon gli chiese.
Riku tirò un sospiro.
«Perché molto probabilmente lo era.» Abbassò lo sguardo. «Un anno fa ero un imbecille. Il mio amico Sora dovette letteralmente suonarmele perché riprendessi a vedere la ragione… e anche così, passai tutto l’anno successivo a fare del mio meglio per rimediare ai miei errori.»
Prese a raccontare quanto poteva dell’Organizzazione, e di come il loro scopo fosse riportare nei mondi un’antica guerra che aveva cancellato tutti i mondi e fatto ripartire tutto da zero. Parlò dei Guardiani della Luce e della loro missione, e mostrò loro dal telefono le foto dei suoi amici, sorridenti nonostante l’aria stanca e delle ferite recenti. Dei presenti, Hiro lo fissava, occhi negli occhi, captando ogni parola, quasi attonito.
Sembrava già aver sentito una storia del genere.
Riku sapeva che non avrebbe dovuto rivelare tutti quei dettagli – Paperino non sarebbe stato contento – ma dovevano sapere. Era come con Leon, Aerith, Yuffie, Cid, Tifa e Cloud a Radiant Garden. Stavano difendendo la loro città da Xehanort, e se non conoscevano un nemico contro cui già da soli avrebbero avuto poche chance, che possibilità avevano di proteggere ciò che per loro era importante?
La professoressa Granville lasciò la stanza alla fine del racconto, raccomandando ai ragazzi di andare a letto presto, con lo smartphone sul comodino nel caso qualcosa dovesse accadere.
«Riku, posso fare qualcosa per la tua arma?» Hiro fermò Riku prima che lasciasse la stanza. «Ho visto quel tipo in nero spezzartela…»
«Questa è magia, Hiro.» Riku evocò Via per l’Alba. La punta era monca di un grosso pezzo, così come la guardia. «Non credo che tu possa farci molto.»
«Forse, ma…» Hiro estrasse una cassa da sotto la sua scrivania e la aprì, rivelando quello che sembrava un ammasso di capocchie di spillo a due punte.
«Questi sono Microbot. Faranno qualsiasi forma tu pensi… sono molto pochi, ma ho visto come si comportava la tua lama. Non dico che sarà la stessa cosa, ma… può essere un tentativo di riparazione.»
Collegò il visore di Riku al computer e iniziò a programmare qualcosa. Riku riconobbe delle riprese dei suoi movimenti.
«Ti fidi ancora di me?» Riku gli chiese.
«Riku, io…» Hiro alzò lo sguardo. «Non è il te del passato che conosco, è il te di adesso. E se non ci avessi salvati sul ponte, se non ci avessi aiutati a ripulire i quartieri dagli Heartless… non sarei qui, ora, a preoccuparmi se fidarsi è bene o non fidarsi è meglio.»
Abbassò lo sguardo un’altra volta.
«E poi, un anno fa avresti dato anche a me dell’imbecille. Avrai anche aiutato gli Heartless, ma chi ha creato il chip che stavano cercando? Io
Staccò il visore e lo mise in mano a Riku.
«Quando si rifaranno vivi, saremo pronti a riceverli. E allora vedremo chi è il vero perdente.»
  


Luna aveva il cuore in gola mentre attraversava il portale. A stento riusciva a credere a quello che i due uomini – Ansem e Vexen – le avevano detto nel locale caldaie.
Il suo apprendistato con Stephen Strange le aveva insegnato a non dubitare di nulla, e probabilmente avrebbe visto di peggio, si fosse trovata a vivere con lui nella linea temporale in cui gli Avengers avevano affrontato il Titano Pazzo… ma questo… da studentessa di medicina, questo sembrava follia.
La tecnologia medica, o almeno quella del suo mondo, non era sufficientemente avanzata per creare un corpo umano da zero, men che meno quello di un adolescente, identico all’aspetto che aveva avuto alla sua scomparsa!
«Radiant Garden? Di nuovo?» Noctis emerse dal cerchio di scintille accanto a lei. Erano nella sala del computer di Ienzo, che sembrava stare parlando con i programmi Otto e Nove al microfono del computer.
«… adesso è il piano di riserva o niente. Ma… il piano di riserva non è una vera soluzione.»
«Ienzo, abbiamo novità!» Luna annunciò immediatamente la sua presenza. Il giovane sussultò sul posto, sorpreso dalla loro presenza e dall’involto di coperte a misura umana che Noctis aveva tra le braccia.
«Luna? Noctis? Che succede?»
«Succede che questo coso pesa come una persona.» Noctis mugugnò, lasciando l’involto di coperte su di una sedia.
«Capitan Ovvio.» Luna gli lanciò un’occhiata, poi si voltò verso il portale ancora aperto sul locale caldaie di Crepuscopoli. «Ienzo, il castello è al sicuro?»
Lo studioso la fissò in silenzio, poi fece sì con la testa.
«Bene.» Noctis riprese il controllo della situazione. «Ragazzi, via libera!»
Prompto fu il primo a passare il varco, poi a farlo furono il signor Ansem, Ignis, e infine Gladio a chiudere la fila.
Ienzo fece un passo indietro, quasi appoggiandosi al computer per lo stupore.
«Maestro Ansem!»
L’uomo anziano sembrava quasi sollevato, se non felice… da quanto tempo non vedeva quella che doveva essere casa?
«Ah… ben ritrovato, piccolo Ienzo.»
Il giovane stava quasi tremando, quasi fosse scosso dai singhiozzi.
«Mi avevano detto che era impazzito. Che ci aveva abbandonato…» Si avvicinò ad Ansem, abbassando lo sguardo come avrebbe fatto un bambino.
«Cosa succede qui dentro? I sistemi di confine…» Un giovane con irti capelli biondi entrò di corsa, uno spadone in mano, ma si fermò sulla soglia quando vide chi era arrivato. Genesis in persona, di nuovo con una divisa, la stessa del ragazzo, si fermò appena dietro. Sgranò gli occhi quando vide Noctis e Luna, ma fu ancora più sorpreso dal ritorno del padrone di casa.
«Dilan! Aeleus! Venite qui!» Genesis chiamò verso il corridoio. «Cloud, chiama il giudice…»
«… chiamare Ilyas? Io chiamerei Sora semmai…»
Sembrava che nessuno in quella stanza, se proprio non avevano capito cosa stava succedendo, sapesse cosa fare. Genesis sembrava quasi adirato, l’altro ragazzo, Cloud, era confuso ma sembrava quasi speranzoso, e le altre due guardie che arrivarono dopo di loro, che avevano un’uniforme diversa (Genesis aveva menzionato di essere stato una guardia cittadina… evidentemente dovevano anche esserci delle altre guardie!) sembravano non sapere nemmeno cosa dire.
«Cloud ha ragione. Dovreste chiamare Sora, e anche in fretta.» Luna ruppe il ghiaccio. «Abbiamo una Replica.»

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Capitolo 10
*** Nessun Altro Che Me ***


Dieci capitoli fatti... su 13! - ebbene sì, questa fanfiction sarà più lunga delle altre!
Avverto già che io e Miraha abbiamo deciso che anziché scrivere, tradurre e pubblicare capitolo per capitolo, gli ultimi tre saranno scritti tutti assieme per la complessità delle trame che dobbiamo sbrogliare - e anche quelle che NON dobbiamo sbrogliare.
Detto questo, buona lettura!
 

Guardians – Capitolo 10
Nessun Altro Che Me
 
Aqua scese la scalinata davanti al portone del castello. Sembrava che quel posto avesse una sua mente, e lei ne era sempre più convinta – aveva quasi avuto una sensazione un momento prima, come se qualcuno stesse arrivando, ma non poteva essere né Shiro, che era a letto, né Lea e Kairi, che erano rimasti a Radiant Garden dopo aver incontrato Luna e Noctis nel castello.
Un momento dopo che lei aveva messo un piede fuori dal portone, si era aperto un varco, e Sora e Ventus ne erano emersi sul glider del ragazzo più grande.
Sora si tolse immediatamente l’armatura e barcollò in avanti, poggiando le mani sulle ginocchia per reggersi. Sembrava visibilmente molto stanco, e le macchie verdastre che aveva in faccia facevano presumere che avesse preso una botta e fosse stato curato.
«Ci sono scappati.» Ventus dismise il Keyblade e si tolse l’armatura. «Ma sappiamo cosa cercavano, e non l’hanno trovato.»
In qualsiasi mondo fossero stati, avevano preso entrambi un po’ di abbronzatura, e i capelli di Ventus erano persino più chiari di quanto non fossero stati, presumibilmente sempre a causa del sole. Ventus era quasi buffo – Aqua non sapeva cosa gli fosse successo alle braccia, ma l’abbronzatura gli aveva lasciato delle forme strane, e una delle due era lo stesso simbolo che portavano sul davanti dei vestiti.
«Non voglio più vedere polpi e granchi per almeno un mese.» Sora commentò, tenendosi il naso. «Ciao, Aqua.»
«State bene?» La giovane Maestra diede voce alla sua prima preoccupazione, soprattutto guardando Sora.
«Sora ha avuto la brillante idea di sfidare un avversario immortale.» Ventus si strinse nelle spalle. «Ma onestamente non lo biasimo. Ci è quasi scappato il morto, e forse ci sarebbe scappato se Sora non fosse stato lì.»
«Forse avete anche bisogno di una doccia…» Aqua si lasciò sfuggire il commento.
«No grazie. Già dato.» Ventus si mise a ridere. «Dovevi vedere come pioveva…»
«Ecco, appunto. Vai a lavarti. Le tue lenzuola sono ancora pulite.» Aqua gli arruffò i capelli con una mano.
Presero la scalinata e rientrarono nel castello. Alla Terra di Partenza non era successo molto durante la loro assenza – erano letteralmente stati via per un paio di giorni, almeno secondo il punto di vista di Aqua, ma a giudicare dall’abbronzatura di entrambi e dai capelli schiariti di Ventus, per loro probabilmente era passata almeno una settimana.
«Sora, ha chiamato Kairi un paio di ore fa. Sperava foste già tornati.» Aqua disse al ragazzo più giovane mentre attraversavano il salone, diretti ai bagni del castello.
«Kairi? Non è qui? Pensavo tornasse qui ogni sera.» Stanco com’era, Sora si raddrizzò come se gli avessero dato una pacca.
Aqua scosse la testa.
«Ansem il Saggio è tornato a Radiant Garden.»
«COSA?» Sora fece un salto all’indietro.
«Piano. Shiro dorme.» Aqua cercò di calmare Sora, che nonostante la stanchezza sembrava pronto a scattare come una molla.
«Oh…» Sora si fece piccolo. «Quindi… devo andare lì?»
«Devi andare a letto.» Ventus lo contraddisse. «Sora, lo so che vuoi salvare Roxas, ti ho letto nel pensiero per anni quindi posso immaginarlo. Ma prima che tornassimo qui avevi anche detto di voler dormire per due giorni di seguito.»
«Beh, non sapevo che avremmo potuto salvare Roxas…»
«Beh, a Radiant Garden non ci andiamo puzzolenti e coperti di sale. Forza, i bagni sono da questa parte» Fu Ven a tagliare corto, con una maturità nella voce che Aqua non gli riconosceva. Era strano pensare che per lui, in un certo senso, quegli undici anni erano finiti per passare, anche se aveva vissuto la vita di un altro, e adesso pur non essendo cambiato di una virgola, era comunque cresciuto tanto da poter prendere la situazione in mano in certi casi.
Si chiese se avrebbe meritato la carica di Maestro.
Si chiese se avrebbe dovuto essere lei ad investirlo del titolo.
E si rese conto che, molto probabilmente, Ventus avrebbe rifiutato fino a quando Terra non fosse tornato a casa. Era troppo sentimentale, troppo retto per decidere altrimenti.
I bagni erano in un corridoio del castello non molto lontano dalle camere da letto. Erano più stanzini singoli che si diramavano da una camera più grande. Ventus indicò a Sora dove avrebbe potuto fare la doccia e trovare asciugamani puliti («Tranquillo, ce l’ho un cambio di vestiti, non mi devi per forza prestare i tuoi») e poi uscì dal bagno non appena Sora si fu chiuso la porta della cabina doccia alle spalle.
«Guarda che anche tu sei sporco.» Aqua fece per indicargli la cabina accanto.
«Lo so, ma…» Ventus esitò nel parlare, poi si sentì il familiare fruscio di una doccia in funzione. «… se devo portare Sora a Radiant Garden, prima volevo parlarti.»
Stava tenendo la voce relativamente bassa, come se ci fosse qualcosa che voleva nascondere all’altro ragazzo.
«Non dovrebbe andarci.» Ventus scosse la testa. «Non adesso. Si è sforzato troppo ai Caraibi. Non so che gli sia preso… non lo aveva mai fatto prima d’ora… ma era come se davanti a me, volesse dimostrarmi qualcosa.»
«Ti ha detto qualcosa a riguardo?» Aqua disse immediatamente quello che stava pensando. Sora non le sembrava tipo da esternare le sue preoccupazioni, per quel poco che conosceva di lui, ma Ventus era stato nel suo cuore per undici anni… se quello non era “camminare un chilometro nelle sue scarpe”, ben poco lo sarebbe stato.
«Non mi ha confessato nulla che lo preoccupasse, ma…» Ventus sembrava quasi perplesso, come se qualcosa gli fosse a portata di mano ma allo stesso tempo gli stesse sfuggendo.
«Vogliamo andare a parlarne mentre facciamo qualcosa da mangiare?» Aqua indicò il corridoio che portava alle cucine con la testa. Probabilmente la reticenza di Ventus si sarebbe potuta dissolvere una volta arrivato fuori portata d’orecchio.
«Può starci. Sto morendo di fame, comunque.» Il ragazzo abbozzò un sorriso.
Era ancora pensieroso mentre camminavano per i corridoi vuoti. Aqua si chiese cosa potessero avere visto i due ragazzi dal momento in cui avevano indossato le armature per partire al momento in cui erano tornati. Durante il percorso, Ventus le parlò di come i tre amici di Sora, Jack, Will ed Elizabeth, gli avevano tanto ricordato loro stessi undici anni prima, i loro piani in aperto contrasto e il modo in cui avevano litigato.
«… non è stato bello vederli darsi addosso tra loro. Ognuno cercava di andare da una parte… ma alla fine, quello che è successo, è che Jack… che sembrava essere l’uomo più egoista di quel mondo, ha detto che l’eternità è lunga senza un amico… e ha salvato la vita a Will, anche se ha significato rinunciare all’immortalità per lui.»
«E credi che tutto questo possa aver turbato anche Sora?»
Erano arrivati nelle cucine del castello. Probabilmente era un po’ troppo tardi per fare qualcosa di sostanzioso per quei due bambini troppo cresciuti, ma erano appena tornati stanchi da una missione difficile in mezzo a una tempesta, e magari meritavano un piatto di zuppa calda.
«No, ma… qualcosa lo ha fatto preoccupare. Forse qualcosa che potrei aver detto o fatto.»
Aqua era intenta a cercare il brodo, ma stava comunque ascoltando il suo amico. Gli chiese se la pastina nella minestra sarebbe andata bene, poi rispose al suo dubbio.
«Dovresti prenderlo da parte e parlargli.» Era la cosa più logica da fare, in un caso come quello. Inutile fare ipotesi, quando il diretto interessato era qualche corridoio più in là.
«Non mi sembra il tipo da aprirsi così.» Ventus scosse la testa. «Una cosa però l’ho notata. Ricordi che quando ero piccolo, Terra mi chiedeva sempre se stavo bene dopo gli allenamenti… e se non glielo dicevo, mi teneva d’occhio in qualche modo? Nessuno lo ha chiesto a Sora. E non intendo soltanto oggi…»
«Hai trovato la risposta, Ven. Cosa avrebbe fatto Terra con te? Adesso sei tu il grande.» Aqua gli mise una mano sulla spalla. «Cerca di ascoltarlo anche se non parla. Cerca di capirlo. E non farlo muovere di qui prima di domattina, a costo di mettergli il sonnifero nella minestra.»
«Aqua…»
«Parlo io con Kairi e Lea. Capiranno, soprattutto lei.»
«Se conosco Sora, potrebbe obiettare comunque.»
«Non è nelle condizioni di farlo. Non quando presto sarà il momento di attaccare Xehanort sul suo campo, e avremo bisogno di essere forti e astuti abbastanza da fermarlo.»
Mentre la zuppa cuoceva, Aqua si allontanò dai fornelli e trovò il telefono dove lo aveva lasciato sul tavolo. Trovò il contatto di Kairi, e le disse che Sora era visibilmente troppo stanco per muoversi. Ricevette immediatamente un “O.K.” come risposta, e un paio di minuti dopo si udì la suoneria di un altro telefono dai corridoi.
«Come?» La voce di Sora echeggiò da poco lontano. «Ansem è a letto?»
«Sono tutti a letto, Sora, hai visto un orologio negli ultimi cinque minuti?» Aqua riconobbe la voce di Kairi.
«Beh, Ven, direi che sia il tuo turno di fare la doccia.» Aqua commentò, lasciando il telefono e indicandogli la porta.
  


Hiro e Riku – con Baymax assieme a loro – erano gli unici due al tavolo del caffè. La zia di Hiro – che era stata più felice che mai di vedere il nipote in compagnia di un ragazzo in età da liceo – aveva lasciato loro davanti due piatti di pancakes ed era filata via a servire altri clienti.
Il loro angolo era tranquillo – abbastanza da parlare a bassa voce senza essere ascoltati. Ed entrambi avevano bisogno di parlare.
«Se quel tipo ha detto di essere te, non vorrei che la polizia si metta sulle tue tracce…» Hiro stava mormorando.
«Vorrà dire che mi farò vedere in faccia oggi.» Riku concluse. «Dovrebbero capire che non c’entro. Un anno fa ero più basso, e avevo i capelli più lunghi. Penseranno che si tratti di mio fratello o della mia…»
Replica.
«Ha, potrebbero anche ritenerti una specie di clone. Gira voce allo SFIT che Liv Amara sia capace di clonare le persone.» Hiro commentò.
«Ne è capace anche Xehanort.» Riku gli rispose a voce bassa. «Un anno fa fece una mia copia… ma era morto… e probabilmente ha copiato anche il mio amico Sora, ma qualcosa è andato storto.»
«Beh, vuol dire che quando tutto questo sarà finito dovrò tenere d’occhio Liv Amara. Come se non lo stessi già facendo, c’è qualcosa che puzza nei suoi lavori.» Hiro sospirò, poi riprese a concentrarsi sulla sua colazione.
«Riku, il tuo battito cardiaco è accelerato.» Baymax ruppe il silenzio. «Rilevo un livello elevato di adrenalina. Sei nervoso? Basandomi sulle scansioni del tuo corpo e di quello del tuo doppio, le tue probabilità di sopraffarlo fisicamente sono alte. La tua crescita nell’ultimo anno ha aumentato la massa ossea e muscolare, e anche se…»
«No, Baymax, è da un bel po’ che non ho più paura di me stesso.» Riku guardò il robot. «Non in quel senso, almeno. È solo che… pensavo.»
Pensava a quello che aveva detto Hiro. Quando tutto questo sarà finito. Dopo Xehanort, dopo la battaglia, Sora e Kairi gli avrebbero ancora voluto bene? Cosa sarebbe accaduto dopo? Ci sarebbero ancora stati dei pomeriggi a fare i compiti, per poi scappare alla tavola calda con il ventilatore pendulo e ordinare un pezzo di pizza… ci sarebbero state ancora corse in riva al mare, duelli all’arma di legno e giornate estive passate a rifugiarsi nella grotta segreta?
O adesso che si erano fatti grandi, non c’era davvero più posto per quei giochi da bambini?
«Se i tuoi pensieri ti preoccupano, dovresti parlarne.» Baymax gli consigliò in tono di conforto. «Io sono un robot, non giudico.»
«Già, quello sarebbe il compito di Mochi.» Hiro ridacchiò e indicò un gatto visibilmente ciccione che si leccava una zampa sul bancone.
«Beh, ecco…» Riku fissò il pavimento. «Quando tutto questo finirà… che sia tra una settimana, o tra un mese, o un anno… non ho visto i miei amici Sora e Kairi per un anno, e quando ci siamo rivisti le cose sono cambiate talmente in fretta che siamo stati separati ancora una volta, e negli ultimi giorni è stato già tanto se per una sola volta siamo riusciti a mangiare insieme. In questo anno siamo cresciuti, anche se ognuno di noi a modo suo, e non so ancora quanto sono cambiati loro… o quanto sono cambiato io. Ho… ho un po’ paura che loro non abbiano più bisogno di me. O io di loro… non importa quanto loro siano stati importanti. Davvero, siamo cambiati, e per me è anche un bene… ma se fossimo cambiati troppo
Hiro inclinò la testa di lato, in un gesto che a Riku ricordò molto Sora.
«Wow. Spero di non arrivare a pormi simili domande filosofiche a sedici anni.» Ridacchiò nervosamente.
Baymax si avvicinò a Riku e lo avvinghiò nelle sue braccia gonfiabili.
«Hai bisogno di un abbraccio.» Annunciò. «E di rassicurazione. Dopo la battaglia scaricherò altri database sulla psicanalisi. Nel frattempo, posso darti un consiglio. I tuoi amici ti vogliono bene, e probabilmente si staranno ponendo la tua stessa domanda. Fino a quando questo momento non sarà prossimo, pensieri del genere non sono che una distrazione. Devi affrontare il problema che hai davanti, prima di risolvere uno che non sei nemmeno certo ci sarà.»
Riku non sapeva dire se si sentiva più riscaldato dall’abbraccio o da quelle parole… poi il telefono gli squillò. Riconosceva la suoneria. Era Sora…! Era un messaggio da lui… senza pensarci troppo, Riku si tolse il dispositivo di tasca e accese lo schermo.
Era un post di Kingstagram – nella foto c’erano Sora e Kairi a fare le smorfie davanti a quella che Riku riconosceva come la scuola dove Shiro frequentava la terza media (era la terza?). Sora aveva quelli che sembravano vecchi lividi sulla faccia, ma era visibilmente pulito e riposato, e Kairi era la stessa di sempre. C’erano altri quattro ragazzi nella foto, che quasi lottavano per comparire nell’obiettivo – Shiro era aggrappata alle spalle di Sora, c’era una ragazza con i capelli castani e arruffati giusto accanto a Kairi (Yuna, se Riku non ricordava male), e un ragazzino e una ragazzina con i capelli rossi che si somigliavano molto tra loro – dovevano essere loro i gemelli nella classe di Shiro.
La didascalia della foto era un semplice “ci manchi… no, a loro no”. Shiro aveva immediatamente commentato “A ME SI INVECE” in lettere maiuscole.
«Sono i tuoi amici?» Anche Hiro sembrava aver ricevuto un messaggio, perché anche lui stava cercando il suo telefono.
Riku fece sì con la testa.
«Qui è la Granville. Il suo numero ufficiale.» Hiro mormorò. «Le aule dello SFIT sono chiuse per un’infestazione di pidocchi del capo tra gli studenti.»
«Pidocchi? Sono seri?» Riku scosse la testa.
«Un’infestazione da pidocchi può essere causa di stigma sociale, e chi ne fosse affetto potrebbe tendere a vergognarsi.» Baymax commentò. «Ma è improbabile che ad esserne affetti siano ragazzi di età superiore ai diciassette anni, a meno che non abbiano fratelli in età scolare.»
«La Granville non ha realmente trovato pidocchi. Vuole che i Big Hiro 6 possano pattugliare la città… e ha trovato un diversivo.» Hiro concluse, poi sembrò rendersi conto di qualcosa. «Spero solo che Zia Cass non decida di tagliarmi i capelli.»
 
 
Prima che Sora potesse mettere via il telefono, il dispositivo squillò e sotto la sua foto c’era una risposta di Riku – era in posa con un ragazzino dai capelli neri, una specie di… pallone?... no, era un robot… e aveva in braccio un gatto tricolore visibilmente grasso. Aveva commentato la sua foto con la didascalia: “OH NO STA ARRIVANDO”.
«Cos’è che sta arrivando?» Shiro si infilò letteralmente tra la faccia di Sora e la mano che teneva il telefono. Dietro di loro, il gemello maschio (che Sora per un momento aveva quasi scambiato per Neku, ma di nome faceva Lann) prese a ridere così forte che la sua gemella dovette spingerlo indietro e ordinargli di respirare.
«Si dice così quando un gatto è decisamente tondo.» Kairi le spiegò.
«Ah, come Cicciomiao?» Shiro lasciò andare Sora e il telefono.
Sora annuì. Dall’edificio che svettava su di loro prese a suonare una campanella che annunciava l’inizio delle lezioni.
«Forza, Shiro, dobbiamo andare.» Lann, che sembrava essersi ripreso, prese la coetanea da parte e le indicò il portone con il pollice. «Reynn, ci sei? Il prof non sarà contento se tardiamo.»
«Ha parlato lui.» Sua sorella borbottò tra i denti.
«Shiro, Lann, Reynn, ci vediamo a mezzogiorno alla mensa?» Yuna si sistemò una borsa in spalla e guardò i tre preadolescenti.
«Penso di…» Shiro mormorò, ma Reynn fu più rapida a rispondere: «Come sempre!»
«Ho di nuovo portato il pallone, potremmo fare due tiri al canestro alle tre dopo l’uscita.» Lann propose. «Sora, Kairi, sapete giocare, vero?»
«Sì, il professor Jecht ci ha fatto fare pallacanestro in prima superiore.» Kairi fu la prima a rispondere. «Riku però è più bravo di noi.»
«Solo perché è più alto.» Sora commentò, incrociandosi le braccia dietro la testa.
Avrebbe potuto giurare che Yuna avesse avuto un sobbalzo, ma poi la ragazza li salutò loro con la mano e si avviò verso il portone, seguita da Shiro e dai gemelli.
C’erano molti meno ragazzi di quanti Sora ricordava frequentassero persino le scuole alle Isole del Destino, e soltanto un edificio, quello del liceo, era aperto come scuola per tutte le classi, ma il ragazzo ricordava quell’atmosfera.
«E pensare che se Radiant Garden non fosse mai caduta, adesso verrei a scuola qui.» Kairi commentò. «Yuna e io facemmo la primina insieme, in effetti, anche se io non ricordo nulla.»
Il piazzale davanti alla scuola si svuotò rapidamente, a restare soltanto Sora e Kairi e, in alcuni casi, dei genitori, senza dubbio quelli degli studenti più giovani.
«Fa stranissimo pensare alla scuola.» Sora ammise. «Anche pensare che ci dovremo tornare. Se dovesse essere troppo tardi per fare gli esami di recupero, io potrei ritrovarmi in classe con Tidus e Selphie… e Riku finirebbe in classe con te.»
Si chiese come avrebbe potuto fare per recuperare l’anno che aveva perso – la classe di Tidus non era male, ma quanto strano sarebbe stato riprendere una vita “normale” in una classe che non solo non aveva passato le sue avventure, ma non era nemmeno quella che ricordava?
«Magari pensiamoci quando Xehanort non sarà più un pericolo.» Kairi si strinse nelle spalle. «Non saremo gli unici a dover valutare dove eravamo rimasti. Forse potremo pensare a come risolverla insieme.»
Stava ancora guardando la scuola, anche se il portone era chiuso.
«Sì, credo… credo tu abbia ragione.» Sora ammise. Credeva di aver capito di chi Kairi stava parlando… e il ragazzo in questione sarebbe stato più che felice, forse, di varcare quel portone come uno studente, di farsi insegnare a lanciare una palla in un canestro… di cominciare finalmente a vivere.
«Sei d’accordo, Roxas?»
Forse, se fossero stati rapidi abbastanza, sarebbe stato con loro alla campanella delle tre.
 
