Baby boom

di Serpentina
(/viewuser.php?uid=35806)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: a road in common ***
Capitolo 2: *** Luna storta ***
Capitolo 3: *** A little hesitation ***
Capitolo 4: *** Il passato non muore mai ***
Capitolo 5: *** Cover affair ***
Capitolo 6: *** Che vita sarebbe senza imprevisti? ***
Capitolo 7: *** AAA: coraggio cercasi ***
Capitolo 8: *** Kiss 'n tell ***
Capitolo 9: *** Breaking point ***
Capitolo 10: *** Ghost heart syndrome ***
Capitolo 11: *** Appetite for distraction ***
Capitolo 12: *** At last ***
Capitolo 13: *** Missione possibile ***
Capitolo 14: *** Compleanno con delitto ***
Capitolo 15: *** Christmas issues ***
Capitolo 16: *** Capodanno... al bacio ***
Capitolo 17: *** Scusa, ma ti voglio sfruttare ***
Capitolo 18: *** Much ado about something ***
Capitolo 19: *** Skipping Valentine part 1 ***
Capitolo 20: *** Skipping Valentine part 2 ***
Capitolo 21: *** Litigare stanca ***
Capitolo 22: *** Twists of fate ***
Capitolo 23: *** Wuthering depths ***
Capitolo 24: *** Bye bye, darling ***
Capitolo 25: *** Espiazione ***
Capitolo 26: *** Sweet child of mine ***
Capitolo 27: *** Extra: Corsi e ricorsi storici ***



Capitolo 1
*** Prologo: a road in common ***


Ai lettori affezionati: bentrovati! Ai nuovi lettori: benvenuti nel pazzo mondo di Faith&co! ^^
Questa storia è nata durante la pubblicazione della precedente, “Dr. Irving, M.D.”: più si avvicinava l’epilogo, più sentivo che la storia non era davvero conclusa, che i personaggi avevano ancora tanto da dire, e nella mia mente si è lentamente formato l’abbozzo di quanto leggerete.
Enjoy!

 
Prologo:
A road in common

Bisogna scegliere per compagna solo una donna che, se fosse un uomo, si sceglierebbe per amico.
Joseph Joubert

Il giorno in cui Gertrud si “sbarazzò” del suo secondogenito fu tra i più felici della sua vita.
Era, infatti, sul punto di arrendersi alla (per lei) triste prospettiva che il suo kind restasse scapolo a vita: bellezza, intelligenza e una buona posizione lavorativa, purtroppo, non bastavano a compensarne il pessimo carattere. Franz era ambizioso, cinico, pignolo, ipercritico e visceralmente innamorato del suo lavoro; lo avrebbe messo in secondo piano solamente per una persona degna, capace di affascinarlo, comprenderlo, supportarlo e, perché no, tenergli testa.
Fortunatamente, proprio quando tutto sembrava perduto, arrivò lei: Faith Irving, perfetta nella sua imperfezione. Non era certo una top model, ma il fisico divergente dagli attuali canoni estetici passava in secondo piano non appena apriva bocca: sagace, sarcastica, possedeva un acume e una franchezza quasi sgradevoli, che ne avevano fatto la pupilla di Franz, prima ancora che la sua fidanzata.
Il giorno in cui le avevano annunciato che sarebbero andati a vivere insieme, quasi le scoppiò il cuore dalla gioia: che il sogno di vedere entrambi i suoi figli sposati e con famiglia stesse per avverarsi? Pensando alla ragione che aveva spinto due spiriti liberi come Faith e Franz alla convivenza… probabilmente no!

 
***

Un paio di settimane prima….

–Ho sempre pensato che chi ha piazzato un distributore di dolci vicino all’ingresso della Chirurgia Bariatrica fosse la reincarnazione del marchese de Sade- sbuffò Robert Patterson, storcendo il naso alla vista di Franz Weil intento a ingozzarsi durante la pausa caffè. Erano amici dai tempi dell’università, quando aveva cominciato a chiamarlo Husky, in riferimento agli occhi chiarissimi dell’amico. –Perché ti abbuffi? Faith ti ha mollato?
–Ti piacerebbe, eh? Spiacente di deluderti. Comunque, passa una mattina intera con Elmond e Jefferson che litigano, poi vienimi a dire se non hai bisogno di zuccheri!- sibilò Franz. Capiva che la ferita causata a Robert dalla fine della storia con Harper fosse ancora aperta, e che vedere i propri migliori amici innamorati e felici acuiva il dolore, ma rinfacciarglielo in continuazione non gli avrebbe ridato quel che aveva perso. Forse era meglio così: una donna capace di dichiararti amore eterno, e il giorno dopo mollarti nel bel mezzo di una vacanza in doppia coppia perché infatuata (ricambiata) del fidanzato della sua amica, meglio perderla che trovarla! –Mi manca il Grande Capo. King è autoritario, però manca di mordente. La proffa era di un’altra pasta.
–Era di una pasta abbastanza vecchia da obbligarla a pensionarsi- osservò Robert, recuperò il pacchetto di Oreo dal fondo del distributore automatico e aggiunse –Piuttosto, pensa ai vantaggi che puoi ricavarne: uno, anzi, una di meno! Ora che la Eriksson ha passato il testimone a King sei scalato di un posto nella gerarchia del reparto; ancora pochi passi e sarai tu il Grande Capo!
Franz scosse il capo e replicò –Stai trasferendo su di me le aspirazioni che l’amichetta del tuo nuovo primario non ti ha permesso di realizzare.
–Non nominare quella vacca!- sbraitò il biondo.
Non aveva ancora digerito di essere stato surclassato da una “stronza arrivista”, e il ricordo dell’amarezza provata nel trovare la sua roba ammassata in uno scatolone fuori dall’ufficio - che il primario aveva riservato alla suddetta stronza, costringendolo, in tutti i sensi, a trasferirsi in uno più piccolo e occupato da altre due persone - sarebbe rimasto per sempre impresso nella sua memoria.
–E tu non offendere le vacche- ribatté Weil, provando un moto di irritazione nei confronti di quella donna priva di dignità. –Quando sarà, sarò ben lieto di occupare la poltrona su cui adesso siede King. Fino ad allora… analizzerò cellule e terrorizzerò studenti e specializzandi lavativi.
–‘Giorno a tutti- sbadigliò una voce familiare, appartenente a Christopher Hale, per gli amici Chrissino. –Dio, che stanchezza! Sono reduce da una cistectomia e mi sento a pezzi. Preso già il caffè, voi?
–Sì, era una broda calda imbevibile- rispose Franz, prima di gettare nel cestino l’involucro della barretta e seguirli al bar.
–Mamma mia che faccia! Che combini la notte, Chrissino?- domandò Robert, pettegolo di prima categoria. –Ci dai dentro come il nostro Husky?
–Non ti mando dove meriti soltanto per paura che i pazienti mi sentano- bofonchiò, passandosi una mano sul viso. –Anzi, no, che sentano: vaffanculo! Sto vivendo giorni di fuoco: da quando Erin ha deciso di allargare la famiglia a ogni ovulazione mi fa scopare più di un pornodivo al lavoro!
–Quanto ti invidio!- sospirò Robert.
Chris curvò le labbra in una strana smorfia e rispose –Se vuoi te la presto per un paio di giorni.
–Davvero?
–Certo… che no! Sei matto? Col cazzo che ti lascio toccare la mia donna!
–Sarebbe stata la tua occasione per riposarti. Sei completamente spompato!
L’altro tirò su il naso e asserì con sussiego –La mia Erin vuole un bambino e mi ama tanto da volerlo con me, perciò… avrà un bambino, a costo di prosciugarmi le palle!
Bonjour finesse!- esclamò una quarta voce maschile.
Gli altri tre si voltarono ed esclamarono all’unisono –Harry! Ti credevamo a casa!
–Magari! Niente casa fino a sera, ho doppio turno- sbuffò Harry James, aggiustandosi gli occhiali. Aveva discusso con un oculista circa la possibilità di effettuare la correzione chirurgica della miopia, ma non era operabile, la sua cornea era troppo sottile. –Non che mi dispiaccia particolarmente: Derek ha la varicella e ad Emma stanno spuntando i denti da latte, il che rende qualunque oggetto mordibile, incluso me, bersaglio della sua mordacità.
–Chi bada ai demoni, ehm, adorabili pargoli?- chiese Robert.
–Le suocere devono pur rendersi utili, no?- ridacchiò l’amico. –Chissà se, al mio ritorno, sarà ancora viva…
Franz non riuscì a prendere parte alla conversazione, una telefonata di Faith glielo impedì.
–Oh, grazie al cielo hai risposto! Sono disperata! Nel panico più assoluto!- piagnucolò. –Ho dispnea, palpitazioni…
Weil alzò lo sguardo al soffitto: la sua fidanzata aveva il difetto di sminuire le enormità e ingrandire a dismisura le inezie. Insomma, lo disturbava per un nonnulla e gli taceva questioni della massima importanza.
–Se lavorassi ancora in questo ospedale ti avrei già chiesto di elencarmi le varie diagnosi differenziali di questi sintomi, sai? Ritieniti fortunata.
–Niente battute, ti prego. Si tratta di Nina!
–E’ in panne?- soffiò, incredulo: l’automobile usata di Faith, affettuosamente nominata Nina (abbreviazione di “Nissanina mia bellina”), nonostante l’età funzionava perfettamente.
–Peggio: non trovo le chiavi!- gnaulò istericamente lei. –Me le hanno rubate! Forse in metropolitana, credendo fossero quelle dell’appartamento, oppure durante il sopralluogo al parco con Noyce, o…
–Sono scivolate dalla borsa a casa mia, quando ti sei buttata di peso sul divano- sghignazzò, incurante dei versi di disappunto della sua amata Irving. –Le ho qui con me, vieni a prenderle quando vuoi.
Trenta minuti dopo un’ansante e sollevata Faith si precipitò da lui e lo ricoprì di baci.
–Mio eroe!- trillò.
–Avrai modo di ringraziarmi. Che ti serva di lezione: basta disordine.
–Da che pulpito!- latrò Faith, indignata. –Ti ricordo che due giorni fa hai pianto perché credevi di aver perso quella vomitevole t-shirt regalo di tuo fratello, invece era finita nel mio bucato!
–La metti su questo piano? Benissimo!- ululò lui, dissotterrando l’ascia di guerra. –La settimana scorsa hai speso cinquanta, e sottolineo, cinquanta, sterline per comprare un regalo di compleanno a tua nonna perché avevi dimenticato di averlo affidato a me per non rischiare che i tuoi genitori lo vedessero!
–Giochiamo sporco, eh?- barrì lei. –Allora, dimmi… chi mi ha ricoperta di insulti perché avevo scarabocchiato il suo prezioso compendio di Patologia, per poi scoprire che il libro era mio?
–Tutta colpa del caos che regna sovrano in quella bolgia dantesca che chiami casa!- ruggì Weil. –Nel mio appartamento…
–Nel tuo corridoio di ospedale, vorrai dire! Mai visto un posto più asettico!
A quel punto si guardarono, e grasse risate risuonarono nella stanza. Il loro amore non era semplicemente litigarello, era una bomba atomica: liti in grande stile nascevano dal nulla e nel nulla si dissolvevano con una risata, un bacio, o una parola più magica di quelle inventate dalla Rowling per gli incantesimi insegnati a Hogwarts…
–Scusa.
–Scusami tu, ho esagerato. Non vivi nel regno del caos, sei giusto un tantino disordinata- scherzò Franz.
–Non sono disordinata, tendo a una maggiore entropia… o qualcosa del genere- ribatté Faith. –Devo chiedere a Demon di rispiegarmelo. Oh, e tu non vivi in un asettico ospedale. Anzi, casa tua mi piace.
–Ah, sì? Cosa ti piace di più di casa mia?- le chiese Franz, per poi posarle un bacio sui capelli.
–L’inquilino, ovviamente!- rispose Faith strizzandogli maliziosamente le natiche da sotto il camice. –Devo scappare, o Noyce mi darà per dispersa e attiverà il GPS - sì, il mio capo è un maniaco del controllo - ci vediamo stasera. Passo da te o ci troviamo direttamente da tua madre?
–Siamo a cena da mia madre domani. Stasera è tutta per noi. Ho comprato un giochino che non ti farà dormire…
–Eccitante- gli sussurrò all’orecchio Faith. –Casa mia o tua?
–Decidi tu- rispose Franz. –Devo confessarti una cosa: dopo questa disavventura - per così dire - ho realizzato che ci sentiamo talmente a nostro agio l’una nella casa dell’altro da considerarle un po’ nostre. Capisci cosa intendo?
La Irving annuì, rammentando le innumerevoli scenette da commedia di bassa lega in cui scoprivano che qualcosa di apparentemente introvabile era a casa dell’altro, quindi celiò, in tono studiatamente noncurante –Dottor Weil, mi stai forse proponendo di mischiare un asettico ospedale a una bolgia infernale per ottenere un’accogliente, equilibrata location per le nostre, ehm… attività?
–Sto semplicemente prospettandoti un futuro, forse prossimo, in cui la domanda “Casa tua o casa mia?”…. non sarà necessaria. La domanda è: ti senti pronta?
–Sono nata pronta, cocco!

Nota dell’autrice:
Tra pochi giorni ho un esame (esamone), ma non ho resistito: dovevo pubblicare! Che ne dite? Ho fatto bene, o avrei fatto meglio a tenere questa storia per me?
Rispetto ai miei soliti standard è breve, lo so, ma volevo presentare brevemente il punto di partenza della storia: F&F si sono decisi a cercare un nido d’amore! Lo troveranno? La risposta è, ovviamente, sì (forse posterò sul mio profilo fb le foto di come immagino la casa), e nel prossimo capitolo i due piccioncini saranno alle prese col trasloco e con i soliti amici invadenti.
Note tecniche: la Chrirurgia Bariatrica è quella per i grandi obesi, la cistectomia è l'intervento di rimozione della vescica e sì, se si ha la cornea sottile niente "laser per la miopia". 
Au revoir!

Serpentina
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Luna storta ***


Aloha! Prima di lasciarvi al capitolo, voglio inondare di grazie abracadabra, che ha recensito, Bijouttina, Calliope Austen, chariottina, DarkViolet92, che hanno recensito e seguono la storia, e Chiarap, elev, Eli12, gabrilisa, Justine, _maryan_, Minelli, Minerva McGonagall, pat69, prettyvitto, roncatella e tigrotta81, che pure seguono la storia! <3 <3 <3
 
Luna storta

Il coraggio è solo la paura di essere considerati vigliacchi.
Horace Smith
 
Bernard Cartridge, comunemente noto come Ben, si recò dal fratello maggiore Brian di buon mattino, bramoso di aria fresca e tranquillità, cose che, da qualche mese a quella parte, era costretto a cercare fuori casa: la sua dolce metà, Abigail, era in attesa del secondo figlio, il che rendeva il suo umore labile quanto un alito di vento; inoltre la primogenita, Kaori, non era affatto entusiasta del fratellino o sorellina in arrivo, e lo manifestava con scoppi d’ira che mettevano a dura prova i nervi suoi e di sua moglie. Purtroppo per lui, il buonumore si infranse non appena incrociò lo sguardo iniettato di sangue di Brian, che grugnì un iroso “Buongiorno”.
Nella speranza di contagiarlo con la propria giovialità, ridacchiò –Se ti sei svegliato con la luna storta, raddrizzala!
Se si aspettava di rallegrarlo, fallì miseramente: Brian, infatti, si alzò di scatto, lo afferrò per la cravatta, rischiando di strangolarlo, e ringhiò –Non. Dire. Quella. Parola!
–Quale? Storta?- chiese Ben, esterrefatto dal comportamento del fratello: da che ne aveva memoria, non l’aveva mai visto in quello stato.
–Luna!- sbraitò. –Non la voglio sentir nominare!
–Il tuo animo da uomo d’affari non è toccato dalla poesia dell’astro d’argento?
–No, finché il suddetto astro mi impedirà di dormire e scopare!
“Aha! Adesso si spiega tutto!”, pensò l’altro, sforzandosi di reprimere il sorrisetto compiaciuto che lottava per affiorare sulle sue labbra.
–Cosa è successo? La tua ultima conquista ti ha mandato in bianco per contemplare la luna?
–Spiritoso!- sbuffò Brian. –Per tua informazione, successe qualche anno fa: iniziò a farmi una lezione sullo spazio profondo che ebbe l’effetto di una doccia fredda. Morale della favola? Se hai intenzione di concludere la serata in bellezza, non uscire con un’astronoma!
–Non starai dicendo che l’hai rivista e pensare a lei ti tiene sveglio la notte!- esclamò allora Ben, preoccupato per la salute mentale del suo unico fratello.
–Per chi mi hai preso? E’ mio figlio che mi tiene sveglio e disturba le mie… attività, se capisci cosa intendo.
–Porti a casa donne conosciute nel bagno di locali alla moda e che non vedrai mai più dopo esserci andato a letto? Sei un incosciente!
–Secondo te perché la cameretta del bambino è all’estremità opposta del corridoio, rispetto alla mia?- rispose sornione Brian. –AJ viene al primo posto, ma non posso negare un po’ di divertimento all’amichetto laggiù, ti pare? Già è tanto che mi sia trattenuto dal provarci con la sua maestra…
–Ecco, bravo, almeno lei lasciala stare- gli raccomandò Ben in tono paterno.
–Non sai quanto mi costa… è talmente gnocca!
–Ehm… lasciamo perdere la maestrina sexy. Cos’ha Aidan? Sta male? L’hai portato da un dottore?
–Non ancora- ammise Brian. –In realtà, non so se sia il caso; fisicamente gode di ottima salute, solo… soffre di incubi. Si sveglia, corre da me e, se la porta della camera da letto è chiusa, bussa finché non apro. Gli apro, lo tranquillizzo, lo riporto a letto, gli rimbocco le coperte, mi assicuro che dorma e, finalmente, riprendo il sonno interrotto. Talvolta, come stanotte, non ero solo, quando ha bussato alla mia porta, e la scalogna ha voluto che al mio ritorno trovassi il letto vuoto perché quella stupida gallina fertile si era scocciata di aspettarmi!
–Tralasciando la “gallina fertile”… dovresti parlarne con Aidan e, se necessario, portarlo dal medico- asserì il minore dei fratelli Cartridge.
–Non voglio che pensi di avere qualcosa che non va!- rifiutò recisamente l’altro. –Anche se, effettivamente, non fa dei sogni normali; a quattro anni, di solito, si ha paura dei mostri, delle belve feroci… lui sogna, cito testuali parole, “che la luna cade e ci spiaccica tutti”.
–Ma è terribile!- esalò Ben, sconcertato: ne aveva viste e sentite di cotte e di crude, quanto a paure infantili, ma questa era una novità assoluta!
–Lo so! Provo a inculcargli l’uso corretto dei tempi verbali, ma non gli entra in testa! Mi manda in bestia!- gnaulò Brian.
–Ehm… intendevo che è terribile che mio nipote sogni che Luna cada sulla Terra- chiarì Ben.
–Oh, beh, certo… anche i verbi usati a casaccio, però… Ad ogni modo, mi domando: come gli è venuto in mente? Fantasia eccessivamente fervida? Programmi televisivi? Qualche film non adatto alla sua età?
–Niente di tutto ciò. I bambini hanno una curiosità incredibile: si sarà posto il dubbio su cosa tiene la Luna ferma in cielo e, non avendo trovato risposta, sarà giunto alla conclusione che può caderci addosso da un momento all’altro. Fossi in te, invece di preoccuparmi, gongolerei: il pargolo mostra una mente scientifica.
–Sono orgoglioso di lui a prescindere - se poi si rivelasse un piccolo Einstein, figurati! - però gradirei che la “mente scientifica” mi concedesse un tranquillo riposo notturno. E’ forse chiedere troppo?- sbottò il papà assonnato.
–Vuoi un consiglio? Spiegagli perché il suo incubo non può realizzarsi, vedrai che la paura svanirà.
Brian alzò gli occhi al cielo e replicò –La spieghi tu la fisica a un bambino di quattro anni?
Ben aprì bocca per ribattere, poi, in mancanza di argomentazioni convincenti, la richiuse, si grattò il mento con aria pensosa, infine gridò –Eureka! Si dice così quando si ha una grande idea, no?- l’altro annuì, perplesso. –Hai ragione, tuo figlio ha bisogno di qualcosa che non puoi dargli… una lezione di astronomia!

 
***

Faith rientrava in quel folto gruppo di persone che etichettano l’intera giornata in base allo stato d’animo in cui si trovano appena sveglie. Quel giorno era particolarmente irritabile - al punto che nemmeno gli Who sortirono il consueto effetto calmante - ragion per cui evitò il caffellatte, optando per un tè freddo con molto ghiaccio.
Timbrato il cartellino, decise di passare a salutare Serle, la simpatica moglie del fratello di Franz, con cui aveva stretto una salda amicizia. Uno dei tanti motivi che avevano reso meno traumatico l’addio al Queen Victoria Hospital era, appunto, la possibilità di fare quattro chiacchiere con Serle ogniqualvolta ne avesse occasione.
–Buondì, Faith!- trillò la bionda. –Luna storta, o ennesima lite col mio unico cognato?
–Entrambe- sospirò la Irving. –Se avessi saputo che cercare casa è tanto stressante, avrei rifiutato la proposta di Franz; purtroppo, non posso: la padrona di casa ha bisogno dell’appartamento, e il suo è troppo piccolo per due persone, abbiamo fretta di trovare una soluzione. Le liti sono all’ordine del giorno, a volte mi domando se la situazione non peggiorerà ulteriormente quando vivremo insieme.
–Tesoro, ti stimo troppo per rifilarti patetiche frasette rassicuranti- soffiò Serle, rivolgendole una smorfia mesta. –Non farti illusioni: quando diventerete ufficialmente conviventi, la situazione precipiterà; le differenti abitudini, all’inizio, provocano attriti a non finire, ci vuole tempo per imparare a scendere a compromessi. Faith, Faith, hai intrapreso un viaggio irto di ostacoli: la convivenza è una prova difficile. Credo che, se avessi vissuto sotto lo stesso tetto con Alex prima del matrimonio, non l’avrei sposato.
La brunetta la fissò allibita: Alexander e Serle erano una coppia affiatatissima!
–Dai, non farmi ridere!
–Sul serio! Eravamo peggio di te e Franz, e, senza offesa, questo sì che è tutto dire!- ridacchiò la bionda, ravvivandosi la chioma. –Tieni conto che, quando ci siamo sposati, ci conoscevamo da dieci giorni, e questo ha accresciuto le difficoltà: non ero mentalmente abituata a tavolette alzate, rotoli di carta igienica infilati nel verso sbagliato…
–Esiste un verso sbagliato?- esclamò esterrefatta Faith, per poi zittirsi. –Scusa. Taccio.
–E’ stata dura, ma, è il caso di dirlo, l’amore vince ogni cosa. Il tutto sta nel ridimensionarsi e accettare che l’altro occupi un posto non soltanto nel nostro cuore, ma anche nell’armadio, in bagno, nella libreria…
–Penso che incontrerò meno difficoltà di Franz; al contrario di lui, ho già diviso casa col mio ragazzo.
Avendo notato il velo di tristezza che aveva offuscato lo sguardo di Faith nel menzionare il suo ex, Serle non indagò oltre, limitandosi a suggerirle di rivolgersi a un amico di Alexander, che aveva abbandonato bacchetta e cilindro per un posto stabile in un’agenzia immobiliare.
La conversazione venne interrotta da un collega di Serle, che salutò le due come ogni mattina.
–Guarda, guarda chi si vede: le Rizzoli e Isles dei poveri!
–Sai, Sherman, prima di vederti ero convinta che questa giornata non potesse peggiorare… ora so che al peggio non c’è mai fine- rispose Faith, perfida. Quell’uomo la mandava fuori dai gangheri! Avrebbe voluto aggiungere qualcosa di ancor più velenoso, ma il suo folle capo, il dottor Noyce, la richiamò all’ordine. Mentre attendevano l’ascensore, Sherman commentò –Ecco, bravi, scendete nell’Ade, è quello il vostro posto!
–Chissà che un giorno non diventi pure il tuo- replicò Noyce con impeccabile aplomb, e insieme alla Irving uscì trionfalmente di scena.

 
***

Nel frattempo, al Queen Victoria Hospital, Robert Patterson stava sorridendo per il cielo inaspettatamente sereno, con un sole caldo e luminoso. “Altro che tempo inglese!”, pensava, rallegrandosi dell’errore dei meteorologi. Il tepore riusciva persino a fargli dimenticare con chi era stato appaiato per il turno mattutino.
Peccato che quel qualcuno, una rossa tutto pepe, fosse determinato a guastargli la giornata.
–Ehilà, Patterson!- squittì, caracollando verso di lui su un paio di scarpe griffate dai tacchi vertiginosi, che il precedente primario, il dottor Harvey, non avrebbe mai ammesso; non che il suo successore, il dottor Brenner, li ammettesse, ma per la sua protetta vigevano regole diverse di quelle che erano tenuti a rispettare i comuni mortali.
Dottoressa Meigs- sibilò Robert, infondendo in quell’appellativo tutto il proprio disprezzo. A differenza dei colleghi, i quali fingevano di sopportarla e sparlavano di lei alle sue spalle, non aveva mai fatto mistero dell’astio che provava per la “vacca arrivista” che gli aveva “fregato l’ufficio e i pazienti”. Tuttavia, per paura di ritorsioni, aveva sempre cercato di tenere a freno la lingua.
–Splendida giornata, vero?
–Fino a pochi secondi fa, sì- rispose lui, storcendo il naso alla vista dei capelli di un rosso fiammante e palesemente artificiale, scolpiti in un taglio corto di tendenza, della pesante riga di eyeliner nero sui suoi occhi e del rossetto e smalto rossi. Si morse la lingua per impedirsi di urlare a quella stronza quanto fosse di cattivo gusto sfoggiare un trucco pesante quando, poche settimane prima, Brenner aveva portato alle lacrime una povera specializzanda, rea di essersi presentata con del tenue ombretto beige sulle palpebre.
–Uuuh! Qualcuno si è svegliato con la luna storta!
Robert sperava di evitare di salire in ascensore con lei, ma non poté sottrarsi al martirio: l’odiata collega gli stava tenendo la porta aperta.
–Grazie- ringhiò, a denti stretti.
–Non ringraziarmi, l’ho fatto perché questi trenta secondi in ascensore con me sono una punizione peggiore che non farti aspettare nell’atrio- rispose lei con innegabile cattiveria.
Il bel ginecologo attese che si aprissero le porte, prima di dare sfogo al proprio livore con un sommesso –Puoi atteggiarti a primadonna e andare a letto con chi ti pare, resti comunque una zitella inacidita.
Il personale di turno, attirato da strani rumori, assistette a una scena davvero comica: Robert stava usando una cartella clinica come scudo contro i pugni e calci della Meigs, che strillava –Sei un troglodita! Un maschilista! Un bastardo! Ti farò licenziare!
Una volta riportata la calma, Maggie Bell, in passato innamorata (non ricambiata) di Patterson, gli si avvicinò e disse –Congratulazioni. Conoscendola, userà il suo ascendente su Brenner per vendicarsi. Ne valeva la pena?
–Lo rifarei mille volte, perfino se ne andasse della mia vita- mentì: in realtà se la stava facendo sotto dalla paura che potessero licenziarlo sul serio, ma non lo avrebbe mai rivelato a Maggie.
–Devi chiederle scusa, e ti conviene farlo prima che ti costringa Brenner, in modo da conservare un minimo di dignità- asserì la collega con insolito sussiego. –Niente proteste: non piace neppure a me, se potessi la affogherei nel Betadine, ma non comandiamo noi, qui, perciò fai buon viso a cattivo gioco. Pensa che è inutile farsi venire un’ulcera, probabilmente se ne andrà non appena il capo si sarà stufato di lei.
–E se non succedesse?
–In quel caso, ti toccherà incanalare la rabbia in attività costruttive: giardinaggio, cucito…
Robert sbottò –Bell, in caso non te ne fossi accorta, sono un uomo!
–Allora la filatelia. Avrai un sacco di tempo per collezionare francobolli… da disoccupato!- cinguettò lei, scoccandogli un’occhiataccia.
Patterson dovette aver recepito l’antifona, perché alzò le mani in segno di resa ed esalò –Va bene, andrò a scusarmi… ma questo non la rende meno acida, né meno zitella!
–Renderà te più uomo, però! Se ti pare poco…

 
***

Tallonato dal fratello, Brian era in procinto di infrangere una delle sue regole più sacre: oltre ad essere un “uomo che non deve chiedere mai”, infatti, era anche “l’uomo che non richiama mai”.
–Pigia sul telefono verde, su, non ti si bruceranno le dita!- sbottò Ben, stufo dei tentennamenti di Brian, che faceva aleggiare le dita sul tasto di chiamata senza decidersi a premerlo.
–E se avesse cambiato numero?- osservò il fratello, in un chiaro quanto ridicolo tentativo di sottrarsi a quella che, considerava un’ordalia.
–Non lo saprai mai, se non tenti. Adesso chiama. Subito!
Sbuffando teatralmente, irritato dai commenti di Ben sulla sua codardia, Brian spinse col dito il tasto di chiamata, e attese col fiato sospeso e il cuore in gola. Dopo qualche squillo, sollevato, esclamò –Non risponde. Sarà per un’altra volta.
In quel preciso momento, con suo enorme disappunto, una voce femminile disse –Pronto?
–Ehi.. ehm… ciao, Alyssa- pigolò Brian, che aveva assunto un malsano colorito verdognolo. Ignorando le risatine di Ben, si schiarì la voce e aggiunse, in tono più sicuro –Sono Brian. Brian Cartridge. Ti ricordi di me?
Un respiro mozzato precedette la risposta della donna, uno stizzito –Come potrei dimenticarmi del gentiluomo che mi mollò in mezzo alla campagna non appena capì che non avevo intenzione di dargliela?
–C-Complimenti, o-ottima memoria.
–Grazie- chiocciò lei. –E’ un vero dispiacere sentirti. Cosa vuoi?
–Lavori ancora all’osservatorio astronomico? Perché, ecco… vorrei chiederti un favore.
–Le risposte sono, nell’ordine: sì, e… assolutamente no!
–Ti prego, Lyss!- la supplicò Brian, giocando il tutto per tutto. –Non è per me, è per mio figlio!
–Tu hai un figlio?- esalò sconcertata Alyssa. –Da quand… oh, ma certo! Ora ricordo: lo scandalo Ryan!
–Preferirei non parlarne.
–Va bene. Capisco che per te sia un tasto dolente. Non ho ancora capito a cosa ti servo, però..
–Ehm, vedi- incrociò le dita e decise di infiorettare un po’ la verità. –Aidan - mio figlio - è fissato con stelle e pianeti, e mi è scappato di dirgli che conosco una vera astronoma, così…
Udì un gemito esasperato, poi uno sbuffo seccato, infine un sospiro di rassegnazione (che lo fece esultare).
–Portamelo venerdì, generalmente c’è poco da fare e poca gente in giro.
–Oh, Lyss, sei la migliore! Non so come ringraziarti!- trillò Brian.
–Comincia dimenticandoti della mia esistenza- replicò Alyssa in tono spiccio. –Ah, chiariamo subito: lo faccio per quella povera creatura che ha la sfortuna di averti come padre, non per te!

 
***

Il consiglio di Serle si rivelò provvidenziale: l’amico di Alexander compì la magia, mostrando a Faith e un disinteressato Franz la casa dei sogni. Ora li attendeva una seconda sfida: arredarla.
La Irving, dopo un pomeriggio trascorso a girare di negozio in negozio con sua madre - affettuosamente soprannominata Führer Rose - e Gertrud - che aveva sfoggiato la propria esperienza di interior designer riempiendole la testa con espressioni altisonanti quali “shabby chic” e “allure provençale” - si sentiva a pezzi. Non desiderava altro che poltrire sul divano con della buona musica di sottofondo, un libro in mano e la sua gatta acciambellata sulla pancia a mo’ di cuscino; peccato che il destino avesse per lei altri progetti: dovette, infatti, rinunciare alla lettura per raggiungere la sua amica Bridget, in cerca del quarto marito, e impedirle di avventarsi sui maschi arrapati che pullulavano nella palestra che frequentavano.
Una volta tornata nel piccolo appartamento che presto avrebbe lasciato, sfatta e sudata, coccolò Agatha e mugugnò una serie di improperi contro la sua migliore amica, Abigail, che a causa della gravidanza non era obbligata a vegliare su Bridget affinché non gettasse via quel minimo di contegno che le era rimasto.
Naturalmente, le telefonò subito. A cosa servono le amiche, se non a spettegolare e lamentarsi del proprio uomo? Stavolta aveva dannatamente bisogno di sfogarsi: il patologo del suo cuore si era macchiato di un crimine gravissimo… abbandono di fidanzata; accampando una scusa se l’era svignata, lasciandola sola nella sessione di shopping, in balia delle loro vulcaniche genitrici.
–Dai, dammi qualche dettaglio in più sulla nuova casa. Ti prego! Sono la madre della tua figlioccia, e…
–Una sporca ricattatrice. Ok, ti darò qualche informazione aggiuntiva. Il proprietario la svende, vuole sbarazzarsene- rispose Faith con palpabile soddisfazione. –E’ un tipo new age che sembra uscito da Woodstock, l’ha ricevuta in eredità ed è convinto che trasmetta energie negative. A me ha trasmesso soltanto la gioia di una casetta da sogno a poco prezzo. Non prendermi per pazza, ma ho capito che era quella giusta non appena ho visto la stanza che, ho deciso, diventerà la camera da letto.
–Franz lo sa?- chiese Abigail, immaginando la discussione che sarebbe scaturita quando Weil avesse scoperto che la sua amata non lo aveva consultato in merito.
–Franz non ha meritato di avere voce in capitolo- sbottò la Irving. –Si sta comportando da immaturo: prima declina ogni responsabilità, lasciando a me l’onere delle decisioni, poi si lamenta e mi accusa di essere una dittatrice. Sai che ha combinato, oggi? Mi ha data in pasto alle nostre madri! Ha caricato me del peso di scegliere i mobili per casa nostra!
Massaggiandosi le tempie, Abigail sospirò –Ho capito: avete di nuovo dato fuoco alle polveri.
–Non ancora, ma è questione di attimi, dato che il signorino ha pretese irragionevoli- replicò Faith battendo un pugno sul materasso. –Oh, un’altra delle sue: ha scelto di tinteggiare a mano - con l’aiuto di Alexander - per risparmiare. Fin qui ok, ma il cretino ha prima approvato i colori, poi si è lamentato perché voleva la cucina melanzana. Ti rendi conto? Melanzana! La cucina color ecchimosi! Vuole che ci ridano dietro? Oh, e il bagno… il bagno… marrone!
–Colore a tema- ridacchiò Abigail.
L’amica, ringhiò, brandendo il telefono come un’arma –Da che parte stai, Ab?
–Fatti una risata, F! Allunga la vita e sostiene il sistema immunitario.
–Non ce la faccio! Sono stressata, quel deficiente non mi aiuta…
–Accetta un consiglio: Franz ti ama, farebbe di tutto per te, non ti conviene tirare troppo la corda. Preferisci vivere con lui in una casa viola, o tutta sola nella dimora dei tuoi sogni?
–Ti dirò, la seconda alternativa è allettante- rispose Faith, per poi sbuffare una risatina e aggiungere –Sto scherzando, naturalmente. Il mio Franz val bene una cucina.
–Davvero? A saperlo prima, non avrei confermato l’ordine delle vernici!- esclamò il diretto interessato, prima di salutarla con un bacio.
Mai come in quel momento, Faith si pentì di avergli dato una copia delle chiavi.
–Tu cosa?
–Ho riflettuto sulla nostra pacata discussione…
–Pacata discussione?- abbaiò. –Sarebbe come dire che nel Sahara fa un pochino caldo!
–Possibile che tu debba sempre cavillare?- sbottò Franz. –Riflettendo sul nostro, ehm, bisticcio- la Irving sbuffò, scuotendo la testa esasperata. –Ho capito che mi stavo comportando da immaturo: ti contraddicevo per il puro gusto di innervosirti. Almeno, questa è l’opinione di mia madre, che mi ha obbligato a confermare le tinte che volevi tu, dice che si intoneranno perfettamente allo stile dei mobili. Spero di non ritrovarmi in un incubo animalier! A proposito dello shopping: che incantesimo le hai fatto? Era estatica come una bambina la mattina di Natale! Ti è stata d’aiuto?
–Quando ho detto che desideravo un aiuto intendevo il tuo, Franz! Il tuo! Voglio che la casa rispecchi i gusti di entrambi!
–Oh. Davvero? Pensavo voi donne preferiste metterci di fronte al fatto compiuto perché ci considerate dei cavernicoli privi di gusto!
Se si aspettava di rabbonirla, Weil aveva sbagliato i calcoli: Faith, infatti, cominciò a colpirlo violentemente e ruggì –Sei un idiota! Lo vuoi capire che il genere femminile non è composto da squinternate fanatiche di boiserie? Ti pare che, se ti considerassi un troglodita, mi starei incazzando perché non prendi parte alle scelte che riguardano casa nostra? Non usare il cervello solo in quel cazzo di laboratorio! Se ti scoccia discutere stila una lista, contrassegna con una X le figure sui cataloghi… fai qualcosa, cazzarola!
Weil si accorse che Abigail era ancora in linea e pigolò, rosso dall’imbarazzo –Ehm… scusa, Abby, Faith ti richiamerà dopo.
–Tranquillo, ormai sono abituata alle vostre “pacate discussioni”- rispose lei, prima di interrompere le comunicazioni.
 Quando si girò nuovamente verso Faith, la vide raggomitolata sul letto, e udì, sebbene flebile, l’inconfondibile suono di un singhiozzo.
Provò un fugace moto di stizza (“ E’ forse il caso di mettersi a frignare per una sciocchezza simile?”), sostituito da senso di colpa: la sua donna stava piangendo, a causa sua.
Subito gli venne in mente la massima che Alexander pronunciò al pub in un momento di ebbrezza: “Puoi capire molto di una donna da quanto e come piange. Ci sono le Fontanelle, quelle che versano lacrime per hobby, a volte senza nemmeno un motivo preciso. Una lagna tremenda. Da evitare come la peste, se non vuoi finire al manicomio. Poi ci sono le Prefiche, le ‘piangitrici’ di professione, quelle che aprono i rubinetti per ottenere dei vantaggi. In genere sono delle cocche di papà straviziate. Stanne alla larga, se non vuoi finire col cuore spezzato e il portafogli vuoto. Infine, ci sono le L.U.T., Lacrimuccia Una Tantum, le rocce, quelle che non si piegano, arrivano al punto di rottura, e solamente allora cedono e piangono. Se cerchi divertimento senza impegno, evita anche loro: ti scatta l’irreprimibile istinto di fare qualunque cosa per non vederle piangere mai più, e sei fottuto!”
Si stese accanto a lei, appoggiò il mento sulla sua spalla e sussurrò –Proprio di una L.U.T. dovevo innamorarmi?
–Che hai detto?
–Niente, niente…. Stavo solo pensando che Xandi è più saggio di come vuole apparire.
Faith non riuscì a trattenersi dal sorridere e replicare –Stiamo parlando dello stesso Alexander che voleva usare uno dei suoi figli al posto dell’assistente per il numero della donna segata in pezzi?
–Ehm… beh… ecco…. lui… lasciamo perdere, è meglio- borbottò Franz. –Senti, non so di preciso cosa ho fatto di tanto terribile da farti piangere, non era mia intenzione e mi dispiace.
–Possibile che non ci arrivi?- gnaulò la Irving, girata di spalle, strattonando il cuscino. –Sono delusa perché hai dimostrato di preferire dei fessi che corrono in tondo sulle moto a me!
–Ehi, ehi, ehi! Piano con le eresie! Innanzitutto, il circuito non è circolare…
–Me ne sbatto! E’ un altro il punto! Sarebbe bastato dirmi: “Guarda, oggi non posso, mi vedo con gli amici per guardare tutti insieme il Gran Premio”. D’accordo, va bene, me ne sarei fatta una ragione e avrei rimandato il tour da Ikea. Invece mi hai sbolognata a tua madre!
–Ho pensato che sarei stato d’intralcio, che preferivi un parere femminile…
–Ficcatelo bene in testa: lo shopping fine a se stesso, esclusi libri e scarpe, mi annoia. Me ne infischio se avremo una cucina country o ultramoderna, quello che volevo era stare con te e vederti felice quanto me delle scelte prese insieme!
Per tutta risposta, Franz le asciugò una lacrima col dito, le baciò la guancia e ripeté –Mi dispiace. Ho sbagliato a credere che ti importasse più di sedie e tavoli che di me. Non sei quel genere di persona.
–Puoi dirlo forte!- ululò Faith, assestandogli una possente gomitata al fianco.
–Certo che sei violenta!- si lamentò lui, massaggiandosi la parte lesa. –Dai, smetti di piangere e sorridi, prometto di essere il tuo schiavetto personale per almeno un mese, a cominciare da stasera. Esaudirò ogni tuo desiderio! Vuoi vedermi cucinare nudo? Cucinerò nudo! Vuoi legarmi al letto la prossima volta che lo facciamo? Mi lascerò legare al letto! O ammanettare, se preferisci, non fa differenza, per me.
–Basta che monti i mobili… senza bisogno di legarti.   
–Ti accontenti di poco- commentò Franz.
–Potrei sempre ordinarti di montare i mobili… nudo!
A quel punto le risate partirono spontanee. Franz la fece voltare e le prese il viso tra le mani.
–Vieni qui, voglio darti un’iniezione di endorfine in forma di baci!
–Non illuderti di cavartela così a buon mercato- replicò lei tra un bacio e l’altro. –Mi hai fatta veramente incazzare.
Franz prese a lasciare una scia di baci lungo la mandibola.
–Lo so.
Scese a baciarle il collo.
–Te la farò pagare.
Franz annuì mentre baciava uno ad uno i nei sul decolté della sua donna.
–So anche questo.
In un impeto di audacia, tirò giù con i denti la cerniera della maglietta da palestra di Faith.
–Siamo in ritardo per la baraonda del venerdì sera.
Franz impallidì e si alzò all’istante, come se avesse preso la scossa.
–E me lo dici adesso?- tuonò. –Sbrighiamoci, o gli altri ci ammazzeranno!

Nota dell’autrice:
Non sono soddisfatta di questo capitolo, è bene che lo sappiate, così potrete strigliarmi senza timore di ferire i miei sentimenti. Non so perché, ma non ne sono pienamente convinta… che sia troppo perfezionista?
Povero Brian, insonne per colpa degli incubi di Aidan! XD Chissà se Alyssa lo aiuterà a dormire sonni tranquilli…
Robert non è cambiato di una virgola: resta il solito stronzetto (mi riferisco a come tratta Maggie nel cap. 22 di “Dr. Irving M.D.”), e non renderà la vita facile alla nuova arrivata. D’altronde, pure lei è parecchio stronza, per cui sarà uno scontro tra titani! Staremo a vedere chi prevarrà… ;-)
Franz e Faith sono parecchio sotto stress, e questo si riflette sulle loro liti, che hanno raggiunto una quota da record. Fortuna che sanno come fare pace…  Il mio è un giudizio parziale, ma li adoro, sono perfetti insieme!
Informazioni di servizio: l’ecchimosi è il nome medico del cosiddetto livido, il Betadine è un disinfettante comunemente usato in ospedale e Brenner e Meigs sono i nomi di due malattie ginecologiche (Tumore di Brenner e Sindrome di Meigs, rispettivamente). Consideratelo un piccolo vezzo da futura dottoressa! ;-)
Se volete vedere i miei personaggi e la camera che ha fatto impazzire Faith, date un’occhiata ai miei album: https://www.facebook.com/francy.iann/photos_albums
Piccola anticipazione: nel prossimo capitolo… grande soirée a casa Cartridge! ;-)
Au revoir!
Serpentina
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** A little hesitation ***


Salve (salvino XD)! Prima di lasciarvi al capitolo, devo sommergere di ringraziamenti tutti i lettori “nell’ombra”, Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92, elev e soulscript, che hanno recensito, Giulllie, golightly e Toffee, che seguono la storia, e Hanna Lewis e Natalie Gjoka, che la preferiscono. LOL (Lots Of Love)!! ^^
 
A little hesitation

Esitare va benissimo, se poi fai quello che devi fare.
Bertold Brecht

Che lo desideriamo o meno, quando cambiamo casa è normale provare un senso di smarrimento, un velo di tristezza, e ripercorrere i ricordi che ci legano al luogo che stiamo per lasciare.
Faith non faceva eccezione: mentre girovagava tra le quattro mura ormai spoglie dei suoi averi, le sfuggì un sospiro nostalgico e prese a canticchiare ‘The final countdown’.
“We’re leaving together, but still it’s farewell… Will things ever be the same again?”
–Oh, insomma, quanto ancora ti ci vuole per dire addio a questa casa?- le chiese Franz, in piedi a braccia conserte sull’uscio. –Ci stai mettendo un’eternità! Non ci avrai ripensato!
–Neanche per sogno! Ho semplicemente bisogno di… accomiatarmi. Per te è stato facile: non sai cosa significhi abitare otto anni nello stesso posto!- ribatté Faith, seccata: possibile che, dall’alto della sua indubbia intelligenza, quel testone non capisse cosa stava provando in quel momento? Quel luogo era stato teatro di alcuni degli avvenimenti più importanti della sua vita: tra quelle mura aveva riso e pianto, aveva trovato la sua strada, aveva fatto l’amore con Cyril, prima, e Franz, poi, per la prima volta - la prima di molte - e aveva ricevuto la proposta per antonomasia, con tanto di anello nascosto in un biscotto della fortuna (si era quasi rotta un dente, è vero, ma almeno poteva vantarsi di essere una delle poche ad aver sentito chiedere la propria mano semi-sdraiata sulla sedia del dentista!).
–Non è vero- obiettò lui. –Ho vissuto diciotto anni nella stessa casa: quella di mamma e papà!
–Venduta dopo il divorzio- puntualizzò lei, pentendosene subito: sebbene dichiarasse il contrario, la fine del matrimonio dei genitori aveva lasciato una ferita insanabile in Franz.
–Motivo in più per non volerla più vedere- sibilò freddamente Weil, quindi aggiunse, prima di lasciarla sola –Io vado in macchina. Tu fai tutti i giri che vuoi, ma spicciati, se ti è possibile.
Non appena fu fuori portata d’orecchie, la gatta fece le fusa in una felina dimostrazione di affetto e comprensione; Faith la accarezzò ed esalò, scuotendo stancamente il capo –Questa è la vita, Agatha. I maschi sono fatti così: male! Probabilmente è colpa del cromosoma Y: dai portatori di un X monco non puoi aspettarti che la profondità di una pozzanghera!
La gatta miagolò il proprio assenso, strusciandosi contro le gambe della padrona, la quale non tardò a concludere quella sorta di saluto rituale alla casa, infilare a forza nel trasportino il felino ribelle e recuperare qualcosa di cui Franz non sarebbe mai dovuto venire a conoscenza.
“It’s the final countdown! We’re leaving together! The final countdown!”

 
***

L’essere stato costretto da Maggie Bell a chiedere scusa alla Meigs aveva affossato i bollenti spiriti di Robert, nonostante continuasse, nei più profondi recessi del suo animo, a desiderare di mettere al tappeto l’odiosa donna. Gli era costato molta fatica ammettere che la Bell aveva ragione, e se voleva conservare il posto al Queen Victoria Hospital avrebbe fatto meglio a sfogare altrove la frustrazione; si stava dunque impegnando ad ignorare la collega, e tutto sarebbe filato liscio se il primario non lo avesse ostacolato in tal senso, accoppiandoli nei giri in corsia e in sala operatoria.
–Formate una grande duo!- ripeteva loro in continuazione. Se soltanto si fosse accorto delle occhiate assassine che si lanciavano a vicenda i suoi pupilli, forse avrebbe evitato di obbligarli a lavorare gomito a gomito, specialmente in una stanza dotata di bisturi e altre potenziali armi improprie.
Pur aborrendo l’idea di ritrovarsi di nuovo faccia a faccia con lei, Robert, alla fine del turno, si diresse con passo deciso verso l’ufficio della Meigs, un tempo suo: la “vacca arrivista” aveva osato modificare la terapia di una paziente che lui seguiva da due anni. Non avrebbe tollerato un tale affronto, non senza lottare.
“Lurida stronza! Pagherà anche questo! Non so in quale sacchetto di patatine quella vacca abbia trovato la laurea, ma seguo Jane Carr da due anni, non le permetterò di intromettersi!”, pensava.
Intuì che necessitava di calmarsi prima di entrare, se non voleva provocare un altro incidente diplomatico, per cui fermò la mano a mezz’aria e respirò a lungo e profondamente, come consigliava sua madre, guru del training autogeno.
Quando finalmente riuscì a superare l’esitazione, entrò senza bussare; non l’avesse fatto, si sarebbe evitato un forte imbarazzo e patetiche scuse balbettate a mezza voce per aver interrotto un momento di intimità tra la collega e il primario, che era arrossito a sua volta e aveva malamente tentato di pulire le macchie di rossetto, col solo risultato di colorarsi la bocca come un clown.
Lo squillare insistente del cellulare di Brenner fece scemare la tensione; l’uomo corse via per rispondere alla telefonata di sua moglie, mentre Robert, rimasto impalato sulla soglia, curvò le labbra in un sorriso stiracchiato e salutò la Meigs come se nulla fosse accaduto.
–Buonasera.
Lei emise uno sbuffo derisorio e rispose –Ho visto te, Patterson, non può essere una buona serata!
L'acrimonia di quelle parole non lo colpì, c’era abituato, per cui andò dritto al nocciolo della questione. –Nemmeno la mia, esimia collega, finché non mi spiegherai come ti sei permessa di cambiare la terapia a Jane Carr!
–Non l’ho cambiata- replicò con esagerata faccia tosta la donna. –Assumeva contraccettivi orali, e le ho prescritto contraccettivi orali.
–Sì, ma di un tipo diverso, che non si concilia con gli altri suoi problemi di salute!- ululò Robert, fuori di sé, dando inizio all’incontro di lotta verbale.
–Aspetta, chiariamoci: stai parlando della policistosi ovarica?
–Sto parlando di Jane Carr- puntualizzò Robert, nuovamente sul piede di guerra.
–La policistosi ovarica- ripeté la Meigs.
–La paziente affetta da policistosi ovarica- ribatté Robert.
–E’ lo stesso- osservò la Meigs.
–No, non lo è- la contraddisse Robert. –Ma tanto non puoi capire.
–Bando ai sentimentalismi, Patterson, non ho tempo da perdere con sottigliezze buoniste!- sbottò la Meigs. –Se proprio ci tieni la farò tornare alla vecchia terapia… per quanto sia convinta che la mia scelta fosse nettamente migliore. Ora, però, se permetti, vorrei fregarmene altamente dei pazienti e godermi una splendida serata, alla faccia di chi mangerà da solo un misero pasto precotto davanti alla tv. Pete mi porta fuori a cena, sai? All’ ‘Atelier de Joel Robuchon’.
Apprendere che la sua acerrima nemica avrebbe consumato un pasto luculliano in uno dei migliori ( e più costosi) ristoranti stellati della città irritò Robert a dismisura; felice di aver vinto la battaglia, ma bramoso di infliggere un’ulteriore ferita all’avversaria, le si avvicinò, tanto da far toccare le punte dei loro nasi, e ringhiò –Spero ti vada di traverso.
Il ritorno di Brenner stroncò sul nascere quella che sarebbe senz’altro stata una lite coi fiocchi, e Robert fu ben lieto di abbandonare il campo di battaglia, stavolta da vincitore.
 
***
 
Traslocare è stancante, forse più che sistemare i mobili nuovi. Faith, asciugandosi il sudore dalla fronte con l’avambraccio, rivolse un sorriso di incoraggiamento al suo fidanzato, che la stava aiutando a portare su gli scatoloni. Avevano concordato di procedere per gradi: man mano che ogni stanza fosse stata pronta l’avrebbero arredata e riempita con i loro averi. La prima, per espresso desiderio di Franz, era stata la camera da letto, dipinta di un rilassante verde pastello che metteva in evidenza il mobilio bianco.
La Irving era riuscita a esaudire il suo desiderio: la camera era proprio quella che l’aveva fatta innamorare, con due librerie a muro e uno splendido angolo lettura che affacciava sul viale alberato. Il solo pensiero delle ore liete che avrebbe trascorso a leggere e osservare i passanti la ripagava di ogni sforzo, e costringeva di volta in volta Franz a interrompere la contemplazione, rimproverandola di battere la fiacca.
Mentre salivano l’ultima rampa di scale - maledicendo le ridotte dimensioni dell’ascensore, che avevano reso materialmente impossibile caricare le loro cose - Faith si accorse che lo sguardo di Franz andava posandosi su qualcosa di diverso dai gradini, quindi lo redarguì con dolcezza.
–So che nutri una passione viscerale per le “bambine”, ma sarebbe il caso guardassi dove metti i piedi!
–Non stavo affatto guardand… oh, va bene: sì, mi stavo beando della vista dell’ottava e nona meraviglia del mondo, ma non è colpa mia se la tua canotta offre il panorama del grand canyon!
Faith, in tenuta da trasloco - ossia vecchi jeans logori e canotta nera molto scollata - scoppiò a ridere, e rispose –Pensa a non capitombolare, piuttosto!
Franz annuì, raggiunsero finalmente l’appartamento e posarono a terra il pesante fardello. Nonostante la tentazione di prendersi una pausa fosse forte, si scambiarono un cenno di intesa e si avviarono alla porta; trovarono ad attenderli il comitato di benvenuto del condominio, formato dagli anziani Farmer, un’arzilla vedova, Mrs. Cooley - che alla coppia ricordò in maniera impressionante Mrs. Norris, una vecchia impicciona di loro conoscenza- e una famigliola di quattro persone, i Morley, la cui figlia minore, di quindici anni, salutò con particolare entusiasmo Franz, sbattendo più volte nella sua direzione le ciglia appesantite da troppo mascara. Faith la fulminò con un’occhiataccia talmente raggelante che la ragazzina, accampando il pretesto dei compiti, corse a rintanarsi in casa.
Una volta rimasti nuovamente da soli, Franz ridacchiò –Speriamo che i nuovi vicini non siano come le Parche!
Faith, al pensiero delle tre vecchiette ficcanaso che tenevano sotto scacco il palazzo dove abitava in precedenza, contrasse i lineamenti in un’espressione disgustata, e annuì.
–Speriamo di no!
–Hai sentito il vecchio Farmer? Ha detto che “sembriamo persone a modo”. Sembriamo, tsk! Siamo persone a modo! Un po’ strane, forse, ma molto a modo- sbottò Franz arricciando il naso con fare altezzoso.
–Che ti importa? Dai, sbrighiamoci a portare su dell’altra roba, prima che qualche altro condomino curioso venga a romperci le scatole!
–Qualcuno come Jocelyn Morley?- chiese lui, sorridendo maliziosamente. –Ci sei andata giù pesante con quella poveretta!
–Poveretta un corno!- sbraitò la Irving, brandendo uno dei suoi libri. –Quella è una tro… ta con più imbottitura nel reggiseno che materia cerebrale!
Franz rabbrividì e non osò contraddirla: ‘It’, date le dimensioni, si poteva considerare un vero e proprio corpo contundente, e non desiderava un incontro ravvicinato tra il tomo e la sua testa.
–Appunto per questo tu, adulta e dotata di un considerevole cervello, dovresti lasciarla stare: è soltanto una ragazzina!
–Da come si concia, non si direbbe- cinguettò in tono falsamente dolce Faith. –Prima che me lo rinfacci: so che i tempi cambiano, che i ragazzini oggi non rimangono tali molto a lungo, ma non è una buona ragione per giustificare il comportamento di quella gattamorta! Stava flirtando con te! Davanti a me! Se la pesco di nuovo in flagrante, faccio a pezzi i poster dei suoi idoli e li do da mangiare al suo cane!
–Povera bestia! Perché coinvolgere un innocente? Comunque, non sarà necessario- asserì Franz, le si avvicinò e le massaggiò le spalle. –Alla piccola Jocelyn manca una qualità fondamentale per potermi anche solo lontanamente interessare.
–La maggiore età?- scherzò Faith.
–Essere te- mormorò maliziosamente lui, prima di baciarla.
Lei non poté non cedere; rispose al bacio con entusiasmo e, quando si separarono per riprendere fiato, esalò –Ho un’idea: e se sospendessimo momentaneamente il trasporto degli scatoloni per dedicarci ad un’attività più riposante? Che so… ispezionare il materasso?
–Mi hai letto nel pensiero, donna!
–Mi raccomando, un’ispezione approfondita- sussurrò Faith. –Molto approfondita…
–Naturalmente. Esplorare il Grand Canyon richiederà un bel po’ di tempo…
–Lo spero, altrimenti dovrò preoccuparmi!
–Osi mettere in dubbio le mie doti? Espierai la tua impertinenza… col solletico!- esclamò Franz, dando il via a un gioco di inseguimenti che terminò in camera da letto, dove la braccò e, tra baci, solletico e risate, “ispezionarono il materasso”, entrambi pungolati dalla sensazione di aver dimenticato qualcosa di importante.
 
***
 
–Aspetta, sul serio hai beccato Brenner e la Meigs che…?- chiese in un sussurro Chris Hale, mimando l’atto con vigorosi (e altrettanto ridicoli) movimenti pelvici.
–Sì, e dubito che riuscirò a togliermi questa brutta immagine dalla mente. Dio, che imbarazzo!- confermò Robert Patterson, ricevendo, al posto delle attese pacche confortanti, sonore risate.
–Oddio, troppo divertente!- esalò Harry James, togliendosi gli occhiali per asciugarsi le lacrime provocate dal troppo ridere. –Pagherei per assistere alla scena, la tua faccia dev’essere stata uno spasso!
–Begli amici siete! Grazie!- gnaulò Robert, coprendosi il viso con le mani quando passò loro davanti proprio Brenner, al volante della sua Audi fresca di concessionario.
Al passaggio del veicolo, Harry fischiò, in segno di apprezzamento, e commentò –Accidenti, che macchinone! Guarda la carrozzeria! Certo che il tuo capo guadagna bene!
–Non più di altri primari. E’ sua moglie quella con i soldi- spiegò Robert. –Motivo per cui non la lascerà mai per la Meigs.
–E la Meigs non protesta? Di solito le scappatelle escono fuori o perché lui si pente e confessa, oppure perché l’amante, stanco di rimanere nell’ombra, spiffera tutto- asserì saggiamente Harry.
–Perché mai dovrebbe protestare?- intervenne Chris, storcendo il naso alla vista di una macchia di dubbia natura sulla camicia immacolata. –Ti pare che una del genere stia con Brenner - che si mantiene bene, per carità, ma non è certo un modello - per amore? E’ ovvio che lo sopporta solamente per facilitarsi la carriera! Oltretutto si sa che chi guida un’Audi deve compensare certe… deficienze, non so se mi spiego…
–Ehm… veramente no.
Chris arrossì e abbassò il volume della voce.
–I guidatori di Audi, notoriamente… ce l’hanno piccolo. Chiaro, adesso, o devo farvi un disegnino?
I tre si scambiarono sguardi complici, dopodiché scoppiarono a ridere, incuranti di apparire fuori luogo.
L’ilarità finì quando una voce femminile fin troppo familiare soffiò –Non c’è niente da ridere: purtroppo per me, Hale ha colto nel segno. Vi dirò di più: so per esperienza che i guidatori di Mercedes sono tipi precoci, non so se mi spiego…
–Ehm… veramente no.
–Ci mettono poco a venire. Chiaro, adesso, o devo diventare volgare?
Calò un silenzio carico di nervosismo, e Robert ne approfittò per osservare attentamente la dottoressa Meigs; quella sera indossava un elegante vestito rosso, che ne fasciava sapientemente le curve e lasciava la schiena seminuda. “Brenner è un fortunato bastardo”, pensò, prima di ricordare che dietro quella facciata angelica si celava una serpe velenosa.
Pensò di tentare di accattivarsi le sue simpatie con della sana adulazione; scelse di complimentarsi con lei per il look, ma la sua bocca articolò una frase un po' diversa: invece di “Bel vestito”, gli scappò detto –Bel culo!
“Merda! Vestito, dovevo dire! Che bel vestito!”, si maledisse mentalmente, immobile in attesa che la collega gli sputasse contro altro veleno, come infatti accadde.
La rossa replicò acida –Grazie, è fatto apposta perché gli uomini non mi guardino in faccia!- e Patterson, che in effetti non stava guardando da tutt’altra parte, arrossì e, infastidito dalla fuga repentina di Harry e Chris, adottò una tipica strategia maschile: negare l'evidenza. Ribatté –Ti stavo guardando in faccia!
–Ripassa l’anatomia, Patty- sibilò. –La faccia è quassù.
Era sul punto di replicare con altrettanto astio, quando lo colpì una constatazione.
–Brenner è già andato via… perché non sei con lui?
–Mai sentito parlare di discrezione? Pete, ufficialmente, è sposato- gli fece notare la Meigs.
–A chi vuoi darla a bere? Avete praticamente affisso i manifesti! Lo sanno tutti, forse persino sua moglie!- sbuffò Robert, irritato da quell’offesa alla sua intelligenza. La donna aprì la bocca per ribattere, ma, in mancanza di valide argomentazioni, la richiuse quasi subito. –Se non vuoi dirmi come mai sei qui tutta sola, invece che a sorseggiare vino francese in un ristorante di lusso, va bene, non me ne può fregare di meno della tua vita privata, ma almeno fammi il favore di considerarmi un essere intelligente, cazzo!
Lei incrociò le braccia sotto il seno, alzò gli occhi al cielo, emise un sospiro scocciato e chiese –Hai finito?
–Sì. Buonanotte.
–Sua moglie sta male. Di nuovo. E’ corso a casa, non ha potuto non farlo, o si sarebbe insospettita- sospirò la Meigs, guardandolo con rispetto per la prima volta da quando si conoscevano. –Una prenotazione da ‘Atelier de Joel Robuchon’ sprecata!
–Davvero ti importa solo di questo?- latrò Robert.
–Non penserai che stia in pena per la moglie dell’uomo con cui vado a letto!- rispose lei. –Se c’è qualcuno da compatire, sono io: hai idea di cosa significhi vivere nell’incertezza? Attendere fino all’ultimo prima di cantare vittoria, perché in qualunque momento quella racchia malaticcia può rompermi le scatole?
–Sei l’ultima persona al mondo che compatirei- sputò Robert, acido. –Sei bella e intraprendente, e le donne belle e intraprendenti non restano mai senza risorse.
Fece per andarsene, ma la collega lo bloccò, afferrandolo per un braccio.
–Patterson, aspetta!
–Che altro c’è, adesso?
La rossa poggiò una mano sulla sua spalla, l’altra sul torace, avvicinò la bocca al suo orecchio e sussurrò –Hai ragione: una donna come me ottiene sempre ciò che vuole… e sa ricompensare adeguatamente chi glielo dà.
Robert comprese che gli stava proponendo un accordo, e sul suo volto apparve un sogghigno.
–Cosa vuoi che faccia?
–Cosa sei disposto a fare?- gli chiese.
Lo scellerato rispose.
 
 
***
 
Faith e Franz raggiunsero in leggero ritardo casa Cartridge, dov’erano attesi per cena, rifilando alla padrona di casa la scusa sempreverde del traffico. Vennero accolti da Abigail, radiosa nell’ampio vestito rosa che avvolgeva dolcemente le curve regalatele dalla seconda gravidanza. Si complimentò con l’amica per l’abito scelto - un modello corto, verde petrolio, con un fiocco in vita e la parte superiore del corpetto e le maniche traforate - tentò invano di abbracciarla, nonostante il pancione, infine condusse gli ospiti nel salone (molto “one”), dove stavano pasteggiando a champagne il padrone di casa, Ben Cartridge, suo fratello Brian, che salutò con un abbraccio Faith (Weil socchiuse gli occhi e ringhiò minacciosamente) e con un lieve cenno del capo Franz, e Adam Cartridge, loro cugino di primo grado.
Poco dopo venne annunciata la cena, e comparvero due piccoli cicloni urlanti, così simili che gli estranei li prendevano per fratelli, anziché cugini. In effetti, essendo entrambi biondi e con gli occhi chiari, a una prima occhiata potevano apparire quasi uguali, sebbene una seconda bastasse a smentire quell’impressione. Kaori Cartridge, cinque anni, primogenita di Abby e Ben, era, per usare le parole di Faith, “un calcio in culo alle leggi di Mendel”: in barba ai geni materni, era la copia sputata della nonna paterna, Heather Miller in Cartridge. Aidan James, invece, di quattro anni, figlio di Brian, aveva i capelli di un biondo più scuro, e gli occhi di un blu intenso; a parte questo, però, sembrava il padre in miniatura. La vicinanza di età portava i bambini a giocare spesso insieme, e l’affinità caratteriale rendeva quei momenti piacevoli. Si presentarono al cospetto di parenti e ospiti con un aspetto a dir poco selvaggio, che provocò lo sconcerto di Abigail; allibita, esclamò –Kaori, che hai combinato? Hai sgualcito il tuo bel vestitino! Che disastro!
–Per difendere Asgard dai perfidi Giganti, questo e altro!- rispose lei, serafica, per poi fiondarsi a fare il pieno di coccole e complimenti da Faith, mentre Aidan riceveva una bella lavata di capo dal padre sul fatto che non si faceva a botte, neanche per gioco, e che con il nuovo cuginetto non avrebbe mai e poi mai dovuto comportarsi così; allora Kaori aggiunse, rancorosa –Invece deve, perché è un intruso! Chi gli ha chiesto al fratellino di nascere? Io non lo volevo, non lo voglio manco adesso! Io voglio un cane!
–Stammi bene a sentire, signorinella…
Abigail, sul punto di rimproverare aspramente la figlia, venne bloccata da Brian, che alzò una mano, ad indicarle di tacere, e disse, nel tono autorevole che Ben lo aveva sentito usare durante le contrattazioni –Kaori, vieni qui- la biondina, intuendo che non era il caso di contraddirlo, obbedì. Lo zio la prese in braccio e aggiunse –Mi deludi, piccola! Ti credevo una vera Cartridge, un'affarista!
–Lo sono, zio!
–Stai dimostrando il contrario. Se avessi fiuto per gli affari, capiresti quanto sei fortunata ad avere un  fratellino.
–Ah, sì?- chiese lei interessata.
Brian annuì e rispose –Vedi, un cane non è solamente un affettuoso compagno di giochi, comporta dei doveri, perché non è un giocattolo, ma un essere vivente che va accudito; ora, siccome sarebbe il tuo cane, dovresti occupartene tu, e posso assicurarti che è impegnativo. Invece del fratellino se ne occuperanno mamma e papà, tu dovrai solo giocarci. Conveniente, no?
Franz emise uno sbuffo scettico, che gli costò un calcio negli stinchi da parte di Faith, alla quale bisbigliò –Cartridge sarà pure un vanesio playboy da strapazzo, e ha appena sparato una stronzata grossa quanto Buckingham Palace, ma ci sa fare coi mocciosi!
Kaori ponderò la questione, quindi dichiarò –E va bene, mi tengo il fratellino, o sorellina… però voglio anche il cane!
–Questo è parlare da donna d’affari, nipote!- la complimentò Brian, per poi invitarla a sedersi al suo posto. –Quando vorrai, zio Brian ti porterà a scegliere un bel cagnolino!
–Piccolo e docile, possibilmente- sibilò Abigail, che nutriva per i cani una paura direttamente proporzionale alla taglia.
Con somma sorpresa dei presenti, la bimba rifiutò l’offerta.
–Grazie, ma mi porta lo zio Adam. Vero, zio?
–Ehm, sicuro. Qualunque cosa per te, principessa!
Brian, stupito, scosse la testa e chiese –Non per sembrare geloso, ma… come mai proprio lo zio Adam?
Kaori assunse un’espressione furbesca assai poco rassicurante, e rispose candidamente –Lui lo sa!
Aidan, seduto accanto a lei, mentre giocherellava con le verdure nel piatto, domandò –Posso averlo anche io, papà?
–Un cane? Certamente!
–No, un fratellino!
Calò un silenzio di tomba, rotto soltanto dal tintinnio delle posate lasciate cadere nei piatti dai commensali basiti, i quali si volsero immediatamente verso Brian, intento a scervellarsi alla ricerca di un modo per spiegare a suo figlio il motivo per cui non avrebbe potuto accontentarlo, senza addentrarsi nel terreno minato di “come nascono i bambini”.
–Ehm, purtroppo, AJ, al momento un fratellino è fuori discussione. Se, però, hai qualche altra richiesta più ragionevole…
–Un telescopio!- trillò Aidan. –Non grosso come quello di Alyssa, perché non mi entra nella mia cameretta..
–Non entrerebbe nella mia cameretta, AJ, senza “mi”- lo corresse il padre.
–Sì, insomma, non uno enorme… uno piccolo, per guardare le stelle e la Luna, che, ora lo so, non ci può spiaccicare.
–Schiacciare, AJ. Schiacciare- sospirò Brian. –Comunque d’accordo, vada per il telescopio.
–Grazie papà- rispose il pargolo sorridente, per poi confessare alla cugina, in tono cospiratorio –Io in realtà non lo voglio un fratellino, ma ho convinto papà, e ora sicuro mi compra il mio telescopio!
 
***

–Toglimi una curiosità, Adam: cosa c’è dietro a questa inspiegabile richiesta?
–Quale?
–Con tutto il dovuto rispetto… se Kaori ha chiesto a te ti accompagnarla a prendere un cane, significa che ha qualcosa in mente.
–Oh, Brian, non essere geloso!- celiò Adam. –Sei sempre stato lo zio preferito, puoi permetterti di lasciarmi la scena, tanto per cambiare!
Brian scosse il capo e rispose –Non mi freghi. Kaori era troppo trionfante, troppo sicura che avresti accettato… come se sapesse di averti in pugno. Non sarai in debito con una bambina di cinque anni!
–Diabolica ricattatrice, altro che bambina!- sbottò Adam, pentendosene quando era tardi per rimangiarsi quell’affermazione. Si morse il labbro inferiore e confessò –Ok, lo ammetto: la marmocchia ha visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. Il cane è..
–Il prezzo del suo silenzio?- esalò Brian, esterrefatto. –Bella lezione di vita da dare a una bambina, complimenti!
–In mia difesa posso solo dire che Kaori ne sa una più del diavolo. Pensa che mi ha detto: “Il silenzio è d’oro, zio, non puoi avere il mio gratis”.
–Le ho insegnato troppo bene- chiocciò Brian, orgoglioso. –Non ti chiedo cosa hai combinato perché rispetto la tua privacy, ma spero che non corromperai più uno dei tuoi nipoti per coprire i tuoi errori.
–Lo giuro sulla vita dei miei figli- asserì Adam con aria contrita.
–Tu non hai figli!
–Potrei averli, un giorno- replicò lui, esibendo un accattivante sorriso a trentadue denti, dopodiché, sbadigliando, si ritirò nella sua stanza.
Brian, ridacchiando per la faccia tosta di suo cugino, impiegò diversi secondi ad accorgersi del cellulare che vibrava. Sorpreso dall’identità del chiamante, rispose senza indugio.
–Alyssa! Ciao!
–Cartridge, pezzo di cretino, ti sei bevuto il cervello?
–Se ti riferisci alla volta in cui ti abbandonai in campagna completamente sola…
–Mi riferisco alla verdura assassina che mi hai mandato!- sbraitò lei, chiaramente in collera.
Brian boccheggiò, allibito.
–V-verdura a-assassina? Ti ho mandato dei fiori, per…
–Mandarmi al Pronto Soccorso!- ruggì Alyssa. –Sono allergica al polline, imbecille!
Terribilmente imbarazzato, Brian balbettò qualche smozzicata parola di scuse, dandosi dell’idiota per aver dimenticato quel dettaglio.
–I-Io…
–E’ inutile che piagnucoli, non me ne faccio un accidenti delle tue scuse del cavolo! Avrei dovuto immaginare che di me ricordavi soltanto il numero di telefono e la taglia di reggiseno!
“Terza, coppa doppia C. Impossibile dimenticarlo, ma è meglio che tenga la bocca chiusa.”
–I-Io… n-non so cosa dire…
–Prometti che starai alla larga da me. Vedi, l’allergia non è stata l’unico guaio che hanno provocato i tuoi dannatissimi fiori: mio marito li ha visti, ha letto il biglietto e, conoscendo la tua fama, ha tratto le conclusioni sbagliate!
A quel punto Brian recuperò la grinta e rispose a tono.
–Non è colpa mia se hai sposato un decerebrato.
–Non ti permettere di insultare mio marito!- barrì Alyssa. –Chiunque avrebbe frainteso una frase ambigua come “Grazie per essere stata così disponibile”, specie se l’autore è uno che cambia donna con la stessa frequenza con cui la gente normale si cambia le mutande!
–Tutta invidia, la tua! Chiunque vorrebbe essere al mio posto!- ribatté Brian.
–Soltanto per rendersi conto di quanto stava meglio prima. La tua vita è una gabbia dorata: scintillante, ma piena di vuoti. Guarda in faccia la realtà: non hai rapporti umani autentici, se non fossi Brian Cartridge nessuno ti sopporterebbe, escluso forse Aidan… ma sai che non durerà: una volta adolescente capirà cosa comporta essere tuo figlio, e ti detesterà anche lui.
–Non è vero!
–Chi sono io per disilluderti?
–Taci, strega!- ululò Brian, per poi lanciare il telefono contro il muro, accecato dalla rabbia. Sentiva ogni centimetro di pelle bruciargli, e una dolorosa stretta al cuore. Nonostante gli sforzi di reprimerla, una voce interiore gli ripeteva quanto Alyssa avesse ragione, acuendo il malessere.
Brian era cresciuto con la convinzione che qualsiasi cosa andasse guadagnata, compreso l’affetto di familiari e amici; l’unico suo punto fermo, l’unico del cui amore incondizionato non avrebbe mai dubitato, era Aidan, e sentirsi dire che un giorno perfino lui lo avrebbe odiato l’aveva mandato in crisi.
Era ancora seduto sul divano, con la testa tra le mani, quando avvertì un tocco delicato sul braccio. Si girò e vide suo figlio, in piedi di fronte a lui, con un libro in mano.
–Sei triste, papà?
–Cosa? No, no, papà è soltanto stanco.
–A me mi sembri triste- lo contraddisse il bambino, poi, inaspettatamente, posò il libro sul divano e abbracciò Brian, che lo strinse forte a sé, quasi avesse paura potesse scappare. Poco dopo, il piccolo gli chiese –Va meglio?
–Molto meglio- rispose lui, cullandolo. –Grazie.
–Per cosa?
–Questo.
Aidan gli diede un bacino sulla guancia.
–Sei il mio papà e ti voglio bene. Voglio che sorridi, ok?
–Ok- disse Brian, si staccò a malincuore da lui e aggiunse, con un mezzo sorriso –Allora, cosa leggiamo stasera?
 
Nota dell’autrice:
Parto dal finale, stavolta; l’inserimento di questa scena… oserei dire fluffosa è stato una decisione estemporanea: cercavo una chiusura che non fosse spoilerosa o stupida, e mi è venuto in mente di concludere il capitolo con un momento di dolcezza padre-figlio. Se non vi è piaciuto potete lamentarvi, accetto le critiche costruttive (gli insulti no, a quelli applico la legge del taglione), secondo me aiutano a migliorare. Meglio una critica sincera che un falso complimento. ^^
Ho riservato un bel trattamento a Robert, non credete? Ha mandato a quel paese la Meigs (se volete vedere il suo vestito: qui), ma presto la situazione subirà una svolta… ;-)
In ultimo, F&F. Ormai hanno traslocato e hanno iniziato la loro nuova vita insieme… nel migliore dei modi: ispezionando il materasso! XD
Nel prossimo capitolo, vi anticipo, Kaori troverà il cane della sua vita e Adam incasinerà la sua.
Au revoir!
Serpentina
PS: la storia delle ridotte dimensioni dell’arnese di chi guida un’Audi e della scarsa resistenza di chi guida una Mercedes è una leggenda metropolitana che mi ha raccontato un amico, perciò eventuali possessori di un’auto dei suddetti modelli, o ragazze impegnate con uno di essi, rideteci su oppure mandatemi dove volete, ma in privato. Grazie.
PPS: la sindrome dell’ovaio policistico e il ristorante ‘Atelier de Joel Robuchon’ esistono veramente. Per informazioni, visitate Wikipedia.
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il passato non muore mai ***


 
Per James Bond è il domani a non morire mai, ma cos’è il domani se non il ieri di dopodomani? XD
Scusate lo sclero, ogni tanto mi perdo in strane riflessioni… meglio che vi lasci al capitolo, dopo aver ringraziato le “onnirecensenti” Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92, che hanno recensito,  Lady_Cassandra, che ha recensito e segue la storia, e abracadabra, Akiram_len, Free_Yourself, gnometta19, lilly_13, loryl84, Marty_0202, Purplejay, t3s0r4, che pure la seguono. ^^
 
Il passato non muore mai
 
Ogni santo ha un passato, mentre ogni peccatore ha un futuro. 
Oscar Wilde

 
Cornelia Bishop, detta Connie, venne destata da un raggio di sole che la colpì in pieno viso. Infastidita dalla luce schermò gli occhi con la mano e si coprì la bocca con l’altra per impedirsi di emettere qualsiasi suono, quando si accorse di trovarsi in un letto non suo, col braccio di un secondo occupante a cingerle possessivamente la vita.
Fece mente locale e rammentò gli avvenimenti della notte precedente: Keith Allen, figlio del suo editore - nonché coinquilino e fidanzato ufficiale - al termine di un’accesa discussione l’aveva spedita da Kyle Riley, il grafico che stava curando la copertina della sua ultima opera; dopo tanto blaterare di lavoro avevano bevuto qualche drink per festeggiare l’imminente lancio del libro… e a quanto pare i festeggiamenti erano proseguiti in camera da letto.
A differenza del resto, ricordava nitidamente i particolari a luci rosse: ogni carezza, bacio, gemito.. tutto. Ed erano ricordi estremamente piacevoli. Con Keith non aveva mai provato sensazioni così avvolgenti, totalizzanti, né un così prepotente desiderio di averne ancora. Come avrebbe potuto? Keith era stato il suo primo ragazzo, e, nonostante l’impegno, non possedeva certo l’esperienza di Kyle, di cinque anni più vecchio e parecchio più navigato.
Il suo primo pensiero fu come andarsene da lì senza svegliarlo. Non avrebbe certo prolungato l’agonia aspettando un invito forzato a fermarsi per colazione, consumata con la triste consapevolezza che l’altro non vedeva l’ora sparisse per fare spazio alla prossima conquista. Nessun sogno romantico, nessun senso di colpa. Perché mai avrebbe dovuto? Conosceva Kyle, sapeva che non era tipo da resistere a lungo con la stessa donna, e Keith aveva il suo svago, Hailey, un’arma da usare contro di lui nel caso si fosse lamentato. Per citare Cassie Bloom, la protagonista dei suoi libri: “l’unica maniera per non rendersi ricattabili è condurre una vita mortalmente noiosa”.
Lentamente, trattenendo il respiro, Connie spostò il braccio dell’uomo, scostò le lenzuola, si alzò e si avviò a passo di bradipo verso la porta.
Si rivestì silenziosamente in bagno, raggiunse l’ingresso con passo felpato e lasciò l’appartamento così, senza un biglietto, né una spiegazione.
Quelle che avrebbe dovuto fornire a Keith bastavano e avanzavano.
 
***
 
Adam Cartridge ricambiò il radioso sorriso di sua nipote Kaori, eccitatissima all’idea di poter finalmente realizzare il suo sogno - avere un cane - molto meno per l’inizio della scuola. Nonostante le ripetute insistenze, infatti, i suoi genitori, Ben e Abigail, avevano rimandato l’aggiunta al nucleo familiare di un amico a quattro zampe alla fine dell’estate, in modo da non essere costretti a cambiare programmi per le vacanze per adattarsi alle esigenze dell’animale.
–Papà dice che le persone di successo sono organizzate, quindi ho fatto un programma: ora prendiamo il cane, poi festeggiamo con un gelato goloso e poi andiamo a comprare lo zaino e la roba per la scuola. Ti va bene?
–Benissimo, e complimenti per lo spirito organizzativo- rispose lui, divertito e anche un po’ emozionato: sembrava ieri che Kaori era uno scricciolo infagottato in una tutina rosa troppo grande, invece aveva compiuto sei anni e la settimana seguente avrebbe cominciato le elementari. “Il tempo passa troppo in fretta per i miei gusti”, pensò, rivolgendo un sorriso amorevole alla biondina sul sedile del passeggero.
–Il gelato te lo pago io, zio- asserì Kaori, assumendo un’aria incredibilmente adulta per la sua età. –Cioè, papà mi ha dato i soldi, ma lo offro io. Ti porto alla gelateria preferita mia e di AJ. Ti piacerà!
–Non vedo l’ora, principessa! Adesso, però, pensiamo al cucciolo: sei già orientata su qualche razza in particolare, oppure andrai a caso?
–Vado a naso- rispose lei scrollando le spalle. –Tanto ho un fiuto pazzesco!
–Siccome non sei snob come la tua mamma - ma tu shh! Non dirglielo! - non prenderemo un cane spocchioso col pedigree. Ho pensato che potremmo dare una casa e tanto amore a uno del canile. Che ne dici?
–Ok- annuì la bimba e, non appena suo zio ebbe parcheggiato, corse suonò il clacson per sfizio e saltò giù dalla macchina, per poi bloccarsi: non aveva la minima idea di dove andare.
Adam la raggiunse ed insieme si diressero al canile. Non fece in tempo a chiedere di vedere i cani che una voce familiare esclamò –Adam! Che bello rivederti!- e, senza dargli tempo di aprir bocca, una giovane donna - alta e snella, dalla lunga chioma rossa raccolta in una crocchia disordinata - lo soffocò in un abbraccio mozzafiato, dal quale lo liberò dopo circa un minuto soltanto per fissarlo sorridente come se non lo vedesse da anni. –Ti sei rasato... meno male! Sarà anche stata più virile, ma quella barba ti invecchiava di dieci anni! E sei pure dimagrito dall'ultima volta che ti ho visto!
"Porca di una miseriaccia infame, tra tutti i canili di Londra proprio in questo deve fare volontariato la Rossa?"
–Tu, invece, non sei cambiata affatto- rispose Adam.
Monica (questo il suo nome) eruppe in una grassa risata, e replicò –Lo prendo per un complimento. Ehi, tra poco stacco, ti va un caffè? Oppure, data l'ora, potremmo pranzare insieme.
–Grazie dell'invito, ma non posso. Accompagno mia nipote e dopo vado allo studio legale dove faccio tirocinio- asserì Adam guardando ovunque tranne che dove si trovava Monica.
La giovane, risentita, ribatté –Oh, sì, certo… e gli uccellini fanno bau! Abbi il coraggio di dirmelo in faccia che non vuoi più avere niente a che fare con me, invece di rifilarmi scuse patetiche che offendono la mia intelligenza!
–Nicky, come puoi dire che non voglio più avere niente a che fare con te? Fino a prova contraria sei la mia migliore amica!- sbottò Adam.
Monica non rispose; fece accomodare Adam e Kaori in uno stanzino adibito a ufficio, soltanto allora aprì bocca –Ne ho parecchie di prove contrarie: da quanto non usciamo insieme io e te, anche solo per chiacchierare? Da quanto non ci  divertiamo con le maratone di film o le serate a tema? Da quanto non ci sentiamo per andare a correre al parco, andare in palestra, farci un viaggio insieme? Sono cose che i migliori amici fanno.
–Avevo bisogno di tempo per... riprendermi- esalò Adam.
–Due anni?- soffiò Monica tra i denti, al che lui, punto sul vivo, rispose con un tono che tradiva la rabbia repressa –Non sei nella posizione adatta per fare la vittima, ho semplicemente esaudito il tuo desiderio!
–Che desiderio? Io desidero averti nella mia vita, sei il mio migliore amico!- pigolò lei.
Adam respirò profondamente ed esclamò –Non la pensavi così due anni fa, quando mi dicesti di non impicciarmi della tua vita!
–Non mettermi in bocca parole che non ne sono uscite!- ribatté la rossa, infervorandosi. –Lo ricordo come fosse ieri: non ti chiesi mica di sparire nel nulla, ti dissi semplicemente che, soltanto perché eri accidentalmente entrato una volta…
–Due.
–Nelle mie mutandine non avevi il diritto di impicciarti della...oh....oh...
–Ooops!- concluse al suo posto Adam.
Monica aprì bocca per replicare, ma venne preceduta da Kaori, che, scocciata dalla discussione, esclamò –Sentite, io non ho capito una mazza di quello che avete detto. Posso scegliermi un cane, adesso?
 
***
 
–E’ stupendo non lavorare la mattina: per strada non c’è quasi nessuno, e possiamo godere di questa calma- celiò Faith, arrestandosi davanti alla vetrina di una libreria.
Franz, che la seguiva carico di buste, sbottò –Possiamo? Calma? Nel caso non l’avessi notato, ti sto facendo da facchino!
–Sbrigato l’utile - alias commissionare a Melanie la torta per il compleanno di Wilhelm - si passa al dilettevole, che per me consiste in compere sfrenate… soprattutto scarpe e libri. E dai, qualche altro tomo non ci manderà in bancarotta!- gnaulò la Irving, che aveva già adocchiato un paio di titoli interessanti.
–Ci manderanno fuori di casa, però: abbiamo già riempito gli scaffali in camera, quelli in salotto sono mezzi pieni… dove mettiamo le tue scarpe, eh? E i ninnoli?
–Potremmo aizzare Agatha contro le bomboniere e gli orrendi vasi che ci regala la moglie di tuo padre!- propose lei, e Weil, con suo enorme sconcerto, si rese conto che era seria. –A cosa serve un gatto, se non a liberarsi dei soprammobili inutili?
–Compresa la tua collezione di tartarughe?
–Osa sfiorarla anche solo con un dito e i tuoi preziosi boccali bavaresi faranno la stessa fine!- soffiò Faith. Poi, improvvisamente si irrigidì, sbiancò, e fece segno a Franz di rimettersi in marcia.
Obbedì, sebbene non capisse il motivo di quel repentino mutamento di umore… finché Faith non andò a scontrarsi con una donna appena uscita dal negozio.
Questa abbaiò –Guarda dove vai!
–Sono mortificata, Catherine.
–Come sai il mio… Faith! Oh, santo cielo! Scusa, non ti avevo riconosciuta!
–Non fa niente… dopotutto, sono passati anni dall’ultima volta che ci siamo viste- concesse la Irving in tono conciliante.
–Vero. Spero che non mi odi, dopo… beh, dopo quanto è successo- pigolò l’altra.
–Tranquilla, non la odio- asserì freddamente Faith. –Non ho tempo da perdere odiando gli altri… nemmeno quelli che lo meriterebbero.
Franz, sorpreso dalla durezza nella voce e nello sguardo della sua donna, rimase ancor più stupito nel vedere che la (per lui) sconosciuta, invece di tenerle testa, chinò il capo e sospirò –Credimi, avrei voluto anch’io che le cose fossero andate diversamente. Comunque puoi stare serena: non è qui. Sono tornata con mio marito per vendere la casa e… salutare Vyvyan.
–Vado da lui almeno una volta al mese.
–Lo so, e di questo non potrò mai ringraziarti abbastanza.
–Lo faccio con piacere. Tenevo molto a Vyv. Comunque, se può consolarla, ho ritrovato la felicità da molto tempo. Grazie a lui- rispose Faith, arpionando il braccio del suo compagno. –Mrs. Wollestonecraft, le presento l’uomo che ha ricomposto il mio cuore dopo che suo figlio l’ha fatto a pezzi. Franz, ti presento… la mia ex suocera.
Weil rimase a bocca aperta, e lasciò cadere le buste. Non sapeva come comportarsi: cosa avrebbe dovuto dire? “Salve, è un piacere conoscere la madre del putto troppo cresciuto che ha fatto soffrire la donna che amo”?
–Franz Weil. Molto lieto.
–Ne dubito, ma apprezzo lo sforzo di cortesia- replicò Catherine. –Sono sinceramente contenta di sapere che hai voltato pagina e ti sei sposata, alla fine.
–Oh, ehm… noi non siamo sposati- la corressero i due, arrossendo furiosamente.
–Allergia al matrimonio, eh?- esclamò Catherine con un misto di stupore e malevolo compiacimento. –Allora mio figlio ha lasciato il segno, dopotutto. Bene, vi lascio alle vostre spese. Buona giornata!
Faith la salutò con la mano e si voltò verso Franz, teso e livido; a riprova dell’effetto sortito da quell’incontro sul suo umore, sollevò una mano per farle segno di tacere e ringhiò –Non. Una. Parola. Preferirei fingere che tutto ciò non sia mai accaduto. Ok?
 
***
 
Svegliarsi da solo non era un’esperienza nuova per Kyle Riley, abituato a rapporti effimeri di una notte o poco più; eppure quella mattina, provò una punta di tristezza nell’appurare che Connie era sparita.
–Peccato se ne sia andata- mormorò al proprio riflesso. –Sarebbe stato bello non mangiare da solo, per una volta.
Di solito lo infastidiva conversare dopo il sesso, ma per la Bishop avrebbe fatto volentieri un’eccezione: era una compagnia piacevole, e, come lui, bisognosa di un confidente; a nessuno dei due mancavano gli amici, però avevano nell’armadio scheletri che non avrebbero mai condiviso con loro. Gli piaceva Connie, gli era sempre piaciuta; quando si erano conosciuti avevano, rispettivamente, quattordici e diciannove anni, e lei era una compagna di scuola di Vyvyan, il defunto fratello del suo amico Cyril. L’aveva vista attraversare l’adolescenza, affrontare coraggiosamente le conseguenze di un grave incidente stradale, trasformarsi da ragazzina timida e impacciata in una giovane donna brillante e scrittrice di successo. Tuttavia, aveva mantenuto nei suoi confronti un atteggiamento neutro, e l’aveva sempre considerata alla stregua di una sorellina… fino a quella notte.
–La piccola Connie non è più tanto piccola… specialmente il posteriore!- commentò, sbuffando una risatina, mentre passava le dita sui graffi che gli aveva lasciato sulle braccia.
Scacciò dalla mente quei pensieri poco casti: avrebbe incrociato sicuramente la ex piccola Connie al lavoro, non era il caso di abbandonarsi a fantasie erotiche su di lei, rischiava di commettere qualche gaffe, senza contare che non valeva la pena farsi cambiare i connotati da un fidanzato geloso per qualcosa accaduto per caso e che non si sarebbe ripetuto mai più.
Distrattamente, inconsciamente, si mise ad accarezzare l’unica traccia della presenza di Connie a casa sua: Cenerentola aveva perso una scarpetta, lei aveva optato per una copia di prova del suo nuovo libro.
–Non sembra malaccio… potrei azzardarmi a leggerlo, mia nonna si lamenta in continuazione che non leggo niente di più impegnativo dei giornali con le offerte del supermercato!
 
***
 
Monica e Adam - che si erano completamente dimenticati della presenza di Kaori - si riscossero all'istante, balbettarono parole incomprensibili, rossi in faccia, quindi Adam, fortemente a disagio, le presentò, e Monica si scusò con la bambina per non averle prestato attenzione prima.
Kaori sospirò e rispose –Non fa niente, ormai ci sono abituata: sto per avere un fratellino, e nessuno mi calcola più.
–Eh, sì, i fratelli minori sono degli usurpatori.
Kaori sospirò una seconda volta e rispose –Una rottura indicibile!
–Ti capisco- disse Monica. –Anche io ho dei fratelli minori, Chuck e Leo... con il primo tanto quanto, ma quando arrivò il secondo feci la pazza per mesi, soprattutto quando scoprii che era un altro maschio! I miei uscirono matti appresso a me, ci volle più di un anno perché smettessi di provare a far fuori mio fratello minore con la collaborazione del secondo!
–Almeno tu avevi il fratello di mezzo, io non posso contare su nessuno per liberarmi del moccioso!- esclamò Kaori, facendo ridere Monica, che replicò –Abbi fede, Kaori. Ora ti sembra una fregatura, perché, a differenza di quanto ti hanno detto i tuoi genitori, non puoi giocarci, ma prima di quanto credi potrai divertirti insieme al tuo fratellino, o sorellina, vedrai. E poi sarai sempre la maggiore, il punto di riferimento, per qualsiasi cosa si rivolgerà a te, non ai vostri genitori, vorrà  emularti... sono soddisfazioni!
–E va bene, aspetterò un po’ prima di farlo fuori- esalò Kaori scrollando le spalle.
Monica, ridacchiò e la portò a vedere i cani.
Il primo commento della bimba fu –Poverini! Come sono tristi in gabbia!
–Fosse per me li lascerei liberi, ma le disposizioni sono queste, e non posso fare di testa mia. Ad ogni modo gli esemplari che vedi sono vaccinati, disinfestati, disinfettati... tutto. Sono più asettici di una stanza d'ospedale e sono disponibili per l'adozione, per cui guardati intorno e scegli quello che più ti piace!
Kaori non se lo fece ripetere due volte: corse a esaminare ogni singola gabbia, in cerca di un cucciolo che le rubasse il cuore. Dopo dieci minuti non aveva ancora trovato il suo cane, e l’entusiasmo cominciava a scarseggiare.
–Questo no, troppo peloso.... troppo poco peloso... troppo alto... troppo basso.... troppo mordace... troppo bavoso, che schifo!.... Troppo festoso... troppo scontroso... troppo scodinzolante... troppo depresso....
Pareva che la ricerca si sarebbe conclusa con un nulla di fatto, se non che Kaori si fermò davanti alla gabbia di un bulldog a macchie bianche e marroni, che definire sovrappeso era un eufemismo, con gli occhi di colore diverso: uno marrone, l'altro quasi bianco. Rimase a fissarlo rapita per un paio di minuti, dopodiché, incurante delle raccomandazioni, protese una mano verso l'animale, che la annusò, prima di leccarla... si erano trovati!
Monica, accorsa sul posto attirata dal riso della bambina, quasi svenne quando la vide lasciarsi leccare la mano da quel cane, tristemente noto per aver morso chiunque gli si avvicinasse; ripresasi dallo shock, esclamò –Sembra che tu abbia trovato quello che cercavi, alla fine. Gli sei simpatica: non si era mai lasciato avvicinare da nessuno a parte me, prima d'ora. Ti piace?
–Oh, si, tanto, è così... diverso!
Monica le sorrise di rimando e ammise –Se lo prendi gli e ci fai un favore: nessuno lo vuole, povero cucciolone, non capisco perché... sarà per via dell'occhio...
–Io lo trovo bellissimo- sospirò la bambina, quindi, scrutato con un’occhiata veloce il cane, asserì –Ti chiamerò Plumpy, perché sei paffutissimo!
Plumpy abbaiò in segno di approvazione, mentre Adam non approvò la scelta: Abigail era già contraria all'idea di prendere animali in casa, figurarsi uno che sembrava un maiale travestito da cane! Tentò con tutte le proprie forze di dissuadere Kaori dal prendere con sé Plumpy, dirottando la sua scelta su altri cani, più piccoli e carini, che non avrebbero fatto rischiare a sua madre la morte per infarto, ma la bambina fu irremovibile, e Adam fu costretto alla resa.
Prima di andar via, firmati i debiti moduli, Monica diede a Kaori un'informazione preziosa –Il martedì sera tengo, a pochi isolati da qui, dei corsi di educazione cinofila; se hai chi può accompagnarti e venirti a prendere - e credi possa esserti utile - sarei felicissima di accogliere anche te e Plumpy nella classe!
Kaori sorrise, poi, guardando lo zio con la coda dell'occhio, rispose –Ci saremo.
–Oh, bene, sono davvero contenta! Allora a martedì. Ciao, Kaori, è stato un piacere conoscerti.
–Anche per me, infatti punirò lo zio Adam perché ti ha tenuta nascosta così a lungo- asserì la biondina, facendo ridacchiare Monica, che alzò gli occhi fino ad incontrare quelli di Adam, al quale chiese –Non ti pare il momento di metterci una pietra sopra?
Lui fece un cenno di assenso e rispose –Oggi devo davvero andare allo studio, e stasera sono a cena fuori, ma possiamo vederci alla cena di classe.
–Cena di classe?- chiese Monica, cadendo dalle nuvole.
–Danny e Corinne hanno organizzato una rimpatriata: cena da ‘Hibiscus’ seguita da quattro salti al ‘Cargo’. Ci sarai?
"Oh. Cristo. Che idea deprimente! Grazie al cielo, le stronze non mi hanno invitata. Ma che dico? Ci sarà Adam, non posso mancare!"
–D-Dipende da quando si terrà- balbettò.
–Questo sabato. La conferma va data entro domani, se pensi di esserci posso avvisare io Danny- si offrì gentilmente Adam.
–Mi faresti un enorme favore, grazie.
–Non c'è di che. Allora a sabato. Appena avrò notizie sull'orario ti manderò un sms, ok?
–Basta flirtare. Ho fame, voglio andare alla gelateria!- si intromise Kaori.
Adam si mise sull'attenti, rispose –Ai tuoi ordini, principessa. Andiamo. Ciao, Nicky.
–Ciao.
–Un momento- esclamò Kaori. –Perché lui ti chiama Nicky e io devo chiamarti Monica?
–Perché io sono suo amico da dieci anni e tu no- replicò Adam.
Monica, invece, ridacchiò sotto i baffi ( di cui era priva) e rispose –Perché non me l'hai chiesto. Se vuoi, puoi chiamarmi Nicky anche tu. Contenta?
–Si. Ora possiamo davvero andare. Ciao, Nicky. Avanti, Plumpy, muoviti!
 
***
 
Mentre guidava verso la tanto decantata gelateria, Adam gnaulò –Tua madre vorrà la mia testa!
–Anche io: hai dei capelli bellissimi!- trillò la bimba.
Avrebbe voluto replicare, ma si accorse di qualcosa che lo infastidì molto.
–Kaori, perché stai fissando il cavallo dei miei pantaloni?
–Per capire come hai fatto a entrare nelle mutande di Nicky- rispose candidamente lei.
Adam arrossì e balbettò –C-Cosa?
–Mi spieghi come hai fatto a entrare nelle mutande di Nicky?
–Spiacente, principessa, fa parte di quegli argomenti di cui non possiamo parlare pena la pena capitale, e tua madre come boia è implacabile!- obiettò Adam in un tono che non ammetteva repliche. Per fortuna, Keith lo salvò da quella situazione imbarazzante. Attivò il viva voce e rispose –Sto guidando, amico. Se non è urgente…
–Connie non è tornata a casa- esalò l’altro. –Ha dormito fuori. Sai che significa?
–Uhm… che hai avuto il letto tutto per te?
–Adam!- sbraitò Keith. –Sii serio, porco cazzo!
Adam si infuriò.
–E tu evita le parolacce, c’è una bambina in ascolto!
–Kaori è con te?- ruggì Keith. –E ha sentito tutto? Ma porca… perché diavolo hai messo il viva voce?
–Te l’ho detto: sto guidando!- sbottò lui. –Ora calmati e spiegami per bene cos’è successo.
–Abbiamo ricevuto le bozze della copertina dell’ultimo giallo di Connie, ma non le piacevano, così le ho, ehm, suggerito di parlarne direttamente con Kyle. E’ uscita augurandomi la buonanotte e da allora non l’ho più vista.
–Fossi in te aspetterei a preoccuparmi- lo rassicurò Adam. –Può darsi che se la sia spassata.
–Intendi… con un altro?
–Intendo che si è goduta un po’ la vita dopo un periodo di intenso lavoro. Scusa, ma che pretendi? Sono suo amico, non la sua balia! Se vuoi informazioni rivolgiti a Nicky, quelle due sono pappa e ciccia!
–Hai ragione! Può darsi che siano uscite insieme! Perché ho pensato subito al peggio?
–Perché vivi nel terrore che Connie ti imiti e si cerchi un altro “giocattolino”?
–Credo l’abbia già trovato- sospirò Keith.
–Anche se fosse, non sei nella posizione migliore per giudicare!
–Rinfacciarmi i miei sbagli non li farà sparire magicamente, Adam- abbaiò Keith. –Scusa se ti ho disturbato, ti lascio guidare. Provo a chiamare Nicky, spero che Connie sia davvero stata con lei. Ci vediamo sabato.
–Con chi ti presenterai alla famigerata cena?- domandò l’amico, curioso della risposta.
–Con Connie, ovviamente- rispose Keith. –L’unica e sola!
–Se escludi Hailey- puntualizzò Adam, e Keith, furente, pose fine alla telefonata.
Pochi minuti dopo, Kaori riaprì bocca.
–C’è un’altra cosa che non ho capito, zio.
“Giuro che se mi chiede di nuovo come ho fatto a infilarmi nelle mutande della Rossa, la strozzo!”
–Spara.
–Ai migliori amici gli dici tutto, giusto?
–Senza “gli”, Kaori- esalò stancamente Adam. –Comunque sì. I migliori amici si dicono tutto, persino le cose che non direbbero a un parente.
–Allora… perché non hai detto a Nicky che hai la ragazza? Perché quella tizia antipatica che ti ho beccato che baciavi è la tua ragazza, vero?

 
***
 
Brian si sentiva impotente: suo figlio era triste e non sapeva come risollevargli il morale. Nemmeno la promessa di fare un giro da Hamley’s il giorno seguente lo aveva rallegrato. Purtroppo, anche volendo venire meno al proposito di non viziarlo, non avrebbe potuto esaudire il suo desiderio: andare a scuola con Kaori.
–So quanto sei legato a tua cugina, AJ, ma tenere il broncio non cambierà la situazione- asserì in risposta all’ennesimo capriccio di Aidan. –Dovresti pensare positivo.
–Positivo? Kaori se ne va alle elementari, si farà amici nuovi e non vorrà più giocare con un moccioso dell’asilo!- piagnucolò il bambino.
–Ti farà giocare con i suoi nuovi amici, e l’anno prossimo, quando toccherà a te, ti farai anche tu tanti amici. Vedrai se non ho ragione!- gli assicurò, prima di rispondere a una telefonata urgente.
Approfittando della distrazione di suo padre Aidan si allontanò lungo Regent Street, diretto al negozio di giocattoli che avevano superato poco prima.
Probabilmente doveva avere un’aria spaesata, perché una donna gli chiese se si fosse perso. Il suo aspetto, troppo provocante per rassicurarlo, lo indusse a negare con la testa e rigirarle la domanda.
–Che razza di domanda è? Certo che non mi sono persa!
–Sicura? Questo è un negozio per bambini, e tu non sei una bambina- osservò il pargolo. –E non hai bambini con te.
–Non mi sono persa, marmocchietto impertinente!- sbraitò lei, agitando veementemente le braccia. –In che lingua devo dirtelo?
–L’inglese va bene, grazie- rispose Aidan con calma.
–Invece di pensare a me, pensa ai tuoi genitori! Dove sono? Saranno in ansia.
–Il mio papà è qui vicino, mi ha permesso di venire qui se poi tornavo subito da lui- mentì Aidan.
–Il tuo papà deve avere molta fiducia in te… o dev’essere un vero beota!- sibilò la donna.
–Cos’è un beota?
–Un idiota.
–Oh. Capisco. Hai chiamato stupido il mio papà davanti a me. Non è carino da dire!- commentò il bambino.
–Mocciosetto? Io dico quello che mi pare!
Il volume della voce della sconosciuta e i suoi modi avevano attirato l’attenzione di svariati avventori del negozio, che avevano formato un capannello intorno alla strana coppia.
Brian, che si era fiondato in quel paradiso per bambini non appena si era accorto della scomparsa di Aidan, si fece largo tra i curiosi e trovò suo figlio impegnato in una disputa con qualcuno che aveva sperato di non rivedere mai più.
“Certe volte mi pento di non imitare gli affaristi dei serial americani, che risolvono i problemi assoldando sicari!”, pensò, scuotendo la testa sconsolato.
La donna, accortasi della sua presenza, impallidì, arretrò di un paio di passi ed esalò il suo nome.
Brian scelse di non curarsene.
–Aidan! Perché sei scappato? Ti avevo promesso che saremmo tornati qui domani, con più calma.
–Ma papà…
–Papà?- mormorò lei. –S-Sei s-suo… l-lui è…
–Mio figlio. Mio! Hai capito?- ruggì Brian, per poi agguantare per un braccio Aidan e trascinarlo via.
Una volta a casa lo spedì a giocare con Adam, prima di telefonare al suo avvocato, in modo da prendere due piccioni con una fava: suo figlio avrebbe ridato il sorriso ad Adam, parecchio giù di corda, e Adam avrebbe tenuto impegnato Aidan.
–Ehi, Jack O’Lantern, sono Brian. Volevo raccomandarti di tenere pronta l’artiglieria pesante… Crystal è tornata.

 
***

Non appena misero piede al numero 32 di Park Lane, dove abitavano con gli zii e la sorella maggiore, Charles e Leonard Hawthorne sentirono che qualcosa non andava. Ne ebbero conferma quando trovarono Monica, il disordine fatto persona Monica, la supersportiva tranne che quando si tratta di fare le faccende domestiche Monica intenta a strofinare il pavimento con uno straccio, nel miglior stile Cenerentola. Esterrefatti, si pizzicarono più volte le guance prima di credere ai propri occhi, dopodiché si avvicinarono cautamente alla sorella; Monica si girò come se avesse preso la scossa e ordinò loro di mettere le pattine, perché non si era messa a pulire per vedere le proprie fatiche vanificate da due insozzatori. Charles e Leonard obbedirono per non contrariarla, quindi chiesero se avesse già cenato, e, ricevuta risposta negativa, come previsto, andarono in cucina a riscaldare gli avanzi dell’ottima cucina della zia. Dopo un po’ li raggiunse Monica, con ai piedi due pattine, si sedette e si informò sulla loro giornata e rispose, quando le chiesero se per caso non avesse la febbre –Ma quale febbre! Non dite stupidaggini! Voi, piuttosto: cosa sono queste facce allucinate? Avete fumato qualche cannetta?
–Siamo preoccupati per te!- esclamò Charles a nome di entrambi. –Non ti abbiamo mai vista così, nemmeno prima degli esami. Se hai problemi puoi confidarti con noi.
–Ho visto Adam- sospirò lei fissando le pattine.
Sconvolti, i fratelli tuonarono in coro –La causa delle pulizie compulsive è Adam?- poi Charles aggiunse –Ridicolo! E’ vero, da un paio d'anni la vostra amicizia si è raffreddata per un motivo che ancora ci è ignoto, ma addirittura sconvolgersi solamente perché è venuto a trovarti mi pare eccessivo!- e Leonard, di indole più aggressiva, suggerì di picchiarlo.
Monica scrollò le spalle e rispose –Non essere sciocco, Leo. Chuck, hai ragione, sfogarmi mi farà bene: Adam è venuto al canile. Era con la nipote, la bambina voleva un cane. Lo hanno preso, mi ha salutata e mi ha gentilmente messa al corrente del fatto sabato si terrà una patetica cena di classe alla quale nessuno, neppure Connie, ha pensato di invitarmi!
–Ritieniti fortunata: le cene di classe sono una frantumatura di maroni- asserì saggiamente Leonard.
–Non me ne frega un accidente di quella patetica cena!- sbottò Monica, battendo il pugno sul tavolo con tanta forza da rovesciare un bicchiere. –Ci andrò solo per vederlo. E’ il modo in cui mi ha tratta che... mi ha… ferita.
–Se ha osato metterti le mani addosso, io..
–Leo, fai un favore all’umanità: tagliati la lingua!- lo zittì Charles. –Continua, Nicky.
–Ho rinunciato a lui sperando di averlo sempre al mio fianco, e mi ha allontanata. Oggi ci siamo finalmente ritrovati e… mi ha tratta come una qualunque. Era il mio migliore amico, e adesso non gli importa più niente di me!- piagnucolò Monica, prima di scoppiare a piangere. Charles e Leonard la strinsero in un abbraccio a sandwich, rotto dallo squillare del cellulare. Monica asciugò le lacrime e rispose –Pronto?
–Nicky, ciao! Senti, ho bisogno di un favore. Non fare domande, ti spiegherò più tardi: se Keith dovesse chiedertelo, ho passato la notte da te. Ok?
–Perché? Che hai combinato?
–Niente, niente, ho…- “Pensa, Connie, pensa!” –Fatto tardi col grafico per sistemare la copertina di ‘Per chi suona la campanella’, così… ho dormito da lui. Keith è talmente geloso, se dovesse scoprirlo…
–Oh, ehm, se si tratta di questo…
–Grazie, sei una vera amica!- cinguettò Connie. –Ah, non so se Corinne ha contattato anche te, ma hanno organizzato una rimpatriata…
–Sabato- concluse Monica, tamburellando le dita sul tavolo. –Ci sarò.
–Ci sarai? Non l’avrei mai detto. Oh, meno male! Già tremavo al pensiero di affrontare quelle oche da sola! Allora a sabato, e mi raccomando, mettiti in tenuta da combattimento, dovrai reggere il confronto!
–Con chi? Corinne e compagnia?
–Lo vedrai.
 
***
 
Sabato, alle sette in punto, Connie, insieme all’inseparabile Keith, aveva varcato la soglia di casa Hawthorne, poi aveva agguantato la sua amica e l’aveva legata a una sedia mentre sceglieva cosa farle indossare, la pettinava e truccava.
Monica, esasperata, era arrivata al punto di gridare –Non mi faccio dare lezioni di stile dalla sorella segreta di Blair Waldorf!
–Strepita quanto ti pare, Nicky, non mi impedirai di far venire alla luce lo splendore sepolto sotto quintali di peli di cane e vestiti da maschiaccio!- aveva replicato Connie - la quale, per via dell’abitino bon ton col corpetto in pizzo e del cerchietto in tinta, sembrava effettivamente la versione bionda e in carne della protagonista di ‘Gossip Girl’ - con impeccabile contegno, poi si era messa all’opera, e per la Hawthorne non c’era stata via di scampo.
La rossa imprecò e si dibatté finché non le venne concesso di ammirarsi allo specchio. Rimase a bocca aperta e sgranò gli occhi, abbelliti da matita, ombretto e mascara; non si reputava un brutto anatroccolo, ma così… era veramente un cigno! Ricordava il vestito - verde acqua, corto, di chiffon leggero, con le maniche a sbuffo - era uno degli innumerevoli che la nonna paterna le aveva comprato nella speranza di indurla a esprimere il suo lato femminile, mentre le scarpe erano quasi nuove, dato che il suo metro e ottantaquattro di altezza rendeva i tacchi non necessari. I capelli, reduci da un incontro-scontro con shampoo e balsamo (questo sconosciuto, per Monica), ricadevano setosi sulle spalle, trattenuti ai lati da due fermagli colorati.
–Sono… sono proprio io?
–Certo che sei tu! Visto che basta poco per risplendere, se si è dotati di luce?
–Ciambellina, ti prego, non rifilarmi citazioni dai tuoi libri!- sbottò Monica, girò su se stessa per osservarsi in diverse angolazioni, quindi decretò che la sua Ciambellina glassata di rosa aveva fatto un buon lavoro e non l’avrebbe torturata… stavolta.
–Fortuna che ci sei, Nicky, almeno è garantita una conversazione che non mandi in sciopero i miei neuroni- trillò Connie.
–Conversazione? Credevo volessi usare la lingua per esplorare la bocca di Keithino!- obiettò Monica, caustica.
Connie scosse la testa e replicò –Abbiamo dato sfogo agli ormoni prima di venire da te, possiamo resistere fino a domani.
–Gli hai fatto vedere chi sei, Ciambellina?
–Nicky, abbiamo, ehm, fatto sesso, non una gara di lotta!- obiettò la bionda.
Monica sbuffò e replicò –Il sesso è una gara, Ciambellina. Una gara che si vince in due, ma pur sempre una gara.
Connie curvò le labbra in un sorriso “da Stregatto” e chiocciò –Se lo dici tu… oh, a proposito: fatti prestare da Leo i guantoni da boxe, ti serviranno!
 
Nota dell’autrice:
E su questa nota enigmatica… che poi enigmatica lo è ben poco, credo. Se avete capito perché Monica avrà bisogno dei guantoni di Leo, i miei complimenti; se non lo avete capito… don’t worry, be happy, lo scoprirete nel prossimo capitolo! ;-)
E così Crystal è tornata. Povero Brian, lo aspettano tempi duri, durissimi! E Aidan? Come prenderà la notizia?
Dulcis in fundo… Catherine. Faith non poteva credere ai suoi occhi quando l’ha vista! C’è da capirla, rivedere dopo anni la ex suocera dev’essere tremendo! E Franz! Non è stupido, ha colto l’allusione all’allergia ai matrimoni. Avrà il coraggio di parlarne con Faith?
Non vi do spoilers, vi dico solo questo: aspettate a giudicare Connie e compatire Keith, o viceversa. ;-)
Au revoir!
Serpentina
Ps: amanti di Hemingway, non me ne vogliate! *occhioni cucciolosi alla Franz*

Pps: Hamley’s esiste davvero, è forse il più bel negozio di giocattoli del mondo, con i suoi sette piani di meraviglie capaci di far tornare bambino chiunque. Anche il Cargo esiste, si trova a Rivington Street, sotto gli archi della Shoreditch Station.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Cover affair ***


Non so come, ma questo titolo è impreciso e calzante allo stesso tempo; impreciso perché affair ha un significato ben preciso, che qui viene stravolto, calzante perché rende alla perfezione il tema principale del capitolo, tanto che le altre alternative non reggevano il paragone. Spero di avervi incuriosito. Se vi piace leggere col sottofondo musicale, vi consiglio questo pezzo, la colonna sonora del capitolo. Buona lettura, e grazie a Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92 ed elev per le recensioni, e a bimbic, malaria e soulscript, che la seguono! ^^
 
Cover affair
( L’insostenibile pesantezza della perfezione)

Coloro che vogliono una maschera devono indossarla. Questa è la loro punizione. 
Oscar Wilde

–Sconvolgente. Assolutamente sconvolgente- esalò un allibito Alexander Weil.
–Sconvolgente non rende l’idea. Nessuna parola umana può rendere l’idea! Sai dove quella bugiarda aveva nascosto il corpo del reato? In un libricino schifosamente melenso, regalo di chissà chi! Così era certa che non lo avrei toccato, lo aveva sempre sott’occhio e poteva controllare che il suo segreto fosse al sicuro senza destare sospetti! Capito che furba?
–Non hai capito, Franz: è sconvolgente che tu abbia frugato tra la roba di Faith.
–Ti sto odiando profondamente, Xandi. Non è questo il punto!- sbuffò seccato suo fratello Franz.
–Lo è, invece!- lo contraddisse Alexander. –Hai violato la privacy altrui! E’ un atto gravissimo!
–Fanculo la privacy, la donna che amo mi ha mentito! Mentito, capisci? La madre del putto troppo cresciuto mi ha messo la pulce nell’orecchio- ammise il minore. –Le sue parole mi tormentavano. Così ho raccolto tutto il mio coraggio e ho cercato una prova… questa prova.
Alexander corrugò la fronte quando vide cosa racchiudeva la mano di Franz.
–Hai fatto tutte queste storie per due anellini?
–Non sono anelli qualunque, fratellone, dovresti saperlo… sono fedi nuziali. Fedi! Era sposata con quel cretino! Forse lo è ancora, non so se hanno divorziato. Sposata! Ti rendi conto?
Alexander avrebbe voluto ridergli in faccia e tranquillizzarlo, ma non poté: all’interno delle fedi erano incisi due nomi e una data.
–“Faith e Cyril, 13/06/2014”- lesse, per poi scoccare un’occhiata compassionevole a suo fratello, che pareva sul punto di vomitare. –Certo, scema pure lei a sposarsi di tredici…
–Le superstizioni riguardo la data sono il minore dei problemi, al momento- sospirò Franz, giocherellando con il secondo anello. –Voglio sapere perché mi ha mentito.
–Tecnicamente non ti ha mentito- osservò Alexander. –Puoi accusarla di aver taciuto, omesso, ma mentito… no. Dovresti parlarne con lei, comunque, non con me: ne so meno di te. Al tuo posto, però, terrei per me questa scoperta.
–Tenerla per me? Sei matto? Seguirò il tuo consiglio e ne parlerò con lei: la metterò alle strette e scoprirò la verità!- esclamò Franz con aria determinata.
–C’è un motivo se ti ha tenuto all’oscuro di tutto ciò, non hai il diritto di immischiarti in affari che non ti riguardano- replicò Alexander. –Il passato è passato, fratellino. Scoperchiare il vaso di Pandora non migliorerà il vostro rapporto, anzi, finirà col rovinarlo.
–Correrò il rischio.
 
***
 
Adam stava esaurendo la pazienza: dava fastidio anche a lui il ritardo dei suoi ex compagni di classe, ma si stava sforzando di mantenere la calma, invece di sbuffare e tamburellare le dite sul bancone del bar dell’Hibiscus come stava facendo la sua ragazza.
Lei, pignola a livelli quasi ossessivi, sbottò, seccata –Oh, insomma! Hanno detto di arrivare alle nove, puntuali, e poi non si presentano? Questa è mancanza di rispetto! Non ho tempo da perdere, io!
–Da’ loro il beneficio di cinque minuti di ritardo fisiologico, Momo- rispose in tono conciliante.
Momo emise un mugolio di indignazione e uno scocciato –Non esiste il ritardo fisiologico, Adam: bisogna essere puntuali, è un segno di rispetto dell'altro! Tuttalpiù, se succede qualche imprevisto, si avvisa - in modo che chi si deve incontrare possa regolarsi - perché a nessuno piace stare ad aspettare come un sacco di patate!
–Hai ragione, ma ormai ci siamo, tanto vale aspettare senza roderci il fegato- replicò Adam stancamente: la precisione era una delle doti di Momo che più apprezzava, ma non poteva negare che un minimo di elasticità mentale in più le avrebbe giovato.
Avvolte in una nuvola di gloria e penetrante profumo alla violetta fecero il loro ingresso, con venti minuti di ritardo, Danielle e Corinne, abbarbicate ai rispettivi partner. Ben presto il gruppo di riunì, e poterono accomodarsi al tavolo. Mentre si sedevano, Adam fece notare che mancavano all'appello Connie, Keith e Monica.
Corinne, guardandosi intorno spaesata, spalancò la bocca in una perfetta O, poi rispose –Eh, già! Danny, ne mancano tre all'appello, non possiamo ancora ordinare!
–Connie, Keith e Monica! Giusto!- squittì Danielle, arricciando le labbra in un’espressione scocciata: al liceo non andava d’accordo con le due, specialmente Connie, la quale, a detta sua, le aveva rubato Vyvyan.
Momo soffiò, incrociando le braccia –Spero proprio che arrivino presto, non sopporto i ritardatari!
Adam le avrebbe ripetuto di avere pazienza, se in quel momento non avesse avvertito un profumo inebriante, un tempo a lui familiare, che lo indusse a chiudere gli occhi ed inspirare a pieni polmoni, per poi girarsi ed sospirare –Nicky. Ben arrivata.
Sebbene conscio di quanto potesse risultare irrispettoso di fronte alla sua ragazza, indugiò con lo sguardo sulla figura slanciata dell'amica: pareva emanare luce propria, forse per la presenza di un filo di trucco sul viso, oppure grazie al sorriso, difficile stabilirlo con certezza. Riportato alla realtà dal tossicchiare insistente di Momo, Adam si affrettò ad intavolare una conversazione con Keith, mentre la Hawthorne fece un saluto generale con la mano e a parole.
–Ciao a tutti! Scusate il ritardo, abbiamo trovato traffico.
Si sedette tra Connie e Adam, che sussultò quando le loro ginocchia si sfiorarono. Dopo le ordinazioni, cercando di allentare la tensione, le chiese –Quando hai detto che hai trovato traffico... non intendevi dire che hai guidato fin qui, vero?
–Ho guidato Keith, tranquillo. Comunque, anche se avessi guidato io, non avrei avuto problemi- ribatté Monica, risentita.
–Tu no, ma gli altri guidatori sì!
–Non ti rispondo come meriteresti soltanto perché c'è la tua fidanzata. Sei tu, vero? Finalmente ti conosco! A proposito, io sono Monica- trillò, tendendole una mano, che l’altra strinse con brevemente e con scarso entusiasmo, ritirandola quasi subito, come se temesse di contrarre una disgustosa malattia.
–Monica? Ma che curiosa coincidenza!- sibilò Momo, incenerendo sul posto Adam. –Abbiamo lo stesso nome… e lo stesso colore di capelli.
“Sì, solo che il mio è naturale, stronza!”, pensò la Hawthorne, ma dalla sua bocca uscirono parole ben diverse.
–Ma che ca… so! Incredibile!
–E così, tu saresti la fantomatica migliore amica!- esclamò Momo squadrando Monica con un’espressione indagatrice che la fece sentire sotto esame. –Perdona la freddezza, ma è strano: siete tanto amici, eppure ho scoperto della tua esistenza l'altrieri, quando Adam è tornato a casa pallido come un fantasma e mi ha liquidata con "Sabato conoscerai la mia migliore amica"! Ci frequentiamo da sette mesi e fino ad ora credevo che non avesse amiche all’infuori di Cornelia!
–Eravamo un gruppo affiatato. ‘I Fantastici Cinque’, così ci chiamavano. Io, Adam, Connie, Keith e… Vyvyan- puntualizzò Monica, osservando di sottecchi Connie, che aveva chiuso i pugni alla menzione del suo nome di battesimo e di Vyvyan.
–Vyvyan- ripeté Keith abbassando gli occhi, e Adam con lui, suscitando la curiosità di Momo, che asserì, col tatto che la caratterizzava –Mamma mia che facce! Manco fosse morto!
–Vyvyan è morto!- ringhiò il quartetto.
Momo squittì –N-Non lo sapevo... non me ne avevi mai parlato!
–Non so tu, ma io non ritengo la morte un valido argomento di conversazione- replicò Adam in tono duro.
Monica, sentendosi responsabile della piega che aveva preso la situazione, si affrettò a cambiare argomento.
–Giusto. Parliamo invece di voi due... Adamino, Adamino, non posso perderti di vista un attimo che ti trovi una fidanzata! Devo sapere tutto: come, dove, quando, perché… il chi già lo so...
–Non c'è molto da dire- rispose Momo. –Io e Adam stiamo facendo il pratica nello stesso studio legale, e.. niente, abbiamo iniziato a frequentarci anche fuori, ed è scoccata la scintilla!
"Dopo una ventina di cocktail, altrimenti non si spiega!" pensò Monica, per poi bacchettarsi: si stava comportando esattamente come le serpi gelose che tanto detestava. Non era da lei.
–Galeotto fu l'incartamento, è il caso di dirlo- scherzò, sforzandosi di sorridere. “Anche se mi si spezza il cuore e il trucco si scioglie, il mio sorriso resiste.”
–Già. Tu invece come hai conosciuto Adam?- chiese Momo con interesse.
–Lo ricordo come fosse ieri: era il primo giorno di scuola - avevo un ciuffo blu ridicolo, ma che a me sembrava fichissimo e trasgressivo - stavo prendendo a calci il distributore che mi aveva fregato i soldi;  Vyvyan venne a darmi man forte, ma la situazione degenerò e cominciammo a prenderci a pugni, poi Adam comparve dal nulla e divise con noi i suoi brownies- rispose Monica, regalando ad Adam uno dei suoi smaglianti sorrisi, che lui ricambiò.
Connie e Keith si scambiarono una smorfia soddisfatta e un po’ triste; conoscevano quell’espressione - un misto di tenerezza e affetto che faceva sentire qualsiasi spettatore un intruso in un momento intimo - un tempo anche loro si guardavano così. Non era necessario l’intuito di Sherlock Holmes per capire che due anni non erano bastati a cancellare il sentimento che covava sotto la cenere, e, se Monica l’avesse voluto e si fosse impegnata a fondo, avrebbe potuto sottrarre Adam alle grinfie di quell’arpia.
–Nicky mi esaminò dalla testa ai piedi e si presentò. Quando le dissi il mio nome ridacchiò e rispose: "Dovrò tenerti lontano dalle mele, oggi a mensa."; mi saltò sulla schiena, ordinandomi di portarla in classe, e... da allora non ci siamo più lasciati.
–Se si esclude il periodo in cui fui costretta a casa con la gamba ingessata- concluse Monica con voce lacrimevole, corredata di sospiro nostalgico.
Momo, perplessa, domandò allora al suo fidanzato –Come mai non mi hai mai parlato di lei se siete amici per la pelle da anni?
–Perché...- "Dovrei confessarti che ci sono andato a letto". –Perché dopo il liceo non siamo più stati appiccicati, gli impegni ci hanno travolto- rispose Adam.
Momo, non convinta, scavò più a fondo, per carpire informazioni di vitale importanza per valutare l'adeguatezza di Monica come frequentazione del suo fidanzato.
–Si sente che non sei di qui, Nicky. Non ti dispiace se ti chiamo Nicky, vero?
“Se vuoi morire di una morte lenta e dolorosa…”
–Certo che puoi chiamarmi Nicky! Mi hai letta nel pensiero: stavo per suggerirtelo io, così eviteremo di far confusione. Comunque hai indovinato: vengo da Newcastle, mi sono trasferita a Londra dagli zii per seguire la tradizione di famiglia e frequentare la Elizabeth I.
–E’ incredibile che abbia conservato l’accento del nord. Anche Adam, ma non demordo: riuscirò a eliminare l’inflessione dello Yorkshire, è orrenda! Oh, quindi i tuoi genitori sono rimasti nel Northumberland!
–Esatto. Credo che mi sarei sentita persa, senza i miei amici- chiocciò Monica, mandando un bacio a Connie, Keith e Adam.
–I tuoi zii sono stati gentili a ospitarti. Non tutti si sarebbero presi tanto disturbo.
–Non è stato un disturbo: il loro unico figlio è in Francia, gli fa piacere avere ancora della gioventù in casa.
–Sai- intervenne Connie, bramosa di far cadere dal piedistallo Momo. –Credo che tu conosca suo zio… Dean Hawthorne.
Come previsto, Momo rimase di stucco, e guardò Nicky con occhi nuovi; l’altra, al contrario, chinò il capo, imbarazzata. Le dava fastidio vantarsi dei suoi parenti, la loro fama era per lei un peso, più che un’opportunità.
–Dean Hawthorne? Il giudice?
–Io lo chiamo semplicemente “zietto”. Comunque, ecco svelato il mio sporco segreto: sono una Hawthorne, la famiglia che rifornisce di legulei il Regno Unito da quindici generazioni! I miei parenti non sono che gli ultimi di una lunga serie- scherzò Monica con finta giovialità.
–Immagino seguirai le loro orme….
–Oh, no! Insieme allo zio Axel, sono la pecora nera della famiglia: studio Veterinaria.
–Veterinaria? Che coraggio! Non so come riesca a mantenere il sangue freddo di fronte a una dolce bestiola sofferente! Sai, il mio sogno è di diventare un legale pro-ambiente. Avrai altri interessi, spero: se non si tiene allenata la mente, questa ci abbandonerà. Per esempio io, quando non sono impegnata allo studio o vado a correre con Adam - è fondamentale tenersi in forma, mens sana in corpore sano e così via - partecipo ad un club della lettura e seguo due corsi di lingue. Parlo già - oltre all'inglese, naturalmente - francese, tedesco, spagnolo, portoghese e russo, e sto imparando cinese e giapponese.
–Wow. Ehm, io sono un tipo meno… intellettuale. Nel tempo libero faccio volontariato in un canile e vado in palestra a fare kick-boxing o al parco a correre, e mi accontento del francese come lingua straniera. Con uno zio a Parigi finisci con l’impararlo- rispose Monica cercando di darsi un contegno: che la grande avvocatessa snob si pavoneggiasse pure, lei non era certo da meno!
 
