Il veleno del serpente

di Circe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quel bacio cambiò tutto ***
Capitolo 2: *** Il Marchio nero ***
Capitolo 3: *** Il sapore del mio maestro ***
Capitolo 4: *** Gelosia ***
Capitolo 5: *** Bello e vulnerabile ***
Capitolo 6: *** Sai di chi stiamo parlando ***
Capitolo 7: *** Ti voglio parlare ***
Capitolo 8: *** Il morso del serpente ***
Capitolo 9: *** La mia solita ragazzina egoista ***
Capitolo 10: *** La stella più luminosa ***
Capitolo 11: *** Ti metto a posto io ***
Capitolo 12: *** Amo il suo veleno ***
Capitolo 13: *** Era guerra ***
Capitolo 14: *** Finalmente la baciai ***
Capitolo 15: *** Quando mai mi ricapita ***
Capitolo 16: *** Sul tappeto, accanto al fuoco ***
Capitolo 17: *** Ancora il fuoco ***
Capitolo 18: *** L’avevo avvelenata tutta ***
Capitolo 19: *** Il rumore del mare ***
Capitolo 20: *** Sei ancora qui? ***
Capitolo 21: *** Perfetti insieme ***
Capitolo 22: *** Io mi fido di lui ***
Capitolo 23: *** La coppa ***
Capitolo 24: *** Come è fatto il vento ***
Capitolo 25: *** Ovunque volesse ***
Capitolo 26: *** Piacevole ossessione ***
Capitolo 27: *** La custode dell’anima ***
Capitolo 28: *** I bambini sperduti ***
Capitolo 29: *** Rivale ***
Capitolo 30: *** Quel dolore ***
Capitolo 31: *** Dammi il tuo sangue ***
Capitolo 32: *** Edipo re ***
Capitolo 33: *** L’ultimo incantesimo ***
Capitolo 34: *** Non innamorarsi mai ***



Capitolo 1
*** Quel bacio cambiò tutto ***


Dal grimorio di Bellatrix: “Quel bacio cambiò tutto”


Quel bacio cambiò tutto nella mia vita.
Già conoscerlo, imparare la magia da lui, stare sempre al suo fianco mi aveva trasformata, ma quel momento, quel bacio, quelle parole, quella sera insieme, segnarono una svolta talmente grande che in quel momento non riuscivo nemmeno a quantificare.
“Ti sei innamorata di me?”
Mi aveva sussurrato quella domanda all’orecchio, come se volesse condividere un segreto, come se volesse invogliarmi a confidarmi con lui, mentre mi baciava incessantemente. La mente mi si confondeva sempre di più, ma sapevo che era una prova, mi stava semplicemente mettendo alla prova.
Io non avevo voglia di esami, volevo solo perdermi fra le sue braccia e nei suoi baci, ma lui insisteva.
“Rispondimi, Bellatrix…” 
Insisteva fra un bacio ed un sospiro, la sua voce sembrava un soffio di vento, suadente e delicata, ma fredda.
I suoi baci appassionati avevamo quel tipico sapore dolciastro che adoravo, sentivo quella sostanza dolce amara sulla sua lingua che sapeva di lui, e mi diceva quella frase dolce “ti sei innamorata di me?”, ma nascondeva qualcosa di amaro.
Non rispondevo ancora, continuavo ad indugiare, allora si è leggermente scostato da me, guardandomi negli occhi, pretendendo la sua prova.
Lo guardai anch’io, perdendomi in quello sguardo scuro, screziato di una tinta strana, avrei quasi potuto dire di rosso, forse erano i suoi occhi proprio di quel colore inusuale, o forse era il bagliore delle fiamme attorno a noi.
Voleva una prova d’amore, o una prova di fedeltà? 
Io avrei tanto desiderato dargli una prova d’amore.
Ma lui cosa desiderava?
Gli attimi passavano e i nostri sguardi rimanevano legati come se tutto attorno si fosse fermato.
Non mi decidevo.
Vedevo quelle pupille cambiare ad ogni secondo che passava, il suo sguardo rilassato e perso in tanti pensieri di poco prima lasciava lentamente posto a un lampo di sorpresa e delusione.
Fu in quell’attimo che gli lessi dentro, non con la magia, non con la legilimanzia, gli lessi dentro col mio amore. Vidi il perché di molte cose, sentii la sua paura e le sue insicurezze, il suo dolore innato, presente da sempre, ma che cercava di nascondere e soffocare.
Solo per un attimo, ma quell’attimo mi bastò, quella volta capii e scelsi la cosa giusta, fui abbastanza forte da scegliere lui e non me stessa.
Voleva una prova di fedeltà.
Di quello aveva bisogno e quello gli diedi.
Per amore.
“Mio Signore, voi mi avete insegnato più volte che ci sono solo tre regole fondamentali da cui non è possibile prescindere. La prima è impegnarsi sempre fino in fondo, al limite delle proprie capacità, per imparare tutti gli insegnamenti delle arti oscure. La seconda è non aver mai paura di oltrepassare, anzi, sbaragliare i limiti imposti alla magia normale. E la terza è innamorarsi mai …”
Feci una breve pausa, poi ripresi guardandolo negli occhi.
“Non innamorarsi mai… è una regola… Per questo motivo io non posso amarvi, non posso essermi innamorata di voi.”
Dissi solo questo, e questo bastò. Ci guardammo a lungo, alla fine mi sorrise in modo strano, come se anche lui avesse capito più a fondo di quanto era chiaro in superficie.
Non aggiungemmo altro.
I baci non finirono col termine della prova, ripresero con maggiore passione e desiderio di prima, anche da ciò capii di aver fatto la scelta giusta.
Ci spostammo poco lontano, in un vicolo buio e solitario, dove per lungo tempo consumammo avidamente lunghi baci e appassionate carezze. Mi addossò al muro di una vecchia casa, sentivo il suo caldo tocco e le sue labbra sulla mia pelle, sul viso e sul seno, dietro di me il freddo rigido della calce mezza scrostata che mi graffiava i vestiti e la pelle.
Era una cosa un po’ brutale e molto diversa da ciò a cui ero solitamente abituata. Anche Rod era rude, eravamo una coppia appassionata e non ci importavano i convenevoli, ma lì con lui, in quel vicolo buio, scuro, schiacciata addosso a quel muro freddo e doloroso, senza dire una parola, solo invasa dai suoi baci, lì era tutto davvero diverso, e io mi sentivo davvero viva. 
Mi bastava essere insieme a lui, nella sua oscurità.
Continuammo così a lungo, ma non andò fino in fondo, si fermò ad un certo momento di quella notte tumultuosa.
“La prova è superata, ora sei anche tu una Mangiamorte, come gli altri, ora i tuoi fratelli ti stanno aspettando.”
Annuii silenziosamente. 
Avevo raggiunto ciò che avevo sempre desiderato, ero diventata davvero una Mangiamorte. Ero diventata una strega oscura, potente e pericolosa.
Avrei avuto finalmente il Marchio Nero sul braccio.
Avevo ottenuto tutto, davvero tutto quello che avevo sempre desiderato. Eppure in quel momento non mi importava, la mia vita era già cambiata di nuovo e lo aveva fatto nel giro di pochi istanti, in quei pochi momenti con lui.
O forse era tutta una vita che mi preparavo a questo.
Io ora volevo e desideravo solo lui, nient’altro, nessun altro.
Il maestro di arti oscure.
Il mio Signore Oscuro.
Lord Voldemort.
Questo pensavo in quel vicolo buio, nel momento in cui i nostri volti vennero illuminati dal bagliore del suo incantesimo sul mio braccio sinistro, mentre ancora stringeva il mio corpo contro al suo, su quel muro freddo.
Non sentii quasi il dolore del tatuaggio.
Sentii solo che si portava il mio avambraccio alle labbra, e la sua lingua calda mi bruciava sulla ferita.
Lo amavo da impazzire.


………

Buona sera a tutti! Eccomi con una nuova storia! Proprio nuova in realtà non è… dovevo scriverla già anni fa, e non è altro che il seguito de “Il maestro di arti oscure”.



Ora alcune note importanti: la storia sarà comprensibilissima senza ovviamente andare a leggere le storie precedenti, non temete, forse qualche particolare resterà poco chiaro ma niente di più. 
Per coloro che invece vogliono leggerle o si ricordano la trama dagli anni passati, i cambiamenti si noteranno strada facendo, questo prologo invece si riallaccia precisamente (o quasi) all’ultimo capitolo de Il maestro di arti oscure (che aveva un finale aperto).
La narrazione continuerà come pagine di grimorio dei protagonisti secondo la modalità della storia precedente.
Nota dolente… ho sempre cercato di restare nel canon con le mie storie, però sinceramente in questa volevo rendere Voldie più umano e meno piatto rispetto al libro, il periodo che tratto in questa storia non è molto descritto nel libro della Rowling per cui mi prenderò parecchie libertà personali, e interpretazioni personali di ciò che è e che sarà… non vogliatemene. Penso che a seconda della piega che prenderà la storia potrei aggiungere un bell’ Ooc (ma si usa ancora metterlo?).
Direi che ho finito le note (mi sarò dimenticata di sicuro qualcosa), ora vado a pubblicare… è un’emozione che non provavo da anni quella di pubblicare una nuova storia… 😊
Grazie per aver letto fino qui!
Circe

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Capitolo 2
*** Il Marchio nero ***


Dal grimorio di Rodolphus: “Non potevo farci nulla”




Quella sera tornarono tardi, anzi non era sera, era già notte inoltrata. 
Mi dava fastidio, tutto quel tempo mi infastidiva, sapevo che Bella doveva superare la prova per diventare una Mangiamorte, che probabilmente le ore che passavano erano dovute a ciò, ma ero nervoso lo stesso: non sapevo nulla di quella prova, non sapevo dove fossero, né cosa stessero facendo, e lei era così legata al suo maestro, sempre così dipendente da lui.
Lui no, di questo ero certo, lui non la considerava, lui non teneva nessuno in grande considerazione, per cui dovevo stare tranquillo.
Eppure tranquillo non ero, rigiravo incessantemente la bacchetta tra le dita e sentivo la mano sudata, i muscoli tesi, gli occhi nervosi.
“Sei inquieto, vero fratello? Il Signore Oscuro non torna e si sta tenendo Bella tutta per sé…”
Ecco, mancava solo Rabastan ad angosciarmi più di quanto già non fossi, il nostro rapporto fraterno di odio e amore prevedeva una continua e reciproca tortura e umiliazione, in nome di quella terribile ragazza che era mia moglie.
Io l’amavo e lui anche.
All’inizio pensavo che Rab la desiderasse solo perché era la mia ragazza, ma dopo anni che vedevo come si comportava, come la guardava e come si curava di lei, avevo capito e accettato che anche lui la amasse davvero. 
Accettato malamente, a dire il vero, perché la cosa mi infastidiva non poco, ma era così e non potevo farci nulla.
Inoltre negli ultimi tempi qualcosa era cambiato: trovavo consolatorio quell’amore disperato di Rabastan, e questo cambiamento mi dava sui nervi perché voleva dire che sotto sotto mi sentivo disperato anch’io e l’unica consolazione era non sentirmi solo.
Perché? Per il semplice fatto che Bella era sempre più legata a lui, al maestro. E lui… lui le concedeva mille attenzioni in più rispetto a noi poveri altri Mangiamorte.
Lui le insegnava le arti oscure, perdeva ore e ore a spiegarle, correggerla, allenarla, solo a lei concedeva tutto questo tempo e queste energie.
Si dicevano tante cose di cui nessuno sapeva e conosceva nulla, lui era per lei un vero maestro a tutto tondo.
Mi ero sempre preoccupato che fosse lei a provare qualcosa per Lord Voldemort, ma non avevo neanche mai lontanamente pensato che anche lui potesse in qualche modo avere un interesse, diciamo un interesse particolare, nei confronti di lei.
“No, non sono inquieto, fratello, sono nervoso, tutto qui. Non capisco perché impieghino tutto questo tempo.”
Rabastan si girò verso di me impensierito, l’aria strafottente era sparita.
“Pensi che qualcosa possa essere andata storta?”
“No… non credo… conoscendo Bella non penso che nulla sia andato storto.”
Restammo zitti, uno accanto all’altro nei nostri mantelli neri.
“Allora vedrai che torneranno a momenti… Lord Voldemort non ha nessun interesse a restare in giro a lungo.”
Già non aveva nessun interesse a restare in giro a lungo… eppure ci restava. E ci restava con Bellatrix.
“E pensare che ho organizzato io tutta questa farsa!” 
“Farsa, fratello? Allora sei proprio geloso marcio! Fino a ieri andavi tutto orgoglioso, eravate tutti felici e contenti… Bella diventa una Mangiamorte, io sono diventato un Mangiamorte, grandi festeggiamenti, grande felicità. Ora dici che è tutta una farsa…?”
Non avevo voglia di sorbirmi anche le provocazioni di Rab, voltai sui tacchi e mi allontanai, stavo proprio per cambiare stanza quando sentii il classico pop della materializzazione.
Allora mi voltai di scatto e li vidi.
E la vidi.
Vidi quello sguardo ed ebbi una fitta alla testa, vidi quelle guance rosa e mi si strinse lo stomaco in una fitta dolorosa, vidi quel sorriso che mi fece male al cuore.
Li misi a fuoco entrambi per bene, in tutta l’agitazione che avevo.
Non erano vicini tanto da toccarsi e questo avrebbe dovuto togliermi almeno un po’ di tutta l’angoscia che sentivo, ma lui le stringeva ancora il braccio sinistro, la avvicinava a sé in un modo tutto nuovo, un modo che avrei dovuto aspettarmi, ma che in verità non ero preparato a capire fino in fondo, e a subire fino in fondo.
Bella portava il suo vestito lungo e nero, i capelli sciolti le ricadevano sul bel viso semicoperto dal cappuccio. Solo una parte lasciava completamente scoperta: l’avambraccio sinistro, con la manica della veste tirata verso l’alto e lasciata così, in maniera scomposta.
Su di esso capeggiava, in rilievo e colorato di fresco, il tatuaggio appena fatto: il Marchio Nero. Tutt’attorno la pelle era rossa e rosata, un’irritazione uniforme lungo il perimetro del tatuaggio.
Mi avvicinai istintivamente per abbracciarla, notando che anche Rabastan avanzava verso i nuovi arrivati, ma quando le fui più vicino guardai meglio il marchio, e quell’irritazione attorno non era così omogenea come mi era parso all’inizio, come la conoscevo già bene dal mio marchio.
No… c’erano due piccoli lividi vicino, due piccoli maledetti lividi sulla pelle della mia Bella, lì proprio sul suo marchio. Lividi che io non avevo mai avuto, che Rabastan non aveva mai avuto, che nessuno aveva mai avuto.
Alzai gli occhi sul Signore Oscuro, in segno di saluto. Lui ricambiò con sguardo inaccessibile, lontano ed enigmatico.
Poi schiuse le labbra in un freddo sorriso.
Con sguardo sconsolato gli guardai le labbra che piegava in quel sorriso misterioso. Quelle labbra, quanto le ho odiate: erano loro che avevano lasciato i lividi, ne ero certo.
E io non potevo fare nulla, nulla di nulla.
Durante tutti quegli istanti lui non la lasciava. Impassibile, prepotente eppure freddo e distaccato, non sapevo come facesse a mostrarsi tutto e il contrario di tutto.
In quegli istanti percepii che la teneva in qualche modo stretta a sé, faceva sentire tutto il suo potere, tutta la sua volontà. La voleva e non l’avrebbe più lasciata.
Non gli importava nulla di me e di nessun altro. Quegli occhi che fissavano lungamente Rab e me stavano a significare che sarebbe cambiato molto, tutto.
In tutti quei mesi passati come Mangiamorte avevo imparato, almeno in parte, a leggere quegli occhi e quello sguardo. Il suo volere andava oltre i miei sentimenti e i miei desideri, il suo desiderio di possesso andava oltre il suo stesso carattere distaccato e volubile.
Si era preso la mia Bella, non so in che modo, e ora la voleva tenere per sé.
Ebbi così paura di perderla per sempre in quell’attimo, che provai a non capire e non pensarci, provai a mettermi in moto a fare qualcosa.
“Mio Signore, ora che siamo al completo, possiamo iniziare subito a fare qualcosa?”
Tutti posero l’attenzione su di me, anche il Signore Oscuro mi diede maggiore attenzione, anche se col pensiero sembrava lontano anni luce, enigmatico e distante.
Però improvvisamente arrivava con discorsi perfettamente logici e taglienti, come se avesse da sempre ragionato su tutto e avesse già esperienza di tutto.
Si scostò i capelli dagli occhi, massaggiandosi leggermente la tempia, poi mi rispose:
“Non avete più nulla da fare per questa notte, se volete potete accogliere la nuova arrivata nel migliore dei modi, fra voi nuovi adepti, io ho bisogno di parlare con gli altri Mangiamorte.”
Lanciò un’occhiata veloce ad Avery senior, Mulciber, Dolohov e gli altri che, ubbidienti, si sono ritirati con lui nella stanza adiacente.
Non guardò più Bellatrix, che invece lo seguì silenziosamente con lo sguardo finché non si chiuse la porta alle spalle.
Non mi sfuggì la sua espressione affranta nel vederlo andare via, sparire senza nemmeno guardarla.
Di malavoglia restammo Rab, Bella e Alecto, perennemente attaccata a mio fratello che non la degnava di uno sguardo, perso com’era dietro a Bella. E poi c’ero io, che sentivo nascere dentro di me una rabbia che raramente avevo provato in passato.
“Dunque? Che si fa per accogliere la nuova arrivata?”
Alecto prese subito la palla al balzo per evidenziare che si trovava un gradino più in alto di Bella essendo lei Mangiamorte da più tempo, inoltre sicuramente il suo scopo era quello di restare per più tempo in compagnia di Rab.
Mio fratello non si fece certo pregare, lui voleva restare in compagnia di Bella ovviamente.
“Andiamo a festeggiare in quel locale nuovo a Nocturne Alley!”
Di quale locale nuovo stesse parlando non saprei dire, dato che non ne avevano aperti di nuovi. Era evidente il suo scopo: dove andare non gli importava, l’importante era festeggiare Bellatrix.
Già Bellatrix… io avrei voluto semplicemente andare a casa con lei da soli e capire cosa fosse successo, vedere come si comportava nei miei confronti, volevo stare con lei, riprendermela completamente, rifarla solo mia. Invece subito mi ha evitato.
“Va bene, andiamo dove dice Rab, così potrò entrare anch’io a far parte del gruppo.”
Sapeva proprio mentire bene, non le importava nulla di festeggiare insieme a noi poveracci, voleva davvero solo evitare il confronto diretto con me! 
Mi voltai verso di lei e la guardai bene, senza aggiungere altro.
Teneva ancora l’avambraccio scoperto, con la mano destra sul tatuaggio, in una sorta di gesto protettivo, di carezza perenne. Non aveva davvero bisogno della nottata con noi altri per sentirsi una del gruppo, anzi lei non ambiva ad essere del gruppo, ambiva solo a entrare nella cerchia più stretta di Lord Voldemort ed essere la sola vicina a lui.
“Non sei stanca?” Le chiesi.
Bastava guardarla in viso per vedere che non era stanca, era distrutta. Aveva gli occhi stanchi e cerchiati di scuro, era pallida e taciturna.
“No Rod, sto bene.”
Mi guardò e mi sorrise, ma non poteva mentire con me, io la conoscevo come le mie tasche: voleva solo starmi lontana quella notte, non voleva dormire nel letto con me.
Con un gesto di stizza, che voleva sembrare di passione, la afferrai fra i capelli, la tirai a me e la baciai a lungo. Lei mi lasciò fare.
Rispetto ai nostri soliti baci, Bella non mise nemmeno un quarto della sua solita passione.
E non era certo per la stanchezza.


Dal grimorio di Rabastan: “Il marchio nero”



Le cose iniziavano a farsi interessanti.
Davvero interessanti.
Avevo osservato tutta la situazione fin dal ritorno di Bella e del Signore Oscuro e ho avuto il piacere, finalmente, dopo più di vent’anni, di vedere il mio caro e dolce fratellino nell’ordine: inquieto, impaurito, terrorizzato.
Ebbene, come avevo già previsto, lui se l’era presa. Almeno così sembrava.
Non saprei dire da cosa si capiva, ma c’era una certa affinità tra i due che prima non si notava, c’era lo sguardo di Bella che non era più così fanciullesco, era diventato più… direi più sofferente in un certo senso, ma anche più completo. 
C’era il sorriso a fior di labbra di Lord Voldemort così freddo e languido, che sembrava inequivocabile il significato.
È così io, il povero piccolo stupido Rabastan, l’innamorato mai considerato, o quasi mai considerato, arrivavo sullo stesso gradino del grande, spavaldo e spudorato Rodolphus, che cadeva inesorabilmente dalle stelle alle stalle.
Il marito… diciamo cornuto? Sì dai, diciamolo. Non so cosa sia peggio tra la mia e la sua situazione.
Credevi che ti amasse fratello? Ne eri spocchiosamente certo? Mi facevi pesare la mia miserabile condizione di innamorato respiro? Ora vedrai cosa ti capiterà a vedertela col maestro di arti oscure.
Non immagini nemmeno la sofferenza.
Questo pensavo mentre camminavamo per Nocturne Alley, coi nostri cappucci tirati fin quasi sul viso, alla ricerca del posto inesistente di cui avevo parlato.
Arrivati in un locale qualsiasi proposi di fermarci, sia Rod che io ci sedemmo vicino a Bella.
Alecto mi seguì come era ormai solita fare nonostante i suoi continui dissidi con Bella e Rod e si portò dietro il gemello, infine si accomodò Avery jr, anche lui unitosi al gruppo da non molto tempo.
Mi rendevo conto sempre di più che non era facile mantenere gli equilibri fra noi Mangiamorte, eravamo tutti uomini meno una: Bella. 
C’era anche Alecto, ma non aveva molto della donna e passava inosservata vicino a Bella Black, anzi, no, dimentico sempre, Bella Lestrange.
Probabilmente non lo dimenticherei tanto spesso se il nome Lestrange lo portasse grazie a me, e non a mio fratello.
La tavola si animò velocemente fra discorsi e Whisky incendiari, avrebbe dovuto essere una festa, ma sembrava tutti si divertissero meno la festeggiata che, silenziosa e pensierosa, sorseggiava appena il suo Whisky sgranocchiando qualche patatina.
Approfittando di una distrazione di Rod, le diedi una gomitata sul braccio e non appena si voltò verso di me, le feci cenno di uscire a fumare.
Fu semplice come piano: Rod era andato pochissimo tempo prima, per cui pensavo di non essere disturbato, Bella si alzò subito, e da quello capii che non ne poteva più di stare lì seduta.
Quando mio fratello si voltò era già troppo tardi: noi eravamo quasi alla porta, quindi, per fortuna, me ne ero liberato.
Uscì lei per prima e io le rimasi dietro, il vento fresco della notte, ormai quasi prima mattina, le scompigliò i capelli. Bella solitamente se li lasciava muovere senza badare minimamente alla cosa, quella volta invece si fece attenta, e alla prima folata più decisa del vento, alzò il viso lentamente lasciandosi sfiorare e gli sorrise.
Sorrise proprio alle carezze dell’aria sul suo volto, non l’avevo mai vista tanto strana, e dire che era sempre stata molto particolare.
Quando si voltò verso di me poi, senza dire una parola le porsi il pacchetto di sigarette, così da offrirgliene una, ma lei scosse la testa.
“Ho smesso!”
Ero incredulo:
“Hai smesso? Ma dai e da quando? Perché?”
“Ho smesso da quando me lo ha consigliato…”
“Il maestro di arti oscure…” pronunciammo insieme quella frase all’unisono, ridendo, io prendendo in giro lei che lo ripeteva all’ossessione quel “maestro di arti oscure”, lei dopo averlo detto aveva capito la presa in giro e aveva sorriso mentre mi guardava.
Quant’era bella…
Buttai quindi via il pacchetto immediatamente, senza nemmeno pensarci un attimo. 
Bella rimase stupita e mi chiese come mai.
“Perché avevo iniziato solo per piacere a te, per far colpo, adesso a che mi serve?”
Rise subito alle mie parole. Eccola di nuovo la mia Bella, la sua risata sferzante, sfrontata e provocante, quella risata piena di superiorità nei miei confronti, che solo io sapevo quanto le faceva piacere che la facessi sentire così.
Era un segreto solo nostro. Io la facevo sentire così, ma in cambio avevo tutte le sue confidenze, persino le sue debolezze, a volte.
“Allora? Come è andata la prova? Non ne hai parlato…”
A quel punto arrossì vistosamente, ma non si decideva a dire nulla, doveva proprio essere un segreto inconfessabile.
“È andata bene, non è stata difficile, ma intensa. Ora Rab sono stanchissima, vorrei andare a casa.”
Ecco la bambina che correva da me nel momento del bisogno, ora vuole essere riaccompagnata, ma non da Rod che non vuole affrontare, viene da me.
“Vado a chiamarti Rod? Così andate insieme?”
“No! No, vado da sola, soltanto avvisalo tu quando torni dentro, voi continuate pure a divertirvi.”
Mi ero sbagliato, la bambina era cresciuta nel giro di una notte, non voleva più compagnia, non voleva più aiuti, ora faceva da sola.
Non la volevo perdere così, i suoi capricci da viziata erano l’unica cosa che mi concedeva.
“No, dai, non andare sola, ti faccio compagnia volentieri, vengo io, lasciamo stare Rod.” 
Era un maldestro tentativo, lo capivo, ma non sapevo che altro fare.
“Non sono più sola ora, ho questo.” Mi disse mostrandomi l’avambraccio arrossato su cui capeggiava il Marchio Nero.
Quanto ne era orgogliosa? Le brillavano gli occhi anche solo mostrandolo.
Io invece ricevetti come una coltellata nello stomaco quando me lo fece vedere, e una coltellata al cuore quando disse che da quel momento non era più sola.
Sì certo, aveva lui, il maestro di arti oscure.
Anzi, ora che le era penetrato nella carne era diventato il suo Signore.
Penetrato nella carne nel senso che le aveva tatuato il suo marchio, intendo questo, spero ancora si sia limitato a questo genere di entrata.
Altro non mi è dato sapere.
Ma non è detto che non sia successo.
Per la prima volta mi sentii davvero a disagio parlando con lei del maestro. Una sensazione strana che non riuscivo a descrivere e nemmeno a capire fino in fondo.
Iniziai a domandarmi molto spesso cosa a essere fatto, cosa lui voleva davvero da lei.
“Posso vederlo?”
Indicai con lo sguardo il Marchio sul suo braccio, ben visibile con la manica tenuta alta, ma volevo toccarla, vedere il tatuaggio da vicino.
Lei annuì.
Vidi che prima di porgermi il braccio osservò il disegno accarezzandolo letteralmente con lo sguardo, poi prese tutto il suo tempo per accarezzarlo con le dita.
Aveva tolto tutti gli anelli, aveva le mani nude, con l’unico vezzo dello smalto nero. Le sue dita passarono delicatamente su tutto il disegno, nonostante la pelle arrossata e irritata dovesse farle ancora piuttosto male, non le sfuggì un solo centimetro del disegno.
Poi mi prose il braccio.
Rimasi incantato dalle sue mosse, così lente, profonde. Racchiudevano tutti i suoi sentimenti per lui.
Io dovevo solo sperare che lui si mostrasse in tutta la sua crudeltà, che la respingesse, poi sarebbe venuta da me per farsi consolare.
Però guardai quel Marchio e ebbi i primi dubbi e tentennamenti.
Vi erano dei piccoli lividi attorno, doveva averle succhiato la pelle, non potevano essere lividi creati dal tatuaggio, non era proprio possibile purtroppo. 
Come poteva essere stato proprio lui, però?
Perché lo avrebbe fatto?
Non c’era però solo quello a farmi vacillare. Era proprio il tatuaggio in sé che sembrava speciale. 
Era così scuro, così nero, così vivo e vivido. 
Ero certo che il mio non fosse così, avrei potuto giurare che neanche quello i Rod fosse fatto a quel modo.
Bella mi guardava interrogativamente, ma io non riuscivo a parlare. La paura che lui non l’avrebbe delusa si fece avanti prepotente in me.
Tentai di scacciarla, tentai di guardare Bella e ritrovare la mia lucidità e la mia sicurezza.
Invece vidi in lei una donna, misteriosa e quasi sconosciuta. 
Quando era cambiata così?
Possibile che non me ne fossi accorto?
Le accarezzai i capelli.
“Come sei bella, lo sai che diventi ogni giorno più affascinante?”
Lei si limitò a sorridere apertamente. Le piacevano i complimenti.
“Allora proprio non vuoi raccontarmi nulla della prova?”
Avrei davvero voluto sapere tutto ciò che era successo, a costo di farmi del male. Invece il suo silenzio fu peggio del racconto stesso.
“È andato tutto bene, ora sono veramente stanca, Rab, voglio andare a casa. Salutami tu gli altri.”
Annuii dispiaciuto, non osai fare altre domande. 
“Posso chiederti un favore?”
Era una richiesta che non ammetteva un no come risposta, cosa che comunque non avrei mai fatto.
“Dimmi pure.”
Lei si chiuse il mantello, lasciando sempre solo il Marchio in bella vista, poi si alzò il cappuccio.
Era splendida così nascosta, così misteriosa e minacciosa.
“Non lasciare che Rod torni a casa stanotte, voglio rimanere sola.”
Sgranai gli occhi e tacqui per qualche istante, lei mi guardò impassibile. Avevo visto la lenta discesa negli inferi di mio fratello in quella frase.
Non sapevo cosa mi aspettasse però.
Lentamente annuii.
“Certo, Bella, farò in modo che nessuno ti possa disturbare questa notte.”
A quelle parole la vidi smaterializzarsi velocemente e rimasi solo anche io. Non sarei riuscito a tornare al tavolo, ma avevo paura che Rod venisse a cercarci fuori.
Inoltre le avevo promesso che lo avrei trattenuto. Le avevo promesso di lasciarle la notte solo per lei.
Cosa doveva fare? 
Questa domanda mi martellava nella testa.
Cercai di riprendere fiato, respirare aria pura prima di costringermi a tornare all’interno.
La pensai e ripensai. 
Voleva sognare del suo maestro in solitudine. Voleva guardare tutto il tempo il suo marchio sulla pelle. Voleva masturbarsi pensando a lui.
Mentre la pensavo che faceva certe cose mi sentii eccitato più che mai.
Dovetti aspettare ancora parecchio tempo al freddo prima di riuscire a rientrare senza l’eccitazione totalmente visibile sotto i pantaloni. 
Mi sentii perso, in balia totale dei miei sentimenti, sottomesso dalla sua essenza che non mi lasciava respirare autonomamente.
Quella donna mi devastava, mi faceva impazzire, era l’unica però che mi faceva sentire davvero vivo.
 
 
 

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Capitolo 3
*** Il sapore del mio maestro ***


Dal grimorio di Bellatrix: “Il sapore del mio maestro”

Erano passati mesi da quella notte, erano passate le prime semplici missioni e i primi atti più importanti e delicati, erano passati i primi errori e le prime paure, come i primi successi e le vittorie.
Talvolta lui mi era accanto, erano le volte in cui mi sentivo più sicura, sapevo che avrei potuto conquistare il mondo se lui era lì con me. Spesso invece mi lasciava fare da sola, dovevo affrontare tutto e superare tutto contando solo sulle mie forze ed erano i momenti più brutti e faticosi. 
Non mi tiravo mai indietro e tante volte ho probabilmente sbagliato. Ugualmente non mi ha mai punito, mi ha sempre parlato, ascoltato, se doveva correggermi lo faceva a modo suo, con una battuta ironica, una provocazione, una frase detta con quel suo tono freddo il suo sguardo penetrante.
Non voleva mostrarsi comprensivo, ma io lo sapevo che quelle correzioni non le avrebbe mai fatte a nessun altro, solo a me. L’ho sempre sentito vicino, anche quando, in un allenamento o l’altro, mi faceva volare via la bacchetta dalle mani come fosse un gioco e mi prendeva in giro per la mia incapacità.
Allora ridevamo insieme. Era così bello quando rideva che mi sarei fatta togliere la bacchetta mille e mille altre volte.
Mi ero abituata a chiamarlo “mio Signore” anche se dentro di me restava nel cuore “mio maestro” e avevo imparato a guardarlo con occhi diversi mentre, durante le riunioni, le discussioni e gli incontri segreti, lui parlava con tutti noi.
Lo guardavo dentro, non con la legilimanzia, ma attraverso i suoi sguardi, i suoi movimenti, i suoi silenzi.
Avevo scoperto che, così facendo, scoprivo molto del mio maestro. Avevo capito che c’era un altro uomo dietro tutto ciò che voleva apparire, che a volte si celava molto bene, a volte molto male. 
Desideravo solo conoscerlo. Per me non era più solo il mago oscuro più potente dei nostri tempi, o forse di tutti i tempi, volevo capire e conoscere anche quel suo lato fragile dietro a tutta la forza che dimostrava.

Volevo captare le parole dietro ai silenzi ostinati, i segreti nascosti dietro le frasi criptiche che pronunciava e la sofferenza che sentiva sotto all’oblio che cercava.
Fra noi però, non era successo più molto e io ne soffrivo, non sapevo cosa pensare e cosa fare. 

Talvolta i suoi sguardi mi parlavano, le sue mani mi stringevano. Talvolta non si curava minimamente di me in quel senso amoroso e passionale. Mi sentivo in un vortice di dubbi e speranze, trascinata a caso come una foglia nel vento.
Non capivo più nulla.
Non sapevo che fare del mio matrimonio, mi pentivo di averlo compiuto così velocemente e non trovavo più senso in tutti i miei innamorati di cui tanto andavo fiera in passato.

Pensavo continuamente al mio Signore, non sapevo dove fosse finito tutto il mio amore per Rodolphus e non riuscivo a ritrovare dentro me stessa tutta la spavalderia di un tempo. 
“Bellatrix, svegliati! Sto parlando con te!” 
Una voce femminile interruppe i miei pensieri: era Alecto che mi richiamava all’ordine. 

Alecto, fin da quando l’ho conosciuta, mi ha sempre guardata con una certa invidia, e io a mia volta la invidiavo perché era una Mangiamorte già molto prima di me. Dopo lo scontro cruento avvenuto fra noi, in cui Rod ed io abbiamo fatto capire a lei e fratello chi davvero fosse il più forte, questa invidia è diventata più un odio mal celato e un continuo tentativo di prevaricazione. 
Non sopportavo quindi di essere ripresa da lei.
“Chiudi il becco, allora, non tollero di essere disturbata da te, sto leggendo per i fatti miei.”
Ero seduta su un divano, in una delle tante stanze del quartier generale, fingevo di leggere qualcosa, ma i miei pensieri vagavano per conto loro e si fissavano sempre sul mio maestro.
“Chi pensi di essere? Sei appena arrivata. Ti dai arie perché sei una bella bambolina? Infondo cos’hai fatto finora? Niente!”
Mi alzai dal divano immediatamente, con la bacchetta già nelle mani. In pochi secondi la sovrastai: lei tanto piccola e tarchiata mi facevano pena coi suoi tentativi di alzare la testa davanti a me.
“Ti devo ricordare chi delle due ci ha rimesso l’ultima volta che ci siamo scontrate io e te, piccola nullità? Mi pare tu abbia impiegato diverse settimane prima di riprenderti anche solo un pochino, vedi di non provocarmi, perché ti faccio subito fare la stessa fine, se non peggio!”
Non feci quasi in tempo a finire la frase che con la velocità della luce mi afferrò i capelli con le mani, mi fece anche male. Era migliorata parecchio in quei mesi, mentre io arrancavo molto, pagavo il fatto di dover imparare la magia oscura e nello stesso tempo anche le normali tattiche di duello, di incantesimi, di difesa.
Il mio vantaggio era comunque sulla potenza della magia e lo sapevo bene, puntai la bacchetta e la scaraventai lontano, verso il caminetto, lei atterrò malamente con un grosso tonfo: era riuscita a schermarsi, altrimenti sarebbe stato molto peggio. Non feci in tempo a rincarare la dose di incantesimi, che sentii sbattere la porta alle mie spalle.
Subito una voce tagliente mi trafisse il cuore.
“Quanto devo aspettare perché tu ubbidisca ai miei ordini, Bella?”
Mi voltai e lo vidi lì, a pochi passi da me, pallido, freddo e con lo sguardo cupo, ma allo stesso tempo le sue labbra erano piegate in un lieve sorriso, impercettibile. Non sapevo nemmeno se quello strano sorriso fosse reale, o frutto della mia immaginazione tanto fu fugace ed enigmatico.
“Mio Signore… i vostri ordini?” 

Ovviamente non avevo idea di cosa stesse parlando, nessuno mi aveva comunicato nulla.
“Alecto sicuramente ti avrà detto che volevo vederti subito.” 

 Rivolse lo sguardo alla mia rivale che nel frattempo si era alzata in piedi e si stava avvicinando.
“Sì, mio Signore, l’ho fatto, ma Bellatrix sapete com’ è, spesso impegnata a divagare con la mente penso non mi abbia nemmeno sentito e ascoltato.”
Mi morsi le labbra forte per non parlare e, per non attaccarla di nuovo, affondai le unghie nel palmo della mano che reggeva ancora la bacchetta.
“Scusatemi, mio Signore, sono qui, potete chiedermi quello che desiderate.”
Lui mi guardò a lungo a volte sembrava mi volesse studiare, non disse nulla.

Alecto ci rimase palesemente male, desiderava vedermi umiliata o punita, ma rimaneva perennemente delusa.
Il mio maestro mi fece invece segno di entrare nella stanza adiacente, e così feci, lui entrò con me e richiuse la porta alle sue spalle. Ci ritrovammo soli nella stanza piena di oscurità, di candele accese e qualche lampada che emanava luce fioca.
“Vieni a sederti vicino a me, ti devo dire alcune cose.”
Quella stanza era pregna di magia oscura, la sentivo e la percepivo da tutto, era una delle sue preferite, dove passava più tempo tra incantesimi, prove, letture e non so che altro. Ero sempre felice di ritirarmi lì insieme a lui, sia che fossimo da soli sia che ci fosse qualche altro Mangiamorte.
Presi posto, come al solito, sul bracciolo della grande poltrona dove si sedeva lui solitamente: era il mio posto da sempre, in un certo senso me lo ero conquistato quel posto al suo fianco. Lui spense un paio di candele soffiando leggermente su di esse, il buio divenne maggiore, poi si lasciò cadere sulla poltrona vicino a me. Lo fece in quella maniera scomposta, forse un po’ lasciva, che mi piaceva tanto. 

Mi accomodai meglio, voltandomi verso di lui, mentre lui appoggiava la testa di lato, leggermente vicina a me, tanto che quella particolare vicinanza mi toglieva il respiro. Mi soffermai, ancora una volta a guardarlo, non mi stancavo mai di osservare mille particolari di lui.
Aveva tagliato leggermente i capelli, che prima portava più lunghi, aveva il viso pallido, i vestiti che sembravano sempre troppo leggeri per tenerlo al caldo.
Era anche leggermente dolorante, cosa che ogni tanto gli succedeva, mi ero accorta che spesso soffriva di dolori alla testa di cui non parlava mai, ma che non sfuggivano al mio sguardo attento.
Rimase infatti appoggiato allo schienale e alzò solo lo sguardo verso di me, abbassandolo subito dopo aver parlato.

Sembrava stanco.
“Sai che non amo particolarmente che i miei Mangiamorte litighino tra di loro…”
Sospirai senza rispondere.
“Fra te e Alecto non scorre buon sangue, mi è parso di capire. E la cosa riguarda anche Rodolphus e Amycus.”

Lo guardai un po’ indispettita, speravo volesse dirmi altro.
“Volevate parlarmi di questo, mio Signore?”

Lui ovviamente non si lasciò minimamente deviare dalle mie rimostranze, mi guardò anzi dritto negli occhi, imperiosamente.
“Tu rispondi a questo.”
Abbassai lo sguardo, presi tempo. Giocherellai un momento coi miei capelli, poi mi decisi a rispondere. 
“Sì avete ragione, non andiamo particolarmente d’accordo, anzi, direi che non andiamo per niente d’accordo.”
Lui allora spostò lo sguardo altrove, in direzione delle candele accese di fronte a noi.

“Come mai?”
Alzai le spalle, non sapevo cosa dire, avrei voluto solamente accarezzargli i capelli e restare in quel silenzio inumano e delizioso. Non mi importava nulla di quei due incapaci.
“Non saprei dirlo, davvero, mio Signore, piano piano ci siamo ritrovati così.”
Lentamente il mio maestro prese la bacchetta e accese il fuoco nel camino, poca cosa, solo qualche brace, poi rimase ancora un po’ in silenzio, guardando la bacchetta e rigirandola nella mano.
“Sai perché ho creato la cerchia dei Mangiamorte, Bella?”
“Perché volevate un gruppo che, come voi, sapesse sfidare e vincere al morte, perché tutti noi potessimo vivere sempre al limite, sfidare ogni limite, e sentirci vivi nel tentativo di andare oltre.”
A quelle parole mi ha sorriso con un’ espressione a metà tra la complicità e l’accondiscendenza.
“Sì per quello, ma anche perché volevo ricreare una famiglia.”
Rimasi in silenzio per aspettare che continuasse, di queste cose non mi aveva mai parlato.
Lui tornò ad adagiarsi allo schienale della poltrona, senza guardarmi, sembrava tranquillo, ma la stretta delle dita sulla bacchetta tradiva in lui una forte tensione.
“Sì una famiglia, quella famiglia che mi è mancata e quindi me la sono creata io.” 
Ero attentissima, ma lui rimase un attimo zitto. Non capivo se cercasse le parole con cui continuare, oppure stesse valutando se spiegarmi oltre, o addirittura sorvolare. Alla fine però riprese tranquillamente.
“Io non ho conosciuto nessuna famiglia, sono cresciuto da solo, in un orfanotrofio.”
A quelle parole feci un collegamento immediato con ciò che avevo visto nella sua mente tanto tempo prima: quel posto freddo, quei volti tristi e vuoti, quelle grida nella notte, quai pianti di bambini. 

Quello doveva essere l’orfanotrofio, il posto dove è vissuto lui.
Mi venne mal di stomaco, ricacciai indietro quei ricordi e tornai con la mente a quell’istante.
Nel momento in cui spostai di nuovo lo sguardo verso di lui, anche lui fece lo stesso con me, tenne i suoi occhi fissi nei miei in un modo così appassionato e possessivo che non dimenticherò mai.
“I miei Mangiamorte più vicini lo sanno, voi più giovani, appena arrivati forse no, a meno che non giri la voce.”

Qui mi fece un sorriso leggermente inquietante: forse sapeva che spesso si parlava di lui, immaginava che io in particolare volessi sapere tutto di ciò che lo riguardava.
“No, mio Signore, non sapevo di queste cose, non se ne parla mai tra di noi, conosco solamente ciò che mi avete fatto capire voi.”
Restò con gli occhi fissi nei miei, come a voler capire se gli stavo dicendo la verità. Poi mi sciolse da quella stretta di sguardi e si rilassò di nuovo.
“A te soltanto ho raccontato di più, tu sola hai visto di più. Hai capito che posto era.”
Alzò il tono quando pronunciò quelle parole e mi lanciò un’occhiata complice che invece di spaventarmi mi fece piacere, mi sentivo le guance bollenti e il cuore batteva fortissimo.
“Non esattamente, maestro. Nel senso che non è facile per me immaginare quel posto, cosa succedeva, come siete stato là voi…”

Alzò la mano senza dire nulla: era un chiaro invito a non andare oltre.
Mi fermai subito, anche se in realtà avrei voluto fargli molte domande, avrei voluto sapere tante altre cose. 
Probabilmente lui non desiderava nemmeno pensarci.
In quel momento intuivo solamente questo: non voleva soffermarsi sul passato. 
Solo col tempo avrei imparato a capire quanto fosse per lui un problema insormontabile, quanto davvero il suo passato influisse ancora sul presente e lo facesse in maniera devastante. 
Rappresentava per lui un dolore tanto intenso e sempre presente che lo portava ad una continua e perenne autodistruzione nel tentativo di non sentirlo.
“Per me voi siete l’erede di Serpeverde, vedo sempre questo di voi, anche se so che c’ è altro nella vostra vita passata.”

Non aggiunsi altro, non aggiunsi cioè che percepivo baratri enormi di sofferenze e paure e violenze, di cui io non ero pienamente a conoscenza, ma che potevo solo immaginare e che vedevo tornare a riaffiorare spesso in lui, nonostante li mettesse a tacere ogni volta che si ripresentavano.
Si vedeva dagli occhi, dagli sguardi, dai silenzi, dalla rabbia nascosta, pronta a uscire travalicando tutto.
“Sì, io sono l’erede di Serpeverde, ma contrariamente a chiunque di voi sono cresciuto in un posto diverso, in un modo diverso e ho affrontato cose diverse, che mi hanno reso più forte e potente di quanto già non fossi.”
Fece una pausa e posò la bacchetta sul tavolino vicino, tornando poi ad appoggiare la testa poco lontano da me, in quel modo scomposto e doloroso che lo rendeva bello e dannato e mi faceva venire una stretta forte allo stomaco che poi risaliva su, fino ad arrivare al mio cuore.
“Ora ho voluto creare i Mangiamorte, Bella. Un gruppo, una famiglia, qualcosa di grande. Ho sopportato le vostre beghe perché mi facevano comodo, mi sono servite per portare Rabastan tra di noi, Rodolphus lo sapeva, eravamo d’accordo, ma ora basta, adesso che tutto è finito la dovete smettere anche voi di litigare. Non voglio vedere problemi. Non so se mi sono spiegato.”
Nonostante conoscessi ormai abbastanza bene la sua mente analitica e il suo pensiero lungimirante, restavo sempre stupita di come ci manovrasse tutti nell’ombra, ogni cosa, ogni persona, e difficilmente ci si poteva accorgere dei suoi raggiri, delle sue mosse occulte e segrete. 

A me piaceva proprio così, con i suoi occhi cupi, con la sua espressione impenetrabile, talvolta assorta e talvolta assente, col suo veleno nelle vene.
“Sì, mio Signore, vi siete spiegato, cercherò di andare più d’accordo con i Carrow, sarà lo stesso per Rodolphus. Non ci saranno più problemi, vedrete, non avrete più da lamentarvi.”
Rimanemmo zitti per un po’ di tempo, il discorso era evidentemente concluso, ma il mio maestro non ne iniziava uno nuovo, restava silenzioso, tranquillo.
Non appena vidi che mi stava guardando, senza tuttavia aprire bocca, mi emozionai tanto da voler rompere il silenzio.
“Di cosa volevate parlarmi, maestro, quando mi avete mandata a chiamare da Alecto?”
Lui non si scompose minimamente, mantenne la stessa posa a lo stesso sguardo di prima, probabilmente mi rispose senza nemmeno pensare.
“Volevo darti istruzioni per un’azione, ma ora non ho più voglia.”
Silenzio di nuovo.
Lo guardavo cercando di capire, ma non lo capivo.
Lui distolse lentamente lo sguardo da me, lo pose verso il tavolino poco più lontano, uno pieno di boccette e scatoline, poi ancora lentamente lo ripose su di me, portandosi il dorso della mano sulle labbra, massaggiandole pensieroso.
Mi osservava in modo strano e il mio cuore intuì subito qualcosa, perché tornò a battere violentemente, creando quella dolce confusione piena di attesa.
“Ora proprio non mi va…” 

Allungò la mano afferrandomi il polso. Mi stringeva forte, sentivo il sangue pulsare fra le sue dita.
Mi guardava in maniera del tutto particolare, come se avessimo un’intimità nuova, tutta da scoprire.
“Vieni qui accanto a me…” 

Mi prese in modo deciso anche i fianchi, facendomi scivolare su di lui attaccati l’uno all’altra. 
Eravamo talmente vicini che non solo i corpi si toccavano, ma anche le labbra si sfioravano, il mio viso era accanto al suo, sentivo il suo profumo, il suo respiro accelerato, forte. 
Il suo sguardo imperioso cazzava col mio sorpreso, quasi timido.
Seguivo solo le sue mosse, mi sentii avvicinare, mi strinse forte dandomi un bacio improvviso e violento, mordendomi le labbra con una sensualità divoratrice, che io ricambiai immediatamente.
Mentre ancora mi stringeva polso e fianchi, lo sentii divaricare leggermente le gambe, iniziò lentamente a diradare i baci, a guardarmi fissamente, mi sussurrava cose fra un tocco e l’altro delle labbra e fra una battaglia e l’altra delle lingue.
“Ora ti va di farmi passare il mal di testa?”

Gli sorrisi subito, avevo solo voglia di lui, voglia di accontentarlo qualsiasi cosa mi chiedesse. Avevo aspettato tanto questo momento, l’avevo sognato e desiderato. 
Finalmente mi cercava di nuovo, ancora più di prima.
Non era infatti una vera domanda, era una volontà che non aveva bisogno di attendere risposta, si aprì semplicemente i pantaloni.

Mi eccitava da morire quell’atto imperioso e desideroso, chiusi gli occhi, assaporai quel momento. 
Lo guardai per un attimo ancora negli occhi, poi, mentre ancora mi baciava e mi mordeva le labbra, mi spinse il capo verso il suo sesso, non attendeva altro che essere leccato, succhiato, amato.
Mi piaceva quella sensazione che mi dava, mi faceva sentire un po’ depravata, mi faceva sentire totalmente al suo servizio, mi faceva sentire quanto gli potevo dare piacere.
Amavo servirlo a quel modo.
Strofinai il suo sesso sul mio viso, come fosse la cosa più bella e dolce della mia vita. Lo desideravo nella mia bacca, sulla mia lingua, fra i miei denti.
Lo avrei amato come non mai.
Lo sentii caldo, duro, potente tra le mie labbra, sulla lingua, nella bocca. Mi faceva morire di piacere anche così.
Andai avanti a succhiarlo per lungo tempo, prima lentamente,  poi forsennatamente, finché non lo sentì gridare, ma ancora non ne avevo abbastanza, per cui continuai, a costo di fargli sentire male.
Il dolore era comunque parte di noi.
Mi sentii inondata dal suo sapore.
Fu il sapore amaro più dolce e piacevole che io avessi mai assaggiato.
Il sapore del mio maestro.