 
Lo spiazzo davanti alla Krei Tech era nuovamente deserto, ma Riku era certo che il suo doppio malvagio sarebbe riapparso lì.
Anche secondo Hiro era altamente probabile che quello fosse il punto – era dove il primo Baymax era sparito, aveva spiegato.
Nessuno dei sette presenti fu sorpreso quando si allargò un Corridoio Oscuro nel centro della piazza e vi emerse il Riku più basso, vestito in nero, e con gli occhi gialli – assieme al suo compagno che non era Sora.
Hiro e Baymax lo assalirono per primo, caricando con uno dei pugni a razzo del robot, ma il ragazzino misterioso respinse il pugno con un colpo di Keyblade, senza parlare e senza fare una piega. Sembrava quasi che fosse lui il robot, non Baymax.
Un momento. Se quei chip erano l’identità di Baymax – il suo cuore – che l’Organizzazione stesse cercando di creare da zero il loro tredicesimo membro?
«Ho capito il tuo gioco, altro me.» Riku si fece avanti al centro della piazza. «Pensi che quel chip sia un cuore, no? Beh, non credo funzionerà. Gli esseri umani non hanno lettori di schede o programmazioni, e gran parte di quello che siamo è quello che ci accade attorno e viviamo!»
Sopra di loro stava fluttuando un elicottero, probabilmente con dei giornalisti a bordo. Riku ringraziò di essere a capo scoperto: il visore che gli avrebbe fatto controllare i Microbot in sostituzione al suo Keyblade distrutto non gli precludeva il riconoscimento, e gli studenti dello SFIT che lo avevano visto nella mensa lo avrebbero associato come l’eroe, e non come il cattivo.
«Oh, ma è proprio per questo che ho messo il chip in quei cubi.» Il suo doppio sogghignò. «Vi ha registrati. Ha sperimentato la vostra paura, il vostro dolore… la tua disperazione quando il tuo giocattolo è finito in pezzi.»
«Non per molto, come puoi vedere.» Riku alzò il suo Keyblade, e i Microbot di Hiro subito sciamarono a coprire la parte lesa della lama.
«E chiameresti quella cosa un Keyblade?» L’altro Riku si stava visibilmente sforzando di non ridere.
Riku si chiese se era stato quello che Sora aveva visto, un anno prima, quando lo aveva affrontato con niente altro che una spada di legno e la sua determinazione.
«Beh, vedi…» Le gambe di Riku si mossero per lui, e prese a parlare quasi senza pensare. «Ricordi quell’uomo sulla spiaggia? La promessa che ci scambiammo? Ti sei scordato perché? Forza per proteggere ciò che è importante. Le persone importanti. Penso che ci siamo scordati il motivo a un certo punto della strada. A un certo punto, nell’ultimo anno, ho fatto una cosa che a te ancora manca, altro me
Fece un sorrisetto.
«Sono cresciuto.»
Il suo altro sembrava quasi non capire. Riku poteva crederci – un anno prima non avrebbe capito. Non avrebbe capito, senza essere stato persino sul punto di perdere sé stesso, senza che Kairi gli desse del pezzo di tonto quando lui era stato convinto che non ci fosse più posto per lui, senza che Sora non ammettesse di volergli bene sull’orlo del baratro, senza che Aqua gli dicesse che quello che provava era normale.
Non avrebbe capito, senza realizzare di essere altrettanto importante per le persone che lo erano per lui.
Non aveva capito, un anno prima, cosa aveva voluto dire Sora con “i miei amici sono il mio potere” – ma adesso pensava di capire. Non avrebbe avuto bisogno di armi speciali, di rivedere Terra, o di essere il più forte per poter tenere le persone a cui teneva al sicuro.
Gli sarebbe bastato essere lì per loro.
«E se la mia strada mi ha portato qui, beh, è qui che voglio essere.»
La spada rappezzata nella sua mano vibrava sempre più forte. I Microbot, forse guidati dai suoi pensieri, avevano preso a brulicarvi sopra come formiche, più veloci, sempre più veloci, non era più nemmeno possibile distinguerli quando il Keyblade finalmente emise un bagliore.
«Ma è normale che facciano così?» Riku sentì Fred chiedere a Hiro, poi lo schermo a lato del visore divenne blu e comparve un messaggio di errore, e i Microbot caddero inutili sull’asfalto.
Nonostante la perdita dei Microbot, il Keyblade era tornato al suo vecchio peso… e quando Riku lo alzò per osservarlo non riconobbe la sua vecchia arma.
Era più lungo di quanto era stato, con la catena che pendeva dall’elsa uguale alla Catena Regale, nero e argenteo con la punta perfettamente simmetrica.
«Credi che quello ti possa dare un vantaggio? Vediamo cosa succede!» L’altro Riku aprì un Corridoio Oscuro, e un’ondata di Cuboscuri ne uscì, trasportando qualcosa. Riku fece appena in tempo a vedere una mano robotica bianca per rendersi conto che fosse Baymax – il vecchio Baymax.
I Cuboscuri si ritrassero da una piccola area, e l’altro Riku aprì lo sportello di accesso e inserì il chip corrotto nel corpo del robot.
Poi si girò verso il Corridoio Oscuro e, dopo aver preso il suo compagno silenzioso, sparì.
Gli occhi dell’altro Baymax divennero rossi, e i Cuboscuri formarono un’armatura viola attorno a lui.
«Okay. Abbiamo un piano?» Wasabi evocò le sue lame laser.
«Ve lo siete scordato? Dobbiamo difendere la città!» Hiro fece due passi avanti, ad affiancare Riku. «Prendiamo quel chip!»
Mentre il Baymax Oscuro prendeva il volo verso l’alto, Hiro si fermò accanto a Riku.
«Dammi quel visore. I Microbot ci serviranno.»
Senza farselo ripetere, Riku si tolse il visore e lasciò che Hiro ci armeggiasse per un momento.
«Ho ripristinato la connessione.» Spiegò. «Riku, prendi Baymax e vai dietro a quel robot. Arrivate vicini abbastanza da toccarlo e fate in modo che i Microbot gli vadano addosso e aprano quello sportello. Se rimuovete il chip, è fatta
«E noi che facciamo?» Wasabi raggiunse subito Hiro.
«La città. Se ci fossero danni a cose o a persone…» Hiro volse lo sguardo agli edifici attorno a loro. «Qualcuno deve aiutare
Attese che Riku salisse sulla schiena di Baymax, poi fece gesto con la mano. «Sparpagliamoci!»
Dall’alto, Riku li vide partire in cinque direzioni diverse. Alzò subito lo sguardo, però – il Baymax Oscuro aveva preso a scagliare Cuboscuri verso di loro, e c’era bisogno della loro attenzione, subito.
Cercando di restare quanto più in equilibrio possibile sulla schiena del robot in volo, Riku iniziò a rispedire al mittente i suoi stessi pezzi. Baymax sembrava aver compreso, perché stava facendo la stessa cosa. I Microbot brulicavano addosso a loro, e a un certo punto si concentrarono attorno alle ginocchia di Riku, ancorandolo saldamente all’armatura di Baymax. Evidentemente, avevano compreso anche loro il concetto di “reggersi”.
Riku ringraziò di avere ancora il visore, perché entrambi i Baymax andavano decisamente troppo veloce per i suoi gusti. Probabilmente, pensava, in simili frangenti Sora si sarebbe anche divertito, ma l’unica cosa che voleva al momento era che si finisse presto.
Se non altro perché avevano una città da difendere.
Per pochi, ma interminabili minuti Riku credette che i due robot fossero potenti alla pari, e che quell’inseguimento sarebbe potuto durare ore… poi si accorse che il robot corrotto stava perdendo il suo vantaggio su di loro.
«Hiro ha lavorato su di me in tutto questo tempo.» Baymax sembrò quasi cogliere il suo stupore e si affrettò a spiegare. «Sono più veloce. Dopo che dovette lasciarmi indietro per salvare Abigail Callaghan, non voleva che la storia si ripetesse.»
Riku si sarebbe messo a ridere per quanto ovvia poteva essere una conseguenza del genere. Se davvero quello che aveva incontrato era il suo sé del passato… quanto aveva potuto sottovalutare quanto il tempo e l’esperienza cambiavano una persona, un robot… un cuore?
«Va bene, andiamo a prendere il tuo doppio malvagio!» Riku concluse. Erano vicini… sempre più vicini… in quel momento, Riku avrebbe desiderato di essere più alto, alto come ricordava fosse stato Terra, fosse anche stato solo per…
… qualcosa gli turbinò attorno alla mano, formando un lungo braccio nero che terminava in cinque dita. Riku prese a pensare che fosse oscurità, e l’arto misterioso prese a tremare… e fu allora che Riku lo riconobbe come i Microbot, che avevano lasciato le sue ginocchia per allungargli la portata.
Si concentrò nuovamente sul prendere il chip, e il braccio meccanico si riformò. Apri il portello d’accesso. Tira fuori quel chip.
L’artiglio nero di Hiro saettò verso il Baymax oscuro, perdendo la forma contro il portello d’accesso.
Quando Riku ritrasse la mano – e il tentacolo nero che gliela allungava – una scheda di plastica rossa con il disegno infantile di un teschio emerse dalla marea di Microbot e gli comparve nel palmo.
Gli occhi rossi del robot si spensero. I Cuboscuri presero a disfarsi, il robot prese a cadere verso il basso… e in pochi secondi, tutto quello che rimase sull’asfalto fu un robot bianco con alcuni malconci pezzi di armatura rossa, riverso a terra come un pupazzo.
Era finita.
 
«Cosa ne farai adesso?»
Hiro e Riku erano soli nel garage – beh, con Baymax e l’altro Baymax. Gli altri ragazzi erano tornati alle loro case per del meritato riposo, dopo averli aiutati a trasportare di nascosto il robot inerte lontano da occhi indiscreti.
«Non l’ho portato allo SFIT solo perché la Granville ci ha chiusi fuori.» Hiro si strinse nelle spalle. Da quando aveva usato uno dei suoi saldatori per tagliare il chip infetto a metà, il locale era invaso dall’odore acre di plastica bruciata. «Ma il suo posto è quello. Era la ricerca di Tadashi, è giusto che torni lì… per svolgere il compito per cui era stato costruito.»
Si mise a sedere davanti al computer, e abbozzò un sorrisetto.
«Ci sono altri modi per salvare vite, e mio fratello lo sapeva. Un altro Baymax stabilmente nei laboratori, pronto ad essere programmato come infermiere, sarà anche un altro alibi per noi
«Vuoi terminare il lavoro di tuo fratello?» Riku interpretò le parole di Hiro.
«Se non fosse stato per Tadashi, non sarei la persona che sono oggi.» Hiro fece sì con la testa. «Non sarò mai la persona che lui era, e non voglio esserlo… ma…»
«Ti sembra la cosa giusta da fare.» Baymax intercettò il suo discorso.
«Sì.» Hiro si passò una mano tra i capelli, poi attraversò la stanza e raccolse un cacciavite. «E tu, Riku? Riprenderai a dare la caccia a Xehanort?»
«Credo che siamo a un passo dal prenderlo.» Riku si appoggiò a un muro. «Poi… credo che cercherò di convincere Sora e Kairi a tornare a scuola. In questi giorni, nel vedere il campus, mi sono reso conto di quanto mi è mancata.»
Hiro, che mentre Riku parlava si era messo ad armeggiare con alcune parti rotte del vecchio robot, lo guardò e fece un sorriso.
«Potresti sempre pensare di iscriverti. Dopo che ti diplomi.»
Riku alzò le sopracciglia, spiazzato dalla proposta.
«Scherzi?»
«No!» Hiro lasciò il cacciavite e prese un saldatore, quasi senza guardarlo. «Se pensi possa essere il tuo campo…»
Riku non rispose, ma prese a camminare verso la saracinesca. Sora e Kairi lo stavano sicuramente aspettando… sì, e Re Topolino… Aqua, Shiro, Lea… e Ventus e le sue battute sceme… doveva tornare da loro, e subito.
Ma una voce nella sua testa gli suggeriva che, quando non ci sarebbe stato bisogno di combattere… quando la guerra dei Keyblade fosse finita, quella proposta non era affatto una cattiva idea.
 
 
Una Gummiship atterrò nello spiazzo davanti al castello, e Lea, Kairi e Shiro ne uscirono. Shiro aveva ancora addosso l’uniforme scolastica e sembrava abbastanza contrariata.
«Avevamo la prova di ginnastica, avevo scommesso con Lann che avrei fatto meglio di lui…»
A giudicare dal tono sconfitto in cui lo stava ripetendo, doveva averlo già detto due volte o tre.
«Dov’è Sora?» Ventus chiese loro quando furono arrivati sulle scale.
«La dottoressa Luna gli ha intimato di non muoversi.» Lea commentò, quasi allegramente. «A proposito, c’è del gelato in cucina?»
«Non credo.» Ventus si strinse nelle spalle. «Ma andiamo, mancavate solo voi, e credo che Riku abbia trovato qualcosa di interessante.»
La prima riunione che avevano fatto era stata nel salone, ma stavolta Aqua aveva giudicato più conveniente riunirsi in quella che avevano sempre chiamato la “cucina”, ma in realtà era sempre stata sufficientemente grande per essere anche una sala mensa.
«Sora arriverà presto. Non appena Luna ha finito con lui.» Kairi annunciò entrando. Gli altri – Aqua, Riku, Topolino, Paperino e Pippo – erano seduti su altrettante sedie, chini sul computer portatile che Riku aveva portato da San Fransokyo.
«… potremmo metterlo in rete con Otto e Nove quando avremo finito. Abbiamo i telefoni, questo non potrà che aiutare.» Riku stava dicendo.
«Posso vedere cosa fare dopo la riunione.» Topolino si offrì volontario. «O potremmo lasciarlo al Comitato di Restauro.»
«Va bene, siamo quasi tutti.» Aqua allontanò la sedia dal computer e fece gesto agli ultimi arrivati di prendere posto. «Abbiamo le sette Luci, e le prove che Xehanort ha le Tredici Oscurità.»
«Ho trovato a San Fransokyo l’individuo su cui stavamo indagando.» Riku girò il computer verso di loro e aprì un’immagine che raffigurava una figura minuta interamente coperta da un cappotto nero, con una Catena Regale in mano. «Ho trovato Quattordici. Ed è come pensavamo, una Replica di Sora. È riuscito a cogliermi di sorpresa abbastanza da rompermi temporaneamente il Keyblade. Ma per una qualche ragione, non ha un’identità sua. Non parla, e non si muove se non secondo ordini. Praticamente si comporta come un pupazzo.»
«È arrivato il momento di fare la nostra mossa.» Aqua prese a spiegare. «Xehanort sarà pronto a riceverci, ma se non combattiamo userà il tempo che gli daremmo per avvantaggiarsi ulteriormente.»
Ventus non poté evitare di provare paura – ma sapeva che quel momento sarebbe dovuto arrivare. Prima avessero combattuto, prima avrebbero riportato Terra a casa. E Aqua aveva ragione – il tempo non era dalla loro parte, ma le cose non avrebbero potuto che peggiorare se avessero atteso.
Xehanort avrebbe potuto attaccare qualcun altro. Rapire qualcun altro – come Finn, il piccolo amico di Shiro, o i compagni di scuola della ragazzina, o Rapunzel… avevano provato ad evitare lo scontro undici anni prima, ed era stato allora che Xehanort aveva portato via loro Shiro e il Maestro.
«Allora, è il momento delle istruzioni.» Topolino si alzò sulla sedia e alzò un braccio. Ventus aprì la telecamera del telefono e prese a riprendere. A qualcuno sarebbero servite quelle informazioni. «Ci sono tredici Oscurità. Quattordici combatte come Sora, lo abbiamo detto.»
«Ma il suo punto debole è che dipende dagli ordini. Basterà isolarlo per renderlo inoffensivo.» Riku finì la sua frase. «Quanto all’altro me, combatte come me un anno fa. Chiunque di noi sarebbe in grado di tenergli testa. Ansem l’Heartless è avvantaggiato in ambienti oscuri come la Fine del Mondo o gli incubi, ma nel Regno della Luce è facilmente battibile anche da una persona – Sora lo ha sconfitto a quattordici anni. Xemnas ha due lame di luce rossa, spara dei proiettili laser. Ma senza il Mondo che Non Esiste, il suo potere sarà almeno la metà.»
«Quanto agli altri Nessuno…» Lea si sentì in dovere di intervenire. «Marluxia e Larxene sono pericolosi, ma il loro potere è come se arrestato. Come se ci fosse qualcosa che li blocca. Sora è riuscito a disfarsene quando la sua memoria era più a buchi di una groviera, se questo vi dice qualcosa. Luxord riesce a manipolare il tempo stesso, ma il suo punto debole è il gioco pulito. Se risolvete i suoi trucchi di carte, si esporrà agli attacchi. Saïx è imbattibile quando entra in berseker, ma lo stesso atto prende molta della sua forza. Se lo colpiamo quando è in recupero…»
«E poi c’è Xigbar.» Shiro cambiò argomento per lui.
«Saper parare in tempo basterà per lui.» Fu Kairi a descriverlo. «Quei suoi proiettili fanno male, ma non è in grado di evitarli se glieli rispediamo.»
«Xehanort del passato.» Riku contò un “dieci” sulle dita. «Negli incubi era in grado di controllare il tempo stesso, ma io e Sora avevamo ipotizzato che fosse posseduto dal suo sé del presente. Ammesso che nel mondo della luce sia soltanto un normale Custode del Keyblade, può mutare la sua arma in una frusta. Non nego che però, essendo fuori dal suo tempo di molto… chi è rimasto?»
«Vanitas. Agile, violento, sparisce nelle ombre, ti sembra di averlo colpito una volta e invece ti pugnala alle spalle.» Ventus intervenne e passò il suo telefono a Shiro perché continuasse a riprendere. «Ma mi ci gioco il Keyblade che continuerà ad essere ossessionato da me. È debole alle magie di gravità, comunque, e per quanto possa essere veloce, non lo è più del sottoscritto.»
Avrebbe parlato anche del successivo… ma non si sentiva di farlo. Avrebbe potuto combattere Terra ad occhi chiusi, ora che le braccia e le gambe che muoveva erano le sue… sapeva quali erano i suoi punti di forza e i suoi punti deboli, e che era sempre stato agile abbastanza da resistere non appena aveva capito come muoversi…
«La versione di Xehanort che sta possedendo il nostro amico Terra è limitata da Terra stesso. Può essere forte e agile, ma non più di quanto Terra stesso non fosse.» Fu Aqua a parlare. «Ha delle magie oscure potenti e può evocare un Guardiano oscuro… che è quello che fa più spesso, perché non sembra abbia il pieno controllo. L’ho già battuto una volta, da sola, posso farlo di nuovo.»
Nel suo discorso, era quasi sottointeso il “e riporterò Terra indietro”. Ventus si morse il labbro per non scomporsi davanti agli altri.
«Quanto al Maestro Xehanort, sicuramente rimarrà a guardare da dietro le quinte fino a quando non rimarrà lui solo.» Topolino commentò. «A quel punto, sulla base di quanti saremo e quanto potremo fare, dovremo colpirlo con tutto quello che abbiamo.»
Quando il Re tornò a sedersi, la conversazione venne quasi interrotta da uno squillo sul telefono di Ventus. Shiro spense la telecamera e glielo rimise in mano.
Era Sora, e il testo era decisamente telegrafico. Una sola parola. “Arriviamo”. Evidentemente doveva essere al timone della sua Gummiship.
«Sora sta arrivando.» Ventus annunciò alzando il telefono.
«Bene. Possiamo aggiornarlo non appena è qui.» Riku abbozzò un sorriso.
«Ho anche ripreso.» Ventus indicò il suo telefono.
«Grazie, Ven. Ora, siamo sette Guardiani.» Aqua prese a contare. «Io, Topolino, Ventus, Sora, Riku, Kairi, Lea. Paperino e Pippo si sono già offerti volontari per medicina e difesa sul campo…»
«… Ienzo, Otto e Nove ci assisteranno da remoto, e Noctis, Luna e i loro amici si sono già offerti volontari per allontanare e curare eventuali feriti.» Kairi continuò.
«Sperando di non averne bisogno…» Aqua abbassò lo sguardo. «D’accordo. Penso che sia tutto.»
Accanto a Ventus, Shiro alzò la mano come avrebbe fatto a scuola.
«Mamma… e io
L’intervento di Shiro fece calare il silenzio nella stanza, e Aqua la fissò. Ventus poteva immaginare cosa stesse pensando: nonostante gli enormi progressi delle ultime settimane, Shiro non aveva neanche tredici anni. Portarla al Cimitero sarebbe stato un rischio troppo grande…
«Tu resti qui al Castello, Shiro.» Aqua calò una mano sul tavolo. La ragazzina aggrottò le sopracciglia, e per un momento Ventus rivide Terra, nel momento in cui il Maestro Eraqus gli aveva annunciato la bocciatura.
«Ma…»
«Niente ma. Non sei pronta.» Aqua insistette, il suo tono più severo mentre la mano che teneva chiusa a pugno iniziava a tremare.
«Non è vero, sono pronta!» Shiro rispose a tono, picchiando entrambe le mani sul tavolo. «Sono anche io una Custode, voglio salvare papà!»
«Non c’è da discutere, Shiro. È un ordine.»
«Tu non sei il mio Maestro!» Shiro non lasciò neanche finire Aqua di parlare, pestando un piede per terra e alzando la voce.
«Io sono tua madre e la Maestra con più esperienza in questa stanza. E se dico che devi rimanere a casa, tu ci resti!»
BANG!
Shiro spinse la sua sedia di lato e corse via dalla stanza. Nessuno in quella stanza sembrava avere il coraggio di parlare – Aqua era stata nel giusto, ma era successo tutto talmente in fretta che nessuno era riuscito a disinnescare la conversazione prima che si arrivasse a quel punto.
«Siamo alle solite.» Ventus si strinse nelle spalle e commentò, non senza abbozzare un sorriso di circostanza. «Vado a vedere dov’è andata.»
Sapeva che, con tutto quello che era accaduto, Shiro non aveva ancora la sua stanza – non con un letto delle sue dimensioni, almeno – e aveva preso a condividere il letto con Aqua, quindi non aveva una camera in cui rifugiarsi.
Qualcosa gli disse che era nel cortile – e Ventus seguì quell’impressione, a volte quel che gli veniva in mente in quel castello finiva per essere la soluzione giusta – e infatti Shiro era là, seduta sul gradino più basso della scalinata d’ingresso, a guardare il pavimento in pietra. Aveva le mani sulle orecchie… anche se Ventus dubitava quello sarebbe servito a tenere Ephemer in silenzio.
«Io la odio! Voglio solo salvare Papà! Voglio solo il mio Papà!» Shiro mugugnava tra i denti. Abbassò le mani, poi se le incrociò sulle ginocchia e vi si appoggiò con la testa. «Perché mi trattano come una bambina?»
Ventus si sedette qualche gradino sopra di lei e rimase a guardare il cielo.
«Siamo alle solite. Questa storia l’ho già sentita.»
«Non voglio vedere nessuno.» Shiro mugugnò senza muoversi.
«Per questo sono dietro di te. Basta che non ti giri.» Ventus le ribatté. «Stai tranquilla, non credo tua madre sia arrabbiata. Quando avevo l’età di Riku, le dissi in faccia quello che pensavo di lei. Non è stato il mio momento migliore.»
Shiro alzò la testa e abbassò le gambe, ma non gli rispose.
«So cosa pensi, ci sono passato anche io. Ed è per questo che tua madre si comporta così con te. Perché questa storia l’ha già sentita. Perché hanno usato con me questo trucco, e ci sono pure riusciti. Terra è tuo padre, ma è anche mio fratello.»
Finalmente Shiro si girò verso di lui.
«Però da quando sono qui non ho fatto altro che essere un impiccio. Sembra che tutti mi vedano ancora come una bambina, ma io non voglio rimanere sola. Non di nuovo.»
«Non sei un impiccio, Shiro, hai solo dodici anni. Hai diritto alla pace. E non ti lasceremo da sola, mai. Non devi mai dubitarne.» Ventus non poté evitare di farsi sfuggire un sorriso. La Gummiship di Sora era appena riapparsa all’orizzonte, e probabilmente Shiro si era dimenticata chi avrebbe potuto essere a bordo… «E il tuo compito forse è il più importante di tutti. Sai chi erano i Denti di Leone, nella Guerra dei Keyblade? Erano i bambini che ricostruirono il futuro. Ci devono sempre essere dei Denti di Leone.»
La voce di Shiro sembrò calare.
«Come le sai, queste cose?»
Ventus si portò una mano alla fronte e scosse la testa.
«Devo averle lette da qualche parte. O forse per sentito dire. Ma il concetto non cambia, Shiro. Quando avremo bisogno di te… sappiamo che sarai là.»
Dovette alzare un poco la voce per l’ultima frase: la Gummiship di Sora era atterrata, e il portello di imbarco si stava abbassando.
«Okay, non pensavo che mi avrebbe fatto così strano.» A parlare era stata una voce che a Ventus suonava sia familiare che estranea. Era quasi come sentire parlare sé stesso in registrazione.
«Beh, benvenuto nell’umanità.» Fu Sora a rispondere.
«Sora, sono serio. Se inizi a fare come Ventus ti do un pugno. E adesso posso farlo, sai?»
Fu Sora il primo a scendere. Aveva l’aria stanca, ma sembrava star bene – o almeno, meglio di quando si erano salutati quella mattina. Fece un paio di passi sui marmi del cortile, incrociò lo sguardo con Ventus e Shiro, poi si guardò alle spalle.
«Non indovinerai mai chi c’è qua fuori!»
Mentre Sora parlava, Shiro aveva iniziato a fissare il portellone, tesa come se stesse per scattare.
«Zio Ven, ma… hai sentito?» gli chiese con un filo di voce. «Non era Sora, vero?»
«Non era Sora.» Ventus scosse la testa e sorrise.
«Aspetta… no, non può essere!» Shiro scattò in piedi, proprio mentre due piedi calzati da scarpe da ginnastica con le stringhe rosse comparivano in cima alla rampa.
«Sora, se è uno scherzo non sei divert… oof!» Roxas stava ancora scendendo dalla Gummiship quando Shiro lo raggiunse e lo abbracciò forte. «… Shiro?»
Ventus si mise in piedi a sua volta e li raggiunse. La bambina stava piangendo addosso all’amico ritrovato, e Roxas si trovava visibilmente spaesato dalla sua reazione.
«Sei tu, vero?» Shiro gli chiese senza staccarsi da lui.
«Nessun altro che me.» Roxas ricambiò finalmente l’abbraccio.
Ventus dovette sforzarsi di non ridere in un momento del genere. Si limitò ad incrociarsi le braccia dietro la testa, guardare da un’altra parte, e tirare un respiro. Se non altro, doveva essere grato che i giorni trascorsi ai Caraibi gli avessero lasciato i segni dell’abbronzatura e schiarito i capelli.
«E poi sarei io quello che fa le battute sceme.»