***
 
Faith si sentì immediatamente sollevata appena avvertì l’aroma di una cena calda: quel turno era stato particolarmente stancante, e il mal di stomaco e la nausea che la tormentavano da qualche settimana non erano mancati, trasformando un normale sopralluogo in una fatica erculea.
–Che profumino! Cosa si pappa?
–Pollo al Marsala. Ricetta di tua nonna Beatrice- rispose Franz senza voltarsi.
Faith pensò non si fosse girato a salutarla per controllare la cottura del pollo, ma intuì che doveva esserci dell’altro durante la cena: di solito chiacchieravano mangiando, per cui il silenzio che regnò quella sera parve ancor più innaturale.
Lo bloccò mentre rigovernava e sibilò –Sei stranamente taciturno… scommetto che dopo aver rimesso in ordine la cucina vorrai parlarmi. Peccato che a me non piaccia aspettare. Che diavolo succede?
–Non ti si può nascondere nulla. Tu, invece, puoi permetterti di nascondermi quello che ti pare- abbaiò Franz, alzando la voce.
–Va bene, lo confesso: non è stato il gatto a sbafarsi gli ultimi biscotti- ridacchiò Faith, sconcertata che lui se la prendesse tanto per tre biscotti. –Vuoi condannarmi a morte per questo?
–No, non per questo- rispose lui, poi sbatté sul tavolo le fedi. –Per questi!
La Irving sbiancò e venne colta da un altro conato; applicando la tecnica insegnatale dalla professoressa Eriksson per resistere alle brutture con cui aveva a che fare ogni giorno, inspirò profondamente quattro volte col naso, altrettante con la bocca, infine esalò –C-Come hai fatto a trovarli? Hai rovistato tra le mie cose!
–Nasconderli in un libro si è rivelata un’arma a doppio taglio: ho frugato tra le tue cose, sì, ma invano. Poi, quando ormai mi ero arreso, ha telefonato Sullivan per chiedermi se potevo prestargli ‘Cupcake Club’ perché sua moglie desiderava leggerlo; sono andato a prenderlo, e… bingo! Esigo una spiegazione.
–Non puoi esigere proprio niente!- sbottò Faith. –Ora lavo i piatti, riordino la cucina, poi vado a letto; domattina devo alzarmi presto.
Weil le si parò davanti, impedendole di lasciare la stanza, e ripeté –Esigo una spiegazione. Perché non mi hai detto che sei stata sposata? Temevi forse il mio giudizio? Sveglia! I miei hanno divorziato, sono l’ultima persona al mondo che si permetterebbe di sputare sentenze su un matrimonio fallito! Perché avete divorziato, vero?
–No.
–No? S-Sei a-ancora s-sposata con quel… quel… Cyril?- ululò Franz.
Faith, pallida come un cencio, si sedette, si prese la testa tra le mani e sospirò, rassegnata –Avrei dovuto immaginare che questo momento sarebbe arrivato, prima o poi. Volevo dirtelo, ma non trovavo mai il coraggio: mi ripetevo “Domani”. I domani si sono accumulati, sono diventati settimane, mesi, anni. Spero non mi compatirai dopo avermi ascoltata. Non ho divorziato, Franz… perché non sono mai stata sposata: Cyril mi lasciò prima delle nozze. Una settimana prima, per la precisione. Aveva creduto a Solomon e non sopportava che l’avessi tradito, cosa che non ho mai fatto. E’ stato così umiliante. Mi sono disfatta di tutto: inviti, bomboniere, abito… le fedi sono l’unico ricordo che ho deciso di tenere, un monito perenne a non fidarmi degli uomini.
–Di me ti sei fidata- osservò Weil.
–Solo quando sono stata sicura al mille per cento che non fossi come nessuno dei miei ex- chiarì Faith. –Ho visto del buono in te, e ho deciso che valeva la pena combattere per farlo venire alla luce. Scusa se non te ne ho parlato, ma è un ricordo doloroso… che mi fa vergognare da morire.
–Vergognare? Se qui c’è qualcuno che dovrebbe vergognarsi sono io, che mi sono immischiato in faccende che non mi riguardano, e quel coglione di Cyril, che non è degno di farsi fare l’autopsia da te!- tuonò Franz, prima di stringerla tra le braccia e baciarle il naso.
–Possibile che mi baci sempre sul naso, prima di passare ad altro?
–Colpa tua: hai un nasino irresistibile! Vieni, mettiamo via questi anelli della malora e andiamo a coccolarci sul divano. Cosa guardiamo? Grazie allo streaming abbiamo l’imbarazzo della scelta!
 
***
 
Al termine della cena, i convitati andarono da ‘Cargo’ a digerire con quattro salti. Momo, però, si dissociò dal gruppo, perché –Domani devo alzarmi presto per studiare. Divertitevi anche per me!
Non appena fu fuori portata d’orecchio, Connie si avvicinò all’amica e le sussurrò all’orecchio –Capisci a cosa servivano i guantoni?
–Non ho parole- mormorò lei in risposta. –Anzi, no, ne ho tre: qualcuno la sopprima!
Una volta nel locale, si lanciò in pista con gli amici, pronta a scatenarsi come ai vecchi tempi, infischiandosene di tutto e tutti.
Adam accettò di buon grado di venire rapito dalla sua Rossa. Mentre si esibivano in una buffa danza frenetica, non poté non paragonarla alle altre ragazze che aveva avuto: Monica affrontava la vita di petto, non aveva paura di buttarsi nella mischia, lo dimostrava il modo in cui ballava: non si limitava ad ancheggiare e scuotere il busto in modo sensuale, si dimenava come una selvaggia, incurante dello stato di trucco e capelli. Quando si gettò tra le sue braccia, ordinandogli di farle fare un casquè degno di questo nome, gli scappò da ridere al pensiero di come avrebbe commentato quella scena Momo: si sarebbe sicuramente ingelosita, perché, anche se nei loro movimenti non c’era nulla di improprio, la vicinanza e il gioco di sguardi creavano una palpabile tensione, simile a quella provata l’unica, magica volta in cui avevano fatto l’amore.
A un tratto, Connie si allontanò verso la postazione del dj; gli altri tre le lanciarono occhiate perplesse, e imbarazzate quando la videro discutere animatamente con un addetto alla sicurezza. Poco dopo, però, la bionda tornò da loro trionfante, e trillò –Ce l’ho fatta! Ho fatto dedicare il prossimo pezzo a Vyvyan!
–D-Dedica? Connie, non siamo in una discotechina di periferia; Rioko è un dj di grido…
–E un mio grande fan- lo informò la scrittrice. –Ho promesso di autografare i suoi libri in cambio della dedica. Oh, ecco che parte!
La voce del dj echeggiò nell’enorme sala.
–E ora… una canzone speciale per una persona speciale! Ovunque tu sia, Vyvyan, sappi che i tuoi amici Connie, Monica, Keith e Adam ti pensano e ti vogliono bene dal profondo del cuore!
“I’ve gotta try, it’s not over yet. No signals of love, have you left? My heart is bleeding just for you, bleeds for only you, and it hurts to know the truth!”
–Ma è ‘Sinéad’!- esclamò Keith, per poi darle un bacio. –La sua preferita!
–Brava, Ciambellina! E’ un ottimo modo per ricordare Vyv!- sentenziò Monica, quindi li invitò a raggiungere il centro della pista e darci dentro in onore dell’amico scomparso.
–Pronti a farci riconoscere?
–Saltare e strillare- li esortò Keith. –Come ai vecchi tempi.
–E il pugno- precisò Adam. –Vi raccomando il pugno.
“Oh, Sinéad, for the first time love is gonna turn around! I’m telling you: you will like it, I know. Oh, Sinéad, it’s the first time, only you can set it free! Oh, Sinéad, come break away with me!”
Stonarono il ritornello, sgolandosi affinché le loro voci giungessero al cielo, dove, secondo loro, si trovava Vyvyan, che probabilmente li stava deridendo con qualche altra anima o un angelo. Tanti, ex compagni di scuola e sconosciuti, li indicarono, bisbigliandosi commenti - soprattutto quando Adam, un Cartridge, gettò in aria la giacca e Keith tentò con scarso successo di sollevare Connie - ma il quartetto se ne fregò altamente e si divertì.
Sudati e felici scoppiarono a ridere, sorreggendosi a vicenda, come avevano sempre fatto, anche in senso figurato.
–Dopo questo, credo che non mi farò vedere mai più in questo posto- disse Adam.
–Per così poco?- replicò Keith, dirigendosi al bar. –Abbiamo combinato di peggio, lo sai benissimo.
–Ne valeva la pena: sento che Vyv ha ballato e cantato con noi, da lassù- pigolò Connie, visibilmente commossa.
–Ci mancherebbe altro!- sbuffò Monica, grattandosi il mento mentre ponderava la scelta del cocktail. –Era la sua canzone preferita, ricordo ancora come gli brillavano gli occhi quando la ascoltava! Diceva persino che, se mai avesse avuto una figlia, l’avrebbe chiamata Sinéad!
–E’ vero, me lo ricordo- chiocciarono gli altri tre, per poi profondersi in ringraziamenti non appena ricevettero gli alcolici.
–Bene, allora… a Vyvyan!- brindarono.
Niente avrebbe potuto preparare la Hawthorne per lo shock che stava per subire: Adam fu costretto a tornare all’ovile dal cugino, seguito da Connie, che seguì DJ Rioko sul retro per autografare i suoi libri, e Keith, balbettando scuse incomprensibili, sparì.
Trascorso qualche minuto a girarsi i pollici, si alzò e andò in bagno, tanto per non restare inattiva. Lo spettacolo che le si parò davanti le tolse l’uso della parola: Keith, nel bagno delle donne, stava bellamente baciando un’altra!
Facendo attenzione a non farsi scoprire, li fotografò col cellulare e scappò: per quanto la riguardava, la notte era invecchiata di colpo.

 
***

Entrò in punta di piedi per non svegliare gli zii o i fratelli…. fatica sprecata: li trovò in piedi ad aspettarla.
–Ben tornata! Com'è andata l'allegra rimpatriata?- chiesero in coro.
–Come aveva previsto “Nostraleonard”: palle e strapalle! L’unico momento eccitante è stato quando Adam ci ha presentato la sua fidanzata. Sì, avete sentito bene: fidanzata. Indovinate come si chiama? Monica! E ha pure i capelli rossi!
–Monica? Capelli rossi? Ho capito chi è: Momo Hart!- esclamò Charles con tanto entusiasmo da farsi scivolare gli occhiali giù dal naso. –Accidenti, Cartridge ha fatto un colpaccio! La Hart è un pescecane del foro, proprio come suo padre. Oltretutto è un gran pezzo di f…
–Così non aiuti, Chuck!- sbottò Monica, mollandogli un calcio.
–Che male! Sei violenta, sorellona!
–L’ha monopolizzato per l’intera cena. Fortuna che non ci ha seguiti al ‘Cargo’, altrimenti avrei dato fuori di matto. Ciliegina sulla torta, Corinne Hastings l’ha supplicata di presentarmi qualche rampante avvocato single - perché secondo lei non è normale non avere un uomo alla mia età - non so cosa mi abbia trattenuto dallo strozzarla. In discoteca hanno giocato tutti ai ragazzini, come se fossimo ancora al liceo: Robinson, ubriaco fradicio, ha limonato con una bottiglia, e Jason Matlock voleva a tutti i costi farmi vedere il suo nuovo televisore al plasma. Che scusa patetica! Se avesse messo in chiaro che mirava a una botta e via avrei anche potuto farci un pensierino, ma farmi prendere per il culo non lo accetto… in nessun senso!
–Vuoi che lo picchiamo?- si offrì Leonard, scrocchiandosi le nocche.
Charles gli intimò di tacere e, ridacchiando, esclamò –Ti sta sulle palle, vero?
–Chi?
–La fidanzata di Adam.
Monica annaspò, deglutì sonoramente e mentì –Ma no, che dici!- prima di arrendersi. –E' così evidente?
–Hai scritto a caratteri cubitali sulla fronte: "la odio"!- risposero in coro i suoi fratelli.
Monica sbuffò incrociando le braccia e replicò –Se la conosceste mi dareste ragione: è insopportabile, peggio di Mary Poppins, teoricamente e praticamente perfetta sotto ogni aspetto! E’ oggettivamente molto bella, è intelligente, parla cinque lingue e ne sta imparando altre due, fa yoga per distendersi e corsa per mantenersi in forma, si veste, conversa e comporta impeccabilmente, e pare essere un'autorità in materia di arte, musica, moda, cucina, economia domestica, galateo, e chi più ne ha più ne metta... l'unica cosa che forse non le riesce alla perfezione è risultare simpatica al prossimo!
–Specie se il prossimo sei tu!- ironizzò Charles, guadagnandosi per la sua audacia un'occhiata raggelante dalla sorella, che andò a letto, abbandonandosi ad un sonno costellato di incubi con protagoniste Momo ed Hailey.
 
***
 
Kyle lottava contro se stesso, da quando era andato a letto con Connie: gli era entrata nella testa e non sembrava intenzionata ad andarsene tanto presto, a giudicare dalla frequenza con la quale compariva nei suoi sogni. Il corrispettivo in carne ed ossa, poi, gli rendeva la vita difficile comportandosi con la consueta gentilezza: non che fosse un crimine, ma ricevere sorrisi e carinerie da una donna che sapeva di non poter avere era per lui un supplizio.
–Qualcosa non va?
“Lupus in fabula: il fidanzato!”
–Uh? Oh, no. Affatto. Anzi, ho appena finito di photoshoppare a dovere la fotografia che Lucinda Lovelace ha scelto per la quarta di copertina.
–Hai piallato qualche ruga?- scherzò Keith.
–Non solo- rincarò Kyle, arricciando le labbra. –Le ho tolto almeno dieci anni, guarda! Sfido un chirurgo plastico a fare di meglio!
Keith esaminò l’immagine modificata al computer e annuì compiaciuto.
–Bel lavoro!
–Si fa quel che si può- si schermì Kyle. –Anche perché se avessi fatto un pessimo lavoro mia nonna mi avrebbe scuoiato vivo: è la fan numero uno della Lovelace, ha la libreria piena dei suoi romanzi zuccherosi, che schifo!
–In tutta onestà… non ne ho mai letto uno- sussurrò Keith in tono colpevole. –Non sono il mio genere, ma il pubblico femminile dai quaranta in su li adora, perciò… avanti tutta!
–E’ proprio vero che non basta il fiuto letterario per sopravvivere in questo campo.
–Esatto. Bisogna partire dal semplice presupposto che non necessariamente un libro di scarsa qualità sarà un fiasco, e viceversa. Pensa alla trilogia delle cinquanta sfumature- asserì Keith. –Se si guardano soltanto lo stile e il contenuto si rischia di fallire. Il mio mantra è: nell’editoria, come nella moda, contano l’appeal e la firma. Se la Duchessa di Cambridge scrivesse un libro di ricette, anche se facessero schifo, la gente lo comprerebbe, perché l’ha scritto la Duchessa di Cambridge. Chiaro il concetto?
–Cristallino. Teso per la presentazione?
–Abbastanza. Lavorare con papà è istruttivo, ma anche sfiancante: mi fa sgobbare come uno schiavo, in aggiunta alla montagna di impegni all’università. Sono distrutto!- esalò Keith, massaggiandosi gli occhi.
–Tuo padre ha molta fiducia in te… meritatissima, direi: l’unica volta in cui non ti diede retta rifiutò nientepopodimeno che ‘Harry Potter’!
–Credo si mangi ancora le mani per quella storia- ridacchiò Keith. –Una bella soddisfazione. Ma basta parlare di me: so per certo che qualcosa ti preoccupa…. o meglio, qualcuno.
“Oh, merda! E ora? Confessare o non confessare? Questo è il dilemma!”
–Inutile negare. Da cosa l’hai capito?
–Ho tirato a indovinare: tutti hanno problemi con almeno una ragazza.
“Io ne ho con la tua ragazza, come la mettiamo?”
–Devo dedurre che anche tu hai un problema con nome e cognome.
–Esatto. Un bel problema… molto complicato.
–Bene!- trillò Kyle. –Se è complicato, significa che la soluzione è semplice.
Keith rimase a bocca aperta per un istante, prima di osservare –Hai letto il libro di Connie?
–Non ci vedo nulla di male- rispose Kyle, maledicendosi per essersi tradito citando il motto di Cassie Bloom, la giornalista-detective. –Ho pensato sarebbe stato più facile apportare migliorie alla copertina, se avessi conosciuto meglio la trama e i personaggi.
Keith lo fissò con insistente diffidenza, e ringhiò –Non hai aperto nessuno dei libri per i quali hai impostato la grafica… perché questo?
–Perché mi andava- rispose l’altro, ostentando innocenza. –Ora, se vuoi scusarmi, torno a giocare al computer.
 
***
 
Se Monica avesse frequentato la Hogwarts sarebbe sicuramente stata smistata nella “culla dei coraggiosi di cuore”, perché era richiesta una dose massiccia di audacia e fegato (cavalleria decisamente no) per recarsi alla sede centrale della casa editrice AllBooks, eludere la sicurezza, mandare a quel paese la segretaria e, spalancando la porta con un calcio, irrompere nella sala riunioni, avventarsi su Keith e - al cospetto di una dozzina di persone, tra cui suo padre - sbatterlo contro il muro e schiaffeggiarlo urlando –Tutti uguali, voi maschi... ugualmente stronzi! Come hai potuto fare questo a Connie? Lei ti ama, anima e corpo! Sei la sua vita, e la ripaghi scopando con quella puttana orientale? Ti farò rimpiangere di essere nato col pene, bastardo!
–Ehm… potreste scusarci un minuto, signori?- esalò Keith tra una sberla e l'altra, rosso in volto per la vergogna e le percosse. Liberatosi dalla morsa di Monica, Keith la afferrò per un braccio e la trascinò in un posto appartato, dove discutere in privato. Fissandola sconcertato, sbraitò –Ti ha dato di volta il cervello? Bella figura mi hai fatto fare!
–E’ solo di questo che ti importa, brutto stronzo! Di Connie te ne puoi bellamente fregare!
Keith la fulminò con un'espressione di profondo dolore - sembrava avesse ingoiato soda caustica - infine replicò –Come osi anche solo pensare che non mi importi di Connie? Lei è la persona più importante della mia vita!
–Oh, sì, certo- sbuffò Monica. –Se la ami tanto perché te la fai con quella puttana asiatica alle sue spalle?
–Hailey non è una… puttana. Ci frequentiamo da un po’, e non siamo una coppia clandestina: Connie ne è al corrente- confessò Keith con una smorfia sarcastica.
Monica boccheggiò, per poi esalare –Connie lo... lo sa?
–Si, lo sa, e, a differenza, tua, non considera tradimento il mio tentativo di voltare pagina. Dopotutto, anche lei si diverte altrove.
–C-Cosa… che stai dicendo?
–E’ una faccenda che deve restare segreta, Nicky. Non una parola. Con nessuno. Io e Connie ci siamo lasciati. Ci presentiamo in coppia agli eventi ufficiali e dalle nostre famiglie, conviviamo, dormiamo nello stesso letto, ma… non stiamo più insieme. Teniamo in piedi la storia per convenienza. Sconvolgente, eh?- sputò Keith, ribollendo di rabbia repressa.
Monica, scioccata, mise su un'espressione mortificata e pigolò –C-Credevo...
–L'ho capito cosa credevi. Davvero mi ritieni capace di pugnalare alle spalle Connie in modo tanto meschino? Bell'opinione hai di me! Grazie!- esclamò Keith, offeso.
Sentendosi un verme, Monica si scusò.
–Mi dispiace di aver pensato male. So che non sei una persona meschina, ma ti ho visto sul retro del locale con Hailey, non sapevo che tra te e Connie fosse finita... Come stai?
–Se vuoi darmi la tua compassione, sappi che non la merito: sono stato io a lasciarla, e me ne pento amaramente. E’ proprio vero che comprendi il valore di quello che hai quando ormai non è più tuo- rispose Keith. –Mi lecco le ferite, ma non vogliono smettere di sanguinare. Sono ancora innamorato di lei e dubito basterà Hailey a togliermela dalla testa.
Monica scosse la testa ed asserì –Non sono brava con le parole, né con i sentimenti, mi viene soltanto da dirti che mi dispiace… e che ti sta bene: sei stato un emerito coglione a mollare la Ciambellina! Non basterà sbatterle in faccia la tua amichetta per riconquistarla.
Keith uggiolò per il calcio ricevuto al ginocchio, sorrise mestamente e rispose –Non dispiacerti: credo che Connie abbia trovato qualcuno con cui divertirsi, e se è felice non posso che esserlo per lei... anche se fa male.
La rossa lo abbracciò e gli disse –Se hai bisogno di un'amica, conta pure su di me. Perdona la mia entrata ad effetto- dopodiché se ne andò, sconvolta e amareggiata.
Chiunque. Non si sarebbe stupita di sentirlo di chiunque, ma non dei suoi amici: Keith e Connie erano la coppia perfetta, l'esempio del vero amore, un duo inossidabile, l'incarnazione di un ideale, la versione reale delle coppiette mielose delle pubblicità, che si sbaciucchiano da mattina a sera mai sazi l'uno dell'altra… era inconcepibile che si fossero lasciati.
Determinata ad andare in fondo alla faccenda, si precipitò a casa dell’amica, ricordandosi che sarebbe stata impegnata tutto il giorno alla ITV solo dopo aver bussato ininterrottamente per cinque minuti buoni.
–Sono costretta a battere in ritirata- mormorò. –Ma non finisce qui!
 
***
 
–Sono contenta che tu sia qui.
–Temevi non mi sarei presentato?- sibilò Brian. –Dovresti sapere che mantengo la parola data… anche se a volte ne farei volentieri a meno.
–Incasso la frecciatina e rilancio: neanche per me è un piacevole incontro, ma abbiamo importanti questioni di cui discutere.
–Non sono d’accordo: io e te non abbiamo più nulla da spartire.
–Ti sbagli, qualcosa c’è e ci sarà sempre: il bambino- asserì Crystal.
–Il bambino ha un nome, Aidan, e ti proibisco di usarlo come arma contro di me. Sarebbe troppo crudele… persino per te- replicò Brian, entrando in modalità padre-chioccia: avrebbe dato la sua stessa vita per tenere quella donna lontano da sua figlio. –Dato che non ho tempo da sprecare, a differenza tua, veniamo al dunque: cos’è che vuoi…. veramente?
Crystal sorrise, e cinguettò –Aidan, eh? Mi piace, è un bel nome. Da quel che ho potuto vedere, si direbbe che lo stai tirando su bene: sembra un bambino felice e in buona salute. Al contrario, credo sia stata trascurata la sua educazione: dovresti insegnargli a portare il dovuto rispetto agli adulti.
Brian non si scompose, ordinò un bicchiere di karkadè per sé e uno di succo di ribes per Crystal, poi, congedata la cameriera, rispose –Ritengo invece più educativo insegnargli che il rispetto si dà a chi lo merita, così come la fiducia… e tu sei immeritevole di entrambi.
–Via, via, Brian, cos’è questo tono ostile? Un tempo eri più gentile con le signore!
–Un tempo eri una signora- ribatté lui con un ghigno ironico. –Fai un favore a entrambi: getta la maschera. Cosa vuoi da me? Soldi? Non ti sono sufficienti quelli della tua fetta di eredità? Beh, spiacente, non vedrai un penny della quota di Aidan!
Crystal si alzò, si protese verso di lui e, prima di andarsene, gli sussurrò all’orecchio –Hai fatto male i tuoi conti, caruccio: sono abbastanza crudele da usare il moccioso come arma contro di te. Se non sarai ragionevole e mi darai quello che voglio, l’ultima volta che vedrai il tuo amato Aidan sarà in un’aula di tribunale!
 
Nota dell’autrice:
Vi avevo avvisati: aspettate a giudicare Connie e/o Keith. Scommetto che siete rimasti scioccati come Monica! XD Chi non lo sarebbe? Una maschera affascina e fa paura proprio perché non si sa cosa cela. Il loro non è propriamente un affair, ma è comunque tradimento per chi crede nel vero amore, e “cover” si riferisce al fatto che lo sbandierano ai quattro venti, copertine comprese.
A proposito di Monica… è guerra aperta con la sua omonima, la “praticamente perfetta sotto ogni aspetto” Momo! Riconquisterà il suo migliore amico, o lo perderà definitivamente? Alzi la mano chi fa il tifo per la fidanzata di Adam! XD
Per Brian si prospettano tempi duri: cederà al ricatto di Crystal, pur di tenerla lontano da suo figlio, oppure rischierà il tutto per tutto e la trascinerà in tribunale?
Franz è stato pessimo a frugare tra la roba di Faith, ma c’è da capirlo: non sapere se la tua compagna è stata sposata o no è un dubbio atroce! Fortunatamente, la questione si è risolta, e i due sono tornati carini e coccolosi… fino al prossimo problema! XD
Chiudo con una precisazione: l’Hibiscus esiste veramente ( è un eccellente ristorante indiano), così come la ITV, una sorta di Mediaset inglese, contrapposta alla televisione pubblica, la BBC (per la quale, infatti, i britannici pagano il canone, come noi con la Rai).
Au revoir!
Serpentina
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Che vita sarebbe senza imprevisti? ***


Aloha! *saluta ballando la hula*
Siete curiose di sapere se Connie e Monica ( o le due Moniche) si scanneranno, se Keith la smetterà di piangersi addosso per tentare di riconquistarla e tanto altro? Allora non vi resta che addentrarvi nella lettura… dopo i ringraziamenti alle “recensitrici” Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92 ed elev, e a fiordicampo e Violet19, che seguono la storia. Consiglio: se vi piace leggere col sottofondo musicale, ascoltate questa poesia in musica! ^^
 
Che vita sarebbe senza imprevisti?
 
Ci sono momenti in cui tutto va bene, ma non ti spaventare, non dura.
Jules Renard
 
Adam si morse la lingua, maledicendosi mentalmente: l’aveva sognata ancora. Un sogno vivido, intenso, che avrebbe desiderato ardentemente fosse reale. Si stropicciò le palpebre e guardò la finestra: dagli spiragli tra le tende filtrava una luce fioca e aranciata: l’alba non doveva essere passata da molto. Non avendo necessità di alzarsi presto, si girò dall’altra parte e riprese il sonno interrotto finché, diviso tra il desiderio di dare inizio alla giornata e quello di poltrire ancora, allungò una mano nell’altra metà del letto: aveva fatto sogni poco casti su Monica, perché non partire col piede giusto mettendoli in pratica? Purtroppo per lui, però, il posto di Momo era vuoto. “Sarà andata a correre”, si disse, emettendo un verso di esasperazione per l’ossessiva precisione che la donna riservava ad ogni aspetto della sua vita, attività fisica compresa. Si stropicciò le palpebre e guardò la finestra: si intravedeva una luce densa e di un giallo quasi bianco: l’alba doveva essere passata da un pezzo. Incapace di riprendere sonno, si alzò e si trascinò in bagno, sperando che una doccia fredda lo svegliasse e, al tempo stesso, raffreddasse i bollenti spiriti.
Animato da ottimistica determinazione, si vestì e preparò la colazione, convinto che un buon pasto avrebbe allargato il sorriso sul suo volto. Che le scelte alimentari sono condizionate dalle emozioni lo dimostrava l’abitudine - paradossale, per un salutista come Adam - di consumare una tradizionale colazione inglese a base di uova, bacon, fagioli e salsicce: gli ricordava la sua infanzia nel freddo nord dello Yorkshire e l’adolescenza, quando Brian o Nicky gli rubavano le salsicce dal piatto (la Hawthorne addirittura dalla forchetta).
Poco dopo udì il trillo del campanello; tappandosi le orecchie - aveva pregato mille volte suo cugino di modificare quell’acuto insopportabile con una melodia gradevole, ottenendo solo rifiuti e qualche risata - aprì la porta a Momo, che gli porse un sacchettino di carta con dentro due cornetti, naturalmente integrali e ipocalorici. Divorò il suo tra i brontolii sincronizzati di stomaco e cervello, che chiedevano, anzi, esigevano qualcosa di più sostanzioso. Stava per addentare una salsiccia, in barba a colesterolo e trigliceridi, quando Momo cinguettò –Ho incontrato la tua amica… l’altra Monica. Santo cielo, era in uno stato terribile! Prende i vestiti dall’Esercito della Salvezza?
Con la forchetta a mezz’aria e l’espressione allibita, Adam rispose –Ehm… credo stesse andando al canile: fa volontariato lì da anni.
–Con gli stessi vestiti, immagino, altrimenti non si spiega il loro stato- sputò Momo con estrema acrimonia.
–Non può certo presentarsi in tailleur di Chanel!
–Qualcuno dovrebbe informarla che si può essere utili al prossimo anche puliti e ben vestiti.
Adam si morse la lingua: non era d’accordo; i suoi genitori gli avevano insegnato che, proprio perché quasi certamente non ne avrebbe avuto bisogno, doveva comprendere l’importanza del duro lavoro e il rispetto per chi si spaccava la schiena per andare avanti. Per lui essere utili al prossimo non significava staccare un assegno, ma sporcarsi le mani in prima persona.
–Cambieresti idea se ti dicessi che lo facevo anche io?
–No. E adesso metti via quella robaccia, fa ingrassare solo a guardarla!- sbuffò Momo, storcendo il naso.
–Ogni tuo desiderio è un ordine!- scherzò lui, profondendosi in un inchino, quindi attese che la sua fidanzata si fosse trasferita in salotto per ingurgitare a folle velocità una salsiccia e qualche cucchiaiata di fagioli. Il resto lo sistemò in tre vaschette da riporre nel frigorifero: avrebbero potuto tornare utili per pranzo. Raggiunse Momo - che si era accomodata sul divano - e, a pancia semi-piena, la osservò meglio, domandandosi come fosse possibile apparire così impeccabili dopo una lunga corsa: non una sbavatura nel trucco leggero, non un capello fuori posto, non una macchia di sudore sulla t-shirt in tessuto tecnico. Assurdo! Quando correva con Nicky il sudore appiccicava alla fronte il suo ciuffo ribelle, la coda perfetta della Hawthorne si disfaceva e quando si fermavano, ansanti, facevano a gara a chi aveva le chiazze sudate più grandi, gara che invariabilmente naufragava in un mare di risate.
–Guardi me e pensi a lei. Potrei offendermi! No, togli il “potrei”- sibilò Momo, fulminandolo con un’occhiataccia.
–Cos… cosa vorrebbe significare?
–Quello che ho detto. Peccato non abbia uno specchio a portata di mano, sarebbe divertente farti vedere come i tuoi occhi si trasformano in lucine natalizie ogniqualvolta pensi alla tua amica cagnara.
–Tu deliri!
–E tu mi ritieni una stupida!- strillò. –Non capisco il perché di questa messinscena: credevi sarei stata gelosa se avessi saputo che è una tua ex? Beh, lascia che ti dica una cosa- “Sono gelosa lo stesso!” –Non potrei mai temere una come lei. L’hai vista bene?
Adam, istintivamente, avrebbe voluto ribattere che sì, aveva visto benissimo “la sua amica cagnara”, per la precisione l’aveva vista nuda, ma le parole che uscirono dalla sua bocca furono molto diverse… quelle usate da Nicky per spiegargli i motivi per cui, secondo lei, era meglio restassero semplici amici.
–Momo, ho scelto te, e per un buon motivo. Le qualità che si cercano in un partner sono diverse da quelle che si cercano in un amico, di qualsiasi sesso. Ci sono difetti e comportamenti che si tollerano in un fidanzato o fidanzata, ma distruggerebbero un’amicizia, e viceversa. Quando accade quel “viceversa”, hai bisogno di un amico che ti offra una spalla su cui piangere, oppure che si offra come punching-ball per i tuoi sfoghi, e se amico e partner sono la stessa persona, a chi ti rivolgi?
–Davvero toccante. E con ciò?
–Con ciò… non hai bisogno di denigrare la mia migliore amica; anzi, è controproducente: Nicky e io funzioniamo solamente come amici. Se ci mettessimo insieme, non dureremmo cinque minuti. Non pretendo diventiate amiche - è impossibile, siete troppo diverse - però vorrei accettassi la sua presenza nella mia vita e ti sforzassi di trattarla civilmente. Credi di potercela fare?
Rassicurata definitivamente, Momo annuì, si alzò e lo baciò; mentre la teneva tra le braccia, però, Adam non poté fare a meno di pensare che quanto aveva appena detto fosse una emerita stronzata.
 
***
 
Mr. Jones si grattò la guancia, domandandosi quanto sarebbe stato grave allontanarsi dalla sua postazione giusto il tempo di bere qualcosa di caldo - il tempo uggioso stava avendo la meglio su di lui - quando vide due donne, entrambe palesemente formose sotto gli impermeabili.
“Ah, però!”, pensò, inarcando le sopracciglia in segno di apprezzamento, “Quanto bendidio! Peccato siano tutte coperte!”
Le due stavano parlottando, e non avrebbero potuto essere più diverse: la bionda sorrideva, e, vuoi per il colorito roseo, vuoi per la vivacità della fantasia dell’impermeabile, comunicava vitalità; la bruna, al contrario, forse per il netto contrasto tra il nero dei vestiti e il pallore quasi cadaverico della pelle, sembrava un vampiro, e l’agente non si sarebbe stupito se all’improvviso avesse azzannato qualcuno. Sperava solo di non diventare il suo pasto.
La bionda e la presunta vampira si fermarono di fronte a lui e pagarono per una postazione di tiro.
–Spiacente, signore, niente femmine. Non mi fido delle donne con la pistola.
–E fa male- replicò acida la bionda, aprì l’impermeabile, offrendogli una visuale delle sue curve inequivocabilmente femminili e della pistola che custodiva in una tasca interna.
Mr. Jones cambiò espressione all’istante.
–Potevate dirlo subito che non siete due Calamity Jane della domenica!
Faith, sbuffando, afferrò le cuffie e gli occhiali protettivi, si recò alla sua postazione e sfogò la frustrazione accumulata sparando. Non era mai stata un’amante delle armi da fuoco - troppo fredde e impersonali, volgari rispetto alla raffinatezza delle armi bianche e il fascino macabro dei veleni - finché non aveva sperimentato in prima persona l’emozione che si provava nel premere il grilletto e sentire il rumore del proiettile che andava a segno.
–Così mi piaci!- esclamò Serle. –Ci hai dato dentro alla grande! Spero ti abbia aiutata a rilassarti, dopo l’incidente di questa mattina.
L’altra rispose –Continuo a sostenere che i fucili sono tutta un’altra cosa - a un revival western ho sparato con una carabina, è stato fantastico! - ma chi si accontenta gode, perciò... Credo di aver dato il peggio di me perché ho immaginato che la sagoma fosse Sherman. Lo odio da morire!
Non seppe mai se attribuire l’improvviso e violento conato che la colse in quel momento al detestabile Sherman, all’odore pungente di polvere da sparo, oppure al ricordo della figuraccia rimediata poche ore prima, fatto sta che, respirando lentamente per trattenersi, corse in bagno ed espulse anche l’anima. Si sentiva veramente male, e stava lottando contro la sensazione di mancamento che la pervadeva. Quando uscì dalla toilette, avvertì una mano fresca posarsi sulla sua fronte, e il rassicurante –Rilassati, ci sono io con te.
–S-Serle… s-scusa…
–Tranquilla. Meglio fuori che dentro... o sulle scarpe di Sherman!
Faith emise un flebile risolino - anche perché il suo stomaco pareva dar ragione alla moglie di Alexander - poi, emesso un sospiro di sollievo, esalò –Che figura! Se solo ci ripenso, io… ti dirò, sono contenta si sia trattato delle scarpe di Sherman, e non di quelle di Noyce. Vomitare sulle scarpe del capo non è un buon modo per diventare dipendente del mese.
–Direi proprio di no.
–Oddio, che sto dicendo! Scusa, Serle, spesso dimentico che quello che per me è naturale per altri… è una schifezza.
–Non preoccuparti, tesoro: ho tre figli, il vomito mattutino è qualcosa che conosco bene!- ribatté lei.
–V-Vomito m-mattutino?                                         
Di fronte allo sconcerto della Irving, Serle si vide costretta a chiarirsi.
–Non ti scaldare, tesoro: so benissimo che nel tuo caso è stato Sherman la causa dei contorcimenti di stomaco, intendevo semplicemente dire che, avendo affrontato ventisette mesi complessivi di gravidanza, non mi faccio spaventare da un po’ di vomito.
–Nemmeno io- replicò Faith, stiracchiando le labbra in un abbozzo malriuscito di sorriso, sforzandosi di non pensare all’atroce dubbio che si stava insinuando nella sua mente.
 
***
 
Se Connie avesse immaginato le conseguenze dell’invitare Monica a festeggiare il suo successo, sarebbe rimasta a casa.
–Spiegami bene questa storia del percorso letterario- disse la rossa, fremente di quella che l’amica credeva eccitazione, invece era ansia all’ennesima potenza: la Hawthorne aveva intenzione di mettere alle strette Connie per estorcerle dettagli sulla rottura con Keith.
–Ho deciso di iniziare a promuovere ‘Per chi suona la campanella’ a Edimburgo, sia perché le mie opere sono ambientate lì, sia perché mi hanno comunicato che inaugureranno la ‘Cassie’s Walk’, un percorso turistico-letterario che si snoderà nei luoghi perno dei miei gialli. E’ il mio momento d’oro, e intendo godermelo fino in fondo. Oh, Nicky, sono talmente emozionata!
–Lo credo bene! Poi la Scozia è così romantica!- sospirò Monica, osservando la reazione della scrittrice.
Connie trasalì, si morse il labbro e balbettò –S-Sì, m-molto romantica. Peccato che Keith non verrà.
–Ah, no? Come mai?
–Ha da fare. D’altronde sono adulta, non ho bisogno della balia.
Irritata dalla noncuranza con cui la sua migliore amica le stava mentendo, Monica gettò alle ortiche i buoni propositi di agire con calma e compostezza e sbraitò –Dì piuttosto che non lo vuoi accanto perché ti ha dato il benservito!
–C-Come, prego?
–Ricordi la cena di classe? Dopo che te ne sei andata, ho beccato Keith con una. Naturalmente mi sono incazzata, gli ho chiesto spiegazioni - nel mio solito modo, cioè con la violenza, ma ti garantisco che non gli ho fatto troppo male… è ancora tutto intero, no? - e le ho ottenute. Ciambellina, perché non me l’hai detto?
–Grandioso. Eccone un’altra pronta a farmi la predica!
–U-Un’altra?
–Quello smidollato non è riuscito a tenere la bocca cucita: ha confessato tutto ad Adam, che, da buon cavaliere, si è precipitato a consolare la damigella scaricata.
La Hawthorne sbiancò, si coprì la bocca con le mani, poi, recuperato l’uso della parola, pigolò –C-Consolare? C-Cioè a-avete… avete fatto…
–Sei impazzita?- ululò Connie, strabuzzando gli occhi. –Io e Adam? Neanche se fosse l’ultimo uomo sulla faccia della pianeta! Oddio, no, forse in quel caso… esclusivamente in quel caso, eh!
–A giudicare dalla tua faccia, l’idea di fare sesso con Adamino ti disgusta da morire. Lasciatelo dire: sei proprio scema! Adamino è l’uomo ideale: bello, dolce e, a dispetto del simpatico nomignolo con cui lo tormento, niente affatto “ino”.
–Te lo cedo volentieri: non è il mio tipo e ti rispetto troppo per pugnalarti in modo tanto meschino!
–Non è me che pugnaleresti - siamo stati, siamo e saremo nei secoli dei secoli amici e nulla più - ma non è di questo che dobbiamo discutere, bensì di te e Keith. Perché me l’hai tenuto nascosto?
–Per evitare scene come quella che si sta per svolgere- rispose Connie, seccata.
–Ascolta, Ciambellina: posso capire che la sconfitta bruci - e non c’è sconfitta peggiore della fine di un rapporto che ci ha coinvolti nel profondo del cuore - ma per quale motivo tieni in piedi la farsa?
–Perché mi conviene.
–Non capisco.
–Nicky cara, Keith fu talmente corretto da informarmi che stare con me lo annoiava e stava uscendo con Hailey - sì, conosco il suo nome - ma non era andato più in là di qualche bacio per non ferirmi.
–Hai ragione, è stato corretto.
–Infatti gli risposi che apprezzavo la sua sincerità e, per quanto mi riguardava, la sua nuova amichetta poteva tenerselo. Sarei uscita di scena senza tante storie, giuro, se non mi avesse fatta infuriare, lamentandosi perché ero calma! Mi stava lasciando e pretendeva che frignassi per lui, ti rendi conto della sua faccia tosta?
–Ehm, ecco… f-forse voleva appagare il suo ego. Non sono una psicologa, però credo che il suo ego sia il motore di tutto il casino. Sai che i maschi sono cavernicoli: se stanno loro sotto i riflettori va tutto bene, se sotto i riflettori c’è la loro donna si sentono castrati e in dovere di dimostrare la loro virilità…
–Andando a scopare in giro?- abbaiò Connie. –Spero che inventino presto un metodo alternativo di fecondazione, così non serviranno più neppure a quello e potremo sbarazzarcene!
–Ora non esagerare! Guarda che ti era andata di lusso: rispetto alla media dei nostri coetanei, Keith è un ragazzo d’oro- lo difese Monica.
–Placcato oro- sibilò Connie.
–Va bene- concesse Monica: pura avendo riconosciuto in Keith del sincero pentimento, continuava a biasimarlo per aver fatto soffrire la sua amica, che aveva tutto il diritto di detestarlo. –Keithino si è comportato da egoista bastardo; questo spiega perché è finita, non perché non avete rotto definitivamente.
–Innanzitutto per i soldi: mi dispiace infrangere i tuoi sogni romantici, ma non eravamo una coppia perfetta. Non esiste la coppia perfetta, se non nelle menti dei miei lettori. Intuisco dalla tua espressione che hai capito: venderei meno della metà se si sapesse che Keith e io ci siamo lasciati. Poi… beh, se proprio devo essere sincera, una piccola parte di me vuole…
–Tornare con lui?- intervenne Monica, speranzosa: forse, con molto impegno da parte di Keith e un po’ di flessibilità mentale da parte di Connie, la situazione si sarebbe sistemata.
–Manco morta! Voglio che soffrano: ufficialmente Keith è ancora il mio fidanzato, ergo… ce l’ho in pugno. E Hailey è l’altra donna: il ruolo dell’amante è lesivo della dignità, perciò presumo che la sua sia ridotta a brandelli.
–Beh, portare le corna non è più dignitoso, ti pare?
–Può darsi, ma mal comune, mezzo gaudio.
–I-In che senso?- esalò Monica: conosceva la testardaggine di Connie, non si sarebbe fermata finché non avesse raggiunto l’obiettivo.
–Nel senso che, se Keith dovesse cominciare ad avvertire un inspiegabile mal di testa… sarebbe colpa mia!
–Oh, cazzo di Buddha! Ciambellina, trascinare qualcun altro in questa storia è un errore madornale! Soltanto perché hai il cuore spezzato..
–Non ho il diritto di spezzarlo a un’altra persona. Tranquilla, lui mi piace sul serio, non intendo usarlo per ingelosire quel deficiente… altrimenti avrei iniziato prima.
–E’ già qualcosa. Com’è successo?
–Per caso, ed è stato stupendo. Ero convinta che non si sarebbe ripetuto, invece… capisci adesso perché non voglio che Keith mi accompagni in Scozia?
–Porterai il tuo - che brutta parola - amante in Scozia?
–Ovviamente no! Keith non deve assolutamente scoprirlo!- esclamò Connie, e, per un attimo, Monica tirò un sospiro di sollievo, sostituito dallo sgomento quando la bionda aggiunse –La vita è piena di coincidenze, può capitare che due persone si incontrino per caso, no? Un caso programmato, ma pur sempre caso. Un piano perfetto! Non vedo cosa potrebbe andare storto!
 
***
 
Faith entrò di soppiatto nel Queen Victoria Hospital; avendoci lavorato, conosceva a menadito gli ingressi e riuscì a non farsi vedere da nessuno dei suoi amici ed ex colleghi.
Sgattaiolò in bagno, dove, racchiusa da un cubicolo, rifletté sul da farsi: la conversazione con Serle le aveva instillato il tarlo del dubbio, perciò una visita ginecologica era d’obbligo; il problema era: a chi rivolgersi? Non permetteva a chissà chi di metterle le mani addosso, gli unici di cui si fidava erano l’amico di Franz Robert Patterson, che aveva il vizio di lasciarsi sfuggire particolari privati dei pazienti durante la pausa caffè, e la sua amica Maggie Bell, ugualmente chiacchierona (sebbene in buona fede). Le serviva qualcuno competente, ma cinico, qualcuno che non la conoscesse bene e non avesse a che fare con i suoi amici, qualcuno come la...
–Dottoressa Meigs! A cosa devo il dispiacere?- celiò Robert Patterson, impegnato a refertare e spettegolare.
–Il dispiacere è tutto mio, Patterson- rispose gelidamente la donna.
A Maggie Bell non era sfuggito l’impercettibile cenno d’intesa che i due si erano scambiati, tuttavia decise di non darvi peso, attribuendolo alla stanchezza, e si limitò a chiedere –Ha bisogno di qualcosa?
–Senza offesa, Bell, ma mi serve qualcuno con più… esperienza. Patterson, potresti darmi una mano?
–Piuttosto me la amputo, la mano- replicò Robert con sussiego.
–Se non fosse vietato per legge, ti incoraggerei. Anzi, ti suggerirei di tagliarti pure la lingua!
Lo scambio di battute velenose proseguì per un paio di minuti, prima che Robert cedesse alle insistenze della collega. Una volta chiusa a chiave la porta dell’ambulatorio appena concluso, finalmente poté gettare la maschera e gettarsi addosso alla sua nuova, sensuale fiamma.
–Scusa se ti ho disturbato, ma…
–Nessun disturbo, Vanessa. Se non fossi venuta da me ora, ti avrei rapita alla fine del turno.
Robert aveva compreso la natura vorace della collega durante una delle noiose riunioni giornaliere che precedevano l’inizio del turno; gli era caduta la penna e, quando si era chinato a raccoglierla, aveva notato qualcosa - o meglio, la mancanza di qualcosa - nella dottoressa Meigs che l’aveva lasciato di sasso. Sconvolto e divertito, aveva finto di non trovare la penna per godersi lo spettacolo, sperando che nessuno se ne fosse accorto. Errore: la stessa Vanessa, mentre si cambiavano nel filtro per eseguire un cesareo d’urgenza, gli si era avvicinata e aveva sussurrato con voce suadente –Hai visto qualcosa che ti è piaciuto, Patterson?
Era stato l’inizio della fine: incapace di resisterle, aveva represso la parte razionale, che gli sconsigliava di intrattenere una relazione con l’amante del primario, e si buttato a capofitto in questa avventura di puro, bollente, sregolato sesso. Avevano incanalato l’odio reciproco in un’attività non distruttiva e, tutto sommato, piacevole, consapevoli che il loro rapporto si basava sul mero coinvolgimento fisico, e che la massima discrezione era necessaria per non rovinarsi la carriera; difatti si incontravano soltanto a casa dell’uno o dell’altra e solo se erano entrambi più che sicuri di non ricevere visite.
–Puoi rapirmi comunque- sospirò la Meigs mentre Robert le sbottonava il camice e infilava le mani sotto la camicetta. –Cavolo, no, non puoi! Pete mi fa uscire prima oggi, passeremo il week-end insieme: sua moglie va a trovare la madre, e noi possiamo… spassarcela no, se il sesso con lui fosse divertente non avrei bisogno di te… diciamo che potrò curare al meglio i miei interessi.
–Week-end libero. Ottimo!- esclamò Robert ostentando giovialità: in realtà la freddezza della Meigs e il suo ricordargli costantemente che per lei era alla stregua di un oggetto lo feriva, ma non avrebbe espresso lamentele finché avrebbe potuto “inzuppare” a suo piacimento.
–Come mai tanta allegria? Hai intenzione di rimorchiare un’altra sedicenne in discoteca?- sibilò lei, rinfacciandogli la figuraccia rimediata un paio d’anni prima, della quale era venuta a conoscenza grazie alla lingua lunga di Julia Adler.
–Non lo sapevo! Come avrei potuto? Ne dimostrava almeno una decina in più con quel mascherone di trucco e i vestiti che… bah!
–Entra nell’ordine d’idee, tesoruccio, che le sedicenni di oggi non sono come quelle di una volta: non sanno cosa vogliono, ma sanno come ottenerlo. Puoi solamente sconvolgerti per la velocità con cui ti calano le mutande e sperare che restino soddisfatte dalla tua performance, altrimenti ti ritroverai sputtanato su un social network in men che non si dica!
La replica di Robert venne repressa sul nascere. I due si ricomposero alla velocità della luce e Vanessa aprì la porta, seccata che una paziente fosse venuta a romperle le scatole dopo la chiusura dell’ambulatorio.
–Salve.
–Salve. Cerco la dottoressa Meigs.
–L’ha trovata. Cosa vuole?
–Infatti! Sei una mia paziente, Faith!- tuonò Robert, che custodiva i propri pazienti come un drago il suo tesoro. –Avanti, su, seguimi che ti…
–Robert, scusa, ma io, ecco… devo parlare urgentemente con lei.
–Ah, sì? Di cosa?
Faith arrossì e boccheggiò, al contrario della Meigs, che mantenne la calma e rispose –Di un favoloso outlet con prezzi stracciatissimi. Se ti interessa…
Cacciato Robert facendo leva sull’atavica allergia maschile allo shopping, le due donne poterono studiarsi a vicenda: Faith aveva sentito molto parlare della “vacca arrivista” che aveva rubato l’ufficio a Robert, e Vanessa aveva sentito parlare altrettanto della fidanzata di Franz Weil.
–Grazie. So di essere fuori orario, è il motivo per cui sono venuta adesso.
–Bando ai convenevoli, non ho tempo da perdere. Qual è il problema?
–Ecco, io… credo di essere incinta- pigolò Faith chinando il capo.
La Meigs, dimostrando meno tatto di una teiera, sbuffò –Tutto qui? I test di gravidanza li vendono in farmacia.
–Non mi basta: nausea e vomito non sono sintomi esclusivi della gravidanza, e il ciclo è sempre stato irregolare. Voglio esserne sicura, potrebbe trattarsi di una disfunzione ovarica, di una mola, di - speriamo di no - un coriocarcinoma…
–Tutte patologie molto frequenti- sibilò la Meigs, per poi arrendersi di fronte alla testardaggine della patologa. –Va bene, va bene, accendo l’ecografo.
–Grazie. Ehm, nel frattempo… potrei andare in bagno?- domandò Faith, arrossendo.
–Sì, ma spicciati, devo farmi bella, cioè, ancora più bella per il mio uomo, non posso perdere tempo con una collega ipocondriaca- ribatté senza scomporsi Vanessa.
L’altra obbedì, ma non riuscì a trattenersi dal commentare, a voce abbastanza alta da potersi udire attraverso la porta chiusa –Cosa accidenti trova Robert in te?
–Non so di cosa tu stia farneticando.
–Senza offesa, ma non siete granché come commedianti: Robert ha il vizio di non abbottonarsi il camice, perciò ho visto la patta aperta, e tu, nonostante il ritocco frettoloso, hai il rossetto sbavato. Notare particolari apparentemente insignificanti è il mio mestiere. Ammetterai che sono piuttosto brava.
–Anche troppo.
–La domanda, comunque, resta: cosa ci trova Robert in te?
–Quello che io trovo in lui- rispose la Meigs. –Allora, hai finito? No? Santo cielo, cos’hai al posto della vescica, le cascate del Niagara?
Faith attese altri tre minuti prima di uscire dal minuscolo bagnetto esibendo un’espressione sorniona. Gioendo dell’evidente disappunto della ginecologa, ridacchiò –Sarei uscita prima se fossi stata meno stronza, sai? La prima dote di un medico è l’umanità.
–Detto da una che taglia cadaveri….
–I morti sono i “pazienti” più pazienti, nonché quelli da trattare con più rispetto, proprio perché non sanno cosa facciamo loro- asserì la Irving, citando il dottor Noyce. –Allora, questa ecografia? Oh, e magari anche un Toxo-test… sai, ho una gatta.
 
***
 
–Piantala con le tue battutine! So che sono solo tre giorni, ma voglio essere bellissima. Per te- chiocciò Connie, reggendo in una mano il telefono e nell’altra l’ennesimo capo d’abbigliamento da inserire in valigia. Aveva impiegato due ore nella scelta, delusa dal suo guardaroba: gli abitini a fiori che adorava all’improvviso le erano parsi dei ridicoli camicioni da educanda, che l’avrebbero fatta passare per una bambina che giocava coi vestiti della mamma, non la donna sexy e sicura di sé che voleva apparire. “Non c’è da stupirsi se Keith ha preferito quella Hailey a me: conciata così non dimostro più di quindici anni!”, aveva pensato. Per fortuna aveva conservato in degli scatoloni i vestiti che le aveva comprato sua madre in un disperato tentativo di darle parvenze più adulte, e che non aveva mai indossato… fino a quel momento. –Comunque tranquillo, la valigia peserà poco, la maggior parte del bagaglio è composto da lingerie. Mentre ero in giro con Nicky ho fatto spese, e che spese! No, non ti anticipo niente, voglio sorprenderti. No che non devi cercare un altro lavoro: farò i salti mortali pur di non farci scoprire da Keith!- il rumore della serratura che scattava la fece sobbalzare. –Oh, accidenti, il lupus in fabula! No, Kyle, non è entrato un lupo in casa, è Keith… è un modo di dire! Lascia perdere: devo salutarti. Se posso ti richiamo dopo, sennò ci vediamo domani. Baci baci!
–Ciao- la salutò Keith con un bacio sulla guancia. –Con chi stavi parlando?
–Con… Nicky- mentì, avvampando per quel gesto dolce e altrettanto inaspettato: non era più abituata ad avere con lui contatti più intimi del tenersi per mano. –Avevo bisogno di consigli su cosa mettere in valigia, cose così. Roba da donne.
–Decisamente. Un uomo non riempirebbe una valigia per soli tre giorni!- ridacchiò, allentandosi la cravatta, regalo proprio di Connie.
–Probabilmente perché non saprebbe riempirla senza una guida femminile- replicò lei senza degnarlo di uno sguardo.
–Touché- le concesse, dirottando poi la sua attenzione sui vestiti sparpagliati sul letto. –Devo complimentarmi con te o con la rossa folle per il buon gusto?
–L’idea è stata mia, Nicky mi ha incoraggiata. Ogni tanto cambiare fa bene, non trovi?
–Assolutamente. Approvo questo nuovo look: sei giovane, ma una donna.
“Te ne accorgi soltanto adesso, pezzo di cretino?”
–Puoi dirlo forte!- esclamò la scrittrice, scostandolo con poca grazia. –Adesso, se non hai intenzione di aiutarmi e non hai nulla da dire che valga la pena ascoltare… ho un bagaglio e una casa da sistemare: partirò domattina presto.
–Pure io.
Connie, esterrefatta, chiuse un dito tra le ante dell’armadio; uggiolante di dolore, accettato riconoscente il ghiaccio portatole prontamente da Keith, esalò –Tu cosa?
–Non sarai l’unica a partire domani. Lascia, faccio io: bisogna massaggiare dove fa più male.
–Week-end romantico con Hailey?- sibilò Connie, sentendosi tremendamente in colpa per le bugie che gli stava propinando e per la gioia provata al pensiero di non vederlo per tre giorni. Bel modo di ricambiare le sue inspiegabili carinerie!
–Week-end senza aggettivi con la mia ragazza- la corresse. –Va meglio?
–Sì, grazie. Dove sei diretto?
–Edimburgo, Scozia.
Connie, livida, gli diede uno schiaffo, per poi ritirarsi, gemente: l’aveva colpito con la mano lesa.
–Nicky ha una cattiva influenza su di te. Da quando sei così violenta?
–Da quando hai deciso di essere così idiota! Porca miseria, che male! Perché non ho usato l’altra mano? Spero ti si scuota un po’ il cervello! Mi faccio in quattro - ma che dico, quattro? Dieci! - per preservare le apparenze, e tu rovini tutto portando la tua amichetta nella città dove presenterò il libro? Sei stupido di natura, o ti impegni?
–Casomai, sei tu che ti impegni a fraintendermi- rispose Keith con placida tranquillità. –Ultimamente passiamo poco tempo insieme, troppo poco; ho deciso di rimediare: verrò con te!
–I-In aeroporto.
–A Edimburgo! C’erano posti liberi sul primo volo di domani, il tuo. Non sei contenta?
La Bishop faticò a trattenersi dall’urlargli contro. Sfogò la rabbia su un pantalone innocente e ringhiò –Vuoi la verità? No, non sono contenta. Come ti è saltato in mente di prendere una decisione del genere senza consultarmi? Cosa credevi, che ti mi sarei messa a saltellare esultante?
–Beh, ecco… sì.
–Complimenti, allora, hai appena dimostrato di possedere la sensibilità e l’egocentrismo di un bambino di tre anni! La mia vita non orbita intorno a te! Non lo faceva quando stavamo insieme, figurarsi adesso! Ho programmato ogni minuto delle mie giornate, non c’è spazio per distrazioni. Oltretutto, ero sollevata alla prospettiva di un’evasione dalla tua costante presenza…
–Costante presenza?- esalò Keith. –Ma se ci vediamo a malapena quando andiamo a dormire!
–Basta e avanza, per due finti fidanzati.
Keith alzò gli occhi al soffitto, esasperato, e si sedette sul letto, prendendosi il volto tra le mani. L’atteggiamento ostile di Connie lo faceva impazzire, ma aveva ragione: era da insensibile pensare che tutto si sarebbe sistemato in un attimo, come per magia, con un bacetto e un week-end da soli. Connie, nonostante gli sforzi di non darlo a vedere, era una giovane donna ferita, e desiderava ferirlo a suo volta, riuscendoci benissimo. Era stato avventato, e ne stava pagando le conseguenze: dove aveva la testa quando aveva prenotato il volo? Come aveva potuto essere tanto egocentrico da non prevedere la sua reazione? La strada per la riconquista era in salita, e, nel tentativo di prendere una scorciatoia, aveva inciampato ed era rotolato al punto di partenza.
–Ti chiedo scusa. Ho agito d’impulso, ma in buona fede.
–Lo so. E’ l’unica certezza che ho su di te, al momento- asserì Connie con tale dolcezza che le speranze di Keith crebbero proporzionalmente alla sua determinazione: poteva ancora farcela.
Peccato che un dubbio si insinuò presto nei suoi pensieri.
–Senti, ehm, non prendertela, però… non è che mi nascondi qualcosa? So che è stupido, e che sto sprofondando nella paranoia, ma non posso fare a meno di domandarmi se la causa del tuo desiderio di starmi lontano… sia qualcun altro.
–Hai ragione: stai sprofondando nella paranoia.
–Non ho intenzione di fare scenate, te lo assicuro, vorrei semplicemente saperlo. Solo questo.
Connie si irrigidì: il suo peggior timore si stava avverando. Era giunto il terribile momento della verità: confessare o non confessare? Questo sì che era un dilemma! La voce della ragione le suggeriva che avrebbe potuto, dovuto sputare il rospo, magari tenendosi sul vago riguardo l’identità del suo nuovo amore - non avrebbe permesso che Kyle perdesse il lavoro - tuttavia prevalse la parte peggiore, quella bugiarda e manipolatrice, che parlava con la voce di Vyvyan; nella scelta tra ciò che era giusto e ciò che era facile, Connie Bishop scelse la seconda opzione.
Carezzandogli il viso, chiocciò –Il pallone aerostatico del tuo ego può evitare di sgonfiarsi: non c’è nessun altro. Sarebbe sciocco: perché rubare dall’ufficio il distributore di bevande, quando a casa hai una fedele teiera?
Keith emise un sospiro di sollievo, prima di sbottare, offeso –Mi hai paragonato a una vecchia teiera?
–Fedele, non vecchia.
–Sono quasi sinonimi!- ululò lui.
–Devo ricordarti a cosa mi paragonasti quando ci lasciammo? Un paio di pantofole!
–Non è vero!
–La memoria inizia a perdere colpi, eh, Keith?- sputò Connie. –Che vuoi farci, è l’effetto dell’età che avanza.
–Possibile che non riusciamo più a comunicare, noi due?
–Credevo lo stessimo facendo.
–Una comunicazione costruttiva, Connie, non questo patetico scambio di battute rancorose!- sbraitò Keith, ormai al limite di sopportazione.
–Puoi sempre andare da Hailey. Ti suggerisco un fine-settimana caliente per disintossicarti dalla mia ammorbante presenza- sibilò lei.
–Io, invece, suggerisco un fine-settimana di civile conversazione in territorio neutro. Servirà a chiarirci e recuperare un rapporto almeno di amicizia. Che ne dici?
–Dico che è una pessima idea.
–Non sono d’accordo: è una splendida idea- obiettò Keith, prima di sollevarle il mento e gettare l’àncora di speranza. –E so che, sotto sotto, lo credi anche tu. Ti sfido, Connie: prova a guardarmi dritto negli occhi e dirmi che tre giorni con me sarebbero insopportabili. Dimmelo… se ne hai il coraggio.
 
 
***
 
Brian entrò nella pasticceria di Melanie, ‘Il dolce mondo di Mary’, in cerca di conforto. Era frustrato, scoraggiato, depresso: neppure dopo ore di discussione era riuscito a risolvere il problema del ricatto di Crystal, perché di ricatto si trattava; la donna - sebbene l’avesse partorito, non l’avrebbe mai reputata madre di suo figlio - aveva prosciugato la sua fetta di eredità e pretendeva di rimpinguare i conti in rosso con quella di Aidan James, minacciando di portarglielo via se non avesse esaudito la richiesta.
Incapace di giungere autonomamente a una soluzione, Brian aveva riunito i suoi genitori, suo fratello e il suo avvocato nella speranza che lo aiutassero a capire cosa fosse meglio per suo figlio. La questione, infatti, non era di facile soluzione: sarebbe stato semplicistico ridurre la faccenda a una mera transazione economica; certo, accontentando Crystal avrebbe evitato che rientrasse nelle loro vite, ma chi o cosa gli avrebbe garantito che non sarebbe tornata con richieste più esose? Inoltre, c’era da considerare l’aspetto etico: lui amministrava i soldi, ma questi non appartenevano a lui, bensì ad Aidan, e attingervi gli sembrava quasi un furto, senza contare che, se pure avesse usato i suoi soldi, Crystal avrebbe potuto in seguito rivelare la vicenda, facendolo apparire come il papà cattivo che aveva impedito a una madre di entrare in contatto con suo figlio. Ciliegina sulla torta, l’opzione consigliata da Jack - non cedere al ricatto e passare alle vie legali - secondo logica la più ragionevole, lo terrorizzava: avrebbe rischiato di perdere Aidan. Era vero che nessun giudice sano di mente avrebbe affidato un bambino a chi l’aveva abbandonato appena nato per darsi alla bella vita, ma non poteva averne la certezza assoluta.
Sconsolato, si sedette a un tavolino solitario e ordinò una fetta della specialità della casa, torta al triplo cioccolato; aveva un disperato bisogno di una sferzata di buonumore.
Immerso nei suoi pensieri, non si accorse che qualcuno aveva aggiunto una sedia finché questi non si schiarì la voce, richiamando la sua attenzione.
–Faith! Ciao! Scusa, io…
–Ho interrotto una riflessione su profonde tematiche filosofiche, oppure una fantasia erotica?
–Per quanto possa sembrarti incredibile… la prima.
–Peccato, la seconda sarebbe stata più interessante- ridacchiò la Irving, sfogliando il menu. –Vuoi che ti lasci solo?
–No, no! Resta, mi fa piacere un po’ di compagnia.
–L’avevo intuito, sai? Hai l’aria di chi ha il peso del mondo sulle proprie spalle.
–E tu di una a cui è appena morto il gatto- replicò Brian, sorridendo alle imprecazioni e scongiuri di Faith, che adorava la sua gatta.
–Agatha sta benissimo, non portare sfiga!- soffiò. –Vengo in pace: mangiare da soli è triste, quindi controindicato quando si è tristi.
–Mangiare dolci lo è per chi dovrebbe seguire una dieta- osservò Brian con una punta di rimprovero.
–Ci ho rinunciato: era malsana e inutile- rispose Faith, arrossendo. Non gli avrebbe rivelato il reale motivo del mancato calo di peso. –Ne comincio un’altra lunedì, Bridget si è unita a me per solidarietà… e perché convinta che perdere qualche chilo aumenterà le probabilità di trovare il marito numero quattro. Niente astruserie, stavolta, sono andata da una dietologa.
–Non capirò mai perché le diete si iniziano di lunedì.
–Forse c’è una ragione psicologica: inconsciamente associamo l’inizio della settimana a un rinnovamento, per cui riesce facile iniziare una nuova attività. Ok, mi sto esprimendo come una psicologa da talk show. Cambiamo argomento, è meglio.
–Perché? E’ divertente parlare di diete in una pasticceria!- trillò Brian.
–E’ crudele- ribatté Faith, per poi ordinare un muffin al cioccolato e del tè.
–Crudelmente divertente- concluse lui, ponendo fine alla disputa. –Oh, dai, non fare quella faccia! Dovresti essere contenta: mi hai ridato il sorriso.
–Problemi in paradiso?
–Sono precipitato all’inferno, grazie a quella grandissima troia di Crystal.
–Crystal? Crystal Ryan? La madre di AJ?
–La donna che ha messo al mondo AJ e poi se l’è squagliata- precisò Brian. –Sono nella merda, F: vuole dei soldi, tanti soldi, altrimenti me lo porterà via. Non so cosa fare! Mia madre e mio padre sono dell’idea di accontentarla e mandarla al diavolo, Ben e Jack, invece, caldeggiano una guerra in tribunale.
–Eh, sì, sei veramente nella merda!- commentò Faith, scuotendo il capo.
–Bell’amica, sei! Dovresti confortarmi!
–Gli amici dicono sempre la verità, e la verità è che sei nella merda- asserì la Irving con assoluta serietà. –Qualsiasi decisione prenderai avrà lati positivi e negativi… devi capire quale ha il miglior rapporto costi/benefici.
–Difficile stabilirlo: se la pagassi, un giorno AJ potrebbe rinfacciarmelo; se non la pagassi, rischierei di perderlo.
–Sei in un bel casino- esclamò Faith, per poi aggiungere, involontariamente –Al confronto, il fatto che sono incinta e né io, né Franz lo vogliamo è un’inezia!
Brian annuì, dopodiché, elaborata la seconda parte della frase, impallidì e balbettò –T-Tu s-sei c-cosa?
–Cazzarola, mi è scappato!- sibilò lei a denti stretti. –E va bene, tanto vale confessare: un audace spermatozoo di Franz ha fecondato una mia accogliente e fertile cellula uovo. Non lo sa nessuno, io stessa lo ignoravo… fino ad oggi. Terrai il segreto?
–Contaci! Anche se tra poco sarà sotto gli occhi di tutti- rispose lui indicando il ventre dell’amica.
–Non è detto. Sono ancora in tempo per… rimediare.
Brian aggrottò le sopracciglia in un’espressione severa, e abbaiò –Rimediare? Stai scherzando, vero?
–Non sto scherzando- pigolò lei, puntando lo sguardo sul liquido caldo e ambrato che riempiva a metà la tazza. –Non è un buon momento, Brian: sto lavorando sodo per farmi strada, Noyce comincia ad apprezzarmi… non posso permettermi di rallentare, e una donna incinta deve necessariamente rallentare; poi, dato che le disgrazie non vengono da sole, Franz non vuole figli, non sopporta i bambini.
–Strano, è fantastico con AJ!
–AJ è l’eccezione che conferma la regola- sospirò Faith. –Franz, come me, sa che un bambino richiede tempo ed energie che preferisce, anzi, preferiamo investire nel lavoro, piuttosto che in una eventuale paternità o maternità.
–Una futura paternità e maternità, direi.
–Questo è da vedere.
–Perché parti prevenuta?- latrò Brian. –Non è detto che un figlio vi cambi la vita in peggio! In ogni caso, deve saperlo: il cosino là dentro l’avete fatto in due, Franz ha peso nella decisione, qualunque decisione. E poi, chi lo sa… potrebbe sorprenderti.
–Ne dubito. Comunque vada a finire, finirà male: questo agglomerato di cellule creerà solo problemi!
 
Note autrice:
Scusatemi per l’attesa, spero ne sia valsa la pena. ^^
Per restare in tema gravidanza, questo capitolo è stato un parto: i personaggi non collaboravano, e ho sperimentato la terribile sensazione di blocco, quel senso di frustrazione che si prova quando si fissa lo schermo del computer e si vede una pagina Word che non ne vuole sapere di riempirsi. Non lo auguro a nessuno.
Adam, poverino, cerca, nel suo modo immaturo, di ridimensionare Nicky nel ruolo di amica, ma il suo cuoricino oppone resistenza. Prevedo una dura lotta tra il numeroso “team Nicky” e il “team Momo”, sempre che esistano sostenitrici della nuova ragazza di Adamino . ;-)
Non so voi, ma ho riso un sacco immaginando la faccia di Connie, tutta eccitata per il week-end di fuoco con Kyle, quando Keith le ha detto che l’avrebbe accompagnata! Avrebbe voluto ucciderlo! Oppure in fondo, molto in fondo, è contenta… chi lo sa!
Pure Brian è in un bel casino, e Faith non manca di farglielo notare. Sventerà la minaccia Crystal?
Dulcis in fundo… Faith è incinta! Piccolo Weil in arrivo! Qualcuno l’aveva sospettato: i miei complimenti! Chissà come la prenderà Franz: se la sentirà di fare il papà? Ma, soprattutto… lei se la sentirà di fare la mamma? Perché da come ne parla, al momento non arde d’amore  per “l’embrione”! XD
Au revoir!
Serpentina
Ps: mola e coriocarcinoma sono malattie esistenti (non essendo un’enciclopedia medica, non entro nei dettagli), mentre il Toxo-test è un’indagine di routine che si fa nelle donne in gravidanza per escludere il rischio di un’infezione da Toxoplasma Gondii, un parassita che in un adulto sano fa poco o niente, in un feto causa seri problemi, e in genere si contrae dai gatti (raramente dai cani). 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** AAA: coraggio cercasi ***


Vi siete riprese dalla notizia-bomba dello scorso capitolo? Faith no, e faticherà ad accettare l’idea di diventare mamma. In effetti non ce la vedo a destreggiarsi tra pappe e pannolini… e voi? ;-)
 
AAA: coraggio cercasi

Il coraggio è resistenza alla paura e dominio della paura, non assenza di paura.
Mark Twain

Incinta.
Sono incinta.
Era tutto inutile: neppure il tentativo di stordimento con i Within Temptation ad alto volume le impediva di pensarci; da quasi una settimana ripeteva quelle parole come un mantra. Qualunque cosa facesse, ovunque fosse, viveva nella paura di danneggiare, seppur involontariamente, l’esserino che si stava sviluppando nel suo endometrio.
Aveva perso volontariamente due corse della metropolitana; non aveva voglia di rimettere piede nell’appartamento che divideva col suo Franz e nel quale, con ogni probabilità, era stato concepito quello che si ostinava a chiamare “agglomerato di cellule”. Non aveva avuto il coraggio di guardarlo in faccia e comunicargli la sconvolgente notizia il giorno in cui lo aveva scoperto, e dubitava l’avrebbe mai avuto.
“No, dai, cazzarola, non può scoprirlo da solo! Devo dirglielo!”, pensava, agitando il pugno per spronarsi… invano, dato che ogni volta concludeva “Magari domani!”
Man mano che il tempo passava, giungevano alla sua attenzione nuovi problemi, nuove sfide che la gravidanza l’avrebbe costretta ad affrontare… se avesse voluto portarla a termine.
Si vergognava per quei pensieri, ma non riusciva a reprimerli: era talmente terrorizzata per le ripercussioni che il “cosino” nella sua pancia avrebbe avuto sulla sua vita professionale e sentimentale da sragionare, e considerare un’opzione sotto molti aspetti discutibile, ma fattibile… non tenerlo; quei momenti duravano meno di un battito di ciglia, eppure riuscivano a farla sentire un verme.
“Left in the darkness, here on your own. Woke up a memory, feeding the pain. You cannot deny it, there’s nothing to say: it’s all that you need, to fire away.”
Guardò, senza vederla, la dieta che avrebbe dovuto seguire nei mesi a venire per garantire a se stessa e al “cosino” un adeguato apporto di nutrienti, senza però ingrassare a dismisura. Ecco uno degli aspetti che la spaventava maggiormente: ingrassare. Sin da piccola era stata presa in giro per il suo fisico rotondeggiante, e aveva sviluppato dalla prima adolescenza un rapporto malsano col cibo e col proprio corpo: dire che si detestava era un eufemismo, se avesse potuto si sarebbe rifatta dalla testa ai piedi, con la sola eccezione di occhi, naso e bocca. Sarebbe riuscita a convivere con i fisiologici mutamenti che avrebbe subito il suo organismo, oppure sarebbe ricaduta nelle cattive abitudini del passato al primo chilo in più sulla bilancia e la prima smagliatura? E l’impatto sulla sua vita lavorativa? Sarebbe riuscita a conciliare il suo essere mamma col suo lavoro, al quale non avrebbe mai e poi mai rinunciato? E come avrebbe reagito Franz alla prospettiva di diventare padre? Le sarebbe stato accanto, o sarebbe scappato? Per quanto l’idea la ripugnasse, non sarebbe stato né il primo né l’ultimo a farlo, era un’eventualità da non scartare. Se fosse rimasto, l’avrebbe aiutata? E il loro rapporto? Sarebbe rimasto lo stesso, oppure avrebbe commesso un errore comune a molti uomini, ossia considerarla solamente la madre di suo figlio, non più una donna?
Ebbe voglia di piangere, ma si fece forza e trattenne le lacrime: piangeva poco in generale, e sempre in privato, piagnucolare in pubblico, secondo lei, era da deboli. Mille domande le ronzavano nella testa, domande che necessitavano di una risposta… il problema era: a chi chiedere? I suoi genitori erano da scartare, Führer Rose si sarebbe messa a cianciare di corredini, nomi e reminiscenze del suo estenuante parto (Faith storse il naso, emettendo un verso nauseato) suo padre sarebbe ammutolito, oppure avrebbe avuto un infarto (come la quasi totalità dei padri, si crogiolava nell’illusione che la sua Tartarughina con Franz non si spingesse al di là di qualche bacetto), e non osava pensare alla reazione di Gertrud! Anche i suoi amici erano poco indicati: sebbene stesse dilagando una fertilità straordinaria - Helen Gardiner aveva partorito nove mesi prima, Evangeline e la moglie di Sullivan da poco, e il termine per Abby scadeva tra meno di un mese - non era sicura di ricevere consigli utili, perché Alan, Andrew, Chester Sullivan e Ben avevano desiderato quei bambini forse più delle loro consorti, mentre Franz… beh… l’episodio della settimana precedente - quando aveva chiesto di cambiare tavolo perché accanto a loro si era seduta una coppia con un neonato scalciante e urlante e un bambino che gli aveva fatto le boccacce, per poi passare il resto della giornata a borbottare che certa gente andava sterilizzata alla pubertà - la diceva lunga sul suo “istinto parterno”.
Improvvisamente, dopo tanto pensare, scattò in piedi e corse su per le scale mobili; era stata colta da un’illuminazione: sapeva a chi rivolgersi, non doveva fare altro che prendere il primo treno in direzione Knightsbridge.

 
***

Adam Cartridge accolse l’amico Keith Allen con un sorriso e il compassionevole –Deduco che è andata male. Vieni, consolati con una pinta.
–Cosa ti fa pensare che è andata male?- rispose l’altro, reduce da un week-end di riconciliazione con la sua “fidanzata-non fidanzata” Connie Bishop.
–Sei qui. Se vi foste almeno chiariti, saresti con lei- replicò Adam scrollando le spalle.
–Sei malpensante e degno cugino di quel maiale di Brian- sbottò Keith. –Non ti permettere di pensare a Connie in quel modo: non è quel genere di ragazza, non mi salterebbe addosso così, come niente fosse, dopo quello che è successo tra noi!
–Mi hai sentito alludere al sesso?- obiettò il giovane Cartridge, una volta accertatosi che il caos generale del pub avrebbe coperto la loro conversazione. –Intendevo che, se Connie avesse aperto uno spiraglio di miglioramento in quella ridicola farsa che è il vostro rapporto, adesso saresti con lei… a cena fuori, a guardare un film sul divano avvinghiati l’uno all’altra, a regredire all’infanzia con la fontana di cioccolato che vi regalai per l’inaugurazione della casa… certamente non qui a scolare birra con questa faccia da funerale!
–Non ho una faccia… oh, a chi voglio darla a bere? Hai fatto centro: sono incazzato nero. Connie è stata scostante, tollerava a malapena che la prendessi per mano. Questa parentesi scozzese è stata un completo fiasco!
–Cosa ti aspettavi? Che ti baciasse al chiaro di luna e si accoccolasse tra le tue braccia per dormire? Cazzo, Keith, ti credevo intelligente!- esclamò Adam prima di ingollare un lungo sorso di birra alla spina (guarda caso, rossa).
–Più sono gentile con lei, più mi tratta a pesci in faccia… è assurdo!
–Ripeto: ti credevo intelligente- scherzò Adam, per poi aggiungere, di fronte all’espressione iraconda dell’amico –Hai mollato quella poveretta senza tante cerimonie…
–E me pento amaramente! Sto cercando di rimediare, io…
–Fammi finire. Hai mollato Connie senza tante cerimonie, tra l’altro confessandole di avere un’altra. Mettiti nei suoi panni: se il tuo ex, che sta con un’altra e non ti sfiora da mesi, cominciasse improvvisamente a cercare un contatto, cosa penseresti? Personalmente, che ha bisogno di un bravo psichiatra… oppure che si sta prendendo gioco di me.
–Ma non è vero! Non voglio prendermi gioco di lei!
–Oh, lo so. E’ la Ciambellina - per dirlo come Nicky - che devi convincere, e ti suggerirei di cominciare dando il benservito a quell’altra poveretta: meglio troncare con classe che rischiare di essere evirato perché l’hai chiamata col nome sbagliato nella foga di una scopata!
Profondamente offeso dalle affermazioni del suo amico, Keith storse la bocca in una smorfia perfida e soffiò –Adesso si spiega perché hai voluto metterti con quello stecchino antipatico!
–Cosa vorresti insinuare?
–Nulla. A differenza tua non insinuo, dico in faccia ciò che penso: preferisci tenerti il premio di consolazione, piuttosto che impegnarti a conquistare la vetta del podio. Non ami Momo, neanche ti piace, ti fa solo comodo perché è un bel trofeo da sfoggiare e non rischi di lasciarti sfuggire il nome sbagliato quando te la sbatti!
Adam, con enorme sconcerto di Keith - che si aspettava di venire pestato - non tentò di negare, si limitò a sospirare mestamente, con un’aria tormentata da artista romantico –Non poter avere quello che vuoi non significa non poter avere niente.
–Senza offesa, ma dai dei consigli da schifo: guarda dove ci ha portati! Errare è umano, può capitare che ti cadano le palle dalla paura di affrontare la vita, l’importante è riattaccarsele e lottare: fa’ come credi, tieniti pure la copia malriuscita di Nicky, io mi riprendo Connie! Non importa se mi odia, se ha un altro, se dovrò rifare tutto da capo, stavolta andrà bene perché ho la saggezza dell’esperienza.
“You can’t live without the fire! It’s the heat that makes you strong, ‘cause you’re born to live and fight it all the way!”
–L’esperienza non è altro che il nome che diamo ai nostri errori- asserì Adam. –E questa storia delle palle col velcro attacca e stacca è inquietante.
–Perché cavolo hai citato Wilde?
–Ho pensato si addicesse all’atmosfera decadente delle nostre vite- rispose lui senza scomporsi. –In alto i calici, ehm, i boccali, amico mio, brindiamo a chi soffre per amore!

 
***

Faith sedeva sul ciglio del divano e fissava la padrona di casa con palese nervosismo, leccandosi il labbro che aveva morso fino a farlo sanguinare.
–Aspetti un bambino?- ululò, infine, impallidendo al punto che l’altra si preparò psicologicamente a prestarle cure mediche. –Tu? E’… è di Franz, vero?
–No, l’ho concepito per partenogenesi! B, porca miseria, soltanto io ho il diritto di abbandonarmi all’isteria!- gnaulò Faith isterica, battendo un pugno sul tavolino, facendo così rovinare sul pavimento in parquet il piattino in precedenza pieno di biscottini. Mentre raccoglieva i cocci, esalò –Oh, no! Scusa, scusa, scusa! Te lo ripagherò, ti… maledizione alle mie mani di burro! Se non riesco a tenere intero un piatto, figurati un esserino! L’universo mi invia segnali che non sono tagliata per fare la mamma.
–Segnali che dovresti calmarti, più che altro- replicò la pluridivorziata con una smorfia divertita. –Fai un bel respiro e dimmi come stai. La verità.
A quel punto l’altra cominciò a piagnucolare.
–Grazie, B. Grazie. Sapevo che sei una buona amica, me l’hai appena confermato: voglio bene a te ed Ab come fossimo sorelle, ma, se ci fosse stata lei al tuo posto, si sarebbe messa a strillare, a offrirmi consigli su dove acquistare culla, passeggino e biberon e su come chiamarlo… insomma: si sarebbe interessata più all’agglomerato di cellule che a me.
–Sì, Ab ha questo difetto: è assolutista. Ha un grande cuore, ma non considera il punto di vista altrui, non concepisce che una famiglia non è il sogno di tutte le donne; lo è di molte, ma in queste molte non rientriamo io e te. Io, però, non sono Ab: a me stai a cuore tu… ed eventualmente il cosino lì, ma solo perché sarebbe figlio di una delle mie migliori amiche! Comunque, non hai risposto alla mia domanda: come stai?
–Non male, anche se ammetto che a volte mi sento sull’orlo del baratro… non so cosa fare, B, ho la sensazione che il mondo mi stia crollando addosso, e la colpa è soltanto di questo dannato…
–Agglomerato di cellule. Dovresti trovare un nome più carino per lui - o lei - tra qualche settimana sarà qualcosa di più di un semplice palloccolo informe.
–Forse.
–Forse? Faith, non starai pensando di… dimmi di no, ti prego!
–No, ti prego.
–Fanculo!- sbottò Bridget. –Non scherzare con me, una volta tanto che sono in vena di discorsi seri! Guardami negli occhi e dimmi che non hai pensato di gettare la spugna.
Faith alzò lo sguardo e non riuscì a mentire.
–Ci ho pensato. Più di una volta. Ho… perfino pensato di sbrigarmela da sola, senza coinvolgere Franz: non vuole figli, non lo vorrà, si tirerà indietro e il cosino si ritroverà senza padre! Non so come riesca a pensarlo, ma ci penso di continuo. Sono una persona orribile!
–Sicuramente non sei una candidata per il premio “Donna dell’anno”, ma non essere troppo dura con te stessa- asserì Mrs. Parker-Da Silva-Rodriguez, dandole affettuose pacche sulla schiena. –La maternità non è mai stata una tua priorità, è normale che ti senta sopraffatta. Inoltre hai la fortuna-sfortuna di stare con un uomo non proprio amante dei pargoli: la paura della reazione di Franz aggiunge stress a una situazione già di per sé problematica. Spero per lui che non faccia stupidaggini, altrimenti Demon sarà costretto a una spedizione punitiva, e ci dispiacerebbe rovinare quel bel faccino!
–Potrebbe sempre prenderlo a calci nel culo- suggerì Faith, strizzandole l’occhio.
–Oh, no! Non potrei mai permetterlo! Quel culo è patrimonio dell’umanità!- cinguettò Bridget con invidiabile naturalezza, considerato che stava elogiando il lato B del compagno della sua amica davanti a lei.
–Non so se ridere per la tua sconvolgente spontaneità, o scandalizzarmi perché tu e Demon sbavate sul sedere del mio uomo- ridacchiò Faith, optando poi per una sana risata.
–Una gentildonna non sbava- replicò Bridget altezzosa. –Almeno, non al cospetto di altri.
In quel preciso istante qualcuno bussò alla porta. Bridget, perplessa, andò ad aprire, e rimase di stucco alla vista del visitatore, che reggeva un bambino.
–Demon! Che bella sorpresa! Stavamo giusto parlando di te!- trillò Bridget, esortandolo ad accomodarsi con un gesto teatrale. –E questo angioletto dev’essere… come avevate deciso di chiamarlo?
–Nathaniel- rispose Demon, roteando gli occhi. –Personalmente non mi piace granché, ma Jeff ci teneva tanto… ehi, un momento: stavamo? Chi c’è con te?
–Devil!- gridò Faith, precipitandosi ad abbracciare un vecchio amico. Si era trasferito nella sua scuola dopo la quarta espulsione, e avevano legato immediatamente; Abby e (soprattutto) Bridget, decise a farle superare la rottura traumatica con Brian, avevano pensato di cogliere la palla al balzo e accoppiarli… peccato che Demon avesse altri gusti!
–Serp! Accidenti, che brutta cera!
–Vaf… fambagno!- abbaiò la Irving, correggendosi non appena si accorse della presenza di un minorenne innocente. –Non è che tu sia un adone, eh! Jeff tollera ancora di dividere il letto con te?
Demon ridacchiò –Sai, Serp, Jeff e io non ci limitiamo a dividere il letto, non so se mi spiego… anche se, ahimè, da quando c’è lui l’attività è un po’ calata, ma immagino sia normale quando si ha un figlio.
Bridget eruppe in una risata argentina, gettando la testa all’indietro con abbandono.
–Vedi di non chiudere del tutto bottega, amico, o il tuo Jeff inizierà a “beccare” altrove! E non disilludere la nostra Faith sulla vivacità della vita sessuale dopo l’arrivo dei pargoli!
–Che gliene frega?- sbottò Demon, avvampando. –Lei non vuo… oh. Mio. Dio. Serp, sei incinta!
–Perspicace. Brava, B, spargiamo la voce!- latrò la Irving a braccia conserte. –Perché non lo scrivi su facebook, già che ci sei?
–Davvero? Posso?- pigolò, per poi aggiungere –Rilassati, non lo farei mai. L’ho detto solo per vederti fare la faccia del carlino di Men In Black!
–Lascia perdere il carlino- soffiò Demon, sotto shock. –Serp è incinta! Incinta! Ti rendi conto? Ha… ha… un.. bambino… nella pancia!
–Primo: non è un bambino, non ancora. Secondo: chi ti dice che sia uno? Potrebbero essere gemelli!
Sopprimendo a fatica le risate alla vista di Faith che si esibiva in strani rituali scaramantici, imprecando contro Bridget che le portava sfiga, Demon pose la domanda più temuta dalla sua amica.
–Ehm… Franz come l’ha presa? E’ svenuto? Scommetto di sì, per la reincarnazione di Erode non dev’essere facile elaborare l’idea che diventerà padre- l’espressione di Faith lo indusse a pensare al peggio. –Se l’è svignata? Quel bastardo senza spina dorsale! Per quanto mi dispiaccia spaccargli il bel corpicino che si ritrova, merita una lezione! Io e Jeff andremo a picchiarlo, contenta?
–Non rovinarti la manicure a causa mia, Devil. Franz non mi ha mollata. Lui… ancora non lo sa.
–Non glielo hai detto? Sei una merda!- ruggì. –Cacca, Nate. Papà ha detto cacca.
–Scusa tanto se ho avuto bisogno di tempo per metabolizzare la novità!- sbuffò Faith. –Sai, scoprire di aspettare un bambino non è esattamente come realizzare che i tuoi jeans preferiti non ti entrano più!
Se sperava che Demon sarebbe stato conciliante, si sbagliava di grosso.
–Stronzate!- tuonò. –Cavolate, Nate. Papà ha detto cavolate. La verità è che hai paura!
–Dammi torto!
–Non è sbagliato avere paura… purché non le permetta di dominarti, e tu lo fai, Serp, lo hai sempre fatto!
–Non è vero!
–Lo è: sei pigra e rinunciataria perché hai paura di correre dei rischi- sibilò Demon. –Ogni tua decisione è dettata dalla paura. Ricordi quando inveivi contro il sesso maschile e ti passavi la scopa sui piedi perché non volevi sposarti? La verità è che avevi paura di non trovare nessuno che ti volesse, e allora tanto valeva fingersi indifferente. Dopo il mancato matrimonio eri determinata a restare sola… temevi un’altra delusione. Hai impiegato mesi a fidarti di Franz… temevi fosse della stessa pasta di Cyril. E adesso non vuoi questo bambino perché hai paura di come cambierà la tua vita. Beh, non te l’ha chiesto lui - o lei - di esistere, perciò non fargli pagare i tuoi errori, le tue insicurezze, i tuoi problemi. Cresci, ca… spiterina! Sii coraggiosa, per una volta!
“You can’t hide what lies inside you, it’s the only thing you know. You’ll embrace it and never walk away!”
E’ difficile ammettere di avere torto, specialmente per qualcuno testardo come Faith, però dovette farlo; Demon aveva colto nel segno: si stava facendo dominare dalla paura. Paura che qualcosa potesse andare storto ( era un medico, conosceva i rischi correlati alla gravidanza), paura che nessuno le sarebbe rimasto accanto, paura di essere obbligata a dire addio alla carriera, ma soprattutto…. paura di non essere una buona madre. Dopotutto, non aveva particolari doti o abilità: sapeva a malapena cuocere un uovo, faceva svolgere i lavori creativi e di bricolage a Franz perché non ne era capace e non era un tipo sportivo, andava in palestra per dovere, non per compiacere un istinto narcisistico. Era lontana anni luce dal paradigma della madre ideale che spignatta allegramente, organizza impeccabili feste di compleanno e lascia a bocca aperta le altre madri e i loro bambini. Avrebbe deluso suo figlio ( o figlia segretamente, Faith sperava fosse femmina), non ce l’avrebbe mai fatta a renderlo orgoglioso di lei.
–Io… è difficile, Devil, dannatamente difficile.
–Credi che dare la notizia al tuo figaccione dagli occhi di ghiaccio e uscire indenne dalla gravidanza e dal parto sia la vera sfida?- esclamò Demon, scuotendo il capo. –Spiacente, cherie: il meglio deve ancora venire, e avrà la forma di notti insonni, colichette, capricci, ginocchia sbucciate, malattie infantili, brufoli, crisi d’identità, liti furiose, inconsulti atti di ribellione…
–Grazie. Adesso sì che sono entusiasta di sfornare un bebè!
–Vuoi scherzare? E’ questo il bello!
–Colichette e brufoli?- sbottò Faith, tentando invano di mascherare il sorriso che stava affiorando sulle sue labbra. –Dì un po’, ti sei fatto di talco o altro?
–Spiritosa!- sbuffò Demon. –Vedrai, sarà uno spasso! E poi, male che vada, potrai sempre dedicarti al passatempo preferito dai genitori: lamentarsi dei propri figli!

 
***

Al solo vedere Franz che le sorrideva, Faith si sentì rincuorata, e non poté non baciarlo. Fu una sua battuta inopportuna a rompere la bolla romantica.
–Non è mia abitudine interferire col tuo stile, però… questo giubbino no! Sbarazzatene, ti prego! Donalo in beneficenza, brucialo…. liberatene!
–A me piace: è leggero, ma sufficientemente caldo; comodo, ma femminile; ha un sacco di tasche…
–E comprime l’ottava e la nona meraviglia del mondo!- gnaulò Weil, affrettandosi a tirare giù la cerniera per decomprimere le suddette meraviglie. –Siete libere, bambine, respirate.
–Franz, che stai combinando?- mormorò Faith, tentando di non tradire l’eccitazione.
–Saluto le bambine- rispose lui, come se fosse normale per un uomo salutare la fidanzata sbaciucchiandole il seno.
La voce acuta della Irving attirò nell’ingresso Harry James e Chris Hale, venuti a discutere con l’amico Franz riguardo una questione della massima importanza: il compleanno di Robert.
–Uh, la la!- esclamò Chris, strizzandole l’occhio. –Dopo ‘Genital Hospital’… Genital House!
Faith si scostò, si ricompose, infine pigolò –Mi stavi palpeggiando sapendo che i tuoi amici erano nella stanza accanto?
–Non farla tanto lunga, stavo solo salutando le bambine!- si difese Franz tra le malcelate risatine dei suoi amici e i versacci di disapprovazione della sua donna.
–Ehilà, F!- la abbracciò Chris, espansivo di natura. –Perdonami se non saluto le bambine, ma…
–Vuoi tornare da Erin coi gioielli di famiglia integri- ringhiò Weil, che lo afferrò per un orecchio e lo spinse lontano da Faith. –Vieni di là, ci serviva giusto un parere femminile.
–Oh, sì! Ci serve un’opinione imparziale.
–Prendi della birra, se vuoi. E’ nel frigo. No? Da quando Faith Irving rifiuta una birra? Forse preferisci qualcosa di dolce? Prova nella credenza, dovrebbe esserci una bottiglia di Bailey’s.
–No, io- “Non posso bere, sono incinta” –Sono stata da Bridge, prima, ho già bevuto e mangiato a sazietà. Comunque grazie della premura, sei davvero dolce. Dov’è Agatha?- domandò, non per andare a recuperarla, quanto piuttosto per tenersene alla larga: adorava la sua gatta, l’aveva vista crescere, ma non avrebbe più potuto coccolarla fino alla fine della gravidanza.
–Dove vuoi che sia? Nel suo solito rifugio: il cesto della biancheria sporca- rispose Franz mentre le carezzava la schiena da sotto la maglia, dopodiché riportò la conversazione all’argomento principale. –Parlando di cose serie, immagino tu sappia che Patty…
–Se la fa con la Meigs? Accidenti, corrono velocissime le notizie in ospedale!- si rese conto di aver commesso una gaffe perché la sua affermazione venne accolta da un silenzio tombale e tre identiche facce sconvolte. –Oh, ehm, v-voi n-non lo sapevate?
–No, non lo sapevamo- esalò in coro il terzetto, ancora allibito.
–C-Cosa… c-come… sei sicura?- balbettò Harry James.
–Sicurissima, perché?
–Oh, cazzo. Harper!- mugolò. –E’ andata da lui per… le si spezzerà il cuore!
–Dimentichi che l’ha spezzato a lui- osservò Chris Hale, incredibilmente serio. –Scusa, Harry, Harper sarà pure tua sorella, ma Patty è mio amico, se questa Meigs lo rende felice - assurdo, considerato quanto è acida, ma la vita è strana - allora faccio il tifo per lei; tua sorella farà meglio a mettersi il cuore in pace.
–Ha preso una sbandata- ribatté il radiologo, accalorandosi: Harper era lunatica e fuori controllo, ma pur sempre sua sorella. –A voi santarellini non è mai successo? Avanti, Chris, scaglia la prima pietra, se sei senza peccato.
L’urologo aprì e chiuse la bocca come un pesce nella boccia, quindi sospirò –Mi terrò in posizione neutrale, Harry… se tu farai lo stesso.
–Hai la mia parola. Ora, se potessimo riprendere il discorso del compleanno di Patty…
Franz, lieto che la discussione fosse terminata senza spargimento di sangue, annuì.
–Allora, il nostro amico compirà… ehm, sorvoliamo.
–Giusto! Non si svela l’età di una signora!- ironizzò Harry, facendo sbellicare Chris, la precedente lite ormai un pallido ricordo; funzionava così la loro amicizia: si litigava, ci si chiariva e poi si dimenticava tutto in un baleno.  
–Ad ogni modo, credi che questo possa andare bene come regalo?- le chiese Franz, mostrandole un…
–Buono per un corso di ikebana? Robert vi riderà in faccia, nella migliore delle ipotesi, e vi caccerà a calci nel culo, nella peggiore. Non avevate altri modi per buttare i vostri soldi? Che so, giocare in borsa, partecipare a un’asta, infilarli nel perizoma di una spogliarellista…
–L’ultima me gusta mucho- commentò Chris, incurante delle occhiatacce di Harry. –Husky, hai veramente una perla di donna. Fattela a dovere!
–Appena leverete le tende.
–Ossia non tanto presto- asserì Faith. –Dico, siete rincoglioniti? Cosa avevate in testa quando avete pensato di regalare a Robert un corso di ikebana?
–Io l’imminente ovulazione di Erin, per cui mi sto preparando psicofisicamente, Harry la prima parola di Emma: Dek - lui smentisce, ma so che è deluso: l’ho visto piangere! - e Husky, beh…. le tue bambine!
–Era ironico, Chris. Santo cielo, orologi e cinture non vanno più di moda?
–A dire il vero no, lo erano l’anno scorso- la informò Harry.
–Sempre meglio di… cazzarola, stiamo parlando di Robert Patterson! E’ un uomo duro e crudo, non un tipo da fiorellini!
Rimase pietrificata quando vide il trio scambiarsi occhiate complici, prima di piegarsi in due dalle risate.
–Oh, Faith, sei… un vero spasso!
–Ci è cascata: esperimento riuscito!
–Siamo dei geni! Un Nobel, subito!
–Si può sapere che state blaterando?- sbottò la Irving.
–Scusaci, amore mio bello, luce dei miei occhi, zuccherino del mio cuore…
–Piantala!
–Mi piace darti fastidio, ti accendi come una miccia. Ti abbiamo, ehm… usata come cavia per un piccolo test. Volevamo provare che il buono fosse un regalo credibile, per quanto sgradito. Pensa alla faccia di Patty quando se lo troverà tra le mani… senza sapere che il vero regalo è un altro!- spiegò Franz, estraendo da una busta un pacchetto cubico. –Senza che ti scervelli a indovinare: è un orologio, siamo andati sul classico.
Faith giocherellò col fiocco vaporoso che adornava il regalo e ridacchiò –Siete proprio bastardi… non vedo l’ora di osservare la reazione di Robert!
–Bene. Abbiamo il benestare di Faith, possiamo sloggiare, i piccioncini hanno bisogno d’intimità. Mi raccomando, fate sesso sicuro, sono troppo giovane per diventare zio!- scherzò Harry.
Franz le cinse le spalle e replicò –Tranquillo, non c’è pericolo: non diventerò mai papà!- Faith, invece, avvampò, limitandosi a un sorriso tirato, e modificò il suo mantra.
Codarda.
Sono una codarda.

 
***

Robert stava assaporando una placida tranquillità e la piacevole sensazione della mano di Vanessa sul suo torace. L’aspetto più eccitante della loro relazione era la costante incertezza: la frequenza e la durata dei loro incontri dipendevano dagli impegni del dottor Brenner, l’amante ufficiale della donna.
Improvvisamente, senza apparente motivo, gli scappò da ridere.
–Soffri il solletico?
–No, stavo semplicemente immaginando le facce dei miei amici se scoprissero di noi.
–Detto in questi termini sembra che siamo innamorati. E’ inquietante- sbuffò la Meigs, allungando la mano sotto il lenzuolo: andava a letto con Robert per le sue doti amatorie, non certo per sorbirsi le sue elucubrazioni mentali; non le interessava affatto il contenuto della sua affascinante testolina... sempre ci fosse un contenuto.
–Domando scusa. Come posso farmi perdonare?- le chiese, per poi scoprirla e leccarle sensualmente l’ombelico. Nonostante le apparenze, era più cinico di Franz: Weil, sebbene abbastanza immaturo da reprimere i suoi reali desideri per adeguarsi ai moderni canoni estetici e da ritenere inconciliabili sentimenti e carriera, non aveva mai smesso di cercare l’amore. Lui no. Si era lasciato trascinare dagli eventi, e, dopo la dolorosa rottura con Harper, si era rassegnato a una vita solitaria all’insegna delle storielle effimere. Per questo ringraziava di vivere nel ventunesimo secolo: la riserva di caccia era ben fornita, abbondavano le donne con la sua stessa visione della vita, che sapevano cosa volevano e non esitavano a prenderselo, concentrate sul presente, senza aspettative sul futuro che sarebbero state irrimediabilmente deluse. Seppur consapevole che il loro rapporto si limitava al piano fisico, era determinato a godersi la focosa collega finché fosse durato.
–Non male… come inizio- esalò lei. –Scendi ancora un po’ e potrei prendere seriamente in considerazione l’idea di fermarmi per la notte.
–Sarebbe la prima volta- osservò lui. –Di solito scappi subito, dici che dormire insieme è troppo intimo… da coppia.
–Ma tu non mi faresti dormire, vero?- sussurrò a fior di labbra Vanessa, che aveva approfittato di quell’attimo di debolezza per ribaltare le posizioni.
–Certo che no! Ti farei ben altro…
Vanessa non seppe mai in cosa consistesse quell’”altro” perché udirono bussare alla porta con tale insistenza che ogni tentativo di ignorare il fastidioso rumore fu vano.
–Mi libero subito del seccatore. Non ti rivestire- sibilò Robert, si diresse alla porta con espressione minacciosa, digrignando i denti, ma qualunque cosa avesse voluto dire o fare gli passò di mente non appena vide la visitatrice inattesa.
Questa, esclamato un divertito –Sorpresa!-, gli gettò le braccia al collo e lo bacio… o meglio, si lanciò in un’ispezione speleologica della sua cavità orale.
Robert rimase paralizzato, incapace di ricambiare come di staccarsi e informarla che era arrivata tardi, non aveva più bisogno dei suoi baci di Giuda. Non era mai stato coraggioso, lo dimostrò il suo comportamento in quell’occasione: chiuse gli occhi e si lasciò baciare, ricordando con nostalgia e dolcezza l’ultima volta che aveva assaggiato quelle labbra.
L’idillio venne interrotto dallo stizzito –Che diamine sta succedendo qui? Chi è questa?
Robert, colto in flagrante, fece un balzo indietro, come se avesse preso la scossa, quindi alternò lo sguardo tra le due, la prima abbronzata, sorridente e vestita come se fosse appena tornata da un lungo viaggio, la seconda, invece, pallida, adirata e coperta solamente dall’intimo, quasi a voler mettere in chiaro cosa stesse facendo lì.
–Chi sei tu, piuttosto!- la rimbeccò l’altra. –No, aspetta, non dirmelo, ci sono arrivata da sola. Oh, Robi, dovevi essere davvero disperato! Adesso, però, pagala e mandala via, mi occuperò io di te.
–Mi stai dando della puttana? Come osi!- ruggì la Meigs, avventandosi sulla sconosciuta con l’intenzione di cambiarle i connotati.
–Calmatevi, su… vi supplico!- pigolò Robert, terrorizzato dalla piega che stava prendendo la situazione. Solo quando un pugno di Vanessa lo manco di pochissimo, si adoperò a separarle (con parecchia fatica). –Basta! Oh! Niente wrestling femminile in questa casa!
–Robert, non può passarla liscia dopo aver insinuato che sono prostituta!
–Robi, le permetti di parlarti in questo modo?
–Robert, ordinale di chiedermi scusa. Subito!
–Robi, ordinale di tacere, la sua voce da cornacchia mi sta spaccando i timpani!
–Robert, mandala via, quel nido di uccelli che si ritrova sulla testa irrita le mie povere retine!
–Robi, il colore dei capelli di questa gallina irrita le mie di retine!
–Chiudete il becco!- ruggì Patterson, esasperato. –Datevi la mano e fate pace, su.
–Neanche per sogno!- tuonarono le due all’unisono, scoccandosi occhiate di puro disgusto.
–Visto? Siete d’accordo su qualcosa… è un passo avanti!- trillò lui, per poi aggiungere, dopo che le due litiganti ebbero placato la furia omicida, –Vanessa, mi dispiace, temo che dovremo rimandare i nostri programmi alla prossima volta.
–Non ci sarà una prossima volta, Robi. Tu sei mio- obiettò l’altra.
“Oh, damn, the war is coming! Oh, damn, you feel you want it! Oh, damn, just bring it on today!”
–Decido io cosa fare della mia vita, Harper. Non puoi piombare qui e pretendere che nulla sia cambiato.
–Ma io so che nulla è cambiato, che questa qui è soltanto un rimpiazzo e che, sbollita la rabbia, ammetterai di amarmi ancora!
–Aspetta- intervenne la Meigs –Tu saresti Harper? La sorella di Harry James? La famosa ex che ha fatto piangere a Robert fiumi di lacrime?
–Sono tornata per restare, Robi… io ti amo- asserì Harper, ricevendo in risposta una sonora risata di scherno.
–Non farmi ridere! Sei caruccia, te lo concedo, ma non fai proprio per lui! Va’ a spompinare i bambini dell’asilo, gli uomini sono fuori dalla tua portata!
–Io? Casomai sei tu a non andare bene per lui! Va’ a rimorchiare in una casa di riposo, è quello il tuo posto!
Le frecciatine velenose che si susseguirono procurarono a Robert un violento mal di testa; furibondo, cacciò entrambe da casa sua in malo modo, prese del Lorazepam per dormire e scivolò in un sonno senza sogni farmacologicamente indotto.

Note dell’autrice:
Franz ha pronunciato le ultime parole famose. Chissà che faccia farà quando Faith gli dirà che aspetta un bambino! XD
Anche Robert ha avuto una sorpresa (bella non saprei): Harper è tornata, determinata a riprenderselo. Vanessa, ovviamente, non è felice di perdere il suo scaldaletto… come andrà a finire?
A proposito di riconquiste… Keith è sceso in campo, è guerra aperta con Kyle (anche se non sa ancora che si tratta di lui)! Adam dovrebbe prendere esempio: se è Nicky che vuole, che lasci Momo e si impegni per farla capitolare!
Nel prossimo capitolo sentirete, ops, leggerete la campana di Nicky, e ritroverete la piccola Kaori. ;-)
Chiudo ringraziando Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92 ed elev, che hanno recensito, e SugarKane, che segue la storia. Grazie mille! ^^
Au revoir!
Serpentina
Ps: il Lorazepam è una benzodiazepina, nota in Italia col nome commerciale Tavor.
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Kiss 'n tell ***


Punto di svolta, ragazzuole! Faith troverà il coraggio di dare la grande notizia a Franz? Come la prenderà l’anti-romantico Weil? Ci saranno progressi nel rapporto delle due “coppie complicate” (Keith/Connie e Adam/Monica)?
Non ringrazio i lettori silenziosi ogni capitolo, ma sappiate che siete sempre nel mio cuore. Grazie anche ad abracadabra, Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92 e fiordicampo, che hanno recensito, e a babbuccia, dachedas, four, Ganbatte Kudasai, Laragazzaacuipiaceleggere, luisabarly, Rara_chan, sunburn1985 e tizianohugme, che seguono la storia. <3 <3
Enjoy!

 
Kiss 'n tell

Una donna sincera è quella che non dice bugie inutili.
Anatole France

E' inutile: non farò che desiderare qualcosa che tu non vorrai mai.
Perché sei così egoista? Non puoi fingere che non sia successo?- gli chiese, sforzandosi di parlare con voce ferma, rendendosi improvvisamente conto del baratro nel quale quella discussione li avrebbe fatti precipitare.
No, non posso. Non sono come te, non riesco a modificare i miei sentimenti schioccando di dita!- rispose lui mentre si rivestiva, dopodiché, dando sfogo al proprio orgoglio ferito, aggiunse –Non ti chiederò di non compatirmi, non ne saresti capace. Sei senza cuore.
Monica gli diede uno schiaffo e strillò –Come osi giudicarmi? Il fatto che tu sia accidentalmente entrato nelle mie mutandine una volta...
Due- la corresse Adam, ma lei lo ignorò.
Non ti autorizza a pretendere che il nostro rapporto cambi! Per me resterai sempre… il mio migliore amico.
Sistemata alla men peggio la sciarpa, Adam disse, a mo’ di addio Hai ragione. Ti chiedo perdono. Mi sono illuso. Vivi la tua vita come meglio credi, io farò lo stesso.

–Nicky!- la voce squillante della piccola Kaori distolse Monica Hawthorne dalla triste reminiscenza dell’epica litigata che aveva portato alla rottura tra lei e Adam.
–Ciao, Kaori. Plumpy! Sei bellissimo, cucciolone!- trillò, chinandosi per salutare la bambina e il cane, che le leccò la mano in segno di affetto.
–E io? Non merito un salutino?
Quando vide Adam sorriderle, a Monica mancò un battito, e lo abbracciò con tale slancio da farlo barcollar: era abituata da che ne aveva memoria a esprimere i propri sentimenti con i fatti, più che con le parole, senza contare che avvertire il corpo dell’altro così vicino le donava un piacevole senso di benessere; con lui si sentiva tranquilla, al sicuro.
Non si capacitava di aver resistito due anni senza il suo Adam (anche se l’uso dell’aggettivo possessivo avrebbe dovuto indurla a porsi due domande), né della velocità con la quale l’aveva sostituita con quell’odioso stuzzicadenti: aveva sempre creduto che il loro legame fosse indissolubile - ragione che l’aveva spinta a reprimere i suoi sentimenti: le fidanzate vanno e vengono, gli amici restano - invece era bastata una Monica qualunque per spezzarlo.
–E’ bello vederti, Adamino. Ti fermi per la lezione? Potrebbe essere la volta buona che ti convinco a prendere un cane!
–Mi piacerebbe, amo i cani, ma la cinofobia di Momo me lo impedisce. Però, se ti accontenti, ho la serata libera: potrei fermarmi e, dopo aver riportato a casa Kaori, potremmo cenare insieme.
Monica, incredula di cotanta fortuna, si pizzicò un braccio, quindi rispose –Non sto sognando! Mi hai davvero invitata a cena!
–Non c’è ragione di sconvolgersi, sono cose che i migliori amici fanno, no?- replicò Adam, per poi aggiungere –Se hai un angolino libero, potrei mettermi tranquillo a studiare, la prossima settimana ho un esame.
Monica annuì, lo fece accomodare in uno studiolo ingombro di carte, dove Adam poté godere di silenzio e solitudine fino alla fine della lezione.
–Zio! Zio! Abbiamo fatto gli esercizi della fiducia, e indovina un po’? Plumpy si fida ciecamente di me! Non è meraviglioso?- gridò Kaori, fiondandosi da lui col cane alle calcagna.
“Se non altro, quel bestione è un ottimo deterrente per chiunque voglia importunarla.”
–E’ fantastico, piccola… ops, ex piccola. Vai alle elementari, adesso, sei una signorina.
–Ben detto. Ora portami a casa, ho fame e tu devi farti bello per uscire con Nicky. Lei non ne ha bisogno, è già bellissima. Vero che è bellissima, zio?- squittì la biondina, indicando un’imbarazzatissima e altrettanto paonazza Monica.
Adam non riuscì a guardarla negli occhi. Emise uno sbuffo divertito ed esclamò –Mai quanto te, principessa. Sei tu la più bella del reame!
–Stavo pensando- intervenne la rossa –Visto che devi scarrozzare Kaori, potremmo trovarci direttamente al… ‘Rose&Crow’? Tra… un’ora? Così avrei anch’io il tempo di farmi bella.
–Ehm, senza offesa, Nicky, ma... credo sia meglio che mi aspetti qui e ti ci porti io al locale- disse Adam.
Monica corrugò la fronte e chiese –Perché? Ho patente e automobile, posso muovermi benissimo da sola!
Adam emise uno sospiro di esasperazione e rispose –Sul "benissimo" mi permetto di dissentire. Per obbligo civile verso gli altri automobilisti non posso farti mettere al volante, soprattutto a tarda sera, col buio.
–Adam Cartridge!- ruggì Monica, inferocita. –Sei un becero maschilista! Non tollererò altre critiche al mio stile di guida!
Adam ammise –Non è maschilismo, Nicky: conosco molte ottime guidatrici - Connie, per dirne una, mia madre, Abby - tu, però... sei un completo disastro!
–Ripetilo e ti farò rimangiare ogni singola parola insieme a tutti i tuoi denti!- tuonò minacciosa Monica agitandogli un pugno sotto il naso.
Adam rise e ribatté –Spaccarmi la faccia non ti renderà più abile al volante. Sai, mi sono spesso chiesto come abbia fatto a prendere la patente, e non ho ancora trovato una risposta, a meno che... eri mezza nuda, alla prova pratica?
–Adam Cartridge! Hai superato ogni limite! Pretendo le tue scuse. Subito!
–Non posso chiederti scusa per aver detto la verità, Nicky. Su, da brava, aspettami qui- replicò Adam, e Monica, emesso uno sbuffo irato, acconsentì.
 
***
 
Si dice che tra due litiganti, il terzo gode. Nel caso di Robert, tra le due litiganti il terzo, cioè lui, rischiava il manicomio. Chi aveva detto che essere conteso da due donne è il sogno di ogni uomo, non si era mai trovato tra due fuochi del calibro di Harper James e Vanessa Meigs. Era sull’orlo della pazzia: adorava Harper e la sua esuberanza, ma non voleva rinunciare al fascino felino di Vanessa… quando si dice “l’imbarazzo della scelta”!
Dopo tanto pensare, venne colto da un’illuminazione. Pigiò il tasto di chiamata rapida col sorriso sulle labbra, e attese che Vanessa rispondesse.
–Dottor Patterson- rispose, segno che Brenner era con lei –E’ lei di turno, non io, se ci sono problemi se la sbrighi da solo, si tratta di resistere fino a domattina.
–Dottoressa Meigs- replicò, sforzandosi di mantenere un tono professionale –Le assicuro che il reparto è in buone mani… e anche lei. Ho mollato Harper, tesoro, sono tutto tuo!
Udì un urletto strozzato all’altro capo del telefono, seguito dall’estatico –Eccellente, Patterson, sono molto soddisfatta di come ha risolto il… problema.
–Ne sono lieto, e so che mi ricompenserai adeguatamente… questo week-end? Brenner è fuori città per un convegno, se non erro.
–A Weymouth. Invidioso, eh? Sapessi io!- Vanessa si interruppe di colpo, quindi bisbigliò –Inaugurerò un nuovo babydoll molto sexy… Devo andare. A domani.
Ridacchiando, orgoglioso del proprio ingegno, Robert si assicurò che la linea fosse libera, prima di fare un’altra telefonata.
–Robi! Amore mio!
–Ehi, Harp. Disturbo?
–Ovviamente no!- squittì lei, per poi assumere un tono più prosaico e domandargli –Hai scaricato la gallina ?
–Ti avrei chiamata se non l’avessi fatto, secondo te?- mentì, incrociando le dita nella speranza che ci cascasse. In questo consisteva il suo piano: assicurarsi che almeno una delle due fosse disponibile. Se, per caso, Vanessa non avesse digerito il ritorno di Harper e lo avesse mollato, avrebbe potuto comunque contare su qualcuno per non dormire da solo.
–Oh, Robi, sapevo che quella era soltanto una tappabuchi. Perdonami per averti lasciato, è stato un grossissimo errore, se potessi tornare indietro mi tirerei i capelli e mi direi: “Scema, stai gettando via l’uomo della tua vita”!
–Non nego di aver sofferto, Harp, sarebbe ipocrita da parte mia: ti amavo, o meglio, ti amo, e il tuo tradimento è stato un duro colpo per me, ma sarei un vero idiota a lasciarti scappare di nuovo per orgoglio- asserì Robert con abilità da attore consumato. –Tutti sbagliamo, l’importante è rendersene conto e rimediare, e tu l’hai fatto.
–Da dove l’hai tirata fuori tutta questa profondità?
–Si cresce, si cambia… non mi dirai che sei la stessa Harper che è fuggita col fidanzato della sua amica, lasciando me e lei come due fessi!
–Oh, ehm, io… no, certo che no!
–Bene. Allora, se vuoi - e, a giudicare dalla scenata a casa mia, lo vuoi - possiamo ricominciare da capo. Io e te, Harp. Solo noi due.
–Oh, Robi, se fossi stato tanto romantico un anno fa, forse non ti avrei lasciato per Noah!
Patterson si sforzò di reprimere il torrente di imprecazioni che gli aveva ispirato quell’ultima affermazione di Harper, e sospirò –Abituatici, dolcezza, perché d’ora in avanti il tuo Robi sarà sempre così.
Tempo altre smancerie e riattaccò, gongolando: due donne sono meglio di una, senza contare che avrebbe appagato la sua sete di vendetta!
–Sei veramente stronzo.
La voce familiare lo indusse a voltarsi.
–Ti ringrazio del complimento, Bell. Non abbondare, potrei montarmi la testa!- ironizzò lui.
–Ad essere sincera, mi era venuto in mente prima “figlio di puttana”, poi ho pensato che non è colpa di tua madre se sei così, perciò… Mi dispiace per queste poverette, passeranno quello che ho passato io: due anni a rincorrerti, per niente! E osavi persino sfruttarmi e ridere di me alle mie spalle!
–Non mi pare ti sia andata male: hai trovato il tuo principe azzurro, alla fine- osservò Robert, fingendosi interessato alle penne nel taschino del camice. –Sei maturata, sei cambiata in meglio grazie a lui. Io non sarei stato capace di darti tanto amore: sto troppo bene sul mio piedistallo per dividerlo con qualcuno.
–Parli di crescere, cambiare… parole che non appartengono al tuo vocabolario- asserì Maggie, e i suoi lineamenti, di solito dolci, si indurirono quando lo sentì ridere. –Ridi pure, però ricorda: chi semina vento, raccoglie tempesta. Il karma non perdona. Può colpire a scoppio ritardato, ma non fa sconti a nessuno.
Robert deglutì a vuoto, e per un attimo perse la consueta baldanza.
–E’ una minaccia?
–Un dato di fatto. Buonanotte, Robi.

 
***
 
Monica si sentiva tesa come una corda di violino, e ringraziò la smania di sua zia Holly di renderla meno maschiaccio - aveva l’abitudine di infilare a tradimento nella sua borsa specchietto, pettine e una mini-trousse - mentre si pettinava e stendeva un velo di ombretto sugli occhi e di rossetto sulle labbra, lei, che normalmente si guardava allo specchio una volta al giorno, solamente per sincerarsi di non uscire di casa con un strani aggeggi sulla testa o sul viso (crescere con due fratelli minori scalmanati crea simili paranoie). Sebbene non sapesse spiegarne il motivo, desiderava apparire al meglio: il suo incubo peggiore era che Adam potesse vergognarsi di lei.
Al suo arrivo, il giovane Cartridge la vide intenta a mangiucchiarsi le unghie, dondolando una gamba. Il suo primo pensiero fu che Kaori aveva ragione: Nicky era bellissima. Non il genere di bellezza appariscente che faceva girare le teste e uscire gli occhi dalle orbite - sebbene passasse di rado inosservata, a causa del suo metro e ottantaquattro di altezza - una più discreta, da ragazza della porta accanto. Non aveva bisogno di lustrini, brillava di luce propria.
–Scusa se ti ho fatto aspettare: Abby aveva dei dolori e, col termine sempre più prossimo, stiamo tutti sul chi vive.
–Non ti preoccupare, non aspetto da tanto- rispose lei, intrecciando una mano con la sua.
Adam si sentì andare a fuoco, e si affrettò a schiarirsi la voce e allontanarsi.
–Ho una sorpresa per te- disse, estraendo dalla borsa un taccuino azzurro, che porse alla rossa con delicatezza, quasi fosse un manoscritto di valore. –L’ha trovato AJ rovistando nella mia camera.
–Adorabile piccolo ficcanaso- trillò Nicky. –L’ho cercato per anni! Non ricordavo l’avessi tu.
 
Si stava addormentando in biblioteca, quando un ciclone rosso piombò nella sua quiete.
–Adamino! Proprio te cercavo! Ho seguito il tuo consiglio e sistemato tutti i miei appunti supersegreti qui dentro.
–Che, ehm, genere di appunti?- chiese Adam, titubante; con la Hawthorne, non si poteva mai dire.
–Nulla di illegale, malpensante. Questo è il mio… progetto nuziale- ridacchiò lei a voce un po’ troppo alta, attirando l’ira della bibliotecaria, che la redarguì pesantemente.
–Pro… cosa?
–So cosa stai pensando: non è possibile che Nicky sia una romanticona che sogna il giorno delle nozze da quando era bambina, è troppo tosta! Beh, romanticismo e carattere non sono inconciliabili: Nicky Hawthorne ha una scorza dura che racchiude un cuore di irresistibile scioglievolezza… come un cioccolatino Lindt. So già cosa voglio, e l’ho schematizzato in questo taccuino. Lo affido a te perché non hai fratelli impiccioni che potrebbero distruggerlo o usarlo per ricattarti e perché il giorno del mio matrimonio - non ho dubbi che mi sposerò, prima o poi - mi farai da damigello!
–Semmai, testimone- la corresse Adam, talmente avvezzo alle stramberie di Monica da non stupirsi più di niente.
–No, no, damigello!- ripeté lei con assoluta serietà. –Tra i maschi di mia conoscenza sei quello col lato femminile più spiccato, per cui, nel mio grande giorno, dividerai la scena con il biondo dolce da forno.
–Cosa?
–La Ciambellina.
–Chi?
–Connie.
–Oh, lei!- esclamò Adam, stordito dalla parlantina dell’amica. –Ok… credo. Mi sono, uhm, un tantino perso.
–Tu e Connie sarete le mie damigelle d’onore!- trillò Monica, estatica. –Ecco, prendi, dacci un’occhiata.
Adam sfogliò le pagine con crescente incredulità; la rossa, quando voleva, mostrava uno spirito organizzativo degno di un wedding planner professionista: aveva pianificato tutto, dal bouquet al viaggio di nozze.
–Cavolo!- esalò, impressionato. –Manca solo il sant’uomo che dovrà pronunciare il fatidico sì!
Lo stupì la bruciante rabbia che lo dilaniò al pensiero della Rossa che convolava a nozze, ma scosse il capo e attribuì quel momento di profonda gelosia all’affetto fraterno che provava nei suoi confronti.
–Credimi: il vero santo sarai tu, che sopporterai le mie paturnie! Prometto di contenermi al minimo sindacale di isteria nuziale, tu, però, prometti che mi vorrai bene comunque- scherzò Monica, per poi dargli un bacio sulla guancia e posare la testa nell’incavo del suo collo.
–Sempre e comunque, Rossa. Sempre e comunque.
 
–Nemmeno io. Voglio restituirtelo perché, sai, adesso c’è Momo, potrebbe trovarlo e…
–Farsi strane idee- concluse al suo posto la Hawthorne, esibendo una smorfia delusa. –Certo, è… naturale. Dopotutto, questo non è altro che un ricettacolo di follia adolescenziale.
–Non è affatto folle- obiettò Adam. –E, per tua informazione, posso ridartelo perché ho tutto qui, in memoria: chiesetta raccolta o location all’aperto, purché sul mare, abito bianco candido a prescindere dal tuo, ehm, candore, bouquet di rose Bourbon, damigelle in abito corto azzurro o blu… devo continuare?
Monica proruppe in un gridolino giubilante e si avvinghiò al suo migliore amico, ricoprendolo di baci (fortuna che Momo non poteva vederli) finché non arrivò la cameriera a prendere gli ordini. Adam scelse un Cuba Libre, Monica un Negroni.
–Negroni? Non credevo ti piacesse.
–Mai assaggiato, non so nemmeno che c’è dentro… mi piaceva il nome!
–Perché non riesco a sconvolgermi?
–Perché sai che sono strana.
–Non sei strana- asserì Adam, sistemandole dietro l’orecchio una ciocca ribelle –Sei fantastica.
 