 
 

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Capitolo 4
*** Gelosia ***


Dal grimorio di Rabastan: “Gelosia”


Ogni volta che giungevo al castello del quartier generale rimanevo interdetto e stupito dall’imbattermi ogni istante in incantesimi che arrivavano da tutte le parti. Non mi ero ancora abituato a tutto quell’allenarsi di maghi che combattevano l’uno contro l’altro, che affinavano le tecniche di battaglia, di attacco e contrattacco, di volo e tutto ciò che poteva essere utile per un bravo combattente.
Era anche giusto e utile tutto questo, perché noi rischiavamo la morte in continuazione, avrei dovuto anzi farlo anch’io. Ad esempio mio fratello lo vedevo spesso, soprattutto ultimamente, impegnato in questi allenamenti, Bella l’avevo vista farlo per anni, anche se lei era la preferita, quindi faceva allenamenti privati col maestro di arti oscure.
Io non avevo però tutto questo impegno ed entusiasmo, non l’avevo nemmeno mai avuto. 
Sorpassai il cortile ed entrai nel quartier generale, anche lì sorpassai le stanze delle pozioni, delle bacchette magiche e mi inoltrai verso il cuore del castello, dove speravo di trovare Bella prima di chiunque altro.
Io andavo sempre lì per lei, se poi questo significava anche venire scelto sempre più spesso per le missioni, per gli omicidi, gli attentati, i rapimenti o altro, non mi importava.
Non l’avevo vista in mezzo a tutti gli altri per cui avevo speranze che fosse sola e quindi avrei potuto stare finalmente con lei, oppure era con lui, e allora niente purtroppo, non avrei potuto fare niente.
Per mia grande fortuna lui, il suo maestro, lo vidi impegnato con altri Mangiamorte, e ne fui altamente felice. Li salutai, ovviamente, e poi sgusciai via di nuovo alla ricerca di Bella, che finalmente trovai nella sala a est del castello. Appena vista, subito mi stupì.
“Balla,” la chiamai sconcertato “ma che stai facendo?”
Era in piedi davanti ad un grande specchio, e si guardava torcendo un po’ il collo, nella mano destra teneva un athame piccolo e affilato, nella sinistra i suoi bei capelli neri, lisci e lucenti tagliati di netto.
Appena la chiamai si voltò lentamente verso di me.
“Ciao Rab! Dai, vieni entra!”
Mi avvicinai per vedere cosa avesse combinato questa volta, le strinsi le spalle e guardai la nostra immagine riflessa nello specchio. Anche lei guardava attentamente.
I suoi bei capelli, che ero abituato vederle scendere morbidi fin sulla schiena, lunghi e neri come la notte, ora le arrivavano poco sotto le spalle con un taglio improvvisato e asimmetrico molto strano, ma era tanto bella ugualmente.
Sarei rimasto così per sempre.
La vidi però buttare a terra i capelli ormai tagliati e poi scansarsi per sistemare ciò che restava.
La fermai un momento. 
“Te li sistemo io, da sola non puoi riuscirci bene, faccio io, mi aiuto con un incantesimo sull’ athame .”
Si voltò e mi sorrise ringraziandomi.
“Come mai questo gesto improvviso?” Le chiesi seriamente curioso.
“Non riuscivo a combattere per bene con quei capelli così lunghi, sembravano quelli di una bambolina, non di una guerriera.”
Mi venne da ridere: Bella una bambolina proprio non riuscivo ad immaginarmela, le ragazze davvero hanno mille paranoie.
“Ora li hai accorciati davvero un bel po’ però… e sistemandoli verranno ancora più corti, cosa ne penserà Rod?”
Ci fu silenzio per un attimo, un silenzio strano.
“Non me ne importa nulla.” 
Disse quella frase in maniera tanto perentoria che mi bloccai e la guardai stranito. Eravamo andati così oltre con l’innamoramento per Lord Voldemort che non le importava più nulla di Rodolphus? Mio povero fratello, non gliene frega più nulla neanche di te.
Era proprio vero allora, quella notte aveva davvero cambiato tutto. Ero contento, ma sentivo anche un inizio di disagio pensando a Lord Voldemort, a lui e lei insieme.
Le sorrisi. Poi lei riprese a parlare e mi distrasse dai miei stessi pensieri.
“Dicevo che non importa, perché non posso certo permettermi di rischiare in un combattimento per qualche centimetro di capelli in più che mi intralciano…”
Provava ad ammorbidire la frase e il tono di prima, ma ormai era fatta. Con un sorriso sornione le risposi tranquillizzandola.
“Non ti preoccupare, ho capito cosa volevi dire, ora però stai ferma e guarda in avanti che te li sistemo in modo che tu sia bella anche così.”
Mi sorrise in un modo che mi fece quasi esplodere il cuore di felicità. 
Le sistemai i capelli con cura, grazie ad un incantesimo sulla bacchetta. Lei era silenziosa e tranquilla e io la potevo ammirare, mi piaceva toccarle i capelli, sfiorale la pelle del collo, calda e delicata, mi avvicinai tanto da sentire il suo profumo e lì, lì cambiò tutto.
Fu come se una cascata d’acqua gelata mi scendesse sulla testa e mi invadesse completamente il corpo fino alle ossa. Quanto mi ero stupidamente illuso. Il suo profumo non era solo il suo, lo sentii subito che portava ancora su di sé l’odore di lui.
Si sentiva appena, ma mi penetro’ nel cervello e mi fece come impazzire.
L’odore freddo e inconfondibile del suo maestro. Come faceva ad averlo sulla pelle? Sui capelli, sul viso. Probabilmente lo aveva anche sulle labbra e chissà dove altro. 
Quell’odore di uomo. 
Era lui, era il suo, non potevo sbagliarmi.
La gelosia che mai avevo sentito nei confronti di lui, esplose nel mio cuore come una bomba. Lì in quel momento, cambiò tutto, sentii davvero che Lord Vodemort la voleva davvero.
Mi prese una stretta fortissima allo stomaco, mi sembrava di non poter respirare più. Non posso descrivere la gelosia che provai, era quasi accecante, mi toglieva ogni ragione.
Le misi la lama del coltello vicino alla gola, senza nemmeno capire perché, certo, non è che volessi ucciderla, volevo come… prendermela solo per me, anche con la forza.
Lei mi afferrò la mano fulminea, con una forza inaspettata e incomprensibile. Che fosse magia oscura? Ringrazio anche per questo il suo maestro.
Allontanai la mano.
“Ma che volevi fare?” Chiese “Farmi paura? Farmi uno scherzo stupido?”
Io però non mi calmai.
“Porti addosso l’odore di Lord Voldemort.”
“Ma che dici? Sei impazzito?” Bella questa volta si voltò verso di me, i suoi occhi mandavano strali e io, dal canto mio, stavo in piedi davanti a lei senza capire più nulla: ero accecato dalla rabbia.
“Lo so, lo sento, ti conosco, lo conosco.” 
Mi stavo comportando da stupido, lo sapevo che lei stravedeva per lui, sapevo anche che quella notte della prova era successo qualcosa tra loro, ma ora sentirla così vicina e coccolarla, sentirle dire che di mio fratello non le importava più e poi capire che era sua, di Lord Voldemort, mi aveva fatto letteralmente inspiegabilmente impazzire. Avrei dovuto già saperlo, eppure…
“Tu e lui? Voi…?”
Non riuscivo nemmeno a esprimere una frase coerente.
“Non sono assolutamente fatti tuoi! Questa cosa di cui stai parlando non ti riguarda minimamente.”
Bella mi diede a quel punto uno schiaffo fortissimo, mi prese in pieno viso con una violenza che giunse fino all’anima. Mi fece davvero male, e tornai in me. Almeno un po’.
Parlai in maniera leggermente più calma.
“In segreto ho sempre sperato che il tuo amore per lui non arrivasse a questo, lo sapevo che eri innamorata, ma che succedesse davvero qualcosa tra voi, questo non lo immaginavo…”
Era esitante, mi osservava e si vedeva che era cauta, ma non si sentiva realmente minacciata.
“Sono tutte tue fantasie!”
“Dai, Bella, non mi prendere per uno stupido, non sono Rod io, non ho bisogno di pietose bugie per mantenere vivo l’orgoglio. Ti conosco, l’ho capito da tanto.”
Restava in silenzio, allora continuai io, forse per capire, forse per sfogarmi.
“Non capisco perché proprio lui, è sempre distante, incomprensibile, difficile, è così diverso da noi, e poi quanti anni ha più di te? Ci hai pensato?”
Lei mi guardava impenetrabile, era contrariata, ma lo sapeva che stavo dicendo cose vere. Allora, forte della mia rabbia continuai, provai a insinuarle il tarlo del dubbio.
“Non ti amerà mai davvero, non sarà mai tuo! Non vedi quanto è sfuggente, impenetrabile? È interessato per davvero solo alla sua magia, alle forze occulte e oscure, sono le uniche cose che lo esaltano davvero, che lo interessano, altrimenti è perso nei meandri di se stesso, della sua mente e della sua droga, in quella calma indotta che tanto non può essere penetrata. Te ne sarai accorta, non ci credo che tu non ti sia accorta di tutto questo!”
“Non è vero…” disse tristemente, lontana ormai mille miglia da me, provai a farla tornare vicina, attenta.
“Lo sai che è così, lo sai benissimo anche tu! Perché non mi ascolti?”
“Ti ascolto, ti sto ascoltando, ma non mi importa di quello che dici, ti dirò la verità, non mi importa niente di niente, non mi importa di nessuno, né di quanto difficile possa essere Lord Voldemort. Hai visto sono sincera ora? E non mi importa niente perché io lo amo, e lo amo così com’è.”
“Lo so che lo ami, l’ho sempre saputo, tu non ricordi ma me lo hai persino detto, tanto tanto tempo fa, quando eri una ragazzina impaurita da quel mondo nuovo che lui rappresentava. E per mandare via la pura bevevi fino a vomitare, allora me l’hai detto… non te lo ricordi, vero?”
Rimase zitta, ovviamente non poteva avere nella memoria quella sera, ma io si.
“Ho sopportato tutto, Bellatrix, tutto, la tua pantomima con mio fratello, quell’illuderti di esserti innamorata di lui per avere la sicurezza di sentire qualcuno accanto, ho sopportato il vostro matrimonio, le vostre sciocche scene da innamorati in ogni momento e in ogni luogo, ho sopportato i tuoi capricci, le tue sciocchezze e i tuoi giochini per farlo ingelosire con me, per sentirti grande, l’ho fatto per te perché eri così fragile da avere bisogno di tutto questo per sentirti forte.
Ho sopportato tutto perché sapevo che eri innamorata di Lord Voldemort e non di mio fratello! Perché capivo che volevi lui, e pensavo fosse un’altra delle tue fissazioni, che una volta che lui ti avesse allontanata, perché non è il tipo da storie d’amore, allora tu saresti venuta da me!”
Feci una pausa, lei mi guardava quasi a bocca aperta.
“E ora invece lui ti porta via davvero? Ti vuole davvero. Lui non è Rodolphus, non è un ragazzo sciocco e arrogante, è un uomo pieno di problemi e di fascino e ti travolgerà con tutta la sua angoscia e sofferenza, la sua sete di potere, di rivalsa, il suo carattere impenetrabile e incomprensibile. Vedrai, ti farà soffrire, ti farà morire, non ti restituirà mai a noi, mai! E io non sono disposto a perderti così, perché io ti amo! Lo capisci o no che ti amo?”
Mi zittii e la guardai, non proferiva parola.
“Non lo capisci, vero? O meglio, non l’avevi mai capito prima di ora, per te l’amore era solo quello manifesto, egoista e prepotente di quello sciocco illuso di mio fratello! No, invece ti sbagli, Bella, perché ti amo anch’io! È molto più di tutti gli altri messi insieme!”
Detto questo mi avvicinai a lei, speravo dicesse qualcosa, facesse qualcosa, invece rimase impassibile. Non era più la ragazzina sfrontata che si compiaceva di un innamorato inaspettato, non era più la ragazza spavalda che si impossessava della sua nuova preda con un gesto insignificante, ma che bastava per incatenare il cuore della vittima, cosa fosse diventata, ora, ancora non lo capivo. Era lì davanti a me, cupa e lontana, fredda come non mai.
Per questo non ebbi il coraggio di baciarla, solo di ribadire ciò che sentivo, nella disperazione.
“Ti amo, questo devi saperlo, ti amo e lo farò per sempre.”
Detto quello mi smaterializzai nel mio castello solitario. Non sarei riuscito a sostenere una conversazione dopo la scenata che le avevo fatto.
Sbattei i pugni sul tavolo: ero un debole, lo sapevo, ma non ero riuscito a fare di meglio se non scappare via da lei.
Bella non avrebbe comunque ceduto, non avrebbe fatto una piega, infatti non aveva fatto una piega davanti al mio sfogo da pazzo, era stata una follia dirle quelle cose, ma non potevo più tenermele dentro.
Mi ritrovai in mano ancora il suo athame, quello con cui le stavo tagliando i capelli.
Ripensai a lei, ai suoi capelli, al suo profumo, al suo sguardo nello specchio.
Poi quei lividi. Sarebbe stato meglio non notare nulla, restare sereno con lei, parlarle, farla ridere e stare bene, ma ormai era andata così. Forse avrei potuto rimediare prima o poi, scusarmi della scenata e tornare il solito Rab, divertente e comprensivo. Non lo so e avevo bisogno di smettere di pensare a tutte quelle cose in quel momento.
Quanto la amavo...
E quanto mi faceva soffrire.
Strinsi il coltello e, senza pensarci troppo, affondai la lama nel palmo con la chiara intenzione di ferirmi e farmi male pur di non pensare. Sentii un dolore forte e vidi il sangue uscire abbastanza copiosamente. Aspettai qualche istante incantato, poi presi un fazzoletto dalla tasca e tamponai la ferita sedendomi sul divano, appoggiandomi calmo e chiudendo gli occhi.
Una pace ovattata finalmente mi invase, il dolore era quasi completamente sparito e lontano.
Lei era finalmente lontana, almeno per qualche momento ancora potevo godermi un po’ di pace.


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Capitolo 5
*** Bello e vulnerabile ***


Dal grimorio di Bellatrix: “Bello e vulnerabile”


Cominciavo a sentirmi lievemente male. Mi girava la testa, come se avessi le vertigini e lievi brividi si irradiavano per tutto il corpo.
Dovevo decidermi a prendere la contromaledizione, o sarebbe stato troppo tardi.
Guardai la ferita che avevo alla mano è infatti aveva un brutto aspetto: rossa, tendente al viola tutto attorno, i lembi di pelle sembravano quasi aprirsi man mano che passava il tempo e avevano un colore giallognolo.
Rod non mi aveva certo risparmiato, aveva usato una maledizione potenzialmente mortale. Io conoscevo bene la pozione da usare in questi casi, conoscevo bene i tempi entro i quali può essere somministrata e quando invece risulta ormai completamente inutile e stavo sforando il limite consentito.
Aspettavo il mio maestro da troppo tempo ormai, volevo produrre insieme a lui la pozione, volevo farmi coccolare, speravo di utilizzare quell’incidente in allenamento per far sì che si prendesse cura di me, ma era assente e continuare ad aspettare sarebbe diventato troppo pericoloso.
Mi alzai lentamente dal divano rassegnata e mi recai nella stanza delle pozioni. Cominciavo già a percepire una nausea crescente, oltre alle vertigini. Aprii con un incantesimo segreto l’armadietto delle sostanze per le contromaledizioni, mescolai la pozione giallo acceso con quella color viola intenso, diluii con qualche goccia di acqua di sorgente e attesi un paio di minuti senza quasi respirare. In seguito al viraggio del colore mormorai per tre volte la formula di magia oscura, presi una benda e rovesciai sopra una quantità abbondante di pozione, mettendo il tutto sulla ferita, a quel punto mi calmai e attesi che facesse effetto.
Riflettei su quell’episodio e su tutta la sua rabbia.
In tutto quel lungo periodo non avevo mai affrontato Rod veramente, mi ero comportata come se nulla fosse, continuavo la nostra vita insieme come prima, ma la mia mente era perennemente rivolta ad un’altra persona. Pensavo che lui non se ne accorgesse, che non facesse caso ai possibili cambiamenti del mio comportamento, o che io fossi assolutamente brava a non far scoprire i miei sentimenti più segreti. Lui non ha mai affrontato il discorso e nemmeno sembrava desideroso parlassi io, dunque mi ero convinta di potere andare avanti in quel modo. Mi ero sbagliata, Rod aveva accumulato una rabbia invisibile che solo oggi per la prima volta mi è stata palese. In un semplice allenamento di routine, in un duello che era poco più di un gioco, aveva sfoderato una maledizione potente e incisiva che, oltre a disarmarmi, poteva letteralmente uccidermi. Per quanto fosse sempre stato molto violento, era comunque un atteggiamento eccessivo anche per lui.
Il mio maestro non voleva dissidi e litigi fra i suoi Mangiamorte, gli avevo promesso che non ci sarebbero più stati problemi fra Lestrange e Carrow. 
E ora gli portavo gelosie invidie e tensioni fra Lestrange e Lestrange? Non era possibile, dovevo cercare una soluzione, ma non avevo idea di quale avrei potuto trovare.
Alzai la benda e controllai la ferita: sembrava aver già acquisito un aspetto migliore. Ricoprii tutto e attesi ancora mentre rimettevo le ampolle al loro posto.
Qualche istante dopo percepii che qualcuno si era materializzato alle mie spalle e mi voltai.
Lo vidi e fu come se il mio cuore riprendesse a battere dopo tanto tempo, come se la mia vita riprendesse di nuovo ad esistere.
Il mio Signore era avvolto in un mantello nero, il bavero leggermente rialzato, ma senza cappuccio, lui non lo portava quasi mai.
Si avvicinò senza salutarmi o parlarmi, mi prese delicatamente il polso e con fermezza mi voltò la mano sollevando la garza per guardare la ferita.
“Mi hanno comunicato che ci sono stati problemi e in effetti ce ne sono stati…”
Così vicino com’ era notai il suo pallore straordinario, sentii le mani fredde, quasi tremanti che mi toccavano il polso. Quando si voltò verso di me, mi puntò addosso occhi con pupille così dilatate che mi misero una strana sensazione addosso, come un disagio istantaneo, una lieve angoscia per come lo vedevo.
“Mio Signore, state male? Dove siete stato?”
Fui troppo precipitoso forse, perché ottenni l’effetto opposto a quanto speravo.
“Non sono affari tuoi, io so badare a me stesso, piuttosto, come è successo questo tuo incidente?”
“Niente, maestro, un incidente appunto, durante un allenamento, una maledizione mi ha colpito alla mano, ho comunque già provveduto con un antidoto.”
“Quanto hai aspettato?”
Voi… avrei voluto rispondere semplicemente così… Ho aspettato voi! Ma non lo feci.
“Qualche ora…” dissi un po’ titubante, mi aspettavo la sgridata che puntualmente arrivò. Fredda, tagliente, terribile, e io naturalmente incassai, perché me la meritavo, ascoltai zitta finché non mi disse che occorreva prendere un’altra pozione, per sicurezza e mi intimò di seguirlo nella stanza della magia oscura. Lo seguii in quell’antro oscuro a cui solo io, se si esclude il mio Signore, avevo accesso libero e frequente.
Richiuse la porta alle sue spalle e si tolse il mantello. Portava una camicia troppo leggera per quel periodo dell’anno, ma vedevo la pelle scoperta leggermente imperlata di sudore, i muscoli e i nervi del collo tirati, mi aspettavo mi facesse domande, ma non disse una parola, si avvicinò al tavolo con altre pozioni, boccette, pipette e si mise ad armeggiare con quelle.
Mi avvicinai a lui che mi chiese se mi sentivo bene.
“Sì, mio Signore, solamente la testa un po’ intontita, tutti gli altri sintomi sono passati.”
“Sei stata sciocca ad aspettare tutto questo tempo, non deve accadere più.”
Annuii mentre mi porgeva un bicchierino con la nuova pozione, il liquido dentro dondolava leggermente,  gli guardai la mano: tremava.
“Dai, muoviti, bevi, l’ho preparata apposta per evitare rischi.”
Afferrai il bicchiere e mentre bevevo lo guardavo negli occhi, quegli occhi neri ormai avevano solo pupille.
“Mio Signore, voi davvero state bene?”
“Sto bene, siediti e aspettami sul divano, ora parliamo.”
Feci ciò che mi diceva, ma lo osservai: prese un bicchiere d’acqua aggiungendo alcune gocce da una boccetta che teneva in un cassetto, poi venne a sedersi vicino a me.
“Siete stato via molto?”
Annuì solamente, senza parlare. Capii che dovevo attendere, lo lasciai sorseggiare in pace fino a quando lo vidi più calmo.
Si appoggiò allo schienale del divano, guardandomi rilassato e io lo potei ammirare in tutta la sua sciupata e inquietante bellezza.
“Ho fatto delle cose, Bella, di cui forse un giorno ti parlerò, ora sono stanco… torno a casa e trovo guai, lo sai che non mi piace.”
Chiamava quel luogo casa, tornava a casa e io gli procuravo disturbi: non andava bene così, lo sapevo, dovevo imparare a comportarmi diversamente, mi sentivo così bambina davanti a lui, così sciocca. Quello che prima mi sembrava assolutamente naturale come farmi curare e coccolare da lui perché mi avevano fatto male, ora mi sembrava una sciocchezza infantile.
“Mio Signore, ora sto bene, ma vi assicuro che seguirò meglio i vostri dettami d’ora in poi.”
Restò in silenzio, io non potei fare a meno di pensare che si occupava così solo di me, con nessun altro aveva questi accorgimenti, queste premure. 
Lo osservai di nuovo, sembrava calmo più sereno, il sudore era scomparso, i muscoli che prima avevo visto tirati d tesi erano tornati normali, la pelle pallida era rilassata, sia sulle tempie che sul collo. Il suo sguardo era tranquillo, niente più pupille grosse, anzi, mi guardava fissamente e quasi languidamente, in totale silenzio, in un’atmosfera irreale. Respirava lentamente, posando il suo sguardo, altrettanto lentamente, sui miei capelli, nei miei occhi, sul viso e sul mio corpo. Passammo minuti in quel silenzio totale a guardarci, io perché lo faceva lui, lui come sempre era impenetrabile.
Poi chiuse gli occhi per qualche istante, sospirando a lungo, scostandosi i capelli dagli occhi, sembrava non facesse più molto caso a me, o alle mie parole, forse fu questo che mi fece venire il coraggio di parlargli senza temere sfuriate.
“Se non l’ho fatto, è solamente perché aspettavo voi. Voi vi prendete cura di me e lo fate in un modo che non dimostrate avere con nessun altro… e per me, mio Signore, questo è un piacere davvero enorme.”
Per un attimo mi sembrò non mi avesse minimamente ascoltata, poi però rispose lentamente:
“Lo so bene, Bella.”
Avrei tanto voluto chiedergli cosa sapeva. Sapeva che mi trattava in modo completamente diverso da tutti glia altri? Sapeva che a me faceva talmente piacere che facevo apposta anche a rischiare una maledizione pur di farmi curare da lui? O sapeva che ero innamorata perdutamente di lui? 
E lui? Lui fingeva di non sapere del mio amore? O non lo capiva veramente?
Domande che sarebbero rimaste senza risposta, perché non osai chiedere nulla di simile. 
Mi avvicinai invece a lui, che appoggiò per terra il bicchiere ancora pieno per metà, non si mosse nemmeno per appoggiarlo sul tavolino di fronte. Mentre lo appoggiava sul pavimento scorsi sulle dita un anello che fino a quel momento non avevo notato.
“L’anello dell’erede?” 
Forse fui ancora troppo precipitosa, ma lui capì subito a cosa mi riferissi e annuì. Gli sfiorai le mani per vedere bene l’anello, lui stranamente lasciò fare, per cui presi coraggio, appoggiai la sua mano tra le mie e sfiorai il metallo con la pietra, ma soprattutto accarezzai la sua pelle, le dita. A quel contatto sentii il cuore battere forte e riscaldarmi tutta, notai che la sua mano era calda, aveva completamente smesso di tremare e si era abbandonato al mio tocco.
“Mio Signore, l’avevo sentito descrivere solo nei racconti vaghi dei miei nonni, non sapevo esistesse veramente, è davvero bello, vi sta molto bene.”
Era vero: le sue dita sottili, magre, portavano quell’anello antico e prezioso come fosse il gioiello più insignificante di questo mondo, era anche leggermente largo e la pietra scivolava sul lato, ma questi particolari contrastanti lo rendevano ancora più magnetico ed attraente.
Mentre io osservavo quel monile, lui teneva lo sguardo altrove, quasi non sopportasse la vista dell’anello. 
“Guardalo bene, se ti piace, perché non lo porterò ancora a lungo, presto tornerà dove deve stare.”
Non capii bene il motivo di quella strana ritrosia, non feci nemmeno in tempo ad osservare ancora bene la pietra che scostò la mano dalle mie. Riprese il bicchiere dal pavimento e terminò di bere tutto in un sorso, con un grande sospiro si riappoggiò allo schienale chiudendo gli occhi.
Rimasi zitta, era un momento particolare, non potevo rischiare di mettermelo contro, si sarebbe chiuso e mi avrebbe scacciata malamente, ormai lo conoscevo, quindi attesi.
Dopo poco riaprì gli occhi, sollevò la testa e guardò altrove.
“Appena trovo la voglia di tornare in quel posto.”
Naturalmente non capii, seguiva solo i suoi pensieri, non il mio discorso, ma fui abbastanza sensata da non fare domande, era evidente fosse un argomento delicato.
Ogni argomento che toccasse la sua famiglia era evidentemente difficile da toccare, forse quasi impossibile.
“Certo, mio Signore, non mi importa dell’anello, non intendevo domandare cose di cui non volete parlare.”
Sorrise a quelle parole, riportando lo sguardo su di me.
“Ci sono molte cose che non sai di me… e ci sono tante cose che ancora non conosci della magia oscura.” 
Io non capivo il senso di quelle parole, nemmeno il collegamento che potessero avere con quell’anello.
“Me ne parlerete mai? Mi insegnerete anche queste cose? Io, mio Signore, voglio conoscere tutto di voi e della magia oscura.”
“Tu vuoi, vuoi, ma intanto devi imparare a fare quello che ti dico in modo preciso e ineccepibile.” 
Indicò la mia mano con un cenno del capo.
Alzai la benda senza rispondere nulla, la ferita sembrava un normalissimo taglio, il brutto aspetto era scomparso.
Lord Voldemort la guardò a malapena, ma io sapevo che ormai era tutto a posto, mi preoccupava di più il suo stato. Rispetto al suo ritorno era cambiato in maniera completa e anche abbastanza repentinamente. Dissi che la ferita non dava più alcun problema, che non avrei più commesso errori, ma lui non rispose nemmeno, era evidente che ormai era perso nei suoi pensieri.
Mi resi conto che avrei dovuto andarmene e lasciarlo in pace, ma il mio desiderio di restare ancora con lui era talmente forte che non mi risolvevo di andare via.
Era un momento strano, ma speciale, lo guardavo attentamente e lui sembrava così lontano, così diverso… avrei solo voluto dirgli che lo amavo davvero tanto, a scapito di tutto, senza pensare a nessuna regola, a nessun dettame a cui ubbidire.
Ogni tanto chiudeva gli occhi, non ce la faceva restare concentrato, allora guardavo quel viso meraviglioso, elegante, sensuale, anche se scarno e sciupato, quelle labbra pallide e i capelli che lentamente ricadevano sugli occhi.
In uno di quei momenti gli accarezzai il viso, avvicinandomi a lui, fino a sentire il tepore della sua pelle. Ero sicura che in un momento di lucidità mai e poi mai me lo avrebbe lasciato fare, approfittai dunque di quegli istanti per seguire il mio cuore e fare finalmente ciò che desideravo. Al mio tocco alzò lo sguardo su di me e, stringendomi per la vita, mi portò vicina a lui, poi mi baciò molto lentamente e profondamente.
In quel bacio morbido ho sentito di nuovo quel sapore dolciastro che da tanto non aveva alle labbra, sulla lingua, ovunque, sono stata inondata da quel sapore che sentivo tanto intenso da impregnare sapore e odore, e lui mi baciava in quel modo nuovo, completamente istintivo, che adorai subito. Affondai le mani fra i suoi capelli, prendendo l’iniziativa, sentendo che mancava completamente delle solite difese. L’ho stretto a me, continuando a baciarlo come se tempo e spazio non esistessero più.
Solo dopo lungo tempo si allontanò lentamente da me e io riaprii gli occhi in seguito a quell’estasi fantastica. Restai a guardarlo in silenzio.
Eravamo ancora vicinissimi, aveva un’espressione davvero indecifrabile, ora c’erano quasi solo le sue iridi scure, nere, screziate di rosso.
Invece di continuare ciò che ero convinta avessimo iniziato, chiuse di nuovo gli occhi.
“Sono stanco, lasciami solo.” 
Lo sentii appena sussurrare quella frase.
In quel momento rimasi male, non tanto per il sesso mancato, ma perché non volevo lasciarlo, avrei voluto solamente abbracciarlo, dirgli: vi voglio bene, mio Signore, non fate così, non state qui, così, da solo.
Mi morsi le labbra e dissi altro.
“Ma state bene, mio Signore? Posso lasciarvi tranquillamente?”
Sorrise; anzi, si mise quasi a ridere. 
“Sto bene, puoi andare, Bella.”
Non mi azzardai a dire e fare altro, mi alzai in piedi e lo guardai ancora una volta, osservai com’era bello e come sembrava vulnerabile in quel momento.
Lo amavo da impazzire, qualsiasi cosa facesse, qualsiasi cosa succedesse.
Quel sapore dolciastro che avevo nella bocca dopo i suoi baci me lo faceva sentire ancora più vicino.
Mi sentivo straordinariamente tranquilla, la luce chiara che entrava dalle finestre pareva avvolgermi in una calda sensazione di tepore.
Silenziosamente uscii e richiusi la porta alle mie spalle: il sogno era finito, fuori mi aspettavano i fratelli Lestrange, eppure mi sentivo avvolta da vaga sensazione di onnipotenza, qualsiasi cosa avessero fatto o detto, non mi toccava minimamente.
A me importava solo del mio Signore.


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Capitolo 6
*** Sai di chi stiamo parlando ***


Dal grimorio di Rabastan: “Sai di chi stiamo parlando”


Era raro vedere insieme noi giovani arrivati da poco con gli altri Mangiamorte storici. Eppure quella volta ci eravamo radunati tutti in una stessa stanza, cinque o sei di noi, in attesa del Signore Oscuro e di Bella.
Erano per conto loro già da un po’e non riuscivo a capire per certo cosa stessero facendo. Ero geloso, ero follemente geloso, più di quanto lo fossi stato mai di Rod e non capivo il motivo, inoltre ce l’avevo a morte con quello stupido idiota di mio fratello che ancora una volta aveva dato a Bella l’occasione di avvicinarsi a Lord Voldemort.
Se prima, in presenza di lei, mi ero trattenuto dal parlar male a Rod, poi avevo iniziato ad incalzarlo spesso, con rimproveri, invettive e domande.
“Dovevi proprio usare una maledizione per fare un semplice allenamento?”
“Se non fossi stato tanto stupido, ora lei sarebbe qui con noi!”
Mio fratello non rispondeva, faceva finta di essere calmo e tranquillo, ma non lo era affatto, si vedeva chiaramente perché si torturava le mani, attorcigliandosi le dita e mordendosi continuamente le unghie.
Mi lanciò uno sguardo distratto e rabbioso e alla fine decise di rispondermi.
“Non potevo immaginare che sarebbe corsa da Lord Voldemort, lui non era nemmeno qui. E ancor meno potevo immaginare che sarebbe tornato proprio in quel momento, e avrebbe occupato il suo tempo per una semplice contromaledizione.”
Scossi la testa pieno di rabbia verso di lui.
“Stupido, non ragioni mai, non hai mai ragionato in vita tua, ma tocca prevedere le cose ogni tanto, per evitare guai peggiori.”
Ci fu ancora silenzio, un silenzio rabbioso. Era curioso quanto nessuno di noi due fosse preoccupato per Bella, ma soltanto per il fatto che i due fossero insieme. Il nostro era un amore brutale e possessivo, io credevo di essere meglio di mio fratello, di saper provare un amore diverso per lei, più dolce e altruista, ma in certi momenti dubitavo ciò fosse vero.
Dolohov interruppe i miei pensieri.
“Quindi stiamo tutti aspettando qui, senza ordini sul da farsi, solo perché la ragazzina preferita del Signore Oscuro si è fatta male?”
Dolohov era da poco rientrato al quartier generale insieme a Lord Voldemort, cercava di capire anche lui la situazione, ma sentirlo dire di Bella che era “la ragazzina preferita del Signore Oscuro” mi diede sui nervi, fu comunque Rod che ovviamente reagì a quella sorta di insulto.
“Guarda che stai parlando di mia moglie!”
Si alzò in piedi, pronto a fronteggiare il Mangiamorte più vecchio, il quale però non lo degnò di molta attenzione, fu invece Nott a tentare di placare gli animi.
“Piantatela, non c’è bisogno di fare storie, o scenate! Non siamo fermi per nulla di tutto ciò.”
Lanciò uno sguardo cupo al suo compare Dolohov e aggiunse:
“L’hai visto anche tu che lui non stava bene, no? Lasciamolo in pace, che fretta hai?”
Calò il silenzio nella stanza, credo avremmo voluto fare tutti la stessa domanda: cosa avesse il Signore Oscuro, perché Nott diceva che non stava bene, ma nessuno si azzardò a chiedere niente a quei due che sembravano sempre tanto più vicini a Lord Voldemort rispetto a quanto lo fossimo noi altri nuovi adepti.
Man mano che il tempo passava la conversazione languiva e la tensione aumentava.
Quando alla fine comparve Bella sulla porta, un po’ pallida, ma sempre stupenda, ci voltammo tutti verso di lei, in attesa e fu Nott a parlare per primo.
“Eri con Lord Voldemort? È tutto a posto?”
Bella alzò lo sguardo come incuriosita, ma non del tutto stupita dalla domanda, rispose semplicemente di sì, sostenendo lo sguardo dell’uomo che si era rivolto a lei.
“E tu invece come stai?”
Stavolta era stato Rod a parlare, ma lei quasi non lo sentì, era troppo presa dagli sguardi dei due Mangiamorte più anziani, come se ci volesse leggere qualcosa. Ignorava Rod completamente e quando mi voltai verso mio fratello vidi la rabbia e la disperazione nei suoi occhi, non sapeva proprio più che fare e da che parte prenderla ormai, capii che la situazione fra i due era più grave di quanto immaginassi.
“Bellatrix, sto parlando con te!” 
Provò ad insistere, ma lei sembrava troppo impegnata in un dialogo muto con gli altri due, finché, improvvisamente, si voltò verso Rod con un sorriso finto e gli si avvicinò piano.
“Sto bene, è tutto a posto, non ti preoccupare.” 
Quando furono vicini gli mostrò la mano alzando la benda che le tamponava la ferita: la bruciatura della maledizione era quasi del tutto scomparsa, si vedeva solo il segno e la pelle arrossata.
Rimasero per un attimo fermi a guardarsi, in piedi, uno davanti all’altra.
Pensai per un attimo che si sarebbero baciati improvvisamente, come sempre, spregiudicati e spudorati, lì davanti a tutti senza il minimo pudore, come tante volte mi avevano abituato a dover osservare. Invece nulla, questa volta Rod rimase zitto e fermo a guardarla, freddo come il ghiaccio e Bella, di rimando, lo sfidava apertamente lasciandogli quella mano davanti agli occhi, con il suo sguardo sprezzante, come volesse dire quanto lei fosse comunque invincibile.
C’era una tensione palpabile nell’aria, una tensione che probabilmente stupì tutti, abituati a vederli complici ed uniti.
“Tira brutta aria tra le nuove reclute, o sbaglio?”
Fu di nuovo Dolohov a parlare, sempre pronto a provocare, evidentemente. Forse era nervoso per qualcosa che era accaduto di cui non eravamo a conoscenza, ma continuava a creare tensione dove già ce n’era a sufficienza.
A quel punto però, Bella mi stupì: non cedette minimamente alla provocazione. La vidi invece voltarsi verso tutti i Mangiamorte attorno e proporre di tornare a casa, oppure, per chi volesse restare, ci si poteva organizzare per mangiare.
Così conciliante non la conoscevo proprio, ma la sua idea di allontanare gli astanti parve funzionare.
Si allontanò da Rod avvicinandosi a me.
“Come si fa a procurarsi due cose da mangiare anche per questi qui, Rab? In caso restino… io non ne ho idea.” 
Mi parlò sottovoce, per non farsi sentire, trascinandomi con garbo verso il corridoio. Ovviamente lei voleva restare e io non l’avrei lasciata sola. Le risposi però scherzosamente, per cercare di allontanare qualsiasi tensione tra noi.
“E come mai tutta questa gentilezza e disponibilità, signorina Black? Tu non sai nemmeno cosa vuole dire essere conciliante.”
Alzò le spalle, quasi rassegnata. 
“Me lo ha chiesto Lord Voldemort…”
Ancora lui, non riuscivo più a non odiarlo, ma non potevo esprimerlo.
Cambiai discorso.
“Dovrai affrontare Rod prima o poi…”
Lei sospirò pensierosa.
“Lo so bene, Rab, non devi essere tu a dirmi cosa fare, ma ora non mi va, non saprei nemmeno cosa dirgli. Tu continui ad immischiarti fra me e il mio maestro, ma non sai nemmeno come stanno le cose, non sono affari tuoi.”
Ebbi paura di perderla, in un certo senso sapevo che aveva ragione, feci dunque totalmente marcia indietro:
“Va bene, va bene, Bella, hai ragione! Ti prego, dimentica tutto quello che ti ho detto ora e anche tutte le sciocchezze dette l’ultima volta qui al castello. Va bene?”
Lei annuì seria, senza dire una parola. Mi faceva paura questa Bellatrix che avevo davanti. Non la conoscevo. Non era più la ragazza dei miei sogni che capivo al volo e comprendevo fino infondo ai meandri della mente. Ora era dura, sfuggente, misteriosa. E io avevo sempre paura di perderla. Allo stesso tempo mi affascinava ancora di più e non volevo per nessun motivo che si allontanasse, non volevo perdere la sua vicinanza, dato che, nonostante tutto, contava ancora su di me e si appoggiava a me.
“Vediamo di trovare un elfo, se qui ce ne sono, ci penso io, credo potrà procurarci due cose da mangiare, poi ce ne andiamo, che dici?”
La trovai d’accordo e ci separammo momentaneamente.

*** 

Persi del tempo per sbrigare questa cosa, quando riuscii a sistemare la questione tornai indietro per cercare Bella.
Stranamente non la vedevo da nessuno parte, pensai se ne fosse andata, o fosse tornata col maestro.
Invece percorrendo un corridoio pieno di colonne e capitelli scorsi una porta e una stanza semi buia, sentivo delle voci e avvicinandomi appena riuscii a riconoscere chiaramente la voce di Bella e altri.
Mi avvicinai silenziosamente. 
Sembravano discutere animatamente anche se sottovoce, a parlare con lei riconobbi subito  Nott e in seguito Dolohov. La cosa mi stupì non poco, infatti, nonostante non sembrasse un colloquio amichevole, capii che i due la trattavano praticamente da pari a pari, cosa che con noi giovani non succedeva quasi mai.
Quando sentii più chiari i loro discorsi e le loro voci, rallentai il passo è mi fermai davanti alla porta, accanto allo stipite: così potevo sentire cosa dicevano senza essere visto.
“Avevi detto che era tutto a posto! Ci siamo fidati di te!”
Dolohov parlava in maniera concitata, nervosa.
“Ma è tutto a posto, me lo ha detto lui che stava bene!”
Anche Bella sembrava nervosa, soprattutto scocciata dalla conversazione con il nostro compare. Stava sulla difensiva e parlava seria, dura.
“Ma quanto sei ingenua Bellatrix? Ovviamente lui ti dirà che sta bene, ma devi essere tu ad osservarlo, a capire cosa stia realmente succedendo.”
A quel punto lei alzò la voce, notai anche un po’ di ansia nel suo tono e nelle parole.
“Mi volete spiegare cosa succede veramente? Perché tanta agitazione?”
Non avendo reazione dal primo interlocutore si voltò di scatto, afferrò con forza il braccio dell’altro, Nott, il più propenso a mediare, e lo fece voltare verso di sé.
“Allora?”
“Cosa vuoi che ti dica? Non lo so nemmeno io cosa faccia, ma ha ripreso gli esperimenti di arti oscure, quelli per cui ci siamo allontanati verso Albania ed est Europa anni fa. Probabilmente anche altri, dovresti saperne tu, meglio di me, di arti oscure. Lui prova tutto su di sé e noi non lo sappiamo come reagisce il suo fisico, non lo possiamo prevedere. Vogliamo solo sincerarci che sia tutto a posto. Dato che sei sempre tu con lui ultimamente, che si fida di te, dovresti essere tu a controllare la siatuazione.”
Bella rimase interdetta, pensierosa, si vedeva che era rimasta colpita e preoccupata. La sua risposta restò comunque la stessa:
“Ti ripeto che mi ha detto di stare bene, cosa dovrei fare secondo voi? Controllarlo e venirvi a riportare le cose? Siete pazzi se pensate una cosa simile.”
Invidiavo quell’istinto di protezione e di esclusività che voleva sempre avere col suo maestro.

Mi abbattei molto, ma continuai ad ascoltare.
Il primo a parlare ancora fu Dolohov:
“Tu lo conosci da poco, non sai molto di lui. Ti rendi conto però che da lui dipendiamo tutti noi? Sta bene davvero, te ne sei sincerata? Dimmi, cos’ha preso lo sai?”
Mi accorsi che a quel punto Bella fece fatica a reggere. Rispose concitatamente:
“Non capisco, cosa deve aver preso? Ha bevuto dell’acqua, ci ha messo delle gocce, ma perché? Che c’è di male in ciò? Cosa vi interessa?”
Dolohov ebbe uno scatto d’insofferenza, diede un pungo sul tavolo.
I due Mangiamorte si guardarono. Ci fu silenzio per qualche istante, poi Nott alzò le spalle in direzione di Dolohov e parlò rivolgendosi direttamente a lui:
“Senti, non facciamone una tragedia. Alla fine lo conosciamo, Lord Voldemort si sa controllare molto bene, e senza comunque non ci sta, lo sappiamo bene entrambi. Penso abbia ragione lei, lasciamolo in pace.”
Dolohov non era proprio della stessa idea.
“Anche lui a volte esagera e lo sai! E lei si è dimostrata inaffidabile. Non sa nemmeno le cose.”
Naturalmente Bella rispose a tono, con arroganza e aggressività.
“Mi volete spiegare di cosa parlate? Io non saprò nulla dei vostri anni passati in terre sconosciute a sperimentare magia sconosciuta, non saprò quali pericoli corra o cosa faccia, ma non mi risulta che Lord Voldemort non sia in grado di badare a se stesso e abbia bisogno proprio di te, o di voi, per cavarsela.”

Vidi Dolohov scuotere la testa.
“Non lo capisci che se rischia lui, rischiamo tutti? Se cede lui, cediamo tutti?”
 “Certo che lo capisco! Solo che io al contrario di voi non ho paura, mi fido totalmente di lui. Inoltre non ha mai avuto un cedimento, non avete alcun motivo di dubitare come state facendo.”
Di nuovo parlò Nott, sempre il più diplomatico.
“Non stiamo dubitando, ma lo conosciamo, come ti dicevamo, da tempo. Gli effetti collaterali della magia oscura su di lui non sono mai stati di lieve entità anche se lui minimizza. Le gocce che poi prende non sono poca cosa, conosci il laudano immagino, sai bene che effetti ha. Penso sia normale che qualche pensiero ce lo abbiamo, non credi?”
Bella stava per rispondere, ma io non riuscii più a seguire la conversazione perché arrivò Rod alle mie spalle.
“Che stai facendo? Dov’ è finita Bella?”
Lo trascinai lontano da quella stanza intimandogli di stare zitto, mio fratello di dimenò per qualche minuto poi mi seguì più obbediente.
“Bella sta parlando con Nott e Dolohov di Lord Voldemort, stavo ascoltando la conversazione e avrei gradito di sentirla fino in fondo, ma sei arrivato tu a rovinare tutto.”
Lo guardai male.
“Perché? Cosa c’era di così interessante da sentire senza potersi mostrare?”
Ci guardammo per un attimo in silenzio, Rod mi studiava, non sapeva più se prendermi sul serio, o continuare a trattarmi come un idiota.
Io rimasi zitto, continuavo a guardarlo negli occhi senza battere ciglio.
Alla fine decise di ascoltarmi.
“Va bene Rab, dimmi di questa novità di cui parli, non volevo rovinare tutto, credimi.”
Io gli parlai con enfasi, cercavo in Rod un alleato, mi attaccavo ad una vana speranza che forse in due avremmo allontanato Bellatrix dall’Oscuro Signore e l’avremmo riportata vicino a noi, come quando era una ragazzina e il suo mondo era fatto solo di noi due e di piccoli incantesimi di magia.
“Ci sono alcune cose di cui eravamo allo scuro e secondo me sono importanti. Per esempio, a quanto ho sentito, l’ Oscuro Signore ha iniziato ancora esperimenti di magia oscura, diversi da quanto fatto finora, forse più potenti. Probabilmente, però, questi hanno delle ripercussioni forti a livello del sul suo fisico. Nessuno sa le conseguenze che si possono scatenare, anche a lungo termine, potrebbero essere preoccupanti.”
Lui restava zitto e mi ascoltava, dopo qualche istante di riflessione provò ad indagare meglio.
“Sta facendo queste cose insieme a Bella?”
“No, lei sembrava non saperne nulla, mentre ne parlava con Dolohov. I due Mangiamorte sono preoccuparti delle conseguenze, hanno paura che la protezione del Signore Oscuro possa un giorno venere a mancare. Almeno così ho intuito.”
Ci guardammo nello stesso istante e fu come capirci senza bisogno di parole. Rod disse esattamente quello che pensavo io stesso.
“Inoltre, trattandosi di magia oscura, potrebbe iniziare presto la pratica anche con lei, o lei volerla iniziare insieme a lui.”
Annuii.
“Sì infatti, ho pensato lo stesso anch’io. Poi hanno parlato anche di altro, secondo me erano preoccupati per l’uso che lui fa del laudano.”
Rod mi guardò serio e attento, sembrava stupito.
“Laudano? Ma sei sicuro?”
Alzai le spalle.
“Quasi sicuro, non lo posso sapere per certo, ma direi che ho percepito così dalla conversazione.”

Rod mi guardò pensieroso.
“Non me ne ero mai accorto.”
“Io lo avevo intuito già da tempo, si nota dagli occhi. Però non immaginavo fosse una condizione che potesse far impensierire i suoi Mangiamorte più vicini.”
Rod rimase zitto per un attimo, poi scosse la testa guardandomi fisso negli occhi.
“Stiamo pur sempre parlando del Signore Oscuro, Rab, non so se capisci cosa intendo…”
“Sì, fratello, il Signore Oscuro, colui che ci sta portando via Bellatrix, so benissimo di chi stiamo parlando!”
Lui non mi rispose, ma sospirò afflitto.
“Comunque sì, ho capito cosa intendi, Rod. Sinceramente non pensò nemmeno io che da lui ci si debbano attendere cedimenti, di nessun genere.”
Rod si sedette su una sedia poco distante, sempre in silenzio, poi si rivolse di nuovo a me.
“Inoltre, fratello, per quanto ci riguarda, se anche abbiamo queste informazioni, a cosa ci possono servire? Credi che lei, anche sapendo della pericolosità, non vorrebbe più condividere con lui le arti oscure? O eviterebbe di amarlo perché prende il laudano?”
Mi guardò ancora, quasi disperato.
“Io non credo proprio, Rab. Io credo invece che la stiamo perdendo e non vedo speranze.”
Era la prima volta che vedevo e sentivo mio fratello così afflitto e rassegnato. Non riuscii a fare altro che tacere, guardandolo in attesa di una sua mossa.
Quando mi mise una mano sulla spalla per farmi segno di muoverci, mi sentii molto vicino a lui, per la prima volta dopo tanto tempo ritrovai quel fratello triste e solitario che conoscevo da bambino.
In un silenzio pieno di angoscia tornammo ad aspettare Bella per la cena, o meglio, a godere del poco tempo insieme che ancora ci concedeva, prima di tornare ancora, sempre, dal suo amato maestro.

 

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Capitolo 7
*** Ti voglio parlare ***


Dal grimorio di Bellatrix: “Ti voglio parlare ”


“Tra poco raggiungimi, ti voglio parlare.”
Mi voltai di scatto, sorridendogli e annuendo, come sempre.
“Certo, mio Signore, tutto ciò che volete.”
Questa frase, rivoltami dal mio maestro, mi scaldò il cuore. Era stata una giornata lunga per tutti noi Mangiamorte: chi impegnato in azioni sconosciute, chi impegnato in addestramenti e io che mi dedicavo agli studi di incantesimi. Non era però avvenuto nulla di particolare, o nulla di piacevole, per cui fosse valsa la pena di ricordare quel giorno. 
Fra tutti i compagni Mangiamorte, ho sempre pensato di essere una dei pochi che si impegnasse seriamente nello studio degli incantesimi. 

A me piaceva farlo, soprattutto quando il mio maestro non era al Quartier Generale e dunque dovevo impiegare il tanto tempo senza di lui. Volevo sempre fare qualcosa di utile, che mi rendesse la migliore, che mi facesse spiccare ai suoi occhi più di quanto già non facessi.
Questo impegno continuo su incantesimi di svariate tipologie, mi fece presto diventare ancora più abile e potente di quanto non fossi quando mi ero unita al gruppo. Stavo colmando la distanza che si era creata con gli altri, sia per via della mia giovane età, sia per via del fatto che la maggior parte del mio impegno andava comunque sempre sulle arti oscure.
Quando però lui tornava al quartier generale, allora la monotonia finalmente finiva e con lei anche lo studio e l’impegno in quel campo. 

Era dunque di ritorno da una delle sue misteriose e solitarie spedizioni, quando mi chiamò per parlare.
Era una cosa che faceva sempre più di frequente: se prima preferiva condividere con altri certi suoi pensieri ed esperienze, in quell’ultimo periodo la prescelta ero sempre io.
Questo mi rendeva felice e ogni sua parola e frase mi riempiva di gioia e di interesse. Imparavo a conoscerlo ogni volta di più. Nessuno poteva più dire di capirlo e comprenderlo meglio di me.

Talvolta capitava anche che mi mostrasse in maniera spiccata la sua vulnerabilità.
Era sicuramente difficile pensare a lui in questo senso, con chiunque si mostrava potente e invincibile, senza la minima debolezza. Per questo motivo anche per me fu difficile capire cosa ci fosse dietro quella sua facciata, ma piano piano lo stavo comprendendo e questo mi piaceva.
Mi piaceva lui e lo amavo completamente, anche i suoi lati nascosti e deboli.
Chiusi i manuali di incantesimi che avevo davanti e li andai a riporre nella stanza dei libri, un grande salone dove vi erano giornali e tomi di ogni genere, ognuno di noi poteva attingere da lì.
Mentre mi recavo in quel posto incrociai di nuovo Dolohov e Nott, che mi avevano fermata a parlare alcune settimane prima. Mi guardarono e io ricambiai.
Avevo pensato molto alle loro parole, mi avevano colpito, anche se naturalmente avevo difeso il mio maestro da tutti i loro dubbi.
Però poi, in solitudine, avevo riflettuto tanto.
Non so cosa facesse esattamente durante le sue assenze, non me ne aveva ancora mai parlato, ma sicuramente usava e sperimentava molta della magia oscura conosciuta e sconosciuta. 