 

 
 
Aqua era su una delle sedie della biblioteca quando sentì qualcuno bussare alla porta. Mormorò un “avanti” in tono piatto, e Riku e Lea entrarono nella stanza.
«Ventus è già andato da lei.» Lea disse immediatamente. «Lo avrei fatto io, se lui non fosse stato più rapido. So quanto possa esser brutto quando Shiro sta avendo una brutta giornata, e questo era niente.»
Quello era niente? Aqua non sapeva se le parole di Lea fossero una buona o una cattiva notizia. Se quello era niente e lei non aveva saputo minimamente come gestirlo, come sarebbe andata quando…?
«Non ti preoccupare, quel che le hai detto era giusto.» Lea si sedette alla panca dove si era seduto qualche giorno prima. «Solo che… Shiro è Shiro. Ha perso te e il tuo compagno, suo zio, Isa, me, Roxas…» Tirò un sospiro. «Quattordici e le sue stesse memorie. È talmente abituata a vedere la gente andarsene dalla sua vita, che non credo voglia correre i rischi, ora che la gente sta tornando. Mi ricordo che quando il Superiore cercò di uccidere Roxas, la prima cosa che pensò fu che potessimo scappare. Che potessimo cercare te. Non si era mai resa conto che probabilmente non avrebbe potuto sopravvivere a un viaggio del genere.»
«Già, ha sempre avuto un po’ troppo entusiasmo.» Riku rincarò la dose. «Se posso essere onesto, non ti somiglia molto. Non per quanto ho visto, almeno.»
«Anche Terra era… è… molto impulsivo.» Aqua commentò. «E coraggioso. Ho già perso lui una volta per questo… non voglio che succeda anche a lei.»
«Hai contato anche testarda? Se Shiro si mette in testa qualcosa, apriti cielo.» Lea ridacchiò. «L’ho vista urlare addosso a Saïx. Che se solo avesse voluto, l’avrebbe fatta volar via con uno starnuto. E vogliamo parlare di quando ha dato fuoco a Xigbar e non sapeva nemmeno realmente come formulare l’incantesimo?»
Un’ondata di panico fece scattare Aqua in piedi. Shiro aveva fatto tutto questo? Aveva urlato addosso a Saïx, che secondo Riku poteva essere letale nel suo furore? Dato fuoco a Xigbar… che aveva dato del filo da torcere anche a lei?
Aqua stava per dire qualcosa a Lea – probabilmente sulla falsariga di cosa gli fosse saltato in mente, ma lo vide che stava barcollando, tenendosi una mano alla testa.
«Non è nemmeno un essere vivente… è un fantoccio… è finto, come quel lurido Moguri che ti porti dovunque…» Lea mormorò tra i denti, tenendosi la tempia come se avesse mal di testa. «Era questo che Saïx le aveva detto. E Xigbar le aveva riso in faccia. Perché mi è tornato alla mente solo ora?»
«Quattordici.» Riku concluse.
«E non facesti nulla per difenderla?» Aqua avrebbe soltanto voluto tirargli una sberla. Era successo tutto questo… e lei non era stata lì per Shiro…
«Io… io non…» Lea mugugnò, grattandosi la testa. «Non fui vel… Roxas. Roxas fu più svelto di me. Fu lui a mettersi in mezzo.»
«Chi ha parlato di Roxas?» Un’altra voce si unì alla conversazione.
Era Sora, in piedi nel vano della porta.
«L’ho lasciato giù in giardino con Shiro, ve lo devo chiamare?» Sora chiese di nuovo.
«No, no, hai fatto bene.» Riku scosse la testa, sorridendo visibilmente sollevato. Nonostante non poteva dire di conoscere Roxas, anche Aqua si sentiva come se qualcuno le avesse tolto un peso dal cuore.
«E come al solito qualcuno finisce sempre per batterci sul tempo. E stavolta sono due!» Lea si coprì la faccia con una mano, prendendo a ridacchiare. «Immagino che dovrò parlare io con Roxas… perché non voglio che ci segua. Non dovrebbe. Ha passato tutta la sua vita a combattere, non si merita questo.»
«A proposito.» Aqua andò verso Riku e Lea. «Non sono stata troppo dura con lei, vero?»
«Non le hai detto niente che non le abbiano già detto o ripetuto Leon e Aerith. Più o meno.» Riku si strinse nelle spalle. «Probabilmente era Shiro che si aspettava che le cose cambiassero.»
«Che ti devo dire, Aqua? Probabilmente visto che la bambina ha finito per prendere dal papà, magari con un maschietto sarebbe stato più come te.» Lea fece un sorrisetto.
Aqua non aveva niente da dire – se voleva essere una battuta, quella non era affatto divertente.
Il giovane sembrava aver recepito il significato di quel silenzio, perché si scusò e ammise di aver parlato a sproposito, poi iniziò ad andare verso l’uscita trascinando i piedi.
«Aspetta, Lea.» Aqua lo fermò. «Va’ a parlare con gli altri.»
«E cosa devo dire?» Lea si girò, parlando ancora in tono contrito.
«Tutti liberi fino a domani. Abbiamo bisogno di riposare e recuperare le forze.» La Maestra concluse. «E di passare un po’ di tempo con le persone importanti.»


 



(OH NO STA ARRIVANDO è il meme OH LAWD HE COMIN. E sì, si riferisce a gatti ciccioni.)
 

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Capitolo 11
*** Destati ***


 
 

Guardians – Capitolo 11
Destati
 
Ventus ricordava di aver letto da qualche parte che anche la persona più piccola avrebbe potuto cambiare il corso del tempo.
Il problema, chiunque lo avesse detto, era proprio il concetto di cambiamento. Quel termine avrebbe potuto esprimere un miglioramento come un peggioramento, pensava mentre scriveva.
Aveva trovato qualche minuto prima, o meglio ritrovato, il vecchio quaderno dove Terra e Aqua avevano preso nota delle sue condizioni quando aveva avuto dodici anni, e che quando aveva avuto quattordici anni – beh, tredici e mezzo – aveva cercato di utilizzare perché Terra e Aqua sputassero il rospo quando lui li aveva visti strani… e poi invece era stato il Maestro Eraqus a trovare quel quaderno, ed era scoppiato il patatrac.
All’epoca, quando la verità era venuta fuori – una verità che aveva finito per chiamarsi Shiro – Ventus era rimasto spaventatissimo, eppure con il senno di poi aveva soltanto bei ricordi di quei giorni.
Non è facile capire quando quello che stai facendo sta causando ordine o disordine… scrisse sulla pagina bianca, e infatti si era reso conto che Shiro aveva finito per aiutare, ma allora non avevano potuto saperlo.
Invece qualcosa che lui aveva voluto fare per aiutare… forse era il gesto che lo faceva vergognare di più.
Ero stato fregato come un bambino, e in un certo senso avevano usato le mie azioni per creare disordine.
Quando lo capii – quando Xehanort usò me per portare il Maestro Eraqus alla furia e all’ostilità, per fargli alzare la lama contro me e contro Terra – pensai avessero toccato il fondo.
Poi cominciarono a usare Shiro.
La stessa Shiro che aveva finito per diventare grande e voltare loro le spalle, e adesso era la ragione per cui i Guardiani della Luce sapevano qualcosa dell’enigmatico Quattordici.
Domani torneremo dove tutto è caduto a pezzi, forse per sistemare tutto, finalmente. Non so se quello che sto facendo è giusto, non so se porterà realmente ordine, ma suppongo che è tutto quello che possiamo fare adesso, no?
Vorrei parlare con Ephemer come si deve in tutto questo. Faccia a faccia.
Dubito che riuscirò a farlo.
Ventus lasciò penna e quaderno e si guardò attorno nella stanza. Sapeva che sarebbe servito a poco, ma non voleva affrontare di nuovo Xehanort mentre sul muro c’era ancora quella macchia nera scarabocchiata in un momento di rabbia, in quella che avrebbe dovuto essere una giornata di festa.
Andò nel ripostiglio e trovò una delle spugne, poi la riempì di detersivo e cancellò lo scarabocchio.
Era ancora alto come quel giorno, non un centimetro di più.
Ma cosa avrebbe potuto scrivere?
Non era un fallimento che voleva ricordare, e nemmeno una guerra.
Cosa mi resterà di questi giorni? Fallimenti, guerre, inganni, mi sento nelle ossa che finiranno per definirmi esattamente quanto i momenti che voglio ricordare.
Forse quello che importava realmente in quel momento era…
… il pennarello era ancora lì, dove lo aveva lasciato quando aveva fatto quello scarabocchio.
Spesso aveva dato per scontato quel luogo, quello che stava facendo, una stanza a cui tornare… ma dopo undici anni passati a vivere la vita di un altro, anche tornare a casa era una conquista.
Tolse il cappuccio al pennarello e scrisse sul muro, sopra i segni che anche la spugna aveva lasciato, “DI NUOVO A CASA”. Senza specificare io o noi, perché in qualche modo, qualsiasi cosa fosse accaduta, quella riga sarebbe rimasta.
Ho imparato tante cose negli ultimi giorni, sia con gli occhi di Sora che vivendole di persona. Se basterà a farcela stavolta, non saprei dirlo, ma non mi importa.
 
 
Il castello era di nuovo silenzioso dopo che la riunione era finita.
Sora aveva ricevuto il filmato di Ventus e poi lui, Riku e Kairi erano tornati a casa loro, Topolino, Paperino e Pippo erano tornati a Disney Town per passare un po’ di tempo con le loro famiglie, Lea e Roxas erano a Crepuscopoli per mangiare il gelato in cima alla torre.
Avevano chiesto a Shiro se avesse voluto andare con loro, ma la ragazzina non se l’era sentita.
Mentre tutti avevano iniziato a darsi da fare, lei era rimasta a riflettere a lungo davanti sotto una bella doccia calda, per poi cambiarsi e scegliere con chi avrebbe trascorso il resto della giornata.
Avvicinatasi alla porta semiaperta della stanza che ancora divideva con Mamma non poté che bussare con delicatezza prima di entrare a passi lenti con le mani dietro la schiena e l’aria del tutto imbarazzata: quante volte aveva davvero voluto passare una sola mattinata con sua madre da bambina… eppure ora che era lì di fronte a lei qualcosa la fermava, nonostante si fossero già chiarite su quel che era accaduto durante la riunione.
«Pensavo saresti andata con Lea e Roxas.» Mamma alzò lo sguardo da quello che stava leggendo. A primo sguardo, Shiro lo avrebbe preso per un libro, ma non c’erano parole. Solo immagini. «È successo qualcosa?»
Non dirle nulla, mi raccomando.
Shiro scosse la testa.
Quelle nel libro non erano immagini… erano fotografie, come quelle che poteva fare il telefono. In una di quelle immagini c’era un ragazzo castano, in pigiama, seduto su una sedia con in braccio una neonata vestito da Moguri. La foto sembrava quasi scattata di nascosto – il ragazzo… Papà… stava guardando lei.
«Mamma, credi che quando Papà tornerà a casa sarò alla sua altezza?» Shiro si tolse quel pensiero dal cuore. «Dopo… quel che è successo prima… ti ho delusa, non è vero?»
Mamma le sorrise immediatamente, mettendole una mano sul capo.
«Papà sarà davvero fiero di te quando ti vedrà… e lo sarebbe anche il nonno se fosse qui.» Le disse. «Lea mi ha raccontato molte cose sulla tua infanzia con lui. Hai davvero preso molto da tuo padre… ma, Shiro, la determinazione è una cosa buona, ma devi renderti conto di quando qualcosa è troppo per te.»
«Me lo ha detto anche Aerith. Una volta mi disse che anche Sora dovrebbe essere a scuola invece che salvare i mondi.» Shiro ammise. «A proposito, Roxas mi ha chiesto se domani può venire a scuola con me.»
«Oh, bene.» Mamma sorrise. «Già che ci siamo, ti sistemo i capelli?»
Si fece indietro con la sedia e fece cenno a Shiro di sedersi sulle sue gambe, poi prese la spazzola che la ragazzina aveva lasciato sulla scrivania e iniziò a spazzolarla.
«Non ti ho ancora chiesto com’è la scuola.» Mamma confessò. «Mi sono persa così tanto di te, e per stare dietro a tutti i problemi…»
«No, a scuola sto bene.» Shiro tenne dritta la testa e strinse i denti quando la spazzola prese un nodo. «Siamo in pochi in classe, e ci sono tanti banchi vuoti, ma è sempre meglio del Castello che Non Esiste. La mia professoressa si chiama Quistis, ci sta facendo leggere un libro che si chiama Le Due Torri e lo abbiamo quasi finito… e poi c’è l’allenatore Steiner. Oggi dovevamo fare il test del salto in alto, ma poi è arrivata Kairi e sono venuta a casa. Qualche giorno fa un ragazzo dell’ultimo anno è caduto male in palestra, hanno fatto venire Luna e Aerith di corsa e gli hanno messo il gesso al braccio. Non ho capito bene a che cosa serve, ma poi ha fatto il giro delle classi e voleva che lo firmassimo tutti.»
Avrebbe potuto raccontarle tante altre cose… come il fatto che Flora, Fauna e Serenella stavano prendendo le adesioni per un coro e lei stava facendo pratica con quella canzone… ma ci sarebbe stato del tempo per parlare di quelle cose. Magari anche del tempo perché Mamma venisse a scuola qualche volta, come faceva il papà di Lann e Reynn, o la madre di Luca…
«Un munny per i tuoi pensieri?» Mamma le chiese, smettendo di spazzolare.
«Sono un po’ troppi.» Shiro ammise con un sorriso. Quando Mamma riprese a spazzolare, Shiro tenne dritta la schiena e prese a canticchiare la canzoncina del gatto nero. Smise dopo qualche verso…
«Papà me la cantava sempre, non è vero? Quando ha cercato di venirmi dietro, a Corona… lui mi ha sentita, però. E ha sentito zio Ven. Per questo… pensavo di poter aiutare.»
«Oh, Shiro…» Mamma posò la spazzola, la strinse in un abbraccio e le diede un bacio sulla testa. «Hai già fatto più che abbastanza, tesoro. Non dubitare mai di essere d’aiuto… neanche da qui.»
«E… come?» Shiro fece un passo indietro, scuotendo la testa. Aveva imparato a combattere da Roxas, ma non era ancora al suo livello…
«Hai ancora il tuo Trovavia, non è vero?» Mamma prese il suo da una delle tasche nascoste dell’abito.
Shiro annuì e prese il suo. Ricordava ancora di quando, sul ponte a Corona, Papà…
«Quando io e tuo padre affrontammo l’esame, realizzai questi come portafortuna. Volevo che simboleggiassero i nostri legami, qualsiasi cosa accadesse. La nostra famiglia. Quando saremo lontani per la battaglia, tienilo stretto a te. Se avremo bisogno di te, tu lo saprai, e la tua forza ci sosterrà e farà la differenza.»
Alzò una mano e le spostò all’indietro un ciuffo di capelli.
«E noi saremo sempre accanto a te, qualsiasi cosa accada.»
 
 
Per quanto sembrava sempre la stessa, agli occhi di Roxas Crepuscopoli era cambiata.
Non c’era più Comet al chiosco dei gelati – la nuova commessa, Iris, aveva menzionato che adesso avesse un’attività sua in un’altra strada – e Axel, ahem, Lea aveva aggiunto che prima ancora era stato qualcun altro, un ragazzo con gli occhiali, a vendere i gelati alla stazione del tram («Chi, Ignis? Quello ormai va e viene. Pare che voglia risolvere un mistero assieme al figlio del sindaco…» Iris aveva detto.).
C’era molta più gente per strada. Molto più chiasso, persino di quello che ricordava nella simulazione dove per pochi brevissimi giorni, Roxas aveva pensato di poter appartenere anziché procedere di soppiatto come un’ombra intrusa.
Una parte di lui avrebbe voluto girare tutta la città, parlare con le persone, iniziare a conoscerli per davvero… ma non sarebbe bastata una giornata, ed era una cosa che voleva fare assieme a Shiro, e… beh, all’amico che avevano perso. All’amico che Axel voleva riportare indietro.
Che avrebbero riportato indietro.
«Com’è che Shiro ti ha convinto ad andare a scuola con lei domani?» Axel gli azzardò la domanda mentre erano seduti a mangiare il gelato in cima alla torre. «Nei tuoi panni sarei scappato lontano. La terza media poi? Aiuto
A Roxas per poco non andò il gelato di traverso. Ephemer aveva detto loro SILENZIO. Non poteva permettersi di farsi scappare niente di importante.
«Secondo Shiro non è male. Dice che nella sua classe ci sono cinque ragazzi… lei, Sanjay, Luca, Lann, e Reynn. Lann e Reynn, ha detto Shiro, sono gemelli, e non ho capito bene cosa vuol dire.»
«Niente di particolare, è quando due fratelli sono coetanei.» Axel stava fissando l’orizzonte. «A volte possono somigliarsi talmente tanto che è difficile distinguerli, un po’ come te e Ventus.» Lo guardò. «Certo che è passato tanto tempo da quando abbiamo cominciato, ed eccoci di nuovo qua a parlare di famiglie in cima alla torre. Certe cose non cambiano mai, eh?»
Roxas prese a fissare i tetti della città prima di tirare un sospiro di sollievo. Andata. Era riuscito a non destare sospetti, per il momento.
«Quindi hai una sorella minore.» Chiese. «I fratelli si somigliano sempre?»
«Ha ha, anche no, dovresti vedere il fratellino di Isa.» Axel scosse la testa. «Oppure… aspetta un momento… non mi ricordo di molti altri fratelli che potresti conoscere… ah, sì, Pence, il tuo amico. Ha un fratello maggiore che è biondo e ha le lentiggini.»
«Credevo Pence fosse figlio unico.»
«Immagino DiZ non sapesse di Prompto…»
 Poi un rumore dietro di loro fece rizzare la schiena ad entrambi. Roxas conosceva quel suono – Corridoio Oscuro!
«Che ci fai tu qui?» Axel fu il primo a girarsi, e dalla sua reazione Roxas intuì chi potesse essere apparso ben prima di vedere Saïx in faccia.
«Oh, guarda chi ha deciso di ritornare.» Sebbene sembrasse sorpreso, Saïx non fece una piega nel vedere Roxas. Poi guardò Axel. «Non dovresti dire addio alla tua vera casa?»
Axel si strinse nelle spalle.
«Guarda che sei tu ad avere ancora famiglia lì. Io e Roxas siamo qui perché qualcuno invece qui non può esserci. Qualcuno che tenete prigioniero.» Sbuffò. «Se poi io e Kairi torneremo a salutare la casa della nonna, beh, non è affar tuo.» Abbassò lo sguardo. «Per quanto tempo hai saputo che era sopravvissuta a Radiant Garden?»
Saïx sbuffò e fissò il pavimento.
«Almeno io ti dissi subito che Finn era tuo fratello.» Axel si alzò e fece un sogghigno di sfida, poi si fece serio. «Cosa è successo, Isa? Un giorno prima mi dicevi di aver trovato Zack. Di voler portare via Shiro… hai lasciato tutto alle spalle?»
«E chi hai lasciato alle spalle, tu?» Saïx alzò di nuovo lo sguardo. «Ricordi quella ragazza, nelle segrete del castello?»
«Ricordo che svanì, e senza lasciare tracce!» Axel alzò la voce, la rabbia quasi percepibile nella sua risposta. «Ricordo che non abbiamo neanche un nome a cui aggrapparci!»
«Ti sei arreso, allora?»
«Arreso? Non io. Non oggi.» Il gelato di Axel aveva preso a gocciolare sul pavimento, ma lui non sembrava importarsene. «Lo hai memorizzato? Riporteremo indietro anche Quattordici, anche Zack, anche lei, anche te. Vedrai che lo faremo!»
«Non mi aspetto altro.» Saïx sogghignò di nuovo, poi aprì un Corridoio Oscuro e svanì.
Roxas rimase a fissare la parete… avrebbe avuto altre domande, ma probabilmente quello non era il tempo e il modo perché Axel… perché Lea rispondesse.
Le cose stavano cambiando, sarebbero continuate a cambiare, dovevano cambiare. Cambiare in meglio.
Già da quel breve scambio di parole, Roxas si rese conto che non sarebbe stato facile, anche se avessero vinto. L’Organizzazione doveva aver fatto male a… quante persone?
Axel gli aveva già spiegato per strada che il mondo che avrebbero trovato dopo la battaglia sarebbe stato un mondo senza più Castello che Non Esiste, senza missioni, senza ordini di un Superiore che non si importava delle loro vite.
Sarebbe stata la sua vita, e avrebbe deciso lui cosa voleva farne.
Aiutare Axel a ritrovare i suoi amici non sembrava una cattiva idea.
 