***
 
–Grazie mille per il tè e i biscotti, Ab. Sono deliziosi- cinguettò Faith, rivolgendo un sorriso luminoso all’amica storica, Abigail Venter in Cartridge. Erano reduci da un’intensa sessione di shopping pre-Halloween, se li erano guadagnati. –Non dovevi disturbarti.
–Gno, gno, dishtubbati! Sogno oshimi!- biascicò Bridget con la bocca piena.
–Se li gradisci, Bridget, te ne preparo un piatto da portar via- si offrì gentilmente Abigail, prima di sedersi massaggiandosi il ventre prominente. –Un piattino, così ne rimarrà qualcuno per Kaori.
–Una bambina non dice mai di no ai dolci… a qualunque età- intervenne Faith, scoccando un’occhiata di rimprovero a Bridget, che aveva iniziato a ingollarne due alla volta.
–Bene. Mi scuso per avervi sottratto del tempo, ma mi muovo con difficoltà, non posso portare pesi e Ben insiste a che non sia mai sola, nel caso il piccolo dovesse decidersi. Senza contare la difficoltà di trovare un costume che non mi faccia somigliare a una mongolfiera!
–E’ stato un piacere, Ab. Saremo splendide nei nostri costumi… a Ben e Franz verrà un infarto!
–Oh, a Franz verrà di sicuro!- sbuffò Bridget senza pensare, pentendosene un istante dopo.
–Grazie, B! Perché non affiggi manifesti, già che ci sei?
–Non prendertela con lei, F, è evidente che qualcosa ti turba. Si è acceso l’amica-radar e vorrei capire se il mio intuito è corretto o no: voi due mi nascondete qualcosa. Sputate il rospo, o… niente biscottini!
Faith e Bridget boccheggiarono, scambiandosi il medesimo sguardo atterrito. Dopo vari, patetici, infruttuosi tentativi di negare stoicamente l’evidenza, la Irving chinò il capo e confessò –Aspetto un bambino.
La reazione di Abigail fu prevedibile: impallidì, annaspò, spalancò gli occhi e si aggrappò al bracciolo della poltrona per non cadere.
–Tutto ok, Ab?
–Io… credo di sì. Una fitta, ma è passata. Tu, piuttosto! Non si fanno certi scherzi! Perché è uno scherzo, vero?
–Magari lo fosse!- esclamò Faith.
–Sei davvero incinta? Oh, F, è meraviglioso! Conosci già il sesso? No, immagino di no, è ancora presto… hai già fatto l’ecografia e gli esami del sangue? Sì’? E’ tutto a posto? Stai seguendo una dieta apposita? Oh, ma che te lo chiedo a fare: sei un medico, sai meglio di me come comportarti!- chiocciò Abigail, incurante dell’evidente imbarazzo dell’amica. –Come hanno accolto la notizia i tuoi? Immagino che scoppino di gioia, tua madre desiderava da tempo un nipotino. E Franz? E’ contento?
–Franz non lo sa. Nessuno lo sa!- rivelò Bridget, suscitando l’ira di Faith e lo sgomento di Abigail.
–Non lo sa? F, devi dirglielo al più presto!
–Ab, non è così semplice…
–Lo so, lo so, non l’avevate programmato, ma non è la cosa migliore? Vedrai che ne sarà felice: Ben alla notizia è svenuto, poi, però, ha cominciato a saltellare per casa, mi ha abbracciata e… ehm… insomma..
–Hai fatto cosacce in gravidanza? Mammina cattiva!- scherzò la pluridivorziata, dimenticando per un momento i biscotti.
In quel preciso istante, Mrs. Cartridge si piegò in due, gemendo dal dolore. In risposta alle offerte di aiuto di Faith e Bridget, pigolò –Non preoccupatevi, il dottore ha detto che ogni tanto è normale: il bambino scalpita per vedere il mondo!
–Subirà una cocente delusione- asserì Bridget, entrando in modalità fatalista. –Il mondo fa schifo.
–Può darsi, ma non posso farci nulla- esalò Abigail. –Mi imbarazza molto chiedervelo: mi aiutereste ad arrivare al letto? Ho bisogno di stendermi.
Le altre due annuirono e le diedero una mano a salire le scale e raggiungere il letto, dove Abigail si accasciò.
Tre fitte dolorose più tardi, Faith prese da parte Bridget e sussurrò –Mantieni il sangue freddo, ci servirà. Ho preso la sufficienza stentata in Ginecologia, però ricordo perfettamente che un dolore simil-mestruale ritmico, di intensità e durata crescenti, è il primo segno del… travaglio!
–C-Cioè s-sta p-per… Oh, cielo! Oh, cazzo! Oh, porca…
–Ho detto sangue freddo, B!- sibilò la Irving. –Aspettiamo, potrebbe trattarsi di un falso allarme. Se dovesse avere altre contrazioni, più lunghe e dolorose, allora la porteremo in ospedale.
 
 
***
 
–Una sterlina per i tuoi pensieri- ridacchiò Adam per rompere il silenzio che si era creato una volta lasciato il pub.
–Buffo, mi stavo proprio chiedendo se mi avresti fatto questa domanda. Fuori la sterlina, su!- replicò Monica con un sorrisetto furbo, allungando la mano per riscuotere. Dopo altri cinque interminabili minuti di silenzio, rigirandosi la moneta tra le dita, aggiunse, in tono lugubre –Tu e Momo siete una coppia pessimamente assortita.
–Lieto che approvi- ribatté lui con ironia, per poi puntualizzare –Lo hai detto di tutte quelle con cui sono stato.
–Non tutte- obiettò Monica. –Non mi sono inclusa nella lista, in fondo abbiamo solo scopato una volta.
–Due- la corresse stancamente Adam, per poi sbuffare quando lei rispose, sarcastica –Due? Questo sì che cambia le cose! Perché non me l'hai detto prima? Avrei ordinato partecipazioni e abito da sposa!- e soffiare –Non c'è bisogno di essere cinici.
–Scusa se ho urtato la tua sensibilità, Adamino.
–Non chiamarmi così!
Non riuscì, però, a scalfire l’apparente menefreghismo dell'altra, che rispose –Perché non dovrei? E' l'unico modo per farti cacciare le palle!
–Ho più palle io di tutti i casi umani che ti sei fatta messi insieme!- sbraitò, cancellando il sorriso dalla faccia dell'amica. Non l'aveva mai visto tanto arrabbiato, con gli occhi ridotti a fessure e i muscoli facciali contratti, ma non volle dargli la soddisfazione di fargli vincere quella guerra verbale.
Replicò, apparentemente impassibile –Cosa ti dà fastidio? Che riesco a godermi la vita senza pensieri e tu no? Che, a differenza tua, dopo che sei scomparso non ho sentito il bisogno di consolarmi con la tua brutta copia?
–Momo non è la tua brutta copia!- ringhiò Adam.
–Ah, no? Senza offesa, le prove sono a tuo sfavore: è rossa e si chiama Monica, è chiaro che te la sei scelta apposta per poter urlare senza rischi il mio nome quando fai sesso!- sputò lei, congelandosi sul sedile quando vide Adam alzarsi e alzare un braccio come a volerla colpire, per poi ritrarre la mano dicendo –Non posso.
–Cavolo, Adamino, fai veramente schifo, non hai neanche le palle di mollare un ceffone a una donna!- esclamò Monica, certa che non avrebbe ricevuto alcuno schiaffo.
Adam serrò le mascelle e i pugni, dopodiché ribatté –Al contrario: proprio perché ho le palle non ho alzato, né alzerò mai le mani su una donna.
–In questo caso le alzeresti su un uomo; la donnetta della situazione sei tu, lo sei sempre stato: chi ha scambiato una semplice scopata tra amici per l’amore della sua vita? Tu. Chi è stato talmente egoista da pretendere che mandassi a puttane la nostra amicizia, il mio porto sicuro, per un’avventura dall’esito incerto? Di nuovo tu!- sbraitò Monica.
Adam emise un ringhio sommesso, e le chiese –Cos'è che ti dà fastidio? Che non mi vergogno di ammettere che i miei sentimenti sono cambiati e tu no, o esserne l'oggetto?
Monica avvertì un doloroso peso al torace che le rese difficoltoso respirare, ma si fece forza e rispose a tono –Mi dà fastidio il tuo egoismo! Non vuoi ficcare in quella testa dura che ho rinunciato a un “noi” per averti sempre al mio fianco!
–Ehm… sai che quello che hai appena detto non ha senso, vero?- le fece notare Adam.
–Ecco, vedi? Non capisci, neanche ti sforzi!- ululò Monica. –Se dovessimo metterci insieme e non funzionasse, avremmo perso tutto! Restando amici…
–Perdiamo tutto comunque!- asserì Adam, prendendole le mani. –Se qui c’è qualcuno che non fa uno sforzo, sei tu. Comprendo il tuo punto di vista: accontentiamoci di una bella amicizia, in modo da esserci l’uno per l’altra qualunque cosa accada. Non ha funzionato, o sbaglio?
–Non ha funzionato perché sei sparito!
–Sono sparito perché è impossibile recitare una parte che mi sta stretta. Non pos.. potevo esserti amico, vogl.. volevo di più. Vogl… volevo mostrarti che stare insieme non significa per forza isolarsi in una bolla di melensaggini, che potevamo divertirci come prima, più di prima, guardando lo stesso mondo con occhi nuovi, a forma di cuoricino. Vogl… volevo te, Rossa, perché...
Monica gli impedì di terminare la frase, lo tirò a sé per il bavero della giacca e gli tappò la bocca con la sua. Baciarlo risvegliò in lei sensazioni a lungo sopite, prima tra tutte, una potente brama di averne ancora, e ancora, e ancora. Infatti, quando Adam interruppe il contatto, Monica, inspiegabilmente riluttante a lasciare la presa sulla sua giacca, non fu capace di celare la delusione.
Esclamò –Che c'è? Credevo di stare andando bene!
–A-Andando bene?- esalò Adam, quasi violaceo. –Non era una gara, era… perché l’hai fatto?
–Non lo so- ammise lei, strusciando nervosamente un piede sul tappetino dell’automobile. –Sentirmi chiamare di nuovo Rossa ha fatto scattare qualcosa dentro di me. Per te è stato diverso: era solo lingua, nient’altro.
–Rammaricato di disilluderti, Nicky, ma un bacio dato per assecondare un istinto momentaneo è solo lingua- replicò Adam con insolita ferocia. –Baciare la persona che ami è tutta un’altra cosa.
La rossa pigolò –Certo. Sì. Hai perfettamente ragione, d-di s-sicuro con Momo è diverso. Grazie del passaggio e dello scambio di saliva, spero non ti sia stato di troppo disturbo. Buonanotte.
Se si fosse voltata mentre si allontanava con un fastidioso bruciore agli occhi, Monica avrebbe visto Adam, l’impassibile e freddo Adam, sfiorarsi delicatamente le labbra e arrossire come un ragazzino. Purtroppo, Monica non si voltò.
 
***
 
Nel frattempo, Franz era alle prese con il suo incubo peggiore, ossia quattro pesti di età compresa tra i due e i dieci anni: Hans, Wilhelm ed Ernst, figli di Alexander, e Aidan James Cartridge, figlio di Brian.
–Non posso credere che i vostri genitori vi abbiano lasciati digiuni fino a quest’ora. Senza offesa, è da pazzi!- asserì mentre le piccole idrovore divoravano la cena. “E non posso credere di aver accettato di fare da baby-sitter!”, pensò, inveendo mentalmente contro Faith - che non si decideva a tornare e non era raggiungibile telefonicamente - contro suo fratello - che aveva scelto la serata del bridge di Gertrud per regalare a sua moglie una cena romantica - e contro Brian, che si era presentato senza preavviso, propinandogli la scusa di un importante incontro d’affari.
“Affari, come no! Scommetto che hanno un gran bel davanzale, questi affari!”
–Glielo abbiamo chiesto noi- rispose Aidan, che aveva legato con i fratelli Weil a tempo da record. –Tu cucini strabene! Ci sono altre patatine?
–Adulatore!- si schermì Franz, sforzandosi di non sembrare troppo compiaciuto, e gli servì un’altra porzione di succulente patate fritte.
–Dov'è la zia Faith?- domandò Hans, dieci anni, che stravedeva per lei.
Franz rispose che era uscita, fallendo nel suo intento: invece di placare la curiosità dei bambini, la acuì.
–Perché è uscita?
–Dov’è andata?
–Quando torna?
–Tu e la zia state insieme, perché non sei con lei?- si intromise Wilhelm, cinque anni.
Appellandosi a tutta la pazienza di cui disponeva, Franz sospirò e spiegò ai pargoli –Scoprirete che due persone possono amarsi da impazzire, ma desiderano comunque degli spazi liberi. Datemi retta: non volere la propria donna tra i piedi per qualche ora alla settimana non significa non amarla. Anzi, rafforza la coppia!
–Ho capito: è uscita con le sue amiche!- trillò Hans.
–Come mio papà- disse Aidan. –Pure lui ha tante amiche!
Franz scompigliò affettuosamente la chioma bionda del piccolo Cartridge - era un bambino estremamente intelligente per la sua età e, a differenza di Brian, gli ispirava simpatia - quindi si profuse in un inchino semiserio.
–Mi inchino alla tua perspicacia, nipote.
–Non è perspicacia, è esperienza: adoro la mia amica Zoe, giochiamo un sacco insieme, però non sopporto quelle babbuine delle sue amiche; se ci sono loro, io mi eclisso!
–Mi inchino alla tua saggezza, nipote. Prendete esempio, giovincelli!
 
***

Brian represse faticosamente una risata mentre usciva dall’ascensore: la sua scusa, doveva ammetterlo, era stata a dir poco stiracchiata, e Franz, che stupido non era, aveva senza dubbio intuito che gli aveva mentito e, di conseguenza, aveva immaginato avesse appuntamento con una donna.
In effetti, non sbagliava. Quello che sicuramente non poteva immaginare chi fosse la donna in questione.
Bussò alla porta della suite e, non appena si aprì, entrò velocemente nella stanza, per paura di essere visto.
–Non si usa più salutare, Brian?- lo rimbeccò lei, splendida nella succinta camicia da notte in raso, coordinata alla vestaglia.
–Ciao, Crystal. E’ un vero dispiacere vederti.
–Uhm… mi aspettavo di meglio, ma ti capisco: è difficile separarsi dal proprio denaro.
–Tenerti lontana da mio figlio non ha prezzo- ringhiò lui, rifiutando l’offerta di un bicchiere di champagne. Si trovava, controvoglia, nella tana della lupa, gli conveniva restare sobrio.
–Sì, certo, capisco anche questo… in fondo, non c’è niente da festeggiare, per te: in ogni caso, ti è andata male. Vedi, dopo averci riflettuto… ho cambiato idea.
–Cambiato idea? Rinunci ai miei soldi e te ne torni alle Mauritius o da dove diavolo sei venuta?
–Non proprio- ridacchiò Crystal, assisa sulla poltrona come una regina sul trono. –Sono più furba di quanto immagini: perché accontentarmi dell’uovo, se posso avere la gallina? Se accettassi l’accordo, non potrei aspirare ad ulteriori finanziamenti in futuro e, se dovessi trascinarti in tribunale, tra spese legali e scarse probabilità di vittoria, andrei in perdita. No, ho deciso che sarà lo stesso Aidan a dividere con me la sua eredità… spontaneamente.
–Tu vaneggi!- esclamò Brian, esterrefatto. –Aidan, sempre che se ne ricordi, ti conosce come l’acida signora del negozio di giocattoli, non come sua madre. Non ti perdonerà per averlo abbandonato.
–Non mi interessa il suo perdono, mi interessano i suoi soldi, e per averli farò leva sulla sua ingenuità infantile.
–Hai intenzione di comprare il suo affetto? Non accadrà mai! AJ non è in vendita!- ruggì Brian.
–Non puoi vietare a una madre di vedere suo figlio, né tantomeno di viziarlo- obiettò Crystal. –Scoprirai che tutto ha un prezzo… e quello del cuore del tuo caro Aidan potrebbe rivelarsi più basso di quanto credi.
Inaspettatamente, Brian sorrise.
–Ah, è così? Vuoi allontanarlo da me? Auguri! Non sai cosa ti aspetta: crescere un figlio è un’impresa titanica, specialmente un osso duro come AJ. Forse riuscirai a circuirlo, ma non resisterai a lungo: al primo capriccio, al primo piatto di verdure scagliato sul tuo bel vestito griffato cederai e me lo rispedirai come un pacco postale. Poverino, gli si spezzerà il cuore!
–I bambini superano in fretta i traumi- sbuffò in tono spiccio Crystal.
–Dipende dal trauma- osservò Brian.
–Sciocchezze!- celiò lei. –Compragli l’ultimo modello di Play Station e tornerà a sorridere in un baleno!
Brian si massaggiò le tempie: pochi minuti in sua compagnia e già gli stava scoppiando la testa… come faceva a sopportarla Carter Ryan, buonanima?
–Sai, Crystal, non ti ho mai ringraziata per avermi dato il mio tesoro più prezioso. L’unico mio rimpianto è di averlo concepito con te!
 
***

Non appena entrò in casa intuì che c’era qualcosa di strano: regnava un silenzio di tomba. Niente televisione accesa, niente musica, porte chiuse. Si diresse in cucina, dove trovò Franz assorto nella lettura e nello sbocconcellare dei salatini.
–Volevo aspettarti per cenare insieme, poi mi è venuta fame… vuoi?
Faith, che aveva lo stomaco sottosopra per l’ansia e il disgusto - era rimasta in sala parto ad assistere Abigail fino all’arrivo di Ben… un vero incubo, per lei! - accettò per pura cortesia e gli chiese –Come mai in questa casa non vola neanche una mosca?
Franz le strizzò l’occhio con fare complice, dopodiché le mostrò i quattro angioletti che dormivano profondamente nella sala svago improvvisata stanza da letto, e le spiegò che Alexander e Brian li avevano sbolognati a loro per occuparsi di certi… affari.
–Che, tradotto nel linguaggio di Brian, significa sicuramente una modella di biancheria intima. Certo che, per fargli mollare suo figlio a me… devono essere proprio irresistibili queste tizie. Forse dovrei provare a uscirci anche io!- ridacchiò Franz, ma si fermò alla vista della reazione di Faith, che scoppiò in lacrime, gli sferrò una miriade di calci e pugni e si rinchiuse in camera da letto.
Sconcertato, bussò insistentemente alla porta, pregandola di aprire, ottenendo come risposta un colorito invito a lasciarla in pace. Avvezzo alla testardaggine della sua donna, insistette; dopo un po', vedendo che non accennava a calmarsi, provò a persuaderla con le buone.
–Non capisco cosa, ma so di aver sbagliato. Apri, meine liebe, così posso scusarmi. Non lo farò guardando una tavola di legno dipinto.
–Non voglio le tue stupide scuse, non voglio niente da te!
–Perché piangi?
–Perché sì!
–Non è una risposta- latrò. –Guarda che la camera è anche mia, ci devo dormire, non posso passare la notte nella vasca da bagno!
–Perché no?- mugolò lei da dietro la porta.
–Perché non l'abbiamo!- ululò esasperato Franz. –Ti supplico, ti imploro, apri!
Faith, finalmente, aprì e pigolò, tormentandosi una ciocca di capelli –Domani stesso andrò a comprare una vasca da bagno, sappilo.
–Come vuoi. Adesso mi spieghi perché ti sei trasformata nella versione inglese di Michelle McCool?- non avendo ricevuto risposta, ritentò, sperando di avere più fortuna. –Mi spieghi perché hai trasformato un innocuo scambio di battute in un incontro di wrestling?
Faith, senza voltarsi per non farsi vedere con gli occhi gonfi e arrossati, piagnucolò –Perché te lo meriti! Non hai rispetto per me, per come mi sento! Io diventerò enorme e orrenda, e tu minacci di andare con delle strafighe. Ti aspetti che applauda?
Franz, allibito, le mise un braccio intorno alle spalle e tentò di rassicurarla.
–Stavo scherzando, sai che scherzo sempre. Non volevo ferirti… non lo credevo possibile: ci prendiamo in giro di continuo e non avevi mai pianto. Ah, cos’è questa assurdità che dovresti diventare enorme e orrenda?
–Non è un’assurdità, è il mio futuro! Lasciami stare, voglio avvilirmi in pace!
–Dopo aver dato i baci della buonanotte ai miei tesori. Siete stupende, bambine- rispose lui, le baciò il collo, le tolse la maglia e dedicò all’ottava e la nona meraviglia del mondo, come le chiamava, le attenzioni che meritavano. Messa a tacere la vocine che le ripeteva di scostarsi, di continuare a litigare, Faith si abbandonò al puro piacere di scambiare baci e carezze spinte con l’uomo che amava.
–F-Franz, d-dobbiamo…
–Sì. Giusto. Ce l’hai ancora con me. Devo allontanarmi, o non risponderò delle mie azioni, sei troppo sexy quando ti arrabbi! E’ un peccato che degli stronzi abbiano affossato la tua autostima, altrimenti mi crederesti quando dico che sei bellissima. Senti che effetto mi fai?- aggiunse, facendole toccare con mano la sua palpabile eccitazione. –Comunque, se proprio ci tieni, ci metteremo a dieta dopo la cena da mia madre.
–Non hai bisogno di diete, tu!
–Neppure tu, però, visto che sei determinata ad assumere solo cibi deprimenti e altrettanto insipidi, voglio sostenerti. L’amore è anche questo. Ti dirò di più: se finora non ti ho messa a dieta… è stato per evitare che diventassi troppo bella per me!
Faith sorrise, gli diede un pugno sul braccio, ordinandogli di non sparare scemenze, e si mise a letto. Faticò ad addormentarsi ed ebbe un sonno agitato, costellato di incubi in cui il patologo del suo cuore la lasciava perché non voleva un figlio e non voleva più nemmeno lei, così grassa e sciatta. Soffocata dal peso del suo segreto, non riuscì più a trattenersi: animata da uno spirito combattivo tutto nuovo, spintonò Franz - che mugugnò parole incomprensibili con voce da morto di sonno - e sganciò la bomba senza preamboli.
–Sono incinta.
Attese pazientemente che lui elaborasse l’informazione e una degna risposta, ma tutto quello che ottenne fu uno scocciato –Hai ragione tu, meine liebe- seguito da silenzio.
–Perché gli uomini non ascoltano?- sibilò, sfogando la frustrazione sul cuscino. –Oh, beh, riproverò a colazione. Dopotutto, domani è un altro giorno!
 
Note dell’autrice:
Sono l’unica ad aver immaginato Faith che pronuncia l’ultima frase come Rossella di ‘Via col vento’, con tanto di voce lacrimevole, crinolina e cappello a tesa larga? Ditemi di no, vi prego! *occhioni cucciolosi*
A proposito di cucciolosità (neologismo protetto da copyright)… non è stato dolcissimo Franz? Forse aveva mangiato troppi zuccheri a cena! XD Certo che solo lui poteva tenere testa a Faith in uno dei suoi momenti peggiori. La nostra doc ha dato di matto, era quasi irriconoscibile! C’è da capirla, però: nel suo stato, immaginare Franz in compagnia di donne favolose per lavoro non dev’essere facile, se poi ci si mette pure la tempesta di progesterone (un ormone femminile, che aumenta in gravidanza)…
Chissà se andrà di traverso la colazione all’algido Weil, quando apprenderà la lieta novella! Di sicuro avrà uno shock. Fortuna che Faith potrà farlo rivenire con la respirazione bocca a bocca!
Chi invece si è dimostrato meschino come pochi è Robert: vi sareste mai aspettate da lui una simile perfidia? 

Brian va incontro a tempi duri, durissimi! Aidan si lascerà circuire da Crystal? E lei si affezionerà a suo figlio, oppure, alla prima noia, lo “rispedirà come un pacco postale” dal padre?
E Adam e Nicky? Una coppia decisamente complicata. Scherzano, litigano, si baciano, ri-litigano... una telenovela! XD
La rossa Hawthorne, se non vuole perderlo, farà meglio ad ammettere cosa prova davvero per lui… sempre che ci riesca! Parla tanto di coraggio a Keith, perché non gli dà il buon esempio?
Chiudo informandovi che Michelle McCool è davvero una wrestler professionista, e anticipandovi che nel prossimo capitolo F&F faranno scintille e scoprirete il sesso del bambino di Abigail.
Au revoir!
Serpentina
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Breaking point ***


Siete curiose di scoprire se l’ultimo arrivato in casa Cartridge è maschio o femmina, e come reagirà Franz alla notizia-bomba del bebè in arrivo? Non vi resta che leggere, ma prima un miliardo di grazie ad abracadabra, Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92 ed elev, che si fermano sempre a lasciarmi un commento. :-*
Raccomandazione per le più sensibili: fazzoletti a portata di mano!
 
Breaking point
 
Un po’ di sincerità è pericolosa, molta è assolutamente fatale.
Oscar Wilde
 
Ben non riusciva a star fermo, pervaso com’era dalla frenesia tipica di chi non aspetta altro che di tenere in braccio il proprio figlio. Neppure l’azione combinata di sua madre e suo fratello - che esibiva un’espressione funerea decisamente inadatta al lieto evento - era riuscita a calmarlo.
Forse stava esagerando; dopotutto non era il primo, aveva già un po’ di esperienza, ma le condizioni erano completamente diverse: Kaori era nata con parto naturale, stavolta la sua Abby era stata sottoposta a un cesareo… si trattava pur sempre di un intervento chirurgico, era normale che avesse i nervi a fior di pelle.
Alla disperata ricerca di un pretesto per sfogarsi, se la prese con Brian.
–Ti pare la faccia giusta per l’occasione? Sta per venire al mondo tuo nipote, non l’armata degli inferi!
–Scusa- gracidò l’altro con voce arrochita da troppe sigarette, abbassando lo sguardo al pavimento. –Ho avuto una giornataccia. Comunque, non vedo l’ora che nasca… così la smetterai di camminare avanti e indietro, è snervante!
–Insensibile! Non capisci quanto l’attesa mi faccia soffrire!- gnaulò Ben, quindi prese il telefono cellulare per chiamare suo padre e chiedere notizie di Kaori. Non appena aveva appreso da Faith che Abigail stava per partorire era corso dai suoi genitori; sua madre aveva deciso di accompagnarlo in ospedale, lasciando la bambina col nonno. Ben gli aveva raccomandato di farla cenare e metterla a letto, perché il giorno seguente aveva scuola, ma James Cartridge aveva il cuore tenero, meglio controllare che non si fosse fatto assoggettare dalla scaltra nipotina.
–Lo capisco perfettamente, invece- replicò Brian, strappandogli di mano il telefono. –E, per l’amor del cielo, non assillare papà: è sopravvissuto a un infarto, se gli telefoni ogni cinque minuti gliene farai avere un altro!
–Anche tu non scherzi, quanto a nervosismo. Si può sapere che succede?
–C’entra qualcosa quella grandissima… Crystal?- chiese Heather, che non si vergognava di dichiarare il proprio astio nei confronti della donna.
–Ahimè, sì- confessò Brian, omettendo alcuni particolari per non mettere ulteriormente in agitazione i suoi familiari. –Ero con lei quando ho ricevuto il messaggio che Abby era in ospedale. Vuole conoscere AJ.
–Mai!- ruggì Heather. –Dovrà passare sul mio cadavere!
–Non esagerare, ma’- esalò stancamente Ben. –Possiamo detestare l’idea, ma non cambierà i fatti: Crystal Ryan è la madre di AJ, perciò ha il diritto di vederlo.
–Ha perso ogni diritto quando l’ha abbandonato- ribatté Heather. –Mio nipote non può venire in contatto con quella lì!
–Mamma sta scadendo nel melodramma- asserì Ben, guadagnandosi un’occhiataccia di Heather, ma non ci badò: era abituato ai teatrali eccessi emotivi di sua madre. –Però non ha tutti i torti. Non credo al suo presunto ravvedimento: non le interessa suo figlio, le interessano i soldi, appena li avrà avuti sparirà di nuovo; non puoi rischiare che AJ perda sua madre due volte, sarebbe un trauma enorme per un bambino della sua età! Di qualunque età, in effetti.
–Lo so! Ma se non la accontento, rischio che si avvicini a lui comunque e gli dica che le ho cercato di allontanarla da suo figlio. AJ non me lo perdonerebbe mai! Sono in un vicolo cieco!- piagnucolò Brian, prendendosi la testa tra le mani. L’arrivo del medico interruppe la discussione; alla notizia che l’intervento era terminato senza complicazioni di sorta, Heather eruppe in esclamazioni di gioia miste a lacrime, Ben emise un sospiro di sollievo e Brian rivolse al fratello un gran sorriso e aggiunse, allegro –Bando alla tristezza, adesso: è il tuo momento. Pronto a un incontro ravvicinato con la tua progenie, paparino?
 
***
 
Franz si stupì nel non trovare Faith accanto a sé: in genere la pigrona della coppia era lei, a lui toccava l’ingrato compito di tirarla a forza giù dal letto per impedirle di tardare al lavoro, o di poltrire fino a ora di pranzo.
Tuttavia, decise di non dar peso alla cosa: probabilmente il suo sonno agitato doveva averla indotta a cercare tranquillità altrove. Stiracchiò le membra, ancora intorpidite da una notte tormentata all’insegna di strani sogni (per lui) terrificanti a base di culle, biberon e pannolini, e scrocchiò il collo e le dita delle mani, ancora scosso per l’ultimo incubo, il più vivido, nel quale gli era parso di sentire la voce di Faith che gli diceva: “Sono incinta”.
“Ora capisco perché raccomandano di non andare a dormire a pancia piena: si dorme uno schifo!”
Dopo essersi preparato di tutto punto, raggiunse Faith in cucina, dov’era intenta a preparare la colazione per loro due e le quattro piccole canaglie che avevano ospitato per la notte.
–Buongiorno- lo salutò con un bacio e una beneaugurante palpatina al suo didietro (c’era un motivo se Bridget e Demon l’avevano dichiarato patrimonio dell’umanità). –Ti spiacerebbe svegliare i marmocchi?
–Molto, e lo sai- rispose lui, acido. –Perché non li svegli tu?
–E’ la giusta punizione per esserti dimenato per tutta la notte, impedendomi di dormire. Sembrava fossi preda della febbre del sabato sera, anticipata al martedì- lo rimbeccò lei. –Avanti, su, muoviti, basta che entri nella stanza, apri le tende e urli: “Giù dalle brande”!
Franz sgranò gli occhi, allibito.
–Sei impazzita, per caso?
–Mia madre mi svegliava così- si giustificò la Irving, scrollando le spalle.
–Questo spiega molte cose- ridacchiò Weil, per poi correre nella sala svago, improvvisata stanza degli ospiti, incentivato dalla padella che gli aveva tirato dietro la sua dolce metà.
Una volta svegliati i bambini - Hans, dieci anni, Wilhelm e Aidan James, cinque, ed Ernst, due - nel modo più dolce e, allo stesso tempo, deciso possibile, Franz poté finalmente mettersi a tavola e cominciare bene la giornata con una lauta colazione. Certo, l’aveva infastidito parecchio dover rinunciare alle ciambelle, che sparivano puntualmente dal suo piatto ad opera di Hans e Aidan, ma si era rifatto ampiamente con del pane e l’eccellente marmellata di nonna Mary.
Per poco non ruggì come il leone della Metro Goldwin Mayer, quando udì il trillo del campanello e Faith gli ordinò di andare ad aprire. Raggiunse la porta ringhiando, e si trattenne dal mandare a quel paese il disturbatore semplicemente perché sorpreso si trattasse di Ben, non di Brian o Alexander.
–Ciao. Non vorrei apparire maleducato, ma…
–Ahinoi, troppo spesso, oggigiorno, lo siamo, anche senza volerlo- concluse per lui Ben. Franz strinse le labbra fino a farle impallidire: non sopportava di essere interrotto. –Sono venuto a prendere AJ e ridare questo a Faith: l’ha scordato in ospedale.
–O-Ospedale? Faith! Che significa? Stai bene? Perché hai chiamato questo qui e non me?
–Franz, rilassati, non ero in ospedale in veste di paziente- lo tranquillizzò Faith, accorsa dalla cucina. –Scusami, nella, ehm, concitazione di ieri sera non te l’ho detto: Abby ha partorito. Sono rimasta con lei fino all’arrivo di Ben.
–Esatto- confermò l’interessato. –Sai che non ti facevo tanto apprensivo, Weil?
–Tu non lo sei con Abby? Allora taci.
–A proposito di Ab… come sta? Si è ripresa dal cesareo?
–E’ provata, ma credo sia normale. Per il resto sta benissimo, l’ho lasciata che allattava- rispose il neo-papà con gli occhi che brillavano.
Franz storse il naso, ma fece lo sforzo di mostrarsi cortese e fingere interesse.
–Devo congratularmi per un maschietto o una femminuccia?
–Entrambi- rispose Ben.
Franz, ancora stordito, in attesa che la caffeina ingerita facesse effetto, esclamò –E’ un ermafrodita?
–Sono gemelli, pezzo di cretino! Non l’abbiamo detto a nessuno, escluse le nostre madri, per goderci le facce sconvolte di tutti. Uno scherzetto innocente.
–Direi che, almeno con me, ha funzionato- esalò Franz, e dopo qualche convenevole - e l’informazione che quell’anno la festa di Halloween a casa Cartridge, prevista per il giorno seguente, non avrebbe avuto luogo, dato che la padrona di casa necessitava di riposo e tranquillità - Ben e Aidan se ne andarono. Poco dopo arrivò una trafelata Serle a prelevare gli altri tre pargoli, lasciando finalmente sola la coppietta, che tirò un sospiro di sollievo e, tra le risatine, si scambiò un bacio.
Per interrompere il torrente di bofonchi di Faith, che borbottava qualcosa sull’obbligo di recarsi a far visitare ad Abigail e sul fatto che avrebbe dovuto comprare due regali, invece di uno, Franz ridacchiò –Forse ho doti paranormali: stanotte mi sono agitato perché i miei sogni erano tutti a tema bebè.
La Irving rispose ironica –Accidenti! Tu sì che possiedi la Vista!
–Non ridere! Per me è stato spaventoso!- gnaulò Franz, tentando di persuaderla a coccolarlo usando i suoi “occhioni cucciolosi”.
–Per me è stato come combattere un incontro di lotta libera: scalciavi, mulinavi le braccia… sicuro di aver sognato solo pannolini?
–Beh… no. C’eri anche tu.
–Ah, sì? Cosa facevo? Cosacce vietatissime ai minori con la mia faccia sul corpo di un Angelo di Victoria’s Secret?
Franz scosse la testa ed esclamò, rosso in viso –No! A dire il vero, non ti ho vista… ho sentito la tua voce: mi dicevi di essere incinta. Fortuna che è stato solo un sogno!
Faith, estremamente a disagio, balbettò –Ehm… tesoro... e-ecco.. v-vedi... i-il t-tuo.. n-non era un, ehm,  sogno...
–Infatti: era un incubo! Sai quanto detesto i poppanti!
–Sì, lo so, ma… il fatto è… che.. non era un incubo. Sono davvero incinta.
Weil impiegò diversi minuti per registrare l'informazione, poi, quando finalmente la ebbe elaborata, sorprese Faith col suo comportamento: invece di sbraitare, come previsto, impallidì, si alzò, prese la borsa da lavoro e, impassibile (“Espressivo come una rapa”, pensò Faith) aprì la porta d’ingresso senza proferire parola.
–Franz!- gridò lei, disperata. –Franz, ti prego, di’ qualcosa!
Lui si voltò e rispose sarcastico, prima di chiudersi alle spalle la porta –Qualcosa.
 
***
 
Mentre percorreva con la punta del dito il profilo della mandibola dell’uomo beatamente addormentato accanto a lei, Connie ripensava alla notte appena trascorsa e a quanto fosse stato facile fargli accettare il suo intricato rapporto con Keith: a parte il fisiologico sbigottimento, seguito da un momentaneo e inspiegabile moto di tristezza, Kyle non aveva fatto una piega.
All’improvviso, quasi avesse intuito di essere oggetto dei suoi pensieri, Kyle si svegliò, le baciò una spalla e biascicò –Buongiorno. Che ore sono?
–Tranquillo, è presto. Abbiamo tempo per una doccia… ti va di insaponarmi?- gli propose, sconcertata dalla sua sfacciataggine: non si sarebbe mai sognata di fare una simile proposta indecente a Keith; nella migliore delle ipotesi, le avrebbe posato un bacio delicato sulle labbra e risposto che si era già lavato e aveva preparato la colazione, nella peggiore… avrebbe boccheggiato, scandalizzato dalla malizia della sua Ciambellina glassata di rosa.
“E’ questo il suo problema: è troppo buono e servizievole! Non dico debba sbattermi al muro e chiamarmi troia quando lo facciamo, ma neppure trattarmi come una statuina di porcellana! Maledetto lui… e maledetta io: ho qui un UOMO che sprizza sesso da tutti i pori, e penso a Keith? Sveglia, Connie!”
–Ehi, dolcezza, sei ancora tra noi?
–Eh? Oh, ehm, scusa, stavo pensando- “Al mio finto fidanzato, hai presente? Quello che ci ha rovinato il week-end a Edimburgo e il giorno del mio compleanno mi ha fatto recapitare venticinque rose rosse, una per ogni anno compiuto. Un gesto così dolce… no, non è dolce, è melenso, e lui è off limits: sta con quella Hailey, adesso.” –A stanotte.
–Ah, sì… stanotte- sospirò Kyle, accarezzandosi gli addominali (che, a detta della quasi totalità del genere femminile, parlavano, cantavano e facevano magie), dopodiché si alzò e andò in bagno, seguito da Connie, che si spogliò dell’intimo ed entrò nella doccia. –Stupendo, eccezionale, paradisiaco… neanche tu sei stata male!
–Ah, però: modesto!- ridacchiò la Bishop, prima di trascinarlo sotto il getto d’acqua.
–Ti sconvolgerà scoprirlo, ma per me la modestia non è una virtù- le sussurrò all’orecchio mentre spandeva il sapone su schiena e fondoschiena (indugiando su quest’ultimo). –Che gusto c’è a sminuirsi?
–Che gusto c’è a pavoneggiarsi?- argomentò lei. Peccato che la sua affermazione venisse screditata dalle movenze sensuali in cui si stava cimentando, nonostante lo spazio ristretto.
–Ti faccio vedere io che gusto c’è- mormorò Kyle, ma l’idillio a luci rosse si interruppe sul nascere perché il cellulare di Connie prese a squillare e la ragazza, temendo che la stesse chiamando Keith, si affrettò ad andare a rispondere, scivolando due volte lungo la breve distanza che separava il bagno dalla camera da letto.
–Pronto, Keith?
–Keith? No, Ciambellina: è vero che ho poche tette, ma mi manca ancora qualcosa per diventare maschio!- esclamò all’altro capo una voce femminile.
–Nicky! Oddio, scusami! Nella fretta di rispondere non ho visto il nome di chi stava telefonando. E’ successo qualcosa?
–Volevo avvertirti, Ciambellina: malauguratamente, Adam mi ha avvistata ieri, insieme ai miei fratelli; dato che non sa tenere la lingua a posto- “Specialmente se deve ficcarla nelle bocche altrui”, pensò, ricordandosi del bacio ­–L’ha detto a Keith, quindi… la copertura è saltata. Inventa scuse plausibili che non mi coinvolgano, non potrai più usarmi come jolly.
–Maledizione!- soffiò Connie, pervasa da pura furia omicida: se avesse avuto davanti Adam, in quel preciso istante, gli avrebbe fatto rimpiangere di aver imparato a parlare. –Gli avevo detto che saremmo uscite insieme. E ora?
–Potresti sempre confessare- suggerì Monica. –Dubito la prenderebbe male, sarebbe veramente ipocrita da parte sua fartela pagare per qualcosa che ha fatto anche lui.
–Non posso rischiare, Nicky: K… il mio amico potrebbe perdere il lavoro.
Monica trasalì, poi esalò –K? C’è un solo K che lavora alla AllBooks e non è vecchio a sufficienza da essere tuo padre. Te la fai con… Kyle Riley?
–Non devo rendere conto a te di chi mi porto a letto!- sbottò Connie, punta sul vivo.
–Ovviamente no- replicò Monica. –Però, da buona amica, sono tenuta alla sincerità, a costo di sbatterti in faccia una verità che non ti piace: ti conosco, Ciambellina, hai il vizio di affezionarti con eccessiva facilità alle persone, non vorrei che… restassi scottata, tutto qui. Kyle non è proprio un modello di, ehm, fedeltà. Ricordi come ridusse la povera Danny?
–Danny è una stronza- cantilenò la bionda.
–Non meritava comunque di essere usata e poi gettata via- sibilò aspramente la rossa. –Mi fido di te, so che non lo fai per vendetta - altrimenti l’avresti sbandierato ai quattro venti per goderti la reazione di Keith - è proprio questo che mi preoccupa: ho capito che lui, Kyle, ti piace, e sono felice per te, non desidero altro che vederti serena e sorridente, solo… stai attenta, ok?
–Va bene, mamma- la irrise l’amica.
–Non è necessario essere sarcastici, sono semplicemente preoccupata, Ciambellina. Il sesso senza impegno non è da te, ma mi toccherà farmene una ragione, anche se è impossibile per me concepire che tu e Kyle fate… certe cose- chiocciò Monica.
Connie, seccata, rispose –Dicevi lo stesso dell'eventualità che tra me e Keith potesse finire, eppure è successo. Avevi ragione su tutta la linea, Nicky: prima mi libero degli inutili sentimentalismi della vecchia me, prima potrò godermi la vita, e Kyle è utile allo scopo.
–Vai benissimo come sei, Ciambellina, non hai bisogno di cambiare. Non sei così, non lo sei mai stata. Ti supplico, non diventare una qualunque, mantieni la tua unicità: essere buoni non è uno svantaggio.
–Strano, ricordo invece che una volta dicesti l’esatto contrario. “Se solo fossi cattiva, potrei odiarlo, vendicarmi. A questo mondo la bontà è uno svantaggio”. Oh, e ricordo pure che dicesti: “il sesso non è una manifestazione d’amore, è la risposta a un bisogno”. Beh, nel mio caso il bisogno è dimenticare Keith e seppellire la Connie “Ciambellina”. Se l'interrogatorio è concluso andrei a vestirmi, sperando che a Kyle non venga in mente di togliermeli… in questo è dannatamente bravo.
–Sei un’ingrata: ti ho parato il culo per settimane senza fare domande, merito almeno un misero grazie, cazzo di Buddha!
–Ti ringrazio dell’aiuto, ma ti prego di non intrometterti nella mia vita: non accetto consigli sulle relazioni da qualcuno in lotta con i propri sentimenti da anni. Sai com’è fatto Adam, eri consapevole che non sarebbe stato capace di far finta di niente, di rinnegare i suoi sentimenti, eppure non ce l’hai fatta a trattenerti, hai voluto toglierti lo sfizio… e adesso pretendi pure di rovinare quel barlume di felicità che ha trovato con Momo!
–Momo e felicità nella stessa frase? Ossimoro ardito, Bishop- abbaiò Monica.
–Mai quanto la tua testa dura, Hawthorne- ribatté Connie. –Ti sei tenuta alla larga da lui per due anni..
–Lui mi ha tenuta alla larga!
–Perché non riusciva a fingere di voler essere soltanto tuo amico! Possibile che tu non riesca a stare con lui, né senza di lui? Ci sei o ci fai? Spero la seconda, non potrei sopportare di avere una stronza egoista per amica!
–Ah, è così, eh? Io ti confido i miei problemi con Adam e tu me li rinfacci? Sei veramente caduta in basso. Scordati di avere un’amica, la prossima volta che decidi di buttarti via!
Kyle avanzò di qualche passo nella sua direzione, ma arretrò di colpo quando Connie scagliò il telefono contro il muro e sibilò –Una parola e ti eviro.
 
***
 
Quando rincasò, Brian trovò ad aspettarlo una sgradita sorpresa: Crystal, comodamente seduta sul suo divano, che pasteggiava col suo champagne, la bottiglia che avrebbero dovuto stappare in serata per festeggiare la nascita dei gemelli.
–Alla buon’ora! Si può sapere dove ti eri cacciato?
–Cos…? Come hai fatto a entrare?- ringhiò, strappandole di mano il calice vuoto. –E chi ti ha autorizzata a servirti? Avevo scelto questa bottiglia apposta per mio fratello. Grazie!
–Tuo fratello non l’avrebbe apprezzata quanto me, è troppo tonto. Carino, ma tonto. Ho saputo che tua cognata ha partorito, stanotte: incredibile, la ritenevo asessuata! Oh, beh, un brindisi è d’obbligo: ai Cartridge vecchi e nuovi!
–Non hai risposto alla mia domanda: come sei entrata?
–Secondo te? Ho bussato finché la tua abulica donna di servizio non ha aperto- rispose lei, scoccandole un’occhiata assassina.
–Tess è la tata di AJ- spiegò Brian, sorridendo compassionevole alla ragazza, che se ne stava, impalata e tremante, a fissarli con espressione costernata. –In pratica, fa quello che dovresti fare tu: si prende cura di lui. Egregiamente.
–Ho i miei dubbi, ma non importa- cinguettò Crystal. –Ciao, Aidan, ti ricordi di me?
–Mi spiace, no- rispose candidamente il bimbo, per poi rivolgere un’occhiata perplessa a suo padre, che ricambiò con una stretta rassicurante e l’invito a giocare con Tess mentre lui salutava una vecchia amica.
–Vecchia? Così mi ferisci, tesoro!- gnaulò Crystal.
–Davvero?- ribatté Brian, soddisfatto. –Ottimo, era mia intenzione.
–E io che credevo di farti un favore, permettendoti di giocare in casa!
–Questo non è un gioco- sibilò Brian, sportosi in avanti fino a far sfiorare le punte dei loro nasi. –AJ è mio figlio, ti impedirò di traumatizzarlo per i tuoi futili scopi, fosse l’ultima cosa che faccio! Disgraziatamente sei sua madre, non posso impedirti di vederlo, ma posso decidere i tempi i e i modi, e ti assicuro che presentarti qui senza preavviso, o appostarti davanti all’asilo - non negare, ti ho vista, eri inconfondibile: una donna con uno o più figli piccoli non riesce a tenere immacolato un abito bianco, oltretutto griffato, e non porta eleganti scarpe col tacco alto di giorno, quando deve affrontare una dura giornata di lavoro dentro e fuori casa - non è accettabile. Non sei Darth Vader, non puoi dirgli: “AJ, sono tua madre”, così, a muso duro. Prima che vi incontriate di nuovo, devo prepararlo psicologicamente: gli racconterò i fatti… senza parzialità, lo prometto.
Intuendo il commiato implicito nell’ultima frase, Crystal si alzò, lisciò alcune piegoline formatesi sul succinto abito blu che indossava, infine schioccò le labbra - laccate, manco a dirlo, di rosso - e rispose –Hai la forza del leone e la ferocia della leonessa che difende i cuccioli… mi costa molto ammetterlo, ma sei un bravo papà.
–Genitori non si nasce, si diventa. C’è speranza anche per te… sempre che lo desideri.
 
***
 
Era opinione comune che Julian King, pur essendo un patologo di prim’ordine, ambizioso e assetato di potere, non avrebbe mai eguagliato Astrid Eriksson come guida del reparto di Patologia del Queen Victoria Hospital: la svedese, forse inferiore a lui sotto il profilo tecnico, possedeva un acume e un carisma che la rendevano insostituibile. Peccato che anche le persone insostituibili andassero in pensione per raggiunti (e sorpassati) limiti d’età.
Tuttavia, sebbene non possedesse particolari doti di osservatore, non poté sfuggirgli lo strambo comportamento tenuto da colui che non si vergognava di definire il miglior patologo sulla piazza: Franz Weil.
“Il ragazzo farà strada”, soleva ripetergli Astrid, e il dottor King non aveva faticato a crederle: Weil adorava il suo lavoro, era preparato, meticoloso (forse troppo), curioso, sempre disponibile a dare una mano. Faith Irving possedeva le medesime doti, unite, però, a un irritante atteggiamento di sardonica indolenza: a differenza di Weil, che faceva il suo dovere senza tante storie, andava continuamente stimolata; se qualcosa non le piaceva, oppure non aveva motivo di farla, non la faceva, e non c’era modo di smuoverla dalla posizione in cui si era arroccata.
Eppure, quel giorno, il dottor Weil pareva essere con la testa su un altro pianeta:, scattava come una molla al minimo rumore, aveva commesso degli errori da principiante, ai quali aveva reagito con rabbia sproporzionata all’entità dei danni, e più di una volta l’aveva beccato a fissare avanti a sé con occhi vacui. Sembrava un altro.
“Forse è un altro, un sosia alieno”, pensò, salvo poi darsi dell’idiota e raccomandarsi di non leggere più le storie di fantascienza che tanto amava suo nipote.
–Seguimi- gli ordinò, forse in tono un po’ troppo imperioso, ma non era tipo da formalismi.
–Qualcosa non va, dottor King?
–Tu non vai, Weil- sputò, dando voce alla frustrazione che covava dalla mattina. –Non oggi. Si può sapere cosa ti prende? Se non ti stessi guardando in faccia, direi che hai lasciato la testa a casa.
–Mi dispiace, sono perfettamente cosciente di non dare il meglio di me…
–Di’ pure che stai dando il peggio di te. Cos’hai per la testa?
–Un sacco di pensieri- sospirò Franz.
–Nessuno dei quali riguardante la patologia medica, presumo- l’altro si grattò il dorso di una mano, una chiara manifestazione di nervosismo, alla quale Julian rispose alzando gli occhi al cielo: nonostante fosse sicuro quasi al cento per cento che i tanti pensieri di Weil fossero riconducibili alla Irving, tenne per sé le proprie supposizioni. Non pretendeva che si confidasse con lui - erano colleghi, non amici - però pretendeva la garanzia che avrebbe ripreso il lavoro secondo gli standard vigenti in reparto. –Vedi quella?- indicò la porta automatica di accesso al laboratorio. –Considerala l’ingresso di un’oasi di pace. Può risorgere Merlino, scatenarsi un terremoto, scoppiare la terza guerra mondiale, finché sei là dentro non te ne deve fregare. Sono stato chiaro?
–Cristallino- mormorò Franz, mortificato. –Ho fatto veramente schifo. Credo di meritare una nota di richiamo.
–Io credo che meriti ben altro- lo contraddisse King, facendogli temere un’azione disciplinare più grave. –Una lunga boccata d’aria. Rinfrescati le idee, poi torna in laboratorio, c’è un ovaio che ti aspetta!
Franz non poteva credere alle proprie orecchie. Inondò di ringraziamenti Julian - che si schermì e gli consigliò di allontanarsi, prima che cambiasse idea - quindi corse a fare rifornimento di caffeina e aria fresca, due cose che scarseggiavano nei sotterranei.
–Salute, Husky. Cosa ci fai in superficie?- gli chiese il suo amico radiologo, Harry James.
–Husky!- trillò Christopher Hale, gioviale come al solito, prima di stritolarlo affettuosamente. –Sei tornato tra i vivi! Dobbiamo festeggiare!
–Di’ un po’, Chrissino, non dovresti, che so… lavorare?
–Già fatto. Ho pure perso venti sterline a poker.
–Tu cosa? Chris!- sbottò Harry, guardandolo male. –Non si gioca d’azzardo al lavoro! Cosa dirà Erin? Cosa diranno i pazienti?
–Non lo so… quello che mi ha fottuto i soldi ha detto che è un piacere fare affari con me. Maledetto! Avrò la mia rivincita prima che finisca sotto i ferri, parola mia!- Harry e Franz si scambiarono un’occhiata di assoluto shock, incapaci di replicare. –Allora, di cosa stavate sparlando? Sono assetato di gossip!
–Ehm… ragazzi, ho una confessione da fare- bisbigliò Franz, ma si bloccò alla vista di Julia Adler, la pettegola dell’ospedale per antonomasia. –Venite, andiamo in un posto tranquillo.
–Qualunque cosa sia, diccela e facciamola finita. Questo posto è inquietante!- pigolò Chris, dardeggiando lo sguardo qua e là per l’obitorio.
–Serviva un posto tranquillo per parlare. Più tranquillo di così!- sbottò Franz, facendo sbellicare Harry, che mascherava l’inquietudine meglio di Chris.
–Husky non ha tutti i torti, Chrissino. E piantala di tremare, sembri un vibratore gigante!
–Rilassati, nessuno di questi corpi presenta strani segni sul collo, non rischiamo di ritrovarci a combattere con rivoltanti esseri sbrilluccicosi! So che sei in ansia, ma con la Adler a piede libero nessun segreto è al sicuro, almeno ho la certezza che quanto verrà detto non lo saprà anima viva… a parte voi due, ovvio.
–E Robert?- domandò Chris.
–Robert si frega- sputò Harry: non aveva digerito che andasse con un’altra donna all’insaputa di sua sorella Harper. –E’ troppo impegnato a fare “visite private” a quella Meigs per ricordarsi di noi? Bene! Al momento giusto sapremo ricambiare il favore. Ora sputa il rospo… ho l’impressione che sia un rospone.
–Eh, già. Lo è. Enorme- disse Franz, raccogliendo tutto il suo coraggio. –Faitncinta.
–Hai imparato l’arabo, per caso?
–Chris, che dici?
–Che ne so? Suonava arabeggiante, ho pensato…
–Pensa di meno, visti i risultati!
–Mi stai insultando? Davvero, Harry?
–Però, perspicace!
–Ho capito: vuoi assaggiare i miei pugni!
–I tuoi pugni? Possibile che per te la violenza sia la risposta a tutto?
–Faith è incinta!- tuonò Franz, e un silenzio di tomba calò nella stanza, rotto soltanto dal regolare ronzio della cella frigorifera. –Wow, mi sento leggerissimo, adesso. Ci voleva questo sfogo. Beh, che sono queste facce?
–E’… tuo, vero?- chiese Harry.
–Che razza di domanda. Certo che è mio! Credo anche di sapere quando è avvenuto il fattaccio: durante il trasloco.
–Eh, la carica erotica dei traslochi…
–Chris, chiudi il becco. Husky, ti sbagli: se l’aveste concepito durante il trasloco, Faith dovrebbe essere alla fine del primo trimestre, e non è possibile… oppure sì?
Franz storse la bocca: apprezzava che i suoi amici non si fossero prodotti in futili quesiti sul suo stato d’animo, concentrandosi sul nocciolo della faccenda.
–Non lo so, ero talmente sconvolto da dimenticarmi di chiederglielo! Ho pensato al trasloco perché è stata l’unica volta in cui ho dimenticato il preservativo. L’unica! E se lei aveva sospeso la pillola - a quanto pare ogni tanto va sospesa - et voilà, l’enfant est fait!
–Senza offesa, ma… per quale assurdo motivo non ce l’hai detto prima? E’ grandioso!
– Mini-Weil in arrivo! Chissà se è un lui o una lei…
–Conoscendo Faith, non farebbe molta differenza: anche se fosse femmina, la vestirebbe quasi come un maschio. Niente rosa, pizzi e merletti, insomma.
–L’ho scoperto stamani- intervenne Franz, stroncando la marea di domande entusiastiche di Harry e Chris. –Vi rendete conto? Stento ancora a crederci: io… papà! Io! Assurdo! Non ho mai voluto figli, non tollero i poppanti e i mocciosi, e adesso…
–Sei emozionato?
–Sono terrorizzato! E incazzato: se l’avessi saputo prima avrei potuto dire la mia, prendere decisioni insieme a lei, convincerla che stiamo meglio in due, adesso invece non ho altra scelta se non prendermi cura di lei e di un marmocchio che non voglio!- ruggì, battendo il pugno sul freddo tavolo settorio. L’ultima cosa che vide, prima di perdere i sensi, fu l’espressione sgomenta di Harry. –Cosa è successo? Un frontale con un tir?- chiese quando rinvenne, un paio di minuti più tardi.
–Un frontale col pugno di Chrissino- lo illuminò il radiologo, insistendo affinché facesse una radiografia. –Potrebbe averti rotto il naso, o peggio! Ha un diretto micidiale.
–Che vuoi che sia un po’ di sangue?- lo tranquillizzò Weil, tastandosi la parte lesa. –Cazzo, fa male! Picchia duro, per uno che non gioca da dieci anni.
–Quel che ha fatto è ingiustificabile… ma comprensibile- asserì Harry James. –Sai che sta passando un brutto periodo, per via di Erin e le difficoltà che stanno incontrando per…
–Avere un figlio- esalò Franz, scuotendo il capo. –Immagino come si sia sentito mentre mi lamentavo e minacciavo di abbandonare Faith e il… coso. Che gaffe di merda! Però anche lui: mi ha dato un pugno, cazzo! Un pugno! Come se l’avessi fatto apposta a trovarmi in questo casino!
–Sa che non l’hai fatto apposta- lo rassicurò Harry, tendendogli dell’ovatta e acqua ossigenata. –E’ questo che lo fa infuriare.
 
***
 
In piedi con le spalle alla libreria del salotto, Franz sentì di provare un rispetto tutto nuovo per gli animali dello zoo. Faith lo stava fissando sconcertata, quasi fosse un fenomeno da baraccone. Mancava solo che gli tirasse delle noccioline.
–A giudicare dalla tua espressione, l’ecchimosi è già visibile- sbuffo, scocciato.
–Come te la sei procurata?
–Ho avuto una pacata discussione con Chris- spiegò, conscio che quella curiosona non si sarebbe fermata lì.
–Pacata discussione? Ti ha picchiato!
–Picchiato, che parolona!- si affrettò a precisare, in un moto di orgoglio virile. –Mi ha dato un pugno. Uno solo, nemmeno tanto forte.
–Ti pare il momento di fare il macho da strapazzo? Chris ti ha preso a pugni! Perché?
–Gli ho detto della tua… condizione.
–Condizione?- sibilò Faith, chiudendo di botto il libro che teneva in grembo (era convinta che tenendo i libri vicino all’utero avrebbe trasmesso al feto l’amore per la lettura). –Sono incinta, non malata terminale!- si accorse della fredda luce apparsa nei suoi occhi azzurri. –Anche se deduco che preferiresti quest’ultima opzione.
–Sei crudele. E ingiusta. Ti amo, e se c’è qualcosa che mi ha fatto imbestialire, più che il… coso, è che me l’abbia tenuto nascosto.
–Ho dovuto, per scegliere senza che mi facessi pressioni. Sapevo che avresti reagito… così- pigolò sconsolata Faith.
Franz latrò –Come dovrei reagire? Credevo fossimo d'accordo nel non volere mocciosi urlanti!
–Infatti. Ero completamente d’accordo con te: i bambini richiedono energia, attenzioni, impegno, tutte cose che preferisco profondere nel lavoro, però è successo, non posso certo buttarlo via!
Franz avrebbe voluto replicare, ma rimase senza parole, finché non disse, più a se stesso che a Faith –Ecco perché ultimamente eri strana: la nausea, niente alcool, niente più ristorante giapponese, le crisi isteriche, le allusioni al fatto che saresti diventata grassa e brutta... la sparizione del gatto...
–L’ho affidato a mia nonna, nel Kent.
–Meno male. Credevo l’avessero rapito, magari per cucinarlo- sbuffò Franz con finta giovialità. Faith non rispose, e lui ne approfittò per chiederle –Di quanto sei?
–Tre mesi- precisò la Irving, ma tanta sincerità le fu fatale: Franz rimase sconvolto, e tuonò –Tre? Ho controllato sul calendario, l’ultimo ciclo risale a un mese e mezzo fa!
Faith, mordicchiandosi le labbra mentre si guardava ansiosamente intorno, ammise –L’ultima X rossa sul calendario risale a un mese e mezzo fa, Franz. Io… l’ho scritto apposta per non insospettirti: non volevo che mi influenzassi, e dalla tua reazione deduco che avevo ragione.
Franz non poteva credere alle proprie orecchie: la donna che amava, per al quale avrebbe senza esitare dato la sua stessa vita, gli aveva tenuto nascosto la gravidanza, addirittura mentendogli spudoratamente!
–Che reazione ti aspettavi?- ululò Franz, furioso. –Scopro che sei incinta, nonostante avessimo deciso di non avere figli, e che me l’hai taciuto per tre mesi! Tre. Cazzo. Di. Mesi! Sei una schifosa bugiarda! Sono ancora più convinto della mia decisione.
–Mi lasci. Ho indovinato?
–Non dirmi che non te l’aspettavi: volevi mettermi fuori gioco, impedirmi di interferire nella scelta se tenerlo o meno perché conscia della mia totale avversione per la paternità. Beh, non interferirò… in nessun senso.
–Me l’aspettavo eccome, ma ho il brutto vizio di ritenere le persone migliori di quanto in realtà non siano. Non negherò che mi hai molto deluso, Franz, ma non ti biasimo, e ti assicuro che non avanzerò pretese: tu non vuoi questo bambino, io non voglio crescerlo con i tuoi soldi.
Sotto la spinta del doloroso monito di coscienza assestatogli da Chris, sospirò –E va bene. Visto che ti piace avere il controllo su tutto, lascio a te la scelta: preferisci che, da vero ipocrita, resti qui esclusivamente per senso del dovere, oppure mi lasci andare, nella speranza che mi renda conto del mio errore?
Con tutta la dignità possibile in casi del genere, Faith si erse a testa alta, e rispose –Questa non è una scelta, è un ultimatum. Ebbene, opto per la via più dura, ma più giusta: ti lascio andare… con la certezza che ti renderai conto del tuo errore, e ti assicuro che quando tornerai da me strisciando - e lo farai, oh sì che lo farai - sarà un vero piacere sbatterti la porta in faccia!
–Ammesso che torni.
Faith trattenne le lacrime fino a quando non sentì il rumore della porta, chiusa con inaudita violenza. Soltanto allora si abbandonò al dolore, illudendosi che piangere fino a non avere più lacrime avrebbe alleggerito quel peso che portava nel cuore da troppo tempo.
 
Note dell’autrice:
Prepara le scarpe da corsa, Calliope! ;-)
Potrei anche chiudere così, ma sento di dover spezzare una lancia per Franz: immagino lo odiate, e avete tutte le ragioni per farlo, si è comportato malissimo (W Chris che gli ha mollato un bel cazzotto!), però ha fatto quello che ha fatto non perché non ama Faith, ma per paura. Ebbene sì, è un cagasotto (scusate il francesismo), terrorizzato dalle responsabilità e deluso dalla donna che ama! XD
Connie e Nicky hanno litigato: da che parte state? Per me è difficile, sono entrambe mie creature, ma mi piacerebbe sapere qual è la vostra opinione, anche riguardo l’invadenza di Crystal: conquisterà suo figlio, oppure Aidan capirà che non gli vuole veramente bene?
Passando a cose allegre… diamo un caloroso benvenuto ai gemellini! Ben era emozionatissimo ( come dargli torto?) e Faith, quasi certamente, ha pensato che tra qualche mese si troverà al posto di Abby… non è un bel pensiero! XD
Infine, grazie di tutto cuore a chi, nonostante sia conclusa, continua a seguire “Dr. Irving, M.D.”!  Sapere che tanti amano F&F&Co mi illumina la giornata! ^_^
Serpentina
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Ghost heart syndrome ***


Salve, mie prodi (chissà se si dice davvero così….)! Avete linciato Franz a sufficienza? Spero di no, mi serve tutto intero per il capitolo! XD
Grazie mille alle “recensitrici” abracadabra, Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92 ed elev, e a Genni Andri, Grazia MR, livefearless, sbir e Vale_Patz, che seguono la storia. <3
Buona lettura ( magari ascoltando questo pezzo)!

 
Ghost heart syndrome

Ci sono abissi che l’amore non può superare, nonostante la forza delle sue ali.
Honoré de Balzac

In genere, se si ha un problema, la prima persona alla quale ci si rivolge per un consiglio, o uno sfogo, è un amico; se l’amico è il problema, allora non resta che ripiegare su un confidente “di riserva”. Difficile è trovarne uno fidato.
Monica, triste e sconsolata per la lite con Connie, si trovava esattamente in questa situazione: aveva bisogno di una spalla su cui piangere - coccolare gli animali del rifugio non era abbastanza: le tenere bestiole, per quanto affettuose, erano purtroppo prive del dono della parola, e a lei servivano parole di conforto - ma l’unica persona normalmente in grado di consolarla era proprio la causa del suo malumore. A chi poteva rivolgersi? Adamino era fuori questione - dal fatidico bacio la evitava come la peste - Keith anche - era innamorato del problema, non avrebbe cavato un parere obiettivo da lui - lo zio Axel, il suo parente preferito, si trovava al di là della Manica - e non era il caso di spiattellare i suoi guai su Skype - la zia Holly, la sua seconda parente preferita, era in crociera col marito - e mai e poi mai avrebbe interferito nel loro idillio: lo zio Dean (non a caso soprannominato “il Mastino”) le faceva troppa paura per osare disturbarlo - sua madre era assolutamente inadatta, perché aveva il vizio di dare ragione a chiunque meno che ai suoi figli; l’unica volta in cui l’aveva appoggiata, schierandosi contro suo marito Max, era stato quando Monica aveva insistito per invitare Adam a trascorrere il Natale da loro, a Newcastle. Rimanevano i suoi fratelli, però… Leonard ragionava con le mani, avrebbe sicuramente minacciato di pestare Connie (secondo lui la parità dei sessi lo consentiva), Charles, invece, si sarebbe sperticato in astruse dissertazioni filosofiche, condite con qualche massima in latino che avrebbe finto di capire solo per evitare di farsi friggere i neuroni con la complicata spiegazione che sarebbe seguita se avesse ammesso che lei di quella lingua morta non capiva un’acca (con somma disperazione di suo padre, Monica e il latino erano due rette parallele: se era riuscita a passare ogni anno la prova finale per il rotto della cuffia era soltanto merito di Adam). Tuttavia…
“Ma sì, dai, Chuck non è poi tanto male, e mi ha sempre dato suggerimenti azzeccati. In fondo non deve scervellarsi, solamente dirmi se, secondo lui, farei meglio a mettere da parte l’orgoglio e chiederle scusa, oppure aspettare che la principessa sul pisello - di Kyle - smetta i panni della bambina viziata e faccia il primo passo. Tutto qui!”
Aprì la porta di casa fischiettando, sorpresa dal silenzio, gettò con la consueta grazia elefantina borsa e cappotto sul divano, poi irruppe nella stanza - un tempo appartenuta allo zio Axel - che dividevano i suoi fratelli (a lei era andata di lusso: si era accaparrata in esclusiva la stanza degli ospiti).
–Chuck, fratellino, meno male che sei qui!- trillò, fiondandosi da lui, che avvampò e mormorò parole incomprensibili, vagamente somiglianti a “Non si usa più bussare?” –Cosa ci fai a letto a quest’ora? Stai male?
–Cosa vuoi, Nicky?
–Ho disperatamente bisogno della tua saggezza, Chuck- lo lusingò, consapevole che con l’adulazione si ottiene tutto. –Ho due fratelli che si sono equamente spartiti le virtù: a te la mens sana, a Leo il corpore sano.
Charles si sentì in dovere di correggerla.
–Hai sbagliato i casi, Nicky…
–Potresti parlarmi del ciclo vitale delle cucurbitacee, per me sarebbe lo stesso- lo interruppe, ansiosa di arrivare al punto cruciale. –Ora, immagino ti stia domandando perché non sto piagnucolando da Connie…. abbiamo litigato. Di brutto. Sono giorni che non ci vediamo, non eravamo mai state separate tanto a lungo. E non so come fare pace! Perché faremo pace, è sicuro: io e la Ciambellina non riusciamo a tenerci il broncio- all’improvviso, una testa castana fece capolino da sotto le coperte, annaspando in cerca d’aria. –Oh, ciao, Emily- la salutò allegramente la rossa, prima di rendersi conto della situazione. –Emily? Tu… lui… voi…
La ragazza assunse il colore dei capelli di Monica, la quale, contrariamente alle aspettative dei due piccioncini colti in flagrante, non fece una scenata da sorella maggiore iperprotettiva, anzi: corse a stritolare, ehm, abbracciare e ricoprire di baci un esterrefatto Charles ringraziando tutte le divinità norrene.
–Lasciami, Nicky!
–Il mio fratellino copula! Gaudio e tripudio! Hai già cenato? No? Bene, ti offro la cena. Tutto quello che vuoi, dove vuoi. Devi rimetterti in forze, dopo tutta questa attività fisica! Naturalmente sei inclusa nell’invito, Em… posso chiamarti Em? Di’ di sì, ti prego! Raccontatemi tutto, dai: come, dove, quando, perché… con cosa ti ha drogata per convincerti a uscire con lui…
–Piantala, Nicky, la stai spaventando!- la redarguì Chuck, subito smentito dalle risatine convulse di Emily, che aveva sempre trovato Monica spassosissima.
–Sei una manna dal cielo, Em. Cominciavo a preoccuparmi per lui, sai? Sempre chino su quei libroni noiosi, mai uno svago… niente foto o video equivoci sul telefonino, nessun sito porno nella cronologia di internet… ero sul punto di perdere le speranze- sospirò la rossa, strizzando una guancia a Charles, che soffiò come un gatto arrabbiato. –Invece, incredibilmente, non sei asessuato come pensavo.
–Grazie, eh!
–Sono tua sorella, prenderti in giro è il mio scopo nella vita- replicò lei in tono noncurante.
–Sbaglio, o volevi il mio aiuto?- esalò lui, nella speranza di distogliere la curiosità morbosa di Monica dalla sua ragazza.
–Non sbagli. Ma se hai da fare…
Charles ignorò l’occhiata allusiva di Monica e rispose –Grazie al cielo, quando sei entrata avevamo già finito. Il tempo di vestirmi e…
–Non preoccuparti: ho visto il tuo pendaglio tante di quelle volte, quando eri piccolo, mica mi imbarazzo!
–Mi imbarazzo io, però!- ribatté Charles, paonazzo fino alle radici dei capelli.
–Uffa! Come sei noioso!- gemette Monica, si alzò, raggiunse la porta, poi si voltò e aggiunse, prima di schivare con uno strilletto la scarpa lanciatale dal fratello –Quasi dimenticavo: avete fatto sesso sicuro? Io sono troppo giovane e Leo è troppo scemo per diventare zii!

 
***

–Grazie per l’ospitalità- sospirò Franz, mentalmente e fisicamente stremato.
–Nessun problema. Puoi restare quanto ti pare, anche se spero ti renda conto al più presto della tua imbecillità. Scusa, non voglio giudicarti, sono l’ultima persona al mondo a poterti fare la morale: hai preso una decisione, dettata dall’irrazionalità e dalla paura, certo, una decisione che non condivido, ma è la decisione di un adulto che stimo, devo rispettarla. Quello che mi sfugge è… perché sei venuto da me? Hai fior di amici più che disposti ad darti un posto per dormire, cosa ti ha spinto a chiedere asilo a una persona con cui, beh, non vai propriamente d’accordo?
–Ho pensato che, non andando granché d’accordo, come hai detto, a nessuno sarebbe venuto in mente di cercarmi qui, perciò avrei potuto riflettere in pace… senza sentirmi giudicato- ammise Franz.
La libertà, a lui talmente cara da rinunciare alla donna che amava per preservarla, aveva un sapore decisamente amaro; la sua coscienza gli ripeteva di continuo - e con ragione - che si era macchiato di una colpa ignobile: aveva abbandonato la sua fidanzata che aspettava un bambino. Il suo lato razionale restava convinto di aver fatto la cosa giusta; Faith poteva pure essersi ammorbidita e aver anteposto la maternità ad altri sogni nel cassetto, lui no: sognava una vita in bilico tra carriera e amore… una vita a due, senza spazio per un terzo incomodo. Sebbene la Irving gli avesse mentito, tenendolo all’oscuro della gravidanza inaspettata - forse, se gli avesse detto la verità… no, inutile illudersi: aveva ragione, se gli avesse detto che aspettava un bambino qualche settimana prima, le avrebbe fatto pressioni per non tenerlo, lei si sarebbe risentita e l’avrebbe piantato - sentiva di aver pagato lui il prezzo più alto: quando aveva guardato Faith per l’ultima volta, prima di andarsene sbattendo la porta, aveva provato un dolore lancinante che non accennava ad attenuarsi, come se gli avessero strappato il cuore… eppure ne avvertiva i battiti. Com’era possibile?
–Chi altri, a parte me, sa che hai lasciato Faith?
–Nessuno. Oggi sono a pranzo da mia madre - dopo due inviti rifiutati con la scusa che i genitori di Faith l’avevano battuta sul tempo non avevo più scuse - glielo dirò a fine pasto: la pancia piena mette di buonumore, forse non mi ucciderà. Forse.
–Se non lo farà lei, ci penserà il padre di Faith: è un uomo mite, ma guai a torcere un capello alla sua Tartarughina, diventa una belva! Buona fortuna, per oggi… ne avrai bisogno.

 
***

Monica sostava titubante sulla soglia, scrutando ogni millimetro in cerca di Adam. L’ambiente era molto diverso dalla biblioteca della sua facoltà, moderna e ariosa: i lunghi tavoli erano in legno, così come gli scaffali, alti fin quasi al soffitto e stracolmi di libri. Il mescolarsi del fruscio delle pagine e dei bisbigli degli studenti ( non il fastidioso chiacchiericcio a mezza voce che le impediva di concentrarsi, se non indossava le cuffie anti-rumore) creava una sorta di melodia ritmata, che invitava chiunque entrasse ad accomodarsi e ampliare i propri orizzonti culturali.
–Non sono sicura di questo piano…
–Te l’ho spiegato mille volte: se riuscirai a chiarirti con Adam recupererai il tuo migliore amico e dimostrerai a Connie che sei matura e responsabile. Perciò forza e coraggio, sfodera le tue armi migliori!- le sussurrò Charles.
–Senza offesa per la tua mente geniale, fratellino, ma come puoi essere sicuro che sia qui e, soprattutto, che voglia, beh, chiarire?
–Perché siamo entrambi piuttosto abitudinari: a meno che non si verifichi una calamità apocalittica, dopo pranzo puoi trovarci sempre qui, che piova o splenda il sole- rispose sbrigativamente Charles, guidando tra i tavoli semivuoti. –E poi… Adam mi ha tartassato di domande su di te, deduco che gli stia ancora a cuore. Ehi, eccolo lì!
“Figurati se non si rintanava nell’angolo più nascosto! Cazzo di Buddha, gli sta sempre appiccicata, quella stronza!”
–Oh, merdaccia, è con l’arpia!- soffiò Monica, scoccando un’occhiata assassina alla sua antipatica omonima. –Non posso parlargli davanti a lei!
–Nascondiamoci- suggerì lui, trascinandola tra gli scaffali.
Colpita da un grosso tomo rilegato in pelle apparentemente antico, Monica allungò un braccio per prenderlo e lesse il titolo: “De philosophia legis”.
–Che palle!- esclamò, guadagnandosi occhiatacce e versi di rimprovero da parte di studenti infastiditi. –Scusate- pigolò, stringendosi nelle spalle.
Suo fratello roteò gli occhi e sibilò, iroso –Se mi bandiscono da questo posto per colpa tua ti ammazzo! Se te lo domandano, noi non ci conosciamo.
Monica sbuffò, poi, approfittando della momentanea assenza di Momo, si precipitò dal suo amico, incrociando le dita e pregando di “non mandare tutto a puttane come mio solito”.
Concentrato su un cruciverba, non si accorse che il posto di fronte al suo era stato occupato da una Monica diversa da quella che lo occupava in precedenza finché questa non aprì bocca.
–Edison.
Adam sussultò e balbettò –E-Edison?
–“Cognome di un inventore… illuminato”. E’ Thomas Edison: ha inventato la lampadina, tra le altre cose. Mi sorprende che un cruciverbista esperto come te non ci sia arrivato- Adam non se la prese: la schiettezza era una delle doti della Hawthorne che più apprezzava. Incoraggiata dall’atteggiamento non ostile dell’amico, gli chiese –Posso parlarti senza che la tua rapace metà ci piombi addosso strillando come un'aquila?- Adam, ancora stupito, annuì, Monica tirò un sospiro di sollievo, e mormorò –Ho bisogno di scambiare due parole con te. In privato.
Adam annuì una seconda volta, la prese per mano e insieme si appartarono nella parte più remota dell’edificio.
–So cosa stai per dire- la zittì posando l’indice sulle sue labbra. –Accetto le tue scuse, in fondo non sei l'unica ad avere qualcosa da farsi perdonare.
Monica annuì e, con enorme fatica, pronunciò quella che la parte più istintiva del suo essere reputava una gran cavolata. –Vero, ma sono quella che più ha da farsi perdonare. Non avrei dovuto giudicarti. Momo deve piacere a te, non a me
–Anche perché a te non piacerà mai- esalò Adam, voltandosi verso Monica, che abbassò lo sguardo, incapace di reggere quello di lui. –Se può consolarti, credo che il sentimento sia più che ricambiato. Solo, vorrei comprenderne la ragione.
–Per quale motivo non mi piace quell'arpia che chiami la tua fidanzata? Sul serio non ci sei arrivato? Ti facevo più intelligente!- sbuffò lei, per poi aggiungere, di fronte all'espressione incuriosita di Adam –Lo dico e lo ripeto: siete una coppia pessimamente assortita, ma non mi stupisce, hai un gusto orrendo in fatto di donne.
–Non direi: Momo è meravigliosa.
"Che c'entra Momo? Sono io l'eccezione alla regola, dovrebbe trovare me meravigliosa!" pensò Monica, dandosi poi della stupida per quel pensiero così poco “da amica”.
Asserì –Oh, si, è stupenda: brillante, ambiziosa e chi più ne ha più ne metta, ha tutto quello che potresti desiderare… ma non fa per te!
–Non mi ritieni alla sua altezza?- chiese Adam, offeso.
Monica, arrabbiata dal suo atteggiamento - possibile che le mezze calzette si pavoneggiassero impunemente, mentre persone dotate e capaci come Adam dovessero soffrire di complessi d’inferiorità? - scosse la testa e rispose –Semmai il contrario. Momo sembra perfetta, forse lo è, ma è come quelle belle mele del mercato, con la buccia liscia e lucente, che quando le apri trovi i vermi. Tu sei migliore di lei, come quelle mele meno perfette fuori, ma succulente dentro, che non ti stanchi mai di mangiare, a costo di farti venire il mal di pancia.... sembra che stia delirando, vero?
–Un tantino.
–Fingi che non abbia aperto bocca, eh?
–Mele a parte, cosa ti irrita di Momo?- domandò Adam, seccato: possibile che, per ogni passo avanti, ne facessero venti indietro?
Monica, dopo un'attenta riflessione, rispose –E' presuntuosa, sbatte in faccia al mondo la sua perfezione; quando ti guarda sembra dirti: “io sono figa, tu sei plebaglia, indegna perfino di leccarmi via il fango dalle scarpe”! Senza contare che non sopporto come ti tratta: non sei il suo cane da competizione, non può considerarti di sua proprietà!
–Forse sei fuori dal giro da troppo tempo per ricordartelo, Nicky, ma quando due persone stanno insieme è normale un certo attaccamento, essere possessivi… entro i limiti del buon senso, ovviamente- replicò Adam.
–Sarà, ma mi dà sui nervi comunque; non lo tollero, mi sta talmente sul cazzo che quando ti tocca o ti bacia in mia presenza provo quasi un dolore fisico, mi viene voglia di imbottire di stricnina lei, e di disinfettante te!- sputò Monica, sfogandosi con il suo migliore amico, che la fissò in silenzio, sbalordito dalla frase che seguì –Non mi va di condividerti con chicchessia. Ti voglio tutto per me, che c'è di male?
Senza pensare, Adam si avventò sulle sue labbra, portando una mano alla nuca per trattenerla. Come se ce ne fosse stato bisogno: se non avesse gradito quel bacio a sorpresa, non avrebbe risposto con entusiasmo, spingendo Adam contro il muro. Si fermavano di tanto in tanto per respirare, e in quei momenti si guardavano, ansanti, per poi ricominciare.
–Nicky… a-aspetta. N-Non è giusto.
–Hai ragione- convenne la rossa. –Perdonami. Io… non so cosa mi ha preso…
–Ah, no? Te lo dico io: è la stessa cosa che ti ha presa le altre volte che ci siamo baciati, e quando abbiamo fatto l’amo… sesso.
Sembrava furioso, ma la Hawthorne non riuscì a trattenersi.
–Sono recidiva, ok, e ammetto che sento… qualcosa, tra noi, una specie di... elettricità, ma non ritratto: io e te non possiamo stare insieme perché dobbiamo restare amici.
–Allora perché cavolo non mi hai allontanato?
–Perché mi piace questa strana scossa che sento quando siamo incollati per le labbra! Perché mi sembrava naturale e giusto! Perché ti voglio tutto per me, anche se non nel modo che vorresti!
–Non vuoi che stia con te, non vuoi che stia con nessun'altra… si può sapere che vuoi?- silenzio. –Non sforzarti, rispondo io per te: Momo, per tua stessa ammissione, è stupenda. Per quale motivo dovrei fare cambio con la sua brutta copia?
Delusa, Monica raggiunse il fratello, il quale, al vederla tanto sconvolta, le chiese –Allora? Avete chiarito?
–Oh, sì: è chiaro che mi odia!- piagnucolò lei.
–Credevo… non importa. Anche i migliori sbagliano. Andiamo a casa, sorellona- disse Charles, ignaro di quanto suonasse ironico quel “sorellona”, dato che superava in altezza Monica di almeno dieci centimetri.
Appena rimase da sola, osservò il proprio riflesso nel grande specchio della sua stanza, e perse tutta la smisurata autostima che la caratterizzava: Adam aveva ragione, privata di sorriso smagliante e aria da dura non era niente di speciale, e assolutamente niente di niente in confronto a Momo, bella da mozzare il fiato e dotata di uno charme sensuale da vera donna. Lei, esclusa la notevole altezza, aveva un aspetto infantile, anche per colpa delle lentiggini su naso e guance e degli occhi grandi, forse troppo; quanto allo charme, era tanto se si poteva paragonare a quello di un maiale. Per la prima volta in vita sua, guardandosi allo specchio, Monica Hawthorne badò al proprio aspetto e si sentì spazzatura rossiccia. Sfogò la frustrazione strapazzando di coccole il fulvo micione da lei battezzato Whiskers III, bisbetico come pochi (infatti si stufò quasi subito di quelle attenzioni non richieste e la graffiò).
 
***

–Allora, ci sono progressi?
–Progressi? Stai parlando della disperazione di nostra figlia, dottore dei miei stivali, non di un caso clinico!- sbottò Rose Taylor in Irving, rimestando il minestrone con particolare energia. –Comunque no, nessun cambiamento: è ancora rannicchiata sul letto a piangere, abbracciata a quel peluche… come si chiama? Puffy!
–Non ha detto niente sulla ragione del crollo emotivo?
–Non una parola- gracidò Rose, asciugandosi in fretta una lacrima, prima che suo marito se ne accorgesse: doveva essere forte, per lui e, soprattutto, per Faith, la sua cucciola depressa. –Si è presentata senza avvisare, mi ha abbracciata ed è scoppiata a piangere…. e non ha più smesso. Spero che non si riduca come dopo il… fattaccio. Sì, insomma… il matrimonio mancato. Ricordi? Era diventata… scheletrica no, è impossibile, però era dimagrita troppo e troppo rapidamente, usciva a malapena di casa e per farla mangiare dovevamo minacciare di nutrirla per via parenterale!
–Mia figlia non si ciberà attraverso un’ago-cannula! Vado a parlarle.
–No! Peggioreresti la situazione!- obiettò Mrs. Irving. –Ha la testa dura, come te: deve crogiolarsi nell’autocommiserazione per un po’, e decidere lei stessa quando reagire; se glielo imponi, persisterà nella sua depressione solo per il gusto di innervosirci.
–Cosa dovrei fare, allora? Starmene qui a girarmi i pollici, mentre la mia Tartarughina soffre? Vado a parlarle. Potrà sbraitare quanto vuole, sarà obbligata a darmi retta: casa mia, regole mie.
Determinato a dare uno scossone alla sua unica figlia, il dottor Irving entrò nella stanza senza bussare, avanzò verso la figlia, le strappò gli auricolari dell’i-Pod e, incurante del flebile “Voglio stare da sola”, disse –Ascolterai dopo… i Drowning Pool. Ehi, li ho sentiti una volta, non sono male! Il chitarrista è bravino, e alcuni brani sono buoni. Ehm… basta divagare: io e tua madre stiamo male, soffriamo insieme a te, perciò abbandonerai un attimo il tuo stato depressivo e mi spiegherai cosa c’è che non va.
–Vattene- sibilò Faith, rimettendosi nelle orecchie gli auricolari. Non era in vena di predicozzi o discorsi strappalacrime, desiderava soltanto annegare la tristezza nella musica.
–Non credo proprio. Sei sotto il mio tetto, signorina, mi devi una risposta. La esigo!
“Vedi tu se devo sgridarla come un’adolescente ora che ha quasi trent’anni! Però… è una bella sensazione. Sì, dà decisamente soddisfazione. Adesso capisco perché gli altri genitori sgridano tanto volentieri i loro figli!”
–Papo, ti prego- lo supplicò. –Fa troppo male: io… non ce la faccio più! Ho provato ad andare avanti come nulla fosse, come un automa, fissa nella mia routine rassicurante: casa, lavoro, pub, casa, ma non ha funzionato. Non ho retto, e il risultato ce l’hai davanti agli occhi.
–Il risultato di cosa?
–Della sfiga che mi perseguita!- gnaulò lei. –Ho represso il pensiero per giorni, poi sono andata a far visita ad Abby - sai che ha avuto due gemelli, no? Kimberly e Kevin, due amori, l’incarnazione del neonato ideale! - e mi è piovuta addosso come una spada di Damocle  - che poi chissà chi cazzarola è ‘sto Damocle! - la consapevolezza che non posso farcela, non da sola, e ho realizzato che era inutile, respingere la realtà non l’avrebbe cambiata, né in meglio, né, fortunatamente, in peggio. Siamo nella merda!
Stupito, nonché seriamente preoccupato dall’uso del plurale, suo padre le chiese –Siamo? C’entra qualcosa Franz con tutto questo? Avete dei problemi, ehm, diciamo “di coppia”? Problemi di soldi?
Esasperata, Faith lo scostò in malo modo e latrò –Vattene via!
Essendo capace di riconoscere una causa persa, quando ne vedeva una, il dottor Irving si ritirò sconfitto, ma non piegato: aver perso una battaglia non implicava necessariamente che avrebbe perso la guerra.
–Come desideri. La cena sarà in tavola tra cinque minuti, a me e tua madre farebbe tanto piacere se ti unissi a noi- asserì, sforzandosi di assumere un tono neutro. Una volta chiusa la porta, però, si lasciò andare a considerazioni di tutt’altro genere, a voce forse troppo alta. –Lo dicevo io che era anomala! Sto scontando adesso anni senza problemi e litigi. Ecco cosa succede quando sono troppo tranquilli da adolescenti: ti ritrovi a subire una crisi isterica da ragazzina in piena tempesta ormonale da parte di una donna sulla trentina!
La porta alle sue spalle si aprì, facendolo trasalire, e Faith, il ritratto dell’alterigia, si appoggiò allo stipite a braccia conserte.
–Punto primo: io non sono isterica, anche se ammetto che gli ormoni in questo periodo mi giocano brutti scherzi. Punto secondo: fino al tredici dicembre ho ventinove anni. Capito?- sibilò, salvo poi cambiare completamente tono e aggiungere –Che c’è per cena?
Suo padre sorrise, sollevato, e pensò: “Bentornata, Tartarughina mia!”

 
***

Quando si è tristi, o ci si sente in colpa, nulla è peggio di un pranzo in famiglia; sembrano essere stati creati apposta per acuire lo stato d’animo di chi vi prende parte: se si è felici, si diventa felici il doppio, se si è tristi… beh…. sono decisamente controindicati, perché la finzione comporta una fatica immane, che accresce il vuoto dentro di noi.
Difatti Gertrud Philips non aveva faticato per ottenere una piena confessione da Franz: i suoi sorrisi di circostanza erano stati troppo entusiasti per ingannarla, e l’appena percettibile contrazione dei muscoli facciali alla menzione di Faith aveva confermato i suoi sospetti.
Tutto ciò di cui necessitava, adesso, era che l’altra parte in causa vuotasse il sacco.
Sistemò il vezzoso cappellino blu pervinca ( abbinato alla borsa) e il foulard, dopodiché curvò le labbra nel sorriso più accattivante del suo repertorio ( ereditato da entrambi i figli) e premette il dito sul campanello. Senza scomporsi di fronte all’espressione di educata perplessità rivoltale dalla padrona di casa, trillò –Ho portato i migliori pasticcini di Londra, non puoi non farmi entrare!
–Prego, accomodati- rispose l’altra.
–Non sapevo avessi ristrutturato!
–Non l’ho fatto. Mi sono limitata a modificare la disposizione dei mobili e disfarmi di alcune cianfrusaglie irreparabili.
–Buona idea! L’ambiente ha acquistato luminosità e sembra molto più grande- asserì Gertrud, osservando il salotto con l’occhio critico dell’interior designer. –Oh, adoro quel vaso!
–Un dono di nozze dei parenti italiani di mio marito. Tè o tisana?
–Non saprei...
–Non mi vergogno a confessare che spero opterai per la tisana: da quando Faith è tornata a vivere qui non beviamo che rooibos, il tè rosso africano. A quanto pare ha molteplici proprietà benefiche, inclusa un’azione anti-nausea. E’ incredibile che la faccia passare e non la provochi, ha un tale saporaccio!
–Ti ringrazio della cortesia, però lascia perdere la tisana. Ich habe keine Zeit zu verlieren- sibilò Gertrud, spazientendosi: non le dispiaceva servirsi di sotterfugi e giri di parole per raggiungere i propri scopi, ma quando era vicina alla meta preferiva un approccio diretto. –Immagino tu sappia perché sono qui, Rose.
–Ho in mente un paio di ragioni, entrambe iniziano per F…
–Sai che si sono lasciati, dunque.
–Non sei l’unica a conoscere la preziosa arte del mettere sotto torchio i propri figli, Gertie- replicò sussiegosa Mrs. Irving. –Ammetto che mia figlia è un osso duro, ma sono riuscita a farla cedere, almeno in parte: non ha voluto rivelarmi la causa scatenante la rottura. Hai informazioni in merito?
–Ne so quanto te, cara. A dire il vero, speravo di apprendere particolari utili, uhm, dalla diretta interessata.
–Vorresti estorcere a Faith il motivo per cui tuo figlio l’ha scaricata?
–Che ne sai che è stato mein geliebte kind a scaricarla, e non il contrario?- ringhiò Gertrud. Stimava Rose, erano diventate amiche, ma avrebbe difeso Franz a spada tratta. Era pur sempre il suo kind.
–Intuito- rispose Rose. –Conosco mia figlia, posso assicurarti che è pazza di lui, sta soffrendo da morire. Inoltre è noto che gli uomini si stancano prima dei difetti del partner e Faith - che, per carità, è una donna fantastica, sebbene lontana anni luce dalla perfezione - ne ha parecchi. A volte fatico a sopportarla io, che l’ho data alla luce, figurarsi Franz!
–Ti do la mia parola che mein kind è devastato- celiò Getrud. –Inoltre non è esente da difetti, Faith potrebbe benissimo essersi stufata di lui: è testardo, pignolo, criticone, misantropo…
–La finite di parlar male di me e del mio uo… ex?- sbottò Faith, con le mani sui fianchi, incenerendo con lo sguardo le due madri.
–Cucciola! Non ti avevo sentita! Saluta Gertie e torna a letto: hai bisogno di riposo, dopo un turno di notte- chiocciò Rose.
–Ci torno subito, mi ero alzata per, ehm… andare in bagno- sbadigliò lei, poi notò la confezione della pasticceria ‘Il dolce mondo di Mary’. –Pasticcini! Pasticcini di Melanie! Posso?
–Perché no? Dopotutto, non hai ancora fatto colazione- sospirò Rose, rivolgendole un sorriso materno. –Ringrazia Gertie, che ce li ha portati.
–Grazie- disse Faith, prima di domandarle, preoccupata –Come sta Franz?
–Come te- rispose sbrigativa Gertrud. –Pigiama viola con la maialina sexy escluso. Il che mi induce a pensare che siate ammattiti, perché non è possibile che due persone fatte l’una per l’altra, che si amano, si lascino senza un valido motivo.
La Irving avvampò, coprì con le braccia la maialina in babydoll e guêpière che ammiccava sopra il cartello “attenzione: curve pericolose” e pigolò –Se vi dico perché Franz mi ha mollata, promettete di non, ehm, prendervela con lui? Ha sbagliato, ma sono convinta che vorrà rimediare… prima o poi.
–Non faccio promesse che non sono sicura di mantenere- asserì Rose. –Avanti, sputa il rospo.
Faith la accontentò con voce lievemente tremula.
–Aspetto un bambino, lui non lo vuole.
La prima a riprendersi dallo shock fu Gertrud, che cinguettò –Non sei ingrassata, lì- indicò la protuberanza a malapena visibile –C’è il mio nipotino!- si voltò verso Rose e insieme gridarono, esultanti –Nipotino!
–E’ grandioso! Diventerò nonna!
–Dobbiamo pensare al corredino! Finalmente una ragione per fare shopping selvaggio senza che Martin brontoli! Oh, spero tanto sia una femminuccia, vestire i maschietti non dà soddisfazione, lo so per esperienza!- squittì Gertrud.
–Eh, beh, sì, con le bambine è tutto più facile… fino alla pubertà- asserì Rose. –Ripescherò dall’armadio la copertina rosa che ti cucì tua nonna.
–Assolutamente no!- tuonò la futura mamma. –Non conosco il sesso del feto, ma so per certo che, se dovesse essere una lei, non diventerà una insulsa principessina viziata dal cervello talmente striminzito che il paragone con una gallina offenderebbe il volatile. Niente rosa, niente pizzi, niente fronzoli. Chiusa la questione!- concluse in italiano (Rose rabbrividì: a parte l’accento cockney, in quel momento sua figlia era la copia sputata di sua suocera).
–Aspetta- ringhiò Gertrud, ricordatasi, una volta scemato l’entusiasmo, del fatto che Franz non voleva il bambino. –E’ questo il motivo per cui ti ha lasciata? E’ fuggito dalle sue responsabilità?
–Ha avuto paura- lo difese Faith (paradossale, considerata la situazione). –Avevamo concordato di concentrarci sulla carriera, goderci la vita in coppia…
–Lo sappiamo- soffiò Rose, che aveva sempre disapprovato la scelta della figlia.
–La notizia l’ha sconvolto. Deve aver pensato a cosa avrebbe perso con un figlio a carico e…
–Se l’è data a gambe!- ruggì Gertrud. –Ti pare un comportamento da uomo degno di questo nome? Condannerà mio nipote a crescere senza padre… inconcepibile. So quanto basta, è meglio che vada.
Afferrò la borsa e si avviò alla porta. Faith la fermò e le chiese, quasi supplicandola –Non sarai troppo dura con lui, vero?
–Dipende. Qual è la tua definizione di durezza, cara?

Note dell’autrice:
Il titolo si rifà alla Ghost Limb Syndrome (Sindrome dell’arto fantasma), un fenomeno che può colpire i pazienti amputati o resecati (ai quali hanno asportato un organo intero o una sua parte): continuano ad avvertire sensazioni (perlopiù dolorose, ma anche di natura termica o formicolii) dalla parte mancante, come se l’avessero ancora. Ho pensato fosse calzante perché, quando un amore finisce, si ha la sensazione che ci venga tolto il ( o un pezzo di ) cuore, anche se continua a battere nel torace… un cuore fantasma, appunto.
Mamma Sauerkraut è sul piede sul guerra: trema, Franz! XD A proposito del nostro Weil, chi mai l’avrà ospitato?
Assurdo che Faith abbia difeso tanto accoratamente il suo ormai ex, ma c’è da capirla: lo ama ancora, e lui ricambia. Chissà che questo non ponga le basi per una riconciliazione…
Nicky riesce a dire e fare solo cose sbagliate, con Adam. Forse perché è difficile continuare a convincersi che per lei è solo un amico? ;-)
Vi piacciono i nomi dei gemellini? Kimberly era scontato (vedi capitolo uno di ‘Dr. Irving’), Kevin l’ho scelto per come suonava col cognome e col nome della sorellina.
Chiudo con un applauso a papà Irving: ha mantenuto il sangue freddo nonostante l’irritante atteggiamento della figlia. Invidiabile: al suo posto l’avrei insultata, o peggio! Citando Rose, Faith è fantastica, nonostante i numerosi difetti, tuttavia non la vorrei diversa: non è un’eroina, è imperfetta, (spero) vera; potrebbe essere la sorella, cugina, amica, vicina, fidanzata di chiunque, la donna seduta accanto a voi sull’autobus, o in fila al supermercato, oppure che incrociate in giro per negozi (quasi sicuramente in libreria ;-) )… è una di noi.
Au revoir!
Serpentina
Ps: w il rooibos! Ha davvero molte proprietà assai interessanti: anti-nausea, rilassante, è ricco di antiossidanti, magnesio, zinco, fosforo e calcio, povero di acido ossalico (che predispone ai calcoli renali) e privo di teina. Promosso a pieni voti!
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Appetite for distraction ***


Bentornate all’appuntamento settimanale con BB (senza cream)! Se amate i ritorni dal passato, i bimbetti petulanti e i fratelli Weil, non resterete deluse. ;-)
Vi lascio alla lettura, prima, però, una galassia di grazie ad abracadabra, Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92 ed elev, che hanno recensito, e a pepapig e rups96, che seguono la storia. :-*

 
Appetite for distraction

L’uomo non si consola dal dolore, se ne distrae.
Stendhal

Forse perché non svolgeva un tranquillo lavoro d’ufficio, Alexander apprezzava particolarmente la routine domestica, comprese le marachelle dei suoi vivacissimi figli. In realtà il vero scalmanato, il “Bart Simpson londinese” era Hans, il maggiore; Ernst, il minore, perlopiù subiva gli scherzi che Wilhelm, il fratello di mezzo - ben lieto di essere passato al ruolo di carnefice dopo anni di angherie - architettava con la complicità del diabolico Hans.
Sulla quiete familiare, però, si abbatté una furia che avrebbe rovinato il quadretto quasi idilliaco.
–Mamma, cosa…?
–Lui dov’è?
–Lui chi?- chiese Alexander, sconcertato: sua madre era una vera piantagrane!  
–Quello scellerato di tuo fratello, ecco chi!- sbraitò la donna, furente a tal punto che Wilhelm chiese ad Hans –Dici che sputerà fuoco come un drago?
–I draghi non esistono, stupido. La nonna diventerà verde e spaccherà tutto, come Hulk!
–Nessuno diventerà verde e sputerà fuoco, Wilhelm. Hans, non spaventare tuo fratello- lo redarguì Alexander. –Franz non è qui, mamma. Conosci il suo indirizzo.
–Non è più lì- spiegò Gertrud. –Mi sono presentata a casa sua per giorni, invano. Dopo parecchi tentativi infruttuosi ho capito che si è trasferito. Se sai dove si nasconde, sei pregato di riferirmelo.
–Prova a chiedere a Faith- suggerì Alexander con un’ingenuità che rasentava l’ottusità (diciamo pure che vi sconfinava apertamente).
–Lui e Faith si sono lasciati!- gli rammentò Serle, assestandogli una dolorosa gomitata alle costole.
–Ah, già, è vero! Che stupido!
–Stupido? Stupido non rende l’enormità della caz… sciocchezza che ha fatto!
–Lo “stupido” era riferito a me, ma’- tentò di placarla Alexander, come (quasi) sempre dalla parte del fratello. –Per tua informazione, non sei l’unica a dispiacersi perché è stato talmente cieco da lasciare quella che probabilmente è la donna della sua vita, ma l’amore, si sa, è eterno finché dura… si vede che il loro non era destinato a durare.
–Secondo me, invece, tua madre ha ragione- asserì Serle. –A te che sei uomo forse certi dettagli possono sfuggire, ma una donna intuisce quando due persone si amano, e quei due si amano. Se non riusciamo a farli tornare insieme, potremmo almeno capire perché è finita.
–Non ho bisogno di capirlo, già lo so- replicò Gertrud, una maschera d’ira. –E’ per questo che sono inca… volata nera.
–E’ così grave?- chiese Alexander, poi, dopo che sua madre gli ebbe sussurrato all’orecchio un breve resoconto dei fatti, divenne livido, e sibilò –Kinder, filate in camera vostra.
–No, voglio vedere la nonna che spacca!- gnaularono in coro i bambini.
Schnell!- abbaiò loro padre, ottenendo l’effetto sperato: non avendolo mai visto tanto serio, avevano capito che era meglio obbedire.
In quell’istante squillò il telefono. Rispose Serle, e gli altri due compresero che si trattava di Franz dalla sua espressione, tra l’imbarazzato e l’allibito.
–I bambini? Oh, ehm, non offenderti, però Ernst è troppo piccolo, e Wilhelm e Hans sono già andati con gli amici di scuola. Sarà per un’altra…
–E’ quell’essere indegno? Passamelo!- sbraitò Gertrud, seccata, prima di strappare la cornetta di mano alla nuora.

 
***

Faith, colpa anche del ventre in continua crescita, si muoveva a fatica in mezzo alla fiumana di persone. L’apertura dei mercatini natalizi aveva su di lei lo stesso effetto di un negozio di dolciumi su un bambino: semplicemente non riusciva a resistere, sfidava la propria avversione per la folla e si districava tra la gente accalcata contro le bancarelle, dove trovava immancabilmente qualche ninnolo perfetto da regalare oppure da usare per addobbare la casa a festa. Gli anni precedenti aveva condiviso questa gioia con Franz, quella volta le era toccato sbrigarsela da sola.
“Devo smetterla di pensare a lui! Mi ha mollata, cazzarola! Devo farmene una ragione e godermi gli ultimi mesi di libertà prima dell’arrivo del pupo… o pupa. Continuo a sperare che sia femmina, fanculo Gertrud e il suo ‘I primogeniti Weil sono maschi da almeno dieci generazioni’! Visto come mi ha tratta quel bastardo questo sarà un Irving, la regola non vale.”
Si era distratta a rimirare compiaciuta il suo ultimo acquisto, la palla di Natale dei Simpson, quando un avventore frettoloso andò a sbatterle contro.
–Un po’ di attenzione, per favore!
–Pure lei, però… Faith! Che sorpresa!
Colpita dalla voce, che le suonò familiare, alzò lo sguardo, e le fu sufficiente un’occhiata per riconoscerlo.
–Marcus! Il mondo è davvero piccolo!
–Il mondo non saprei, Londra sicuramente- rispose lui, limitandosi a un sorriso: era incerto se abbracciarla o meno, non voleva intimidirla. –Anche tu in cerca di regali?
–Non mi piace ridurmi all’ultimo minuto, specialmente perché sotto Natale alzano i prezzi- replicò con una strizzata d’occhio. –Inoltre ritengo che i regali vadano ponderati, devono riflettere in uguale misura il gusto del donatore e del ricevente, non si può decidere in due minuti.
–Concordo- convenne Marcus. –Ora spiegami cosa ci fa una donna come te tutta sola.
–Prenderò il “come te” per un complimento. Dici che ho bisogno della guardia del corpo?
–Dico solo che, se fossi il tuo fidanzato - e se quel Weil non si fosse messo in mezzo lo sarei -, non ti perderei di vista un attimo… non si sa mai.
–Bella dimostrazione di fiducia!
–Oh, avrei la massima fiducia nella mia donna- asserì Marcus. –E’ degli altri che non mi fiderei.
–Credici, se ti rende felice… comunque se non funzionò non fu colpa di Franz, bensì tua: continuasti a uscire a cena con le tue pazienti siliconate e botoxate!- sbuffò Faith, infastidita dal fatto che, in ogni discorso, prima o poi saltava fuori Franz. Possibile che non volesse farsi dimenticare?
–Sei troppo rigida: erano innocue cene che giovavano agli affari, senza dopo-cena. Quello lo avrei riservato a te- obiettò Marcus, sistemandole dietro l’orecchio una ciocca che ondeggiava al vento.
Faith, segretamente felice per quel gesto così… intimo, arrossì e pigolò, giuliva –Mi perdonerai se ho i miei dubbi. Adesso come te la passi?
–Non è il mio periodo d’oro, ma non mi lamento- sospirò lui, lasciando trasparire una profonda stanchezza, sia fisica che morale. –Tu?
–Stessa cosa- ridacchiò la Irving, sbuffando una risatina immaginando la faccia di Marcus se gli avesse detto che era in dolce attesa.
–Ti, uhm, andrebbe una birra?
–Ecco, io… non posso… preferirei una cioccolata. Va bene lo stesso?
–Perché no? Posso sempre farmela correggere!- esclamò lui con entusiasmo. –Sento che c’è qualcosa di diverso in te, sai? Devo assolutamente scoprire cosa.
Faith rispose con un sorriso sibillino e il frivolo –Beh, ho lasciato crescere i capelli e preso l’abitudine di arricciarli… con scarso successo: secondo Abby e mia madre sembro la sorella cicciona di Frodo Baggins!
–Concordo sulla somiglianza a Frodo, sul cicciona… decisamente no. Ma potrei farmi fuorviare dal cappotto. Andiamo?
Faith annuì, gli permise di prenderla sotto braccio e si incamminò al suo fianco lungo la Queen’s Walk, dove si teneva il Southbank Centre Christmas Market.
Voleva una distrazione da Franz? L’aveva trovata. Dopotutto, le minestre riscaldate, in assenza di alternative più appetibili, offrono un tiepido senso di nostalgica sicurezza, l’ideale per un cuore infranto.

 
***

Franz stava sbuffando, strofinandosi le palpebre con le nocche. Mentre si riposava, tra gli sbadigli, pensò a quanto era stato furbo ad omettere la ragione della rottura con Faith: se sua madre era incacchiata perché si erano lasciati, figurarsi se avesse scoperto che l’aveva abbandonata nonostante aspettasse un bambino!
All’improvviso, una squillante vocetta infantile lo riportò alla realtà.
–Ehi, ce l’hai più piccolo del mio papà!
–Anche del mio!- trillò il bambino che le trotterellava dietro.
“Allora è vero che oggigiorno i marmocchietti non rimangono tali a lungo!”, pensò, avvampando.
–Non è vero!- latrò in difesa del suo orgoglio virile. “Che fine ha fatto la beata ingenuità?”
–Invece sì!- aggiunse la bambina, passandosi una mano tra i lunghi capelli biondi. –Il mio papà e lo zio Brian hanno il Samsung ultimissimo modello, il tuo telefonino vicino a quel bestione è veramente, beh, “ino”.
–Un po’ di rispetto per il mio smartphone- replicò Franz, carezzandolo. –Mi serve fedelmente da anni, e poi…
–Sì?
“E’ un regalo di Faith”.
–E poi niente! Smammate, mostriciattoli!- sbottò, con l’unico risultato di farli scoppiare a ridere. –Vi ho ordinato di evaporare! Sciò! Insomma, non avete di meglio da fare? Che so… conquistare il mondo, come i due topini mentecatti di quel cartone animato che tanto vi piace?
–Uhm… forse dopo- rispose la bambina, sfrontata ogni oltre limite già a sei anni. –Adesso mi voglio divertire, e tu sei perfetto: vai su tutte le furie per niente! Ah, prima che ci provi: ho già finito i compiti.
–Vogliamo che ci porti a pattinare!- trillò il maschietto con occhi sfavillanti di gioia.
–Pattinare? E dove?
–Dico, ma tu non ci esci mai in giro per Londra?- lo rimbeccò la piccoletta, ostentando un’irritante aria di superiorità. –A Somerset House Ice Rink, ovvio!
–Ah, sì, giusto, d’inverno montano una pista da pattinaggio davanti al palazzo- rammentò Franz, maledicendo l’argento vivo dei marmocchietti. –Vi è andata male, però: non mi piace pattinare. Fatevici portare dai vostri genitori, io non ho intenzione di schiodarmi dal divano.
–Perché no? Saremo buoni, buonissimi! E dai! Ti prego!- piagnucolarono in coro i pargoli, esibendo la loro espressione supplice più convincente. –I nostri papà sono al lavoro e tu no, è normale che lo chiediamo a te di accompagnarci.
–Mi state dando del nullafacente?- sbottò Franz. –Per vostra informazione ho un lavoro, se sono qui e non in ospedale è semplicemente perché ho il turno stanotte, motivo in più per riposare e non stressarmi appresso a voi.
–Il mio papà ti tiene qui perché Faith ti ha buttato fuori di casa, veramente- osservò il pargolo, le labbra distorte in un ghigno furbo che contrastava magnificamente col generale aspetto angelico. –Ho sentito a lui e a zio che parlavano.
–Ho sentito papà e zio, senza “a”- lo corresse Franz. –Comunque i bravi bambini non origliano le conversazioni altrui. Per punizione… niente pattinaggio!
–E va bene, ci arrendiamo. Noi non vogliamo che ti stanchi e poi lavori uno schifo- intervenne l’altra, sfarfallando le ciglia come aveva visto fare alla “zia” Bridget quando bramava qualcosa. –Sai, ho capito perché non vuoi portarci a pattinare: non sei capace.
Punto sul vivo, Franz ululò –Ne sono capacissimo, invece! Non sai con chi hai a che fare: potrei eseguire un triplo Axel da campione, se soltanto lo volessi- poi, davanti alle occhiate fintamente incredule dei piccoli commedianti, sospirò, rassegnato –Avete vinto: imbacuccatevi per bene, si va a Somerset House!
–Evviva!- gridarono i due in coro, quindi il maschietto aggiunse –Dici a Hans e Will se vengono pure loro.
–Perché no? Quattro mocciosi non saranno meno gestibili di due- disse Franz, compose il numero e pigiò il tasto di chiamata. Fu sua cognata a rispondere, informandolo che Hans e Wilhelm erano già andati alla Somerset House con alcuni amici, e stava per riattaccare quando Gertrud si impadronì prepotentemente della conversazione.
–Tu! Come osi sollazzarti dopo quello che hai combinato? Dovresti fustigarti a sangue, altro che pattinaggio!- latrò. –Non ti ho cresciuto insegnandoti a mollare tutto alla prima difficoltà, figlio degenere! Sei una vergogna, un abominio! Non puoi essere carne della mia carne!
–Mamma, sicura che quelle che prendi sono pasticche per la pressione?- ridacchiò Franz, ignaro dell’uragano che stava per abbattersi sui suoi poveri timpani.
–Ah, siamo al sarcasmo? Non osare, razza di… pusillanime! Faith è troppo buona, nonostante tutto si preoccupa per te, hai perso una donna più unica che rara! Pensa che mi aveva pregata di non essere dura con te, ma come faccio? Meriti tanti di quei ceffoni… quanto vorrei averti a portata di mano!
–Senza offesa, ma’, ma stai esagerando: non puoi arrabbiarti perché ci siamo lasciati.
–Infatti, mi arrabbio perché tu, essere immondo, l’hai lasciata… incinta! Che razza di uomo sei?
“Oh, merdaccia nera, l’ha scoperto! E ora? E ora… niente: non posso ritrattare proprio adesso, farei la figura del mollaccione! Spiacente mamma, spiacente Faith, ormai è una questione di orgoglio.”
–Senti, eravamo d’accordo nel non volerne. Lei ha rotto l’accordo, lei paga le conseguenze.
–La conseguenza è mio nipote!- barrì Gertrud. –Tuo figlio! Non puoi…
–Posso eccome!- ruggì Franz. –Ho lasciato scegliere Faith, ha preferito lasciarmi andare. Credi sia stato facile per me? Credi che non soffra?
–Oh, sì, le tue sofferenze devono essere davvero grandi- sibilò Gertrud, più che mai desiderosa di strozzare il suo kind.
–Neanche tu scherzi, quanto a sarcasmo- replicò Franz. –Che ci creda o no, lei mi manca, però non posso tornare indietro: non ha rispettato la mia volontà e mi ha pure mentito. Quando me l’ha detto era al terzo mese. Terzo!
–Aveva paura della tua reazione e, a giudicare da come ti sei comportato, non aveva tutti i torti.
–Prendi le sue parti? Sei mia madre, dovresti appoggiarmi! Sai che non sono tagliato per la paternità: troppe responsabilità, troppi sacrifici... no, grazie!
–Testone che non sei altro!- sbraitò la donna. –Te ne pentirai, e quando verrai a piangere da me perché ti ha sbattuto la porta in faccia, sarò lieta di dirti: “te l’avevo detto”.
–Se proprio ci tieni fai la nonna, ma non coinvolgermi. Ciao- concluse Franz, pose fine alla discussione e sibilò, rivolto ai bimbi –Pronti a volteggiare sul ghiaccio?

 
***

–Adam è un cretino!
Keith sollevò la testa dal manoscritto che stava esaminando, sorrise alla vista della sua “fidanzata per finta” livida di rabbia e rispose, tra il sorpreso e il divertito –Dimmi qualcosa che non so.
Connie, sebbene visibilmente alterata, una volta liberatasi del cappotto e degli strumenti di tortura noti come decolté tacco dodici, si lasciò docilmente baciare su una guancia, dopodiché sorrise ed esalò –Il lato positivo è che mandarlo a quel paese mi ha permesso di riconciliarmi con Nicky. Avresti dovuto vederla: è diventata l’ombra di se stessa!
–In parte lo merita. Adam si sta vendicando della sofferenza che ha patito quando lei ha rifiutato di… fare un salto di livello- osservò Keith, gettando un’occhiata rapida alla quiche che cuoceva in forno; una delle ragioni che l’avevano spinto a scegliere un loft era proprio la possibilità di tenere l’intero ambiente sotto controllo. –Immaturo, controproducente, ma comprensibile. Se ti trovassi nei suoi panni, non vorresti farmela pagare?
Connie trasalì e avvampò: era appena stata con Kyle, doveva pur sfogare in qualche modo rabbia e frustrazione. Come sempre, si era rivelato una piacevole distrazione - la distoglieva dalla desolante consapevolezza che la sua vita non era altro che un succedersi di casini: Keith stava con quella Hailey, fingeva di stare con lei esclusivamente per interesse, se avesse potuto se ne sarebbe già andato - peccato non fosse altrettanto duratura: l’attrazione che provava per lui bastava ad annullare il bruciante senso di colpa solamente durante l’atto, prima e dopo sprofondava nel baratro dell’auto-colpevolizzazione.
–I-Io… n-non s-saprei. Credo di sì. Sì. Hai ragione: Adam sta sbagliando per un valido motivo, ma…
–Di certo Nicky non lo aiuta- ribatté Keith in difesa dell’amico. –Lo avvicina, lo allontana, lo riavvicina a suo piacimento. Quel poveretto rischia di impazzire!
–E noi con loro- ridacchiò lei. –Ehi, che profumino! Cosa c’è nel forno?
–Il programma iniziale prevedeva una soirée a teatro, ma, dato che hai fatto tardi… nella speranza che tu non abbia impegni almeno per cena, mi sono cimentato con una quiche. Mi auguro risulti commestibile.
–Non hai mai osato niente di più complicato di un uovo al tegamino, come puoi pretendere di cucinare una quiche?- lo derise Connie, per poi ritrattare, intenerita dalla sua espressione ferita. –N-Non è d-detto, però, c-che non sia buona. Potresti avere un, ehm, talento nascosto- “Nascosto molto bene” –Lo scoprirò dopo una doccia calda, sono stanca e intirizzita, fuori fa un freddo cane. Questo dannato inverno è arrivato di botto.
Keith annuì, un po’ deluso, e riprese la lettura finché Connie, asciutta e in tuta, non si accasciò sulla poltrona, giocherellando coi capelli tagliati di recente. Allora si alzò, verificò il livello di cottura della pietanza, quindi, la tolse dal forno e la lasciò raffreddare leggermente, prima di servirla.
–Meno peggio di quanto temessi- fu l’incoraggiante commento della Bishop.
–Ok, messaggio ricevuto: lascio il monopolio della cucina a te- scherzò lui, alzando le mani in segno di resa.
–Ecco, bravo. Comunque, anche se non sei uno chef, è il pensiero che conta. Sei stato un tesoro a metterti ai fornelli… per me.
“Perché l’ha fatto? Non fa che peggiorare le cose! E’ sempre carino, troppo carino.. detesto le sue carinerie! Se sapesse come ho trascorso il pomeriggio mi darebbe le sberle che merito, altro che quiche!”
–Ho pensato che non cenavamo noi due soli da tanto, valeva la pena di impegnarsi in qualcosa di… sorprendente. Sono riuscito a sorprenderti?
–Assolutamente sì.
Keith, raggiante, si sporse quel poco che bastava a sfiorarle le labbra con le sue… peccato che Connie, sebbene tentata, fosse terrorizzata dall’assurdo pensiero che avvertisse il sapore di Kyle, perciò si scansò prima che potesse approfondire il bacio.
–S-Scusa. Ho esagerato- pigolò, si schiarì la voce e le chiese –Ti va, uhm, il dolce? E’ una Saint Honoré, e giuro che non l’ho fatta io!
Sull’orlo delle lacrime, Connie scattò in piedi come se avesse preso la scossa, strillò –No, non la voglio la tua fottuta Saint Honoré! Lasciami in pace!- e si chiuse in camera.
Keith, triste e sconsolato, gustò una consolatoria fetta di torta, domandandosi dove avesse sbagliato. Non poteva immaginare che nulla più della gentilezza instilla rabbia in chi sa di non meritarla.

 
***

–Guardami, Franz, sto in piedi senza tenermi alla sbarra!- esclamò Aidan, contentissimo, poco prima di capitombolare sul ghiaccio. Sua cugina gli passò accanto e, invece di aiutarlo, lo sbeffeggiò, dopodiché si accodò a un gruppetto di sue coetanee.
Infastidito dalla baldanza della bambina, si precipitò a consolare il piccolo, leso dalla caduta più nell’orgoglio che nel fisico.
–Aspetta, ti do una mano. Uno, due, tre... su! Bravo, la stoffa del campione si vede non dal numero di cadute, bensì da come si rimette in piedi. Fammi un bel sorriso, dai! Kaori ha sbagliato, ma non è cattiva. Ti vuole bene… in fondo- “Molto in fondo” –Però è la maggiore e ci tiene a ricordartelo, soprattutto ora che sono nati i gemelli. Maltrattarti è il suo modo per dimostrare a se stessa che è e resterà la primadonna di casa, quindi non prendertela, impegnati e vedrai che riuscirai a pattinare mille volte meglio di lei!
–Dici davvero?
–Parola d’onore- gli assicurò Franz. –Il trucco è la sicurezza: niente tremolii, gambe stabili, ripetiti che puoi farcela e fai scivolare la lama con delicatezza, ma allo stesso tempo con decisione. Guarda- si allontanò di poco e gli mostrò delle figure semplici, alla sua portata. Non aveva mentito: se la cavava egregiamente sui pattini.
–Che bravo che sei!- trillò Aidan, ammirato, battendo le mani.
Franz si produsse in un inchino, gli scompigliò i capelli (era più forte di lui, quella chioma liscia e bionda sembrava essere stata creata apposta), lo sostenne a distanza mentre si esercitava, infine, una volta sicuro che avesse perlomeno imparato a tenersi in equilibrio, tornò a sedersi.
Pochi minuti dopo lo raggiunse un uomo sui quarantacinque anni, dal viso gioviale e un ampio cappotto blu che non riusciva a occultare anni di passione smodata per la buona tavola. Emise un sospiro di sollievo, sorrise a Franz e gli disse –Sono degli adorabili vampiretti succhia-energie, eh? Non so lei, io sono letteralmente a pezzi.
–Già.
–L’ho vista, prima, con suo figlio. E’ un bravo papà.
–Eh? Oh, beh… quello non è mio figlio- si affrettò a precisare, poi, per non dare adito a illazioni (sarebbe stato lecito, infatti, domandarsi chi fossero i bambini che lo accompagnavano, se non erano i suoi figli), aggiunse –Sono qui con i miei, ehm, nipoti.
–Sì, ma sono sicuro che sta per averne, mi ci gioco la faccia- asserì lo sconosciuto, annuendo. –Ci sono passato: non appena ricevuta la grande notizia, cominci a vedere pargoli ovunque, a paragonarli al nascituro. “Oh, che carino quello, forse anche il mio avrà quegli occhioni”, “Mamma mia com’è maleducato quell’altro, col mio userò il pugno di ferro”, e così via. Riconoscerei a distanza il misto di tenerezza e terrore caratteristico di un futuro papà.
“Dio, che palle, possibile che ‘sta storia del papà mi perseguiti? Bah! Inutile negare: se lo assecondo, smetterà prima di blaterare”.
–Ha ragione: sì, la mia… compagna aspetta un bambino.
–Il primo, scommetto. Coi successivi la componente di terrore nello sguardo diminuisce. Beh, tranquillo, sembrano fragili, ma non sono di porcellana. Eh, i miei gioielli; se potessi ne farei altri, ma mia moglie dice che tre bastano.
“Tre? Non solo bastano, avanzano! Santo cielo, tollero a fatica l’idea di averne uno, figurarsi tre! Tre marmocchietti urlanti, capricciosi, distruttivi… è un incubo, come può sorridere?”
–Wow, tre! Sono- “Troppi” –Tanti. Chissà che fatica stargli dietro!
–E’ inevitabile che ti facciano dannare, a volte - se non lo facessero, non sarebbero bambini - e che capiti qualche lite, ma quale famiglia non litiga, a parte quelle della pubblicità? Coi figli è così: spesso ti sfiancano, altrettanto spesso sono un tonico di energia e buonumore- chiocciò lo sconosciuto, indicando con un cenno tre piccoli pattinatori al seguito di una donna incredibilmente leggiadra, in rapporto al fisico corpulento, con ogni probabilità la madre. –I problemi sono proporzionali all’età: i miei sono piccoli, perciò… il peggio deve ancora venire.
Franz, ammutolito, si limitò ad annuire: non era sicuro di riuscire a produrre suoni articolati, era sconvolto. La comparsa di Aidan impedì alla conversazione di proseguire.
–Franz, sono caduto un’altra volta, una sola però. Mi sto imparando! Adesso, però, mi scoccio. Sono stanco, voglio andare a casa, invece Kaori vuole restare… mi accontenti e le dici di andare?
Sollevò la testa e scorse la testolina bionda e i paraorecchie rosa di Kaori, felice e rilassata. Gli dispiacque dover interrompere quel momento di svago.
–Sto imparando, AJ, senza “mi”. Ehm… facciamo così: dille che ha il tempo per un ultimo giro di pista e per salutare le sue nuove amiche, poi a casa. Va bene?
In testa gli risuonavano incessantemente le parole dello sconosciuto genitore entusiasta: “E’ un bravo papà.”
Una parte di lui iniziava a crederci.

 
***

–Non credo sia una buona idea, Alex- asserì Gertrud, in apprensione per il parto della mente del suo primogenito.
–Seppur consapevole di contraddire lo stereotipo del rapporto suocera-nuora… concordo con tua madre- le diede man forte Serle.
–Le mie idee sono sempre ottime, diffidenti- ribatté l’interessato, sbuffando nel tentativo di allontanare genitrice e consorte per telefonare in tutta tranquillità.
–Non è vero!- replicarono le due in coro.
–Questa lo è.
–Lo ripeti ogni volta, e ogni volta succede qualche guaio.
–Perché voi donne di poca fede portate sfiga, perciò sitz!
Indignate, Gertrud imprecò in tedesco, Serle tirò un calcio al marito e tuonò –Sitz a me? Come osi? Chiedimi subito scusa!
Nein. Anzi, dovreste chiedermi scusa voi: gufate tutti i miei piani geniali! Ora, se permettete, devo soccorrere quella testa dura di mio fratello- rispose Alexander con sussiego. –E’ tanto un bravo ragazzo, ma ha la testa talmente dura da frantumare i diamanti! Se, come suggerisci tu, mamma, gli diamo addosso, si arroccherà nelle sue convinzioni e non lo smuoveremo più. Grazie al mio piano, invece, si renderà conto da solo che il suo amore per Faith può estendersi a un esserino che condivide il DNA con entrambi.
–Ai miei figli sì che qualche “sitz” non farebbe male- commentò Gertrud a braccia conserte. Nonostante la perplessità, decise di lasciare campo libero ad Alexander.
–Fratellino! Quanto tempo!- trillò non appena udì la voce di Franz, lievemente gracchiante a causa del “viva voce”. –Come te la stai cavando con la rottura? Sei impantanato nella fase “birra, rutti e rock ‘n roll”?
–Che vuoi, Xandi?
–Offrirti la mia saggezza di fratello maggiore, naturalmente. Negli anni ho maturato diverse rotture traumatiche, ho l’elisir giusto per scacciare il fantasma di Faith definitivamente.
–Io non sono te, Xandi- “Per fortuna” –Metabolizzo più lentamente gli eventi spiacevoli, senza contare che non voglio dimenticare Faith: la amo, pensare a lei mi dà gioia. Offri il tuo aiuto a chi ne ha bisogno, so badare a me stesso.
–Non sto dicendo di dimenticarla, solo di… voltare pagina!
–Non adesso.
Carpe diem: è questo il momento di agire. Hai bisogno di distrarti, incontrare gente…
–Incontrare gente?- sbraitò Franz. –Mi stai suggerendo di… uscire con altre donne? Sei impazzito?
Divertissement, fratellino: divertirsi, distrarsi dai problemi è la chiave di una vita felice. In questo periodo il tuo problema è Faith, perciò la accantonerai.
–Xandi, posso risolvere in altro modo…
–Potresti, ma non lo farai. Ti conosco troppo bene. Dammi retta e un giorno mi ringrazierai- celiò Alexander. –Oltretutto non puoi tirarti indietro: ho casualmente dato il tuo numero alla mamma di un amico di Ernst, non vorrai farmi fare brutte figure!
Allibito, Franz si morse la lingua per non bestemmiare, poi, calmatosi, sibilò –Hai deciso di seguire le orme di nostra madre, eh, Xandi?
–Mi piace prendermi cura di te, piccolo Franz- cinguettò Alexander in una crudele quanto accurata imitazione del tono petulante di Gertrud. –Allora, seguirai il mio consiglio?
Emesso un sospiro di rassegnazione, l’altro rispose –Ho forse scelta?