Come poteva evitarlo? Era il suo credo, erano le prime regole che aveva insegnato anche a me. Dunque non poteva che essere così e non ci trovavo nulla di strano.
Che tutto ciò portasse a delle conseguenze lo stavo invece solamente intuendo, non sapevo cosa potesse capitare in seguito, non mi ponevo il pensiero.
Notavo che il suo corpo ne era fortemente provato, si notava la magrezza, si notava il pallore, ma io non vedevo null’altro. La sua aura di oscurità mi sembrava diventare sempre più forte e facilmente percepibile, il suo potere sugli elementi era ogni giorno più visibile e forte.
Tutto questo ancora non riusciva a preoccuparmi come invece preoccupava quei due Mangiamorte, per il momento mi affascinava terribilmente e null’altro.

Terminai di riporre i libri, con tutta calma, così da far passare il tempo. Mi sistemai per un momento davanti allo specchio, quindi bussai alla porta della stanza dove si trovava il mio maestro e attesi che mi dicesse di entrare.
La luce era fioca, come sempre, ma oltre alle solite candele vi erano anche due lampade che illuminavano più chiaramente la stanza. 
Lui mi aspettava in piedi, attento, vicino all’immancabile camino acceso.

La sua figura si stagliava alta, sempre magra, sempre oscura, come piaceva a me. Chiusi la porta alle mie spalle e rimasi per un attimo ferma, incantata a guardarlo.
Quanto amavo quella sua figura inconfondibile, enigmatica e misteriosa, ogni volta che lo vedevo accanto a me, o lo osservavo passarmi accanto, entrare in una stanza, o camminare per i corridoi con altri, mi faceva tremare lo stomaco e mi faceva battere il cuore proprio all’impazzata. 

Era sempre più magro e pallido, questo ormai era chiaro anche a me, solo i muscoli tendevano ad ingrossarsi nel tempo e mi piaceva da morire come si intravedevano sotto la maglia leggera, fin troppo leggera per il clima del momento. Aveva sempre quel modo di vestire particolare che lasciava scoperte parti del corpo come se nulla fosse, mentre tutti noi morivamo di freddo. Era qualcosa di suo personale, che non ho mai notato in nessun altro, non era da Purosangue. 
Ogni volta aspettavo di scorgergli le braccia nude, oppure il ventre, le ossa del bacino che si scorgevano tra la maglia e i pantaloni, il collo, le scapole.
Aveva un fascino che mi colpiva sempre, qualcosa di scomposto e sensuale, ma che non riuscii mai a definire bene.
“Mio Signore, ditemi, sono qui per voi.” 
Mi decisi a parlare, stava passando decisamente troppo tempo mentre ero incantata a guardarlo, fu strano che lui per primo non mi chiamasse all’ordine.
“Avvicinati, Bella, devo spiegarti delle cose.”
La voce era roca più del solito, aveva faticato a parlare e aveva gli occhi tremendamente sofferenti, mi avvicinai per osservarlo meglio, capire cosa fosse successo. 

Era proprio pallido, la pelle sudata, sembrava inquieto e non mi era mai capitato di vederlo così. 
Non si preoccupava della sua debolezza davanti a me, fui stupita di ciò, ma anche rassicurata.
“Mio Signore, avete qualcosa? Cosa avete bisogno che faccia per voi? Sono pronta.”
Lo dissi in tono preoccupato. Lui invece prese tempo, iniziò il discorso da lontano.
“Tu sei l’unica che conosce a fondo la magia oscura, l’unica che so essere all’altezza della magia oscura...”
Ovviamente queste parole mi riempirono di gioia e orgoglio e penso che fosse esattamente l’effetto che lui per primo voleva creare in me.
Non gli era facile seguire i suoi intenti, per via del suo stato.

Iniziò a tossire molto, mi avvicinai guardandolo senza parlare. Volevo essergli vicino.
“Come ti ho detto varie volte, questo tipo di magia deve essere utilizzata con cura e sapienza, ma anche in questo caso, anche se prendi tutte le precauzioni, non è mai priva di rischi. Lo vedi bene, ne sono un esempio, una lezione più pratica di questa non la potevo trovare per te.”
I muscoli erano contratti e dopo lo scoppio di tosse tremava: certo le teorie le conoscevo tutte, ma la realtà era un’altra cosa, il malessere mi sembrava tanto eclatante e me lo mostrava senza nasconderlo.

“Mio Signore, non scherzate, vi prego, non ora. Ditemi: cosa possiamo fare?”
Ero preoccupata solo io, lui sembrava davvero non avere la minima ansia, stava solo male e nient’altro. Non aveva nemmeno fretta di fare qualcosa.
“Non fare la bambina, Bella, stai calma. Non ti ho mai insegnato a farti prendere dal panico.”
Sospirai, poi annuii lentamente.
Presi aria ancora una volta.
“Avete ragione maestro, ma quando si tratta di voi è diverso, non voglio dobbiate soffrire.”
Mi guardò in modo strano, penetrante, con gli occhi cattivi.
“Sciocca, la sofferenza per me non è affatto una novità, credi ne abbia paura?”
Lo guardai fissamente, non capii pienamente a cosa si riferisse, ebbi l’impressione che pensasse ad altre sofferenze, ma forse mi sbagliai.
Mentre lo guardavo negli occhi notai le pupille dilatate, le occhiaie profonde attorno.
“Scusatemi, mio Signore, no non penso ne abbiate paura. Adesso sono calma, non mi faccio prendere dal panico. Ho imparato. Spiegatemi voi cosa fare.”
Ci guardammo, le mie spiegazioni gli bastano e io rimasi ferma, pronta ad ascoltarlo.
“I danni della magia oscura non sono questi che vedi, Bella, quasi ogni segreto di quel genere di magia lo conosco e lo padroneggio bene. Queste sono le conseguenze di ciò che mi serve per frenare il dolore fisico di alcuni incantesimi molto particolari di magia oscura.”
Lo guardai senza capire bene.
Lui forse se ne accorse, ebbe la pazienza di spiegare di più.
Andò prima a sedersi sul divano più lontano dalla finestra, capii che la luce gli dava fastidio agli occhi, spensi i due lampadari che illuminavano la stanza.
Mi fece un cenno di assenso, poi continuò a parlare.
“Capisci? Per frenare il dolore ho sempre preso qualcosa che lo bloccasse, ma questo ha delle conseguenze sul corpo che sono ciò che stai vedendo ora.”
Annuii: lui cercava di introdurmi lentamente a questo nuovo segreto, ma di calma non ne aveva più molta, più passava il tempo, più le sue condizioni peggioravano. Il sudore sulla sua pelle aumentava e anche alcuni lievi tremori erano arrivati di lì a qualche minuto. Tutto succedeva molto velocemente nella mia ingenua incredulità.
Ecco forse a cosa si riferiva Dolohov quando mi dava, appunto, dell’ingenua. Io tutto questo mondo sommerso non lo conoscevo, non ne avevo quasi idea.
Mi sentii una sciocca, lui si preoccupava di spiegarmi, di farmi vedere cosa succedeva, io mi prendevo del gran tempo inutile, mentre di tempo non ne avevamo.
L’importante in quel momento non ero io con la mia ingenuità, era lui. Non potevo fare la bambina ancora a lungo.
“Va bene, mio Signore, ho intuito tutto, non preoccupatevi di spiegarmi, ditemi cosa devo far e per voi.”
Congiunse le braccia davanti al petto, si notavano i brividi più intensi.
Non stette nemmeno a rispondermi, con un movimento del viso indicò una boccetta e una siringa. Ormai avevo capito, collegato le cose: senza pensarci afferrai la siringa sterilizzando l’ago sul fuoco, poi aprii la boccetta aspirandone il liquido.
Fu in un attimo che intuii che doveva essere quello il laudano di cui avevano parlato gli altri due Mangiamorte e che quindi ne aveva bisogno.
Mi porse il braccio senza dire una parola e si tirò su la manica stringendo poi il polso con le dita: immediatamente comparvero le vene ingrossate. 
Tremava abbastanza vistosamente per cui gli afferrai meglio il polso per non fare errori. Sentii subito il sudore freddo, la pelle liscia, i muscoli forti di uomo adulto, potente.
Mi eccitava la sua forza e la sua debolezza tutto mescolato insieme. 
Lo guardai per un attimo, eravamo vicinissimi. Sentivo tutto di lui, potevo percepire il freddo gelato del suo corpo e il battito veloce del suo cuore per l’agitazione.

Anche lui mi guardò fissamente.
“Hai paura di tutto questo?”

Fu una domanda a bruciapelo pelo, una prova, voleva una dimostrazione di fedeltà. Non ebbi problemi a dargliela, dovevo solo dire la verità.
“No, anzi, mi piacete, mio Signore.”

Sorrise amaro e strinse le dita sul polso.
“Fallo tu allora. Prendi un pochino di sangue per vedere se fai bene, poi spingi dentro il liquido, la dose che hai preso va bene.”
Ebbi paura di fargli male, non avevo mai fatto una cosa simile, mentre per lui sembrava la cosa più semplice del mondo. Probabilmente il laudano gli procurava astinenze di questo tipo molto spesso.
Quello che mi diceva lui, io facevo, sempre, al di là della paura.
Infilai l’ago nella vena, il più precisa possibile, tirai su il sangue e vedendolo iniettai il liquido trasparente.
Non avevo mai fatto nulla di simile e probabilmente gli feci male, ma non ci fece caso, almeno così sembrava.
Attesi qualche istante nella speranza di non aver fatto qualche danno, lui chiuse gli occhi sospirando e si appoggiò lentamente allo schienale.
Rimase zitto per ancora diversi minuti, attesi che tutto tornasse alla normalità, appoggiai la siringa, rimisi tutto a posto. Lo guardai di nuovo, avrei voluto che mi parlasse, non sapevo che fare. 

Dopo un po’ di tempo mi disse di sedermi accanto a lui.
Ubbidii: sapevo che mi stava legando a sé più di quanto avesse mai fatto con chiunque altro. Non era stato comunque facile per me quel momento, non ero minimamente preparata.

Ero confusa.
“Mio Signore…”
Mi fece cenno con la mano di attendere, di aspettare e prima di tutto di ascoltare lui.
Così feci.
“Ti ho detto tante volte che tutto ciò che stai imparando ora da me, io l’ho capito, imparato e sperimentato direttamente, senza nessuno che mi aiutasse e soprattutto senza permettere a nessuno di capirne e saperne più di me, ricordi?”
Risposi che ricordavo perfettamente.
“Ho sempre ritenuto necessario e importante provare, sperimentare tutto su di me. Ogni esperienza doveva essere mia. Tutto quello che hai appena visto sono le ripercussioni di ciò che sono e ciò che ho fatto.”
Rimase zitto per un po’, ma io non feci domande, avevo imparato a non interrompere mai i suoi tanti e lunghi silenzi.
“Tu sei brava, molto più brava ed intelligente degli altri Mangiamorte, me ne sono reso conto subito. Sei tu ora la mia Mangiamorte più vicina e per questo ti sto mostrando tutto. Ti ho scelta, ti ho eletta, ti ho fatto questo onore e tu mi permetterai così di spingermi ancora più oltre, se sarai disposta a servirmi in ogni cosa.”

Non mi sarei mai immaginata parole simili, mi resero felice e orgogliosa, la mia vita era diventata improvvisamente piena di gioia.
Lo guardai negli occhi: era contento di me, si vedeva, lo percepivo chiaramente nonostante il suo sguardo particolare. Notavo come ora le pupille fossero strette, quasi invisibili, imparai a capire che era il laudano che faceva il suo effetto.

A quegli occhi e a quello sguardo io non sapevo mai dire di no. Che fosse normale, che fosse sotto l’effetto del laudano, che soffrisse l’astinenza, non mi importava nulla, lo amavo sempre di più. 
“Certamente, mio Signore, ogni cosa che farò sarà per voi. Non vi deluderò, statene certo.”
Lui mi guardò ancora, poi lentamente annuì e tornò ad appoggiarsi silenzioso sullo schienale.

Restammo zitti a lungo.
Il tempo passava lento, cercavo di riordinare le idee e gli eventi della giornata così strana, ogni tanto lo guardavo, non tremava, il freddo che sentiva sembrava scomparso, ugualmente riavviai le fiamme nel camino che erano ferme da tempo.
Lo feci con il semplice uso della mente, controllare il fuoco era per me bello come un gioco, mi rilassava.
Quando mi voltai di nuovo verso di lui, vidi che mi stava osservando in silenzio.
Sorrise.
“Ho percepito l’energia e il calore, sei molto brava col fuoco, ormai non ha più segreti per te.”
Fui contenta di quelle parole, annuii.
“Credo sia anche giunto il momento di smettere con la sola teoria, ormai sei pronta per la pratica. Devi dare prova che sei una strega oscura e che sei capace di usare quel tipo di magia in ogni occasione utile.”
Sorrisi annuendo ancora. 

Notò subito la mia soddisfazione. Rimase zitto anche lui, guardandomi attento, piegando il viso di lato e mostrando quello sguardo tipico del mio maestro, quella sua espressione da bambino riflessivo e provocatorio.
Sempre senza parlare si avvicinò a me, spingendomi sullo schienale del divano, avvinghiandosi con le sue braccia forti.
Sentivo la sua pelle sulla mia: non era freddo gelato come prima, ora era caldo, avvolgente. 

Le sue dita avevano perso ogni tremore, mi stringevano il collo e il viso in una stretta forte e prepotente. Le sue labbra mi sorridevano appena, con quel fare ironico, subito dopo iniziò a baciarmi con desiderio e languore.
  Quanto avevo atteso quel momento, lo desideravo dall’inizio e non feci che ricambiare tutto questo senza indugio e con passione sempre più sfrenata.
Quella volta, lo sentivo, sarebbe andato fino in fondo. Era da tanto che lo desideravo, che lo agognavo, ero pronta per lui, per accoglierlo e tenerlo dentro di me, sempre.

Non era il tipo che andava lento, infatti senza dolcezza e senza aggiungere parole mi spinse sul divano entrando dentro di me, facendomi male, un male che amai subito con tutta la passione e la violenza che conoscevo e mi eccitò da morire.
Lo assaporavo fino in fondo, mi piaceva oltre ogni limite e desideravo tanto vederlo godere con me. 
Lo afferrai forte sulle spalle, sentii la sua pelle i muscoli che mi spingevano continuamente e io ne volevo sempre di più: più forza, più violenza, più passione, più godimento.

Non pensai a nulla, se non al piacere più grande.
Si eccitò molto sentendomi così, gridammo insieme senza curarci del mondo, avanti e avanti, finché non lo sentii accasciarsi sopra di me. 
Rimasi così ad ascoltare il suo respiro concitato e stanco, che diventava sempre più regolare mano a mano che passavano quegli istanti stupendi. Sentivo il mio petto sotto al suo peso che aveva gli stessi ritmi, la stessa splendida fatica.

Non restò così a lungo, mentre io avrei voluto averlo accanto in quel modo ancora tanto tempo.
Tornò invece a sedersi sul divano, sospirando, senza guardarmi, mentre io lo guardavo sempre, ammirata, forte e potente com’era, rimasi ancora sdraiata ferma a bearmi di lui, di quanto mi faceva godere e di come ne ero felice.
Solo dopo poco, lentamente, mi misi seduta anche io, restando vicini, scomposti ed esausti entrambi.
Lo guardai di nuovo attenta, approfittai del fatto che teneva gli occhi chiusi, mentre si riposava un po’.

Era tremendamente bello: il suo viso era sciupato, ma perfetto.
Restai ferma, desiderando ardentemente di abbracciarlo e baciarlo, e ricominciare tutto da capo.
Improvvisamente però aprì gli occhi e guardò dritto nei miei, quasi sapesse che lo stavo osservando.

Mi parlò così, come se nulla fosse successo, come se tra noi non si fosse instaurato un patto segreto ed elettivo, unico. Con una frase fredda e tagliente detta a bruciapelo distrusse tutte le mie fantasie d’amore fiducia e reciprocità.
“Anche Rodolphus mi sta dando grandi soddisfazioni; pensavo che potrei mettere a conoscenza anche lui delle arti oscure, necessito di gente come voi.”
Sembrava guardarmi con sfida e rabbia. 
Sembrava che ogni vicinanza fosse stata cancellata dal distacco più totale.

Non capivo perché facesse così.
Mentre io sentivo ancora il suo calore dentro di me, sulla mia pelle e nella mia carne, lui era già lontano, si era di nuovo rifugiato nel suo mondo solitario e nei suoi progetti di potere.
Non riuscii a proferire parola, non potevo dire che ero d’accordo, ma nemmeno potevo dire a lui di non fare questa cosa.

Forse mi stava solamente e prendendo in giro.
Ci scambiammo uno sguardo indagatore, mi osservò con attenzione e probabilmente capì tutto: si mise a ridere forte.
Io lo adorai. 

Adorai la sua risata divertita, adorai quelle contraddizioni continue, adorai la sua dolce tortura, che infondo mi dava importanza.
Quella sua risata inoltre mi diede coraggio.

“Mi prendete in giro, vero mio Signore? Volete farmi credere che non sono io la vostra unica strega oscura, quella più potente e brava, volete mettermi alla prova?”
Allora lo vidi ridere di nuovo, avvicinarsi di nuovo. Si insinuò tra le mie gambe, iniziò a baciarmi la parte interna delle cosce, mi fece venire brividi di piacere in tutto il corpo. 
Salì sempre più in alto, sentii le sue labbra spostarsi continuamente fra una coscia e l’altra, fino ad arrivare vicinissimo alla mia vagina calda, già bagnata.
Si fermò per un attimo per strattonarmi e tirarmi per bene accanto a lui.
“Fammi vedere qui quanto sei oscura.”
Sentii la sua lingua calda sulla mia vulva calda, sui peli, nella carne. 
Sorrisi tra me: senza nemmeno bisogno di chiederlo, aveva già ricominciato tutto da capo.
 
 
 

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Capitolo 8
*** Il morso del serpente ***


Lord Voldemort: “Magia oscura”


Avevo atteso la notte del Solstizio d'Inverno con pazienza, mi ero procurato la giusta quantità di vischio, pianta sacra ai druidi. Era indispensabile perché racchiudeva in sé un simbolo, era una pianta discesa dal cielo, generata da un fulmine, e quindi collegata alla divinità.
Attraverso un incantesimo oscuro lo avevo unito alla quercia, albero simbolo dell’eternità.
In quel modo, la pianta generata da questo incantesimo sulla natura, diventa simbolismo dell'istante, della rigenerazione e dell’immoralità. 
Tutto era pronto e sistemato per compiere il rito in quel luogo nascosto della foresta. Guardai in alto la posizione delle stelle, ancora l’ora era lontana.
Avrei dovuto iniziare l’incantesimo in un momento preciso della notte, per ottenere la sua vera efficacia, ma temevo di non farcela.
La gola mi bruciava e la luce delle candele accese mi dava fastidio agli occhi.
Mancava poco tempo e sarei stato di nuovo male.
Iniziai a sentire rabbia e frustrazione: non mi aspettavo l’astinenza e non l’aspettavo così presto.
Provai a concentrarmi, a pensare solamente a quell’importante rito di magia oscura, ma non funzionò. Poco dopo iniziai a tremare nelle mani, la bacchetta tremava con me, non sarei riuscito a fare un incantesimo decente.
Mi prese il nervoso per tutto, la scaraventai a terra e urlai.
Così non andava bene, non era quello che volevo succedesse, era tutto sbagliato. 
Non potevo permettermi l’astinenza, quella no.
Mi avrebbe precluso troppe cose.
Non mi restava che moderare le dosi fino a riuscire ad evitarle, in caso contrario rischiavo di non poter fare nulla di quello che volevo. Intanto però i miei programmi per quella particolare notte erano totalmente rovinati.
Ripresi la bacchetta mestamente, dovevo tornare al Quartier generale, non potevo aspettare più molto, erano iniziati i primi crampi e dovevo ancora smaterializzarmi.
Lo feci in fretta, senza più pensare. Quando arrivai nella mia stanza iniziai a tossire forte, i colori mi facevano morire del fastidio.
Evitai la siringa, evitai la morfina così da calare fin da subito le dosi, come mi ero ripromesso.
Mi costò fatica questa decisione.
Presi le gocce di laudano e la mescolai con l’acqua, l’effetto sarebbe stato più lento, ma sicuramente meno invasivo. 
Non era facile esagerare sempre, provare troppa magia, prendere troppe sostanze, avere troppi ricordi, ma ugualmente non sapevo rinunciare.
Mi scostai i capelli dagli occhi, sentii la pelle fredda, troppo fredda, dovevo evitare di peggiorare il mio stato.

Mi toccai la fronte, asciugai leggermente il sudore, continuai a bere lunghi sorsi fino a che non mi sentii meglio.
Allora mi calmai e mi sedetti per un po’ sul divano.

Riflettei che la situazione stava andando oltre il mio controllo, dovevo riprenderne le fila.
Mi domandai anche se avessi davvero fatto bene ad informare Bella del mio stato, se era davvero all’altezza dei compiti e della fiducia che avevo riposto in lei. 

Continuai a sorseggiare lentamente e il laudano, mi dava sollievo sempre di più. 
Ripensandoci comunque si era dimostrata perfettamente all’altezza, non aveva discusso ed era stata impeccabile, per cui non avevo motivo di dubitare di lei. Ero stato lungimirante fin dall’inizio, l’avevo voluta con me e le avevo insegnato tutte quelle cose con pazienza. In quel momento venivo ripagato e mi tornava utile, molto utile, come avevo pianificato.
Potevo fidarmi.
Rimasi fermo ancora per diversi istanti poi tornai da alzarmi in piedi.
Soprappensiero mi avvicinai alle tende e, appoggiandomi allo stipite della finestra, guardai fuori: le luci non mi davano più fastidio, il laudano faceva un buon effetto, anche se non era potente come la morfina, non era così forte come un’iniezione, comunque aiutava molto. Portai il bicchiere alle labbra e sorseggiai ancora lentamente.
Sentivo sul viso il lieve tepore delle candele, la sensazione di caldo avvolgente che tanto mi mancava stava tornando, il buio fuori mi tranquillizzava, tutto era tornato in ordine, lentamente mi abbandonai ai miei pensieri.

Mi tornò in mente Bella. Ripensai al momento in cui l’avevo presa più volte.
Lei non desiderava altro che me, mi desiderava così ardentemente che era una vera lusinga, un peccato da consumare al più presto.
Un peccato da consumare, da deturpare, da avvelenare. 
Lei era tanto giovane e ingenua, una bambina quasi. Sarà per questo che mi era sempre apparso così allettante sciuparla. 
Sentivo di voler trasformare altre mille volte quelle labbra innocenti in labbra dannate, dal sapore di sangue, morderle finché e affinché non tornassero mai più come prima.
Afferrare quei bei capelli neri, forti, stringerla e farla mia schiava, piegare quello sguardo fiero sul mio sesso con forza e violenza. Seccare quella pelle morbida col mio sperma salato e bruciante.
Violare quella carne calda, bagnata e accogliente come solo io so fare. Così che ricordi bene chi è il suo Signore, anche se dubito se ne dimenticherebbe mai.

Sorrisi tra me e me.
Finii la mia dose nel bicchiere e lo appoggiai a terra poi tornai a guardare fuori.
Riflettei.
Chissà perché la stavo pensando, perché ogni mio pensiero si era focalizzato su di lei.
Appoggiai la tempia sul vetro freddo, guardai come lentamente il vetro si appannava al calore della mia pelle, del mio respiro.
Sospirai facendo appannare una porzione più grande, giocai ad appannare tutto ripetutamente, per poi disegnare con le dita linee a caso. Infine eliminai con la mano tutto il vapore e osservai la notte.
Ripensai al mio rito là fuori che era andato in malora. Non potevo permettermi più errori, avrei voluto riprendere a breve a creare gli Horcrux e dunque dovevo stare particolarmente attento.
Pensando agli Horcrux la mia mente tornò a Bella: forse mi sarebbe potuta essere utile.
Certamente, era ancora terribilmente acerba e immatura.
Era persino bello torturarla e farla sentire insicura e presa in giro.
Quando le ho parlato della mia idea di insegnare anche a Rodolphus le arti oscure l’ho vista impallidire, mi ha fatto ridere.

Non ho intenzione di iniziare assolutamente nessun’altra persona alla magia oscura. Ho già fatto un’eccezione con lei che è un talento particolare. Soprattutto che mi è totalmente fedele. Non lo rifarei per altri.
Eppure, ingenuamente, mi ha creduto. Ha avuto paura.
È davvero ancora una bambina, come lo è lo stesso Rodolphus, o Rabastan, che si credono importanti, ma perdono tempo con le loro sciocche gelosie e innamoramenti. 

Indugiano tutti nell’infanzia. 
Forse perché hanno avuto una bella infanzia e per questo non la vogliono lasciare. Poveri illusi.
Ora hanno incontrato me, sono pronto a togliere quella bellezza inutile e ingannevole e ad avvelenare le loro vite, a renderli tutti miei servi, a possederli tutti nelle mie mani e a torturarli.
Ora devono essere tutti miei e in mio potere, devono vedere la realtà come la vedo io, terribile e spietata.
Anche se non sanno cosa vuol dire essere me, provare cosa provo io, cosa sono io.
Sentii una gran rabbia tornarmi dentro, in pochi secondi sbattei il pugno contro i vetri e li vidi andare in mille pezzi davanti ai miei occhi.

Osservai fermo, quasi bloccato.
Guardare fuori attraverso quella spaccatura mi ricordava le grandi finestre dell’orfanotrofio, rotte e piene di spifferi. Fredde e nude finestre da cui guardavo fuori e volevo solo fuggire. Odiavo quei ricordi e li odiavo ancora di più quando riaffioravano a tradimento.

Nonostante il laudano quei pensieri non mi volevano lasciare, la morfina aveva un effetto di gran lunga migliore, ma avevo deciso di evitarla.
Era diventato davvero difficile stare senza.
Dal vetro rotto spirava un vento freddo che si insinuava nella stanza. Respirai a fondo e cercai di ricacciare la rabbia dentro di me.
Non sentivo il dolore ovviamente, ma vidi che dalla mano perdevo sangue. Altri ricordi si affacciarono alla mente, ma non mi ci volli assolutamente soffermare nemmeno per un attimo. Diedi un calcio al bicchiere che avevo posato per terra accanto a me, avevo riempito tutto attorno di vetri rotti.
Andai nella credenza delle pozioni, bloccai il sangue con un panno, poi ci rovesciai sopra un medicamento adatto.
Tutto finì in pochi secondi.
Respirai di nuovo con calma, tentai di ritornare più tranquillo e piano piano ci riuscii abbastanza bene.
Ero comunque inquieto e nervoso, il rito mai terminato mi aveva messo di malumore, il laudano lo sentivo appena, tutti i problemi riscontrati negli ultimi momenti necessitavano di una soluzione urgente.
Fu in quel momento che bussarono alla porta della stanza e quando chiesi chi fosse mi rispose Rodolphus.
Proprio non avevo voglia di sentirlo, non in quel momento, ma feci uno sforzo.
“Va bene, entra, cerca di fare presto.”
Il ragazzo, entrando, si guardò subito attorno, focalizzò velocemente il vetro rotto e il bicchiere distrutto. Voltò il suo sguardo su di me che tenevo ancora il panno sulla ferita.
“Mio Signore, è successo qualcosa?”
Scossi la testa.
“Incidenti di percorso.”
Lui annuì lento e incerto.
“Devi parlarmi di qualcosa, Rodolphus?”
Lui tentennò per qualche istante. Poi si decise.
“No, mio Signore, ma sapevo che questa notte sareste rimasto lontano dal Quartier generale, quindi sono passato per vedere se era tutto a posto.”
Lo guardai con attenzione, sembrava strano e titubante.
“Solo dei cambiamenti di programma, nulla di importante.”
Lo vidi annuire, ma non si decise a congedarsi.
“Capisco, mio Signore, scusatemi se vi ho disturbato, allora. Ecco, volevo chiedervi se Bellatrix è impegnata in qualche lavoro per voi.”
Scossi la testa e lo guardai però attentamente. 
“Capisco, grazie, mio Signore.”
Stavolta fui io a trattenerlo.
“Hai forse perso tua moglie?”
Gli sorrisi. Lui invece non seppe cosa rispondere.
Abbassò il capo tristemente.
Mi fece proprio ridere.
“Avanti, stavo scherzando, Bella è rimasta con me per dei servigi nel pomeriggio, non era stabilito mi servisse oltre, sicuramente la ritroverai a casa, nel vostro castello.”
Lo guardai fissamente di nuovo, era ovvio che mi si leggesse nello sguardo che lei era mia, sempre e comunque. Volevo però capire se lui sapesse, o avesse intuito, fino a che punto me l’ero presa.
Appoggiai il panno che avevo tenuto sulla mano, ormai la ferita era a posto, quindi mi avvicinai a lui.
“O forse dubiti che ti sia fedele?”
Rimase spiazzato dalla domanda, non si aspettava nulla di tanto diretto.
“No, mio Signore, non dubito, pensate che invece dovrei?”
La sua risposta mi stupì, ma mi piacque, era passato al contrattacco, non si era arreso.
“Non penso nulla a riguardo, so solo che Bella è una Mangiamorte molto molto fedele.”
Lo guardai negli occhi. Capì subito che la fedeltà era rivolta a me non certo a lui, entrambi comunque facemmo cadere il discorso. 
Lo accompagnai fuori dalla stanza, avevo bisogno di riposare, di calmare i miei nervi.
Quando ero certo che avrebbe semplicemente salutato prima di andarsene, aggiunse una frase sibillina.
“Mio Signore, so bene che non vi limitate a conoscerla solo come fedele Mangiamorte. Voi siete il suo maestro, pochi la conoscono a fondo come voi.”
Ci guardammo a lungo, dopo la sua frase tacemmo entrambi. 
Per un attimo ebbi l’intenzione di dirgli che lei era mia ormai, che dunque ci mettesse una pietra sopra, ci pensai per qualche istante, ma non lo feci. 
Non valeva la pena.
Lo congedai velocemente e mi diressi verso la stanza da letto: avevo bisogno di calma, era stata una giornata molto pesante ai problemi di Rodolphus Lestrange avrei pensato in un altro momento.
Mi buttai a letto vestito, senza accendere candele, nel buio totale della stanza dove solo il camino era acceso e rischiarava l’oscurità.
Solo quello mi dava un po’ di calore.




Dal grimorio di Rodolphus: “Il morso del serpente”


Quelle giornate d’inverno col loro freddo umido che penetrava le ossa e la luce del sole fioco che lentamente si perdeva nella nebbia della sera, mi colsero completamente impreparato. Infondo tutto quel freddo non veniva solamente da fuori, ma lo sentivo dentro di me, percepivo un ghiaccio e una solitudine profondi a cui non ero abituato.
Forse era solo la mia idea, ma sentivo che Bella mi aveva completamente abbandonato.
Se già da molto era lontana e distratta, negli ultimi tempi notai proprio un distacco totale, una freddezza nei miei confronti che confinava con l’astio. Non avevo compreso i motivi di questo atteggiamento, infondo vivevamo insieme come prima, mi parlava e mi ascoltava. Eppure notavo in lei qualcosa di diverso.
Avevo imputato i cambiamenti al suo impegno ancora più profondo nelle arti oscure, forse i suoi apprendimenti stavano evolvendo e la stavano cambiando, lo potevo notare anche da altri piccoli segni: un pallore crescente e marcato accompagnato da un perenne affaticamento, gli occhi più scavati e più scuri e inquietanti, inoltre le mani apparivano più rovinate e segnate, forse dalla continua energia che vi fluiva.

Poi però mi era bastato rimanere solo con il Signore Oscuro, parlargli un momento di lei, guardarlo in viso e negli occhi e avevo capito tutto, non mi restavano dubbi: erano amanti loro due e io l’avevo davvero persa.
Non era più la mia Bella, la mia Bella quando ancora era mia.
Aveva persino tagliato i suoi splendidi capelli neri come la notte, che ora ricadevano lisci fino a le spalle, senza fronzoli.
Non riuscivo a provare vera e propria rabbia per questa sua specie di voltafaccia, ma ne soffrivo enormemente, quasi senza accorgermene, o senza volerlo ammettere.

Non riuscivo nemmeno ad accettare la cosa, non la volevo affrontare.
Però qualcosa dovevo capire anche da lei, fosse anche solo se avevo speranze che un giorno sarebbe tornato tutto come prima.
Avevo imparato ad essere meno irruente e a muovermi con più tattica, così feci lo stesso anche con Bella: la osservai per un po’ alle prese con un paiolo dove provava a mescolare certe sostanze e sminuzzarne altre, erano le prime ore di un solitario pomeriggio nel nostro castello e regnava il silenzio quasi totale, lei sembrava tranquilla.
Mi avvicinai alle sue spalle, sfiorandole i fianchi per farle sentire la mia presenza, lei veloce come il vento mi sgusciò via dalle dita e, voltandosi mi puntò la bacchetta addosso.
Ci guardammo increduli entrambi.
“Rod, ma sei tu? Perché ti avvicini a quel modo? Mi hai spaventata.”
Ripose la bacchetta, io cercai di non reagire, ma quel gesto mi aveva infastidito. Erano davvero così lontani i tempi in cui si abbandonava a me che la cingevo alle spalle, così sicura e innamorata da riconoscermi anche senza vedermi?
“Ti ho sempre abbracciata a quel modo! Perché mai non dovrei più?”
Scosse la testa e tornò a osservare il contenuto del paiolo, come se quella brodaglia avesse più importanza di me.
“Senti, Bella, cosa ti prende che hai iniziato a trattarmi peggio di un estraneo? Sei cambiata, non capisco cosa sia successo che ti comporti così con me!”
La mia domanda diretta l’aveva messa lievemente a disagio, me ne accorsi perché non rispose d’istinto come suo solito, ma rimase zitta qualche istante.
Aveva di nuovo quella manica del braccio sinistro tirata su, come se dovesse sempre vedere il Marchio Nero sotto i suoi occhi: quando non c’ era il Signore Oscuro vicino, allora aveva il suo marchio davanti.
“È da quando ti ha fatto quello che sei diventata così con me.”
Nel parlare indicai col viso il tatuaggio nero. Sul suo braccio sembrava ancora più grande e vivo.
Non feci in tempo a finire la frase che lo guardò con un amore incredibile nello sguardo e lo sfiorò delicatamente con le dita.
Quel gesto mi fece salire tutta la rabbia che non sentivo prima, ma che evidentemente era lì, nascosta dentro di me.
“Adesso cos’ è? Non mi ami più perché c’è lui?”
“Basta con questa storia! Sono stanca di sentire sempre scene di gelosia!”
Bella mi interruppe con veemenza, ma a mia volta, stranito anche dalla storia delle scenate di gelosia che sia andava a sommare con tutta quella situazione che non sopportavo più, la interruppi anch’io di nuovo.
“Cosa vuol dire che sei stanca di scenate? Chi te le fa le scenate? Io ti amo, noi ci amiamo, noi siamo la coppia, non altri! Tu sei mia moglie!”
Avevo usato il solito modo di comportarmi del ragazzino insicuro che ero stato e che evidentemente ero ancora, lei però non era più la ragazza innamorata che si faceva impressionare e mi abbracciava finendo per fare pace tra le lacrime. Era molto diversa ormai.
“Io sono io e basta,  non importa se sono tua moglie. Sono stanca di scenate perché mi state addosso, tu e tuo fratello con la vostra gelosia immotivata e inutile. Lo sai bene anche tu che Rabastan è come te, sembrate due bambini dietro allo stesso giocattolo, mi avete stancata.”
Rimasi letteralmente ammutolito, ero sicuro che lei mi stesse mettendo sullo stesso piano di Rab, mio fratello innamorato e non ricambiato. Io, come Rab, la amavo, ma lei no. Ero certo che mi avrebbe detto da un momento all’altro che amava il Signore Oscuro.

Non avrei saputo come reagire, ma mi preparavo al colpo finale
E invece no, ancora una volta mi lasciò totalmente spiazzato.
“Sai che ti amo e quanto abbiamo condiviso insieme, Rod…”
In quel momento la sua voce si fece più dolce e quasi sensuale. Io la guardavo senza più capire nulla, ero completamente dilaniato dalla rabbia, perché sentivo che mi stava mentendo e raggirando e dall’amore. Che sentivo per lei, perché la mia condanna era essermi innamorato davvero tanto di Bella.
“Lo sai quanto siamo perfetti insieme, la nostra intesa è totale e anche il nostro amore; è sempre stato così Rod.”
La guardavo negli occhi e cercavo la verità di quelle parole, perché volevo crederci, volevo davvero crederci eppure non ci riuscivo, in quegli occhi vedevo solo il suo mistero, il suo inganno e i suoi mille segreti.
Mi avvicinai per avvinghiarla e baciarla, sulla bocca, sul collo, ovunque e con bramosia, volevo vedere ancora la sua pelle e le sue labbra arrossate dalla mia barba e dalla mia passione.
Bella lasciò fare a lungo prima di trascinarmi per terra e lì fare l’amore. 
Fu tutto così improvviso e veloce, quasi come il morso di un serpente.
Mi piacque molto, ma allo stesso tempo non mi tranquillizzò affatto, sembrava l’avesse fatto per farmi stare calmo, per non litigare e avere problemi. Mi lasciò spossato dall’estasi dell’orgasmo, non rimase nemmeno un attimo accanto a me. Sistemò i suoi vestiti e si allontanò velocemente, lasciando lì incantesimi, pozioni e tutto il resto. Restai solo e con l’amaro in bocca, quasi come se il veleno di un serpente si fosse infilato dentro di me e stesse infettando tutto lentamente, ma inesorabilmente.
Si era invischiato nel mio corpo per non lasciarlo mai più.

 
 

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Capitolo 9
*** La mia solita ragazzina egoista ***


Dal grimorio di Bellatrix : “La mia solita ragazzina egoista”



Quando aprii gli occhi sentii subito una violenta fitta alla testa, portai la mano alla fronte, cercando in qualche modo di farmela passare, era così intensa che non riuscivo a sopportarla. 
Passarono alcuni istanti e per fortuna si dileguò abbastanza velocemente come era venuta, lasciandomi solo leggermente intontita.
Piano piano ripresi coscienza di me e del mio corpo, mi alzai a sedere a terra, tolsi la mano dalla fronte e aprii gli occhi, la testa sembrava davvero non dolermi più. 
Provai a muovermi con cautela, come mi aveva insegnato il mio maestro: era tutto a posto, solo i muscoli erano molto pesanti e mi bruciava enormemente la gola. 
Alzai appena lo sguardo e vidi il mio Signore a pochi passi.
Si chinò accanto a me e mi prese la testa, subito dopo sentii sul viso un vapore caldo, molto umido e di odore pungente che mi avvolgeva e mi dava sollievo.
Respirai quel vapore lentamente, sentivo che mi entrava nella gola, nel petto e nei polmoni.
Misi bene a fuoco ciò che mi circondava, avevo questo panno caldo davanti alla bocca che emanava un vapore buonissimo e mi dava sollievo. Quindi guardai lui, gli feci un cenno per fargli capire che mi sentivo meglio, non volevo sembrare troppo debole.

Mi osservò bene, quindi tolse lentamente il panno, valutammo se davvero fosse tutto passato e, dopo averlo appurato per certo, mi lasciò la testa.
Sedetti stabile sul pavimento, poi lo guardai, in attesa delle sue parole.
“Devi chiuderlo prima il cerchio magico, Bella, altrimenti la violenza della nube ti soffocherà.”
Mi parlò rudemente, ma capii che lo diceva per me, aveva fiducia che mi correggessi con la mia solita bravura.

Erano incantesimi molto complicati e pericolosi, mi si potevano rivoltare contro in ogni occasione, solo che non era semplice nemmeno per me riuscire a seguire e controllare tutto.
“Va bene, maestro, lo chiederò alcuni secondi prima, così resteremo in sicurezza. Mi dispiace commettere questi sbagli, solo che trovo ancora difficoltà a svolgere tutto in ordine preciso e con tempi precisi.”
Lui si allontanò muovendosi lentamente nell’oscurità. 

Il rito era terminato ed il buio ci circondava, il mio maestro iniziò ad accedere una per una le candele attorno, piano piano la stanza iniziò a rischiararsi, mentre lui ancora taceva. 
Avevamo occupato per l’occasione un piccolo castello diroccato, fermo da millenni in mezzo alla natura, in balia degli elementi.
Attesi con pazienza che dicesse qualcosa.
Accesa anche l’ultima candela si fermò, stropicciandosi gli occhi, poi si voltò di nuovo verso di me.
Lo vedevo bene come anche lui fosse stanco e provato, andavamo avanti con la magia oscura, senza sosta, da settimane, anzi mesi.
Come mi aveva anticipato, gli incantesimi erano di molto diversi da quelli imparati negli anni passati, si trattava di riti molto più articolati, molto più intensi e pericolosi.

Io ne ero comunque contenta: ora potevo aiutarlo e appoggiarlo, non ero più solo un’allieva, ero una vera compagna.
Non sopportavo di sbagliare ancora, mi costava molto dovergli far riprendere tutto da capo.
“Ascoltami bene, devi restare concentrata, devi sentire la magia, va bene il controllo degli elementi e dell’ energia della bacchetta, ma devi anche sentirla tutta questa potenza, tutta questa magia. Devi saperla prevedere, conoscere, altrimenti non riuscirai a condurla e controllarla quando aumenta improvvisamente oppure quando cambia il suo corso.”
Mi scostai i capelli dal viso e provai ad alzarmi.
“Ho capito, mio Signore. Vedrò di abituarmi anche a questo.”
Lui si massaggiò il polso lentamente e in silenzio, poi lo vidi sorridere leggermente.

Fece cenno di avvicinarmi a lui, guardammo insieme il fuoco delle candele che si muovevano frenetiche.
“Le cose stanno andando meglio di quanto pensassi: tu sei brava, la magia nera cresce dentro di me, ogni giorno divento più potente, di conseguenza anche tu.”

Lo guardai: aveva uno sguardo febbrile, quasi malato, era davvero contento di come stavano procedendo le cose.
Ne aveva in serbo altre, la sua mente era sempre in continuo movimento, sempre un passo avanti agli altri, non si fermava mai. Visualizzava cose che nessuno poteva immaginare e poi le portava a compimento.
Era straordinario nel suo male e nel suo delirio, impareggiabile nei suoi propositi di primeggiare in tutto ciò che riguardasse quel genere di magia.
Mi sentii soddisfatta di quell’affermazione, ero sempre immersa nella magia nera, elementi naturali e nuovi incantesimi, riti e studi. Ero praticamente sempre con lui e lui con me.
Avevo perso ogni contatto con la solita realtà durante tutto quel periodo, non sapevo più che giorno fosse, cosa accadesse al di fuori, non vedevo e non parlavo più con nessuno che non fosse il mio Signore. 

Gli unici ritmi a cui dovevamo sottostare erano quelli degli elementi. Niente esisteva più oltre questo.
Mangiavo a stento, non mi interessavo d’altro se non provare, sperimentare, fare e anche sbagliare, pur di imparare il più possibile. Eravamo lontani da tutto e da tutti, nel mondo che più ci apparteneva.
Vivevo in mezzo alla forza degli elementi, fra sole, vento, mare, sabbia e roccia, controllavo tutta quell’energia che trasformavo poi in forza oscura dentro e fuori di me. 

Finalmente la sentivo, avevo imparato a riconoscerla nelle mie vene, attraverso i muscoli e sotto la pelle.
Ero in balia di apici intensi e duraturi di fortissima energia, seguiti da picchi di vuoto quasi completo. Questi vuoti totali mi portavano quasi a svenire, o restare totalmente priva di forze, o a dormire per ore e ore, per poi ricominciare da capo. 
E poi c’era lui, lui che mi faceva conoscere tutto e provare qualsiasi cosa. Tutto ciò che non avevo mai visto né conosciuto.
Vivevo tra sesso e riti sacrificali, turbini di violenza e sangue, sentivo il sapore caldo della sua pelle contro la mia ed era la mia sublime estasi.
Il potere del fuoco cresceva dentro di me, tanto che mi sentivo bruciare io stessa, una sensazione ancora sconosciuta, stentavo a capire cosa mi stesse succedendo. 

Era sempre il mio maestro ad indicarmi cosa fare: lasciare che tutto accadesse, che la magia mi bruciasse e mi consumasse fino in fondo.
Come mi diceva altre cose che mi colpivano nel profondo, che ripeteva senza sosta: conoscere tutto, provare tutto, non avere paura di nessuna conseguenza.
Doveva sempre abbattere ogni muro, ogni regola, sbaragliare ogni confine, io volevo solo seguirlo e permettergli di esaudire ogni cosa desiderasse, volevo sentire ciò che sentiva lui, tutto ciò che provava.
La mia mente ne usciva sconvolta, stravolta, mi sentivo trasportata e scaraventata a forza in mondi nuovi e sconosciuti, spesso contro ogni razionalità. 

Mi sentivo comunque al massimo dell’esaltazione, dell’appagamento, dell’amore.
Lo vedevo ogni giorno più forte, sicuro e oscuro; negli occhi non aveva le pupille scure, aveva delle braci rosse ardenti. 

Non avevo mai visto occhi così. 
Non era più solo un uomo: era la magia, l’energia, la violenza e l’orrore. 
Incantesimi, riti, esperimenti, e il sesso sempre, senza sosta. Non si fermava mai.
Poi però c’erano i crolli.
Passavano ore in cui non riuscivo nemmeno a muovere un muscolo, potevo solo restare ferma in attesa passasse tutto, altrimenti cercare di dormire. Altre volte ero lì lì per svenire, dovevo fermarmi e attendere ore per riprendermi. 

Lui non era mai privo di energie come capitava a me me, ma il suo fisico era dilaniato dalla troppa energia. 
Si ribellava. 
Il corpo gli faceva palesemente male, provava dolori intensi: anche lui aveva i suoi crolli.
Allora si riempiva di laudano, ne sentivo il sapore dolciastro sulle sue labbra quando mi baciava, a tutte le ore. 

Lo vedevo dai suoi occhi quando mi guardava. 
Tanto laudano, molto più di quanto avessi immaginato.
Se in un primo momento questa cosa mi impressionava, poi imparai a coglierne i lati positivi. 
Solo io lo potevo vedere così, gli potevo sempre stare accanto, la sua mente era lontana dal mondo, da tutti meno che da me. 
Quando si addormentava, lo ammiravo in silenzio, avevo tutto il tempo di farlo, guardavo tutto di lui.
Quei lineamenti belli, quasi delicati, che erano resi duri e spigolosi dal suo carattere difficile e dal suo modo di vivere estremo e pericoloso. 
Gli sfioravo lungamente le labbra sottili, sempre pallide. Toccavo le sue braccia, i muscoli, la pelle. Mi potevo prendere tutto il tempo di conoscerlo in quel modo, mi piaceva accarezzargli i capelli senza che si svegliasse, mi perdevo in quei momenti e desideravo trasmettere in quelle carezze tutto il mio amore. 
Ero felice di quella situazione, mi sentivo nata per quello che stavo facendo ed ero innamorata di lui ogni giorno di più.
Se non potevo ammettere l’esistenza dell’amore davanti a lui, perché mai e poi mai avrebbe accettato una cosa simile, non potevo più fingere davanti a me stessa.

Avevo accettato questo sentimento e lo tenevo solo per me.
E mi piaceva.
“Bella! Mi stai ascoltando? Cosa ti prende?”
Le sue parole mi riportarono alla realtà, mi ero persa nei miei vaneggiamenti.
“Sì, mio Signore, scusatemi. È la stanchezza, il rito di prima e l’incidente mi hanno un po’ provata. Vi chiedo davvero di scusarmi.”

Rimase fermo e zitto, leggermente spazientito, ma non arrabbiato.
Lo guardai per alcuni istanti ancora, mi soffermai sulle guance pallide e incavate, le labbra erano quasi blu e la vita era stretta, magra, quasi emaciata.
“Mio Signore, scusate se oso, ma…”
Mi interruppe subito scuotendo la testa.
“Sì lo so cosa vuoi dire: devo fermarmi e anche tu hai bisogno di riprendere forze, almeno per un po’ di tempo. Purtroppo questo maledetto corpo umano non regge. È troppo debole davanti alla mia magia.”

Lo guardai preoccupata, rimasi male per quelle parole e per la rabbia che dimostrava nei suoi confronti. 
Considerava maledetto il suo corpo, debole perché troppo umano, troppo fragile rispetto alla sua mente.
Era la prima volta che notavo questo suo odio verso se stesso, cosa che invece, in seguito, conoscendolo meglio, avrei imparato a riconoscere sempre di più. 
Un odio che pervadeva ogni suo comportamento, ogni suo atto.
Era un sentimento talmente profondo e talmente radicato in lui, da essere perfettamente nascosto, celato dalle sue manie di grandezza, ma che esplodeva violentemente alla prima occasione.
Provai a parlargli.
“Mio Signore, voi siete così forte e potente, il vostro corpo è perfetto, forte e vigoroso. Sono io che ho bisogno di un momento di riposo, ma è un’occasione per raccogliere anche le vostre forze e ripartire meglio di ora.”
Tenevo ovviamente molto alla sua salute e volevo che stesse bene, che ci stesse attento lui per primo.
Era un’utopia la mia, lui non si voleva bene e non sarebbe mai cambiato, sarebbe solo peggiorato. 
Aveva qualcosa dentro che lo divorava, che lo tormentava, c’ era sempre un veleno dentro di lui che gli faceva male, lo distruggeva con lentezza e feriva chiunque gli stesse vicino.
Non dissi altro e aspettai la sua decisione.

Rigirò la bacchetta tra le dita più volte, rimase pensieroso, poi alzò lo sguardo verso di me.
“Torniamo dagli altri Mangiamorte, ci fermiamo per qualche tempo. Giusto per riprendere le fila della situazione, ho lasciato andare molte cose in questo periodo. Poi riprenderemo meglio di prima.”
Annuii. Mi sembrò una decisione saggia, lentamente mi tirai su dal pavimento e mi avvicinai a lui.
“Hai visto? Ho deciso di seguire un tuo consiglio, sei contenta?”
Quella domanda mi spiazzò, non me la aspettavo, annuii incerta su cosa rispondere. 

Spesso le sue parole gentili erano semplicemente una provocazione, una presa in giro, un inganno. 
Era un gioco per lui: gli veniva spontaneo provocare e mettere alla prova, gli piaceva far sentire importante qualcuno per poi distruggerlo subito dopo. Mordeva dolorosamente, iniettando il suo veleno dentro la vittima, lo faceva volutamente e a tradimento.
“Bene, perché c’ è da decidere quella questione di Rodolphus, se iniziarlo alla magia oscura, ricordi? Cosa ne pensi allora? Non mi hai più risposto.”
E infatti eccolo il morso. 

Era doloroso anche il solo pensiero di non essere più la sua eletta, l’unica strega oscura al suo fianco. L’unica sua allieva che ora, dopo tanta fatica, poteva restargli vicino nella pratica della magia nera.
Decisi di optare per dirgli la verità, senza mezze misure.
“Dico che l’idea non mi piace, mio Signore.”