 
Il ventilatore della tavola calda delle Isole traballava sopra di loro, e nonostante Sora potesse definirsi un fiero isolano, o forse per i suoi pesanti e scuri abiti nuovi, si rese conto di aver perso l’abitudine al caldo.
Era Novembre e il ventilatore era acceso e stava sudando.
E si sarebbe cambiato, ma i vestiti che aveva a casa era già tanto se gli andavano.
Lui, Riku e Kairi avevano fatto un giro per il paese. Avevano diviso una pizza perché Riku aveva insistito, ed erano rimasti al tavolo a parlare.
«Forse dovremmo riprendere. Ad andare a scuola.» Riku aveva detto.
«Di questo passo, però, tu e Sora avrete perso un anno e mezzo. Non so quanto in fretta vi faranno recuperare.» Kairi gli aveva messo subito i piedi per terra. «Onestamente, c’è anche da vedere quanto ho perso io.»
«Beh, io posso sempre buttare un anno alle ortiche e aiutare Sora a farne due. Così comunque saremmo insieme.» Riku incrociò le braccia.
«Forse potrebbe esserci un altro modo.» Kairi ipotizzò. «Sono riuscita a parlare con Yuna quando ho portato Shiro a casa. E tecnicamente lei è in terza superiore, ma per quello che stanno facendo in quell’anno, sembra più la seconda che altro. A volte seguono anche lezioni con ragazzi più piccoli, altre con ragazzi più grandi. A Radiant Garden, a scuola sono un po’ tutti come noi, praticamente chiunque ha perso un po’ di tempo, e spesso si mettono in pari aiutandosi tra loro.»
«Roxas mi ha detto che inizierà già ad andare a scuola domani, ma lui lo metteranno in terza media.» Sora ammise. Probabilmente era perché non era mai stato a scuola – probabilmente aveva un po’ di conoscenza di seconda mano, ma il miglior modo di iniziare era assieme a qualcuno che conosceva.
«Potremmo iniziare a pensarci.» A giudicare dal sorriso di Riku, quella gli era sembrata una buona idea. Probabilmente avrebbe comportato stare ancora una volta lontani da casa… ma lo stesso armadio di Sora era una delle prove schiaccianti che non fossero stati molto tempo a dividere la dimora familiare ultimamente, non loro tre.
Rimasero a finire la pizza, noncuranti delle chiacchiere degli altri ragazzi attorno a loro – come potevano spiegare loro che il giorno dopo probabilmente il mondo sarebbe finito? – poi pagarono, uscirono in silenzio e quasi senza pensarci si diressero ai moli e all’isola dei giochi.
A quella che la gente chiamava l’isola dei giochi, ma ormai per loro tutto aveva fuorché il significato di gioco.
E forse, lo aveva già perso tempo prima, senza che neanche loro se ne accorgessero.
«Non so se ve ne rendete conto, ma volevamo che la nostra avventura iniziasse da qui… e non solo è successo, ma continuiamo a tornare e tornare qua e ha sempre un qualche significato.» Riku fu il primo a scendere dalla barca, e il primo a commentare. Sembrava che avesse quasi bisogno di dire qualcosa, e Sora sospettava anche cosa.
Gli lanciò uno sguardo mentre camminavano verso l’albero di paopu, come per convincerlo a continuare.
«L’estate prima che io cominciassi la prima elementare, due stranieri visitarono questa spiaggia.» Riku spiegò, rivolto soprattutto a Kairi. Sora aveva già sentito quel discorso, o almeno in parte, giorni prima nel Mondo che Non Esiste. «Fu la prima… e l’unica volta che vidi Terra. E la volta che mi lasciò questo.»
Tese una mano, e il suo Keyblade – il suo nuovo Keyblade – gli comparve tra le dita.
«Credevo che un giorno sarebbe tornato, e mi avrebbe insegnato ad essere come lui. Credevo che negli errori che avevo fatto, errori in cui vi ho coinvolto, sarei riuscito ad arrivare dov’era. Ironico che poi mi sono quasi cacciato nei suoi stessi guai.»
«Ironico che pezzo di tonto come sei, non potevi sapere che forse eravamo anche più coinvolti di te.» Kairi lo punzecchiò con un dito. «Niente più segreti tra noi. Anche se credo che siamo un po’ troppo cresciuti per giurare scambiandoci lo sputo.»
Sora sfregò una scarpa sulla sabbia. Già, niente più segreti. Compreso quello che lo stava rodendo da settimane, che non sapeva come dire, che probabilmente qualcuno come Ventus avrebbe già potuto capire?
Non mi pare il momento più adatto.
Potrebbe essere l’unico.
«Riku… Kairi… potete ascoltarmi un momento?» Il ragazzo chiese ai due quando furono arrivati al loro posto.
Avevano le stesse possibilità della Fratellanza contro Davy Jones, e Sora lo sapeva. E sapeva anche come era andata a finire.
«C’è qualche problema?» Kairi chiese quasi subito.
«Diciamo che è più una cosa che non so dire.» Sora ammise. Vi voglio bene, il cielo è blu, l’uccello aracuan è fuori come un balcone.
«Riguarda domani?» Riku gli chiese.
«Senti chi parla, eh, anche tu ci hai tenuti sulle spine per giorni senza dire quello che volevi!» Kairi gli lanciò un’occhiataccia. «Strano come voi due riusciate a salvare il mondo e a tirarvi fuori dal nulla cosmico ma a volte non riusciate a mettere due parole in fila.» Stavolta la ragazza si fece scappare una risatina.
«Il nulla cosmico non ti volta le spalle a vita se dici la cosa sbagliata!» Sora si strinse nelle spalle e si portò le mani alle orecchie.
«Beh, qualcuno di nome Sora di solito non lo fa.» Riku gli mise una mano sulla spalla. «Nonostante tutte le cretinate dette e fatte dal sottoscritto. Perché dovrei voltarti le spalle? Sei il mio migliore amico, ricordi?»
«Beh, è proprio questo il punto!» Sora abbassò le mani. Tirò un respiro. Perché doveva essere così difficile? Non era che una frase. Una stupida frase.
«Va bene, ho capito. Devo lasciarvi soli?» Riku fece due passi più in là. Il suo tono di voce era quasi rassegnato… e Sora alzò subito una mano.
«Ma no, no, che hai capito?» Le sue dita si strinsero istintivamente al polso del ragazzo più alto. «Voi due siete le persone più importanti per me. Io… non so come dirlo. Però io… io voglio essere una parte della vostra vita, per sempre, e che voi lo siate della mia. E non voglio essere… costretto… a scegliere tra voi. Insomma, beh, nel senso di…»
Riku non disse nulla, ma impallidì visibilmente e barcollò sul posto come se stesse avendo un capogiro. Sora gli strinse il polso più forte, quasi temendo che cadesse. Lo aveva detto. Lo aveva detto e adesso tutto poteva cambiare, ma quella reazione che voleva dire?
«Seriamente, voi due siete…» Kairi li guardò entrambi, poi tirò un respiro. «A parte il fatto che ricambio, ci voleva tanto a parlare? E sì, Riku, Aqua si è fatta scappare qualcosa. Qualcosa a proposito del fatto che ti avesse visto preoccupato a morte.»
Sora strizzò gli occhi e tirò un respiro. Si sentiva quasi da piangere – aveva parlato e non era successo quel che temeva. Sentì la mano di Kairi prendergli quella libera e la lasciò fare.
Sentiva il cuore battergli nelle orecchie, il sole addosso, e quel ghiaccio che aveva avvertito nello stomaco fino a un momento prima sciogliersi via.
Era successo.
«Lo so… siamo due pezzi di tonto…»
«Tre pezzi di tonto, scemo.» Kairi gli lasciò la mano e gli passò la sua in mezzo ai capelli. «Avrei potuto parlare prima. Mi dispiace che…»
«Oh, andiamo, Kairi, adesso inizi pure a dire mi dispiace?» Riku la prese in giro.
«Guarda che ti posso ancora stendere nella sabbia, eh?»
Sora si decise a riaprire gli occhi prima che quei due… i suoi due… decidessero che era il momento perfetto per prendersi a spintoni.

 

 
 
Quello che accadrà domani cambierà tutto.
Non so se oggi siamo davvero arrivati alla chiusura che Aqua probabilmente sperava ottenessimo tutti, e almeno nel mio caso, cancellare quella scritta per rifarla è soltanto una minima frazione di quello che avevo sperato.
Ma se tutto va come Ephemer spera che vada, domani sarò di nuovo qui a scrivere su un’altra pagina bianca, e non vedo l’ora che sia quel momento, anche se non so in che modo sarò di nuovo qui, a scrivere.
So che il futuro aspetta. Non lo temerò più.
 
 

Gli studiosi nel castello di Radiant Garden erano intenti a lavorare attorno al computer nello studio. Le voci dei tre programmi nel computer, Tron, Otto e Nove, da quanto Luna era riuscita a discernere, si alternavano nel rispondere loro.
«Ci vorranno circa un paio di giorni per riportare indietro Zack.» Ienzo riassunse per Luna e Cloud. «Anche di più, considerando che potrebbe essere necessario il nostro aiuto da lontano ai Guardiani della Luce. Tecnicamente, Tron, Otto e Nove possono creare i dati per una Replica da soli, ma con il tocco umano si fa più in fretta.»
«E poi ci vorrebbe un Custode del Keyblade per sistemare tutto, dico bene?» Cloud, l’unica guardia nella stanza, incrociò le braccia. «Sperando che ne restino.»
«Forse potrei provarci anche io.» Luna commentò. «Il mio mentore una volta usò una magia simile quando mio fratello cercò di prenderlo a pugni con la mano a cui portava il tutore.»
«Non mi sembra vero che si stia realmente per risolvere tutto.» Cloud portò una mano ad uno dei muri. Luna non poté fare a meno di notare che stava guardando soltanto lei, come se non si fidasse degli altri occupanti della stanza. «Avevo… come l’impressione che Zack avrebbe potuto sparire per sempre. E… ho anche temuto di perdere Aerith. Non lo so perché… quando ero piccolo, la psicologa della scuola diceva che soffrivo di ansie. Zack forse era quello che mi dava più retta… e Aerith pure. Come se loro potessero capire, anche se erano più bravi a nasconderlo.»
Si fissò le scarpe per un momento.
«A volte sentivo come se avessi dovuto fare qualcosa. Come se sapessi da sempre cosa dovevo fare… e invece era qualcun altro a ricoprire il ruolo che pensavo fosse il mio.»
«Qualcuno come Sora?» Luna azzardò.
«Sora, Lea e Isa… forse un poco anche Shiro, anche se è una bambina.» Cloud sbuffò. «Mi sento come se potessi essere io l’eroe, ma questa storia non sia stata scritta per me.»
«Facciamo due passi?» Luna gli propose. Aveva dei sospetti su quello che Cloud intendeva, ma non voleva dare a Ienzo e agli altri studiosi del castello altro a cui pensare. Lei, almeno, avrebbe soltanto dovuto fare il suo dovere di medico in formazione l’indomani.
Cloud fece di sì con la testa, e presero il corridoio. Non appena furono fuori dalla portata di orecchie indiscrete, Luna prese a fare domande. Tecnicamente, non avrebbe avuto bisogno di chiederglielo – le Arti Mistiche rendevano quel ragazzo un libro aperto, ma da qualche parte Luna doveva cominciare a spiegare.
«Cloud, ti è mai sembrato di avere impressioni strane su altre persone? Che ne so, qualcuno a cui stavi immediatamente simpatico, o immediatamente antipatico?»
«Beh, a dire il vero… scusa, tu come sai queste cose? Perché questa domanda?»
«Che tu ci creda o no, Cloud, questo tempo è solo uno dei tanti.» Luna spiegò. «E in un’altra vita, hai realmente perso Zack e Aerith. Zack a causa di una corporazione corrotta, Aerith di un soldato impazzito…»
«Sephiroth?» Cloud non la lasciò nemmeno finire la frase.
«Già… e a opinione del mio maestro, questo universo… questa linea temporale… è una delle poche, forse l’unica, salvo eccezioni di individui particolarmente potenti in altre, in cui persone più o meno comuni riescano a sentire il proprio Fulcrum, a sperimentare quello che altri sé stessi vivono in altre linee temporali. Sapevo di Noctis, dei suoi amici e di alcuni dei suoi familiari. Ora anche te.»
«E Zack, e Aerith…» Cloud precisò.
«Ci sarebbe da capire quante persone ne sono a conoscenza… senza aver capito realmente cosa sia successo. Potrebbe davvero essere chiunque
Un’altra voce si unì al discorso.
«Già, chiunque.»
C’era un ragazzino in mezzo al corridoio, bassino, con due orecchie triangolari in cima alla testa, i capelli rossi e una coda dello stesso colore che gli spuntava dal dietro dei bermuda. Luna lo riconobbe perché giusto l’altro giorno aveva dovuto ingessargli il braccio – era la pattuglia del corridoio al liceo, ed era rovinato in una brutta caduta sul braccio destro. Il gesso blu che portava sulla mano destra era coperto dei nomi dei suoi compagni di scuola – Luna riusciva a leggere tra i nomi sulla benda anche quello di Shiro.
«Quindi tutto questo ha davvero un senso?» Il ragazzino inclinò la testa di lato. Luna ricordava che fosse dell’ultimo anno e che l’altro giorno lui stesso le avesse menzionato che dava una mano al castello con i computer – aveva parlato tanto di computer da non dirle nemmeno come si chiamava – ma ad un osservatore più distratto sarebbe sembrato quasi un bambino delle medie, o di prima superiore, per la sua faccia tonda e la sua statura minuta.
«Tutto questo cosa?» Anche Cloud guardò il nuovo arrivato.
«Una specie di presentimento.» Il ragazzo si grattò dietro un orecchio con la mano sana. «Come se stesse per accadere una disgrazia. Oppure una guerra.» Fece una smorfia. «E mi sento quasi come se dovessi essere uno degli eroi, ma sono soltanto un fesso di diciassette anni con il braccio appeso al collo.»
«Fesso a chi? Piano a come parli, campione.» Sembrava che fosse Cloud a parlare, ma la sua voce era diversa. Luna ipotizzò che fosse stato Zack a parlare.
«E a Radiant Garden siete già quattro.» Luna fece gesto al ragazzo di avvicinarsi. Guardandolo, riusciva a vedere nella sua mente due torri, una richiesta di soccorso, una determinazione bruciante di fare la differenza.
«Forse anche di più.» Il ragazzino si fissò le scarpe.
«Va bene. Credo di avere un po’ di cose da spiegare… e magari dovremo anche cercare di capire chi.» Luna tirò un respiro. «E a proposito di chi, tu non mi hai ancora detto come ti chiami.»
«Oh… che testa…» Il ragazzo scosse il capo e rise. «Non che la gente non mi conosca qui. A parte la famiglia di Shiro, e loro vanno e vengono, qui mi conoscono tutti. Comunque, il mio nome è…»
 
 

La prima ondata di nemici – Heartless, Nessuno e Nesciens, sciamati da ogni angolo per circondarli – era stata fronteggiata senza problemi, e guardando in faccia Sora, Ventus era quasi certo che dopo una vittoria del genere, fosse quasi in un senso di sicurezza eccessivo.
Xehanort cercherà di illudervi di aver vinto, soltanto per colpire realmente subito dopo.
La cosa che gli bruciava era non potergli dire nulla. Avevano bisogno di prendere tempo secondo Ephemer – Ventus non aveva capito per cosa, ma a quanto pare il ragazzo aveva un complice nascosto che li avrebbe soccorsi, e dovevano dare a Xehanort l’illusione di aver vinto.
Non posso assicurarti che sarà indolore, ma… ho un amico che può aiutare. Farà in modo che qualsiasi cosa succede, non sia permanente. Di nuovo all’inizio della playlist, ma stavolta conoscerete la musica.
E Ventus avrebbe dovuto essere il secondo complice di Ephemer. L’esca. In un certo qual modo, aveva l’impressione che quella non fosse stata la prima volta in cui si era trovato costretto a incassare un colpo per la sua squadra. Forse, anche prima di Vanitas e del X-blade.
Ephemer, se il tuo piano non funziona, io ti…
Una nuvola di polvere si alzò nel deserto, e quando l’orizzonte fu di nuovo visibile, la sagoma familiare di Terra era davanti a loro.
Solo che non era Terra.
Ventus forzò un sorriso e si tenne pronto. Sapeva che avrebbe fatto male, ma se era il solo modo che avevano di vincere quella battaglia…
Nessuna causa è persa, finché c’è un solo folle a combattere per essa.
Corse verso di lui, disarmato e continuando a sorridere.
«Terra! Terra, ti abbiamo trovato!»
 
 

Il mare sotto i piedi della creatura prese a tremare.
Cosa…? Se quelli erano davvero i piani di Ephemer, cosa stava pensando…?
Percepì Ventus cadere. Poi il rosso, Lea. Il mago che aveva offerto loro supporto allontanò il loro aggressore, ma la magia evocata era troppo… poi Aqua… il Re… il cavaliere… la marea oscura sembrava aver preso anche Kairi, ma la principessa stava lottando.
Erano rimasti solo in due. Gli Heartless andarono loro addosso…
 
Il Dream Eater strinse i pugni – per quanto pugni potessero definirsi – e si tenne pronto a fare la sua parte.
«Si va in scena, Chirithy.»
 
Finalmente.
 
 

«… penso che anche essi come noi ebbero molte occasioni di tornare indietro, ma non lo fecero. E se lo avessero fatto noi non lo sapremmo, perché sarebbero stati obliati. Noi sappiamo di coloro che proseguirono, e non tutti verso una felice fine, badate bene; o comunque non verso quella che i protagonisti di una storia chiamano una felice fine…» Shiro lesse ad alta voce, portando il segno sul libro mentre Roxas guardava la pagina accanto a lei.
Ephemer nella sua testa stava aspettando la prima favorevole occasione per tagliare la corda, ma quel giorno la professoressa Quistis aveva deciso che sarebbe stata Shiro a leggere.
Probabilmente, Shiro le avrebbe chiesto di andare in bagno non appena fosse stato il momento di passare il libro a Luca o ai gemelli. Sperava che fosse così… quel dialogo tra i protagonisti le faceva soltanto venire voglia di correre ad aiutare i veri eroi che in quel momento stavano combattendo.
Era arrivata a “non sono quelle le migliori storie da raccontare” quando qualcuno bussò alla porta, e fece capolino il sorvegliante del corridoio, capelli rossi, orecchie da gatto e gesso al braccio destro.
«Professoressa mi scusi. Shiro ieri si è persa la prova di ginnastica e l’allenatore Steiner la vuole in palestra.» Il ragazzo più grande fece un sorrisetto imbarazzato. «E anche il ragazzo nuovo, l’allenatore vuol vedere come se la cava.»
«Soltanto Shiro e Roxas?» la professoressa gli chiese. «Va bene. Shiro, dai il libro a Luca. Luca, continua tu. Mi raccomando, tornate presto.»
Aspetta, che?” Ephemer sembrava sorpreso quanto Shiro dall’intromissione del sorvegliante. Come si spiegava quel tempismo a dir poco perfetto? Dal sorvegliante per giunta?
«L’avete sentita, non abbiamo molto tempo.» Il ragazzo fece gesto con una mano. «Già che ci siamo, tu saresti?» Guardò Roxas. «Avevano menzionato un nome, ma non ci ho prestato molta attenzione. Mi premeva di più farvi uscire dalla classe.»
«Roxas.» Nonostante fosse più giovane del sorvegliante, erano quasi della stessa statura.
«Piacere di conoscerti. Puoi chiamarmi G’Raha. Non ti stringo la mano perché mi fa ancora male, ma quando abbiamo tempo se ti va puoi firmare il gesso.»
Roxas era visibilmente perplesso, ma non disse nulla. Nemmeno quando Shiro si rese conto che G’Raha non li stava portando in palestra, ma verso l’uscita.
«Scusami, ma chi è che sei tu?» Roxas gli chiese quando si rese conto che non erano alla palestra ma all’uscita.
«Il sorvegliante dei corridoi?» G’Raha fece un sorrisetto storto. «Ora, se mi prestate attenzione. Non è l’allenatore Steiner che mi ha chiesto di voi, ma la dottoressa Fleuret. Dice che dovete essere in un cimitero o qualcosa per evitare la fine del mondo. Che è questione di vita o di morte.»
Luna è dalla nostra parte?” Ephemer chiese sorpreso, e Shiro ripeté la domanda ad alta voce.
«Sì, perché?» A G’Raha sembrava quasi ovvio.
«Beh, ci era stato proibito di andare al Cimitero.» Roxas si strinse nelle spalle. «La Maestra Aqua voleva che fossimo al sicuro. Che facessimo la parte dei Denti di Leone, anche se non ho capito che voglia dire.»
«Spoiler: non funzionerà.» Un portale di scintille si aprì davanti al portone, e Luna ne comparve, a mano tesa. «Dovete essere al Cimitero tutti e due… Roxas, tu hai un’amica da salvare… e Shiro, Ephemer deve essere là.»
Ha, lo sapevo!” Ephemer esultò nella testa di Shiro. “Ora tocca soltanto a Chirithy sistemare le cose!
Shiro avrebbe voluto chiedergli chi fosse Chirithy, ma Luna fece di nuovo gesto di passare il portale. Roxas fu il primo a balzare in avanti, e Shiro lo seguì dopo un momento.
Dietro di loro, G’Raha fissava il corridoio, per essere certo che non venissero visti, poi mentre il portale si stava per chiudere, si voltò verso di loro e alzò loro il pollice con il braccio sano.
«Roxas, Shiro… che il vostro cuore sia la vostra chiave guida!»
Il portale si chiuse, e Luna e i ragazzi si ritrovarono su una guglia rocciosa in mezzo al deserto.
 
 

Sora non era sicuro di cosa fosse successo, soltanto che era successo troppo in fretta perché potesse reagire.
Ventus si era precipitato a riabbracciare quello che aveva creduto essere Terra – come aveva fatto a cadere così in quella che era un’evidente trappola? – e immediatamente dopo, erano stati aggrediti dallo stesso mostro di Crepuscopoli – una marea oscura, ma cento volte più grande.
E adesso era in quello che gli era stato indicato come il Mondo Finale, con come unica compagnia una specie di gattino che parlava e gli aveva indicato la strada per ricomporsi – letteralmente, visto che a quanto pareva era finito a pezzi.
Nonostante la desolazione del posto, il piccoletto – Chirithy – sembrava più che abituato alle persone. Per come si era messo a parlare con Sora, sembrava quasi che soffrisse la solitudine. Ora che aveva una via d’uscita, Sora non poteva evitare di chiedersi come ci fosse finito lui là.
«Allora, non è ora di andartene? Ti sto facendo un grosso favore, sai?» Chirithy sembrava quasi impaziente, ma c’era qualcosa che non tornava in lui.
«Ehi, Chirithy… anche tu hai ancora il tuo aspetto.» Nessuno dei cuori in cui Sora si era imbattuto in quel posto aveva mantenuto le proprie sembianze fisiche – neanche Naminé, che a rigor di logica era ancora viva anche lei. Chirithy invece aveva ancora una faccia. «Vuoi che ti aiuti a trovare i tuoi pezzi?»
Il tono della creaturina cambiò immediatamente, passando dal rimprovero all’imbarazzo.
«Oh… non… funziono così.» Fece due passetti all’indietro.
«Allora… stai aspettando che qualcuno venga per te?» Sora incrociò le braccia. Se non funzionava così, era probabile che non potesse morire, ma allora cosa ci faceva alla soglia dell’aldilà?
«Più o meno?» Chirithy era sempre più incerto e imbarazzato. «Ma non… non cercarlo. Non… si ricorda il suo passato… e credo che la famiglia che ha adesso è sicuramente meglio di me.» La sua espressione allegra sembrava quasi forzata. «Lo aspetterò. Prima o poi anche lui verrà qui.»
Sora non volle insistere. Giorni prima, Joshua aveva raccontato a lui e Riku di un cane del suo mondo, che era rimasto per anni ad una stazione ad attendere il suo padrone scomparso. Avrebbe potuto chiedere ad Aqua se il Castello avesse potuto avere un angolino in più per quella palla di pelo – e sicuramente Aqua non avrebbe detto di no, non a qualcuno che aveva salvato loro la vita – ma la persona che Chirithy stava aspettando, chiunque fosse… sembrava troppo legato a lui per rinunciare a quella vana attesa.
«Ti voleva bene?» Sora gli lanciò un’ultima occhiata. Si chiese se quello che diceva Chirithy fosse realmente vero – e se da qualche parte in giro per i mondi non ci fosse una persona che soffriva perché il suo amico gli mancava.
«Che aspetti? Vai!» Chirithy lo esortò di nuovo.
«Va bene.» Sora si girò. «Verrò a trovarti, Chirithy.»
 
 

Riku sbatté le palpebre.
Ricordava ancora di aver caricato la Marea Oscura dopo che lui e Sora erano rimasti soli davanti al nemico.
Quello che era accaduto immediatamente dopo era stato ai limiti del surreale: si era ritrovato a fluttuare nel buio, come se fosse immerso nel mare di notte, e una voce aveva cercato di svegliarlo.
“Non pensavo di rivederti. Perché sei qui?”
Perché qualcuno aveva bisogno di aiuto.
Già, ad esempio qualcuno come te. Hai bisogno di una mano?
Chi era stato ad aiutarlo? Riku aveva appena avuto il tempo di fare sì con la testa… e lo spazio attorno a lui era cambiato… era apparsa una luce davanti a lui, e un istante dopo erano ricomparsi sia Kairi che Sora.
Andando verso la luce, si erano ritrovati di nuovo nel Cimitero…
… appena prima della trappola.
Ventus stava di nuovo fissando la polvere all’orizzonte, ma stavolta la sua espressione era molto più seria.
«Ha funzionato, non è vero?» Si girò verso gli altri.
«Sapevi che sarebbe successo?» Aqua lo affiancò. Stava tenendo la voce bassa, probabilmente aveva capito anche lei quel che era accaduto.
«Ephemer. Ha detto che aveva un complice da qualche parte.» Ventus spiegò rapidamente. Vicino a Riku, Sora sgranò gli occhi e mormorò qualcosa.
«Va bene, teniamoci pronti.» Riku fece per evocare il suo Keyblade, ma Sora scosse la testa.
«Naminé mi ha detto che è andata a cercare aiuto.»
«Naminé ti ha parlato?» Kairi non sembrava crederci.
Sora si strinse nelle spalle.
«Sembra ancora restia a voler…» Non sembrava trovare la parola che voleva dire. «Ma pensava di avere un modo per aiutare. Non so chi possa aver chiamato, però. Se il complice di Ephemer è chi penso, era letteralmente un gattino che parla.»
Si alzò di nuovo il polverone, e una figura alta e massiccia vi si stagliò contro.
«Hai detto che stanno arrivando i rinforzi, no?» Ventus lanciò un’occhiata a Sora. «Vogliamo ripetere la scena?» Fece un sorrisetto.
 