Note dell’autrice:
Non sono soddisfatta. Per niente. I personaggi hanno preso vita propria e sono sfuggiti al mio controllo: tanto per cominciare, Connie e Keith non avrebbero dovuto esserci, ma hanno preteso un angolino, costringendo Robert e il suo harem a migrare nel prossimo capitolo, e lo stesso Marcus, che ha fatto slittare l’appuntamento al buio di Franz. Spero che il risultato non faccia troppo schifo (nel caso, linciatemi pure).
Vi sono piaciuti i piccoli rompiscatole? Ho cercato di renderli petulanti/divertenti, ma ho il timore che siano petulanti e basta, soprattutto Kaori e il suo atteggiamento da primadonna. E Marcus? Che ne pensate del ritorno del “gonfia-tette”? ;-) Per la cronaca, i luoghi che ho menzionato, alias pista di pattinaggio e mercatini a Queen’s Walk, esistono davvero.
Keith è un tenero cucciolotto ferito, ma, prima di correre a coccolarlo, non dimenticate che, se Connie lo tratta con freddezza e “frequenta” Kyle è soltanto colpa sua: è stato lui a cominciare ( a parte Hailey, che ha dato il colpo di grazia al loro rapporto) dando la sua ragazza per scontata… grosso errore! Semmai quella da coccolare è Connie: la sua scenata ha dimostrato che il ruolo della femme fatale senza cuore non è adatto a lei; i suoi sentimenti stanno riaffiorando, questo la manda in confusione e i sensi di colpa la fanno arrabbiare. In effetti è vero: le carinerie di qualcuno al quale si è fatto del male a sua insaputa mandano in bestia!
Gertrud è sempre Gertrud: le sue sfuriate sono leggenda, Franz può solo sperare che non scopra dove si è rifugiato (complimenti a chi ha indovinato che il misterioso ospite è Brian), altrimenti saranno botte da orbi! XD
Au revoir!
Serpentina
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** At last ***


Pronte a tuffarvi ancora una volta nel pazzo mondo di F&F&Co? Forse non vi piacerà, ma ho inserito nel capitolo due personaggi che definire poco amati è un eufemismo. Scusate, servono anche loro, anzi, oserei dire che i personaggi “nati per essere odiati” sono quelli che danno più sapore a una storia. Siete d’accordo o no? Let me know! ;-)
Btw, prima di lasciarvi alla lettura, hugs ‘n kisses a chi mette “mi piace” alla storia, ad abracadabra, Bijouttina, Calliope Austen, elev, soulscript e sunburn1985, che hanno recensito, e a Frafry94 e LirielFB, che la seguono. :-*

 
At last
( Il fondente non perdona)

La vita è come il cioccolato: è l’amaro che fa apprezzare il dolce.
(Xavier Brébion)

–Dormo uno schifo da giorni, Nicky, eppure non ho ancora capito perché l’ha fatto- uggiolò Connie, passeggiando lungo Bond Street in compagnia dell’amica Monica Hawthorne. Il clima tipico di fine novembre minacciava di peggiorare, rendendo quel dicembre il più rigido degli ultimi vent’anni; questo, però, anche grazie all’assenza di precipitazioni, non dissuadeva la maggior parte dei londinesi dal godere dell’atmosfera di festa che si respirava per le vie della capitale.
–Pensaci, Ciambellina: per quale motivo un ragazzo che odia cucinare si metterebbe ai fornelli?- osservò Monica, per poi chiocciare paroline dolci al gatto sofferente chiuso nel trasportino. –Buono, Whiskers, buono, tra poco starai bene. Andrew si prenderà cura di te.
–Sinceramente? Credo che il bacio basti a intuire il motivo- sbuffò la bionda, occhieggiando con interesse una vetrina colma di borse eleganti. –Quello che mi lascia perplessa è: perché io? E perché adesso?
La Hawthorne per poco non soffocò: lo sconcerto le aveva fatto aspirare il chewing-gum che stava ruminando. Tossicchiando, sgranò gli occhi ed esalò –B-Bacio? Non mi avevi detto…
–Lo so, lo so, è che riesco a stento a crederci, dirtelo lo avrebbe reso… reale- pigolò l’altra, imporporandosi. –Mi sono scervellata invano: è contrario a ogni logica! Keith non aveva bevuto, non aveva battuto la testa, credo di non somigliare a Hailey, quindi…
–Non resta che una spiegazione logica: ha agito nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. Gli interessi ancora, Ciambellina- asserì la rossa, raggiante.
–Non credo- ribatté Connie, scuotendo la testa, coperta da un cappellino a cloche rosa cipria. –Se gli interessassi, non mi avrebbe mollata. Gli interessa possedermi, ecco tutto. Sì, dev’essere così: più ci penso e più mi convinco che sospetta qualcosa, si finge gentile in modo nauseante soltanto per timore di perdere la sua bambolina. E’ semplicemente geloso, punto e basta. Accidenti, spero non abbia scoperto chi è: Kyle rischia il posto e io rischio di non poter più avere a mia disposizione quegli addominali da urlo!
–Cazzo di Buddha, Ciambellina, ti senti quando parli?- sbottò Monica, spaventando Whiskers III, che soffiò e si agitò nel trasportino. –Buono, Whisky, da bravo. Chi è il micio del mio cuore? Ehm, stavo dicendo… Keithino è la gentilezza fatta persona, la meschinità non è da lui. E’ più probabile che si sia reso conto di provare ancora qualcosa per te e voglia…
–Riconquistarmi? Sta fresco!- soffiò Connie. –Non credo affatto alla sua “redenzione”: secondo me è mera gelosia; se gli dessi una seconda possibilità, anzi, terza, la sprecherebbe, e in pochi mesi mi ritroverei sola come la palla di fieno che rotola nel deserto perché lui è corso dietro a qualcun’altra!
–Ha avuto paura!- lo difese Monica. –Non tutti riescono ad accettare di dipendere emotivamente da qualcuno!
–Tu ne sai qualcosa, eh, Nicky? Comunque, non avrà una seconda occasione: ha tradito la mia fiducia una volta, potrebbe rifarlo- asserì Connie, dura. –E poi, anche se volessi concedergli il beneficio del dubbio, ci sono troppi problemi da risolvere: Hailey non è che la punta dell’iceberg, se volessimo riprovarci, io e Keith dovremmo praticamente distruggerci e ricostruirci da capo, come coppia. Non me la sento.
Monica scoppiò a ridere e gettò il capo all’indietro con tale veemenza da far cadere il morbido basco in lana cotta che le proteggeva la testa dal freddo. Imprecando, affidò Whiskers III all’amica e si chinò a raccoglierlo. Accertatasi che fosse pulito, lo calcò nuovamente sulla testa, emettendo un verso di soddisfazione, infine disse –Allora preparati a un lungo assedio, ho l’impressione che non si arrenderà tanto facilmente.
–Nemmeno io. Mi rivuole? Dovrà meritarmi.

 
***

–Il gran giorno si avvicina, F… hai già qualche idea?
–Idee per cosa?
–Oh, tesoro, capisco che il piccolo ha catalizzato i tuoi pensieri, ma trent’anni si compiono una volta sola nella vita, bisogna festeggiare!- trillò Abigail, leggermente ansante per via della strenua sessione di esercizi alla quale si era sottoposta: la gravidanza l’aveva obbligata al riposo, doveva recuperare il tempo e la forma perduti. Le energie riacquistate le avrebbe impiegate per aiutare l’amica a organizzare una festa di compleanno splendida quasi quanto la sua.
–Oh, il mio compleanno!- esclamò Faith, che aveva scacciato il pensiero per evitare di rimuginare sull’inesorabile avanzata del tempo e l’approssimarsi della vecchiaia. –Ehm… non ho la più pallida idea di cosa fare. Forse una cena tranquilla in fa…
–Che sciocchezza!- la interruppe Bridget, pluridivorziata festaiola, anche lei stremata, ma determinata a mantenere un fisico statuario per agevolare la ricerca del marito numero quattro. –“Compleanno” e “tranquillo” non possono stare nella stessa frase, è un controsenso. Festeggerai alla grande, F, dovessimo legarti a una sedia e ballarti intorno stile totem indiano!
“Perché si sono fissate con quest’idea malsana? E’ così difficile da capire che non voglio celebrare il mio ingresso nella… ok, vecchiaia no… età matura?”
–Sentite, vi ringrazio della premura, però…
–Però niente. Ci occuperemo noi di tutto, è ovvio, date le tue condi… ehm, date la pancia, la stanchezza e… insomma: dovrai solamente presentarti, divertirti, scartare i regali e soffiare sulle candeline- asserì Abigail con cipiglio determinato. –Ho controllato il calendario, il tredici cade di venerdì, potremo passare una folle notte, devi solo scegliere un tema… oppure no; sei tu la festeggiata, sta a te decidere.
–E va bene: che festa sia- sospirò Faith, sollevando le mani in segno di resa. –Niente tema, però, non voglio creare disagio agli invitati.
–Che ti importa? E’ la tua festa, sono i tuoi invitati, sono tenuti a sottostare alle tue regole, perciò, se desideri una festa a tema, l’avrai. Prendi Brian: nonostante la mia disapprovazione sta organizzando una festa di fine anno in stile anni ’20!
–Che meraviglia, gli anni ’20! Il Charleston, le flapper girls, le Mary Jane… l’unico neo di quel periodo è che andava di moda un fisico lontano anni luce dal mio- commentò Faith. –Sapete che vi dico? Fate voi, mi sta bene tutto, tema o non tema, l’unica mia pretesa è la torta: o cioccolato fondente, o niente.
La replica delle altre due venne soppressa sul nascere dall’arrivo di un’automobile vistosa (per non dire pacchiana) sia per modello che per colore. Il guidatore era una loro vecchia conoscenza, tanto che, al vederlo, Faith curvò le labbra in un sorriso sollevato e lo salutò con la mano, mentre Abigail e Bridget rimasero impalate a fissarlo, le bocche spalancate come pesci rossi.
–C-Cosa ci fa lui qui?- sibilò Mrs. Cartridge, che non aveva mai visto di buon occhio il chirurgo plastico. –Hai ripreso a frequentare il tuo ex?
Faith, tesa come una corda di violino, avvertì che la felicità e il relax acquisiti con la lezione di yoga - che seguiva su suggerimento della dottoressa Meigs - stavano scemando, quindi sbuffò: maledizione a Marcus e al suo spiccato spirito d’iniziativa: gli aveva raccomandato di non venirla a prendere, e lui che faceva? Si presentava davanti alla palestra!
–Non capisco perché vi sconvolgete: non c’è niente di male nel recuperare un rapporto di amicizia…
–Col proprio ex? Stai veramente dando i numeri!- sbottò Bridget. –Dai retta a me, che sono tua amica, un’ottima conoscitrice del Pianeta Uomo e un’accanita lettrice di preziose dispensatrici di verità: mai, mai dare corda a un ex, qualunque cosa abbia in mente di sicuro non è esserti amico.
–Oltretutto Best, nonostante il cognome, non è esattamente un modello di virtù. Sbaglio, o usciva a cena con le sue pazienti a tua insaputa?- le rammentò Abigail, scoccando al lupus in fabula un sorrisino tirato. Era chiaro come il sole che desiderava sparisse all’istante, possibilmente al Polo Sud.
–Allora non ci intendiamo- sospirò Faith, roteando gli occhi, esasperata. Gli chiese di aspettarla con un cenno e proseguì, abbassando il tono della voce affinché le sue amiche fossero le uniche a udirla –Siamo amici, non abbiamo intenzione di tornare insieme, data la mia… “incintezza” e i miei sentimenti per Franz. Sì, avete sentito bene, sono innamorata di Franz nonostante tutto. E’ questo il problema: mi manca da morire! Non che Marcus sia un sostitut… oh, a chi voglio darla a bere? Sì che lo è! Dopo quanto dirò, quasi certamente le femministe vecchia scuola e la mia omonima ava suffragetta si rivolteranno nella tomba, ma devo confessare: ho bisogno di un uomo. Disperatamente. Non per il sesso - anche se con tutti questi ormoni in circolo ho parecchia voglia - né per avere qualcuno nel letto; sento il bisogno di condividere questa avventura, ricevere gli aiuti necessari… non avete idea di quanto sia piacevole discutere del futuro, immaginare come sarà il bambino, avere un secondo parere quando compro cose per lui o lei, sentirmi dare consigli, per esempio su che musica ascoltare, quando iniziare a leggergli passi dei libri che amo… in questo Marcus si sta rivelando eccezionale, anche se darei qualsiasi cosa per riavere Franz al mio fianco. So che è stupido, ma continuo a illudermi che, presto o tardi, si renderà conto del suo errore… certo, questo non gli risparmierà la mia vendetta, visto quanto mi ha fatta soffrire, però lo riprenderei in casa.
–Detto in questi termini sembra che parli di un tenero animale domestico- scherzò Abigail. –Ehm… pensando a Franz, togli “tenero” e “domestico”.
Faith non si scompose, anzi, ridacchiò della battuta, prima di replicare –Per apprezzarlo bisogna comprenderlo. Non è dolce nel senso convenzionale della parola: non dice “ti amo” a raffica, non fa complimenti su vestiti, accessori e taglio di capelli, non ti chiama con nomignoli melensi se non per schernirti e non ti abbraccia mentre dormite perché ha paura che gli vada in gangrena l’avambraccio; però ti dimostra quanto ti ama con i fatti, a volte persino con inattesi gesti romantici che, proprio perché rari, sono ancora più preziosi.  
“Stavano cambiandosi in silenzio nel filtro, lei furibonda, lui stranamente compiaciuto, quando, improvvisamente, parlò.
–Congratulazioni, Faith.
–C-Cosa?
–Ho detto: congratulazioni, Faith- ripeté, ridacchiando. –Hai fatto un’ottima impressione a Noyce, che, come tutti i patologi forensi, almeno quelli di un certo livello, si basa essenzialmente sul proprio istinto.
Faith si voltò dall’altra parte per non tradire con lo sguardo l’amarezza che provava.
–Sai che me ne faccio della sua stima: non posso frequentare il suo corso estivo!
–Ah, sì? Io, invece, ho la sensazione che ci andrai, ti farai valere e, una volta specializzata, abbandonerai il nido per unirti alla sua squadra. Non nego che mi mancherai: guardarti mentre ti cambi, specie quando ti chini per riporre le scarpe nell’armadietto, è uno spettacolo inimitabile!
–Mi prendi in giro?- sbraitò la Irving, punta sul vivo. –Sai benissimo che non posso permettermi i suoi seminari! Cos’è? Mi pungoli perché sei geloso che la proffa gli abbia segnalato te, ma poi ha preferito me?
–Un po’, ma mi è passata quasi subito: a differenza tua, sono un topo di laboratorio. Tu, invece, sei… beh, perfetta per quel lavoro.
–Basta, Franz, ti prego- piagnucolò. –E’ già abbastanza umiliante senza che ficchi il dito nella piaga. Ah, e piantala di guardarmi il culo mentre siamo in ospedale!
–Spiacente, non posso. Non posso non dare un’occhiata al tuo stupendo lato B perché lo trovo meravigliosamente eccitante, e non posso smettere di ripeterti quanto meriti di frequentare quel corso estivo perché, beh… sei stata ammessa!
Faith artigliò il foglio che le porgeva e lo lesse rapidamente, con incredulità crescente a ogni rigo.
–Sorvolerò sulla violazione della mia corrispondenza- esalò, alla fine. –Ehi, qui dice: “Costo di iscrizione e spese di soggiorno pagate”, ma io non ho pagato un bel nie... Franz! Cosa hai fatto?
–Ti ho, uhm, dato una lettera?
–Sii serio, cazzarola!- sbottò, sventolandogliela davanti agli occhi. –Hai pagato tu, vero?
–Sì- rispose lui, impassibile, come se gli fosse stato chiesto se era prevista pioggia per il giorno seguente.
–Ok, è ufficiale: hai perso qualche rotella. Sai quanto hai speso? Sai che non potrò renderteli subito? Sai che vivrò sentendomi in debito, ammazzandomi di straordinari finché non ti avrò ripagato? Perché agisci senza riflettere, cazzarola?
–E tu perché apri bocca senza riflettere? So che non puoi restituirmi subito i soldi, ti assicuro che non è un problema. Ti dirò di più: se me li restituissi, mi offenderei. Consideralo un regalo… posso fare dei regali alla mia donna?
–Questo non è un regalo, è..
–Un regalo- la contraddisse Franz. –Un omaggio al contenuto della tua adorabile testolina, se preferisci. Scusa, eh, se ti avessi dato un libro, un gioiello, un vestito, avresti pensato di rimborsarmi la spesa? No! Allora perché stai facendo tante storie? Sei il genere di donna che non ha bisogno di oggetti costosi per sentirsi importante, quindi ho deciso di investire in qualcosa di utile e fruttuoso… il tuo futuro.
–Guarda che a un bel vestito non direi di no.
–Lo so, ma considerati il tuo spirito d’indipendenza e la mia scarsa conoscenza di moda, è meglio se te li compri da sola- la zittì, prima posando l’indice sulle sue labbra, poi con un bacio. –Mi ricompenserai rendendomi orgoglioso di te, come hai sempre fatto. Adesso andiamo, c’è ‘Truman Capote: A Sangue Freddo’ su BBC 1, non voglio perdermelo!”
–Non abbatterti- mormorò Bridget, scoccando un’occhiataccia a Marcus, che stava mostrando il suo disappunto suonando il clacson a intervalli regolari. –Tu e il bel patologo dagli occhi di ghiaccio siete legati a filo doppio, e quel filo non si è spezzato: sono convinta che si è già pentito della stronzata che ha fatto, sta soltanto cercando il coraggio di chiederti perdono.
–Arrivo, eh, dammi un altro minuto!- gridò, rivolta all’uomo palesemente annoiato seduto al posto di guida, per poi aggiungere, piccata –La speranza è l’ultima a morire, ma non è immortale. Prima o poi la corda si spezzerà… spero che Franz torni sui suoi passi prima che sia troppo tardi.
–E su questa nota drammatica…- ironizzò Abigail per stemperare la tensione. –Tanta saggezza da parte tua è sorprendente, B. Di cos’è il merito, Vanity Fair?
–Cosmopolitan- rispose lei con sussiego.
Le altre due risero, poi Faith raggiunse Marcus, che si lagnò dell’attesa, inducendola a pensare: “Marc sembra migliorato, eppure continua ad avere un difetto insormontabile… non è Franz. E’ inutile mentire a me stessa: nessuno potrà mai sostituirlo.”

 
***

Robert aveva completamente rimosso quell’insulso regalo falso che i suoi amici (idioti) gli avevano dato il giorno del suo compleanno - prima del vero regalo, beninteso - per ridere a sue spese, finché non se l’era ritrovato per caso nella tasca di uno dei pantaloni che più detestava ( ma che, per chissà quali motivi, Harper adorava) mentre si rivestiva dopo una gloriosa scopata con la Meigs.
Ancora non riusciva a credere di averla fatta franca: da ormai tre mesi si divideva tra la dottoressa Meigs - sua collega e amante del primario, il dottor Brenner - e la sua ex storica - nonché sorella di uno dei suoi migliori amici, Harry James - Harper. Nessuna delle due sospettava alcunché ( a volte si trovava a pensare che era un vero peccato, un ménage a trois con entrambe gli sarebbe piaciuto immensamente), per sua fortuna: se la storia fosse venuta alla luce non avrebbe rischiato solamente lo scalpo, ma anche il posto.
“Non accadrà mai, sono troppo sicure di loro stesse per poter anche soltanto sospettare di non avere l’esclusiva! Ah, sono un genio!”, pensava ogni volta che si specchiava, ossia di frequente. Narciso Patterson sarebbe stato un nome più calzante.
Spinto dal tedio tipico di una sera vuota - sia Vanessa che Harper erano impegnate, in una cenetta romantica con l’amante ufficiale la prima, a fare da babysitter ai figli di suo fratello Harry la seconda - aveva deciso di usare quel buono: una lezione di ikebana non lo avrebbe certo ucciso… al massimo gli avrebbe fatto cascare le palle dalla noia, ma era preparato a questa evenienza: essendo medico non gli sarebbe risultato difficile fingere un malore e svignarsela.
Varcò la soglia della Scuola di Arti e Cultura Nipponiche con atteggiamento di sfida - “A noi due, fiorellini!” - rivolse il più smagliante dei sorrisi a una ragazza in kimono, la quale, molto gentilmente, dopo un inchino controllò che il buono non fosse scaduto e gli indicò l’aula di Ikebana.
Con suo enorme disappunto le uniche presenti che rientravano nei suoi standard di bellezza erano sedute vicine e parevano seriamente interessate al corso, non a lui.
“Idiote, non sanno che si perdono!”, pensò, stizzito, dopodiché occupò un posto in ultima fila, felice di avere una sedia libera alla sua destra quando entrarono, di seguito all’insegnante (anche lei in kimono) due donne: una biondina con le treccine - che, se non fosse stato per l’abbigliamento sportivo, avrebbe potuto benissimo interpretare Dorothy nel musical de ‘Il Mago di Oz’ - e una vera bellezza da copertina, appariscente e altrettanto poco vestita. Ringalluzzito, sorrise ammiccante alla bellona, che ricambiò con una strizzata d’occhio… prima di sedersi dal lato opposto della stanza.
–Ma porca…
–Ciao!- cinguettò l’anonima biondina, poggiò le natiche sull’unica sedia ancora libera. –Prima volta?
–Prima… volta?
–Sì, insomma… prima lezione- gli spiegò, arricciando le labbra nell’espressione tipica della maestra infastidita dal dover rispiegare un concetto che considera semplice.
–Oh, intendevi… sì, sì, prima volta… qui- pigolò Robert, vergognandosi della figura che aveva fatto; se voleva passare per stupido, ci era riuscito. –I miei, uhm, amici mi hanno regalato un buono per una lezione.
–Strano- commentò la sconosciuta. –In genere non giudico dalle apparenze, ma non sembri un amante dei fiori.
–Non lo sono- ammise lui. –Quei deficienti mi hanno fatto uno scherzo: prima un regalo che sapevano avrei detestato, poi, dopo che mi ero reso ridicolo fingendo che mi piacesse, hanno tirato fuori quello vero.
Inaspettatamente, la sua interlocutrice si coprì la bocca per non scoppiare a ridere.
–Che divertente! I tuoi amici sono un vero spasso! I miei, invece, sono così noiosi… colpa mia, naturalmente: gli amici, a differenza dei parenti, si scelgono, e io li ho scelti male. Prendi lei, per esempio- indicò la femme fatale che Patterson sperava di rimorchiare –Non capisco come mai abbia accettato di accompagnarmi, si vede lontano mille miglia che non mi sopporta!
–Ecco, a proposito della tua, ehm, amica…
–No, sì e ancora no- sbuffò la bionda, quindi spiegò –No, non è impegnata, sì, sei il suo tipo, e no, non ti aiuterò a rimorchiarla… non ne hai bisogno.
–D-Di rimorchiarla?- domandò, perplesso: conosceva quella donna da pochi minuti, e già era stufo di lei e del modo in cui lo faceva sentire un perfetto imbecille.
–Del mio aiuto- ridacchiò lei, scosse la testa e si volse a osservare l’insegnante, intenta ad acculturarli sui segreti dell’arte di disporre armonicamente i fiori. Al termine della lezione, accortasi dell’espressione da pesce lesso che stava riservando alla sua amica, sbottò –Santo cielo, ci sei o ci fai?
–Onestamente… non saprei- esalò Robert, allibito. –Di solito non sono… così. So cosa voglio e, se non fa la prima mossa, so come prendermelo.
–Si chiama “Madeleinite”, non sei il primo a soffrirne, oserei dire che nessuno dotato di genitali maschili ne è immune. Ne ha sofferto perfino il mio ragazzo, pensa un po’! Naturalmente quando l’ho scoperto è diventato ex, ma questa è un’altra storia.
–Che non mi interessa, specialmente perché posso capirlo: guardati, e guarda lei… non puoi reggere il confronto! Porca di una miseriaccia infame, non poteva sedersi… Madeleine al tuo posto?
–Apprezzo la sincerità, anche se brutale- replicò lei, flemmatica. –Oltre a sapere che mi reputi una schifezza, potrei sapere come ti chiami? Non mi piace farmi offendere dagli sconosciuti, tranne che in metropolitana o alla fermata dell’autobus.
–Guarda che non ti ho offesa!- sbottò. –Sei tu che mi hai provocato con la tua… parlantina criptica, le mezze frasi… bah, lasciamo perdere. Scusa se ho insinuato che sei una schifezza, non è vero… non del tutto, almeno: hai soltanto bisogno del giusto estimatore. Sei… un prodotto di nicchia, ecco!
–Oh, grazie!- celiò l’interessata, infondendo in quel ringraziamento tutto il sarcasmo possibile.
–Prego. Sono Robert, comunque. Patterson.
“Santo cielo, non sa cos’è l’ironia?”, pensò l’altra, prima di rispondere, imitando James Bond –Dispiaciuta di conoscerti, Robert Patterson. Il mio nome è Calder. Elise Calder.

 
***

Adam Cartridge, forse soprattutto grazie alla passione (mania, secondo alcuni) per i cruciverba, aveva un vocabolario ampio; eppure, in quel momento, stava fissando un nervoso Keith Allen senza riuscire a proferire parola.
–Io… io… sono senza parole- ammise, infine.
–Prova con le parolacce- ironizzò l’amico. –Insomma, Adam, di’ qualcosa! E giuro che se rispondi “qualcosa” ti spezzo le ossa una ad una!
–Scusa, non voglio mancarti di rispetto, ma… non posso crederci: hai provato a baciarla?
–Le intenzioni erano ben altre, ma sì, ci ho provato.
–Oh, Keith! Ti avevo consigliato di lasciar perdere!- sbottò Adam.
–Perché? Ogni lasciata è persa, ogni tentativo non tentato è un’occasione che do a chiunque altro di portarmela via!- replicò Keith, infervorandosi. –So come la pensi, che dovrei darle tempo per riflettere e capire che dovremmo riprovarci perché stavolta funzionerebbe, ma la verità è che non ho tempo: lei nega, ma l’ho capito… ha un altro.
–Questo l’avevo capito anch’io, veramente- asserì Adam con aria di superiorità. –Senza offesa, ma era piuttosto ovvio: Connie è troppo cambiata per non destare sospetti. Conosci il detto: “Se un uomo porta un regalo alla sua donna senza motivo, un motivo c’è”? Ecco, anni di convivenza sotto lo stesso tetto di Brian ne hanno prodotto uno simile: “Se la tua donna cambia guardaroba e taglio di capelli senza motivo, un motivo c’è”. La domanda, ora, è: chi è lui?
–No- obiettò Keith. –La domanda è: come lo metto fuori gioco?
–Non ti interessa scoprire di chi si tratta?
–No. Mi interessa solo Connie.
“A me interessa, però! Uffa! Vabbè, vediamo se riesco a smuoverlo un altro po’.”
–Perdona l’indiscrezione, ma… se ti interessa tanto, perché l’hai lasciata?- chiese Adam, rivelando di possedere almeno un tratto caratteriale in comune col cugino Ben: la tendenza a ficcanasare.
–Perché… non lo so! Adesso mi sento un completo idiota per averlo fatto, allora mi sembrava la cosa giusta. Mi sentivo in trappola: avevamo un rapporto troppo stretto per due ventunenni, secondo me, e il fatto che avessi avuto solamente un’altra ragazza oltre lei mi riempiva di dubbi; inoltre, ciliegina sulla torta, ero terrorizzato da quello che provavo: non mi piaceva l’idea che la mia felicità dipendesse dalla sua, che il suo umore potesse condizionare le mie giornate, che la sua assenza le rendesse vuote…
“In pratica, eri terrorizzato all’idea di esserti innamorato di lei. Complimenti, coglione!”, pensò Adam. Le parole che pronunciò, però, furono diverse.
–Questa l’ho già sentita… non è che tu e Nicky avete un cervello in due?- arricciò il naso quando Keith rispose con un gestaccio –Non ti scaldare, la mia era una domanda innocente. Ad ogni modo, se sei votato al martirio, perché di martirio si tratta, ti suggerirei di… svecchiarti un pochettino: sei troppo buono e gentile, sembri uscito da una pubblicità, non va bene!
–Cosa dovrei fare, secondo te, ammanettarla al letto, come in uno di quei libretti di serie Z che vanno per la maggiore?
–Se lei è consenziente… ok, ok, niente manette… per ora- sibilò Adam, fregandosi le mani. –Non ho l’esperienza di Brian, però una cosa la so: devi guardarla con occhi diversi. Dici di essere cambiato? Beh, pure lei, perciò piantala con questo atteggiamento da Principe Azzurro! L’hai sempre trattata come una bambina cresciutella, è questo il tuo sbaglio. Entra nell’ottica che hai a che fare con una donna, fatta di carne e ossa, non di porcellana, perciò non si romperà in mille pezzi se farai qualcosa di impulsivo e trasgressivo, ergo, buttati… naturalmente senza forzarla: è la tua ragazza, non una bambola gonfiabile.  
–Mai usate bambole gonfiabili- ridacchiò Keith.
–Neppure io! Era così, tanto per dire…
–Sicuro? Con me puoi confidarti, lo sai.
–Cos…? Keith!- sbraitò Adam, accalorandosi. –Non pensarci neanche! Non mi piace come comincia a lavorare quella tua testolina malfidata…
L’altro scoppiò a ridere.
–Tranquillo, amico, era così, tanto per dire.

 
***

Brian aveva deciso, dopo una litigata tremenda, di cucirsi la bocca: che Franz si rovinasse la vita assecondando i piani sconclusionati del suo fratello sciroccato, non erano affari suoi!
Esasperato da quella presenza costante, Weil sbottò –Avanti, su, fammi la predica, sennò non sei contento!
–Niente predica. Sei un uomo adulto, non ne hai bisogno, senza contare che non mi riguarda se vai con altre donne: hai lasciato Faith, tecnicamente sei libero.
–Ben detto- rispose l’altro, concentrato sui polsini della camicia. –Comunque, tecnicamente non vado con altre donne, ci esco e basta.
–Ti ripeto: non me ne frega- sbuffò Brian, tradito da una lieve nota ostile nella voce. –Se disapprovassi, stai pur certo che ti avrei già sbattuto fuori da casa mia. La vita è tua, vivila come meglio credi; se questo meglio è cercare di ingelosire la tua ex- sottolineò accuratamente “ex” –Compagna solamente perché un collega ti ha riferito di averla vista in compagnia del “gonfia-tette” col quale era stata per qualche mese quando tu ti ostinavi a snobbarla, allora va bene. Oh, dimenticavo: bella camicia!
Franz, che l’aveva scelta guidato dall’istinto, si accorse soltanto in quel momento quale fosse; furioso con se stesso e col mondo, Brian in primis, la tolse quasi con violenza e la scagliò contro il muro.
–Bastardo!- ruggì, mentre estraeva un’altra camicia dall’armadio. –Sai benissimo che era un regalo di Faith!
–Davvero?- celiò Brian, ostentando un’innocenza che non gli apparteneva, poi, sogghignando, augurò a Franz buona serata.
Weil raggiunse il ristorante ansioso e scettico: la cucina molecolare non lo attirava minimamente, e sperava che reminiscenze di Faith non mandassero a monte anche questo appuntamento, sua madre e suo fratello stavano perdendo la pazienza.
–Sei tu Franz?- annuì, inespressivo. –Oh, meno male: temevo di fare l’ennesima figuraccia!
Impiegò un paio di minuti ad esaminarla da capo a piedi: non era brutta, però non era il suo tipo; troppo muscolosa, troppo scolpita. Sebbene apprezzasse ordine e simmetria in ogni aspetto della propria vita, le donne gli piacevano… donne: curve voluttuose, forme generose, labbra carnose in cui perdersi, in un turbinio di godimento. Citando il suo amico Rafael Jimenez: “Los huesos se dejan a los perros” ( le ossa si danno ai cani).
Maledicendosi per non aver impedito ai suoi pensieri di deviare in “zona Faith”, rispose –Nessuna figuraccia, sono io. Allora, uhm, vogliamo accomodarci?
Vennero condotti, da un maître molto simile a un pinguino, attraverso una sala completamente bianca, asettica, al loro tavolo, apparecchiato per due e abbellito (si fa per dire) da due bulbi elettrici che emettevano un’inquietante luce aranciata, diversissima da quella delle candele. I timori di Franz si avverarono quando, stordito dalle chiacchiere della sua accompagnatrice, consultò il menu: non era un mangione, però amava la buona cucina, senza preclusioni di sorta…. ma c’è un limite a tutto, persino all’apertura mentale.
–S-Spuma di gusci d’uovo in cestino di alghe nere?- esalò, scioccato. –F-Frittata destrutturata? Noccioli di pesca all’olio di cocco?
–Ottima scelta, signore. Per la signora, invece?
–Eh? Ehi! Un momento, io non…
Fu tutto inutile: il cameriere prese le ordinazioni e fuggì, sordo alle proteste di un contrariato Franz, che ammise –Scusa, non vorrei apparire scortese, ma…
–Non sei abituato a questo genere di cucina. Tranquillo, tutti i neofiti partono prevenuti. Vedrai che, una volta assaggiati i piatti, ti convertirai alla cucina molecolare.
–Lo spero- concesse, sorridendo tentativamente. –Dopo, però, permettimi di offrirti un vero dolce: conosco una pasticceria dove preparano la miglior torta al triplo cioccolato del Paese, forse perfino del mondo!
La donna, di nome Celia, sbiancò, fissandolo come se indossasse la camicia di forza, e balbettò –C-Cioccolato? I-Intendi quel cibo insalubre grondante grasso?
–Intendo quel cibo paradisiaco che nasce dall’unione di cacao, burro di cacao, zucchero e latte. Se non ti piace troppo dolce, potresti provare il fondente…
Non l’avrebbe mai creduto possibile, ma quella semplice parola scatenò un putiferio nel suo cervello, riportandogli alla memoria uno dei momenti più magici della sua storia con Faith.
“–Ti piace il cioccolato?
–Da morire!
–Ti piace tutto allo stesso modo, oppure hai delle preferenze?
–Detesto il cioccolato bianco - privo di cacao, che razza di cioccolato è? - tollero a fatica quello al latte, adoro il fondente.
–Perciò, se dovessi metterti davanti una tavoletta di cioccolato bianco, al latte e fondente, mangeresti soltanto la terza?
–Sì- rispose Faith, perplessa: dove voleva andare a parare il suo fidanzato?
–Non ti stancheresti mai di mangiarlo?
–Mai. A volte un’intera tavoletta, altre un quadratino solo, ma non posso farne a meno. C’è qualcosa che mi attira verso il fondente e mi fa disdegnare il resto; forse il retrogusto amarognolo, forse la sensazione voluttuosa di quando si scioglie sulla lingua…
Franz ridacchiò e la interruppe, prima che gli venisse di nuovo fame.
–E’ così che mi sento con te: sei il mio personale cioccolatino fondente. C’è qualcosa che mi attira irrimediabilmente verso di te e mi fa disdegnare le altre; forse l’organo che hai tra le orecchie, forse la tua linguaccia, forse, ehm, le “gemelle”. Certo, mi guardo intorno, ma non vedo, perché so cosa perderei se uscissi dalla mia vita.”

–Ti senti bene?- domandò Celia. –Hai una faccia…
–Io… no, non sto bene- sospirò, bramoso di tornare a casa. –E’, ehm, meglio che vada. Goditi la frittata decomposta e i noccioli di pesca. Buonanotte- uscì dal locale e chiamò suo fratello. Senza dargli tempo di rispondere, esclamò –Chiedi scusa a Serle da parte mia, però non poteva funzionare: se ami alla follia il fondente purissimo non puoi apprezzare il cioccolato al latte!
–Eh? Hai la febbre, per caso?
–Certo che no!- sbuffò. –Stavo semplicemente ripensando a una conversazione avuta con Faith. Perdonami, Xandi, ti ringrazio per l’impegno, ma ho appena compreso di essere stato cieco finora: la mia Faith è unica e irripetibile, voglio stare con lei e nessun’altra, e se questo significa accogliere un moccioso urlante nella mia vita… pazienza!
Contro ogni sua previsione, Alexander non cercò di dissuaderlo, né pronunciò una delle sue solite battute fuori luogo, si limitò a un sentito –Evvai! Ci sei arrivato, finalmente!
–Sì.
“Finalmente.”

Note dell’autrice:
Il capitolo è un po’ più lungo del solito, spero non vi abbia creato problemi. Mi dispiaceva dividerlo, sono convinta (ma siete liberissime di contraddirmi) che questi eventi andassero raccontati insieme.
Cominciamo dalla fine: Franz ha aperto gli occhi… finalmente! W il cioccolato fondente, che gli ha mostrato la retta via. Peccato lo aspettino prove durissime: Faith non gliela farà passare liscia.
Anche per lei un “finalmente” ci sta tutto: ha capito che è inutile crogiolarsi nel passato, bisogna pensare al futuro, e il suo futuro sono Franz e il futuro moccioso urlante. 
Vi erano mancate Abby e Bridge? A me tantissimo, sono stata felicissima di poterle inserire, insieme a Faith formano un trio scoppiettante! Ora c’è da vedere cosa succederà alla famigerata festa… forse la Irving non avrebbe dovuto lasciare l’organizzazione in mano a loro. XD
Pure Connie e Keith, con l’aiuto dei loro angeli custodi, ehm, migliori amici, stanno imboccando la giusta direzione… forse. Con questi testoni non si sa mai!
E Robert? In che guaio andrà a cacciarsi? Il bel ginecologo non sa stare senza incasinarsi la vita, ma è anche per questo che lo amiamo/odiamo! ;-)
Comunicazioni di servizio: il primo flashback è inedito, il secondo è tratto dall’epilogo (capitolo 29) di “Dr. Irving, M.D.”, mentre i piatti della cucina molecolare li ho inventati io: cercavo qualcosa di disgustoso, e la mia mente ha partorito questi piatti. Chissà, potrebbero pure essere buoni… ma ne dubito…
Au revoir!
Serpentina
 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Missione possibile ***


Bentrovate, fanciulle! Non mi dilungo perché credo vogliate leggere di F&F, non le mie menate. Lasciatemi solo ringraziare Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92 ed elev, che hanno recensito il capitolo precedente, e Gennyyy, gioser e so91bi, che hanno inserito la storia nelle seguite/preferite, e chiarire che la frase di Rafa (“Le ossa si danno ai cani”), per quanto, forse, politically incorrect, non voleva essere offensiva nei confronti delle magre; è semplicemente un'opinione: c'è chi apprezza le donne in carne (troppo pochi, ahimè) e chi no, punto.

Enjoy!

Missione possibile

Non v'è rosa senza spine... ma vi sono parecchie spine senza rose.

Arthur Schopenhauer

E' normale, quando si ha la mente intasata da troppi pensieri, cercare di svuotarla gettandosi a capofitto in un'attività, possibilmente noiosa e ripetitiva come il proprio lavoro. Infatti Faith, in barba alla spossatezza e all'emicrania - il modo scelto dal suo organismo per intimarle di fermarsi - aveva accompagnato Noyce nel sopralluogo. Niente di nuovo sotto il sole: aveva sgobbato col fiato del capo sul collo, Serle aveva ingiuriato Franz e l'aveva pregata di stare attenta a Marcus, perché degli ex non c'era da fidarsi, e Sherman era stato gradevole come al solito; senza perdere tempo aveva schioccato la lingua al palato e sibilato un commento sprezzante sul fatto che, nonostante la gravidanza, si ostinasse a indossare il trench in pelle, neanche fosse l'ultimo rimasto sulla Terra.

Avergli risposto per le rime le aveva illuminato la giornata, così, quando aveva finalmente posato l'ombrello nel portaombrelli, l'aveva fatto col morale alle stelle. Non aveva cenato, tanta la stanchezza, preferendo stendersi sul divano con una tazza di cioccolata fumante e un buon libro a tenerle compagnia. Contravvenire una volta alla rigida dieta impostale dalla dietologa in combutta con quella dittatrice della Meigs non l'avrebbe ammazzata!

Si accorse di essersi appisolata solo quando trillò il campanello. Si alzò di scatto, un po' stordita, e si guardò intorno, dopodiché si precipitò allo specchio nell'ingresso per valutare i danni: notò con sconcerto di avere il segno del cuscino impresso su una guancia, gli occhi arrossati e il viso rigato di lacrime. Dopo aver urlato che si stava rendendo presentabile, borbottò a mezza voce un torrente di imprecazioni: gli ormoni in esubero l'avevano trasformata in una fontana vivente, ma quella era la prima volta che piangeva nel sonno.

“Tutta colpa di Franz, è sempre colpa di Franz”, pensò, prima di aprire esibendo un sorriso tirato.

–Ciao, Faith!- squittì una Maggie Bell decisamente su di giri. –Oh, stavi dormendo?

–Ma no, che dici!- rispose, sebbene conscia della palese menzogna. –Ah, che bifolca sono! Vieni, accomodati. Posso offrirti qualcosa?

Maggie negò recisamente, si diresse velocemente nel salottino, si sedette, si alzò in piedi, fece il giro del divano, si sedette nuovamente, infine esclamò, giubilante –Ci sposiamo! Io e Ian ci sposiamo!

“Hai capito il buon vecchio Sam? Ha tirato fuori le palline! Chissà come si usa vestirsi ai matrimoni hobbit...”

Sforzandosi di non riderle in faccia, la Irving si congratulò per la lieta notizia: dopotutto era merito suo se la dolce Maggie e l'irlandese Ian (soprannominato Sam per via dell'impressionante somiglianza con Sean Astin) erano finiti insieme, meritava di assistere al coronamento del loro amore; quell'invito non era un onore, bensì un atto dovuto. La moderna fata madrina dimenticava che, in realtà, i due piccioncini si erano innamorati nonostante il suo intervento, non grazie ad esso.

–Oh, Meg, è magnifico!- tuonò. –Avete già scelto una data?

–Non ancora. Io opterei per un classico matrimonio inglese a giugno, Ian preferirebbe settembre-ottobre e che la cerimonia si svolgesse nella sua città natale, in Irlanda.

–Sarà dura scegliere, sono entrambi periodi splendidi: clima mite, ma senza afa, ampie possibilità in materia di colori, fiori, decorazioni, abiti... quanto al dove, credo sia più pratico prendere una decisione dopo aver stilato la lista degli invitati: se saranno più numerosi gli irlandesi, vi converrà sposarvi nell'isola di smeraldo. Ah, adoro i matrimoni- “Nella Terra di Mezzo” –D'inizio estate e inizio autunno, sono i migliori!

–Pensi che per allora sarà nato il piccolo?- le chiese Maggie al termine di una lunga pausa.

Se glielo avesse domandato un'altra si sarebbe infastidita, ritenendolo un malcelato tentativo di carpire pettegolezzi, ma se esisteva al mondo una persona veramente buona e gentile, quella era Maggie Bell, perciò rispose senza tracce di stizza nella voce –Vanessa, la dottoressa Meigs, ha stabilito che dovrei partorire all'incirca a metà aprile, quindi sì, sarà nato... però dubito di portarmelo dietro, sarebbe troppo piccolo per affrontare la confusione di un matrimonio.

–Oh. Capisco- pigolò Maggie. –Dovrò contare due persone sole.

–Due?- esalò Faith. –Meg, ho appena detto....

–Ho sentito- sbuffò la Bell. –Spero, però, che ti presenterai comunque... accompagnata.

–Grandioso: eccone un'altra pronta a mettermi in guardia dai ritorni di fiamma!- sbottò la Irving, incenerendola con lo sguardo. –Capisco che ormai vi siate abituate a Franz, mi fa piacere che sia diventato uno dei nostri, ma non potete costringere lui ad accettare un ruolo per il quale non è pronto e me a rinunciare a quel poco di sostegno che mi dà Marcus!

L'altra ascoltò lo sfogo senza battere ciglio, poi replicò, con la massima tranquillità –Al contrario: approviamo - sì, insomma... io, Erin, Diane, Evangeline, Jeff, Josh e Rajiv - incondizionatamente la tua scelta, volevamo lo sapessi. Franz diventerà padre, ma non sarà mai un padre, non fa per lui; Marcus è molto più adatto. Sono sempre stata convinta che le cose tra voi sarebbero andate diversamente, se lo avessi incontrato prima di Weil, perciò... avanti tutta!

–S-Stai s-scherzando? Sono giorni che...

–Quando cercavamo di spingerti verso Franz non sapevamo ancora che si è rimesso sul mercato!- uggiolò Maggie, per poi tapparsi la bocca con le mani e aggiungere, costernata –Oh, accidenti, avrei dovuto dirtelo più delicatamente!

Faith, sconvolta, rispose, sforzandosi di mantenere un contegno distaccato –Non sopporto di ricevere la pillola indorata, ma questa, più che una pillola, è una supposta! Un po' di lubrificante non avrebbe fatto male.

–Scusa, scusa, scusa! Sono un disastro con le parole. Maledetti siano Jeff e le sue idee cretine! Perché non è venuto lui a portarti la cattiva notizia?

–Jeff ha il vizio di lasciare agli altri il lavoro sporco. E così...

–L'ha visto - cioè, lui e Demon l'hanno visto, mentre erano a spasso con Nate - insieme a una... svariate donne, in verità- pigolò Maggie. –Oh, Faith, mi dispiace tantissimo, eravate una coppia stupenda!

–Adesso siamo una coppia scoppiata- asserì, atona. –E' ufficiale: la mia nuova missione sarà essere felice con qualcuno che non sia lui.

–Non preoccuparti, hai un ottimo “supporto”, renderà la missione non soltanto possibile, addirittura facile!

La Irving scrollò le spalle, cambiò argomento, infine, non appena Maggie se ne fu andata, , finì la cioccolata (ormai fredda) e andò a coricarsi. Come eroina romantica sarebbe stata bocciata senza appello: lungi dal farsi privare del giusto sonno dalla ferale novità, cadde tra le braccia di Morfeo nel momento esatto in cui poggiò la testa sul cuscino.

***

Diverse ore più tardi, Franz ebbe il problema opposto: non riusciva a scivolare in un sonno ristoratore. Si rigirava in continuazione, contando invano pecore e altre amenità nella speranza di potersi riposare, dopo una giornata stressante. Seccato, aprì gli occhi e guardò la sveglia: segnava le tre e un quarto.

“Cosa faccio: rimango qui, tentando di addormentarmi, oppure mi alzo e tanti saluti?”

Scelse la seconda opzione: si alzò e si diresse in cucina, convinto che una buona tazza di latte caldo gli avrebbe giovato. Con sua grande sorpresa, uno degli sgabelli davanti alla penisola era già occupato.

–Brian?

–Anche tu insonne, eh? Vieni, siediti. Gradisci del tè? Latte? Oppure qualcosa di più forte?

–Del tè andrà benissimo, grazie- rispose Franz, sentendosi in colpa per aver interrotto uno dei rari momenti di solitudine di Brian, il quale, forse intuendo cosa l'altro stesse pensando, si affrettò a rassicurarlo.

–Mi dispiace per il sonno perduto, ma sono contento di avere compagnia. Dai, racconta: cosa ti tiene in piedi a quest'ora? Sogni anche tu che qualche corpo celeste vagante si abbatta sulla Terra?

–Santo cielo, no! Ho passato quella fase da più di vent'anni!- sbottò Weil, domandandosi se non fosse impazzito.

–Buon per te. Allora di cosa si tratta?

Punto sul vivo, Franz sbottò –Ehi, ehi, ehi! Chi ti ha eletto Inquisitore Capo? Perché non canti prima tu?

–Non vale, te l'ho chiesto io per primo- replicò Brian, ma poi si arrese. –Uff! Ok, visto che ci tieni... Crystal sta facendo pressioni per conoscere AJ. Fosse per me non potrebbe avvicinarsi a lui nemmeno coperta da una tuta antiradiazioni, ma ha minacciato di chiedere la custodia, se non dovessi acconsentire.

–Bella stronza!- commentò Franz, sconvolto all'idea che una donna fosse capace di tanto cinismo nei confronti del proprio figlio. Immediatamente i suoi pensieri andarono a un'altra donna, che sicuramente si sarebbe comportata molto meglio come madre. Si chiese se stesse dormendo, se stesse pensando a lui...

–Puoi dirlo forte!- ridacchiò Brian, quindi “vivacizzò” i loro tè con un goccio di Cointreau. –Quello che mi preme non è il desiderio di liberarmi di lei, o la prospettiva di una battaglia legale, è il benessere di mio figlio: non voglio che si senta minacciato, poco amato, rifiutato, e se Crystal entrasse a far parte della sua vita sono certo che lo deluderebbe; mira alla pecunia, una volta ottenuta si volatilizzerà di nuovo... fino al prossimo rifornimento. Posso pagarla lasciando intatta l'eredità di AJ, non è questo il problema, preferirei però farlo senza che turbi la sua serenità.

–Un bel casino- esalò Franz, prima di inalare i vapori emanati dalla bevanda calda e berne un sorso. –Ti toccherà assecondarla.

–Purtroppo sì. Spero soltanto che AJ non si faccia strane domande.

–Te le fai tu, secondo te non se le è già poste lui?- osservò Weil. –Per esperienza posso dirti che un figlio avverte che qualcosa non va e si fa delle domande, anche se non le esprime. Credi che non mi sia mai chiesto perché i miei hanno divorziato? Sì, ok, litigavano spesso, non si amavano più, ma questo è il casus belli. Qual è la causa prima? Perché hanno smesso di amarsi?

–Credo non lo sappiano neppure loro- asserì Brian, stringendogli una spalla. –Altrimenti avrebbero cercato di rimediare.

–Può darsi. Il nocciolo del discorso è un altro: Aidan va all'asilo e - purtroppo per te - ha cervello, si è reso conto che gli altri bambini hanno una mamma che li va a prendere, o comunque li aspetta a casa, lui no; ora, a meno che non gli abbia rifilato la bugia che sua madre è morta - cosa che spero vivamente tu non abbia fatto - si sarà domandato dov'è, perché l'ha abbandonato, se gli voleva bene... se se n'è andata per colpa sua...

–In pratica, mi stai consigliando di... dirgli tutto- sospirò Brian, spaventato dalle conseguenze di un atto simile: suo figlio, il suo piccolo AJ, l'avrebbe guardato con gli stessi occhi, una volta appresi i retroscena della sua nascita?

–Di dirgli la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità- precisò l'altro. –Se lo farai, continuerai ad essere il suo super papà. In caso contrario... preparati a uno scontro epico con tanto di colonna sonora figa, spade laser e mascherone nero di dubbio gusto- digrignò i denti. –Quanto vorrei trovarmi faccia a faccia con i costumisti di 'Star Wars' e dare loro qualche lezione di moda!

Brian rise di cuore, felice come non mai di aver dato asilo a Franz (sebbene non condividesse la sua opinione: a lui i costumi della saga piacevano).

–Va bene, va bene... adesso, però, è il tuo turno: la ragione della tua insonnia si chiama Faith Irving? Hai deciso di tornare da lei?

Franz sospirò teatralmente e disse –Ti sembrerà paradossale, ma l'ho capito grazie agli appuntamenti al buio organizzati da mio fratello. So che verserai calde lacrime perché lascerò un vuoto incolmabile...

–Effettivamente il tuo ego è parecchio ingombrante- scherzò Brian.

–Bell'ingrato! Sarebbe questo il ringraziamento per aver accompagnato tuo figlio a scuola in moto, rendendolo popolarissimo?

–Oh, sì, giusto. Grazie mille: AJ è entusiasta, ancora ne parla!- esclamò Brian con sincera gratitudine. –Adesso, però, torniamo all'argomento scottante: che hai intenzione di fare?

–I piani semplici sono i migliori: andrò da Faith - magari a un'ora improbabile, in modo da sfruttare l'effetto sorpresa - e la convincerò a mandare quel gonfia-tette della malora dove merita! Oh, e a ridarmi il mio posto accanto a lei, ovvio.

–Sì, come no! Così rimedierai solamente legnate! Visto il modo in cui l'hai lasciata, non puoi presentarti da lei con un misero mazzolino di fiori raccattato all'autogrill e scuse trite e ritrite!

–Faith detesta i fiori recisi, me li tirerebbe dietro dandomi del fioricida. Per il resto... mi costa ammetterlo, ma hai ragione. Ho perso la sua fiducia, non posso pretendere che rimetta in naftalina il gonfia-tette se non ho di meglio da offrire. Il problema è che non so se ho davvero di meglio da offrire: sono il cordardo che l'ha mollata incinta perché non vuole fare il padre... non è granché, come offerta.

Brian arricciò le labbra e alzò le sopracciglia in un'espressione saputa.

–Noto con piacere che, almeno stavolta, siamo sulla stessa lunghezza d'onda. E' vero, ti sei comportato da perfetto imbecille, ma - e se osi riferirlo a qualcuno negherò di averlo detto - sebbene non mi stia tanto simpatico, sei... decisamente meno peggio di un “Marcus” qualunque. Tengo a Faith, se sei tu a renderla felice, pazienza: devi stare con lei, non con me. Sei fortunato: conosco bene la mia “polla”, grazie a me la riconquista della Irving si è trasformata in una missione possibile.

–Allora è vero che hai fretta di buttarmi fuori da casa tua!- scherzò Franz. –Nessun problema. Levo volentieri le tende... senza offesa: il mio letto è più comodo! Hai qualche idea?

***

–Hai qualche idea?- chiese Abigail all'amica Bridget, mentre spingeva la carrozzina biposto lungo Oxford Street.

–Per la festa di Faith? Onestamente... no- ammise senza imbarazzo. –Sono stata piuttosto impegnata in questo periodo: sto uscendo con lo zio di un toyboy che avevo rimorchiato in un locale. Il ragazzetto, ahilui, è scialbo, ha come unica dote la giovinezza; il caro zio...

–E' ricco, celibe e affascinante?- sibilò Abigail, che disapprovava lo stile di vita dell'amica, e vedeva in ogni uomo un'occasione per accasarla.

–Celiberrimo e abbastanza ricco- sospirò la pluridivorziata. –Sul fascino stenderei un velo pietoso. Per i miei standard è la personificazione della noia, ma sai com'è, a una certa età le priorità cominciano a cambiare: meglio un uomo che si alza dal letto sempre con lo stesso piede di uno imprevedibile che una mattina si alza e se la dà a gambe, lasciandoti l'onere di pagare i suoi debiti di gioco...

–O di un bigamo impenitente oppure, peggio ancora, di uno che ti usa come facciata per nascondere le sue, ehm, “preferenze”- concluse Abigail, completando il triste quadro degli ex mariti di Bridget. Non la sorprendeva che la più scatenata della sua cerchia di amicizie stesse iniziando ad apprezzare la tranquillità di un rapporto poco movimentato.

–Esatto. Speriamo che la quarta volta sia quella buona- cinguettò l'altra, fermandosi davanti a una vetrina addobbata con esposti alcuni abiti favolosi. Se Abigail non l'avesse trascinata via, probabilmente Bridget avrebbe razziato il negozio. –Tu, invece? Idee?

–Ahimè, no. Ho avuto anch'io da fare: aiutare Kaori ad allenarsi per il suo numero e pensare a una ricetta d'effetto per l'asta di beneficenza della scuola. Dopo lo spettacolo degli alunni si terrà un'asta di dolci, i cui proventi andranno a un'associazione benefica scelta dal comitato genitori.

–Del quale fai parte, se non sbaglio.

–Non sbagli. Per questo motivo il mio dev'essere il migliore. Non posso sfigurare con Melanie!

L'altra scoppiò a ridere senza ritegno, attirando su di sè diversi sguardi allibiti.

–Tu... battere i dolci di Melanie? Impossibile! Melly è una pasticciera! E' come se andassi da un pittore e gli dicessi: “Tu sei un professionista, io non ho mai preso in mano un pennello in vita mia, ma ti dimostrerò che sono più brava di te”. Abbassa la cresta, tesoro, se non vuoi rimediare figuracce.

–Mai!- tuonò Abigail, agitando un pugno. –La tua scarsa fiducia in me non fa che aumentare la mia determinazione. Preparerò qualcosa di spettacolare!

–Se lo dici tu... perché intanto non pensiamo a qualcosa di spettacolare per Faith?

–Una festa a tema. Decisamente- asserì Mrs. Cartridge annuendo vigorosamente. –Non resta che sceglierlo.

In quel preciso istante, Bridget fece qualcosa di parzialmente inaspettato: si bloccò davanti a una vetrina... di libri. Estatica, afferrò l'amica per un braccio e, indicandone uno, trillò –Eureka, Ab! Ho avuto un'ideona! E so pure chi può aiutarci a realizzarla!

Abigail deglutì a vuoto, terrorizzata: conosceva fin troppo bene le “idee geniali” di Bridget McDuff (ex Mrs. Parker, Da Silva, Rodriguez).

***

Rose, con in testa il cappello delle grandi occasioni, ricambiò la visita di Gertrud... certamente non per cortesia! Avanzò con passo deciso lungo il vialetto d'ingresso, gettando occhiate inquisitrici al giardino - decretò che l'inverno non gli rendeva giustizia, pertanto avrebbe rimandato il giudizio definitivo all'estate - salì tre gradini e, nervosa ma determinata, bussò alla porta, favorevolmente impressionata dalla presenza di un battente tradizionale al posto del campanello.

Aprì Martin, che la ricordava vagamente come la suocera del suo figliastro minore.

–Buongiorno! Qual buon vento?

–Vento di tempesta- rispose lei, dura. –Gertrud è in casa?

Dato che, a giudicare dal tono, quella donna non ammetteva giri di parole e convenevoli, Martin si limitò a rispondere –E' in soffitta- prima di scostarsi per lasciarla passare.

Mrs. Philips, ignara dell'uragano in arrivo, stava rovistando negli scatoloni degli addobbi di Natale, canticchiando 'The holly and the Ivy'. Persa nei ricordi, si accorse della presenza di Rose solamente quando questa si schiarì la voce, richiamando la sua attenzione.

–Che bella sorpresa!- trillò, salutandola con la mano. –Stavo giusto per chiamarti: vorrei fare a Faith un regalo utile anche al bambino, ma ho bisogno di sapere se prenderai qualcosa del genere anche tu, in modo da non presentarmi con un doppione.

–Onestamente brancolo nel buio- rispose Mrs. Irving. –Se conoscessimo il sesso sarebbe più semplice, ma è troppo presto e mia figlia insiste nel volersi riservare la sorpresa per quando nascerà. Cocciuta e capricciosa! Ha preso da mio marito. Ma non sono qui per discutere del nipotino in divenire, bensì di suo padre.

–Franz?- esalò Gertrud, per poi illuminarsi, convinta che la sua “consuocera” recasse buone notizie. –Sono tornati insieme? Sia ringraziato il cielo! Cominciavo a temere che lo strampalato piano di Alex...

–Che cosa?- tuonò Rose. –Lo sapevi? Sapevi che se la fa con altre donne?

–Beh... sì- confessò l'altra a capo chino. –Aspetta un momento: tu come lo sai?

–Ero a cena con mio marito e alcuni nostri ex colleghi, quando chi sbuca? Tuo figlio, in compagnia di una... inqualificabile forma umana. Fortuna che ci trovavamo in un luogo pubblico, altrimenti mio marito avrebbe dato di matto, e forse questa conversazione sarebbe avvenuta in obitorio e con toni più bellicosi.

Gertrud avvampò: nè lei, nè Alexander avevano contemplato l'eventualità che Franz potesse imbattersi in qualche parente, amico o conoscente. Scheiße! Rose era un fiammifero, si accendeva facilmente e si spegneva con altrettanta facilità; suo marito, invece, era coriaceo, testardo come la figlia: se Franz aveva perso la sua stima, avrebbe faticato a riconquistarla. Doveva chiarire la situazione: il suo geliebte kind aveva tanti difetti, ma era ad alta fedeltà.

–Oh, ehm... è meglio se ci sediamo, è una faccenda complessa.

–Complicata, direi- ribatté Rose, che non si mosse di un millimetro. –Prova comunque a riassumerla.

–Ehm... come spiegarlo? Hai presente il principio: “se voglio essere davvero sicuro che qualcosa mi piaccia, devo provarne altre”? Ecco! Credevamo - io e Alexander - che Franz, provando altro, avrebbe capito che è Faith la donna della sua vita.

–E' la follia più assurda che abbia mai sentito- sputò Rose. –Oltretutto non sta funzionando, o sbaglio?

–Lì per lì era sembrata una buona idea... peccato non abbia dato i frutti sperati- chiocciò Gertrud: inizialmente non aveva nascosto il proprio scetticismo, poi, però, negli anni, aveva capito che quei due erano davvero fatti l'uno per l'altra. Avrebbero potuto avere decine, centinaia di altri partner, nessuno avrebbe retto il confronto.

–Allora serve un nuovo piano- propose l'altra, quasi leggendola nel pensiero. –I nostri figli devono stare insieme, punto. Lo sanno anche loro, solo che l'orgoglio li frena. Prendi Faith: se ascoltasse il suo cuore sarebbe già corsa da lui, ma la sua zucca di marmo non le farà mai fare il primo passo.

–Faith... correre da lui? Dopo quello che ha combinato? Oltre il danno, la beffa! Nein! E' quella testa di granito di mein kind che ha rovinato tutto e rischia di precipitare ulteriormente le cose per una questione di principio, tocca a lui rimediare!- sbraitò l'agguerrita madre di Franz.

Le due (nuovamente) alleate emisero un sospiro esasperato in sincrono.

–Abbiamo allevato due muli. Ma li piegheremo, eccome se li piegheremo!

***

Robert, furioso, diede un calcio a una lattina, grato all'inciviltà di chi l'aveva gettata per terra, consentendogli di sfogarsi.

I suoi amici avevano eretto nei suoi confronti una cortina di ferro, per una ragione secondo lui ridicola: l'invidia. Era convinto che quei tre bacchettoni fossero invidiosi del suo successo... d'altronde, a chi non piacerebbe avere due donne fisse, e una in fase di conquista? Si era persino iscritto a quel patetico corso di ikebana pur di rimorchiare Madeleine e ci sarebbe riuscito, alla faccia loro!

Tuttavia, il loro comportamento immaturo lo mandava in bestia; poteva capire Harry - stava praticamente tradendo sua sorella, era già tanto che non gli avesse cambiato i connotati! - ma Chris e Franz erano ingiustificabili, specialmente quest'ultimo: con che faccia osava giudicarlo, proprio lui, che aveva voltato le spalle alla compagna nel momento del bisogno? Come se non bastasse, il bastardo senza palle aveva (indirettamente) provocato la rottura tra Chris e la sua Erin, instillando nell'amico uno spirito ribelle che lo aveva indotto ad opporsi all'insistenza della sua fidanzata nel voler diventare genitori a tutti i costi.

Onestamente non capiva nemmeno Harry: andava a letto alternativamente con sua sorella e una donna favolosa, ma detestabile, e allora? Che spifferasse tutto alla sua sorellina, non gliene poteva fregare di meno, anzi, affossare la dignità e l'autostima di Harper sarebbe stato la sua vendetta: l'avrebbe fatta pentire di averlo lasciato per quel bamboccio!

Andò a sbattere contro un invadente Babbo Natale, gli ringhiò contro e si allontanò senza chiedere scusa. Odiava il Natale con tutto se stesso - non a caso, da piccolo, il suo personaggio preferito era il Grinch - non sopportava l'atmosfera leziosa, infantile, le carole, l'albero.... i regali.

Estrasse dalla tasca una foglio di carta e lo lesse frettolosamente, sbuffando. I suoi genitori gli affidavano ogni anno le compere natalizie perché non avevano tempo. Se, per certi versi, era comprensibile, per altri lo trovava assurdo e avvilente: si comprava da solo il regalo di Natale da che ne aveva memoria; non importava che il tetto spesa fosse illimitato, la gioia di ricevere un dono dalle mani di mamma e papà e scartarlo per scoprire la sorpresa era inestimabile, una gioia che purtroppo gli era stata preclusa. Aveva provato, invece, molte volte la frustrazione di un Natale rovinato dagli impegni lavorativi dei genitori, i quali, di fronte alla sua cocente delusione, ripetevano: “Rimedieremo l'anno prossimo”. Peccato che l'anno seguente arrivasse, puntuale come la riscossione delle imposte, qualche altra sfortunata coincidenza a infrangere i suoi sogni.

La rabbia malamente repressa toccò l'acme quando un cane di grossa taglia lo travolse, per poi abbaiare amichevolmente e leccargli la faccia. La padrona non tardò ad arrivare, profonendosi in scuse mortificate.

–Mi dispiace, stavo pagando e ho perso la presa sul guinzaglio! Guardi il lato positivo, però: le è simpatico!

–Chissà perché, questo pensiero non mi conforta affatto- sbuffò lui, pulendosi il viso con un fazzoletto. L'istante in cui spostò lo sguardo sulla padrona sbadata la riconobbe, e non trattenne un verso scocciato. –Calder. Elise Calder. Sei una persecuzione!

–Potrei dire lo stesso di te- rispose lei, strattonando l'alano, un po' troppo attratto da Robert. –Non mi stavi seguendo, vero?

–Ma ti pare?- sputò, indignato, prima di osservarla con maggiore attenzione e notare che era molto diversa rispetto all'ultima (nonché prima) volta che l'aveva vista: al posto della giovane donna acqua e sapone in tutone e scarpe da ginnastica, aveva davanti una Elise acconciata, truccata, in stivali col tacco e un abitino, coperto soltanto in parte dalla mantella in stile Cappuccetto Rosso. –Vedo che stai uscendo. Non ti trattengo!

–Beh, sono uscita col mio cane- bofonchiò lei, prima di intuire cosa stesse pensando l'altro. –Se credi che abbia un appuntamento, purtroppo per me ti sbagli: mi sono agghindata per un... diciamo, incontro di lavoro- Robert moriva dalla curiosità di scoprire quale fosse la professione di Elise, ma il suo entusiasmo morì sul nascere. –Ti piacerebbe sapere che lavoro faccio, eh? Invece no, non te lo dirò. A giudicare dal poco che ti conosco, credo rideresti di me... più di quanto non abbia fatto finora.

La conversazione si spense quando una bambina si avventò su Elise, abbracciandola di slancio.

–Miss Ellie! Che bello rivederti!

–Anche per me, Alice. Sono ben... due ore che non ci vediamo!- esclamò, vezzeggiò la piccoletta (Robert, pur di non starsene con le mani in mano, prese ad accarezzare il molosso, che, grato della premura, gli leccò le mani guantate) e salutò cordialmente i suoi genitori.

Attese che fossero spariti dal suo campo visivo, poi ridacchiò –Avevi ragione. Perdonami, ma il tuo lavoro mi fa davvero ridere: la tata?

–Sono una maestra d'asilo, veramente. La “riunione” era un incontro con bambini e genitori- ribatté Elise. –Ora puoi ridere.

Come sempre, quando era con lei, Robert si sentì un perfetto idiota. Avvampando, mormorò –Scusa, sono stato offensivo, fuori luogo, un...

–Imbecille matricolato?

–Sì!

–Non avresti potuto dirlo meglio di così! Scuse accettate, tranquillo. Bene, ti lascio ai tuoi acquisti- diede un'occhiata alla lista e commentò –Chanel n°5 per mamma? Accidenti! Se penso che alla mia ho preso un micragnoso libro di cucina, mi sento una figlia degenere!

–Mia madre ha gusti costosi- esalò lui, riappropriandosi del foglietto spiegazzato. –Ehm... invece Madeleine che gusti ha?

–Madeleine?

–La tua amica strafiga. Quella del corso di ikebana.

–Oh, sì. Madeleine. La panterona. Quella al cui confronto impallidisco, per non dire che faccio schifo. Non mi dirai che ti sei iscritto al corso per cercare di rimorchiarla!- ridacchiò Elise, intuendo dalla sua espressione che aveva indovinato. –L'hai fatto sul serio? Oddio, troppo divertente!

–Cosa c'è da ridere?- sbraitò Robert, oltraggiato: come si permetteva quella lì di farlo sentire stupido?

–Tanto per cominciare... quella non è una mia amica. Non so nemmeno come si chiama!

–Cosa?

–Lo so, sono stata cattiva, ma era un'occasione irripetibile: solo perché eravamo arrivate insieme credevi fossimo amiche, poi mi hai offesa, così... ho ceduto alla tentazione di prenderti in giro. E tu hai abboccato!

–Q-Quindi, q-quella tizia...

–Non ho idea di chi sia, ma potrai scoprirlo da te al corso- celiò Elise. –Confesso che mi dispiacerà perdere il mio compagno di banco, ma un grande amore richiede grandi sacrifici.

–Oh, signore!- mugolò Robert, sentendosi più idiota che mai. –M-Ma a-allora... se non è il suo nome... chi diavolo è Madeleine?

–Lei- rispose la bionda con semplicità, indicando l'alano scodinzolante. –Saluta il nostro nuovo amico, Maddie.

Lei? Madeleine è il tuo cane?

–Un alano non deve per forza chiamarsi Scooby- doo.

–M-Ma... ma... e la “Madeleinite”? E il tuo ex che aveva una cotta per lei?

–Quello è vero. In parte. Ci siamo lasciati perché, ehm, apprezzava troppo una mia amica. Brutta faccenda, preferisco non pensarci.

–Ti sei presa gioco di me... così? Tanto per ridere? E' da pazzi! Mai pensato di farti visitare da uno bravo?- sibilò Robert, piccato.

–Uuh, qualcuno è permaloso!- lo canzonò Elise, dopodiché gli arpionò un braccio e aggiunse, raggiante –Ho un'idea: volevi un appuntamento con Madeleine? Lo avrai! Ne sarà felice, vero, Maddie?

–Un appuntamento col cane?

–Ehi, la mia cagnolona potrebbe dare filo da torcere a molte donnette da due pence che circolano per le strade- si accalorò Elise, che non tollerava offese al proprio animale. –Consideralo una buona azione: non ho nulla da fare... e vorrei tanto vedere dal vivo una confezione di Chanel n°5!

Era impossibile negare alcunché a quel sorriso tenero, perciò Robert, a malincuore, sicuro che se ne sarebbe pentito, acconsentì a proseguire lo shopping in compagnia di Madeleine e della sua frizzante padrona.

–Immagino che “no” non sia contemplato come risposta.

–Perspicace!

–E va bene: andiamo.

–Non fare quella faccia, sopportarmi non è una missione impossibile!

Note dell'autrice:

Forse non interessa a nessuno, ma ho fatto un'inversione: Robert è migrato in questo capitolo, più “casalingo”, mentre la seconda parte di Abby e Bridget alla riscossa è slittata al prossimo. Se siete curiose di sapere cose ha architettato la pluridivorziata più simpatica del globo dovrete pazientare una settimana. Sorry.

La situazione si complica: proprio quando Franz ha finalmente deciso di tornare con Faith, lei decide di tagliare i ponti. Se non è sfiga questa...

Immagino tifiate tutte per lui... nessuno è per Marcus? Povero! Mi fa (quasi) pena! Ora che sono scese in campo pure le mamme, non ha scampo: dovrà farsi da parte e lasciare che l'amore faccia il suo corso.

A proposito di amori in corso: gioite per Maggie e Ian (se volete saperne di più, capitoli 23-28 di “Dr. Irving”) e il loro grosso, grasso matrimonio... inglese? O irlandese?

E Robert? Vi si è stretto un po' il cuore a pensare che natali tristi ha passato da bambino? Certo che Elise gli ha giocato un bello scherzetto... Maddie è una femmina, sì, ma di cane! La maestrina sa il fatto suo, non si lascia mettere i piedi in testa, e questo spiazza il bel ginecologo, abituato (diciamolo) ad avere tutto servito su un piatto d'argento.

Au revoir!

Serpentina

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Compleanno con delitto ***


Tanti auguri a Faith, tanti auguri a Faith, tanti auguri cara doc... tanti auguri a Faith! *stecca*

Credo abbiate già capito qual è il tema principale del capitolo, quindi vi lascio alla lettura... dopo i soliti ringraziamenti ai lettori silenziosi e a Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92 ed elev, che con le loro recensioni mi spronano a scrivere e, facendomi sapere cosa pensano della storia e dei personaggi, mi aiutano a migliorare (nei limiti delle mie possibilità). Grazie di cuore! <3

Compleanno con delitto

Le donne chiedono l’impossibile: bisogna dimenticare la loro età, ma ricordare sempre il loro compleanno.

(Karl Farkas)

Connie, lette poche righe, fu tentata di fracassare il portatile con una testata: possibile che non riuscisse a venirne fuori? Eppure le aveva provate tutte: pilates, tecniche di rilassamento orientale, tisane, bagni caldi, cromoterapia, aromaterapia... tutto inutile. Il blocco perdurava da settimane: era stata folgorata dalla trama di un nuovo libro, ma il maledetto non voleva farsi scrivere! Aveva in testa la storia completa - il vecchietto diabolico che beffa i parenti avidi, due o tre omicidi in seno alla famiglia, Cassie che indaga e scopre il colpevole, magari rischiando la vita, giusto per aggiungere un po' di azione, oppure si prende una cotta per l'assassino, giusto per aggiungere un tocco piccante - perché non riusciva a metterla nero su bianco?

Le parve di sentire sua madre (pure lei scrittrice, di libri per bambini): “L'arte necessita di motivazione, Cornelia”. Rabbrividendo per il suo nome di battesimo, ne convenne: aveva cominciato a buttar giù i primi germi di scrittura alle medie - per evadere da una realtà che la mortificava - e aveva proseguito al liceo - quando il principale impegno consisteva nell'antagonizzare Keith e Vyvyan durante le riunioni del Consiglio degli Studenti - prima, e nel corso della pausa di riflessione in California, poi. Per scrivere decentemente aveva bisogno di concentrazione e determinazione, comprese dopo una breve riflessione, per concentrarsi aveva bisogno di rilassarsi, e per rilassarsi aveva bisogno di...

–Kyle, sei libero adesso? Vorrei tanto togliermi lo sfizio di farlo con te nel letto mio e di Keith!

Il suono del campanello le parve una melodia salvifica. Controllò il proprio aspetto nello specchio accanto alla porta e accolse con un sorriso a trentadue denti il suo cavalier servente dagli addominali d'acciaio.

Kyle non perse tempo: la baciò con veemenza, chiuse la porta con un calcio e quasi le strappò di dosso la striminzita sottoveste cremisi (abbinata alle autoreggenti) che aveva indossato al posto della tuta d'ordinanza.

La Bishop non protestò, sebbene fosse contrariata: se Keith era eccessivamente delicato e la trattava come una statuetta di porcellana, Kyle aveva il difetto di essere a tratti animalesco; la privava del gusto della seduzione, qualcosa per lei fondamentale in un rapporto, occasionale o fisso che fosse. Una vocina interiore le fece notare che forse, la mancanza di entusiasmo indicava che l'eccitazione del proibito stava scemando, lasciando il posto alla meccanicità. Per il proprio piacere mise a tacere quella vocetta fastidiosa e decise di godersi quelle labbra esigenti, quel tocco rude e l'irruenza del suo personale “uomo delle caverne”. Sapeva che un giorno si sarebbe stufata definitivamente di lui e sarebbe tornata dal suo amato, ma non era quello il giorno.

Il trillo del campanello echeggiò nuovamente per la casa, con tempismo perfetto: Kyle stava rivestendosi, e Connie - tornata coi piedi per terra dopo essersi librata nel paradiso del piacere - si stava assicurando che non lasciasse tracce del suo passaggio. Gli intimò di tacere (–Fingi di non esistere, puoi?), corse ad aprire e, con un misto di sorpresa e curiosità, fece accomodare Abigail e Bridget, quest'ultima visibilmente compiaciuta.

–Scusa il disturbo, Connie, ma sei l'unica che può aiutarci.

–Oh, nessun disturbo!- mentì, intimorita dallo sguardo penetrante di Bridget. Le sembrava di venire passata sotto i raggi X. –Anzi. Ero qui, tutta sola, a cercare disperatamente di superare il dannato blocco dello scrittore...

–Sola? A scrivere?- domandò Abigail, storcendo il naso alla vista della vestaglietta striminzita che lasciava poco o nulla delle curve di Connie all'immaginazione.

–Se vuoi, possiamo ripassare. Sei, ehm, con... Keith?

La giovane donna dovette rendersi conto dell'imbarazzo che aleggiava, infatti sbuffò –Chiariamo alcuni punti. Primo: siamo tra donne, non è niente che non abbiate in dotazione pure voi, perciò non scandalizzatevi. Secondo: in televisione si vede di peggio. Terzo: posso ancora permettermi di accogliere il mio fidanzato vestita da casalinga sexy, invece che da casalinga e basta. Avete altre domande, o l'interrogatorio è finito?

–Finito.

–Bene. Allora, in cosa posso esservi utile?

–Come immagino saprai, il tredici Faith compie... beh, spegnerà una candelina in più- disse Abigail. –Ora, siccome ci ha dato carta bianca per organizzare i festeggiamenti, abbiamo pensato a qualcosa di originale...

–Io l'ho pensato, Ab, riconosci i miei meriti- precisò Bridget con sussiego. –Sempre stata accentratrice, anche al liceo. Ricordo...

–Glielo racconterai un'altra volta, adesso vai dritta al punto- la rimbeccò l'amica.

–Oh, sì. Giusto. Dunque... la mia mente geniale ha realizzato che le feste a tema sono simpatiche, ma superate. Serve qualcosa di fresco, che piaccia alla festeggiata, così mi sono chiesta: “Cosa le piace?”, e la risposta... ci ha condotte qui- Connie la esortò a proseguire. –Siccome il baby shower è di là da venire, e la sua vita non ruota intorno al moccioso, ho brillantemente pensato che Faith divora i libri, in particolare i gialli, perciò quale modo migliore per festeggiare di... un compleanno con delitto? Sulla falsariga delle cene, però senza attori: un intricato caso da risolvere, delle squadre, biglietti con enigmi vari le cui soluzioni sono indizi... uhm, in questo potrebbe darci una mano Adam...

–Se ho ben capito, vorreste che vi creassi una storia originale da usare per la serata- la interruppe Connie, accigliandosi quando le altre due annuirono. –Mi piacerebbe aiutarvi, ma, come ho detto, sono in pieno blocco creativo. Non riesco a produrre mezza sillaba decente, figurarsi un'intera storia! Adesso, se volete scusarmi....

Determinate a regalare alla loro amica una festa memorabile, le due non demorsero, insistendo con Connie sull'essenzialità del suo ruolo. La discussione, per colpa della cocciutaggine di entrambe le parti, proseguì finché Bridget, allenata a cogliere certi dettagli, non cinguettò –Ci aiuterai, tesorino, eccome se ci aiuterai... altrimenti Keith saprà che, quando non c'è, ricevi visite.

–Non è geloso al punto di impedirmi di avere una vita sociale- ridacchiò la bionda.

–Visite maschili- precisò Bridget, sconvolgendo Abigail e la padrona di casa, che sbiancò e boccheggiò, prima di recuperare autocontrollo sufficiente a replicare –Come ti permetti di insinuare...?

–Sai con chi stai parlando?- ribatté la “divorziata di professione”. –Ho avuto più uomini che borse - credimi, questo sì che è tutto dire! - riconosco i segni di una presenza maschile, e il fatto che lo tieni nascosto conferma che non si tratta di Keith.

Abigail strabuzzò gli occhi, scandalizzata: a giudicare dalla reazione della scrittrice, Bridget aveva fatto centro! Non riusciva a capacitarsene: seppur consapevole di peccare d'ingenuità, continuava a credere fermamente nel “per sempre felici e contenti”; secondo lei era avvilente che una coppia apparentemente solidissima celasse tante di quelle crepe da far supporre che si tenesse insieme per magia.

“Da quando i sentimenti hanno perso valore? Perché?”

–T-Tu... l-lui... oh, santo cielo!- esalò.

–Non osare giudicarmi!- sbraitò la Bishop, piccata. –Nessuno può!

–Nessuno lo sta facendo- le assicurò Bridget, scoccando un'occhiata raggelante all'amica, che a sua volta stava fissando Connie con evidente disapprovazione.

–Lei sì!

–Vuoi forse darmi torto?- sbottò Abigail. –Non solo tradisci Keith - che, poveretto, proprio non se lo merita - lo fai in casa vostra! Sei... sei... inqualificabile! Non aggiungo altro per non scadere nella volgarità.

–Oh, beh, certo, non sia mai che Mrs. Perfettina si sporchi la boccuccia!- ribatté l'altra, offesa.

–Mrs. Perfettina adesso ti cambia i connotati, stronzetta!

A contribuire all'imbarazzo di Connie provvide Kyle, il quale, attirato dal tono poco amichevole della discussione, la raggiunse (coperto soltanto dai pantaloni) per accertarsi che non scoppiasse una rissa.

–Tutto a posto, dolcezza?

Abigail e Bridget, colme di stupore, esalarono all'unisono –Kyle? Tu... lei... voi...

–Sì, anche lei ha subito il fascino della tartaruga magica. Qualcosa in contrario?- rispose lui senza scomporsi, neppure di fronte alla gelida furia di Connie che sibilò –Quale parte di “Fingi di non esistere” non ti è chiara?

–Ehi, non c'è niente di cui vergognarsi: nessuna resiste alla tartaruga magica.... esclusa Abby, ma lei non fa testo- l'interessata mugugnò un commento astioso. –Sarebbe venuto fuori, prima o poi, meglio che le prime a scoprirlo siano state loro: sono mie amiche, mi vogliono bene, non faranno nulla che possa mettere a repentaglio il mio posto sicuro. Vero?

Le due, messe alle strette dal vile ricatto morale, si scambiarono un'occhiata d'intesa e sospirarono in coro –Dipende dalla... disponibilità della tua “amica di letto”.

–Immagino di non avere altra scelta- asserì Connie a braccia conserte. –Avete vinto: cedo al ricatto. Sebbene non possiate provarlo, mettere la pulce nell'orecchio a Keith sarebbe sufficiente a rendermi la vita impossibile!

–Immagini bene- rispose Abigail, disposta a sorvolare sul tradimento, a patto che la scrittrice si dimostrasse utile. –Facci sapere per tempo cosa ci servirà, dobbiamo preparare la scena del crimine!

–Togliamo il disturbo, non vogliamo sottrarre altro tempo al vostro... divertimento- celiò Bridget, prima di chiudersi la porta alle spalle. –Grazie ancora per l'aiuto!

***

Erin Campbell stringeva il pugno senza avere il coraggio di bussare. Dubitava di aver mai avuto tanta paura in vita sua, forse nemmeno quando le era stato affidato primo paziente.

“Il povero Willy Sanders, un grave PTSD. Il primo paziente non si scorda mai!”, pensò, prima di maledire chi aveva suggerito che fosse lei a fornire la consulenza psichiatrica per un candidato a uno studio clinico, visti lo stretto rapporto col medico che se ne stava occupando. “Visto il non-rapporto sarebbe più corretto. Merdaccia nera, non potevano mandare qualcun altro?”

Tempo un ultimo sbuffo autocommiseratorio e bussò alla porta.

–Avanti.

La voce cavernosa dell'uomo la riportò alla realtà; appellandosi a tutto il suo coraggio, si schiarì la voce, entrò nella stanza e disse –Ciao.

–Buongiorno... dottoressa Campbell.

Ferita, Erin ripeté –D-Dottoressa C-Campbell?

–E' il tuo titolo, se non erro- rispose lui. –O hai perso qualche rotella anche tu e l'hai dimenticato?

–Gradirei un po' di rispetto per la mia professione!- ringhiò lei, desiderando ardentemente strozzarlo.

–Guadagnatelo- sputò risentito Christopher, gettandole con noncuranza la cartella. –Ecco le informazioni sul paziente, fanne buon uso.

Erin, le cui doti non includevano i riflessi pronti, non riuscì a intercettarla prima che finisse sul pavimento, quindi fu costretta a raccogliere i fogli sparsi. Senza degnarlo di uno sguardo, li riordinò e, chiedendosi come avessero fatto a cadere così in basso, barrì –Sei fortunato che non ti avveleni con i barbiturici!

In cerca di conforto, si diresse dall'unica persona che poteva ragionevolmente odiare Chris quanto lei: Franz Weil.

Il patologo, ignaro del ciclone che stava per sconvolgergli la giornata, stava tranquillamente fissando in formalina un campione di intestino, prima di affettarlo nel microtomo. Quando un collega lo avvertì che “una psichiatra sull'orlo di una crisi di nervi” stava piantonando l'ingresso al laboratorio, capì immediatamente che doveva essere lì per lui.

“Grandioso”, pensò, scocciato, “Adesso mi tocca pure il ruolo di spalla su cui piangere. Scheiße!”

Sforzandosi di non lasciar trapelare il proprio malcontento, balbettò –Ehm... s-stai b-bene?

–Ora capisco perché non hai scelto una branca clinica: non sai porre le domande giuste- rispose lei, asciugandosi gli occhi, in assenza di alternative, col bordo del camice. –Prima regola del bravo medico: mai - sottolineo, mai - chiedere a una persona se sta bene; se è venuta da te, è ovvio che qualcosa non va.

–Beh... sì. Giusto. Avanti, spara: cosa è successo di tanto grave? Hai perso il DSM? Non è qui.

–Idiota!- latrò lei, colpendolo con la versione tascabile del suddetto testo. –Ho parlato con Chris, poco fa, per la prima volta da quando ci siamo lasciati.

–Da quando tu l'hai lasciato- precisò Weil, grattandosi il mento coperto da una corta peluria.

–Dettagli! E' stato comunque devastante!- controbatté Erin.

–Sarà pure un dettaglio, ma non di poco conto: prima lo molli, poi ci ripensi?

–Perlomeno io l'ho lasciato libero per un buon motivo, non come te, che hai abbandonato due persone in un colpo solo perché ti cagavi sotto alla prospettiva di diventare padre!

Comprese di aver colpito un nervo scoperto: Franz diventò livido, socchiuse gli occhi, si morse un labbro, infine disse –Non so tu, Campbell, ma io non ho il privilegio della colonna sonora che mi avvisa quando sto commettendo un errore. A parte gli stupidi, tutti sbagliamo per un buon motivo. Il problema è che quel motivo è buono solo per noi.

Erin, colpita dalla saggezza di quelle parole, sbuffò, buttandola sul ridere –Lezioni di vita dal dottor Weil: la ciliegina a completamento di una giornata da dimenticare!

–Piantala, non sopporto le regine del dramma- gnaulò lui, arricciando il naso. –Se hai qualcosa da dire, parla ora o taci per sempre.

–Non siamo a un matrimonio!- osservò Erin. –Anche se mi hai fatto ricordare di quello di Maggie: stiamo scommettendo su... praticamente tutto: periodo, location, abito, invitati... persino il meteo!

–Lo so. Quello scellerato di Jeff mi ha obbligato a puntare dieci sterline sul grosso, grasso matrimonio irlandese in estate- esalò, provando una punta di rammarico per quei soldi sprecati (forse Faith non aveva tutti i torti nel definirlo tirchio). –Onestamente ci spero, non soltanto per la soddisfazione di vincere: mi piacerebbe tornare nella verde Irlanda- il tono divenne improvvisamente nostalgico. –Avevamo pensato di trascorrerci parte delle ferie, io e Faith... ci andrà con qualcun altro.

–Ehm... ammetto che abbiamo - io, Meg, Diane, Eva, Jeff, Josh e Rajiv - spinto Faith verso, beh, Marcus, ma eravamo mossi dalle migliori intenzioni: tu le avevi voltato le spalle e lei aveva bisogno di sostegno, è dura affrontare una gravidanza da sola!- pigolò Erin.

–La strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni- asserì Franz. –Tranquilla, non me la prendo: sono stato io a posare la prima pietra, l'ho capito grazie a un pugno in faccia e uno morale.

–Sì, ho saputo del tuo... incontro ravvicinato con le nocche del mio orsacchiottone. Cioè, di Christopher.

–Incontro ravvicinato? Mi ha messo k.o.! All'inizio ero incazzato nero con lui, poi, pian piano, ho compreso che il suo è stato un atto di coraggio: serve fegato per affrontare gli amici. Spero di avere altrettanto coraggio per rispedire da dove è venuto un certo gonfia-tette di mia conoscenza....

–Lo stesso che dovresti avere per chiarirti con Chris- chiocciò Erin. –Ti manca, e so che anche tu gli manchi. Lo conosco bene: lo trattiene solamente la vergogna per averti quasi rotto il naso.

–Cosa trattiene te, invece?- le chiese Weil, fremente di curiosità, acuita dalla reazione di difesa della psichiatra, che arretrò, sgranò gli occhi e si coprì il petto con le braccia.

–Ehm... niente.

–Spiacente, non mi freghi. Mio fratello, non so se l'hai conosciuto- la Campbell fece segno di no –Peccato, è un tipo simpatico. Comunque dice sempre che esistono due tipi di “niente”: maschile e femminile. Il tuo è decisamente femminile: il vero significato è “gran casino di cui non mi va di parlare”.

–Prometti di non rivelarlo ad anima viva, men che mai a Chris- mormorò Erin. –Ho violato regole etiche, deontologiche, forse addirittura la legge. L'ho lasciato perché non riesco più a guardarlo negli occhi senza sentirmi una persona orribile. Sono una persona orribile!

–Oh, andiamo, mica sei una criminale! Cos'hai fatto di tanto terribile? Spese folli con la sua carta di credito?

–Ho nascosto i risultati dello spermiogramma- confessò lei, arrossendo.

Sbigottito, Franz rimase a bocca aperta per circa un minuto, prima di balbettare –T-Tu... t-tu.. h-hai... C-Chris...

–Immaginavo non te l'avesse detto, è stato quasi umiliante per lui. Visto che ogni tentativo di concepire andava a vuoto, ho insistito per affrontare il problema nel modo che avremmo suggerito a un paziente qualunque... solo che non ero preparata al responso- piagnucolò. –Non ero preparata a scoprire da un esame di laboratorio che sono io il problema, quella difettosa. Ho visionato i risultati al suo posto, nascosto il cartaceo e cancellato la mail. L'ho lasciato libero di cercare chi può realizzare il suo desiderio di paternità, dato che io non posso.

–E' una follia! Invece di parlargliene, trovare insieme una soluzione alternativa... vi amate, cazzo, è assurdo che stiate lontani!

–Il vero amore, a volte, è quello che sacrifica se stesso. Se vedrò Chris felice, lo sarò di conseguenza.

–Non sono un esperto in materia di sentimenti, ma credo di non sbagliare prevedendo infelicità per tutti e due, se non rimedi subito alla cazzata che hai fatto. Oltretutto è incredibile che lui non abbia sospettato nulla!

–Gli ho detto che i valori erano bassi, e poi l'ho mollato, anche se avesse avuto il tempo di sospettare... sai com'è Chris: si fida incondizionatamente.

“Ehm... sì, effettivamente sei davvero imperdonabile, ma hai la fortuna di confessarti con l'ultima persona al mondo che potrebbe permettersi di giudicarti.”

–Onestamente? Meriteresti un viaggio di sola andata per l'Antartide a suon di calci nelle chiappe- rispose Franz. –Ma non spetta a me darteli. Permettimi, però, di darti un consiglio: comportati da adulta e fatti punire da chi ne ha il diritto. Sai com'è fatto: perdona tutti, incondizionatamente... soprattutto chi crede di non meritarlo.

***

Soltanto il profondo affetto che lo legava ai cugini aveva indotto Adam a portare con sè i loro figli nella doverosa sessione di shopping natalizio, conclusa con successo.

Sventolando trionfante la busta contenente pacchi e pacchetti, chiese –Che ne pensate? Keith mi ha aiutato a scegliere bene?

–Keith no, io sì!- gorgheggiò Kaori con sussiego.

–Ma se hai preso solamente cose per te! Secondo me potevi farteli da solo i regali, zio- replicò Aidan James, fiero delle sgangherate decorazioni di forme diverse che aveva prodotto lavorando la pasta di sale con le sue mani; non aveva tralasciato nessuno: una per il papà, una per ciascun nonno, una per ciascuno zio e per i padrini. Nonostante l'aspetto a dir poco obbrobrioso, nessuno aveva avuto cuore di rifiutarsi di appenderle al proprio albero di Natale. –A me mi piacciono di più i regali non del negozio.

–“A me mi” è scorretto, AJ. Si dice “mi” o “a me”, non entrambi- sospirò stancamente Adam, infastidito dai persistenti errori grammaticali del nipotino. A giudicare dal sorrisetto furbesco e dalle lodi che tessevano di lui le maestre, probabilmente lo faceva apposta per irritarlo. “Razza di piccola peste... degno figlio di suo padre!”

–Levami una curiosità, amico... si arrotonda bene facendo il baby-sitter?- scherzò Keith, batté il cinque con i bambini ridacchianti, poi aggiunse –Oh, su, non mettere il broncio: te la sei cercata, hai tediato me e queste creature innocenti- alla vista dell'espressione malandrina di Kaori, Adam stralunò gli occhi –Per raggiungere i tuoi loschi scopi, alias scovare il regalo perfetto per la tua rossa... e non mi riferisco a Momo. Ti abbuono gli insulti solamente perché sono troppo buono: la nostra lentigginosa amica merita un dono che la ricompensi delle pene che sta patendo per colpa tua.

–Perché fai soffrire Nicky, zio? E' così simpatica!- lo sgridò Kaori.

–Non è vero, è Keith che dice stupidaggini! Chiudi il becco, Keith!

–Chiudi il becco? E' questo il ringraziamento per averti evitato una pessima figura con la tua rossa preferita? Ancora, non mi riferisco a Momo. Quando si tratta di demolire il buon gusto di noi maschietti, il gentil sesso perde tutta la proverbiale gentilezza! Pagherei per una fidanzata pragmatica - o spoetizzante, a seconda dei punti dei vista - quanto la tua.

–Pagheresti perché Connie ti dicesse in anticipo cosa desidera per Natale, privandoti dell'imbarazzo della scelta? Sul serio? Trascorrere un pomeriggio intero a scervellarsi per una donna non è poi tanto male!- abbaiò Adam, quindi, preoccupato per il palese terrore dei piccoli, si affrettò a smentirlo. –Non dategli retta, è fidanzato con un limone- Aidan e Kaori lo fissarono con educata perplessità. –La sua ragazza è un concentrato di acidità, ma non sono tutte così. Un giorno, quando sarete grandi, incontrerete la vostra persona speciale, che apprezzerà qualsiasi premura semplicemente perché viene da voi, che ama.

Kaori gli rise in faccia e disse che le sembrava di sentire sua madre (il che, dal suo punto di vista, non era certo un complimento), Aidan, invece, aggrottò la fronte in un'espressione d'intensa concentrazione, infine commentò –Non c'ho capito niente, ma mi è piaciuto l'insieme. Molto... come si dice.... poetico!

Keith scoppiò a ridere sguaiatamente, divertito dalla risposta di un marmocchio che andava ancora all'asilo, eppure era capace di rispondere a tono a un adulto.

–Voi- li indicò –Potete venire a lavorare per me quando volete! Dio solo sa se non ci sono fin troppe teste di ca... ppero nell'editoria!

–Cos'è un cappero?- chiese Aidan.

–Credo sia... il frutto di una pianta- rispose lo zio. –Si usa in cucina, dà sapore ai piatti. Ora muoviamoci, dobbiamo riportare Kaori da sua madre, sai quanto la zia Abby tenga alla puntualità.

A conferma dell'affermazione di Adam, Abigail li stava aspettando sul pianerottolo, tradendo la tensione attraverso un ritmico movimento oscillatorio del polso adorno di un luccicante orologio-gioiello. Adam e Aidan furono felici di sfuggire ai suoi rimproveri per i dieci minuti di ritardo propinandole la scusa che la cena era ormai pronta, e si affrettarono a casa. Brian, con un entusiasmo falso come una moneta da tre sterline, al vederli balzò in piedi, stritolò il figlio in un abbraccio soffocante, cianciò futilità sulla cena, poi, cercando di apparire il più naturale possibile, si schiarì la voce e sganciò la bomba.

–Ha telefonato tua nonna, poco fa: ha ultimato l'albero, domani, dopo la scuola, puoi andare a vederlo. Contento?

–Issimo!

–Ne sono lieto. Ehm, ecco... sempre a proposito del Natale... quest'anno avremo con noi un ospite speciale.

–L'hai notato, AJ? Fa rima!- osservò Adam, fulminato sul posto da un'occhiataccia del cugino.

Contrariamente all'atteso, Aidan non chiese di chi si trattava, bensì –Perché?

–C-Come sarebbe a dire, perché?

–Perché questo ospite vuole passare il Natale con noi? Perché viene a un pranzo solo per la famiglia? Perché è speciale? Perché me lo dici solo adesso? Perché...

–Ehi, ehi, ehi! Piano! Frena!- lo fermò Brian, travolto da quel fiume in piena. –Il tuo vecchio non riesce a rispondere a più di una domanda per volta. Io e i tuoi nonni non eravamo entusiasti, però questa... persona... ha insistito tanto che alla fine abbiamo acconsentito. Desidera conoscerti, passare del tempo con te, ci ha praticamente pregati di aggiungere un posto a tavola, anche se non è di famiglia. Ha promesso di portarti un regalo, sai?

Nonostante la maturità, Aidan era comunque un bambino di cinque anni; la menzione di un regalo tutto per lui bastò a tacitare qualunque pensiero diffidente.

–Se il dono è... come si dice... adeguato, mi sta bene che viene questo tizio- dichiarò.

–Che venga questo tizio, AJ, in questi casi si usa il congiuntivo. Comunque il tizio, in realtà, è... una tizia- lo corresse il padre, preparandosi a sganciare la seconda bomba, la peggiore.

Il pargolo cominciò a saltellare felice, battendo le mani, e trillò –E' Tess? Evvai!

–Ehm... no, AJ, non è Tess.

–Uhm... una donna non di famiglia che non è Tess... hai una fidanzata, papà? Mi fai conoscere la tua fidanzata?

Coloratosi di una tonalità di rosso simile a quella del vino, Brian, tormentandosi le mani, rispose –Non è la mia fidanzata, AJ. E' tua madre.

***

Il tredici sera, contrariamente ai pronostici, non piovve: l'aria era gelida, ma il cielo terso, e un'allegra combriccola poté darsi alla pazza gioia senza pensieri.

–La soluzione è... atropina!- ruggì Faith, sommersa dagli applausi quando Connie, che reggeva le fila del gioco, confermò che era esatta, quindi la loro squadra, l'unica interamente al femminile, guadagnava due punti.

–Dai, ragazze, adesso conosciamo l'arma del delitto, aumentiamo il nostro vantaggio!- le spronò Abigail.

–Godetevela finché potete, femminucce, tanto rimonteremo!- le schernì Demon, con l'unico risultato di accrescere la loro determinazione.

–Demon caro- lo rimbeccò Bridget –Non illuderti di offenderci: noi siamo femminucce!

–Risparmiate la competitività per la gara- li richiamò all'ordine Connie. –Il “Giallo Mimato” richiederà tutti i vostri neuroni. Ogni componente di ciascuna squadra mimerà il titolo di un romanzo giallo famoso, e gli altri dovranno indovinare. Tutto chiaro? Cominciamo!

Un'ora, molte birre e diversi colpi di scena dopo, giunsero al pareggio: disponevano dei dati della vittima - un'arzilla signora avanti negli anni con la passione del volontariato - gli alibi dei sospettati - piuttosto deboli, come si conveniva a un giallo intricato - le analisi di laboratorio, e adesso anche l'arma del delitto... mancavano soltanto movente e colpevole.

Alla fine, nonostante gli sforzi, la squadra di Demon, Jeff, Josh e Rajiv vinse, battendole sul tempo.

–Il colpevole è Curtis: ha ucciso la madre per impedirle di modificare il testamento, usando l'atropina sottratta di nascosto dalla farmacia della moglie!- esclamò Jeff, pavoneggiandosi.

–Sapeva che sua madre l'assumeva per il disturbo oculare di cui soffriva, quindi sarebbe stato logico pensare a una distrazione.

–Il medico legale, però, ha notato il foro lasciato dall'ago e l'ha fregato.

Abbattuta dalla sconfitta, Abigail sussurrò malevola alle amiche –Ma che carini, completano uno le frasi dell'altro... come i Chipmunks!

L'arrivo della magnifica torta - inutile dirlo, creazione di Melanie - interruppe sul nascere la conversazione (o meglio, il torrente di rimproveri che le avrebbero riversato addosso Faith, Bridget e Maggie).

–Esprimi un desiderio, festeggiata!- urlò Rajiv, dopo essersi sgolato insieme agli altri in una versione stonata di “Tanti auguri”.

–Un bel soffio cazzuto, troietta! Spegni tutte le candeline in un colpo solo!- gridò Diane con la consueta “raffinatezza”.

La Irving obbedì ( non le costò molto sforzo: le candeline erano due), dopodiché, placati gli applausi e le esclamazioni di giubilo, mentre Melanie tagliava le fette, fu lieta di rispettare un'altra tradizione, richiesta a gran voce dalla platea: il famigerato discorso.

–Vi chiedo scusa in anticipo per il mare di stronzate che ascolterete. Spero per voi che siate abbastanza sbronzi da dimenticarle entro domani. Innanzitutto grazie per essere venuti - vi vieto nel modo più assoluto di fare battute sul doppio senso... Bridget! Sei incorreggibile! - un compleanno è solamente l'addio a un pezzo di giovinezza che sparisce per sempre, se non hai amici pazzi con cui festeggiarlo. Grazie per aver reso fantastico questo giorno, in barba alla superstizione sul venerdì tredici - di nuovo: niente battutine, per favore. Bridget! Ancora tu! - vi chiedo di fare un applauso a Melanie, che ha preparato la torta, e a Connie, che ha perso tanto del suo prezioso tempo ad architettare il divertentissimo intrattenimento della serata.

–E' stato un piacere, tesoro- cinguettò la scrittrice. –Meritano un applauso anche Abby e Bridget: è stata loro l'idea di coinvolgermi.

–Beh, sì- celiò Abigail, rivolgendo a Connie e Kyle un'occhiata penetrante –Ma tu ti sei prestata, dimostrandoti tanto disponibile!

A Kyle, sconvolto dalla faccia tosta di Mrs. Cartridge, andò di traverso un sorso di birra e per poco non soffocò.

–Allora, F, come ci si sente all'ingresso della trentina?- chiese Andrew Dixon, che li aveva compiuti tre mesi prima.

–Non si svela l'età di una signora, Drew!- lo rimbeccò sua moglie Evangeline.

–Faith non è una signora- rispose lui, immediatamente aggredito dalla piccola folla di erinni inferocite, alias la componente femminile degli invitati. –Non intendevo... oh, insomma! Quello che intendevo è semplicemente che Faith è single, quindi signorina, perciò smettetela di darmi addosso!

–Riformulo la domanda- si offrì Jeff. –Come ti senti con un anno in più sulle spalle, cara mia?

–Uhm... una cariatide?- esclamò lei, per poi scoppiare a ridere. –Oddio, non lo so! Per certi versi sento che nulla è cambiato, per altri una nuova Faith ha soppiantato quella vecchia. Per quanto mi riguarda, può restare dov'è, non mi manca, nemmeno un po'- accarezzò distrattamente il ventre gravido, non abbastanza sporgente da attirare troppo l'attenzione. Le dimensioni ridotte della pancia, non classificabile come pancione, l'avevano preoccupata, ma la dottoressa Meigs aveva dissipato le sue angosce: seppure ai limiti minimi, erano compatibili con l'età gestazionale - cinque mesi - così come le dimensioni del feto.

Durante i minuti successivi gli unici rumori udibili furono il tintinnio delle forchette sui piattini e i versi di apprezzamento per il delizioso dolce.

–Mmm... superlativo- mormorò appagato Jack Wilkinson. –Ti sei superata, Mel. Peccato che Marcus non sia qui.

–Era impegnato- spiegò Faith, stupendosi della nota annoiata nella propria voce. L'ex che aveva da poco ripreso a frequentare - e che l'aveva accompagnata all'ecografia e alla prima lezione del corso pre-parto - aveva preferito il suo lavoro a lei: avrebbe dovuto essere arrabbiata, furiosa, indignata, non annoiata. –Ma ha promesso di passare a farmi gli auguri di persona non appena si libererà. Sapete come sono le fanatiche della chirurgia estetica...

–Che sfiga: lavorare il venerdì sera! Povero Marcus!- gnaulò Abigail, in un tono che insinuava senza ombra di dubbio quanto più probabile ritenesse che il chirurgo fosse occupato in attività di tutt'altro genere.

–Il lavoro è lavoro. Il medico, poi, deve eliminare la parola “festa” dal vocabolario: purtroppo le malattie non vanno in vacanza- ribatté la festeggiata in un tono che non lasciava spazio a repliche. –Ora basta parlare degli assenti, è il mio momento. Dove sono i regali?

Al termine della baldoria fece ritorno a casa. Tra uno sbadiglio e l'altro salì in ascensore fino al terzo piano, estrasse la chiave dalla borsa - destreggiandosi tra le buste - la infilò nella serratura e la girò lentamente per ridurre il rumore al minimo. Non poteva saperlo, ma quegli sforzi erano vani: i signori Irving erano già svegli, come apprese nel momento in cui sua madre la salutò con la mano.

–Ma che caz...

–Modera il linguaggio, signorina!- la redarguì Rose.

–Scusa tanto se mi è partita un'imprecazione: entro e ti trovo alzata ad aspettarmi, manco avessi dieci anni!

–A dieci anni eri più matura- soffiò Mrs. Irving. –Ti sei divertita, almeno?

–Molto- rispose Faith, annuendo, quindi le mostrò i regali. –Ho racimolato un bel bottino, tutto sommato.

–Consideralo un compenso per la sfiga di essere nata sotto Natale: ricevi un solo regalo, ma vale per due- asserì Rose mentre riponeva un paio di orecchini che già pensava di rubare alla figlia.

–Papo dorme?

–Macché!- sbottò la madre. –E' di là in cucina con... beh, qualcuno venuto a farti gli auguri di persona. Ha insistito per restare, faceva così tenerezza... non potevamo cacciarlo!

–Teoricamente sì: è casa vostra. Ok, vado a sottrarlo alle grinfie di papà incacchiato.

***

–Grazie dell'ospitalità. Mi dispiace di essere piombato qui a un'ora indecente, ma...

–Tranquillo- sbadigliò il dottor Irving, asciugandosi i baffi bagnati dall'orrido succo di kiwi preparato da sua moglie in barba alle lagnanze degli assaggiatori (cavie). La donna, convinta che la salubrità della bevanda bastasse a migliorarne il sapore, lo propinava a familiari e malcapitati ospiti; quella notte non fece eccezione: aveva osato offrirlo come alternativa a caffè (l'ora era troppo tarda) e tè (troppo scontato: non erano la parodia di una famiglia inglese, loro!). –Ci sono cose che non si posso rimandare, per tutto il resto... c'è il sabato! Ronferò come un ghiro domattina.

–Sicuro valga la pena di aspettare? Potrebbe essersi fermata a dormire fuori...

–Ne dubito- lo contraddisse l'uomo più anziano. –Faith condivide, anche se non lo manifesta, metà del patrimonio genetico con mia moglie. Ora, ti pare che la figlia di Führer Rose dormirebbe fuori casa senza il suo cuscino, il suo pigiama, le sue pantofole, il suo spazzolino da denti? Accetta a stento di farsi prestare una penna, figurarsi oggetti tanto intimi!

I due si scambiarono un'occhiata complice prima di ridacchiare dell'attenzione quasi ossessiva per l'igiene di Rose e Faith.

La lupa in fabula apparve poco dopo, arricciò le labbra e sbuffò –Vengo a liberare il prigioniero. L'hai trattato bene?

–Benissimo- rispose quello, sollevando la tazza nella sua direzione.

Se gli sguardi avessero potuto uccidere, Weil sarebbe morto stecchito.

Calò un silenzio di tomba. Al dottor Irving, fanatico di western, l'atmosfera ricordò quella che precedeva i duelli, quando i contendenti, chiusi in una muta concentrazione, si fronteggiavano - muscoli tesi e mano sulla fondina - pronti a scatenare l'inferno al segnale convenuto.

–Tu?- esalò lei, puntandogli contro un indice accusatore. –Non è possibile! Sei un'allucinazione! Un incubo! Un alieno mutante!

–Perdi colpi, meine liebe: non ne hai azzeccata una! Sono reale quanto te. Oh, quasi dimenticavo: buon compleanno.

Adirata, Faith si rivolse al padre, strattonandolo mentre ululava –Iscariota d'un Giuda! Dopo quello che questo maledetto mi ha fatto te ne stai beatamente a bere con lui come vecchi amici! Dovresti farlo sbranare dai cani!

–I cani avevano già mangiato, Tartarughina- replicò il dottor Irving, desiderando - come nei saloon era affisso il cartello “Non sparate sul pianista” - avere appeso al collo il cartello “Non strapazzate il papà”. –Scherzo, naturalmente. Non credere che non mi sia passato di mente, ma - e tua madre concorda - credo che voi due abbiate bisogno di un confronto. Non violento, possibilmente. Franz ti ha teso una mano, dovresti dargli...

–Una seconda occasione? Col cazzo!- latrò Faith.

–Veramente volevo dire “ascolto”, poi se vuoi anche dargli un'altra possibilità, fatti tuoi- obiettò suo padre.

La sicumera medica prevalse sul buon senso di Franz, che si azzardò a pronunciare una frase talmente inopportuna da fargli meritare il Nobel per la stupidità.

–Ti suggerisco di non arrabbiarti: i rialzi pressori sono dannosi per il feto.

“No. Non ci credo. Non può averlo detto davvero. Ippocrate e Paracelso, datemi la pazienza!”

–Con che faccia ti permetti di darmi consigli? Fanculo il feto! Fanculo tu! Fanculo l'universo! Ne ho abbastanza!- tuonò, per poi uscire di scena teatralmente, sbattendo la porta.

Rose si accasciò su una sedia e sospirò –Prima che me lo rinfacci, caro: i difetti li ha ereditati da me!- si girò verso Franz con le mani sui fianchi. –Beh? Che aspetti, la resurrezione di Merlino? Sbrigati!

***

Seduta a osservare la gente che passava sotto la finestra della camera da letto, Faith decise di farsi del male riascoltando la voce inespressiva di Marcus.

Una volta a casa, infatti, aveva scoperto che si era fatto vivo... con un misero messaggio in segreteria, col quale la avvisava che si sarebbero visti l'indomani perché troppo stanco.

“Troppo stanco? Oh, certo, registrare un messaggio in segreteria è una fatica immane! Meriterebbe d'ingerire candeggina, il bidonatore! Troppo stanco! Tsk! Quando capitai di turno la vigilia del mio compleanno, Franz mi portò una cioccolata calda con panna e un maxi cornetto con una candelina sopra... all'alba, perché il buon compleanno si vede dal mattino! Il principino Marcus, invece, è il migliore solo di cognome! Che si fotta!”

Pervasa da una rabbia bruciante, si avviò alla porta con passo strascicato, incapace di sopportare più a lungo l'insistente suoneria del campanello, che il suo patologo del cuore aveva preferito al trillo tradizionale.

–Non ti arrendi mai, eh?

–Diciamo che sono tenace.

–Sei una cozza, ecco cosa sei!

–Una cozza? Mi stai dando del mollusco?- ringhiò Franz, offeso.

–No, intendo che ti attacchi come la cozza allo scoglio- gli spiegò, spazientita; ci mancava solo che urtasse la sua sensibilità! –Cosa vuoi?

–Parlare.

–Di cosa? Del fatto che hai voltato le spalle alle tue responsabilità, a me? Oppure di come te la sei spassata alle mie spalle con chissà quante sgualdrine, mentre io sono costretta a portarmi appresso nostro figlio ovunque vada? Sì so anche questo, non credere di non dovermi qualche spiegazione. Quanto al tornare in casa mia - hai sentito bene, mia, non più nostra - arrivi tardi, non ho bisogno di te. Non abbiamo bisogno di te- sibilò Faith. –Ricordi cosa dissi? Che prima o poi saresti tornato da me strisciando, e sarei stata felicissima di chiuderti la porta in faccia. Non strisci, ma sono comunque felice di sbatterti in faccia la porta!

Il fragore assordò temporaneamente Franz, che scosse la testa e riprese a premere sul campanello con rinnovata determinazione. Quando era sul punto di cedere, insonnolito e col dito parestesico, udì la maniglia abbassarsi, e vide il volto di Faith fare capolino.

–Entra, prima che ci denuncino per schiamazzi- sbuffò, alzando gli occhi al cielo. –Beh, vuoi mettere radici là? Spicciati, potrei cambiare idea!

Note dell'autrice:

Che dite, Faith ha fatto bene a lasciar entrare in casa Franz? Non saprei... al posto suo lo avrei fatto soffrire ancora, ma non è detto che la nostra doc non gliela faccia pagare ugualmente. ;-)

Spero abbiate adorato Bridget in versione bastarda manipolatrice quanto me: Abby è una principessina viziata, ma B... lei sì che sa tirar fuori le unghie! Miao!

Forse, col pericolo imminente che Keith lo scopra, Connie troncherà definitivamente con Kyle, anche se la vedo dura: la tartaruga magica ha il suo innegabile fascino! Chi si offre volontaria per consolare Kyluccio? *si arma di bastone per tenere a bada la folla*

Se il dialogo tra Franz ed Erin vi ha commosse almeno un po', mi sentirò realizzata: in genere tralascio le parti che non fanno ridere perché non le sento nelle mie corde, e temo di scrivere boiate; stavolta, però, ho deciso di sperimentare. A voi lettori l'ardua sentenza: resto sul comico, oppure posso osare qualche altra parte più introspettiva/triste?

Concludo con qualche informazione di servizio: lo spermiogramma è un vero esame medico, in genere si consiglia alle coppie che vogliono procreare; tra i criteri per essere inclusi nei protocolli di sperimentazione c'è anche non essere affetti da patologie neuropsichiatriche, per questo Chris ha chiesto un consulto. Il DSM (attualmente alla quinta riedizione)è la bibbia delle malattie mentali (in particolare psichiatriche). Non c'è psichiatra al mondo che giri senza, praticamente fanno diagnosi leggendola là sopra. PTSD è l'acronimo inglese del Disturbo da Stress Post Traumatico (magistralmente esemplificato nel film “Taxi driver”) e sì, i campioni istologici si posso esaminare a fresco (lo so, sembra che si parli di pesce appena pescato) oppure dopo fissazione in formalina. Sembra noioso, forse lo è, ma provate a immaginare Franz superfigo col camice che armeggia con provette e vetrini... diventa più interessante, no? ;-)

La battuta sul cognome di Marcus, Best, è orrenda, ma l'italiano non consente il gioco di parole.

Purtroppo, quasi sicuramente questo sarà l'ultimo capitolo prima delle vacanze natalizie, forse addirittura l'ultimo dell'anno, perciò, con mooolto anticipo: auguri. Rilassatevi, divertitevi e abbuffatevi di buon cibo in allegria. :-*

Serpentina

Ps: grazie al mio papà per avermi dato l'idea della festa con delitto. Love u, dad! ^_^

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Christmas issues ***


Bentrovate, donzelle! :-*

Avete banchettato e scartato regali più o meno graditi? Avete brindato, piene di buoni propositi, al nuovo anno? Spero di sì, così come spero che questo capitolo natalizio vi piaccia e vi permetta di godere ancora un po' dell'atmosfera di festa, prima di ripiombare nella routine.

Grazie a tutti, ma proprio tutti, i lettori, sia di “Baby boom” che di “Dr. Irving”, grazie a Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92, elev, pat69 e soulscript, che hanno recensito, e a barbara71, sof13 e sophie2224, che seguono questa storia. <3 <3

Ho scelto questo pezzo come colonna sonora:

Christmas Issues

Se vale la pena rischiare, mi gioco anche l'ultimo frammento di cuore.

Ernesto “Che” Guevara

Faith sedeva scomodamente al tavolo della cucina, tamburellando con le dita sulla lucida superficie in legno.

What about us?” ripeteva il martellante ritornello del brano che stava ascoltando; sembrava scritto apposta per lei: cosa ne sarebbe stato di loro, di lei e del patologo del suo cuore?

“Tutta colpa di Franz”, pensò con astio. “E' sempre colpa di Franz”.

Si sentiva una stupida: perché l'aveva lasciato entrare? Aveva solamente complicato le cose... come se ce ne fosse bisogno! Avrebbe dovuto immaginare che avrebbe tentato di riprendersi la casa. Riconquistarla no - se i racconti di sua madre erano veri, ormai il suo amore per lei era morto e sepolto - era certa di non interessargli più, però il suo ex compagno redivivo non avrebbe mai rinunciato a un posticino caldo e comodo. Sbuffando, ammise che aveva architettato tutto alla perfezione: appena chiusa la porta si era gettato ai suoi piedi, abbracciandole le gambe (il bacino, data la circonferenza, era fuori dalla portata delle sue braccia) in religioso silenzio, poi, sempre senza proferire parola, si era alzato e le aveva accarezzato il viso... prima di baciarla. Sulla bocca. Con la lingua. Come se nulla fosse successo.

“E io non l'ho scansato! Cretina! Anzi, ho ricambiato. Sono persino scoppiata a piangere quando mi ha sussurrato all'orecchio che la maternità mi dona! Doppiamente cretina!”

Il torrente di imprecazioni mentali venne interrotto dall'arrivo del lupus in fabula, coperto soltanto dalle mutande a tema natalizio. Quella visione bastò a risvegliare gli ormoni galoppanti della Irving, dirottando i suoi pensieri verso lidi non proprio casti.

“Slip con alberi di Natale... in tema col tronco di pino che si ritrova... oddio, cosa vado a pensare? Lucidità, Faith! Lucidità!”

There's no sense, the fire burns. When wisdom fails, it changes all. The wheel embodies all that keeps on turning!”

–Bene alzato.

–Grazie- sbadigliò. –Buongiorno. Avevo dimenticato quanto fosse comodo il materasso.

–Farai meglio a non abituartici- sbottò Faith, puntandogli contro il cucchiaio –Non ci dormirai su per molto tempo. Non credere che la questione sia chiusa.

–Mamma mia, come siamo acide stamani!- ribatté Franz senza scomporsi. Si sedette di fronte a lei e prese un biscotto. –Hai qualche voglia?

–A parte quella di farti fare il giro del mondo in ottanta giorni a furia di calci nelle palle... no. Nessuna voglia.

–Si vede che stanotte le ho soddisfatte tutte- ridacchiò Weil. –Credevo che il marmocchio in cantiere sarebbe stato d'intralcio, invece quasi non mi sono accorto della sua presenza mentre...

–Tazze e bollilatte sai dove sono. Preparati la colazione da solo; devo vestirmi, o farò tardi al lavoro- sbuffò Faith, voltandosi per uscire, ma lui la trattenne, afferrandola per un polso, e le chiese –Sei pentita?

–Ti pare?- rispose, forse con voce più acuta del normale. –Sono semplicemente preoccupata perché, di nuovo, hai dimenticato di impacchettare Kaiser Franz, prima di darci dentro.

–Di cosa ti preoccupi? Che possa metterti incinta?- scherzò lui, picchiettando giocosamente sul pancione.

Mossa sbagliata: invece di mostrarsi divertita, la Irving gli afferrò la mano, conficcandovi con rabbia le unghie, e sbraitò –No! Mi preoccupo per la nostra- si coprì il ventre con la mano –Salute: chissà in quali buchi l'hai infilato, in questo periodo!

Franz si passò una mano sul volto, quindi sospirò –Ho capito: sei pentita.

–Di quanto è successo? No. Che sia successo con te? Sì.

Punto nell'orgoglio, il patologo non si trattenne più –Avresti preferito quel dannatissimo gonfia-tette, vero?

–Non offendere Marcus!- replicò Faith. –Non sarà la persona più buona al mondo, ma almeno mi è stato accanto, mentre tu ti davi alla pazza gioia in giro!

–Ho sbagliato, ok? Se avessi la macchina del tempo la userei, purtroppo l'ho prestata a Marty McFly e non me l'ha più restituita!- ruggì Franz.

The wheel embodies all. Where are we going?”

La Irving faticò a mantenersi seria e impassibile. –Ti prego, non recitare la parte della vittima, non ti si addice! Oltretutto, non ne hai il diritto: sei stato tu a lasciarmi, ricordi?

–Impossibile dimenticarlo- pigolò lui a testa bassa, incapace di guardarla negli occhi.

–Bene, perché farò in modo che questo ricordo rimanga indelebile- sibilò Faith. –Non illuderti: stanotte conta solo come tregua. Sconterai ogni notte insonne, ogni lacrima versata, ogni attimo di tristezza, ogni secondo trascorso lontano da qui, lontano dalle tue responsabilità.

I guess we should have known better!”

Che Franz l'amasse con tutto se stesso lo provò la sua risposta: pochi, di fronte a una tale dichiarazione di guerra, avrebbero avuto il coraggio di rispondere –Tranquilla, non mi aspetto che ammazzi un vitello grasso per banchettare in onore del mio ravvedimento. In qualunque modo vorrai colpirmi, lo merito.

Leggermente addolcita, la Irving sbuffò –Chissà che, alla fine, non riesca a meritare anche il mio perdono.

–Lo spero- pigolò Franz, avvolgendola tra le sue braccia. Sorprendentemente, Faith non si ritrasse. –Voglio starti accanto, non chiedo altro.

Si rese conto subito di aver detto qualcosa di sbagliato perché lei si allontanò all'istante, e ringhiò –Sei sempre il solito!

–Che c'è, adesso? E' forse un crimine voler stare con te?- sbottò, esasperato.

–E' il “te” che non va bene, Franz!- latrò Faith.

–Che diamine significa?

–Quando lo capirai, vorrà dire che sei davvero cambiato- gli spiegò, prima di posare un delicato bacio sulle sue labbra.

La osservò interdetto finché non sparì dal suo campo visivo, concludendo che sì, c'era un barlume di speranza, e valeva decisamente la pena di lottare affinché divampasse.

This is who we are, this is what we got. No, it's not our paradise, but it's all we want and it's all that we're fighting for... though it's not paradise.”

***

Monica, più che il Natale in sé, amava l'aria di festa: le luci, i colori, gli odori... ma, soprattutto, la corsa sfrenata alla ricerca dei regali perfetti.

Come ogni anno (da quando si conoscevano) sua fida scudiera nell'impresa era Connie, la quale, in barba al comune senso del pudore (per non parlare del buon senso), aveva acquistato nello stesso negozio sia il regalo per Keith che quello per Kyle - lo stesso, identico articolo per entrambi, in modo da non confonderli - arrivando addirittura a chiederle consiglio; la Hawthorne aveva dovuto mordersi la lingua per evitare una lite.

–Scusa, Nicky, ma tu hai già finito con i regali? Qui l'unica a spendere sono io!

–Mi mancano quelli per la famiglia... o meglio, i maschi della famiglia... cioè la quasi totalità della famiglia, se escludiamo le figlie di zio Axel- rispose la rossa. –Ho rimandato finché ho potuto perché è uno strazio cercare qualcosa da regalargli, mi sembra tutto banale, impersonale... fare compere per una donna è decisamente più semplice, c'è più scelta! Senza contare che i miei parenti hanno praticamente tutto: l'unico regalo che li lascerebbe sicuramente a bocca aperta sarebbe un cofanetto di film porno!

–Oppure un salottino privato in uno strip club- ridacchiò Connie di rimando. –Fossi in te, però, eviterei: i tuoi fratelli potrebbero pure apprezzare, ma a tuo padre verrebbe un coccolone!

–Preferisco rendere questo Natale indimenticabile in altri modi- asserì Monica, scrollando le spalle.

–Ehm... a proposito di regali e maschi... cosa hai preso ad Adam?- chiese una Connie fremente di curiosità.

–Calzini- rispose Monica, fiera di sé.

–C-Calzini?

–Esatto. Comodi, caldi calzini. I calzini non bastano mai... specialmente ad Adamino, che li consuma sulla punta.

La replica di un'allibita Connie venne stroncata sul nascere dallo stridulo, entusiasta quanto falso –Salve, Cornelia! E Nicky! Che splendida sorpresa! Vi siete date anche voi allo shopping selvaggio?

Nicky non si sforzò nemmeno di ricambiare il saluto, mentre Connie riuscì ad esibire un sorriso di circostanza e replicare –Ciao, Momo! Direi che, più che shopping, hai fatto razzie!

Momo la fulminò con lo sguardo, ma conservò il proprio contegno.

–Sapete com'è, con la carta di credito è più facile spendere... quasi non te ne rendi conto! Poi sono davvero indecisa su cosa portare nel freddo nord: non vorrei morire di freddo, ma sopporterei qualsiasi sacrificio pur di apparire impeccabile...

–F-Freddo nord? Vai in Scozia?- esalò Monica, assalita da un atroce dubbio.

–Non così a nord- rispose l'altra, sorridendo come non mai, trionfante. –Oh, Adam non te l'ha detto? Mi ha invitata a trascorrere il Natale a Scarborough... vuole presentarmi i suoi genitori. Sono emozionatissima! E nervosa: cosa mi metto?