Mi morsi le labbra con timore, attesi la sua reazione con ansia e paura.
Mi guardò per diversi istanti con occhi enigmatici.
Poi, inaspettatamente, mi sorrise. 

Continuava a giocare con la bacchetta fra le dita, la guardava e restava ancora in silenzio; la strinse poi improvvisamente con la mano destra e me la puntò contro. 
“Lo immaginavo, sapevo che mi avresti risposto così, ma dimmi, perché non ti piace la mia proposta? Spiega la tua opinione.”

Sorrideva beffardo.
Non era una vera minaccia, la sua, lo vedevo dagli occhi; inoltre lui era mancino, non usava la bacchetta con la destra, ma con la sinistra.
Voleva solo giocare, mettermi paura e allo stesso tempo voleva che mi accorgessi di tutti questi suoi giochi.
Parlai dunque senza remore.
“Perché solo io sono abbastanza brava per assistervi, mio Signore, solo io posso esservi davvero d’aiuto nelle arti oscure. Starvi accanto, sostenervi nei casi di necessità. Nessuno, assolutamente nessuno in tutto il mondo magico, men che meno Rodolphus, è in grado di fare ciò che so fare io, non ha il potere che ho io, nessuno lo possiede, lo sapete anche voi.”
Si avvicinò ancora a me, aveva lo sguardo serio e attento. Con la bacchetta mi scostò i capelli dalle spalle.
“Hai un’alta considerazione di te…”
Piegò la testa di lato, curioso, in attesa di una risposta.
Mi venne da sorridere.
“Sono pur sempre una Black, mio Signore.”
Scoppiò a ridere.
Come era bello quando rideva così.
“Vero, la nobile e antica casata dei Black, i Toujour Pur. Non c’è traccia di sangue sporco nelle tue vene, il tuo potere è davvero grandioso.”
Ripose la bacchetta, con la mano sfiorò la pelle del mio viso, proprio dove prima mi aveva toccata col legno. 
Quel contatto fu a suo modo violento: io ero bollente, lui gelato, il contrasto era forte e vivido. 
Due dita mi accarezzarono il collo, le altre la guancia, mi persi in quel tocco che mi mandava sempre in estasi. 
Lui indugiò a lungo in quella posizione.
“Quindi, dimmi: vuoi essere solo tu a conoscere le arti oscure come me? Nessun altro può affiancare il tuo maestro? Solo tu?”
Strinse le dita e mi graffiò la pelle con le unghie, mi faceva male e mi sorrideva beato. 
Quei contrasti violenti e dolorosi mi piacevano, desiderai ardentemente rimanessero i segni rossi sul mio viso.
Annuii per rispondere alla sua domanda.
“Proprio così, mio maestro.”
Mi mise la mano intorno a collo, lo sentii stringere, non forte, ma a sufficienza per non farmi respirare bene.
Non feci comunque una piega. Allora, dopo poco, allentò la presa.
“Sei sempre la mia ragazzina egoista, Bella.”

Strinse di nuovo la mano tra il collo e il viso per attirarmi a sé e mi diede un bacio prepotente e passionale. Mi sentii mancare tutto attorno per l’emozione e la sorpresa.
Il piacere che provai a quel semplice e inaspettato bacio fu dirompente.
Quando mi lasciò mi appoggiai ad una colonna lì a fianco, mi aveva proprio sconvolto i sensi.
Lo guardai mentre afferrava e si copriva col mantello, lo guardavo e pensavo a ciò che mi aveva detto.
Non ero più una ragazzina, lo sapeva che non sopportavo quel nomignolo, non lo sopportavo nemmeno quando una ragazzina lo ero davvero. Sentivo tutta la nostra differenza di età e di esperienze in quel nome, sentivo quanto poco ero per lui. 
Percepivo però che per lui, al contrario, quel ragazzina doveva avere una connotazione non del tutto negativa.
Non seppi mai capire però quale particolare significato dava lui a quel modo di chiamarmi. 

Rimase uno dei suoi tanti misteri.
Gli tornai accanto. Avrei voluto restare ancora soli insieme, non tornare più al Quartier Generale, insieme a tutti gli altri. 

Ero gelosa e possessiva lo avrei voluto sempre tutto per me. 
Osai avvicinare la mia mano al suo mantello, come per trattenerlo un momento, per farmi ascoltare.
“Non dovete avere a fianco nessun altro, maestro, solo me, non dovete fidarvi di nessuno.”
Si voltò a guardarmi senza rispondere. Rimase tempo a studiarmi.

“Lo so molto bene.”
Mi mise improvvisamente un braccio attorno alla vita e strinse forte.
Mi guardò ancora, attentamente.
“E perché secondo te dovrei fidarmi di te? Solo di te?”

Mi strinse ancora di più a sé.
Quando lo ebbi così vicino abbi il desiderio di rispondere che io sola lo amavo e questo era lì motivo. Eppure non lo feci, non potevo farlo.
Sentivo di nuovo il vento arrivare veloce e accarezzarmi la pelle, sfiorarmi i capelli.
Portava con sé il suo profumo, avrei solo desiderato un altro bacio.
Un bacio che però quella volta non mi diede.

“Perché mi avete scelta, sono la vostra strega più potente, voi sapete che vi sono fedele e lo sarò sempre. Altrimenti non mi terreste accanto a voi, mio Signore.”
Strinse ancora di più i miei fianchi e io mi abbandonai a lui e alla sua stretta come mi piaceva sempre fare.
Senza aggiungere una parola mi portò via con sé nella smaterializzazione.
Non seppi mai se fu o meno soddisfatto della risposta.
 

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Capitolo 10
*** La stella più luminosa ***


Dal grimorio di Bellatrix : “Nebbie e misteri”


La prima cosa che feci quando ritornai stabile a casa mia, fu dormire per ore e ore filate. Ero così stanca da non rendermi conto di quanto dovevo recuperare, ma alla fine mi ripresi. 
Mi svegliai nel primo pomeriggio scombussolata e assente, ma mi sentivo comunque bene, mi alzai abbastanza pronta per affrontare la mia vita di tutti i giorni. 
Non ero davvero più abituata e tutto mi sembrava tremendamente estraneo, a cominciare dagli abiti e le scarpe, per finire al cibo e alle conversazioni. 
La cosa che desideravo di più era tornare indietro e riprendere quella vita selvaggia e piena solo di magia, di avventura, dove anche le cose più insignificanti diventavano straordinarie, soprattutto volevo stare vicina solo al mio Signore.
Mi lavai il viso lentamente, senza truccarmi, mi pettinai i capelli e scesi decisa al piano di sotto, sentivo delle voci e volevo capire con chi stesse parlando Rodolphus.
Quando feci capolino nella stanza mi salutò Rabastan. Nei giorni in cui ero stata spesso assente, i due fratelli erano tornati a vivere insieme, o meglio, Rab passava gran parte delle giornate a casa mia e di Rod.
Ero felice di questo: non avevo alcuna voglia di affrontare Rod, di vivere di nuovo da sola con lui, dedicargli il mio tempo e la mia intimità, dormire insieme, mangiare insieme e anche fare l’amore insieme.
Mi sentivo troppo cambiata, troppo immersa nel mio amore per il mio maestro, non riuscivo più a mentire a me stessa e di conseguenza nemmeno a mio marito. Rod ed i eravamo sempre stati uniti, eravamo quasi una persona sola. Avrebbe capito subito che cosa stava succedendo, forse lo aveva anche già capito.
Non è che non mi importasse più di lui, mi importava come mi importava di me stessa, ma amavo il mio Signore, e lo amavo sempre di più, e questo non lasciava spazio a nient’altro.
Ero gelosa di lui, anche del fatto che tenesse così tanto in considerazione Rod, per questo sentivo rabbia nei confronti di mio marito. Non volevo mi superasse in quanto a bravura.
Anche Rod a quel punto mi salutò e mi distrasse dai miei pensieri.
“Sei tornata, Bella? Ho sentito che stavolta vi fermerete di più.”
Annuii e gli diedi un bacio di saluto. Non riuscivo a parlare, lasciai campo libero a loro.
Non seguii nemmeno i convenevoli, mi limitai ad annuire mentre mi versavo un bicchiere d’acqua, prestai attenzione solo dopo poco, quando Rab iniziò un argomento che mi incuriosì.
“Credo che il Signore Oscuro abbia fatto bene a ritornare, non tutti i Mangiamorte sono contenti delle sue ripetute assenze.”
Invece di chiedere maggiori spiegazioni risposi irata.
“Non va in giro a bighellonare, lo sanno molto bene che è un mago oscuro e si interessa di magia oscura.”
Rabastan continuò senza dare importanza alla mia rimostranza, ma si rivolse direttamente a me.
“Inoltre, sono altrettanto scontenti delle alleanze strette che si stanno creando, cioè del fatto che sia sempre tu insieme a lui e non sia mai insieme ai vecchi compagni.”
Mi sedetti anche io al tavolo insieme a loro perché volevo capire cosa fosse tutta quella storia di cui si parlava.
Intervenni subito.
“I compagni stretti con cui ha viaggiato un tempo non ne sanno nulla di magia oscura, non sono abbastanza potenti, non sono nemmeno pronti a subire le conseguenze della magia oscura! È naturale che lui ora li abbia allontanati.”
Rab scosse la testa.
“È naturale per te, ma non per loro… loro sono scontenti, potrebbero fare qualcosa…”
A queste parole non mi sfuggì uno sguardo di Rod verso il fratello, che smise subito di parlare. Incalzai Rab, ma lui sembrava essere più vago di prima.
“Sai anche tu le persone come sono fatte, vorrebbero essere loro le più vicine a Lord Voldemort, ma vedono il suo comportamento diverso nei loro confronti e se ne lamentano. Non ammettono di non essere in grado di fare magia nera, o di non reggerne le conseguenze.”
A quelle parole Rod rise maligno e si rivolse a me.
“E tu, Bella, tu come fai a reggere le conseguenze della magia che hai imparato?”
Intuii il tono cattivo: Rod ce l’aveva con me perché ero la preferita di Lord Voldemort, ma era anche molto geloso di me e l’Oscuro Signore. Capivo che era arrabbiato, ma possibile che ce l’avesse con lui al punto da fare qualcosa contro il suo Signore? Proprio Rod così sempre fedele? La sua gelosia poteva davvero arrivare a quel punto?
Non ci capivo più nulla, risposi alla domanda più per cortesia che per altro.
“Io per ora non ho problemi, solo un po’ di stanchezza.”
Naturalmente non era vero, sentivo il mio corpo cambiare e non riuscivo ad abituarmi agli sforzi e alla violenza di quella magia, ma sapevo di avere bisogno di tempo. Erano comunque affari miei, e non capivo nemmeno perché fosse un argomento di tanto interesse.
Ero piombata in una realtà strana, di non facile comprensione, mi domandavo se anche l’Oscuro Signore avesse notato questi segnali di cambiamento ed insofferenza all’interno della cerchia dei suoi fedeli Mangiamorte.
Non sapevo se dovevo aver paura che lui mi mettesse da parte, o se dovevo avere paura di strane cospirazioni da parte di tutti gli altri. Diventai nervosa ed irrequieta, già sentivo di dovermene andare da lì.
Dissi che uscivo a prendere una boccata d’aria, presi lo scialle e uscii in giardino.
Feci appena in tempo a richiamare a me gli elementi della natura perché mi dessero un segnale chiarificatore, che sentii Rab alle mie spalle. 
La cosa più strana fu che sentii come prima cosa il suo odore, la sua aura magica, non il rumore dei passi, o il frusciare dei vestiti, proprio l’odore.
“Non mi arrivare mai alle spalle, Rab.” 
Lui si bloccò subito, non fu necessario nemmeno voltarmi, aveva un certo timore di me che prima non aveva mai dimostrato. 
In quegli istanti la nebbia calò rapida attorno a noi, ricoprì alberi e cespugli vicini, era il segnale che avevo chiesto… nebbia e misteri erano la risposta. Quindi stava succedendo davvero qualcosa di strano attorno al mio Signore.
Avevo avuto la mia risposta, ne presi atto e poi mi voltai lentamente verso Rab.
“Non ti innervosire subito, Bella, mio fratello lo sai com’è, ha sofferto in modo particolare per la tua mancanza e ora è arrabbiato.”
Gli sorrisi.
“Lo so bene, Rab, so com’è fatto Rod, ma non capisco cosa stia succedendo esattamente, qualcosa mi sfugge e mi sembra non sia solo la questione della rabbia di Rod, inoltre mi sembra proprio che voi mi teniate nascoste delle cose.”
Rab a quel punto rimase zitto, stava riflettendo, soppesando le parole, questo silenzio più di ciò che seguì, mi fece capire, una volta di più, che qualcosa non andava, che vi erano segreti e movimenti strani tra i Mangiamorte.
“No, Bella, non è come pensi tu, è tutto più semplice, diciamo che noi altri Mangiamorte non sappiamo come sia fare magia oscura, e meno che meno fare magia oscura ad alti livelli, praticare con continuità incantesimi potenti e sconosciuti, per questo alcuni di noi sono preoccupati. Non sanno cosa aspettarsi, non sanno come potranno reagire il corpo e la mente del Signore Oscuro…”
Sul momento non capii, mi limitai a rispondere per frasi fatte.
“Lui sa cosa fare e come farlo, è un mago potente. Forse che i Mangiamorte non hanno più fiducia?”
Mentre dicevo questo, io stessa iniziai a rivedere nella mente le sofferenze e la distruzione che la magia oscura compiva sul corpo del mago oscuro che la praticava. 
Io stessa ne soffrivo, lo sapevo bene. 
Vedevo perfettamente anche a cosa si sottoponeva il mio maestro. Ad essere sincera avevo anche paura di quel suo andare sempre oltre, di passare ogni limite possibile, di non accontentarsi e fermarsi mai nemmeno davanti ad un limite fisico. 
Tornai con la mente a tutto quel laudano assunto, e anche che quando mancava era l’inferno. Io conoscevo lati e debolezze di lui che nessuno conosceva, vedevo i suoi lati bui, l’oscurità vera della sua anima, che era molto più oscura della magia stessa. Vedevo la sua fragilità e la amavo quanto amavo la sua forza. La mia fiducia non era mai crollata un solo attimo. 
Mai.
Molti Mangiamorte invece temevano che un minimo punto debole potesse far crollare tutta l’organizzazione, avevano paura di perdere i loro privilegi.
Tramavano contro di lui per paura di un suo crollo? O erano solo mie paure e paranoie?
Rabastan parlava, ma io non lo ascoltavo più, la nebbia si diradava e sapevo già di dover far chiarezza in questa storia, se solo avessi trovato dei potenziali traditori, li avrei eliminati se fosse stato necessario.
Interruppi Rabastan, mi voltai tranquilla verso di lui e lo guardai seria, dritta negli occhi.
“Tu da che parte stai?”
Sapevo che mi amava ed era un amore serio e sincero, lo avevo fatto soffrire molto per la mia vanità e il mio continuo bisogno di sicurezze e ammirazione, ma non aveva mai smesso di amarmi, ero certa di poter contare su di lui, probabilmente Rab aveva il carattere più forte di tutti noi.
“Sto dalla tua parte, Bella, come sempre, ovunque mi porti.”
Mi strinsi nello scialle, il vento soffiava per diradare la nebbia, il mio Signore, il mago del vento, mi chiamava.
Feci per parlare, ma Rab fece una smorfia rassegnata.
“Non mi rispondere che la tua parte è quella dell’Oscuro Signore, sempre e comunque, perché lo so a memoria, Bella.”
Mi venne da ridere: ma possibile che fossi così noiosa? 
Avrei voluto domandare maggiori chiarimenti sulla posizione di Rod in tutta questa storia. Mi era sembrato ambiguo, sapevo che da lui ci si poteva aspettare di tutto: era fedele a Lord Voldemort, ma la sua gelosia poteva portarlo a fare qualsiasi cosa pur di placare la sua rabbia e accontentare la sua smania di possesso. 
Con Rab potevo parlare, ma il richiamo si era intensificato, il Marchio Nero bruciava forte sotto il tocco del vento.
Non avevo più tempo.
Anche Rab rabbrividì.
Allora decisi di abbracciarlo e cingerlo attorno al mio scialle nero. Lui mi stupì ribellandosi con gentilezza dal mio abbraccio, comunque senza allontanarmi.
“Non ti sei ancora stancata di giocare con me e prendermi in giro?”
Ebbi uno scoppio di risa, era diventato ironico e orgoglioso, ma sentivo il suo cuore battere forte mentre eravamo ancora così vicini.
Non dissi niente, il tatuaggio bruciava forte, avevo fretta. Mi sciolsi dall’abbraccio e lo lasciai coperto del mio scialle.
“Devo andare ora, ma non dimentico quello che mi hai detto ora, Rab.”
Lo salutai con un bacio sulle labbra, fugace ma sensuale.
Così ancora una volta lo lasciai a bocca aperta, senza capacità di ironizzare.

Dal grimorio di Rabastan : “La stella più luminosa”


Bella, dopo il bacio, mi sorrise senza dire una parola e si smaterializzò velocemente. Io rimasi lì ancora una volta, colpito dal suo gesto, non la capivo, ancora non mi ero abituato del tutto alle sue stranezze, soprattutto quando erano così eclatanti, ma avevo imparato a non aspettarmi nulla da lei, se non affettuose cattiverie. Per cui non mi feci illusioni.
Chiusi le labbra e lentamente chiusi anche gli occhi, restai così per qualche istante in silenzio totale, poi sospirai: non so dire quanto la amo e quanto la desidero. 
Tantissimo.
Devo metterci una pietra sopra, ma non ne sono mai capace.
Restai ancora lì impalato, a godermi il momento. Indugiai molto, davanti a quel portone, prima di rientrare in casa e abbandonare quella sensazione stupenda e tornare alla noiosa e amara realtà.
Tolsi lo scialle che mi aveva lasciato Bella, lo avrei tenuto addosso per l’eternità, ma era troppo da donna anche per un innamorato pazzo come me. 
Lo strinsi quindi in un abbraccio come se potessi abbracciare lei. 
Sentivo vagamente il suo profumo, quel suo odore per me inconfondibile di selvaggio e assaporavo il calore di quella lana pungente, che quasi mi soffocava. Non era lana morbida e femminile, era pungente e graffiante, proprio come lei.
Ripensavo al bacio di prima, un attimo in cui i miei desideri diventarono realtà, fu talmente inaspettato che non ebbi tempo quasi di godermelo, ma ci ripensavo in quel momento, tornavo a tutte le sensazioni che mi aveva scaturito e mi sentivo felice. 
Pur non capendo il significato di quel bacio, il motivo di questo regalo, ero felice. Anche se dentro di me il pensiero che era innamorata di un altro mi faceva ancora più male.
Dovevo tornare in casa, ma non volevo rompere l’idillio solitario che mi stavo ritagliando in quel meraviglioso momento. 
D’ altra parte non desideravo che giungesse Rod a chiedere spiegazioni: volevo tenere quell’ istante tutto per me. Smsi quindi di abbracciare lo scialle come un ebete, ma lo tenni con tanta cura e amore mentre mi accingevo a rientrare.
Riposi tutto nell’anticamera, dove immaginavo che Bella lo avrebbe cercato e tornai io per primo da mio fratello.
Rod era più scuro in volto di quando lo avevo lasciato poco prima, se lo conoscevo bene, ciò significava che si stava dibattendo dalla rabbia, senza riuscire a capire cosa fare per riportare la situazione a suo favore.
Povero illuso. 
Sperava ancora di riportare Bellatrix ad amarlo e, allo stesso tempo, la odiava con tutto il suo cuore. Lei che aveva osato abbandonarlo, ma odiava anche l’ Oscuro Signore, che l’aveva inesorabilmente portata via.
“Allora, fratellino, non hai resistito al suo fascino e le hai spiattellato tutto? Hai raccontato la situazione proprio nel dettaglio? Così la va a raccontare al Signore Oscuro?”
Ricominciava a farfugliare le sue sciocchezze da uomo pazzo di gelosia qual era. A me sembrava talmente stupido! Forse perché io c’ ero già passato e capivo l’inutilità di ogni cosa.
“Non ho detto nulla Rod, ma la conosci Bella, avrà già capito da sola, se non altro intuito. Inoltre vorrei ricordarti che Lord Voldemort legge la mente, non penso che i nostri colleghi Mangiamorte che si atteggiano a cospiratori saranno in grado di fermarlo, in caso volesse entrare nella loro mente. Sono solo degli sciocchi che pensano di prendere potere con facilità.”
Avevo detto la pura verità: non avevo detto nulla a Bella, lei non conosceva i particolari o le persone specifiche, ma aveva intuito la situazione senza problemi e probabilmente si sarebbe data da fare lei stessa, da lì a poco, per risolverla. 
Oppure forse ne avrebbe messo a conoscenza lo stesso Lord Voldemort. 
In entrambi i casi non vedevo nessuna soluzione positiva per i cospiratori, che io mi guardavo bene dall’appoggiare.
Io mi guardavo bene… Rod non lo so, era talmente geloso che mi sarei aspettato di tutto.
Inoltre pensavo davvero che questa pretesa, scaturita da un gruppuscolo di Mangiamorte, di prendere più potere di Lord Voldemort scavalcandolo, fosse pura follia.
“Quindi tu sei già sicuro che falliranno?”
Prestai particolare attenzione alla domanda postami da mio fratello, nella mia mente dimostrava ancora una volta che lui non aveva deciso da che parte stare.
Capivo la disperazione di Rod, immaginavo che avrebbe fatto anche il gesto più folle e disperato per avere Bella, ma tutto questo mi sembrò troppo anche per lui. Possibile che fosse talmente accecato dalla gelosia da pensare che qui poveretti potessero avere speranza di riuscire?
Possibile che avesse dubbi sulla strada da seguire e quali parti prendere? Non mi capacitavo.
“Perché, tu no? Pensi abbiano speranze di spuntarla contro il Signore Oscuro?”
Lui mi guardò in maniera più disperata che arrabbiata.
“Non lo so, tu stesso Rabastan avevi mille dubbi ad entrare a far parte dei Mangiamorte, non hai mai esaltato il Signore Oscuro e ne hai sempre visto i limiti, più che i pregi.”
Scossi la testa.
“Io sono entrato nei Mangimorte per stare vicino a Bella, non ho mai fatto mistero di ciò , e anche per stare vicino a te fratello, piuttosto che per mia convinzione personale. 
Sei tu invece che ti prendi in giro, che credi di farlo per te stesso. Ora però, coi nuovi sviluppi, sei in crisi e non capisci più nulla. Non ti aspettavi che te l’avrebbe portata via così, eppure i segni c’erano tutti, è da tanto tempo.” 
Feci una pausa, Rodolphus non rispondeva più.
“E sai perché sei così in crisi e non sai più cosa fare e ti disperi? Perché non ammetti a te stesso e non accetti di essere anche tu completamente succube di Bella. Ci siamo innamorati fino a questo punto fratello, e non so perché, ma è successo.”
Provò ad interrompermi, ma lo zittii e continuai.
“Ho sempre visto i limiti del Signore Oscuro, è vero. Da innamorato quale sono sempre stato della nostra Bellatrix, vedevo e osservavo il mio vero rivale, che non eri tu, ma lui.”
Lo guardai dritto negli occhi, poi continuai lentamente a parlare.
“Lo studiavo, lo vedevo per come realmente è. Una persona fragile e fortemente instabile, controllata dai suoi impulsi e dalla sua emotività malata. Placa il suo vuoto con ossessioni di potere e manie di grandezza, cerca di frenare il suo dolore interiore col laudano e altri oppiacei che gli stravolgono la mente, pensa di curare le sue paure con la violenza.”
Mi guardava sbigottito, come se stessi dicendo cose assolutamente nuove e straordinarie. Mio fratello deve essere un deficiente totale se non si è mai accorto di chi è davvero Lord Voldemort, dopo essergli stato per tanto tempo così vicino. Comunque continuai.
“Tutto questo però non evita che lui abbia un’intelligenza e una cultura straordinaria, è un visionario per tutto ciò che riguarda la magia, fa cose che nessuno ancora riesce nemmeno ad immaginare. In quanto a potenza, penso non abbia eguali al mondo, forse addirittura nella storia della magia. È una persona straordinaria, nel bene e nel male, non se ne incontrano facilmente di simili.”
Feci una pausa poi aggiunsi anche una piccola stilettata al cuore di mio fratello.
“Senza contare il suo fascino, il suo magnetismo, il suo carisma che risulta capace, come ogni buco nero dell’universo, di attrarre a sé qualsiasi stella, anche la più grande e luminosa.”
Sorrisi mentre lui taceva, il riferimento a Bellatrix, la nostra bellissima stella, si spiegava da solo.
“Sei davvero convinto che un gruppuscolo di maghi, per quanto abili e allenati, siano in grado di mettere da parte Lord Voldemort e prendere per loro il suo potere? Anche solo all’ interno dei Mangiamorte? No, Rod, io non penso proprio. Inoltre io non sono certo qui per mettermi contro Bella, per cui nemmeno contro il Signore Oscuro.”
A quel punto Rod annuì, sapeva che avevo fatto un’ analisi precisa e veritiera. Sapevo però anche che cercava una scappatoia, sempre più mi sembrava possibile che mio fratello fosse così accecato dalla gelosia e dall’odio, da vedere in questa impresa folle una soluzione al suo problema. Un modo per riprendersi Bellatrix, forse.
Tentai un altro approccio.
“Tu non sei convinto, Rod?”
Mi guardò negli occhi in maniera triste e disperata, ma non rassegnata. Sembrava tornato il bambino arrabbiato e solo di tanti anni fa.
“Sì, certo Rab, lo so anche io, so che hai ragione...”
Sembrava aver lasciato la frase a metà, sembrava voler dire “ma devo tentare, è l’unica speranza che mi è rimasta.”
Non disse comunque nulla di simile e forse era solo la mia fantasia che mi faceva pensare questo. Infondo lo so bene che, nonostante tutto, mio fratello non è certo uno stupido sprovveduto.
D’altra parte nemmeno gli altri Mangiamorte sono stupidi e sprovveduti, allora perché voler tentare l’ impossibile? Sempre che lo volessero fare per davvero…
In ogni caso non mi capacitavo proprio, anche solo dell’idea.
Decisi di tenere d’ occhio mio fratello, non volevo si buttasse in un’ impresa assurda solo per gelosia. 
Forse sarebbe stato davvero capace di una scemenza simile… per amore!
   

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Capitolo 11
*** Ti metto a posto io ***


Dal grimorio di Bellatrix : “Ti metto a posto io”


Ero stata lontana dal mio maestro per diverse ore, che per altro avevo passate quasi tutte dormendo, o nel dormiveglia, distrutta dalla fatica.
Avevo avuto crampi allo stomaco, debolezza, stati di incoscienza, brividi di freddo nonostante ci fosse caldo attorno, poi, lentamente, il mio corpo si era ripreso e avevo riposato tranquilla. 
In quel momento mi sentivo di nuovo bene e volevo tornare da lui, mi aveva chiamato tramite il Marchio e speravo proprio cercasse solo me, volesse vedermi da solo. Volevo sapere se lui stava bene e raccontargli quanto avevo appreso dai fratelli Lestrange.
Mi materializzai proprio vicino alla porta della sua stanza, così da non incontrare nessuno, possibilmente. Bussai piano e non sentendo risposta entrai lentamente e in silenzio.
Dentro la camera le finestre erano aperte ed entrava una brezza leggera e fresca, era strano vedere la luce fare capolino lì dentro, l’avevo quasi sempre vista buia e illuminata solamente dalle candele accese e dal fuoco nel camino.
Sempre in silenzio mi avvicinai al mio Signore: era seduto sul divano con un libro nelle mani appoggiato con noncuranza sulle gambe. Aveva gli occhi chiusi, forse dormiva.
Sorrisi vedendolo, sentii nascermi dentro una tenerezza soffocante, un desiderio irrefrenabile di accarezzarlo, baciarlo e fargli sentire il mio amore. 
Rimasi immobile perché non sapevo cosa fare, mai lo avrei disturbato. Solo che prima mi aveva chiamato facendomi bruciare il braccio tanta era la fretta che sembrava avere, in quel momento invece sembrava dormire tranquillo.
Lo trovai incredibilmente bello.
Aveva una camiciola di lino leggera, gli si alzava leggermente sul busto scostata dal libro che teneva in grembo, lasciava intravedere la pelle sui fianchi e un pochino sulla pancia.
Mi eccitava da morire. Mi morsi le labbra con un gesto impulsivo, forse pensavo così di trattenere tutto il mio desiderio.
“Non sto dormendo, Bella, ma mi fanno male gli occhi, mi bruciano molto. Tutto qui.”
Mi aveva di nuovo letto la mente senza che mi accorgessi. Doveva anche aver capito quanto lo desideravo, mi sentii imbarazzata, ma ormai era fatta…
“Mio Signore, non pensavo…”
Lui restava sempre con gli occhi chiusi, mise un braccio sulla fronte, forse per ripararsi ancora di più e mi parlò lentamente.
“Stai zitta, devi smettere di farti cogliere impreparata, non puoi permetterti di farti leggere la mente sempre con tanta facilità.”
Mi avvicinai a lui per vedere come stava.
“Solo a voi lo permetto, mio Signore! Posso vedervi gli occhi?”
Li aprì lentamente davanti a me, scostando il braccio, mostrando profondi occhi scuri, grandi e diffidenti. 
“Adesso va meglio. Non c’ è bisogno di preoccuparsi tanto.”
Disse così e si allontanò leggermente, non amava che nessuno si preoccupasse, o si prendesse cura di lui.
Non mi avvicinai oltre, ma continuai col discorso.
“Non hanno più le screziature rosse come prima, mio Signore, sono tornati neri. Che sia legato alla magia?”
Alzò le spalle, non ci pensava già più, restò silenzioso e si riavvicinò a me. Tanto vicino che di nuovo mi eccitai, sentivo tutto il mio corpo irrimediabilmente attratto e desideroso di lui. Probabilmente lo fece di proposito, io restai senza fiato per qualche istante.
Mi afferrò il braccio con cui mi reggevo al divano, così da farmi appoggiare completamente a lui.
“Allora, mi trovi così bello da eccitarti per un solo lembo della mia pelle?”
Sentii lo stomaco stringersi e contorcersi a quelle parole. Mi leggeva la mente, questo accadeva spessissimo, ma quella volta sentii il tono diverso, l’ironia pungente, lo sguardo provocatorio, sentivo la sua di eccitazione, aveva voglia di stare con me.
“No, mio Signore… pensavo così, giusto per notare qualcosa, non pensavo mi leggeste la mente.”
Dissi così, le cose scioccamente, più per provocarlo che per altro, infatti mi spinse a sdraiarmi sul divano e si mise sopra di me.
“Mi dici anche cosa devo, o non devo fare, ora? Adesso ti metto a posto io, ragazzina.”
Sorrisi maliziosamente a quelle parole.
Quanto mi piaceva quando mi diceva così: non avevo nessuna paura e, anzi, non aspettavo altro.
Per me lui poteva fare di me ciò che più desiderava.
Passammo molto tempo insieme… 
Quando uscii dalla stanza ero distrutta, ma felice. Mi sentivo davvero stanca, dolorante e la mia testa era vuota e beata, una sensazione contrastante e stranissima, piacevolissima, che non avevo mai provato, se non con lui.
Non avevamo parlato di nulla, non ricordavo nemmeno più se dovessimo parlare davvero.
Mi strofinai il viso con le mani, mi sistemai i capelli e camminai verso un balcone del castello per riprendere fiato e rischiarare le idee. Quando mi trovai al sole respirai la bella brezza che mi accarezzava il viso, ripensai a come oggi anche la sua stanza fosse illuminata di una luce forte e bella, di come fosse tutto diverso rispetto al solito e ugualmente bello.
Ripensai ai suoi occhi scuri e penetranti, mi feci anche delle domande, di come mai si screziassero di rosso quando usava la magia, tanto che nel periodo passato a contatto solo con la magia oscura, erano come tinti di rosso. A lui sembrava non interessare il fenomeno, se non talvolta, ma solo perché gli bruciavano gli occhi e lo costringevano a restare fermo per un po’.
Ripensai anche al Marchio Nero che bruciava, al motivo per il quale mi aveva chiamato con urgenza, che poi invece non era stato nemmeno preso in considerazione, ma da lui per primo stavolta.
Aveva avuto voglia di me e non si era interessato di altro.
Aveva voglia di me…
A questo pensiero non potevo fare a meno di sentire brividi di emozione e piacere, lo amavo da impazzire, stavo davvero bene e mi sentivo viva solo al suo fianco.
Poi mi venne in mente che io dovevo comunicargli delle cose: dovevo dirgli dei Mangiamorte che tramavano strane cospirazioni contro di lui, dovevo anche trovare le parole giuste per dirglielo, perché sarebbe stata una cosa sicuramente non gradita. Pensai se ero sicura di ciò che avevo intuito poco prima a casa, ma non trovai dubbi. Dovevo quindi trovare il tempo e il momento comunicarglielo.
Non feci in tempo a pensare altro che mi ritrovai alle spalle Alecto. 
Le fui con la bacchetta al collo in un istante, ma mi accorsi in tempo che non aveva cattive intenzioni. Avevo promesso al mio Signore di mantenere l’armonia ed ero ben decisa a farlo, abbassai quindi l’arma.
“Ehi, Bellatrix, ma come mai così nervosa? Siamo tutti amici qui al castello, non c’ è bisogno di usare la bacchetta.”
Non risposi nemmeno, mi voltai di nuovo e chiesi cosa volesse da me. 
Finsi di niente, ma in realtà ero attenta: volevo capire per bene cosa volesse e anche oltre, magari carpire qualche informazione ulteriore.
Io sapevo ormai bene che non eravamo affatto tutti amici, men che meno nell’ultimo periodo, durante l’assenza del mio Signore e la mia, in cui si sono create alleanze diverse con scopi occulti.
“Sei stata parecchio a conferire con l’ Oscuro Signore, anche se siete tornati da poco continua ad avere cose di cui parlarti.”
Non capivo dove volesse arrivare. Con quelle parole mi faceva solo piacere, ma era più che ovvio che non era quello il suo scopo finale.
“Hai problemi in proposito?”
“No, assolutamente no, abbiamo tutti notato che sei sempre più vicina all’ Oscuro Signore, ma se lui vuole così, noi altri non possiamo che accettare la situazione.”
Rimasi zitta ad osservarla, non potevamo essere più diverse noi due, le uniche figure femminili tra tutti i Mangiamorte. Sia fisicamente che caratterialmente eravamo davvero quasi agli antipodi; Alecto aveva sviluppato inoltre una vera e propria invidia nei miei confronti, già dai tempi in cui aveva intrecciato quella patetica relazione con Rab. 
Lui la usava per avere una ragazza, per fare esperienze e non sentirsi tagliato fuori, ma in realtà amava me.
In seguito poi, per non ricordo quale ragione, lui decise di chiudere la relazione e lei, ancora più incattivita, diede la colpa del fallimento del suo rapporto alla sottoscritta. 
Naturalmente anche io l’ ho invidiata molto per qualche tempo: quando lei era già una Mangiamorte con tutti i crismi ed io, al contrario, soltanto un’allieva alle prime armi. 
Quando lei era stimata e considerata, mentre io venivo ignorata perché ancora poco conosciuta e inesperta.
Ormai però la cosa era passata, almeno per quanto mi riguardava, mentre lei continuava a perseverare nell’invidia.
Le rodeva che io fossi più bella e brava, le rodeva che il Signore Oscuro preferisse palesemente me a lei e la infastidivano le attenzioni che mi dedicava, invidiava il cognome che portavo e il mio talento per le arti oscure, insomma, mi sembrava palese che tutto sommato mi odiasse. 
Aspettava da sempre qualcuno o qualcosa mi distruggesse, qualcosa che mi portasse in qualche modo alla rovina, per poi accanirsi contro di me.
E intanto cercava di provocarmi in ogni modo.
“Allora? Come è stato l’ennesimo incontro col tuo maestro? Guarda lì come sei sciupata, dunque è vero che il Signore Oscuro è un turbine di sesso e violenza?”
Disse proprio così e poi rise fintamente, io cercai di restare calma e capire dove volesse andare a parare. Che fra i Mangiamorte si parlasse degli affari più o meno privati degli altri Mangiamorte ero certa, ma il motivo per cui lei in quel momento dicesse queste cose non mi era del tutto chiaro.
“Non rispondi, Bellatrix? Guarda che lo sappiamo, lo sappiamo tutti che sei diventata la puttana dell’ Oscuro Signore, adesso è il tuo turno e tutti parlano di te. “Se l’ è scelta giovane questa volta” questo dicono i suoi Mangiamorte più vicini.”
Questa cosa mi fece male, non per le chiacchiere e le invidie degli altri, ma perché toccava un argomento davvero delicato per me. 
Forse Alecto se ne rese conto e colpì ancora più duramente.
“Non avrai mica pensato di essere l’unica? La sua donna vera? Lo so Bellatrix, tu sei giovane, forse certe cose non le sai. Lui le donne le prende e le molla, cadono tutte ai suoi piedi perché ha fascino, ma lui le usa per i suoi scopi e null’altro. E poi li avrai visti, no, i primi Mangiamorte, quelli che davvero fanno parte dei suoi compagni più vicini… cosa credi che facciano tutti insieme durante le uscite notturne?”
Lasciò un momento di silenzio, poi continuò.
“Forse il Signore Oscuro si è momentaneamente stancato delle streghe di malaffare, ora punta più in alto e ci sei tu a portata di meno. Adesso la primogenita purosangue della famiglia Black è diventata la puttana dell’ Oscuro Signore, è un grande onore comunque, a pensarci.”
Riflettori su quelle parole: erano le solite storie di Alecto, dettate dall’invidia e dalla rabbia, normalmente non mi avrebbero fatto né caldo né freddo. Il pensiero però del mio Signore con altre, quello mi ferì davvero, accusai il colpo e non mi fu facile riprendermi.
Non glielo feci capire naturalmente, risposi velocemente senza lasciarle ulteriore spazio.
“Piantala, sei patetica, la tua vita è patetica e vieni a scocciare me per sentirti meglio! Non ho alcun interesse a parlare con te, lasciamo stare.”
Me ne andai senza che lei replicasse, riuscii a zittirla facilmente, ma dentro di me iniziai a sentirmi davvero male, non volevo certo cedere alle sue intenzioni di minare completamente la mia sicurezza e felicità, ma non era facile.
Io amavo davvero Lord Voldemort, il pensiero delle sue donne mi distruggeva dentro, mi annientava. Avrei voluto vedere il mio Signore, parlargli, ma sapevo perfettamente che sarebbe stato tutto inutile, non era certo tipo da tranquillizzarmi, o a perdersi dietro simili giochetti mentali e pettegolezzi. Non c’ era nemmeno da pensare di intavolare un argomento per lui tanto inutile.
Non volevo essere nemmeno io quel tipo di persona che si perdeva dietro queste cose, ma l’amore mi rendeva vulnerabile. Ecco perché non avrebbe dovuto esistere l’amore secondo il mio Signore, perché faceva soffrire davvero tanto.
Eppure esisteva, lo sentivo talmente forte in quel momento che sembrava soffocarmi.
Mi veniva quasi da piangere, prima di fare una tale figura proprio lì nel covo dei Mangiamorte, mi apprestai a smaterializzarmi in fretta.
Tornai a casa sperando di rimanere sola, ma mi sbagliavo.

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Capitolo 12
*** Amo il suo veleno ***


Dal grimorio di Bellatrix : “Amo il suo veleno”


Arrivai a casa stanca, non avevo voglia di vedere nessuno, appena giunta in anticamera abbassai il cappuccio di lana guardandomi attorno: era buio e silenzioso. 
Presi alcuni secondi di tempo per godermi la splendida sensazione di perdermi nell’ oscurità, cominciai a sentire il tepore della casa, tolsi lentamente il mantello, anch’esso di lana, e feci qualche passo fuori dall’anticamera.
La sensazione di pace terminò subito, la luce dei lampadari fece presto capolino tra i corridoi.
“Dove sei stata finora?”
Mi giunse una voce fredda e tagliente, non ebbi la minima voglia di rispondere, ma quella incalzò.
“Non sei mai in casa, non so nemmeno più se abiti qui con me, o altrove!”
Era Rod e sicuramente era sul piede di guerra, probabilmente voleva affrontare la situazione che si era creata tra noi proprio in quel momento, ma io, al contrario, non avevo nessuna voglia di farlo.
Sentivo che non mi interessava più nulla.
Dovetti comunque rispondere. Usai un tono brusco e nervoso, il che non favorì la conversazione.
“Ma cosa vuoi da me? Ho avuto da fare, non mi devi certo controllare!”
Feci per salire le scale subito e andare al piano di sopra, così da non doverlo nemmeno vedere, ma lui uscì veloce dalla stanza e, parandomisi davanti, mi afferrò il braccio. 
Con una violenza che mi indispettì ancora di più, mi tenne ferma vicino a lui.
“Sei stata ancora con lui? Non ti basta che non ti sei fatta vedere per settimane, anzi per mesi? Dovevi ancora stare con lui?”
Scossi la testa, non avrei voluto sopportare una scenata di gelosia in quel momento. 
Mi irritava e sapevo anche il perché non la sopportavo: perché ero invidiosa. Invidiavo Rod che a me poteva fare scenate di gelosia, mentre io dovevo tacere, non potevo dire nulla al mio Signore della mia gelosia, dovevo tacere, soffrire e non potevo nemmeno sfogarmi un pochino come stava facendo Rod con me.
Mi sentivo frustrata e innervosita, me la presi con Rod.
“Sei impazzito? Se il Signore Oscuro mi chiama, io non faccio storie, sono subito pronta per lui! Come te del resto! Anche tu fai la stessa cosa: se ti cerca sei subito disponibile. Dunque cosa vuoi da me?”
Speravo la smettesse, invece nulla. Mi diede uno spintone forte che non mi aspettavo, mi appoggiai alla ringhiera della scala e lo guardai allibita.
Mi lasciò spiazzata tutta quella violenza contro di me, non feci in tempo a rispondere al gesto che lui riprese a parlare, anzi, urlare.
“Ma io, con lui, non ci vado a letto! Certo che sono disponibile per lui, sempre, ma tu sei disponibile per ben altri servigi che nulla hanno a che fare con il tuo ruolo di Mangiamorte, tu ci vai a letto, continuamente e ripetutamente. Mentre invece dovresti stare con me, sei solo una…”
Si bloccò prima di pronunciare quella parola, tante volte me la ero sentita dire senza motivo a scuola, lui lo sapeva e forse aveva capito di stare esagerando. 
Per altro le cose non stavano nemmeno completamente come pensava lui, perché io, col Signore Oscuro, per davvero davvero, non ci ero nemmeno stata a letto. Magari avesse voluto.
Non so se mi arrabbiai con Rod per la sua sfuriata, per la mia frustrazione, o per il desiderio di andare davvero a letto col Signore Oscuro che ancora non si era avverato, ma la mia rabbia, in quel momento, era cresciuta a livelli esponenziali, per cui lo scontro era inevitabile.
“Cosa volevi dire? Che sono una puttana? Dillo pure! Non mi provochi alcun fastidio. Cosa vuoi da me? Che ti sia fedele? Che torniamo ad essere i due ragazzini innamorati di un tempo? Vuoi questo?”
Il mio tono era salito, Rod invece taceva, stavolta era lui interdetto, forse sperava di non sentirsi dire certe cose, io invece continuai come se nulla fosse, sapendo e volendo far male.
“Non lo avrai! Non sono più una ragazzina e tu nemmeno, il tempo dei nostri giochi è finito. È finito da quando è arrivato lui, è vero, perché nella mia testa c’ è sempre lui, solo lui! Nel mio cuore esiste solo lui e non riesco a farne a meno! Vorrei anche io che fosse tutto molto più semplice. La verità invece è che non ti amo, amo lui, ho sempre amato lui e noi ci siamo illusi di stare insieme, di sposarci, di condurre una vita normale, ma no, invece è impossibile.”
Mi ero sfogata più con me stessa che con Rod, avevo parlato ad alta voce e, di conseguenza, anche Rab era giunto a pochi metri da noi, con occhi sgranati assisteva alla scena senza intervenire.
Io e Rod eravamo abituati a farci del male e ferirci reciprocamente in ogni nostro litigio, era sempre stato così, aspettavo dunque la sua reazione, che infatti non tardò ad arrivare.
Si scagliò su di me con foga e rabbia e cademmo entrambi sul pavimento, gli gridai di lasciarmi scalciandolo ovunque, non usavamo la magia per sfogare la rabbia perché sapevamo sarebbe stato ancora più rovinoso per entrambi.
“Non è vero quanto dici, tu non ami lui, tu ami me! Siamo stati sempre insieme, sempre, siamo una cosa sola io e te, siamo uguali, tu lo sai, lo sai bene quanto me, non ami lui, ci vai solo a letto perché sei una stronza, mi vuoi solo fare del male.”
Mi prese i polsi e mi sbatté a terra violentemente: era troppo più forte di me. Dovetti dargli un calcio forte per distrarlo e a quel punto sfoderare la bacchetta. 
Si spaventò subito della mia magia e si mise in guardia, io non volevo usarla davvero tutta quella magia oscura che sentivo scorrere nel sangue, lo avrei anche potuto uccidere.
Fu forse per questo che con una fortunosa sberla al mio polso e alla mano mi fece volare via la bacchetta dalla mano.
Mi fece davvero arrabbiare, credeva di avermi disarmata e abbassò la guardia, mi fece ridere la sua ingenuità. Tolsi il pugnale che avevo iniziato a portare sempre con me dal fodero e con una mossa volutamente casuale lo brandii di fronte a me.
Gli tagliai la pelle lungo parte del braccio e una mano, andando a finire sul viso, lì mi fermai.
Il suo bel viso, i suoi occhi grandi e tristi, tremendamente dolci quando mi guardavano… non riuscii ad andare oltre e mi bloccai senza dire nulla.
In un momento come quello, fossimo stati ancora innamorati come un tempo, come quando litigavamo da ragazzini, ci saremmo semplicemente lasciati andare uno tra le braccia dell’altro piangendo e giurandoci eterno amore. Perdonandoci tutto all’istante.
Ma non eravamo più ragazzini, sarebbe stato troppo semplice e la mia vita, ormai lo sentivo da tempo, non era più così semplice, di conseguenza nemmeno quella di Rod.
Il veleno, quel veleno che io tanto amavo e lui imparava a sentirne forte il dolore, quel veleno entrava dentro di noi e fra di noi e ci allontanava.
Rod non mi fece più male, si alzò senza dire una parola e si chiuse in una camera al piano di sotto. Io lo osservai cupa, senza muovermi, quando lo vidi sparire dentro la stanza mi alzai, raccolsi la bacchetta e mi diressi in un’altra camera al piano di sopra.
Non sapevo più cosa fare e non avevo voglia di pensare a nulla.
Mi buttai sul letto e dopo poco iniziai a piangere. Non piangevo per il litigio, non per le cose che avevo detto a Rod, non perché non sapevo come sistemare di nuovo il mio rapporto con lui, nemmeno per la scenata fatta davanti a Rab, ma perché non potevo parlare col mio Signore. Piangevo perché Alecto mi aveva detto tutte quelle cose sulle sue presunte donne, sulla poca importanza che lui dava a me. Non potevo sopportare queste cose, mi facevano male e stavo male, volevo solo che tutto questo, per magia, cambiasse e il mio Signore mi amasse davvero.
Volevo che mi amasse e non stesse con nessun’altra.
Passai ancora molto tempo al buio con questi pensieri, poi sentii bussare alla porta, ma non risposi. Non avevo voglia di parlare con nessuno.
Dopo poco sentì bussare di nuovo, Rab chiedeva di entrare e, dopo qualche secondo di ostinato silenzio, entrò di sua iniziativa. 
Non mi mossi, ma lo stetti a sentire senza storie.
“Non voglio disturbarti, solo sentire come stavi, dirti che ho parlato con Rod.”
Accese la lampada accanto al letto: la stanza di schiarì di una luce calda e avvolgente. Fui contenta che fosse lì con me, nonostante la mia apatia essere coccolata mi faceva sentire meglio.
“Non lasciarlo da solo, gli ho fatto davvero molto male.”
Rab sorrise.
“Fisicamente, o moralmente?”
Mi alzai a sedere sul letto, asciugando le lacrime.
“Entrambi…”
Anche Rab si sedette accanto a me.
“Sanguinava infatti, sempre in entrambi i sensi, ma gli ho parlato, vedrai che si riprende presto. Sono certo che voi due in un modo, o nell’altro, troverete la maniera di tornare uniti.”
Non risposi, infondo lo speravo anche io, ma sapevo che uniti come un tempo non saremmo stati più. Tra noi si era già rotto qualcosa senza che ce ne rendessimo davvero conto.
Era il veleno.
Il litigio di quel giorno aveva sancito un distacco già avvenuto. Se anche non avevo confidato l’infedeltà vera e propria, avevo comunque ammesso il mio amore per un altro, non era cosa da poco.
Rab ruppe il silenzio tra noi.
“Rod ha sempre saputo, infondo, che amavi Lord Voldemort, come me del resto, solamente che non l’aveva mai ammesso per davvero a se stesso, deve farci i conti ora.”
Risposi in maniera quasi automatica.
“L’amore non esiste.”
Rab si mise a ridere.
“Magari avesse ragione il tuo Signore, adesso non saremmo tutti qui a soffrire per amore!”
Sorridemmo insieme. Poi si alzò in piedi e fece per andarsene. Istintivamente, con una calma che mi sorprese, gli posi una domanda a bruciapelo.
“Tu sei davvero così tanto innamorato di me?”
Lui si voltò verso di me, era diventato più sicuro e indipendente, questi lati del suo carattere gli avevano conferito uno sguardo forte e duro.
“Sì certo, ma anche questo lo hai sempre saputo… hai giocato con me come un gatto col topo per tutti gli anni in cui sei stata con Rod… adesso hai provato a giocare anche con lui, ma non ci sei riuscita molto a lungo… ti sei sempre permessa di tutto con noi, perché infondo amavi un altro, il Signore Oscuro, e non ti importava di nulla e di nessuno, eravamo noi quelli ai tuoi piedi. Nonostante questo io ti amo e sai cosa mi spiace di più?”
Scossi la testa, volevo sentire cosa voleva dirmi ancora, mi ero presa i suoi rimproveri perché erano la verità. Era vero che non mi importava di far soffrire la gente, probabilmente ci godevo anche. 
“Mi spiace di più che ora sei tu a soffrire… perché lui, il tuo adorato Signore, ti fa del male.”
Cercai di replicare, ma mi fermò.
“Non voglio dire che lo faccia di proposito, magari sì lo fa anche di proposito, ma solo in parte. Il fatto è che lui è veleno, si odia e quindi non può che farti del male e questo non lo fa di proposito, è così e non si sa perché.”
Sapevo che aveva ragione, sapevo anche, forse, il perché succedeva così, ma non potevo cambiare le cose: il mio Signore era fatto in quel modo. 
Fu con quel pensiero e quella consapevolezza che trovai la forza di superare le cattiverie di Alecto.
Alzai lo sguardo verso Rab, un po’ più forte e un po’ più rassegnata.
“Lo so Rabastan, e io amo anche il suo veleno.”