 

Shiro non sapeva spiegarsi cosa fosse successo – un momento prima, nella gola sotto di loro non c’era stato nessuno, poi l’intero mondo aveva iniziato a sfarfallare, ed erano riapparsi tutti i Guardiani della Luce.
Grazie al cielo, Chirithy deve averne preso almeno uno per i capelli.” Ephemer commentò nella sua testa. “Va bene, quel che è importante adesso è che non dobbiamo essere visti per ora. O almeno, Shiro, tu e Roxas no. Però se devo intervenire io…
Luna guardò Shiro.
«Perdonami, ma è un po’ frustrante aspettare che tu ripeta tutto ad alta voce. Posso fare un tentativo?»
Tentativo?” La voce di Ephemer era decisamente sorpresa e preoccupata.
«Aspetta, cosa?» Roxas fu il primo ad allarmarsi quando la mano di Luna si alzò, come a voler colpire Shiro.
«Roxas, spostati.» Luna abbassò il braccio. «Non le farò del male.»
Dopo un attimo di esitazione, Roxas fece un passo indietro, e Luna alzò di nuovo il braccio, mimò l’atto di dare una manata sul torace di Shiro…
… e qualcosa sembrò uscire da lei, e la testa di Shiro si fece immediatamente silenziosa.
Poi, qualcuno dietro di loro parlò.
«Ma… che… cavolo
Shiro si voltò in direzione della voce.
Davanti a lei, trasparente ma visibile, c’era Ephemer. O almeno, riconosceva la sua voce. E non ricordava mai di averlo visto… ma i capelli ricci, la bandana, i vestiti… era come Sora e Riku lo avevano descritto.
Si stava fissando le mani, e sembrava più confuso che mai.
«Riuscite a vedermi?» Ephemer alzò lo sguardo verso Shiro, Roxas e Luna.
«E sentirti.» Roxas fece un sorrisetto.
«Arti mistiche. Sei sul piano astrale, Ephemer.» Luna spiegò. «Piacere di conoscerti.»
Nella gola, i Guardiani della Luce stavano ancora discutendo. Ephemer lanciò loro un’occhiata, poi guardò più avanti e attorno a loro. Centinaia di Keyblade senza padrone erano conficcati nella sabbia e nelle rocce – Shiro iniziava a capire perché chiamavano quel posto il Cimitero.
«Avrei un sacco di cose da chiedere. E un sacco di cose da dire. Ma non abbiamo tempo adesso.» Ephemer si sistemò la giacca. «Ci servirà tutto l’aiuto di cui possiamo disporre per farcela.»
Portò le sue mani davanti alla faccia, congiungendole tra loro e intrecciando le dita, e iniziò a mormorare quella che sembrava quasi una preghiera.
Mentre sotto di loro, all’orizzonte, davanti ai Guardiani si stagliava la figura di quello che sembrava Papà ma era una trappola, la mano di Shiro andò istintivamente a cercarsi il Trovavia nelle tasche.
Lo strinse nelle mani, nella stessa posizione del suo amico. Papà ti prego. Doveva fare qualcosa, doveva resistere a Xehanort… doveva tornare a casa…
Ephemer abbassò le mani e guardò giù.
«Ventus, Aqua, ora


 


E anche questa è andata! Meno 2 capitoli alla fine!

Il passo di libro che Shiro stava leggendo è preso pari pari da "Il Signore degli Anelli - Le Due Torri", e sì, è quel famoso discorso di "è come nelle grandi storie" di Sam.
Quanto ai suoi compagni di scuola menzionati in questo capitolo, Luca è una comparsa dal prossimo omonimo film Pixar, e G'Raha sarebbe G'Raha Tia da Final Fantasy XIV. Quistis e Steiner, gli insegnanti, vengono da Final Fantasy VIII e IX.

 

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Capitolo 12
*** Fractus, non Subiectus ***


Avremmo anche finito prima, ma un mostro grosso così chiamato "sessione estiva"... beh, insomma, sapete la storia.

(attenzione, possibili lievi SPOILER sul finale di Union X. Ammesso e non concesso che da Giugno a mo non abbiate recuperato)

 
 

Guardians – Capitolo 12
Fractus, Non subiectus
 
Stanno arrivando i rinforzi.
Ventus non sapeva cosa doveva aspettarsi, e poi appena prima che Xehanort usasse il corpo di suo fratello per ferirlo di nuovo…
Terra era tornato.
O meglio, la sua armatura. E la sua voce.
«Oh, non ci credo!» Dietro di loro, Sora aveva sbottato, nella sua voce euforia mista a paura.
Aqua, probabilmente ancora memore del passato che Sora aveva cancellato, fu rapida a prendere Ventus per il polso e tirarlo via, poi gli lanciò un’occhiata.
«Quanto sapevi di tutto questo?» gli chiese.
«C’entra Ephemer in qualche modo. Lui sapeva. Sta agendo tramite un complice.» Ventus si strinse nelle spalle. Non avrebbe compromesso Shiro e Roxas, non adesso che era tutto soltanto cominciato. «Ma non mi ha nemmeno detto chi è. Non vorrei sia quel gatto di cui parlava Sora.»
Nella sua tasca, sentiva il Trovavia quasi caldo. Che Terra li avesse trovati tramite il loro portafortuna? Ma non c’era tempo per le domande… Terra e quello che lo controllava avevano preso a duellare tra loro… e chiunque avesse prevalso, sarebbero state brutte notizie per Terra.
«Dobbiamo aiutarlo!» Ventus portò Evocavento alla mano.
«Aiutare chi e come?» Aqua lo riportò alla ragione. «Ven, stanno arrivando gli Heartless…» Scosse la testa, poi fece un cenno della mano verso il gruppo. «Stiamo uniti! Serrate i ranghi, per qualsiasi ragione non fatevi prendere! Qualcuno di voi è capace di alzare una barriera forte abbastanza?»
«Io!» Riku fu il primo ad alzare la mano. Paperino alzò il suo scettro appena dopo di lui.
Come previsto da Aqua, dalle gole attorno a loro si stavano riversando sciami di Shadow e altre creature oscure. Ce ne erano così tanti che avrebbero potuto oscurare il cielo.
La giovane donna stava tremando a vista d’occhio, ma aveva assunto una posizione di guardia ed era pronta a pronunciare la formula per la magia di protezione.
«Se resistiamo anche a questa ondata, potremo andare avanti. Dove Xehanort si nasconde.» Stava ansimando quasi con ogni parola, ed era pallida come un cencio. «Avanti… avanti…»
La Marea Demoniaca, davanti a loro, si faceva più grande, sempre più grande, prendendo quasi la forma di un tornado…
I Guardiani della Luce stavano già serrando i ranghi, gomito contro gomito, nel miglior tentativo possibile di resistere all’ondata oscura, ma tutto a un tratto, alla sinistra di Ventus, Sora prese a correre in avanti.
«Sora, che fai? Fermo!» Riku fu il primo a reagire, allungandosi in avanti per prendere l’amico per il dietro della giacca, ma Sora fu troppo agile per farsi prendere e continuò a correre verso l’orda di mostri, Keyblade in resta. Fece per andargli di nuovo dietro, ma qualcosa lo fermò.
«L’ho sentito!» Annunciò, girandosi verso gli altri.
A un passo dall’ammasso di mostri, Sora venne inondato da un lampo di luce, e una voce familiare echeggiò nelle teste di tutti…
Serve una mano?”
«Ephemer!» Ventus si illuminò. Si rese conto che probabilmente non avrebbe dovuto parlare – avrebbero potuto pensare che Shiro fosse nei paraggi – ma la sua sorpresa fu presa per quello che era.
«Quindi è così la sua voce?» Lea scosse la testa. «Com’è che la sentiamo anche noi?»
Ventus si strinse nelle spalle. Sopra di loro, qualcosa stava iniziando a volare. A Ventus sembravano quasi uccelli, poi guardò meglio. Keyblade. I Keyblade dei caduti si erano mossi da soli, e adesso volavano su di loro, in sciame, come avevano fatto anni prima per Vanitas.
Ma non c’era né ruggine né polvere attorno ad essi. Non stavolta.
Si fermarono davanti a Sora, un istante, appena necessario perché il ragazzo salisse su, e poi presero a trasportarlo, falciando Heartless dopo Heartless.
«I Custodi del Passato…» Aqua aggrottò le sopracciglia. «Se quello era Ephemer…?»
Guardò Ventus.
«Ven, sei sicuro che lo conoscevi realmente?»
Ventus scosse la testa. Aveva detto di conoscerlo, quando si erano visti nei sogni di Shiro. Aveva fatto una fugace menzione del suo passato, descrivendo quello che avrebbe potuto essere il suo aspetto da bambino – e gli aveva augurato di essere cresciuto rispetto alla sua infanzia.
Qualcosa sembrava turbare Aqua, ma non era il momento di preoccuparsene, non adesso.
 
 

Ephemer riapparve sulla cima della guglia, e Roxas dovette chiedersi come mai stava tremando nonostante non avesse un corpo vero e proprio.
«Ha! Avete visto?» Il ragazzo annunciò, indicando lo spiazzo davanti a loro. Sembrava quasi soddisfatto di sé stesso.
«Ti sei fatto sentire? E se mamma si accorge di me?» Shiro lo criticò.
Ephemer riprese – metaforicamente – fiato e si fece serio.
«Non potremo nasconderci per sempre.» Guardò verso il basso. «Ovvio che vedranno sempre prima me, e sarò io a dirvi quando intervenire…»
Sembrava pensieroso, come se stesse nascondendo qualcosa. Tredici anni a non avere una faccia dovevano averlo reso un pessimo bugiardo, Roxas si disse. Ne sapeva qualcosa, anche se per lui non erano stati che due mesi.
«… tu non conti, Roxas. Se vedi Quattordici, buttati.»
«Quindi siamo tutti agli ordini di Ephemer adesso?» Luna commentò con un sorriso sarcastico. «E io che credevo che dovessi seguire le direttive di Aqua.»
«Maestro Ephemer, prego.» Il ragazzo rise. «Quali sarebbero le direttive di Aqua?»
Luna si strinse nelle spalle.
«Stare indietro e portare i feriti al sicuro. Noctis e i ragazzi sono nello spazio aereo con la loro Gummiship, hanno coperto le spalle a quella di Sora e adesso aspettano il segnale di ritorno. Sanno combattere, è vero, ma se siamo troppi sul campo, sarebbero solo altri bersagli per Xehanort. Quanto a voi tre, per la stabilità di questa linea temporale, dovete essere qui.»
Davanti a loro, grazie all’intervento dei Keyblade del passato, Sora e gli altri erano riusciti a farsi strada oltre gli Heartless.
Il deserto era libero – e stavano quasi per perderli di vista.
«Li seguiamo?» Roxas azzardò. «Credo che ne stiano per arrivare altri da laggiù. Dalla direzione che stanno prendendo.»
Luna scosse la testa, poi alzò una mano e tracciò un cerchio nell’aria con due dita.
«No, ma andiamo un po’ più avanti.»
Un altro portale di scintille apparve davanti a loro, ed Ephemer fu il primo a passarci attraverso. Shiro lo seguì a ruota, e Roxas fece lo stesso. Luna fu l’ultima a passare, e se lo richiuse dietro.
«Ora siamo davanti a loro, giusto?» Roxas chiese.
Stavolta erano in un anfratto tra le rocce, riparati e nascosti.
«Davanti abbastanza.» Luna si strinse nelle spalle.
Poi la terra prese a tremare.
 
 
Le pareti apparse dal nulla, da sotto la sabbia del deserto, sembravano essere il risultato di una qualche potente magia.
Aqua non poté fare a meno di chiedersi quanto avesse ancora da imparare – o quali segreti nascondessero certi mondi. Sarebbe stato più difficile che mai senza…
… no, non ci doveva pensare. Se il Maestro Eraqus fosse stato lì, le avrebbe detto di concentrarsi sul qui e sull’ora, avevano una missione da compiere, e la missione al momento era neutralizzare la minaccia per i mondi e riportare tutti a casa.
«Ha l’aria di essere un labirinto.» Topolino affiancò Aqua e commentò.
«Mi pare ovvio immaginare che i nostri avversari saranno sparsi e appostati.» Lea poggiò il suo Keyblade su una spalla. «Abbiamo una strategia? Loro sicuramente avranno una loro.»
«Sì, e la fase uno è assicurarci che siamo tutti nelle migliori delle condizioni.» Aqua si girò verso gli altri. «Qualcuno di voi è ferito? Stanco? Come state per quanto riguarda le medicine?»
Il suo sguardo indugiò su un Guardiano in particolare.
«… Sora?»
Il ragazzo sobbalzò come se fosse stato toccato, anziché chiamato.
«Mi dispiace! Non volevo rompere le righe, Ephemer mi ha detto di rompere le righe…» Prese a scusarsi.
Aqua non gli disse nulla, limitandosi ad eseguire uno Scan per controllare la sua salute, ma un altro pensiero le si fece galla nella testa. Ephemer.
Quando Shiro, Ventus e Lea lo avevano menzionato le prime volte, Aqua lo aveva dismesso come quello che aveva dichiarato di essere – un vecchio amico di Ventus. Qualcuno che probabilmente doveva avere sofferto quanto, se non più di lui, per i piani di Xehanort – che probabilmente ci aveva lasciato le penne.
Poi aveva ritrovato quel nome nei libri di storia che aveva letto febbrilmente per cercare risposte. Come il nome del Primo Maestro – del rifondatore dell’ordine dei Custodi del Keyblade, dopo la guerra che aveva reso quel posto un cimitero.
Non potevano essere la stessa persona – il Maestro che aveva fondato l’ordine, il bambino che era cresciuto con Ven – ma adesso quale dei due era la voce nella testa di Shiro?
… o nelle loro, a quanto pareva.
A giudicare dalla reazione di Ventus, Aqua avrebbe detto il bambino, ma le chiavi? Un atto del genere – qualcosa di pari almeno a quello che aveva fatto Xehanort con il labirinto – non sarebbe stato plausibile per un bambino, anche fosse stato più grande di Ventus quando Xehanort gli aveva… fatto del male.
Forse era la memoria di Ven a giocare brutti scherzi… ma no, non ora, doveva assicurarsi che i suoi alleati stessero bene…
«Ven, dobbiamo parlare quando saremo a casa. Io, te, e Shiro.» Aqua disse, più per ricordarsene che per farlo presente all’amico.
«E Terra.» Ventus annuì, lanciando un’occhiata al corridoio davanti a loro.
Soltanto il silenzio li circondava, ma Aqua era pronta a scommettere che molto presto sarebbe stato infranto una volta per tutte.
«Va bene, se siamo tutti in condizione di procedere, direi di separarci in gruppi.» Aqua fece alcuni passi avanti. «Avete visto tutti la torre su cui Xehanort si è piazzato, no? Sarà sicuramente il centro del labirinto. Dobbiamo dividerci in modo equo per avere più possibilità di proseguire.»
«Forse coppie sarebbe la soluzione migliore.» Topolino azzardò.
«Sua Maestà s’è scordato che siamo in sette?» Lea commentò.
«No, ma sono quello che qui è più abituato a combattere da solo.» Topolino incrociò le braccia. «Lea, tu ti sei addestrato con Kairi, andrai avanti con lei. Sora e Riku, su voi ci sono pochi dubbi. Aqua, Ven, voi due aprirete la fila, io vedrò di chiuderla.»
 
 
Di una cosa, Riku era certo, si disse mentre lui e Sora fronteggiavano i loro avversari – Xigbar e il falso Riku, dopo che Ansem l’Heartless era fuggito via chissà dove.
Per quanto il piano di Xehanort fosse stato eliminarli all’inizio, e grazie a Ephemer questo non era accaduto, il labirinto era sicuramente un’altra trappola.
Una che non avevano altra scelta che far scattare, perché se non avessero combattuto, Xehanort non avrebbe esitato a minacciare Rapunzel, Elsa, Anna, Luna… e solo Luna e Kairi sapevano in un qualche modo difendersi, e non abbastanza per resistere a tutte e tredici le Oscurità comunque.
La loro ipotesi migliore di successo era uscirne tutti e sette, anzi nove. Terra e Quattordici potevano essere liberati, se non con il Potere del Risveglio, in una qualche altra maniera, e se Ephemer aveva eliminato la prima trappola, probabilmente avrebbe avuto piani anche per l’altra.
Evidentemente ci stava pensando troppo, perché a un certo punto finì lungo disteso nella polvere, e Sora dovette respingere un po’ di proiettili violetti per proteggerlo.
Xigbar era il solito vecchio baro, ma aveva aggiunto un altro tipo di proiettile al suo arsenale, uno che si conficcava nel terreno e faceva male anche semplicemente a starvi vicino. Quanto all’altro Riku… beh, era prevedibile come fare a pugni con uno specchio. Non ci volle molto a Riku per trovare un’apertura, colpirlo alla testa con il piatto del Keyblade e tramortirlo.
Con uno sforzo in più da parte di Sora, che – come aveva menzionato Ventus – stava combattendo come un disperato, Xigbar ricevette un colpo fatale.
«Come pensavo.» Ansimò. «Se avessi un Keyblade, le cose sarebbero diverse…» Sopra di lui, un pennacchio di tenebra si alzava al cielo come il fumo di un comignolo.
«Come se tu fossi degno di averne uno.» Sora gli ribatté in tono sprezzante, e dopo tutto quello che il vecchio guercio aveva fatto loro, Riku non poté pensare che lo meritava fino in fondo.
Con le sue ultime forze, Xigbar si teletrasportò in cima al labirinto.
«Oh, ma io lo sono. Il vecchio trombone ha promesso di lasciarmi il suo. Altrimenti perché mai sopporterei tutte le sue fesserie?»
Fece alcuni passi all’indietro… e cadde dalla parete.
Riku non sentì il tonfo.
Sora rimase a fissare il punto in cui Xigbar era sparito, attonito, con le braccia lungo i fianchi.
«Non credo… mi ci abituerò mai…»
Riku evitò di ricordargli che se era ancora un Nessuno, probabilmente sarebbe tornato.
«Forza, era solo il primo.» Gli diede una pacca sulla spalla. «Gli altri contano su di noi, dobbiamo andare avanti.»
Si girò verso il suo doppio, ancora privo di sensi contro una parete.
Aspetta.” Una voce nella sua testa lo fermò prima che vibrasse un colpo fatale.
Oh, adesso era lui ad avere voci nella testa? E questa… gli sembrava esattamente di sentire sé stesso.
Non distruggere quella Replica. Naminé ha ancora bisogno di un corpo.
Oh…
«Non sarà necessario. Tron, Otto e Nove possono pensarci da soli.» Riku mormorò, causando un’occhiata curiosa da parte di Sora.
Non voglio correre altri rischi. Non c’è più niente per me in questo mondo. Ma… lei… io…
«Non devi. Anche tu hai diritto a vivere.»
Prima che Riku potesse ribattere, una figura trasparente gli uscì letteralmente di dosso, per balzare contro il suo doppio esanime e artigliargli il torace con una mano.
Un pennacchio di fumo nero si erse dalla Replica, lasciandolo come un semplice pupazzo con il volto impersonale e un mantello nero.
E Sora e Riku rimasero soli.
«Aspetta, ma quindi…?» Sora guardò Riku, inclinando la testa di lato. «Kairi non è finita alla mercé del Lich perché ha combattuto tutto il tempo. E non ho trovato lì te perché… lui ti aveva tenuto fuori
«Già, la mia Replica del Castello dell’Oblio non era morto come pensavamo. Non finora…» Riku tirò un sospiro. «… non oso immaginare come saresti andato in panico se si fosse piazzato davanti a te, senza che ti avessimo raccontato tutto io e Shiro…»
Abbassò la testa e dismise il Keyblade, poi mise una mano sulla spalla a Sora. Il contatto fisico gli veniva ancora difficile da quando non erano più bambini che giocavano alla lotta, ma se avessero passato quella battaglia… quando avrebbero passato quella battaglia… le cose dovevano cambiare.
Fu Sora a prendergli la mano e a dargli una stretta affettuosa con le dita.
«Forza, gli altri hanno bisogno di noi.»
E mentre prendevano un bivio – Sora a sinistra, lui a destra, e iniziavano a correre per aiutare le altre squadre con i loro avversari, Riku si rese conto di una cosa.
Quei pennacchi di tenebra.
Che Xehanort stesse facendo perdere i suoi sgherri di proposito?
 
 
«Credo che questo sia l’ultimo!»
Ventus attese che Aqua lo raggiungesse, poi fece un passo sul glifo illuminato sul pavimento. Un sistema di portali sembrava impedire loro di avanzare, ma Aqua aveva ipotizzato – giustamente – che ci fosse un modo di aprire le porte, e insieme avevano risolto l’enigma dei glifi che controllava aperture e chiusure.
Ancora una porta… e poi sicuramente si sarebbero imbattuti in Vanitas e Terra. Xehanort era un patito dei gesti teatrali, non avrebbe resistito a metterli davanti a loro…
… e Ventus non aveva voluto confessarlo ad Aqua – sempre che lei non lo sapesse già – ma temeva che il suo legame con Vanitas avrebbe potuto di nuovo mettere a repentaglio la sua vita.
Forse era vero quello che Roxas aveva detto – “Notizia dell’ultimo minuto, Ventus. L’ORGANIZZAZIONE BARA.” – ma questo non era una garanzia assoluta che, se questo Vanitas fosse stato eliminato, non avrebbe portato Ventus con sé.
«Tutti e due i piedi, Ven.» Aqua gli fece gesto di andare avanti. Ventus le lanciò un’occhiata, poi fece un respiro profondo e mise anche l’altro piede sul simbolo.
L’ultima porta si aprì, rivelando due figure familiari in lontananza nello spiazzo davanti a loro.
Aqua fece due passi, stagliandosi davanti a Ventus, poi rivolse lo sguardo verso di lui.
«Andrà tutto bene.»
 