Temendo, a giudicare dal pallore e dall'espressione atterrita, che l'amica potesse svenire, Connie le offrì un tacito sostegno sotto forma di stretta rassicurante su una spalla. Funzionò: la Hawthorne, dopo averle rivolto un sorriso riconoscente, sospirò –E' normale sentirsi nervose, è un, uhm, traguardo importante, desideri fare una buona impressione...

–Oh, no, di quello sono certa: piaccio praticamente a tutti!- ribatté Momo con irritante sicumera. –Solo, vorrei evitare gaffes: sarò ospite dei Cartridge, non di chissà chi!

–Se è questo che ti preoccupa, allora tranquillizzati: George ed Elizabeth sono le persone più gentili che abbia mai conosciuto, è impossibile sentirsi a disagio con loro.

Il lampo di puri odio e rabbia che attraversò gli occhi di Momo fece intuire a Nicky di aver ottenuto un'insperata vendetta: a quanto pareva, Adam aveva glissato sul rapporto confidenziale che la sua migliore amica aveva con i suoi genitori. Ma una come la Hart non avrebbe lasciato impunito quell'involontario affronto.

–Oh, beh, se la presidentessa del locale circolo della caccia è riuscita a far sentire a proprio agio un'accanita animalista, allora c'è speranza per chiunque! Buona caccia, ragazze, e buone feste- celiò, sprezzante, prima di girare sui tacchi a spillo (marca Manolo Blahnik) e allontanarsi.

Conoscendola, Connie volle assicurarsi che Monica non agisse impulsivamente come suo solito.

–Ignorala, Nicky, arrabbiandoti fai il suo gioco. E, per favore, niente... stupidaggini. Ok?

–Che ne sai cosa mi passa per la mente?- guaì la rossa, colta in fallo.

–Gli occhi, amica mia- gorgheggiò Connie. –Parlano anche quando non dovrebbero; i tuoi stanno tenendo un comizio!

***

Robert si tolse i guanti e cambiò la copertura del lettino, stremato fisicamente dalla marea di visite (–Possibile che la gente abbia bisogno del medico persino la vigilia di Natale?) e psicologicamente dal ruolo di confidente di Chris e Franz, che perseveravano nel tenere in piedi quella ridicola cortina di ferro, nonostante entrambi desiderassero abbatterla.

–Si può essere più cocciuti?- esalò, massaggiandosi le tempie.

Se avesse avuto davanti Babbo Natale, gli avrebbe chiesto di riportare la pace tra quei due testoni, e, magari, anche tra Chris e la psichiatra del suo cuore; sarebbe stato il più bel regalo di Natale. Non che potesse lamentarsi di quello (assolutamente inaspettato) di Elise, sebbene non sapesse ancora cosa fosse; aveva infatti deciso di riservare la sorpresa alla mattina del venticinque. Curioso all'inverosimile, scosse il capo: stentava ancora a credere che la biondina avesse speso un pensiero gentile (e i suoi soldi) per qualcuno che conosceva appena.

Sulla soglia della Scuola di Arti e Cultura Nipponiche Elise si era imbacuccata, manco stesse partendo per la Siberia. Inspiegabilmente, Robert si era trovato a sorridere.

Sono freddolosa, ok?- aveva sbuffato lei, sfregandosi le mani guantate. –Oh, prima che me ne dimentichi: questo è per te.

Robert aveva smesso di ridere per esaminare minuziosamente il pacchetto squadrato - chiaramente incartato da mani esperte - che reggeva in mano.

Un... un regalo? Per me?

Che ti aspettavi, un cespo d'insalata?

Io... io non... nessuno mi ha mai preso un regalo. Mi danno direttamente i soldi per comprare quel che mi pare- aveva spiegato, avvampando. –Grazie!”

Chiamò la ventesima (o forse era la venticinquesima?) paziente della mattina, emise uno sbuffo scocciato e sbadigliò sonoramente, stiracchiando gli arti: quella notte aveva dormito malissimo per colpa della (secondo lui) pessima abitudine di Harper di tenere le tapparelle mezze alzate, quando sapeva benissimo che lui necessitava del buio assoluto per riposare.

“Colpa mia che mi sono fermato per la notte. La prossima volta letteralmente una botta e via, più veloce della luce!”

Fece accomodare una ragazzina - accompagnata dalla madre - le rivolse le domande di rito, eseguì l'esame obiettivo, e le illustrò la diagnosi presuntiva e lo scopo degli ulteriori esami che le avrebbe prescritto. Gli tornò il sorriso sulle labbra mentre batteva al computer il referto, ancora una volta grazie ad Elise; quella donna stava conquistando il monopolio dei suoi pensieri, e il peggio (o meglio?) era che non gli dispiaceva affatto.

“–Aspetta a ringraziarmi: potrebbe non piacerti- si era schermita lei, sorpresa dalla gioia mista a stupore emanata da un uomo in apparenza dal cuore gelido: sembrava un bambino che aveva appena imparato a camminare. –Nel caso, fammelo sapere, posso riportarlo al negozio... forse. Ok, lo ammetto: deve piacerti! Maddie ha mangiato lo scontrino, non posso cambiarlo!

Robert era stato il primo a stupirsi della sua reazione: aveva abbracciato di slancio Elise e mormorato la frase che ripeteva annualmente quando riceveva la busta con i soldi, solo che stavolta c'era sincera gratitudine nella sua voce.

E' il pensiero che conta. Solo, ehm... ti offendi se lo apro direttamente la mattina di Natale?”

Beandosi del gradevole calore che gli procurava pensare alla vivace maestrina, consegnò le varie carte alla madre della paziente, le salutò - profondendosi in un mare di auguri - dopodiché si accasciò con la testa sulla scrivania e si assopì, tanto mancavano dieci minuti alla pausa pranzo. Venne destato da una dolorosa botta in testa. Tastandosi la parte lesa, uggiolò –Ahia! Ma che caz...

–Che cazzo dovrei dirlo io, se permetti- abbaiò una dottoressa Meigs sull'orlo di una crisi di nervi.

–Uff! E va bene: chiedo umilmente perdono per aver pisolato sul lavoro. Non accadrà mai più- sbuffò Patterson, seccato, levando gli occhi al soffitto.

–Chi se ne frega del tuo scarso senso del dovere!- barrì la collega, colpendolo alla mano col prontuario dei farmaci. –Come osi “inzuppare” alle mie spalle? Io sono giustificata, vado a letto con Pete da anni, è quasi un secondo lavoro... ma tu?!

“Oh, merda: sono fottuto! No, no, no! Calma, non è ancora detta l'ultima parola: non ha prove, finché non le esibirà negherò l'evidenza.”

–Mi piacciono i biscotti, non credo sia illegale- scherzò, sfoderando il suo sorriso più accattivante.

–Scherzaci pure sopra- sibilò Vanessa, sedendosi sull'angolo della scrivania. –Se non mi fornisci al più presto una valida spiegazione per il tuo comportamento... ti rovino!

“Si scopa un uomo sposato e pretende che IO, libero come l'aria, le renda conto della mia vita sessuale? Questa è matta!”

–Spiegazioni?

–Non fare il finto tonto, non attacca- sbraitò la donna, furente. –Una fonte affidabilissima ti ha beccato con una biondina squallida. Spero sia almeno brava a letto.

Robert capì di essere in guai seri: Vanessa, purtroppo, usando il suo ascendente sul primario, aveva davvero la facoltà di stroncargli la carriera. Urgeva una bugia, una credibile: non poteva certo confessare l'incontro con Elise, sebbene del tutto innocente.

Lavorando alacremente, i suoi neuroni elaborarono velocemente una soluzione all'impasse.

–Dovresti chiederlo al suo fidanzato. Sì il tuo spione di fiducia ha ragione: ho incontrato un'adorabile biondina... mia cugina.

–Inventane una migliore- stridette la Meigs, afferrandolo per il camice. –Non sono nata ieri.

Robert Patterson doveva essere nato non con la camicia... con un completo Armani: in quel momento entrò proprio Connie, radiosa nel cappottino rosso bordato di pelliccia bianca (sintetica) in pieno stile natalizio, salvandogli la pelle.

–E' un brutto momento?- domandò candidamente.

–Affatto. E' esattamente il momento giusto- rispose Robert, sollevato, rivolgendole uno sguardo di avvertimento misto a riconoscenza. –Vanessa, ti presento...

–Taci- lo interruppe la rossa (tinta), fiondandosi a stringerle la mano. –Connie Bishop non ha bisogno di presentazioni. Che emozione averti qui, davanti a me. Ho letto tutti i tuoi libri!

“Sai che sforzo: sono tre!” pensarono contemporaneamente i due cugini, scambiandosi un sogghigno sardonico, quindi Connie la ringraziò educatamente, quindi, in uno sfoggio di abilità recitativa degno di Olivier, aggiunse –L'emozione è tutta mia: il qui presente cuginetto mi ha parlato talmente tanto di te, che praticamente già ti conosco!

–Effettivamente, a volte esagero- esalò il ginecologo, sperando nella complicità della cugina. –Come ieri...

–Ah, sì, ieri hai decisamente esagerato: sono tornata a casa col mal di testa! Keith non ne è stato affatto felice... non so se mi spiego...

–Fingerò di non aver sentito- sbottò, tappandosi le orecchie: le evoluzioni sotto le lenzuola di Connie non gli interessavano. Decisamente no. Determinato a recitare alla grande, recuperò la concentrazione ed imbastì una storiella verosimile. –Ieri abbiamo comprato e spedito un regalino a Leonie, che vive in California... secondo te è già a destinazione?

–Robi, la posta aerea è veloce, mia sorella no: scopriremo se l'ha ricevuto a gennaio... a essere ottimisti!

–E' meglio che vada, ho un sacco di scartoffie da compilare- esalò la Meigs, che aveva intuito di essere di troppo. –Lieta di averti conosciuta, Connie. A dopo, Robert, ti tengo un posto a mensa.

Incredulo di essersela cavata, era sul punto di ringraziare la sua buona stella perché Connie non aveva fatto domande, quando la scrittrice gli chiese –Adesso potrei sapere cos'hai combinato?

–Niente!- replicò, irritato, salvo poi correggersi. –Niente di nuovo. Le donne saranno la mia rovina!

–Passa all'altra sponda, allora!- lo schernì la Bishop. –Ad ogni modo, mi devi un favore enorme, cugino, e no, non te lo abbuonerò soltanto perché a Natale siamo tutti più buoni: mancano undici ore al Natale. Avanti, comincia con l'offrirmi il pranzo. Bada: niente fast food.

***

Distratto dalle luminarie sfavillanti, Adam Cartridge per poco non scivolò sul sottile strato di ghiaccio che ricopriva la strada davanti alla stazione di Scarborough. Suo padre George, fortunatamente, ebbe prontezza di riflessi sufficiente ad afferrarlo prima che toccasse terra.

–Meno testa per aria, più occhi sulla strada. Non ci sarò...

–Sempre io a soccorrerti. Lo so, papà, ero semplicemente... da un'altra parte.

–Alle Maldive, come avrebbe desiderato la tua nuova ragazza, invece di “congelarsi in mezzo agli orsi polari”?- ridacchiò, prima di sferrare il colpo di grazia. –Per inciso, consigliale di ripassare geografia, il Polo Nord è qualche centinaio di chilometri più, ovviamente, a nord. Oppure la fanstaia ti aveva trasportato a Newcastle?

–N-Newcastle?- balbettò Adam, arrossendo dalla testa ai piedi. –Cosa c'entra Newcastle? Non stiamo andando a Leeds?

–Ti prego, non trattarmi da rincoglionito! Vecchio sì, rincoglionito mai! L'ho capito da un pezzo che prenderemo tutti e due il treno, ma solo io andrò a Leeds- asserì bonariamente George Cartridge. –Ti conosco, Adam: gli affari non ti interessano, non ti saresti mai offerto di accompagnarmi senza avere un secondo fine.

–Papà, non infierire, mi sento già abbastanza in colpa- pigolò il giovane Cartridge, riparandosi le orecchie col cappello.

–Ne hai motivo: mentire alla tua fidanzata!

–Chi se ne frega di Momo!- sbottò Adam senza pensare. –Cioè, non che me ne freghi di lei, però... mi dispiace di averla lasciata sola con la mamma, addirittura un cieco vedrebbe che non la sopporta!

–Trovami qualcuno che tua madre sopporta - sghignazzò George, parecchio più estroverso della moglie. –A parte noi, naturalmente. E i tuoi zii e cugini. Oh, e Nicky.

Adam curvò leggermente le labbra in un flebile sorrisetto accondiscendente, diede una pacca sulla schiena al padre (che gli augurò buona fortuna) e si affrettò al binario: il Transpennine Express stava giungendo in stazione.

Il viaggio trascorse piacevolmente, in solitudine. Cambiò a York, e trascorse un'altra ora e mezza sulla East Coast Line, una delle linee veloci di collegamento tra i poli opposti del Paese. A Newcastle scese di corsa, rischiando di capitombolare sul binario, pervaso da una strana eccitazione, che attribuì alla gioia di poter finalmente riabbracciare Nicky lontano da occhi indiscreti. Dato che conosceva piuttosto bene la città, si servì dei mezzi pubblici per raggiungere il periferico quartiere residenziale dove abitavano gli Hawthorne; avrebbe riconosciuto la casa anche se fosse stata la sua prima visita: l'azzurro acceso spiccava sulle tinte tenui del vicinato, e i versi dei numerosi animali della rossa erano udibili a distanza.

Si avvicinò ai tre gradini che lo separavano dalla porta con cautela... ma non fu sufficiente: tre molossi abbaianti lo placcarono, scagliandolo sul manto nevoso, e presero a leccargli la faccia.

Col fiato corto ( a causa del peso degli affettuosi cagnoloni) chiamò aiuto, e poco dopo accorse qualcuno, che ordinò ai tre sanbernardo di filare via. I cani obbedirono prontamente.

–Deve scusarli: sono dei giocherelloni, ma inno.. Adam?

–S-Salve, M-Mrs. Hawthorne. Vengo in pace- rispose lui, scrollandosi la neve di dosso. La madre di Monica lo metteva in soggezione, nonostante i modi spigliati, perché era la versione di mezza età della figlia; guardarla era come osservare uno scorcio sul futuro.

–Immagino di dovermi arrendere all'idea che non mi chiamerai mai Barbara- ridacchiò la donna, prima di condurlo in casa, dove gli offrì del whisky e un posto accanto al camino. –Peccato, mi aiuterebbe a sentirmi giovane!

–E' più forte di me, Mrs.... Barb... Hawth... Barbie?

–Calma, ragazzo, non vorrai soffocare per me! Piuttosto, cosa accidenti ci fai qui? Senza offesa per Newcastle, ma non offre certo attrattive tali da volerla visitare sotto la neve!

–N-No, infatti, io... sono qui per... Nicky- esalò, avvampando, non sapeva se per l'imbarazzo o per una reazione al freddo.

Fu il turno di Barbara di arrossire: grattandosi convulsamente il dorso di una mano, rispose –N-Nicky? E' uscita con degli amici, non ha detto a che ora sarebbe rientrata.

–Oh. Peccato! Beh, la aspetterò.

–Non credo sia il caso, conoscendola tarderà... non vorrai perdere il treno.

Adam sgranò gli occhi: era una sua impressione, o lo stava cacciando? Per quale ragione?

Un pensiero terribile gli attraversò la mente.

–Senta, Mrs... Barbara, giochiamo a carte scoperte: per caso Nicky non vuole vedermi?

–Che sciocchez...- tentò di mentire Barbara, cedendo poi di fronte all'espressione risoluta dipinta sul volto di Adam. –Bah! A chi voglio darla a bere? Non so mentire, neppure a fin di bene! In parte ho detto la verità: Nicky non c'è... è partita.

–Partita? Per dove?

“Perché?”

–Mi ha chiesto di non dirtelo- sospirò Barbara. –Mi scuserai se esaudisco una richiesta di mia figlia.

–Può esaudire la mia? Le dia questo, quando la vede- mormorò Adam, l'illusione di un sereno e amichevole scambio di auguri andata in frantumi.

–Credo la vedrai prima di me- asserì Barbara, servendogli dell'altro liquore. –Tornerà l'otto gennaio, a Londra. Mi domando cosa le passi per la testa: non aveva mai disertato le feste in famiglia, prima d'ora.

Adam ebbe un sussulto, e si affrettò a vuotare il bicchiere e congedarsi: aveva la netta sensazione di essere proprio lui la risposta.

***

Brian si svegliò pervaso di pura gioia: non sapeva se fosse giusto dal punto di vista educativo, ma aveva acconsentito alla richiesta di Aidan, permettendogli di dormire con lui nel lettone. La bolla di felicità si ruppe non appena ricordò cosa lo attendeva a pranzo: Crystal. Tanto bastò a guastargli irreparabilmente l'umore.

Aidan parve intuire lo stato d'animo del padre, perché si strinse di più a lui e aprì lentamente gli occhi, infine biascicò, con la voce strascicata tipica di chi ha subito un brusco risveglio –Buon Natale, papà.

–Anche a te. Dormi, è presto- gli sussurrò Brian, cullandolo per scivolare nuovamente nel mondo dei sogni. –Preparo tutto io, intesi? Ti sveglio appena arrivano gli zii.

–Ok- rispose il piccolo. –Penso che mi metto quel maglione verde coi bottoni grossi. Mi pizzica, ma me l'ha dato la zia Abby, le farà piacere se vede che me lo metto.

Sorvolando sugli errori grammaticali, Brian baciò una seconda volta la testolina bionda del figlio –Molto piacere.

Il trillo insistente del campanello lo avvisò dell'arrivo di suo fratello e famiglia. Li fece accomodare e corse a tirare giù dal letto Aidan, che si alzò, lavò e vestì senza tante storie. Una volta pronto,

si unì a Kaori nelle sue scorribande, la maggior parte delle quali ai danni dei gemellini, difesi a spada tratta da Abigail. Ben li osservava da lontano, ridendo sotto i baffi (che non aveva); seppur consapevole di comportarsi in modo diseducativo, non avrebbe mosso un dito: adorava tutti i suoi figli, ma la primogenita - forse perché così simile a lui - sarebbe sempre stata la sua cocca.

–Speriamo restino sempre così- chiocciò Brian, avvicinatosi di soppiatto al fratello.

–Non resteranno bambini in eterno- replicò Ben. –Grazie al cielo: non vedo l'ora di poter di nuovo fare l'amore con Abby senza paura che i marmocchietti sentano o - dio non voglia! - irrompano nella stanza!

–Per l'amor del cielo, Ben, potrebbero sentire!- lo redarguì aspramente Abigail. –Non sono argomenti di cui discutere...

–Con mio fratello? Andiamo! Sa benissimo che non sono un casto eremita, e che nel “finché morte non ci separi” è incluso il sesso!

–Altrimenti perché sposarsi?- commentò Brian, attirando su di sé la disapprovazione della cognata, che mugugnò sottovoce il proprio malcontento e assestò una possente gomitata al costato del marito quando questi osò ridere e annuire.

–Gli uomini non sono tutti come te, Brian- sputò sprezzante, storcendo il naso.

–Hai ragione, cognatina cara: non tutti hanno il privilegio di essere praticamente perfetti sotto ogni aspetto!- replicò con una smorfia trionfante: zittire la sua irritante cognata, anche se soltanto per un secondo, non aveva prezzo. –Spiacente di deluderti, Benny, temo che per riprendere l'attività a pieno regime ti toccherà aspettare che i gemelli vadano all'università... non disperare: diciotto anni passano in fretta. Comunque, prima intendevo che sarebbe bello se restassero sempre così in armonia- chiarì Brian. –Si sentono troppe storie di fratelli e cugini cresciuti insieme che da adulti litigano e finiscono col non parlarsi. Mi si spezzerebbe il cuore se mai dovesse accadere a loro.

–Non accadrà, tranquillo- lo rassicurò Ben. –Finiscila di fare il corvo e sorridi, è Natale!- lo rimbeccò Ben. –Kaori, giù le mani, non si tocca ciò che non è nostro.

Non solo la piccoletta non obbedì, obiettò –E' dello zio, quindi è anche un po' mia- artigliò la fotografia incorniciata e gliela portò. –So che mi ha portato i regali Babbo Natale, papino, ma non è che puoi farmi un regalino anche tu?

–Assolutamente no!- tuonò Abigail.

–Beh, ecco... dipende: se la richiesta è ragionevole...

–La voglio!- trillò Kaori.

–Tesorino, la foto è dello zio, non puoi sottrargli un ricordo.

–Ma che hai capito? Voglio la chitarra!

I tre adulti si scambiarono sguardi allibiti, quindi Brian precisò –Non è una semplice chitarra, è una Fender. La mia Fender!

–E' stupenda!- esclamò Kaori, in adorazione, e lo zio non poté fare a meno di bisbigliare –La pargoletta ha gusti costosi!

–Colpa di chi la vizia- sibilò Abigail, fulminando con lo sguardo il marito.

–Allora, posso averla?

Per una volta, persino Ben fu categorico.

–No!

–Ma... ma... io la voglio!

–Impara la lezione: non sempre puoi avere quello che vuoi. Adesso muoviamoci, i nonni ci aspettano.

Non fecero in tempo a entrare nel villino degli anziani genitori (rintronati dai piagnistei di Kaori) che vennero assediati da Heather, parecchio su di giri, ritrovandosi ognuno la bocca tappata da un vol-au-vent.

Poco dopo fece il suo ingresso l'ospite misterioso, che Aidan riconobbe all'istante.

–Tu?

–Ciao, AJ! Buon Natale a tutti!- cinguettò Crystal, fasciata in un fazzoletto glicine che si spacciava per vestito, olezzante come una meringa gigante.

–Piede sul freno- sbottò. –Non ti ho detto che puoi chiamarmi AJ.

–Oh, beh, ehm... t-ti c-chiamo Aidan, v-va bene?- balbettò Crystal, presa in contropiede: sperava di entrare presto nelle grazie del bambino, spillargli una grossa fetta di eredità e tornare a sollazzarsi in alberghi a cinque stelle, se non di più. Vita dura, quella nel lusso, ma qualcuno doveva pur farla.

–Ti conviene. E così sei la mia mamma, eh? Ti immaginavo diversa.

–Diversa come?

–Più... mamma. Tu sembri una di quelle che sparlano del mio papà sui giornali che nonna e zia Ab non vogliono che leggo, ma mi legge lo zio Ben- asserì solennemente il piccolo, scrutandola con occhio critico.

–Bernard!- strillarono all'unisono Heather e Abigail, incenerendolo con lo sguardo.

–Provate voi a dirgli di no: è impossibile!- si difese l'interessato. –E non chiamatemi Bernard!

–Esistono tanti tipi di mamma, Aidan. Io sono una mamma figa- ribatté Crystal, che cominciava a dare segni di cedimento.

–Questo lo dici tu!

Come faceva Brian a sopportare quell'insolente ventiquattr'ore al giorno, sette giorni a settimana? Lei, dopo pochi minuti, provava un desiderio irrefrenabile di strozzarlo! Faticò a trattenersi dal prenderlo a male parole e gli diede un grosso pacco infiocchettato, nella speranza che bastasse a conquistarlo. Cascò male: il bimbo lo aprì, la ringraziò educatamente e raggiunse la cuginetta senza degnarla di attenzione. Ciliegina sulla torta, Brian le rivolse un'occhiata tra il soddisfatto e il compassionevole: chiaramente godeva nel vederla umiliata da un insulso moccioso di... quanti anni aveva? Meglio non ricordarlo, l'avrebbe fatta sentire vecchia. Già si considerava fortunata per essere riuscita a conservare un fisico statuario nonostante la gravidanza, preferiva non immaginare come avrebbe potuto ridursi se avesse avuto altri figli, per non parlare delle condizioni disastrose in cui avrebbe versato il suo seno, se fosse stata sconsiderata come Abigail (sparita al piano superiore per la poppata dei gemellini) e avesse allattato.

Al termine del pranzo luculliano - durante il quale Brian, paradossalmente, si sforzò di tenere in piedi un minimo di conversazione tra madre e figlio - e di una lunga ( e, per la vedova allegra, snervante) sessione di giochi da tavolo, venne il momento di salutarsi. In un vano tentativo di stemperare la tensione, Brian si offrì di darle un passaggio: nel profondo era felice che suo figlio detestasse Crystal, ma desiderava apparire equo e magnanimo per non fornirle appigli nel caso avesse provato a ottenere la custodia.

–Devi perdonarlo- disse, mentre lei cercava le chiavi di casa nella borsa –Gli estranei lo mettono a disagio.

–Io non sono un'estranea.

–Forse- intervenne Aidan, facendoli sussultare entrambi. –Però non sei mia mamma.

–AJ, ti avevo raccomandato di rimanere in macchina!

–Lo sono eccome!- protestò Crystal, sconvolta. –Sul certificato di nascita...

–Non me ne importa di cosa sta scritto su un pezzo di carta: tu non mi piaci e non sei la mia mamma!

–AJ, non essere troppo severo...

–NO! Può regalarmi tutti i giochi del mondo, non è la mia mamma! Non lo è! Mi ha abbandonato!

–Aidan- esalò la donna, completamente nel panico. –Credimi, ti ho fatto un favore: Br... tuo padre si è preso cura di te, cosa che non avrei saputo fare. Non ero pronta ad occuparmi di un bambino, mentre ora...

–Ora ti freghi- ruggì il piccolo - i lineamenti angelici induriti in una maschera di puro astio - prima di fuggire nell'abitacolo. –Te ne sei andata perché non mi volevi? Adesso sono io a non volerti più!

Il breve tragitto fino a casa fu un martirio, per Brian: poche sensazioni sono più devastanti di veder piangere un figlio e non riuscire a fermare le sue lacrime.

–Cosa c'è che non va in me?

–Niente! Non c'è niente che non va in te, piccolo mio.

–Ho fatto qualcosa di male?

–Se escludi il ragno finto che hai infilato nella culla di Kevin e Kim... e quando hai colorato la faccia di zio Adam con i pennarelli, la settimana scorsa... no- rispose, sorridendogli titubante.

–Allora perché se n'è andata?- gnaulò Aidan, paonazzo e in lacrime. –Se la tua mamma non ti vuole c'è un motivo!

“Sì, che Crystal è una grandissima troia, per citare Abby! Ok, meglio non dirglielo, voglio preservare la sua innocenza il più a lungo possibile... però Franz ha ragione: ha il diritto di sapere. Posso solo sperare che, dopo aver ascoltato la verità su me e quella... là, continui a volermi bene, o almeno non mi odi.”

–Ehm... sai una cosa, AJ? Credo sia il momento giusto per raccontarti una storia.

Aidan, incuriosito, si asciugò le lacrime e concesse al padre la sua piena attenzione.

–Mi piacciono le storie!- affermò con convinzione.

Brian emise un sospiro rassegnato, poi scalò marcia.

–Questa probabilmente no.

***

Casa Cooper, 10 Buckingham Road, Hangton, Kent

–Un brindisi a quello che in paese chiamano il clan Cooper-Taylor, e, aggiungerei, Irving!- brindò Donald Cooper, fratello di Mary, nonna materna di Faith. –Che la nostra famiglia possa prosperare in pace e serenità. Auguri a tutti!

I convitati, ammassati lungo la tavolata, levarono i calici - colmi del sidro della casa, ad eccezione di quello di Faith - e risposero al brindisi.

Si alzò Mary, la quale brindò alla famiglia che si allargava man mano, ringraziando per la fortuna di diventare bisnonna ed essere viva per potersene vantare.

Seduta al solito posto - stretta tra Donald e Hannah, di fronte al suo cugino preferito, Micheal - la “lupa in fabula” tentò di mimetizzarsi: non le piaceva essere al centro dell'attenzione, preferiva di gran lunga stare dietro le quinte ad osservare la vita scorrerle davanti.

Peccato che i suoi parenti fossero intenzionati a metterla sotto torchio con domande invadenti sull'assenza di Franz e come mai una donna determinata a dedicarsi esclusivamente alla carriera avesse deciso di procreare.

Dato che ammettere che aveva concepito il feto per errore le pareva troppo cinico persino per lei, optò per una risposta neutra.

–Ho capito che famiglia e lavoro non sono inconciliabili, e Franz...

–Ecco, appunto, Franz: come mai non c'è? Se l'è data a gambe?

–No! Lui... beh... noi...

–L'hai sfiancato con una voglia di troppo?

–No, no, noi...

–L'hai cacciato di casa in un impeto di furia gravidica?

–Ma ti pare?

–Franz trascorrerà le feste con suo padre, che vive a Berlino- la soccorse Rose in un tono che non ammetteva repliche. –Il viaggio sarebbe stato troppo gravoso per Faith, così hanno concordato di festeggiare il Natale separati.

–Tienilo d'occhio, allora: le berlinesi non si fanno scrupoli ad allungare le mani, specie su quelli impegnati!- dichiarò Ford, il marito (bifolco) di Hannah.

–Di sicuro non parla per esperienza personale- sussurrò il dottor Irving a Rose, che soffocò le risate nel tovagliolo.

–Mia cugina è adulta e vaccinata. Pensa a tua moglie, piuttosto!- lo rimbeccò Donald (comunemente noto come Donnie, per distinguerlo dal nonno), sempre pronto a infastidirlo.

–E tu a trovarne una, Donnie!

Venom works, it's like a curse, a trojan horse. When will we learn?”

Faith strinse l'avambraccio del cugino per impedirgli di rispondere a quella volgare provocazione: nessuno sopportava Ford, che ricambiava con uguale ostilità, punzecchiandoli in continuazione.

–Una donna non basta al sogno proibito della popolazione femminile del Kent!- ridacchiò, dandogli di gomito –Parenti escluse, ovvio.

–Prima o poi capitolerai, Donnie, ci metterei la mano sul fuoco!- affermò Micheal.

–Capitolerà fuori contea: qui le ha provate tutte!- lo schernì Ford.

–Meglio prima che dopo- rispose a tono Faith, tenendo a freno la lingua per non ferire Hannah, cotta a puntino di quell'idiota.

In tutta sincerità, non aveva idea della ragione che aveva indotto una persona solare e dinamica a farsi mettere la fede al dito da un'ameba senza cervello; Ford non era bello, né brillante, né divertente, né ricco, qualità del cosiddetto “Quadrilatero delle attrattive”: per essere appetibile, un uomo doveva tassativamente possedere almeno una delle suddette doti.

–Si potrebbe dire lo stesso di te: tu e il tuo mezzo tedesco avete bruciato le tappe.

–Non direi: abbiamo atteso quattro anni, prima di convivere.

–E neanche un mese prima di figliare- soffiò Ford, più che mai simile a un topo. –Forse è per questo che Franz è scappato in Germania; oppure, chissà, ha dei dubbi... se che il bambino non dovesse somigliargli, i dubbi diventeranno certezze!

Stufa di bisticciare, Faith si alzò e, incurante del freddo, uscì sul porticato: sentiva il bisogno di aria pura e silenzio. O meglio, di aria pura e una valvola di sfogo. Ignorando la vocina che glielo sconsigliava, recuperò il cellulare e compose un numero telefonico che conosceva a memoria... quello di Franz.

–Ciao.

–Spero sia urgente: hai idea di quanto ci costerà questa telefonata?- gracchiò all'altro capo il destinatario della chiamata. Dopo alcune frasi in tedesco, pronunciate dalla voce baritonale di Hans Weil senior, suo padre, e un udibile scappellotto, cambiò tono. –Ehm, volevo dire, Buon Natale. Come stai?-

–Bene, grazie. Tu?

–Tutto a posto. E', uhm, successo qualcosa?

–Sai che il bambino è tuo, vero?- disse lei tutto d'un fiato.

Franz non riusciva a credere alle proprie orecchie. Che avesse sentito male?

–Cos... parli sul serio?

–Quindi... non hai dubbi? Perché si può sempre eseguire il test...

–I tuoi parenti pazzi ti hanno ubriacata, per caso? Che razza di domanda! Certo che so che è mio!

–Scusa il disturbo, è solo che avevo un dannato bisogno di sfogarmi.

–Non scusarti, sono felice che abbia pensato a me. Ci sarò sempre per te, ricordalo. Anche se avrei preferito un mezzo meno oneroso, tipo la posta elettronica.

–Perché non un piccione viaggiatore in svendita?- ruggì. –Sei il peggior tirchio che abbia mai conosciuto! Maledetta me e l'idea balorda di distoglierti da... cosa stavi facendo?

–Mi godevo lo spettacolo della mia matrigna che insegue la figlia per il salotto perché non approva il suo nuovo colore di capelli. Ora basta chiacchiere: che è successo?

–L'aria si era fatta pesante, non ce la facevo più: Donnie e Ford hanno discusso, al solito, e lui... ha insinuato... che, beh, stai alla larga da me perché sono una donna poco seria che scopa a casaccio! Ti rendi conto? Se c'è qualcosa che non farei mai, perché so cosa si prova a subirlo, è tradire! Poi, riflettendoci, ho pensato che... ma se tu non hai dubbi... non che abbia motivo di averne, eh... però... sai com'è...

Comprese immediatamente che la causa dello stato di paranoia di Faith era quel cretino matricolato, e si affrettò a smentire qualsiasi maldicenza: non gli importava del giudizio della gente, ma di quello di Faith sì, eccome.

–Ascoltami: il giorno in cui quel deficiente dirà la cosa giusta, si invertirà l'asse di rotazione terrestre! Ignoralo, se proprio non vuoi mandarlo a fanculo, e credimi: darei qualsiasi cosa per tornare indietro e non lasciarti, ma se l'ho fatto non è stato perché sospettavo una tua infedeltà. Chiaro? Sono stato un coglione, punto. E ho capito...

–Non è il momento.

–Lasciami finire. Ho capito che se continuerò ad agire di testa mia, continuerò a sbagliare, perciò ho preso una decisione: d'ora in poi detterai tu le regole.

–L-Le r-regole?

–Te lo ripeterò fino alla nausea, meine liebe: ich liebe dich. Sono pronto a tutto per te- asserì Franz. –Ok, forse non proprio tutto: gettarmi tra le fiamme o giù da un ponte senza fune di sicurezza è fuori discussione, e non sognarti neanche di somministrarmi di nascosto sostanze dagli effetti imbarazzanti. Per il resto... sbizzarrisciti!

–Sei cosciente di avermi appena offerto il coltello dalla parte del manico?- lo avvertì, sebbene non ne fosse molto convinta: non era sadica, procurare dolore a una persona amata - perché amava Franz, follemente, con tutta se stessa, su questo non c'erano dubbi - non le procurava alcun piacere. Si sarebbe vendicata con stile. –Beccati il primo affondo: “dal letto esce raramente, ma non dorme mai. Proprio per niente!”

–S-Stai d-delirando? Sai che i deliri possono indicare ischemia cerebrale, tossiemia, eclampsia...

–Sono pienamente in possesso delle mie facoltà, grazie tante!- sbuffò Faith, oltraggiata dall'insinuazione che stesse perdendo la ragione. –Avrei dovuto immaginare che un essere spoetizzante come te non avrebbe colto la mia romantica idea! Ricordi come facemmo pace, dopo la tremenda lite alla festa di tua madre?

–Come dimenticarlo?- ridacchiò. –Mi proponesti quello stupido indovinell... oh! Adesso ho capito!

–Alla buon'ora!- sbottò la Irving. –Non dovrai ustionarti per amor mio, contento? Risolvi l'enigma, e...

–Torneremo insieme?

“Che fortuna! Credevo mi avrebbe fatto sudare settemila camicie, invece... “

–Vacci piano!- abbaiò lei, infrangendo i suoi sogni. –Risolvi l'enigma, e guadagnerai un posto sul divano.

–Una faticaccia per finire a spaccarmi la schiena sul divano?

–Prendere o lasciare.

A chilometri di distanza, sul continente, Franz Weil si coprì il viso con la mano, abbandonandosi contro la parete alle sue spalle.

“Per carità, ne vale la pena, però è innegabile che stare con lei è un attentato costante alla mia sanità mentale! Se non fosse così dannatamente sexy...”

–Un'occasione del genere non si butta via- esalò. –Prendo.

It's all we want and it's all that we're fighting for... but it's not paradise.”

Note dell'autrice:

Non so come farmi perdonare la lunghissima attesa! Ho provato a scrivere durante le vacanze, ma tra un cenone e una tombola non era venuto fuori niente di buono: ho cestinato tutto e riscritto l'intero capitolo dall'inizio. Spero vi piaccia. ^^

Ho cercato di rendere l'atmosfera natalizia nel modo più realistico possibile, dall'affannosa corsa ai regali ai pranzoni in famiglia.

Ford ha davvero esagerato, non trovate? Vi confesso che, purtroppo, non è una caricatura: è ispirato a (per non dire l'alter ego di) un amico di un'amica, e sono costretta a sopportarlo ogni volta che usciamo in gruppo.

Franz ha compiuto un piccolo passo per l'umanità, ma un passo gigante per lui. Sta iniziando a ricucire il suo rapporto con Faith, che ha svelato un lato romantico inaspettato (la lite e l'indovinello di cui si parla sono narrati nei capitoli 27 e 28 di 'Dr. Irving'), ma senza ammorbidirsi troppo; il caro Weil dovrà stringerla in un lungo assedio, prima di vederla capitolare... se mai capitolerà: Marcus, dopotutto, non è ancora uscito ufficialmente di scena, non è detta l'ultima parola. ;-)

Un altro cuore tenero sotto ghiaccio è Robert: bastardo come sempre, ha però dimostrato di essere capace di emozionarsi come un comune mortale. Elise gli sta facendo un gran bene, no?

Connie, al contrario, ha superato ogni limite: mente, se ne frega dei sentimenti altrui... l'influenza negativa di Kyle si fa sentire! Se Keith non si spiccia, rischia di non riconoscere più la Ciambellina di cui è innamorato.

Adam, invece, la sua lezione l'ha ricevuta: cosa credeva, che Nicky non avrebbe sofferto? Che se ne sarebbe stata buona buona ad aspettarlo a braccia aperte? Naturalmente no: è partita per schiarirsi le idee ed evitare di litigare l'ennesima volta con quello che si ostina a considerare un amico.

E Crystal? Si era illusa di conquistare Aidan con due moine, ma il piccolo Cartridge si è rivelato un osso duro, e le ha rinfacciato i suoi errori. Chissà come reagirà alla confessione di Brian...

Le feste sono finite per il calendario, non in questa storia: nel prossimo capitolo... un capodanno memorabile!

Au revoir!

Serpentina

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capodanno... al bacio ***


Bentrovate! Pronte a immergervi nel nuovo capitolo? Scommetto di sì!

Grazie, as always, ad abracadabra, Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92 ed elev, che hanno recensito, e ad AmaZa1n, ayris e Rose6, che seguono la storia. :-*

Tenete pronto lo champagne/spumante! ;-)

Capodanno... al bacio

(Londra ci sarà sempre)

Le feste sembrano qualcosa di frivolo, casuale e privo di forma, in realtà sono eventi con forme intricate e coreografie di prim'ordine.

Bret Easton Ellis


29 Boulevard du Montparnasse, 14° Arrondissement, Parigi

Doveva smetterla.

L'aveva sognato di nuovo, e, sebbene fosse stato piacevole, era sbagliato: non poteva fantasticare contorsioni da Kamasutra col suo migliore amico, per di più impegnato, come partner!

“Un minimo di contegno, cazzo di Buddha! Niente più sognare quelle labbra succulente, quei pettorali perfetti, quel culo da mille e una nott... ehi! Basta! Al mio tre mi sveglierò e non farò mai più sogni erotici su Adam! Uno... due...”

Bonjour!- strillarono delle voci infantili.

La rossa sobbalzò, tolse la mano dalle mutande, aprì di scatto gli occhi e mise a fuoco cinque figurette in pigiama, accomunate soltanto dal colore di occhi e capelli (rispettivamente corvini e marroni).

–Ti abbiamo portato la colazione!- esclamò la maggiore, mettendole davanti un vassoio; tra le sorelle, era quella che parlava meglio l'inglese, senza accento francese, forse perché aveva passato molto tempo a Londra dai nonni.

Merci beaucoup, ma petite.

–Monjola, vitte- le suggerì una delle minori, storcendo il naso in direzione della sua gemella. –Senò se la sbafa Coraline!

–Non è vero!- protestò l'altra, prima di avventarsi sulla sorellina, mettendola al tappeto.

La rissa proseguì sotto gli sguardi divertiti delle sorelle di mezzo, le gemelle Celine e Camille, e della più grande, che arricciò le labbra, ad indicare che prendeva le distanze da quel comportamento immaturo.

Monica si affrettò a ingurgitare caffellatte e croissant: nella foga della lotta le bimbe avrebbero potuto rovesciare il vassoio, e addio colazione.

L'arrivo di un uomo alto e magro - con una zazzera di capelli nerissimi perennemente spettinati e due occhi profondi quasi dello stesso colore - dall'aria autorevole fece cessare il bisticcio.

–Caroline. Coraline. Possibile non riusciate a resistere più di cinque minuti senza accapigliarvi? Farete venire i capelli bianchi prematuramente a me e vostra madre!

Mais papà...

–Niente ma. Sono certo che avete un'ottima spiegazione per questa ennesima litigata, però non mi importa. Siete sorelle, per l'amor del cielo, dovreste non dico andare d'amore e d'accordo, almeno avere un rapporto civile, e imitare i lottatori di wrestling non è civile. Fate pace, tout de suite!

Le due litiganti si abbracciarono, borbottando delle scuse poco sentite in francese, poi Coraline, la più dolce delle due, azzardò un bacino alla gemella, che le restituì il cerchietto sottratto durante la lotta.

–Oh, che carine! Mi ricordano me e i miei fratelli... solo che io li tenevo, i bottini di guerra- cinguettò commossa Monica. –Ora rilassati, zietto: la catastrofe è scongiurata e io non ho scordato la nostra gitarella. Tre minuti, che mi rendo presentabile, e andiamo!

Si vestì alla velocità della luce - se infilarsi in tutta fretta i primi vestiti che capitano a tiro si può definire "vestirsi" - si pettinò - se due colpi di spazzola a casaccio si possono definire "pettinarsi" - e raggiunse il giovane zio, che le sorrise, indicando l'orologio.

La rossa si batté una mano sulla fronte, maledicendo la sua scarsa puntualità: nonostante l'impegno, tardava sempre di almeno cinque minuti. –Lo so, lo so, sono in ritardo- sbuffò, districandosi con le dita la lunga chioma, ancora ingarbugliata. –Chuck è convinto che riuscirò ad arrivare tardi persino al mio funerale!

–Sempre spiritoso, tuo fratello. Come sta?

–Alla grande!- rispose Monica, alzando entrambi i pollici. –Si è fatto una ragazza... in tutti i sensi! Il piccolo Chuck è cresciuto e copula, il che non lo rende meno secchione, ma meno borioso sì. Lei è semplicemente una santa.

–Perché lo sopporta?- insinuò Axel, stampato in faccia un ghigno perfido.

–Perché sopporta me!- ribatté la ragazza. –Uh! La prossima volta che la vedo, devo chiederle se Chuck parla in latino pure durante...

–Durante cosa?- domandarono in coro Celine e Camille - identiche fino al più infinitesimale poro della pelle, a differenza di Caroline e Coraline - materializzatesi improvvisamente nell'ingresso.

–Argh! Voi due dovete perdere il vizio di sbucare all'improvviso, mi farete venire un infarto!

–Non hai risposto alla domanda.

–Nicky, non ti azzardare!- tuonò Axel, tanto bonario con i figli dei cugini quanto severo con le sue. –Bambine, noi usciamo. Aiutate la mamma e Katie a tenere separate le due iene litigans.

–Eh?

–Cora e Carol.

–Come no! Chi le ferma, quelle?

Una volta in strada, Axel gettò la maschera e le pose la domanda che teneva in serbo da quando, contrariamente al previsto, Monica aveva accettato l'invito a trascorrere le feste in Francia.

–In questi giorni non ti ho mai sentita nominare Adam. Di solito lo inserisci in qualsiasi conversazione, come mai tutto a un tratto è diventato tabù? Complicazioni sentimentali?

–Capisco che hai la mania di risolvere i problemi di cuore, zietto, ma non c'è intervento che tenga per il mio. A dirla tutta, non so nemmeno se ho un problema, nè quale sia.

–Se ti accontenti del parere di un misero mediconzolo, forse posso aiutarti- si offrì allora lui, cingendole le spalle con un braccio. –Fingerò sia un caso clinico. Partiamo dall'anamnesi: sintomi?

–Adam è andato a Scarborough insieme alla sua fidanzata, per presentarla ai genitori.

–Ecco spiegata la tua presenza qui. Questo, però, non è un sintomo, è un segno... della mia mancanza di intuito nelle questioni di cuore non chirurgiche: ero sicurissimo da metterci la mano sul fuoco che voi due... insomma... hai capito, no?

–Oh, sì. Le mezze frasi smozzicate sono il massimo della chiarezza- ironizzò Monica.

–Lasciamo perdere- sbuffò lui, tirando su col naso. –Tiro a indovinare: lei non ti piace.

–Non mi piace?- ruggì la più giovane. –La detesto! Se stesse andando a fuoco e avessi in mano dell'acqua, ci annaffierei le piante!

–Ti supplico, risparmiami la scenata melodrammatica! Non ti sono mai piaciute le ragazze di Adam, però ti sei sempre limitata a gufare in disparte. Cos'ha di diverso questa nuova fiamma?

"Ha accalappiato il mio povero Adamino senza il mio permesso e tenta di estromettermi dalla sua vita. Ti pare poco?"

–A parte l'irritante perfezione e il fatto che lo tratta come un cagnolino ammaestrato?

–E lui? Lo vedi felice, innamorato?

–Io...- "Non ci ho mai fatto caso! Cazzo di Buddha, che razza di amica di merda sono?" –Non saprei. Ripete che è favolosa, che non potrebbe trovare di meglio, però si sente che, in fondo, non è convinto sia quella giusta.

–Sicura di non peccare di parzialità?

–Senti, conosco Adamino come le mie tasche, so che genere di donna fa per lui, e Momo - no, non è il suo vero nome... si chiama Monica, come me - rispetta soltanto un criterio: è rossa.

–Secondo me sei gelosa- la punzecchiò Axel.

"Se desiderare strangolare qualunque femmina gli si avvicini e pensare di essere l'unica degna di stargli accanto è gelosia, allora sì, sono gelosa marcia!"

–Gelosa? Io? Tu vaneggi! Dico semplicemente che Adam avrebbe bisogno di una fidanzata meno egoista, che lo ami così com'è, senza pretendere di cambiarlo e di organizzargli la vita, che lo sostenga, che non scappi alla prima difficoltà...

–Qualcuno come te?- insinuò l'altro.

"Perché no?"

–Non dire sciocchezze!- lo rimproverò Monica, la cui carnagione era diventata un tutt'uno coi capelli. –Siamo amici, non mi piace in... quel senso. E poi non funzionerebbe: i difetti che un amico ritiene spassosi per un fidanzato sarebbero intollerabili. Non dureremmo cinque minuti.

Axel si bloccò di colpo e, invece di imboccare l'ingresso alla metropolitana, deviò in una stradina laterale.

–Ehi! E Montmartre?

–Dopo, forse. Adesso devo farti un discorso serio. Ascoltami attentamente, senza interrompere- asserì imperioso. –Ti consiglio di piantarla con le stronzate, Nicky. Crescere significa anche accettare i cambiamenti, perciò basta lagne: sai meglio di me il motivo dell'ostilità verso questa... Momo, giusto? Fatti un esame di coscienza e scegli: se sei certa che Adam per te è solo un amico, lascialo libero di stare con chi vuole; in caso contrario, prenditelo, perché è chiaro come il sole che non aspetta altro. Ci sarà un motivo se ha scelto una rossa col tuo stesso nome... spera che l'originale si faccia avanti. La domanda, ora, è: lo vuoi?

"Sì! Sì! Sì!"

–Io... io... io non... non voglio mandare a puttane la nostra amicizia, zietto Ax. Per quanto adori la Ciambellina, Adamino è... inimitabile- pigolò la rossa, dondolandosi sul posto.

–La stai mandando a puttane comunque, quindi perché non rischiare?- replicò Axel. –E' il momento che rientri in scena la Nicky combattiva. Estrai gli artigli, tigre, e attacca. La tua latitanza è durata anche troppo.

***

Faith si sentiva stranamente debole, ma attribuì la sensazione alla noia. "Nulleggiare stanca" asseriva sua madre, e lei, pigra fino al midollo, era sempre stata in disaccordo con questa affermazione, prima di sperimentarla di persona. Le mancava il lavoro sul campo; purtroppo la gravidanza l'aveva costretta ad altre mansioni, e lei aveva obbedito senza battere ciglio per procrastinare la pausa per maternità il più a lungo possibile: meglio un mese di lavoro in più prima che uno in meno da dedicare al pargolo poi. Alla fine di un turno reso difficoltoso dai frenetici movimenti del feto, trovò ad aspettarla una sorpresa.

–Marcus? Cosa ci fai qui?

–Che domande: ti rapisco!- rispose lui, ammiccando nella sua direzione. –Ti porto a bere qualcosa e poi a casa, ok?

–Sei molto gentile, ma avevo chiesto...

–Informa il tuo autista che i suoi servigi non sono più richiesti e salta su!- sbuffò, sventolando una mano con fare sbrigativo. La Irving, spiazzata, inviò un messaggio a Franz e salì in macchina, destinazione un caffè poco frequentato dalle parti di casa sua.

–Allora, a cosa devo questa improvvisata?

–Ti devo parlare- rispose Marcus in tono grave, evitando di guardarla negli occhi. –Ho scelto apposta un territorio neutro per non mettere nessuno dei due a disagio.

–Avanti, spara, sono pronta a tutto.

–Non possiamo più vederci. Ne va della mia reputazione, dei miei affari! Sta cominciando a circolare la voce che stiamo insieme, e non solo questo ha attirato su di me la disapprovazione delle mie pazienti più anziane, che non tollerano di farsi operare da - cito testualmente - "un immorale che ha sottratto donna e figlio a un altro uomo", ma anche delle più giovani, che non mi credono più sul mercato.

–Smentiscile! Sono la prima a non desiderare questo genere di pubblicità- replicò Faith.

–Non è così facile, lo sai; il pettegolezzo è come l'Idra di Lerna: per ogni testa tagliata ne spuntano dieci, e non riesci a trovare quella originaria. Senti, ti sono stato accanto perché mi facevi pena...

–Io ti facevo pena?- ringhiò lei, talmente indignata che non avrebbe sorpreso nessuno se avesse sputato fuoco. –Credevo fossi semplicemente gentile!

–Non lo sono stato, forse? Gentilezza, compassione, pietà... non badare alle sottigliezze: ti ho fatto comodo, no?- sospirò, per poi sferrare il colpo di grazia –A meno che non abbia pensato a un ritorno di fiamma, perché in tal caso devo disilluderti: hai smesso di essere una donna quando ti sei fatta ingravidare.

La Irving si alzò con invidiabile compostezza, sibilò –E tu hai smesso di essere un uomo quando hai venduto le palle. Addio, Marcus- estrasse dal portafoglio una banconota da venti sterline e aggiunse –Tieni pure il resto.

***

Il trentuno dicembre, a casa di Brian, erano in corso gli ultimi preparativi per il party: nonostante fosse una tradizione consolidata, il padrone di casa se ne occupava con entusiasmo, ripetendo che avrebbero festeggiato l'arrivo del nuovo anno a casa sua finchè avesse avuto vita.

Scese in salotto col completo gessato che aveva scelto di indossare, ma che sarebbe tornato in naftalina, se non avesse ricevuto l'approvazione dei suoi più severi giudici.

–Che ve ne pare?

–Non male... Brian- sibilò Aidan, che non aveva digerito la storia di bugie e tradimenti degna di un romanzo che era la sua nascita, e si stava vendicando trattando il padre con freddezza.

–AJ ha ragione- gli fece eco Adam. –Amigo, sei figo!

–Capisco che ti senti il boss di casa, Cartridge, ma imitare Al Capone...- commentò una voce sarcastica.

L'interessato si voltò e sbuffò –Non accetto critiche da un uomo del ventunesimo secolo. Fila a metterti addosso qualcosa di più vintage!

–Non prenderò parte alla festa- rispose Franz. –Ti ringrazio del'invito, ma saluterò l'anno nuovo con la mia famiglia.

–Certo. La famiglia è famiglia e bla, bla, bla, però.... mi mancherà la tua lingua biforcuta- gnaulò Brian. –Non ho speranze di convincerti a rimanere almeno un pochino?

–Sarò sincero- sospirò stancamente Weil. –Credo che Faith si presenterà con quel gonfia-tette da strapazzo; non vorrei rendere memorabile la festa riducendolo a una frittella!

–Ridurresti a una frittella anche le possibilità di riconquistare la tua amata- asserì il suo interlocutore. –Perciò... va' pure, e divertiti.

–Beato lui, che può scappare- piagnucolò Adam. –Se potessi, mi rifugerei in un eremo fino a mezzanotte passata: so già che morirò di noia, senza Nicky.

–Chi è Nicky, zio?- chiese Aidan.

Suo padre glielo spiegò e il bambino, mettendo su un'espressione pensosa, domandò Perchè zio Adam ha un'amica sola e tu tante, Brian?

–AJ, da bravo, vai a giocare in camera tua- lo esortò Brian, che non gradiva la piega che stava prendendo quella conversazione.

Suo figlio fu di parere diverso, difatti si impuntò sbraitando Ma non mi hai risposto!

–AJ, in camera tua, ho detto!- ordinò Brian puntando l'indice verso le scale, e al pargolo non rimase che obbedire. Fece un paio di respiri profondi per ritrovare la calma, quindi chiese ad Adam –A proposito di rosse... com'è andata la trasferta?

–Male.

–Quanto male?- domandò Brian, bruciante dalla curiosità.

Adam sospirò tristemente –E' successo un pasticcio: non so quale rotella fuori posto ha fatto pensare a mia madre che la mia fidanzata Monica fosse Nicky. Quando ha visto Momo, un'altra rotella fuori posto le ha fatto esclamare "Credevo ci avresti portato Monica!", ed... è scoppiato il finimondo: Momo, incazzata da morire, ha risposto a tono, mia madre si è imbestialita... mio padre, del tutto indifferente, è andato a spalare la neve nel viale....

–Oddio, che scena! Avrei voluto esserci!- sghignazzò Brian, asciugandosi le lacrime.

–Avrei gradito che mia madre evitasse paragoni tra le due, Momo è già abbastanza gelosa!

–Chissà come mai- ridacchiò Brian. –Sveglia, cuginucolo: tutte le ragazze con cui sei stato erano gelose di Nicky perché è bella, simpatica, vulcanica e, più che da amico, ti tratta da orsacchiotto coccoloso. Facile fraintendere il vostro rapporto; confesso di averlo fatto e di continuare a farlo: attendo con ansia il giorno in cui vi sorprenderò a letto insieme!

"Già fatto, cugino. Già fatto. Alla faccia tua!"

–Brian, sei impazzito? Siamo amici, non... certo, sarebbe bello, ma... no! E... e Momo... ha questi stessi pensieri? Oh, merda! Forse avrei fatto meglio a continuare a stare lontano da Nicky- esalò Adam.

Brian scosse la testa ed asserì –Sciocchezze. Se la persona con cui stai è insicura, è un suo problema. Nicky è la tua migliore amica, finchè stai bene con lei non vale la pena di mandare al diavolo chi ti sarà sempre vicino per le fisime della fidanzata di turno!

–Wow, che pensiero profondo! Sicuro di non avere la febbre?

–Il tuo senso dell'umorismo diventa sempre più scadente. I miei consigli te li puoi scordare!

–Su, su, non fare la signorina permalosa, scherzavo- esclamò Adam. –Comunque, per il resto... tutto secondo i piani?

–Non proprio: gli ospiti saranno meno del previsto. Tolta una cinquantina di persone saremo solamente noi di famiglia.

–Cinquanta persone? Soltanto? Festicciola intima!

–Confermo: il tuo senso dell'umorismo sta diventando sempre più scadente.

–Perlomeno esiste, al contrario del tuo!- esclamò Adam.

Brian, piccato, lo spinse verso la porta sbuffando –Renditi utile, porta sederino e verve comica a sistemare i fuochi d'artificio!

***

Calò il buio, accompagnato da temperature rigide decisamente invernali. Il gelo, però, non scalfì i progetti di Mrs.Abigail Cartridge: aveva dovuto rinunciare al party da sogno per i suoi trent'anni perchè ancora spossata dal parto, si sarebbe rifatta con un evento memorabile. Fortunatamente, suo cognato aveva avuto la gentilezza di lasciare a lei gli onori di casa, quella sera.

A pochi minuti dallo scoccare delle nove stava ammirando la propria immagine riflessa nell'enorme specchio in camera da letto: l'abito rosso - corto e dalle maniche trasparenti ma castigato, con la gonna ricoperta di frange, secondo lo stile anni '20 - le cadeva alla perfezione, e i capelli, a due ore dalla piega, erano ancora boccolosi.

Per il momento stava andando tutto per il verso giusto.

Il trillo del campanello la avvisò che i primi ospiti avevano raggiunto il party. Abigail andò ad aprire curiosa di scoprire chi era arrivato, perchè da lungo tempo non conosceva nessuno che fosse puntuale, tranne lei, e ricordò con un misto di fastidio e ilarità tutte le volte in cui era arrivata in perfetto orario ad una festa senza trovare nessuno ad aspettarla, nemmeno il/la festeggiato/a.

Sorrise ad Adam e alla sconosciuta che lo teneva per un braccio, alla quale rivolse anche un'occhiata indagatrice, esaminandola minuziosamente dalla punta dei capelli all'apice delle scarpe: era molto bella, alta e longilinea - sebbene, forse, un tantino piatta per i suoi canoni estetici - i capelli ricci di un rosso vivo evidenziavano il pallore della pelle priva di imperfezioni, il trucco, studiatamente naturale, poneva in risalto gli occhi chiari e le graziose labbra sottili, incurvate in un sorriso di circostanza; l'unica critica che potè rivolgerle mentalmente fu: "Il vestito... troppo corto! Un movimento sbagliato e le si vedrebbero le mutande! E viola, per di più! Non si accoglie il nuovo anno vestiti di viola! Anche se devo ammettere che le sta divinamente, e i lustrini su di lei non paiono affatto volgari".

Rimosse quei pensieri e li salutò cordialmente, da brava padrona di casa.

–Buonasera. Bene arrivati.

–Grazie- rispose Adam. –Lei è Momo, la mia fidanzata.

–La tua... oh, è assolutamente meraviglioso! Lieta di conoscerti, Momo, io sono Abigail, la...

–Aspetta, fammi indovinare: sei la moglie del cugino di Adam, Brian- asserì Momo con convinzione, rivelatasi errata.

–Dell'altro cugino, Ben.

–Oh, scusa- pigolò Momo. –Ancora non conosco bene tutti...

Abigail la interruppe con un gesto della mano e disse –Non preoccuparti, è normale confondersi, i primi tempi. In fondo vi frequentate da poco...

–Nove mesi- sibilò Momo, facendo assumere ad Abigail un'espressione sbigottita, sostituita quasi subito da una comprensiva, seguita dalla frase –Appunto, vi frequentate da poco. Ben mi ha tenuta nascosta per quasi due anni!- mentì, ammiccando con discrezione in direzione di Adam, che le sorrise grato. –Voleva essere sicuro che tra noi sarebbe durata, non poteva certo portare in casa la prima venuta! I Cartridge sono così, in amore vanno con i piedi di piombo!

–Devo dedurre che, per gli standard familiari, Adam è frettoloso!- sibilò Momo, che non si era lasciata trarre in inganno dai modi accattivanti di Abigail, alla quale rivolse un sorriso freddo, prima di accomodarsi e sgomberare l'ingresso.

Faith fu la seconda ad arrivare; avendo assistito allo scambio di battute tra Mrs.Cartridge e Momo, non appena si fu sincerata che la donna fosse fuori portata d'orecchie, chiese in tono ironico –Credevo che la regina delle nevi vivesse ad Arendelle.

–Si è trasferita a Londra e si è fidanzata con Adam- sospirò Abigail, roteando gli occhi.

–Cosa?- esclamò Faith, esterrefatta.

Abigail trillò gioviale –Non è meraviglioso? Desidero metta la testa a posto e si sistemi; ora posso ragionevolmente sperare che avverrà in tempi brevi- arricciò il naso e aggiunse –Solo, non avrei mai immaginato avrebbe scelto...

–Un ghiacciolo. Sì, ti capisco: Adam, superata la timidezza iniziale, è tanto solare e dinamico, che ci fa con quella?- fu il secco commento di Faith, che fulminò Ben, comparso dal nulla, quando rispose –Oh, andiamo, con un "pezzo di ghiaccio" di quella qualità cosa potrà mai fare?

Abigail gli intimò fare meno il cretino lo sospinse verso la stanza dei bambini, per controllare che fossero ancora tutti interi. Con Kaori, non si poteva mai dire...

Faith, intenzionata a godersi la festa, si guardò intorno, sorseggiando acqua tonica. Trovandosi a poca distanza da Momo, si mosse verso di lei per appagare la propria curiosità. Quando Abigail le chiese dove stesse andando, rispose, agitando il bicchiere –A rifornirmi di ghiaccio!

Momo, scrutata con occhio critico la procace sconosciuta che l'aveva appena salutata, riconoscendola come fidanzata di Adam, ricambiò senza entusiasmo il sorriso, quindi cinguettò –Sono famigerata, a quanto pare.

–Direi, piuttosto, famosa. Io sono Faith, comunque, Faith Irving- disse tendendole la mano.

Momo la strinse senza entusiasmo, quindi chiese –La dottoressa Irving della squadra di Noyce? Quella Faith Irving?

–Sono famigerata anch'io, a quanto pare- ridacchiò Faith, per poi bere un sorso di analcolico.

–La nostra fama ci precede, è inevitabile. Tutto ciò che è in nostro potere scegliere è che tipo di fama vogliamo ci preceda.

–Saggia considerazione. Concordo- asserì Faith. –Tu, invece, di cosa ti occupi?

–Avvocato. Io e Adam stiamo facendo tirocinio nello stesso studio legale- rispose la rossa, poi schioccò le labbra color vinaccia, in tinta con l'abito.

Faith annuì e osservò, in tono leggero Vi siete conosciuti lì, deduco.

–Elementare, Watson. A cosa devo tanto interesse?- chiese Momo, infastidita dallo sguardo di sfida della Irving, che la fissava negli occhi, per nulla intimidita dal suo atteggiamento scostante.

–Semplice curiosità... è ancora legale, se non erro.

–Certo che sì.

In quel momento le raggiunsero Adam e Kaori, di rosa vestita, la quale ricevette una marea di vezzeggiamenti da Faith e Momo, ai quali rispose con uno scocciato –Grazie, ma, se devo dirla tutta, preferirei indossare la mia gonna di jeans. Mamma, però, ha voluto così, e questa è la festa di mamma. Almeno, così dicono papà e zio.

Faith raggiunse Bridget - in compagnia di un nuovo uomo - la quale la accolse con un sorrisetto perfido e un falsamente innocente –Allora, cosa ne pensi?

–Onestamente?- rispose Faith, velenosa –E' un peccato che dentro non sia bella come fuori!

–Sono totalmente d'accordo. Brindiamo alla sintonia di pensiero!

–Ogni scusa è buona per bere, eh, Bridge?

–Sì, e mi dispiace che tu non possa tenermi compagnia- gnaulò, delusa, indicando l'analcolico. –Quando scodelli il frugoletto?

–All'incirca prima metà di aprile.

–Splendido! Oh, girava voce che saresti venuta con Marcus - in senso buono, naturalmente, non... hai capito, no? - dov'è?- chiocciò l'amica tra un sorso e l'altro di Piña Colada.

–Non me ne può fregare di meno. E' una merda umana, non mi merita!- sputò la Irving con acrimonia, ripensando alle offese che le aveva rivolto. –Piuttosto, dov'è Franz?

–Te lo rivelerò se prometti di non arrabbiarti. Promesso? Bene. Ab - animata dalle migliori intenzioni, te lo garantisco - gli ha detto che Marcus sarebbe stato il tuo accompagnatore. Voleva ingelosirlo, e c'è riuscita... solo che non è andata come previsto: invece di una - secondo lei, eh, io ho idee più moderne - romantica sfida per il tuo amore, ha disertato la festa!

Faith non seppe se attribuire quel che accadde alle bevande, al suo stato d'animo, agli ormoni, oppure al fatto che era rimasta a lungo in piedi: venne assalita da un dolore lancinante all'addome, che la piegò in due. Preoccupata, Bridget la sorresse fino alla prima sedia libera, e avrebbe anche creduto alle sue rassicurazioni (–Non allarmarti, B, è semplicemente il piccolo karateka che si allena contro i miei organi!) se non fossero sopraggiuneta altre fitte, più intense e di maggiore durata.

Pallidissima e nel panico, la pluridivorziata - assodato che non avrebbe mai e poi mai avuto figli - avvertì Abigail che bisognava portare Faith in ospedale e lasciò la festa, pregando che le gambe tremanti non le impedissero di guidare.

***

Intanto Adam e Momo, rimasti soli con Kaori, furono sopraffatti dalla sua inarrestabile parlantina. Quando ebbe terminato il monologo, Adam le chiese –Allora, bionda, che te ne pare della mia fidanzata?

–Devo dire la verità?- pigolò la bambina.

–Naturalmente!

–La verità vera?

–Esiste forse la verità falsa? Avanti, su!- la incoraggiò, lanciando un'occhiata complice alla donna al suo fianco.

Kaori, tratto un respiro profondo, rispose –E va bene. Non sei malaccio...

–Grazie!- ridacchiò Momo.

–Però preferisco l'altra rossa!

–Quale rossa?- ringhiò Momo trapassandola da parte a parte con lo sguardo.

–La veterinaria di Plumpy, Nicky.

–Kaori!- la rimproverò Adam, bloccato da Momo, che gli posò una mano sul braccio per fargli capire che doveva tacere, e celiò –Non sgridarla: se non è sincera a quest'età, quando? E poi è a te che devo piacere, lei può preferire chi vuole! Adesso toglimi una curiosità, Kaori: chi è questo tuo animaletto, Plumpy?

–Lui- rispose la bimba, indicando il pingue bulldog appostato dietro la rossa.

Momo si girò e cacciò un urletto stridulo: nutriva una fobia viscerale per i cani, e Plumpy - per quanto addomesticato - era dotato di un aspetto feroce, con la mole esagerata, i canini in bella vista, gli occhi diversi e il collare con le borchie. Terrorizzata, si rifugiò dietro ad Adam, implorando Kaori di far allontanare quel bestio, che tentò di leccarla in segno di affetto, peggiorando la situazione: Momo, pietrificata, prese a tremare ad occhi chiusi, ripetendo la nenia isterica –Portalo via! Portalo via!- attirando l'attenzione di Abigail, che colse al volo l'occasione per costringere la figlia a chiudere il cane in cucina fino alla fine del party.

***

Adam Cartridge era uscito sul terrazzo e stava riempiendo i polmoni della fredda aria inquinata di Londra, di sicuro più ossigenata di quella respirabile nella casa affollata; come d'abitudine, era fuggito dalla calca per riflettere in pace: teneva le braccia appoggiate alla balaustra, la testa persa tra mille seghe mentali.

Iniziava ad essere stufo di Momo, della sua perfezione quasi inumana, delle sue manie di protagonismo, del suo stile appariscente, della sua smania di cambiarlo.

"Forse ha ragione Keith", pensò. "Se non puoi avere quello che vuoi, tanto vale non avere nulla".

Ad attrarlo, lo attraeva - era pur sempre un uomo, e lei una bellissima donna - non poteva negare il suo fascino rapace da pantera, caratteristica, questa, che non era sfuggita neppure ad un amico di Brian del quale non ricordava il nome. Lui, però, invece che ardere di gelosia perché un altro aveva flirtato lungamente e sfacciatamente con la sua fidanzata, era arrabbiato con se stesso per la mancanza assoluta di irritazione o qualsiasi altra sensazione avrebbe dovuto provare.

Volgendo lo sguardo alla città illuminata si chiese dove fosse Nicky, cosa stesse facendo, tremando alla prospettiva che, in quel preciso momento, uno sconosciuto qualunque stesse provando a rimorchiarla. Abbandonò quei pensieri sgradevoli, passando a rivangare ricordi tra l'imbarazzante e l'esilarante.

"Nicky si era ubriacata oltre ogni umana concezione, non era in condizione di tornare al B&B da sola. Il primo pensiero di Adam, quando se l'era caricata in spalla, era stato "Cavolo quanto pesa, eppure è magra!", seguito dalla sensazione quasi dolorosa di fastidio provata quando si era accorto che il vestito eccessivamente corto della ragazza stava attirando sguardi di apprezzamento sul suo innegabilmente perfetto didietro. Imbarazzato e incazzato, tentò di occultare l'occultabile... mettendoci una mano sopra. Naturalmente, la reazione della rossa non si era fatta attendere: la ragazza aveva preso a dimenarsi, intimandogli di togliere immediatamente la mano dal suo sedere. Non lo aveva intimidito (forse per via di tutto l'alcool che aveva in circolo), anzi, le aveva chiesto se preferisse che perfetti sconosciuti le guardassero il culo, quesito al quale Nicky rispose con una risatina da ubriaca e un divertito –Almeno a loro piace quello che vedono!

Adam, un po' alticcio, replicò –Te la sei presa per quello che ho detto stamattina? Ok, lo ammetto: hai un bel sedere! Contenta?

Nicky non proferì parola finché non la adagiò con delicatezza sul letto, quando pronunciò una di quelle imbarazzanti frasi da ubriaca che era una benedizione non ricordare.

Anche tu hai un bel culetto, Adamino. Dovremmo sposarci, ci chiamerebbero Mr. e Mrs. Chiappe d'oro.

Suona bene- ironizzò lui, arrossito dalla testa ai piedi.

Monica lo guardò accigliata e gli chiese –Davvero mi sposeresti?

Perchè no? Un'altra fuori di testa in famiglia non fa differenza!- rispose lui, dopodichè le diede la buonanotte e si infilò nel suo letto, crollando come un sasso non appena toccò il materasso."

Un saluto quasi urlato lo riportò sulla Terra. Non credette alle proprie orecchie, e per qualche secondo nemmeno ai propri occhi.

–Ciao, Adamino solitario.

–N-Nicky? C-Cosa... c-come... non è possibile!

–Ho preso al volo l'ultimo volo- mormorò, la voce attutita dai rumori della strada. –Parigi ci sarà sempre.

"Ecco dove si era cacciata!"

–Anche Londra- replicò lui, avendo colto la citazione dal suo film preferito. Le si avvicinò e allungò una mano a sfiorarle una guancia.

–Non questo momento.

–Vero. Come hai capito che ero qui? Te l'ha detto Momo?

–Stai scherzando?- sbottò Nicky. –Mi è bastato dare un'occhiata alla sala... avverto la tua presenza.

–Ah, sì? Emano una qualche specie di feromone?- ironizzò Adam.

Monica lo annusò divertita e rispose –Si, un costoso feromone di nome Hugo Boss!

–Un feromone di classe.

–Tu sei tutto di classe! Un giorno ti solleverò i capelli dallo scalpo e vedrò che sono griffati pure loro!- esclamò lei, lasciando scorrere una mano tra i capelli castani di Adam, che sorrise e ribattè –Tutto marca Cartridge, Rossa. Una garanzia!

Monica sorrise a sua volta e si avvicinò a lui per poggiare la testa sulla sua spalla, bloccandosi, però, a metà strada per chiedergli, titubante –Posso?

–Un tempo non avresti sentito il bisogno di chiedermelo.

–E' un si?

Il cenno di assenso di Adam dissolse ogni dubbio: poggiò il mento nell'incavo della spalla dell'amico, serrandogli un braccio nella morsa costituita dalle sue.

Con la segreta speranza di una risposta negativa, esalò –E' quasi mezzanotte, dovresti tornare dentro. Momo ti starà cercando.

–E' con te che voglio stare- asserì Adam senza esitazione. –Adesso.

–Contravvenendo alla tradizione del bacio di mezzanotte?- lo provocò l'amica, pizzicandogli il braccio. –Cattivo, Adamino. Non. Si. Fa!

–Puoi sempre sacrificarti tu per questa nobile causa.

–Mi stai facendo una proposta indecente, Cartridge?- sussurrò maliziosamente Monica, sollevando la testa per agevolargli l'accesso alle sue labbra. Moriva dalla voglia di baciarlo.

–Una proposta che non potrai rifiutare, Rossa- soffiò Adam prima di tapparle la bocca con la sua. Per una manciata di secondi rimasero immobili a godere del piacevole contatto, poi schiusero le labbra e approfondirono il bacio... senza riuscire a fermarsi (non che lo desiderassero). Quando Monica gli morse il labbro inferiore durante una breve pausa per respirare, il giovane Cartridge si vendicò lasciando una scia di baci umidi lungo la linea della mandibola e il collo, dove si fermò a lungo, molto a lungo.

La Hawthorne non gradì.

–Il succhiotto no, stronzo! Come mi giustificherò con gli zii? E i miei fratelli? Chuck mi deriderà a vita, Leo ti gonfierà di botte!

–Dovevi pensarci prima di mordermi a sangue- fu la secca risposta di Adam. –Come mi giustificherò con Momo?

–Non farlo- esalò lei, per poi fiondarsi di nuovo sulle sue labbra. –Non dirle niente. Non nominarla nemmeno. Non pensare a lei.

–Impossibile, anche volendo: non faccio che pensare a te- si lasciò sfuggire Adam, assuefatto al sapore della sua rossa preferita: era inteso, ma allo stesso tempo familiare, rassicurante. Un cocktail letale per i suoi ormoni, che non tardarono a risvegliare "l'inquilino dei piani inferiori".

Monica se ne accorse, e le scappò un risolino che instillò nell'altro una terribile ansia.

"Io mi eccito e lei ride? Che cazzo!"

–M-Mi d-dispiace.

–A me no- lo rassicurò con un'occhiata complice. –Significa che laggiù funziona tutto. Ottimo!

–E io? Che effetto ti faccio?

L'idillio venne interrotto dal commento sarcastico di Keith –Che teneri, carini e coccolosi! Basta guardarvi per diventare diabetici!

Adam, scocciato, si girò e ribattè –Vaffanculo, Allen!

L'amico replicò con la consueta flemma –Fossi in te mi rimangerei quello che hai appena detto, e ringrazierei in ginocchio che a trovarvi in questa inequivocabile posizione sia stato io, non Momo! Tra parentesi: è fuori gioco, puoi riprendere a respirare.

–Grazie, Keith. Meglio?

–Mi accontenterò.

–Come l'hai liquidata?- chiese poi Adam.

Keith sbuffò –Un colpo di genio di Connie: è bastato insinuare che quella specie di piumino per la polvere si fosse macchiato per farla fuggire. Ama quell'obbrobrio più di te!

Scoppiarono a ridere in perfetta sincronia. Era sempre stato un rapporto strano, il loro: secondo Keith, Adam era come un farmaco, tossico a dosi elevate, ma indispensabile per sentirsi bene, e Adam gli applicava la medesima definizione; la loro amicizia non era convenzionale, bensì il frutto imperfetto dei semi gettati da Vyvyan prima della sua morte prematura, fatto di battute e fracciatine, ma, soprattutto, di sostegno reciproco nel momento del bisogno.

Monica scese al piano inferiore, a cercare Connie, lasciando gli altri due a tremare sul terrazzo. Dopo qualche attimo di silenzio tombale, Keith esclamò –Non capisco perchè siamo qui: non siamo orsi polari, non fumiamo... perchè stiamo impalati come due stoccafissi a congelarci, porca miseria?

–Non saprei- rispose Adam, scosso da un brivido. –Per tonificarci i tessuti?

–Quanto hai bevuto, Cartridge?- esclamò Keith, trattenendo a stento le risate.

–Non tanto- si schermì Adam, per poi aggiungere –Abbastanza da non sentirmi in colpa nel dirti che Connie è veramente uno schianto stasera!

–Sì, è stupenda. Più del solito.

–A differenza di qualcun altro: non trovi che Momo fosse volgare?

Keith scrollò le spalle.

–E' la tua donna, non la mia, se la trovi volgare invece che eccitante hai un problema serio!

–Lo so. Un problema con nome e cognome- sospirò Adam, giocherellando con i bottoni della camicia mentre scrutava la strada sottostante, semideserta.

Keith sbuffò per la terza volta e lo rimproverò –Proprio non ti passa, eh?

–Mi hai visto, prima.

–Dovresti voltare pagina. Sono il primo a sostenere che hai fatto una cazzata enorme ad usare Momo come sostituta di Nicky, ma sono altrettanto stanco di vederti stare di merda! Con tutto il dovuto rispetto: adesso hai di meglio, perchè ti ostini appresso a lei?

–Ci sto provando! Non è facile!- sbraitò Adam. –E' come se... fossi passato da un'utilitaria nuova niente male a una Porsche usata da urlo; all'inizio credevo che non avrei sentito la mancanza della vecchia automobile, poi ho provato la nuova e ho capito che non fa per me: l'esterno è stupendo, e l'interno fa pregustare lunghi viaggi piacevoli, il motore è eccezionale, ma che me ne faccio, se fatico a metterla in moto e non vado oltre la prima?

Keith espirò profondamentre, e disse –So io cosa ti ci vuole per riprenderti da questo incidente automobilistico: un bel whisky doppio malto!

–Tu si che mi conosci!

***

Connie - liberatasi di Momo - approfittando dell'assenza del suo fidanzato ufficiale, era sgattaiolata in cucina per un incontro bollente con Kyle, che però l'aveva lasciata insoddisfatta. Non che l'uomo dalla tartaruga magica non le avesse fatto toccare le vette del piacere, però i continui riferimenti a Keith, che tanto lo eccitavano, acuendo i già opprimenti sensi di colpa, avevano su di lei l'effetto di una doccia fredda.

–So cosa pensi, dolcezza, so cosa provi- le aveva detto il suo amante dopo aver smaltito l'ebbrezza dell'orgasmo. –Ami ancora quel bamboccio, lo preferiresti a me... se non fossi consapevole che non ti darà mai quello che vuoi, anzi, se sapesse che razza di porca sei....

Aveva pianto, vergognandosi di se stessa, non tanto per i suoi desideri (sosteneva, infatti che fintantoché non si danneggiavano gli altri e si manteneva il controllo della propria vita, tutto era lecito), quanto per aver dato a un tale bastardo il potere di giudicarla.

Si ricompose e raggiunse gli amici, sorprendendosi dell'espressione accigliata di Keith finché non sentì lo sconosciuto che era stato attaccato tutta la sera a Momo come una cozza allo scoglio ridere di Adam e Nicky, che si stavano scatenando al ritmo del jazz.

–E lo chiamano ballare? Sembrano in preda a un attacco epilettico!

–Eppure Adam sembrava normale!

Si risvegliò il lato polemico della scrittrice, che intervenne –Ehi, deficiente, non ti permettere di sputare sentenze su chi non conosci! Adam è mio amico da undici, ripeto, undici anni, ed è sicuramente una persona migliore di quanto tu non sarai mai!

–Infatti non è lui il problema- sibilò Momo, e non ci volle un genio per capire a chi si riferisse. –Chi va con lo zoppo...

Connie, furibonda, aprì nuovamente la bocca per dirgliene quattro, ma non vi riuscì: Keith gliela coprì con la mano e la trascinò a forza in un angolo relativamente tranquillo della casa, dove la liberò dalla sua presa. Sorbì senza batter ciglio la sfuriata della bionda.

–Perchè cazzo mi hai tappato la bocca? Quella stronza meritava di essere mandata a fanculo! E' la più puttanesca troia della storia e si permette di giudicare Nicky! Nicky, un esempio di autentica purezza di cuore!

Keith ribatté, tra l'allibito e il divertito –E pensare che con quella bocca mi baci!

Connie, con le mani sui fianchi, sbuffò –E' garantita la libertà di espressione, in questo Paese!

–Non voglio impedirti di usare il turpiloquio, solamente avvertirti che è inadatto a una dolce ciambellina come te!- replicò lui con semplicità, incrementando la furia di Connie, che sbraitò –Proprio non impari: hai davanti a te un'adulta! Non riesci a prendermi sul serio? Non riesci a guardarmi come si guarda una donna? No, taci. Non disilludermi completamente, tanto sono cosciente che per te sarò sempre una dolce ciambellina, una docile bambina troppo cresciuta con due grosse tette con cui non. Vuoi. Giocare!

–Che ti importa? Hai trovato un sostituto, dotato, a quanto si vocifera, di addominali che parlano, cantano e fanno magie. Cosa te ne fai di me?- replicò Keith senza scomporsi, per poi aggiungere, divertendosi per l'espressione atterrita di Connie –Ti stai chiedendo come l'ho scoperto? Lo sospettavo da tempo, e vederlo con la mia stessa cravatta mi ha dato le conferme che cercavo. Sarai pure cresciuta, ciambellina, ma sei ancora tremendamente ingenua.

Fuori di sè, la bionda gli tirò una sberla da ematoma, ringhiando –Non. Ti. Permettere. Sei stato tu a cominciare, ricordi? Se non ti sta bene che mi conceda anch'io qualche svago, va' a farti consolare dalla tua Hailey, vai!

–Ottimo suggerimento- replicò freddamente Keith. –Purtroppo non posso seguirlo: ho lasciato Hailey. Da un pezzo.

Col cuore in gola, la Bishop balbettò –T-tu.... h-hai... perché?

–Buonanotte, Connie- le sussurrò all'orecchio Keith, prima di uscire di scena. –Spassatela quanto ti pare, non ti aspetterò sveglio.

***

Franz si spaventò nel trovare dieci chiamate perse di Faith. Si affrettò a richiamarla, stupendosi di sentire all'altro capo la voce di Bridget.

–Finalmente! Si può sapere cosa stavi combinando?- strillò.

–Scusa tanto se nel frastuono dei festeggiamenti non ho sentito il cellulare!- sbraitò. –Cosa combini tu, piuttosto! Dov'è Faith? Perché stai usando il suo telefono?

–Calmo, non è niente di grave... credo. Spero. Non lo so!

–Piantala di farneticare, parla chiaro- sbottò, stranito dai rumori in sottofondo, che gli ricordavano una corsia di ospedale.

La rabbia della donna esplose.

–Senti, cocco, fosse stato per me non avresti saputo niente, è stata Faith a chiedere di te, quindi metti le tue chiappette patrimonio dell'umanità sulla Harley e vieni subito qui!

–Qui dove?- ululò un disperato Franz.

–In ospedale. Il Queen Victoria. Sbrigati!

Note dell'autrice:

Cosa sarà successo a Faith? Si rimetterà? E Franz correrà da lei o si rivelerà ancora una volta egoista?

Marcus è stato inqualificabile, non spenderò altre parole su di lui. Per fortuna la nostra doc se n'è liberata! ^^

Nicky e Adam hanno fatto un passo avanti. Spero che il loro momento magico non sia risultato, per citare Keith, da diabete. Chissà, forse se passassero qualche ora chiusi in uno stanzino, darebbero libero sfogo agli ormoni! ;-)

Connie e Keith sono altri due che dovrebbero essere rinchiusi in uno sgabuzzino: non riescono proprio a capirsi! Prima lui, poi lei... non fanno che commettere errori stupidi, quando basterebbe sedersi e parlare per chiarirsi. E' evidente che si amano, devono solo dimostrarselo a vicenda.

Ho spostato la parte col mitico duo Gertie&Rosie nel prossimo capitolo, che vedrà Franz alle prese con l'indovinello e i primi assaggi di paternità, perciò stay tuned!

Serpentina

ps: qualcuno ha capito qual è il film preferito di Adamuccio? Vi do un indizio: anche se i cruciverba sono la sua passione, non è "L'enigmista"! ;-)

 

 

 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Scusa, ma ti voglio sfruttare ***


Ciao! Se il capitolo scorso non vi ha messe k.o. vi lascio leggere questo, per certi versi più leggero... dopo, naturalmente, aver sommerso di ringraziamenti chiunque passi di qui a dare un'occhiata, chi mette "mi piace" ai capitoli, abracadabra, Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92 ed elev, che non mancano mai di lasciarmi un commento, e Aiko_Nara e Giu_ls, che seguono la storia. Mi date gioia! ^^

Scusa, ma ti voglio sfruttare

Ciò che distingue la donna dalla bambina è il saper sfruttare un uomo.

Cesare Pavese

–Perché ci fate aspettare ancora, razza di idioti? Non vedete che la mia amica sta male? Volete che crepi? La prenderete soltanto quando sarà carne da obitorio?

Le urla echeggiarono per il Pronto Soccorso del Queen Victoria Hospital, terrorizzando i membri del personale più impressionabili e facendo ridacchiare gli altri.

–Glielo ripeto per la terza volta, signora- biascicò l'infermiera dell'accettazione, stremata. –Abbiamo in carico dei codici rossi da un incidente stradale, hanno la priorità.

–Quattro ragazzini ubriachi o strafatti hanno la precedenza su una donna incinta?- sbraitò Bridget. –In che mondo viviamo?

–Nell'Inghilterra del ventunesimo secolo, signora. Ora, gradirei che si sedesse e non disturbasse gli altri pazienti.

–B! Colleghi la bocca al cervello, prima di darle aria?- la rimproverò Faith, resa ancor più irritabile dai dolori. –Sono impaziente quanto te, ma non do la colpa dell'attesa alle vittime di un sinistro!

–Oh, e va bene: ho detto una cazzata- si arrese l'altra, camminando avanti e indietro lungo il corridoio. –Mi dispiace per quei poverini, spero se la cavino. Però potrebbero occuparsi anche di te, porcaccia la miseria! Non c'è tempo da perdere!

Tempo, già.

Strana cosa, il tempo.

Alcuni lo definiscono un galantuomo, altri gli rendono il merito di curare ogni ferita, altri ancora gli rimproverano di scorrere con eccessiva velocità nei momenti felici e troppo lentamente in quelli tristi. A Faith, in quegli apparentemente interminabili istanti, sembrò essersi cristallizzato: ogni secondo le pareva durare un'ora, ogni minuto un anno, pieno di angoscia e interrogativi sulla salute sua e della cratura che portava in grembo.

Quando finalmente giunse un medico a vistarla, fu tentata di baciarlo: non che fosse particolarmente avvenente o affascinante, era semplicemente riuscito a placare le insistenti strida di Bridget (la quale, manco a dirlo, si mise a civettare con lui col consueto piglio da panterona).

L'urgentista, data la situazione, passò la "patata bollente" alla ginecologa di turno, Maggie. La Irving, allora, spedì l'amica ad avvisare i suoi genitori e Franz (ufficialmente; ufficiosamente, voleva parlare a quattr'occhi senza terzi incomodi) e, alla domanda quali sintomi avvertisse, rispose –Lo sto perdendo, Meg. Sento che sto perdendo il mio bambino.

Se si fosse trattato di un'altra futura mamma, si sarebbe risentita ("Ca... volo ci vengono a fare dal medico, se hanno già la diagnosi?"), ma, trattandosi di una collega - quindi più consapevole del valore di determinati reperti - la specialista si allarmò e, dopo una visita sommaria a causa delle mani tremanti, la portò d'urgenza a fare un'ecografia con cardiotocografia. Tenendo gli occhi fissi sul monitor, sbiancò: merito dell'istinto materno o del tanto decantato intuito femminile, la diagnosi era azzeccata. Tuttavia, si impose di mantenere la calma e infondere sicurezza nella paziente, la quale, a sua volta, si stava imponendo di non piangere.

–Beh, vediamo l'aspetto positivo: il feto è vitale.

–Per quanto ancora? La frequenza cardiaca è in calo- mormorò mestamente Faith, osservando i battiti del cuoricino divenire sempre più radi, in un lento, doloroso stillicidio, che le procurò una soffocante oppressione al petto.

–Le contrazioni sono diminuite, le perdite ematiche minime e non c'era traccia di dilatazione cervicale all'esame obiettivo, perciò dovremmo riuscire a contenere la minaccia con dei tocolitici e tanto riposo- la rassicurò Maggie.

Al suo ritorno, Bridget la tartassò con domande e insulti poco velati a Franz, reo di non aver risposto prontamente alle sue chiamate.

–Ha avuto il coraggio di dirmi che farnetico! Io! Tsk! Se non si precipita subito qui, ammazzo il primo malcapitato che acchiappo e ordino al suo fantasma di perseguitarlo!

–B, sarebbe il caso ti calmas...

–Sono calmissima!- ruggì lei, scuotendo la folta chioma fuori controllo, simile a una criniera. –Ma quell'essere indegno, dispensatore di orgasmi (si spera) e spermatozoi (a tradimento), non si può permettere di fare i suoi porci comodi e abbandonarti nel momento del bisogno!

–Dagli il tempo di arrivare, B- replicò Faith in tono conciliante, poi contorse i lineamenti in una smorfia di fastidio: l'infermiera le aveva inserito un'ago-cannula in vena. –Se è da sua madre, a Battersea, impiegherà ben più di cinque minuti per raggiungerci.

–Ammesso che non abbia mentito- sputò rancorosa Bridget. –Nella prossima vita, spero di rinascere maschio: niente mestruazioni, niente reggiseni, niente ceretta integrale, niente tacchi... potermela spassare con chi mi pare senza timore di gravidanze indesiderate o macchie sulla mia reputazione... anzi, il contrario! Nel ventunesimo secolo c'è ancora la mentalità trogloditica per cui più uno è puttaniere, più è figo! Dovresti sperare che il coso sia maschio, ti risparmierebbe un sacco di problemi!

–Per il momento, mi limito a sperare di non perderlo- sospirò l'altra, dandole le spalle. Morse il cuscino e asciugò in fretta una lacrima solitaria scesa sulla guancia.

–Ma quale perderlo! Al massimo lo conoscerai prima del tempo, chiuso in un'incubatrice e circondato da tubicini, ma...

–La medicina ha i suoi limiti: le possibilità di sopravvivenza per i nati prematuri sono direttamente proporzionali alla settimana di gestazione. Io sono alla ventiduesima: se nascesse, morirebbe.

Senza parole, Bridget boccheggiò, per poi sedersi accanto all'amica e posare la testa sulla sua spalla.

–So che per un dottore è dura trovarsi dall'altra parte, ma non disperare, riuscirai a conoscere il tuo piccolino.

Maggie, entrata nella stanza in punta di piedi, si schiarì nervosamente la voce e pigolò –Scusate l'interruzione. Devo farti due domande, Faith, per cercare di appurare la causa di questo spiacevole episodio e consentirti di trascorrere gli altri mesi di gravidanza in serenità.

Seguro!- esclamò allegramente Bridget, sconvolgendo le altre due. –E, se non dovesse rispondere lei, lo farò io!

–In privato.

–Non ho segreti per Bridget, Meg- le assicurò Faith. –Anche perché, pure se la cacciassi dalla stanza, origlierebbe!

–E' da me!- trillò l'interessata.

–Come preferisci. Hai praticato attività sessuale, di recente?

–Certo che no!

La Irving arrossì furiosamente.

–Ehm... ecco... veramente...

–L'hai data a Marcus? Sei ammattita?- ululò la pluridivorziata, mulinando teatralmente le braccia. –Quello è un coglione! Un viscido! Un rospo malamente travestito da principe!

–Zitta un attimo, B!- latrò Faith. –Continua pure, Meg.

–No, no, mi interessa! Sai, tra le cause di minaccia d'aborto rientrano i rapporti non protetti, sia per le prostaglandine contenute nel liquido seminale che per... le malattie veneree.

–Non ho fatto sesso con Marcus! Mi fa schifo solo l'idea! Sono stata - a letto, s'intende - con... ehm... Franz. Non oggi, però, la notte del mio compleanno.

Due identiche espressioni allibite accolsero la notizia. Maggie fu la prima a riprendersi, esalando un imbarazzato –Oh. Beh, allora...

–Allora un corno! Chissà con chi se l'è spassata, quello lì. Fidati, conosco gli uomini, sono come i cani: gli basta annusarla per sguinzagliarsi!

–Bridget!- abbaiò Faith, oltraggiata. –Punto primo: stai infamando Franz. Punto secondo: forse i maschietti sono infantili e insensibili perché è quello che ci aspettiamo da loro; se dessimo loro un minimo di considerazione in più, forse si comporterebbero più responsabilmente. Punto terzo: mi ha assicurato di non aver... sì, insomma... fatto sconcezze con altre, e io gli credo.

–Allora sei una povera fessa e meriti le corna!- sbottò la donna a braccia conserte. –Mai fidarsi dell'altro sesso, mai!

–In ogni caso, meglio effettuare un tampone vaginale- intervenne Maggie, temendo che la lite degenerasse: non era il caso che la sua amica, ora paziente, subisse ulteriori stress. –Non si sa mai. Nel frattempo, vagliamo alternative più plausibili: sforzi eccessivi - hai sollevato pesi, ultimamente? - oppure l'attività fisica. Una donna in dolce attesa non dovrebbe stare in panciolle, ma nemmeno darsi al cardio-fitness estremo! E' vero che esiste una certa variabilità interindividuale, ma sarebbe bene rimanere nei limiti del buon senso.

–Tranquilla, doc, da questo punto di vista la terrò d'occhio io: d'ora in poi niente di più faticoso della cyclette!

Faith, dopo essersi sottoposta - mugugnando - al tampone vaginale, non ebbe modo di esprimere la propria opinione riguardo il riposo forzato perché una furia irruppe nella stanza, si avventò su di lei e la strizzò, chiocciando –La mia bambina! Come stai? Ti hanno trattata bene? Oh, cucciola, non sai che paura ho avuto... per fortuna sei sana e salva.

–Modera l'entusiasmo, Rosie cara. Nostra figlia ha un ago in vena e, col tuo abbraccio, rischi di strapparglielo- intervenne il marito, anche lui pallido in volto, ma meno teso, una volta appurato che la sua Tartarughina si sarebbe rimessa; da come aveva descritto la situazione Bridget, se l'era immaginata moribonda!

Come al solito, quel commento infelice diede il via a un bisticcio che lasciò allibita Maggie, divertita Bridget e con un forte mal di testa Faith. A rendere la stanzetta ancor più angusta e rumorosa provvidero Abigail, Ben e Brian, i quali abbracciarono a turno Faith e cianciarono, in un disordinato miscuglio di voci, delle difficoltà incontrate nel lasciare la festa inosservati.

Esauriti i convenevoli e le chiacchiere più o meno futili, tutti notarono che mancava qualcuno all'appello. Fu proprio Mrs. Irving a osservarlo.

–Dov'è Franz?

***

Era fuggito senza dare spiegazioni, ma non gli importava: che le amiche di sua madre si offendessero pure, le sue priorità, in quel momento, erano altre: dalla telefonata di una Bridget sull'orlo di una crisi di nervi aveva capito che Faith era in ospedale. Doveva correre.

Saltò in sella alla Harley, infilò il casco e si precipitò al Queen Victoria Hospital. Peccato che il suo mezzo di trasporto avesse deciso di fare le bizze proprio quella notte.

–E' uno scherzo! Ti venero come un regina, e mi ripaghi lasciandomi in mezzo alla strada? E se arrivasse un pazzo omicida? Un rapinatore? Un rapitore? Dai, su, Harleyuccia del tuo Franz, parti! Fammi contento, allieta le mie orecchie con la melodia del tuo motore. E parti, stupida moto del cazzo!- tuonò, tentando varie volte di farla ripartire. Invano. Incazzato nero, diede un calcio alla ruota anteriore, maledicendo la propria frettolosità: se avesse spiegato la situazione a sua madre, sarebbe sì diventato vittima della sua ansia, ma almeno avrebbe avuto un passaggio! –Perché? Perché a me?- piagnucolò depresso, fulminando con lo sguardo il mezzo di trasporto che giaceva inerte davanti ai suoi occhi. –Ho un dannatissimo bisogno di raggiungere Faith, sapere se sta bene, terrorizzare il personale sanitario per farle ottenere le migliori cure possibili... non posso perdere tempo qui impalato! Però non posso neanche lasciare qui Harley: la ruberebbero di sicuro! Porca troia, che faccio? Che. Accidenti. Faccio?

Sul punto di abbandonarsi a un pianto liberatorio, venne colto da una luminosa idea; fiero dei suoi neuroni, la mise in atto seduto sul marciapiede.

–Rispondi, su. Rispondi, brutto figlio di...

–Tua madre, quindi non ti conviene offendere- rispose una voce scocciata all'altro capo. –Che diavolo vuoi? Si dà il caso sia solo con mia moglie per la prima volta da mesi, vorremmo fare un po' di rumore, non so se mi spiego...

–Ti sei spiegato perfettamente, ma ho bisogno di te: smettila di palpeggiare la tua donna e ascolta attentamente, ti spiego come raggiungermi.

Attese (im)pazientemente l'arrivo dei soccorsi, che si materializzarono sotto forma di berlina rossa, il cui guidatore, accompagnato dalla consorte, palesemente seccata, esclamò –Pronto Intervento Fraterno a rapporto! In cosa posso esserti utile, fratellino?

–Spero sia grave. Gertrud ha accettato di tenere i bambini a dormire da lei, non rinuncio a stare con mio marito per niente di meno dell'apocalisse!- sbottò Serle, scoccando un'occhiataccia al cognato.

–E' il motivo per cui sono scappato dalla festa di mamma: mi ha telefonato un'amica di Faith; è in ospedale!

–E allora? Non ci sono abbastanza medici di turno che deve scomodare te?- sbuffò Alexander, strofinandosi le palpebre.

–Nei tuoi pantaloni si sono trasferiti proprio tutti i neuroni, eh, Xandi? C'è Faith in ospedale!- barrì Franz. –Ho spasmi in tutto corpo, il cuore a mille, sento che potrebbe scoppiare, e... oddio, impazzirò! Stavo andando da lei, ma sono rimasto appiedato.

I due coniugi mutarono immediatamente espressione e tono di voce.

–Faith sta male? Perché non l'hai detto prima?

–Dove l'hanno portata? Andiamo subito!

–Ehm, ecco... veramente, avevo in mente di andarci a piedi, mentre voi sorvegliate Harley.

Sconcertato, Alexander esalò –Spero di aver capito male: ci hai fatti accorrere qui per fare da balia a quell'ammasso di ferraglia? Sul serio?

–Ammasso di ferraglia sarà la tua macchina!- replicò Franz.

–Perlomeno io posso guidarla, una macchina. Tu resterai fossilizzato sulla tua costosa bicicletta motorizzata per il resto della vita!

–Oltraggio! Ritira immediatamente, o...

–Volete smetterla? Siete peggio dei bambini dell'asilo! Faith è in un letto d'ospedale, e invece di fiondarti da lei discuti della tua fottuta moto! Non sei degno di leccarle via il fango dalle scarpe! E tu, che lo assecondi, sei inqualificabile!- ruggì Serle, ponendo fine al bisticcio dei due fratelli.

–Scusa, bella bionda. E scusa, fratellino.

–Hai ragione. Faccio schifo- gnaulò Franz a testa bassa.

–Rimedia correndo da Faith- chiocciò in tono materno Serle. –Sono sicura che ti sta aspettando.

Alexander lo guardò finché non venne inghiottito dal buio della notte, dopodiché si girò verso sua moglie e sospirò –Di nuovo soli, finalmente.

–Sì, soli in mezzo alla strada a fare la guardia a una moto. Che palle! Se penso che stavo per mostrarti l'intimo sexy che ho acquistato per l'occasione- cinguettò Serle con voce trasudante sensualità, scostando il vestito quel tanto che bastava a lasciar intravedere del pizzo rosso e nero e delle roselline –Ci tenevo tanto a onorare la tradizione: chi ci dà dentro a capodanno, ci dà dentro tutto l'anno.

Quello spettacolo smosse il "cervello inferiore" di Alexander, il quale, sorridendole maliziosamente, si allungò a baciarle il collo dal basso verso l'alto; raggiunto l'orecchio, sussurrò –Bella bionda, ti ho mai detto che quest'automobile... ha i sedili ribaltabili?

Franz - trafelato, sudato, praticamente impresentabile - senza saperlo, arrivò in un momento decisivo: udì infatti Maggie Bell discuetere delle accortezze da tenere in futuro, e delle cure di cui avrebbe necessitato Faith nelle settimane a seguire.

–No, mamma, ho sbagliato all'inizio a venire a vivere da voi, adesso basta- protestò lei.

"La solita, adorabile testarda! Levatele tutto, pure il suo Brail, ma non la sua indipendenza!", pensò, ridacchiando, Weil.

–Niente storie! Hai sentito la dottoressa Bell, cucciola: hai bisogno di essere accudita, e chi meglio dei tuoi genitori?- celiò Mrs. Irving, dando di gomito al marito, che però preferì mantenersi neutrale.

–E il vostro viaggio romantico? Non posso chiedervi di fare questo sacrificio: sognate il Perù da quando eravate ragazzi!

–Infatti non ce lo stai chiedendo, e non è un sacrificio. Per la nostra cucciola, questo ed altro!- asserì Rose in tono deciso, ma Franz riuscì a sentire il flebile "Parla per te" del padre di Faith. –D'altronde, chi altri potrebbe prendersi cura di te?

–Io- rispose senza esitare, facendo capolino sulla soglia. –Ne sarei felice.

***

–Mi sorprendi, Husky - posso chiamarti Husky, vero? - credevo non avresti mai lasciato sola Faith, specialmente dopo quanto è successo- ansimò Chester Sullivan, tergendosi il sudore dalla fronte. Da un paio d'anni a quella parte, infatti, frequentava la stessa palestra di Franz e i suoi amici.

–Può cavarsela da sola, per una sera- sbuffò lui, imbronciandosi: neanche sotto tortura avrebbe confessato che la donna che amava lo stava mandando fuori di testa: guardare senza poter toccare era una tortura. –La verità? Non. La. Sopporto. Più! Sta diventando una vera strega!

–Ah, sì? Strano, Faith mi sembra un po' come te: cuore tenero racchiuso da una scorza dura- asserì Harry James. –Cos'ha combinato di tanto terribile?

–Te lo dico io, amico- scherzò Robert Patterson. –Ha provato a cucinare!

–Ridi, ridi- sbuffò Franz. –Non sei tu quello schiavizzato dalla sua donna e costretto a mendicare un posto letto da Brian! Speravo che assumermi l'onere di dare una mano a Faith l'avrebbe persuasa a riprendermi in casa, magari persino nel letto... non solo per dormire... invece niente. Nada. Nisba.

–Ti ha fregato alla grande!- rincarò Robert, per poi dare di gomito a Sullivan: una ragazza "ben fornita" stava correndo sul tapis roulant, una visione celestiale ai loro occhi. –Ti ha trasformato nel suo schiavetto personale senza darti nulla in cambio! Al tuo posto, l'avrei già mandata a quel paese. Sarà pure la madre di tuo figlio, ma non può soffocarti: non è tua moglie!

–Ha ragione- annuì Sullivan. –No anello al dito, no diritto alla rottura di palle!

–Scommetto che anche stanotte ti ha svegliato per un'inezia.

–Sai che sfoggio di perspicacia: è come indovinare che al notiziario della sera ci sarà almeno una notizia di cronaca nera!- esalò Franz, digrignando i denti mentre manteneva contratti gli addominali. –E' incredibile: sono corso da lei - oltretutto lasciando la mia adorata Harley in custodia a mio fratello e mia cognata, che sono riusciti non so come a prendere una multa per atti osceni in luogo pubblico - mi sono sacrificato per lei... e ha la faccia tosta di fare la stronza! A parte che è costantemente vigile e iperreattivo a ogni minimo doloretto...

–Vorrei vedere- osservò Harry. –Ha rischiato di perdere il bambino! Piuttosto, è scioccante che tu sia così sereno!

–Ha rischiato di perderlo, non l'ha perso. Potrebbe stare un po' calmina. E poi, onestamente, ero più preoccupato per lei che per il feto.

–Il feto! Sentito, ragazzi? Abbiamo un candidato per il premio 'Padre dell'anno'!- ironizzò Chester Sullivan.

–Fottiti, Chester. Non ho mai fatto mistero della mia avversione per i mocciosi, e l'atteggiamento ostile di Faith non fa che accrescerla: mi tiene a distanza manco avessi la lebbra, però approfitta di me per le sue voglie, e non quelle a luci rosse - volesse il cielo! Secondo Xandi è perverso, ma che posso farci se gravida è ancora più arrapante? - quelle stupide! Stanotte, ad esempio, aveva voglia di cupcakes alla lavanda, la nuova specialità della pasticceria di Melanie. Naturalmente li aveva finiti, così, prima di buttare giù dal letto Mel, ho rotto le scatole a mia madre, che fortunatamente ne aveva tre. Ieri, invece, aveva voglia di fragole - a gennaio, cazzo! - e l'altro ieri mi ha trascinato a fare shopping, aveva voglia di comprarmi un maglione; un'esperienza allucinante, ve l'assicuro! Poi ha il vizio di fissarmi mentre mangio: dato che sta seguendo una rigida dieta, mi fa sentire in colpa e mi passa la fame! Tremendo!

–Tremendo sì! Neppure Freddie nei suoi momenti peggiori ha toccato simili vette di assurdità!

–Mia moglie non era così, nossignore- intervenne Sullivan. –Anzi, per nove mesi è stata uno zuccherino. Forse dovremmo fare un altro figlio...

–Sì, bravi, figliate. Datemi lavoro! Sai, Husky, adesso che ci penso, credo di aver capito perché la futura mammina tutta curve ti assilla- ridacchiò Robert. –Si sta prendendo gioco di te! E con stile, direi! Spiacente, amico, verrai tampinato per almeno altri quattro mesi. Ma che dico, quattro mesi? Di' addio alla tua vita... paparino!

–Paparino lo dici a tuo padre! Quanto a Faith, pazienterò. Dopotutto, non si può negare che me lo sono meritato, e se servirà a farmi tornare nelle grazie della mia Faith - in tutti i sensi, mi manca poter toccacciare quell'abbondanza - allora ben venga lo sfruttamento!

–Anzi, devi ringraziare che non abbia combinato di peggio. Conoscendola, ne sarebbe capacissima! Forse ti conviene non dormire nel suo stesso letto... dovresti stare con un occhio aperto comunque!

I quattro rientrarono negli spogliatoi sghignazzando a spese della Irving, ma Weil si bloccò di colpo quando una massiccia figura maschile gli batté sulla spalla.

–C-Chris?- balbettò, poi si schiarì la voce e decise di apparire impassibile. –Vuoi darmi un altro pugno? Accomodati!

–Come sta Faith?

Rivolta una rapida occhiata rassegnata a Robert, Harry e Sullivan, che se l'erano svignata, Franz esalò –Oh, lei! Sta bene, adesso. Finge di lamentarsi perché le faccio praticamente da colf, ma sotto sotto è contenta di rilassarsi. C'è altro?

Chris si grattò nervosamente la nuca e si mangiucchiò le unghie, dopodiché lo abbracciò, rischiando di soffocarlo.

–C-Chris... a-aiuto...

–Perdonami, Husky. Ho sbagliato, me ne sono reso conto da un pezzo, ma non trovavo il coraggio di avvicinarti.

–L-Lasciami r-respirare e t-ti p-perdono- boccheggiò Weil, poi, una volta libero dalla presa forzuta dell'ex rugbista, aggiunse –Anche se non ce ne sarebbe bisogno. L'errore è stato mio: ti ho provocato. E' stato crudele denigrare qualcosa che desideri disperatamente.

–E' stato stupido da parte mia prendermela tanto- replicò Chris. –Soltanto perché sogno di diventare padre, non significa che debbano necessariamente volerlo tutti.

Franz, estremamente a disagio, decise di spendere una buona parola per Erin.

–Sarebbe stato meglio se fosse toccato a te: sei gentile, hai un grande cuore, e con quei muscoli d'acciaio avresti saputo tenere a freno qualsiasi monelleria. Però potrebbe accadere, in futuro... magari con Erin.

–Oh, a questo proposito: grazie. Non so cosa le abbia detto di preciso, ma ha funzionato: è venuta da me e ha confessato di avermi nascosto i risultati del test di fertilità. All'inizio mi sono infuriato, poi ho compreso che se mai un giorno un bambino mi chiamerà papà, Erin sarà la sua mamma. E' lei che voglio accanto, il resto... si vedrà.

–Scelta saggia: non sono romantico, lo sai, però so riconoscere una coppia per la vita, e voi lo siete- asserì l'amico, per poi fregarsi le mani e sibilare –Tuttavia, non siamo ancora perfettamente pari...

Un minuto dopo, Robert, Harry e Sullivan rimasero a bocca aperta: Chris era uscito dallo spogliatoio insieme a Franz, col sorriso sulle labbra e... il naso insanguinato.

***

Gertrud Philips stava radiografando una tutina arancione - abbellita da un grazioso coniglietto che sgranocchiava una carota - mentre ascoltava dalla viva voce della sua quasi consuocera il bollettino medico sulla salute di Faith. Suo marito la prendeva in giro, ripetendole che le piaceva la compagna di Franz solamente perché stravedeva per sua madre, e lei non aveva il coraggio di smentirlo: era una ragazza d'oro - se si sorvolava sulla sua avversione per la cura della casa: praticamente non muoveva un dito, se non per azionare gli elettrodomestici! - ma la sintonia che aveva con Rose era ineguagliabile. Aveva beccato la donna giusta per il suo kind e un'amica in un colpo solo!

–Non, è adorabile?- cinguettò, senza neanche controllare il cartellino del prezzo: per il suo nascituro nipotino, questo ed altro.

–Oh, sì. E rispetta tutte le strambe regole di mia figlia sull'abbigliamento del bambino- commentò Rose. –Niente colori o disegni ambigui - arancione e conigli vanno bene pure per i maschietti, vero? - perché ancora non conosciamo il sesso. L'ho implorata di chiederlo alla ginecologa - una donna alquanto sgradevole, però sa il fatto suo - ma si è rifiutata: preferisce la sorpresa.

–Anch'io preferii la sorpresa, a suo tempo. Risultato? Ero talmente sicura che Franz fosse femmina che per un anno ebbe tutto rosa! Spesso mi domando se non abbia inciso sul suo carattere.... Non che una nostra eventuale nipotina rischierebbe in tal senso. Faith è stata categorica su questo punto: niente rosa, merletti e fronzoli- sospirò mestamente Gertrud: essendo madre e nonna di maschi, sognava una femminuccia da vestire da principessa. –Mi sembra un'assurdità, ma preferisco non mettere becco e limitarmi a viziare lui o lei.

–Meno male che qualcuno, oltre me, trova certe pretese insensate!- esclamò Rose, che aveva appena adocchiato un paio di scarpine bianche e rosa. –Secondo quella testa bacata di mia figlia, conciare una bambina da principessina la trasformerà in un'ochetta viziata dalla vivacità intellettuale di un paramecio. Se fosse vero, a quest'ora sarebbe una svampitona, dato che da piccola ha avuto la sua dose di abitini rosa da principessa! Che fosse strana, però, l'ho sempre sospettato: a otto anni la moglie di mio cugino - una fanatica senza speranza - le regalò un set di trucchi; sai cosa ne fece? Usò come acquerelli gli ombretti e come pastelli a cera i rossetti! Un pastrocchio!

–E' innegabile che possiede una mente fuori dal comune- replicò Getrud, divertita, più che sconcertata, dalla vicenda.

–Fuori e basta- sbottò Rose. –Ah, quasi mi dimenticavo: devo ringraziarti di cuore, la mia Foresta Nera ha fatto furore, ieri. Quella schizzinosa di Gloria Patterson ne ha prese due fette, pensa!

–Ricetta originale tedesca- chiocciò compiaciuta Gertrud. –Il ricettario è l'unico regalo della mia ex suocera che non ho restituito ad Hans.

–Questa dei ricettari pare una moda delle nonne: anche mia suocera ne teneva uno; mi aveva proibito di toccarlo - raccomandazione inutile: è scritto in italiano, che per me è arabo! - perché arrivasse integro alla sua unica nipote femmina. Ironia della sorte: Faith non cucina! Speravo che, stando con Franz, avrebbe imparato almeno i fondamentali, invece...

–Non è detto che non possa accadere, cara- la rassicurò l'amica. –Dobbiamo battere il ferro finché è caldo!

–Ci hai iscritte a un corso per fabbri?

–Che dici? Casomai, ci avrei iscritte a un corso di lavoro a maglia, così potremmo fare da noi il corredino. No, intendevo che quei due si stanno riavvicinando, dobbiamo dar loro una spintarella!

Stupefatta, Rose domandò –Possiedi una sfera di cristallo? O doti medianiche? L'ultima volta che ne abbiamo parlato, mia figlia ha giurato che avrebbe castrato tuo figlio, se mai avesse osato provarci con lei. Non può aver cambiato idea tanto in fretta!

–E' assurdo, lo so - infatti è un'idea di Alex - ma Franz sembra inspiegabilmente più felice: canticchia, sorride e, fatto ai limiti del fantascientifico, ha detto alla figlia di Martin - da lui ribattezzata Maga Magò - che era favolosa! Favolosa! Ora, o è un sosia, o è sotto incantesimo, oppure qualcosa, anzi, qualcuno, gli ha portato il morale alle stelle, e quel qualcuno credo - cioè, mio figlio crede, e io concordo - sia Faith.

L'altra, che aveva ascoltato con attenzione, si grattò il mento e annuì.

–Devo ammettere che potresti avere ragione... noi, però, cosa c'entriamo in tutto questo?

–Non è ovvio?- trillò Gertrud, quindi, di fronte alla perplessità di Rose, decise di parlare chiaro –Ci immischieremo. Per il loro bene. Quei due testoni, lasciati a loro stessi, impiegherebbero anni a riconciliarsi, e io voglio vederli di nuovo innamorati, felici e, possibilmente, sposati!

Esterrefatta, Mrs. Irving lasciò cadere la borsa, che recuperò immediatamente, rossa in viso.

–S-Sposati? Non ti sembra di esagerare?

–Esagerare? Rosie, vivono sotto lo stesso tetto (più o meno) e stanno per diventare genitori - a proposito: ti piace questa copertina? Secondo me è perfetta, il patchwork si adatta a qualsiasi tinta sceglieranno per la stanzetta del piccolo - insomma, non si può dire che non siano legati, dunque perché non ufficializzarlo?

–Gertie, fossi in te non inizierei a pianificare la cerimonia- obiettò Rose. –Franz, senza offesa, mi pare uno spirito troppo libero e Faith è, beh, allergica a... certe cose.

"Sai com'è, se vieni mollata a una settimana dalle nozze l'idea di metterti la fede al dito ti fa venire come minimo l'orticaria!"

–Ma... ma... si amano!- protestò Gertrud.

–Tante coppie non sposate si amano, e altrettante coppie sposate... neanche un po'- osservò Rose.

–Ma... ma... visto che si amano, potrebbero benissimo sposarsi. Non dico debba essere lo scopo primario della vita, però...

–A volte mi pento di aver cresciuto Faith in maniera tanto libera: se fossi stata più tradizionalista avrebbe avuto altre priorità che non il lavoro. Ah, beh, è tardi per recriminare- sospirò Rose.

–Ma non per rimediare. Abbiamo il dovere di indirizzarli sulla giusta strada... e poi voglio organizzare un matrimonio!- gnaulò la bruna, agitando i piedi come una bimba capricciosa.

–Capisco che vuoi rifarti per le nozze-lampo di Alexander, ma non puoi obbligarli! Inoltre, sono soltanto congetture: non abbiamo certezze che siano tornati insieme, nè che desiderino farlo, quindi basta sogni, torna coi piedi per terra.

–Va bene, ma sappi che continuerò a sperare.

–La speranza è l'ultima a morire, e tu sei abbastanza tenace da far avverare ogni tuo desiderio, tanto più che questo mi pare fattibile- esclamò Rose. –Però l'abito di Faith lo scelgo io, sia chiaro!

***

Che Franz fosse preoccupato era evidente: masticare distrattamente uno snack fissando il vuoto indica chiaramente che la mente è altrove. Harry James era determinato a scoprirne la ragione e, tanto per divertirsi un po', metterlo in imbarazzo.

–Eh, sì: una vera bomba, tua madre- esalò in tono lacrimevole. –Credevo che la prospettiva di una cosa a tre l'avrebbe spaventata, invece è stata fantastica! Resti tra noi... spompina meglio della mia Freddie!

–Grandioso- bofonchiò Franz, poi, registrate le parole dell'amico, si sconvolse, rischiando di sputare il boccone. –Ehi! Mia madre non fa certe cose!

–Bentornato tra noi!- esclamò Robert Patterson senza staccare gli occhi dal suo smartphone. La paura che Vanessa si materializzasse all'improvviso non gli impediva di scambiare messaggi con Elise, anche se doveva ammettere che conversare era mille volte meglio: la voce squillante della biondina, il suono tintinnante della sua risata, addirittura l'abbaiare tonante di Madeleine in sottofondo, inspiegabilmente, gli davano gioia.

–Detto da colui che si è trasformato nell'appendice del suo cellulare- ribatté Franz, arricciando le labbra in una smorfia di disapprovazione. Il suo amore per la tecnologia era proprozionale alla funzionalità: non avrebbe mai sprecato soldi in aggeggi inutili per la mera smania di sfoggiare l'ultimo modello.

–Ci dici cos'hai che non va?

–Niente.

–Spiacente, il "niente" che vuol dire "tutto, ma devi capirlo da solo" è un'esclusiva femminile- insistette Harry. –Eri praticamente in trance, è impossibile che non ci sia sotto roba grossa!

–Ah, beh- rispose Weil con un sorrisetto malizioso, incrociando le mani dietro la testa mentre muoveva il bacino. –Se è roba grossa o meno deve giudicarlo Faith.

–Sei un idiota!- sbraitò Robert, le dita che volavano sul touch screen componendo il testo dell'ennesimo messaggio della giornata. Di questo passo avrebbe azzerato il credito entro l'ora di pranzo. –Parla, o ti faremo cantare noi!

–A te 'Il Padrino' ha guastato il cervello- commentò Franz. –Sei consapevole di non essere Don Roberto Corleone, sì?

–Imbecille!- ruggì l'altro, mettendo il broncio. –Uno cerca di aiutare...

–Vuoi aiutarmi? Dimmi cosa "dal letto esce raramente, ma non dorme mai"!- soffiò Franz, battendo un pugno sul tavolo della caffetteria.

–Ehm, senza offesa... è fatto di LSD, quel Mars? Che cazzate spari?

–E' un indovinello, Patty. Se lo risolvo, potrò rientrare in casa- spiegò Franz con lo stesso tono che avrebbe usato una maestrina con un alunno duro di comprendonio.

–E' folle!

–E' da Faith. Continua a farmi perdere la testa, anche se preferirei perderla per quelle labbra succose, le curve generose... un momento: non è strano che le sue tette siano rimaste pressoché uguali? In genere le donne in dolce attesa hanno dei meloni da competizione!

–Interrompi qui, ti prego, voglio poter continuare a guardare in faccia Faith senza arrossire!- gnaulò Harry. –Avanti, Patty, mettiamo in moto il cervello: possiamo risolverlo, ne sono certo, e poi mi distrarrà dal pensiero delle angurie di Faith.

–Angurie?

–I meloni sono troppo piccoli.

–Vero.

–Gentilmente, la piantereste di commentare le, ecco, ghiandole mammarie della mia se-tutto-va-bene-non-più-ex donna?

Il diabolico duo si scusò e si scervellò invano per il resto della pausa, dopodiché si arresero e tornarono nei rispettivi reparti, lasciando Franz a rimuginare da solo.

"Dal letto esce raramente, ma non dorme mai" gli risuonava nella testa come un ritornello che mai lo abbandonava, neppure quando tornò in laboratorio. Decise di vivacizzare l'atmosfera con della musica, dato che sembravano tutti non-morti scappati dall'obitorio.

–King non approverà- osservò Rajiv Sandee.

–Lo vedi da qualche parte?- ribatté Franz. –Appunto. Ora passiamo a questioni serie: stamani il programma operatorio è pienissimo, perciò avremo tante estemporanee. Lavorate in fretta e, soprattutto, bene, e ne usciremo vivi.

–Dobbiamo sopravvivere, c'è la torta di mele a pranzo!- ironizzò il dottor Sullivan, alleggerendo la tensione.

Una ventina di minuti più tardi li raggiunse il dottor King, reduce dalla compilazione di una montagna di moduli amministrativi.

–Chi ha messo 'sta schifezza?- ruggì, tappandosi le orecchie. Quel ritmo sincopato gli dava sui nervi.

–Io- rispose Franz, alzando la mano come un bravo scolaretto. –Un pezzo semplice e ritmato è l'ideale per concentrarsi. Ho letto un articolo in proposito su 'Neurology'.

–Sì, sì, risparmiaci la lezione di neurofisiologia.

–Ogni suo desiderio è un ordine, capo. Comunque, per sua informazione, la "schifezza" è 'The hardest button to button' dei White Stripes.

–Sempre schifezza rimane- sbottò King, per poi mettersi a girovagare per il laboratorio, monitorando l'operato dei presenti (dopo aver spento e scollegato dalle casse il lettore mp3, ovviamente).

–Ehi, avete sentito di quella ragazza scomparsa?- intervenne Josh Elomond, che detestava il silenzio.

–Sì. Ieri sera, al telegiornale, hanno ricordato la storia per la centesima volta- sbuffò Sullivan.

–Se permettete, ho notizie più precise: hanno ritrovato nel fiume...

–Il corpo?

–Borsa e cappotto.

–Immagino dragheranno il letto, per sicurezza- osservò Jeff (all'anagrafe Thomas Jefferson. I suoi genitori dovevano volergli davvero male!). Fu come venire colpito da un fulmine: pervaso da una fervente eccitazione, Franz scattò in piedi, lo costrinse a voltarsi e gli ordinò di ripetere quanto aveva appena detto.–Ho detto qualcosa di sbagliato? La mia era una semplice deduzione: trovi effetti personali di una persona scomparsa in un fiume, ne fai dragare un tratto per accertarti che nell'acqua non ci sia anche il resto. No?

–Le parole esatte!

–Certo che sei scocciante! Che importanza ha? Oh, e va bene: ho detto che avrebbero dragato il letto...

"Dal letto esce raramente- o anche no, si spera - ma non dorme mai."

–Jefferson, sei un genio!- trillò, poi fece qualcosa di sconcertante: stampò un bacio (con tanto di schiocco) sulla guancia del collega e riprese il lavoro come niente fosse.

Le risate di Josh, Rajiv e Sullivan echeggiarono nella stanza: l'uomo, rosso come un pomodoro maturo, si tastava la guancia in estasi. Esilarante!

–Meglio se non lo racconti a tuo marito, Jeff!

***

Faith si stava addormentando, il che era tutto dire, considerato che stava guardando 'The grudge', non proprio un filmetto soporifero. La colse un attacco di tristezza: ripensò alle serate davanti alla tv con le amiche o con Agatha, di cui sentiva terribilmente la mancanza, e provò una sgradevole stretta allo stomaco.

All'improvviso sentì armeggiare con la serratura; colta di sorpresa, trasalì e - fiduciosa nel prossimo come sempre - prese dalla borsa la bomboletta di spray urticante, prima di avvicinarsi cautamente alla porta.

Quando Franz la vide - sconvolta, rossa per l'imbarazzo, che brandiva a mezz'aria lo spray anti-aggressione - trattenne a stento le risate ed esclamò –Ora capisco perché riceviamo poche visite!

–Cosa ci fai qui a quest'ora?- gli chiese, scrutandolo con sospetto, senza curarsi di giustificare l'orripilante insieme di camicia da notte a motivi floreali su pantaloni del pigiama, questi ultimi infilati nei calzettoni di spugna, il tutto condito da bigodini e maschera di bellezza.

"La prova del nove: se non scappa o ride, mi ama veramente dal profondo del cuore!"

–Vengo in pace, tranquilla- rispose lui, ed emise un sospiro di sollievo appena ripose la bomboletta.

–Quel borsone?

–Il necessario per dormire. Dopo numerosi sforzi, ho trovato la soluzione all'indovinello. "Dal letto esce raramente, ma non dorme mai": il fiume. Posso entrare, adesso?

Faith, esterrefatta, si scostò per lasciarlo passare e, dopo avergli ordinato di preparare della cioccolata calda ed essersi ripulita la faccia, si accoccolò sul divano. Franz, mormorata una flebile protesta, bevve in silenzio e immobile, osservando con la coda dell'occhio la donna seduta accanto a lui: la maternità le donava sul serio. I contorni del viso erano ulteriorente addolciti, un lieve rossore donava luce alla carnagione pallida e il pancione si armonizzava con le sue forme. Senza riflettere, le chiese –Non ho mai visto le ecografie. Potresti...?

Faith, piacevolmente sorpresa, scattò a prenderle.

–Mi sorprende che ti interessi, ma ne sono felice. Ecco, questo è il cariotipo. Soltanto gli autosomi, però: non voglio conoscere il sesso del bambino. Ah, ti avverto: la prima volta può venire da ridere...

–E' vero- esalò lui, irrigidendosi: teneva tra le mani la prima immagine del risultato di un incontro casuale tra l'ovocita prescelto e lo spermatozoo vincente, alias suo - provò una sorta di tuffo al cuore al solo pensiero - figlio. Si sentì assalire dal panico, ma cercò di mascherarlo. –Qui sembra che tu abbia inghiottito un'arachide gigante!

–A me sembrava un alieno- replicò Faith, prima di passare alle seguenti. –Nelle successive assume un aspetto più umano.

–E lascia intendere che sarà un burlone: mostra al mondo il lato B!