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Capitolo 13
*** Era guerra ***


Dal grimorio di Bellatrix : “Era guerra”


Ero sola nel letto, senza niente addosso, c’ era silenzio tutto attorno, mi avvinghiavo con le gambe nude alle lenzuola sgualcite. Scostavo l’asciugamano di spugna morbida, restavo scoperta e mi piaceva sentire quella sensazione di esposto, di strano e precario. 
Di non protetto.
Mi ero fatta un lungo bagno caldo poco prima, troppo caldo, appena uscita avevo dovuto sdraiarmi, ancora bagnata, per non svenire dalla debolezza.
La magia oscura mi lasciava mille strascichi nel corpo, che si palesavano continuamente nei momenti più svariati.
Dovevo essermi addormentata per qualche minuto, oppure avevo perso i sensi per alcuni istanti. Comunque mi ripresi quasi subito, ma rimasi lì ferma, nel silenzio, a pensare.
Finalmente avevo un momento di calma e pace. Un ritaglio di tempo solo per me che volevo impiegare in mille modi, ma non riuscii a fare altro se non pensare, lasciare fluire nella mia mente riflessioni e immagini.
Non volevo ammetterlo, ma quella discussione con Rodolphus mi aveva turbata. Mi aveva come costretta a pensare a me e a cosa stesse succedendo realmente, mi tornavano in mente le sue parole, soprattutto le mie impressioni su tutta la situazione che stavo vivendo.
I mesi passati col mio maestro, fatti di giorni frenetici, pazzi, selvaggi, giorni passati senza tempo e spazio, tra la realtà e la fantasia che straordinariamente diventava realtà. 
Poi subito passava, per dare spazio ad altro ancora, sempre più strano, frenetico, esaltante. Sempre più in alto, fino a sentire il cielo sulla pelle, fino a bruciarsi in mezzo al fuoco, senza capire più nemmeno chi eri e chi sei. 
Soprattutto non importandoti ciò che diventerai.
Poi quei tempi erano passati e passando mi avevano lasciata cambiata, almeno così dicevano gli altri, ma forse era vero, ora lo notavo anche io.
Chi ero e com’ero prima? E chi ero diventata? 
Mi piaceva più come ero prima, o come ero in quel momento?
Non capivo, cercavo di non pensare, ma nei momenti di calma la riflessione tornava prepotente a farsi sentire, il bisogno di chiarire era palese, anche se io lo scacciavo in continuazione.
Dove era finita la Bellatrix di prima? Vivace e folle, quella ragazza cattiva e sconsiderata, ma sempre bella e potente che tutti, volenti o nolenti, ammiravano, invidiavano e odiavano?
In quel momento non capivo più come ero diventata. Mi sentivo forte, ma dove era finita tutta la mia follia? Mi sentivo pronta a tutto, ma dove era finita tutta la mia irrequietezza e il mio fascino?
Ero innamorata, ma perché non sentivo più traccia della mia spavalderia? Prima giocavo con uomini e ragazzi e ora? 
Ora era lui che giocava con me.
Non mi importava di niente prima, mentre adesso mi importa di tutto, tutto ciò che mi fa nascere dentro lui, il mio Signore.
Tutto mi può fare molto bene o molto male.
Così rischiavo in ogni modo di essere ferita, di soffrire e di provare dolore, e non sapevo se avevo paura davvero, oppure no.
Era tutto più semplice prima, mentre adesso la rottura con Rod aveva quasi simboleggiato la rottura col passato, ormai potevo solo andare avanti e vedere cosa accadeva.
Il rapporto stretto con Lord Voldemort aveva provocato una serie di chiacchiere e invidie. Un tempo mi avrebbe fatto piacere e ne avrei riso sfrontatamente, in quel momento mi limitavo ad osservare e catalogare amici e nemici. 
Ero strana… forse stavo crescendo?
Quando mi guardavo allo specchio, persino il mio aspetto mi importava di meno, mi limitavo ad osservare i cambiamenti, piccoli impercettibili cambiamenti che sapevano di mistero e oscurità.
Quando sentivo i miei capelli che volavano nel vento ne assaporavo il profumo: non mi importava più che fossero lunghi e belli, mi importava invece di sentire le mani del mio Signore che affondavano fra le ciocche folte e avvolgenti, lisce e morbide. 
Le sue dita sottili e pallide che afferravano i miei capelli neri, e li stringevano tanto forte da farmi male, per muovere il mio viso, la mia bocca e tutta me stessa dove e come più gli piaceva.
Per me lui era stato sempre il sogno d’amore della vita, l’unica ragione per viverla. Da quando era diventato realtà, quel sogno, non mi importava più di niente, vivevo d’istinti e di lui, solo ed esclusivamente di lui.
Chiusi gli occhi e mi avvolsi meglio tra le lenzuola, era piena notte e ormai iniziava a sentirsi il freddo. 
Ero felice di essere sola, non mi domandavo dove fosse finito Rod a quell’ora tarda.
Mi addormentai di nuovo, non saprei dire per quanto tempo, finché non sentii rumori nella stanza e capii che lui era tornato.
Non sapevo cosa dire, feci finta di dormire e rimasi così a lungo. Alla fine si sedette sul materasso vicino a me, allora smisi di fingere e mi decisi ad aprire gli occhi. Lui mi guardava cupo e silenzioso.
Mi voltai lentamente e fui io la prima a rivolgergli la parola.
“Dove sei andato?” 
Non so esattamente perché feci quella domanda, credevo mi importasse meno di lui, ma infondo sapevo che non era vero. Ero comunque calma, non usai nessun tono particolare, anche lui mi rispose con calma.
“Abbiamo fatto un giro, ci siamo divertiti un po’.”
La risposta era, a mio parere, volutamente vaga. Non mi disse con chi fosse stato, né tanto meno cosa avesse fatto davvero. Sapeva di provocarmi e probabilmente era proprio quello che voleva fare.
“Ma tu sei sempre la più bella…”
Disse queste parole mentre mi osservava, quasi nuda, accarezzandomi con lo sguardo, ma senza osare avvicinare le mani.
Sapeva come comportarsi: aveva l’eleganza che gli nasceva dentro. 
Aveva gli occhi tristi, ma con una strana luce.
Quella frase invece di farmi piacere mi inquietò: non capivo bene il suo significato nascosto e non capivo a chi mi stesse paragonando.
Mi sedetti lentamente, stringendomi l’asciugamano addosso, ma allo stesso tempo mi avvicinai a lui. Inconsciamente cercavo un contatto, che in quel momento poteva essere solo sessuale. 
Mi sorrise con gioia e crudeltà, aveva lo sguardo di un lupo che ha in trappola la sua preda. Sapeva come catturarmi, le nostre anime erano così tremendamente simili e incatenate l’una all’altra, che era difficile sfuggire l’uno all’altra.
Ogni litigio, in quel momento, sembrò cancellato. Mi avvicinai a lui e mi baciò lentamente, ma con grande passione.
Sentii il sapore vago dell’alcol, quello tipico dell’ whisky Incendiario, era buono, appena accennato. Le sue labbra erano calde, e a loro modo dolci.
Facemmo l’amore quasi subito, senza parlare di nulla, lentamente, senza troppa frenesia. Ci prendemmo tempo, amandoci lungamente e languidamente.
Era da tanto tempo che non lo facevamo, eppure Rod non aveva accennato nemmeno per un momento ad affrettare le cose e arrivare più velocemente al punto.
Era strano, ma mi sentivo troppo serena e rilassata per pensarci. Era già difficile per me pensare di amare il Signore Oscuro, e allo stesso tempo avere anche un marito con cui mi venisse naturale fare l’amore. 
Proprio mentre riflettevo vagamente su questo, un’immagine improvvisa mi attraversò la mente: il Signore Oscuro.
Nell’attimo in cui l’ebbi, l’immagine di lui, improvvisamente capii tutto. Mi mancò il respiro e mi si strinse il cuore in una stretta, lo stomaco si chiuse in una morsa dolorosa.
Ero sdraiata a fianco a Rod e sentivo il sangue gelarsi nelle vene, mi rivolsi a lui con la voce che mi tremava.
“Dove hai detto che sei stato stasera, Rod? Con chi?”
Lui mi sorrise trionfante: aveva capito che avevo capito.
“Non l’ ho detto.”
Sentivo il mondo crollarmi addosso, le mani gelate e il cuore che batteva forte. Riuscivo solo a tacere e pretendere con lo sguardo una risposta.
Rod mi tenne ancora un pochino sulle spine, ma poi fu felice di offrirmi la sua risposta.
“Sono stato con Lord Voldemort… con alcuni altri compagni Mangiamorte… ci siamo divertiti con qualche strega a Nocturne Alley. Comunque tranquilla, mia Bella, te l’ho detto anche prima: tu sei sempre la più bella.”
Mi sentii mancare, la bocca completamente secca e ogni parola mi moriva in gola, persino i pensieri erano soffocati dalla disperazione.
Mi aveva persino chiamato “Mia Bella” come faceva il mio maestro in intimità.
Lo sapeva, ne ero sicura.
Avevano parlato alle mie spalle, in che termini non lo potevo immaginare.
O forse non volevo immaginarlo.
Rod non mi aveva affatto perdonata, si era vendicato di me e mi aveva fatto del male nel peggiore dei modi possibili.
Inoltre sapeva che parlandomi del Signore Oscuro, in quel particolare frangente, avrebbe triplicato le mie sofferenze.
Alecto mi aveva avvertita, in modo brutale e pieno di invidia, ma mi aveva comunque messa in guardia, cosa che io dall’alto della mia spavalderia, o ingenuità di innamorata, non avevo nemmeno compreso.
Quello però che più di tutto mi aveva uccisa nell’anima, quella notte, era stato sapere che anche l’ Oscuro Signore era là con altre. Chissà perché, a fare cose che avrebbe potuto benissimo fare con me. Invece ha preferito streghe qualsiasi.
Rod si voleva vendicare, era palese, ma lui, il mio Signore, perché doveva preferire quelle a me? Cos’ avevano che io non avevo? Non contava nemmeno più he io fossi di sangue purissimo? Il sangue dei Black.
Mi torturavo con quei pensieri.
Eppure lo sapevo che succedeva così, ma avrei voluto non sentirlo.
Anche solo il pensiero non lo potevo reggere.
Rod lo sapeva benissimo e me lo aveva sbattuto il faccia con tutta la sua sete di vendetta, cattiveria e brutalità.
Alzai gli occhi verso di lui e vidi che mi osservava in silenzio.
Aveva lo sguardo cattivo, pieno di tristezza e trionfo.
Strinsi i denti per non piangere, sentii il sapore del sangue nella bocca tanto stringevo forte, affondai le unghie nei palmi delle mani, afferrando le lenzuola spiegazzate per strapparle.
Continuai a guardare mio marito con rabbia, lui tenne alto lo sguardo trionfante.
Allora seppi che era guerra.
Dura inesorabile guerra fra noi.
Il resto, solo disperazione.

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Capitolo 14
*** Finalmente la baciai ***


Dal grimorio di Rodolphus : “Illusioni”


Bella accusò il colpo. Eccome se lo accusò.
E questo volse decisamente a mio favore, che era poi ciò che volevo ottenere e, almeno per i primi tempi, le cose andarono bene.
Dopo quella notte, mi accorsi che rapidamente mutarono in lei alcuni atteggiamenti, tornò ad essere quella di prima, o quasi. Tornò a divertirsi con me e stare assieme a me ed essere felice di noi e delle nostre avventure. Restava più lontana dal Signore Oscuro, era sempre più spesso in mia compagnia e con il gruppo di noi giovani Mangiamorte. 
Per quanto mi riguarda, non dovetti nemmeno più interessarmi della storia della cospirazione di alcuni dei più anziani, mi allontanai per parecchio tempo da loro e dalle loro macchinazioni, nelle quali, mi resi conto, mi ero fin troppo invischiato fino a quel momento. D’altra parte i compagni cospiratori seguitavano a tentennare sul da farsi, mai sicuri di niente.
Fondamentalmente avevano paura di lui, del Signore Oscuro. Io invece mi illusi di averlo surclassato, almeno nel cuore di Bella.
Insomma, mi staccai da loro, Bella tornò da me allontanandosi dal suo maestro.
Almeno, ripeto, così mi sembrò.
Credevo fosse davvero reale: le urla e le grida sulle scogliere al chiaro di luna erano tornate, fare l’amore davanti al fuoco accarezzati dal vento era di nuovo possibile, le danze frenetiche nel cerchio magico, tutto sembrava tornato come un tempo. Salire nei punti più alti e solitari della città, fumare ogni erba possibile, guardare il mondo dall’alto e sentirci onnipotenti. Morire dalle risate, bere fino a vomitare.
Le guerriglie con gli Auror e l’adrenalina che ti bombarda fin nel cervello.
Sentirsi di nuovo uniti… lo sentivo così reale.
Rimanevano dei momenti in cui la perdevo di nuovo, questo era vero. Per esempio ogni volta che era con lui… l’ Oscuro Signore, allora tornava ad essere la strega oscura che stava diventando, tornava ad essere quella donna forte, misteriosa, fragile e sicura allo stesso tempo. Lontana anni luce da me e da come era insieme a me.
Comunque ero felice perché mi ero vendicato di lei, di tutto il male che mi aveva fatto, l’avevo odiata per questo, e la odiavo ancora in mezzo a tutto l’amore che sentivo.
Ero consapevole di non essere affatto riuscito a placare quel suo carattere indipendente e volitivo, solo dedito al suo maestro, sapevo che in lei ardeva ancora qualcosa, ma ero riuscito a farle capire che il suo amore per Lord Voldemort non era ricambiato e lei era tornata da me. 
Potevo ritenermi soddisfatto.
Ad ogni modo, lo sapevamo tutti che lui non ama, non crede nell’amore e non l’amerà mai, eppure a tutti noi erano venuti dubbi su ciò, chissà poi per quale segnale. 
Poi, inesorabilmente, ci aveva pensato Lord Voldemort stesso a smentire quei dubbi, le paure, le speranze, e lo aveva fatto semplicemente tendendo il suo solito comportamento.
Mi sentivo forte, avevo avuto ragione.
Poi improvvisamente tutto mi si volse contro. In ogni modo possibile.
Capii solo allora che avevo sbagliato tutto, che mi ero illuso che a lei potesse bastare il mio amore, pensavo fosse di nuovo felice e invece soffriva, era inquieta e io non le bastavo più. 
Avevo ottenuto di farla star male, questo sì, ma non l’ avevo riportata realmente da me.
Anzi, forse l’avevo solo allontanata definitivamente.
Il momento della verità arrivò, per me, quando ci invitarono al fidanzamento ufficiale di Lucius Malfoy con Cissy, la sorella di Bella.  
Era una bella notizia per la famiglia Black, veniva proprio in un periodo in cui i rampolli creavano non poche turbolenze all’assetto famigliare, per cui un evento così positivo era stato particolarmente gradito. Venivano riportati un po’ di pace e orgoglio nella famiglia ai vertici di tutti noi Purosangue. 
Noi stessi eravamo contenti di andare: entrambi conoscevamo abbastanza bene Lucius, lui era legato in modo abbastanza stretto ai Mangiamorte e, anche se non era ufficialmente uno di noi, probabilmente lo sarebbe diventato in futuro. 
Inoltre sembrava perfetto per la piccola di casa Black.
I due si assomigliavano molto, non tanto nel carattere, ma nel modo di fare, nei gusti e negli atteggiamenti. Si notava facilmente che si compensavano a vicenda, si erano innamorati già a scuola, nonostante Narcissa fosse abbastanza più giovane di Lucius.
Bella era affezionata a sua sorella, la amava molto. Guardava sempre con sospetto Lucius, lo metteva spesso alla prova, sembrava davvero molto protettiva nei confronti di Cissy. 
Io sapevo che mia moglie non era entusiasta del futuro marito della sorella, ma vedeva quanto loro si amavano e quindi lo sopportava. 
Quel giorno si era mostrata contenta di andare alla cerimonia fin dal primo momento, inoltre non ci capitava un’occasione mondana da molto, molto tempo.
Segretamente ero molto desideroso di rivedere la Bellatrix purosangue elegante e splendida, lasciando da parte, seppure per poco, la potente e inquietante strega oscura che tanto mi aveva fatto soffrire.
Infatti, quando la vidi in camera da letto, appena cambiata, pronta per avviarci al palazzo dei suoi genitori, la trovai bellissima: i capelli sciolti le ricadevano sulle spalle nude, il vestito nero col pizzo le cingeva la splendida scollatura e una collana a forma di serpente mi faceva venire voglia di baciarle il collo e la pelle e il seno… e in seguito tutto il resto. 
Gli occhi scuri, caldi e misteriosi, mi attiravano, mi perdevo in essi e mi incantai poi sulle sue labbra morbide e attraenti.
Mai avrei immaginato che, ad avere tutto questo, sarebbe poi stata tutt’altra persona.
 

Dal grimorio di Rabastan : “Finalmente la baciai”

In quel periodo Bella era diversa, era cambiata e sembrava tornata la ragazza capricciosa e tormentosa di tanto tempo fa.
Si buttava a capofitto in qualsiasi cosa le venisse richiesto, senza pensare, o parlare: missioni di tutti i generi, ammazzamenti, combattimenti e tattiche. Se la cavava sempre nonostante i pericoli a cui andava incontro. Sembrava che tutto le passasse attraverso senza lasciarle nulla, come se non le importasse niente. Vedeva molto meno il suo maestro e stava spesso con noi, beveva tanto e rideva ancora di più, non mostrava un minimo cedimento in nulla, arrogante e allegra come non mai. 
Io la osservavo perplesso: a me tutta quella felicità non mi ingannava.
Sembrava tornata la solita, con il suo Rod, la coppia migliore che si fosse mai vista in giro, ma io lo capivo che in realtà non le importava nemmeno di quello. Inoltre, contrariamente a quanto fatto sempre in passato, mi coinvolgeva nelle sue spavalderie e nelle sue follie, non voleva più riservarsi solo a Rod, aveva coinvolto anche me, o chi ritenesse sufficientemente bravo e temerario.
Certo, un tempo questo comportamento mi avrebbe sicuramente preoccupato, forse avrei deciso di starle vicino cercando di frenarla e di aiutarla.
In quel periodo invece non lo feci, decisi di approfittare di questo momento di sbandamento e follia per partecipare anche io a ciò che non avevo mai fatto in passato, ma che infondo avevo sempre invidiato a mio fratello: seguirla nelle sue follie, stimolarla e stare con lei. Divertirmi.
Tanto, con ogni probabilità, l’amore, quello vero, sarebbe tornato forte e prepotente e l’avrebbe riportata lontana. 
Non capivo cosa fosse successo, cosa l’avesse fatta diventare così, cosa la spingesse a tanto, ma ero comunque quasi certo che un amore come il suo non sarebbe finito.
Quante sbronze ci siamo presi insieme, quanti riti sfrenati al chiaro di luna, quanti bagni di notte nell’acqua gelata, urlando come pazzi, tentando di vincere anche il freddo.
E le missioni che non finivano mai: ho imparato a uccidere da lei, a torturare senza pietà guardandole la rabbia negli occhi, era un mostro di rabbia e cattiveria. 
Ho imparato la crudeltà vedendo lei. 
Ma non era solo quello, era anche una strega bravissima. Mi piaceva quando evocava il fuoco e bruciava tutto, mi piaceva guardare il riverbero delle fiamme che si proiettavano su di lei, nei suoi occhi impavidi e senza pietà, il bruciare forte delle fiamme, il calore che emanava.
Infinito. Bestiale.
Ancora ritornava sempre a casa con mio fratello, questo faceva male, ma mi rassegnavo. 
Poi arrivò il giorno del fidanzamento di Narcissa, la più piccola sorella di Bella. Erano completamente diverse loro due, fuoco e ghiaccio, ma nonostante ciò si volevano un gran bene.
Fummo invitati tutti, parenti e Purosangue del mondo magico: una di quelle occasioni mondane che ci stavano un po’ strette, ma alle quali si doveva comunque partecipare.
Il gran giorno prestabilito mi recai prima a casa di Rod e Bella, come ero abituato, per poi avviarci insieme verso il palazzo dei Black. Quando arrivai mi attendeva già mio fratello, lo trovai molto bello: magro, alto, ben vestito, con quel fare da francese che aveva preso da nostro padre. Un po’ bello e un po’ dannato.
Poi vidi Bella… era dannata e dannatamente affascinante, ma lei la trovavo sempre così, non c’era un momento in cui non lo notassi.
“Ci beviamo qualcosa prima di andare? Altrimenti non ci divertiamo.”
Rod e io ci guardammo valutando l’opzione di Bella: quando proponeva certe cose, si prospettavano casini e la casa dei Black non era proprio il posto più appropriato per fare danni, ma non riuscimmo ad essere saggi e accettammo la proposta volentieri. 
Infondo era vero che altrimenti non ci si divertiva.
Facemmo un brindisi con tre bicchieri belli pieni di whisky incendiario e ci avviammo tutti contenti. Naturalmente eravamo un po’ su di giri e la festa iniziò subito bene: il fatto che ci fosse parecchia gente giovane, amica o compagna di scuola dei fidanzati, oltre che la vecchia generazione di genitori e parenti, ravvivò parecchio le cose rispetto a come eravamo abituati da bambini. 
Bella e Rod se ne andarono a ballare e fare gli stupidi quasi subito e io riuscii anche a divertirmi con qualche ragazza dei tempi della scuola.
Le ragazze mi trovavano parecchio diverso, lo capii immediatamente: cresciuto, più affascinante, più sicuro, quando poi intravedevano il mio tatuaggio sul braccio impazzivano. Forse la storia di un gruppo di maghi forti e potenti che si facevano chiamare i “Mangiamorte” e portavano un teschio con serpente sul braccio aveva fatto il giro delle famiglie più vicine ad alcuni di noi.
Ero diventato popolare e ne potevo approfittare, ma lo feci solo in parte. Qualcosa mi diceva di non perdere troppo tempo, soprattutto con chi non mi interessava.
Arrivando lentamente il tardo pomeriggio l’aria si face più fresca e la nebbiolina iniziò a scendere avvolgendo tutto. La festa si spostò dal giardino al palazzo e nel parco si fece silenzio. 
Io ero solo, rimasi ancora lì a godermi il nulla della nebbia, ad osservare l’ aspetto della natura nascosta dal biancore spettrale. Speravo di incontrarla, me lo sentivo che sarebbe rimasta lì a guardare le medesime cose, a sentire l’odore pungente della nebbia, a farsi penetrare dal freddo e dall’umidità dell’aria.
Inconsciamente la cercai con lo sguardo, camminando lentamente… e quando finalmente la vidi, la raggiunsi subito.
“Sei sola?”
Lei annuí. Negli istanti prima di parlarle, mentre camminavo in silenzio verso di lei, avrei giurato fosse triste, ma poi non lo diede ad intendere e sorrise.
“Ma Rod che fine ha fatto?”
“Ha incontrato una persona, stavano parlando nel salotto, io mi sono allontanata perché sono stanca.”
Altra stranezza, adesso veniva fuori che era stanca, cosa che non succedeva mai.
“Facciamo due passi qui in giardino? Parliamo un po’?”
Fu felice della mia proposta e ci avviammo nel parco di casa sua, talmente grande che, dopo poco, le luci e i rumori del ricevimento diventarono ovattati, quasi spenti.
Anche noi eravamo silenziosi, non sapevo cosa dirle perché la vedevo troppo strana in quel periodo e non sapevo cosa aspettarmi. Allora fu lei a chiedermi.
“Cosa volevi dirmi?” 
Bella mi pose la domanda con molta calma, come se infondo sapesse cosa pensavo e cosa sentivo, tanto che invece di fingere le dissi la verità.
“Volevo dirti…” 
Misi le mani in tasca e sospirai.
Non mi venivano le parole… lei taceva e aspettava. Alla fine seguii il mio istinto, quello che voleva uscire da tempo uscì senza che me ne rendessi conto.
“Volevo dirti che io ti amo e se hai bisogno di me sono qui, senza pretese e conoscendo tutto di te, anche se ami un altro, io ti amo lo stesso.”
Lei si fermò e si voltò verso di me. Mi guardò con quegli occhi scuri, neri e penetranti: sapeva bene che la amavo, ma rimase comunque colpita e stupita da quelle parole.
Forse aveva bisogno proprio di quelle.
Era tanto bella, avvolta nella nebbia, pallida per il freddo, col trucco sugli occhi leggermente scomposto, chissà se aveva pianto e se era la frenesia dei balli con mio fratello.
Aveva quel gioiello di serpente al collo… quel gioiello mi ricordava di lui, Lord Voldemort, il suo veleno stavolta l’aveva distrutta la mia Bellatrix, ma inaspettatamente c’ero io lì a sostenerla, come avevo sempre desiderato.
Ora però percepivo in lei qualcosa di diverso dal passato, qualcosa di più. Prima era inavvicinabile per me, ora no.
Mi avvicinai quindi, mi avvicinai al serpente e al suo collo. Lei restava ferma e mi guardava calma, fu come un invito a continuare.
“Lascia che ti tolga un pochino di tutto quel veleno che hai nel sangue, che ti distrugge ogni giorno.”
Dissi così e le baciai il collo. Lentamente come se dovessi davvero curare una ferita.
Lei mi lasciò fare. 
La abbracciai stretta e continuai a baciarla sempre sul collo e poi, lentamente, verso l’orecchio e infine sulle labbra.
Le sue labbra.
Finalmente la baciai davvero, stringendola a me, affondando le mie mani nei suoi capelli, tenendola stretta, come se non volessi lasciarla andare mai più lontana da me.
Sapendo che presto non sarebbe stata più mia.
 

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Capitolo 15
*** Quando mai mi ricapita ***


Dal grimorio di Rabastan : “Quando mai mi ricapita”


Bella si strinse a me baciandomi: per la prima volta nella vita non oppose la minima resistenza a ciò che stavo facendo e non solo, sentivo anche il suo desiderio nascere e crescere attimo dopo attimo. Capii in un istante tutta la sua fragilità. 
Non mi importava.
Sentivo forte di tradire mo fratello in un momento difficile.
Non mi importava.
La desideravo da sempre e la amavo davvero, forse anche lei aveva bisogno solo di questo, almeno in quel momento.
“Restiamo qui?”
Sapevo che le piaceva farlo tra gli elementi naturali, ma forse era un pochino azzardato lì vicino al ricevimento, per cui le chiesi ingenuamente cosa fare.
Lei rimase un po’ in silenzio, forse soppesava il da farsi. La pregai mentalmente di non avere tentennamenti, di non rivoltarsi proprio ora. Rimasi in attesa, senza respiro.
“No, andiamo in camera mia.”
Quella frase mi rese la persona più felice del mondo, ricominciai a respirare e sorrisi, un peso improvviso mi si era tolto dallo stomaco.
Ci materializzammo nella sua stanza di bambina che io non avevo mai visto: era grande, spaziosa, silenziosa, era anni che non abitava lì e in un altro momento avrei dato qualsiasi cosa per osservarla, per conoscere cose intime di lei.
Non in quel momento però… finalmente potevo davvero conoscere la sua intimità più profonda. Il mio sogno e desiderio piu grande si stava realizzando e non riuscivo a pensare a nulla di altro, soltanto a guardare lei, spogliarla, baciarla.
Le tolsi il vestito mentre ancora eravamo in piedi una accanto all’altro. Scoprii quella sottoveste nera che tante volte avevo sognato senza mai poterla vedere davvero.
Avevo lì Bella Black, in tutto il suo splendore. Come l’avevo sempre desiderata.
Mi spogliai anche io e ci sdraiammo sul letto. Non era facile per me mantenere il controllo davanti a lei, non ero abituato ai suoi meravigliosi occhi tanto vicini ai miei, le sue labbra calde che mi baciavano senza sosta, la sua biancheria nera, provocante in ogni pizzo e trasparenza, che la rendevano così donna, che mi facevano sentire estremamente ragazzino.
Quando gliela tolsi, le toccai il seno, baciandola tra le cosce, nell’inguine, sentii il suo profumo così profondo e così buono e appetitoso che dovetti rallentare un po’ per non venire subito.
Lei era calma e accogliente, non aveva nessuna fretta, seppure dimostrasse desiderio e passione. 
Mi sorpresi a pensare se, quella donna tanto oscura e perversa, avesse mai fatto l’amore in modo normale, così come lo stavamo facendo noi. 
Mi domandavo cosa avesse fatto, cosa avesse visto, se davvero era l’amante del Signore Oscuro.
Mi spaventava e la amavo allo stesso tempo, questo non faceva che eccitarmi di più. Mentre continuavo a baciarla sentii che apriva lentamente le gambe sotto di me, sentii subito tutto il suo calore, sfiorandola percepii l’ umido della sua pelle. Entrai dentro di lei chiudendo gli occhi, assaporando quel momento fino in fondo. La sentii gemere e sospirare: le piaceva.
Avrei voluto duplicare e triplicare quei momenti insieme, uniti per la prima volta, a godere entrambi. Desideravo non staccarmi mai più da lei, continuare a sentire i suoi sospiri e i suoi gemiti, farle sentire la mia forza e potenza dentro di lei.
Quando la sentii venire, mi eccitai da morire, rimasi dento di lei fino alla fine, lasciandola solo quando tutto fosse terminato da qualche istante.
Non disse nulla: non era la solita ragazzina preoccupata di restare incinta a cui ero abituato io, saprà come fare dato che mai ha voluto figli. In quanto a me, io diventerei anche padre, se solo lei fosse la madre.
La tenni stretta a me e le scostai i capelli dalla viso, lei chiuse gli occhi, non mi voleva guardare… ma sorrise. Rimanemmo per alcuni istanti così abbracciati e zitti insieme. Poi lei si scostò leggermente, aprì gli occhi e si voltò, mettendosi accanto a me appoggiata ai gomiti: sembrava allegra e sorridente.
“Allora? Sei felice?”
Non riuscivo a parlare in quel momento di spossatezza e beatitudine, lei invece era come sempre…
“Non riesco a parlare ora… sono troppo stanco!”
Cercai di non guardarla ma lei incalzò.
“Era da tanto che lo desideravi, vero? Alla fine è successo, non ci credevo nemmeno io.”
Aprii gli occhi e la vidi vicino a me: nuda, coi capelli che le ricadevano sulle spalle, le lenzuola scomposte che la coprivano appena, le unghie spiccavano rosse sangue stonando leggermente in quella naturale nudità. 
E poi c’ era quel gioiello di serpente attorno al collo che le copriva la pelle, la arrossava leggermente dopo l’agitazione dell’amplesso. 
Non lo aveva tolto, allora lo feci io, perché non so per quale motivo mi infastidiva. Mi piegai verso di lei e glielo sfilai, appoggiandolo lontano, sul materasso.
Le baciai le parti arrossate, leccandole con la lingua, volevo le bruciassero quel poco che si poteva, poi le succhiai il collo in maniera prepotente. 
Non sapevo perché lo facevo, forse inconsciamente volevo mandare un segnale che esistevo anche io in lei.
Invece che scansarsi si avvicinò, le piaceva molto, dopo poco mi restituì il morso, lasciandomi un livido al lato del collo.
Forse mi ricambiava?
Mandai via quel pensiero illusorio. Dovevo tornare alla realtà anche se non ne avevo la minima voglia.
“Sì lo desideravo da sempre, ma direi che ho fatto bene ad aspettare.”
Lei sorrise, sapevo di renderla felice nella sua immensa vanità.
“Ne è valsa la pena di aspettare tanto?”
Annuii alla sua domanda. La ragazzina insicura non era del tutto scomparsa, anzi era tornata prepotentemente, non so per quale motivo, per cui la rassicurai.
“Certo che ne è valsa la pena, per te questo ed altro!”
Lei mi sorrise.
“Dobbiamo tornare al ricevimento perché sicuramente tutti si saranno accorti che manchiamo.”
Si stava preoccupando di Rod, questo era chiaro.
“Non lo dire a mio fratello, ti assicuro che soffre già abbastanza così, per via di te e l’Oscuro Signore, se viene fuori che anche suo fratello, cioè io, lo pugnala alle spalle...” 
Lei rimase zitta per un momento, cupa, con lo sguardo enigmatico. 
“Per questo dico di andare, non ho voglia di dare spiegazioni a nessuno, o di far soffrire tuo fratello.”
Disse “tuo fratello” come se per lei non fosse più nulla, anche se infondo io lo sapevo che gli voleva bene e lo considerava molto. 
Disse di non voler dare spiegazioni perché per lei non contava più nessuno, non doveva giustificarsi con nessuno.
A tratti tornava fuori la nuova Bellatrix adulta, quella che avevo imparato a conoscere, a temere, ad amare, anche più di prima.
“Va bene, ma aspetta solo un istante, quando mi ricapita di stare qui così con te?”
Lei si voltò di scatto verso di me, mi fece un gran sorriso furbo, complice.
“È vero, quando mai ti ricapita!”
Così dicendo si avvicinò e mi prese la mano, avvicinandola ai suoi fianchi, toccai di nuovo la sua pelle calda. Mi baciò di nuovo, strofinandosi sensualmente su di me. Un chiaro invito a ricominciare.
Fu tutto molto veloce ed eccitante.
Non potevo chiedere di più che averla ancora una volta.
Quando mai mi sarebbe ricapitata una cosa simile?
 
 

Dal grimorio di Bellatrix : “Il significato dell’anello”



 
La sera delle festa di fidanzamento di Cissy tornai a casa contenta e mi comportai con tutti come se nulla fosse. Però la notte scelsi di dormire da sola, di condividere il letto con Rod non avevo voglia, non me la sentivo più. Non mi importava della sua reazione, dissi ad un elfo di preparare una seconda stanza da letto e mi ci infilai senza dare spiegazioni.
Avevo voglia di stare sola, ero contenta, dovetti ammetterlo a me stessa, di quello che era successo con Rab. Ero stata bene con lui, avevo tradito tutti senza preoccuparmi di nulla e di nessuno e avevo dimostrato a me stessa che potevo avere chiunque desiderassi.
Mentre mi cambiavo per andare a dormire, rimasi per diverso tempo di fronte allo specchio a guardarmi con interesse. Per la prima volta notai davvero un cambiamento: avevo gli occhi diversi, lo sguardo distaccato, come se nulla mi potesse più scalfire, come se fossi mille miglia al di sopra di tutto e di tutti.
Non sapevo se davvero mi sentivo tale, ma per la prima volta da quando ero una ragazzina che si guardava allo specchio e si osservava con curiosità, avevo notato un cambiamento così marcato, quanto meno nell’aspetto esteriore.
Ero diventata molto bella, lo ero sempre stata, ma ora ero una donna e potevo fare ciò che desideravo.
Sorrisi e mestamente sospirai, mi tolsi lentamente il vestito, le scarpe, tutto… e levai la collana col serpente. Potevo  avere tutti. Tutti gli uomini che avessi scelto probabilmente mi sarebbero caduti ai piedi, tutti… tranne lui, l’unico che desideravo davvero. Che amavo davvero.
Lui non mi considerava, mi preferiva chiunque.
Se davvero l’amore non fosse esistito come diceva, non sarei stata tanto male. 
Riflettei per la prima volta con calma e freddezza: iniziai ad accorgermi di quanto quella storia della donna casuale del mio maestro mi avesse segnato. Forse lo capii proprio nel momento in cui lentamente iniziai a stare meglio.
Avevo passato mesi cercando di non pensare, di non affrontare il mio dolore e di fingere che fosse possibile una normale vita anche senza di lui. Non avevo la forza di pensare al fatto successo e a ciò che aveva scatenato in me.
Dopo quella sera in cui decisi di stare insieme a Rab, non so per quale motivo, qualcosa cambiò e mi sentii abbastanza forte da affrontare la realtà e la mia sofferenza, ero abbastanza decisa a non scappare più.
Mi infilai nel letto in silenzio per cercare di dormire. Le lenzuola erano fredde e per la prima volta in vita mia mi sentii veramente sola e allo sbando. 
Pensare a Cissy mi faceva star male, lei era felice e innamorata, il confronto mi distruggeva. All’altra mia sorella non potevo più pensare, era solo un’estranea ormai, una traditrice.
Non avevo più nessuno: Rod mi avrebbe presto odiata, se già non lo faceva, solo su Rab potevo contare, ma in quel momento non poteva fare nulla nemmeno lui.
Me la sarei dovuta cavare da sola.
Provai a dormire nonostante i brividi di freddo e il tormento per il mio amore.
Nei giorni che seguirono cercai di ritornare la donna che ero, lentamente mi allontanai di nuovo dalle vecchie abitudini: niente più inutili scorribande, niente sbronze colossali, niente sfide sciocche e cose da matta, niente vecchie compagnie, solo solitudine.  
Passai intere giornate a piangere, per poi asciugarmi gli occhi rossi e gonfi e tirare fuori tutta la mia energia per la magia oscura, cercando di servire al meglio il mio Signore.
Mi riavvicinai a lui, non potevo stare lontana anche se mi faceva soffrire.
Il mio umore era basso e risentivo molto della situazione, mi angosciavo continuamente, ma tenevo duro.
Poi qualcosa cambiò e accadde all’ improvviso, o per lo meno io me ne accorsi improvvisamente.
Anche lui, il mio maestro, durante quei mesi, si era concentrato maggiormente sugli affari di politica e sugli intrighi di potere, lasciando da parte gli esperimenti di magia oscura. 
Invece un pomeriggio mi chiese di parlarmi in privato, lontano da gente e da sguardi indesiderati. Ci chiudemmo in una delle stanze del piccolo castello quando ancora fuori c’era luce, entrava dalle finestre rischiarando la stanza buia.
Lo vidi serio, ma in un certo senso desideroso di parlare. Si mise davanti alla finestra, la sua figura si stagliava scura, bloccando la luce del sole. 
Notai subito che stava meglio, tutto quel tempo lontano dalla magia oscura gli aveva ridato un colorito più sano, le occhiaie erano scomparse e con loro anche quelle strane screziature rosse degli occhi, non era più così magro  e il corpo era palesemente meno sofferente. 
Gli guardai gli occhi, le pupille, non notai nulla, quindi doveva aver anche diminuito le dosi del laudano.
Anche le mani non tremavano più, segno che le forti astinenze non le aveva. Mentre pensavo ciò notai un’altra cosa delle sue belle mani: la mancanza dell’ anello, non lo portava più. 
Osai parlare io per prima.
“Non portate più l’anello, mio Signore?”
Rispose senza pensare, automaticamente.
“No, l’ho riportato dove deve stare…” 
Lo guardai in maniera interrogativa, ma non osai chiedere oltre, cercai di chiudere la questione con poche frasi.
“Era molto bello, mio Signore, vi stava molto bene.”
“Era un simbolo, niente di più, a cui io ho dato un significato speciale, l’ho riempito di magia oscura. Ora è più sicuro nel posto dove l’ho lasciato.”
La cosa mi incuriosì anche se i miei pensieri in quel momento erano altri.
“Mi potete spiegare, mio Signore?”
Quella domanda apparentemente semplice scatenò in lui un certo interesse, mi guardò in modo strano, come valutando qualcosa.
Mi guardava silenzioso, con quel suo modo di fissare piegando leggermente la testa di lato, soppesando nella sua mente la situazione.
“Vieni, avvicinati, è ora che tu sappia alcune cose. Ti reputo abbastanza intelligente e discreta per metterti a conoscenza di alcuni risvolti sconosciuti della magia oscura.”
Mi avvicinai a lui e ci sedemmo, notai come mi lasciava vicina, non mi allontanava mai. Aveva sicuramente capito qualcosa di tutto quel periodo di sofferenza, forse mi osservava e capiva più di quanto io stessa potessi pensare.
Le sue parole interruppero i miei pensieri.
“Ci sono alcuni incantesimi molto avanzati di magia oscura, che possono essere particolarmente vantaggiosi per il mago che li compie. Non sono conosciuti naturalmente e io non te li ho mai insegnati durante le nostre lezioni, ma esistono.”
Annuii senza fare domande, avrei voluto chiedere perché non me ne avesse mai parlato e perché non me li insegnasse, ma non lo feci, sapevo bene come evitare di urtare la sua sensibilità straordinaria e la sua privacy assoluta.
“Il vantaggio che arrecano è impagabile, ma allo stesso tempo, se gestiti male, questi incantesimi possono mettere il mago oscuro in grave pericolo. Diciamo che ti basta sapere che l’incantesimo ha bisogno di un oggetto simbolo per avvenire e che quell’oggetto simbolo deve essere conservato con totale attenzione e segretezza, se cade in mani sbagliate, è una rovina.”
Era abbastanza chiaro che l’oggetto in questione era il suo anello, rimasi zitta per capire se voleva spiegare oltre, ma non aggiunse nulla.
“Quell’anello era di Serpeverde vero, mio Signore? Per questo lo avete scelto come simbolo?”
Mi guardò senza rispondere, pensai fosse un gesto di assenso, ma non chiesi oltre per paura di contrariarlo, era anche quello un argomento troppo personale per lui. Io desideravo da tanto conoscere la sua vera storia, non avrei mai indagato nulla se non fosse stato lui a dirmelo, ma quello non era forse il momento giusto.
Nel silenzio mi guardò coi suoi occhi penetranti, poi sorrise in maniera strana, un po’ strafottente. 
“Davvero la vuoi sapere la mia storia? Credevo ti fossi informata in tal senso, ma no, una ragazzina che soffre per certe scemenze come te, non può nemmeno capire cosa siano davvero gli orrori.”
Rimasi senza respiro per qualche secondo, aveva letto tutto della mia mente? Il mio desiderio di conoscerlo, ma anche la mia gelosia per le sue donne? La considerava una scemenza?
Rimasi zitta a guardarlo a lungo. Poi senza volere risposi.
“Si, mio maestro, la vorrei conoscere, così da non essere più solo una ragazzina.”
 

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Capitolo 16
*** Sul tappeto, accanto al fuoco ***


Lord Voldemort : “Sul tappeto, accanto al fuoco”


Era da parecchio tempo che non parlavo un po’ con lei e non la tormentavo su quello sciocco sentimento che la faceva bruciare dentro.
Diciamo che mi mancava. 
Naturalmente non mi mancava lei in persona, mi mancava di poterla tormentare. Inoltre, sapevo bene che quello sciocco sentimento che sentiva per me era l’innesco primordiale del suo elemento di fuoco, era inscindibile da lei e dal suo potere enorme ed inesauribile.
Per cui non poteva essere trascurato. Avrei fatto un grave errore a sottovalutarlo. 
E io non faccio errori.
Fu facile, ancora una volta, leggerle la mente, penso mi lasciasse fare di proposito. Normalmente se ne rendeva conto quando le entravo nei meandri del cervello, stavolta però non se ne accorse, così indugiai su tanti pensieri, riuscii a studiarla a lungo senza che lo sapesse.
Era curioso quello che vedevo.
A parte le sue solite debolezze e tormenti e gelosie di ragazzina nei miei confronti, motivo per il quale si era allontanata, compresi che le era venuto un pensiero, forse un desiderio che si teneva dentro e non palesava. Per paura, o per rispetto non osava chiedere nulla, ma me ne accorsi quasi subito: voleva sapere di me.
Le sorrisi. 
Era ancora così ingenua.
Mi faceva ridere tutta quella gelosia e inutile sofferenza per delle streghe sconosciute, cosa le importava con chi stavo e con chi ero stato? 
Trovavo invece più interessante la sua voglia di sapere di me.
“Davvero vorresti conoscere la mia storia?” 
Glielo chiesi consapevole che non l’avrebbe mai sopportata, la mia storia, e che non le avrei mai detto tutto. 
Eppure… eppure certe cose le poteva sapere solo lei.
“Si, mio maestro…” 
Mi piaceva la sua decisione, ad ogni cosa che le proponevo, lei mi seguiva sempre, non diceva mai di no e anzi, sapeva come stimolare ogni mio desiderio.
Non era mia intenzione parlare, o spiegare, feci diversamente da come si aspettava. La guardai fissamente negli occhi, lei sostenne lo sguardo.
“Io sono l’ erede di Serpeverde, lui era un mio antenato, questo penso sia ormai di conoscenza comune, almeno tra noi Mangiamorte, ma io non lo seppi per molti e molti anni della mia vita.”
Feci una pausa, Bella non batté ciglio.
“Non conobbi mai i miei genitori. Sono cresciuto in un orfanotrofio.”
Mi fermai di nuovo e mi avvicinai con rabbia al suo viso. 
“Tu sai cosa vuol dire orfanotrofio? E crescere soli in un posto come quello? Lo sai… Ragazzina Purosangue?”
Rimase zitta, forse intimorita dal mio tono, poi scosse la testa lentamente: no, certo che non lo sapeva cosa volesse dire sopravvivere ad una vita come la mia.
“Bene, allora vieni qui, avvicinati. Leggilo direttamente dalla mia mente.”
Avvicinai la mano al suo viso, la sfiorai appena, giusto per sentire il calore della sua pelle sulla mia mano gelata. Le spostai con delicatezza lo sguardo nei miei occhi, non successe nulla.
“Avanti, devi leggermi la mente, sono il tuo maestro, devi fare come ti dico, devi imparare a farlo anche con me.”
Allora sentii finalmente la sua forza, il suo potere. 
Era veramente notevole.
La lasciai entrare nella mia mente, nei ricordi, schermai ciò che volevo, ma le lasciai vedere molto.
Le mostrai tante immagini di mille ricordi che avevano plasmato il mio carattere: le mostrai la mia solitudine, che divenne la mia difesa; la mia magia, che divenne la mia forza e la mia vendetta; la mia intelligenza, che mi permetteva, da sempre, di sopravvivere.
Le lasciai vedere quel bambino sporco e cencioso tra bambini sporchi, malati, morti. Le lasciai vedere quel bambino triste e duro tra bambini in lacrime e deboli. Le lasciai vedere il bambino che rubava da mangiare ai più deboli, mentre chi non ce la faceva moriva di incuria, vide il bambino ribelle che si difendeva con rabbia tra i bambini venduti, o violentati, e infine il bambino silenzioso che osservava le ragazzine costrette ad essere puttane. 
Le mostrai tutto l’orrore che per me era pura normalità.
Le lasciai vedere come nessuno si occupasse di nessuno, come ognuno dovesse lottare in solitudine o morire. Le lasciai vedere il freddo, la fame, la disperazione e la morte che ogni giorno mi circondava, da cui con ogni mezzo dovevo difendermi.
Poi la allontanai dalla mia mente e la guardai con calma: la sua espressione era cambiata, ma non la lasciai parlare.
“Ora capisci perché l’amore non esiste? Se esistesse davvero, allora noi bambini sperduti ci saremmo tutti ammazzati per il dolore di non averlo ricevuto, per l’ingiustizia del destino che ce ne ha privato.”
Rimanemmo in silenzio.
“Maestro… potrei conoscere anche qualche momento bello?”
Rimasi spiazzato dalla domanda, pensavo che tutto quello che aveva visto l’avesse sconvolta e allontanata. Invece voleva vedere altro, voleva sapere se avevo ricordi belli.
La disprezzai perché nonostante tutto continuava a volermi restare vicina. Però, stupendo anche me stesso, le lasciai riprendere il contatto, schermai tante cose e ne liberai alcune, forse le più belle.
Le lasciai vedere il bambino che osservava in silenzio le acque del Lago Nero, mentre tutti dormivano quella prima notte, nel dormitorio dei Serpeverde, mentre tutto sembrava diventare finalmente bello e magico. Le lasciai vedere quel bambino felice, il giorno di Natale, quando poteva rimanere solo, accolto nella scuola di magia, pronto a scoprirne ogni segreto, a viverla in ogni angolo nascosto. Le lasciai vedere il ragazzo più dotato della scuola, quello che ogni primo di settembre si incantava davanti all’impotenza di Hogwarts, che veniva a conoscenza delle sue vere origini di mago…
Fu lei a fermarsi questa volta, a guardarmi negli occhi e a parlare per prima.
“I vostri ricordi più belli appartengono tutti a Hogwarts, maestro.”
Rimasi zitto e mi alzai, il tempo dei ricordi e dei racconti era finito.
Sembrava stupita, probabilmente per lei, ragazzina Purosangue, la scuola di magia era stata cosa scontata.
Per me fu diverso, e nessuno può capire quanto ha contato.
“Ho passato degli anni molto belli nella scuola, tentai anche di diventare professore, ma non era destino…”
Rimasi vago e volevo chiudere l’argomento.
Mi sentivo più nervoso, mi sfregai le mani con forza, quasi mi feci male. Già da tempo avevo sensibilmente diminuito le dosi di laudano, ma in quel momento ne sentivo il bisogno. 
Ero stato avventato, tutti quei ricordi mi erano pesati più del previsto e Bella era brava a leggere la mente, non era semplice guidarla solo dove desideravo io. Presi la boccetta dal cassetto, in mezzo a pozioni e medicamenti e la portai alle labbra. 
Dopo un paio di sorsi respirai piano e subito mi sentii meglio, presi un attimo di tempo per me, poi mi voltai per parlare a Bella e invece la trovai a pochi centimetri da me.
“Scusate se ho voluto farvi ricordare cose spiacevoli, mio Signore.”
Dopo tutto quel periodo in cui non avevo più preso il laudano l’effetto fu forte, molto più del previsto. Le sue parole mi giunsero ovattate, dense e dolci come il miele.
Rimasi in silenzio, non avevo voglia di parlare, la guardai.
“La colpa è mia, lasciate stare questo.”
Si avvicinò ancora e mi prese la boccetta a dalle mani per appoggiarla sul tavolo, aveva le mani calde, la lasciai fare, capivo le sue intenzioni e non mi dispiacevano.
“Usate me se volete un po’ di piacere.”
Le sorrisi e la avvicinai a me con forza, le sfiorai le labbra.
Pensai che aveva ragione lei… pensai che era perfetta per me. 
Aveva solo qualche difetto.
“Tu però non devi più fare la ragazzina con me, ti è chiaro?”
Rimase stupita, aprì la bocca per rispondere, ma non la feci parlare, non volevo sentire ancora sciocchezze.
La afferrai i capelli sulla nuca e la baciai.
La baciai a lungo, cosa inusuale per me, ma in quel modo i ricordi scivolavano via senza lasciare traccia, senza doverci nemmeno pensare, il tepore del laudano mi inondava il corpo e ogni fremito di calore sembrava nascesse dalle sue labbra.
Poco dopo lei riprese fiato e volle rispondere.
“No, mio Signore, non farò più la ragazzina con voi, non mi allontanerò più, state tranquillo.”
Altre parole che mi arrivarono ovattate, calde e dense. Mescolate al suo sorriso.
Altre parole che mi fecero piacere, erano quello che volevo, aveva capito il mio volere, senza che lo dovessi spiegare. Ora era tutto davvero perfetto.
Aveva capito che non mi era piaciuta la sua lontananza, che non ero stato tranquillo, scioccamente, le avevo lasciato intuire fin troppo. 
Non mi importava, pensai che piuttosto, per ovviare all’errore, era venuto il momento di farle sentire la mia forza, non la mia debolezza: la presi e me la portai a terra, sul tappeto, accanto al fuoco.