 
Sora si addossò a una parete e cercò di riprendere fiato.
Il suo intervento in soccorso di Topolino aveva fatto la differenza nella vittoria tra il Re e i tre Nessuno Luxord, Marluxia e Larxene, ma era comunque stata una vittoria per il rotto della cuffia, specialmente dopo che Luxord aveva imprigionato Topolino in una carta e Sora aveva dovuto vedersela contro tutti e tre.
Era stato allora che aveva di nuovo sentito Ephemer.
Appena prima che Larxene potesse fulminarlo, la voce di Ephemer aveva urlato «Elrena!» e la giovane era crollata in ginocchio, tenendosi la testa.
Senza la più feroce dei suoi tre aggressori alle calcagna, Sora era riuscito a sconfiggere Luxord e liberare Topolino – e ottenere un jolly da un Luxord morente, senza che capisse cosa significasse realmente un dono del genere – e insieme erano riusciti ad avere la meglio prima su Larxene, ancora apparentemente confusa, e poi su Marluxia, non prima che Ephemer si facesse sentire di nuovo.
«Questo non sei tu, Lauriam
Sora ricordava ancora la “lezione” di Shiro sugli anagrammi – se era davvero stato Ephemer a urlare… quelli erano i loro veri nomi… quindi oltre a Ventus, Ephemer aveva conosciuto anche loro?
«Quando saremo a casa, Ephemer, dovrai spiegare un po’ di cose.» Sora mormorò ad alta voce, anche se non era certo che il suo interlocutore lo stesse ascoltando.
Topolino era già andato avanti, ma gli aveva ordinato di riposare prima di procedere. Beh, Sora non gli avrebbe dato retta, avevano troppo bisogno di lui perché si potesse permettere di indugiare tropp…
«Sei senza speranza, Sora.»
Per un momento, Sora pensava che Ventus fosse tornato indietro, ma era Roxas quello che si era appena affacciato da un cerchio di scintille. In divisa scolastica, cravatta, e maglione.
«Tu non eri andato a scuola con Shiro?» Sora alzò un sopracciglio, una volta resosi conto di con chi stava parlando.
«Il sorvegliante dei corridoi mi ha fatto uscire.» Roxas si strinse nelle spalle, dicendolo come se fosse stata la cosa più logica e normale del mondo – e in effetti, una scusa del genere lo era. Poi si frugò nelle tasche e mise un Elisir nelle mani di Sora. «E Luna ti manda questo.»
Sora stappò la bottiglietta e la vuotò senza quasi neanche vedere cosa fosse, solo per rimanere soddisfatto quando sentì tornargli le forze.
«Ora, se vuoi proprio andare a farti del male, ci andiamo insieme.» Roxas gli diede una pacca sulla schiena e indicò il corridoio davanti a loro. Prese a correre, e quando Sora lo seguì, iniziò a parlare.
«Come siete messi?» gli chiese, mentre le pareti davanti a loro cercavano letteralmente di sbarrare loro la strada. Dovettero scartare di lato più volte o addirittura saltare, ma Roxas non smetteva di parlare. «Vi siete divisi in gruppi, no? Chi è da solo a parte te?»
«Riku e il Re sono andati avanti da soli. Probabilmente a quest’ora si saranno già ritrovati.» Sora rispose alla domanda, più concentrato sugli ostacoli che sul discorso. «Ventus è con Aqua. Kairi con Lea.»
«Fa strano sentirlo chiamare Lea.» Roxas ammise.
«A Ventus fa strano sentire Axel.» Sora ridacchiò. Si fece immediatamente serio – appena davanti a loro, riusciva a sentire urla e clangore di armi.
Dopo un urlo quasi disperato e l’inequivocabile rumore di Keyblade contro Keyblade, Sora riconobbe la voce di Kairi.
«Una ragazza
Accanto a Sora, Roxas si portò una mano alla tempia, ma continuò ad avanzare.
«Quattordici!» Ringhiò tra i denti, accelerando il passo. Qualcosa lo fece letteralmente fermare dietro un pilastro… ed Ephemer comparve accanto a lui.
«Ti ho detto forse…?» Iniziò a dire.
«Sì, le tue esatte parole.» Roxas ribatté. «E ringrazia di essere incorporeo o ti avrei dato un pugno.»
«Le mie esatte parole erano se vedi Quattordici. Non mi pare che l’abbiamo… vista.» Ephemer fece le virgolette con le dita. Sora scosse la testa, confuso.
«Va bene, e io posso andare allora? C’è Kairi lì davanti!»
«Tu rispondi ad Aqua, non a me.» Ephemer si strinse nelle spalle. Sarebbe stata una scena molto comica, se non fosse stato per la situazione.
«Non ricordo il suo nome… ancora non ricordo il suo nome…» Roxas stava dicendo mentre Sora correva in avanti. «… potevi evitare di tirarmi per il maglione di scuola, Axel mi uccide se glielo rovino…»
Con chi stava parlando? Sora aveva un sospetto… e sperava di sbagliarsi.
Non era la prima volta che Shiro si mostrava capace di rendersi invisibile.
No… non poteva pensarci adesso, c’erano Roxas ed Ephemer lì dietro, e doveva andare ad aiutare Kairi…
Girò l’ultimo angolo per trovarsi davanti a Kairi e Axel, intenti a un duello a quattro con Saïx e… una ragazzina. Una ragazzina con un Keyblade identico a quello di Sora.
«Quindi è lei Quattordici?» Sora affiancò Kairi e diede un’occhiata ai nuovi avversari.
«Sì, ma Lea ancora non ricorda il suo vero nome.» Kairi gli rispose. «Ma lei sembra essere confusa, e molto. Tecnicamente non sa nulla della propria identità, ma quando ha sentito Axel e Roxas… beh, ha reagito.»
Kairi smise di spiegare per parare un colpo in arrivo da Quattordici. La ragazza combatteva quasi ciecamente, senza nemmeno guardarli in faccia. E nemmeno parlava.
«Quindi sei tu che eri scomparsa dai diari di Shiro?» Sora tentò la sorte enfatizzando uno dei nomi che ancora non erano stati menzionati. La ragazza puntò la sua attenzione verso di lui e balzò con l’intenzione di colpirlo dall’alto, ma Sora riconosceva quel colpo – era uno dei suoi – e lo parò senza sforzi. «Lo sai che lei si è fatta un po’ di notti in bianco per ritrovarti?»
La ragazza ritrasse l’arma e rimase ferma per un momento, pietrificata davanti a lui, portandosi una mano alla testa.
«Qual è il piano?» Lea, che stava duellando contro Saïx, urlò a Sora.
«Hai visto come sta tentennando… Axel…» Sora usò di proposito il nome che Quattordici ricordava per tenerla a bada. «Roxas è scappato da scuola. Credo sia venuto qui con Ephemer e Luna.»
«Quindi era davvero Ephemer? Vuoi dirmi che Shiro è qui?» La voce di Lea era la personificazione della preoccupazione, ma quel dialogo stava rendendo Quattordici sempre più confusa.
«Non l’ho vista.» Sora corse ad aiutare Lea. Aveva già battuto Saïx una volta, e Lea aveva lo svantaggio di un’arma relativamente nuova. «Roxas sta cercando di ricordare il suo nome. Quando ha sentito la sua voce… anche lui sembrava sentire qualcosa…»
Lea sbatté le palpebre e scosse la testa. Sora dovette proteggerlo da Saïx quando la sua vista si fece fuori fuoco.
«Ma certo! Quei due erano legati. Al punto che riuscivano a passarsi i poteri tra loro. Dovetti intervenire a un certo punto perché…» Scosse di nuovo la testa. «Xemnas voleva uccidere Roxas. Lasciare che lei lo assorbisse.»
Il suo sguardo si fece sempre più determinato.
«E a quanto pare, invece è accaduto il contrario.» Imbracciò meglio il suo Keyblade, e si preparò a contrattaccare Saïx. «Sora… dov’è Roxas adesso? Ci sarà bisogno di lui!»
«Vicino abbastanza da sentirci.» Sora balzò di lato per cercare di colpire il loro avversario. «Continua a parlare. Continua a ricordare. Ti copro!»
«Mi stai chiedendo di pensare e combattere, Sora, ti rendi conto di quanto sia difficile?» Lea fece un passo all’indietro, tenendo la guardia alta.
«Ieri stavi parlando di un Moguri.» Sora cercò di guidarlo.
«Mister Kupò. Il pupazzo di Shiro. Saïx paragonò… paragonò lei a Mister Kupò.» Sia Lea che Sora dovettero parare per fermare l’attacco di Saïx, che sembrava sempre più inferocito. «Quel giorno avrei dovuto fermarla. Quel giorno avrei dovuto trattenere Shiro… non la vidi mai così arrabbiata. Fu Roxas a farlo prima di me…»
Quattordici aveva smesso di attaccare. Teneva il Keyblade puntato davanti a sé, ma li fissava, gli occhi ancora nascosti dal cappuccio, respirando rumorosamente.
Roxas, adesso sarebbe un buon momento…, Sora si trovò a pensare. Saïx era arrivato al culmine della furia, e gli bastò un solo fendente per spazzare Lea, Sora, e Kairi indietro e farli finire a gambe all’aria.
Poi apparve Xemnas.
«Un tempo assegnavo a te il compito di occuparsi dei traditori.» Camminò verso Lea, squadrandolo dall’alto in basso. «E ora, il tuo tradimento li sorp…»
«Belle parole, dette dal re dei bugiardi.» Lea si alzò sui gomiti, senza dargli la soddisfazione di continuare. «Padre di Shiro, seh. Niente cuori, davvero. La domanda è, chi è il vero traditore?»
Si rimise in piedi, tremando e scrollandosi la polvere dai vestiti.
«La mia lealtà non è mai stata tua, Superiore dei miei stivali.»
Lo fissò negli occhi.
«Non mi hai mai avuto, da quando hai fatto del male a Cloud e Zack, da quando mi hai portato via Kairi, da quando hai tolto Shiro alla sua famiglia. Mi avrai anche fatto in mille pezzi, bastardo… ma stai pur certo che non mi vedrai mai piegare davanti a te! Non finora e non adesso! E ti prometto che prima che tramonti il Sole, i miei amici saranno fuori dalle tue grinfie… lo hai memorizzato
Era la sua solita frase, ma non il suo solito tono di voce. Aveva detto quelle tre parole quasi in un ringhio.
Riportò il Keyblade alla mano e lo sferrò contro Xemnas come un’ascia, solo perché il Nessuno lo fermasse con la mano e lo spingesse di nuovo al suolo con i suoi rovi oscuri.
Con la coda dell’occhio, Sora intravide Quattordici che si muoveva e si rimise subito in piedi. Xemnas le avrebbe ordinato di uccidere Lea… se lo sentiva… qualcuno doveva dire il suo nome, ma nessuno lo ricordava… se avessero detto il suo nome, si sarebbe svegliata…
Rumore di passi dietro di loro, e un cerchio di pilastri di luce separò Sora, Kairi e Lea da Xemnas.
«Roxas?» Lea fu il primo a girarsi.
«Vicino abbastanza da sentire.» Dietro di loro, un Keyblade in ogni mano, Roxas si strinse nelle spalle e sorrise. I pilastri divennero sfere luminose che saettarono verso Xemnas e lo mandarono all’indietro.
Sora prese immediatamente per mano Kairi, e davanti a loro Quattordici fece qualche timido passo in avanti, fissando Roxas, che probabilmente con i pantaloni celesti, la camicia, la cravatta e il maglione beige era quasi irriconoscibile.
«Non mi ricordo di te…» Roxas sostenne il suo sguardo, sorridendole, e dismise le armi. «Ma il mio cuore ti ricorda.»
Si girò verso Xemnas, la furia nel suo sguardo.
«Abbiamo passato un anno con le tue promesse vuote. Ci hai convinti a portare avanti il tuo lurido progetto, facendoci credere che soltanto una volta finito avremmo potuto vivere… ma la realtà è che stavamo già vivendo. Sentendo. Amando. Senza che lo sapessimo. E tu ce lo hai tenuto nascosto!»
Sbuffò.
«Ti chiederei se ti vergogni… ma sono certo che sarebbe un’altra bugia.»
«Ro…xas…» La ragazza gli si stava avvicinando. Era ancora visibilmente confusa… ma quella era la prima volta che Sora la sentiva parlare.
«Sì… sono io… sono qui.»
Roxas prese le mani della ragazza.
«Lo so che sei arrabbiata, e hai paura, e non capisci cosa sta succedendo. Noi non dovremmo essere qui… ma ci siamo. Come nel libro che ci fanno leggere a scuola. Gli eroi sono in trappola, in una terra buia e lugubre con cattivi che vogliono fargli la pelle e una creatura viscida che li sta soltanto ingannando. E non abbiamo scelto noi questa vita, ci siamo stati buttati dentro e questa adesso è la nostra strada. Ma puoi decidere di mollare, se vuoi. I Signori oscuri, le terre morte… li possiamo lasciare nei libri. Ti prego…» Stava piangendo, e Sora era ancora certo che si stesse sforzando di ricordare. «Ti prego, vieni a casa con me… ti voglio bene… ti vogliamo bene…»
La sua voce era scossa dai singhiozzi, ma quando alzò lo sguardo aveva una luce negli occhi.
«… Xion
Il mondo andò fuori fuoco per un momento, e quando tornò nitido, Sora si rese conto che Roxas aveva ritrovato il vero nome della sua amica. E la ragazza davanti a lui adesso, con il cappuccio abbassato, aveva una faccia. Portava i capelli neri corti, somigliava vagamente a Kairi e Naminé, e stava piangendo addosso a Roxas.
Nonostante la loro piccola vittoria, Sora non poteva scacciare il presentimento che qualcosa stesse per accadere, qualcosa di terribile.
Una trappola. Xemnas avrebbe fatto qualcosa. Sora strinse le dita intorno al Keyblade e…
«PASSO PESANTE, CICCIOMIAO!»
Un Fiormiao alquanto familiare apparve nello spiazzo, rimbalzando e gonfiandosi per atterrare dove era Xemnas. Shiro era aggrappata alle sue orecchie. Xemnas si teletrasportò via, e lo sguardo di Sora cadde istintivamente su Kairi, ma nessun Corridoio Oscuro si aprì vicino a loro.
«Shiro, ma che accidenti…?» Xion, che aveva smesso di piangere, le lanciò un’occhiataccia.
La ragazzina incrociò le braccia e finse il broncio.
«Non l’ho neanche colpito…»
«Axel, Kairi, posso chiedervi di tenere Shiro lontana? Qui non siamo ancora fuori pericolo…» Roxas diede un’occhiata a Saïx, che era ancora fermo, ma probabilmente non per molto. Si rovistò nelle tasche, passò un Elisir a Xion e una Granpozione a Sora. «Voi due siete con me?»
 
 
Non era niente di nuovo, niente di non familiare.
Ventus e Aqua avevano già alzato le lame contro Vanitas, e conoscevano Terra come il loro riflesso allo specchio.
Non era neanche la prima volta che li combattevano come se le loro vite, il loro futuro, dipendessero da quella battaglia.
Ma c’era qualcosa che aveva ridato uno spiraglio di ottimismo a Ventus – appena prima del duello, Vanitas aveva asserito che il suo posto era nel suo cuore – lo stesso posto dal quale era stato sfrattato con furiosissimo sdegno undici anni prima. Non lo sapeva. Non sapeva di essere stato sconfitto.
Non era il Vanitas del presente – veniva dal passato, come Xemnas e l’Heartless.
Se la sua presenza, vivo e sveglio a Mostropoli, era stata un indizio, questa ne era la definitiva conferma.
Poteva essere distrutto, senza che fosse un pericolo per Ventus.
L’unica cosa che restava loro da fare era resistere – e combattere, avevano già sconfitto quegli avversari in passato, non sarebbe stato un problema farlo di nuovo. E anche se Terra, posseduto da Xehanort, in un qualche modo sembrava ricordare come fosse stato battuto da Aqua… Vanitas no.
A un certo punto, oltre i muri, sopra di loro, un pennacchio di nebbia nera saettò verso il cielo, e Vanitas rimase a guardarlo per un momento.
«Chissà se era Saïx o il fantoccio.» Sbuffò.
Ventus era quasi adirato da quanto potesse essere noncurante… anche se sentirlo dire, momenti prima, che non era realmente una parte di lui quanto un clandestino… non poteva dire che lo facesse sentire meglio riguardo a sé stesso, ma…
«Ventus! Aqua!»
Una delle pareti di roccia si mosse, e Sora arrivò di corsa. Ventus gli poteva contare almeno due nuove ferite su polsi e caviglie, ma sembrava determinato e trionfante.
«Quattordici si chiama Xion!» Sora ancora spiegava mentre correva. «Ed è libera! Kairi e Lea sono rimasti indietro con lei e Roxas… c’è da…»
Non finì il discorso – Vanitas era comparso dal nulla cercando di prenderlo dall’alto. Appena prima che lo potesse toccare, una barriera lo fermò dov’era.
Ventus guardò Aqua, ma lei era impegnata con Terra… e poi…
«Buongiorno!» Ephemer comparve dal nulla, ancora incorporeo, ma affaticato. «Non fatemelo ripetere, non posso curarmi.»
«Tu?» Vanitas lo fissò, la voce ribollente d’ira.
«Già, io.» Ephemer sogghignò. «Non sei l’unico che può chiedere passaggi alla gente, sai? E sorpresa del giorno, ora sei tu che non puoi far male a me.»
Guardò Ventus.
«Finisci quel che hai iniziato, Ven!»
«E stavolta non è solo!» Sora lo affiancò immediatamente.
Confuso com’era da tutto quello che era appena successo – finire quel che aveva iniziato? Come poteva Ephemer sapere della battaglia di undici anni prima? A meno che non fosse già accaduto qualcosa ancora prima… – Ventus non poté che sentirsi rincuorato per la presenza di Sora.
Sarebbe stato l’ago della bilancia, probabilmente.
Ephemer svanì di nuovo mentre alzava loro i pollici, e lo scontro riprese. Ventus lasciò andare Sora davanti, memore del trucco di Vanitas di svanire e attaccare alle spalle, e d’altra parte sembrava che il loro avversario facesse una certa fatica ad adattarsi a combattere contro due altrettanto potenti.
«Non è più divertente quando sono gli altri ad avere un vantaggio sleale, eh?» Ventus schernì Vanitas mentre lo bloccava dall’aggredire Sora alle spalle.
Era solo questione di tempo prima che lo potessero battere. Se Sora non aveva mai incrociato le lame con Vanitas, la cosa era reciproca, mentre invece Ventus lo conosceva come le sue tasche, ed era uscito vincitore in quasi tutti gli scontri.
CRACK.
Fu quando la maschera nera si ruppe di nuovo che Ventus capì che avevano vinto.
Sora fissava Vanitas nell’unico occhio che aveva esposto, e fu in quel momento che Ventus si chiese come si potesse sentire nell’aver eliminato un nemico con il suo stesso volto e la sua stessa voce. Si trovò a sentirsi grato che Roxas fosse dalla loro parte… Sora sembrava quasi… pentito.
«Avresti potuto essere dalla nostra parte,» disse a Vanitas. «… invece di stare con l’oscurità.»
Vanitas scosse la testa ed emise una risata priva di gioia.
«Io sono oscurità.» Stava quasi fissando il punto in cui Ephemer era svanito. «E sono dalla vostra parte. Sono l’ombra che proiettate. Non potrei starvi più vicino di così.»
«Dovremmo avere libertà di scelta.» Ventus fece due passi verso di lui. «Non solo luce, non solo oscurità… decidiamo noi chi siamo.»
Vanitas sarebbe tornato indietro nel tempo e avrebbe dimenticato… ma Ventus era la prova vivente che l’oblio non era la permanenza di cui parlavano. Si era ricordato di Ephemer, no? Il suo cuore lo ricordava!
«Ventus, ho deciso io chi sono.»
Dal punto in cui Vanitas si reggeva in piedi a fatica si stava alzando una nebbia scura. Sora prese a guardarla, quasi preoccupato.
Prima che Ventus o Sora potessero dire altro, Vanitas scomparve.
«Ventus, andava fatto. Non pensarci troppo.» La voce di Ephemer lo distrasse. «Ricorda perché sei qui!»
Giusto! Terra.
Poco lontano da loro, Aqua sembrava più che capace di tenere testa al loro avversario, ma era visibilmente stanca. Entrambi lo erano.
Ventus incrociò lo sguardo con Sora. Non c’era bisogno che si parlassero per ricordare quel poco che, stanchi com’erano, avrebbero potuto fare.
La differenza.
Ricordava ancora di come Terra aveva reagito a quella vecchia ninna-nanna. Se Ephemer era vicino, sicuramente anche Shiro lo era – probabilmente invisibile come il suo amico di una vita prima. Ora che Terra era stanco, forse c’era una possibilità… e la presenza della sua armatura, dell’ultimo pezzo mancante, forse avrebbe potuto portare i risultati che a Corona non c’erano stati.
«Terra, ricordi Radiant Garden?» Ventus si fermò davanti ad Aqua e dismise il Keyblade. «Mi avevi detto che sapevi che ci sarei stato, se tu avessi avuto bisogno di me. Beh, eccomi
«Ven…» Aqua obiettò, e Ventus ci avrebbe scommesso la faccia che stava per dire che non avrebbe funzionato, ma non potevano continuare a combattere, in un modo o nell’altro qualcuno si sarebbe fatto male…
Terra – il mostro che lo aveva preso – fece due passi verso di lui, e gli puntò il Keyblade alla gola.
«Ecco che torna il paladino delle cause perse.»
Ventus scosse la testa.
«Nessuna causa è pers…» stava dicendo nel suo solito tono di sfida, ma quello che accadde fu quasi troppo veloce perché se ne accorgesse.
Il Keyblade senza nome saettò all’indietro e poi di nuovo in avanti, Ventus si abbassò, ma sentì qualcosa di sottile colpirlo di striscio e poi dolore, e la metà destra del suo campo visivo si coprì di rosso.
Si rese conto di avere la faccia bagnata ma con uno sforzo di volontà non interruppe il movimento, e le sue mani trovarono il suolo, uno dei suoi piedi si alzò in aria e la sua scarpa entrò in contatto con pelle, ossa e muscoli.
Voci urlavano il suo nome, abbassò il piede e ritrovò l’equilibrio. Calmo. La faccia gli faceva un male atroce, ma a parte quello, riusciva a stare in piedi, a vedere dall’occhio sinistro, a respirare normalmente anche se sentiva il cuore battergli nelle orecchie.
Davanti a lui, la mano destra di Terra si era visibilmente arrossata, un’impronta nera di polvere sul dorso che corrispondeva alla suola delle scarpe di Ventus.
Gli occhi del suo amico erano fissi sulla sua faccia.
Ventus era sempre stato il più veloce tra i due. E adesso Terra non sembrava più volersi muovere.
«Non c’è bisogno che tu soffra ancora, Papà.»
Ventus girò la testa. Shiro si era resa visibile – di Ephemer nessuna traccia, ma probabilmente era al suo solito posto, a suggerirle le battute – ed era alla sua sinistra, fissava Terra negli occhi, il Keyblade stretto in entrambe le mani in posizione di guardia che si muoveva su e giù, tradendo i suoi tremiti.
«Non è questo che sei. Sei una brava persona, Papà.»
Mentre Shiro avanzava, qualcuno lanciò un Energira su Ventus, e la faccia smise di fargli male, anche se il suo occhio destro sembrava ancora oscurato. A giudicare dai rumori dietro di lui, Aqua stava per scattare… non avrebbe permesso che qualcun altro finisse ferito…
«Papà…» Il volto di Shiro si contorse in una smorfia, aveva visibilmente paura, ma Terra si stava portando la mano sana alla testa. «Papà, sei il mio eroe.»
Fu allora che Xehanort fece per attaccare di nuovo. Ma il mostro nero, la sottospecie di guardiano che aveva eseguito i suoi ordini fino ad allora, si parò davanti a Shiro a braccia aperte, e fermò l’uomo, schiacciandogli le braccia contro al corpo.
«Non… li… toccherai…»
Un momento, quella voce!
«Non… toccherai… più… la mia famiglia!»
Era la voce di Terra!
Di tutte le persone, Sora sembrava aver pensato in fretta a cosa fare. Era l’unico in quello spiazzo con il Potere del Risveglio, e spinse Ventus di lato, puntò Catena Regale contro Xehanort e il Guardiano, e un raggio dorato li colpì entrambi.
Un pennacchio di fumo nero si dissipò nel cielo, come era successo con Vanitas, e quando la luce si diradò, c’era una sola figura riversa al suolo.
Una figura con i capelli castani.
Ventus fece per guardare Sora… chiedergli se era finita… invece fu Aqua ad arrivare per prima a lui, e il ragazzo non protestò quando gli venne strofinato in faccia quello che sembrava un panno bagnato. Soprattutto perché anche il mondo alla sua destra sembrava tornare a fuoco.
«Ti fa ancora male?» Aqua gli fece alzare la testa, guardandolo negli occhi.
«Sto bene.» Ventus si strinse nelle spalle. Davanti a loro, Shiro li fissava, impaziente di andare, tremante. «Ho ancora una faccia?» Il ragazzo cercò di sdrammatizzare.
«Diciamo che hai tre sopracciglia adesso.» Sora, che ancora guardava Terra immobile, si passò un dito in orizzontale sul sopracciglio destro.
 



«Ti sei avvicinato disarmato a un nemico. Ven… hai idea di quanto mi hai fatta spaventare?»
Non si mosse. La botta che aveva preso in pieno sembrava quasi averlo reso più pesante, ma non sentiva dolore per il colpo di Sora…
… però sentiva la mano destra che pulsava e doleva. Quando lo avevano colpito alla mano?
«E tu, Shiro, dove credi di scappare? Ti avevo lasciata a scuola. Pensavo mi avresti dato retta…»
Aqua. Ven. Shiro!
Terra aprì gli occhi. Erano ancora lì… dov’era Xehanort… lo avevano messo in fuga? E allora perché lui era ancora lì?
Aqua era china su Ventus, sporco di sangue e con un taglio orizzontale al sopracciglio che era ancora rosso, probabilmente curato di recente. E lì vicino… quella bambina… era Shiro?
«Ven…? Aqua…?» Terra non sapeva da dove cominciare. Se non che avrebbe dovuto attirare la loro attenzione.
«TERRA!» Ventus spostò la mano di Aqua dalla sua faccia e corse da lui, buttandogli fuori tutta l’aria dai polmoni con un abbraccio.
«Questa me la stavo per scordare…» Terra ammise mentre Ventus lo lasciava andare. La mano destra gli faceva ancora un male cane – sperava non ci fosse nulla di rotto, anche se Aqua sarebbe stata più che capace di sistemare ferite del genere – quindi si dovette limitare alla sinistra per arruffare i capelli al suo compagno più piccolo.
Aqua si fermò davanti a lui e lo guardò negli occhi.
«Terra… sei davvero tu?»
Sembrava quasi non voler credere a quello che vedeva – e dopo tutto il tempo che doveva essere passato, Terra poteva dire di capirla.
«Non hai mai smesso di illuminare la via del mio ritorno.»
Vicino a loro, Ventus sobbalzò come se gli si fosse accesa una lampadina. Nonostante la situazione ancora strana, nonostante fosse malconcio e visibilmente stanco (anche Terra poteva dire di esserlo, e guardando Aqua lo era di certo anche lei) stava sorridendo da un orecchio all’altro.
«A proposito! Qualche giorno fa, al Regno di Corona… ho capito cosa volevi dire quella notte. Era questo! Illuminare la strada!»
Terra non poté evitare di sorridere anche lui.
«Mi stai dicendo che il mio fratellino è diventato un uomo?»
Si guardò ancora una volta intorno. La bambina – Shiro? Quanti anni aveva adesso? – era ancora ferma dov’era, accanto a Sora. Che invece si sentiva osservato, perché lanciò un’occhiata a Shiro e le diede una leggera spinta in avanti.
«Vai
Lei stava tremando. Terra la guardò e le sorrise.
«Ciao, gattina.»
Fece un passo verso di lei. Poi fu Shiro a colmare il resto della distanza, buttandoglisi al collo e scoppiando in lacrime.
«Shh. Shh. Va tutto bene, tesoro. Sono qui. Sono io.»
Dai pochi passi di distanza che ancora manteneva, Sora si sentiva visibilmente fuori posto, perché prese ad armeggiare con un dispositivo che si era tolto dalla tasca e diede un’occhiata ai corridoi del labirinto.
«Vedo di raggiungere Riku che è andato avanti. Ho dato la vostra posizione a Luna, se aveste bisogno di cure o… di tornare a casa. Shiro sa dove sono gli altri.»
Prese il corridoio e sparì dietro un angolo.
Fu a quel punto che Aqua lanciò un’occhiata a Shiro e Ventus.
«Fatemi indovinare, voi due eravate d’accordo per tutto questo tempo.»
Ventus si incrociò le braccia dietro la testa e rise.
«Sì… e no.» Ammise. «Era tutto un piano di Ephemer. Più o meno.»
Ephemer?
Perché Terra aveva l’impressione di aver già sentito quel nome?

 

Ephemer tipo: "Bonjour!" - meme dell'orso.
(Sì, il discorso di Roxas - lo ha esplicitamente tirato un po' fuori da Le Due Torri, anche se il senso è leggermente invertito. E sì, ha paragonato Xemnas a Gollum. Gli sta bene, direi.)

Un solo capitolo alla fine di Guardians - lettori, reggetevi forte!

 
 
 

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Capitolo 13
*** Andiamo Insieme ***


ATTENZIONE – SPOILER per il FINALE DI UNION X.
 
Lettore avvisato, mezzo salvato.

 
 
 
- 13 Anni Prima -
 
Se c’era una cosa di cui Chirithy non si sarebbe mai finito di stupire, era di come potesse apparire solitario il Mondo Finale nonostante fosse sempre affollato.
I cuori che arrivavano lì avevano tutti le loro storie, il loro bisogno di venire ascoltati prima di lasciarsi andare… e molti di loro non lo facevano nemmeno.
Ephemer era uno di loro.
 
Il Maestro Ephemer.
 