Scoppiarono a ridere senza riuscire a fermarsi, e, quando incrociò i suoi occhi verdastri, Franz provò l'irrefrenabile impulso di stringerla tra le braccia e accarezzarle il ventre. Si mosse lentamente per colmare la piccola distanza che li separava, ma lei lo bloccò.

–No! Devi meritarlo, visto il trattamento orribile che gli hai riservato da quando hai saputo della sua esistenza. Spero che imparerai a essere padre prima di diventarlo, Franz. E' meglio che vada a dormire, domani mi aspetta una giornataccia.

Franz annuì, la aiutò ad alzarsi ed esalò –Hai ragione. Beh, buonanotte. Non preoccuparti per le coperte, le ho. Mi serve soltanto un cuscino.

–Come, prego?

–Avevi detto che, risolvendo l'enigma, avrei potuto essere riammesso in casa e dormire sul divano. Non so tu, ma io dormo malissimo senza cuscino... specialmente sui divani.

Intenerita (e, in fondo, desiderosa di compagnia per la notte), Faith scosse il capo e sbuffò –Non sparare stronzate! Ti sembro abbastanza sadica da permettere che ti polverizzi la schiena su quel coso? Bell'opinione hai di me!- poi, sorridendo alla sua aria scioccata, aggiunse –Vieni a letto.

Note dell'autrice:

Eh, direi che Franz è CORSO a letto. Faith glielo ha praticamente ordinato, ma in un modo che gli ha reso impossibile rifiutare. E poi, diciamocelo, chi mai dormirebbe sul divano quando ha un comodo letto da dividere con la persona amata? ;-)

Gertie&Rosie hanno fatto faville in tutto il loro splendore. Un vero duo a delinquere, le quasi consuocere! Che dite, riusciranno a convincere quei due testoni a convolare a nozze? Io Franz non ce lo vedo inginocchiato al tramonto che fa la proposta per eccellenza, e voi?

Xandi e Serle sono tornati! L'adorabile fratello di Franz e la sua vivace mogliettina non potevano mancare! Costretti a fare da baby sitter a una moto, poveretti (fortuna che si sono rifatti alla grande) per permettere a Franz di correre dalla sua Faith... e dal piccolino, anche se deve ancora realizzare che tornare con lei significa accettare l'idea che d'ora in poi saranno in tre. Intanto ha fatto pace con Chrissino. Era ora!

Mi dispiace se vi sono mancati gli altri personaggi, ma credo che un capitolo F&Fcentrico, a questo punto della storia, fosse necessario. Nel prossimo torneranno Adamino, Nicky e tutti gli altri, non preoccupatevi!

Au revoir!

Serpentina

ps: la cardiotocografia è un esame che monitora le contrazioni uterine e il battito cardiaco fetale, i tocolitici sono farmaci che inibiscono la contrazione del miometrio (la muscolatura dell'utero) e il cariotipo è lo studio dei cromosomi (nei soggetti normali, 44 autosomi e 2 cromosomi sessuali). 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Much ado about something ***


Ciao a tuttI (la mia speranza che passino di qui anche ragazzi divampa! XD)! E' arrivato febbraio, e, almeno dalle mie parti, la pioggia torrenziale... voi siete all'asciutto? Spero di sì! ;-)

Grazie alle mie fedelissime Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92 ed elev, che non mancano mai di recensire, e a rainirys, che segue la storia (tutte le mie storie, a dire il vero)! :-*

Non aggiungo altro, se non: preparatevi per un Franz più bastardo che mai! Ma noi lo amiamo lo stesso, vero?

Much ado about something

Possiamo scegliere quello che vogliamo seminare, ma siamo obbligati a mietere ciò che abbiamo piantato.

Proverbio cinese

Da quando aveva abbandonato il nido, alias casa di Brian, Franz Weil si svegliava di buonumore: nessuno gli avrebbe creduto se lo avesse detto - ormai la sua fama di cuore di ghiaccio lo precedeva - ma gli era sufficiente avere Faith accanto per sentirsi in pace col mondo. Nonostante tutto il (meritato) rancore che ancora gli serbava, si stava lentamente ammorbidendo nei suoi confronti, e confidava di poter al più presto riprendere ad usare il letto per attività diverse dal riposo notturno. La raggiunse in cucina e, senza pensarci due volte, la abbracciò da dietro e le baciò il collo.

La sua reazione fu prevedibile: prese a divincolarsi, fustigandolo con una spatola, poi capitolò e gli permise di risalire fino alle labbra.

–Mmm... Wunderbar! Potresti bastarmi, sei una colazione così deliziosa- le sussurrò all'orecchio, ricevendo come risposta un pugno al torace. –Dobbiamo lavorare sulla tua indole violenta, meine liebe.

–Mi sto sfogando adesso per mantenere la calma dopo che sarà nato il bambino: non posso farmi beccare a picchiare suo padre, sarebbe diseducativo!- sbottò Faith, per poi scoppiare a ridere della colorazione verdognola assunta da Franz alla menzione del pargolo in arrivo. –Ah, ti avverto: rischi di non trovarmi stasera, le nostri madri mi hanno obbligata ad accompagnarle in un giro spendereccio. Hanno insinuato che sono una futura madre degenere che se ne frega di preparare il corredino e la cameretta per suo figlio... come se non avessi già abbastanza impegni! Fosse per loro, la mia vita ruoterebbe intorno al pupo! Bah! Fortuna che Vanessa ha firmato il certificato di idoneità al lavoro, non sopporterei di starmene in panciolle tra quattro mura! Serle, santa donna, si è offerta di unirsi a noi: la mia salute mentale è salva... non posso dire lo stesso del conto in banca!

–Se non finiremo sotto un ponte, mi riterrò fortunato- scherzò Franz, prima di posarle un bacio delicato sulla fronte e sedersi a tavola a sorseggiare il caffè leggendo il giornale. –Anzi, a dirla tutta mi riterrò miracolato se riuscirò ad arrivare vivo fino a sera per scoprire quanti soldi ti hanno fatto sperperare quelle cicaleccianti dilapidatrici delle nostre madri!

–A cosa è dovuta questa ventata di ottimismo?- ridacchiò Faith, faticando a parlare correttamente a causa del boccone di muffin che teneva in bocca.

–King mi ha pregato di sostituirlo- ringhiò a braccia conserte. Era evidente che non lo considerava affatto un onore. –Sai quanto odio sprecare il mio tempo a inculcare in teste di legno piene di segatura concetti che dimenticheranno appena superato l'esame.

–Sei stato studente anche tu, non dimenticarlo- lo rimbeccò la Irving. –Stampati in faccia un bel sorriso e sforzati di far apparire interessanti argomenti che alla maggior parte delle persone risultano noiosi, se non orripilanti. Per quanto ne sai tra quelle "teste di legno" potrebbe celarsi il nuovo dottor Weil, e un bravo insegnante è determinante nella scelta della strada da percorrere: se non avessi avuto la proffa a sostenermi, probabilmente avrei ceduto alle pressioni di mia madre e intrapreso un'altra carriera... e forse non ti avrei incontrato. Pensaci.

Lui parve scosso da quelle considerazioni, tanto che, non senza sbuffare e imbronciarsi, alzò bandiera bianca.

–E va bene, proverò a essere gentile... ma sarà una fatica inutile, ci metterei la mano sul fuoco!

***

–Sono davvero mortificato, Keith. Passi che Momo organizzi a suo piacimento la mia vita, ma non avrebbe dovuto permettersi...

–Tranquillo, non è la fine del mondo: ti insegnerò a giocare a squash un'altra volta, sempre che la tua dittatr... fidanzata non ti monopolizzi. E' dai tempi del ripasso pre-esami finali che non hai una vita sociale tanto risicata- rispose l'amico, mordendosi la lingua per reprimere commenti poco gentili sul comportamento di Momo: gli aveva telefonato per informarlo che Adam non era più disponibile perché aveva bisogno di lui per studiare. –Vorrà dire che passerò una splendida mattinata a riflettere sul mistero dei misteri: cos'ha Kyle che io non ho?

Adam si battè una mano sulla fronte: era l'unico a sapere della tresca di Connie, e, nonostante l'amicizia che lo legava a Keith, non era riuscito ad addossarle tutta la colpa; aveva sbagliato, era innegabile, ma - secondo lui - vi era stata costretta.

–A parte degli addominali che parlano, cantano e fanno magie, l'intramontabile fascino da ragazzaccio e parecchia più, ehm, esperienza?

–Bell'amico, sei! Grazie!

–Appunto: amico, non lecchino. L'amico è anche colui che, mentre ti asciuga le lacrime, ti spiega gli errori che ti hanno portato a versarle.

–Uffa!- gnaulò Keith. –Perché non reciti la parte dell'amico da film, quello che ti porta a sbronzarti nei locali con le donnine mezze nude e ti consola con frasi stereotipate come "il cielo è pieno di passere", o "le femmine sono tutte sgualdrine"?

–Perché non potrei mai pensarlo di Connie, figurati dirlo ad alta voce! Neanche tu dovresti.

–Se penso che nel pomeriggio vedrò quell'essere...

–Se proprio desideri vendetta, servila quando potrò esercitare: almeno risparmierai sulle spese legali!- scherzò Adam, prima di essere richiamato all'ordine da una seccata Momo.

–Sei un cazzone, ecco cosa sei. Meglio che ti lasci, non vorrei avere una lite di coppia sulla coscienza.

Pochi minuti dopo, Adam si chiese il motivo della loro presenza in biblioteca: non aveva la concentrazione necessaria allo studio, e Momo, invece che sul libro, aveva la testa girata verso un capannello di persone, impegnate in un'accesa discussione sulla tendenza dell'anno, le piume.

Irritato dall'incessante fiume di bisbigli si alzò e, imbacuccato per difendersi dalle sferzate di vento gelido, uscì a respirare aria fresca. Rimpianse di non fumare: si sentiva stupido impalato al freddo con le mani in tasca, senza far nulla. All'improvviso, una voce familiare lo fece sorridere.

–Hai deciso di ibernarti, Adamino?

–Non è una cattiva idea, Rossa. Ti andrebbe di farmi compagnia?

–Scordatelo! Sono tipo da clima tropicale, lo sai!- rispose lei, sfregando tra loro le mani guantate. –Ho sfidato la bufera perché io... noi... dobbiamo parlare.

Adam non potè non pensare che era adorabile, con le guance lentigginose arrossate dal freddo e il morbido cappello di lana col pom pon in testa. Avrebbe voluto attirarla a sè e baciarla come se non ci fosse un domani, ma il rischio di essere visti, nel suo caso, raffreddò i bollenti spiriti, anzichè attizzarli.

–Già. Senti, ehm, dovrei tornare da, uhm, Momo. Se hai da dirmi qualcosa fallo, altrimenti...

"L'estate era arrivata, col suo carico di afa e di ansia per gli esami finali e un futuro avvolto nella nebbia. Avrebbero dovuto avere caldo, ma sudare freddo in attesa dei risultati del C.A.S.E., invece sedevano rigidamente su scomode sedie in un corridoio d'ospedale in attesa che qualcuno, chiunque, li informasse sulle condizioni dei loro amici Vyvyan e Connie, in fin di vita.

Monica era la più agitata: camminava avanti e indietro, poi si sedeva per qualche minuto, quindi riprendeva la marcia, in un ciclo continuo che stava dando sui nervi a Keith e Adam, entrambi pallidi e tesi. Quest'ultimo era sul punto di chiederle di darci un taglio, quando la rossa si era finalmente fermata e lo aveva pregato di scambiare due parole in privato. Keith, sebbene seccato, si era mostrato cortese come sempre e si era allontanato con la scusa di bere un caffè.

Messo alle strette, Adam aveva sospirato stancamente –Ti pare il momento?

Non sarà mai il momento, Adamino, tanto vale discuterne ora- aveva asserito Monica, animata da una determinazione più unica che rara. Poi aveva taciuto, limitandosi a fissarlo mordicchiandosi il labbro.

Oggi non è giornata, Rossa. Se hai qualcosa da dirmi, fallo, altrimenti..."

Provò una strana sensazione di deja-vu.

–Io, ecco... ho ripensato molto a quel bacio, Adamino. Mi è entrato nella mente e non vuole andarsene. Però non sono ancora sicura di voler rischiare; non voglio perderti!

–Nemmeno io, ma ho la presunzione di essere ottimista e credere che funzionerebbe... finché morte non ci separi. Sei capace di mettere da parte i dubbi e provarci, Rossa?

–Non lo so- pigolò Monica.

–Ne varrebbe la pena, te lo assicuro.

"–Io, ecco... ho ripensato a quello che è successo. E' stato...

Meraviglioso.

Un errore. Enorme. Meno male che la madre della Ciambellina ci ha impedito di, ehm, andare fino in fondo...

No! Sarebbe un errore fingere che non sia accaduto, negare...

Cosa?

Che ti amo, Rossa, e tu ricambi.

Monica era rimasta pietrificata, decisamente non la reazione prevista da Adam, incapace di rompere quel silenzio tanto denso da potersi fendere con una lama. Dopo quelli che gli erano parsi eoni, finalmente la ragazza aveva riacquistato l'uso della parola.

Esattamente per questa ragione dobbiamo restare amici. Lo capisci, vero? Se rinuncio a te, ti avrò sempre al mio fianco. Non voglio perderti!

Non mi perderesti in nessun caso.

Sì, invece. Sono un vaso di Pandora, racchiudo i peggiori difetti del mondo: sono impulsiva, chiassosa, spavalda... non mi reggeresti per più di due minuti. Non posso rischiare di rovinare quello che abbiamo.

E' la tua decisione definitiva? La accendiamo?- aveva ridacchiato, in un patetico tentativo di celare la tristezza.

La accendiamo.

Non era la risposta che aveva sperato di ricevere, inutile negarlo.

Mi dispiace che tu abbia paura di rischiare, Rossa. Ne varrebbe la pena, te l'assicuro."

La Hawthorne scrollò le spalle, gli diede un bacio sulla guancia e girò sui tacchi, lasciando Adam solo e sconsolato.

Stava per rientrare nell'edificio riscaldato, quando venne bloccato da non uno, bensì due energumeni che lo superavano in altezza di almeno tutta la testa, i quali gli ordinarono di tacere e lo spinsero in un angolo remoto del giardino (che in primavera ed estate era un tripudio di colori e profumi, d'inverno era semplicemente desolato), quindi asserirono in coro –Vi abbiamo ascoltati, prima. Fai sul serio?

–C-Cosa? Come vi siete permessi di...?

–Ti prego, non fare scenate, ti rendi soltanto ridicolo!- sbuffò il più alto dei due, aggiustandosi gli occhiali, scivolati sul naso a punta.

–Limitati a rispondere alle domande- sbottò l'altro - leggermente più basso, ma più massiccio - scrocchiandosi le nocche. –Fai sul serio, o vuoi solo toglierti lo sfizio? Perché in questo caso...

–Calmati, Leo, la violenza non è necessaria- lo rimproverò il fratello, salvo poi afferrare Adam per la sciarpa e sbatterlo contro il muro retrostante. –Avanti, rispondi: che intenzioni hai con nostra sorella?

–Stavolta sei tu a doverti dare una calmata, Chuck: come diamine fa a parlare, se lo strangoli?- ridacchiò Leonard, prima di sbottare, al commento del giovane Cartridge sul fatto che a quell'ora avrebbe dovuto essere a scuola, –Poche ore di lezione non sono nulla per un fratello preoccupato, Adamino. Dovresti esserlo anche tu... per i tuoi genitali. Tornando a questioni serie: che hai intenzione di fare con Nicky?

–Se davvero avete origliato la nostra conversazione, dovreste chiederlo a lei- replicò senza scomporsi; era proprio vero che chi ha la coscienza pulita non teme (quasi) niente. –Io ho le idee chiare.

I due fratelli si scambiarono un cenno d'intesa e Charles liberò Adam, che si massaggiò il collo (a dispetto del fisico asciutto, Charles Hawthorne possedeva un'incredibile forza nelle braccia), dopodiché dichiararono all'unisono –Ottima risposta, è quella giusta. Adesso, però, non puoi più tornare indietro: a malincuore, ti dichiariamo ufficialmente un papabile candidato al ruolo di cognato! Hai il permesso di frequentare nostra sorella.

–Voi mi cosa?- ruggì Adam, accalorandosi: il medioevo era passato da un pezzo, come osavano mettere becco nelle scelte di Nicky? –Statemi bene a...

–Stacci a sentire tu: siamo sempre dell'idea che nessuno sia alla sua altezza, ma siamo giunti alla conclusione che sei meno peggio di un Mr. X qualunque. Perlomeno siamo sicuri che sei pazzo di lei: nessuno sano di mente starebbe ancora dietro alle sue paranoie!

–Beh, sì, questo è vero... c-che s-sono pazzo di lei, intendo- balbettò Adam, deglutendo a vuoto alla vista dei pugni serrati di Leonard.

–Bene! Ora che ti abbiamo giudicato idoneo, non resta che sperare nel buon senso di quella sciroccata: sarebbe matta a rinunciare all'unico maschio che abbiamo mai approvato!- esclamarono in coro, ignari che uno spirito libero come Monica se ne fregava altamente della loro opinione. Rivolta un'ultima occhiata ammonitrice ad uno sconcertato Adam, sparirono con la stessa rapidità con cui erano apparsi.

Lui, appena se ne furono andati, scosse il capo e sospirò –Ma tu guarda cosa mi tocca sopportare per quella rossa!

***

Franz rabbrividiva al pensiero che gli studenti che aveva di fronte fossero il futuro dell'arte medica: alcuni navigavano su internet, altri bisbigliavano in sottofondo, un paio dormiva e uno sparuto gruppetto in prima fila, composto per la maggior parte da ragazze ridacchianti, lo osservava rapito, ravvivandosi la chioma e sfarfallando le ciglia appesantite da troppo mascara ogniqualvolta il suo sguardo cadeva su di loro.

"Spero di non capitare mai tra le loro mani", pensò, mordendosi la lingua per non replicare acidamente all'ultima interruzione stupida di una ragazza tanto incosciente da ostentare una scollatura da cardiopalmo in pieno inverno. "Calma, Franz, trattieniti, non puoi suggerirle che un abbigliamento del genere è più adatto alla tangenziale! Respira, rilassati e ignorala."

–Come credo di aver già detto altre tre volte, le caratteristiche principali della ferita lacero-contusa sono gli orletti ecchimotici e le lacinie - all'inferno c'è un girone apposta per gli zotici che le chiamano erroneamente "ponti" - fibrose. Per piacere, ho ancora molti argomenti da spiegare, interrompetemi solamente in caso di reale necessità. Ripetermi all'infinito, specie perché vi darò le diapositive, non rientra nella definizione di "necessità". Forse, se aveste prestato più attenzione alle mie parole, invece che allo stato del vostro make-up... senza offesa, siete davvero graziose, ma non verrete giudicate in base a quanto è bello il vostro faccino!

Aveva deciso di ignorare i consigli di Faith ed essere il solito, sgradevole se stesso, nella speranza che gli studentelli insoddisfatti si rivolgessero a King pregandolo di bandirlo dalle aule universitarie, sacrificio che avrebbe compiuto ben volentieri.

–Anch'io avrei una domanda- intervenne l'unico maschio seduto in prima fila.

Franz, esasperato, lo scandagliò minuziosamente - indugiando con disapprovazione su orologio e scarpe, palesemente costosi, e sugli occhiali, la cui spessa montatura nera non donava affatto al suo viso, anzi, lo invecchiava e distoglieva l'attenzione da un paio di luminosi occhi verdi, uno dei quali parzialmente coperto da un ciuffo ribelle - prima di esclamare –Lo stesso vale per lei - anche se devo ammettere che le sue domande, perlomeno, sono pertinenti - con l'aggiunta che il suo faccino non avrebbe effetto su di me perché mi piacciono le donne!

–Pure a me! Quante cose abbiamo in comune!- ribatté senza esitazione o imbarazzo alcuno il ragazzo, incrociando le braccia al petto.

Calò un silenzio di tomba; i ragazzi sbiancarono, le ragazze portarono le mani alla bocca e tutti, atterriti, fissarono il temerario che aveva avuto l'ardire di sfidare Franz "il gelido" Weil, in trepidante attesa di una sua epica sfuriata.

Questi, incassato il colpo, si grattò una guancia sbarbata di fresco, inclinò la testa di lato e chiese –Il suo nome?

–Tamara, ma può chiamarmi Tammy!

–Non il suo - e, per l'amor del cielo, si copra, è indecente - il suo!

Sebbene fosse sorpreso (e un po' spaventato), non lo diede a vedere.

–Sebastian. Sebastian Fraser- scandì con leggero accento meridionale.

–Sebastian Fraser... dalla Cornovaglia, a occhio e croce.

–Helston, signore.

Franz si divertì moltissimo: il terrore negli occhi dei presenti, la circospezione mista a un pizzico di fifa in quelli di Sebastian... oh, sì, un vero spasso!

–Fermati al termine della lezione, Fraser. Desidero scambiare due parole con te.

***

Keith si era ripromesso di mantenere la calma, però, quando si trovò davanti Kyle sereno e sorridente, non ci vide più, e soltanto il più rigido autocontrollo gli impedì di avventarglisi addosso per cambiargli i connotati. Kyle dovette averlo intuito, perché sfoggiò un'aria contrita da attore consumato.

–Riley, hai finito le modifiche alla copertina di "Io, reporter"? Mi servono!

–Sicuro ti serva? Non è un pretesto per trattenerti dal predermi a parole?

–Mi sto trattenendo a stento dal prenderti a pugni, altro che parole!- ruggì Keith, sbattendo una cartellina sulla scrivania. –Non lo faccio semplicemente perché non sarebbe corretto: non posso recriminare il comportamento di Connie, anche se immaginarla insieme a te mi dà l'orticaria, il voltastomaco..

–Si chiama allergia. Prendi un antistaminico- provò a scherzare Kyle, per poi schiarirsi nervosamente la voce di fronte alla reazione ostile di Keith. –Scusa, cercavo di allentare la tensione. Vorrei dirti che mi dispiace, ma sarebbe ipocrita da parte mia: non mi dispiace nemmeno un po'. Sai perché?

–Perché Connie è una gran bella scopata?- suggerì Keith, disgustato. –Risparmiami i dettagli, ti imploro!

–Perché te lo sei meritato, pezzo di cretino!- lo corresse Kyle, puntandogli contro un indice accusatore. –E non, come supponi, perché sei stato con quella Hailey, ma per la tua idiozia volontaria!

A quel punto Keith perse la pazienza, e si voltò per andarsene in tutta fretta.

–Ah, no! Non accetto offese dallo stronzo che è andato a letto la mia fidanzata alle mie spalle!

–Ti conviene darmi retta, ragazzino- sibilò Kyle, sbarrandogli la strada. –Oh, non fare quella faccia da cane bastonato! So quanti anni hai, ma dal punto di vista dei rapporti con l'altro sesso sei un ragazzino. Un ragazzino romantico e fin troppo corretto, ma pur sempre un ragazzino.

Raggiunse lo scopo: Keith si fermò e gli diede la sua completa attenzione.

–Cos'avrei sbagliato, sentiamo.

–Vorrei dire tutto, ma non sono così crudele. No, sul serio: sei belloccio - certo, ti manca l'inimitabile tartaruga magica, però il visetto pulito da principe delle fiabe compensa ampiamente - credo anche beneducato, intelligente, spiritoso e molto dolce; in base alla mia vasta esperienza dell'universo femminile, oserei dire che incarni l'uomo ideale, ed è questo che ti frega: le donne si innamorano dell'ideale, poi, però, vogliono un uomo vero!

–Io cosa sarei, secondo te?- sbuffò Keith, offeso.

–Non sto mettendo in dubbio la tua, ehm, virilità, intendevo che devi imparare a lasciarti andare. Non essere sempre così perfettino, cazzo! C'è una via di mezzo tra maltrattare una donna e trattarla come una statuina di cristallo!

–Non. Sono. Un. Perfettino!

–Oh, sì, invece. Perfettino e presuntuoso. Ti sei mai degnato di scendere dal piedistallo e domandarle se fosse felice, o se avesse voglia di sperimentare cose nuove - a letto, intendo - oppure proporle una fuga d'amore al posto della solita, noiosa cenetta a lume di candela? Rispondo io per te: no! Non l'hai mai fatto. Sei sempre partito dal presupposto che lei fosse un'innocente bambolina bisognosa di protezione, poi, quando ha cominciato a riscuotere successo e hai capito che la tua Ciambellina ha le palle, te la sei fatta sotto e hai ripiegato su quella sgualdrina compiacente. Risultato? La tua non così ingenua fidanzata è venuta da me, bruciante di umiliazione e risentimento, e io sono stato felice di aiutarla e rimettere in sesto la sua autostima.

–Su questo non avevo dubbi- sibilò Keith, stringendo i pugni tanto da conficcarsi le unghie nella carne.

–Ascolta questa perla di saggezza: il rispetto è fondamentale, non ti sto consigliando di forzarla, dico semplicemente che è la tua fidanzata - ammesso che lo sia ancora - ed è fatta di carne e ossa, non di porcellana... non si romperebbe in mille pezzi se dovessi sbatterla sulla lavatrice.

–L-La l-lavatrice?

–Mai provato? La centrifuga ti manda dritto in paradiso!

–T-Ti c-credo s-sulla parola- balbettò Keith, avvampando per l'imbarazzo. –Adesso è meglio che vada, la conversazione sta rasentando il surreale.

–Un pochino.

–Ah, un'ultima cosa...

–Non vorrai ringraziarmi! Questo, sì, sarebbe surreale!- esclamò Kyle, per poi piegarsi in due dalle risate.

"Merda, ha ragione: sarebbe come scavare dopo aver toccato il fondo! Grazie, amico, per aver fatto sesso con la donna che amo? Devo essere impazzito!"

–Non dire stronzate!- sbottò Keith ostentando alterigia. –Non ho motivo di ringraziarti. Volevo chiederti di darti una mossa con quella copertina, mi serve prima di subito!

Kyle guardò colui che poco prima aveva chiamato "ragazzino" con un rispetto tutto nuovo, e rispose –Sarà pronta prima di subito.

***

–Avevo detto che non ci avrei creduto finché non l'avessi visto; ce l'ho davanti agli occhi, eppure... non riesco ancora a crederci!

–Dite che è reale?

–Dubito sia frutto di un'allucinazione collettiva! Forse non è umano.

–Che genere di non-umano? Mutante, robot, creatura di Frankenstein...

–Lo scopriremo quando il tedesco dagli occhi di ghiaccio lo avrà sbranato.

L'oggetto delle chiacchiere - ignaro - si stava ambientando, sotto la stretta sorveglianza di Franz.

–Questo aggeggino qui- spiegò il suo cicerone, ormai perfettamente calato nel ruolo. –E' un microscopio a luce polarizzata. Il dottor King l'avrà sicuramente nominato...

–Oh, sì, a proposito dell'amiloidosi. Le fibrille amiloide - che deve il nome alla consistenza simile all'amido di frumento - si colorano di rosso o rosa acceso col Rosso Congo, assumendo una caratteristica birifrangenza verde alla luce polarizzata- snocciolò Sebastian con la precisione di un'enciclopedia medica.

–E' decisamente un robot- sussurrò Chester Sullivan agli altri tre, che annuirono, osservando con circospezione il nuovo arrivato.

–Ho paura!- pigolò Jeff, nascondendosi dietro Rajiv, che scosse il capo e rammentò le leggi della robotica di Asimov, senza, tuttavia, riuscire a tranquillizzarlo.

–Idea: tiriamo a sorte! Chi esce, va a toccarlo per vedere se è umano. Ci state?

Toccò a Jeff l'ardua impresa; si diresse con passo felpato verso Franz, lo aggirò e, mormorato un frettoloso –Scusate, è di vitale importanza- palpò un allibito Sebastian dalla testa ai piedi, prima di esclamare –Tutto a posto: è umano! Lo sei, vero?

–E tu sei così al naturale, oppure ti impegni?- replicò lui.

–Devi proprio rispondere a una domanda con un'altra domanda?

–E' forse proibito?

–No, ma non è nemmeno obbligatorio!

–Calma, voi due- intervenne Franz, seccato. –Fraser, ti presento i fantastici quattro... rompiscatole: i dottori Sandee, Elmond, Sullivan e Jefferson. Ragazzi, lui è Sebastian Fraser... il mio interno.

–Occhio alle mandibole- sibilò sprezzante il giovane. –Se vi cascano, non ve le riattacco!

–Oh. Mio. Dio- esalarono i quattro in coro, nelle loro menti lo stesso, identico pensiero: "Il clone di Weil no! No!" –Un interno!

–Wow!- soffiò Rajiv. –Ci sono ancora pazzi che vogliono fare questo sporco lavoro!

–Un interno, finalmente!- cinguettò Chester, scorgendo l'opportunità di sottoporre il malcapitato allo stesso trattamento che, anni prima, aveva ricevuto lui da interno. –Che gioia avere uno schiav... studente diligente che farà le fotocopie, preparerà e servirà il tè, pulirà le postazioni al posto nostro... con o senza guanti, a seconda se è stato o meno bravo nel corso della giornata...

–Benvenuto tra noi, schiav... Sebastian!

–Sarà un vero piacere averti al nostro serv... ehm, poterti insegnare i trucchi del mestiere.

–Va' pure, Fraser, ci penso io a riportarli alla normalità- sibilò Franz. Attese che si fosse allontanato prima di afferrare Jeff e Sullivan per il colletto del camice e ringhiare –Aprite le orecchie, coglioncelli: è un miracolo che qualcuno voglia fare l'internato qui, e, oltre che preparato, Sebastian è...

–Il granchio amico di Ariel?- ridacchiò Josh, guadagnandosi un'occhiataccia.

–Il figlioccio di King!- ruggì Franz. –Perciò comportatevi professionalmente, o giuro che con le vostre viscere arredo la stanza del marmocchio. Ist das klar?

La discussione non degenerò grazie a un colpo di tosse.

"Scheiße! Speriamo non abbia sentito!"

–Già di ritorno, Fraser?

–Una donna a forma di uovo chiede di lei, dottor Weil. Le ho detto di aspettare fuori, non poteva certo entrare con...- mimò un ventre prominente.

Sorpreso (e preoccupato), Franz corse incontro a Faith, furibonda e carica di buste, la quale si profuse in esclamazioni e sospiri nostalgici, trascorrendo i primi minuti a rivangare il passato. Dopo parecchie chiacchiere disimpegnate e svariati bicchieri di tè, finalmente arrivarono al dunque.

–Non per impicciarmi, ma... non sei venuta per cullarti nella nostalgia, o sbaglio?

–No, infatti. Sono qui per lamentarmi, sicura di trovare comprensione: stanno esagerando!- rispose la Irving, sbattendo sul tavolo della stanza medici un sacchetto pieno di quelle che sembravano praline.

Mein Got! Mamma è proprio fissata che non mangio!

–Sono confetti, Franz. Confetti! Ti rendi conto?- ululò, fuori di sè. –Non solo ho dovuto sopportare continue critiche riguardo le mie scarse capacità genitoriali - come se loro fossero nate con la maternità infusa! - e i miei gusti, a parer loro eccentrici - come se non amare il rosa sia sintomo di pazzia - sono stata addirittura costretta a tollerare allusioni su un nostro eventuale matrimonio! Ogni volta che passavamo davanti a una pasticceria si lanciavano in commenti sulla torta nuziale dei loro sogni, e, ciliegina sulla torta (tanto per restare in tema)... mi hanno portata in un negozio di abiti da sposa! Un luogo infernale, popolato da arpie travestite da commesse, le quali hanno poco velatamente criticato la mia - mia, poi! Tsk! - decisione di sposarmi dopo aver procreato proponendomi abiti colorati; ora, premesso che dovrei subire un grave trauma cranico per sposarmi, ma poniamo pure il caso: ti sembro una che andrebbe all'altare vestita da cocorita, verde e/o gialla?

"Nicht lachen, Franz! Se ridi si incazzerà da morire e non ti permetterà di sfiorarla nemmeno col pensiero! Mostrati serio e compunto, puoi farcela."

–Assolutamente sconvolgente. E Serle? Non le ha frenate?

–Serle dev'essersi intrippata di acido prima di uscire, altrimenti non si spiega il suo entusiasmo per il piano folle delle due folli!- sbottò la Irving, ingurgitando i confetti due alla volta per il nervoso.

Platz! Smettila di ingozzarti, che se non rispetti la tabella di peso vai in crisi, e non ti reggerei- sbuffò lui, sottraendole i confetti. Ne assaggiò uno e storse il naso: cos'era quell'oscenità dal cuore cremoso? Che fine avevano fatto le buone, tradizionali mandorle? –Adesso calmati e mettiti nei loro panni: il matrimonio di un figlio è quasi certamente il sogno di ogni madre, e la maggior parte delle persone non lo considera una tragedia; si sono fatte prendere la mano da un desiderio comune, niente di grave.

–Niente di grave? Franz, mi hanno portata a provare abiti da sposa! Da sposa! Ti...

–Sì, mi rendo conto, ma cosa dovrei fare? Quelle due hanno la testa di granito, ci presseranno finché non saremo marito e moglie.

–Se lo scordano! Io non mi sposo!- sbuffò la Irving, incrociando le braccia sotto il seno (la comodità di avere il pancione).

Sebbene consapevole di fare la scelta sbagliata, Franz non riuscì a trattenersi dal replicare –P-Potresti, ehm, evitare di mettere le braccia in quel modo? Comprimono e spingono in alto l'ottava e nona meraviglia del mondo, e i miei neuroni si trasferiscono ai piani bassi.

–Che lagna che sei!- abbaiò Faith, abbandonando le braccia lungo i fianchi. –Così va meglio?

–Sì, grazie. Comunque, tornando alla discussione... ti farebbe così schifo essere mia moglie?- lei boccheggiò. –So di Cyril, del trauma che ti ha causato, ma sono passati sette anni, e non mi comporterei mai come lui. Non che sia favorevole all'idea, eh: secondo me il matrimonio è un'istituzione sopravvalutata, se non una presa in giro!

–Visto? La pensiamo allo stesso modo: ci amiamo, non abbiamo bisogno di esibirlo al mondo, senza contare che dopo sposati si tende a svaccarsi e non posso permettermelo, sono già taglia mongolfiera.

–Giusto- balbettò Franz, accortosi della gaffe appena in tempo. –Ehm, giusto il concetto, non che sei... cioè, è ovvio che non sei un fuscello, ma... e-ehm, fingiamo che non abbia aperto bocca, eh? Ora che ti sei sfogata, respira profondamente e ripeti dopo di me: non devo lasciarmi influenzare.

–Non devo lasciarmi influenzare.

–Vivere con una madre dispotica insegna che ognuno vive ed educa i figli come meglio crede. Inoltre, se posso esprimere un parere, i genitori dovrebbero essere abbastanza buoni da meritare l'amore dei figli e abbastanza cattivi da essere contestati. Non possiamo privarli della ribellione a mamma e papà: è il fulcro dell'adolescenza!

Faith, visibilmente più rilassata, gli prese le mani e le baciò una alla volta, prima di rifugiarsi tra le braccia rassicuranti del suo dottore preferito.

–Sei un angelo! Ti adorerò ancora di più se stroncherai le fantasie nuziali del diabolico duo.

–Non insistere, non mi immischierò in faccende da donne!

–E dai, fallo per me!- chiocciò, quindi curvò le labbra in una smorfia furbesca e aggiunse –Tesorino mio bello, pulcino adorato, funghettino amoroso, pasticcino del mio cuore... vuoi che continui?

–No, no, per carità! Chiamerò le nostre invadenti genitrici stasera stessa!

–Splendido. Ah, quando stacchi passa in pasticceria: ho voglia di Victoria Sponge!

***

Aidan James era più coriaceo e scaltro di quanto credesse Brian: la rabbia nei suoi confronti era scemata, però teneva in piedi la commedia per ricevere risposte, oltre che scuse, nonché per indurlo a comprare il planetario che tanto bramava.

–Ciao, Brian.

–AJ, per quanto ancora andrà avanti questa storia?- esalò l'uomo, stanco e affamato. Si rifocillò con dei grissini e ne offrì uno al piccolo, che rifiutò recisamente.

–No, grazie. Tu non mi volevi e io non voglio i tuoi grissini.

Deciso ad udire nuovamente il dolce suono della parola "papà", lasciò la serata libera alla tata, Tess, e dopo cena si sdraiò sul divano, immolandosi come cavia per suo figlio, che aveva voglia di giocare al dottore.

–Allora, sono grave?

–Gravissimo. Dobbiamo operare. Bisturi! Si dice così, vero? In tv dicono così!- gnaulò Aidan, quindi aggiunse, scocciato –Uffa, non è divertente senza lo zio Adam che mi aiuta. Dov'è?

–E' uscito con la sua fidanzata, Momo. L'hai conosciuta a inizio anno- spiegò Brian, invidiando il cugino: in quel momento, probabilmente, anche lui era steso sulla schiena a torso nudo, ma in compagnia di una bella donna, non di un marmocchietto di cinque anni che imitava un chirurgo.

–Ah, sì- rispose lui, tracciando delle incisioni immaginarie sull'addome del padre, che soffocò le risatine tappandosi la bocca (soffriva il solletico). –Spero che si lasciano presto. Non la sopporto, quella!

–Aidan James Cartridge!

–Beh? E' la verità! E tu mi hai insegnato che la verità si dice sempre, tranne se una femmina ti chiede un parere su un vestito o il nuovo taglio di capelli- si difese il pargolo, sfoderando un sorriso innocente da Oscar.

–Infatti a farmi imbestialire sono i tuoi orrori grammaticali- ribatté Brian. –Il congiuntivo non morde, usalo. Si dice "spero che si lascino", ok?

–Va bene. Ora zitto, ti tolgo l'appendice.

–Sai cos'è l'appendice?

–Me l'ha spiegato Franz. Mi spiegava un sacco di cose- rispose Aidan con notevole auto-compiacimento. –Possiamo andarlo a trovare, uno di questi giorni?

–Certamente! Ehi, è già finito l'intervento? Che velocità!

–Visto che sono bravissimo?

–Il più bravo- chiocciò Brian, prima di attirarlo a sé per un abbraccio. –Non hai idea di quanto ti voglio bene, piccolo mio. Spero ricambi, anche se non ho fatto nulla per meritarlo- posò un bacio lieve sulla testolina bionda di Aidan e proseguì. –Hai il diritto di avercela con me: non sono stato una brava persona, per certi versi non lo sono neppure adesso.

–Una volta Cory ha detto che secondo sua mamma sei un... aspetta... ah, sì: farfallone irrecuperabile! Ci ho riso un sacco e ho risposto che almeno i farfalloni volano, quella balena di sua mamma è già tanto se nuota!- trillò il bambino, raggiante.

"Mio figlio - non perché sono suo padre - è un fottuto genio! Oxford, preparati!"

–Non hai peli sulla lingua, tu! La carriera diplomatica è decisamente da scartare- scherzò Brian. –Sarò sincero con te, AJ: la bale... la madre di Cory non ha tutti i torti; non incarno il papà perfetto. Sono un ex fumatore con occasionali ricadute, non dico di no a una bevuta in compagnia e, nonostante sia consapevole che avresti bisogno di una figura materna, non riesco a legarmi a una donna fissa. Ho commesso tanti errori, tantissimi, ma stare con Crystal è l'unico del quale non mi pento.

–Però è sbagliato stare con una sposata, no?

–Lo so, ma il brutto degli sbagli è che quando li fai ti sembrano la scelta migliore. La mazzata arriva dopo. Crystal mi piaceva, era impegnata - quindi non mi avrebbe assillato con fantasie romantiche - e stava tentando di avere un bambino... un sogno. Poi sei arrivato tu, e il sogno è divenuto realtà. Credimi, ti sarei comunque rimasto accanto... anche se, ufficialmente, il tuo papà sarebbe stato un altro.

–Eri più contento se non sapevi che sei mio padre?- pigolò Aidan, sollevandosi quel tanto che bastava a guardarlo negli occhi.

–Cos... è questo che pensi? E' il motivo per cui eri arrabbiato con me? Non devi neanche pensarlo! La mia vita sarebbe vuota senza di te. Sei un costante stimolo a dare il massimo: per te ho smesso di fumare, limito le uscite e le, ehm, avventure... tutto per te, perché desidero che tu non debba mai vergognarti del tuo vecchio.

–Non sei vecchio, sei... diversamente giovane!

–Questa definizione mi piace. Te la rubo- ridacchiò Brian, scompigliandogli affettuosamente i capelli. –Ti adoro, piccola peste.

–Anche io ti adoro... papà!- cinguettò il bambino, poi, addolcito il genitore, partì all'attacco, obiettivo: la conquista dell'oggetto dei suoi desideri. –Me lo compri il planetario?

–Sei tremendo, AJ!

***

Spesso la presenza di un'altra persona nel letto diventa talmente abitudinaria da essere quasi scontata, tanto da notare subito la sua assenza.

Connie si era accorta immediatamente dell'assenza di Keith, ma non si era preoccupata, convinta fosse andato in bagno. Dopo venti minuti di attesa, però, decise di alzarsi; domandandosi, perplessa, cosa tenesse in piedi il suo "fidanzato per finta" alle tre del mattino, seguì la luce fino al salotto-cucina, dove trovò Keith sprofondato in una poltrona, assorto nella lettura. Gli sfiorò una spalla, facendolo sussultare, e sbadigliò –Hai idea di che ore sono?

–Non riesco a dormire- rispose lui, stiracchiandosi le membra intorpidite dall'immobilità pressoché assoluta.

–Vuoi che ti prepari una camomilla?

"Preparala a Kyle, la camomilla!"

–Grazie, no. Torna a letto.

–Potresti venire anche tu e leggere sotto le coperte, al caldo- pigolò la scrittrice, arrossendo come una ragazzina che rivolge la parola alla sua cotta.

–Mi sono allontanato per non disturbare il tuo sonno- sbuffò Keith, scocciato. –La luce della lampada sul comodino è piuttosto forte, temevo potesse darti fastidio.

"Quando è così dolce mi fa tenerezza e rabbia insieme: deve proprio essere sempre gentile e premuroso? Se solo capisse che in certi momenti lo vorrei più... rude, ecco... chissà, forse è chiedere troppo."

–Gentile da parte tua, ma, come vedi, inutile: ormai sono sveglia. Cos'hai in mano?- gli chiese, apollaiandosi sul bracciolo.

–Dei fogli ripescati dal cestino per la carta straccia- rispose Keith, sventolandoglieli sotto il naso. –Li riconosci?

Le bastò un'occhiata per identificare quelle pagine: erano gli abbozzi di un nuovo libro, la cui trama faticava a decollare.

–Non avresti dovuto leggerli!- barrì, imbarazzata: non consentiva a nessuno di dare un'occhiata a quello che scriveva finché non lo riteneva decente. –C'è un motivo se li ho gettati.

–Sì: che la storia fa schifo!- replicò Keith, per poi riappropriarsi del manoscritto. –L'ambientazione è banale, i dialoghi piatti, i personaggi incolori e Cassie talmente odiosa che parteggerei per l'assassino, chiunque esso sia! Puoi fare di meglio.

–Lo so- piagnucolò lei, tormentandosi le mani. –All'inizio sono stata folgorata dall'idea, eccitata dalla novità sono partita in quarta; poi, dopo poche pagine, mi sono impantanata nel groviglio che io stessa ho creato e dal quale non riesco a uscire!

Keith ebbe l'impressione che la biondina stesse volutamente giocando sui doppi sensi, e decise di assecondarla.

–Capita a tutti di sbagliare. Sei bloccata in un vicolo cieco narrativo? Forse questa storia non vuole essere raccontata.

–Oppure non ho la giusta concentrazione: sono mesi che perdo il mio tempo in... beh, passatempi vari, avrei potuto incollarmi alla sedia e lavorare!

–L'ispirazione non funziona a comando, Connie, non essere severa con te stessa- asserì, accarezzandole il dorso della mano col pollice. –Il bello delle storie è che si possono accantonare, riprendere in un secondo momento, modificare come ci pare... anche in meglio. Potresti, che so, far uscire allo scoperto Cassie e il sergente Macintosh, sono stanchi di flirt camuffati da litigi.

–Cosa ti dice che invece non voglia accoppiarla col suo capo, il seducente Mr. Thornfield?- gli sussurrò suadente.

Keith scosse il capo.

–L'esperto in marketing editoriale te l'ha sconsigliato, per non perdere una buona fetta di pubblico femminile: saremo pure nel ventunesimo secolo, ma una donna che seduce deliberatamente il suo capo - che ha il doppio degli anni e per di più è sposato - esclusivamente per scaldarsi il letto non riscuote simpatia. A parte questo, però, hai carta bianca, ma sono sicuro che non durerebbe: Cassie andrebbe con lui soltanto perché insicura dei sentimenti di Mac... e dei suoi.

Sorridendo, Connie lo baciò sulla guancia e tornò a letto, soddisfatta: il muro di silenzio e incomprensioni che si era creato tra lei e Keith non si sarebbe dissolto in una notte, ma avevano aperto una breccia, doveva gioire di questo; per citare la giornalista-detective protagonista dei suoi libri: "la vita è un lungo cammino composto di tanti piccoli passi in successione".

Note dell'autrice:

Immagino vi starete domandando il perché del titolo: questo capitolo non riflette assolutamente la commedia del Bardo; niente equivoci, niente scambi, di persona, niente matrimonio doppio nel finale. Eppure i temi generali sono comuni: si fa so much ado dall'inizio alla fine; basti pensare alla spedizione punitiva dei fratelli di Monica, al colpo di testa di Franz che, da gandissimo bastardo, decide improvvisamente di mettere da parte la misantropia e si prende carico di un interno (le considerazione di Jeff, Josh, Rajiv e Sullivan sull'opportunità di sfruttarlo come schiavetto personale ricalcano alcune mie esperienze negative di tirocinio, durante le quali ho imparato tutto sul caffé del bar e niente su come trattare i pazienti), alla delicatezza degna di un Panzer con cui le due vulcaniche mammine hanno palesato il desiderio di fiori d'arancio per i loro kinder, al tentativo (forse riuscito) di Connie di cominciare a far crollare il muro che la separa da Keith. So, so much ado... ma, stavolta, per qualcosa, perché, si spera, questo casino porterà i suoi frutti. Nicky metterà la testa a posto? Connie e Keith riusciranno finalmente a dialogare? F&F torneranno la coppia scoppiettante di prima... con una piccola aggiunta? Who knows!

Troppo zucchero e miele per i miei standard? Tranquilli: sono sempre io, Serpentina! XD Ho solamente voluto dare un po' di respiro a questi miei poveri personaggi, a volte sono cattiva con loro.

Vi sono mancati Robert, Chrissino ed Harry? Non vi preoccupate, torneranno nel prossimo capitolo, a tema (dato il periodo) San Valentino!

Chiudo con qualche informazione di servizio: le parti in "medichese" sono tecnicamente corrette, e mi dispiace se risultano noiose, ho cercato di renderle il più comprensibili possibile, per ulteriori dettagli andate su internet (i siti seri esistono), Helston (in lingua cornica Hellys o Henlys) è una cittadina della Cornovaglia, situata sulla punta della Penisola di Lizard, sulle sponde del fiume Cober, e la Victoria Sponge (cake) è un semplice dolce inglese di pan di spagna farcito con panna montata (o crema al burro, o crema al formaggio) e fragole o altri frutti ( soprattutto i lamponi, ma esiste anche la versione al cioccolato) e spolverato di zucchero a velo. Delizioso! :-Q___

Le leggi della robotica di Asimov stabiliscono che un robot non può arrecare danno a un umano, che deve eseguire gli ordini di chi l'ha programmato (a patto che non contrastino con la prima legge) e che gli è permesso salvarsi la vita (a patto che non contravvenga alle prime due leggi).

Au revoir!

Serpentina

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Skipping Valentine part 1 ***


No, non ho scuse, sono imperdonabile, posso solo dire che questo capitolo, diventato due capitoli, si è rivelato più difficile da aggiustare del previsto. Spero che il tema San Valentino non annoi, anche se a quasi un mese di distanza. Avete festeggiato il 14, oppure siete dei detrattori della festa degli innamorati? Mi manca la materia prima, ma in ogni caso - premesso che per me chi si ama, si festeggia tutti i giorni - sia per principio che per evitare la bolgia e i prezzi gonfiati ad hoc, sceglierei un altro giorno speciale per me e la mia (agro)dolce metà. ;-)

By the way, una valanga di grazie ad abracadabra, Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92 ed elev, che hanno recensito, e a PiccolaNeko, che segue la storia.
 

Skipping Valentine part 1

(Fight)
 

Uno dei più grandi piaceri della vita sta nel fare quello che la gente dice che non riuscirai mai a fare.

Walter Bagehot

Thomas Jefferson, detto Jeff, poche altre volte in vita sua era stato tanto determinato: rivolto un cenno di saluto ai colleghi, riempì una tazza di caffè e, storcendo il naso per l'aspro sapore della bevanda, si sedette alla tavola rotonda. Quando fu sicuro che nessuno - a parte i presenti - potesse udirlo, parlò.

–Spero siate d'accordo con me nell'affermare che la situazione è insostenibile: questo reparto riesce a stento a contenere il Franz originale, è troppo piccolo per tutti e due! Oggi è stillata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: passi che i miei metodi vengano criticati da King o da uno di voi, ma non da un pivellino! Quel borioso so-tutto-io si è permesso di rimbeccarmi perché avevo colorato un frammento bioptico di fegato con la tricromica di Masson, suggerendomi invece di usare la tecnica Sirius Red, più anglosassone e più pulita, dato che il colorante impiegato è uno, non tre. Vi rendete conto?

–Scommetto che Franz gli ha dato ragione e rincarato i commenti sarcastici. Ora che so di non essere una voce fuori dal coro, posso ammetterlo- confessò Chester Sullivan –Quel garçon prodige ha un atteggiamento supponente che urta il mio sistema nervoso: gli verserei volentieri acido solforico sulle palle mentre gli fanno la ceretta integrale, ma non possiamo impedirgli l'accesso al reparto: è il figlioccio di King e il primo interno che abbiamo da, beh, talmente tanti anni che ho perso il conto!

–Un interno inutile: Franz lo tratta da pari e ci impedisce di sfruttarlo come vorremmo!- gnaulò Josh Elmond. –Ai miei tempi, gli interni preparavano il tè e facevano fotocopie; soltanto in seguito, dopo aver guadagnato la fiducia dei superiori, avevano il permesso di avvicinarsi ai microscopi. Che mondo! Dove andremo a finire?

–Eh, sì, non ci sono più le mezze stagioni- scherzò Chester. –Josh, ma ti senti? Sembri mio nonno! A me, onestamente, non dà fastidio che il ragazzo abbia una sincera sete di conoscenza e passione per questo mestiere, mi fa incazzare la sua irritante presunzione!

–Sempre che di presunzione si possa parlare- asserì Rajiv Sandee. –Sebastian è preparato sul serio, non si dà arie immeritate... il suo è semplicemente un brutto carattere che nessuno ha saputo, o voluto, smussare.

–Hai centrato il nocciolo del problema: ormai siamo abituati a Franz, le sue uscite perfide non ci tangono, ma sopportare pure un suo clone no, è troppo! Per nostra sfortuna quei due stanno sempre insieme, appiccicati come incudine e martello, busta e francobollo...

–Sì, sì, hai reso l'idea- lo zittirono gli altri tre, poi Josh Elmond, grattandosi il mento, aggiunse –Eppure sento che la soluzione al problema esiste...

–Deve esistere, ne va della nostra salute mentale e dell'incolumità di quel pivello- ringhiò Jeff. –Un altro commento al mio lavoro e si ritroverà un bisturi nella giugulare, quanto è vero che sorge il sole al mattino!

L'arrivo di King, accompagnato dal fedele segug... ehm, Sebastian interruppe la discussione, che venne ripresa durante la pausa pranzo, quando Rajiv fece un'osservazione illuminante.

–Non ci crederete, ma mentre analizzavo un pezzo di polmone ho avuto un'idea geniale: possiamo ritorcere la somiglianza caratteriale con Franz contro Sebastian!

–Eh?

–Lo metteremo a posto, ragazzi... con un piccolo aiuto.

***

Ignaro della cospirazione, Franz stava gustando il proprio pasto in allegria insieme ai quasi onnipresenti Robert, Chris ed Harry, questi ultimi parecchio su di giri.

–Insomma, un classico intramontabile: cenetta a lume di candela. Poco originale, forse, ma d'effetto; dopotutto, l'importante è stare insieme, no? Tu, piuttosto, Mr. Radiologo, che ti vanti della tua creatività, hai già organizzato una sorpresa per la tua bella?- chiese Christopher Hale, spietato con le prostate ipertrofiche e le vesciche indisciplinate, tenero come un gattino appena nato con la sua Erin.

–Mi conosci: non lascio nulla al caso- rispose l'interessato. –Ho dovuto combattere contro i siti di viaggi e Bowman che non voleva darmi due giorni di ferie - dannato figlio di puttana, spero passi San Valentino ad ammazzarsi di seghe - ma ce l'ho fatta: quattro fantastici giorni io e mia moglie soli soletti nella romantica cornice di Lisbona! Era da tanto che Freddie sognava di visitare il Portogallo e, nonostante preferisca credere il contrario, probabilmente Emma e Derek sono più entusiasti di noi: quattro giorno senza mamma e papà, straviziati dalla nonna. Cos'altro può volere dalla vita un bambino?

–Tu hai lottato per le ferie, io per essere di turno il quattordici... ironico!- esclamò Robert, per poi ingollare un lungo sorso di Coca-Cola.

–Sul serio? Come mai?- domandarono esterrefatti Franz e Chris.

–Non è ovvio?- intervenne il radiologo, scoccando un'occhiataccia all'amico, che arrossì e si nascose dietro il bicchiere. –Il nostro dongiovanni da strapazzo ha l'imbarazzo della scelta! Ho indovinato?

–Sì- sibilò lui tra i denti. –Credevo di essermela cavata con la scusa che detesto la festa, ma sia Harp che Vanessa rompono per una serata romantica e una notte di fuoco. Non accettano un no come risposta! L'unica scusante plausibile è, appunto, essere di turno.

–Posso capire Harper - anche se non la facevo una tipa romantica, mi sembrava più il genere "febbre d'amore quartana": tre giorni con gli occhi a cuoricino, il quarto impatto con la dura realtà e adiós amigos... senza offesa, Harry - ma la Meigs che pretese può vantare su di te? Non passerà San Valentino a ricordare a Brenner perché, tra tutte le donne con cui poteva tradire sua moglie, ha scelto lei?

–Ti sei risposto da solo: la moglie. Brenner è il classico ipocrita che si auto-assolve dai suoi peccati con regali costosi e un comportamento da maritino impeccabile alle feste comandate- sputò Robert storcendo le labbra in un'espressione disgustata. Il cellulare vibrò, avvisandolo di un messaggio in arrivo. Mentre lo leggeva un sorriso si allargò sulle sua labbra, e rispose subito con la frenesia di una ragazzina che deve raccontare per filo e per segno il suo primo appuntamento alla sua migliore amica.

Chris diede di gomito a Franz e si scambiarono uno sguardo complice, quindi Weil si schiarì la voce e celiò –E' la tua maestrina?

–Non è la mia maestrina!- protestò il ginecologo, accalorandosi all'istante.

–Se lo fosse, però, scommetto che le daresti un dolcetto tutti i giorni- sghignazzò Chris, per poi soffiare un bacio alla sua fidanzata, seduta con le amiche a pochi tavoli di distanza (a giudicare dal suo entusiasmo, doveva essere in corso un'ammorbante monologo della futura sposa Maggie Bell riguardo i preparativi delle nozze), la quale ricambiò con un sorriso radioso e una strizzata d'occhio.

–La pianti?- soffiò Robert, avvampando. –E' un'amica. Punto. Non è il mio tipo - anche se riconosco che quando si mette in tiro è molto carina - mi piace parlare con lei e adoro il suo cane, mi fa sempre le feste. Fine della storia.

–Sì, sì, certo. Come no!

–Colgo del sarcasmo nelle vostre voci, diffidenti malpensanti. Ellie non è la classica donna che ti dà i pezzi del puzzle uno alla volta e si aspetta che lo monti da solo: se le piacessi mi avrebbe già invitato a uscire.

–Ellie?- esclamarono in coro Franz, Harry e Chris. –Siete già ai nomignoli? Altro che cotto, Patty, sei proprio bollito!

Robert tentò di nascondere il rossore sulle guance affondando il viso nel tovagliolo col pretesto di pulirsi la bocca.

–Ehm... cambiamo argomento, eh? Husky, non ti abbiamo ancora torchiato a dovere: cos'hai escogitato per quella che consideri "la festa di ogni cretino"?

–Secondo te? Sarebbe come darmi del cretino! San Valentino è come l'otto marzo e il matrimonio: una solenne, dispendiosa presa per il culo, e a me non piace essere preso per il culo.

–Il genere di informazioni che si desidera avere sui propri amici- ridacchiò Chris. –Fammi capire: hai intenzione di ignorare la ricorrenza?

–Assolutissimamente sì: salto a piè pari la festa dei cuoricini- asserì Franz annuendo vigorosamente. –E me ne sbatto se "assolutissimamente" non esiste nel vocabolario! Faith non è tipo da smancerie, quindi perché impegnarsi?

Gli altri tre scossero il capo in sincrono con l'indice, in segno di disapprovazione, poi Harry, la voce della saggezza, sospirò –Non essere tipo da smancerie non significa non apprezzarle. Faith sarà pure tosta, ma sono sicuro al mille per cento che sarebbe felice se mostrassi di tenere a lei, in qualunque giorno dell'anno. Dovresti goderti gli ultimi mesi senza pargolo, amico mio, ti assicuro che dopo avrete poco tempo per fare i piccioncini.

–Grazie per avermelo ricordato, Harry! Almeno al lavoro riesco a dimenticarmi del pupo in cantiere, e tu me lo riporti alla mente?

–E il premio "Padre dell'anno" va a...- sibilò tra i denti Chris, incurante delle mute richieste di tacere rivoltegli da Harry e Robert. –No, non starò zitto. Husky, credevo che sotto strati e strati di cinismo ci fosse un uomo buono, solo sfiduciato verso questo schifo di mondo, invece sei l'essere più egoista, immaturo, detestabile dell'universo: che tu lo voglia o no, che tu lo ignori o lo accetti, tra due mesi diventerai padre. Ti conviene sforzarti di esserlo. Scusa, cosa dovrebbe dire allora Faith? Mal di schiena, caviglie gonfie e bruciore di stomaco se li sta sciroppando lei, e al contrario di te non può "dimenticarsi" del bimbo in arrivo.

Franz sbadigliò sonoramente.

–Hai finito col pippotto moralista? Sono perfettamente a posto con la coscienza: aiuto Faith in tutti i modi possibili e immaginabili, escluso il supporto fisico, morale e psicologico alle visite di controllo e al corso pre-parto.

–Sicuro di dare il massimo? Sicurissimo? Non è che reprimi il tuo capillare romantico - definirlo vena sarebbe esagerato - per mancanza di fantasia?

Franz sussultò, improvvisamente nervoso. Aveva colto il guanto (figurato) di sfida lanciatogli tra le righe dai suoi amici, e un Weil non si tira mai indietro di fronte a una sfida, anzi, le corre incontro e la affronta di petto.

–Fidatevi, sono un futuro genitore modello, solo indifferente verso il feto- li liquidò. –Sì, finché non avrà un nome lo chiamerò semplicemente feto. Quanto alla fantasia, ne ho da vendere; se io e Faith fossimo una melensa coppietta zuccherosa la farei vivere in un paradiso rosa di cuoricini coi putti mezzi nudi che suonano la cetra. E adesso scusatemi, devo, uhm... sì, insomma... ho da fare. Ciao, eh!

***

Mai e poi mai Monica si sarebbe aspettata una visita della sua omonima al rifugio per animali dove faceva volontariato; lo giudicava un evento talmente improbabile che, se avesse chiesto a Spielberg di farci un film, avrebbe risposto che era fantascienza troppo estrema. Confrontò la sua comoda salopette rattoppata, macchiata di terra e liquidi biologici che era meglio non specificare, con gli impeccabili cappottino e gonna bon ton di Momo e desiderò sprofondare nelle viscere del pianeta: quello "stecchino antipatico" era l'unica persona in grado di far vacillare la sua autostima.

Superato l'iniziale sbigottimento, si sforzò di condurre una conversazione civile, tentativo mandato in fumo da Momo, la quale, accigliata, sputò, lasciando trasparire tutto il proprio disprezzo –Sedurre un uomo provocandolo con finta innocenza da gattamorta... che squallore!

Nicky, voltatasi verso di lei, ribattè –Cazzo dici? Io non seduco proprio nessuno!

–Forse inconsciamente, ma ci hai provato. Beh, sappi che non lo tollero!- ringhiò Momo in tono minaccioso.

–Si può sapere cosa vuoi?- domandò Nicky, infastidita dalla presenza di Miss Perfezione.

Momo rispose, sorridendole perfida –Ho notato che hai la tendenza ad essere invadente, così ho pensato di avvisarti che non ti conviene invadere il mio territorio.

–Grazie, gentile da parte tua. Ora porta il tuo culo secco fuori di qui!- abbaiò Nicky, che tremò impercettibilmente quando vide il sorriso di Momo allargarsi, prima di replicare –Non sono stupida, carina ( si fa per dire): si vede lontano un miglio che tra te e Adam c'è stato qualcosa di più di un'amicizia. Beh, qualunque cosa sia accaduta in passato, è passato. Ti consiglio di lasciarlo perdere: adesso è mio, non gli interessi più, al massimo gli fai pena.

–Se ne sei così sicura, perchè sprechi fiato con me?- replicò freddamente Nicky, decisa a non lasciarsi intimidire da Miss Perfezione, che ridacchiò in un modo che ne accrebbe la somiglianza ad una strega delle fiabe, e sibilò –E' un avvertimento, patetica giraffona con la parrucca rossa: stai alla larga da lui, o farò in modo che sia lui a tenersi alla larga da te! Credimi, riuscirei a fare in modo che non ti voglia vedere nè parlare mai più, e tu non lo vuoi, vero?

–V-Vero- rispose Monica dopo un'ardua lotta interiore tra il desiderio di preservare la sua amicizia con Adam e quello di contraddire Momo.

Questa esibì una smorfia soddisfatta e concluse –Sapevo che saresti stata ragionevole. Ti lascio alle tue amate bestiole. Scusa se non ti stringo la mano, non ho con me il disinfettante- per poi lasciare sola Monica, che imprecò sottovoce mentre riempiva di cibo le ciotole.

***

–Allora, tutto chiaro?- chiese Rajiv.

–Onestamente... no- risposero in coro Jeff, Josh e Chester.

Il pomeriggio si stava rivelando un susseguirsi di tempi morti, ragion per cui, invece di sbrigare le incombenze burocratiche assegnate da King, si erano diretti in biblioteca, a quell'ora certamente piena di studenti.

–Sebastian ricorda il Franz dei primi tempi, no?- gli altri annuirono. –Poi cosa successe?

–Faith!- esclamò trionfante Chester, che aveva compreso il piano. –Ma certo! Vorresti ammorbidire Fraser trovandogli una ragazza!

Rajiv scosse il capo.

–Non dire stronzate! Ti pare che esista una martire capace di sopportarlo? No, voglio far abbassare la cresta al galletto... inserendone un secondo nel pollaio.

–Sei un genio del male! Ho una sola perplessità- intervenne Josh. –Ti sei accorto di averci - involontariamente, ne sono convinto - paragonato alle galline?

Chester gli diede uno scappellotto sulla nuca e lo spinse nella biblioteca, dove, incuranti degli sguardi e delle richieste di fare silenzio, raggiunsero un gruppo di studenti chini sui libri, circondati da appunti e schemi.

–Ehilà, carucci!- esordì Jeff, sconvolgendoli. –Vi dispiace se interrompiamo questa produttiva sessione di cazzeggio mascherato da studio?

Catturata la loro attenzione, Josh si schiarì la voce e disse –Perdonate Jeff, dà aria alla bocca senza collegarla al cervello. Siete in corso con Sebastian Fraser, per caso?

–E allora? Ha fatto forse esplodere il laboratorio?- rispose un ragazzo, convinto che bastassero lunghi capelli biondi e un look trasandato a renderti Kurt Cobain. –Non ci crederei nemmeno se lo vedessi: Seb è un insopportabile precisino, non ci riuscirebbe neppure se volesse!

–Secondo me è ossessivo-compulsivo- commentò una brunetta dalla folta frangia. –Infatti pensavo di scrivere la mia tesi di laurea su di lui: "Correlazione tra DOC e successo negli studi". Che ne pensate?

–Non saprei, non siamo psichiatri. Quindi, ehm, voi... lo odiate, giusto?

–Odiare, che parolona!- sbottò una ragazza bassina ed esile, simile a un folletto. –Diciamo che non ci è simpatico. Non piace a nessuno, ma la cosa non sembra importargli.

–Chissà perché, non mi stupisce... che non piaccia a nessuno, intendo- sussurrò Jeff all'orecchio di Josh, che soffocò le risate tappandosi la bocca.

–Nessuno che lo detesti, lo odi cordialmente (o anche no)?- esalò Chester, sull'orlo della disperazione.

–Uhm... forse qualcuno c'è- rispose il folletto. –Là dentro.

Il quartetto si voltò e tre di loro sbiancarono.

–L-Là d-dentro? M-Ma... m-ma è...

–Ok, voi eterosessuali puritani rimanete qui, vado io- sbuffò Jeff, spalancò la porta e si addentrò in un luogo a lui ignoto, fino a quel momento. Il silenzio che vi regnava lo indusse a credere fosse vuoto, e stava per immaginare le torture medievali che avrebbe inflitto a quegli sbarbatelli per aver osato prendersi gioco di loro, quando da un cubicolo uscì una ragazza.

–Allora c'è vita in questo posto!

–Che diavolo ci fa qui? E' la toilette femminile!- lo redarguì lei, dimenticandosi della salvietta che teneva in mano, degli occhi gonfi e arrossati e del trucco colato.

–Maschi, femmine... se hai studiato endocrinologia dovresti sapere che il genere è una questione più complessa del semplice "pipì seduta" o "pipì in piedi", cara mia- replicò lui in tono soave, agitando una mano con nonchalance.

–Io... beh.... sì, suppongo di sì- pigolò la ragazza, girata verso il lavandino per umettare la salvietta, in modo da agevolare la rimozione dei residui di trucco. –Cosa vuole?

–Dammi del tu e chiamami Jeff, fiorellino. Il tuo nome?

–Lauren.

–Un uccellino mi ha detto che odi Sebastian Fraser con tutto il cuore. E' vero?

–Non ho niente contro Sebastian- ringhiò lei, accigliandosi di fronte al suo riflesso: il viso rotondo, insieme al fondotinta, aveva perso tutto il colore e gli occhi arrossati le conferivano un aspetto tra il melanconico e l'isterico; tra i due, non avrebbe saputo quale preferire.

–Come no! E a me piacciono le tette!

Lauren, sebbene sospettosa, appallottolò il fazzoletto, lo lanciò nel cestino e rispose –Chissà perché, non mi stupisce. Va bene, giochiamo a carte scoperte: odio Sebastian Fraser.

–Precisiamo: lo odi del genere "vorrei vederlo morto", oppure "la morte è troppo poco"?

–La morte è decisamente troppo poco- ribatté Lauren, asciugando una lacrima solitaria sfuggita al suo controllo. –Si crepa una volta sola, no?

–Io e te ci intendiamo alla perfezione, cara mia- chiocciò Jeff, fregandosi le mani. –Ti va una tazza di tè?

***

I sacrifici, anche se pesanti da sostenere, a volte sono necessari: teneva talmente tanto ad Adam da sottostare alle minacce di Momo pur di non perderlo una seconda volta. Il suo cuore non avrebbe retto. Inoltre, per colpa della piazzata dei suoi fratelli iperprotettivi aveva una ragione in più per evitarlo: si vergognava da morire.

Peccato che la strada dell'inferno sia lastricata di buone intenzioni: stargli lontana era più difficile di quanto pensasse, anche a causa dei numerosi amici in comune. Nelle (fortunatamente poche) occasioni in cui si erano incontrati dopo l'inconcludente faccia a faccia fuori dalla biblioteca aveva cercato di comportarsi con naturalezza, riuscendo però sempre a tradire un pizzico di tensione: si sentiva una stupida verginella, ma bastava che si sfiorassero per andare a fuoco.

"La Ciambellina si ricrederà: sono una femmina di uomo, non di mandrillo, riesco a tenere a bada i bassi istinti, come li chiama mio padre!"

Ripromettendosi di fare chiarezza nel suo cuore al più presto, andò allo studio veterinario come ogni martedì, senza potersi esimere dal pensare che almeno la frustrazione stava sortendo un effetto positivo: farla arrivare puntuale. Poco dopo entrò Kaori, accompagnata dalla madre, la quale non faceva che lanciare occhiate atterrite a Plumpy, guardandosi bene dal camminare in prossimità del cane. Monica, incapace di pensare ad altro che non fosse la sua ingarbugliata situazione sentimentale, le salutò con un sorriso mesto al posto della consueta accoglienza entusiasta.

Kaori, sospettosa, le chiese –Stai bene, Nicky?

–Certo che sta bene, tesoro- rispose Abigail, allontanandosi dal cane mentre rivolgeva alla figlia un sorriso rassicurante. –E' soltanto stanca. Succede, quando si lavora tanto.

–Non dire sciocchezze, mami- la rimbeccò la bambina. –Ho capito cos'ha: è triste perchè non è venuto zio Adam!

–Kaori!- la redarguì Abigail, cui non era sfuggito l'alone rosso che aveva colorato le guance di Monica, che si affrettò a cambiare argomento.

–Ehi, come mai tanta eleganza?

–Mamma voleva fossi carina- squittì la biondina scrollando le spalle, per poi aggiungere- Comunque zio Adam viene a prendermi, se ti interessa- ricevendo un'altro rimprovero da Abigail, che corse via alla vista di un vigile perchè aveva parcheggiato in seconda fila.

Come dichiarato da Kaori, Adam venne a prenderla al termine della lezione, e la trovò che chiacchierava con Monica mentre Plumpy sgranocchiava un osso; carezzando la testa della nipote, corsa ad abbracciarlo, osservò l'amica, e le disse –Ti trovo stanca.

–Però, che occhio!- ribattè lei, sarcastica.

Adam sbuffò –Sei troppo carica di impegni. Liberati della zavorra!

–Ho eliminato l'eliminabile, Adamino: non vado più in palestra, soltanto al parco a correre, ho ridotto all'osso il volontariato al rifugio per animali, allo studio non posso rinunciare per ovvi motivi e nel poco tempo libero che mi rimane mangio, dormo e vado in bagno. Idea: potrei mangiare sul cesso, risparmierei un sacco di tempo!- replicò Monica, facendo ridere Kaori e borbottare Adam.

–Sei sempre la solita!

–Spero sia un complimento velato- soffiò la rossa, scostandolo con forza. Era delusa e irritata: non voleva trattare male Adam, ma l'imbarazzo per il comportamento dei suoi fratelli la paralizzava. –Bene, allora... buona serata.

Adam le rivolse uno sguardo ferito e fece per andarsene, ma Kaori lo trattenne e sbuffò –Facciamo così: io e Plumpy andiamo in macchina mentre voi parlate. Non metteteci troppo, però: ho fame!

–Quella bambina- sospirò Adam non appena Kaori si fu allontanata. –Non so se è geniale, oppure folle.

–Entrambe, credo. Ed è anche una primadonna nata- rispose Nicky. –Perdonami se ti sono sembrata scortese, Adamino, cerco soltanto di non incasinarti e di tenerti al sicuro dai miei fratelli. A proposito: mi hanno raccontato della spedizione di minaccia, chiamiamola così; mi dispiace tanto, non immagini quanto mi vergogno!

–Tutto qui quello che ti preoccupa?- ridacchiò lui. –Se può rasserenarti, ho superato l'esame: Chuck e Leo mi hanno concesso il privilegio di poterti "frequentare".

–No, non è solo questo- sospirò Nicky, rifugiandosi tra le braccia rassicuranti di Adam, incassando la testa nell'incavo del suo collo. Decise di infiorettare la verità, omettendo della sgradita visita di Momo quel pomeriggio. Non si sarebbe abbassata al suo livello. –Io ci sto pensando. Seriamente. A me, te... noi. Mi sono resa conto di averti fatto scervellare dietro i miei continui mutamenti d'umore, perciò resterò a debita distanza finché non avrò la certezza dei miei sentimenti. Non si sa mai, potresti finire col trovarmi insopportabile, ed è l'ultima cosa che voglio.

–Non dire stupidaggini, Rossa- esalò Adam, prendendole il volto tra le mani. –Adoro averti accanto, anche se mi fai dannare.

Monica cercò di fermarlo con poca convinzione.

–A-Adamino, n-non d-dovremmo... è sbagliato.

–Notizia dell'ultimo minuto: sono stufo di fare il bravo bambino.

Quanto quell'affermazione fosse vera lo capì quando Adam, oltre, ad avventarsi sulle sue labbra, la attirò a sè con forza, emettendo un debole mugolio soddisfatto mentre le stizzava le natiche.

–Ti piace palpeggiare, eh?- ridacchiò la rossa inebriata dalla scia di baci che Adam le stava lasciando lungo il collo.

–Mi piaci tu- le soffiò all'orecchio, prima di riprendere a baciarla furiosamente.

Vennero interrotti (dopo quello che a loro parve un minuto, in realtà erano dieci) da un latrato e una vocetta infantile, che cinguettò –Avevo detto chiaritevi, non sbaciucchiatevi! Andateci piano, non sono pronta per un altro cugino!

–Kaori!- sbottò lo zio, avvampando. Monica, imbarazzata almeno quanto lui, rivolse un sorriso tirato alla bambina e tolse le mani di Adam dal suo didietro e si ricompose. –Avevi detto che saresti rimasta in macchina!

–Io dico talmente tante cose che alcune le dimentico- replicò la piccola Cartridge con sussiego, esibendo un sogghigno furbo. –Possiamo andare, adesso? Ho una fame che non ci vedo!

***

Il famigerato giorno di San Valentino era alle porte e Franz, mosso dai pungoli della coscienza - nonché dal desiderio di sbattere in faccia agli amici che era in grado di stupire in positivo la sua donna - aveva deciso di dedicare a Faith una sorpresa speciale.

–Mi raccomando, Xandi: non deve sospettare nulla- sibilò, scrutando Alexander attraverso le palpebre socchiuse per assumere un'espressione severa. –Sono stato costretto a coinvolgere mamma e Rose nel piano, pur di garantirmi il loro silenzio, non vorrei rovinare tutto per colpa della tua lingua lunga!

–Rilassati, fratello. Quando mai ho fatto la spia?- rispose lui, dandogli una poderosa pacca sulla schiena, che lo fece barcollare in avanti di un paio di passi.

–Vuoi il numero esatto o basta una stima?- replicò Franz alzando gli occhi al soffitto.

–Uff, come sei noioso! Ok, ti avrò tradito un paio di volte...

–Un paio? Sei l'uomo più pettegolo mai esistito! E' sorprendente che non sia stato ancora reclutato dai servizi segreti. Posso contare sul tuo aiuto e, possibilmente, sulla tua discrezione?

Alexander finse di ponderare la risposta, per poi scoppiare a ridere.

–Che razza di domanda: certo che sì! Sono soltanto scioccato: un'idea simile non è da te! Tu sei il Grinch dell'amore, non posso credere... ma ti darò una mano, tranquillo. Due, se servirà. Peccato non poter essere assistere: la faccia di Faith sarà uno spettacolo, ne sono certo! Non potresti mettere un armadio nell'angolo, così mi ci nascondo dentro? Se ci fosse spazio anche per Serle, poi...

–Scordatelo!- sbottò Franz, spingendolo sul pianerottolo. –E adesso va' a casa a preparare tu-sai-cosa.

–Architettate piani segreti?- domandò perplessa Faith, uscita in quel preciso istante dall'ascensore. Ripose l'ombrello nel portaombrelli, si tolse il cappotto e si accasciò sulla sedia più vicina con tutta la grazia consentita a una donna al settimo mese di gravidanza.

–Hai fatto tardi. Com'è andato il corso? Spero che tuo padre sopravviva all'overdose di estrogeni!- si premurò di informarsi Franz mentre recuperava il poggiapiedi. Ricambiò il ringraziamento della Irving con un bacio leggero.

–Se la cava alla grande, anzi, dice di essere contento: mia madre era talmente isterica che non gli permetteva di toccarle la pancia, con me ha parecchia soddisfazione. Durante la lezione ha sentito un calcetto del bambino e dall'emozione per poco non mi lasciava cadere. Cazzarola, che stanchezza! Spero che la ginnastica pelvi-perineale dia i suoi frutti e il pargolo sia l'unico in questa casa che porterà il pannolino. Stavo rincasando quando i Farmer mi hanno pregata di passare da loro cinque minuti, volevano farmi conoscere la nipote: studia medicina e hanno pensato che avrebbe apprezzato qualche consiglio, da un po' di tempo a questa parte è molto stressata, credo non si trovi a suo agio coi colleghi. Le ho detto: "Tesoro, non possiamo pretendere di essere simpatici a tutti. Fregatene e vai per la tua strada, incontrerai tanti altri meglio di loro". Ho fatto bene?- la risposta affermativa di Franz le illuminò il viso di gioia. –Allora, Alex, cosa prepari di speciale che ha richiesto la consulenza di Franz?

–Ho pensato di, ehm, cucinare io domani sera. Sì- rispose Alexander, tamburellando nervosamente le dita sul muro. –Trascorreremo una serata tranquilla: Martin e mia madre sono ospiti a cena da amici, non potranno tenerci i bambini, quindi rimanderemo i festeggiamenti a dopo che le piccole canaglie saranno scivolate nel mondo dei sogni.

–Giusto- annuì lei. –Mi offrirei di badare a loro, ma abbiamo ricevuto un invito per l'inaugurazione di una mostra e non possiamo disertare.

Franz impallidì e trasalì, suscitando la preoccupazione di Faith.

–Una mostra? Quando?

–Domani nel tardo pomeriggio-sera. Sei libero?

–Io, ehm... ecco... purtroppo ho un, uhm, impegno improrogabile. Mi dispiace tanto, tantissimo. Sarà per un'altra volta.

Faith faticò a nascondere la delusione e sorridere.

–Certo. Un'altra volta. Non fa niente, troverò un sostituto. Ci sarà qualcuno libero a San Valentino, in questa città!

***

Faith e Bridget varcarono l'ingresso della galleria d'arte con insolita puntualità, la seconda tentando di reprimere la spiacevole sensazione di essere un pesce fuor d'acqua, sensazione trasformatasi in certezza quando si rese conto che il variopinto abito vedo- non vedo - più vedo che non vedo - era fuori posto in mezzo alle mise sobrie delle altre invitate, che esibivano tutte la medesima espressione da intellettualoide snob. Poi vide Faith agitarsi al suo fianco, e si sentì sollevata: seppur consapevole di essere maligna, gongolò perché il look dimesso (ai limiti dell'informalità) della Irving era peggio del suo. Perlomeno lei era elegante.

Rincuorata, afferrò un calice di champagne da un vassoio e si lanciò nella mischia, seguita da Faith, che abbandonò poco dopo, annoiata a morte: come poteva sostare minuti interi davanti a un secchiello pieno di fiori di carta o a un cannocchiale senza lenti attraversato da un arcobaleno di cartapesta? A parte le caviglie gonfie causa gravidanza, erano cose senza senso, che sarebbero riuscite anche a un bimbetto dell'asilo, immeritevoli di tanta attenzione.

"Dove sta l'arte in tutto questo?", si domandò mentre girovagava facendo ondeggiare elegantemente il bicchiere; era riuscita a sfuggire ad ogni tentativo di conversazione, grazie al cielo: si sarebbe sotterrata, piuttosto che tradire la propria ignoranza. Sospirò affranta di fronte all'ennesima opera incomprensibile, uno specchio a forma di saetta, e pensò "Ma chi prendo in giro? Sono sempre stata un disastro in arte, non distinguerei un Keith Haring da una pittura rupestre preistorica! Meglio che me la squagli, prima di azzeccare qualche figura di merda!"

Stava davvero per darsela a gambe, quando qualcuno dietro di lei commentò –Noto que anche tu sei stata rapita dall'audace iconografia espressiva dell'artista, que con esta opera vuole invitare l'osservatore a guardarsi dentro, anche se, como indica la forma, ciò che scoprirà potrebbe essere per lui come un fulmine a ciel sereno.

–Profondo! E io che credevo fosse soltanto uno specchio dalla forma strana!- replicò la plruidivorziata, voltandosi verso il suo interlocutore, un uomo sui trentacinque anni con i capelli scuri e mossi e un sorriso contagioso che andava da un orecchio all'altro. Il suo accento la colpì, e, mentre lo osservava per capire se avrebbe potuto provarci o meno, si interrogò sulla sua nazionalità: spagnolo? Messicano? Argentino?

Questi fece una smorfia perfida e rispose –Perchè es soltanto uno specchio dalla forma strana. Te stavo prendendo in giro.

–Simpatico- sibilò la donna, offesa, si allontanò, per poi tornare sui propri passi, e chiedere –Sei un critico d'arte?

–Un... estimatore- rispose lo sconosciuto. –Conosco talmente bene le opere che è come si fossero mie! Tu, invece, me sa che sguazzi nell'ignoranza più becera- aggiunse indicando con un movimento della testa Bridget, che avvampò, e ammise –Si, è vero, non ci capisco niente di arte, soprattutto di arte moderna, per me sono tutte cavolate prive di significato! Sono qui solamente perchè il... diciamo fidanzato di un'amica mi ha implorata di accompagnarla perché lui era impegnato! Non ho neppure idea di chi sia l'artista!

–Ah, sì, lo avevo immaginato: riconosco i profani dall'odore- asserì lui, sconvolgendo Bridget, che si diede una controllata alle ascelle, facendolo sbellicare dalle risate ed esclamare –Sei troppo spassosa! Si accetti che te derida senza sosta te farò da guida, così no te perderai nella galleria. A proposito, me chiamo Rafael.

–Bridget- rispose lei controvoglia. –Mentre mi deridi sorseggiando champagne, potresti per favore rendermi un pò più edotta di arte?

Me estas pidendo un miracolo, querida- scherzò Rafael. –Vedrò cosa posso fare.

***

Adam, pronto a trascorrere una tranquilla serata in solitudine davanti alla tv, si seccò molto di ricevere una visita, ma cambiò parere quando vide che a bussare era stata Monica. Non potè impedirsi di deglutire e restare con la bocca semi-aperta mentre con lo sguardo risaliva dalle gambe alla testa, soffermandosi sulle parti del corpo lasciate scoperte o comunque facilmente intuibili. Non appena si fu ripreso da quella visione balbettò –N-Nicky! C-Che... c-che ci fai qui?

–A dire il vero non lo so nemmeno io, sono venuta da te d'istinto. Oh, Adamino, la sfiga mi perseguita: sono scap... ehm, ho accompagnato Leo a una festa, ma è venuto giù il diluvio universale e, beh, come puoi vedere, sono senza ombrello- ammise lei, stringendosi nelle spalle. –Posso entrare? Non disturbo?- chiese poi.

Adam, sempre sforzandosi di guardarla in faccia, rispose –Niente affatto. Accomodati, sono solo, e, come puoi ben vedere, in pieno relax. Sai, di solito non metto il pigiama agli appuntamenti galanti.

–Momo non c'è? E' la tua ragazza, e oggi è San Valentino- chiese, perplessa.

Adam sorrise e rispose in tono neutro –La vedrò domattina a colazione. Momo appartiene al genere "San Valentino è una cagata consumistica e inutile, da boicottare". In parte ha ragione, ma, secondo me, se vissuto nella giusta maniera è davvero la festa degli innamorati...

–Nel senso che è un'occasione per le coppie di ritagliarsi un'oasi felice dalla routine, a patto di non stressarsi a cercare il posto perfetto, il regalo perfetto, il vestito perfetto in un'affannosa gara senza senso... tanto la vera perfezione è la compagnia della persona amata- concluse al suo posto la Hawthorne.

–Esatto- esalò Adam, che si beò del suo profumo mentre la aiutava a togliersi il cappotto. –Da quando sei così romantica?

–Da sempre. Solo, non mi piace sbandierarlo in giro- replicò la rossa, strizzandogli l'occhio con fare complice. –Non avresti qualcosa di caldo? Ho avuto la malaugurata idea di seguire i consigli della Ciambellina e indossare minigonna e cappottino rasoculo, oltre agli apprezzamenti volgari di alcuni esemplari di Homo Coglions ho subito un parziale congelamento!

Adam ridacchiò –Non li giustifico ma li capisco: quel panorama farebbe rincoglionire chiunque!

Monica arrossì, al che Adam si scusò per averla messa in imbarazzo, ma lei lo sorprese posandogli l'indice sulle labbra e sussurrando –Non scusarti, è la cosa più simile ad un complimento che abbia sentito oggi.

–Per quello che vale, per me sei perfetta.

–Che dolce che sei- miagolò la rossa, avvicinandosi ad Adam, che, lottando per mantenere i neuroni nel cervello superiore, la buttò sul ridere –Hai ragione: devo moderarmi, o ci verrà il diabete!

–Ancora con questa storia del diabete! Non preoccuparti, sono altamente tollerante al glucosio... e poi adoro la dolcezza, lo sai...

–G-Già. Ehm, perché non vai di sopra a farti una doccia calda e indossare qualcosa di asciutto? Se ti accontenti di una tuta da uomo...

Monica, sebbene un po' delusa, annuì, lo ringraziò e corse su per le scale, lasciando Adam solo con i suoi pensieri (vietati ai minori).

"Quando sua madre lo aveva messo in guardia sui temporali estivi le aveva riso in faccia; sul paesaggio da cartolina che si vedeva dalla villetta degli Hawthorne splendeva il sole, era impossibile che potesse piovere. Mentre correva verso la casa tenendo per mano Nicky si maledisse per non essersi attrezzato con ombrelli e impermeabili: il pic-nic al parco di Newcastle si era conclusa tra tuoni e fulmini.

Una volta al riparo diede all'amica la precedenza per usare il bagno e si chiuse nella sua stanza con alcuni asciugamani. Si stava strofinando i capelli umidi quando dei rumori provenienti dal corridoio attirarono la sua attenzione; fece capolino dalla porta e si trovò ad assistere ad una scenetta a dir poco esilarante: Monica, completamente nuda, stava inseguendo il suo gatto, Whiskers II, reo di averle sottratto il telo doccia, urlando –Ridammelo, stupido felino, o giuro che ti viviseziono!- rallentando giusto il tempo necessario a salutarlo con la mano, per poi riprendere l'inseguimento strillando –Stronzo di un gatto, fermati!

Alla vista della sua migliore amica senza veli Adam era rimasto a bocca aperta, avvampando: come il suo cervello inferiore non mancò di fargli notare, stava assistendo a uno spettacolo impagabile e, appellandosi a tutto l'autocontrollo a sua disposizione, fece dei profondi respiri, conficcandosi le unghie nelle mani per concentrarsi sul dolore invece che sulla "paccottiglia" in subbuglio, pregando che la reazione del suo corpo da diciassettenne passasse inosservata. Purtroppo per lui, Monica era dotata di un ottimo spirito di osservazione.

Lo prese in giro per il resto dell'estate."

–Terra chiama Adamino. Ci sei, o abbiamo un problema?

–Eh? Oh, Nicky. Hai fatto presto- esalò, imbarazzato.

–Forse perché, a differenza di qualcuno, non mi trastullo sotto la doccia stonando pezzi di Bon Jovi- ribatté la rossa scoccandogli un'occhiata divertita. Si accoccolò accanto a lui sul divano e ingollò una manciata di pop corn. Ignorò i borbotti di Adam, che suonavano come "Io non mi trastullo" e aggiunse –Se ci sono i pop corn, significa che c'è un film. Quale?

–Il mio preferito.

–Ottima scelta, piace molto pure a me.

Durante la visione tacquero, lasciandosi trasportare dalle emozioni che regala una pellicola da sogno, limitandosi a sorridersi ogniqualvolta le loro dita si sfioravano nella confezione maxi di pop corn. Sul finale, però, la Hawthorne riacquistò l'uso della parola.

–Non posso crederci! Adamino, ti sei commosso?

–Che dici?- sbottò, asciugandosi in fretta e furia una lacrimuccia solitaria. –Sarà la decima volta che lo rivedo, sarei una mammoletta se mi commuovessi!

La rossa lo scrutò con sguardo indagatore e fu costretta ad ammettere che "la Ciambellina ha ragione: non ce la faccio a non saltargli addosso!"

–Invece ti sei commosso, ti ho visto! Tranquillo, con me non devi mai vergognarti di essere te stesso: ti adoro così come sei.

A quel punto il giovane Cartridge non resistette più.

–Tu, invece, sai cosa adoro io?- domandò con un mezzo sorriso stampato in faccia, e quando Monica negò con la testa, rispose –Te-, e riprese a baciarla... prima di infilare una mano sotto la felpa.

***

Per la prima volta in vita sua, Bridget si sentiva incerta, insicura sul da farsi: Rafael - che l'aveva pregata di chiamarlo Rafa - stava svolgendo alla perfezione il suo ruolo di anfitrione, spiegandole ogni singola opera esposta con una chiarezza da fare invidia a qualsiasi esperto d'arte.

"E' abbastanza giovane, sexy, affascinante, spiritoso, educato, sufficientemente colto... se fosse pure schifosamente ricco avrei trovato il mio quarto marito!", pensò, sorseggiando soddisfatta il terzo bicchiere di champagne.

–Ancora non riesco a credere que te sei esposata tre volte- soffiò Rafael, allibito.

–Io, invece, che un uomo così ricco di qualità sia ancora single- rispose Bridget, serrando la presa sul suo avambraccio: l'atteggiamento da gatta(morta) in calore funzionava sempre, dunque perché cambiare? –Ti va di... bere direi che abbiamo bevuto abbastanza... mettere qualcosa sotto i denti, più tardi?

Peccato che Rafa risultò esserne immune.

–Ci estai provando con me?

–Beh, ecco... in un certo senso... forse... sì- pigolò Bridget, a disagio: in genere a quel punto la sua "preda" cadeva in trappola e suggeriva di proseguire la conversazione in un luogo più appartato, non le sbatteva in faccia le sue intenzioni con un'espressione che palesava il grande sforzo che stava compiendo per non ridere!

–Sono lusingato. Credo che tutti i presenti - quelli que gradiscono la compagnia femminile, almeno - vorrebbero essere al mio posto- rispose Rafa, stralunando gli occhi.

–Su questo non ci sono dubbi.

–Allora credo sia meglio se te dedichi a loro. Io non sono interessato.

–Temo di aver capito male: tu non sei interessato a me?- sbraitò Bridget, furibonda. –Sei cieco, forse?

Rafael non si scompose, e sospirò –No, ma non cambierebbe la mia opinione: lo siento, non sei il mio tipo. Il mio motto è "los huesos se dejan a los perros", quindi... vai a civettare con qualche perro qui in giro.

Scandalizzata, Bridget si scostò da lui con violenza e la sua irritazione crebbe a dismisura quando si accorse che il candidato perfetto al posto di quarto marito si era letteralmente illuminato non appena posati gli occhi su... Faith, la quale, al vederlo, agitò festosamente una mano e ondeggiò verso di loro.

–Rafa!- trillò, emettendo un risolino giulivo ai baci entusiasti che le schioccò sulle guance. –Ti ho cercato dappertutto! Posso fare i complimenti all'artista?

Esterrefatta, Bridget esalò –Lui... sarebbe l'artista? Perché non me l'hai detto?

–Perché me divertiva da morire ascoltare il tuo monologo sull'inutilità dell'arte contemporanea- rispose lui con un malcelato sorrisetto perfido.

–Mi hai presa in giro! Mi hai fatto fare la figura della stupida! Stronzo!- sbraitò la pluridivorziata, colpendolo ripetutamente con la sua pochette.

–Uh, una mujer focosa!- esclamò Rafael, esibendo una smorfia delusa. –Faremmo scintille io e te, querida. Peccato...

–Cosa?

Que tu sia troppo magra- concluse con semplicità, scrollando le spalle. –Los huesos no me interessano.

Allibita oltre ogni limite, Bridget assistette frustrata all'amichevole conversazione tra l'uomo dei suoi sogni e una delle sue migliori amiche, digrignando i denti a ogni complimento e contatto fisico tra i due; rischiò un infarto o un ictus quando l'artista propose scherzosamente a Faith di mollare Franz e fuggire con lui a Miami!

"Non è possibile, porca troia! Non è giusto! Dal giorno in cui ci siamo conosciute i rispettivi ruoli sono sempre stati chiari: io sono quella bella, F quella intelligente ed Ab... diciamo la voce della coscienza (per non dire rompiscatole matricolata). E' assurdo che la preferisca a me! E poi cosa cazzo vorrebbe dire che sono troppo magra?"

–Spiegati meglio.

–Magari davanti a qualche succulenta pietanza- propose Faith, rispolverando la Emma Woodhouse che era in lei. Se a Bridget interessava l'amico di Franz l'avrebbe aiutata, in nome della loro amicizia. –Rafa mi ha gentilmente invitata ad unirmi a lui per cena, spero non si offenda se estendo l'invito a te.

L'uomo alternò lo sguardo dall'una all'altra, prima di sospirare, affranto –Vale, ma soltanto perché sei tu, sai que te adoro. Però non credo que la tua amica sarà de compagnia: gli stuzzicadenti non mangiano.

La Irving evitò di rispondere e assestò una poderosa gomitata a una Bridget schiumanete di rabbia per impedirle di fare altrettanto, chiedendosi se stavolta non si fosse imbarcata su un bastimento troppo difficile da guidare in porto.

Note dell'autrice:

Ancora non so come chiedervi perdono per il mostruoso ritardo. Non è da me! Il capitolo immagino non basti a farmi perdonare... o sì?

Spero non sia noioso, riprendere in mano la storia dopo settimane in genere non produce capolavori, ma se fosse almeno decente mi riterrei soddisfatta.

Allora, queridas, contente del ritorno in grande stile di Rafa? Per chi non lo conoscesse, Rafael Jimenez è un amico di Franz che vive a Miami e incontra Faith nella mia precedente storia, "Dr. Irving" (per la precisione, capitoli 19-20). Onestamente? Questa parte è stata la prima che ho scritto: volevo assolutamente inserirlo, Rafa è uno dei miei personaggi preferiti, e poi diciamocelo, chi non ha mai sognato di essere oggetto delle attenzioni di un figo da paura uomo affascinante in presenza della classica amica bellona che (quasi) tutte abbiamo? Sarò politicamente scorretta, ma cavolo, esisterà un uomo che preferisce toccare un po' di ciccia carne!

Passiamo a Franz, sorvolando sul suo infantilismo: preferisce seppellire la testa sotto terra come gli struzzi, invece di elaborare l'idea che avrà un figlio. Cos'ha in serbo per Faith (e per voi)? Le scommesse sono aperte! ;-)

I fantastici quattro hanno trovato una rivale per Sebastian, nella speranza che la competizione gli faccia abbassare la cresta. Ce la faranno? E per quale motivo Lauren lo odia così tanto? Lo scoprirete solo leggendo (i prossimi capitoli)!

Momo è talmente odiosa che ho ridotto la sua parte, meglio scrivere di Nicky e Adam. Non sono pucciosissimi? Stento a credere di averli creati io!

Prometto di non farvi attendere così a lungo per il prossimo capitolo, che vedrà, tra gli altri, la Ciambellina Connie e il suo principe azzurro Keith e *rullo di tamburi* Robert! Cosa c'entra il bel ginecologo con l'amore? Eh...

Hasta la vista (Rafa mi ha contagiata)!

Serpentina

Ps: la muscolatura del perineo, la parte del corpo sotto la pelvi, è sensibile allo stiramento e agli sbalzi ormonali, perciò gravidanza/e e menopausa la indeboliscono, predisponendo allo sviluppo di incontinenza o, peggio, prolassi; si cerca di evitarlo con degli esercizi appositi (la ginnastica di cui parla Faith). La tricromica di Masson e il Sirius Red sono due tecniche di colorazione istologica, e chiedo umilmente perdono per non aver rispettato l'ortografia spagnola inserendo a inizio frase i punti interrogativi ed esclamativi rovesciati, come da regola. Passatemi questo errore, credo, veniale. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Skipping Valentine part 2 ***


Un bacione a tuttI! Ho trovato dei ragazzi dall'animo romantico su facebook, e questo mi fa sperare che la storia venga letta da entrambi i sessi. ;-)

Non vi tedio oltre, già aver diviso in due il capitolo mi è sembrata quasi un'eresia, non voglio tenervi sulla graticola. Una valanga di grazie a Bijouttina, Calliope Austen e DarkViolet92, che passano sempre a lasciarmi un commento, e ad EnMilly e topoleone , che seguono la storia, e a chi, nonostante sia ormai conclusa, continua a seguire/preferire/ricordare "Dr. Irving, M.D."! :-*

Skipping Valentine part 2

(Surrender)

L'amore è fuoco. Ma non sai se scalderà il tuo cuore o brucerà la tua casa.

Joan Crawford

Il malumore che lo aveva accompagnato nell'arco della giornata si era dissipato grazie a un meraviglioso angelo biondo entrato inaspettatamente nella sua vita, un angelo capace di trasformare una serata monotona e desolante in una indimenticabile semplicemente grazie al suo candido sorriso e due muffin. E pensare che il piano originario prevedeva una barbosa nottata di lavoro, lontano dalla melensaggine dilagante il quattordici febbraio!

Si sentiva felice, veramente felice, come mai prima.

Non avvertiva che il calore del corpo stretto al suo, la morbidezza di quelle labbra che non si sarebbe mai stancato di baciare e il tocco delicato delle affusolate mani femminili che...

"Oddio, ma che fa? Perché sta cercando di slacciarmi la cintura?"

Impiegò pochi secondi a comprendere le intenzioni della donna e, forse per la prima volta in vita sua, si frenò volontariamente.

–Aspetta. Fermati.

–Cosa c'è che non va? Ho fatto qualcosa di sbagliato?

–No, no, stavi andando benissimo, è solo che...

–Ho capito: farlo in ospedale mentre sei di turno ti mette a disagio.

–Assolutamente no. Sapessi quante volte...- "Cosa cazzo stai dicendo? Ti sei bevuto il cervello? Non puoi vantarti delle tue conquiste con lei!" –Ehm... diciamo che non è il momento giusto. Capisci cosa intendo?

–Onestamente no- sbuffò lei. –Siamo entrambi adulti e consenzienti, credo, quindi perché...?

–Perché no- rispose lui, infondendo nella propria voce una nota imperiosa che sperava mettesse fine alla questione. –Voglio fare le cose per bene, senza fretta. Desidero conoscere la tua anima, prima del tuo corpo.

–Cavoli, che discorso maturo! Fai davvero sul serio!

–Con te, sì. Se ti va, ovvio.

–Se mi va cosa?- ridacchiò lei, che aveva capito dove lui volesse andare a parare, ma preferiva farlo penare un pochettino.

–Se ti va di... sì, insomma... frequentarci. Sai, uscire, divertirci... cose così.

–Vuoi dire... uscire da amici?

–Sei veramente... bah! Visto che ci tieni, eccoti la domanda ufficiale: vuoi essere la mia... ehm, fidanzata mi sembra un po' impegnativo...

–Pure a me. Roba da anello al dito. Per carità!

–Uhm... diciamo, allora, la mia ragazza? Anche se siamo cresciutelli per poterci definire ragazzi...

–Parla per te! Io sono ragazzina dentro!- sbuffò lei, mostrandogli la lingua. –Comunque la risposta è sì.

Ripresero a baciarsi, ignari della presenza di una terza persona, che aveva visto tutto e ridacchiava sognante nell'oscurità.

***

Non era la prima volta che Brian Cartridge varcava la soglia di una camera d'albergo per incontrare una donna, ma l'identità della donna in questione aveva tramutato l'aspettativa in disgusto.

Dopo una fugace esitazione bussò alla porta e venne accolto dalla sua ospite, coperta soltanto da una vestaglietta di seta lasciata accuratamente aperta a rivelare una sottoveste che nascondeva agli occhi il minimo indispensabile; la penetrante fragranza floreale che emanava gli irritò le narici quanto la sua voce i timpani.

–Prego, accomodati. A cosa devo questo inaspettato piacere?

–Saltiamo i convenevoli, Crystal, non mi va di fingere che la mia sia una visita di cortesia.

–Non essere aggressivo, su!- celiò lei, gettandogli le braccia al collo. –Mi dissuadi dal proporti di fermarti per la notte.

Brian tentennò un attimo, prima di scansarsi e ribattere –No, grazie, è un errore che non si ripeterà.

–Ti sarebbe piaciuto.

–A te di più.

–Adesso non esagerare! Sono brava quanto te, so che lo ricordi.

–Ricordo pure la ragione per cui sono qui. Cosa significa questo?- ringhiò lui, sventolandole sotto il naso un pezzo di carta.

Crystal sorrise, si sedette sul letto e lo invitò a fare altrettanto.

–Dopo aver riflettuto a lungo ho messo per iscritto le mie ragionevoli richieste: la parte di eredità del moc... di Aidan in cambio della mia definitiva sparizione. Ma perché abbreviare quello che probabilmente sarà il nostro ultimo incontro? Potremmo cenare in camera e...

–Grazie, ho già mangiato.

–Champagne, allora- rincarò lei, che non accettava rifiuti imprevisti. –Per salutarci in amicizia.

–Di nuovo, grazie dell'offerta, molto gentile, ma non siamo amici e ritengo che non abbiamo niente da festeggiare- ringhiò Brian, stringendo la sua borsa.

Stizzita, la vedova (allegra) Ryan pensò di passare alle proposte esplicite: se fosse riuscita a trascorrere la notte col padre di suo figlio, avrebbe avuto un'arma di ricatto.

–Siamo soli e stiamo per dirci addio; potremmo farlo nel modo migliore- miagolò, facendo cadere con studiata naturalezza parte della vestaglia e una spallina della striminzita camicia da notte in raso che indossava (ma sperava di togliersi al più presto). –Sicuro di non volere niente?

Brian le si avvicinò e per un momento si sentì sicura del trionfo, peccato che, contrariamente alle sue aspettative, Brian la ricoprì e le sussurrò all'orecchio –Il pozzo dei miei desideri è senza fondo, tesoro, ma non è con te che voglio soddisfarli.

–Sei tu a perderci- sibilò la donna, ferita nell'orgoglio.

Brian sbuffò –Ne dubito. Sono qui per dichiararti ufficialmente guerra: mi rifiuto categoricamente di sottostare alle tue esose pretese.

Crystal scoppiò a ridere, una risata fredda, perfida, da far coagulare il latte.

–Credevo che il moccio... bambino non avesse prezzo, per te.

–Il moccioso - non negare, so che l'avresti definito così - è mio figlio, ed ha espresso chiaramente il suo volere, oserei dire con una fermezza da fare invidia a tanti adulti- obiettò Brian, fulminandola con lo sguardo: che offendesse lui, poteva accettarlo, ma nessuno doveva toccare suo figlio. Nessuno. –Eri presente, non puoi negarlo.

–Ti prego! Il marmocchio parla così perché l'hai aizzato contro di me!- strillò Crystal, schiaffeggiandolo.

Brian non si sottrasse alla sua furia, anzi, ne rise.

–Sfoga la tua rabbia, forse ti darà sollievo. Se avessi la coscienza pulita non te la prenderesti tanto; la verità è che speravi di trovare tuo figlio infelice e trascurato, in modo da apparire come la madre prodiga tornata a salvarlo da un padre degenere, invece hai visto che lo sto tirando su bene anche da solo e non c'è posto per te nella sua vita, e questo ti irrita profondamente.

–Stronzate! La verità è che mi hai descritta come un mostro!

–Ti ho descritta come una madre assente, cioè quello che sei. Chi gli dava dava il biberon, eh? Chi lo imboccava? Chi gli faceva fare il ruttino? Chi lo cullava fino a farlo addormentare? Chi gli stava vicino quando aveva la febbre? Chi controlla che si lavi, segua un'alimentazione sana e sia felice? Non ci sei stata, Crystal, non ci sono giustificazioni per questo. Mi aveva persino sfiorato il pensiero di raccontargli che eri morta, ma ho preferito la sincerità: la sincerità paga.

–Il marmocchio, però, avrebbe potuto darmi una possibilità.

–AJ non ti deve nulla, se non la vita; forse neanche quella: dopotutto, non ha chiesto lui di nascere. Cosa ti aspettavi, che dopo cinque anni ti accogliesse a braccia aperte? Vista l'arroganza con cui hai invaso i suoi spazi è già tanto che non sia rimasto traumatizzato. Sarebbe disposto a pagarti, pur di non vederti mai più!

–Detto da me suona strano, ma i genitori non si amano a priori?

–Una leggenda metropolitana messa in giro da qualche genitore indegno di questo nome- soffiò Brian a braccia conserte. –L'amore non si guadagna perché non è un bene di mercato, si merita con le grandi e piccole azioni di ogni giorno. Credi che mi sia innamorato di AJ a prima vista? No. Eppure adesso non saprei immaginarmi senza di lui. Per questo motivo non ti darò un penny per tornare da dove sei venuta: mi sembrerebbe di comprare mio figlio.

–Sicuro che non riuscirò a portartelo via?

–E' un'infausta possibilità che ho dovuto prendere in considerazione, certo. Ho imparato a non sottovalutare i miei avversari- asserì lui, strappando con ferocia il foglio che aveva tra le mani. –Corretto sì, sprovveduto mai. Goditi questa notte, sarà una delle ultime in cui potrai dormire: avrai presto notizie dal mio avvocato.

–Ci vediamo in tribunale.

***

Quando Faith mise piede in casa, regnava uno strano silenzio parecchio sospetto. Per non sentirsi paranoica chiamò a gran voce Franz; se non avesse risposto, avrebbe tirato fuori lo spray anti-aggressione. La crisi venne evitata perché Franz fece capolino dalla cucina e le sottrasse la bomboletta prima che potesse far danni, le diede un bacio a fior di labbra e le offrì una fetta di torta alle pere e cioccolato. La Irving ardeva dalla voglia di interrogarlo (magari con tanto di fascio di luce negli occhi, stile polizia americana) sul modo in cui aveva trascorso il pomeriggio e la sera mentre lei ammirava le opere di Rafa e rendeva omaggio all'artista cenando con lui e mettendo una buona parola per Bridget ("Io... paraninfa per B! Da non crederci!"), ma Weil la precedette.

–Ti sei divertita?

–Meno del previsto. Ho sentito la tua mancanza, contento?

Lui la baciò ancora, stavolta più a lungo, prima di rispondere –Molto. Conoscendo Rafa, ti avrà come minimo proposto di scappare con lui a Miami. Sono felice che non ti abbia tentata.

–E' un po' difficile cedere alle tentazioni con un pupo scalciante nell'utero. Meno male che Rafa è un autentico gentiluomo cubano-americano e mi ha fatta illudere di essere ancora una donna desiderabile, non un pallone aerostatico.

–Potrei chiamarti Led Zeppelin nell'intimità!- scherzò Franz, ma ritrattò di fronte allo sguardo assassino di Faith. –Era una battuta, non ti scaldare. E Rafa non ha avuto bisogno di illuderti: sei ancora una donna desiderabile... solo un po' abbondante sulla pancia. Beh, immagino sia stanca, ma vorrei pregarti di restare alzata ancora un pochino e fidarti di me.

–Fidarmi di te? Fossi matta! A malapena mi sono fidata a lasciarti solo oggi, a combinare chissà cosa- "Con chissà chi" –Figurati se ti permetto di oscurarmi la vista!

A quel punto Franz si spazientì.

–Non fare la bambina, Faith, uno mi basta e avanza!

–Stronzo- sibilò acida la Irving e fece per andarsene, ma lui la trattenne.

–Perdonami la battuta infelice

–Hai molto da farti perdonare.

–Lo so- esalò. –E vorrei dimostrarti che ce la sto mettendo tutta. Dai, vieni a vedere la sorpresa, so che lo vuoi! Perché tu ami le sorprese, vero?

Faith emise un profondo sospiro di rassegnazione e acconsentì a che le bendasse gli occhi; in quel momento comprese il successo di alcune pratiche molto di moda: perdere il controllo (in totale sicurezza), affidare anima e corpo alla persona amata trasmetteva un senso di pericolosa eccitazione.

"Chissà se a Franz piacerebbe sperimentare il bondage", si chiese, quindi, su sua indicazione, si fermò, si tolse la benda e... rimase letteralmente di stucco: l'ex studiolo, ora adibito a stanza del bambino, era stato trasformato da cima a fondo; le pareti erano state dipinte, il pavimento pulito, le tende cambiate e... una stupenda culla campeggiava al centro della stanza, poco distante dal fasciatoio e una cassettiera pronta ad accogliere tutine, vestitini e scarpine.

Si trasformò in un annaffiatoio umano, coprendosi la bocca con le mani, dopodiché abbracciò con incredibile slancio Franz, che la osservò perplesso.

–Non hai detto che ti piace? Perchè piangi?

–Sei un emerito idiota, Franz Weil... ma sei anche l'uomo più dolce del mondo!- piagnucolò lei, prima di baciarlo.

–Dolce? Io? Sicura di non aver bevuto alcolici, alla mostra? No, perché sono in tempo per ammazzare Rafa.

Faith sorrise e scosse il capo, poi si guardò intorno, incantata, ed esclamò –Oh, cavolo! Franz, hai... hai fatto tutto tu? E' semplicemente meraviglioso! Grazie!

–Parte del merito è di Xandi: è lui il tuttofare di famiglia- rispose lui, schermendosi. –La culla, però, l'ho scelta e montata io stesso. Ti piace?

–Se mi piace? E' fantastica!- trillò lei, per poi emettere un urletto eccitato quando la toccò, facendola oscillare.

Assicuratosi che Faith fosse sincera, esalò –Meno male! Rose e mia madre erano con me quando ho comprato gli arredi, li hanno definiti obbrobriosi!

–Io non sono mia madre, nè la tua, e trovo ogni cosa stupenda. Grazie! Ma non basta ad ottenere il mio perdono- esclamò Faith prima al settimo cielo, poi seria. –Uhm, approvo il colore: il verde è adatto a entrambi i sessi ed è rilassante. Scelta azzeccata.

Franz la abbracciò - seccandosi di non poterla stringere come avrebbe voluto - e sospirò –Ho pensato che, in fondo, nonostante l'abbiano degradata a festa commerciale, oggi si celebra il fatto che l'amore, se abbastanza forte, supera qualsiasi ostacolo. Credimi, meine liebe, ora che so cosa si prova a stare senza di te, non ti lascerò più andare. Mai più. Non sono ancora entusiasta della prospettiva di un pupo urlante che mi tiene sveglio la notte e sporca pannolini in continuazione, ma ti amo tanto da credere che forse amerò anche lui. O lei. Tu in cosa speri, Faith? Fiocco azzurro o ro... verde?

***

Lanciata un'ultima occhiata ad Adam, che ronfava beato, Monica era sgattaiolata via dall'appartamento. Purtroppo il nuovo giorno, oltre al sole splendente, aveva portato con sè una vagonata di sensi di colpa: nonostante l'impegno profuso per dimostrare il contrario possedeva una coscienza, il che non implicava che non commettesse errori, ma che questi erano sempre seguiti dal più dilaniante rimorso; nel caso in questione, la Hawthorne si sentiva malissimo: sebbene non le stesse simpatica (per usare un eufemismo) le dispiaceva per Momo, avere un paio di corna sulla testa non è certo bello! Tornò a casa alle luci dell'alba, accasciandosi sul divano, raggiunta poco dopo da Whiskers III, che saltò sulla sua pancia, acciambellandosi placidamente. La stanchezza era tale che si assopì senza accorgersene, se non quando la voce stonata di Charles le fece da sveglia sulle note di 'Eye of the tiger'; strofinandosi gli occhi, si mise seduta, con sommo disappunto del gatto - che soffiò contrariato e si dileguò agitando la coda - si stiracchiò, quindi chiese –Dov'è l'altro?

–Leo? Da un amico. Che sospetto sia un'amica...

–Buon per lui, alla sua età bisogna sfogare gli ormoni. Che ore sono?

–Otto e trenta del mattino. Si, lo so, è presto, ma che vuoi farci, non riuscivo a dormire... non con Emily nel letto.

Monica, sconvolta, sgranò gli occhi, prima di improvvisare una ridicola danza simil-tribale esclamando –Hai scop... copulato? Oh, gaudio e tripudio! Racconta i dettagli sconci alla tua sorellona, su!

–Sei pazza? No che non condivido con te la mia vita sessuale! Tanto varrebbe affiggere manifesti!- ribatté imbarazzato Charles, ripulendosi le lenti degli occhiali (un gesto che faceva spesso, quando era nervoso).

–I manifesti sono superati, Chuck. Adesso c'è la Rete- asserì sua sorella. –Sicuro di non volermi rendere partecipe delle tue evoluzioni tra le lenzuola? Sicuro sicuro sicuro? Che fratello inutile, sei!

Lui, riacquistato un contegno, domandò –Perché non sputi tu il rospo, per una volta? Come mai stanotte non sei tornata a casa e hai vestiti sgualciti e i capelli in condizioni pietose?

Monica avvampò, boccheggiò, infine squittì tanto velocemente da doversi ripetere tre volte prima che Charles capisse cosa avesse detto –Ho fatto l'amore con Adam. E' stato bellissimo. Non parliamone mai più.

–Tu cosa? Ma non eri... sono confuso.

–Sono una merda!- piagnucolò la rossa, accasciandosi nuovamente sul divano; Whiskers III, che fiutava sedute comode lontano un miglio, la raggiunse con scatto fulmineo e si acciambellò nuovamente su di lei.

Charles la fissò, poi, tentando di restituile il sorriso, commentò –Una merda? Tu? E' quell'essere immondo che definisci ostinatamente il tuo migliore amico la merda! Uno stronzone secco, ecco cos'è: ha osato approfittarsi di te, la mia dolce, ingenua sorellona!

–Adesso non esagerare, Chuck: non mi ha puntato la pistola alla tempia per fare... quello che abbiamo fatto. Se lui è una persona orribile, lo sono anch'io, anzi, peggio: persino le mosche e gli scarabei stercorari dovrebbero schifarmi! Per quanto la detesti, non posso non pensare a Momo... sono andata a letto con il suo fidanzato!- esclamò Monica, furente con se stessa, artigliandosi i capelli.

Suo fratello le prese entrambe le mani per calmarla, e replicò –Sciocchezze. Adam ha la maggior parte di colpa, è lui quello impegnato, non tu. Se non ascolto i miei istinti fraterni e corro a evirarlo è solamente perché è pazzo di te, un tuo schioccare di dita e manderebbe al diavolo chiunque, persino una supermodella in topless!- parve ripensarci e si corresse –Ok, forse quella con molta difficoltà, ma...

–Ehm... grazie?

–Prego. Comunque che morte ha fatto il tuo cellulare? Ho provato a chiamarti almeno una decina di volte!- domandò Charles, e Monica, allarmata dall'assenza del telefono cellulare, dal quale non si separava mai, cacciò un urlo degno di Tarzan, saltò in piedi ed esclamò –Il telefonino! L'ho lasciato da Adamino! E ora? Momo torna stamani, non c'è modo di recuperarlo! Lo vedrà, capirà che è mio - lo ha criticato tante di quelle volte che non può non riconoscerlo - e verrà a farmi fuori!

–Per l'amor del cielo!- tuonò Charles all'ennesima ripetizione di quella nenia. –Come con Adam, così, se rivuoi quell'insulso rudere antidiluviano, devi andare là e riprendertelo!

–R-Riprenderlo? Chuck, in caso non l'avessi capito è a casa di Brian, come diamine faccio a riprendermelo?- ribattè Monica.

–Chiedigli di restituirtelo.

–Hai ragione! Perchè non ci ho pensato?

–Perchè hai ancora gli ormoni scombussolati, sorellona- rispose Charles in tono divertito.

Monica, sorpresa, lo abbracciò e trillò –Sapevo che c'era dell'umorismo in te. Non sei stato adottato!

–Va' a cambiarti, adesso: se Adam ti vedesse di nuovo così potrebbe non rispondere delle proprie azioni, e a me il porno dal vivo non piace... se la protagonista è mia sorella.

–Chuck!- la redarguì Monica, per poi andare a cambiarsi. Quando lo raggiunse, con addosso jeans a sigaretta e un maglione nero a fiorellini bianchi adattato a vestito, Charles fece segno di seguirlo e i due, lasciato un biglietto per Leonard, si recarono a casa Cartridge. Sfiga volle che non venisse nessuno ad aprire, facendo sfumare la speranza della rossa di parlargli. Delusa, sbuffò –Oh, grandioso, sono usciti! E adesso?

–Adesso... entriamo cercando di non dare nell'occhio- rispose Charles, strizzandole l'occhio con fare complice.

Allibita, alla Hawthorne per poco non schizzarono gli occhi fuori dalle orbite nel vedere Charles, l'irreprensibile Charles, il secchioncino perfettino, armeggiare con una forcina per forzare la porta.

–Oddio. Oddio. Oddio! Chuck, dai, andiamocene- gnaulò, orgogliosa delle qualità nascoste del suo fratellino, ma allo stesso tempo spaventata dalla situazione. –Chuck, stiamo commettendo un'effrazione! E' un reato, cazzo di Buddha!

–Vero, ma dubito che Adam ci denuncerebbe, se sapesse che si tratta di te- con un ultimo movimento di polso, la serratura scattò e lui, persuasa Monica che non sarebbero finiti in gattabuia, entrò chiudendosi la porta alle spalle.

Monica, come al solito, prese a cazzeggiare, al che Charles, per impedirle di fare danni, la trascinò con sè a recuperare il telefono del misfatto; chissà come, era finito dietro il televisore. Emesso un sospiro di sollievo, Monica lo infilò in borsa e diede spazio alla propria indole esuberante stiracchiandosi e dicendo –Come mai tanta fretta, fratellino? Ormai siamo dentro, tanto vale goderci la reggia!

–Nicky, non possiamo comportarci come a casa nostra! Leviamo le tende alla svelta!- bisbigliò suo fratello, sebbene non fosse necessario tenere la voce bassa, ma Monica non gli diede retta e sgranocchiò con gran godimento dei pop corn al cioccolato, i preferiti suoi e di Adam. Dopo vari tentativi infruttuosi di schiodarla dal pouf si arrese e, presa una manciata di pop corn, si stese sul divano; scattò in piedi, come se avesse preso la scossa, quando intravide la smorfia della sorella, quindi esclamò, tra lo sconcertato e il disgustato –Allora è qui che è stato fatto il misfatto!

–La prima volta. Io e Adamino abbiamo giurato solennemente di non avere buone intenzioni... promessa mantenuta!- replicò Monica, al che Charles, in uno sfoggio di ironia, si sdraiò nuovamente a gambe aperte e ribattè –Altro che Connie, sei tu la ciambellina... malandrina: mica lo hai lasciato vuoto il buco! Spero che Adam lo abbia riempito bene!

–Spero lo stesso per te. Non per la tua autostima, per Emily: è una ragazza d'oro, merita almeno un orgasmo a scopata!

–Nicky!

–So che è perverso, ma sto immaginando la scena: tu che ti esibisci in uno strip tease che quello di Kim Basinger in '9 settimane e 1/2' al confronto è un cartoon per bimbetti, poi la fai stendere e mentre fai su e giù lei urla "Oh, amore, sì..."

–Non è più divertente, Nicky.

–"No, Chuck, non smettere, non fermarti..."

–Nicky, smettila.

–"Oooh, sì, così, sii, ancora, e ancora, e..."

–Nicky, finiscila!- urlò Charles avventandosi sulla sorella nel tentativo di farla tacere, tentativo interrotto perchè in quel momento dei passi risuonarono per le scale e Adam, attirato dai rumori, si trovò davanti un quadretto sconvolgente: avvinghiati sul pavimento c'erano Monica e Charles Hawthorne, penetrati non si sa come nell'appartamento.

Accortisi della sua presenza, i due si rimisero in piedi, avvampando, squittirono all'unisono –Noi, ehm... credevamo che la casa fosse... vuota, ecco. Scusa tanto. Ciao, eh!- e corsero via alla velocità della luce.

Una volta in strada, però, Monica si accorse di aver dimenticato nuovamente il cellulare e, incurante del parere contrario di Charles, tornò su, bussò, e aspettò che Adam aprisse. Non si mostrò sorpreso nel vederla ed esclamò, sventolandoglielo davanti agli occhi –Guarda chi si vede! Cercavi questo?

–Sì- rispose lei, sollevata. –L'avevo dimenticato qui, e... Momo non è ancora arrivata, vero? Perchè...

–Puoi finirla con la commedia: che ragione avresti di tenere Momo all'oscuro di stanotte? Dovresti, anzi, adoperarti per separarci!

–L'ho fatto per te! Soltanto per te! Se Momo l'avesse visto si sarebbe insospettita: sa che è mio, avrebbe fatto due più due, non te l'avrebbe perdonata e ti avrebbe lasciato. Vorrei avessi tu questa soddisfazione.

–Vuoi che sia io a lasciarla?- ribattè lui velenoso, facendola arrossire ancora.

Sentendosi stupida, replicò –Esatto! Non me ne sono andata perchè non provo niente per te, ma quello che abbiamo fatto. Mi sento così in colpa solo a pensarci!

–Io per niente. Anzi, mi sentirei in colpa a farlo con Momo... mi sembrerebbe di tradirti- dichiarò Adam, accarezzandole amorevolmente una guancia.

Monica, vinta una guerra impari contro il proprio cervello, allungò una mano fino all'elastico del pantalone della tuta e pigolò –Mentirei se negassi che ne sono lieta, e che stanotte è stata la più bella della mia vita.

–Già. Era tanto che non lo facevo così... così...

–Se può consolarti, io non l'ho mai fatto così, Adamino, ed è soltanto colpa mia: siamo stati amici, migliori amici, ma adesso è diverso: sono innamorata di te e ti voglio tutto per me!

A quelle parole Adam la attirò a sè e la baciò con trasporto, chiudendosi la porta alle spalle con un calcio.

Charles, seccato dall'attesa, imprecando mentalmente contro "quell'arrapata cronica" di sua sorella, infranse il momento magico dei due piccioncini in amore, avvisandoli dell'arrivo di Momo. Monica riuscì a lasciare l'appartamento senza essere vista, merito di una botta di fortuna sfacciata, e, invece di ringraziare suo fratello, gli diede un calcio negli stinchi perché l'aveva costretta a raffreddare i bollenti spiriti.

–Ma me la pagherai, Chuck, la mia vendetta subirai. Tu e quel troiesco stecchino che presto sarà la EX del mio dolce Adamino! E adesso offrimi una colazione seria, parlare in rima è un chiaro segno che di zuccheri ho bisogno!

***

Anche Bridget si era svegliata in un letto non suo; scosse con veemenza l'uomo al suo fianco e sibilò –Cazzo!

–Ne vuoi ancora? Sei insaziabile, dolcezza!- rispose lui, tracciando maliziosamente il contorno del fianco con l'indice.

–Non dire stronzate!- sbottò la pluridivorziata, si scrollò di dosso le lenzuola e raccattò i vestiti sparsi per la casa, domandandosi come mai la gonna fosse sul divano e il reggiseno in cucina, sul fornello. Le scoppiava la testa, la luce del giorno le trafiggeva le retine come tanti spilli e le endorfine post-orgasmo erano svanite, sostituite da malumore e vergogna per quello che aveva fatto.

–Per l'amor del cielo, non pentirtene: avevi disperatamente bisogno di sentirti desiderata e a me non piace dormire da solo, perciò direi che abbiamo ottenuto entrambi quello che ci serviva.

A malincuore, Bridget dovette convenire che aveva ragione: Rafa aveva inferto un duro colpo alla sua autostima... preferirle Faith! Che razza di gusti!

–Non puoi capire- gnaulò, gettando teatralmente il capo all'indietro.

–Posso eccome! Mi duole ricordartelo, ma la tua cara amica Faith scaricò il sottoscritto per Cyril, quindi sì, so cosa si prova; so che ti senti insieme furibonda e oltraggiata perché lei non è bella, disinvolta, sensuale come te e so che stai passando in rassegna le eventuali malattie mentali di cui potrebbe soffrire l'idiota che ti ha respinta. Lo so perché ci sono passato, perciò ascolta un consiglio da amico: fagli vedere chi sei. Ha detto che sei costruita, finta, superficiale? Dimostragli il contrario, se credi che ne valga la pena.

Leggermente titubante, Bridget annuì.

–Ne vale la pena.

***

–Che figata!- esclamò Abigail Cartridge (Venter, da ragazza), saltellando su per i gradini. Si trovava, insieme a Bridget, nell'albergo dove alloggiava l'artista nuova ossessione dell'amica; erano dirette alla sua stanza: avrebbe fatto da palo mentre l'altra metteva in atto un ultimo, disperato tentativo di conquista. Non stava più nella pelle! –Hai sempre coinvolto Faith nelle tue scorribande, sono onorata di farti da spalla.

–Coinvolgevo Faith perché tu mi disapprovavi. L'hai forse dimenticato?

Piccata, Abigail sollevò le sopracciglia con sussiegoso contegno,

–Ti disapprovavo perché le tue idee erano folli- rispose. –Questa non lo è.

–Ah, no? Credevo fossi contraria ai pedinamenti!- obiettò Bridget. –"Le brave ragazze non fanno le stalker, si impegnano a farsi notare e attendono trepidanti che sia lui a compiere il primo passo".