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Capitolo 17
*** Ancora il fuoco ***


Dal grimorio di Bellatrix : “Ancora il fuoco”


Quella volta facemmo l’amore per davvero. Tutto, fino in fondo. 
Per la prima volta sentii davvero e fino nel profondo della mia anima e della mia carne, che era solo lui che volevo, solo lui l’uomo con cui desideravo stare.
Lui solo mi faceva stare bene, mi faceva godere come non mai e mi faceva sentire donna; ero immensamente forte e immensamente debole davanti a lui, una sensazione mai provata prima, che mi dava il brivido e il piacere più grande della mia vita.
Ancora sdraiati accanto al camino, nel silenzio, mi soffermai per alcuni momenti a guardalo: era sempre un po’ magro, gli occhi scuri e penetranti fissi verso il fuoco erano distratti, forse la sua mente era mille miglia lontana da noi. La pelle pallida era resa appena più rosea dal calore che sprigionavano le fiamme accanto ai nostri corpi. I capelli ricadevano appena sugli occhi, non mi guardava più, era sempre pensieroso e misterioso.
Certo, era sfuggente come nessuno, il mio mago del vento era capace di cambiare umore e sfuggire dalla stretta delle mie braccia in un attimo, inafferrabile proprio come il vento tra le dita.
Forse questo modo di essere era parte del suo fascino.
Mentre lo guardavo e pensavo a tutte quelle cose, lui si alzò, lentamente, per vestirsi e allontanarsi, io lo guardai ancora, senza parlare, osservavo ogni suo movimento, lento e deciso, come se in quel modo lo potessi tenere ancora fermo accanto a me. 
Gli chiesi poi di poter restare ancora qualche attimo lì, vicino al fuoco, al caldo, insieme ai miei vestiti stropicciati dalla forza e dalla violenza dell’amplesso.
“Cosa resti a fare qui per terra da sola?”
Gli sorrisi maliziosa.
“Mi riprendo dalla vostra meravigliosa passione travolgente, mio maestro.”
Lui rise come solo lui riusciva a ridere e poi, senza parlare, si allontanò. 
Con quel sorriso freddo, senza salutare.
Mi avvicinai al fuoco: sentirne l’ odore e la vita mi faceva stare bene, non avevo mai paura di bruciarmi, anche se stavo enormemente vicina.
Tutto era tornato bello e appassionante: quel pomeriggio mi aveva ripagato delle mille sofferenze, nella mia testa e nel mio cuore era già tutto dimenticato.
Mi sentivo come se avessi fatto per la prima volta l’amore, mi sentivo davvero una donna, amata e sciupata, proprio come se fosse tutto nuovo e tutto da scoprire. 
Passavo il tempo tra queste fantasie, nel silenzio della stanza.
Iniziavo a sentire freddo, ma non riuscivo a vestirmi, non volevo abbandonare quel momento così assolutamente magico e perfetto.
Indugiai ancora a ripensare a quando, poco prima, avevo capito che mi voleva davvero. 
Ripensai a quando gli presi delicatamente la boccetta di laudano dalle mani, dicendogli di non usarlo, ma di usare me per avere il suo piacere. Rividi come lui si lasciò fare tutto, si fece avvicinare, accarezzare, era silenzioso e non reagiva in alcun modo, finché poi, con improvvisa violenza e passione, che cozzava col languore di pochi istanti prima, mi prese e mi sollevò di forza da terra, stringendomi con forza a lui.
Non avevo più appoggi né riferimenti, se non lui: il suo corpo, la sua pelle, il suo viso e i suoi occhi davanti ai miei. Le labbra fredde vicine alle mie. 
Questa situazione mi piacque da impazzire.
Mi portò lontano pochi passi, vicino al camino, sul pavimento dove era steso un tappeto ispido, che strofinava la pelle, ma che divenne subito accogliente sotto i nostri corpi.
Non perse molto tempo in preliminari e carezze, anzi, non perse nemmeno un attimo, dopo pochissimo entrò dentro di me, inaspettatamente, così presto che sentii male… comunque non avrei chiesto altro.
Quello che faceva e voleva lui era anche il mio desiderio. Il male mi piacque, tutto ciò che lo faceva sentire forte, mi eccitava da morire. 
Non lo avevo mai fatto così intensamente e lungamente, tanto che il bruciare del fuoco accanto a noi si confondeva, nella mia mente, col bruciare della mia carne a contatto con la sua, per le sue spinte forti e incalzanti.
Mentre ripensavo a quei momenti, mi sorpresi a sentire ancora desiderio. Avrei desiderato averlo ancora accanto a me, ma purtroppo ero rimasta sola.
Dopo un ennesimo brivido di freddo mi convinsi a rivestirmi, anche se non ne avevo voglia. Lo feci lentamente e, appena finito, rimasi seduta davanti al fuoco coi capelli scompigliati. Alzai quindi la manica sinistra del vestito e guardai il Marchio alla luce scoppiettante del camino.
Il mio Signore era bello, era profondo e sfuggente, non riuscivo mai a prevedere i suoi umori. Come avrei fatto a tenere testa ad un tipo simile? Ad esserne all’altezza?
Baciai il Marchio Nero. Ormai profumava della mia pelle.
Riflettei. Già quel pomeriggio, non mi ero comportata male, avevo sostenuto perfettamente la situazione: aveva condiviso con me una certa parte della sua vita, quella più brutta, mi aveva svelato in parte un segreto sulla magia oscura, qualcosa che lo riguarda molto da vicino. 
Io ero stata perfetta in ogni momento e mi era venuto naturale.
Certo, era complicato, tutte quelle immagini, tutte quelle cose brutte non me le aspettavo, non le avrei mai immaginate. Lui aveva vissuto cose che io non avrei potuto nemmeno immaginare.
I suoi ricordi belli non avevano minimamente a che fare con me, erano legati a situazioni e avvenimenti per me assolutamente scontati che non avevano portato particolare gioia nella mia vita: erano semplicemente la normalità.
Eravamo davvero profondamente diversi.
Eppure così perfetti.
Inoltre, in quel brutto periodo, non mi aveva ignorata come avevo pensato, mentre io stavo lontana e stavo male, mi aveva osservata, aveva capito qualcosa, quel qualcosa che lui chiamava “sciocchezze da ragazzina”, l’aveva notata e ne aveva sofferto. 
Mi sfiorai le labbra con le dita, il solo pensiero mi rendeva felice. 
Io lo avevo tranquillizzato, non lo avrei fatto soffrire più.
Infondo, ero perfetta per lui e lui lo sapeva meglio di me. Solo io sapevo che era fragile ed egocentrico come un bambino, entrambi sapevamo che non lo avrei mai svelato a nessuno.
Alla fine mi alzai, non potevo restare così per ore, cercai di riprendere aderenza con la realtà, stavo per creare un incantesimo che spegnasse il fuoco per poi uscire dalla stanza, invece sentii bussare.
Accantonai i pensieri fatti finora.
Quando risposi ad alta voce di entrare, mi comparve davanti Alecto, con lo sguardo già abbruttito dalla rabbia scomposta.
“Cercavo il Signore Oscuro, non è qui?”
Scossi la testa senza rispondere.
“E tu cosa fai qui, da sola?”
Sorrisi, ancora senza rispondere, doveva imparare che non si disturba così una come me, una con il mio potere e la mia abilità.
La vidi chiudere la porta, si mise a girare senza violare il mio spazio nella stanza, ma vidi che già cercava lo scontro, caricava le sue rimostranze. Decisi di restare calma, avevo promesso al mio maestro di non farlo preoccupare per scontri tra Mangiamorte.
Dovetti usare tutta la mia pazienza.
Vidi che si guardava intorno, mi tornò in mente la bottiglietta di laudano che avevamo lasciato sul tavolo, in bella vista.
Dovevo toglierla di mezzo: la storia del laudano era già serpeggiata a sufficienza tra i Mangiamorte e io non avevo voglia di rimetterla in bocca anche ad Alecto, che per fortuna, in quel momento, era interessata ad altro.
“Allora, te lo sei preso?”
Mentre lei si spostava verso il divano io mi spostai verso il tavolo, la tenni impegnata a conversare, dovevo evitare si concentrasse su di me.
“Di cosa parli? Non ti seguo.”
Finalmente arrivai al tavolino, in modo da coprire la sua visuale col mio corpo.
“Sai benissimo di cosa parlo, eravamo tutti al fidanzamento a casa tua, a casa Black.”
Per mia fortuna si era infervorata a ribattere e io, con un semplice gesto delle dita sulla bacchetta, riuscii ad aprire il cassetto riponendoci dentro la boccetta.
Mi cadde lo sguardo verso tutti quei liquidi e medicamenti, siringhe e aghi, ovatta e quant’altro.  Mi si strinse lo stomaco, non pensavo prendesse un numero così spropositato di sostanze, chiusi subito il cassetto senza pensarci. 
Mancava che Alecto vedesse tutta quella roba, o lo raccontasse in giro.
Perché il mio maestro amasse farsi del male così a fondo non lo capivo ancora del tutto. Non volevo capirlo.
Cercai di ritornare con la mente alla conversazione.
“Fidanzamento? Di mia sorella? E cosa avrei preso, di grazia, in casa mia?”
La distrassi per fortuna, perché a quella domanda si innervosì ancora più di prima.
“Ti sei presa Rabastan! Lo so bene perché vi ho visti insieme, poi siete scomparsi per molto tempo.”
Immaginavo sarebbe andata a parare lì, col suo amore impossibile per Rab non poteva che averlo osservato tutto il pomeriggio.
Alzai le spalle, non mi venne nulla da dire. Infondo non mi importava.
“Te lo sei presa,  ma nemmeno ti importa, lo so che a te importa solo di Lord Voldemort. E comunque ti sei presa anche lui, il tuo maestro, lo sappiamo tutti.”
Disse “il tuo maestro” con voce melensa, che voleva fare il verso al mio modo di chiamarlo.
La interruppi. 
Cosa ne sapeva e ne voleva sapere di me e del mio Signore?
Alecto si avvicinò al camino, indugiò per qualche istante, poi rispose duramente, parole che in un certo senso, mi fecero anche piacere.
“Ma si vede, si vede chiaramente, non ho bisogno di saperlo. Perché sta chiuso solo con te ore in una stanza? Perché è sempre nervoso e scostante con tutti se non ci sei tu vicino? Perché ha sempre quell’aria stanca, ma molto sensuale quando siete stati insieme?”
Rimasi piacevolmente stupita dalle sue osservazioni, non risposi.
“E poi basta guardarti ora: i tuoi capelli spettinati, i vestiti rimessi con distrazione, le labbra rosse e piene di sangue. Ti ha appena scopata, no?”
Nelle sue parole sentivo l’odio e l’invidia per l’amore che Rab ha sempre provato per me e non per lei, per le attenzioni che tutti, in un modo o nell’altro, riservavano a me e non a lei, sentivo l’odio e l’invidia per la mia bravura, per essere la preferita del Signore Oscuro, in tutto, sesso compreso. Eravamo le uniche due donne ed eravamo in competizione, questo si sapeva.
Non risposi, senza perdere tempo le entrai nella mente. Fu molto facile per me, non era come farlo sul mio maestro, che lasciava vedere solo ciò che desiderava, o gli sfuggivano poche immagini involontarie. Potevo vedere ciò che volevo, scelsi ciò che mi interessava di più, qualcosa che non era solo di Alecto, ma era condiviso e discusso con molti Mangiamorte: avevano paura che il Signore Oscuro li abbandonasse, c’era gelosia, cattiveria certo, ma soprattutto paura.
Loro lo volevano lì, come un’entità, come un’istituzione, come sempre ad occuparsi di loro e di farli diventare potenti, a difenderli e spronarli, come aveva sempre fatto e come ora avevano paura non avrebbe fatto più.
Alecto era convinta dipendesse da me, secondo la sua visione delle cose, la nostra relazione lo aveva distratto. Non sapevo se essere più lusingata, o più arrabbiata per questa cosa. Gli altri Mangiamorte non era chiaro a cosa dessero la colpa.
La liberai dalla mia incursione dentro la sua testa. Ci guardammo negli occhi reciprocamente con odio, in silenzio.
Dovevo muovermi con cautela, non volevo creare problemi al mio Signore, evidentemente ne aveva già diversi. Non sapevo se lui ne fosse a conoscenza, se avesse intuito qualcosa di tutto questo astio nei suoi confronti.
Istintivamente l’unica cosa che desiderai fu che il mio Signore decidesse di riprendere gli esperimenti di magia oscura, concentrarci su quello e non pensare a nulla, nemmeno ai Mangiamorte, ma sapevo di non poterlo evitare.
Avrei dovuto dire la verità su ciò che avevo capito a proposito della situazione che si era venuta a creare e quando decisi di farlo, la sua reazione fu tanto bella quanto inaspettata.
Scelsi di parlargli alcuni giorni dopo, mi stette a sentire con attenzione, senza parlare.
“Questo è quello che ho potuto capire, mio Signore, ho pensato voleste esserne messo a conoscenza.”
Mi guardò coi suoi occhi penetranti, in silenzio e a lungo. Il fuoco crepitava nel camino e io potevo vederne la danza tutto attorno, fatta di luci e ombre sul suo viso. 
Era bello, era davvero bello, con quell’espressione assorta, pensierosa, cupa e oscura. 
Dopo la prima volta, facevamo spesso l’amore davanti al fuoco, ci aveva preso gusto e mi portava sempre qui.
Quella volta, per non farlo andare subito via, dopo aver consumato, gli parlai di ciò che avevo visto nella mente di Alecto giorni prima: della sua gelosia e delle sue paure, che erano quelle di molti altri Mangiamorte.
Attendevo la sua reazione: il suo disappunto fu palese, ma non si scompose per nulla.
“Speravo di non avere noie anche da chi dovrebbe stare dalla mia parte.”
Sembrava anche dispiaciuto, mi pentii di non aver aspettato un altro momento, avrei dovuto lasciarlo felice almeno dopo essere stati insieme.
“Mi dispiace, mio Signore.”
“E tu cosa ne pensi, mia Bella?”
Questa domanda mi fece battere il cuore. Chiedeva un mio parere, sfoggiando un sorriso strano ed enigmatico, inoltre usava quel vezzeggiativo scherzoso tipico di quando avevamo goduto insieme, era di buon umore, nonostante la notizia. Mi piacque molto questa cosa.
“Penso, mio Signore, che sbaglino tutti a permettersi di dubitare di voi.”
Sorrise e mi accarezzò il seno; io mi persi in quel tocco per diversi istanti.
“Voglio sapere cosa ne pensi sul serio, devi dirmi tutto.”
Parlò in maniera così sensuale e sinuosa che mi parve di scorgere, nella sua voce, il sibilare di un serpente.
“Va bene, mio Signore, allora vi dirò che penso che Alecto, come gli altri Mangiamorte, siano spaventati e abbiano paura di perdere una guida forte e potente come voi. Hanno vissuto il fatto che vi siate dedicato alla magia oscura, cosa che vi ha allontanato da loro, come un abbandono; hanno notato come vi siate indebolito a causa degli effetti collaterali di quel genere di magia e hanno avuto paura di restare senza la vostra protezione; notano le vostre assenze e le temono.” 
Dissi questo tutto ad un fiato, poi, più lentamente, aggiunsi ancora qualcosa.
“Hanno paura di perdere il potere che possiedono grazie a voi, temono di finire male a causa di qualche vostra mancanza.”
Continuava a guardarmi pensieroso, con gli occhi scuri che osservavano i miei, i capelli sembravano baciati dal vento, scompigliati dal sesso violento che piaceva a lui. E anche a me. Mi sfiorava la pelle dal seno ai fianchi, come se stesse giocando, come se non notasse quanto mi piacesse.
“E tu cosa pensi di questo atteggiamento?”
Dovetti frenare l’eccitazione che mi stava risalendo e cercare di rimanere seria.
“Penso che siano dei vigliacchi, mio Signore, voi sapete quello che fate, io ho fiducia in voi, la dovrebbero avere anche loro. Penso che qualsiasi cosa accada, sia bella che brutta, io non avrò paura, anzi, vi sosterrò sempre e vi aiuterò ogni qualvolta doveste averne bisogno. Credo che tutti dovrebbero pensarla come me.”
Sorrise, senza dire una parola iniziò ad accarezzarmi fra le cosce. Le dita leggere mi sfioravano la pelle, piano piano sempre più in alto, sempre più vicine a dove desideravo io. Sembrava non arrivarci mai, io mi bagnavo sempre di più e mi eccitavo e lui mi faceva desiderare quel tocco sublime. 
Cercai di baciarlo, ma si allontanò leggermente alzando il mento, guardandomi con distacco e alterigia.
“In ogni caso, mio Signore, a me non importa del potere, mi importa di voi, non sono come i Mangiamorte.”
Allora avvicinò le labbra alle mie, sfiorandole, ma senza baciarle.
Continuò per alcuni istanti, poi ruppe il silenzio, ma senza allontanarsi da me.
“Allora li dovremo fare arrabbiare ancora, i Mangimorte, facciamoli rimanere nella paura, facciamogli conoscere cosa sia il terrore. Noi abbiamo ancora della magia oscura da praticare, tu devi imparare delle cose, io devo compiere altri incantesimi importanti.”
Gli sorrisi. Sempre con le labbra che si sfioravano senza quasi toccarsi.
Ecco il suo veleno che usciva. Doveva fare del male e stavolta toccò ai Mangiamorte.
Non aveva scelto loro, aveva scelto me e la maga oscura, e avrebbe insistito più di prima, lo conoscevo bene, non si fermava mai, andava sempre oltre il possibile, voleva toccare l’impossibile. Nulla era in grado di fermarlo, volava come il vento, sempre in movimento, verso orizzonti sconosciuti. 
Sempre, anche a costo di farsi male, molto male.
Ero felice, ma non riuscivo a pensare lucidamente, sentivo sempre di più le sue dita sulla pelle, sui peli del pube, volevo solo arrivasse a farmi venire, perché quel tormento di piacere montava sempre più senza toccare mai un apice e mi faceva morire.
I pensieri si mescolavano alle sensazioni e mi sentivo totalmente invasa da lui.
Quando decise lui che era sufficiente, sorrise compiaciuto e con un tocco sapiente mi fece esplodere un orgasmo violento. 
Sentivo la pelle imperlata di sudore e lui mi guardava riprendere fiato lentamente, stremata su quel tappeto, non potevo smettere di guardarlo.
Dopo poco mi ripresi e potei parlare.
“Va bene, mio maestro, non vedo l’ora di riprendere le lezioni.”
Gli dissi così sorridendo anche io, mentre scendevo tra le sue di cosce, volevo assaporare ancora il suo sperma amaro e pungente tanto quanto lui, lo volevo sentire sulle labbra, nella bocca. Inoltre desideravo sentirlo godere ancora, l’ avrei voluto fare felice sempre, per sempre.
 

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Capitolo 18
*** L’avevo avvelenata tutta ***


Lord Voldemort : “L’avevo avvelenata tutta”


Le prime ore del pomeriggio erano lente e silenziose, un pallido sole rischiarava la giornata, ma dalle finestre si infilava, tra i vecchi infissi, un lieve sibilo di vento freddo.
Lo percepivo sulla pelle del viso, sulle mani, ne sentivo l’odore come se fossi all’esterno, ogni mio senso captava il vento come naturalmente amplificato, il mio potere oscuro mutava e si accresceva senza sosta, sentivo tutto attraverso esso e più lo usavo, più diventava vita e parte di me. 
Quell’aria serpeggiante sulla pelle mi dava una bella sensazione.
Ero sdraiato sul grande divano non lontano dalla finestra, il braccio alzato davanti ai miei occhi reggeva a penzoloni il medaglione di Serpeverde.
Osservavo distrattamente quel prezioso oggetto oscillare davanti ai miei occhi. La catena d’oro era intrecciata tra le mie dita e, muovendo leggermente la mano, il futuro Horcrux si muoveva lentamente con essa, a destra e sinistra, destra e sinistra. 
Nello stesso modo, la mia mente oscillava tra un sì e un no, un sì e un no.
La catena scricchiolava appena ad ogni movimento, lo smeraldo verde brillante era assai pesante e capeggiava su tutto il gioiello, talmente grande che quasi stonava.
Quell’oggetto era un simbolo importante, doveva essere trasformato in un Horcrux, questo lo volevo e già da tempo, ma quando compiere l’incantesimo? 
Ero incerto.
Mi sentivo bene in quel momento, non era nei miei progetti tornare a subire il dolore fisico e mentale che comportava la rottura dell’anima.
Forse mi ci sarei abituato un giorno, sarei riuscito a fare un incantesimo che non comportasse effetti collaterali, oppure il mio corpo non ne avrebbe semplicemente più risentito, sarei arrivato a creare Horcrux senza problemi. 
Forse, un giorno… ma in quel momento ero ancora lontano da quel tipo di traguardo.
Anzi, ad ogni Horcrux creato, la situazione peggiorava e il dolore aumentava di molto, di conseguenza, molto probabilmente, sarebbe andata così anche quella volta.
Era il prezzo da pagare per l’immortalità: dolore, immenso dolore e prostrazione fisica, poca cosa di fronte al vivere per sempre.
Abbassai il braccio e il medaglione si sfilò lentamente dalle dita, lo lasciai cadere a terra, chiusi gli occhi per un attimo. 
Non avevo voglia di pensarci e non avevo voglia di provarlo, tutto quel dolore.
Era la prima volta che mi succedeva di non desiderare di compiere al più presto quell’incantesimo oscuro.
Non capivo il motivo del mio tentennare, o forse non volevo capirlo e non volevo pensare nemmeno a quello.
“Mio Signore, ho creato la pozione, ho usato alcuni incantesimi per aumentarne il potere, dovrebbe essere perfetta.”
Aprii gli occhi, Bella stava in piedi davanti a me con un piattino fumante.
Non risposi e non distolsi lo sguardo dalla sua figura.
La guardai e la osservai. 
La studiai.
Era effettivamente davvero bella, mi stava molto accanto e solitamente non mi infastidiva la sua presenza, era cambiata negli ultimi tempi, era rimasto davvero poco della ragazzina che avevo conosciuto, a cui avevo insegnato la magia oscura, a cui avevo fatto l’onore di donare il mio Marchio e a cui avevo fatto capire cosa fossero davvero il piacere, il sesso, la perversione.
E il dolore.
Era diventata una donna ormai, una donna affascinante, intelligente e misteriosa, ma non era solo questo in lei ad essere cambiato. 
Emanava uno strano potere che nulla aveva a che fare con la magia vera e propria, o forse era stato proprio l’uso smodato della magia oscura a farle nascere quella particolare aura.
Aveva qualcosa di attraente, di magnetico e inquietante che si percepiva con gli occhi e anche con l’olfatto, con tutti i sensi.
Mi salì involontariamente alle labbra un sorriso ironico: quanta importanza le stavo dando, troppa.
Era l’unica che ritenevo degna di starmi accanto, l’unica con cui provavo piacere a farmi vedere insieme, forse anche contro il mio stesso volere conscio.
“Bene, bevila allora, perché te l’ho fatta preparare per assumerla tu.”
Mi guardava interrogativa. Io non avevo voglia di parlare e spiegare, mi irritava quando non capiva al volo, o fingeva di non capire. 
Parlai comunque.
“Ti sei indebolita dopo le ultime prove di magia oscura, hai bisogno di rimetterti in forma, se l’hai fatta esattamente come ti ho indicato, la pozione ti aiuterà.”
Senza dire una parola si sedette sul tappeto accanto al divano e, titubante, iniziò a sorseggiare la pozione.
“Ha un sapore orribile, ma sono contenta che l’abbiate pensata per me, maestro.”
Le guardai le labbra sensuali che risaltavano sulla ceramica bianca. Le labbra le truccava appena, mentre gli occhi erano sempre scuri, truccati di nero come il mistero.
Aveva sempre voluto diventare una Mangiamorte, anche quando ero circondato e volevo circondarmi di soli uomini e maghi oscuri, non aveva tentennato una sola volta. Era sempre stata di straordinaria bravura e mi aveva convinto velocemente.
La sua obbedienza, il suo intuito, i suoi silenzi e il suo mistero, il caldo fuoco della sua vagina: era davvero lei che mi faceva sentire bene. Mi faceva sentire sicuro, più forte, e allo stesso tempo mi distraeva dai miei intenti.
Guardai il futuro Horcrux per terra, accasciato e dimenticato sul tappeto, come se non esistesse nemmeno. 
Aspettai che finisse di bere la pozione, poi senza dire una parola le presi la mano, me la portai vicina, fino a toccare il basso ventre. La tenni stretta come in una morsa.
Lei capì subito cosa desideravo. Si liberò della stretta con un moto di ribellione che non usava mai con me, ma in quel frangente specifico lo accettai: voleva farmi capire che sapeva bene come darmi piacere, senza le mie forzature.
Sentii subito la sua mano scendere lentamente sul sesso, eccitarmi. Poi le labbra e la bocca, il suo calore, la lingua. 
Fu veloce e sublime l’apice del piacere.
Ne avevo davvero bisogno.
Non parlai per un po’ e non la guardai. Sentii che si appoggiò sul divano, sempre rimanendo seduta per terra, senza prendersi troppe libertà. Senza parlare.
Come piaceva a me. 
Rimasi a lungo a godermi quel momento lungo e rilassato e quel silenzio in cui ero certo mi guardasse e mi ammirasse.
Quando mi sentii voglia, le rivolsi di nuovo la parola.
“Dobbiamo fare un incantesimo importante, di magia oscura, tu mi puoi assistere.”
Feci una pausa per vedere se mi ascoltava. Era seria e attenta.
“Non lo faremo insieme, lo farò io, ma tu dovrai essere presente in seguito, senza chiedere nulla.”
Feci una pausa.
Ci guardammo attentamente negli occhi.
Passarono, in quello sguardo, molti pensieri e stati d’animo.
Fu questione di un attimo, un lampo intensissimo.
Nessuno di noi due accennò minimamente a quello scambio, avvenuto senza il supporto della magia.
“Va bene, mio Signore, come desiderate voi.”
Non era entusiasta, probabilmente aveva capito che era pericoloso, che metteva in gioco grande parte della mia integrità, ma mi assecondava sempre, la mia Bella.
Forse nemmeno io avevo parlato con il solito tono convinto e perentorio, continuavo a non avere voglia di farlo, ma allo stesso tempo non potevo fermarmi: era inevitabile per me.
Restammo zitti entrambi di nuovo, senza muoverci, senza scambiarci più altri sguardi.
Fuori si era fatto ormai buio. Finalmente l’oscurità era giunta a coprire tutto. Quando nella stanza non si distingueva ormai più nulla, mi decisi a parlarle di nuovo.
“Accendi il fuoco, fallo con la mente, tu puoi, mi piace quando lo crei.”
Era vero, mi piaceva molto quando comandava il suo elemento. Mi piaceva anche vedere la naturalezza con cui lo faceva, il suo potere enorme era sempre affascinante, amavo vedere come lo avevo accresciuto e valorizzato, come lo avevo plasmato e con quale maestria ora lei lo sapeva utilizzare.
Nel giro di pochissimo, il fuoco illuminò la stanza e il tepore si espanse tutto intorno.
Si illuminò anche il medaglione a terra sul tappeto, lo smeraldo mandava lievi riflessi verdi. Bella lo guardò per un attimo, senza chiedere nulla, anche io lo guardai, ma lo lasciai lì dov’era, non sapevo ancora quando avrei attuato il mio intento, ci avrei ragionato in seguito.
“Vieni, Bella, vediamo cosa resta da fare di questa giornata.”
Si alzò da terra per sedere accanto a me sul divano: forse non sapeva bene a cosa mi stessi riferendo, ma lo aveva intuito, oppure ci sperava.
Non attesi un istante, la afferrai per avvicinarla a me, la stretta era quella del serpente con la preda.
Le baciai il collo, le spalle, poi le aprii la veste e le baciai e succhiai il seno. La toccavo ovunque, sentivo la sua pelle calda che vibrava. Sotto al mio tocco lei si muoveva come una serpe, riempì la stanza di gemiti sommessi. 
Sì, era vero che mi piaceva averla e possederla. Avevo sempre usato il sesso per i miei tornaconti personali, avevo sedotto belle e orribili donne, giovani e vecchie, stupide e intelligenti. Avevo usato il sesso per esercitare il mio potere sugli altri, per manovrare le donne a piacimento. Sapevo di piacere e ne avevo sempre approfittato, avevo assoggettato chiunque mi servisse. 
Adesso però mi piaceva avere e possedere lei, era diverso, molto diverso e a tratti disturbante.
Davvero molto disturbante. 
Mi staccai dal suo seno, rimasi per un istante con la mia pelle sulla sua e ne sentii l’odore, cercai di respirare con calma, ma poi tornai a succhiarle il collo, a divorare la sua pelle calda e percepire il sangue che scorreva veloce nelle vene.
Le passai la mano tra i capelli, tirandoli lentamente e sempre con maggiore violenza, nel mentre la osservai e la sentii gridare leggermente.
Allora la guardai fissa, finché non ricambiò lo sguardo, le mie dita stringevano con violenza le sue ciocche scure e sinuose.
Sorrise sfacciatamente.
Giocava con me.
Le misi le dita vicino alla bocca, volevo farla smettere, toglierle quel sorriso, ma lei mi morse e mi succhio’ le dita con ardore.
Sorrisi anche io.
Avevo davvero voglia di sentire quel calore di fuoco e passione che era la sua vagina. La bocca, le labbra, la lingua calda: niente mi era bastato poco prima, avevo voglia di prenderla, penetrarla a sangue e immergermi in quel suo liquido caldo e avvolgente. 
Lei non desiderava altro e questo mi eccitava.
L’avevo cambiata, l’avevo avvelenata tutta e ora, così, era solo mia. Era sempre stata malsana, ma adesso lo era ancora di più. 
E mi piaceva ancora di più.
La presi subito, con tutta la forza che mi veniva, per sentirne il sangue, per farla diventare sempre più un essere solo mio. 
E per un pezzo non pensai all’ Horcrux.
 
 

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Capitolo 19
*** Il rumore del mare ***


Dal grimorio di Bellatrix : “Il rumore del mare”


Questa volta iniziai ad indebolirmi molto più velocemente delle volte precedenti, non capivo se fosse per via di incantesimi più potenti che mi succhiavano via tutta l’energia, oppure perché il mio fisico stentava a recuperare velocemente ciò che impiegava per la magia oscura.
Riuscivo a tenermi su abbastanza bene solo grazie alle pozioni che mi aveva ceduto e insegnato a preparare il mio maestro. Non era comunque facile: avevo la netta sensazione che quel sostegno artificiale potesse smettere di fare effetto da un giorno all’altro. Mi sentivo un involucro forte, ma all’interno un flusso di energia che man mano svaniva sempre più.
Naturalmente non ebbi mai nemmeno un cedimento, andai avanti con tutti gli insegnamenti e gli incantesimi che il mio Signore mi faceva apprendere e poi pretendeva da me.
Vedevo molto bene come anche lui fosse indebolito e provato, per questo avevo pensato che, probabilmente, aveva innalzato la difficoltà e la potenza degli incantesimi. Con una differenza: mentre io impiegavo tutto fino in fondo, lui spesso si frenava e mi lasciava fare, forse si preservava per qualcosa di ancora più forte.
I momenti passati con lui, lontani da tutti, restavano comunque quelli intimamente più belli, nonostante la fatica e gli sforzi.
Facevamo l’amore meno spesso, forse per via del troppo impegno sulla magia, ma il tempo condiviso era di gran lunga maggiore, e le volte in cui mi prendeva, all’improvviso, nel mezzo degli elementi e della natura, erano straordinariamente intense.
Io spesso non me lo aspettavo, era sempre una delle persone più imprevedibile che avessi mai conosciuto. Questi suoi assalti improvvisi e prepotenti, mi facevano sentire la sua passione e la sua potenza, sentivo di appartenergli in tutto e questa cosa mi piaceva, mi facevano sentire anche protetta e desiderata.
Da lui.
La difficoltà insomma, stava solo nella magia, stavo imparando a dominare l’elemento acqua, o almeno ci provavo: tanto il fuoco mi era congeniale, tanto l’acqua la trovavo davvero difficoltosa e sfuggente e ci impiegavo tempo e concentrazione. Era impetuosa e terribilmente difficile da controllare, richiedeva uno sforzo estremo, eppure donava un fortissimo entusiasmo e un’ebrezza enorme di potere.
Vi erano poi momenti straordinari che questo elemento sapeva creare: le sorgenti di acqua calda dove, insieme al mio maestro, ogni tanto potevamo immergerci per ritrovare energia e calore.
Erano momenti davvero magici, quasi mistici, nella notte, nascosti nell’oscurità, le ore passavano lente e l’energia tornava a fluire nel corpo.
Amavo potergli stare così vicina, vederlo mentre cercava di rigenerare le sue forze e io facevo la stessa cosa con le mie.
Guardavo il suo corpo e per la prima volta lo potevo osservare per ore e ore, senza fretta, iniziavo a percepirlo tramite l’acqua in cui eravamo immersi. Cominciai così a capire la profondità e la sensibilità del nuovo elemento che fino a quel momento mi era sempre sfuggito. 
Naturalmente, osservando così tanto il mio maestro, vedevo comunque bene la realtà di cosa stava succedendo: vedevo la sua magrezza sempre estremamente pronunciata, vedevo i suoi muscoli tirati, sotto la pelle pallida, il viso scavato. Lui non sembrava farci caso, non se ne interessava, cercai anche io di concentrarmi su altro.
Mi incantavo a vedere i capelli bagnati ricadergli scomposti sul viso, la trovavo sempre bello, non mi capitava mai di vederlo così, poi mi soffermavo sulle gocce d’acqua che gli sfioravano le labbra, si fermavano a lungo lì sopra, come avrei voluto fare io.
Fino a quel momento le giornate erano state, per me, molto belle, nonostante la fatica, i dolori e le sconfitte.
I ritorni al Quartier Generale poi, erano sempre pieni di sesso e dei suoi intrighi di potere. Questi ultimi mi annoiavano e li seguivo sempre da lontano, forse anche un po’ distratta. Lui li gestiva in modo magistrale, dando ordini ai Mangiamorte e manovrando nell’ombra mille questioni politiche a me incomprensibili.
La sua vita andava avanti su due binari: il potere e la magia oscura.
Sapevo comunque che aveva in mente qualcosa di difficile e pericoloso e non avrebbe cambiato i suoi piani.
Iniziai a capire che si era deciso quando mi disse di rallentare con gli incantesimi, di dedicarmi maggiormente alle mie prove in autonomia e notai che preservava maggiormente la sua persona da sforzi eccessivi.
Sulle prime mi preoccupai per lui, anche senza sapere esattamente cosa volesse fare, sapevo che sarebbe stato dannoso, ma poi la fiducia che avevo nei suoi confronti mi persuase a fare esattamente come mi chiedeva, senza drammi e ansie.
Una mattina, stavo ancora dormendo nel caldo del mio letto, quando mi svegliai sentendo il Marchio Nero bruciare forte, ancora confusa dal sonno lo guardai nel buio e lo baciai, come se potessi risvegliarmi con lui, baciare lui.
Se appoggiavo il viso sul Marchio Nero sembrava di sentire il suo sapore sulla mia pelle, mi eccitava da morire quel tatuaggio sul braccio, tanto che feci fatica a distaccarmi dai miei pensieri erotici.
Mi alzai solo perché dovevo raggiungerlo, mi vestii, mi lavai il viso e mi pettinai. Guardandomi allo specchio iniziai a notare che anche io avevo il viso piuttosto scavato, gli occhi più cupi e sinistri. Mi dispiacque non aver tempo di osservare attentamente i cambiamenti che faceva in me, lentamente, la magia oscura, era ciò che avevo cercato per anni davanti allo specchio, ma lui mi voleva e dovevo andare.
Misi un pochino di povere minerale sugli occhi e dell’altra sulle labbra, poi mi smaterializzai da lui.
Appena gli fui davanti gli feci un inchino col capo, mescolato ad un sorriso radioso: ero sempre così contenta di vederlo.
“Buongiorno, mio Signore, mi avete chiamata?”
Lo trovai però più distante, più preso da se stesso. Capii che era una giornata particolare, che probabilmente si era risolto di fare ciò che aveva in mente da tempo.
“Sì, Bella, come ti ho detto già, penso tu mi possa essere utile con le tue conoscenze e capacità, verrai con me, ma pretendo discrezione, non ti devi impicciare in nulla di ciò che farò, siamo d’accordo?”
Annuii senza aggiungere nulla, era serio e distante, capii che dovevo limitarmi ed essere la sua migliore Mangiamorte e lo feci.
Restai quindi in attesa, guardandolo. La luce della mattina accentuava il suo pallore, era vestito tutto di nero, con abiti stretti, che assottigliavano ancora di più il suo fisico, solo una cosa particolare spiccava: il medaglione di smeraldo e oro. La pietra gli ricadeva sul palmo della mano, mentre la catena era stranamente attorcigliata al suo polso, un suo strano modo di portare un medaglione.
Non parlava e spesso sfiorava la bacchetta, sembrava accarezzarla.
Insomma si stava preparando e concentrando, era proprio venuto quel giorno, sicuramente avrebbe fatto qualcosa di potente, quelle cose che mandavano lui e la sua magia oltre tutto e tutti, per cui era sempre tanto affascinante e potente.
Cose che sbaragliavano ogni limite consentito e andavano al di là.
Cose che lo portavano farsi del male, anche molto male.
“Ti sei incantata, Bella? Vogliamo andare?”
Sorrisi perché davvero mi ero incantata. Guardarlo, pensarlo, cercare di capirlo… mi incantavo sempre davanti lui, che comunque rimaneva sempre un grande e affascinante mistero.
Mi sorrise anche lui, un sorriso inaspettato e appena accennato. Aveva capito che davvero mi ero incantata davanti a lui e gli era sfuggito il suo sorriso ironico e malizioso, tipico di quando lo facevo sentire speciale. 
Speciale e unico e non solo per la sua magia.
Senza più dire una parola, mi afferrò e ci materializzammo velocemente in un luogo a me sconosciuto, vicino ad una scogliera quasi a picco sul mare. 
Lui non sembrava affatto estraneo a quel luogo, si muoveva senza problemi.
Il mare rumoreggiava arrabbiato poco lontano da noi, il vento portava con sé la salsedine e l’odore dell’acqua gelata e della schiuma delle onde impetuose che sbattevano contro gli scogli. Quel vento forte ululava ovunque attorno, correva fra le rocce a picco sul mare e mi sferzava incessantemente sui capelli, quasi non riuscivo a tenermi ferma tanta era la sua violenza.  
Non appena il mio Signore mi sciolse dalla stretta delle sue braccia dopo la materializzazione, sentii ancora più freddo e vento.
Lo guardai per capire cosa desiderasse da me. 
“Devi trovarmi una vittima sacrificale. Un lavoro ben fatto, veloce e pulito.”
Sgranai gli occhi: eravamo in un posto isolato e sconosciuto, non vi era anima viva in quel luogo inospitale e lui mi chiedeva una vittima. Inoltre dovevo essere anche veloce. 
Non avevo idea di come fare, dove cercarla questa vittima.
In ogni caso annuii, pronta a fare esattamente ciò che mi veniva ordinato.
Trovai ciò che mi aveva richiesto, pur faticando non poco, gli portai un Babbano che non capì nemmeno cosa gli stavamo per fare e lo lasciai solo per il suo incantesimo, non chiesi nulla, non volli sapere nulla perché capivo perfettamente che non ne avrebbe mai voluto parlare. 
Ciò non significava che non avessi intuito, immaginato e forse capito, ma preferii spegnere il cervello, fingere di non sapere e continuare a servirlo per come mi chiedeva e per come aveva bisogno. 
Potevo facilmente informarmi seguendo le mie supposizioni e verificare sui tanti libri a disposizione: non lo feci mai. Preferii fare come mi veniva richiesto da lui, semplicemente lo assecondai.
Non mi fu facile comunque. 
Attesi lungamente che terminasse l’incantesimo, un incantesimo che per riuscire nel modo voluto richiese ore, ore passate in sua attesa in un posto selvaggio e inospitale, sola e senza spiegazioni. 
Nonostante questo non mi mossi e non mi inquietai mai.
Solo quando lo vidi tornare mi abbandonai ad un sospiro di sollievo. Sollievo che durò poco, giusto il tempo di osservarlo, di guardarlo anche da lontano. 
“Ma che avete fatto, mio Signore?” 
Questo fu quello che pensai, desolata.
Mi morsi lingua e labbra per non proferire parola. Per non chiedergli nulla.
Mi avvicinai. Non portava più il medaglione al polso, lo teneva al collo con la camicia leggermente aperta. Il vento sferzava freddo, io portavo pesanti vestiti di lana, lui sembrava nemmeno accorgersene.
La sua figura, già magra precedentemente, era ancora più emaciata e sembrava debole, ma forse era solo una mia impressione perché avanzava, pallido come un fantasma, ma senza un minimo cedimento nonostante l’energia usata per l’incantesimo.
Le mani erano arrossate, sembravano appena pulite da una quantità copiosa di sangue, sul viso e sul collo era sudato, le labbra erano violacee e contratte. Mi decisi a guardarlo meglio in viso, negli occhi.
I suoi bei lineamenti sembravano come leggermente dissolti, stanchi, sfibrati, totalmente privi di energia, il pallore davvero estremo del viso metteva in risalto gli occhi cerchiati da occhiaie profonde e scure.
La cosa più inquietante però erano questi occhi completamente rossi.
Non avevo mai visto iridi di quel colore, mi impressionò non poco vederlo così, spesso notavo screziature di rosso, ma mai quel rosso era stato tanto intenso e completo prima d’ora.
Le pupille erano strette, sembravano aghi, gli occhi erano totalmente inespressivi persi in una calma artefatta. Pensai che fosse dovuto al laudano, che aveva un effetto potente, ma non sapevo se lo avesse preso quella mattina, potevo solo immaginalo. Questo pensiero però mi consolò: pensai che in quel modo non doveva soffrire troppo delle conseguenze di quell’incantesimo.
Io ne soffrivo invece, perché vederlo così mi faceva male.
“Mio Signore, avete finito qui? Possiamo rientrare?”
Vidi che rimase spiazzato dalle mie parole, lui era forse già proiettato in avanti sulle prossime azioni.
“No, ora devi fare una cosa per me, poi io terminerò i miei compiti e tu tornerai al Quartier Generale.”
Piuttosto che lasciarlo lì, da solo, a fare chissà quale altro incantesimo, avrei fatto di tutto, ma era inutile anche solo chiedere, aveva sicuramente già progettato tutto, per cui non mi azzardai a dire nulla.
“Ditemi voi, mio maestro.”
“Devi usare ciò che hai imparato in questi mesi, devi placare le onde, darmi vari momenti di calma del mare, proprio qui, nei pressi di queste rocce.”
Mi sentii una stretta allo stomaco: avevo appena imparato a destreggiarmi con l’elemento acqua e mi chiedeva di controllare le onde di un mare quasi in tempesta.
“Mio Signore… mi avete appena insegnato… non so se…” 
Non sapevo cosa dire, non ero sicura di farcela, anzi avevo proprio paura di non farcela.
“Richiede un’energia straordinaria, che in questo momento mi risparmierei volentieri di utilizzare. Tu sei riposata e pronta per farlo, ti ho preparata in queste settimane anche per questo.”
Quelle parole, dette con freddezza e distacco mi diedero comunque un po’ di fiducia. Forse percepii che era il suo modo di fidarsi di me, contava su di me e non potevo deluderlo ora.
“Pensate possa farlo, mio Signore?”
Glielo domandai ancora, ma già stavo pensando a come riuscirci, non avevo più paura.
“Sei qui per questo.”
Annuii lentamente, concentrandomi.
Lui, senza parlare, si avviò verso le rocce a picco sul mare e io lo seguii, lì vi era un varco fra gli scogli ,che portava ad una grotta dove si infrangevano le onde. Più avanzavamo, più il vento che si alzava dal mare arrivava a noi, mescolando odori e sapori di aria, acqua e sale. 
Lo seguii fino ad un certo punto, quando mi disse di fermarmi estrassi la bacchetta dal fodero, pronta per l’incantesimo.
“Bene, quando avrai fatto ciò che ti ho chiesto, potrai andare. Io qui continuerò da solo.”
Mentre pronunciava quelle parole il vento soffiò violento portando la salsedine del mare addosso ai nostri corpi, i miei capelli volavano dappertutto, li sentivo umidi e gelati.
Lui aveva una camiciola mezza aperta, che batteva ad ogni folata conto il suo petto e non sembrava nemmeno percepire il freddo, il medaglione gli vibrava alla base del collo quasi fosse vivo, era tutto tremendamente strano e inquietante.
Mi guardava con quegli occhi terribili e rossi, i capelli frustati dal vento creavano un contrasto meraviglioso con quello sguardo da inferno.
Lo guardavo e sentivo l’odore del mare arrabbiato, in quel momento così tormentoso e pericoloso mi sentivo un fremito forte e violento corrermi fra le gambe, nello stomaco, lungo tutta la colonna vertebrale. Era il desiderio che era nato in quell’istante e mi entrava nel midollo e saliva verso il cervello.
Quel fremito si trasformò in un momento di eccitazione fortissima, pressante nelle mie viscere. Lo desideravo da morire, volevo fare l’amore con lui, lì in quel momento pazzesco.
Feci una sforzo immane per reprimermi. Cercai di bloccare tutti i miei pensieri e sentimenti.
Non parlai più e non risposi, semplicemente raccolsi tutta la mia energia e iniziai l’incantesimo.
Non pensai nemmeno più di non farcela, gli liberai la via come mi aveva chiesto e, infine, tornai al Quartier Generale, perfettamente ligia a ciò che mi aveva ordinato.
 

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Capitolo 20
*** Sei ancora qui? ***


Dal grimorio di Bellatrix : “Sei ancora qui?”