Chirithy non sapeva cosa fosse successo all’amico del suo amico prima che lo raggiungesse là – era già tanto se riusciva a percepire Ventus, e soltanto quattro o cinque anni prima era riuscito di nuovo a sentire il cuore del suo amico attraverso i mondi.
Quello di cui era certo, era che Ephemer – non riusciva a chiamarlo Maestro, il suo cuore lo ricordava ancora come l’adolescente riccioluto che aveva cercato di aiutare Ventus a crescere – sentiva di aver fallito in qualcosa, in qualche modo, e non accennava a voler lasciare il Mondo Finale, ancora no, dopo anni, perché sapeva che qualcosa di tremendo stava per accadere.
E Ventus era ancora lì. Aveva compiuto quindici anni, era più forte di quanto Chirithy lo avesse mai visto, ma era ancora incredibilmente simile al bambino sulle cui ginocchia Chirithy si era addormentato più volte.
«Posso farti tornare.» Chirithy si avvicinò a Ephemer e agitò una zampetta nella sua direzione. «Basta piangerti addosso! C’è un cuore accessibile nello stesso castello dove Ventus vive. Preferisci restare qui ad aspettare il disastro, o vuoi fare qualcosa di concreto?»
Farmi… tornare…? La stella continuava nel suo giro ritmico, ma la voce nella testa di Chirithy aveva un tono diverso. Per fare cosa?
«La differenza!» Chirithy si appoggiò le zampette sui fianchi. «Ava non ti ha insegnato nulla? A volte, la differenza è tutto quello che un eroe può fare, anche se è un semplice battito di manine.»
Scosse la testa.
«Non posso tornare da Ventus. Non adesso che è felice. I suoi ricordi lo distruggerebbero.» Guardò il mare sotto i suoi piedi. «Ma se l’oscurità può controllare le persone, chi può dirti che non può farlo anche qualcuno che cammina nella luce?»
E privare qualcuno della propria vita? Ephemer ribatté. Chirithy, ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo di fare?
«Non ti sto mica chiedendo di prendere i comandi!» Il Dream Eater scosse la testa e si lasciò sedere. «Prendi il sedile passeggero. Osserva. Parla qualche volta, aiuta. Sarebbe sempre meglio di aspettare il cattivo finale senza fare nulla.»
Toccò la stella con una zampetta, e la luce prese la forma di una figura umana traslucente – un ragazzo con i capelli in disordine, una giacca e un paio di calzoni alle caviglie, seduto sul mare solido, disorientato e sorpreso.
«Niente di quello che è successo è realmente colpa tua. Hai fatto del tuo meglio… e Ventus è ancora là fuori. Possiamo aiutarlo… se solo tu aiuti me.»
«Come hai…?» Ephemer si fissò le mani.
«Così è come ti ricordo.» Chirithy lo guardò negli occhi, lieto di poterlo finalmente fare.
«Immagino di non avere molta scelta, dico bene?» Ephemer fece un sorriso stiracchiato. Nonostante la sua aria rassegnata, c’era quasi speranza nel suo sguardo.
«Abbraccia forte Ven anche per me.»
 
 
«… volevo un gatto nero, nero, nero, siccome sei un bugiardo con te non gioco più…»
Il pavimento di vetro sotto i piedi di Ephemer si stava riempiendo di luoghi, di persone, di ricordi. Intravedeva un castello con corridoi luminosi, un prato sotto il più azzurro e terso dei cieli, un giovane uomo e una giovane donna che dovevano essere i genitori della bambina. Un uomo avanti con gli anni… e lì, in un angolo del vetro… Ventus. Più grande, più sicuro, ma inequivocabilmente lui.
Ebbene sì, Chirithy, mi hai fatto finire nel cuore di una BAMBINA.”
Ovviamente quel pasticcione di un Dream Eater non avrebbe potuto sentirlo. Quanto tempo sarebbe dovuto passare perché Shiro imparasse a parlare… e quanto ancora perché capisse di avere una voce nella testa, e se sarebbe stata creduta se ne avesse iniziato a parlare…
… ecco, mi sa che adesso vuole anche il latte. O forse si è scocciata pure lei di questa pessima scusa per una ninna nanna…

 

 
Guardians – Capitolo 13
Andiamo Insieme
 
«Ephemer era il nome del primo Maestro del Keyblade dopo la Guerra.» Aqua spiegò. «Probabilmente, chiunque fosse il nostro amico, mente. Stiamo parlando di un ragazzino, non di un Maestro… ed è raro, quasi impossibile, che a un Custode del Keyblade venga dato il nome di un Maestro importante.»
«Beh, potrebbe anche stare usando uno pseudonimo. Il Maestro Eraqus non aveva anche detto, quando eravamo piccoli, che alcuni Custodi del Keyblade non usavano il loro nome di nascita ma si nascondevano dietro nomi di battaglia?» Terra ipotizzò mentre camminavano lungo il corridoio. Stava tenendo la mano destra recentemente curata premuta contro il muro mentre camminava.
Ventus ricordava ancora quando Terra gli aveva insegnato quel trucco. “Così non ti perderai mai.”
«Xigbar gli aveva dato del genietto quando gli ha parlato, nei Mondi Dormienti. Credo stesse comunque parlando di un ragazzino.» Shiro azzardò, dopo alcuni istanti di silenzio. «Ma in effetti… Xigbar non ha fatto il suo nome. Ha detto di chiamarsi Ephemer solo a Sora e Riku.»
«E me. Ero là anche io.» Ventus concluse.
Dopo che Ephemer aveva difeso Sora da Vanitas e incitato Ventus a continuare a combattere, non aveva più dato segni di vita.
«Non ha senso.» Aqua mormorò. «Se stiamo parlando di un ragazzino, come avrebbe potuto muovere quei Keyblade?»
«Lo ha fatto anche Vanitas, a onor del vero.» Ventus intervenne di nuovo.
«Ascoltatemi un momento.» Terra staccò la mano dal muro, si girò e si fermò davanti a loro. «Lo so che tutto questo non ha senso. Ne capisco meno io di voi che mi avete spiegato tutto negli ultimi cinque minuti. Quello che so è che al momento Sora e Riku sono andati avanti, verso il Maestro Xehanort, e sapendo quello che ha fatto a noi, non mi sento sicuro a restare qui o tornare a casa.»
Lanciò un’occhiata a Shiro, che mentre lui parlava gli aveva preso la mano sinistra.
«Anche se tu forse avresti dovuto.»
Per certi versi, sembrava quasi più maturo. Ventus gli avrebbe chiesto che cosa gli fosse successo, ma una domanda simile era quasi inutile.
«Non è finita.» Aqua asserì, mentre Terra riprese a tenere la destra. «Se è vero quello che ha detto Shiro e gli altri stanno tutti bene, vuol dire che Xehanort ha interesse a farci andare avanti.»
Oppure c’era lo zampino di Ephemer. Oppure entrambe le cose, e se Xehanort aveva una trappola pronta, forse Ephemer era pronto a riceverlo.
Ventus cercò di riportare alla mente la conversazione che lui e Roxas avevano avuto con Ephemer il giorno prima.
Aveva detto che Xigbar sapeva di lui, ma Xigbar secondo Sora era fuori dai giochi.
Aveva previsto la trappola di Terra prima della Marea Oscura, collaborato con qualcuno di nome Chirithy per salvarli dalla distruzione (perché il nome era familiare?), orchestrato la fuga di Shiro e Roxas dalla scuola, non aspettandosi soltanto che il capoclasse anziché ostacolarli li avrebbe aiutati.
«Eccoli! Sono laggiù!»
Era la voce di Kairi, e dopo un po’ fu Kairi stessa a girare l’angolo, il Keyblade stretto in una mano e l’aria guardinga. Paperino e Pippo, che erano rimasti indietro con Yen Sid prima del labirinto, la seguirono a ruota, e dopo di loro, ancora visibilmente stanchi, Lea e Roxas, e una ragazza con i capelli neri che non poteva essere che Xion.
«Ven, oltre a un amico avevi anche un fratello perduto?» Terra guardò Roxas, stupito, e poi fissò Ventus.
«Storia lunga…» Fu Shiro a rispondere. «Papà, loro sono Roxas e Xion, sono i miei migliori amici. E lui è Lea, si è preso cura di me per tutto questo tempo. Kairi è sua sorella.»
Sembravano quasi tutti un po’ senza parole – Lea era quasi spaventato nel vedere Terra – ma Roxas andò quasi subito da Ventus e gli chiese come stavano andando le cose e se sapeva cosa avrebbero dovuto fare a quel punto.
«Non lo so. Ephemer sembra sparito, non parla più nemmeno con Shiro.» Ventus rispose, stringendosi nelle spalle.
«Va bene, se siamo tutti direi di fare il punto della situazione.» Aqua lanciò un’occhiata verso il corridoio alla loro sinistra, in fondo al quale si vedeva finalmente una via d’accesso alla Torre.
Sora, Riku e Re Topolino erano ai piedi della parete.
«Ascoltami, Riku, se non andiamo là subito, Xehanort avrà tempo di combinarne un’altra…» Sora stava dicendo. Evidentemente sembrava più che deciso ad arrampicarsi, ma Riku lo stava letteralmente tenendo per il cappuccio. «… l’ho visto, aveva rapito Kairi e aveva intenzione di…»
«Sora, ma sei il solito scemo?» Kairi corse verso i due. Nel sentire la sua voce, Sora parve quasi calmarsi.
«Siamo tutti qui e stiamo tutti bene.» Aqua troncò la discussione. «Immaginate cosa potrebbe esserci lassù?»
«Xehanort. Assieme alle sue versioni non ancora sconfitte, quindi Ansem, Xemnas e la sua versione giovane.» Sora contò sulle dita. «Ma Riku è convinto che sia una trappola.»
«Non sono convinto, è una trappola.» Riku scosse la testa.
«Riku ha ragione, è una trappola.» Terra disse ad alta voce quello che Ventus e sicuramente anche Aqua pensavano. L’attenzione di Riku cadde su chi aveva appena parlato, e il ragazzo si fece pallido come un cencio. Poi Terra si guardò nuovamente attorno.
«Aqua, sono… siamo tutti, vero? Non c’è nessuno che è stato allontanato o sconfitto?»
«Tutti presenti, Sup… ehm, signore!» fu Lea a rispondere. «Ammesso e non concesso che dobbiamo contare anche Ephemer.»
«Pensi possa accadere qualcosa?» Aqua chiese a Terra. Ventus poteva immaginare che la domanda implicita fosse se sapeva qualcosa e fosse riuscito a captare i pensieri di Xehanort.
«Troppa grazia.» Xion intervenne, scuotendo la testa. «Non ci è stato praticamente detto nulla, soltanto un paio di ordini.»
«Comunque non c’è molto da fare riguardo alla trappola.» La voce di Ephemer ruppe il silenzio dopo Xion, e la sagoma traslucente del ragazzo comparve davanti a loro. «Non c’è molto da fare, bisogna farla scattare.»
Tutti lo guardarono, ma nessuno parve avere il coraggio di parlare.
«L’unico modo di fermare Xehanort una volta per tutte è… eliminarlo.» Ephemer si picchiò la mano aperta con un pugno in un gesto che lasciava poco spazio ad interpretazioni. «Ma se uno qualsiasi di noi lo attacca, specialmente se intanto fossero stati sconfitti tutti i suoi alter ego, il X-blade comparirà nelle mani del Maestro più potente tra i coinvolti. Che in questo caso sarebbe lui.»
Ephemer alzò un sopracciglio.
«Non a caso l’ultima volta che ci ha provato si è disfatto del suo unico pari. Ma non parliamo del passato, adesso. Non è facile capire quello che sta succedendo, quindi ho bisogno di spiegarlo.»
Prese a camminare avanti e indietro.
«Questo posto è l’ultimo lascito del mondo che fu. Diciamo che è… un posto sacro? Maledetto? Come lo vogliamo chiamare. Qui le battaglie hanno conseguenze. Uno scontro preciso tra luce e oscurità, con un esito ben chiaro a favore di una o dell’altra… e il X-blade percepisce lo squilibrio e si presenta da sé al Maestro più potente perché usi Kingdom Hearts per riportare le cose esattamente com’erano. Strappa la pagina e ricomincia la storia. Abbiamo quella finestra di tempo per fermarlo per sempre.»
«Non capisco. Dovrebbe essere sette contro tredici, non potrebbe essere evitata se adesso siamo di più? E Terra e Xion non sono stati realmente sconfitti…» Sora esordì.
«Magari fosse così facile cambiare le cose.» Aqua scosse la testa. Ventus non aveva bisogno di chiederle a cosa si riferisse – Vanitas.
«Beh, forse un modo c’è.» Riku intervenne. «Xehanort si è diviso in tredici, andandosi a spargere nel tempo e nelle persone. E Sora, non dirmi che ti sei scordato il vecchio adagio di tua madre.»
«Quale? Chi la fa l’aspetti? Perché lo vedo un po’ troppo…»
«No, non quello.» Riku gli diede una pacca sulla spalla. «Spargiti troppo in là e finirai per strapparti
«Come il Signore Oscuro con l’Anello, che è senza potere senza l’anello?» Shiro ipotizzò. «Quindi Xehanort deve essersi creato un punto debole
«Esatto, e quel punto debole è che rendendosi atemporale e impersonale ha fatto di sé stesso un portale. Come quello che utilizzammo per liberarti dagli incubi, Shiro.» Riku concluse. «Io e Sora abbiamo ancora il Potere del Risveglio. Possiamo letteralmente intrappolarlo nel suo stesso cuore quando ce ne sarà uno solo, come ha cercato di fare con te.»
«Questa…» Ephemer guardò Riku, scosse la testa e rise. «Dove ti è venuta un’idea del genere?»
«Se Xehanort è stato quasi capace di farlo con Sora, che ha trasceso il tempo una volta e le persone due, e ci è riuscito con Shiro semplicemente con la trappola del computer…» Riku cercò di spiegare. «Sarà anche il Maestro più potente nelle vicinanze, ma è molto più vulnerabile di Sora e Shiro messi assieme!»
«E noi siamo superiori di numero.» Ephemer concluse la frase. «Allora, ci sono prima quei tre e poi il vecchio maestro.»
«Cerchiamo di equilibrarci per quanto possiamo, e qualcuno deve tenere Shiro d’occhio.» Aqua disse, lanciando un’occhiata a Terra per l’ultima frase. «Chi di voi ha avuto a che fare con questo Ansem
Sora e Riku alzarono immediatamente la mano.
«Va bene, voi vi occupate di lui. Topolino, non mi sentirei in pace a lasciarli fare da soli, quindi aiutali.»
«Io prendo Xemnas.» Xion, che era rimasta in silenzio fino a quel momento, prese la parola. «Ho un conto in sospeso con lui.»
«Potrei dire la stessa cosa.» Inaspettatamente, fu anche Terra a parlare. «Al solo pensiero di quello che ha cercato di fare… di quello che avrebbe potuto fare…»
«Immagino che toccherà a me comandare la formazione contro Xehanort.» Aqua tirò un sospiro. «Qualcuno dovrebbe aiutare Xion e Terra. Per come siamo adesso, non siamo ancora in equilibrio.»
«Direi che la risposta sia ovvia.» Roxas alzò la mano. Lea gli lanciò un’occhiata, quasi offeso, ma poi guardò immediatamente dall’altra parte.
«… Mamma?» Shiro intervenne prima che Aqua potesse chiedere se fossero tutti pronti. «Io… che devo fare? Resto qui indietro?»
Fu Terra ad intervenire prima che Aqua lo facesse.
«Senti, gattina, che ne dici di dare una mano al tuo papà?»
Non ci voleva un genio a indovinare quale fosse l’intenzione di Terra – nessuno voleva che Shiro rischiasse la pelle, ma sicuramente Terra voleva tenersela vicino.
«Mi raccomando, voi due.» Aqua li fissò. «Allora, se siamo tutti pronti, io direi di andare. Siamo pronti?»
 
 
«… e Xemnas fu l’ultimo a cadere.» Sora raccontò, togliendo un bastoncino dalla cima del castello di sabbia che Finn e River avevano costruito durante la mattinata.
«Avevate vinto?» River si azzardò a chiedere. Non era stato facile seguire tutta la storia – aveva solo capito che alcuni dei cattivi poi erano passati dalla parte dei buoni, ma i conti non gli tornavano – Vanitas era sparito? Ma Vanitas era… e pure Isa, e…
«Sora, mi sa che River ha perso il filo di nuovo.» Finn si strinse nelle spalle. Aveva nove anni, due più di River, e a volte già pensava come i grandi. Soltanto un’ora prima, aveva giurato di aver visto un fantasma in quello che Sora chiamava il posto segreto, ma non era stato in grado di provarlo quando entrambi erano stati quasi portati via di peso.
«Oh? Potevi dirlo, Riv.» Sora sembrava quasi triste alla notizia. Si concentrò sul castello di sabbia, dove aveva disposto alcune foglie verdi e un solo ramo secco, e prese a indicare il ramo.
«I Cercatori di Oscurità erano stati quasi tutti sconfitti. Io, Riku e il Re sconfiggemmo l’Heartless, che sparì nel buio, augurandoci di non smettere mai di cercare le risposte. Aqua, Ventus, Lea e Kairi ebbero la meglio sullo Xehanort dei tempi passati, che li lasciò col monito che altri sarebbero arrivati. E alla fine, Terra, Shiro, Roxas e Xion fecero svanire Xemnas nel nulla, e soltanto allora Xemnas si rese conto di quanto solo si fosse sempre sentito.»
River fece sì con la testa.
«Papà dice fhempre che fhtare fholi è la cofha più brutta di tutte. Come ha fatto a non renderfhi conto?»
«River, sai quante cose ancora non so io che ho ventitré anni?» Sora fece un sorrisetto imbarazzato. «E in tutta onestà, non credo che nessuno di noi abbia mai capito Xemnas… o Xehanort.»
Fissò di nuovo l’ultimo ramo secco sul castello di sabbia.
«Eravamo là, in cima alla torre, noi undici davanti a lui.» Indicò le foglie che aveva appoggiato davanti al ramo. «Sapevo che se non avessimo fatto qualcosa, sarebbe stato lui a farlo. E avevo delle visioni, come Zack o Luna, di Xehanort che faceva del male a Kairi. Volevo impedire che accadesse, ma non sapevo che era un tempo che non sarebbe mai stato… e che erano visioni di un tempo in cui Shiro non era mai esistita, ed Ephemer non era rimasto con noi.»
River ricordava quella parte della storia – se non altro perché a volte era argomento delle conversazioni dei grandi.
Xehanort aveva preso Shiro e l’aveva fatta sparire.
 
 
Era successo tutto più in fretta di quanto potessero reagire.
Con la coda dell’occhio, Ventus aveva visto Xemnas cadere, e poi per una frazione di secondo, tutto era diventato buio.
Lea era stato il primo a reagire, protestando con un: «Chi ha spento le luci?», poi Roxas girò la testa a scatti e gridò che Shiro era sparita.
«Al centro! Al centro!» Xion sembrava aver capito cosa stesse accadendo, e fece cenno agli altri di correre verso il centro del pilastro. «State uniti!»
Non aveva finito di parlare che Sora prese Kairi e Riku per le mani, visibilmente pallido come un cencio. Gli altri fecero come Xion diceva, ma Terra aveva lo sguardo fisso sul pilastro più in alto.
«No…»
Il suo volto era una maschera di cera, e la sua voce un sussurro.
Tredici figure nere, con delle maschere metalliche che davano quasi loro l’aspetto di altrettante, identiche bestie, li circondavano fluttuando nell’aria.
«Ed ecco la trappola…»
Era la voce di Ephemer che ringhiava. Era ancora lì? Allora voleva dire che Shiro stava ancora bene… ed eccola, una delle tredici figure nere la teneva tra le sue grinfie, la stava portando verso il pilastro dov’era Xehanort…
«Ed eccovi qua, proprio dove avevo previsto.» Il vecchio stava ghignando. «Oh, ma noto ci sei anche tu, Maestro
Il suo sguardo si puntò sulla figura traslucida di Ephemer, in piedi davanti a tutti, come in un vano tentativo di proteggerli.
Cosa? Aveva appena dato del Maestro a un ragazzino?
Non aveva senso. Che stava succedendo?
«Lascia andare la ragazza, lascia quel Keyblade e vattene a fare l’eremita per quel che ti resta.» Ephemer stava fulminando Xehanort con lo sguardo. «E forse avrai salva la vita.»
«Oh, ma senti un po’ chi parla.» Xehanort non fece una piega, continuando a puntare il suo Keyblade nero verso Shiro. Dismise le tredici figure, ma Shiro era ancora immobile a mezz’aria. «Mi chiedo che cosa succederà se la tua àncora sparisce. Hai già fallito una volta, Maestro Ephemer, primo leader dei Denti di Leone, e non contento di averlo fatto adesso vuoi impedire di nuovo che il mondo possa esistere libero dalle tenebre?»
Schioccò le dita, e Shiro fluttuò verso di lui.
«Pietà e amici sono soltanto parole vuote, e guarda dove ti hanno condotto. Dove vi hanno condotto. Nessuno di voi si muove perché ho qui la mocciosa. Oh, ma questa storia l’ho già sentita… quando è successo, illuminami, Ephemer.»
Ephemer fece due passi in avanti.
«Io devo dirti come è finita? Lo sai meglio di me. Arrenditi e lasciala andare
Xehanort non si mosse.
«Va bene. La lascio andare
Un momento prima, alzò il Keyblade nero che Ventus conosceva fin troppo bene.
Lo abbassò.
Shiro era sparita.
Prima che avesse il tempo persino di pensare a cosa aveva appena visto, qualcosa spinse Ventus di lato – Terra si era fatto strada, e aveva raggiunto Xehanort in due balzi.
Ventus aveva appena ripreso l’equilibrio e riportato Evocavento alla mano quando Terra attaccò, e l’aria del Cimitero fu di nuovo invasa dal clangore di Geoflagello contro l’arma nera in mano al maestro corrotto.
 
 
«Ma non era esattamente quello che Xehanort voleva?» Finn interruppe Sora.
«Finn, cosa faresti se qualcuno attaccasse tuo padre o tuo fratello?» Sora lo guardò negli occhi. «Anche se fosse soltanto per farti arrabbiare?»
«Beh, io…» Finn si portò una mano al mento. «Sora, che domande sono? E poi Isa è più forte di me.»
«Okay, okay, paragone sbagliato… Finn, River, se qualcuno decidesse di fare del male ad Altaïr e Aera, e lo facesse soltanto per farvi arrabbiare e voi lo sapeste, cerchereste comunque di difenderli?» Sora chiese di nuovo.
Non c’era molto da pensarci – Altaïr e Aera avevano cinque e sei anni, ed erano loro amici, se qualcuno avesse voluto far del male a loro due River avrebbe fatto quasi tutto – anche buttarsi in mare? – perché i suoi amici stessero bene.
«Li aiuto.» Rispose come se fosse la cosa più logica del mondo.
«Beh, è la cosa giusta.» Finn si strinse nelle spalle. «Loro non hanno mica il Keyblade.»
«Xehanort si aspettava una nostra reazione perché sapeva che avremmo fatto la cosa giusta.» Sora spiegò, togliendo il ramo e le foglie dal castello di sabbia con una mano e livellandolo al suolo con l’altra. «Ma l’intervento di Terra fu il tredicesimo scontro – l’ultimo che mancava perché il X-blade venisse forgiato. Eravamo spaventati, e arrabbiati, e sapevamo di dover agire in fretta… sapevamo quello che dovevamo fare, e lo facemmo. Sigillammo Xehanort nel suo stesso cuore, e mi offrii volontario con Paperino e Pippo per essere il primo ad andare là e dargli il colpo di grazia.»
«Ma Ffhiro?» River si decise a chiedere.
«Beh… Ephemer non era sparito, Riv.»
 
 
Il ragazzo – il Maestro – diede un’ultima occhiata al cielo.
«Prima che tu vada, Sora.» Ephemer fece gesto di prenderlo per la manica.
A Sora faceva un po’ strano pensare che stava parlando con il fondatore. Che il fondatore era stato a osservarlo per tutto quel tempo, nascondendosi dietro Shiro come Roxas, Xion e Ventus avevano fatto con lui.
«… Maestro?»
«Ephemer e basta. Così mi fai sentire vecchio.» Si strinse nelle spalle. «Volevo solo dire che… mi dispiace. Sono stato io a… creare Xehanort.»
«Xehanort è una persona, Ephemer. Non puoi darti la colpa delle sue scelte.» Ventus intervenne nel discorso.
«Dici così perché non puoi ricordare cosa accadde, Ven.» Ephemer scosse la testa. «Lo conobbi… prima che fosse Xehanort. Era mio amico. Il mio migliore amico. Lo portai via in fin di vita dal campo di battaglia, lo accomunai ai Denti di Leone nonostante non fosse stato scelto dai Veggenti. E quando le Oscurità presero il possesso del suo corpo, non ebbi il cuore di ucciderlo e mi limitai ad esiliarlo nel regno dei dati, sperando che qualsiasi fosse stata la sua fine, non sarebbe stata per mano mia.»
«Era la cosa giusta.» Kairi gli disse.
«Lo era davvero?» Ephemer abbassò lo sguardo. «Esiste un libro in cui era scritto il futuro fino a questa giornata. Immaginate la mia sorpresa… quando lessi che il mio amico sarebbe rinato, e sarebbe rinato Xehanort perché io non avevo avuto il cuore di ucciderlo. Ma allora ero già un uomo adulto, e Auropoli era diventata Scala ad Caelum. E tutto quello che posso dire adesso è… mi dispiace. Mi dispiace di avere messo su di voi questo peso.»
Rimase in silenzio, guardando Sora negli occhi. Sora avrebbe voluto dire qualcosa – forse rassicurarlo, come Kairi aveva fatto. Ed era pronto a scommettere che chiunque su quel pinnacolo, se si fosse trovato nella stessa situazione di Ephemer, avrebbe fatto la stessa cosa…
insomma, Xehanort aveva o non aveva minacciato la sua sparizione se avesse esagerato nell’utilizzo del Potere del Risveglio per salvare i cuori dal Lich?
«Va bene, avrai anche fatto la frittata, ma sei anche tornato per rimediare, o no?» Riku intervenne. «Avresti potuto fare… beh, qualsiasi cosa dovrebbe fare un fantasma normalmente. E se non fosse stato per quell’amichetto che hai mandato a salvare Sora…»
«Chirithy.» Sora precisò.
«O quel trucchetto con le chiavi. O come hai protetto Sora da Vanitas.» Ventus prese a contare sulle dita. «E vogliamo parlare di tutti gli anni che hai passato a fare da coscienza a Shiro? Ephemer… perché dovremmo avercela con te? È grazie a te se siamo ancora qui.»
Ephemer alzò lo sguardo e sorrise a Ventus.
«Allora sei davvero cresciuto, Ven.»
Si fece nuovamente serio.
«Sora, cerca di fare in fretta. Sento la presenza di Shiro, ma… come se stesse dormendo. Tutti gli altri, è l’ora di chiudere Kingdom Hearts. Poi, uno per uno, seguiremo Sora, man mano che la situazione torna sotto controllo. Riku e Kairi dopo Sora…»
 
 
«… poi Topolino, Lea, Roxas e Xion, e infine Terra, Aqua e Ventus, che essendo i veterani avrebbero potuto fare in modo che Kingdom Hearts si chiudesse definitivamente. Ephemer era con loro.» Sora continuò a raccontare. «Ora, quando qualcuno entra nel cuore di una persona, quello che vede cambia a seconda della persona. Se volessi vedere il tuo cuore, Finn, vedrei Radiant Garden. Se fosse quello di River o anche di Shiro, la Terra di Partenza. Nel mio caso sarebbe questa stessa spiaggia. D’altra parte sapete quel che si dice, no? Casa è dove si trova il cuore.»
«Che cosa c’era in quello di Xehanort? Il Reame Oscuro?» Finn commentò sarcasticamente.
Sora scosse la testa.
«Scala ad Caelum, la città dei Maestri del Keyblade. La città che Ephemer aveva fondato, e dove Xehanort aveva imparato ad usare il Keyblade e aveva trovato degli amici…»
Fece un sorrisetto, e seppellì il ramo secco che aveva usato per impersonare Xehanort sotto la sabbia.
«… e dove adesso, si era nascosto. Dove nessuno di noi avrebbe potuto pensare di cercarlo.»
 