–Ne sono tuttora convinta, ma stavolta è diverso. Stando a quanto mi ha raccontato Faith - e mi fido del suo fiuto negli affari di cuore - questo tizio ti piace. Non ti sei ancora informata sul suo conto in banca, la dice lunga!

–Lui non mi piace!- latrò Bridget. –Come potrebbe piacermi qualcuno che mi ha chiesto la percentuale di carne nel mio corpo di plastica? Confesso di essere attratta da lui - se lo conoscessi, lo saresti anche tu - e attizzata dalla sfida, nient'altro. Oltretutto, come hai appena osservato, sono all'oscuro della sua situazione finanziaria, e non posso permettermi di diventare il bancomat di nessuno, neppure Mr. Universo!

–I tuoi ex mariti hanno chiuso i rubinetti, per caso?

–No, ma mi sono abituata a un certo tenore di vita, e non sarà un Rafael qualunque a farmi abbassare i miei standard.

Abigail, allibita, boccheggiò –Se non desideri approfondire la vostra conoscenza, allora che progetti hai per- "Questo povero martire" –Lui?

–Gli farò vedere di che pasta sono fatta- rispose l'altra, prima di bussare con insistenza. –Sfoggerò le mie carte migliori e gli offrirò una visita speciale delle bellezze di Londra! Almeno tornerà in Florida con dei bei ricordi.

Abigail si trattenne a fatica dal replicare che Rafa, a quanto pareva, era diversissimo dagli uomini che frequentava di solito, per cui, forse, l'atteggiamento graffiante da panterona non era il più indicato. Quando, meno di cinque minuti dopo, Bridget uscì dalla stanza lanciando maledizioni a Cuba, Miami e i loro abitanti, ebbe la conferma dei suoi cattivi presentimenti.

Eppure, nonostante le numerose prove contrarie, si domandava se Faith non avesse fatto centro ancora una volta. Che fosse Rafael Jimenez l'uomo perfetto per Bridget?

***

–Oh, Nicky, è stato così umiliante! Frustrante!- esalò Connie Bishop, attorcigliandosi una ciocca di capelli intorno al dito mentre adocchiava le vetrine. –E'...

–Normale- concluse al suo posto Monica Hawthorne, che le camminava di fianco. Nonostante i tacchi, Connie le arrivava alla punta del lobo dell'orecchio, e lei portava le Converse! Fortuna che i tempi della scuola, quando veniva additata come "pertica", "palo della luce" o "giraffona" erano lontani.

–Normale?- sbraitò la bionda. –Restare a bocca aperta davanti alla fidanzata che ha passato il pomeriggio a farsi bella per te è normale! Saltare addosso alla fidanzata che rivedi dopo una settimana è normale! Il suo comportamento. Non. E'. Normale! Ok, mi ha palpeggiata abbondantemente quando ci siamo baciati guardando 'Via col vento', ma non è andato oltre! La notte mi sono avvinghiata a lui come un koala, gli ho addirittura preso una mano e me la sono messa sul seno e lui nisba, ha strizzato un pochettino, mi ha dato un bacetto e si è girato dall'altra parte. Fine. Cos'altro avrei dovuto fare, porca miseria, sedermi sulla sua faccia?

–Non essere frettolosa- le consigliò l'amica. –State cercando di recuperare il vostro rapporto, è un processo che richiede tempo. Keithino si sta sforzando di considerarti una donna, non una dolce ciambellina glassata di rosa, ma è pur sempre Keithino: non puoi pretendere che dall'oggi al domani passi dalla posizione del missionario alla "stanza dei giochi"!

–Ehm... ecco... a proposito di giochi... a dire il vero, una sorpresa me l'ha fatta...

–Ti ha regalato un paio di manette piumate?

–Qualcosa di più... raffinato.

–Un frustino?

–Ho detto raffinato, Nicky!

–Oh, insomma, si può sapere cos'è, o è chiedere troppo?

–Beh, ecco... io... non ho aperto il pacchetto- confessò a testa bassa la scrittrice. –Keith mi ha pregata di non farlo. Credo sia un, ehm, articolo per, uhm, adulti, perché ha detto, cito testualmente "Fammi un favore: aprilo soltanto quando ti sentirai pronta ad usarlo."

–Uuh! Keithino malandrino! Si sta impegnando a riconquistarti!

–Eh, sì, devo ammettere che sta rigando dritto- chiocciò Connie, arrossendo. –Grazie a un pizzico di psicologia spicciola...

"L'abbraccio del suo nuovamente vero fidanzato l'aveva colta di sorpresa, ma si era ripresa in fretta.

Non ti conviene distrarmi, se vuoi mettere sotto i denti cibo commestibile- aveva ridacchiato, rivolgendogli un sorriso complice.

Keith aveva annusato, prima di esclamare –Mmm... che profumino!

Merito del vino bianco. Dà un aroma più ricco alla carne.

Parlavo di te. Profumi di buono.

E' un complimento troppo banale per suonare spontaneo. Scommetto che chiunque te la dia profuma di buono, inclusa quella Hailey- Keith era arrossito e aveva abbandonato le braccia lungo il corpo, abbassando lo sguardo con aria colpevole. –Chi tace acconsente.

Mordendosi la lingua per evitare di toccare l'argomento "Kyle", aveva esalato –Mi rinfaccerai il mio errore a vita?

Dipende da come ti comporterai. Se farai il bravo, no- aveva risposto, prima di assaggiare la salsa Worchester per assicurarsi che non fosse irrancidita. –Altrimenti...

Mi staccherai i gioielli di famiglia, lo so- aveva sospirato lui, serrando la presa sui suoi fianchi.

Fossi matta! Le macchie di sangue sono difficilissime da pulire!- aveva replicato, sogghignando. –No, niente punizioni cruente, anche perché sono sicura che non ci saranno più "Hailey". Comunque rilassati, se mai dovessi tradirmi non rischieresti gli attributi... mi limiterei a fare un colpo di telefono a Kyle.

L'espressione di Keith era stata impagabile, avrebbe voluto immortalarla: alternava pallore e rossore e aveva sgranato gli occhi, tanto che aveva temuto potessero fuoriuscire dalle orbite.

T-tu... tu... tu...

Occupato- aveva scherzato lei, poi aveva cinguettato, in tono fintamente innocente –Ho conservato il suo numero. Sai, per le emergenze...

Niente emergenze- aveva infine asserito Keith, socchiudendo le palpebre, i lineamenti insolitamente duri. –Ti prometto che non dovrai mai telefonargli."

–Oh, la la! Sei diabolica, Ciambellina!

–Impara, Nicky: gli uomini vanno presi per la gola... in tutti i sensi- si bloccò davanti a una vetrina e, con gli occhi che le brillavano, trillò –Oddio, è semplicemente splendido!

Si fiondò nel negozio, con somma soddisfazione della commessa - che non avrebbe gradito di distogliere la propria attenzione dal tabloid che stava sfogliando per dedicarsi a una cliente - afferrò da sola un abitino - verde acqua, con ampio e profondo (ma non volgare) scollo a V ornato di ruches e un nastro tono su tono a stringerlo in vita - semplice e romantico, e si precipitò a provarlo.

–Allora, che te ne pare?

–Molto, ehm, da Ciambellina- commentò la rossa, annuendo. Non avrebbe mai indossato un capo del genere, ma sapeva esprimere giudizi obiettivi e, obiettivamente, cadeva a pennello alla sua amica. Tuttavia, le speranze che lo shopping forsennato si concludesse lì furono deluse dall'entusiastico –Tesoro, mi sento terribilmente in colpa: io spendo e spando e tu niente! Dobbiamo rimediare: adesso troviamo qualcosa "da Nicky", ma che non lasci dubbi sul sesso cui appartieni.

–Hai insinuato che mi concio come un maschio?

–Di certo non ti conci da donna, se non in occasioni speciali- sbottò la Bishop, aggrottando le sopracciglia (abitudine presa dal padre). –Beh, lasciatelo dire: ogni giorno è un'occasione speciale, un susseguirsi di attimi che non torneranno mai più, perciò forza e coraggio, si parte con lo shopping selvaggio!

–Evviva! - sbuffò la Hawthorne senza gioia, agitando sarcasticamente le mani. La sua noia si trasformò in panico quando, mentre Connie, improvvisatasi personal shopper, le stava illustrando i pregi del disegno pied de poule e del giallo senape, da da uno dei camerini sbucò nientepopodimeno che Momo, semplicemente favolosa in un tubino verde petrolio.

Senza neanche salutarle, celiò –Sembra cucito apposta per me, non trovate?

–Oh, ehm, sì. Ti sta benissimo, e il colore s'intona col tuo incarnato - rispose Connie, dando di gomito a Nicky, che stiracchiò debolmente le labbra e confermò quanto appena detto dall'amica.

–Non mi aspettavo di trovarvi qui- "Altrimenti sarei andata da un'altra parte" –Cosa vi porta da Hansley's?

–Connie si è innamorata di un vestito in vetrina- esalò Nicky, guadagnandosi una gomitata da parte di Connie, che si giustificò spiegando che avrebbe preso parte a un incontro internazionale di scrittori dedicato alle signore del giallo, desiderava mostrarsi al meglio.

–Oh, ma è grandioso! Congratulazioni, Cornelia!- cinguettò, esibendo un sorriso genuino quanto una banconota da tre sterline. –Immagino che Nicky funga da supporto morale; senza offesa, non ti ci vedo a dare consigli in materia di stile!

–Perché non le dai qualche dritta, allora?- suggerì Connie, che aveva adocchiato un paio di borse e voleva esaminarle attentamente.

–I-Io? A l-lei?- balbettò Momo, per poi ripensarci e accettare senza battere ciglio di rispolverare la femminilità della sua omonima rivale. –Sai qual è il tuo problema? Non hai ambizioni. Ti accontenti. Ti adagi.

–Se lo dici tu- mugugnò a denti stretti l'altra, sfiorando distrattamente delle giacche.

–Sul serio: ti accontenti di essere in ordine, senza pensare minimamente a quanto potresti essere bella, se soltanto ti impegnassi un po' di più. Oh, beh, meglio per me: cancellare il tuo ricordo dalla mente di Adam sarà più facile. Spiacente di deluderti: per tenersi un uomo non basta dargliela.

Qualcosa, in Monica, si mosse all'altezza dello stomaco, e la portò a stringere i pugni.

"Calma, Nicky, mantieni la calma. Respira a fondo, così, perfetto. Oh, per favore: fanculo le buone maniere, questa merita un calcio in bocca! No, niente calci... non in pubblico, almeno."

–Non so di cosa parli.

–Che tenera, crede davvero che negare l'evidenza l'aiuterà a farla franca. Risparmia il fiato, carina (si fa per dire): io so.

"Lei sa? Lei sa? Oh, cazzo di Buddha! Ok, calma, non cediamo alla tensione. Negare, a questo punto, è inutile. Tanto meglio: dopotutto, le migliori bugie hanno un fondo di verità".

–Lo confesso: sì, ho fatto sesso con Adam, e allora? E' successo una volta, tanto tempo fa- rispose Monica con finta naturalezza.

Momo sbuffò e replicò –Una volta sola? Sul serio? Strano, Adam non è tipo da una botta e via!

Nicky parlò senza riflettere.

–Si vede che con l'età ha aumentato la quantità. La qualità, invece, chissà...

Non aveva previsto la reazione di Momo. Come avrebbe potuto? Era impensabile che una donna tanto esile e compassata fosse capace di afferrarne un'altra per il collo e spingerla con violenza contro il muro.

–Stammi a sentire, troietta- sibilò, rivolgendo un sorriso rassicurante e un cenno di commiato alla commessa comparsa per controllare se l'abito andava bene –Io so. Forse avrei dovuto lasciarti continuare la commedia, sarebbe stato interessante scoprire fin dove ti saresti spinta... ma non sono dell'umore. Tu e quel verme credevate che non ci sarei arrivata? Non ho impiegato molto ad interpretare correttamente il vostro rapporto e a capire perchè ti ha evitata come la peste per due anni e chissà quanto ancora, se non l'avessi supplicato di tornare amici. All'inizio ero convinta fosse stato lui a mollarti, poi, conoscendoti meglio, ho ricostruito gli eventi: sei tu quella da una botta e via, il povero Adam è solamente un cuore innamorato.

–Già- fu la secca risposta di Monica, la cui voglia di sprofondare nelle viscere della Terra senza più riemergere cresceva di secondo in secondo, per raggiungere il culmine quando Momo sferrò il colpo di grazia. –Poverino, per un'anima candida come lui dev'essere stato un colpo tremendo. Dalla sua migliore amica, poi! Ma, nonostante l'abbia fatto soffrire, ti ha riaccolta nella sua vita e, sospetto, anche nel suo letto. Ammirevole: io ti avrei spedita su Plutone a calci nelle terga! Anzi, ti ci farò spedire da lui. Ti avevo avvertita, obbrobrio rossiccio: se non ti fossi tenuta alla larga dal mio uomo avresti pagato un prezzo molto alto; non ti sei tenuta alla larga... preparati a pagare.

Una volta uscita di scena Momo, Connie palesò la propria presenza; Nicky, sperando in una risposta negativa, le chiese –Hai sentito tutto, vero?

–Minacce comprese- rispose la bionda. –Mi spiace, non ho potuto evitarlo. Oh, Nicky, perchè non me l'hai detto?

–Per evitare scene come quella che sta per svolgersi- replicò la rossa evitando gli occhi dell'amica, che esalò –Adam è il tuo migliore amico da quando eri un pulcino dal ciuffo blu, perchè l'hai fatto?

–Non lo so, va bene? E' successo e basta! In fondo, quando si parla di sesso, che importanza vuoi che abbia l'identità dell'amante? Quel che conta è che ci sappia fare!- ruggì Monica, giunta al limite della sopportazione.

Connie scosse la testa e asserì –Smetti questa ridicola sceneggiata, Nicky. Non sei così, perchè ti ostini a voler apparire insensibile?

–Sicura di conoscermi bene?- ribattè Monica in tono di sfida.

Connie rispose –Potrei farti la stessa domanda. Non dubito della tua buona fede, però hai sbagliato: sapevi com'è fatto Adam, sapevi che si sarebbe scottato, eppure hai agito come tuo solito, senza pensare alle conseuguenze. E sei recidiva, porca miseria!

–Oh, certo! Io sono la stronza adescatrice, Adam che non mi ha respinta è un povero cucciolotto indifeso! Certe cose si fanno in due, la colpa va divisa in parti uguali!- sbraitò la rossa, che sembrava sull'orlo delle lacrime.

–Sfogati, tesoro, non fa bene tenersi dentro un tale peso- pigolò Connie, accarezzando delicatamente un braccio della rossa. –E' un brutto tasto da toccare, e io non l'ho toccato nella maniera più delicata. Se te la senti confidati con me, ti ascolterò in silenzio.

Monica accettò l'offerta e le raccontò tutto, infine sospirò, abbozzando un sorriso –Sai, ora che ho vuotato il sacco mi domando perchè non l'ho fatto prima: mi sento così leggera!

***

Maggie Bell era sull'orlo di una crisi di nervi. Mentre respirava affannosamente, seduta su uno scatolone nel sottoscala, riusciva quasi a sentire una sorta di ronzio, risultato dell'attività elettrica cerebrale; allo stress psicofisico dell'organizzazione del matrimonio si era aggiunta l'ennesima delusione: Robert Patterson si era dimostrato ancora una volta uno stronzo senza cuore, ma stavolta non si sarebbe piegata, non gli avrebbe permesso di usarla per i propri comodi. La specializzanda impacciata che spasimava per il collega al punto da ridursi a uno zerbino era morta anni fa, quando aveva aperto gli occhi sul ragazzo gentile e premuroso che ogni venerdì sera le serviva alcolici e stuzzichini nel suo fumoso pub irlandese.

–Bell, ti senti bene?

Non alzò lo sguardo. Perché mai avrebbe dovuto? Aveva riconosciuto quella voce calda e, adesso, leggermente tremante.

–Alla grande! Piango dalla gioia! Non capisco come tu possa fare il clinico, Patterson: hai l'empatia di una sacca di fisiologica!

Imbarazzato, Robert cercò di riscattarsi con una compassionevole pacca sulla spalla e l'amichevole –Se solo mi lasciassi spiegare...

–Spiegare? Spiegare? Guarda che ho capito benissimo! Anche se ti ostini a considerarmi tale sono romantica, non ingenua, conosco la meccanica del sesso eterosessuale!

–Senti, mi dispiace che l'abbia scoperto così - a dire il vero, mi dispiace che l'abbia scoperto, punto - è stato imbarazzante per tutti; prima di giudicare, però, pensa che in fondo Vanessa non è impegnata... non ufficialmente. Brenner è sposato, e lei...

–Chi se ne strafrega di Vanessa! Quello che mi fa incazzare è la tua noncuranza verso l'etica, la buona creanza e i sentimenti altrui! Illuderai e deluderai quella poveretta come facesti con me!- ululò Maggie (come la maggior parte delle persone calme e docili, una volta superato il punto di rottura esplodeva), per poi esclamare, alla vista del suo riflesso nello specchietto tascabile –Oh, capperi, sembro Alice Cooper! Devo pulirmi la faccia. Scusa, Pat...

–Non vai da nessuna parte, Bell- ringhiò lui. –Non prima di aver giurato su tua madre che non rivelerai a nessuno quello che hai visto.

"Avrei dovuto immaginare che gli importava soltanto di questo. Tranquillo, Patterson, il tuo segreto è al sicuro con me, tanto sono convinta che prima o poi ti sputtanerai da solo."

Maggie, scocciata, si arrese; si voltò, attese che il collega allentasse la presa sul suo braccio e, determinata a tenerlo sulle spine, cinguettò –Nemmeno alla tua nuova ragazza, la cara Elise?

Note dell'autrice:

Mi ero ripromessa di pubblicare puntuale, ma impegni vari mi hanno fatta rallentare. Onestamente, non me la sento più di assicurare un capitolo a settimana come prima: farò il possibile per pubblicare ogni dieci giorni, ma non garantisco. Mi dispiace ammettere la sconfitta, ma la vita sta avendo la meglio su di me.

Passando ad altro... avete già pronte pietre, motoseghe e mazze chiodate per Robert? Il ginecologo dal quale ogni donna sogna di farsi visitare l'ha combinata grossa! Nel prossimo capitolo si confiderà con un amico e scoprirete le sue ragioni.

Franz è stato incredibilmente dolce, vero? Ho voluto riabilitarlo un po'. Non è ancora entusiasta della paternità (lo vedrete meglio sempre nel prossimo capitolo), ma sta facendo passi avanti. Il verde è un colore unisex, perciò si apre il toto-bebè: maschio o femmina? Io, naturalmente, già lo so, anche se vi confesso che la decisione è stata dura.

Un papà modello è, invece, Brian: lotterà con le unghie e con i denti per tenere AJ con sè. Chi si sarebbe mai aspettato che un uomo allergico ai legami si innamorasse di suo figlio?

Trema, Nicky! Momo non scherzava, si vendicherà alla grande. Riuscirà la nostra rossa del cuore a tenersi stretto il suo Adamino? Connie e Keith avranno superato la tempesta, o questa parentesi è solamente la quiete che precede una tempesta ancora più tempestosa? E Bridget? Si consolerà con un rimpiazzo, o farà vedere a Rafa di che pasta è fatta a qualsiasi costo? ;-)

Meditate, miei adorati lettori, meditate!

Serpentina

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Litigare stanca ***


Dopo due secoli (XD), bentrovati a un altro appuntamento con Baby Boom! Lo so, sono imperdonabile, una ritardataria inconcludente, ma la mancanza d'ispirazione, unita allo stress da sessione d'esame, ha segnato una battuta d'arresto nella scrittura. Dispiace più a me che a voi, credetemi.

Grazie, come sempre, a Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92, elev e topoleone, che hanno recensito, ad alessia87, anila83, Icamary, Momimomo81 e Scelm_4everUS, che seguono/ricordano/preferiscono la storia. ^^

Enjoy!

Litigare stanca

(Not single, but ready to mingle)
 

Solo due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana... e non sono sicuro della prima.

Albert Einstein

Il quesito che gli aveva posto Robert era di per sè semplice, "Come hai capito di essere innamorato di Faith?", peccato che la risposta non lo fosse altrettanto. Aveva boccheggiato, annaspando come un pesce appena pescato. La verità era che non lo sapeva dire con precisione: era successo; la parte più matura di lui si era arresa all'attrazione per quella donna così fuori dal comune, la sua proverbiale metà della mela. Solo, come spiegarlo a Robert, i cui numerosi difetti comprendevano la superficialità?

–Ehm... ecco... so che suona scontato e terribilmente melenso - se qualche anno fa qualcuno mi avesse detto che mi sarei innamorato, gli avrei fatto un tossicologico - Faith per me è un raggio di sole. Mi ero volutamente condannato a una felicità di facciata, ma, grazie a lei, ho compreso che l'importante è essere in pace con se stessi; gli altri, se tengono davvero a te, saranno felici di riflesso.

–Cioè, fammi capire: hai sempre preferito un tipo... alla Faith, diciamo... alle solite stragnocche con cui uscivi, però ci uscivi perché non avevi la forza di reggere commenti poco gentili? Non sei normale!- esalò Robert, esterrefatto.

–Sapevo che avresti disapprovato- sospirò mesamente Franz, scrollando le spalle.

–Disapprovo sì, cazzo! Perché togliere quei pezzi di figa dal mercato, se manco ti piacevano? Avrei potuto averne di più io! Stronzo!- sbottò il ginecologo, fustigandolo con lo stetoscopio.

Il patologo eruppe in una sonora risata, poi ribattè –Dubito che tu sia nella posizione di farmi la predica, Patty. Sbaglio, o la domanda di poco fa lascia intendere che il tuo cuoricino ha ripreso a battere?

Robert avvampò, schermendosi in un modo che ricordava molto Connie. In quel momento sì che veniva a galla il loro grado di parentela!

–Sono confuso. Ellie mi piace, adoro stare con lei, quando siamo insieme il tempo vola... oddio, parlo come una ragazzina alla prima cotta!

–Perché sei un ragazzino (cresciutello) alla prima cotta- lo schernì Franz, dandosi arie da grande esperto. –Lo dimostra il fatto che non mi hai ancora raccontato cosa combinate a letto... e nella doccia, sul divano, i tavoli, la lavatrice, i comodini, la scrivania... ah, se la mobilia di casa tua potesse parlare!

–Cretino!- sbraitò Robert, riprendendo a colpirlo con lo stetoscopio, l'unica arma impropria a sua disposizione. –Stavolta sto procedendo per gradi - voglio conoscerla e farla sentire speciale - anche se più volte sono stato sul punto di cedere... chi l'avrebbe mai detto che alla maestrina piace allungare le mani?

–Tu... che rifiuti le avances di una donna?- esclamò Franz, allibito. –A quando l'apocalisse?

–Grazie, eh!

–Scusami, però comprendi il mio punto di vista: in genere prima te la scopi e poi consideri l'eventualità di farci anche altro. La tua priorità è sempre stata svuotarti le palle, difficile credere che riesca a mantenere il vostro rapporto platonico senza schizzare... di testa. Impazzire. Perdere le rotelle cerebrali.

Robert sogghignò, prima di replicare –Se prometti di non spifferarlo in giro, ti rivelerò un segreto- Franz giurò croce sul cuore di tenere la bocca chiusa. –Ho pensato la stessa, identica cosa e, per fortuna, ho trovato una soluzione, se capisci cosa intendo...

Weil impiegò un paio di minuti per realizzare il significato delle parole dell'amico. Ne rimase scioccato.

–Continui a sbatterti Vanessa?

–Come un uovo- rispose l'altro con palese autocompiacimento. –E pure Harper. Conosco i miei limiti, sono consapevole del fatto che, senza valvole di sfogo, impazzirei sul serio, e non ho nessuna intenzione di rovinare quello che sto costruendo mattone dopo mattone con Ellie. Stavolta farò le cose per bene.

–Per bene?- sbraitò il patologo, ribollendo di rabbia. Era a conoscenza dell'anima nera del suo migliore amico, ma non l'avrebbe mai creduto capace di tanto. –Per bene? Ti pare un comportamento corretto il tuo? Stai deliberatamente cornificando la donna che dici di amare, e tratti alla stregua di bambole gonfiabili due che, per quanto stronze, sono pur sempre esseri umani!

–Esseri... umani?- sibilò Robert, perfido, indicando la dottoressa Meigs, intenta a limarsi le unghie, indifferente allo spettacolo indecoroso del suo amante e primario del reparto, il dottor Brenner, che ricopriva d'insulti la povera Maggie Bell. –Sicuro?

***

Christopher Hale, a dispetto della stazza, non aveva un'indole violenta. In passato, prima che la frenetica vita ospedaliera gli togliesse il tempo persino per respirare, aveva giocato a rugby, questo sì, ma con un fisico come il suo non aveva molte alternative: mica poteva diventare ballerino classico, una presa mal calibrata e rischiava di spedire la povera malcapitata su Saturno! Ad ogni modo, aveva menato le mani poche volte in vita sua, e mai su una donna. La sua fibra morale gli aveva procurato svariate fregature, specialmente da quando stava insieme ad Erin, robusta quasi quanto lui e decisamente più manesca.

Stava medicando le conseguenze dell'ultima discussione degenerata in corpo a corpo, quando sentì dei gemiti strozzati. Guidato dall'udito, si diresse verso la fonte sonora: Maggie, rannicchiata in un sottoscala.

Non era necessario essere psichiatri per rendersi conto che non era la solita, solare se stessa. Si schiarì la gola e senza riflettere, asserì –Sei messa male, Bell.

Lei brunetta lo osservò accigliata, quindi rispose –Mai quanto te. Chi ti ha ridotto così?

–Erin- esalò, reprimendo la vocina che gli ricordava con chi stesse parlando: Maggie era amica di Erin dai tempi dell'università, alias non la persona giusta con cui sfogarsi. –In questo periodo non ne combino una giusta con lei.

–Sta attraversando una fase di profonda frustrazione, credo. Hai provato a parlarle?

–Come pensi abbia rimediato questo "regalino"?- sbottò lui indicandosi lo zigomo violaceo.

–Accidenti! Doveva essere incazzata nera! E' per la storia del matrimonio?

–Erin vorrebbe che le facessi la proposta delle proposte? Da quando? Dopo anni a ripetermi, per citare Franz, che "non abbiamo bisogno di ingabbiarci l'anulare per dimostrare il nostro amore", adesso le è venuta la fissa delle nozze? Perché sono l'ultimo a sapere le cose, cazzo? Adesso ho un'altra gatta da pelare, come se non avessi già a sufficienza per una vita intera!

–Chris, per favore, calmati- pigolò Maggie, sconcertata da quello scoppio di rabbia. Certo, Chris aveva preso a pugni il muro, non lei, ma non per questo era meno spaventata. –Sono sicurissima che non te ne ha parlato per evitarti ulteriori preoccupazioni.

–Ma porca puttana, se non è sincera con me, se rifiuta ogni mio tentativo di aiutarla, che senso ha stare insieme?

–Ehm... non ti seguo.

–Mi ha dato un pugno perché le ho suggerito di non rifiutare a priori la via dell'adozione. Voglio dire, capisco la delusione di non riuscire ad avere un figlio nostro, sangue del nostro sangue e giù di lì, capisco che essere circondata da amiche e parenti in dolce attesa la faccia sentire "difettosa", però sono convinto che non ameremmo di meno un eventuale bambino solo perché non siamo i suoi genitori biologici. Sbaglio?

–E' una questione delicata, temo che non esistano torto e ragione. Posso soltanto consigliarti di pazientare e prometterti che proverò a farla ragionare. Erin ti ama, non dubitarne.

–Non ne ho mai dubitato- chiocciò in tono sognante. –Cambiamo argomento, ti va?

–Intuisco che muori dalla curiosità di scoprire il mio scheletro nell'armadio- sospirò Maggie, giocherellando con una ciocca di capelli. –Caschi male: lo scheletro non è mio, sono stata semplicemente messa a guardia dell'armadio. Quanto alla tristezza, prova a venire subissato di insulti. Un giorno denuncerò Brenner per mobbing, poco ma sicuro!

In quel momento sopraggiunse Harry in versione drag queen, il quale, scoccata a ciascuno dei due un'occhiataccia, sbuffò, prima di afferrare ovatta e solvente nell'armadio delle scorte –Mai regalare a un bambino di tre anni pennarelli indelebili. Mai.

–Perché? Stai divinamente col rossetto!- lo irrise Chris, trattenendo a stento le risate.

–E tu col blush. Peccato l'abbia messo su una guancia sola- ribatté sprezzante il radiologo e Chris, piccato, si limitò a massaggiare la parte lesa borbottando a bassa voce. –E adesso sputa il rospo, Bell: guai nella Contea? Il tuo hobbit non ha retto alla pressione dei preparativi per le nozze ed è scappato su una nave elfica?

–Colleghi la bocca al cervello, prima di darle aria?- abbaiò Maggie. –Tra me e S... Ian va tutto a meraviglia!

–Allora cos'è che ti turba? Dai, Bell, ne ho sentite di tutti i colori dai pazienti, non mi scandalizzo per un'inezia!

–Ti prego, non farmi domande alle quali non posso rispondere- gnaulò lei. –Non mi piace mentire. Sono in una posizione davvero scomoda: costretta dalla mia coscienza a proteggere qualcuno che non lo meriterebbe. Romperesti una promessa, mettendo nei guai una persona, per il bene di altre tre?

–Mi ricorda uno di quei dilemmi morali che mi propinava a scuola l'insegnante di filosofia. "Se fossi il conducente di un treno e ti trovassi di fronte a un bivio, devieresti a destra, uccidendo un uomo, o a sinistra, uccidendone tre?"- celiò ironico Franz, uscendo dal cono d'ombra della parte bassa delle scale. –La mia risposta era sempre la stessa : "Mi suiciderei".

–Prendere decisioni di vitale importanza non è il tuo forte, evidentemente. Cosa ci fai qui, Weil?

–Si sentiva la tua mancanza, Husky, c'era troppa bontà nell'aria- scherzò Harry.

–Il monopolio del sarcasmo è mio!- soffiò Weil. –Ma non interrompetevi a causa mia. Spiffera tutto, Bell, avanti! E' facile alleggerirsi la coscienza a discapito di altri.

Scioccata dalla lezioncina morale, Maggie sussultò e scappò via, lasciando Franz divertito ed Harry ardente di curiosità.

–Grazie tante! Adesso non saprò mai a chi si riferiva la Bell!- tuonò, puntandogli l'indice contro.

–Oh, ma non è ovvio? E' Robert l'uomo del mistero! Se vuoi saperne di più, rivolgiti a lui: ho fatto una promessa e intendo mantenerla.

–Ho l'impressione che Patty non meriti tanta lealtà... ma ti ammiro per questo- asserì Harry, dandogli una pacca sulla spalla. –Certo, però, che se fossero tutti come te in questo cavolo di posto non girerebbe uno straccio di pettegolezzo!

***

Se trentadue anni prima avessero domandato al dottor Irving come vedeva il proprio futuro, avrebbe quasi sicuramente risposto: "Una vita piena da vivere al fianco della mia dolce metà".

Sì, esatto, nei suoi piani non erano previsti pargoli. Sapeva che la sua Rosie desiderava dei figli, tuttavia, da donna intelligente quale era, non gli aveva mai fatto pressioni in proposito. Un po' gli dispiaceva non condividere il suo entusiasmo al riguardo, ma era più forte di lui: non sopportava i bambini, non li aveva mai potuti soffrire, tanto da accettare un voto basso all'esame di pediatria pur di evitare le ore di tirocinio; ironia della sorte, sebbene non fosse diventato pediatra, i marmocchi costituivano comunque la fetta maggiore dei suoi pazienti. Tra anomalie congenite, vizi di rifrazione, ambliopia e strabismo sembrava che gli occhi di tutti i frugoletti di Londra congiurassero per tenerlo quotidianamente a contatto con i piccoli e i loro genitori (spesso più infantili dei figli). Siccome adorava il suo lavoro, faceva buon viso a cattivo gioco e svolgeva i turni con impeccabile professionalità.

Poi, in un'assolata mattina di aprile del 1989, la sua vita era cambiata per sempre con due semplici parole: "Sono incinta". Niente preamboli o inutili orpelli verbali, Rose era andata dritta al dunque e aveva riso del suo quasi-svenimento.

Nei mesi successivi le era stato vicino, cercando di esserle utile e di non lasciar trasparire il sacro terrore che lo divorava: come avrebbe potuto essere un buon padre? Lui, che non stravedeva certo per i pupetti! Avrebbe combinato soltanto disastri, ne era sicuro al mille per cento! Sua moglie, perspicace come poche, doveva aver avvertito il suo malessere interiore: non gli aveva mai chiesto di accompagnarla alle ecografie di controllo e al corso di preparazione al parto, e si sforzava di essere il più possibile indipendente.

Quando sua figlia e Franz si erano lasciati a causa della gravidanza inattesa aveva preso le parti di quest'ultimo perché si era immedesimato in lui, nei panni di un uomo giovane, allergico ai bimbetti, sopraffatto dalla paura del cambiamento. A differenza di Weil lui era rimasto accanto a Rose senza crollare, nemeno per un attimo, ma non siamo tutti uguali, e non aver ceduto alla tentazione di alzare bandiera bianca e fuggire non significava non averla provata.

Era convinto che non si sarebbe mai veramente affezionato alla sua creatura, e non cambiò idea neppure al momento del parto, costato quasi la vita a sua moglie a causa di un'embolia e alla neonata, cui il cordone ombelicale aveva stretto il collo come un cappio. Non essendo la madre in condizione di occuparsi della bambina era toccato a lui prendersene cura, e in quei pochi giorni era avvenuto il miracolo; non avrebbe saputo dire cosa accadde, ma si innamorò di quell'esserino inerme che gli sorrideva socchiudendo un paio di occhi meravigliosamente verdi. Sua figlia. La sua Tartarughina. Faith. Faith Beatrice, come non mancava di sottolineare orgogliosamente la nonna paterna a ogni telefonata di felicitazioni dei parenti, sia italiani che inglesi.

Insomma, si era trasformato da marito recalcitrante in padre amorevole, e ora che il ciclo stava per ripetersi con la nascita del suo primo (e, sospettava, ultimo) nipote, non stava più nella pelle. Aveva persino aiutato la figlia a preparare il borsone da portare con sè in ospedale, e aveva inserito nel suo i-Pod una compilation da farle ascoltare durante il travaglio per aiutarla a rilassarsi e sopportare meglio il dolore!

–Cosa preferiresti?- chiese Rose mentre gli porgeva la giacca.

–Arrosto con contorno di patate al forno, ma, visto il valore dell'ultima colesterolemia, credo che passeranno settimane prima di vedere questo sogno diventare realtà.

–Esatto. Il menu di stasera prevede eglefino stufato con contorno di verdure lesse- rispose lei, che aveva incontrato meno difficoltà del marito nell'adattarsi alla nuova dieta. –Comunque stavo parlando del bambino; preferiresti un maschietto o una femminuccia?

Suo marito non ebbe bisogno di riflettere sulla risposta.

–Mi basta che stia bene e non dia problemi a Faith durante il parto.

–Come sei noioso!- sbuffò Mrs. Irving, imbronciandosi. –Ovvio che spero nasca sano e senza complicazioni! Solo, dato che non ho avuto la fortuna di averne... spero in un maschietto. Un bel nipotino da viziare. Te lo immagini, caro?

–No, ma immagino te e Gertrud che ne discutete fino alla nausea. Ecco, se c'è qualcosa che non fatico a immaginare... è la prossima bolletta del telefono!- replicò sardonico il dottor Irving, tradendo un sorrisetto divertito.

–Quanto sei scemo! Dovresti pensarla come me, invece: un maschietto avrebbe più probabilità di somigliarti!

–Ah, sì?

–Certo! Lo sanno tutti che i maschi somigliano alle mamme e le femmine ai papà - basta guardare nostra figlia: non serve il test del DNA per capire chi è il padre! - perciò un eventuale figlio di Faith somiglierebbe, indirettamente, a te!- spiegò Rose concitata, gesticolando animatamente. –Allora? Cosa mi dici adesso, eh? Eh?

–Che la compagnia di Gertrud danneggia seriamente la tua salute mentale- sospirò, alzando gli occhi al soffitto, la salutò con un bacio e andò a prelevare sua figlia per portarla al corso pre-parto.

***

–Ricordami perché sono qui- sbuffò Bridget all'amica Abigail, che le trafisse il piede col tacco delle sue eleganti decoltè e sibilò –Siamo qui per dare supporto morale a F prima del corso di preparazione al parto, perciò levati dalla faccia questa espressione da corva del malaugurio e sfodera un bel sorriso che la aiuti a calmarsi. Hai visto com'è stressata?

–Qui la stressata sono io: da quando siamo entrate qua dentro non hai fatto che parlare di pannolini, pappe e biberon! Detesto sentirmi esclusa!

–La soluzione è semplice: fai un bambino anche tu! Ti basterà interrompere la pillola: tra tutti gli arrapati cronici che ti porti a letto qualcuno che farà centro ci sarà, no?

–Ti ha dato di volta il cervello?- sputò l'altra, cacciando dalla mente l'immagine di un tenero fagottino con le sue guance rosse e la chioma castana e crespa di Rafa. –Non mi ridurrò, beh... come te e Faith.

–Guardate che vi sento!- latrò la Irving dalla cucina, da dove riapparve poco dopo con tutto l'occorrente per un perfetto tè. –Posso capire che ti scoccia stare qui ad ammorbarti con discorsi sui poppanti, invece che con qualche figone della metà dei tuoi anni - ok, forse qualcosina in più: approfittare di un quindicenne sarebbe troppo persino per te! - però non capisco il motivo di tanta ostilità. Perché ce l'hai con me?

–Non ce l'ho con te... soltanto. Anche se dovrei: quel cretino, nonostante il pancione, ti preferisce a me! Me! Non posso tollerare un affronto del genere!- latrò la pluridivorziata, gesticolando animatamente.

–Non è colpa mia se è un raro esemplare di uomo che ama le donne, non le bambole!- ribatté sprezzante Faith.

–Mi stai dando della bambolina? Beh, perlomeno a me cedono il posto sugli autobus per avere un pretesto per palpeggiarmi, non perché li muovo a compassione col mio ventre deforme!

–Deforme è il tuo cervello! La verità è che sei invidiosa di me perché, nonostante i vari incidenti di percorso - l'ultimo ce l'hai davanti agli occhi - ho qualcosa che tu non hai mai avuto: l'uomo dei miei sogni. Beh, lascia che ti dica una cosa: Rafa non detesta te, detesta questa versione siliconata e gallinacea di te, e non posso dargli torto!

Decisa a non dargliela vinta, Bridget riacquistò un contegno dignitoso e replicò freddamente –Che vada al diavolo! Non ho bisogno di lui, volevo farmelo solamente per provare il brivido di farlo con qualcuno più povero di me.

–Sei senza speranza, B.

–Probabile- concesse lei, esaminandosi le unghie fresce di manicure. –Ora che mi sono sfogata, passiamo ad altro. Ab ha ragione: sembri un cavo dell'alta tensione, tesoro. Potresti offrirti di lavorare per la compagnia elettrica, guadagneresti un sacco di soldi! Si può sapere cosa succede?

–Riguarda il bambino, vero?- pigolò spaventata Abigail, coprendosi la bocca con le mani per accentuare la preoccupazione che la stava pervadendo.

–E basta co 'sto cazzo di bambino! Ho le orecchie che mi sanguinano, e sospetto che persino Faith cominci a non poterne più. E' un marmocchio, non un buco nero, non può fagocitare la vita di sua madre!

In balìa degli ormoni, la Irving scoppiò in lacrime e abbracciò l'amica, piagnucolando ringraziamenti ed esclamazioni sulla fortuna che aveva avuto al liceo sedendosi accanto a lei.

–Sorvolando sulla "raffinatezza" di B... se non si tratta della gravidanza, allora di cosa? Franz?

–In, ehm, un certo senso...

–Ommioddio, se l'è data di nuovo a gambe!- ululò scandalizzata Bridget. –Quel bastardo figlio d'un cane! Anzi, no; povero cane! Ah, ma stavolta non la passa liscia, nossignore: lo ridurrò in uno stato tale che non potranno nemmeno fargli l'autopsia!

–Una volta tanto sono d'accordo con te, B- asserì Mrs. Cartridge, annuendo vigorosamente. –Ha recitato bene la parte del compagno premuroso, devo concederglielo - ti vizia senza riserve, tra massaggi e carinerie, quasi non sembra lui - ma nel profondo sentivo che non avrebbe retto alla pressione: se Benny, che desiderava i nostri piccoli con tutto il cuore, ne è quasi terrorizzato (li tocca come se fossero di porcellana, vi pare normale?), figurarsi uno che di pargoli non ne voleva sapere! Ah, ma se ne pentirà amaramente! Gli faremo rimpiangere di essere nato con gli attributi e di averli persi per strada!

Faith spostò lo sguardo dall'una all'altra, allibita: quelle matte da legare erano serie! Meglio spiegare loro la situazione, prima che ci scappasse davvero il morto. Non poteva permettere che suo figlio crescesse senza padre; cosa gli avrebbe raccontato, "mi dispiace, cucciolo, il tuo papà è rimasto vittima del raptus omicida di due squinternate"?

–Ragazze, raffreddate i bollenti spiriti: il problema è un po' diverso da quello che pensate. Sì, riguarda Franz e sì, in questo momento sono arrabbiata con lui perché si è dimostrato il classico maschio che ha sangue a sufficienza per uno solo dei suoi organi di pensiero, ma non è fuggito dalle sue responsabilità. Se l'avesse fatto, credetemi, non saremmo qui a parlarne, bensì a gustare vol-au-vent al rinfresco del suo funerale.

–Perché proprio vol-au-vent?- domandò Bridget, e Abigail, scioccata da cotanta idiozia, si battè una mano sulla fronte.

–Non mi sorprende che abbiate litigato, è una vostra prerogativa- esalò. –Cosa ha fatto da innesco?

Corrugò la fronte in un'espressione interrogativa quando vide Faith avvampare, deglutire a vuoto e, tormentandosi le mani, mugugnare –Noi... ecco... devo proprio? Ora che ripenso a mentre fredda è una stupidaggine!

–Oh, andiamo, non può essere tanto terribile!

–E' che... non riesco a trovare un modo per dirlo- gnaulò Faith.

–Usa tutte le parolacce che servono, F- replicò Bridget con sussiego, servendosi un tramezzino –Fa niente se Ab ne rimarrà scioccata, ormai è una reazione standard.

–Ok, ok, lo confesso: ho mollato uno sberlone a Franz perché ha osato dirmi che sono assatanata. Assatanata, capite?

–Oh!- esclamò Abigail, incerta se scandalizzarsi o meno. –Ed è vero?

–Come posso dirlo... sebbene la zavorra anteriore- indicò scherzosamente il ventre prominente –Mi limiti parecchio in certe, ehm, attività... ho un'insaziabile voglia di... avete capito. Ho ribattezzato il mio personale "tunnel dell'amore" Niagara perché basta del pomicio livello base per... avete capito. Il problema è che quell'idiota non collabora! Ieri sera, mentre stavamo in panciolle sul divano, ho iniziato a giocherellare con la cerniera dei jeans, e lui... mi ha domandato se mi stavano stretti. Ho provato ad essere più esplicita armeggiando con i suoi, di jeans, e mi ha liquidata con la più squallida delle scuse: era stanco. La sveltina mattutina l'aveva spompato. Vogliamo scherzare? E' una generazione di spompati, la nostra? Quello merita solo calci nelle terga! Non si obbliga una donna nelle mie condizioni a, ehm, fare da sola.

–Faith!- esclamarono in coro Abigail e Bridget, la prima fulminandola con lo sguardo, la seconda con l'aria di chi ha scoperto il bosone di Higgs.

–Ecco spiegato perché ultimamente ho la libido sotto le scarpe: è emigrata nella tua vagina! E io che davo la colpa a quel cubano della malora!

–La migrazione della libido? Sul serio, B?- la derise Abigail. –Scommetto che hai letto su 'Vanity Fair' questa panzana colossale.

–Lasciate stare i flussi migratori del desiderio sessuale, ho un problema serio, cazzarola! E' assurdo: ho sempre pensato alle donne incinte come a mongolfiere su due gambe, invece da quando aspetto il coso, qua, ho continuamente voglie... voglie. E pure strane!

–Strane alla "cinquanta sfumature", o strane e basta?- si informò Bridget, prontamente redarguita da un potente scappellotto di Abigail. –Ahio! In questo Paese esiste una cosuccia chiamata libertà di parola ed espressione, Ab, lo sapevi?

Non seppero mai se Abigail fosse o meno a conoscenza di una simile libertà perché in quell'istante suonò il citofono e Faith, affrettatasi ad aprire, le zittì con un secco –E' mio padre. Piantatela di beccarvi e fate le brave.

–Agli ordini, capitan F!

***

Si stava sforzando di non addormentarsi, ma la stanchezza, unita alla voce soporifera dell'ostetrica Raynolds, stava mettendo a dura prova la sua resistenza. Fortuna che suo padre prestava sufficiente attenzione da svegliarla con un pizzicotto ogniqualvolta le si chiudevano le palpebre.

–Respirate profondamente, ma senza forzature: ricordate che l'espansibilità dei vostri polmoni è ridotta dall'utero e che aumentare eccessivamente la pressione addominale è deleterio per la muscolatura pelvica, che già deve sostenere il peso dei visceri e del feto.

La platea di future mamme e rispettivi accompagnatori, distribuita su tappetini morbidi, seguì la raccomandazione, abbandonandosi a rilassanti respiri a pieni polmoni (nella misura consentita dallo stato di gravidanza).

Faith, resa ancor più irritabile dalla sonnolenza, sibilò, rivolgendosi al padre –Respirate e rilassatevi. Tutto qui quello che ha da dirci? Come se respirare trasformasse il parto in un giro sulle montagne russe! Bah! Io, per quanto mi riguarda, appena metterò piede in ospedale obbligherò le infermiere a darmi la droga!

–L-La d-droga?- balbettò lui, sconvolto.

–Sì, insomma... l'epidurale.

–Oh, quella!- esalò il dottor Irving, sollevato. Per un istante aveva temuto il peggio. –Ora non pensarci, quando sarà il momento...

–Me la farò sotto dal dolore. Secondo Vanessa, almeno. Spero di evitarlo, non voglio che l'intero ospedale rida della mia incontinenza!

–Credo che in quel particolare frangente l'opinione altrui sarà l'ultimo dei tuoi problemi, Tartarughina.

–Senti, so che ci sono donne che partoriscono senza "aiuti", ma non lo concepisco; non viviamo nella foresta amazzonica, se posso avere l'anestesia la pretendo, cazzarola!

Pochi minuti più tardi, la lezione si concluse col consueto applauso, che Faith trovava decisamente di cattivo gusto. Emise uno sbuffo scocciato e confermò malvolentieri la propria presenza al colloquio previsto per l'indomani, dopodiché rivolse al padre uno sguardo supplichevole e pigolò –Mi accompagni, vero?

–Potresti chiederlo a Franz- propose l'uomo. –Lavora lì, non dovrebbe essergli difficile staccare dieci minuti per starti vicino.

–No, infatti- assentì Faith. –Peccato che io non lo voglia vicino. L'ultima cosa di cui ho bisogno è un peso morto; ti pare che Franz sia la persona giusta con cui pianificare il parto? Meglio che resti a distanza di sicurezza finché non potrà rendersi davvero utile.

–Secondo me sbagli ad allontanarlo. Gli piacerebbe sentirsi coinvolto- ribatté lui.

–Sicuro che stiamo parlando dello stesso Franz? No, perchè, se non ricordo male, non mi pare abbia mai mostrato non entusiasmo, il minimo interesse per mio figlio!- sbraitò Faith, infervorandosi: come osava suo padre difenderlo?

–Senza offesa, Tartarughina, quella che necessita di cure e attenzioni sei indubbiamente tu, ma ti sei mai fermata un attimo a chiedere a Franz perché ti aveva voltato le spalle, o come si sente adesso riguardo il bimbo in arrivo?

Faith sgranò gli occhi, aprì e chiuse la bocca più volte, infine, determinata a non dare a suo padre la soddisfazione di avere ragione, soffiò –Sarebbe tempo perso.

***

"Don't wanna be an american idiot! Don't want a nation under the new media! Can you hear the sound of hysteria? The subliminal mind fuck America!"

Il ritmo serrato del brano dei Green Day echeggiava nella stanza spoglia occupata da Faith, che si stava scatenando come a un concerto ( nella misura consentita dal pancione da settimo mese di gravidanza).

"Welcome to a new kind of tension, all across the alien(n)ation, where everything isn't meant to be ok! Televison talks of tomorrow, we're not the ones who're meant to follow, for that's enough to argue!"

L'arrivo improvviso del suo superiore, Ed Noyce, interruppe quel momento di svago. Imbarazzata, balbettò delle scuse, ma l'uomo la interruppe e ridacchiò –Tranquilla, non sono arrabbiato. Anzi, col lavoro che faccio è sempre bello vedere qualcuno che continua ad avere voglia di spassarsela un po'!- ammiccò scherzosamente e aggiunse –Oltretutto, credo di non aver mai visto una donna, beh, in stato interessante pogare con tanto fervore, prima d'ora!

–Ha bisogno di qualcosa, capo?

–A parte che non mi chiami più capo?- rispose lui, arricciando le labbra in un'espressione divertita. –Sì, che tu prenda la borsa e vada a casa.

–E' già finito il turno?- esclamò allibita la Irving, niente affatto felice di tornare a casa, dove sapeva l'aspettavano una montagna di vestiti da stirare (Franz l'aiutava tantissimo con le faccende domestiche, ma non c'era verso di fargli prendere in mano il ferro da stiro) e il disordine che aveva seminato prima di recarsi al lavoro; da quando viveva col suo patologo del cuore aveva cercato di arginare il suo lato disordinato (coi tratti ossessivo-compulsivi che si ritrovava, a Franz sarebbe venuta una crisi psicotica al giorno), però si concedeva il lusso di lasciare la casa in condizioni pietose quando era di turno la mattina, dato che usciva molto presto, tanto avrebbe rigovernato al ritorno. –Credevo...

–Il tempo vola quando ci si dà alla pazza gioia, eh?- replicò Noyce. –O devo pensare che non vuoi tornare a casa?

–In tutta onestà, capo, non è che non mi vada di tornare a casa- ammise Faith, afflosciandosi sulla sedia, che fece roteare su se stessa; quella sensazione di parziale stordimento le aveva procurato piacevoli brividi lungo la schiena sin da bambina. –E' in ospedale che non mi va di andare.

–Come mai? Non mi risulta ti diano un voto, anche se sono convinto che, pure se fosse, saresti la prima della classe, come sempre.

–Grazie delle lusinghe, ma non sono poi così brava: ho rimandato finché ho potuto il colloquio con l'ostetrica perché... non lo so! Non ne ho idea! Forse credevo che evitare l'ostetrica rendesse meno reale che il termine della gravidanza si avvicina... cioè, io - io, non so se comprende la portata del disastro - scodellerò un pupo!

–Beh, capisco che l'idea del parto ti spaventi, ma non lo eviterai stando qui. Semmai passerai alla storia come la donna che ha dato alla luce suo figlio in un obitorio- ribatté Noyce, la aiutò ad alzarsi e le porse la borsa. –Al tuo posto, preferirei un ospedale. Oppure le mura domestiche. Mai pensato di partorire a casa?

–Sì- rispose Faith arricciando il naso. –Poi sono tornata in me. Buona giornata, capo, ci vediamo domani.

Una volta smaltita la pila di panni da stirare si precipitò in ospedale, dove suo padre la raggiunse trafelato.

–Perché non mi hai chiamato? Ti avrei portata in macchina!

–Con la metro si inquina meno e si fa prima- celiò lei in tono pratico. –Spero ci chiamino presto, dal nervoso mi sta venendo l'emicrania.

–Franz non c'è? Credevo ti avrebbe tenuto compagnia mentre mi aspettavi.

–Papo, in che lingua devo spiegartelo? Non lo voglio intorno e credo che ricambi, specie dopo il ceffone.

–C-Ceffone?

–Mi ha mandata su tutte le furie e gli ho dato una pizza da fargli girare la testa come alla bambina de 'L'esorcista'- spiegò lei con una naturalezza che sconcertò il padre: dove aveva sbagliato per crescere una figlia così?

–E non gli hai chiesto scusa? Faith!

–Lo farò quando lo riterrò meritevole- asserì la giovane.

Il dottor Irving, inveendo mentalmente contro la testardaggine di quella testa di granito, accolse con gioia l'annuncio che lo lasciava solo un paio di minuti per andare in bagno; sogghignando, inviò un sms: l'unica maniera di piegare una testa dura è farla scontrare con una ancor più dura, e Faith avrebbe presto sperimentato che suo padre, quanto a durezza, non aveva nulla da invidiare ai diamanti.

***

Non appena si fu seduta alla scrivania della Raynolds, l'ansia prese il sopravvento. Tuttavia, data l'estrema importanza dell'argomento (la pianificazione del travaglio, del parto e del post-partum), si impose di rispondere alle domande senza tentennamenti, e ci sarebbe pure riuscita, se non fosse piombato come un fulmine a ciel sereno Franz, in camice e diviisa. La paralizzò con un'occhiataccia e a lei, nonostante fosse cosciente che si trattava di un'illusione ottica, sembrò di vedere delle fiamme nei suoi gelidi occhi azzurri.

–Buongiorno. Riprendi da dove ti avevo interrotta, meine liebe, sono curioso di sentire quali decisoni hai preso senza consultarmi.

–Beh, ecco, non so se ne eri al corrente, ma Faith sarebbe propensa al rooming-in: il piccolo, dopo i controlli del neonatologo, starebbe nella sua camera. Sei d'accordo?

–Ovvio che è d'accordo. E' più che d'accordo: non gli importa! Non gli è mai importato! Anzi, è già tanto se è qui! - ululò la Irving. –Come diavolo hai fatto a...? Papà! C'è il tuo zampino, vero? Sei incredibile!

–Tartarughina...

–Tartarughina un corno! Ho le mie buone ragioni per non volerlo qui!

–Non c'è ragione sufficientemente valida da giustificarti- ringhiò Weil. –Mi hai nascosto qualcosa di danntamente importante, fregandotene della mia opinione! E se avessi voluto esserci io al posto di tuo padre, invece di subire le tue decisoni? Ci hai pensato?

–Sii, ragionevole, Faith: non sarà l'uomo ideale, non sarà il genitore ideale, ma è pur sempre il padre di tuo figlio, ha il diritto...

–E a me non pensa nessuno? Il cosiddetto padre di mio figlio se n'è andato per un mese!- ruggì Faith, rossa in viso dalla rabbia, prima di scappare. –Credo sia un motivo abbastanza valido per preferire l'appoggio di mio padre al tuo, Franz: ha fatto le tue veci mentre ti disperavi per il guaio che ti era capitato! Il "guaio" che ho nella pancia e nascerà tra due mesi! Non puoi arrivare bello bello e pretendere di comandarmi a bacchetta! Non ti voglio qui oggi, non ti voglio accanto a me durante il travaglio attivo e in sala parto e non ti voglio nella mia camera quando allatterò!

–Ehm, credo sia tutto- esalò un imbarazzatissimo dottor Irving, senza scomodarsi ad inseguire la figlia: quando Faith si infuriava perdeva il lume della ragione; meglio controllare che non commettesse sciocchezze irreparabili a distanza di sicurezza. –E' questo che voleva sapere, giusto, Mrs. Raynolds?

***

Al suo rientro a casa, l'ira funesta di Franz venne accresciuta dai vestiti sparsi sul letto e il pavimento della camera. Stizzito, oltre che segretamente lieto di avere un pretesto per prendersela con Faith, la raggiunse in bagno; vederla in piedi di fronte allo specchio, in una posa da pin-up anni '50, coperta soltanto dal telo doccia e con le labbra carnose socchiuse suscitò in lui una reazione completamente inaspettata.

–Ti faccio ridere?- soffiò irata Faith, accortasi della sua presenza. –Strano, dovrei farti saltare i nervi, dopo quello che è successo stamani.

–Oh, ma io sono arrabbiato. Di più: sono incazzato nero, e cinque, sottolineo, cinque estemporanee, due ore di lezione e una giornata intera con gli Abba sparati a palla da Jeff non sono riusciti a farmi sbollire la rabbia. Fossi in te, comincerei a sudare freddo.

–Dopo, forse. Prima spiegami perché accidenti ridi.

–Beh, trovarti così... diciamo che questo è l'inizio di quasi tutti i miei sogni erotici- rispose lui senza scomporsi, lasciando vagare lo sguardo lungo la figura formosa della sua donna.

–Hai perfettamente ragione: è ridicolo- sbuffò lei. –Sì, è ridicolo che tu faccia sogni erotici e poi non mi tocchi neanche per sbaglio!

–Io non ti tocco? Io?- barrì Weil, mandando al diavolo il poco autocontrollo che gli era rimasto. –Quindi hai scopato col mio sosia? O era la mia proiezione astrale? Spero non mi abbia fatto sfigurare!

–E' stato due giorni fa.

Incredulo, Franz scosse il capo, poi chiese –E' questo il problema? Ti stai lagnando perché non lo facciamo tutti i giorni?

–Più volte al giorno, magari- aggiunse Faith. –Secondo B è la norma, visto che un uomo fa pensieri sconci ogni venti secondi circa. "Gallina che non becca ha già beccato", queste le sue testuali parole- gli si avvinghiò koalescamente e, faticando a trattenere le lacrime (maledetti ormoni!) piagnucolò –Non "becchi" altrove, vero, Franz?

–Certo che no! E sono sconvolto che tu abbia dato retta a quella svalvolata drogata di 'Vanity Fair'!- tuonò lui, allibito. –Sfatiamo un mito: gli uomini, compresi quelli che lo fanno di mestiere, non sono macchine del sesso; può capitare di sentirsi stanchi, di non avere voglia, di avere troppi pensieri per la testa. Credi che non preferirei stare a letto con te tutto il giorno, invece di guardare attraverso una lente e scrivere su un foglio "carcinoma midollare della tiroide G2", "polipo amartomatoso" e altre amenità? Purtroppo non posso, devo lavorare per sbarcare il lunario, proprio come te, nei pochi momenti in cui siamo insieme litighiamo - e litigare stanca - sfido che poi arrivo alla sera distrutto!

–Sì, sì. Ceeerrto. Coome no!

–Non è colpa mia se in questo periodo sei stata cieca di fronte alle mie esigenze. Porca miseria, non mi mostravi un minimo di rispetto, mi sono sentito il tuo bambolotto gonfiabile!

Faith, contro ogni previsione, scoppiò a ridere.

–Scusa, mi è venuta in mente... no, è troppo volgare.

–Se hai pensato "Veramente, qualcosa di gonfiabile ce l'hai", allora sì, hai veramente toccato il fondo della volgarità.

–Lo so, sono una sporca maniaca!

Esaurita l'ilarità, Franz esalò –Sbaglio, o dovevamo darci addosso per il tuo comportamento infantile dalla Reynolds?

–Dopo che avrò finito di asciugarmi- cinguettò Faith, in atteggiamento provocante. –Ah, quasi dimenticavo: nella cassetta della posta c'erano due bollette e una cartolina. Per te. Da una certa Baht. Chi è che gioca a nascondino, adesso?

Weil evitò di rispondere, si limitò a baciarle una spalla e attendere pazientemente sul divano che la compagna si vestisse.

–Era ora! Stavo iniziando a pensare che fossi scappata dalla finestra per evitare il confronto.

–Una Irving non si tira mai indietro davanti al nemico.

–Il nemico? Così mi ferisci!- replicò Franz, fingendosi offeso.

–Quante storie! Sono qui, alla tua mercé, pronta a incassare ogni tuo colpo senza ribattere. Ti conviene approfittarne finché dura- celiò con un sorrisetto. –Ti cedo la parola, dammi solo un secondo: so che valgono meno di zero, ma ti devo delle scuse sia per oggi che, beh... per lo schiaffo.

Franz si accorse degli occhi arrossati e sbuffò –Non avrai pianto?

–All'uscita dal Queen's, in metropolitana, sotto la doccia e mentre mi asciugavo i capelli. Mi sento una merda perché so di aver sbagliato, di averti ferito, di...

Venne interrotta da un inaspettato quanto dolce bacio sul naso, prima, sulle labbra, poi.

–Basta lacrime, ok? E' vero, sono rientrato con mille diavoli per capello - in questo lo stordimento indotto da 'Gimme, gimme, gimme' non ha aiutato - ma non sopporto di vederti piangere. Dai, fammi un sorriso e, se non ti è di troppo disturbo, prepara una cena commestibile senza mettere a ferro e fuoco la cucina.

–Stronzo! Sai che sono un disastro ai fornelli!- gnaulò lei, colpendolo ripetutamente al braccio.

–Non avrai creduto di farla franca, meine liebe- soffiò Franz. –Cucinare manicaretti che non ci portino nella sala della lavanda gastrica sarà la tua punizione.

–Ti sto odiando profondamente, Franz, sappilo!

–Ehi, questa è la mia battuta! Mia!

Faith, mugugnando imprecazioni, si diresse mestamente al patibolo, ehm , in cucina. Per fortuna, riuscì a mettere in tavola piatti commestibili e discretamente buoni. Con la pancia piena, si piazzarono sul divano e aprirono un sito di streaming.

–Voglio metterti alla prova: ricordi cos'è?

Faith lo riconobbe quasi all'istante.

–'Genital Hospital', seconda stagione, quarto episodio: 'Fuck me, tender'. Lo vedemmo a casa di Maggie la sera in cui Helen partorì e tu facesti il cretino con Erin. Tra parentesi, non te l'ho ancora perdonata.

–Dovresti. Dopotutto, lo feci per attirare la tua attenzione e, a quanto pare, ci riuscii. Ok, fine della reminiscenza nostalgica, torniamo al punto principale: sei stata pessima ad escludermi da questo momento cruciale, però capisco di meritarlo. Ti ho voltato le spalle in un momento tanto delicato e credo che, anche se mi hai perdonato, non potrai mai dimenticarlo. La fiducia, una volta persa, non si riguadagna in un giorno.

–Puoi dirlo forte!

–Mi dispiace di non aver capito che eri spaventata quanto me, travolta da una tempesta ormonale e dagli incontrollabili cambiamenti nel tuo corpo, che hai dovuto stringere i denti e rivoluzionare la tua vita senza poter contare su, beh, su di me.

Faith non si fece ingannare.

–Uhm... troppo poetico per essere farina del tuo sacco. Hai parlato con mio padre?

–"Subìto una sfuriata epica senza battere ciglio" è più corretto- precisò lui, abbandonandosi contro lo schienale. –Caccia degli acuti micidiali quando è furioso. Impressionante!

–Oddio! Mi dispiace tanto!- chiocciò Faith, prese una mano di Franz tra le sue e vi strofinò sopra una guancia. –Non ti ho mai odiato, anche se mi hai delusa profondamente; una parte di me, però, sperava sempre che saresti tornato.

–Sono tornato per restare- le assicurò con assoluta convinzione. –Ora possiamo accocolarci e goderci in santa pace le evoluzioni della dottoressa Jordan e del dottor McKenzie?

–No- negò la Irving, scuotendo il capo. –Prima ho bisogno di sapere: ti va bene rimanere fuori dalla sala parto? Sei favorevole al rooming-in?

–Ehi, sei tu che devi sfornare la pagnotta e tenerla nella stanza con te, non io!- scherzò Franz.

–Fai una scenata perché non ti senti abbastanza coinvolto e poi mi liquidi così?

–Su, su, non ti scaldare, sto scherzando: ti giuro che, appena porterai a casa il mocc...pargolo, ti darò una mano.

–Conoscendoti, il massimo che mi darai sarà l'unghia del mignolo, ma apprezzo lo sforzo- rispose Faith. –Non dev'essere facile nemmeno per te; anche se, rispetto a me, hai molte meno scocciature, è innegabile.

–Ti stupirò, donna di poca fede!- esclamò Franz. –Ora posso far partire il video?

–No. Prima ho bisogno di sapere chi accidenti è Baht e dove posso trovarla, così da torcerle il collo. Sei mio, cocco, tutto mio... il mio tesssoro. Non dimenticarlo mai.

Eruppero all'unisono in una sonora risata, poi lui ridacchiò –Baht è un amico tailandese del programma di couch sharing. Sì, hai sentito bene, amico. Maschio. Quindi non hai niente da temere. Ora, prima che perda la pazienza, posso far partire questo cazzo di video?

–No.

Fu necessario un enorme esercizio di autocontrollo per non sbottare.

–Come no?

–Ho detto no. Devo andare in bagno!

 

Nota dell'autrice:

Vi chiedo perdono, non soltanto per il ritardo, ma anche (soprattutto) perché, dopo tanta attesa, questo capitolo vi sarà sicuramente sembrato inconcludente. Come al solito, non sono del tutto soddisfatta, ma, a mia difesa, posso dire che comunque ho accennato ad alcuni punti che approfondirò in seguito: Robert e il suo piano malsano, Erin e Chris col loro desiderio di diventare genitori, la determinazione di Franz nel dimostrare a Faith che merita la sua fiducia. E poi, ammettetelo: chi avrebbe mai pensato che un papà adorabile come il dottor Irving potesse essere così simile al genero, sotto certi punti di vista?

Insomma, per un capitoletto di passaggio (forse persino un po' insignificante) c'è parecchia carne al fuoco, che nei prossimi cuocerà a puntino. Vi anticipo che leggerete del primo appuntamento ufficiale di Nicky e Adamino, della svolta decisiva nel rapporto instabile di Keith e Connie, dei primi sospetti di una delle "scaldaletto" di Robert e, naturalmente, dei battibecchi tra Faith e Franz.

Chissà se smetteranno di bisticciare dopo che sarà nato il piccolo (o piccola, chi lo sa! A giudicare dal sondaggino della volta scorsa, la maggior parte di voi propende per una femminuccia)... io scommetto di no, e voi?

Non siate troppo duri con me, please! *supplica*

Serpentina

ps: il rooming-in è una procedura, diffusa in UK, meno in Italia, per cui il neonato, dopo essere stato lavato e visitato, se in buona salute viene messo in stanza con la mamma, invece che nella nursery con gli altri. Lo scopo sarebbe di cementare precocemente il rapporto madre-figlio e favorire la secrezione lattea (stimolata dalla suzione del capezzolo, ergo prima il bimbo inizia a succhiare, prima uscirà il latte) e quindi l'allattamento al seno (the best).

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Twists of fate ***


Salveee! L’ispirazione, si sa, viene e va, e stavolta è rimasta abbastanza a lungo da permettermi di ultimare il capitolo. Fate squillare le trombe!
Non vi annoio oltre, lasciatemi solo ringraziare, come sempre, Bijouttina, Calliope S, DarkViolet92, elev e topoleone, che hanno recensito. Grazie di cuore, i vostri commenti mi incoraggiano a continuare a scrivere e a migliorarmi! ^^
Enjoy!


 

Twists of fate
 

E’ questo il vantaggio del pessimismo: un pessimista va incontro solo a sorprese piacevoli, l’ottimista ne ha soltanto di spiacevoli.
Rex Stout


Franz, pardon, il dottor Weil era un insopportabile vanesio: sapeva quanto valeva e non aveva remore a mettersi in mostra. Umanamente lo disprezzava, ma non era così stupida da non capire quanto fosse effettivamente bravo nel suo lavoro, quindi ingoiava il rospo e cercava di imparare il più possibile… o meglio, di surclassare Sebastian “So-tutto-io” Fraser, che poi era l’unica ragione per cui si trovava in quel reparto.
“–Questo è un nodulo individuato grazie a mammografia e prontamente asportato. Accertata la sua natura maligna, eseguirò esami di  biologia molecolare e…
–Ki-67- aveva asserito, scoccando un’occhiata di superiorità a Sebastian, che aveva mugugnato tra i denti un’imprecazione. –E’ un indice prognostico che esprime in percentuale la quota proliferazione cellulare; maggiore è il suo valore, peggiore è la prognosi, perché il tumore è più aggressivo.
-Non è il tumore ad essere aggressivo, lo sono le cellule che lo compongono, dato che proliferano più attivamente, quindi - secondo la teoria di Goldie e Coldman - sale la probabilità che abbiano sviluppato mutazioni quali la perdita dei recettori ormonali ed Her-2- aveva precisato Sebastian nel solito tono pedante.
L’avrebbe volentieri preso a calci.
Invece aveva fatto di peggio: l’aveva sputtanato, sottraendogli dalla tasca del camice il mini bloc-notes di appunti che si portava sempre dietro. Non aveva previsto, però, la sua reazione: le era letteralmente saltato addosso, dando il via a un incontro di lotta libera interrotto dall’iroso sbraitare di Franz quando, sbattendo contro il tavolo, fecero cadere sul pavimento un intero contenitore di vetrini.
–Fuori di qui, devastatori!- aveva tuonato, cacciandoli in malo modo. –E non disturbatevi a tornare!”

L’ennesimo tentativo di essere la migliore sfumato, l’ennesima prova che la sua vita era destinata ad essere un susseguirsi di fallimenti.
–Vediamo il lato positivo- si disse, prima di trarre un profondo respiro e premere  con forza l’indice sul campanello –Non ho niente da perdere, il che implica che ho tutto da guadagnare.

***


A casa Cartridge, intanto, fervevano i preparativi: Brian sarebbe partito l’indomani per Vaduz e Adam doveva farsi (ancora più) bello per l’appuntamento con Monica. Mentre il primo era impegnato a disporre con cura le camicie in valigia, il secondo sostava accigliato di fronte allo specchio, incerto su come vestirsi.
–Sei proprio figo, zio- trillò Kaori, apparsa all’improvviso sulla soglia. Senza attendere invito, saltò sul letto e si adagiò tra i morbidi cuscini. –Spero di trovare un fidanzato figo almeno la metà di te… e, ovviamente, che non è un parente.
–Grazie, principessa, ma sarà difficile: io, Brian e tuo padre spaventeremo chiunque ti si avvicini!- rispose lui, corrugando la fronte nella concentrazione necessaria ad annodarsi la cravatta.
–Sei emozionato, zio?- gli chiese Aidan James, accoccolato vicino alla cugina. –Io lo ero, se uscivo con una come Nicky!
–Lo sarei, se uscissi con una come Nicky. –Non ti insegnano la grammatica a scuola?
–AJ preferisce la matematica- celiò con un sorrisetto malevolo Kaori, ravviandosi i lunghi capelli biondi. –E’ un nerd senza speranza.
Aidan, dimostrando una maturità incredibile per la sua età, glissò, limitandosi ad un’innocua alzata di spalle.
–Posso essere sincero, zio?
–Devi!
–Non mi piaci. Sembra che stai andando a un funerale, non che te ne esci con una bella donna.
Spiazzato da quel commento inaspettato, Adam si domandò se quel frugoletto fosse davvero figlio di Brian, poi boccheggiò, prima di riuscire a replicare –Oh. Beh… ehm… o-ok. Come dovrei vestirmi, secondo te?
–Che ne so! Dipende da dove la porti!- sbuffò il bambino, a braccia conserte. –Ah, e ricordati di pagare tutto tu, le femmine lo apprezzano.
–Confermo- intervenne Kaori, annuendo vigorosamente.
Sconcertato dal fatto che due bambini di sei e cinque anni gli stessero dando lezioni di vita, esalò –Cos… cosa ne sapete voi di come ci si comporta a un appuntamento?
–A un appuntamento non lo so, però oggi ho pagato la merenda a Chloe Bolton, dopo che Wes gliel’aveva gettata nella spazzatura, e lei mi ha dato un bacino e mi ha invitato a casa sua per la merenda!- rispose Aidan, avvampando. 
–Ecco perché sei tornato all’ora di cena con quell’espressione ebete!- esclamò Adam, ridacchiando: quel frugoletto era davvero figlio di Brian!
–Ebete?
–Vuol dire che sembravi un idiota, AJ- cinguettò Kaori, esibendo una smorfia divertita.
–Idiota sei tu: lo sanno tutti che le bionde sono sceme!- ribatté Aidan, serrando i piccoli pugni.
–Nessuno qui è idiota, ok? L’intelligenza delle persone non è correlata al colore di capelli, altrimenti la vostra biondissima nonna sarebbe più stupida di una gallina!- sbottò Adam. –Oh, no! Guardate cos’avete combinato: mi avete fatto sbagliare nodo alla cravatta, e adesso è sgualcita!
–Allora levatela- osservò Kaori con semplicità. –E’ proprio necessaria?
–Fondamentale. Porto Nicky a cena al Cafè Rouge, non posso presentarmi in jeans e maglietta!
–Da come ne parli sembra elegante. Perché ci porti Nicky?- esclamarono in coro i due bambini, allibiti.
–Quando sarete grandi comprenderete il romanticismo di una cena a lume di candela- chiocciò Adam in tono paterno, rivolgendo loro un fulgido sorriso.
–Non è il posto che non va, zio… è la combinazione con Nicky! Non hai alternative?
–Sentite, so che la considerate una sorta di clown - in parte ci avete azzeccato  - ma sa vestirsi elegante e comportarsi bene, se vuole; il problema è che spesso e volentieri non vuole. E il Cafè Rouge è uno dei migliori ristoranti francesi della città: solo il meglio per la mia Rossa!
Kaori, stufa di quella conversazione, saltò giù dal letto e corse via; Aidan, invece, si fermò, lanciò un’occhiata ammonitrice allo zio e disse, prima di seguirla –Il tuo meglio non è il meglio di Nicky. Fatti questa domanda: la porti in quel posto elegante perché la conosci e sai che le piace, oppure perché vuoi atteggiarti?
Esterrefatto, Adam fissò con occhi sgranati l’immagine riflessa nello specchio… prima di togliersi in fretta e furia il completo Armani e scagliarlo sul letto.

***

Faith si accasciò sul divano, stremata fisicamente e psicologicamente: al lavoro aveva commesso la pazzia di non aspettare l’ascensore e salire e scendere le scale - col risultato che a fine giornata le sue caviglie erano lievitate tanto da confondersi con le gambe - e sua madre e Gertrud, un implacabile duo a delinquere, le avevano fatto visita, tartassandola con le loro fantasie visionarie di un matrimonio tra lei e Franz; Gertrud era arrivata al punto di lasciarle delle riviste specializzate da consultare! Per poco non le aveva strozzate: si scocciava di partecipare ai matrimoni altrui, figurarsi al suo! Era incazzata nera: poteva capire Gertrud, non aveva mai nascosto la sua mania di vedere i figli “sistemati”, ma sua madre? Come aveva osato riprendere il discorso matrimonio, sapendo cosa aveva passato per colpa di Cyril?
Il patologo del suo cuore l’aveva avvisata che sarebbe rincasato tardi, quindi aveva almeno un altro paio d’ore di totale libertà. Infilò la camiciona da notte pre-maman - con le impronte di manine e piedini a livello del pancione - regalo (poco gradito) di sua madre, sfogliò il piano dietetico per prepararsi una cena sana e la consumò guardando un documentario.
Avrebbe potuto optare per qualcosa di più trasgressivo, nell’accezione comune del termine, ma per lei era quella la vera trasgressione: Franz non le permetteva mai di guardare documentari, non li sopportava (non a caso, uno dei pochi canali che evitava come la peste era Discovery Channel). Suo padre era un documentarista - di quelli tosti alla Austin Stevens - e il suo pericoloso lavoro l’aveva portato ad essere quasi un estraneo per i figli (infatti, al momento del divorzio, nessuno dei due aveva versato una lacrima o preso in considerazione l’idea di andare a vivere con lui). Soltanto in età adulta, quando si era trasferito a Berlino per motivi di studio, Franz aveva riallacciato i rapporti con Hans Weil senior, e Faith sospettava che una delle ragioni alla base della sua patologica fobia della  paternità fosse che temeva di diventare come lui, un padre fantasma, buono solo a rimpinguare il conto in banca.
Si stava beando, con gli occhi a cuoricino, di un momento di tenerezza tra mamma coccodrillo e i suoi coccodrillini (a dispetto di quanti li ritenevano bestie senza cuore), quando il trillo del campanello la riportò alla realtà. Seccata, si alzò a fatica e arrancò verso la porta. Mai si sarebbe aspettata di ricevere visite a quell’ora, men che mai la visitatrice in questione.
–Ehm, salve. Non so se si ricorda…
–Certo che sì: sei la nipote dei Farmer, la futura collega. Hai sbagliato appartamento, i tuoi nonni abitano al piano di sopra.
–Lo so. Sono qui per vedere lei.
Sorpresa, nonché curiosa, Faith si scostò per lasciarla entrare e rispose –Allora accomodati e dammi del tu… Lauren, giusto?

***

A casa Hawthorne, per desiderio di Dean e Holly, non regnava mai la calma: quando ancora vi abitava loro figlio Axel, risuonavano gli schiamazzi suoi, dei suoi amici e della batteria; in seguito, dopo la sua partenza per la Francia, gli schiamazzi dei nipoti del fratello di Dean - Monica, Charles e Leonard - e dei loro amici. Niente strumenti musicali, nessuno dei tre possedeva “l’orecchio”.
–Cos’è questo baccano?- sbraitò Holly - mollemente adagiata nella vasca da bagno - a dir poco terrificante con la maschera di bellezza alla papaya spalmata in faccia e le fette di cetriolo sugli occhi. –Ve l’avrò ripetuto non so quante volte che l’unico momento in cui pretendo calma è durante i miei rituali serali di bellezza!
I due accorsero fulminei, sforzandosi di trattenere le risate, provando una sensazione dissociante mentre alternavano lo sguardo tra la zia e il televisore acceso sopra la vasca: era decisamente strano trovarsi davanti la stessa donna che in video - truccata e professionale - snocciolava le notizie della sera, immersa nell’acqua saponata, col viso impiastricciato di crema.
–Scusa, zia Holly, ma la testona non vuole aprire! E’ lì dentro a disperarsi da un’ora con le sue paranoie su Adam!- sbuffò. –Leo voleva sfondare la porta, ma l’ho persuaso a rinunciare.
Mrs. Hawthorne scosse il capo, sconsolata, rimosse le fettine di cetriolo, si fece passare l’accappatoio ed esalò –Ho capito. Fatevi da parte, questo è un lavoro da donne!
I fratelli annuirono e andarono in camera loro, dove afferrarono carta e penna e si misero all’opera per il bene della loro sorellona. Un lavoro da maschi, insomma.
Grazie all’aiuto della zia, Monica riuscì a prepararsi in tempo da record. Mise piede in salotto con un ritardo di soli quindici minuti (un'inezia, considerati i suoi standard) e, non appena scorse un agitatissimo Adam, con in mano degli splendidi fiori per lei, gli si gettò letteralmente addosso, esplorando con evidente entusiasmo il suo cavo orale.
Charles e Leonard si avvicinarono ai piccioncini (il secondo scrocchiandosi le nocche) e posero fine al bacio, forse troppo appassionato per quel contesto.
–Avevamo visto giusto, fratello.
–Purtroppo sì. Vieni qui, cognatino, prima che sequestri Nicky dobbiamo scambiare due parole- sibilò minaccioso Charles.
Adam annuì e li seguì in cucina, dove venne circondato dal plotone di esecuzione formato dai tre uomini di casa: i due fratelli e il giudice Hawthorne, noto nell’ambiente col soprannome, niente affatto rassicurante, di “Mastino”.
–Stasera esci con mia nipote, dico bene? Confido che la tratterai come si conviene.
Charles eruppe in una risata da brividi.
–Tranquillo, zio, sarà un cavaliere senza macchia. Altrimenti…
Spaventato dal lampo assassino negli occhi di Charles, e da Leonard - che aveva mimato uno sgozzamento - Adam deglutì sonoramente e balbettò –B-Beh, e-ecco… m-mi c-conoscete, s-sapete che mai e poi mai… nossignore…
–Non dubitiamo della tua buona fede, Cartridge… però l’occasione fa l’uomo ladro, e prevenire è meglio che curare, perciò abbiamo disegnato una mappa delle parti di nostra sorella che non ti è permesso sfiorare nemmeno col pensiero. Quelle in giallo sono off limits, chiaro?
Adam accettò il foglio con mano tremante e soffiò –Cristal… ehi, avete lasciato scoperti solo i capelli!
–Perspicace!- ringhiò Leonard, stringendogli la spalla fino a fargli male mentre lo riaccompagnava in salotto, dove gli assestò una poderosa pacca sulla schiena e aggiunse, velenoso –Divertitevi, tortorelle!

***

–Oddio, stavi cenando! Mi dispiace!- pigolò Lauren, contrita. Aveva scelto quell’orario per essere certa di trovare Faith in casa, non immaginava di interrompere il suo pasto.
–Non preoccuparti. Anzi, se gradisci qualcosa…
–No, grazie- soffiò, si sedette sul ciglio del divano e si mordicchiò nervosamente le unghie. –Credo sia meglio andare dritta al punto, così mi levo presto dalle scatole: avrai un bambino- fece una breve pausa, aspettandosi una battutina che non arrivò, dopodiché proseguì –E dividersi tra famiglia e lavoro non sarà facile… perciò, presumo, avrai bisogno di qualcuno che badi al pupetto mentre sei via.
–Ti stai proponendo come “qualcuno”?
–L’università costa e non sono il tipo che pesa sulle spalle dei genitori più del dovuto. Preferirei coprire parte delle spese coi miei soldi- asserì la ragazza a testa alta. –Ma se hai già scelto…
–No- rispose la Irving. –A dire il vero, non ci ho neppure pensato! Ti ringrazio per avermi aperto gli occhi: sì che avrò bisogno di una baby-sitter, cazzarola! Mia madre e mia suocera sarebbero felicissime di darmi una mano, ma hanno la loro vita e non voglio interferire. Però non so… quasi non ti conosco…
–Infatti sono venuta a farmi conoscere- replicò Lauren, esibendo un sorriso accattivante. –Lo confesso, non ho esperienza di bambini, ma sono giovane, entusiasta, ho appena preso il diploma BLSD e… uhm… non lascerei mai pericoli a portata di mano!
Faith colse l’allusione al recente fatto di cronaca: una sedicenne incaricata di badare al figlio dei vicini - distratta da una conversazione in chat con gli amici - non si era accorta che il bimbo aveva ingegnosamente impilato dei secchi per raggiungere quelle che per lui erano grosse caramelle, alias le pastiglie di detersivo per lavastoviglie. Risultato? Lei era finita sui giornali e lui in ospedale ( poco era mancato che finisse pure in obitorio). Si grattò il mento con aria pensosa, scrutò a lungo e con attenzione la bionda rotondetta (che le ricordò un po’ la Connie pre-incidente), infine sospirò –Dovrei prendere questa decisione insieme a Franz; dopotutto, è il padre. E’ anche vero, però, che finora mi ha delegato praticamente tutto, quindi… perché no? Voglio metterti alla prova: mi sembri una brava ragazza e, bonus, possiedi conoscenze mediche che una comune liceale bramosa di raggranellare le sterline per pagarsi la discoteca può solo sognare.
–Oh, grazie, grazie! Non te ne pentirai!- trillò Lauren, abbracciandola con sincera riconoscenza.
–Beh, se proprio devo lasciare mio figlio a una persona non di famiglia, almeno è una che sa che negli avvelenamenti non bisogna quasi mai dare da bere il latte!
–Puoi dirlo forte: ho seguito un seminario sulla gestione delle emergenze tossicologiche e uno sulla medicina dei disastri- celiò orgogliosamente la studentessa. –Io… ecco, ti sembrerà stupido, ma oggi per la prima volta mi sono messa al centro del mio mondo, ho riflettuto sul futuro e… penso che mi piacerebbe un sacco lavorare in Pronto Soccorso!
–Impegnativo! Ti piacciono le sfide, eh?
Lauren aprì e chiuse la bocca ripetutamente, prima di replicare –Non cerco la rissa, è la vita che mi butta nella mischia, e ne esco sempre con qualche livido.
–Credo di conoscere la sensazione: ogni sforzo sembra vano, ogni tentativo fallisce, spesso non per colpa tua, e chi dovrebbe pagare - o quantomeno sentirsi in colpa - se la ride e se la passa alla grande mentre tu affondi. E questo ti ferisce, ti fa incazzare da morire, ti fa sentire stupida: perché impegnarsi, faticare, se tanto andrà tutto male? Perché il mio cervello non paga, ma la stupidità altrui sì? Allora cominci ad odiarti, poi ad odiarli, e vedi tutto nero… metti il lutto per la tua vita.
Lauren pendeva dalle sue labbra: una donna incontrata due volte in vita sua aveva appena dato voce ai suoi sentimenti. Si congratulò con se stessa per la brillante idea di chiedere lavoro proprio a Faith Irving: era convinta che sarebbero andate d’accordissimo.
–I-Io… io… è esattamente così che mi sento!
–Le persone intelligenti spesso sono circondate da gente incapace di apprezzarle. Non tutti gli incompresi sono geni, ma ti posso assicurare che chi ha un cervello più veloce della media incontrerà sempre ostacoli, perché affossare l’intelligenza altrui sembra più semplice che provare a elevare la propria. Quello che ho detto prima ritrae la mia vita dai sei ai, uhm, diciannove anni. Fortunatamente, all’università ho respirato aria nuova.
–Lo credevo anch’io, ma poi…  il liceo non finisce mai, non per me.
–Può darsi, ma ora che hai deciso di essere la tua priorità hai la fiocina per nuotare in questa vasca di squali- chiocciò Faith, cingendo Lauren per le spalle. –Se posso permettermi di darti un consiglio, ti giro quello che ricevetti io, ehm, un po’ di anni fa (non chiedermi quanti, mi fa sentire vecchia): “Segui il cervello, il cuore non ti porterà da nessuna parte.
–Però nessuno ti ha mai ripresa a tua insaputa mentre… insomma… hai capito, no? E l’ha messo su internet! Sono scappata per sfuggire all’umiliazione, ma non è servito. Vederlo ogni giorno, dividere gli stessi spazi è una tortura che non si può immaginare.
“Ah, beh, adesso si spiega perché è così turbata. Chiunque lo sarebbe, se fosse costretto a sopportare la presenza di chi si è approfittato di lei! Che essere ignobile! Spero di dissezionarlo, un giorno!”
–Ti suggerirei di voltare pagina, ma vederlo ogni giorno lo rende impossibile, perciò… mai pensato di vendicarti?
–Già fatto- rispose la ragazza, un guizzo di pura perfidia nello sguardo. –Ho frequentato il suo stesso reparto, anche se mi fa schifo, e l’ho fatto cacciare. Certo, hanno cacciato anche me, ma chi se ne importa? La mia strada è un’altra! Il problema è che…
–Farlo non ti ha dato alcuna gioia?- concluse per lei la Irving, sistemando i cuscini per stare più comoda. –Pazienza! Ora siete pari e puoi concentrarti su altro. Non vorrai chiedergli scusa! Dovrebbe essere il contrario, quindi mettiti l’anima in pace e riserva le scuse al giorno in cui, eventualmente, striscerà ai tuoi piedi e cancellerà quel video compromettente!
L’altra annuì, e stava per aggiungere qualcosa, quando la porta si aprì e si udì la voce di Franz discutere animatamente in tedesco. Dopo un paio di secondi di silenzio, disse –Sono a casa, meine liebe! Non immagini che giornataccia ho avuto: due vandali monchi di cervelletto hanno distrutto il mio labor… Argh!- alla vista della giovane, rimase pietrificato. –Cosa ci fa lei nel mio salotto? Metti al riparo la cristalleria!
–Noi non abbiamo cristalleria, Franz!- lo rimbeccò Faith, seccata dalle sue scenate. –Piantala col melodramma e vieni a conoscere…
–Ho già avuto il dispiacere- ringhiò lui, tirando in su il naso come un bambino capriccioso. –Casomai, ho io il dubbio onore di presentarti la vandala che ha distrutto un microscopio e venti vetrini! Venti!
–Ah, sì? Ammetterai che richiede un’abilità non comune!- ridacchiò Faith, divertita dallo sconcerto di Franz e dall’imbarazzo di Lauren; non vedeva il suo amato patologo tanto incazzato dal giorno in cui aveva dimenticato un cadavere in ascensore. Accompagnò la ragazza alla porta e la salutò affettuosamente, prima di voltarsi e sibilare –Comunque, fossi in te, riacquisterei un contegno da uomo adulto e smetteri di chiamare vandala… la baby-sitter di nostro figlio.
–La cosa?
–Hai sentito benissimo, e ti avverto: sbraitare non farà che rafforzare ulteriormente la mia determinazione. Ora, se vuoi scusarmi, vado a riscaldare la cena: è ghiacciata.

***

–Sai, Adamino, conoscendoti temevo che avresti tentato di impressionarmi portandomi a cena in qualche ristorante stellato tutto impomatato... una noia mortale! Invece hai avuto una splendida idea: essendo bambina dentro, adoro i luna park! Oddio, le montagne russe! Adoro le montagne russe! Possiamo farci un giro? Tipregotipregotiprego!- gnaulò Monica, aggrappandosi al braccio di Adam, che si rassegnò alla prospettiva di realizzare il suo peggiore incubo.
–Ogni tuo desiderio è un ordine, Rossa!
Vedere Monica aggirarsi tra le attrazioni al settimo cielo, con gli occhi che le brillavano, e gustare lo zucchero filato con entusiasmo quasi infantile l'aveva convinto che seguire il consiglio di Aidan era stata la scelta giusta, e ringraziò mentalmente il nipotino per l'aiuto, ripromettendosi di portargli un regalone come prova tangibile della sua gratitudine.
“Degno figlio di suo padre!” pensò, mentre respirava lentamente per non cedere al panico durante la corsa sulle montagne russe.
–Cazzo di Buddha, Adamino, hai una faccia!
–S-Se n-ne a-avessi d-due s-sarebbe p-preoccupante- balbettò lui, tenendosi lo stomaco: non aveva mai potuto soffrire le montagne russe e simili, si era sacrificato per amore della rossa.
–Sì, ma la tua è sconvolta! Come se le budella ti fossero finite nei polmoni!- esclamò lei con la consueta finezza. –Secondo te è anatomicamente possibile?
–Va tutto bene, tranquilla. Solo… niente corse sfrenate per un po’, ok? Che ne dici di- si guardò intorno –Tiro a segno?
–Oh, sì! Ti straccerò, Adamino!- cinguettò Monica, prima di baciarlo. La freddezza di lui, però, la rattristò. –Cazzo mi hai chiesto di uscire a fare, se non vuoi manco baciarmi?
–Ma io voglio baciarti, è solo che…
Le mostrò la mappa disegnata da Charles e Leonard; non furono necessarie parole: quel pezzo di carta parlava da sé.
Monica scoppiò a ridere –Non avrai la paranoia che i miei fratelli ci pedinino! Ti prego! Sarebbe troppo persino per loro!
–Può darsi, ma nel dubbio preferisco non rischiare.
–Quindi dobbiamo stare a distanza di sicurezza finché non mi riporti a casa? Andiamo! Non dico che dobbiamo trombare come ricci - va bene che l’abbiamo già fatto, ma è pur sempre il nostro primo appuntamento - ma almeno un bacio degno di questo nome dammelo!
Adam la accontentò (sebbene tenendo un occhio aperto e vigile, nel caso uno o entrambi i diabolici fratelli li avessero davvero seguiti), dopodiché, mano nella mano, si diressero alla postazione di tiro.
–Preparati a perdere- ridacchiò Monica, ma lui non la temeva: essendo fondamentalmente un ragazzo di campagna, nonché figlio della presidentessa del locale circolo della caccia, era cresciuto a pane e fucili. Non sbagliò un colpo.
La Hawthorne osservò curiosa i premi, e domandò –Ok la chitarra rosa per Kaori - mi hai detto che sogna di averne una, ma sua madre glielo ha vietato - ma sei davvero sicuro che questa stramba astronave piacerà ad AJ?
–Non è una stramba astronave, è un modellino della stazione spaziale Soyuz. La adorerà: AJ va pazzo per tutto ciò che riguarda il cosmo. Non mi stupirei se da grande diventasse astrofisico, astronauta… insomma, qualsiasi cosa che lo porti tra le stelle, anche se solo col pensiero.
Le risate si susseguirono fino alla “prova di forza”. Adam si cimentò nell’impresa e, con suo enorme imbarazzo, venne clamorosamente battuto da Monica, che gli saltellò intorno, dandosi arie da macho, finché qualcuno non la salutò.
–Nicky! Che sorpresa!
A giudicare dal pallore del suo volto, la rossa non era felice di quell’incontro, ma ad Adam non venne in mente nessun pretesto per allontanarsi senza apparire scortesi, per cui rimase impalato a scoccare occhiatacce di puro disgusto allo sconosciuto (il “mostro dagli occhi verdi” ne aveva fatto il suo pasto).
–Ehilà, Jordan. Come stai?
–Bene, grazie. Tu? Ti, ehm, ricordi di Janet?
–Sì- pigolò Monica, sussultando tra le braccia di Adam. –Come va?
–Sai, mi aveva stupito non trovarti più al Match, ma ora capisco perché- mormorò Jordan con aria ammiccante, indicando Adam. –Un altro successo di Kay.
–Ti sbagli. Conosco Adam da anni, non è una delle fortunate combinazioni del Match.
–Oh!- esclamò lui, fissandolo con crescente interesse. –Allora è ancor più fortunato: eri una preda ambita, al Match. Io stesso ho subìto un tuo rifiuto.
–Come, scusa?- si intromise Adam, livido.
–Non prendertela, ma la tua ragazza era la regina delle feste per single! Una concorrente temibile: ogni sera usciva dal locale con uno diverso!- trillò Janet, poi, spinta da Jordan - che aveva intuito che tirava una brutta aria - si allontanò salutandoli con la mano.
–Feste per single?- sibilò Adam.
–A-Adamino, m-mi dispiace, io… ho cercato di dimenticarti. Ho sbagliato, lo so, ma non possiamo metterci una pietra sopra?
–Avremmo potuto… se non me lo avessi nascosto! Con quanti sei stata?
–E’ così importante?
Adam scosse la testa.
–No. Non lo è.
Il suo atteggiamento remissivo irritò la rossa, che sbottò –Ooh, senti: tu ci davi dentro con Momo e io volevo smettere di soffrire! Vuoi farmene una colpa? Benissimo! Mandami sulla forca!
Non ricevette risposta.
Quando raggiunsero casa Hawthorne, Monica lo trattenne per la manica del giubbotto e pigolò –E’ tutto a posto tra noi, vero, Adamino?
Ancora una volta, nessuna risposta, solo un laconico –Buonanotte, Rossa.
–Adam! Aspetta!- lo supplicò. –Te ne vai così? La notte non è davvero buona senza il bacio della buonanotte.
Se sperava che un contatto di labbra bastasse a sistemare la situazione, si sbagliava di grosso: Adam si limitò a un veloce bacio sulla guancia, prima di sparire nel miscuglio di buio pesto e luce elettrica della notte di Londra.

Note dell’autrice:
Arieccomi! Piaciuto il capitoletto?
I piccoli Cartridge sono dei cuccioli adorabili, vero? Ok, forse Kaori, con le sue maniere da primadonna, un po’ meno, ma AJ…. Aww! *_*
Dite la verità, non ve l’aspettavate questo colpo di scena. Ebbene sì, Nicky, al contrario di Penelope, non ha aspettato che il suo Adamino/Ulisse ritrovasse la retta via, ma si è data da fare per dimenticarlo (invano, ma ci ha provato). Lui non l’ha presa bene (l’atteggiamento da primadonna è di famiglia, a quanto pare)… che sia la fine del dinamico duo NickyxAdamino?
E Lauren? Intraprendente, la ragazza! Si è rivolta alla persona giusta: Faith le ha offerto un lavoro e l’ha difesa a spada tratta con Franz! Cosa si può volere di più dalla vita?
Prossimamente: grossi guai per Robert e, udite udite… Harry! Cosa turba il nostro radiologo preferito? Se volete scoprirlo… stay tuned! ;-)
Au revoir!
Serpentina
Ps: le notizie mediche riportate all’inizio sono tutte vere, il BLSD (Basic Life Support and Defibrillation) è un corso base di tecniche di primo soccorso e Vaduz, per chi non lo sapesse, è la capitale del Liechtenstein.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Wuthering depths ***


Ricapitoliamo:
F&F, dopo una burrascosa separazione, sono tornati insieme e, tra litigi e pressioni matrimoniali da parte delle rispettive madri, attendono con ansia crescente la nascita del pupo (o pupa, chi lo sa); la (non tanto) dolce Irving ha perfino scelto una tata per il nascituro: Lauren, ex interna di Franz, cacciata via per aver messo a soqquadro il suo laboratorio. Nicky e Adamino sono riusciti a litigare durante il loro primo vero appuntamento perché è venuto fuori che lei, mentre lui era fidanzato con Momo, era uscita con altri allo scopo di dimenticarlo. Chris vive un momento di crisi con la sua Erin, Robert, invece, vive sul filo del rasoio, intrattenendosi con la ex Harper e la collega Vanessa mentre esce con Elise, di cui si sta innamorando (incredibile, ma vero!).
Pronti a rituffarvi nel mondo di Faith&co? Buona lettura, allora!

 
Wuthering depths

Il cambiamento è il processo col quale il futuro invade le nostre vite.
Alvin Toffler

Aveva varcato la soglia di casa col cuore pesante. Neppure l’abbraccio dei figli, la sua gioia, era riuscita a scalfire la spessa coltre di malumore che lo avvolgeva come un sacco a pelo. Neppure le chiacchiere disimpegnate nel corso della cena erano riuscite ad alleviare le sue pene. Neppure la visione di un film, con sua moglie accoccolata tra le sue braccia, era riuscita ad alleggerire il masso che gli opprimeva il cuore.
Già. Sua moglie. Una creatura meravigliosa, che gli aveva procurato soltanto gioia dal primo momento che l’aveva vista. Adesso, invece, a stento riusciva a guardarla in faccia.
Si infilò sotto le coperte e, seguendo un copione ormai collaudato, si spinse al limitare della sua metà, il più possibile lontano da lei. Tanto gli pesava il senso di colpa: si sentiva costantemente sporco, e mai e poi mai l’avrebbe contaminata, l’amava troppo. I buoni propositi, però, non erano condivisi dalla sua consorte, la quale, rivivendo ogni notte la medesima scena, allungava una mano ad accarezzargli il viso, dopodiché la abbandonava sul suo braccio, o sul torace, quasi avvertisse il bisogno di sentirlo, di accertarsi fosse ancora accanto a lei. A volte, quando il tarlo della coscienza mordeva più forte, la attirava a sé e, piano, attenti a non essere uditi dai bambini, facevano l’amore, ma l’orgasmo non era mai abbastanza lungo e intenso da stordirlo quanto avrebbe voluto.
Harry James era un uomo distrutto.

 
***

Come ogni mattina, Lauren si svegliò, fece una doccia veloce e una colazione altrettanto veloce, si vestì in fretta e furia e si precipitò a lezione. A differenza delle altre mattine, però, lo fece col sorriso sulle labbra. A differenza delle altre mattine, la bionda chioma non era costretta in una treccia o uno chignon, ricadeva morbida e luminosa sulle spalle, e non era vestita di nero dalla testa ai piedi - in segno di lutto per la propria vita - ma con colori vivaci, abbinati con gusto. A differenza delle altre mattine, non entrò in aula a testa bassa, sedendosi in ultima fila, anzi, fece un ingresso da star, a testa alta, si sedette in prima fila, vicino a Sebastian - che salutò cordialmente - e si rese impermeabile a risatine e bisbigli.
Si sentiva rinata. Aveva ritrovato la vecchia se stessa e non l’avrebbe persa mai più.
“Sii felice. Essere felice è la tua vendetta.”
Faith, saggia donna, le aveva dispensato l’ennesimo ottimo consiglio: doveva essere lei il centro del suo universo, vivere bene per il suo stesso bene, perché lo meritava (e, bonus non da poco, per non dare a chi la feriva la soddisfazione di sapere quanto potere aveva su di lei), e l’avrebbe fatto.
Basta nascondersi, basta mortificarsi, basta subire.
Sebastian - lieto di averla vicina per poterla schernire più comodamente - si sporse verso di lei e sussurrò, perfido –Ieri sera mi scocciavo di studiare, così ho ridato un’occhiata al video… avevo dimenticato che quando vieni grugnisci. Sei proprio una maialina!
–L’avevo fatto per te, Fraser: i porci non comprendono il linguaggio umano!
Troppo scioccato dall’improvviso mutamento nella ragazza per ribattere, Sebastian rimase di stucco, boccheggiando come un pesce fuor d’acqua. Un loro compagno di corso, Walden, coinquilino di Sebastian, li raggiunse e, giocherellando con una ciocca di capelli della bionda, la derise come al solito.
–Ti sei svegliata con le orecchie che fischiavano, bellezza? Se sì, è colpa mia: sei il mio filmino della buonanotte, grazie a te faccio sempre bei sogni.
–Non farmi troppa pubblicità, Wally, non davanti a lui: potrebbe ingelosirsi!
–Apri la bocca solo per fare pompini, troia!- sputò sprezzante Sebastian, a voce sufficientemente alta da rendere gli astanti partecipi dell'opera di derisione.
La Lauren “pre-terapia d’urto metodo Irving” sarebbe arrossita e avrebbe tentato di nascondersi come uno struzzo, calando la testa sotto il banco, la “nuova vecchia” Lauren no.
A voce altrettanto alta, in modo che tutti potessero sentire, rispose –Credo che tu mi abbia scambiata per tua madre, Fraser.
Un silenzio di tomba pervase l’aula; nessuno, nemmeno le mosche, osava fiatare, erano tutti in trepidante attesa della reazione di Sebastian, che, a giudicare dalle chiazze rosse sul volto e l’espressione omicida, sembrava seriamente pronto a uccidere. Non ebbe tempo di ribattere o, peggio, attuare una ritorsione però: per fortuna di Lauren, in quel preciso istante arrivò Franz.
–Che silenzio!- esclamò, abituato com’era a combattere per placare il vociare di sottofondo. –Il caffè non ha fatto effetto?

 
***

–Ti voglio bene, Adam, per questo non mi stancherò di ripeterti che ti stai comportando da imbecille.
–Grazie, Brian, sempre generoso con i complimenti- ribatté sarcastico il cugino mentre osservava AJ giocare all’esploratore della galassia. –Preparati fin da ora: quello lì in orbita ci finirà sul serio, te lo dico io!
–Lascia perdere mio figlio, qui si tratta di te e Monica! Da quando sei tornato dal luna park non l’hai più richiamata e hai questa vomitevole aria da cane bastonato abbandonato sotto la pioggia. Si può sapere che è successo?
Adam gli raccontò ogni cosa nei minimi particolari, accettò senza battere ciglio i rimproveri di Brian, infine sospirò –Capisci adesso perché non posso chiamarla?
–Sei così coglione da perderla per orgoglio? Che poi… quale orgoglio? Tu stavi con Momo, aveva tutto il diritto di portarsi a letto chi le pareva! Ti credevo meglio di così, invece sei solo uno stupido, viziato maschilista che non merita l’amore di una persona speciale come Monica!
–Secondo te perché la evito, allora?- ruggì Adam, battendo il pugno sul tavolo. –Il mio non è orgoglio, è vergogna! Con che faccia potrei presentarmi da lei e chiederle perdono? Ma, soprattutto, perché mai dovrebbe concedermelo? Ho avuto una reazione spropositata, ho dato di matto accecato dalla gelosia, trattandola come la peggiore delle…
–Sì, sì, risparmiami il mattone melodrammatico- sbuffò Brian, zittendolo con un teatrale movimento della mano. –Una parte di me vorrebbe spedirti fino a casa Hawthorne a calci nel sedere, ma costerebbe troppa fatica, perciò mi limito a ripeterti, per la centesima volta: ti stai comportando da imbecille. Eppure ricordo che avevi… gli attributi! Dove sono finiti?
–Hai ragione.
–Lo so, grazie tante! Non mi interessa avere ragione, mi interessa che tu agisca, porca… mi devo contenere perché c’è il bambino, ma hai capito l’antifona: fatti bello, corri dalla tua donna e sopporta pazientemente i suoi sfoghi verbali e - conoscendola - fisici. In altre parole: comportati da uomo, non da ameba come hai fatto finora.
Nel pomeriggio, Aidan andò a giocare con sua cugina Kaori, alla quale riferì la conversazione parola per parola.
La diabolica biondina - la quale, causa la passione della madre, in quasi sette anni di vita aveva visto più commedie romantiche che cartoni animati - assunse un’espressione pensosa e mormorò –Zio Brian ha ragione, però lo zio Adam è troppo “vergognino” per farcela da solo. Dobbiamo aiutarlo!
–Chi?
–Ho detto dobbiamo, AJ- celiò la piccola, scoccandogli un’occhiata di sufficienza. –Io e te.
Aidan comprese che era seria e rabbrividì, tuttavia non si tirò indietro: per la felicità dello zio Adam, questo ed altro!

 
***

All’uscita dell’ospedale, Harry si fiondò da Franz, col quale non scambiava due chiacchiere. Sperava potesse aiutarlo a risolvere il problema che lo tormentava: erano amici da anni, sapeva che l’avrebbe ascoltato senza giudicarlo e l’avrebbe consigliato con obiettività. Peccato che Franz andasse di fretta.
–Ehi, Harry!
–Husky! Come va?
–Bene, grazie. Non offenderti se non mi trattengo, devo scappare o farò tardi.
–Faith ti aspetta a casa, eh?
–Veramente no: si sta dando alla pazza gioia in compagnia di Demon e Abigail. Tra pochi giorni Bridget compirà trent’anni, stanno cercando un regalo memorabile.
–Allora… dov’è che devi precipitarti di corsa?
–In… un posto. Uno qualsiasi.
La vaghezza della frase e la punta di colpevolezza nella voce dell’amico lo misero in allarme. Forte della tenacia che utilizzava sul lavoro per scovare il benché minimo segno di patologia negli esami strumentali dei pazienti, lo pressò finché non crollò e sputò il rospo. Un rospone che gli fece promettere di non rivelare.
–Ti lascio, allora. Sarà per un’altra volta. E’ che ho questo grosso problema e…
–Riguarda i bambini?
–No, no, loro grazie al cielo stanno bene… è il mio matrimonio- rispose mestamente Harry, fissandosi i piedi.
–Oh, cazzo!- si lasciò sfuggire Franz, per poi aggiungere, in tono di scuse –C-Cioè… mi dispiace. Non so cosa tu abbia combinato, né voglio saperlo - ciascuno ha diritto ai suoi segreti: tu copri me, io te, è così tra amici - posso soltanto dirti cosa penso: se il problema coinvolge Freddie, parlagliene; non sarà piacevole, ma è la cosa giusta da fare. La sincerità paga.
–Ci proverò. A domani, Husky, e tranquillo: il tuo segreto è al sicuro con me.

 
***

Nel traffico pedonale che affollava Grosvenor Street, una coppia spiccava su tutte. Erano un uomo e una donna e, vuoi per l’abbigliamento colorato, palesemente “da turisti”, vuoi per l’immensa felicità che traspariva dai loro volti e dai piccoli gesti (lui le cingeva la vita e, di tanto in tanto, si chinava a baciarle dolcemente una tempia, lei, di temperamento più vivace, saltellava gaia lungo la strada, più che camminare, e ogni pochi passi lo rimproverava per essersi caricato di tutte le buste), si stagliavano nel grigio viavai di un giorno lavorativo a Londra come l’aurora boreale nell’oscurità della notte artica.
Faith - stanca, ma soddisfatta per essere riuscita a trovare il regalo perfetto per Bridget - li trovava adorabili e li stava fissando spudoratamente, incapace di trattenersi dal fantasticare sugli sconosciuti come da abitudine: lei era rotondetta, all’incirca della sua taglia, massimo una in meno, mentre lui… oh, lui… basti dire che, se non fosse stata innamorata pazza del suo Franz (e se non avesse notato la fede all’anulare di entrambi), ci avrebbe fatto più di un pensierino, tutti vietati ai minori. Al di là del fisico, tonico e muscoloso al punto giusto, aveva scorto un paio di magnetici occhi color caramello, gli stessi che in quel momento erano posati sulla brunetta - la quale ciarlava senza sosta - in uno sguardo trasudante dolcezza al punto che la Irving si stupì nel non vedere il caramello sciogliersi.
“Classica coppietta melensa in luna di miele, ci metterei la mano sul fuoco!”
Ne ebbe conferma ( e una divertente sensazione di deja-vu) quando, avvicinandosi furtivamente, li sentì battibeccare.
–Ti ripeto per la milionesima volta, Calliope: non sono stanco! Proprio tu dovresti sapere che ho un’ottima resistenza… e un’altrettanto ottima capacità di ripresa.
La donna, Calliope, gli diede una gomitata nelle costole (“Così si fa!”, pensò Faith,   che aveva istintivamente provato simpatia nei suoi confronti. “Stupidi uomini e le loro stupide battutine autoincensanti! Come diceva nonna Beatrice: a chi si vanta qualcosa manca!”) e rispose –Finora me ne hai dato prova soltanto in albergo. Per il resto sei il solito musone!
–Il musone che ti ha fatta innamorare… Mrs. White- fu la replica dell’uomo (“Avevo indovinato! Sono in luna di miele!”, esultò Faith, lieta che la gravidanza non avesse inciso sulle sue doti deduttive), condita dallo scherzoso –E non puoi biasimarmi: ti sei portata appresso quel dannato libro e lo usi come guida turistica!
–Non ci trovo niente di male, caro il mio Mr. Caramello- ribatté battagliera Calliope. –Si chiama tour letterario, ne fanno in tutto il mondo: a Dublino, per esempio, seguono le orme dell’Ulisse di Joyce, a Parigi quelle de ‘I Miserabili’ e ‘Notre Dame de Paris’ e a Edimburgo quelle di Cassie Bloom!
–Chi?- chiese esterrefatto l’uomo, senza opporsi al nomignolo affibbiatogli dalla consorte; doveva essere abituato alle (e innamorato delle) sue eccentricità.
–Cassie Bloom! La giornalista-detective, nata dalla penna di Connie Bishop!- sbuffò lei. –Sylvia mi ha convinta a ordinare i suoi romanzi e... devo ammettere che ha fatto centro! Vanno a ruba! Persino io, che non sono una fan dei gialli, li ho divorati!
–Non in senso letterale, spero- le sussurrò all’orecchio il marito. –Sarebbe un’offesa irreparabile alle mie doti culinarie.
–Scemo!
–E tu, che hai sposato lo scemo, come ti definiresti?
–Una pazza masochista? Ora, però, basta ciance: voglio godermi l’atmosfera! Ti rendi conto di dove siamo?
–Se la toponomastica non mi inganna… a Grosvenor Street- esalò annoiato colui che Faith, su esempio di Calliope, aveva battezzato “Mr. Caramello”. –E allora?
–E allora? Jared! Grosvenor Street! Uff! Sei un ignorante! – sbottò Calliope, ignorando l’occhiataccia raggelante di Jared. –Scommetto che se domandassi al primo che capita l’importanza di questa strada, mi darebbe la risposta corretta!
Faith, a pochi passi distanza, ridacchiò, salvo poi avvampare e irrigidirsi quando Calliope si girò, le puntò contro l’indice e trillò –Ehi, tu!
“Oh, cielo! Fa’ che non si siano accorti che origliavo, ti prego!”
–Scusa se ti ho spaventata - non ti dispiace se ti do del tu, vero? A occhio e croce abbiamo la stessa età e il “lei”, secondo me, invecchia terribilmente, e nessuna donna vuole sentirsi vecchia, giusto? - ma qui hanno tutti delle facce concentrate, o tristi, o arrabbiate, o un po’ di tutte e tre, mentre tu… sembri gentile.
Faith sgranò gli occhi, Jared impallidì e alzò i suoi al cielo, esasperato, aspettandosi che la sconosciuta, in avanzato stato di gravidanza, mandasse a quel paese Calliope (“Se lo meriterebbe! Importunare persone a caso è troppo persino per lei!”). Ebbe una grossa sorpresa: non solo la futura mamma sorrise, ma cinguettò, esibendo la proverbiale cortesia inglese –Se posso essere utile...
–Sai chi abita a Grosvenor Street?
–Un sacco di gente- rispose, curvando le labbra in una smorfia nel constatare la delusione di Callie, che evidentemente sperava in ben altra risposta; difatti, si affrettò ad aggiungere –Specie personaggi inventati. In ‘Orgoglio e Pregiudizio’, se non vado errata, è l’indirizzo della dimora londinese dei Bingley, in cui Caroline e Louisa ricevono malvolentieri Jane Bennet e la disilludono sulla loro natura ipocrita.
Aveva previsto la felicità di Calliope, non il modo in cui l’avrebbe esternata: nonostante si conoscessero da circa mezzo minuto, la abbracciò con lo slancio di chi rivede dopo anni una vecchia amica, inondandola di ringraziamenti alternati a pungenti “Beccati questa, caro mio!” rivolti a un allibito Jared.
–Siete americani, ho indovinato?- chiese Faith, una volta libera dalla morsa affettuosa della donna.
–L’hai capito dalle maniere ai limiti della cafonaggine di mia moglie?- sghignazzò l’uomo dagli occhi caramellosi.
–Ho vissuto sei mesi a New York, riconoscerei un newyorkese ovunque- fu la secca risposta, scevra di qualunque espressione, della Irving, prima di regalare a Callie un sorriso radioso.
–E’ meraviglioso! Ha vissuto a New York e conosce le opere della Jane per antonomasia! Sei vera, oppure frutto della mia immaginazione?
–Hai solamente avuto fortuna, Callie- obiettò lui. –Innanzitutto perché hai trovato una persona veramente gentile - al suo posto, ti avrei spedita a… lasciamo perdere, non voglio scadere nel volgare - poi perché anche lei affetta da “austenite”.
–Noi fan della mitica Jane ci riconosciamo dall’odore. Il tuo è buono tranquilla- asserì Callie. –Oddio! Non ho commesso una gaffe, vero?- Jared rispose di sì e rimase sconvolto quando lei aggiunse –Sei una fan della Austen, vero?
–Fan… atica no, ma la adoro!- trillò la Irving, suscitando la gioia della fresca sposina. –Anche se devo confessare che, sebbene di pochissimo, il mio preferito è ‘Emma’.
–Emma?- ululò Calliope, facendo voltare diversi passanti. –Cosa? Come? Perché? Io e te abbiamo molto di cui discutere!
In barba alla sempreverde raccomandazione materna di non dare confidenza agli sconosciuti, Faith scrollò le spalle e acconsentì.
–Con piacere. Oh, quasi dimenticavo le buone maniere: sono Faith. Faith Irving.
–Callie. Piacere mio.
–Calliope Thompson-White- precisò seccato Jared.
–Calliope Thompson-White- ripeté lei in una perfetta caricatura del marito. –Moglie di questo musone, all’anagrafe Jared White.
Le conseguenze di quell’incontro fortuito si ripercossero su Franz; rincasato alle nove, stanco morto, non desiderava altro che mettersi il pigiama e dedicarsi ad attività rilassanti, invece fu costretto a cambiare i suoi piani: Faith lo accolse seduta sul letto, coperta solo dall’accappatoio. Il suo “Non sei troppo stanco, vero?” pregno di sensualità riuscì a risvegliare i piani inferiori: si fiondò tra le sue gambe e, tra un bacio e l’altro alla pelle candida e morbida della sua donna, rispose che no, non era affatto stanco.
–Splendido!- trillò lei, scrollandoselo di dosso con grazia elefantiaca. –Allora muoviti, hai venti minuti per prepararti; non ho intenzione di tardare!
–Tardare dove?
–Stasera usciamo, tessorino bello- sibilò divertita lei, ridendo del suo sgomento. –Ceniamo con i White.
–Con chi?
Faith eruppe in una grassa risata, passò in rassegna le alternative papabili per la serata, infine, dato che Franz era rimasto impalato a fissarla, sbottò –Vedrai, ti piaceranno: lei è uno spasso e lui ha un morbido cuore caramelloso racchiuso da una scorza dura, esattamente come te!

 
***

–Otto verticale: “la fine del mondo”. DO! E questo lo chiamano cruciverba difficile? Tsk!- soffiò Adam, impegnato ad allenarsi per una gara. Avrebbe preferito uscire, ma Keith e Connie si erano da poco riscoperti piccioncini, Nicky era, ovviamente, fuori discussione, e i colleghi d’università non gli andavano particolarmente a genio. –Dio, che pace!- esclamò, abbandonandosi tra i cuscini, felice di una tregua dalla rumorosa presenza dei nipotini. Stravedeva per loro, ma convivere con un bambino non è facile; se i bambini in questione, poi, erano Aidan e Kaori, diventava un’impresa! Lui, preso da solo, era piuttosto tranquillo, ma in coppia con la cugina si trasformava in un vulcano, così, dato che lei era vulcanica di suo, si trovava a dover gestire due vulcani in eruzione.
Il campanello lo riscosse da quei pensieri. Si diresse verso la porta a passi strascicati, aprì e…. venne travolto da un altro vulcano in eruzione, di nome Monica Hawthorne.
Senza neppure salutarlo, la rossa prese a girare per la casa latrando –Cosa è successo? E’ grave? Dov’è? Perché non c’è? L’hai portato in ospedale?
–Cos… chi è in ospedale?- urlò Adam, preoccupato.
–AJ! Mi ha telefonato Kaori, spaventatissima, ha det… sono una deficiente. AJ sta benissimo, vero?
–Perspicace!- sibilò Adam, annotando mentalmente di fare un bel discorsetto a Kaori sull’intromettersi negli affari altrui. –E’ da Ben, insisteva nel voler dormire dalla cugina. Ti hanno fatto uno scherzo.
–No. Sanno quel che fanno, i demonietti: mi volevano qui, con te, da soli- esalò Monica, accasciandosi su una poltrona. –Mi lusinga che le piccole pesti facciano il tifo per me, ma è loro zio ad avere l’ultima parola.
–I-In c-che senso?
–Nel senso che… posso andarmene e fingere che tutto ciò non sia mai accaduto, oppure possiamo comportarci da adulti e affrontare di petto il problema. A te la scelta, Adamino.

 
***

Bocca secca. Stretta al petto. Palpitazioni. Sudore freddo.
No, non stava avendo un infarto, si stava preparando a quel che lo attendeva: il peggio. Una preparazione inutile: sarebbe stato doloroso comunque. Dopo un intervento chirurgico, in genere, si sta meglio, ma questo non lo rende meno doloroso (altrimenti gli anestesisti non avrebbero lavoro).
Ringraziò mentalmente che i bambini fossero dai suoi suoceri e si apprestò ad aprire bocca, ma Freddie lo precedette.
–Che hai, Harry? Sei pallido e taciturno.
–Dobbiamo parlare. Siediti.
–Sedermi? Perché?- esalò lei, scrutandolo torva. –Mi stai facendo preoccupare. Dimmi cosa non va, deciderò dopo aver ascoltato se sedermi o meno.
–Io… non so come dirtelo. Ti amo, non ho mai pensato per un secondo che i sentimenti che provo per te siano svaniti, o affievoliti…
–Però? A questo punto c’è un “però”, giusto?
–Io ti amo, Freddie, tantissimo. Però… sono attratto da un’altra donna. Mi dispiace.
Freddie sbiancò, barcollò, ma non si sedette. Avanzò verso Harry e gli carezzò una guancia… prima di colpirlo con un ceffone da record.
 
Nota dell’autrice
Inizio scusandomi per la lunghissima attesa. In mia difesa posso solo dire che l’ispirazione viene e va, e che tirocinio e ultimi esami da preparare non aiutano in questo senso. Spero che il capitolo sia valso la pena! ;-)
By the way, spesso mi vengono fatti notare errori (veniali, spero) di battitura, e io prometto sempre di rimediare… qualcuno ha la formula per eliminare la pigrizia e darmi la forza di mettermi pazientemente a cercare e correggere tutti questi orrorini ortografici?
As always, una miriade di grazie a chi pazientemente aspetta i capitoli e li legge, a Bijouttina, DarkViolet92, elev e topoleone, che hanno recensito, e ad AceHearts, memylove e moncler92, che seguono la storia. :-*
Un ringraziamento speciale a Calliope S, che non soltanto ha recensito, mi ha anche “prestato” i suoi fantastici personaggi, protagonisti di "Quando meno te l'aspetti", che vi invito caldamente a leggere. Thanks a lot, Cal! :-*
Spero di aggiornare presto, ma preferisco non fare promesse che non posso mantenere!
Serpentina

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Bye bye, darling ***


Bentrovati a un altro appuntamento con Baby Boom! La storia si sta avvicinando alla fine: prevedo non più di due capitoli dopo questo. È triste, ma prima o poi tutte le storie terminano. Non preoccupatevi, però: ci saranno Ewan&Jo, i protagonisti di "Love Quest", a tenervi compagnia! ;-)
Grazie, come sempre, a Bijouttina e Calliope S, che hanno recensito, a Edely, Freeyourmind_x, klod, laragosta, lillay, che l’hanno inserita tra le seguite/ricordate/preferite.
Spero che il capitolo valga l’attesa. Enjoy!
 
Bye bye, darling
 
Non avere mai paura di tentare qualcosa di nuovo. Ricorda: dei dilettanti costruirono l’arca, mentre il Titanic fu costruito da professionisti.
Dave Barry
 
Faith e Calliope si scambiarono un’occhiata preoccupata: il loro intuito pareva aver fatto cilecca. Come previsto, avevano legato a velocità impressionante: si conoscevano da meno di un giorno, eppure parlavano e ridevano come vecchie amiche… al contrario dei rispettivi partner; Franz e Jared avevano a malapena aperto bocca - limitandosi a commenti insipidi sul clima e il cibo -  mostrando scarso interesse reciproco e quasi nullo entusiasmo per la visita della Londra letteraria pianificata per l’indomani dalle loro intrepide metà.
Seccate dal mutismo di quei due, Calliope e Faith giocarono un jolly estremo (a mali estremi, estremi rimedi): ingerito un boccone di pasticcio ai funghi, la Irving celiò –A proposito del tour… non ti dispiacerà compiere una piccola deviazione, vero? Ho alcuni acquisti da fare.
–Certo che no! Anzi, sarà una buona occasione per dedicarmi anch’io allo shopping!
–Tu detesti lo shopping, Callie- sibilò Jared. –Tranne di libri. Spero non farai incursione in un’altra libreria, o dovremo comprare una valigia nuova!
–Tranquillo, le mie necessità sono di altra natura- gli assicurò Faith. –Cose da donne.
Calliope comprese il suo gioco e le diede man forte.
–Tipo? Io pensavo di fare una sorpresa al mio caro maritino... siamo in luna di miele, dopotutto, se non ci diamo alla pazza gioia adesso…
–Che combinazione: a me serve dell’intimo! Un po‘ particolare, però… sai, reggiseni per allattare, mutande speciali per il post-partum, cose così.
Alla menzione dell’allattamento, a Franz andò di traverso il vino, e Jared avvampò. Il diabolico duo, avuta conferma della riuscita del piano, proseguì su quella strada.
–Non sapevo fosse necessario dell’intimo particolare, dopo il parto!
–Mah, c’è chi se la cava con quello normale, ma la mia ginecologa mi ha suggerito di usarlo, e perché dovrei contraddirla? Finalmente ho un valido motivo per essere comodamente sciatta sotto i vestiti! Già di solito la lingerie sexy mi dà fastidio - peccato che a lui piaccia vedermi mezza (s)coperta di pizzo - figurati adesso, che ho una tensione alle tette…
–Eh, immagino- chiocciò comprensiva Calliope, lanciando un’occhiata divertita al sempre più imbarazzato Jared. –Ma non credere sia un problema esclusivo delle donne incinte, eh! Dalla quarta in su, il pizzo dà sempre fastidio: per quanto la misura sia giusta, la pelle si infila nei buchini e si irrita. Un prurito! Quante volte ho desiderato essere piatta, ma poi qualcuno apprezzava le mie curve e passava subito. Ah, cosa non si fa per questi uomini!
–Se se lo meritano, ben venga- asserì Faith, leggermente di malumore per essere l’unica a doversi negare gli alcolici.
La dissertazione su seni e reggiseni andò avanti, con sommo sconcerto dei due uomini, i quali, all’inizio, tentarono di resistere impassibili (Franz, addirittura, provò a inserirsi nella conversazione), poi, raggiunto il limite di sopportazione, alzarono bandiera bianca.
–Vi, ehm, dispiacerebbe ordinare il dolce anche per noi mentre ci facciamo una birretta?
–Due birrette!- esclamò Jared, lo afferrò per un braccio e lo trascinò al bar.  –Scusa se ti ho tirato via in quel modo, ma la conferenza sui reggiseni… anche no!
–Una noia mortale!- gli fece eco Franz, per poi ordinare due mezze pinte. –Se non mi avessi portato via tu, sarei scappato in bagno con una scusa! Finché si trattava di libri ok, sono sempre stato di mentalità abbastanza aperta, non mi sono mai precluso delle letture soltanto perché considerate “da femmine“, però il resto me lo risparmio volentieri!
–Già- esalò Jared, brindò alla loro fuga, dopodiché calò il silenzio. A differenza del precedente, però, trasudante imbarazzo, fu un silenzio tranquillo, tipico di chi si sente talmente a proprio agio da non dover dare fiato alla bocca.
Svuotarono i boccali in tutta calma, e con altrettanta calma fecero due chiacchiere; nessuno dei due era particolarmente loquace, e forse fu proprio questa la ragione per cui apprezzarono la reciproca compagnia: a chi non ama le ciarle piacciono le persone che parlano solamente se hanno qualcosa di minimamente intelligente da dire.
–Davvero stavi per investire tua moglie? Non ci credo!
–Giuro!- trillò Jared. –Si era praticamente lanciata sulle strisce, roba da matti! Ancora mi sorprende che sia riuscito a frenare! In quel momento pensai fosse una sciroccata, e ho continuato a pensarlo per molto tempo. C’è chi si innamora all’istante, ma a me non è successo.
–Nemmeno a me- ridacchiò Franz. –Quando la conobbi, al lavoro - sorvoliamo sul livello di cliché della nostra storia - mi disse che non ero il suo tipo e io risposi che neppure lei lo era… perché mi piacciono le belle donne!
–E sei ancora vivo per raccontarlo! Miracoloso!
–Decisamente! Adesso la vedi ammansita dalla gravidanza, ma ti assicuro che Faith è perfettamente in grado di picchiare un uomo- calò di nuovo il silenzio amichevole, quindi –Allora, domani grand tour, eh?
–Così pare. Se dovessimo annoiarci, possiamo sempre rintanarci nel primo pub in cui ci imbatteremo!
–Ci sto!
Al tavolo, Calliope e Faith sorrisero soddisfatte e brindarono alla loro genialità e alla sorpresa speciale che la Irving aveva dedicato alla sua nuova amica (sapendo che aveva una libreria, Austen&Company, le aveva organizzato un incontro con Connie, nella speranza di convincerla a tenervi un incontro con i lettori), infine Faith, impegnata nella scelta del dolce, sospirò scocciata –Secondo te hanno legato, o dobbiamo continuare a fingere di parlare di reggiseni?
 