Non avevo parlato e non avevo chiesto nulla, ma non significava non fossi preoccupata, al contrario. Per come lo avevo visto a seguito del rito magico e per il mistero di cosa volesse fare dopo, non avevo da stare tranquilla e rilassata.
Tornata al quartier generale, come prima cosa, decisi di far passare il tempo: mi cambiai molto velocemente gli abiti umidi e freddi, feci in modo di non farmi vedere da nessuno, non avevo voglia di parlare. Poi mi recai nella stanza dove ero certa sarebbe tornato il mio maestro, non appena avesse terminato ciò che stava facendo.
Lui non mi aveva chiesto nulla, ma decisi comunque di aspettarlo, da sola, nel caso avesse avuto bisogno di me. Io sola potevo e sapevo aiutarlo.
Accesi il fuoco nel camino e, anche grazie agli abiti asciutti che avevo indossato, mi scaldai subito, mi sciolsi per bene i capelli ancora umidi, e mi misi accanto alle fiamme.
Attesi.
Passò molto tempo prima di vederlo ricomparire, a pochi passi da me, sempre più pallido. Portava un mantello fin troppo leggero sulle spalle e non aveva più il medaglione addosso.
Fu un sollievo non vedergli più quel ciondolo sottomano: era ossessionato da quei maledetti oggetti simbolici che io trovavo insignificanti, questa ossessione portava solo male. Non vedendo più il gioiello, dunque, avevo intuito che tutto quell’incubo era finito.
“Sei ancora qui?”
“Vi ho aspettato, mio Signore, volevo assicurarmi che steste bene.”
Mi guardò teso, era tornato ad essere dubbioso, scontroso freddo e distaccato. Sperai di non dover ricominciare tutto da capo, di non dover riconquistare la sua fiducia come se nulla tra noi si fosse mai evoluto in un rapporto più stretto.
Quell’incantesimo devastatore avrebbe anche potuto riportarci indietro di anni e questo pensiero mi spaventò non poco.
Continuai ad attendere una sua risposta con ansia.
“Sto bene.”
Disse solo quelle due parole, ma guardandomi fisso negli occhi, allora capii che non avevamo perso tutto, forse qualcosa, ma non tutto.
Un pochino più rassicurata, mi accinsi ad uscire dalla stanza e lasciarlo solo, ma lui aggiunse qualcosa che mi fece decidere di restare.
“Per ora sto bene, ho solo bisogno di riposare per qualche minuto.”
Non so, ma sembrava, sembrava soltanto, che quasi volesse che restassi lì.
Mossi la bacchetta per spostare una grossa poltrona accanto al fuoco.
“Forse un po’ di calore vi aiuterà, siamo stati sempre al freddo, voi più ancora di me.”
Lasciò cadere il mantello a terra, e sì adagiò sulla poltrona. Appoggiò la testa allo schienale chiudendo gli occhi, si era fatto silenzio fra noi e tutto intorno, non mi mossi, sperai volesse dormire, non dissi nulla, quel giorno passammo momenti pieni di silenzi. 
Dopo un po’ di tempo mi avvicinai sempre silenziosamente e mi misi seduta accanto a lui, sul tappeto dove tempo prima avevamo fatto l’amore. Sorrisi, quel pensiero così intimo e i ricordi ad esso legati mi diedero coraggio, mi avvicinai appoggiando la testa, delicatamente, sul suo ginocchio. Lui non disse nulla, forse dormiva davvero, o forse non gli dava fastidio.
Chiusi gli occhi anche io e rimanemmo così a lungo.
Era tornato tutto bello, era tornato il fuoco ed eravamo di nuovo vicini.
Persi la cognizione del tempo, ascoltavo solo il fuoco scoppiettare nel camino, mi trasmetteva calma, rimasi tranquilla in quella posizione a lungo, sentendomi protetta da lui, finché improvvisamente il mio maestro non si agitò. 
Allora dovetti affrontare di nuovo il caos, mi staccai da lui e lo guardai: era inquieto e sofferente, stringeva gli occhi.
“State male, mio Signore?”
 Mentre chiedevo queste cose, mi alzai in piedi, lui annuì senza parlare.
Non mi aveva detto nulla su come far fronte a un imprevisto simile, io scioccamente non gli avevo chiesto nulla, troppo impegnata a pensare all’amore. Immaginai che fossero le solite debolezze che comportava l’uso della magia oscura.
“Mio Signore, forse se vi sdraiate state meglio, vi preparo una pozione? Qualcosa?”
Annuì ancora e si alzò reggendosi alla poltrona, mi avvicinai per aiutarlo, ma mi allontanò e fece da solo. Gli stetti comunque vicino finché non si gettò letteralmente sul divano, stringendosi le tempie.
“Mio Signore, cosa devo fare?”
Dissi quelle cose con voce tremante, le cose peggioravano velocemente, lo vedevo sempre peggio, pallido, sofferente, iniziava a sudare e non mi parlava.
Mi sorpresi a pensare arrabbiata cosa mai fosse andato a compiere e perché: stava bene, stavamo bene, aveva il potere che desiderava, non capivo per quale motivo doversi fare del male, di proposito e fino a quel punto.
Andare sempre oltre, e doversi ridurre così.
Mi faceva arrabbiare, sapevo che osavo tanto a pensarla così, ma mi faceva arrabbiare.
Mi distrassi dai miei pensieri inquieti non appena lo vidi stringersi forte la testa e gridare, allora domandai di nuovo cosa potevo fare, quasi urlai perché non mi rispondeva.
Poi alzò i suoi occhi verso di me, palesemente occhi distrutti… dal rito e dal male di quel momento. Ugualmente il suo sguardo mi trapassò il cervello.
“Faccio da solo.”
Quella risposta mi fece davvero innervosire, davvero tanto: perché doveva sempre fare tutto lui da solo, quando era chiaramente in difficoltà e stava male, mentre io ero lì apposta per aiutarlo?
Era ostinato e quel suo modo di essere faceva soffrire entrambi.
Provai ad impuntarmi.
“Mio Signore, ditemi cosa devo fare, posso servirvi io, come desiderate.”
Ero così arrabbiata che la mia voce risultò ferma nonostante quegli occhi su di me.
Mi guardò, tenendo le mani ai lati della testa, fece un cenno al tavolino con il cassetto, dove sapevo esserci mille medicamenti.
Mi voltai e nella fretta aprii bruscamente, facendo rumore, rotolarono talmente tante boccette che mi bloccai, non avevo idea di quale gli servisse.
Lui stava male, lo sentivo che non riusciva nemmeno a stare fermo, ma per me era tutto sconosciuto, persi tempo, allora per la prima volta mi rivolse la parola.
“Bella, ti devi muovere se vuoi davvero servirmi, mi si tra lacerando la testa, sembra che il cervello si voglia rompere in due.”
Mi mise paura con quelle parole.
“Cosa volete? Qui c’è di tutto, mio Signore.”
Sì inquieto’ palesemente, si trascinò accanto a me e trovò una fialetta.
“Prepara la siringa, al resto penso io.”
Facemmo tutto in pochi istanti, nonostante stesse male fece quasi tutto da solo per davvero, mi disse solamente di stringergli il polso con le dita, vidi la vena ingrossarsi, appena il tempo di spingere dentro il liquido e tutto quel disastro terminò quasi di colpo.
Il mio maestro si appoggiò ai piedi del divano, seduto a terra, si rilassò e si tranquillizzò subito. Lasciai stare tutto com’era, appoggiai la siringa a terra e mi appoggiai anche io, poco lontano da lui.
Sapevo di doverlo lasciare tranquillo per vari minuti, lo guardavo, teneva gli occhi chiusi, respirava lentamente, era pallido. 
Avrei voluto accarezzargli i capelli scompigliati, asciugargli il sudore, baciarlo. Dirgli di smetterla di voler oltrepassare per forza ogni confine, rompere qualsiasi divieto.
A cosa gli serviva quella smania?
Naturalmente non feci nulla, e non dissi nulla, non volevo certo contraddirlo, farmi mandare via, dopotutto forse ero io che non potevo capire.
Non pensavo, prima di vedere tutto il caos di quei momenti, che un incantesimo oscuro potesse fargli davvero così male, diceva che sembrava gli si strappasse il cervello, cercai di non pensare a cosa si era strappato lui da solo poco prima, con la magia oscura. 
Non mi impressionava il rito oscuro, quello no, mi preoccupava il suo dolore.
Sospirai stancamente, non potevo che fidarmi di lui, e allora lo guardai ancora.
Rimasi qualche istante ferma, mi rilassai, pensai a quanto fosse bello anche in quello stato, si era sciupato molto, tutto in pochi momenti, ma lo trovavo sempre affascinante, anzi, in un certo senso forse più ancora di prima.
Lo vedevo più inafferrabile e sfuggente, e questo mi metteva una strana inquietudine nel cuore, mi faceva eccitare sempre.
Intanto attorno nella stanza si era fatto ancora silenzio, sperai che fosse davvero tutto finito e così sembrava. Osservai ancora il mio maestro, lui era sempre fermo, pareva di nuovo tranquillo, non badava minimamente a me.
Improvvisamente un desiderio si fece strada nel mio cuore e nella mia mente. Rimasi zitta e ferma come a valutare le mie vere intenzioni, dopo poco mi spostai cautamente, lenta e senza fare rumore.
Mi avvicinai a lui. 
Arrivai così vicina che quasi potevo sfiorarlo, ma non lo baciai, lo guardai accarezzandolo con lo sguardo, poi con molto garbo gli sistemai i capelli che erano caduti davanti agli occhi, come una carezza.
Fu un attimo tutto mio, perfetto.
Purtroppo fu solo un attimo che mi ritagliai tutta quella splendida intimità, perché poco dopo bussarono alla porta.
Improvvisamente tornai alla realtà del momento di emergenza che stavamo vivendo. Guardai ancora per un attimo il mio maestro, non accennava a muoversi, dunque lo lasciai tranquillo, decisi di risolvere io il problema e mi alzai dal pavimento quando già stavano bussando per la seconda volta.
Aprii cautamente e mi misi davanti per non far entrare nessuno, trovai Dolohov davanti all’uscio che mi interrogò con sguardo molto torvo.
“Cosa sta succedendo? Ho sentito molti rumori, so che l’Oscuro Signore è tornato.”
Lo guardai molto male.
“Sì certo, è tornato, ma cosa vuoi sapere? Non sono affari tuoi, se non sei chiamato, non ti presentare.”
Speravo se ne andasse velocemente, invece continuò, come se avesse sospetti su qualcosa.
“Sei diventata forse l’unica ad avere accesso alla persona del Signore Oscuro? Hai fatto carriera velocemente.”
Non risposi alla provocazione, prima di tutto mi interessava se ne andasse, inoltre queste battute sulla mia relazione con l’ Oscuro Signore in realtà mi facevano piacere.
“Se hai bisogno di lui lo cercherai in un altro momento, quando sarà disponibile, non puoi certo pretendere sia sempre pronto per parlare con te.”
“Ora pensi anche di poter parlare per lui? Chi credi di essere?”
Capivo che non aveva argomenti o necessità con cui controbattere, ma non voleva nemmeno cedere, rimaneva in piedi fuori dalla porta contrariato dal fatto che gli stavo sbarrando la strada.
“Forse non capisci che al momento non sei gradito? Non sei richiesto, non sei gradito, come te lo devo dire?”
Indietreggiò, ma non se ne andò ancora.
Stava forse per aggiungere altre cose, quando sentii accanto a me, leggermente arretrato, il corpo del mio maestro sfiorare il mio, poi appoggiarsi quasi. Sentivo il suo calore sul mio, il suo odore, subito dopo sentii la sua voce fredda e tagliente alle mie spalle.
“Vedi, Bella, il nostro amico non ha nessuna persona con cui impiegare il suo tempo, dunque viene a disturbare il suo Signore in momenti poco consoni.”
Vidi Dolohov irrigidirsi, strinse leggermente i pugni e deglutì, insomma accusò il colpo, ma cercò di non darlo a vedere.
Mi girai per guardare il mio Signore orgogliosa, gli feci posto accanto a me, senza allontanarmi.
Pareva perfettamente normale, come sempre lo avevamo visto, non aveva più l’ombra di nulla, un sorriso ironico capeggiava sulle sue labbra mentre seguitava a prendere in giro uno dei suoi Mangiamorte di fiducia.
Sempre più pallido e con gli occhi leggermente più rossi del solito, parlava come se nulla fosse accaduto, come se pochi istanti prima non fosse stato completamente stravolto sia per l’ incantesimo terribile di magia oscura, sia per gli oppiacei sparati direttamente in vena.
Io invece capivo tutto di lui, tutti i segnali che denotavano quanto fosse diverso: era più loquace del suo solito e quel modo di avvicinarsi e appoggiarsi, quasi di reggersi accanto a me, tutto mi faceva capire quanto in realtà fosse confuso e instabile.
Dolohov non ci fece caso, sembrava tranquillizzato anche se intimidito dalla comparsa del Signore Oscuro.
Il mio maestro rincarò la dose.
“Non sai capire, Dolohov, che al momento non sei gradito? Se hai urgenza di parlare con me, sono qui, ma vedi di non disturbarmi per cose inutili, altrimenti sai che posso fartene pentire.”
“Va bene, mio Signore, non devo dirvi nulla di importante, avevo sentito rumori, forse li ho fraintesi, ma ero venuto ad assicurarmi che non ci fossero problemi di nessun tipo.”
“Quando ci sono io, non ci sono mai problemi, puoi stare sereno. Se non c’è altro che mi devi dire, allora puoi lasciarci.”
Fece un cenno cordiale di saluto ad entrambi e si voltò.
Non appena vedemmo Dolohov allontanarsi e sparire dietro al corridoio, rientrammo nella stanza, chiudendo la porta con un incantesimo potente.
“Meno male, mio Signore, non sapevo più come mandarlo via.” 
Mentre dicevo così lo vidi sorridere, si mise quasi a ridere alle mie parole. 
Sapevo che era una reazione indotta dalle sostanze, ma mi fece piacere, ci sentimmo complici di qualcosa di indefinito, una situazione assurda e insieme esilarante.
Sorrisi anche io per un attimo, con lui.
Non era semplice vederlo ridere, fu una sorpresa, un regalo bellissimo in mezzo a tutto quell’orrore.
Poi tornammo silenziosi.
Lentamente, con la bacchetta, fece ordine nella stanza, io dovetti sedermi perché ero stremata da tutti quei fatti e quelle emozioni.
Finito tutto, lentamente mi si avvicinò e si sedette vicino a me, avrei voluto chiedere come si sentiva, se potevo stare tranquilla, ma parlò lui per primo.
“Dolohov comunque non è uno stupido, Bella.”
Voltai lo sguardo verso il suo viso, che era tornato serio e attento.
“Mi conosce bene da quando eravamo dei semplici ragazzini, ha viaggiato molto insieme a me, conosce la mia magia e più volte ha visto che effetti può dare, anche se non ha la minima idea del punto a cui mi sono spinto, certe situazioni le ha già viste.”
Provai una certa invidia, o gelosia, verso chi aveva condiviso col mio maestro certi momenti, la gioventù e le prime scoperte, cercai di non pensarci anche se non mi fu facile.
“Pensate sia venuto per controllare, mio Signore?”
“Probabile.”
Restammo zitti per un attimo. Entrambi ripensammo, probabilmente, ai vari timori che crescevano tra i Mangiamorte, i dubbi sulla loro fedeltà, la possibilità che si creassero alleanze avverse.
“Non si accontenterà dei pettegolezzi di cui si accontenta Alecto, o gli altri giovani Mangiamorte. A lui non interessa di noi, interessa sapere di me, di cosa faccio, di come gestisco il nostro gruppo dei Mangimorte, di dove li posso portare.”
Sentii il cuore battere forte quando disse “di noi” era come se davvero esistessimo “noi” lui ed io, anche ai suoi occhi, non solo ai miei. 
“Ne avevamo già parlato, se ricordi, Bella, ora è ancor più chiaro che vanno tenuti d’occhio. Non pensavo di dovermi guardare anche da chi dovrebbe essere parte di una famiglia, invece è giunto il momento non solo di guardarmi bene dai nemici, ma di fare attenzione anche ad alcuni amici.”
“Mio Signore…” 
“Si, lo so, di te mi posso fidare... me lo hai già detto.”
Liquidò velocemente le mie dichiarazioni sincere di fedeltà assoluta, ci rimasi male.
“A breve faremo una riunione con tutti, vediamo cosa succede.”
Risposi che avrei fatto tutto ciò che mi avesse chiesto, poi lo guardai ancora. Il pallore stava lasciando il posto ad occhiaie leggere, i lineamenti erano scavati e gli occhi erano rimasti più rossi del solito, anche se ben diversi da quel rosso sangue che avevo chiaramente visto dopo l’incantesimo, quando ci eravamo incontrati sulla scogliera.
Si era sciupato e logorato molto, sembrava invecchiato di anni, ma io lo trovavo sempre bello, ancora più forte e inquietante.
Se possibile, dopo quell’esperienza, lo amavo ancora di più.

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Capitolo 21
*** Perfetti insieme ***


Dal grimorio di Rabastan : “Perfetti insieme”


Dopo l’ormai lontano pomeriggio passato insieme, quello in cui avevamo fatto l’amore, non rividi più Bellatrix per molto tempo. La incontravo più che altro di sfuggita, quasi mai a casa, più spesso in occasione di incontri al Quartier Generale, sempre veloci apparizioni e puntuali sparizioni.
Questo a dimostrare, se mai ne avessi avuto bisogno, di quanto per me fosse stato vitale quel pomeriggio passato a fare l’amore insieme, mentre a lei non fosse importato praticamente niente.
In quei mesi avevo visto poco lei, ma avevo visto poco anche l’Oscuro Signore, forse immerso nelle sue magie, forse immerso in piacevoli attività proprio con Bella, o più probabilmente entrambe le cose, come si sentiva dire dalla maggior parte dei Mangiamorte, anche quelli più vicini al Signore Oscuro.
Mentre mi disturbava molto non avere contatti con lei, non avevo risentito nel non averne più con lui. Al contrario, quest’ultima situazione aveva indispettito e impensierito molto i compagni più stretti di Lord Voldemort.
Altri ancora, capeggiati da Alecto, si arrabbiavano e irrigidivano, non tanto per la sua latitanza tra noi, quanto perché questa latitanza era strettamente legata, a detta loro, al rapporto che aveva intrecciato con la sua allieva.
Insomma, i Mangiamorte si dividevano in due fazioni: una di esse lamentava il fatto che Lord Voldemort fosse troppo impegnato in una relazione e che Bellatrix gli fosse più vicina di tutti gli altri; l’altra fazione, invece, lamentava un eccessivo impegno dell’Oscuro Signore verso la magia oscura, ritenevano possibile che questa lo indebolisse oltre misura, che lo allontanasse dalle scalata al potere e dalle questioni care ai Purosangue.
Lord Voldemort era comunque e sempre al centro dei discorsi, bene o male otteneva un’importanza che cresceva ogni giorno di più. La nostra dipendenza da lui e dalle sue decisioni e comportamenti aumentava a dismisura, eravamo tutti di una stupidità e debolezza imbarazzanti, ma così era.
Anche io ero un debole, ma sfuggivo dal giudicarmi perché, mi dicevo, io stavo lì perché lì c’era Bella. In questo modo non dovevo pensare alla mia reale condizione.
Mi domandavo anche di mio fratello: cosa avesse in testa e a che gruppo appartenesse, ma lui era insondabile, non parlava molto né con me, né con altri.
Probabilmente, percependo questa situazione di stress e malcontento, il Signore Oscuro si era deciso a indire una riunione plenaria, abbandonando così la strategia di tenerci tutti a distanza e di comunicarci le cose in sedi e momenti separati. 
Così mi trovavo lì, in piedi, da solo, in quella grande stanza con un lungo tavolo al centro, in attesa che tutti noi arrivassimo puntuali per incontrarci.
Anche mio fratello era arrivato poco dopo di me, si era appoggiato al muro vicino alla finestra, senza dire nulla, o rivolgere la parola a nessuno. 
In quel periodo era quasi sempre inavvicinabile, nervoso, arrabbiato e scontroso, io sapevo bene il motivo per il quale stava soffrendo, immagino lo sapessimo tutti in realtà, ma non riuscivo a consolarlo e anche cercare di parlare con lui era praticamente impossibile. Inoltre, ne avevo già abbastanza di me stesso e del mio soffrire per lo stesso identico motivo: Bella.
Lo lasciai dunque alla sua solitudine e mi guardai intorno nella stanza: eravamo ormai in molti già presenti e tutti in attesa, ormai era arrivata l’ora prestabilita per l’incontro.
Man mano che anche gli ultimi Mangimorte entrarono nella stanza, in coda ad essi, arrivarono anche Bella e Lord Voldemort.
Insieme.
Non sfuggì a nessuno, penso, il loro incedere tranquillo, fianco a fianco, parlando ogni tanto tra loro: gli altri attorno sembravano estranei.
Se il Signore Oscuro voleva provocare, se voleva ribadirci con forza che era lui il padrone di tutti noi, che era il capo e faceva di noi ciò che desiderava, se voleva ribadirci che ci trattava come più gli piaceva, senza preoccuparsi di lamentele e rimostranze da parte nostra, penso ci stesse riuscendo perfettamente bene.
Inoltre, più noi ci arrabbiavamo e ci inquietavamo per questo, più lui diventava forte e potente ai nostri occhi.
Alcuni Mangiamorte lo salutarono, chi con deferenza e chi con servilismo, alcuni presero posto al tavolo. 
Io mi fissai invece su Bella e Lord Voldemort, non li persi un attimo di vista dal momento in cui entrarono nella stanza.
Lui sempre bello, purtroppo. Magro, con la sua figura alta e slanciata, vestito tutto di nero, con abiti aderenti che poco si differenziavano da quelli babbani. 
Quella sua bellezza implacabile si rovinava però nel tempo, lentamente, e quel giorno appariva più sciupato del solito, scarno e coi lineamenti più duri. 
Entrò nella stanza con totale noncuranza, come se il suo unico pensiero fosse quello di parlare a Bellatrix, o forse così era parso a me, che mi rodevo di gelosia.
E poi c’era lei, la mia amata, sempre meravigliosa nei suoi abiti neri. Totalmente a suo agio a fianco del Signore Oscuro, al contrario di chiunque. Ognuno di noi, chi più chi meno, si sentiva in soggezione o addirittura in pericolo accanto a lui. Tutti mantenevamo una certa distanza, o deferenza.
Lei mai.
Non che non fosse anche lei deferente, anzi, ma ogni suo atteggiamento, ogni suo movimento e ogni suo sguardo lasciava trasparire il desiderio e l’ intimità che aveva nei suoi confronti.
Lui, del resto, dall’alto del suo carattere cupo e solitario, la provocava, la tormentava, giocava con lei, davanti a tutti noi, con parole e battute che continuamente lasciavano percepire il suo desiderio e bisogno di possesso nei confronti di lei, la sua voglia di sottometterla sempre. Era il suo gioco sessuale, probabilmente, che non si limitava a compiere quando erano in solitudine, o mentre facevano sesso insieme, ma doveva farlo spudoratamente anche davanti ai miei occhi gelosi e invidiosi. Forse provava piacere proprio a farlo davanti a tutti. 
Inoltre, la ascoltava, si consigliava con lei, cosa che lasciava spiazzati molti di noi e invidiosi gli altri.
Insomma, per un motivo o per un altro, era chiaro, non se ne separava mai.
Continuai a osservarli.
Mentre avanzavano verso il tavolo non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso, anche se mi feriva vederla al suo fianco.
Bella portava un abito scollato, ma aggraziato, ostentava un trucco bellissimo, ma anche eccessivo. Era piena di contraddizioni.
I due si guardavano parlando e non è che si sorridessero, questo no, ma condividevano un qualcosa di particolare, qualcosa che mi disturbava, che trovavo antipatico, stravagante e malato. 
Sembrava stessero giocando un gioco tutto loro, o solo suo di lui, dove tutti noi eravamo pedine mosse per divertimento sadico.
Proprio quando avevo immaginato si sarebbe seduta accanto a lui per la riunione, i due si separarono senza guardarsi, il Signore Oscuro si diresse a capotavola, Bella venne verso di noi al centro del tavolo.
Fu un attimo e la vidi accanto a me.
Prima salutò mio fratello, gli mise un braccio attorno alla vita e gli si avvicinò per un bacio sulla guancia che, più freddo e di circostanza, non poteva essere.
Rod stette al gioco, di ghiaccio anche lui, le cinse la vita e la baciò sulla guancia opposta. Poi però, vidi che la trattenne e spostò i suoi baci sul collo. Fu un gesto apparentemente istintivo, ma si percepiva un’intimità particolare fra i due, fui certo che Rod lo stesse facendo di proposito.
Infatti non fu ignorato.
Bella lasciò fare per un po’ poi si allontanò. Vidi sul collo, e sul seno, i lividi che le lasciava il suo Signore, mio fratello baciava dove aveva appena morso quell’altro.
Già, quell’altro…
Mi voltai verso la zona del capotavola, non mi sfuggì lo sguardo fisso del Signore Oscuro nella loro direzione, fu un attimo, una frazione di secondo, un lampo glaciale usciva da quegli occhi di fuoco.
Io rimasi impietrito, non me lo aspettavo. Fui l’unico ad accorgermene, forse addirittura lo immaginai soltanto.
Nel momento in cui i Signori Lestrange si erano salutati, il Signore Oscuro li aveva guardati fissamente, solo per un attimo, ma li aveva guardati in modo particolare.
Tanto che rimasi stranito.
Mi distrasse da questi miei pensieri sentire Bella al mio fianco, mi mise una mano sulla spalla per farmi voltare verso di lei, allora mi girai e la salutai con garbo, ma non feci altro.
Avrei tanto voluto baciarla, o fare qualcosa che ci facesse guardare dal Signore Oscuro nello stesso modo in cui l’aveva guardata mentre salutava mio fratello Rod, avrei desiderato tanto che rivolgesse anche a me quello sguardo… di cosa? Di gelosia? 
Chissà cosa gli passava per la testa. 
Negli ultimi tempi Lord Voldemort era cambiato, non era un cambiamento palese, ma io l’avevo notato. Fisicamente era solo più magro, ma gli occhi parlavano da soli: più rossi, cupi e inquietanti del solito, ogni volta che ti guardavano sembravano scrutarti nel profondo come quelli di una bestia selvatica, impaurita e affamata. Era affamato di segreti, di debolezze e di paure del tuo animo, le cercava entrando nella tua mente e se ne serviva al momento giusto per comandare ed esercitare il suo enorme potere su di te.
Non solo: era diventato anche più instabile, più incline agli sbalzi di umore, si faceva maggiormente trasportare dalla rabbia, che in realtà nascondeva la paura, scattava per un nonnulla.
Altrettante volte era invece più tranquillo e rilassato, non si scomponeva per niente, sembrava non vederti e non considerarti nemmeno. Non sapevi dunque mai come prenderlo, si viveva nel dubbio e nella paura di irritarlo.
Tutti… tranne lei… lei sapeva sempre come prenderlo e capiva subito quando era nervoso e quando tranquillo. Se anche veniva ripresa o rimproverata, le bastava dire con la sua voce più sensuale “Scusatemi, mio maestro.” e tutto tornava a posto.
Lui stranamente si acquietava e non insisteva ad ammonire ulteriormente colei che era stata per tanto tempo semplicemente la sua ragazzina… e che ora sembrava fosse diventata la sua donna in tutto e per tutto.
E come dargli torto?
Bella era sempre attenta a lui, dimostrava un’affettuosità e un senso di protezione che, conoscendola come tutti la conoscevamo, nessuno si sarebbe mai aspettato di vedere in lei.
Sicuramente questo a lui piaceva, lo lusingava.
Mentre la mia mente vagava su queste riflessioni, la riunione iniziò e, lentamente, ci sedemmo tutti. Bella si mise al centro tra me e Rod, ma non chiacchierammo molto. 
Io la guardai a lungo mentre sentivo il Signore Oscuro che iniziava a parlare. Durante quella riunione, avrei desiderato chiederle perché mi ignorava, perché si comportava come se nulla fosse accaduto tra noi, ma conoscevo già la risposta, ce l’avevo davanti: Lord Voldemort.
Perché sempre lui? Cosa aveva lui che io non avevo? 
Lo ascoltavo a stento, ero troppo distratto dai miei pensieri e dalla vicinanza di Bella.
Comunque non disse molto, fece parlare soprattutto i Mangiamorte, li faceva esporre situazioni, preoccupazioni e vittorie più o meno personali. Espose proposte e soluzioni, diede indicazioni su cosa fare e come agire, compiti e scadenze da rispettare.
Non fu aggressivo con nessuno, non dimostrò troppe pretese per i risultati che non arrivavano, pur incutendo timore verso chi aveva fallito qualche obiettivo.
Essendo una persona molto intelligente e razionale, sapeva bene come parlare e come gestire i suoi Mangiamorte, aveva un fascino a cui nessuno sapeva, o voleva resistere. 
Anche i seguaci più vecchi di lui, o coloro che più si erano preoccupati e lamentati delle sue assenze e problemi, sembravano rincuorati da quell’atteggiamento apparentemente più comprensivo, erano tranquilli e obbedienti. 
Nessuno pensò che stesse semplicemente studiandoci e valutando i comportamenti e le reazioni.
In sua presenza nessuno ebbe comunque il coraggio di esporre i dubbi e le domande che invece si facevano quando eravamo soli. Sicuramente per la paura che avevano di lui, ma anche perché l’Oscuro Signore li manipolava con grande intelligenza. 
Bella non parlò mai, lui non la chiamò mai in causa su niente e quasi non si rivolsero uno sguardo.
Lui, che parlava a tutti con lo stesso interesse, o così faceva sembrare, la osservava tanto quanto osservava gli altri. 
O quasi.
Lei lo ascoltava, ma si guardava anche spesso intorno, guardava tutti noi, non era chiaro a cosa si interessasse realmente. Non sembrava voler mai incrociare lo sguardo del suo maestro, cosa che successe solo pochissime volte.
Ero così attento e così geloso, che non mi sfuggirono quel paio di sguardi particolari tra i due, era così forte l’elettricità che emanavano, che mi sembrò di poterla toccare.
O era la mia immaginazione?
Guardai Bella in entrambi i momenti: era assolutamente normale esteriormente, ma mi sembrò che quasi non respirasse per quei pochi istanti, tanta era l’emozione e l’attrazione.
Sembrava che il suo corpo fremesse sotto lo sguardo di lui, incapace di trattenersi dal rispondere a quel desiderio dirompente.
Ero sicuro perché le guardavo il seno e non solo percepivo come respirava, ma vedevo anche i suoi capezzoli ingrossarsi, la pelle tendersi e prendere colore, le mani che sfioravano le scapole mentre si accarezzava con un tocco leggero e guardavo ancora i lividi. Erano sul collo, ma continuavano come tanti piccoli e grandi ematomi sulla pelle, e continuavano molto più in basso di quanto il vestito lasciasse intravedere.
Mi facevano impazzire quei lividi. 
Spostavo lo sguardo su Lord Voldemort a capotavola e li immaginavo mentre facevano l’amore insieme, mentre lui le succhiava il collo, le spalle, il seno, le succhiava i capezzoli e la penetrava e la possedeva tutta. 
E lei godeva, godeva tantissimo, perché lo amava talmente tanto, che non poteva che essere così.
Ero certo. 
Chissà cosa le faceva lui, il suo Signore, il suo maestro, per farla godere così tanto, ma così tanto che lei ne era travolta e stravolta e a noi altri poveracci, non ci vedeva neanche.
Chissà cosa le faceva lui, che io non sapevo fare e che probabilmente non avrei mai saputo fare.
Questo pensiero mi ossessionava sempre di più. Più pensavo e più mi veniva un groppo alla gola.
Guardavo lui e poi guardavo lei, se la osservavo bene potevo percepire quanto lo amava e lo desiderava anche lì, in quel momento. 
Vedevo quanto lei ora facesse finta di nulla, si fingeva attenta, ma non desiderava altro che chiudersi in quella stanza con lui e farsi sbattere in continuazione. 
Quante volte lo facevano?
Dove stavano? In piedi, o sul letto, sul divano, per terra… non lo so, la mia mente vagheggiava sul dove, sul come. 
La mia testa esplodeva, non sentivo assolutamente più nulla delle parole di quella riunione, notai che il Signore Oscuro si era rivolto per un attimo dalla nostra parte, ma non ci badai, non feci altro che guardare fissamente lei al mio fianco. 
Nemmeno Rod disse nulla, sentii che rispose lei per noi, il suo solito “Sì, mio Signore.”
Avevo sotto gli occhi quanto era languida, piacevolmente sottomessa, ci provava proprio piacere a stare sottomessa a lui. 
Bella, che con chiunque sapeva essere dura e prepotente, egoista e volitiva, orgogliosa e irraggiungibile, che non si piegava mai a nessuno e se mai piegava tutti alla sua volontà, davanti a lui cambiava profondamente. 
Il suo animo più nascosto, il suo animo più intimo di donna, chiedeva con bisogno e infinito desiderio un uomo più adulto, più forte, la cui volontà era di molto superiore alla sua. Solo a lui si sottometteva, si abbandonava senza remore, si lasciava andare con tutto il piacere che sapeva esprimere.
Una donna così forte poteva desiderare solo un uomo ancora più forte, dovevo capirlo.
Da lui si sentiva protetta e guidata, si sentiva valorizzata in tutto il suo potenziale, cosa avrei potuto saper valorizzare io, di lei, che sono infinitamente più fragile e sciocco?
Lui le faceva sentire tutta la sua forza, la sua potenza, la sua superiorità, lui era capace di travolgerla, solo lui, maledizione, era capace di ciò, la sua mente, il suo carattere, la sua magia, tutto era di una forza violenta e prorompente e lei si scioglieva davanti a tutto questo.
Sembrava fatto per domarla e dominarla esattamente come piaceva a lei.
Lo faceva ogni attimo della sua vita e lo faceva, sicuramente, in ogni attimo della loro vita sessuale. In ogni gesto, in ogni stretta, in ogni spinta, in ogni parola, sconcia, sporca, violenta, che le sussurrava con quella voce di serpente.  
Lei sicuramente provava un piacere forte e sfrenato, un piacere che solo lui riusciva a darle.
Ciò che era successo tra Bella e me non era nemmeno un pallido ricordo nella mente di lei, era un atto sbiadito e incolore a confronto con la passione e la perversione di Lord Voldemort.
Ero così distrutto dai miei stessi pensieri che ebbi paura mi scendessero le lacrime davanti a tutti.
Continuai comunque a guardare verso di lei: ormai al termine di quell’incontro si era concentrata di più su Lord Voldemort.
Ora era ancora più palese come ogni parola e movimento del suo maestro le faceva effetto: lo leggevo dallo sbattere delle sue palpebre, dai suoi respiri, dall’inquietudine dei suoi movimenti, dalle dita che si arrotolavano sui capelli e del mordersi le labbra.
Aveva il desiderio nello sguardo, anzi, l’amore.
La volevo e la amavo da quando era una ragazzina di scuola, ora era più che mai irraggiungibile a causa del suo Signore.
Mi resi conto più che mai che io facevo parte di quella schiera di Mangiamorte, forse i più stupidi, che si inquietavano e si arrabbiavano perché infondo, quei due, nonostante le apparenze, nonostante l’Oscuro Signore stesso, che sembrava totalmente incapace di amare, loro due erano perfetti insieme, tanto da suscitare invidie e gelosie attorno.

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Capitolo 22
*** Io mi fido di lui ***


Dal grimorio di Rodolphus: “Io mi fido di lui”


Finalmente l’avevo accanto a me e non me la sarei fatta sfuggire, non le avrei permesso di allontanarsi e di ignorarmi ancora.
Bella mi evitava platealmente da mesi e mesi, non rincasava quasi mai a orari precisi, restava poco tempo, giusto per mangiare, spesso era fuori la notte; quando c’ero io non c’era lei e viceversa e quelle volte che eravamo entrambi al palazzo, lei dormiva in una stanza per conto proprio.
In poco tempo, il nostro matrimonio felice, il nostro rapporto d’amore un tempo così intimo, forte ed entusiasmante, si era trasformato in un fallimento totale, in un allontanamento perenne che non lasciava più spazio per nulla di diverso.
Ne ero devastato, dovevo ammetterlo, non riuscivo nemmeno ad affrontarla, se da una parte lei mi sfuggiva, dall’altra io non la cercavo per davvero, avevo paura di affrontarla, stavo male, soffrivo enormemente e non riuscivo a venirne fuori. 
Mi aveva veramente stregato, ero tanto innamorato di lei, ma talmente tanto che non capivo nemmeno io come fosse potuto succedere e come fosse possibile che quell’amore non finisse nemmeno di fronte alla realtà dei fatti: lei amava un altro e non mi considerava quasi più.
La mia vita interiore era diventata un incubo.
Quel pomeriggio ebbi una possibilità di confronto: alla riunione con tutti i Mangimorte, lei era lì accanto a me e qualcosa dovevo dirle.
Era difficile, molto più difficile di quanto immaginassi. Ero arrabbiato e in ansia, le mani erano gelate e sudavano allo stesso tempo, il cuore mi batteva veloce.
Appena la vidi la osservai, ma cercando di non farmi scorgere.
In un primo momento sperai di odiarla e sperai che quel sentimento fosse forte a tal punto da provare anche disgusto per lei, ma quando mi si avvicinò capii che non era affatto così, purtroppo.
Non appena sentii il profumo dei suoi capelli, il calore delle sue labbra sul mio viso, il suo sguardo penetrante e appassionato, capii che non la odiavo affatto, ma seguitavo ad amarla.
Mi fece l’ennesimo affronto che non mi aspettavo, la vidi entrare nella stanza delle riunioni al fianco di lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se fossero loro a stare insieme da sempre e non noi. Avanzavano vicini, con una naturalezza che mi piegò le ginocchia per la disperazione. Questa entrata particolare non sfuggì a nessuno degli altri Mangiamorte, facendomi fare, per l’ennesima volta, la figura del marito tradito, preso in giro e ridicolizzato.
Comunque no, non era la cosa più normale del mondo che entrassero insieme, fianco a fianco, parlando e quasi sorridendosi: quando mai era accaduto che l’Oscuro Signore entrasse lasciandosi affiancare da qualcuno? Mai.
Fui costretto da qualcosa dentro di me ad osservarli attentamente: la magrezza di lui era marcata, provai piacere nel vedere come fosse palesemente sciupato in viso e con espressione affaticata. Lei era più in forma, ma la conoscevo abbastanza bene da scorgere una certa spossatezza, nei modi e nei movimenti, visibile anche delle occhiaie un po’ marcate nonostante il trucco.
Pensai fosse dovuto alle loro magie oscure.
Quando venne da me, per salutarmi e sedermisi accanto, sentii che la desideravo e la volevo più di ogni altra cosa al mondo, non riuscivo a rinunciare a lei, la baciai anche io e provai a tenerla stratta a me, ma fu veloce a liberarsi.
La guardai sedersi nella  sedia accanto, in centro tra mio fratello e me, ma con la mente era infinitamente lontana. Pensai tutto il male possibile di lei, la chiamai, nella mia mente, con tutti gli epiteti più volgari che conoscevo.
Non solo per i visibilissimi lividi sul collo che sicuramente tutti notarono e che mi fecero sentire umiliato e depresso, dato che, ancora una volta, tutti capirono sicuramente che non glieli avevo fatti io. 
Oltre a quello c’era molto di più, il suo corpo parlava: le vedevo l’espressione contenta sulle labbra, gli occhi stanchi, ma brillanti, i capelli selvaggi ma splendenti, come camminava e si muoveva. Aveva una luce particolare Bella dopo aver fatto l’amore, io lo sapevo molto bene e ora, proprio in quel momento, emanava quella luce.
Avevano sicuramente appena fatto sesso. Si divertivano così prima delle riunioni? Se la sbatteva come gli pareva e poi si presentavano qui, come nulla fosse.
Guardai lui, così apparentemente freddo e bello e irraggiungibile e allora sì, lo odiai. 
Non servì a nulla invece riempire lei di insulti nella mia mente, perché la amavo ancora, purtroppo, non riuscivo a volerle male. Mi bastava avere il suo odore vicino, il suo profumo, il suo calore, mi bastava tutto questo per sentirmi ancora coinvolto, eccitato.
La volevo così tanto.
Non ascoltai nulla di ciò che disse lui, che me l’aveva portata via. Cercavo solo lo sguardo di lei, che non mi guardò comunque mai.
Ero così arrabbiato che avrei potuto farle di tutto. 
Invece non feci nulla, mi limitai ad aspettare che la riunione finisse e, prima che si avviasse per uscire, la afferrai forte per un braccio e le dissi di aspettare che tutti se ne andassero, perché dovevo parlarle.
Lei non voleva, ma mi imposi: ero pur sempre suo marito, non un estraneo. Strattonò il braccio per liberarsi dalla stretta, fece alcune storie, ma alla fine decise di affrontare la cosa e restare con me.
Fu l’unica altra volta che rivolsi lo sguardo, velocemente, verso il Signore Oscuro, vidi benissimo che osservava la scena, forse la stava anche tacitamente aspettando. Mi guardò dritto negli occhi per qualche istante, ma poi fece finta di nulla, non disse niente e lasciò la stanza, poco dopo, insieme agli ultimi Mangiamorte.
Bella non fece caso a quel particolare, era di spalle, io invece lo vidi bene. Mi fece tremare per un attimo, mi lanciò quello sguardo dritto negli occhi, ebbi timore e tentennai, ma alla fine, quando lui si allontanò, decisi di continuare, stavolta non gliel’avrei lasciata, volevo restasse con me, che almeno si degnasse di parlare con me.
“Allora, dimmi cosa vuoi, Rod…”
Non sapevo bene nemmeno io cosa dire, sicuramente inizia col piede sbagliato.
“Cosa vogliamo fare di questa storia, di questo matrimonio? Non ho intenzione di fare la figura del marito tradito per sempre.”
Restò zitta come soprappensiero, indubbiamente anche lei non sapeva cosa fare, ma non potevo averla presa alla sprovvista, doveva per forza aver pensato alla situazione, la incalzai subito e senza riflettere.
“Dobbiamo lasciarci, separarci?”
Seguitava a non parlare, la spronai, ma niente, le tremavano quasi le labbra e taceva, allora sbottai.
“Non vuoi, vero? Non vuoi che ci lasciamo? Sai perché? Perché ti faccio comodo, perché sai benissimo che la storia col tuo adorato maestro non è nulla e non vale nulla! Ti ha preso e ti mollerà come se nulla fosse! Sai benissimo che non puoi contare su di lui, non puoi contare su qualcosa di serio con lui, per questo non vuoi lasciare me e ti fa comodo che io sia pronto per qualsiasi occasione ufficiale.”
Naturalmente lei al mio attacco si difese, seppur debolmente, ma io stavo sfogando la mia rabbia cieca e continuai, sempre senza riflettere, finendo per allontanarla ancora di più.
“Sai benissimo quante donne ha e ha avuto, ma ne ha mai mantenuta una? No! Perché non vuole nessuno vicino. Sei solo una fra mille, di cui non gli importa nulla, mentre con me saresti stata l’unica, io so amare e amo te, lui non ama e di questo ne ha sempre fatto un vanto.”
Le vidi le lacrime salire alle palpebre, forse di rabbia o di disperazione, forse entrambe, ma si trattenne; il fatto che continuasse a non parlare mi faceva impazzire di rabbia. Non capivo se lo faceva di proposito di ferirmi col suo silenzio, o se le fossi talmente indifferente da non suscitare in lei nemmeno la reazione di dire una parola. Quelle lacrime poi, appena accennate, erano comunque solo per lui, non certo per me.
“Non avevo pensato a nulla di ciò che mi hai chiesto, Rodolphus.”
Dopo lunga attesa disse soltanto queste poche parole, cercai una sua ulteriore reazione.
“Pensavi forse potessi vivere in questo modo per sempre? Credi di essere così fondamentale e indispensabile da farmi sopportare a lungo questa situazione? Ho sopportato già abbastanza.”
Tornò sul suo viso l’espressione sfrontata e guerriera che le conoscevo ormai da tempo.
“Ti ripeto che non ci avevo pensato prima di ora, sono successe svariate cose e molto velocemente.”
“Stai dicendo sciocchezze, Bellatrix, sono passati anni dal nostro matrimonio, sono passati molti mesi da che hai iniziato questa relazione col Signore Oscuro, hai avuto tutto i tempo necessario per pensare. Tu non vuoi lasciarmi perché ti servo, ti sono utile, ma io non mi presterò.”
Mi guardò impassibile.
“Non hai futuro, non ha futuro la tua storia con lui, la nostra invece è reale, non ci credo che non lo capisci.”
Bella non era una sciocca o una sprovveduta, sicuramente certe cose le sapeva, ma era anche una persona molto passionale e non aveva paura di seguire i suoi sentimenti e io sapevo bene che i suoi sentimenti erano tutti per lui. Dunque rischiavo dicendo quelle cose, ma che altro avrei potuto dire?
“So bene quello che intendi, Rod, ma non posso farci nulla, anche se volessi, ormai non poteri più tornare indietro,  inoltre non voglio, desidero seguire il mio destino e il mio destino è legato solo al mio Signore. Mi dispiace per la nostra storia, e non sto mentendo. Non mento nemmeno quando dico che non ho pensato a come fare, se desideri, puoi decidere subito tu di lasciarci, non ho intenzione di oppormi.”
Non era quello che volevo sentirmi dire, era come se, gentilmente, mi comunicasse che a lei non importava più, non aveva nemmeno voglia di pensarci, potevo decidere io, per lei era lo stesso, tanto non mi voleva più e già stava con chi desiderava.
Non volevo accettare questa soluzione, provai ancora.
“Ci siamo sposati, abbiamo dei doveri l’uno verso l’altra, io voglio un erede, un erede dei Lestrange. Rab non sembra interessato, solo io, che sono il maggiore, sono nelle condizioni e devo dare un erede alla mia famiglia e al mio nome.”
Mi guardò stupita, assolutamente disinteressata, lei non ci pensava minimamente.
“Non voglio figli, Rod, non è assolutamente il momento, ci sono mille altre cose da fare, non è un mio desiderio, non lo è mai stato e quindi non farò nulla di simile.”
Era glaciale, ferma, non tentennava minimamente, sembrava solo leggermente irritata per i miei continui attacchi. Io non ce la facevo più a sentirla sfuggire sempre più lontano da me, non sopportavo di perderla, di vederla indifferente a tutto ciò che ci riguardava.
La mia rabbia e soprattutto la mia frustrazione esplosero, le gridai ciò che sapevo farle male.
“Non vuoi figli… e sai perché?  Perché con lui non puoi farne! Perché sarebbero dei mezzosangue! E ti farebbero schifo! Come dovrebbe farti schifo…” 
Non feci in tempo ad aggiungere quel “lui” che rimase quindi nell’aria.
Non feci in tempo a terminare la frase. Lei lo aveva già capito, lo aveva capito ancora prima che io potessi dirlo, quindi mi fermò, non me lo lasciò quasi nemmeno pensare.
Sentii uno schiaffo forte, davvero violento per essere stato dato da una donna. Mi spiazzò per un attimo, tanto bastò per farmi colpire da un incantesimo che mi mandò a sbattere dritto contro il muro. Usò quindi la magia contro di me, rompendo il nostro tacito accordo di non usarla mai l’uno contro l’altra. 
L’effetto dell’incantesimo fu devastante, arrivò dentro al mio corpo, sentii i visceri quasi uscirmi dalle ossa, il cervello schizzarmi fuori dal cranio. Il mio corpo sembrò esplodere all’interno della pelle per svariati minuti, poi, in seguito al divampare di un dolore immane il mio fisico si afflosciò del tutto.
La vidi avvicinarsi, mi guardava con occhi inviperiti, capii che non era finita.
Cercai di ripararmi col braccio, ormai ero inerme, non seppi che altro fare. Lei infierì, attaccò ancora con un altro incantesimo: sentii il rumore dell’osso spezzarsi.
Il dolore fu lacerante in più punti. Mi accasciai completamente su me stesso.
Bella si avvicinò a me che ero per terra dolorante, avevo la vista annebbiata dal dolore, dal sudore che mi entrava negli occhi, stavo malissimo.
Forse anche lei aveva sentito il rumore delle mie ossa rompersi, sperai che avesse pietà, non provai neanche a difendermi. Avevo un dolore lancinante al braccio, avevo fitte terribili al torace, probabilmente la potenza dell’incantesimo mi aveva spezzato delle costole, lei mi stava davanti con la bacchetta in mano, con uno sguardo che, per la prima vera volta in vita nostra, mi faceva paura.
“Tu dì un’altra volta una cosa simile, Rodolphus, e io ti uccido con le mie mani.”
Respiravo forte, rumorosamente e a fatica, avevo l’affanno, avevo paura. Lei dopo una pausa continuò con parole dure e taglienti.
“Tu mi conosci bene, forse sei l’unico al mondo a conoscermi fino in fondo e lo sai che lo faccio: ti ammazzo senza pietà.”
Annuii, non dissi nulla, tra noi bastò uno sguardo: lo sapevo, lo avrebbe fatto davvero e senza problemi.
“Con questa cosa successa ora, siamo pari. Io ti ho fatto un grave torto e l’ho fatto a noi come coppia, tu hai fatto un grave torto a me, a me e al mio Signore, dicendo certe cose, anche solo pensandole. Adesso però mi devi lasciare in pace. Se vuoi andartene, vattene, altrimenti resta, io ora non voglio più saperne nulla e non voglio più essere disturbata per questa storia.”
Annuii ancora, ma lei non era soddisfatta.
“Inoltre, non permetterti mai più di dire, o anche solo di pensare certe cose sul mio Signore, se lo farai, non perderò tempo a dirlo a lui, ci penserò io a farti pentire di essere nato.”
Non proferii parola, sapevo che aveva ragione, che come Mangiammorte non dovevo nemmeno pensare ciò che invece avrei gridato a gran voce. 
Sapevo però anche di essere arrabbiato con lui per tutto quello che aveva fatto. Mi aveva portato via l’amore della mia vita, si era finto innocuo, un uomo che non ama, che non si interessa di affetti, relazioni o altro di simile. 
Lui, il Signore Oscuro, si faceva vedere al di sopra di uno sciocco sentimento come l’amore. 
Invece me l’aveva portata via, se l’era presa lui e la teneva stretta a sé. Ero legittimato a odiarlo? Ad essere furioso con lui? A pensare cattiverie come quella che stavo per dire a Bella poco prima?
Pensai di sì: pensai fosse ovvio che mi sentissi in quel modo e provassi certi sentimenti di odio nei suoi confronti. Avrei voluto provarli anche per Bella quei sentimenti, invece no, l’amavo ancora.
Tornai a pensare solo a lei e a quanto fosse appena successo tra noi. La conoscevo in tutto e per tutto, era vero, ma solo in quel momento avevo capito ancora più a fondo quanto fosse incontrollabile. Mi faceva paura la sua forza e mi faceva paura lei. Era andata davvero molto oltre, molto oltre i nostri giochi pericolosi. 
Forse prima di allora non avevo mai capito fino in fondo queste cose perché non l’avevo mai avuta contro, non avevo mai saggiato la sua vera natura ostile, eravamo sempre stati dalla stessa parte, mi facevo forza della sua forza, ci esaltavamo a vicenda. 
Averla contro era ben diverso. 
Era incontenibile e non ero più tanto certo di poter comprendere fino a dove potesse spingersi e quale logica ci fosse dietro alle sue azioni.
Gli attimi passarono, io stavo sempre peggio, lei abbassò la guardia, sembrava aver capito che anche io avevo capito, che ero disperato per tutto, lentamente si stava creando un nuovo equilibrio tra noi, era sottile e delicato, ma avremmo cercato di mantenerlo.
Quando la vidi voltarsi per andarsene definitivamente però, non resistetti e la richiamai.
La mia voce era mesta e arresa, ma decisa.
“Aspetta, Bellatrix, ho capito cosa vuoi, e su queste cose non ti disturberò più, come mi hai detto, ma devo chiederti un’altra cosa, tu sola puoi rispondere…” 
Mi guardò sospettosa. Rimase comunque ferma, in attesa delle mie parole.
Mi strinsi il braccio che mi faceva sempre più male, anche il petto iniziava a darmi dolori lancinanti per via delle costole rotte che spingevano all’interno creandomi come tante pugnalate.
Parlai a fatica.
“Riguardo al Signore Oscuro, tu sai che molti Mangiamorte sono preoccupati, in ansia per ciò che potrebbe succedere, sai anche che questi dubbi non si placheranno facilmente.”
Rimasi in silenzio, non sapevo se continuare, la studiai.
“Dubbi riguardo cosa?”
Tastava il terreno anche lei, non voleva sbilanciarsi.
“Riguardo al suo stato di salute. Se resta sempre in grado di perseguire e ottenere le sue intenzioni e i suoi propositi, molti si chiedono dove ci potrebbe portare, alcuni sono preoccupati di finire male, hanno timore di finire in carcere e cose simili.”
Avevo cercato le parole più adatte per non urtarla.
“Non devono preoccuparsi, è tutto sotto controllo, vedi di farlo sapere a tutti, dato che non hanno avuto il coraggio di confrontarsi direttamente col Signore Oscuro oggi, durante la riunione.”
Era vero, eravamo tutti dei codardi davanti a lui, anche io, non ne capivo il motivo, ma era così. Avremmo potuto rivolgerci tutti direttamente a lui, ma nessuno lo aveva fatto e ora ero io lì a parlare con lei. Ed era umiliante anche questo, perché in questo modo la stavo legittimando ancora una volta ad essere l’unica ad avere accesso e intimità vera e reale col Signore Oscuro. Non potevo fare altrimenti.
Le risposi con garbo, sempre per non inquietarla.
“Va bene, lo farò sapere a tutti loro, su questo non avere dubbi...”
Lasciai la frase a metà. Lei si incuriosì.
“Devo avere dubbi su altro?”
“Sì, Bella, devi avere dubbi, ma so che lo sai già.”
I nostri sguardi si incrociarono a lungo.
“Non ti capisco.”
Volevo parlare, ma ebbi timore, tutto il corpo mi mandava fitte lancinanti, non resistevo quasi più.
“Lo dirò solo a te, per quello che ci lega, perché ancora mi preoccupo per te, ma non lo direi mai a nessun altro, non dirò ciò che penso a nessun altro Mangiamorte. Perciò non mi attaccare ancora.”
Fece un cenno di assenso. Presi coraggio e parlai sinceramente.
“Vedi Bella, tu dici che è tutto a posto, tutto sotto controllo, ma non sta bene una persona che prende il laudano già la mattina, ancora prima di fare colazione, non è per nulla sotto controllo questa cosa. E non sta bene una persona che fa incantesimi estremi al limite della morte, non è una cosa normale. E non sappiamo fino a quando ne reggerà le conseguenze. Tu lo sai bene questo, pratichi con lui la magia oscura. Non sta bene una persona che non ha freni, che anzi fa qualsiasi cosa per andare oltre ogni limite consentito. Lui, tu, noi Mangiamorte, abbiamo preso una via rischiosa, che non sappiamo dove ci porterà.”
Rimase seria e si avvicinò a me, per un attimo ebbi paura che volesse prendermi a calci, io ancora lì per terra, già completamente distrutto e lei piena di potere.
Invece mi stupì, mi tese la mano e mi aiutò ad alzarmi, utilizzando il braccio sano, cercai di tirarmi su, sentii comunque le pene dell’inferno muovendomi.
Mi guardò seria, mi guardò quasi con la genuinità di un tempo.
“Ti ho trascinato in un vortice che forse solo io ho davvero il coraggio di sopportare, solo io sono fedele a lui senza dubbi ed incertezze, non ho paura di soffrire, non ho paura di seguirlo, non ho paura e sarò al suo fianco se dovesse avere un cedimento, un bisogno, qualsiasi cosa. Te lo ripeto: io mi fido di lui.”
Erano parole che non ammettevano repliche, non mi staccò gli occhi di dosso finché io non abbassai i miei rassegnato. Aveva una forza inimmaginabile, nemmeno io gliela avevo mai conosciuta prima di quel momento.
“Ora però devi andare al San Mungo a farti medicare, perché ti ho fatto veramente male, era un incantesimo potente. In quanto al resto, lui ci porterà dove vorrà, noi possiamo solo seguirlo. Ormai sei un Mangiamorte, Rod, e se lo sei davvero fino in fondo, non puoi avere paura.”
La guardai ancora, le guardai i capelli neri che le ricadevano in parte sul viso in parte sugli occhi, sempre belli, sempre con un vezzo malizioso, come quando era una ragazzina e mi amava, le guardai quegli occhi scuri, misteriosi, volitivi. La amai da impazzire per quanto era bella e indomita.
La strinsi leggermente a me col braccio che era sano, cercai di farle capire che avrei fatto ciò che mi diceva. Mi strinse anche lei, mi mise una mano sulla nuca, le dita tra i capelli, avvicinandomi a lei, sentii un dolore immenso in quell’abbraccio, non so se se il dolore fosse fisico o morale, ma probabilmente entrambi. 
Poi mi recai al San Mungo, nel reparto riservato, da solo, a lei non importava più di me, rimasi solo col pensiero di aver perso il mio unico grande amore, per sempre.