 
Kingdom Hearts si stava chiudendo dall’altra parte, ma Aqua era più che convinta che non fosse finita.
Anche intrappolato, Xehanort era pericoloso – ci avrebbe forse messo più tempo a tirare le fila dei suoi piani, ma lo avrebbe fatto, esattamente come aveva fatto negli undici anni che erano passati per tutti tranne che per lei.
E Shiro era ancora in mano sua.
«Stiamo setacciando la città. Palmo a palmo. Ma Xehanort sembra essere sparito.» Sora spiegò. «Potrebbe essere scappato?»
«Ne dubito, servirebbe un aiuto dall’esterno per quello che gli abbiamo fatto.» Riku abbozzò un sogghigno. «No, è qui. Non ha né un Sora né un Ephemer a salvargli il sedere. Bisogna solo vedere dove
Fu allora che Terra intervenne.
«Forse non sapevate dove cercare.»
Chiuse gli occhi un momento, come se stesse ascoltando qualcuno. Poi li riaprì, e il suo sguardo si volse verso uno dei vicoli.
«Con me!» annunciò, alzando una mano come a farsi seguire, poi prese a correre.
Ad Aqua tornò subito in mente Shiro con Ephemer, o Sora con Ventus. Era come se avesse appena ascoltato qualcuno nella sua testa, ma… Xehanort era andato. O lo era veramente?
«Cosa c’è, qualcosa ti preoccupa?» Appena davanti a lei, Terra le lanciò un’occhiata, senza smettere di camminare. «Ti spiego tutto quando sarà finita. Adesso c’è poco tempo.»
E aveva davvero ragione. Ogni minuto che passava, c’era più probabilità che Xehanort finisse di leccarsi le ferite e contrattaccasse, ed erano attimi preziosi che non potevano arrischiarsi di perdere.
Terra condusse tutti fino alle mura di quello che sembrava l’edificio principale – una torre? Un castello? – fino a trovare la griglia di un tombino.
Con un tocco che sembrava quasi esperto, il giovane divelse la grata e si calò all’interno dell’apertura. Il primo a calarsi dopo di lui fu Riku, poi Kairi.
«Si direbbe quasi che qualcuno stia guidando lui, dico bene?» Ventus si lasciò scappare con Ephemer mentre la ragazza scendeva.
«Qualcuno che potrebbe uscire allo scoperto.» Ephemer commentò. «Onestamente, però, non saprei dire chi fosse. Questa era la città dei Custodi del Keyblade fino alla scorsa generazione… se c’è qualcuno che saprebbe come muoversi, è un Maestro anziano. E onestamente sapevo di questa fogna, porta all’interno del castello…»
Dopo Kairi, fu Sora a scendere. Sotto di loro, Aqua sentì Terra gridare istruzioni a Riku sulle direzioni da prendere.
«… beh, ce l’ho un’idea.» Ephemer concluse.
La strada che Terra aveva trovato aveva percorso un tratto delle fogne quando una figura nera incappucciata con una maschera metallica, quasi demoniaca all’apparenza, sbarrò loro la strada.
«Loro!» Sora digrignò i denti ed evocò immediatamente il Keyblade. «Di nuovo!»
Terra, che era in cima alla fila, fu il primo ad aggredire la figura in nero. Quello rispose con un Keyblade identico a quello che Aqua aveva visto tante volte nelle mani del Maestro Oscuro, ma i suoi movimenti sembravano quasi uno specchio di quelli di Terra.
«Mi chiedevo dove fosse finito.» Sora commentò. «Io, Paperino e Pippo ci siamo imbattuti negli altri, ma… era come se questo sapesse che saremmo passati di qua?»
«O forse era l’ultima difesa.» Terra distrusse l’ombra quasi senza fatica e indicò una porta. «Ci siamo. Questo passaggio porta ad una stanza nell’edificio principale. Una vecchia aula.»
 
 
«Era la stanza più normale che potessimo pensare di immaginare.» Sora raccontò, facendo ampi gesti con le mani come a cercare di descriverla. «Il pavimento era a lastre di marmo bianche e nere, e le mura erano bianche con enormi pilastri dorati. C’era una scrivania piena di libri, con sette sedie attorno, e una cattedra in un angolo, rialzata rispetto al resto della stanza. Dei ventilatori giravano sul soffitto, e la luce entrava da un’enorme finestra. Mi ricordava quasi la mia classe, a scuola, lasciata vuota durante l’intervallo. La lavagna era ancora coperta da scritte, i gessi sparsi in fondo come se un maestro si aspettasse di usarli di nuovo.»
Finn fece un sorrisetto sornione. «E Xehanort era lì.» Interruppe Sora.
«Ma che fai? Fhtava raccontando!» River protestò.
Sora strizzò gli occhi e scosse la testa, come se lo avessero appena distratto o infastidito. River aveva quasi immaginato la stanza bellissima, luminosa, di cui Sora aveva raccontato, ma la presenza del cattivo forse la rovinava di più nella sua immaginazione dell’interruzione di Finn.
Era come una macchia su un foglio bianco – no, peggio, come uno strappo in un disegno.
Sora riprese fiato e guardò i due bambini.
«Sì, Xehanort era lì. Era seduto sul ciglio della finestra, davanti ad una scacchiera. Sembrava quasi non essersi accorto di noi.»
 
 
«Scacco al re, Xehanort.» Terra si fermò al centro della stanza e gli puntò il Keyblade contro.
Sora passò la soglia e si guardò meglio attorno nella stanza. Shiro era addormentata in una delle sedie – priva di sensi, ma sembrava stare bene… Ephemer fu più svelto e corse da lei, poggiando una mano sulla sua spalla.
«Shiro, parlami. Apri gli occhi.»
«… stanno portando gli Hobbit a Isengard…» Shiro mugugnò e scosse la testa.
«Davvero?» Dietro Sora, Roxas scosse la testa, in pieno sconcerto.
Gli altri Guardiani della Luce irruppero nella stanza, ognuno di loro in posizione di guardia. Sora si affrettò a portare lui stesso Catena Regale alla mano, mentre Ephemer prese Shiro per la mano e la portò dietro di loro.
Un momento. Poteva toccarla?
«Davvero pensavate di potermi contenere qui… dopo tutto quello che sapete sui legami?» Xehanort li fissò, mentre il cielo fuori dalla finestra si faceva immediatamente scuro.
«Pezzo di strudel…» Ephemer si lasciò scappare. Mentre lui parlava, Xehanort aveva teso una mano ad artiglio, e non il Keyblade ma il X-blade gli era comparso tra le dita contorte.
«Vuol dire che lo romperemo di nuovo!» Ventus fu il più rapido ad attaccare. Appena prima che Evocavento colpisse il bersaglio, Xehanort svanì nel nulla e la lama del Keyblade andò a infrangere i vetri della finestra. Ventus riuscì a fermarsi appena in tempo per non guadagnare altre ferite con i vetri rotti, ma Xehanort riapparve fuori, su una delle torri.
«Cercherà di arrivare al punto più alto.» Aqua concluse rapidamente. Finì di sfondare la finestra con un Firaga, poi saltò fuori lei stessa e prese a balzare di tetto in tetto. Gli altri presero a seguirla.
«Io penso a Shiro, voi andate!» Ephemer asserì, prendendo Shiro per mano – di nuovo! – e sparendo in un corridoio.
Non c’era molto a cui pensare – i tetti sembravano essere l’unica via per arrivare in cima, se non altro per quanto era intricato quel labirinto di una città.
Assieme agli altri Guardiani, Sora seguì i passi di Aqua sui tetti, casa dopo casa, balzo dopo balzo, fino a quando non giunsero alla torre più alta.
Là, su una terrazza con un pavimento che ricordava il quadrante di un orologio, Xehanort aveva puntato il X-blade al cielo, dove la forma familiare di Kingdom Hearts aveva ripreso a stagliarsi.
Le mattonelle del pavimento sembravano quasi come una guida per loro – dopo alcuni tentativi di colpi andati se non a vuoto, addirittura quasi a colpire degli alleati, si erano divisi in più gruppi usando il pavimento come riferimento.
Probabilmente, erano Terra, Aqua e Ventus quelli che se la stavano cavando meglio. Sora si chiese quanti anni avessero avuto per cavarsela così bene nel combattere… anche perché non sembrava bastare. Nonostante combattessero in tre come una sola persona, compensandosi e alternandosi con la grazia esperta di guerrieri allenati, Xehanort era in grado di difendersi dalla loro formazione e di spingerli più volte sulla difensiva.
Quando sembrò che li stesse mettendo davvero alle strette, una fiammata costrinse Xehanort a girarsi. Lea, Roxas e Xion sembravano aver intuito qualcosa, e adesso stavano sfruttando il loro anno di esperienza per consentire a Terra, Aqua e Ventus di riprendere fiato.
Dal lato opposto, Topolino partì alla carica con Paperino e Pippo. Alternandosi con Lea, Roxas e Xion, sembrava stessero riuscendo a prendere tempo.
Non senza un certo grado di paura, Sora si rese conto che lui, Riku e Kairi sarebbero stati i prossimi.
E non avevano mai combattuto insieme. Non come trio.
Ci stava ancora pensando quando…
Xehanort sparì, e comparve quasi dal nulla davanti a loro, fece per tirare un fendente…
… e Riku pensò in fretta, e una barriera impedì al nemico di toccarli.
Sora lanciò un’occhiata alla sua destra e alla sua sinistra, cercando lo sguardo di Riku e Kairi, e quando la barriera prese a sparire sferrò un contrattacco.
Stavano tutti iniziando a prendere un ritmo, ma Xehanort, nonostante lo svantaggio numerico, nonostante i primi segnali di stanchezza, non sembrava dare segni di resa… e a giudicare dall’aspetto del cielo sopra di loro, del cuore dei mondi che sembrava essersi riaperto, quella non poteva essere una battaglia di logoramento.
Xehanort avrebbe vinto soltanto tenendoli occupati. Soltanto restando vivo fino a quando il rituale non fosse concluso.
Ma non potevano arrendersi.
«Hey, Xehanort!»
Era la voce di Ephemer.
«Arrenditi e lasciali andare!»
Ephemer comparve da una scalinata nascosta, con Shiro appena dietro di lui.
Xehanort si fermò e lo fissò, un ghigno dipinto sul volto.
«Quante altre volte devo sentirti latrare senza mordere, Maestro Ephemer?» Lo schernì.
Ephemer si mise in una posizione di guardia, pur non stringendo nulla nelle mani, e sogghignò a sua volta.
«Non stavolta
Tese la mano destra, come ad evocare un Keyblade.
Un ricordo affiorò alla mente di Sora – di come aveva richiamato Catena Regale alla sua mano alla Fortezza Oscura, dopo che Paperino e Pippo avevano sfidato Riku per difenderlo. Esattamente come Catena Regale aveva abbandonato Riku, il X-blade svanì dalle mani di Xehanort per materializzarsi nel palmo teso di Ephemer.
Xehanort fece per borbottare qualcosa, ma Sora non riusciva a sentirlo. Sentiva soltanto il tuono del suo cuore nelle orecchie, e ricordò che Ephemer aveva detto, minuti prima che però sembravano secoli, che il X-blade poteva essere evocato dal Maestro più potente.
Xehanort poteva essere vecchio, ma Ephemer? Ephemer aveva fondato l’Ordine per come lo conoscevano. Aveva creato lui quella città, scritto le regole del gioco.
E ora che erano nel cuore di Xehanort, poteva interagire con gli altri, come era successo nel cuore di Shiro.
«Ora, Xehanort, vogliamo parlare della tua resa?»
Nessuno sulla terrazza osava parlare. Sembrava quasi che il tempo si fosse fermato.
«Ammetto che sia un pensiero allettante. Rifare tutto da zero, sperando che stavolta le cose vadano bene.» Ephemer abbassò il X-blade. Il suo labbro stava tremando. «Ma per quanto crudele, per quanto tenebroso, questo è il solo mondo che abbiamo. Quando il mondo è finito avevo degli amici. E li ho persi quando l’arca ci ha mandati avanti nel tempo, sì, ma ognuno di noi in un dove e un quando che non è mai stato uguale. Una ragazza è morta perché l’Oscurità aveva cercato comunque di sfuggire alla purga. E altri sono andati persi perché non c’era un modo di uscire che non contasse su una mano i sopravvissuti. Quanti avrebbero meritato la vita quella volta? Quanti la meritano questa? Nessuno di noi è in grado di giudicare. Possiamo solo proteggere chi ci sta a cuore…»
Ephemer guardò i presenti, passando gli occhi da una persona all’altra.
«… e io credo di averlo fatto.»
Sfregò un piede sul pavimento.
Xehanort sbuffò.
«Ancora qualche minuto, e ci sarei riuscito. Avete soltanto avuto fortuna nel ritrovarmi.»
«Io non la chiamerei fortuna.» Terra si staccò dal gruppo e camminò verso di lui. Si fermò a pochi passi dal vecchio, sostenendo il suo sguardo.
Un’altra sagoma traslucida emerse dal corpo di Terra, e fece un altro passo verso Xehanort. Era un uomo adulto, con i capelli neri striati di grigio, lunghe vesti bianche, un accenno di baffi e barba, e il volto sfregiato da due cicatrici.
«È finita, Xehanort. Non li toccherai mai più.»
«Quindi c’eri tu dietro. Vecchia volpe… avrei dovuto immaginarlo.» Il tono di Xehanort era ancora di sfida, ma chinò il capo in segno di resa.
Chi era quell’uomo? A Sora non veniva in mente nessuno, ma Ephemer sgranò gli occhi – e anche Terra, Aqua e Ventus parvero capire chi era.
L’uomo diede un’occhiata dietro di sé – verso Terra.
«Mi dispiace, ragazzi. Tutto questo è successo perché io mi sono fatto ingannare.»
Aqua scosse la testa.
«Abbiamo tutti colpe in questa storia.» Fece un passo in avanti. «Avevamo paura. Abbiamo agito di impulso.»
«Siete ancora in tempo per cambiare le cose. Terra, Aqua, Ventus… ho sempre avuto grandi speranze su di voi. Su tutti e tre. Se sono stato duro con voi…»
Non ebbe il tempo di finire – Ventus era scattato in avanti e lo aveva abbracciato forte.
«Mi dispiace per quello che ho detto,» Ventus singhiozzò, il volto premuto contro le vesti del maestro.
«Ssh. Va tutto bene.» Il maestro gli mise una mano sulla spalla. «Perdona me per essermi fatto prendere dal panico. Non avrei dovuto comportarmi così.»
Alzò lo sguardo verso Terra e Aqua, e tese una mano verso di loro. I due ragazzi più grandi lo raggiunsero e lo abbracciarono a loro volta.
«Siete ciò che mi rende più fiero di aver vissuto.»
Ephemer stava ancora tenendo Xehanort sott’occhio, ma fece un cenno con la testa a Shiro, come a dirle di andare da loro.
«Avanti. Vai dal nonno.» La incoraggiò.
Shiro andò avanti a passetti, quasi timorosa di avvicinarsi a una persona che visibilmente non ricordava. Quanti anni aveva avuto quando era stata portata via da casa? Uno? Era troppo poco per ricordare una faccia…
«Ma nonno… ecco, eravamo quattro, noi.» Disse con un filo di voce.
Il maestro lasciò andare Terra, Aqua e Ventus.
«Non mi sono scordato di te, Shiro.» Le sorrise, poi le mise una mano sui capelli. «Non siamo più un piccolo Moguri, eh?»
Si fece serio.
«Sei stata molto coraggiosa oggi. Ma cerca di sceglierti meglio le tue sfide. Ne avrai di tempo per mostrare al mondo chi sei.»
Si chinò per stringerla in un abbraccio, poi guardò Xehanort.
«Hai sempre avuto un debole per i gesti teatrali, fin da quando giocavamo a scacchi insieme mentre l’aula era vuota. Ma adesso è l’ora dell’inchino e dell’uscita di scena.»
Camminò verso di lui.
«Andiamo insieme.»
Sora non riusciva a discernere l’emozione nel tono del maestro in bianco. C’era dietro più di quanto sapesse, ne era certo, ma probabilmente era una storia che sarebbe rimasta inspiegata.
Il maestro in bianco prese Xehanort per un braccio, e in un bagliore di luce entrambi sparirono.
Soltanto allora Ephemer abbassò il X-blade, e camminò verso di loro.
«Non resta molto tempo.» Mormorò. Scosse la testa. Si fermò davanti a Sora. Lo guardò. Gli porse la lama.
«Ho… ho bisogno che lo faccia tu.»
Sora non rispose. Non capiva. Non pensava di essere in un qualche modo migliore degli altri Custodi – men che meno di Ephemer, che da quel poco che aveva capito era stato un Maestro importante!
«Ephemer, io…» Non posso. Non so cosa devo fare. Non capisco.
«Devi andare anche tu… non è vero?» Shiro guardò Ephemer. Lui abbassò lo sguardo.
«Qualcuno dovrà pur farlo.» Sfregò un piede sul pavimento. «Dopo tutte le regole della magia e dell’ordine che abbiamo infranto per riuscire a rimanere insieme… meglio me che Sora, dopotutto, no?»
Sora non poté che rimanere in silenzio. Ephemer non aveva tutti i torti… con il casino che avevano fatto tra spazio e tempo, la minaccia che il giovane Xehanort aveva emesso dopo che Sora aveva allontanato il Lich… si era quasi sentito come se
«Le regole le ho infrante io, però.» Ribatté.
«Sora, il destino non è scritto nella pietra. Men che meno nelle pagine di un libro.» La voce di Ephemer stava quasi tremando. «Xehanort magari era convinto che saresti sparito. Puoi ancora dimostrargli che si sbagliava.» Si fermò un momento a riprendere fiato.
«Io l’ho vissuta la mia vita. Ho avuto allievi, una famiglia, ho costruito una città… ma voglio rivederti, Sora, il più tardi possibile. E voglio che la storia che mi racconterai sia la più bella che tu possa immaginare.»
Sembrava più deciso che mai. A Sora tornò in mente la minaccia di Xigbar a Tebe – di come aveva insultato Ercole perché era stato in grado di venire aiutato da qualcuno più potente di lui per il suo atto da eroe.
E adesso lui aveva la possibilità di venire aiutato, in barba a quello che Xigbar aveva asserito come quasi inevitabile. Rifiutare sarebbe stato… no, non poteva. Ephemer aveva troppa fiducia in lui.
Tese la mano, a palmo aperto.
Ephemer gli mise il X-blade sul palmo e gli fece chiudere le dita. Gli tenne la mano chiusa per un momento, guardandolo negli occhi, poi annuì e sorrise.
«Sono fiero… di tutti voi.»
Stava per allontanarsi, ma Shiro gli saltò addosso. Stava piangendo.
«Perché devi andare via?» Gli mugugnò sulla spalla, stringendolo forte. «Perché mi lasci da sola?»
«Shiro… il mio compito adesso è finito.» Ephemer le mise le mani sulle spalle, facendole fare un passo indietro. «Non sei sola. Non lo sarai mai più. E poi… adesso tocca a te prenderti cura di Ven.»
Sembrò ricordarsi di qualcosa. Camminò verso Ventus.
«Ven… qualcuno voleva che io ti dessi un abbraccio.» Fece un sorriso quasi amaro. «Speravo che trovasse il coraggio di dartelo lui stesso. Nel dubbio…»
Tese le braccia e lo strinse in un abbraccio.
«… testa alta, amico mio. La tua parte della storia continuerà.»
Lo lasciò andare, poi fece qualche passo ad allontanarsi da tutti.
Nonostante gli occhi lucidi, stava sorridendo.
«Scala ad Caelum… buona notte.»
Mentre ancora faceva un gesto di saluto con la mano, anche lui divenne luce e sparì.
La città fantasma era di nuovo silenziosa.
Sora fissò Kingdom Hearts, e puntò il X-blade verso la luna.
Era il momento di tornare a casa.
 
 
«… guardai Kingdom Hearts e puntai il X-blade verso la luna. Tutti gli altri puntarono le loro chiavi al cielo, e insieme chiudemmo il cuore dei mondi e ritornammo a casa.» Sora raccontò.
«Ma quindi Ephemer è fhparito per fhempre?» River gli chiese.
«Ephemer è andato oltre il Mondo Finale.» Sora spiegò. «Ma le sue parole di addio si rivelarono vere. La nostra storia sarebbe andata avanti… e abbiamo dovuto tutti rimboccarci le maniche per arrivare a un vero lieto fine. Soprattutto Ventus.»
Guardò la riva del mare, dove gli altri Custodi del Keyblade stavano cercando conchiglie, con i piedi nell’acqua bassa.
Il sole stava tramontando. Era quasi ora di tornare a casa.
«Ma questa è una storia lunga per un altro giorno.» Si rimise in piedi e si scrollò di dosso la sabbia. «Anche se, ve lo devo dire, cominciò proprio quella stessa notte.»
Guardò una delle ragazze.
«O almeno, così mi hanno raccontato.»
 
 


La ragazza si guardò attorno.
Era una piovosa notte d’autunno, e i vestiti che avevano addosso a stento la coprivano dalla tempesta.
Da alcuni edifici provenivano delle luci, e una specie di carro – era un tram? O un autobus? Non ne era sicura… non sapeva nemmeno come aveva imparato a distinguere il primo dal secondo… – aveva attraversato una pozzanghera a tutta velocità, lasciandola ancora più inzuppata di quanto già non fosse.
Un lampo attraversò il cielo, e un tuono invase l’aria, quasi assordandola.
Come ci era finita lì? Anzi… dov’era lì?
Avrebbe provato a cercare aiuto, ma cosa le diceva che avrebbe trovato aiuto in quel luogo?
Ricordava ancora l’ultima volta… uno dei pochi ricordi che poteva dire di avere.
Corse sotto una tettoia, sperando perlomeno di trovare riparo dall’acqua e dai lampi.
Una porta si aprì – un’ombra uscì dalla porta, nella mano un sacco. La figura si irrigidì quando si rese conto di non essere sola.
«Chi è là?»
Era la voce di una ragazza. Sembrava quasi spaventata.
«Per favore!» La ragazza si appiattì contro il muro. L’ultima cosa che avrebbe voluto sarebbe stata spaventare qualcuno. «C’è una tempesta qui fuori… mi sono persa… non so nemmeno come ho fatto a finire qui…»
La nuova arrivata lasciò andare il sacco, e si affacciò di nuovo all’interno della porta.
«Cal! Ho bisogno del telefono! C’è una ragazzina qui fuori, bisogna chiamare i soccorsi!»
 
Sono viva?
Mi risvegliai in una cella… Rimasi sola fino a quando i ricercatori non arrivarono con i loro test e i loro stimoli per scoprire la mia identità.
Non avevo risposte da dare a loro. Non ricordo nulla se non quattro amici e una chiave... Non riuscivo nemmeno a ricordare il mio nome. Lì mi chiamavano semplicemente "X". Il mio unico sollievo era parlare con i due ragazzi che venivano a trovarmi di tanto in tanto.
Un giorno arrivò un uomo per portarmi via da questa prigione. Era buio, e l’unica cosa che vidi di lui era la benda che gli copriva un occhio. Ancora oggi non so chi o cosa sono… né quanto tempo sia passato.
Possa il mio cuore essere la mia chiave guida.
 
 


 
Ovviamente, poteva mica finire qui?
Eh no, vi abbiamo sfracellato i feels (e ci abbiamo anche messo un grosso sforzo, cancellando e riscrivendo una parte che non ci convinceva proprio!), quindi non potevamo lasciare qui la fine della storia!
 
Occhio ai dettagli nella storia. Qualcuno dei lettori più “fedeli” che magari si ricorda la short story di River prima che cancellassimo e riscrivessimo tutti quanto può notare alcuni dettagli che potrebbero far capire dove arriveremo quando la storia continua!
 
Ci vediamo alla prossima – la storia continua in RE:UNION!
 

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