***
 
Adam, sebbene sveglio da alcuni minuti, teneva le palpebre rigorosamente chiuse; si decise ad aprirle quando avvertì la mano di Monica prendere la sua e portarla tra le sue cosce.
–Rossa, di prima mattina?- sbadigliò, stupito dall’energia della sua ex-migliore amica, ora fidanzata ufficiosa. Non che uno dei due insistesse per affibbiarsi un’etichetta: avevano finalmente messo da parte la paura di rovinare irrimediabilmente il loro rapporto compiendo il salto da amici a coppia, non avevano bisogno di soffocarsi con inutili convenzioni.
–Ogni occasione è buona, Adamino. Abbiamo tanto da recuperare- rispose Monica, sperando che il suo tono di voce fosse abbastanza sensuale, e lo fu, perchè Adam non perse tempo: la attirò su di sè e la baciò avidamente. –Dimmi che possiamo svegliarci così anche domani.
–Tutte le volte che vorrai.
L’atmosfera si stava scaldando, di più, arroventando… peccato che una secchiata d’acqua gelata abbassò la temperatura di parecchi gradi.
–Chiunque sia, ignoriamolo- propose lui, seccato dall’interruzione.
Lo scocciatore, però, non demorse.
–Zio Adam! Oi, zio Adaaaam! Apriii! Sono io, AJ! E daiii, apri! So che ci sei!
–Merda! Tuo nipote!- bisbigliò Monica, sollevandosi di scatto. –Scommetto che non se ne andrà finché non avrai aperto.
–Ziooo, non me ne vado finché non apri! Dai, zietto! Sei… com’è che dice papà… presentabile?
Rassegnati a dover rimandare i “fuochi d’artificio”, Adam e Monica si alzarono dal letto e cercarono a tentoni qualcosa con cui coprirsi. Una volta “presentabili”, consentirono al piccolo Aidan James di irrompere nella stanza.
–Ehi, sei con Nicky!- trillò, lanciandosi su di lei per una razione di coccole. –Avete fatto pace?
–Abbiamo… fatto- risposero in coro i due adulti, arrossendo furiosamente.
–Ehi, sono grande, so come funziona- asserì il pargolo, facendoli arrossire ancora di più. –Quando i grandi vogliono fare la pace, dormono stretti stretti! Allora adesso non litigate più?
–No.
–E state insieme?
–Sì.
–E vi sposate?
Adam era troppo scioccato per elaborare una risposta decente; provvide Monica, con la consueta schiettezza.
–Sì… se tuo zio avrà il fegato di chiedermelo senza balbettare!
–E i tuoi fratelli non mi ridurranno a una polpetta!- aggiunse lui, memore della spedizione intimidatoria risalente a poche settimane prima.
–Non lo faranno, se li picchierai più forte!
–Rossa, dillo che vuoi sbarazzarti di me!- gnaulò Adam. –Picchiare i tuoi fratelli? Li hai visti bene? Il mio braccio è largo quanto il polso di Leonard!
–Sicura di voler sposare questo mollusco, Nicky?- scherzò Brian, comparso sulla soglia reggendo lo zainetto di suo figlio. –Hai più di duecento ossa, cugino, vale la pena di fratturarne qualcuno per amore della tua donzella!
–Vorrei vedere se le ossa fossero le tue- sputò Adam a braccia conserte. Monica scoppiò a ridere e si sporse in avanti per posargli un tenero bacio sulla guancia.
–Siete la dolcezza in persona, piccioncini- cinguettò Brian, quindi, prima di attirare Aidan in cucina con l’allettante prospettiva di una lauta colazione, aggiunse, con tanto di strizzatina d’occhio maliziosa –Ah, Nicky... se mio cugino non dovesse essere all'altezza, fammi un fischio.
–Nei tuoi sogni! E adesso fuori!- ruggì Adam, spingendolo verso la porta a calci.
Sbalordita da quella reazione Monica boccheggiò per qualche secondo, dopodiché si ricompose, appoggiò la schiena al muro, incrociò le braccia e sbottò –Grazie tante! E se avessi voluto considerare l'offerta?
–Ma fammi il piacere! Eh, no, eh! Non con Brian!- esclamò Adam con una lieve nota supplicante nella voce.
–Perchè no?- rispose Monica ostentando indifferenza. –Non dovresti accollarti una moglie insopportabile come me e diventeremmo ugualmente parenti!
–Grandioso- sibilò Adam a denti stretti.
Monica trattenne a stento un ghigno sadico e replicò –Grandioso? Sicuro? Non è che, invece, mi vuoi tutta per te?
Adam sentì i battiti aumentare di colpo e il cuore colpire la cassa toracica tanto forte che temette sarebbe schizzato fuori in un attimo, ma decise di mantenere un contegno dignitoso: cinse le spalle della Hawthorne e le disse –Che domande! Ti amo, Rossa… ma non al punto da affrontare i tuoi fratelli. Possiamo informarli che stiamo insieme… per telefono?
 
***

–Mi dispiace che i White non abbiano potuto prolungare la permanenza a Londra- sospirò Franz: una volta rotto il ghiaccio, lui e Jared erano diventati amiconi, per la gioia di Calliope e Faith, che avevano colto quella ghiotta opportunità per dedicarsi alle loro passeggiate letterarie senza maschietti sbuffanti al seguito.
–Callie ha un’attività commerciale, non poteva permettersi una lunga assenza, non con la festa della donna in avvicinamento. Inoltre ha promesso a Connie di farle da Cicerone nella Grande Mela, in cambio di un incontro nella sua libreria; qualche autografo e indiscrezioni sul suo nuovo romanzo ‘Fashion Victim’, ambientato, per l’appunto, durante la Fashion Week newyorkese- spiegò lei, mollemente adagiata sul divano: al lavoro non c’erano casi interessanti e il capo l’aveva “gentilmente” invitata a riposarsi (“Conosci il significato dell’espressione congedo per maternità, Irving? Perfetto! Porta il tuo culo a casa!”). –Ma ha promesso di tornare, o per il baby shower, o per la nascita del bambino.
Il riferimento al nascituro tolse quel po’ di colore donato alla carnagione di Franz dal riscaldamento a temperatura sub-tropicale: da quando era entrata nel terzo trimestre Faith soffriva molto il freddo. A marzo girava ancora con sciarpa e guanti, nonostante la temperatura mite.
–Trovo i baby shower una pacchianata assurda. Sei convinta di volerlo fare?- esalò, prima di dare un bacio frettoloso a Faith e precipitarsi al lavoro.
–Io no, ma Ab e Demon sì, perciò… che baby shower sia! Non ho la forza fisica e/o mentale di discutere con quelle zucche di marmo, tanto più che si sono offerti di occuparsene loro. Io non dovrò alzare un dito! Non è meraviglioso?
–Ho preparato una tisana. Lampone ed echinacea, ricca di antiossidanti e immunostimolante- celiò Lauren, apparsa con un vassoio tra le mani. Non si scompose sotto lo sguardo disapprovante di Franz e riempì due tazze: era cosciente di non stare simpatica al patologo, e, onestamente, la cosa la divertiva; inoltre la compagnia di Faith e degli amici che le facevano spesso visita era molto stimolante, e a lei piaceva cogliere ogni occasione per allargare i propri orizzonti.
–Lascialo perdere- la tranquillizzò la futura mamma. –Franz è diffidente per natura e teme che eserciti una cattiva influenza su di te: sa che non sono quel che si dice un buon esempio. Forse ha ragione: dovresti frequentare gente della tua età.
–I miei coetanei sono insulsi- replicò Lauren. –E tu un ottimo esempio. Sei la mia salvatrice, Faith! Grazie a te sono uscita dall’ombra di Sebastian, sono tornata a vivere! Avrei voluto conoscerti anni fa, mi sarei risparmiata tanto dolore.
–Non attribuirmi meriti non miei: la forza per superare il momento buio l’hai trovata in te stessa, io ti ho semplicemente dato una spintarella. So cosa si prova quando qualcuno a cui teniamo ci ferisce, mi dispiace che sia capitato a una ragazza dolce come te.
–Non capisco come abbia potuto cascarci- pigolò Lauren. –Avrei dovuto immaginare che aveva un secondo fine: perché mi avrebbe avvicinata, altrimenti?
–Se stai pensando di non essere abbastanza per lui, ti do un ceffone da farti girare la testa come alla bambina de ‘L’esorcista’!- la rimproverò aspramente Faith. –Così fai il suo gioco: questo tizio ha chiaramente un sadismo inversamente proporzionale alle dimensioni del suo pistolino. E tu vorresti perdere tempo appresso ad un mini-dotato cerebrale e… ehm… hai capito, no?
–Dammi qualche dritta- la implorò. –Trucchetti per non ripetere l’errore, in futuro. Da cosa intuisci che puoi fidarti di qualcuno?
–Della sua specie sicuramente non puoi fidarti. Ripetono all’infinito di essere cambiati grazie al tuo amore, ma la verità è che sono irredimibili. Hai presente la favola del contadino che salva la serpe in procinto di morire assiderata e finisce avvelenato? Ecco! Se, invece, intendevi gli uomini in generale, l’esperta è Bridget.
–Si è sposata tre volte, non mi pare tanto esperta- obiettò la giovane.
–Giusta osservazione- convenne Faith. –Allora diciamo che nessuna è un’esperta, perché non esistono leggi universali in materia di sentimenti, relazioni e quant’altro.
–Avrai pur captato qualche segnale che ti ha convinta che Franz è quello giusto!- sbottò Lauren, esasperata: non credeva nei superpoteri, ma la Irving doveva aver avuto la supervista per trovare del buono nello scostante e serioso Weil e quindi sceglierlo come persona con cui dividere la propria vita e procreare. “Solo le sprovvedute si fanno ingravidare a caso!”
–È più facile captare segnali alieni che comprendere chi ci sta davanti- ridacchiò l’altra, sbocconcellando una mela. –Niente regole auree, spiacente. Qualcosa di molto più elementare: l’uomo giusto è quello che ti rispetta, ti tratta da pari, e ti assicuro che, perfino nel ventunesimo secolo, non va dato per scontato. Se comincia a trattarti male, oppure a darti per scontata, se parte dal presupposto che debba essere necessariamente tu a sacrificarti per entrambi, sia in ambito lavorativo che privato… scappa! Chi ama dal profondo del cuore non ti tiene su un piedistallo, perché non sopporta di averti lontano, né ai suoi piedi nel fango, perché ti rispetta come persona… ti tiene al suo fianco. E poi Franz è una gioia per gli occhi, le mani e… ehm… altre parti del mio corpo, il che non guasta.
Lauren restò interdetta: forse la Irving era miope sul serio, perché ai suoi occhi Franz non era questo gran figo. Sebastian sì, eccome, mentre Franz… era bellino, sì, dotato di charme magnetico, ma non bellissimo.
“Ed è pure antipatico! Bah! L’amore è cieco, sordo e scimunito!”

 
***

Lasciata casa Irving-Weil, si diresse in biblioteca: sebbene fosse tentata, non poteva dimenticare i propri doveri.
–Ferma dove sei- sussurrò una voce maschile, due mani le bloccarono i fianchi, costringendola al suo posto. –Dobbiamo parlare.
–Lasciami in pace, Fraser- soffiò lei, cercando di allontanarsi, invano. Maledisse la sua abitudine di studiare con la musica nelle orecchie per isolarsi dal chiacchiericcio: se fosse stata meno concentrata, lui non l’avrebbe colta di sorpresa.
–Non sono disposto a tollerare oltre la tua insubordinazione, Quigley. Tu sei sotto di me, lo sei sempre stata… vuoi che te lo ricordi?
–Cos’è, una proposta indecente? Oppure hai il video sul tuo telefono? Sei disgustoso!- sibilò Lauren, colpendolo col quaderno. – Levami le mani di dosso, maiale! Non sono più disposta a farmi maltrattare da te.
–L’ho notato- sbuffò Sebastian. –Comunque, tanto per cambiare, sono venuto a gongolare: una parolina a Julian e sono stato riammesso in laboratorio! Hai di fronte a te un futuro grande nome della Patologia medica. Peccato che non tutti possano vantare amicizie nelle alte sfere.
–Onestamente, mi sentirei sprecata in laboratorio, preferisco rendermi utile attivamente. Lo frequentavo al solo scopo di farti cacciare, e ci sono riuscita- sospirò la ragazza. –Perciò… sono felice per te. Spero che aver ritrovato la tua strada ti dia serenità, così la smetterai di fare lo stronzo.
–Non posso credere alle mie orecchie: prima al solo vedermi tremavi come una foglia, ti intimorivo, arrossivi e ti nascondevi a ogni presa in giro, ma allo stesso tempo era palese quanto desiderassi provocarmi dolore… saperti inerme mi faceva sentire potente.
–È triste che ti senta potente umiliando gli altri. Uno tra i motivi del mio cambiamento, infatti, è stato realizzare che sei da compatire, non da odiare. Hai tutta la mia pietà. Poi ho scoperto di essere impermeabile alle critiche: l’unica persona della cui opinione deve importarmi sono io. Sono stata stupida a tenere in considerazione qualcuno che ha approfittato dei miei sentimenti per i suoi (letteralmente) porci comodi. Ora basta: non credo più alle tue stronzate, non credo più che la tua carità sia tutto ciò che merito; non sarò la più bella del reame fuori, ma dentro sì, e...
–E io non tollero gazzarra in biblioteca- abbaiò la bibliotecaria. –Fuori, tutti e due!
Una volta in corridoio, Lauren si fermò a sistemare i libri in borsa, sicura che Sebastian fosse sparito a importunare un altro malcapitato. Si sbagliava.
–Finora non ti ho chiesto scusa perché pensavo di non aver fatto nulla di grave, nulla per cui scusarmi- mormorò alle sue spalle.
–Nulla di grave?- ringhiò Lauren, arpionandolo per la maglia. Era furiosa. –Hai preso il mio cuore e ci hai pisciato sopra! Puoi anche strisciare in ginocchio, per quanto mi riguarda; non sarò soddisfatta finché non avrai provato sulla tua pelle cosa significa!
–Sbaglio, o avevi dichiarato di non odiarmi più?
–Smettere di odiare non è sinonimo di augurare ogni bene, Fraser. Stammi alla larga, se tieni alla tua incolumità- soffiò Lauren, gli scoccò un’ultima occhiata assassina e si allontanò.

 
***

È atroce trovarsi al centro del mirino, specialmente se non si meritano i proiettili. Harry James non li meritava, eppure ne riceveva ogni giorno. Aveva smesso di prendere un tè al bar e concedersi un quarto d’ora d’aria con gli amici, si rintanava nel suo ufficio o nel bunker anti-radiazioni fino a fine turno perché non sopportava i bisbigli e le occhiate. Era stato messo alla gogna, innocente.
–Del tè per te. Se Maometto non va alla montagna…
–Grazie, Husky- mormorò, accettando con sincera gratitudine il beverone eccessivamente dolce che avrebbe costituito la sua colazione. –Sei un amico. L’unico che mi è rimasto, in questo momento. Chris è preso dai suoi problemi, e Patty… certe volte vorrei togliergli quel sorrisetto dalla faccia con l’acido! Mi deride perché, secondo lui, quello che avrei combinato mi ha portato al suo livello. Sa che adesso non posso permettermi di biasimare le sue cazzate. Non sono migliore di lui.
–Sei cento volte meglio di lui!- esclamò Franz, battendo il pugno sulla scrivania. –Gli voglio bene, lo conosco da tanto, ma è un insensibile di prima categoria!
–Non è peggio di tanti altri. Hanno condannato me e Shannon senza appello, sulla base dello stupido principio “non c’è fumo senza arrosto”. È impossibile credere che non c’è stato niente, a parte un bacio?
–Non ancora- asserì Franz, scuotendo il capo. –Almeno, spero: sono uno tra i pochi ad aver scommesso che non te la sei ancora fatta!
–Grazie, Husky, tu sì che sai consolare.
–Scusa. Come va con Freddie?
–Ha reagito sorprendentemente bene- rispose il radiologo. –Il mio peggior timore era che per ripicca mi portasse via i bambini, invece è stata grandiosa: non mi ha cacciato di casa, nonostante ne avesse tutte le ragioni, e ha ripreso a parlarmi, anche se soltanto per imprecarmi contro. Nemmeno lei mi crede.
–Non posso darle torto: Shannon è una bella donna, è difficile credere che, pur avendone l’occasione, non abbiate…
–Devo giurarlo sulle teste di Derek ed Emma perché tu mi creda?- ruggì Harry. –Se l’ho desiderato? Sì. Molte volte. Se una parte di me, che lotto per tenere a freno, lo desidera ancora adesso? Sì. Se lo farei? No! Il mio matrimonio sarà una barca alla deriva, ma non sta affondando, e non sarò certo io ad aprire una falla nello scafo! E lo stesso vale per Shannon. Avevamo entrambi bisogno di una spalla su cui piangere, di un quasi estraneo con cui sfogarci; non puoi discutere di un problema con tua moglie se tua moglie è il problema.
–Avresti potuto confidarti con noi.
–Con voi? Ma se eravate talmente presi dai vostri piccoli e grandi casini da essere ciechi a tutto il resto! Non sto muovendo accuse, però, cazzo, non esistete soltanto voi al mondo, e il fatto che non li sbandieri non significa che non abbia dei problemi. Ma no, perché preoccuparsi? Io sono il noioso, “quadrato” Harry James, conduco una vita noiosa senza intoppi, non posso avere problemi. Ho passato anch’io un periodaccio e nessuno di voi re del melodramma se n’è accorto! Ti sorprende che abbia cercato conforto altrove?
–Hai ragione. Hai perfettamente ragione: siamo stati egoisti. Ma tu perché non ci hai detto niente?
–Freddie era rimasta incinta e ha perso il bambino; un argomento delicato, troppo per parlarne a uno di voi: Robert avrebbe scrollato le spalle e asserito che la vita continua, Chris sarebbe stato l’unico a capirmi fino in fondo, forse, ma porta un fardello pesante, affibbiargli il mio non sarebbe stato giusto, e tu… tu sei il peggiore di tutti: da te, che hai avuto il fegato di lasciare la tua donna incinta, avrei potuto addirittura aspettarmi che mi dicessi che ero fortunato, due mocciosi rompiscatole bastano e avanzano.
Franz sbiancò: Harry aveva colto nel segno; bel trio di stronzi aveva per amici, poveretto! Ognuno a rincorrere i suoi guai, di qualunque entità fossero, e non si erano mai fermati un attimo a domandarsi se quei “Sto bene”, “È tutto a posto” e “Non preoccupatevi” corrispondessero al vero.
–Io… non so cosa dire.
–Resta in silenzio, allora. Oppure vai: sono sicuro che avrai da fare, il laboratorio non si ferma mai.
Weil capì di essere stato congedato e tornò nei sotterranei, ma non si diresse in laboratorio, bensì in bagno, dove sfogò la frustrazione e la delusione: si sentiva cattivo, sporco, pessimo, indegno di appartenere al genere umano; quasi non lo conosceva (e covava rancore nei suoi confronti per questo) suo padre, eppure stava diventando come lui, assente, distratto, egocentrico.
Quando Sullivan entrò a cambiarsi, lo vide chino su un lavandino e gli chiese –Stai bene, Franz? Sembra che abbia pianto!
–Ho dimenticato di indossare gli occhiali mentre allestivo un preparato e i vapori alcolici hanno irritato gli occhi, tutto qui- esalò, asciugandosi il viso. –Niente di irreparabile.

 
***

Era strano, molto strano, che la regina dell’eccesso Bridget Mc Duff (ex Mrs. Parker, Da Silva, Rodriguez) avesse scelto di festeggiare il suo trentesimo compleanno con una cenetta intima, riservata a parenti (pochi) e amici; conoscendola, Abigail e Faith avevano previsto di partecipare ad una mega-festa con musica dance a palla e spogliarellisti fisicati (eventualità, questa, che scandalizzava Abigail, non certo Faith).
Dopo l’ennesimo brindisi alla salute della festeggiata e il taglio della torta (ovviamente, un capolavoro creato dalla maestria pasticciera di Melanie), venne l’atteso momento dell’apertura dei regali. Bridget, pur sforzandosi di apparire profonda, non lo era, e faticò a mascherare la delusione quando Faith le porse una misera busta; si aspettava come minimo una parure di gioielli!
–Oh, ehm… grazie mille!
–Prima di deprimerti, aprila- suggerì l’amica.
Bridget obbedì e per alcuni secondi smise di respirare, il battito cardiaco a rimbombarle nella testa: il contenuto della apparentemente misera busta era…
–Un biglietto aereo?
–Per Miami- precisò Faith, rivolgendo un cenno d’intesa a Demon. –Sola andata.
–Solo andata?- esclamò, sbalordita, l’altra. –Vuoi liberarti di me?
–Assolutamente no!- ridacchiò la Irving, prima di abbracciarla. –La mia speranza è… che Rafael non vorrà liberarsi di te!
–Rafa- sospirò Bridget, osservando distrattamente le bollicine nel suo bicchiere. Schioccò le labbra colorate di rosso scarlatto e aggiunse –È stato spesso nei miei pensieri. Un regalo azzeccato. Grazie. Ma temo si rivelerà inutile: il mio fascino non ha effetto su di lui, è diverso da qualsiasi altro uomo abbia conosciuto.
–Allora non ti resta che dimostrargli di essere diversa da qualsiasi altra donna abbia conosciuto lui- replicò saggiamente Demon.
–E se non mi volesse comunque? Nonostante tutti i miei sforzi?
–Beh… si dice che Miami sia splendida in questo periodo dell’anno- rispose Faith, scrollando le spalle, per poi spazzolare a velocità da record la sua fetta di torta.

Note dell’autrice:
Contenti? Faith&co sono tornati!
Baby Weil is on his/her way! Franz se la farà sotto, o si abituerà al nuovo ruolo di padre? Di sicuro Faith, con Lauren, si sta allenando a fare la mamma, comprensiva e rompiscatole allo stesso tempo. La ragazza,
Adamino e la sua Rossa hanno appianato le divergenze e sembrano pronti al grande passo… sempre che lui non scappi terrorizzato dal minaccioso duo! I terribili fratelli di Monica rovineranno la loro neonata storia?
Riguardo Bridget... salutatela! Auguratele buon viaggio, perché la nostra divorziata di professione parte per la Florida! Chissà se tornerà a mani vuote, o riuscirà ad ottenere l’oggetto dei suoi desideri…
Se vi sono mancati Connie, Keithino, Robert (in tutta la sua bastardaggine) e gli altri che qui non hanno avuto spazio, non perdete i prossimi capitoli! ;-)
Grazie per la pazienza e il sostegno che mi avete dimostrato finora. Vi inondo di baci e abbracci!
Serpentina
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Espiazione ***


I’m back!
Dopo tanto tempo (chiedo umilmente perdono per il clamoroso ritardo) urge un ripasso: la nascita di baby Weil è sempre più vicina, Harry è in crisi con la moglie e Chris con Erin, restia ad accettare l’idea di un’adozione, Robert „ginecologo figo“ Patterson si barcamena tra non una, non due, ben TRE donne, invece Bridget è volata a Miami per tentare di far capitolare al suo fascino l’affascinante artista Rafael Jimenez, amico di Franz. Adamino e Nicky si sono finalmente dichiarati (per la gioia di due piccole pesti di nome Aidan e Kaori) e Keith e Connie sono sulla buona strada per dare nuova linfa vitale al loro amore.
Sono stata abbastanza breve? Sono stata esasustiva? Spero di sì. Buona lettura!
 
Espiazione
 
 
Tra l'innamorarsi e l'amare c'è molta differenza. Quando una persona si innamora non lo fa apposta: succede. Ma per amarsi bisogna sudare, soffrire, stare svegli, donarsi...
L'amore non succede. L'amore si fa.
Francesco Roversi
 
 
–Amore, se ti tradissi vorresti saperlo?
Ian Dunne, in quanto gestore di un pub, si scandalizzava raramente. Tuttavia, la sua fidanzata riuscì a fargli rischiare l’infarto con quell’unica domanda. Sobbalzò con tale veemenza da finire sul pavimento. Riemerse boccheggiando, e balbettò –M-Mi t-tradisci? E me lo dici così, nel nostro letto, senza preamboli né niente? Lui chi è? Non quel Patterson, ti prego! Chiunque, ma non lui!
Maggie strabuzzò gli occhi e lo rimbeccò –Sei pazzo? No che non ti tradisco! Sei il mio amoruccio morbidoso, non potrei mai… stiamo per sposarci, un minimo di fiducia concedimela! La mia era una innocente domanda generica!
L’uomo socchiuse le palpebre, sondando i segnali verbali e non di Maggie, quindi soffiò –Una domanda del genere non vien fuori così, tanto per dire. Si tratta forse di Harry? Erin ha detto che è una brutta faccenda, davvero brutta.
–Si tratta di Robert- pigolò Maggie, per poi mordersi il labbro, maledicendo la sua lingua lunga. “Oh, beh, ormai sono in ballo”, pensò, “Tanto vale ballare”. –Ti avevo accennato che sta uscendo con una certa Elise- lo vide annuire e concluse, evitando accuratamente il suo sguardo –Ecco, l’ho sorpreso insieme a Vanessa, la mia collega stronza. E quando ha provato a giustificarsi ho scoperto che continua a vedere anche Harper, la sorella di Harry! Oh, Ian, è terribile!
–Tre donne- esalò l’irlandese, fissando dritto avanti a sé con espressione vuota. –Tre donne! Non una, non due, tre! Come le regge? Se mi vende un po’ della sua energia, la compro volentieri!
–Ero sicura che non avresti centrato il punto! Sei un uomo, come potresti?- sbraitò l’altra, mettendosi seduta con le mani sui fianchi, scrutandolo torva. –Il problema non è quanta potenza ha nelle reni quell’idiota, ma che sta giocando con il cuore di quelle tre disgraziate!
–Amoruccio mio bello, non sei un cardiologo, come non lo è Patterson; difatti, credo che giochi con tutt’altro organo, se capisci cosa intendo.
–Ian!- ululò irata Maggie, rimettendosi distesa con le braccia conserte. –Sei incredibile! Una cerca sostegno e consigli, e si ritrova oggetto di scherno!
–Ok, la smetto. Torno serio- rispose lui, accucciandosi accanto a lei, la testa poggiata sul suo braccio. –Allora, qual è il problema? A meno che non voglia unirti all’harem del biondastro, non ne vedo! Sei forse in dubbio se far finta di nulla, oppure spiattellare tutto a Vanessa?
Maggie roteò gli occhi, esasperata. A volte il suo amoruccio morbidoso era proprio duro di comprendonio!
–Chi se ne frega di Vanessa! Se la fa con un uomo sposato e mi tratta da cani, ben le sta una supposta della sua stessa medicina! Il mio dubbio riguarda Elise. La poverina è davvero innamorata di lui: se parlassi, non solo tradirei la parola data a Robert, la farei soffrire (ammesso che mi creda); se però sto zitta, il senso di colpa mi corroderà.
–Ti conosco, Meg, non faresti mai del male intenzionalmente, perciò fai ciò che ritieni giusto. Ogni atto ha delle conseguenze, sia positive che negative, alle quali non puoi sottrarti. Agisci secondo coscienza, almeno le affronterai sentendoti nel giusto.
Rincuorata dalle parole di Ian, Maggie ritrovò parte della serenità persa e si abbandonò al sonno. Ora che aveva condiviso il fardello di quel pesante segreto con l’uomo che amava, si sentiva sollevata e più sicura della decisione maturata.

 
***
 
PanArt Gallery, NorthWest 2nd street, Miami, Florida
Clive Warren non era un mercante d’arte di successo per caso: possedeva un fiuto portentoso per gli artisti talentuosi e, ancor di più, i clienti danarosi. Gli fu sufficiente un’occhiata per stabilire che l’appariscente donna in rosso che si aggirava nella sua galleria era ricca sfondata, e, di conseguenza, attivare la “modalità salamelecchi”.
Non furono necessarie moine e convincimenti: la potenziale acquirente si diresse verso di lui con passo deciso, la falcata incredibilmente lunga in proporzione all’altezza dei tacchi delle Louboutin che indossava, sfilò gli occhiali da sole e - in una perfetta imitazione di quella che sarebbe stata Holly Golightly, se ad interpretare la parte fosse stata Marylin Monroe, secondo il desiderio di Truman Capote - celiò –Salve! Ho avuto modo, ad una mostra, di ammirare il geniale estro di Rafael Jimenez. Qualcuna delle sue opere per caso è in vendita?
Clive si fregò le mani, pregustando l’inebriante profumo dei dollari: era chiaro come il sole che la straniera - aveva riconosciuto l’accento inglese - si intendeva di arte quanto lui di botanica (cioè zero), il che significava possibilità di lauto guadagno senza tanta fatica, con la possibilità di ritoccare ad arte le cifre.
–Naturalmente! È un artista molto quotato, sa? E per quotato intendo…
–Non c’è bisogno che me lo spieghi- replicò recisamente Bridget. –Il denaro non sarà un problema: sa, sono piuttosto ricca- staccò un assegno volutamente sostanzioso e lo consegnò all’allibito gallerista. –Bastano tanti soldi?
–Eccome se bastano!- esclamò questi, salvo poi ricomporsi. –Ehm, volevo dire… ritengo la cifra adeguata, sì. È appena balzata al primo posto della mia personale classifica dei pol… clienti prediletti, carissima...
–Bridget- per comodità omise la sfilza di cognomi residuati dai matrimoni fallimentari. –Medaglia d’oro, quale onore! Conosce un posto carino qui vicino? Bisogna brindare!
–Oh, sì, le bollicine sono d’obbligo. Sento che sarà un piacere fare affari con lei, Bridget.

 
***
 
 
Al termine di una giornata di lavoro, l’ennesima, sfibrante e incolore come tutte le altre, Harry James rimise piede in casa.  Era diviso tra la gioia di rivedere i figli e il desiderio di sfuggire alla tensione che gli procurava la sola vista di sua moglie, che lo faceva sentire come se stesse camminando a piedi nudi su pezzi di vetro, taglienti schegge a lacerargli  la carne. Avrebbe preferito di gran lunga che lo trattasse come il verme che era, che gli urlasse tutta la sua rabbia per poi permettergli di discolparsi e dimostrarle quanto l’amava. Invece no, Freddie persisteva nel suo mutismo, fingendo che tutto andasse bene. Solamente nell’intimità della loro camera (sarebbe stato difficile spiegare ai bambini perché all’improvviso il papà non dormiva più con la mamma) gettava la maschera e gli riversava addosso tutta la sua delusione, ponendogli sempre la stessa domanda, una domanda la cui risposta avrebbe forse affossato per sempre il loro matrimonio: perché?
Dopo lunghe riflessioni era giunto alla conclusione che non poteva più eluderla: rispondere era obbligatorio, e chissà, forse non sarebbe stato deleterio come pensava. Poteva  farcela a riconquistare la sua Freddie. Doveva.
Si preparò mentalmente a compiere un atto di vero amore: aprire il proprio cuore alla donna che aveva sposato e gli aveva donato i piccoli capolavori che aveva messo a letto mezz’ora prima. Era in procinto di pronunciare la confessione, sperando nell’assoluzione, quando un attacco di codardia lo spinse in ritirata.
–Cosa leggi?
–‘Le Trachinie’. Una delle letture più “impegnate” che abbia mai intrapreso, ma era in allegato al giornale, e così…
–Beh, sai, è pur sempre una tragedia. I greci antichi erano maestri nel creare storie capaci di sconvolgere nel profondo, perché ritenevano terapeutico purificarsi dalle emozioni più estreme assistendo alla messinscena, in modo da vivere la vita reale con moderazione e raziocinio.
–Non è un principio sbagliato- asserì la donna, inserendo un segnalibro tra le pagine per rammentare in seguito il punto da cui riprendere –Se ci pensi bene, è la stessa ragione che ci spinge a guardare film violenti: essere attanagliati dalla paura, oppure vedere rappresentate le nostre più oscure brame, ma coscienti che è pura finzione. Comunque questa tragedia non è tragicamente noiosa come credi, tutt’altro; offre molti spunti di riflessione: Eracle torna dalla guerra con un ricco bottino, tra cui Iole, di cui si è invaghito. La moglie Deianira lo scopre e, per riconquistarlo - secondo alcuni. Per me spinta da spirito vendicativo - gli manda una camicia intrisa del sangue del centauro Nesso, che si scopre essere un potente veleno. L’eroe che ha compiuto con successo dodici fatiche con la F maiuscola muore nel più stupido e doloroso dei modi, e tutto perché ha trascurato la moglie. Che tristezza!
Harry, che stupido non era, fiutò dove Freddie voleva andare a parare, e ridacchiò –Sì, ok, c’è un innegabile nesso con quello che più o meno è successo… solo che io con Shannon non ho oltrepassato il confine del bacio e di certo non metterei a ferro e fuoco una città per averla!- un feroce dubbio si impossessò di lui. –Spero anche non fosse veleno la causa del sapore amarognolo del pollo!
–Era aceto balsamico!- sbottò lei, tradendo però nell’espressione un fugace bagliore, ad indicare che per un istante il pensiero l’aveva sfiorata. –Se mai volessi toglierti la vita, sarei più magnanima: niente atroci sofferenze, spasmi o lunga agonia; una morte rapida e quasi indolore. Il mio ultimo regalo per te. Oh, non fare quella faccia: puoi dormire tranquillo, non ho istinti omicidi… al momento. Ah, accidenti! Sto divagando, e non è mia intenzione: vorrei continuare la lettura e dobbiamo alzarci presto domattina, è un giorno feriale. Cercherò di essere breve: credo che Dejanira non amasse il marito.
–Ma se arriva al punto di perdere la ragione e affidarsi a filtri magici, pur di sottrarlo alla rivale!
–Primo: la rivale non è una vera rivale; chi ti dice che Iole lo volesse? Magari era una vittima! Proprio per questo motivo sono convinta che in realtà la moglie lo odiasse- asserì Freddie, una lieve nota tremolante nella voce. –La gelosia non è amore perché tira fuori il peggio dalle persone. Ti trasforma in un egoista, e l’amore non è mai egoista. Quando sei innamorato, vuoi che l’altro sia felice… anche se non con te. Se ami davvero, dal profondo del cuore- non riuscì a completare la frase: scossa dai singhiozzi, si asciugò frettolosamente le lacrime e aggiunse –Scusa. Mi dispiace, ce l’ho messa tutta per non piangere. Ho persino fatto le prove davanti allo specchio! Patetico, adesso che ci penso, ma non avevo la lucidità necessaria a realizzarlo prima. Meglio che vada dritta al punto, o rischio di scoppiare in lacrime ed emettere un piagnucolio incomprensibile: se ami qualcuno… lo lasci andare. E io ti amo, Harry. Abbastanza da lasciarti andare, se ti rende felice.
Un gesto può valere più di mille parole, e l’abbraccio al limite dell’asfittico in cui il radiologo strinse la sua Freddie le valeva, eccome se le valeva! Ricacciò indietro le lacrime con grande fatica, soltanto per non bagnare gli occhiali.
–E io amo te, Freddie. Abbastanza da non volerti lasciar andare, mai. Perdonami per averlo dimenticato, sebbene per pochissimo- si staccò a malincuore da lei e le baciò la fronte. –Sappiamo entrambi cosa ci ha allontanato. Se e quando te la sentirai, credo dovremmo parlare di…
–Michael- finì per lui. –Lo so, è ridicolo che gli avessi dato un nome senza conoscere il sesso, ma la verità è che non mi importava: per me era Michael, punto e basta, e come Derek ed Emma l’ho amato dal primo istante… sino all’ultimo.
–Anch’io, e, come te, non riuscivo ad accettare di non averlo potuto conoscere. Una piccola parte di me fatica ad accettarlo ancora adesso. Quello che mi fa più rabbia, però, è che ti sei chiusa a riccio, escludendomi dal tuo dolore, invece di condividerlo con me. Come se non contassi niente. Come se non fosse anche mio figlio. Ero bisognoso di comprensione e...
–Alla disperata ricerca di un po’ di evasione.
–Sono stato uno stupido.
–Vero. Un coglione di prima classe! Ma mi fido di te, voglio darti fiducia e lasciarci pian piano questa brutta storia alle spalle- chiocciò Freddie, posò un bacio delicato sulle sue labbra, quindi concluse, strattonandolo –Ma che non si ripeta. L’unica donna che ti permetto di baciare, a parte me, è nostra figlia! Vedi di rigare dritto, d’ora in poi, o potrei riconsiderare il veleno!

 
***

Bay Shore Terrace, Bay Shore, Miami
–Chi sarà a quest’ora?- si chiese Bridget; aveva salutato Clive Warren da poco meno di dieci minuti, al termine di una cena luculliana e un dopo cena a base di salsa a Little Havana. Non conoscendo nessuno in città, aveva approfittato volentieri della sua compagnia per fare nuove amicizie. A modo suo - e di certo non in maniera disinteressata - era galante e affascinante, tuttavia aveva declinato con fermezza le discrete avance ricevute, ulteriore prova dell’interesse per Rafael. La vecchia lei avrebbe sicuramente ceduto alla tentazione, burlandosi delle reprimende della coscienza - una coscienza con la voce, guarda caso, di Abigail - ma la sua nuova coscienza parlava con la voce di Faith, una bussola morale con cui c’era poco da scherzare. Aperta la porta d’ingresso all’inatteso visitatore notturno non ebbe il tempo di stupirsi della sua identità che questi le aveva già ringhiato contro.
–Se cerchi un gigolò guarda sull’elenco telefonico, stecchino!
–Non sono uno stecchino- rispose lei, impassibile. –Buonasera, Rafa, che bella sorpresa! Io sto bene, grazie, Miami mi ha riservato una calorosa accoglienza. Prego, accomodati nel mio pied-à-terre- l’artista non si schiodò di un millimetro, inarcò un sopracciglio e strappò davanti ai suoi occhi l’assegno. Bridget non si scompose, anzi, ostentò indifferenza. –Mi toccherà compilarne un altro. Che spreco di carta! Credevo ti stesse a cuore la salvaguardia del pianeta!
–Allora non capisci- ruggì Rafael. ­­–Non sono in vendita!
–Tu. Le tue opere sì, però- ribatté Bridget, sorridendogli sorniona.
–Sappiamo tutti e due que non sono quelle a interesarte.
–Perché ti butti giù così? Su con l’autostima, cariño, l’autocommiserazione è una pessima pubblicità!
–Smettila de scherzare! Se il tuo piano è de sborsare un mucchio de soldi per farme venire a letto con te…
–Sarebbe sulla buona strada per ottenere frutti. In caso non l’avessi notato sei sulla soglia di casa mia, ossia più vicino al mio letto di quanto tu non sia mai stato- miagolò Bridget. –Credici o no, per una volta il sesso non è contemplato. Volevo semplicemente vederti, e quale modo migliore per smuoverti che farti infuriare? Sapevo che pagando a caro prezzo i tuoi lavori ti avrei attirato qui, sul piede di guerra. Mi sarò sottoposta a qualche ritocchino, ma il cervello non è di plastica.
Ametendo que te creda… cosa vuoi?
–Che provi a liberarti dei pregiudizi su di me. Preferisci le donne taglia balena… ehm, volevo dire, taglia Faith… cioè, uhm, esageratamente, ergh, formose, acqua e sapone, e io non lo sono. Questione di gusti. Neanche tu corrispondi al mio ideale di uomo! Però mi piaci molto, tanto da raggiungerti oltre l’Atlantico e sorvolare sul tuo conto in banc… ehm, i tuoi difetti. Credi di poter fare lo stesso? A Londra hai visto una capra totalmente ignorante in arte, ma non è che un lato di me! Ti assicuro che le mie passioni non includono soltanto cura del corpo, abiti e accessori di lusso, feste e macchinoni.
Por ejemplo?
–Per esempio… mi piace leggere, adoro i musical, le passeggiate nella natura e - imbarazzo a mille - gli autoscontro dei luna park!
La risata di Rafael echeggiò nel corridoio vuoto finché non si accorse dell’indignazione di Bridget.
Madre de Dios! Sei seria!- esalò, sconcertato; era convinto avesse snocciolato una lista di interessi fasulli per irretirlo, invece era sincera!
–Dannatamente seria. So che c’è un luna park stupendo a Collins Park. Ti andrebbe…?
–In fondo non ho niente da perdere- concesse lui, scrollando le spalle. –Domani sera?

 
***
 
Ad ogni occasione possibile, Connie Bishop univa l’utile (la promozione dei suoi gialli) al dilettevole (gonfiaggio dell’ego e, perché no, opinioni di prima mano sul suo lavoro). In questo particolare caso, aveva unito all’utile anche il dilettevole di una trasferta nella Grande Mela.
–“Cassie sollevò lo sguardo sui volti sgomenti che la circondavano. Non si capacitava che Kenneth Bride, lo stesso Kenneth Bride col quale aveva discusso fino a pochi minuti prima, lo stesso Kenneth Bride che le aveva fornito una miriade di spunti per il suo articolo, giacesse sulla barella appena passata davanti ai suoi occhi, coperto da un telo. La polizia, nella persona del tenente Clay, si adoperò nel riportare la calma e i presenti nell’edificio, in attesa di rispondere alle domande di routine. La giornalista, che aveva assistito al decesso, ci avrebbe scommesso: quell’uomo era stato assassinato. Troppo furbo e familiare con l’ambiente per essere vittima di una tragica fatalità, troppo sprezzante e attaccato alla vita per rinunciarvi anzitempo. Tuttavia, durante l’interrogatorio, non lasciò trapelare quelle considerazioni, presto sostituite dalla domanda più ovvia e, al contempo, più spinosa: chi è stato?” Fine del primo capitolo. Ci sono domande? Critiche?
Critiche, con suo enorme sollievo, no… ma domande sì, e tante! Solo la cortese risolutezza di Calliope Thompson in White, proprietaria della libreria dove aveva letto in anteprima il seme di un nuovo romanzo, ‘Fashion victim’, poté far sì che l’incontro non si protraesse fino a notte inoltrata. Il tempo di un’ultima bevuta - il famoso bicchiere della staffa - e di quattro chiacchiere tra colleghe con Liza White, cognata di Calliope, e tornò in albergo.
–Spero non abbia intenzione di trascinarmi in giro per locali, sono sfinita!- urlò, rivolgendosi al compagno (nonché figlio del suo editore), Keith Allen, il quale rispose con uno sbadiglio e l’invito a raggiungerlo nel letto king size della suite. –Mi fa pure male il polso!
–Anche a me- rispose maliziosamente Keith, allungando un braccio per cingerle il fianco. –Ma per un motivo completamente diverso. Ti ho pensata tanto, oggi.
Connie si finse oltraggiata, sebbene, in realtà, si sentisse lusingata; Keith le aveva dato ascolto, stava finalmente abbandonando la lente del ricordo per guardarla con occhi nuovi e trattarla come desiderava: da donna.
–Maiale!- ululò, colpendolo al torace. –Ti sembra una cosa da dire alla tua fidanzata?
–Non ci trovo nulla di male- ribatté lui, serafico. –Piuttosto, invece di lamentarti, ringrazia di essere tu nei miei pensieri, invece della nuova testimonial di Victoria’s Secret!
–È una gran figa. Ti do ufficialmente il permesso di fantasticare su di lei… se mi permetterai di sognare sconcezze sul boscaiolo erotico della pubblicità della carta assorbente!- esalò Connie, avvicinandosi a lui per ricoprirgli il collo di baci. –Oppure - secondo me la miglior scelta - potremmo fare porcherie qui e adesso, io e te.
–Non eri sfinita, Ciambellina sexy?
–Non abbastanza. Poi il sesso concilia il sonno, e domani ci aspetta una giornata pienissima.
Keith represse i bassi istinti e le bloccò le mani per non distrarsi mentre entrava in una parte a lui poco congeniale: il “grillo parlante”.
–A questo proposito, Connie… ti pregherei di ripensarci. Asportare una cicatrice non è come grattarsi via una crosta, il tasso di complicanze legate alla procedura è alto. Non ne vale la pena!
–Ripensarci? Neanche morta!- latrò la scrittrice, divincolandosi. –Da anni subisco occhiate di compassione e/o disgusto, domande che definire indiscrete è un eufemismo e commenti simili a quello dei bambini di Liza. Sono stufa, Keith! Stufa!
–Santo cielo, non ti sarai persuasa a sottoporti a un intervento di chirurgia plastica solamente per una stupida battuta!
–La bambina - Jane, mi pare si chiami - mi ha chiesto perché tengo sempre coperto il braccio sinistro, e Stephen, quello con gli occhi scuri e l’aria da primo della classe, ha risposto che sono una Mangiamorte. Una strega cattiva, ecco come mi vede il resto del mondo. Non posso andare avanti così!
Esasperato, il biondo le afferrò il braccio incriminato e se lo portò davanti al viso, così da costringerla a posarvi lo sguardo. Ovviamente Connie si oppose, chiuse gli occhi e lo supplicò di lasciarla libera, ma lui non desistette, anzi, tuonò –Adesso basta! Guardati! È soltanto una cicatrice! D’accordo, è grossa e brutta, ti trancia l’avambraccio da parte a parte, ma è chiara, pochissimo visibile, e credo che, se la mostrassi con naturalezza, la gente ci farebbe l’abitudine.
–La gente… forse. Io mai. Non la reggo, voglio che sparisca!
–Perché? Cos’è che ti spaventa tanto? È un misero accumulo di collagene, non dargli tutta questa importanza!
–È un marchio d’infamia- pigolò Connie, raggomitolandosi su se stessa. –Mi ricorda costantemente la mia colpa: se avessi impedito a Vyvyan di guidare sarebbe ancora vivo!
Keith le prese entrambe le mani e rispose, in tono grave –Hai sofferto più di tutti, lo so, ma il lato positivo sono i cambiamenti che ciò ha comportato, i progressi compiuti: sei passata da - senza offesa - secchioncella viziata e sfigata a scrittrice di successo, donna forte e, beh… decisamente non sfigata. Vyv era il mio migliore amico, l’ho pianto a lungo, però siamo onesti: se l’è cercata. Non hai niente da rimproverarti, hai tentato in tutti i modi immaginabili a tenerlo lontano dal volante, ma no, il coglione non si fidava delle femmine alla guida, nemmeno se lui si era sbronzato di brutto perché non sopportava che lo avessi mollato per me! Hai rischiato la vita pur di non lasciarlo solo, cos’altro avresti potuto fare? Superpoteri per far levitare l’automobile non mi pare ne avessi.
–Non pensi che, liberandomi della cicatrice, i brutti ricordi andrebbero via insieme ad essa?
–Se ne andrebbe anche una parte di te, Ciambellina. Forse la migliore. Puoi rinunciarci senza rimpianti? Io no.
Intuendo che le parole non sarebbero bastate, percorse quella linea storta che si dipanava dal gomito al polso con una scia di baci.
–Una donna si innamora di un uomo sperando di cambiarlo, ma lui non cambierà. Un uomo si innamora di una donna sperando che non cambi, invece cambierà. Ecco, spero che almeno questa rimanga sempre uguale.
– La massima di Cyril potevi risparmiartela - chiocciò Connie, attirandolo sopra di sé. –Mi avevi già convinta con i bacetti. Ora, però, dacci dentro, voglio vantarmi con Nicky di aver fatto davvero di tutto a New York!

 
***

“Non sono paranoica. Né patetica. Né di poca fede”, si ripeteva Elise mentre saliva a due a due i gradini che la separavano dall’appartamento di Robert. “Al contrario, ho tanta fiducia in lui da volermi fare due risate alla faccia di Maggie e dei pettegoli malevoli che le hanno messo la pulce nell’orecchio! Credano cosa gli pare, non sto facendo una visita a sorpresa a Robert perché credo all’assurda calunnia che mi tradisce, tutt’altro! Voglio smentirli! Quanto dev’essere triste la loro vita, se non hanno di meglio da fare che gioire delle disgrazie altrui o, in mancanza, inventarsele di sana pianta!”
Sbuffò una risatina e pensò a quale scusa propinargli per giustificare la propria presenza. –Potrei sempre dire che voglio una visita privata alle mie parti private: se dovesse prevalere il ginecologo, mi beccherò un controllo gratis, altrimenti… beh… Maddie mi rivedrà direttamente domattina per la passeggiatina!
Respirò a fondo tre volte, prima di decidersi a bussare. Robert le aprì in mutande; normale, data l’ora, era plausibile stesse dormendo. Furono l’aria colpevole e i modi sbrigativi con cui cercò di metterla alla porta a perplimerla.
–Ma come? Per telefono prometti il paradiso a luci rosse, invece dal vivo sei troppo stanco persino per il bacio della buonanotte?
–Parlare stanca, e io sono stanco morto, perciò, se potessi, uhm, evaporare…
Una persona minimamente diffidente si sarebbe immediatamente insospettita; non Elise: nutriva una fiducia quasi cieca nel genere umano ed era abituata agli sbalzi d’umore di Robert “primadonna” Patterson. Si limitò a ad aprire la porta e ridacchiare –Ok. Sogni d’oro, ti voglio bello carico domani! Sai, se non fossi fermamente convinta della tua redenzione, potrei pensare che c’è un’altra donna!
–E faresti bene- sibilò Vanessa, apparendo in tutta la sua boria, coperta il minimo indispensabile. –Se non fosse ipocrita, esimio collega, mi offenderei: usarmi come svuota-palle mentre fai il cascamorto con questa biondina scialba!- ignorò le facce esterrefatte di Elise e Robert –Immagino che questa sia la fine dei giochi. Un vero peccato, sei bravo a letto. Pazienza, mi consolerò con gli altri due!
–Due?- esclamò il ginecologo. –Chi ti scopi, oltre Brenner?
–Jordan. È simpatico e molto volenteroso, se capisci cosa…
–È uno studente!
–È maggiorenne- sputò risentita Vanessa, prima di rivestirsi e andarsene. –Anche alle donne piace la carne fresca, dottor Patterson! Ci vediamo al lavoro.
–Se le piace tanto il pene, avrebbe dovuto fare l’urologa!
–Non è divertente- ringhiò Elise, spintonandolo. –Mi hai tradita! E umiliata! Vorrei avere la forza di picchiarti a sangue! Ringrazia che non abbia portato Maddie con me, o avresti visitato il Pronto Soccorso da paziente!
–Ehm… non vuoi almeno sentire le mie ragioni?
–Quali ragioni? Niente può giustificare quello che hai fatto!
–L’ho fatto per te!- gridò Robert in sua difesa. –Per diventare l’uomo che meriti! Non ce l’avrei mai fatta a cambiare di colpo, invece disintossicandomi dai vizi passo dopo passo…
Il tentativo non andò a buon fine: Elise, a differenza di qualsiasi eroina romantica, non fu minimamente toccata da quell’affermazione, che semmai accrebbe la sua ira.
–Mai sentito nulla di più stupido… e io lavoro in un asilo!- sbraitò. –Credo di non averlo mai detto, perché ho sempre sostenuto che c’è speranza per chiunque, che perfino Roddy, il bambino che ruba i giocattoli e infila i pastelli nelle orecchie dei compagni per il gusto di vederli piangere, ha del buono (ben nascosto)… non tu, Robert Patterson! Tu sei senza speranza.
Più assonnato che deluso, ferito, o arrabbiato (non era la prima volta che qualcuno lo definiva, direttamente o indirettamente, marcio dentro), tornò sbadigliando a letto, dove scivolò tra le braccia di Morfeo dopo un’unica, egoistica lamentela: –Che palle! Odio dormire da solo!
 
Nota dell’autrice:
Non basterebbero tutti i grazie del mondo per rendervi merito. Grazie di cuore a chi continua a leggere e apprezzare “Dr. Irving”, grazie a chi ha resistito alla lunghissima attesa, in particolare Calliope S (che mi ha prestato ancora una volta la sua Callie, protagonista di "Quando meno te l'aspetti"), DarkViolet92 ed elev, che hanno recensito lo scorso capitolo, e andry15, Hanna Sophie Lewis, irisbjorn, Nadaesparasiempre e SerenaTheGentle, che hanno inserito BB tra le seguite/ricordate/preferite. Spero di non avervi deluse e di non deludervi col finale, alias il prossimo capitolo.
Baby Weil in arrivo! ;-)
Bacioni!
Serpentina
Ps: come giudicate Maggie? Ha fatto bene ad aprire gli occhi a Elise, o avrebbe fatto meglio a star zitta? E Connie e Keith? Non sono un amore? Competono con Harry e Freddie per il titolo di coppia più zuccherosa! XD Dite la verità: siete contenti, o speravate in un altro finale per i personaggi?
 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Sweet child of mine ***


Chi non muore si rivede! Dopo anni di blocco creativo, rieccomi con la (spero) degna conclusione di questa storia.
Ringraziate i Pinguini Tattici Nucleari per questo capitolo, che ha visto la luce con “Ringo Starr” in loop a fomentare la mia vena creativa.
Siete pronti a salutare Faith&co? Ma, soprattutto … siete pronti a conoscere baby Weil? Se sì, non indugiate oltre e buona lettura, altrimenti siete pregati di tornare al capitolo precedente per un breve ripasso.
Grazie per la pazienza, spero che quanto state per leggere sia valso l’attesa.
 
Sweet child of mine
 
Nascere è ricevere tutto l’universo in regalo.
Jostein Gaarder

 
Aprile aveva portato con sé un clima autunnale, rendendo difficile pensare che l’estate sarebbe davvero arrivata, quell’anno.
Faith, ormai al termine della gravidanza, si sentiva sopraffatta da un misto di ansia e frustrazione; ansia per il parto imminente e frustrazione per le eccessive premure, ai limiti dell’ossessivo, di Gertrud e sua madre, che apparivano ancor più soffocanti, in contrasto con l’evasività di Franz: rincasava tardi sempre più spesso, era diventato estremamente guardingo e possessivo nei riguardi del suo computer e del cellulare, e, segnale ancor più allarmante, neanche Chris, Harry e Robert avevano idea di cosa combinasse dopo il lavoro.
Avrebbe mentito a se stessa se avesse negato di provare un briciolo di paura. Voleva fidarsi di lui, anzi, doveva, o la loro vita insieme sarebbe stata destinata a crollare dalle fondamenta; tuttavia, non riusciva a liberarsi del tarlo del sospetto: che stesse meditando di nuovo la fuga? Che stesse cercando “distrazioni” altrove?
All’ennesimo tentativo di eludere le sue domande, seguito dalla patetica promessa di spiegarle tutto a tempo debito, Faith, in un impeto di rabbia, aveva minacciato di ucciderlo, se mai avesse scoperto che la tradiva.
–E so che tu sai che saprei farlo passare per un tragico incidente.
Franz ne aveva riso, acuendo la sua ira; da allora, per fargli dispetto, nonché per dimostrare che essere incinta non la limitava in (quasi) alcun modo, aveva iniziato a dedicarsi ad attività poco raccomandabili per una donna alla trentottesima settimana di gestazione.
Al rientro da una delle suddette attività (per la precisione, un’udienza in tribunale), trovò ad aspettarla sul pianerottolo di casa una Lauren sull’orlo della disperazione.
L’aveva fatta accomodare sul divano e, mentre preparava del tè, sforzandosi di ignorare le erratiche fitte al basso ventre che la tormentavano dalla mattina, aveva cercato di capire il motivo del suo malessere. Lauren, tuttavia, non si mostrò molto collaborativa, limitandosi a rigirare la tazza di tè tra le mani e a rispondere a ogni domanda con monosillabi o sospiri.
La Irving rimase immobile, scrutandola con quella che sperava fosse un’accettabile imitazione delle occhiatacce di Franz, capaci di raggelare persino sua madre (il che era davvero tutto dire), nella speranza di risultare abbastanza intimidatoria da farle aprir bocca. Con ottimismo forse esagerato, si disse che questa era un’occasione per mettersi alla prova come madre: il pupo non sarebbe rimasto tale per sempre, e, una volta raggiunta l’età cosiddetta “difficile”, si sarebbe trovata a combattere contro il mutismo di un adolescente in piena tempesta ormonale; tanto valeva fare pratica. Dopo una breve riflessione, decise che forzare Lauren a parlare non fosse la migliore strategia; meglio indurla a farlo sfidandola ad una gara di silenzio e sguardi torvi.
Incredibilmente, la tattica funzionò.
–Mi prometti che, se ti dico cosa ho combinato, non mi farai la predica?
Faith sbuffò una risatina, malamente camuffata da colpo di tosse.
–Solo se mi prometti che non mi farai la predica per essere andata in tribunale in metropolitana, e non in auto come avevo promesso a Franz.
Dopo un altro paio di minuti di silenzio assoluto, Lauren finalmente vuotò il sacco.
–Io, ecco… sto pensando di … gettare la spugna. Sì, insomma … lasciare medicina.
–Tu cosa?- ruggì la leonessa nell’animo della Irving. –Dopo tutto lo studio e i sacrifici? Sei stata lobotomizzata, non c’è altra spiegazione! Ascoltami bene: hai tutte le carte in regola per diventare un ottimo medico, non puoi lasciarti abbattere da quel decerebrato di Fraser! Sì, decerebrato. Proprio non capisco come faccia Franz ad adorarlo!
Lauren soppresse un risolino e l’impulso di farle notare le similitudini caratteriali tra Franz e Sebastian.
–Sebastian, incredibile a dirsi, non c’entra- esalò. –È per ieri. Ho avuto una giornata di merda.
–Posso immaginare. La notizia del deragliamento in metropolitana era su tutte le testate e i canali televisivi: BBC news ha mandato in onda le operazioni di soccorso in diretta. Per questo Franz mi ha imposto di usare la macchina o i taxi. Trenta vittime, se non vado errata. Una vera catastrofe. In Pronto Soccorso avrete avuto un bel daffare!
A Lauren tremarono le mani; posata la tazza vuota sul tavolino per evitare incidenti, esalò –Trentacinque estratti senza vita da quel che restava del treno. Il bilancio è salito di parecchio con i morti in ospedale. È già difficile veder morire un paziente, ma lasciarli andare così, senza lottare …
A poco più di due settimane dall’ufficializzazione del cambio di reparto per il tirocinio, l’iniziale paura di non reggere alla pressione di un ambiente frenetico come il Pronto Soccorso era stata sostituita da una sorta di dipendenza dalla scarica di adrenalina che solo il salvataggio in extremis di vite umane poteva procurare. Certo, in alcune giornate aveva a malapena tempo di respirare, ma le piaceva, eccome se le piaceva! Lontano da Sebastian e i suoi indegni compari poteva dare il meglio di sé, ed era lieta che, a differenza di Franz, il suo nuovo tutor, il dottor Geller, l’avesse sin da subito “gettata nella mischia”. Lavorando fianco a fianco, aveva imparato a conoscerlo e ad ammirarne il sangue freddo; perciò, quando lo aveva visto correrle incontro, ansante, aveva capito che la situazione era grave.
–Quigley, muoviti, c’è bisogno di te! Incidente in metro, pare sia deragliato un treno. Siamo l’ospedale più vicino, manderanno qui la maggior parte dei feriti.
–È terribile!- aveva esclamato, pregando che tra le vittime non figurasse nessuno che conosceva. –Posso rendermi utile?
–Non sarei venuto a reclutarti, altrimenti. Siamo a corto di personale, nel mentre che arrivano i colleghi richiamati in servizio, mi aiuterai a triagiare i pazienti.
Mentre percorrevano il corridoio che portava alla sala di accettazione, Lauren aveva trovato il coraggio di dare voce alle proprie paure.
–Io … non so se sono pronta.
La sua risposta non era stata confortante come sperava.
–Vedi di diventarlo in questi … trenta secondi che ci separano dal delirio, la tua paura può fare la differenza tra la vita e la morte per parecchie persone. Intanto, ti spiego come funziona: nei casi di catastrofi di questa portata, per ovvie ragioni le priorità cambiano: la rapidità è essenziale, il campo dei pazienti effettivamente bisognosi di cure si restringe di molto. Per fartela breve: chi sta “troppo bene” - codice verde - e chi sta “troppo male” - codice nero - non merita la nostra attenzione. I nostri sforzi vanno concentrati sui codici gialli e rossi, quelli messi male, ma che possono farcela. Chiaro?
–Perdoni la domanda stupida: in che senso “troppo bene” e “troppo male”?
–Chi è cosciente e in grado di reggersi in piedi, avesse anche una frattura di femore, è un codice verde, rimane in corridoio ad aspettare. Quelli con minime probabilità di sopravvivenza, nonostante le cure, invece … beh, puoi facilmente immaginare dal codice colore il loro destino.
Lauren si bloccò in mezzo al corridoio, atterrita.
–Si lasciano lì, a morire?
–Non si lasciano lì a morire, vengono sedati per farli soffrire il meno possibile- aveva spiegato il dottor Geller, prima di lanciarle una confezione di siringhe di morfina. –Oh, non fare quella faccia! In situazioni del genere, si deve ragionare in termini di chance di sopravvivenza: non si può rischiare di perdere chi può farcela per curare chi è spacciato!- le aveva aperto la porta e, dopo un respiro profondo, aveva esclamato –Coraggio, andiamo a giocare a fare Dio!”
–Oh, cielo, Lauren! Non mi sorprende che tu sia sconvolta!- pigolò Faith, per poi precipitarsi ad abbracciarla. –Ti è capitato …?
–Tre codici neri- singhiozzò lei. –Non ho voluto conoscere i loro nomi. Sai, speravo sarebbe stato po’ più facile… - non riuscì a finire la frase; stretta nell’abbraccio consolante di Faith, si lasciò andare a un pianto liberatorio. –Stanotte non ho chiuso occhio; ho vomitato, urlato nel cuscino … mi sento male, Faith. Perché sto così male? Nessuno degli altri l’ha presa così male. Forse non sono adatta a fare il medico.
–Osa ripeterlo, e mi arrabbierò. Vuoi far arrabbiare una donna incinta? È questo che vuoi?- sbottò Faith, ricevendo in risposta un cenno di diniego. –Ecco, appunto. Ti svelo un segreto: sai perché ho deciso di diventare patologa? Perché ho capito che la medicina è una lotta senza quartiere, che si finisce col perdere sempre: tutti dobbiamo morire, si sta solo rimandando l’inevitabile … e non ho mai avuto la forza di lottare contro un nemico invincibile. Tu sì. La forza è potente in te. Pensa a te stessa come a un cavaliere senza macchia e senza paura, dalla candida armatura in cotone! Devi soltanto liberarti di un po’ di … umanità in eccesso. È quella a causarti tanto dolore. Non dico di diventare una specie di sociopatica maltratta-pazienti e sforna-diagnosi a macchinetta, però necessiti di sviluppare il giusto distacco dalla componente emozionale del lavoro. Tranquilla, a questo provvederà l’abitudine: vederne di tutti i colori, inevitabilmente, porta ad indurirsi almeno un po’.
Sul viso di Lauren comparve la pallida imitazione di un sorriso.
–Grazie, Faith. Mentirei se dicessi che sto bene, però mi hai davvero aiutata a sentirmi meglio.
–Prego. Ora, vorresti essere così gentile da aiutarmi a raggiungere il letto? Non mi sento molto bene. 
 
***
 
Recuperate le forze, Faith, dopo essersi assicurata che Lauren se ne fosse andata, si recò alla vicina fermata della metropolitana, in barba alle raccomandazioni di Franz, e raggiunse l’altra casa Weil.
Ignorando le fitte al basso ventre, sempre più dolorose e ravvicinate, spinse da parte Alexander, che le aveva aperto la porta tutto sorridente, e si fece strada nell’appartamento sbraitando –Lui dov’è? Non c’è, vero? Avrei dovuto immaginarlo! Quel pezzo di merda infestata dalle mosche, quel maledetto figlio di …
–Ti ricordo che è anche mia madre- ridacchiò il maggiore dei fratelli Weil. –Non vorrai offendere in un colpo solo la nonna e lo zio preferito di tuo figlio!
–Tuo nipote rischia di crescere senza padre, sappilo. Quel bastardo! Aveva detto di trovarsi qui- sibilò Faith, più che mai simile a un serpente a cui hanno toccato la coda. –Me la pagherà, fosse l’ultima cosa che faccio!
–Franz, dici? In effetti, mi ha detto che sarebbe passato, dopo aver … ehm, sì, insomma ... fatto quel che doveva fare. Una questione della massima importanza.
–Una questione di sicurezza nazionale, a giudicare dal livello di segretezza- sputò la Irving, fulminando con lo sguardo Alexander. Vinta dai dolori e dalla spossatezza, si accasciò sul divano e pigolò –Senti, Alex, so che si tratta di tuo fratello, che gli vuoi bene e gli sei leale, ma … me lo diresti se volesse lasciarmi, vero? O se avesse … un’altra?
Alexander soppesò accuratamente le parole, prima di rispondere: se Faith era suscettibile almeno la metà di Serle, una virgola fuori posto e sarebbe esplosa l’atomica.
–È questo che pensi? Seriamente? Hai un’alta opinione meinem kleinen Bruder!  Franz ha i suoi difetti, ma non andrebbe mai con altre solo perché adesso sei taglia mongolfiera, è troppo … beh, lo sai com’è- assunse un’espressione seriosa e sprezzante, che su di lui risultò talmente buffa da strappare una risatina a Faith. –Non lo farei io che, secondo mia moglie, ho la maturità di un bimbo di due anni, figurati lui!
–Mettiamo per un attimo che io ti creda: se Franz non mi sta facendo diventare un Minotauro al femminile, cosa sta combinando?
–Mi dispiace, ho giurato di mantenere il segreto. Posso solo dirti che è una sorpresa … per te.
–Sei un ottimo illusionista, ma un pessimo bugiardo, Alex. Ok, mi hai convinto - esalò Faith, prima che il suo organismo si ribellasse: al dolore addominale, ormai lancinante, si erano aggiunti nausea, brividi e sudorazione fredda. –Scusa per l’irruzione, mi sento una deficiente! Meglio che torni a casa. Potresti accompagnarmi? Non mi sento molto bene.
–Lo
vedo! Che hai?
–Mal di pancia, e … brividi … ho freddo, ma sto sudando. Sento che sto per svenire.
Un campanello d’allarme risuonò nella testa di Alexander. Le si accucciò accanto e le chiese –Da quanto hai mal di pancia?
–Stamattina. È andato aumentando d’intensità. Sarà qualcosa che ho mangiato … Ehi! chi è il medico, qui?
Alexander rise di cuore a quel moto di orgoglio di categoria, per poi replicare –Tu. Anche se meriterei la laurea honoris causa, dato che mi sono accorto prima di te che sei in travaglio. Oh, sì, cognatina cara, non è il tuo intestino che scalpita, è il mio primo nipote!- a fatica, la issò in piedi, si mise un braccio sulle spalle e la trascinò verso la porta. –Coraggio, ti porto in ospedale.
 
***
 
Aveva sperato di farla franca, che il suo piccolo segreto restasse tale, anche grazie all’aiuto di Alexander, il suo alibi nei mesi addietro. Contava di rivelare tutto quanto a Faith quella stessa sera, magari nell’intimità della loro camera, in modo da poter “celebrare” adeguatamente il suo successo. Per sua fortuna, la gravidanza l’aveva resa particolarmente focosa.
Per evitare di essere disturbato o, peggio, scoperto, aveva spento il telefono. Appena lo aveva riacceso, era stato letteralmente inondato di messaggi e avvisi di chiamate perse: sua madre, suo fratello, Serle, i genitori di Faith, i suoi amici … persino Abby!
Scorrendoli velocemente, aveva capito che Faith si trovava in ospedale, circondata dai suoi cari, e che all’appello mancava solo lui. Naturalmente, non ci aveva pensato due volte, prima di correre da lei.
Scheiße!- esclamò, mentre faceva la gimkana tra i pedoni verso il Queen Victoria Hospital, maledicendosi per aver lasciato a casa la Harley, utilissima per sgusciare nel traffico, ancor più caotico dopo l’incidente che aveva portato alla chiusura di due linee della metropolitana.
Una volta appreso in quale reparto fosse ricoverata Faith, dall’ansia aveva salito a due a due i gradini dei tre piani che lo separavano da lei. L’ansia diventò panico quando vide Robert corrergli incontro in tenuta chirurgica, col camice e la mascherina sporchi di sangue.
–Congratulazioni, Husky! Che fortuna averti beccato, ci tenevo ad essere il primo a dirtelo!
Franz lo ringraziò, ritraendosi schifato quando l’amico provò ad abbracciarlo.
–Neanche per sogno! Ti sei visto, Patty? Vatti a cambiare e forse ti concederò l’onore di un abbraccino!
Robert si accigliò, ma poi, realizzato di sembrare Hannibal Lecter dopo aver pasteggiato a fegato e un buon Chianti, scoppiò a ridere.
–Oh, questo. Dovresti vedere in che stato è la Meigs!
–È di Faith?- ruggì Franz. –Quanto sangue ha perso? Che cazzo avete combinato, razza di macellai?
–Tranquillo, siamo intervenuti tempestivamente per arrestare il sanguinamento. Un po’ ce l’aspettavamo, la placenta posteriore sanguina sempre parecchio durante il secondamento, ma Faith ha battuto ogni record! Dopo due sacche di sangue aveva 9 di emoglobina.
–È un valore basso. Sicuri di aver bloccato ogni possibile fonte di sanguinamento?
–Partiva da 6, in termini di incremento relativo 9 non è poi così basso. In ogni caso, la  neo-mammina non si muoverà da qui: la terremo in osservazione per 24 ore, pronti ad ogni evenienza, poi si vedrà.
Rassicurato sulla salute di Faith, Franz potè concentrarsi su altro.
–Il … bambino, invece? Come … come sta?
Robert sgranò gli occhi, convinto di aver sentito male: Franz non poteva essersi davvero interessato al neonato, non era da lui!
L’arrivo di Harry e Chris, entrambi eccitatissimi, gli fornì l’occasione per svignarsela a indossare abiti civili, o, quantomeno, puliti.
–Alla buon’ora, Husky!- lo rimproverò Harry. –Si può sapere dov’eri finito?
–Congratulazioni, vecchio mio!- esultò Chris, soffocandolo in un abbraccio affettuoso. –Mini-Franz è un fagottino adorabile!
–Non è proprio un mini-Franz, Chrissino … anche se devo dire che ti somiglia- annuì Harry, felice come se si trattasse della nascita di un figlio suo.
–Vuoi
vederla?
–Veder … la?
Il cuore di Franz mancò un battito. Aveva una figlia! F-I-G-L-I-A! Un esserino totalmente dipendente e bisognoso di cure che racchiudeva una parte di lui e una parte di Faith. Non riusciva a capacitarsi di essere stato catapultato in questa nuova avventura: era diventato padre. Lui! Doveva esserci un errore. I primogeniti Weil erano maschi da almeno cinque generazioni, e poi … davvero erano trascorsi nove mesi? Così, in un soffio? Sembrava ieri che Faith gli aveva annunciato di essere incinta, e lui, da emerito deficiente, aveva imboccato l’uscita, rischiando di perderla per sempre. Com’era possibile? Si guardò intorno, quasi aspettandosi di veder saltare fuori un cartello con la scritta “Candid Camera”, ma l’entusiasmo di Harry e Chris era troppo esplosivo e genuino per poter pensare a uno stupido scherzo dei loro.
–Oh, sì. L’ultima volta che ho controllato, era decisamente una femminuccia- disse Helen Gardiner, la pediatra amica di Faith. –Normopeso e perfettamente sana, in caso te lo stessi chiedendo. Apgar 9-10-10.
–Il massimo punteggio sin dal primo istante di vita- chiocciò Franz. –È proprio una Weil!
–Vedo che l’hai presa bene- ridacchiò Chris. –Accidenti, avevo scommesso dieci sterline con Harry e Patty che avresti tentato la fuga, o che saresti svenuto e avremmo dovuto portarti a bere per farti riprendere dallo shock!
–Sgancia la grana, Chrissino- gli ordinò Harry, sorridendo compiaciuto. –Grazie! Dato che la paternità non sembra averti ancora traumatizzato, Husky, credo sia d’obbligo offrire da bere ai tuoi amici. Facciamo domani sera?
 
***
 
Nel mettere piede nella stanza che Faith avrebbe diviso con la piccola, Franz provò lo stesso imbarazzo di quando, da bambino, entrava in scena durante le recite scolastiche. Calò il silenzio, e ogni paio d’occhi si posò su di lui, che avvampò come uno scolaretto, salutando timidamente con la mano.
Faith sedeva nel letto, sorretta da una pila di cuscini; appariva provata, più pallida del consueto e madida di sudore, ma, nel complesso, in via di ripresa.
Dov’eri?- gli chiese.
–Credo che vorremmo saperlo tutti- asserì il padre di Faith, lasciandolo di stucco: se non l’avesse visto con i propri occhi, Franz non avrebbe creduto possibile che un uomo tanto mite potesse lanciare occhiate assassine. Se gli sguardi avessero davvero avuto il potere di uccidere, sarebbe morto stecchito.
Messo di fronte alla banale inutilità del sotterfugio, si rassegnò alla resa dei conti; prese il portafoglio ed estrasse un rettangolo di plastica rosa che consegnò a Faith.
–Mi sono impegnato a tenere tutto segreto perché volevo farti una sorpresa. Xandi era l’unico a saperlo- incrociò le braccia e sbottò, alle occhiate di rimprovero di Chris, Harry e Robert, riapparso in abiti civili –Non guardatemi così!  Nei miei panni, vi sareste fidati della vostra discrezione?
–Onestamente … no!- ammise Harry.
–Uh, ora sono curioso!- esclamò Chris, saltellando nel tentativo di vedere qualcosa dal fondo della stanza gremita di gente. –Che cos’è?
–La sua patente, Chris. Cosa cavolo me ne faccio della tua patente, Franz?- sbuffò la neo-mamma, scuotendo la testa. –Un momento: perché ha la data di oggi?
–Guarda
meglio.
–Franz, cosa diamine … no! Non posso crederci! È un falso!
Rise di gusto: quanto adorava quando era la sua amata Faith a essere in torto!
–È autentica, fresca di stampa: mentre tu sfornavi la pargola, io sostenevo una durissima prova di coraggio … l’esame di guida! Per darti un’idea dell’imbarazzo che ho provato, in mezzo a tutti quei ragazzini appena maggiorenni: l’esaminatore mi ha chiesto se fossi lì con mio figlio. Avrei voluto sotterrarmi!
–Ma Franz, tu odi guidare più di me! Per te esistono soltanto le due ruote!
–Vero. Per nulla al mondo rinuncerò alla Harley. Però, con un pupo in arrivo, due autisti in famiglia possono fare comodo. Ora non dovrai sobbarcarti da sola l’onere di scarrozzare in giro la creatura … ehm , volevo dire, nostra … figlia. A proposito, potrei, uhm, vederla?
–Dietro di te … papà.
Si avvicinò alla culla con circospezione, ricevendo un divertito “Guarda che non morde, è senza denti  … per ora!” da Faith, e scrutò da capo a piedi la neonata, immersa in un sonno profondo, per accertarsi fosse realmente in salute.
–Non trovi sia bellissima, Kind?- trillò sua madre, al settimo cielo per essere diventata nonna.
Schöne?- esclamò Franz, erompendo in una risata sarcastica. -Sie sieht aus wie ein kleiner Frosch!1
Faith comprese che il suo compagno doveva aver detto qualcosa di poco carino sulla neonata dalle reazioni di Gertrud e Alexander, ai quali sarebbe tranquillamente potuto uscire fumo dalle orecchie, tanto erano arrabbiati.
Wenn ich höre, dass du es noch einmal sagst, schneide ich dir die Zunge!2- ululò Gertrud mentre prendeva a borsettate il suo (non più tanto) lieber Kind.
–Stavolta hai esagerato!- soffiò Alexander, scuotendo il capo. –Insultare tua figlia! In tedesco, poi, per pararti il cu … il sedere- si corresse a un’occhiataccia della moglie. –Davvero ignobile da parte tua. Ehi, cognatina, vuoi sapere cosa pensa Franz della pupetta che hai appena scodellato? Che somiglia … a una ranocchia!
–Ah, sì? Questa me la paghi, ingrato! La prossima volta partorisci tu … Dummkopf!- ringhiò Faith, stupendo tutti: mai avrebbero creduto che la sua prima parola in tedesco sarebbe stata un insulto a Franz.
–Offendetemi quanto vi pare, non cambierò idea- replicò lui, tirando in su il naso con fare altezzoso. –Andiamo, guardatela: è tutta rossa e grinzosa, sembra una di quelle piccole rane sudamericane che secernono sostanze allucinogene e … e va bene, taccio. Ma la bambina somiglia comunque a una ranocchia. Una ranocchietta molto carina, ma pur sempre una ranocchia.
In quel preciso instante, forse perché si era sentita chiamata in causa, la piccola si stiracchiò e aprì gli occhi. Franz la osservò con palese meraviglia, suscitando il divertimento dei presenti.
In particolare, Robert ridacchiò –Qualcosa mi dice che ha i tuoi occhi. Ho indovinato? È una piccola Husky?
La piccina socchiuse le palpebre, assumendo quella che a Franz parve un’espressione torva fin troppo “adulta”.
–Mi sta giudicando!- gnaulò, voltandosi verso Faith. –Tua figlia mi sta giudicando!
–Sei proprio melodrammatico!- replicò lei, irritata dall’infantilismo del suo uomo. –Se anche fosse, ti sorprenderebbe? L’hai appena paragonata a una rana! Ora, se non vi dispiace, vorrei collassare: partorire stanca!
Rimasto solo con Faith e la neonata, Franz si accasciò sulla poltrona accanto alla culla; avvertiva tutto il peso degli eventi di quella giornata che volgeva al termine, ma si sforzò di non crollare: mentre Faith riposava, toccava a lui badare alla pupetta ancora senza nome.
“Tanto vale conoscerci meglio”, pensò, per poi appropinquarsi alla culla con fare incerto. La piccina si era riaddormentata; rimase per un tempo indefinito ad osservare, come ipnotizzato, i movimenti ritmici del piccolo torace, intervallati da sporadici movimenti bruschi di braccia e gambe.
–Che fai, Fröschlein3, ti alleni nella lotta libera?
Istintivamente, allungò una mano per accarezzare la testolina coperta da una scura lanugine, poi il pancino. La piccola dovette gradire, perché gli afferrò l’indice con entrambe le manine. Ne approfittò per farle il solletico.
–Aha!- esclamò Faith, destatasi giusto in tempo per godersi quell’idilliaco quadretto familiare. –Ti ho beccato!
–Non dovresti dormire, tu?
–Sì, ma sai come sono fatta: quando mi entra in testa un pensiero, mi ci fisso sopra, e addio sonno! Franz, cazzarola, nostra figlia non ha un nome!
–Ah, cavolo! Non ci avevo pensato! Hai qualcosa in mente?
Faith si mordicchiò nervosamente il labbro, quindi rispose –Soltanto una richiesta: niente nomi di parenti, vivi o defunti che siano. Vorrei che la bambina avesse una propria individualità. Ti dispiace?
–Un po’- scherzò Franz. –Ma a mia madre di più. Forse ti toglierà il saluto!
–Ma … ma … a me aveva detto che non ci teneva …
A quel punto, Franz scoppiò a ridere, ponendo fine alla recita.
–Rilassati, ti stavo prendendo in giro! Secondo me, una Gertrud basta e avanza, a questo mondo! Andrà bene qualsiasi nome … purchè di tradizione germanica. Su quello non si transige.
Faith deglutì a vuoto, tremando all’idea che sua figlia potesse ritrovarsi con un nome ridicolo e /o dalla fonia eccessivamente aspra.
–Cos’hanno che non va i nomi inglesi?
–Niente. Semplicemente, vado fiero delle mie origini tedesche, mi piacerebbe rimarcarle. Se proprio ci tieni, possiamo lasciare il nome inglese come secondo nome.
Al termine delle videochiamate di auguri da parte di Callie e Jared, e Bridget e Rafael - in collegamento, rispettivamente, da New York e Miami - ripresero con rinnovata determinazione l’annosa ricerca di un nome per la neonata, che continuava a ronfare imperterrita, inconsapevole del fatto che i suoi genitori stessero decidendo quale veste cucirle addosso per la vita.
Abbattuti dalla vanità dei loro sforzi, stavano per gettare la spugna e rimandare la fatidica scelta all’indomani; all’improvviso, però, Franz, nel guardare una stampa appesa ad una parete altrimenti spoglia, ebbe un’illuminazione.
–Ma sì, è perfetto! Meine Liebe, credo di averlo trovato!
 
Sei
anni dopo
Frida, komm sofort her!4
Nei suoi primi sei anni di vita, Frida Weil aveva appreso alcuni fondamenti di sopravvivenza: non mettere in imbarazzo mamma e papà facendo i capricci in pubblico, dare la colpa ai gatti ogniqualvolta rompeva qualcosa in assenza di testimoni, sfoderare gli “occhioni cucciolosi” per ottenere quello che voleva, non disturbare mamma e papà quando giocavano ai “giochi dei grandi” e, non meno importante, allarmarsi quando il suo lieber Vater la chiamava per nome, scattare sull’attenti se le parlava in tedesco senza traccia di ilarità nella voce.
Con riluttanza, abbandonò il nascondiglio sotto al letto e raggiunse i genitori, trovando sua madre intenta a sommergere Lauren di ringraziamenti per essersi offerta di occuparsi dei gatti in loro assenza, mentre suo padre controllava maniacalmente, per l’ennesima volta, i bagagli.
Si divertì a far roteare su se stessa la sua valigia, facilmente riconoscibile non tanto dalle dimensioni ridotte, quanto dalla vistosa decorazione (che Faith detestava): una grassa regina rana con tanto di scettro e corona, il principale motivo per cui aveva costretto suo padre a regalargliela per il compleanno.
–Eccoti, finalmente! Dobbiamo andare, Fröschlein, o l’aereo decollerà senza di noi.
–Io non vengo- rispose la bambina, che teneva le mani sui fianchi nella speranza di apparire più risoluta.
–Ne abbiamo già parlato. Tu vieni, dovessi portarti di peso fin dentro l’aereo!- replicò Franz.
–Io non ci salgo su una cosa che può cascare in mare!- protestò Frida, battendo con violenza i piedi sul pavimento.
Gut. Divertiti ad attraversare l’Atlantico a nuoto. Wir sehen uns in Miami5!
Faith, sentendo puzza di lite padre-figlia, si affrettò ad intervenire.
–Non litigate, voi due. Frida, tesorino, sicura di non voler venire? Hai l’occasione di visitare una nuova città, in un altro continente, e la butti via così? E poi … tu adori fare la damigella! Se non vieni, non potrai indossare il bellissimo vestito che abbiamo comprato insieme, e precedere Rafa e la zia Bridget lungo la navata spargendo petali di fiori! Senza contare che Kevin, Kimberly, Kaori ed A.J. saranno tutti lì …
–Anche Abby e Brian, purtroppo- sibilò Franz a denti stretti, attento a non farsi udire da Faith.
Lieta di avere un ruolo da co-protagonista in un evento importante come un matrimonio (un po’ meno di condividere la scena i suoi amici), Frida si chetò, ma non prima di aver espresso il dubbio alla base del suo rifiuto di salire sull’aereo.
–Ci sarà Aidan?- celiò, colorandosi di rosa. –Allora vengo, ma solo se mi spiegate come fanno gli aerei a star su!
I tre adulti nella stanza si scambiarono sguardi atterriti: come spiegare le leggi della fisica a una bambina di quell’età?
A un tratto, Faith ebbe un’idea per guadagnare tempo: dirottare l’attenzione della figlia su qualcosa di abbastanza difficile da tenerla impegnata quantomeno fino alla fase di decollo.
–Facciamo un patto, tesorino: risponderò alla tua domanda, se risolverai il mio indovinello. Ci stai?
Frida doveva aver ereditato la sua passione per gli enigmi, perché accettò la proposta senza esitare, battendo le mani dalla contentezza.
–Ci
sto!
–Dimmi, allora: cos’è che vola, ma non ha piume, e ha le ali, ma non cinguetta?
Faith e Franz sogghignarono, convinti che la sfida intellettuale avrebbe monopolizzato l’attenzione di Frida addirittura fino all’atterraggio su suolo statunitense, ma avevano cantato vittoria troppo presto: non fecero in tempo a scendere dal taxi che la bimba trillò, trionfante –Vola ma non ha piume, e ha le ali, ma non cinguetta: è l’aereo! Giusto, Mutti? Ho indovinato? È la soluzione dell’indovinello? Ah! Adesso devi dirmi come fanno a volare!
 
THE END
 
Note
dell’autrice:
Ce ne ho messo di tempo, ma alla fine ce l’ho fatta! Concludere questa storia è stato un parto, per me, ma sono contenta di esserci riuscita, e spero che il risultato sia decente.
So di aver deluso le aspettative di chi sperava in un fiocco azzurro, o addirittura in un fiocco doppio. Spero non abbiate piazzato scommesse, a differenza di Chrissino!
Che ne pensate di F&F nel ruolo di genitori? E del nome della piccola Weil? Personalmente, lo adoro: secondo l’ipotesi più accreditata, Frida deriva dal termine tedesco frid, cioè "pace"; un'altra supposizione attribuisce la sua etimologia al norreno Fríða il cui significato è "bella, amabile".  In ogni caso, ha un bel significato.
Callie e Jared sono quei Callie e Jared, direttamente dal kleine Meisterwerk (direbbe Franz) di Amelia S, " Quando meno te l'aspetti". Se non l'avete ancora fatto, correte a leggerla. Vi do trenta secondi. Avanti, su, correte!
Ho pensato di chiudere omaggiando la passione di Faith per gli enigmi, passione che, a quanto pare, ha trasmesso a sua figlia. L’indovinello l’ho preso da un vecchio libro di giochi logici per bambini fino ai 10 anni, è  plausibile che Frida l’abbia risolto.  
Note tecniche: il secondamento è l'ultima fase del parto e consiste nell'espulsione della placenta e di tutti gli annessi fetali (membrane amnio coriali e funicolo, o cordone, ombelicale). L'indice di Apgar, da Virginia Apgar, l'anestesista statunitense che lo ideò nel 1952, è il risultato di controlli effettuati immediatamente dopo il parto, finalizzati a valutare l'adattamento del neonato alla vita extrauterina. Si basa su cinque parametri di base (ai quali si assegna un punteggio da zero a due; il valore massimo è quindi 10): frequenza cardiaca, attività respiratoria, riflessi, tono muscolare, colorito. Il test viene effettuato a 1, 5 e 10 minuti di vita del neonato, ma può essere ripetuto anche oltre, se necessario. In realtà, spesso si considera come punteggio massimo a 1’ di vita 9 anziché 10, dato che la quasi totalità dei neonati è all’inizio leggermente cianotica dall’apnea durante il passaggio attraverso il canale del parto.
Stay tuned, perché a breve posterò un capitolo extra, che potrebbe diventare il prologo di una nuova storia (di cui ho abbozzato i primi capitoli). 😉
 
1Bella? Sembra una piccola rana!
2Se ti sento dirlo ancora una volta, ti taglio la lingua!
3 In tedesco i diminutivi si formano aggiungendo alla parola il suffisso -chen o -lein. Spesso la vocale radicale del diminutivo prende la umlaut (dieresi). Frosch = rana à Fröschlein = ranocchietta.
4Frida, vieni subito qui!
5Ci
vediamo a Miami!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Extra: Corsi e ricorsi storici ***


Extra
Corsi e ricorsi storici
 
La mia vita non è che un continuo sforzo per sfuggire alla banalità dell’esistenza.
Sir Arthur Conan Doyle
 
Ogni mattina l’orologio biologico di Frida Weil precedeva la sveglia di due minuti esatti, che impiegava riordinando le idee prima di schiudere gli occhi sul nuovo giorno. Quella mattina di inizio ottobre, invece, la batté sul tempo di ben sessanta minuti.
Si alzò dal letto bruscamente, incurante dei miagolii di disappunto di Moriarty, lo scorbutico gatto che ronfava acciambellato accanto a lei, e si fiondò sotto la doccia.
Dell’incubo che aveva interrotto prematuramente il suo riposo serbava soltanto la sgradevole sensazione che avrebbe fatto meglio a restare rintanata sotto le coperte, sensazione che neppure il vigoroso getto d’acqua riuscì a lavare via.
Indossò con meccanica precisione la divisa scolastica, lieta di non sprecare tempo prezioso in un’azione secondo lei futile, quale scegliere cosa indossare. Non che trascurasse la cura del proprio aspetto; dopotutto, nulla è insignificante per una mente superiore*. Semplicemente, vi badava quel tanto che bastava a non apparire mai sciatta o fuori luogo, senza perdersi nei fronzoli che, aveva notato, assorbivano molta della materia cerebrale delle sue coetanee.
Al suo ingresso in cucina, suo padre l’accolse con un gioviale quanto sarcastico –Guten Morgen, Fröschlein!1-, ricevendo in risposta un altrettanto sarcastico –Guten Morgen, lieber Vater! Mutti.
Sapeva bene che quell’appellativo così formale lo infastidiva tanto quanto l’essere accomunata a un viscido anfibio gracidante infastidiva lei.
Sbirciò con la coda dell’occhio le carte che sua madre stava rileggendo con espressione soddisfatta. Faith chiuse di scatto il dossier e disse –Assolutamente no! I privilegi bisogna guadagnarseli. Risolvi l’indovinello, e condividerò questo fascicolo con te.
–Sfida accettata. Preparati all’ennesima sconfitta!- replicò la ragazza, che aveva ereditato dalla madre la passione per gli enigmi di ogni genere.
–Un uomo entra in un bar e chiede, con voce spezzata,  un bicchiere d’acqua. Il barista lo guarda per qualche secondo, poi si abbassa a prendere qualcosa sotto il bancone. È una pistola, e la punta direttamente alla testa dell’uomo che gli aveva chiesto un po’ d’acqua. Come lo spieghi?
Frida, dopo un paio di minuti di riflessione, si lasciò sfuggire un risolino.
–Ti sei rammollita, Mutti: è talmente facile che quasi mi sento insultata!
Wirklich?- esclamò Franz, orgoglioso, ma al contempo frustrato, del fatto che sua figlia lo surclassasse regolarmente nella risoluzione degli enigmi proposti da Faith su base quotidiana. –Spero vorrai condividere la soluzione con noi comuni mortali cerebralmente normodotati!
–L’uomo che chiedeva dell’acqua aveva il singhiozzo e il barista ha deciso di spaventarlo per farglielo passare- sciorinò Frida col tono della maestrina che ripete per l’ennesima volta un concetto semplice ad un alunno particolarmente ottuso. –Tutto ha una spiegazione razionale, lieber Vater, esserne consapevoli è la chiave per risolvere qualunque problema: se il rasoio di Occam fallisce, allora si eliminano man mano le altre ipotesi meno ovvie; l’ultima rimasta, per quanto improbabile, non potrà che essere la verità.
Faith, fiera dell’ingegno di sua figlia, la ricompensò con un breve applauso e allungò verso di lei il dossier.
Riconosceva a Frida un’intelligenza più unica che rara (di cui si attribuiva in gran parte il merito), una buona dose di testardaggine (di cui si attribuiva interamente il merito)  e una certa noncuranza per le regole - oltre alla famigerata presunzione “marca Weil” - e non disdegnava di condividere con lei i suoi casi, anche i più complicati. Il suo contributo si era rivelato prezioso più volte di quante avrebbe mai ammesso (specialmente a sua cognata Serle).
–Leggi pure, ma non perderci troppo tempo. Una povera ragazza ricca, tossicodipendente a intermittenza e con problemi psichiatrici, è caduta da una finestra della residenza di famiglia. Nulla di eclatante. Mi spiace, ma non si può sempre avere tra le mani l’omicidio dell’anno!
–Morte accidentale? Un po’ frettoloso, come verdetto- asserì la ragazza una volta terminata la lettura. –Come spieghi quei graffi sul davanzale della finestra? Hai fatto rilevare le impronte? E se fosse stata drogata? Hai richiesto un esame tossicologico? E una consulenza ingegneristica?
Tacitata la fastidiosa voce interiore - paurosamente simile a quella di Rose Taylor in Irving - che le rinfacciava di aver inculcato in sua figlia un pericolo senso di superiorità  (“Se anche fosse? Meglio che farla crescere timida e insicura come me!”), Faith rispose a quella raffica di domande, scrollando le spalle –Anche il davanzale della finestra della mia camera ha dei graffi, eppure non mi pare sia mai precipitato qualcuno da lì. Ovvio che ho fatto eseguire un esame tossicologico completo, positivo per cocaina e benzodiazepine. Sorprendente, in una che faceva avanti e indietro dai centri di recupero! Non ho richiesto la consulenza di un ingegnere, non vedo perché dovrei. Rassegnati, tesoro: a volte il chi è più interessante del come e del perché.
–A volte basta il chi per immaginare almeno una dozzina di come e perché diversi. Sei decisa a chiudere il caso, Mutti?- ribattè la figlia, lasciando intendere di essersi già figurata, in quel breve lasso di tempo,  una dozzina di moventi e sospettati, con relative percentuali di probabilità.
–Ho una soluzione semplice a portata di mano, e nessuna prova a confutarla. Cosa faresti, al posto mio?
–Comincerei a preoccuparmi. Nulla è più ingannevole di un fatto ovvio*- sbuffò Frida, per poi attaccare famelica una pila di frittelle annegate nella salsa ai frutti di bosco (aveva ereditato dalla madre anche la golosità).
Franz attese che le due donne avessero la bocca piena, prima di prima di sganciare la bomba che avrebbe irrimediabilmente guastato l’armonia familiare. Voleva evitare che un’eventuale interruzione rovinasse l’effetto scenico.
–Che ne diresti se ti accompagnassi a scuola, Fröschlein?- le propose in tono falsamente zuccheroso. –Con la Harley!- si affrettò ad aggiungere, di fronte all’espressione terrorizzata della ragazza. –Tanto devo venirci comunque: il preside vuole deliziarmi con i resoconti delle tue… attività extracurricolari. Reggiti forte, meine Liebe, la notizia potrebbe sconvolgerti: la tua consulente investigativa di fiducia spaccia … compiti. Ai suoi compagni. Per denaro.
Faith per poco non si strozzò con il porridge, e Frida scoccò a suo padre un’occhiata sdegnosa, carica di astio e alterigia, come solo gli adolescenti sanno fare.
Se fosse stata beccata a fumare o, peggio ancora, a “prodursi in effusioni inappropriate al contesto scolastico” (per usare un’espressione cara al suddetto preside), avrebbe ammesso le sue colpe, autopunendosi per l’orrendo crimine di aver sprecato neuroni preziosi in attività indegne del loro potenziale; ma lei era l’incarnazione della figlia ideale: studentessa modello, non fumatrice, astemia e contraria all’uso di sostanze psicotrope di qualunque genere (mai e poi mai avrebbe perso il controllo sul proprio cervello e rischiato di soccombere ad una qualsivoglia forma di dipendenza).
A volte usava le celluline grigie di cui andava tanto fiera per compiere atti di dubbia moralità e legalità. E allora? Cosa c’era di male nel sollevare i suoi compagni dall’onere dei compiti (dietro lauto compenso)? Quel bigotto pisquano del preside ostacolava la sua iniziativa imprenditoriale, e suo padre pretendeva fosse lei a sentirsi nel torto?
–Ovviamente per denaro! Non sono mica scema!- ribatté infine, sprezzante.
Faith, sconcertata, fece per aprir bocca, ma si bloccò ad un’occhiataccia di Franz, il cui cipiglio avrebbe intimidito i peggiori cattivi della letteratura e della cinematografia.
Soltanto Frida, probabilmente perché negli occhi del padre rivedeva i propri (“E non si può avere paura del proprio riflesso”), riusciva a sostenere quello sguardo glaciale con una tranquillità che rasentava la strafottenza.
–Se non ricordo male, lieber Vater, sei stato tu a dirmi che niente dovrebbe impedirmi di volare tanto in alto quanto mi permettono le mie ali.
–Non se ti fanno volare dal preside!- replicò Franz. –Capisco il desidero di mettersi alla prova per il gusto di scoprire quanto in là puoi spingerti senza gravi conseguenze - sapessi quante volte l’ho fatto, alla tua età - ma devi darti una regolata. Spiacente, mi vedo costretto a …- “Scheiße! Come punirla? Cosa potrebbe smuoverla nel profondo? Denk, schnell!” –Vietarti l’accesso ai casi di tua madre!
Frida sbiancò: suo padre non poteva farle questo, era troppo crudele persino per lui!
–Stai bluffando. Non oseresti!
Du willst mich nicht wirklich wütend machen, Fröschlein 2- sibilò Franz, in tedesco, per mettere in chiaro che sì, era dannatamente serio, e no, non si metteva affatto bene per lei.
 
***
 
Si stava annoiando. A morte.
Le lancette dell’orologio segnavano un orario sconfortante. Prese a giocherellare con un biondo ricciolo ribelle cadutogli sulla fronte, mentre ingannava il tempo ritraendo l’unico altro studente che aveva il coraggio di mostrare apertamente un livello di noia pari al suo: Frida Weil.
Sedeva scompostamente, spalmata sul banco, con la testa mollemente appoggiata su una mano e lo sguardo rivolto al mondo oltre la finestra, che doveva offrirle attrattive più degne di attenzione dell’oltraggio perpetrato ai danni dell’opera di Mary Shelley da Anthony Midget con la sua voce nasale e monocorde.
“Strano! Di solito si comporta come se avesse un palo su per il culo. Oggi, invece, sembra voler mandare a fanculo il mondo intero!”
La vide scribacchiare qualcosa sul quaderno e realizzò che, come lui, era mancina.
“La conosco da un mese, e soltanto oggi scopro che abbiamo qualcosa in comune? Forse dovrei osservarla meglio … o anche no, potrebbe farsi strane idee”.
Kevin Cartridge, suo compagno di banco (nonché figlio di Ben, amico di lunga data di suo padre), lo distolse da quella sorprendente rivelazione.
–Non mi ero mai accorto che Frida avesse questo stacco di coscia- ridacchiò, indicando la versione cartacea dell’amica, molto fedele all’originale, tranne che per i centimetri quadrati di pelle esposta: la camicetta aveva i primi tre bottoni aperti e la gonna era parzialmente arrotolata, lasciando scoperte le gambe nella loro interezza.
La paura di perdere il primo e, al momento, unico amico che aveva in Inghilterra lo indusse a reprimere l’istinto di mandarlo a quel paese. Della prole degli amici di suo padre, Kevin era l’unico che riteneva passabile: non parlava a vanvera e, soprattutto, sembrava essere stato risparmiato dalla superficialità e dall’ipertrofia dell’ego endemiche nella popolazione inglese in età adolescenziale.
–Sì, beh … un artista si prende le sue libertà- bofonchiò, in lieve imbarazzo.
–Limitati ai disegni- sussurrò Kevin di rimando. –Frida è allergica al contatto umano e ha un gancio micidiale. Il povero Midget ci ha provato con lei, l’anno scorso, e fino all’anno scorso aveva il naso dritto. Comprendi?
–Continua tu, Weil- ordinò il professore, lisciandosi i baffi per nascondere la smorfia di disappunto che aveva fatto capolino sul volto: nemmeno l’allieva più brillante che avesse mai varcato la soglia dell’istituto era dispensata dall’obbligo di prestare attenzione durante le lezioni.
“Ora si ride”, pensò. Frida si era completamente estraniata dalla lezione dopo i primi cinque minuti, non poteva avere idea del punto da cui riprendere la lettura del brano. Rischiò seriamente un infarto nell’udire la sua voce vellutata leggere senza esitazione.
“Mi sembrava di vedere Elizabeth, nel fiore della salute, per le strade di Ingolstadt. Sorpreso e gioioso, l’abbracciavo; ma come imprimevo il primo bacio sulle sue labbra queste si facevano livide, color di morte…”
–Non è possibile! È stata tutto il tempo a guardare fuori dalla finestra!
–E tu a guardare lei … guardone!- lo schernì Kevin.
–Oh, chiudi il becco!- ringhiò. –Stava pensando al nulla cosmico! Come ha fatto?
–Te l’ho ripetuto mille volte- bisbigliò l’altro, alzando gli occhi al cielo. –È un genio!
Deluso per essere stato privato di una ghiotta occasione per deridere la Weil,  ripiombò nel torpore, fino a quando l’insegnante non lo esortò a proseguire nella lettura da dove lei si era interrotta.
“Sono fottuto! Stra-fottuto! Bella figura di merda sto per fare!”
Frida, inaspettatamente, lo trasse d’impaccio, mimando con le labbra “Henry Clerval”. Per sua fortuna, lui conosceva ‘Frankenstein’ a menadito, e quel piccolo aiuto fu sufficiente a evitargli una sicura figuraccia.
“Quando fu più vicina, mi accorsi che era la diligenza svizzera; si fermò giusto dov’ero io e, quando si aprì lo sportello, riconobbi Henry Clerval che, vedendomi, all’istante balzò a terra.”
–E io che credevo di coglierti in flagrante distrazione!- esclamò il professore, stupefatto. –Va’ avanti.
Concluse lettura e analisi del brano, si girò verso Frida per ringraziarla di avergli salvato le natiche, ma lei aveva ripreso ad osservare il mondo al di là della finestra, indifferente a tutto il resto.
 
***
 
Non era un misantropo, ma preferiva la compagnia di se stesso a quella di gente che non gli si confaceva, e, senza offesa per Kevin, la cricca dei suoi amichetti prediletti - composta dalla sorella Kimberly, il suo ragazzo “tira-e-molla” Nathaniel Jefferson-Keynes e Frida “Sherlock Holmes in gonnella” Weil - proprio non gli si confaceva.
Seduto nell’angolo più remoto del cortile, tratteggiava a memoria il panorama che si godeva dalla sua camera a Canberra: il gazebo bianco, la staccionata dello stesso colore, le siepi ben tenute e le aiuole colme di fiori variopinti, vanto di sua madre, il panorama da cartolina offerto dal monte Taylor che si stagliava maestoso all’orizzonte.
Quanto gli mancava l’Australia! Londra in confronto era fredda e smorta, come i suoi abitanti. Eppure, la nostalgia per la terra natale non riusciva a fargli rimpiangere di essersi trasferito nel vecchio continente: suo padre era tornato nel Regno Unito dopo il divorzio, e aveva sofferto la sua lontananza più di quanto avrebbe mai sofferto la mancanza dei pomeriggi trascorsi a girovagare nel bush o lungo il fiume Molonglo in cerca d’ispirazione. Certo, sentiva la mancanza della madre, ma era mitigata da un odio profondo nei confronti dell’uomo che aveva sposato e dei di lui figli (mai e poi mai li avrebbe considerati parte della famiglia, non meritavano un tale onore). 
A un tratto, udì lo scricchiolio di un ramo che si piegava, seguito dal quasi impercettibile fruscio prodotto da un corpo in caduta libera, una mela rossa; con uno scatto fulmineo, di cui non si sarebbe mai ritenuto capace, riuscì ad afferrarla prima che toccasse terra. Sorrise compiaciuto del proprio successo e, d’impulso, la morse.
Non fece in tempo a interrogarsi sulla provenienza di quel frutto - l’ingegneria genetica non era ancora progredita al punto da far produrre mele a un faggio - che Frida balzò giù dall’albero, cogliendolo di sorpresa, si sedette di fianco a lui e trillò –Complimenti, Wollestonecraft, ottimi riflessi! Sono favorevolmente impressionata.
Seccato per aver perso la tanto agognata quiete, soffiò sprezzante –Se almeno metà delle voci sono vere, Weil, dovresti essere in punizione, o impegnata in qualcosa di meglio che tirare frutta alla gente. I tuoi amici avevano le scatole piene di te?
–Il mio cognome è tedesco, la pronuncia corretta è “vail”. Inoltre, per tua informazione, avevo io le scatole piene di loro: Kimmy ha iniziato a civettare con i suoi fan adoranti, Nate si è risentito e ha minacciato di lasciarla per l’ennesima volta, al che San Kevin, patrono degli impiccioni, è partito con un sermone sul valore della decenza e del perdono. Una noia mortale, e io detesto annoiarmi!
–Sì, beh, io detesto essere disturbato in piena fase creativa; perciò, se potessi …
Non riuscì a finire la frase; Frida aveva afferrato un foglio che faceva capolino dall’album da disegno: il ritratto che le aveva fatto poche ore prima.
–Ehi, ma questa sono io!- esclamò, ostentando stupore. –Schön! Du hast wirklich Talent!3 Lo immaginavo: la mediocrità non riconosce nulla che le sia superiore; ma un genio riconosce istantaneamente il talento*.
–Genio? Hai un’alta opinione di te stessa.
–E di te. Non potrebbe essere altrimenti: una persona che si basa sulla logica deve vedere ogni cosa esattamente com’è; sottovalutare se stessi e gli altri costituisce una deviazione dalla verità tanto quanto esagerare le proprie e altrui capacità*. Ah, grazie di non aver gonfiato oltre misura le mie tette, una quarta abbondante basta e avanza!
William rimase sbalordito tanto dalla prontezza, quanto dalla inusitata sfacciataggine della replica.
“Sbaglio, o mi ha appena spiattellato la sua taglia di reggiseno?”
Arrossì a quel pensiero, ma recuperò quasi subito un contegno dignitoso. Colse un repentino mutamento nella sua espressione, simile a quella di una bambina in procinto di chiedere ai genitori il permesso di tenere un animaletto raccattato per strada. Capì all’istante cosa le passava per la mente, ma preferì non risparmiarle il disagio di formulare la richiesta ad alta voce.
–Posso
tenerlo?
–Non è finito.
–Mi piace così com’è- concluse lei in un tono che non ammetteva repliche, gli tolse di mano la mela e l’azzannò. –Allora, posso tenerlo?
 
***
 
–È quello che penso?- le chiese Kevin, puntando l’indice verso il foglio che Frida rigirava tra le dita.
–Se stai pensando al Kunstwerk del tuo nuovo amico del cuore … Du hast Recht.4
–Per questo ti sei interessata all’abitante delle colonie? Per fregargli quel foglio?- chiese Nathaniel Jefferson-Keynes con evidente sollievo. –Meno male! Cominciavo a pensare ti piacesse … in quel senso.
–Geloso anche della nostra Frida, Natie?- intervenne Kimberly Cartridge, sdraiata sulle gambe del fratello, intenta a passarsi le dita tra i lunghi capelli castani. –Non ti basto io?
–Si può avere una miriade di buone ragioni per avvicinare una persona, anche se non ci piace; non da ultimo, impedire che altri occhi, oltre a quelli di Kev, possano posarsi su questo kleine Meisterwerk5- spiegò Frida, inserendosi nel nascente battibecco tra i due litigiosi piccioncini. –Il solo pensiero che l’abitante delle colonie abbia fantasticato su di me in pose sconce mi dà la nausea; se penso che altri avrebbero potuto vedermi mezza nuda, potrei vomitare sul serio!
–Drama queen- ribatté Kimberly, occhieggiandola maliziosamente. –Il Maori biondo è un gran figo. Se solo non stesse sempre sulle sue! Personalmente, non mi abbasserei mai a provarci con un ragazzo - è compito loro! - ma, fossi in te, mi sentirei lusingata di ispirarlo e cercherei un contatto ravvicinato, se capisci cosa intendo. Dovrai pur prenderlo da qualcuno, prima o poi, meglio lui di un cesso a pedali!
–Chissà perché, da te mi aspettavo esattamente questa risposta. Però è vero, Frida, la tua reazione è esagerata. Cosa dovrei fare io, allora, una carneficina al giorno?- sbottò Nate, adirato, indicando la sua ragazza, che teneva la camicia aperta ai limiti dell’indecenza e le gambe accavallate. Un gruppetto di ragazzini del primo anno la stava fissando con evidente apprezzamento; mancava solo che iniziassero a sbavare.
Non bisognava essere Sherlock Holmes per subodorare che la situazione stava degenerando e rischiava di scapparci il morto (con ogni probabilità Nate). Frida, irritata da cotanto infantilismo, sbuffò –L’omicidio di massa non è una cattiva idea: il pianeta è sovrappopolato, soprattutto da Dummköpfe6, e poi daresti lavoro meiner lieben Mutter. Nel caso, però, fammelo sapere prima, così potrà preparare le celle frigo per accogliere tutti i cadaveri. Ora posso andare al martirio, alias immeritatissima punizione, senza temere che vi scanniate in mia assenza?
Kimberly si affrettò a mettersi in piedi e rispose –Potrai sorvegliarci di persona: anche io e Natie siamo in punizione. Andiamo, miei prodi!
Contrariamente all’atteso, i tre non ebbero modo di interagire, mentre sgobbavano per ripulire la scuola “insozzata dalla loro laida condotta” (per citare il preside), e fu solo quando il palese nervosismo di Nate arrivò ad urtarle i nervi che Frida si decise a riesumare il discorso, o meglio, a indurre l’amico a confessare cosa lo turbava.
–Io forse - ripeto, forse - me lo sono meritato, ma tu com’è che sei finito in punizione?
–Quirke ha beccato me e Kim a scambiarci “effusioni inappropriate al contesto scolastico”. Ogni tanto si ricorda di avere un ragazzo- sospirò Nate mestamente, evitando di incrociare lo sguardo dell’amica mentre salivano sull’affollato treno della metropolitana.
–Ah, la cara Kimmy, origine e soluzione di quasi tutti i tuoi problemi! Sai, meine Mutti dice sempre che, se non l’avesse vista nascere, penserebbe sia la figlia segreta di zia Bridget … quella che ha avuto quattro mariti- scherzò lei di rimando, per poi tornare seria. –Non ti stai nemmeno sforzando di nascondere che qualcosa non va, Nate, tanto vale che ti sfoghi. Sei come un fratello, per me, puoi confidarmi tutto.  
–Per sentirmi ripetere le solite perle di saggezza? No, grazie!- si lagnò il ragazzo, salendo con lei sul treno della metropolitana. –Senza offesa, Frida, sarai pure geniale sotto molti punti di vista, ma non capisci un cazzo di sentimenti! Come potresti? Credi che amare significhi trascinare per anni una cotta infantile che è quasi impossibile sia ricambiata! Non hai mai … sì, insomma … non permetti a nessuno di avvicinarti. Stai lì, nella tua torre d’avorio, ad aspettare un principe che manco si è accorto di dover venire a liberarti, e forse nemmeno lo desidera.
Frida alzò gli occhi al cielo, mossa dall’esasperazione: possibile che Nate non afferrasse il basilare concetto che il vero amore è paziente, che sa attendere il momento giusto per sbocciare? 
“Elementare, Jefferson-Keynes: mi dichiarerò quando i tempi saranno maturi. Forse sei tu a non capire un cazzo di sentimenti! No, meglio lasciar perdere, devo evitare lo scontro, non ho forze sufficienti a vincere una guerra verbale col mio migliore amico. Meglio rigirare la frittata. Mmm … buona, la frittata!”
–Ti è mai passato per la testa che, forse, sono gli altri a non volersi avvicinare? Ora basta parlare di me, sei tu ad avere un problema.
­–Comincio a pensare che abbiano ragione i miei padri: io non ho un problema … sono il problema. Kim si comporta così per provocarmi, è la mia gelosia a fomentarla. Forse sto diventando patologico.
–Se fossi un geloso patologico, Nathaniel Jefferson-Keynes, me ne sarei accorta da un pezzo, e avrei fatto di tutto per renderti inoffensivo. Comunque, dopo attente riflessioni, sono giunta alla conclusione che il comportamento deliberatamente provocatorio di Kimmy - è mia amica quanto te, vi voglio bene in uguale misura, ma bisogna ammettere che qualunque cosa dica o faccia trasuda allusioni sessuali! - non ha il solo scopo di irritarti: ama stare al centro dell’attenzione e, per motivi a noi ignoti, ha bisogno di continue conferme per tenere a galla la sua autostima. Hai commesso il madornale errore di mettere la ragazza che ami su un piedistallo; per tua sfortuna, la ragazza in questione sul piedistallo ci sta fin troppo bene: è popolare e cosciente di esserlo. Se non riesci a sopportare il suo modo di fare, ti conviene lasciarla. È inutile che perdiate tempo a prendervi in giro!
–Non posso mollarla, Kev mi ucciderebbe! Devo cercare di tenere in piedi questa storia a ogni costo. Potrei provare a parlarne con lei; sì, insomma, chiederle di, ecco, tentare di, uhm, calmarsi un pochino. Per me.
Una risata risuonò alle loro spalle, seguita da una voce ormai familiare, che esclamò –Cielo, J.K., mi avevano detto che eri intelligente! Illudersi che una come Cartridge possa - cito - calmarsi un pochino, solo perché glielo hai chiesto tu, è folle quanto pensare che un piattino di latte basti a soddisfare l’appetito di un ghepardo*!
–Mi hai letteralmente tolto le parole di bocca- annuì Frida in segno di approvazione. –Nonostante ti diletti in disegni che rasentano il pornografico, meriti la mia stima, Wollestonecraft. Sei cosciente di avere un cognome poco funzionale alla comunicazione? Troppo lungo! Posso chiamarti William? O Will? No, Liam! Ancora meglio!- senza aspettare una risposta, aggiunse –Nate, il nostro- calcò l’accento sul “nostro” –È solo un consiglio, sta a te decidere cosa fare. Ad ogni modo, ti pregherei di non lasciare Kimmy prima di sabato, mi serve che tolleriate di respirare la stessa aria. Devo incontrare un paio di persone al Tipsy Crow e mi sarà più facile negoziare un’uscita serale con i miei, se sapranno che i miei angeli custodi veglieranno su di me!
–Non pensi di finire ai domiciliari, dopo la storia della vendita clandestina di compiti?- inquisì Nathaniel.
Faith e Franz non gli sembravano dei genitori particolarmente severi, ma Frida - checché ne dicesse - stavolta l’aveva combinata grossa. Secondo lui, sarebbe stata miracolata se le avessero permesso di uscire in tempo per le compere natalizie.
–I miei hanno meditato un castigo particolarmente crudele: mi hanno privata di ciò che più amo al mondo … immischiarmi nel lavoro meiner lieben Mutti. Ho già pensato a come ricambiare il favore, natürlich- rispose lei, ammiccando in direzione di un sempre più perplesso William. –Ma ho il sacrosanto dovere di evitare che meine Mutter commetta un errore madornale; non vuole darmi retta e, mi spiace dirlo, rischia di prendere un grosso granchio.
–Ho capito: vuoi dimostrare a Faith che si sbaglia e gongolare!- esclamò Nate, prima di scendere alla fermata più vicina a casa. –Conta su di me, a patto che porti qualcuno munito di pass per gli alcolici. Mi conosci: considero sprecato ogni finesettimana in cui non mi sbronzo. Hasta la vista, baby!
–Mi lasci affrontare da sola la seduta di bartitsu? Pusillanime!- gli urlò dietro Frida.
William inspirò a fondo, calcolando al millisecondo il momento perfetto per sibilare, storcendo il naso –Adesso si spiegano molte cose. Anche i tuoi hanno qualche rotella fuori posto: se mia figlia si comportasse come te non vedrebbe la luce del sole fino alla prossima era geologica, altro che palestra e serate nei locali!
Frida provò un istantaneo moto di stizza; non era abituata a ricevere insulti - nemmeno troppo velati - alla sua persona o alla sua famiglia.
Non dovevi scendere a Shaftesbury Avenue?
–Evidentemente no. Cielo, Weil, per essere un genio fai domande incredibilmente stupide!
Arschloch! Schwanzlutscher! Scheißkerl!7 Come osa parlare così a me?”
–Insolente! E io che, nella mia infinita generosità, volevo tirarti fuori dal tuo guscio, darti un assaggio di vita mondana londinese …
–Mi stai invitando a unirmi alla Scooby gang? No, grazie, non sono così disperato!
“Gli tendo la mano e lui la rifiuta? Chi si crede di essere?”
Il contegno freddo e distaccato di Frida vacillò per un attimo; dopo una serie di respiri profondi, riuscì a calmarsi abbastanza da replicare in maniera civile.
–Per essere chiari, Liam: sei qui da un mese e non ti si vede fare altro che studiare e scarabocchiare sul tuo album da disegno, senza degnare di considerazione nessuno, a parte Kev. Ovvio che tutti, a scuola, si siano fatti l’idea che sei strambo! Alla Scooby gang manca uno Scooby Doo, e farti vedere a fare cose normali, con la gente giusta, confermerebbe che sei effettivamente normale, così magari gli altri la smetterebbero di chiamarti “abitante delle colonie”, “Maori biondo”, “Mr. Koala Dundee”, eccetera!
–I rapporti interpersonali non sono il tuo forte. Lo sai, sì? Dare dello “strambo” e del “cane” a qualcuno che vorresti farti amico … non è una tattica vincente. Per essere chiari, Weil: tu non mi piaci.
“Però ti piace disegnarmi, razza di pervertito!”
–Neanche tu mi piaci. Mi servi.
William si divertì a metterla a disagio, avvicinandosi a lei fino a sfiorarne i capelli con la punta del naso, e finse di annusarla.
–Percepisco un sentore di agrumi, sudore … e sincerità. Intrigante- quindi, a sorpresa, aggiunse, profondendosi in un inchino –Ok, hai vinto. In cosa posso esservi utile, madamigella?
 
***
 
Il
sabato seguente
Nel breve, quanto imbarazzante, lasso di tempo trascorso sulla soglia di casa Irving-Weil in attesa di Frida, William sperò di essere inghiottito da una provvidenziale voragine: era conscio del fardello che gravava sull’unica femmina di una famiglia, nonché dei rischi che correva qualunque maschio non consanguineo che osasse avvicinarla (specialmente se con il di lei consenso). Non si aspettava, tuttavia, un’accoglienza così apertamente ostile: i Weil non solo non l’avevano invitato a entrare in casa, ma avevano risposto al suo educato saluto fissandolo con aria torva, Franz, e allibita, Faith, la quale, quando si era presentato, era impallidita al punto da fargli temere stesse per tirare le cuoia.
Fu tentato di contravvenire ai propri ferrei principi morali quando la ragazza, assicurato ai genitori che si sarebbe comportata bene, gli schioccò un bacio sulla guancia e lo arpionò per un braccio, esibendo il sorrisetto più irritante che avesse mai visto. Prese l’appunto mentale di correggere Kevin alla prima occasione: Frida non era affatto allergica al contatto fisico, a patto che fosse di breve durata e finalizzato all’attuazione dei piani elaborati dalla sua mente contorta.
Si chiese se fosse così sbagliato darle uno schiaffo, uno solo, giusto per inculcarle il concetto che non ci si poteva servire impunemente delle persone.
Fu nuovamente tentato di ricorrere alla violenza quando, una volta in strada, si sentì dire –Ritieniti fortunato: hai lasciato casa mia incolume! Oh, erano incazzati neri, come avevo pianificato! Se mio padre avesse potuto, ti avrebbe decapitato dopo una serie di torture. Wunderbar!
“Signori Weil, la testa di cazzo che avete cresciuto suscita in me istinti violenti. Posso prenderla a sberle qui e subito? Vi assicuro che se l’è cercata.”
–Oh, sì, davvero wunderbar!- la schernì, per poi esprimere il proprio parere con la consueta brutale sincerità. –Usarmi come burattino per infastidire mamma e papà, a mio rischio e pericolo. Maturo, da parte tua.  Quanti anni hai, tre?
–Mia madre ha un libro sulle torture medievali. Questiona la mia maturità un’altra volta, e le sperimenterò su di te!
–Confermeresti la mia tesi, Weil. Certo, però, pure i tuoi … tuo padre pareva pronto a uccidere, tua madre sembrava avesse visto un fantasma!
Frida riuscì ancora una volta a sorprenderlo: si aspettava una reazione rabbiosa, addirittura violenta; tutto, tranne che scoppiasse a ridere.
–In un certo senso, è così- rispose, rivolgendogli uno dei suoi tipici “sorrisi da Stregatto”. –Niente di personale, è solo che sei la copia sputata di tuo padre da giovane.
–Che ne sai tu di mio padre?
Un lampo di incredulità attraversò gli occhi di ghiaccio della giovane, sostituito dal luccichio di chi freme dalla voglia di condividere una preziosa informazione.
–Io sono onnisciente … al contrario di te, a quanto pare. Non stai facendo il finto tonto? Davvero non sai niente?- sbottò, gesticolando come una consumata teatrante. –La situazione è peggiore del previsto. Tieniti forte, Liam, ho una notizia-bomba: tuo padre stava con mia madre. Erano a tanto così dal matrimonio, ma lui l’ha mollata, procurandole un gravissimo trauma emotivo. Adesso capisci perché, al vederti, mia madre ha rischiato l’infarto e mio padre una condanna per omicidio? Io, ihre einzige Tochter8, con te … per loro è stata la materializzazione di un incubo! Oh, non fare quella faccia! Vedi il lato positivo: hai scampato il pericolo di avermi come sorella. Ti pare poco?
 
Note:
Premetto che si tratta di un esperimento. Non so se e quando svilupperò questa storia. L’idea di scrivere un giallo mi frulla in testa da un po’ … vedremo se prenderà vita. Intanto, ho pensato a questo extra come a una sorta di scorcio sul futuro, e devo ammettere di avere le idee chiare su due personaggi in particolare (indovinate chi?).
Spero vi sia piaciuto “incontrare” F&F nel ruolo di genitori (ir)responsabili, alle prese con una figlia difficile da gestire. D’altronde, dalla mescolanza dei loro geni cos’altro poteva venir fuori?
Non commenterò oltre i new characters, vorrei la vostra opinione spassionata; una sola precisazione: la discussione tra William e Frida in metropolitana (fatemi sapere se vi ha dato questa impressione) l’ho immaginata un po’ come l’incontro tra Harry e Draco sull’espresso per Hogwarts; Frida, da ragazza viziata qual è, è convinta che basti fare l’offerta perché questa venga accettata, atteggiamento che suscita in Will l’effetto opposto a quello previsto.
Lei non gli piace, non ha mentito su questo, la asseconda soltanto perché è curioso di scoprire fino a che punto possa spingersi nella sua follia genialoide (e un po’ perché non ha di meglio da fare). Vi chiederete: perchè l’ha ritratta? Perché si sentiva ispirato. Punto.
Nel caso ve lo steste chiedendo, nella mia mente Kevin ha l’aspetto di Ben Barnes, Kim di Kaya Scodelario e Frida di Chloe Marshall. Per gli altri ragazzi non ho trovato prestavolto convincenti. Forse sono troppo esigente.
Chiudo con la richiesta di un minuto di silenzio per Nathaniel, anima candida. Kim sa essere davvero odiosa, quando vuole!
A presto (
spero)!
Serpentina
P.s.: il Rasoio di Occam è il nome di un principio metodologico, espresso nel XIV secolo dal filosofo e frate francescano inglese Guglielmo di Occam, che suggerisce, per risolvere un problema, di scegliere, tra più ipotesi, quella più semplice, a meno che non sia necessario e utile prendere in considerazione altri fattori.
P.p.s.: il bartitsu è un mix fra jujitsu, pugilato, judo e il savate francese. Il nome deriva dall’unione del cognome del suo ideatore, Edward William Barton-Wright, e il jujitsu. Era molto popolare in età vittoriana (provate a indovinare chi lo praticava? Vi do un indizio: il suo nome comincia per S) e ha visto un rinnovato interesse nei primi anni 2000.
P.p.p.s.: le mie storie a volte sono politicamente scorrette; mi riferisco in particolare alla parte in William è tentato di prendere a schiaffi Frida. Ci tengo a precisare che non riflette il mio pensiero e non lo giustifico in alcun modo.

*citazione di Sherlock Holmes

1In tedesco i diminutivi si formano aggiungendo alla parola il suffisso -chen o -lein. Spesso la vocale radicale del diminutivo prende la umlaut (dieresi). Frosch = rana à Fröschlein = ranocchietta.
2Non ti conviene farmi arrabbiare, Ranocchietta.
3Bello! Hai davvero talento!
4Kunstwerk = opera d’arte. Du hast Recht =  hai ragione.
5Piccolo capolavoro
6Idioti, teste di rapa
7Liberamente tradotto in “Testa di cazzo! Coglione! Stronzo!”
8La
loro unica figlia

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2800833