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Capitolo 23
*** La coppa ***


Lord Voldemort : “La coppa”


 
Ero solo, seduto al tavolo al centro della stanza e scarabocchiavo, sul grimorio, lo schizzo di ognuno degli Horcrux che avevo creato. 
Avrei potuto occuparmi di alcune faccende importanti, ma non mi interessava in quel momento: preferivo godermi il silenzio, stare da solo a preparare e studiare con cura i miei incantesimi più impegnativi.
Il primo Horcrux che disegnai, fu il primo che creai, ovvero il grimorio di quando ero un ragazzo. Mentre abbozzavo le prime linee, ripensavo anche a quanti segreti avevo riversato su quel quaderno, quante scoperte e quanti incantesimi nascosti, quanti studi e formule: ne ero molto orgoglioso all’epoca.
Mi venne da sorridere a pensare al me di allora, quanto fossi geniale e allo stesso tempo ingenuo, ignoravo tutto di me, eppure ero capace di fare cose straordinarie per un bambino di quell’età.
Ritoccai i particolari, feci i chiaroscuri del diario con la punta della matita, chinando la testa di lato per vedere se fosse venuto perfetto.
Lo era.
Era un Horcrux che avevo creato molto presto, quando ero ancora appena adolescente. Non avevo sofferto minimamente allora, non avevo riscontrato alcun problema, era stato poco più di un gioco per me, pericoloso, crudele, ma pur sempre un gioco. Non ci fu alcuna conseguenza fisica, nessuna conseguenza morale, se non quella di esaltarmi moltissimo. 
Mi entusiasmai davvero tanto in quella prima occasione, sentii immediatamente il bisogno di crearne subito un altro. 
Infatti lo feci: di lì a poco tempo creai il mio secondo Horcrux.
Osservai il foglio, lo sollevai leggermente e ci soffiai sopra con attenzione, volò via la polvere di grafite usata per ricreare le ombre.
Cambiai quindi pagina e passai a disegnare l’anello, che era appunto il mio secondo Horcrux, anche quello lo creai ai tempi della scuola, non ero ancora maggiorenne. 
Avevo portato quell’anello per molto tempo, sia a scuola sia in seguito, ma poi avevo preferito toglierlo per sempre. 
Man mano che ne disegnavo i tratti, li osservavo e sistemavo i particolari, ripensavo alla sua storia, alla sua provenienza, a come avevo scoperto dell’esistenza del suo possessore. Non volevo pensarci, erano ricordi che odiavo, l’anello non lo portavo più proprio per non doverci continuamente pensare, cercai di concentrarmi sulla pagina, tentai di rendere al meglio i particolari della brillantezza della pietra: stava venendo bene. 
Quando fui quasi al termine dell’opera però, man mano, tornarono prepotentemente i ricordi di quando lo trovai: quell’oggetto simboleggiava la scoperta della mia famiglia d’origine, dei miei parenti più stretti.
Il degrado, la vergogna, la disgrazia di quei momenti.
Quella casa, quelle persone, lo stato delle cose… tutto mi innervosiva molto.
Ecco che finii per calcare troppo con la matita e rovinai il disegno, il foglio si lacerò rendendo inutile ogni tentativo di recupero.
Sentii la mano che mi tremava dalla rabbia. Non per il disegno finito distrutto, ma per altro.
Strappai tutto, gettai il foglio nel fuoco e aprii le finestre per sentire il vento sulla pelle. Rimasi lì per diversi minuti a respirare, lo sguardo fisso verso il vento. Lasciando passare il tempo a contatto col mio elemento, l’ansia di distruzione si placava lentamente. 
Dovevo finire il lavoro sui miei incantesimi e i miei Horcrux, sapevo che era più importante che perdere tempo a pensare a chi fossero i miei parenti, come fossero ridotti e chi fosse mio padre. Dovevo solo finire un disegno, nient’altro.
Mi convinsi.
Tornai al mio lavoro.
Era semplicemente un anello, niente di più. Gli attimi in cui entrai in quella casa, però, mi tornarono alla mente, la delusione che provai, lo sporco, lo squallore… era peggio che l’orfanotrofio. Poi l’informazione che ricevetti su mio padre, tutto di quel momento mi invase la testa e lo stomaco, mi venne la nausea a pensare a chi fosse l’uomo di cui portavo il nome. 
Mi alzai di nuovo senza nemmeno essere riuscito a toccare il disegno, presi un bicchiere d’acqua e ci lasciai cadere un paio di gocce di laudano.
Iniziai a berlo con calma, mi presi tempo.
Quando iniziò a fare effetto tornai al mio lavoro, non volevo perdere tempo a causa di quella storia, a causa di quel padre, e di quella madre che era caduta tanto in basso. Ogni volta mi auguravo fosse dimenticata, invece non mi lasciava mai. Non potevo allontanare il pensiero che mi aveva abbandonato, che era così debole da lasciarsi morire.
Sorseggiavo con calma e i pensieri passavano, me ne liberavo di nuovo.
Mi strofinai gli occhi, era più difficile disegnare ora, ma ero sempre stato bravo e preciso, bastava lasciar lavorare la mia mano secondo ciò che pensava la mia testa, per cui presi la matita e iniziai da capo il lavoro.
Non pensavo a nulla, niente se non l’immagine davanti a me che prendeva forma. Sentivo un perfetto tepore dentro di me, una condizione assolutamente piacevole.
Curai meno i particolari, ma la riproduzione dell’anello era ugualmente ottimale.
Quando ebbi finito appuntai, per questo Horcrux come avevo fatto per l’altro, i tempi e lo svolgimento dell’incantesimo, le variazioni rispetto all’evento precedente e il rito svolto. Nemmeno in quel caso riscontrai problemi dal punto di vista fisico, semplicemente un lieve fastidio alla testa, e una certa debolezza.
Mi ero deciso a fare il punto della situazione per avere un quadro chiaro dell’incantesimo e delle mie reazioni nel tempo.
Ero molto giovane e forse il mio corpo reagiva meglio allora, ma non potevo essere certo che dipendesse solo da questo, al momento restava un interrogativo irrisolto anche per me. 
Passai quindi al terzo Horcrux: il diadema.
Era complicato da ricordare nei particolari e ancor più da disegnare, iniziai con tratti leggeri, creando lo scheletro del gioiello. 
Anche questo me lo ero procurato veramente presto, quando ero ancora a scuola. Ugualmente decisi di non compiere l’incantesimo nell’immediato, aspettai anni, tenni con me il diadema e lo conservai di proposito per creare un nuovo Horcrux.
Qualche particolare non lo ricordavo proprio più, lo inventai ad arte, seguendo il disegno generale. Anche qui le sfumature ci stavano bene, la mia mano si muoveva con molta delicatezza e velocità. Nonostante usassi la mano sinistra non ho quasi mai avuto problemi a scrivere e disegnare in modo preciso e ordinato.
La osservai per un attimo: le dita sottili, la mano stessa e il polso affusolati, la pelle candida. Non si vedevano assolutamente più i segni delle bacchettate a sangue degli insegnanti all’orfanotrofio, a causa del fatto che mi vedevano imparare a scrivere con la mano, a detta loro, sbagliata.
Avrei dovuto vendicarmi su tutti, anche su di loro, i lavoranti dell’orfanotrofio, i torturatori dell’orfanotrofio… invece ancora non lo avevo fatto.
Cercai di passare oltre anche a quel pensiero, dovevo concentrarmi sugli Horcrux.
Staccai la matita dal foglio, osservai bene e definii i pochi particolari rimasti. Sorseggiai l’acqua ancora nel bicchiere, sapeva di dolciastro, ma c’ero abituato e mi piaceva.
Aggiunsi sotto al diadema ancora una volta tutti i particolari dell’incantesimo, i tempi e le modalità. Stavolta dovetti appuntare anche i forti effetti collaterali che subii in quell’occasione: dal dolore forte alla testa, ai crampi allo stomaco alla debolezza subito successiva. 
Riflettei per un attimo perché ancora non riuscivo a capire il motivo di quel cambiamento e non sarei riuscito ad evitare che si ripetesse.
Infatti i problemi erano tornati, proprio poche settimane prima, col quarto Horcrux: il medaglione.
Era uno dei simboli più importanti che avessi trovato durante la mia ricerca. Mi legava al mio più celebre antenato, Salazar Serpeverde, lui sì un mio degno antenato, quindi era mio di diritto e mi sentivo legittimato ad avere quel gioiello.
Non l’avevo indossato, ma lo sentivo mio.
Lo ricordavo a memoria senza sforzo, disegnai la catenina a cui era attaccato, poi mi applicai attentamente per riprodurre la pietra e il serpente raffigurato, non era di semplice rappresentazione, mi dovetti impegnare molto.
Fuori iniziava a fare buio, dovevo sbrigarmi per finire con ancora un po’ di luce che mi permettesse di essere perfetto e preciso nel disegno. Calcai molto in alcuni punti, molto meno in altri, in modo da rendere la profondità.
Descrissi il rito compiuto poche settimane prima.
Nella didascalia sotto aggiunsi ulteriori effetti: il mal di testa era diventato lancinante, come una vera e propria rottura, uno strappo, stessa cosa per lo stomaco, i visceri tutti. La spossatezza era durata per molte delle ore successive all’incantesimo. Le emozioni le sentivo indefinite, ma violente.
A quel punto li avevo tutti davanti ai miei occhi, sui vari fogli.
Aggiunsi sotto ad ogni Horcrux la posizione: il grimorio era ancora in mano mia, ma volevo tornasse a Hogwarts, dove lo avevo curato e creato, doveva tornare nella camera dei segreti, solo il diario avrebbe potuto ricreare le condizioni per la sua apertura. 
Anche il diadema doveva restare a scuola, e ce lo avevo già riportato personalmente nascondendolo dove solo io potevo sapere, indicai quindi la stanza delle necessità.
Forse era un pericolo lasciarli entrambi nello stesso luogo, la scuola, ma era fondamentale per non privarli della loro simbologia.
Il medaglione si trovava nella caverna, protetto e ben nascosto nel luogo simbolo delle mie escursioni segrete, delle mie prime potenti magie.
L’anello lo avevo riportato definitivamente al suo posto, in quella casa distrutta, in quel luogo ignobile, nascosto e protetto da un incantesimo.
Riposi la matita sul tavolo, il lavoro era quasi ultimato, mi sgranchii le spalle e il collo, guardai fuori dalla finestra.
Rimaneva solo un oggetto simbolo: la coppa.
Accesi le candele attorno a me. La coppa non era ancora un Horcrux, ma lo sarebbe diventato, era infatti mia intenzione andare avanti, studiare, tentare, sperimentare questo tipo di incantesimi, combattere la morte.
Vivere per sempre.
Cambiai foglio e disegnai la coppa molto in grande, sarebbe stato il mio prossimo incantesimo, il prossimo Horcrux. Iniziai dal piedistallo, impiegai moltissimo tempo per rendere al meglio gli intarsi e la lavorazione dei manici, poi terminai con il coperchio.
Disegnarla in ogni suo particolare mi aiutava a riflettere per bene sullo svolgimento dell’incantesimo, sulla simbologia, sull’importanza che aveva per me. Era l’ultimo oggetto rimastomi, dovevo concentrare in lui attenzioni e potenza. Racchiudere all’interno di quel rito tutto ciò che avevo racchiuso negli altri e anche di più, molto di più.
Avrei voluto creare sette Horcrux, il numero magico perfetto, ma al momento non avevo la possibilità di trovare altri due oggetti così carichi di potere e magico, per cui, almeno per il momento, dovevo concentrarmi sulla coppa e nient’altro.
Giravo il foglio in diverse posizioni per creare i chiaroscuri, le forme arrotondate, i passaggi più netti, cercavo di rendere la sua bellezza sotto diverse prospettive.
Ero molto legato alla simbologia della coppa, la parte di anima che le volevo riservare avrebbe albergato lì e si sarebbe nutrita del suo potere.
Essa è portatrice di moltissimi significati simbolici, come quello quello dell’abbondanza, della fertilità e soprattutto della nascita e rinascita. Simboleggia anche l’essere femminile, la donna. 
E l’amore.
Quest’ultimo non mi interessava minimamente, ma tutto il resto sì. Simbolo di rinascita è adattissima per ospitare la mia anima al suo interno.
Sorrisi quando ebbi finito il disegno, lo alzai alla luce della candela, era perfetto: il più particolareggiato, il più curato.
Appuntai con dovizia di particolari il rito che volevo svolgere, elencai piccoli particolari nuovi, modifiche rispetto ai primi riti, migliorie, perfezionamenti.
Non sapevo se tutto ciò mi avrebbe portato a risentirne di più, ad usare più energia, ma sicuramente il risultato sarebbe stato un rito migliore, un Horcrux più potente e forte. Anche più protetto.
Man mano avevo affinato di più la tecnica, particolareggiato le invocazioni, preparato i più piccoli risvolti con cura, stavolta erano praticamente perfetti.
Avrei solo dovuto decidere quando agire, ma per quello volevo prendermi tempo, non avevo fretta, avevo appena creato il quarto Horcrux e non volevo iniziare subito col quinto.
Mancava di indicare dove conservarlo una volta creato, ma anche a quello avrei dovuto pensare bene una volta ultimato l’incantesimo.
Decisi di sistemare ancora alcune ombre per definire meglio la coppa, poi mi sentii soddisfatto. Rilessi le scritte e mi rimase impressa quella frase sulla simbologia femminile, la donna… 
Sospirai mentre chiudevo il grimorio. 
Dovevo parlare con Bellatrix.
Per settimane l’avevo deliberatamente ignorata e umiliata, questo perché non mi era piaciuto si fosse fermata nella stanza della riunione con Rodolphus, anziché venire a relazionare a me le sue impressioni sui Mangiamorte. Non l’avevo ancora perdonata, ma ormai dovevo decidermi a parlare con lei proprio a proposito di quell’ultima riunione e non potevo rimandare oltre. Volevo sentire la sua opinione che si dimostrava sempre molto arguta e veritiera.
Feci un incantesimo al grimorio, affinché si oscurassero tutte le scritte e i disegni, così che solo io avrei potuto consultarlo al bisogno, quindi la chiamai attraverso il Marchio Nero.
Arrivò da me poco dopo, mentre stavo riponendo il quaderno nella libreria, in un posto comunque sicuro e nascosto. 
“Mio Signore, mi volete?”
Mi strappò una smorfia maliziosa di ironia, aveva sempre un modo di dire le cose a metà tra il servile e il passionale, ma probabilmente non se ne rendeva pienamente conto, lei pensava di essere solo servile.
Mi avvicinai a lei, in certi momenti riusciva anche a farmi passare la rabbia che provavo sempre, nei confronti di tutti, perennemente.  
Solo lei, certe volte, riusciva ad attenuarla.
Aveva imparato a non fare tragedie ogni volta che mi allontanavo, o la trattavo malamente, era cresciuta e non si dimostrava più sempre una ragazzina sciocca, ma se la guardavo dritta negli occhi, e usavo un po’ di attenzione, potevo vedere chiaramente la sua tristezza e l’incapacità di comprendere i miei malumori.
“Sì ti voglio, Bella.”
Le risposi solamente così e non mi mossi, rimasi immobile in silenzio ad osservarla.
Portava un bel vestito, sempre nero, come solito, che lasciava scoperto il collo e un po’ le spalle, faceva appena intravedere il seno, ma quello che mi interessava di più era un sottile lembo  di pizzo nero avvolto come un serpente al collo. Non aveva fatto il nodo, lo aveva solo avvolto al collo facendo scendere i lati lunghi sulla schiena.
No, non capiva i miei malumori e non capiva nemmeno i miei repentini cambi d’umore, ma mi piaceva sorprenderla, vedere come sapeva sempre seguirmi in tutto, senza paura, senza timori.
Le afferrai quella piccola sciarpa e la tirai forte verso di me, ma senza esagerare.
Lei prese aria, si sentiva stringere la gola, socchiuse le labbra, la vidi lasciarsi attrarre per venire più vicina, lo fece in maniera languida, ma quando sentì che stringevo ancora di più, le vidi un lampo di paura nello sguardo.
La lasciai nel dubbio per qualche istante, allentando e forzando alternativamente la presa, le sorrisi perché mi piaceva vederle la paura e la sofferenza dipinti su quel volto orgoglioso di Purosangue.
Solo quando capii che si era rassegnata e restava in balia delle mie azioni, allora la rassicurai.
“Hai paura di me?”
Non rispose direttamente, ma mi lanciò uno sguardo vivo e terrorizzato. Capii che mi temeva.
“Non ti faccio del male, sei la mia strega più potente.”
Lei sorrise, la vidi tranquillizzarsi velocemente, prese il lembo di pizzo con le dita e iniziò a sfilarselo dal collo, lentamente. Quando la stoffa stava snodandosi sinuosamente, lo trattenni ancora, ma solo in parte, provocando uno strofinamento che le arrossò tutto il collo caldo, in parte nascosto dai lunghi capelli neri, lisci, che si appoggiavano anche loro sinuosi sulla pelle.
Allora le tolsi quel giochino di stoffa e le iniziai a baciare il collo, sentivo sotto le mie labbra e sotto i miei denti il suo respiro vorace di aria, che prima, in parte, le avevo tolto, sentivo l’ eccitazione dirompente con la quale si avvinghiava a me, il profumo delle sua pelle, dei suoi capelli, il sapore della carne sotto i miei morsi voraci.
In quel momento bussarono alla porta. Sicuramente una scocciatura.
Ancora adagiato sul suo collo, alzai gli occhi al cielo, mi staccai di malavoglia.
“Avanti.”
Mi voltai verso la porta per accogliere chiunque venisse a interrompere quel momento.
Entrò Alecto Carrow che rimase però sulla soglia, contrariata, e solo dopo alcuni istanti si azzardò ad avanzare. Le due donne si guardarono con il solito odio.
Mi divertiva sempre vedere come si contendessero le mie preferenze. Per quanto io avessi più volte mostrato la mia preferenza per Bellatrix, le due continuavano a voler primeggiare ai miei occhi, come se ce ne fosse continuamente bisogno. 
Osservai Alecto che ci guardava, poi guardava Bella e diventava scura di rabbia scorgendo il suo collo evidentemente rosso e la sciarpa di pizzo nelle sue mani.
Ma io avevo fretta, non volevo perdere tempo in quel modo.
“Dimmi Alecto, perché sei qui? Mi auguro qualcosa di importante.”
Lei non parlava, il suo sguardo vagava smarrito da me a Bella e viceversa.
“Ancora con lei? Mio Signore, ma perché? Perché sempre con lei?”
Ecco che riprendevano queste rimostranze assurde.
“Ma come ti permetti di parlare così al MIO Signore?”
Anche Bella si era messa a rispondere, io la fermai subito con un cenno della mano.
“Adesso basta, sono stanco di sentire tutte queste chiacchiere. Sono stanco di sentire battibecchi e litigate tra i miei Mangiamorte! Voi dovreste essere una famiglia, la mia famiglia, non altro. Dimmi cosa sei venuta a fare, Alecto, e vedi che non sia una sciocchezza!”
Restammo tutti zitti per qualche istante.
“Sono venuta a dirvi, mio Signore, che Rodolphus Lestrange è di ritorno al Quartier Generale, era mancato molto tempo, ma ha fatto sapere che farà ritorno in giornata. Se volete parlargli, se volete dargli ordini, sarà di nuovo qui.”
Annuii, mi sembrò quantomeno strano che non fosse stata Bella a darmi la notizia, ma non ci feci troppo caso.
“Bene, più tardi gli parlerò. Bada bene però, Alecto, lo cercherò io, non voglio essere continuamente disturbato se non sono io a chiamare.”
Lei annuì di malavoglia, non voleva lasciare la stanza. Continuava, nel silenzio, questa competizione tra lei e Bella. Allora le feci cenno di andarsene, e solo allora salutò garbatamente e chiuse la porta.
L’atmosfera era completamente cambiata, anche Bella si era distratta, pensai dunque di affrontare l’argomento per cui l’avevo fatta venire lì, accantonando qualsiasi riferimento all’eccitazione di poco prima.
Quando mi voltai verso Bella per prendere la parola la vidi però pensierosa. La sciarpa era ancora nelle sue mani, ma i suoi pensieri erano altrove.
Attesi qualche istante e fu quindi lei la prima a parlare.
“Mio Signore, vi devo dire una cosa…”
Era leggermente titubante e aveva lo sguardo serio.
“Ti ascolto.”
“So che non sarete contento, perché mi raccomandate sempre di non creare problemi e di trattare gli altri Mangiamorte come se fossimo parenti, fratelli, lo avete detto anche poco fa.”
Mi innervosii subito, capii che mi doveva parlare di Rodolphus e ancora una volta ciò mi indispose.
“Cosa devi dirmi?”
“Mio Signore, se Rodolphus ultimamente non è stato con noi è perché ha avuto problemi fisici, abbiamo avuto uno scontro e mi spiace, maestro, non volevo contrariarvi, ma sono stata io.”
Sembrava sincera e davvero desolata per aver disubbidito ai miei ordini. Non so perché, ma la storia mi incuriosì.
“Cosa vuoi dire, Bella?”
“Voglio dire, mio Signore, che abbiamo litigato e gli ho fatto io del male.”
Questa frase scatenò in me, mio malgrado, uno strano turbine di sentimenti ed emozioni violente, incomprensibili e in contrasto l’una con l’altra. 
Ad ogni Horcrux creato, molte sensazioni diventavano più confuse e indistinguibili, aumentavano di violenza d’intensità, mi risultava sempre più difficile capirle e controllarle.
Sicuramente questo era un caso in cui non mi era facile razionalizzare.
“Non mi interessano i vostri affari, Bella, ma voglio che la smetti di litigare con gli altri Mangiamorte, sono stanco di ripetertelo.”
Lei ovviamente reagì, da testarda irriverente qual’ è.
“Mio Signore, lui è mio marito, cercate di capire, non è solo un Mangiamorte per me, è inevitabile che succeda, con altri non ho più litigato da quando me lo avete chiesto.”
Questa frase scatenò in me una rabbia inaudita, se già prima mi aveva innervosito, ora stava superando ogni limite. Il fatto che si ostinasse a disubbidirmi non lo potevo concepire, ma soprattutto come poteva parlare a me, il suo Signore, in questi termini di Rodolphus? Quasi fosse una persona di così grande importanza…
Non dissi nulla, dentro di me un vero istinto selvaggio mi suggerì di prenderla e ucciderla, di possederla a sangue, fino alla morte.
Solo così avremmo risolto le cose.
Ci fu un lungo silenzio tra noi. Pieno di tensione. Non so cosa pensasse lei, non le lessi la mente, valutavo solo il modo migliore di farle male, punirla per il suo atteggiamento, per i suoi atti, per tutto.
La rabbia si affievolì solo poco dopo, quando lei aggiunse, in un soffio di voce, che il marito era geloso.
Geloso. 
La mia mente si soffermò su quelle parole. La cosa, che doveva essermi del tutto indifferente, inaspettatamente mi piacque.
Sorrisi. La rabbia si stava trasformando in altro di più piacevole.
“Geloso di chi, mia Bella?”
Anche lei sorrise, la vidi rilassarsi.
“Di voi, mio Signore.”
Lo disse in maniera estremamente maliziosa. Anche lei percepiva il cambiamento, la scossa che si era venuta a creare tra di noi.
Mi avvicinai fino a toccarla, sentivo il suo corpo caldo vicino al mio, più passavano i secondi più si faceva smanioso.
Restai fermo ancora per qualche istante, guardandola dall’alto in basso, pensando già al modo di farla mia.
La presi inaspettatamente, senza dire nulla. La presi e la portai sul letto, divorandole il collo, il seno, la bocca.
Le strappai via i bottoni, il vestito. Le presi di mano la sciarpa usata poco prima e le legai alla ringhiera un polso, poi l’altro. Non l’avevo mai portata nel letto, ma quello era un buon momento per farlo. 
Rimase ferma e attenta, le avvicinai le dita alle labbra, la sfiorai in quel modo per un attimo. Non poteva usare le mani e tutto quello che poteva lo doveva fare con la bocca. 
Mi aprii la camicia, i pantaloni, la guardavo dritta negli occhi, dall’alto, lei ricambiava lo sguardo dal basso, impotente, bloccata in quasi tutte le sue azioni. Solo le sue labbra erano socchiuse e smaniose di ciò che potevo concederle io e io soltanto, quando volevo.
Le lasciai le calze, coi pizzi neri a metà coscia, i laccetti che sostenevano il tutto glieli ruppi subito. Il reggiseno glielo tirai giù, volevo succhiarle il seno, i capezzoli, non potevo stare senza.
I capelli le si poggiavano sulle spalle nude,  ogni tanto la guardavo tutta, quanto era giovane e bella, decisi di non penetrarla ancora, di continuare in quel modo, di godere ancora di quei momenti di lotta e tortura.
Io, che di solito ero sempre veloce, scelsi di perdere ancora un po’ di tempo così, a godermi l’attesa.
Mi avvicinai a lei, chinandomi sul suo corpo per sentire meglio la mia pelle sulla sua, i vestiti strappati sui miei, la sua eccitazione sulla mia, e fu allora che sentii anche il suo morso sul mio collo.
Come poteva osare una cosa simile non so, ma la osava e lo faceva bene, con desiderio, con voracità. Mi morse il collo con le labbra e coi denti, si prese il mio veleno e, volontariamente, se lo portò dentro di lei, per tenerselo lì, nel suo bel corpo.
Mi sollevai e la guardai di nuovo dall’alto, da sopra di lei, era in mia totale balia, potevo farle di tutto, ma la cosa eccitante, era che era proprio lei a chiederlo.
Anche lei riprese a guardarmi, le labbra sempre socchiuse, il suo sguardo che mi pregava di slegarla. Si vedevano le lacrime di eccitazione e desiderio rendere luccicanti quegli occhi scuri sempre tanto minacciosi, ma che ora sapevano solo implorare.
La slegai, si era così tanto dimenata per potermi toccare, che i polsi le erano divenuti tutti lividi.
Le sue mani desiderose finirono sui miei fianchi prima, e sul sesso poi: mi desiderava da morire.
La lasciai fare e le bendai gli occhi. 
Mi sorrise come se mi vedesse perfettamente, mi sentiva e mi assaporava. Tornò ad usare le mani e la bocca. Prima cercò il mio viso e le mia labbra, ma il viso, no, non lo sopportai, mi scansai con una smorfia.
Lei capì subito e scese sul collo, lì dove aveva osato mordermi, dove sapeva piacermi ancor prima che lo sapessi io. 
La mia stizza di poco prima era scemata velocemente e lei riprese a eccitarmi, iniziando con le mani e arrivando subito dopo con le labbra, scese lentamente sul petto, sempre più lentamente sul basso ventre, fino al sesso.
La lasciai fare estasiato per molto, molto tempo.
Prima di venire però la fermai, perché volevo penetrarla forte, violentemente e senza sosta e in bocca non sarebbe stata la stessa cosa. 
La lasciai bendata e le sussurrai fra i capelli che glielo avrei fatto sentire forte, come mai lo aveva sentito.
Fece un sospiro profondo, ancora prima di averlo dentro, solo per l’eccitazione delle mie parole.
Quando lo feci la sentii bagnata, calda, vogliosa. La sbattei forte, ma tanto forte, da toglierle il fiato, da farmi urlare veramente.
Non appena finii, mi accasciai sul letto per riprendere fiato. Chiusi gli occhi per alcuni istanti, ma poi mi voltai per un attimo verso di lei, pensando non si fosse ancora tolta quel lembo di stoffa dagli occhi. Invece lo stava togliendo in quell’istante e mi guardò anche lei.
Vide che la stavo guardando.
Non me lo aspettavo, mi voltai lentamente, non volevo parlare e non volevo sentire nulla.
Percepivo lo stesso il suo sguardo adorante su di me.
Chiusi gli occhi e sorrisi.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, mi avrebbe seguito qualsiasi casa decidessi di fare.
Forse, pensai, potevo lasciare che custodisse proprio lei la coppa. Fu un’idea improvvisa e forse azzardata, ma, in quel momento, non mi veniva in mente un posto migliore per tenere il frammento della mia anima al sicuro. 

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Capitolo 24
*** Come è fatto il vento ***


Dal grimorio di Bellatrix : “Come è fatto il vento”


“Allora? Sei riuscita a terminare?”
Mi voltai verso il mio maestro scuotendo la testa.
Lui pretendeva sempre molto, anzi, sempre il massimo e non era semplice per me estrapolare un rito oscuro di così difficile applicazione e allo stesso tempo avere lui nel letto.
Nel mio letto.
Non avevo concluso ancora nulla, ma quella situazione mi piaceva troppo, amavo prendere lezioni così, in quel modo tanto nuovo, quanto piacevole.
“Maestro, in questo punto, vedete, non riesco a trovare il modo di concludere, non riesco nemmeno a ricordare le parole giuste.”
Allora si voltò verso di me distrattamente, ancora troppo immerso nelle letture che si era scelto.
“Non ci vuole poi molto, Bella, ti devi concentrare.”
Alzai le spalle sospirando arresa. Riguardai il foglio con l’incantesimo scritto solo in parte, poggiava sulla sottoveste di raso nero lucido che avevo rimesso addosso per studiare, si stropicciava anche senza che ci scrivessi sopra.
Presi anche a picchiettarci sopra con la matita, come se la soluzione potesse venire fuori per magia, ma ovviamente ciò non avvenne.
Allora il Signore Oscuro mi prese con garbo il foglio dalle mani, lesse velocemente quanto avevo scritto fino a quel momento, era attento e concentrato.
Attesi, poi lui mi pose la mano senza parlare, capii che voleva la matita, gliela misi fra le dita. 
Restai zitta a guardarlo. 
Vidi che correggeva alcuni passaggi, altri li spostava nel testo.
Mi avvicinai per capire meglio.
“Così il rito scorre meglio, le parole devono avere una loro musicalità.” 
Parlò senza guardarmi, totalmente immerso nell’incanto, poi aggiunse il finale. Lentamente, ma con fluidità, come se gli venisse tutto molto naturale.
“Terminata la parte che ho aggiunto ora, non resta che chiudere il cerchio e il rito può concludersi. Non era complicato, Bella.”
Mi porse i foglio con la matita e, sempre senza quasi guardarmi, si immerse di nuovo nei libri.
Osservai il testo, mi bastò un’occhiata per capire la sua grandezza e la sua bravura: in pochi minuti aveva completato un rito per il quale io avevo impiegato ore, senza nemmeno riuscire a terminarlo.
“Per voi è semplice, maestro, perché siete molto più intelligente di me e sapete davvero tutto.”
Dissi quelle cose veramente convinta, poi, non ricevendo subito risposta, restai zitta e lo osservai alla tenue luce delle candele e del fuoco del camino. 
Era bellissimo, era ancora più affascinante quando si immergeva nei suoi interessi e studi, aveva uno sguardo molto intenso, che difficilmente si poteva notare in altri momenti, sembrava lontano e irraggiungibile, amavo quegli occhi tanto attenti e concentrati.
Io lo trovavo geniale, insuperabile in tutto ciò che gli interessava davvero.
Purtroppo, a mio parere, aveva il difetto di volersi occupare anche di attività che non gli si confacevano e non rendevano giustizia al valore che dimostrava in altre. 
Improvvisamente alzò gli occhi dal libro e mi guardò distrattamente.
“So bene di essere più intelligente.”
Gli sorrisi, ma non dissi nulla. 
Lui si fece più attento e mi guardò serio, cambiò completamente discorso.
“Hai moltissimi libri davvero interessanti, antichi, sconosciuti, è stata una ottima scoperta.”
“Grazie, mio Signore, sono libri che ho da molto tempo, molti poi sono della mia famiglia da generazioni, li ho portati con me qui in questa casa, perché pensavo potessero venirmi utili, inutile dire che potete prenderli o leggerli quando volete.”
Il suo sguardo era strano, duro, freddo, ma non aggiunse nulla. Allora parlai ancora io.
“Per me potete considerare vostra ogni cosa che troverete nella mia casa, maestro.”
Ancora silenzio. 
Era una situazione inusuale per noi, ma a lui non sembrava importare molto, restava immerso nei suoi pensieri e interessi, quasi fosse solo.
Rimasi ferma e zitta a guardarlo, portava ancora la camicia addosso, ma l’aveva lasciata aperta, le maniche leggermente alzate sugli avambracci e le lenzuola sulle gambe, lì aveva appoggiato qualche libro.
Sembrava stanco, ma rilassato.
Era meraviglioso vederlo così perfetto, ma allo stesso tempo un po’ scomposto, non mi era mai capitato di poterlo avere con me a quel modo in quelle circostanze.
Rimasi molto tempo a guardarlo, quasi in adorazione, e probabilmente se ne rese conto.
“Credo sia giunto il momento che tu impari a comandare il vento, Bella, dobbiamo procedere coi tuoi insegnamenti.”
Dicendo queste cose chiuse il libro che aveva davanti e mi guardò.
“Il vento, mio Signore, il vostro elemento?”
Fui molto emozionata per ciò che mi aveva detto. Imparare a comandare il vento voleva dire prima di tutto capirlo, entrare nell’elemento ed interpretarlo.
Ma sarei mai riuscita a capire e interpretare lui? Proprio lui, il mio Signore?
“Non ti ho chiesto di conoscermi e capirmi, Bella, ma ti ho detto di studiare l’elemento, il vento, di imparare a comandarlo, nient’altro.”
Mi leggeva la mente, mi prendeva in giro, fingeva non fosse una situazione particolare, ma non poteva fingere di non capire benissimo che studiare il suo elemento avrebbe significato entrare nel profondo del suo essere.
Non riuscii a dire nulla per contraddirlo, ma probabilmente comprese da solo cosa stessi pensando. 
Restammo in silenzio per poco tempo, non feci nulla, lui invece si mosse lentamente, vidi che faceva da parte i libri, li lasciò cadere a terra, sparpagliarsi sul pavimento, tutto mentre si avvicinava a me.
Scostò la sottoveste che mi teneva coperte le gambe, anche il foglio con l’incantesimo andò a finire sul tappeto vicino al letto. 
Si insinuò tra le mia cosce, stringendole forte a sé, tenendomi avvinghiata a lui con forza. Poi sentii la sua lingua lambire il mio sesso caldo, anche la sua lingua era calda, abile, subito mi sentii bagnata.
Il calore della sua bocca e delle sue labbra si unì al calore del mio sesso. Sentii lunghi fremiti di piacere propagarsi ovunque e più i miei tremiti e il mio calore aumentarono, più lui seguitava a leccarmi, mordermi, stringermi forte con le mani sulle mie cosce.
Con quel graffiante piacere mi torturava, io lo desideravo e lui invece indugiava. Era sempre stato molto veloce, aveva sempre preferito saltare ogni tappa ed entrare dento di me prepotentemente, ma da qualche tempo a questa parte preferiva prima provocarmi a lungo, torturandomi di piacere, facendomi desiderare ciò che poi mi concedeva, con forza e passione, solo nel momento in cui decideva lui, quando più gli garbava.
E quando arrivava quel momento era forte e violento.
Anche quella volta fu travolgente, mi fece venire moltissime volte, così tante che mi sentii bruciare dentro, mi sentii lacerata.
Il suo sesso, le sue mani, le sue spinte, la sua forza, tutto di stava facendo letteralmente morire di piacere, non potevo più distinguere amore da dolore, piacere da tortura, i nervi mi mandavano sensazioni devastanti, ma lui non si fermava, se anche lo imploravo insisteva, più chiedevo un attimo di respiro, più aumentava la forza della sua violenta passione.
Senza rendermene conto completamente, arrivata al limite, gli afferrai forte le spalle, quasi in un abbraccio e piantai le unghie nella sua carne, graffiai come una gatta per sopravvivere a quell’inesauribile piacere senza tregua che mi stava togliendo il fiato.
Nemmeno allora si fermò, anzi, spinse ancora più forte, ma per brevi istanti perché lo sentii venire quasi subito, mentre le mie dita strisciavano ancora sulla sua pelle candida. 
Sentii i suoi muscoli rilassarsi e potei guardare l’espressione del suo viso.
Assaporai anche, seppur vagamente, l’odore del suo sangue. Si percepiva dai graffi che si stavano aprendo.
Quel suo sangue.
Impuro.
Non mi importava, era il sangue del mio Signore e io l’amavo in ogni modo, avrei voluto leccarlo via, leccare le ferite che io stessa gli avevo provocato. 
Mentre lui era ancora sopra di me e riprendeva fiato, mi avvicinai alla sua pelle per leccare i graffi, chiusi gli occhi, mi accostai lentamente. Mi lasciavo trasportare dal suo odore, sentii i graffi con le labbra, ma non feci in tempo a sfiorare la pelle lacerata che lui si scostò immediatamente, andandosi a sdraiare all’altro lato del letto.
“Non mi toccare”
Questa frase tagliente era davvero difficile da capire e accettare. Questi repentini cambiamenti d’umore mi lasciavano sempre spiazzata.
Avevamo fatto l’amore fino ad un attimo prima, lo avevamo fatto più volte nello stesso pomeriggio, era stato intenso e devastante per entrambi, ma in quel momento invece mi diceva di non toccarlo, si allontanava da me.
“Siete arrabbiato, mio Signore?”
“Non fare la sciocca, se fossi arrabbiato te ne saresti accorta poco fa…”
Lasciò l’affermazione come sospesa, poi, con molta lentezza, si alzò sui gomiti e si voltò a guardarmi lungamente.
“Tante volte ti ho detto che devi smettere di fare la ragazzina, non c’è bisogno di chiedermi sempre se sono arrabbiato.”
In quell’esatto istante mi salirono le lacrime, ma le rigettai indietro con uno sforzo immane, proprio per non fare la ragazzina, come diceva lui. Davvero non riusciva a comprendere quanto fosse difficile per me capirlo senza chiedere conferme e rassicurazioni, non gli veniva minimamente in testa come mi dovessi sentire io davanti ai suoi repentini cambi d’umore, ai suoi silenzi improvvisi e prolungati, alla sua freddezza o improvvisa emotività. Quanto a volte avessi il terrore delle sue esplosioni di rabbia, anche se mai mi era capitato fossero rivolte verso di me.
Era vero che di fronte a lui ero ancora una ragazzina, ma non capiva quanto lui per primo, a volte, si comportasse come un bambino, un bambino impaurito, solo, ma soprattutto egoista.
I nostri sguardi si incrociarono duri e fermi, questa volta non mi feci leggere la mente, i miei pensieri erano troppo duri nei suoi confronti, ero troppo arrabbiata: misi in pratica tutti gli insegnamenti che avevo ricevuto proprio da lui e non lasciai che entrasse nei miei pensieri. 
Misi un muro e mi feci forza a mantenerlo finché non smise di provare, si mise a ridere e tornò ad appoggiarsi al materasso, la testa sul cuscino, i capelli leggermente bagnati dal sudore dell’orgasmo precedente.
Fui felice di averlo fatto così tanto godere.
“Hai imparato proprio bene, mia Bella, sei stata brava!”
“Grazie, mio maestro.”
Gli sorrisi, gli perdonavo comunque sempre tutto e bastava poco. Fui felice del complimento a proposito delle mie abilità nel chiudere la mente.
Chiusi gli occhi e mi rilassai qualche minuto, quando li riaprii lui si stava sistemando i vestiti, pronto per andare via.
Indugiai ancora un po’ nel letto, in silenzio, senza chiedere nulla. Solo dopo un po’ ripresi a parlare.
“Mio Signore, quando inizieremo le lezioni di cui mi avete parlato prima?”
Mentre guardavo lui, iniziai anche io a rivestirmi.
“Inizieremo presto, ti chiamerò io attraverso il Marchio Nero, tu fatti trovare pronta.” 
Annuii, lasciai sparpagliati alcuni indumenti sul letto, mi avvicinai a lui.
“I libri sono da riporre per bene, Bella.”
Diedi uno sguardo alla stanza in disordine, il letto sfatto, i fogli sparsi, i libri sul pavimento, ma io non ero abituata a far caso a queste cose.
“Ci penseranno gli elfi, mio Signore.”
Lui sorrise con sufficienza.
“Perché ridete, mio Signore?”
“Lo sai bene perché rido, perché sei una viziata.”
Non erano rimproveri veri, solo gli piaceva stuzzicarmi, umiliarmi, non lasciarmi mai in pace. Iniziavo ad apprezzare quel suo modo di trattarmi male pur di avermi sempre nei suoi pensieri.
Io avrei voluto averlo lì con me sempre. 
Vidi però che lui stesso indugiava, si aggiustava lentamente i vestiti, mi parlava di cose di poco conto, sembrava non volesse andarsene subito.
“Fai la fatica di eliminare almeno i fogli, Bella, sono pur sempre una prova di magia oscura e non è bene che altri sappiano.”
Ubbidii e con un incantesimo li mandai a fuoco.
Mi guardò incuriosito.
“Ricordi tutto del rito?”
“Certo, mio Signore, dopo che me lo avete terminato voi lo ricordo perfettamente, come ricordo tutto quello che mi dite, sempre.”
Si interruppe e mi guardò attentamente, piegando la testa da una parte, puntando il suo sguardo nel mio. Quando faceva così aveva tutta l’aria di un bambino curioso, triste ed intelligente, cupo e riservato.
Era un suo peculiare modo di fare che mi piaceva e mi affascinava ogni volta che lo vedevo.
“Ricordi sempre tutto ciò che dico?”
Annuii.
Non disse nulla, abbassò lo sguardo e sorrise tra sé. Lo vidi soddisfatto.
Uscì dalla stanza da letto e io lo seguii.
Camminammo fianco a fianco fino alla sala da pranzo dove era ubicato il camino più grande per le entrate e le uscite. 
Più o meno nell’istante in cui entrammo nella sala, comparvero, proprio da quel camino, sia Rod che Rab: ritornavano da una delle missioni in cui li aveva destinati proprio il mio maestro. Ero certa sarebbero stati via svariati giorni, invece non fu così.
Eravamo lì faccia a faccia tutti e quattro insieme.
Ci fu un lungo attimo di silenzio e scambio di sguardi tra tutti noi.
Rod e Rab mi guardarono entrambi sconcertati, credo avessero capito tutto molto velocemente, sapevano che era stato lì a casa con me, nel mio letto, una sorta di profanazione della casa che era anche di Rod, mio marito. 
Nulla faceva pensare che fossimo stati insieme, il mio Signore ed io, che avessimo fatto l’amore insieme, avrebbe potuto essere lì per qualsiasi altro motivo, ma evidentemente non presero nemmeno in considerazione questa possibilità. 
Non mancarono comunque subito dopo di accennare uno sguardo e un saluto al Signore Oscuro, ma in ogni loro gesto si percepiva lo sconcerto per quella scoperta. 
A me non salutarono nemmeno.
Rimasi impassibile, anche quando vidi il loro sguardo cambiare dalla sorpresa alla tristezza e rassegnazione, continuai a non provare nulla, nessuna pena, nessun pentimento, niente, ero solo felice e orgogliosa di essere lì col mio maestro.
Mantenni lo sguardo fiero, felice e spavaldo, sapevo di ferirli, ma non potevo fare diversamente, quella ero io. 
Dopo aver osservato loro, guardai attentamente anche Lord Voldemort. 
Anche lui aveva ricambiato il saluto dei due Mangimorte, aveva un sorrisetto sadico, divertito. Aveva gli occhi puntati su di loro e su di me. Lo sapeva che sarebbero tornati, sapeva perfettamente tutto, aveva temporeggiato prima di andarsene, aveva preso tutto il suo tempo per godersi l’epilogo del pomeriggio, li aveva praticamente aspettati.
Ad un certo punto spostò tutta la sua attenzione su di me, i nostri sguardi si incrociarono. Esaminava attentamente anche me, il mio comportamento, il mio stato d’animo.
Gli sorrisi con orgoglio, non mi vergognavo, ero totalmente felice quel pomeriggio, tanto quanto lui. In quel momento non mi importava di nessun altro.
Sembrò soddisfatto. Sentivo l’umiliazione degli altri due, la disperazione che provavano entrambi. Lo sapevo bene che loro mi amavano. 
Erano deboli e devastati per questo.
Avvelenati dal veleno di Lord Voldemort.
“Io e Bellatrix stavamo andando via.”
Mi stupì quell’affermazione perché, fino a poco prima, mi aveva fatto capire che se ne sarebbe andato solamente lui, invece aveva improvvisamente cambiato idea e voleva anche me.
Mi fece grandemente piacere, senza perdere tempo presi il mantello e infilai gli stivali alti e fui pronta per seguirlo. 
Lo guardai e attesi che facesse cenno di lasciare la casa. Lui era già pronto per andarsene, non aveva nulla di caldo da indossare, non lo aveva mai, sembrava non ne avesse mai bisogno. Si rivolse per un attimo agli altri.
“Mi relazionerete la missione di oggi questa notte, quando vi chiamerò.”
Senza aspettare una risposta mi afferrò stretta e ci smaterializzammo insieme.  
In men che non si dica ci ritrovammo in una stanza del Quartier Generale, soli al buio totale, ancora ero ferma nella sua stratta forte e vigorosa.
Fra le sue braccia respirai a fondo, assaporando tutto il suo profumo, sentendo il calore del suo petto. Ben presto mi accorsi che ero ferma nella sua stretta e non mi lasciava libera di muovermi, il mio cuore prese a battere all’impazzata e mi sentii le guance piene di calore.
Quelle sue azioni repentine e imprevedibili mettevano sempre una certa piacevole paura. 
“Era un esame per te, non per loro.”
Il respiro si fermò a metà, lo stomaco si contrasse forte.
Mi sentivo stretta a lui nel buio, come in una morsa, come tra le spire di un serpente velenoso, mi piaceva da morire, ma avevo anche paura. Non sapevo cosa aspettarmi.
“Per me, mio Signore?”
Non rispose, sentii soltanto che muoveva il viso sui miei capelli, mi stringeva così forte che non potei fare a meno di eccitarmi. Sentii i miei capezzoli diventare duri al contatto col suo petto. Mi salirono brividi di desiderio fino al cervello.
“Mi avevi detto che tuo marito era geloso.”
“Vi ho detto la verità, lo avete visto.”
“Sì, mi hai detto la verità.”
Allentò leggermente la presa e con la mano mi accarezzò il seno, per poi arrivare a tormentarmi le labbra con le dita.
“Brava. Ti meriteresti un premio, se solo non avessimo da lavorare.”
Dicendo questo si allontanò leggermente da me, tenendo le dita sulle mie labbra. Ero già di nuovo eccitata.
Cercai di calmare i miei bollenti spiriti, ma lui restava così vicino che non mi fu facile.
“Crea il fuoco, accendi il camino, sai che mi piace quando lo fai.”
Eseguii prontamente, la stanza si illuminò della tipica luce calda delle fiamme. Mi calmai un pochino, sentii il tepore riscaldare lentamente lo spazio attorno, guardai il mio Signore illuminato da quella luce a me famigliare. Aveva una semplice camiciola che gli copriva appena il busto ogni tanto potevo scorgere la pelle sui fianchi, le maniche alzate, sembrava sempre perfetto in tutto, ma allo stesso tempo sembrava avere sempre un qualcosa di estemporaneo e di precario. 
Avrei voluto che il mio fuoco lo scaldasse, lo proteggesse.
Ma in quel momento percepii che lui era vento, non fuoco come me, eravamo diversi, opposti, ed era come se il vento lo pervadesse e lo permeasse completamente, anima e corpo.
Era sfuggente, impalpabile, volubile.
“Era vero quello che mi avevi detto, ma volevo vedere come avresti reagito tu, mia Bella.”
La frase era sibillina, continuava a tenermi sulla corda, a mettermi alla prova, a pormi sotto esame, non voleva darmi sicurezze. Però usava quel nome, mia Bella, e lo sapevo che lo faceva solo quando era contento e soddisfatto, quando voleva provocarmi piacevolmente.
“E come ho reagito, mio Signore? Vi ho reso felice?”
Mi avvicinai a lui fino quasi a sfiorarlo, ma rimase impassibile.
“Sì, mi hai reso molto soddisfatto.”
Avvicinai la mia mano al suo collo, volevo provocarlo, lo toccai, lo accarezzai appassionatamente sempre sul collo e sulla nuca.
Lasciò fare per diversi istanti, mi illusi di andare oltre. Ma improvvisamente mi afferrò il braccio con violenza e sempre con estrema forza me lo torse fino dietro la schiena, si avvicinò però ancora di più a me, i nostri corpi si toccavano tutti.
“Mi rendi sempre soddisfatto, Bella, ma sei insaziabile, io invece ora ho detto che dobbiamo lavorare.”
Gli sorrisi. Abbandonai ogni azione in segno di resa totale.
Fu lui però ad avvicinarsi al mio collo e al mio seno, annusò la mia pelle lentamente, come per trovare il punto migliore, quello più appetitoso, poi mi morse, succhiando forte in più punti. 
Come un serpente. Mi sentii mancare tanto era il piacere.
Dopo avere insistito per un po’ a quel modo si allontanò definitivamente.
Vidi la pelle arrossarsi subito e la sfiorai con le dita, quasi stessi toccando lui.
“Adesso vediamo di studiare davvero come è fatto il vento.”
 

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Capitolo 25
*** Ovunque volesse ***


Dal grimorio di Rodolphus : “Ci sta prendendo tutti lentamente”


In pochi secondi se la portò via di nuovo e restammo noi due da soli, nel buio della stanza, nel silenzio. Solamente le luci della sera entravano a rischiarare l’ambiente freddo e scuro.
Restammo zitti per alcuni istanti, senza guardarci, io osservavo il punto in cui, fino a pochi istanti prima c’era Bella, che ora era di nuovo scomparsa, si era dissolta nell’aria, continuava a scapparmi proprio come il vento fra le dita. 
O era lui a togliermela? Il Signore Oscuro. Imperversando su di noi e su di me come una tormenta di vento gelido.
Gli occhi mi bruciavano forte per via delle lacrime che spingevano per uscire, ma non lasciai loro spazio, non potevo piangere e non davanti a mio fratello. Non potevo permettermi anche questo smacco.
Lui era quello forte ormai, quello che non perdeva mai la calma, che sembrava sapere tutto e aver previsto e accettato tutto. Io ero diventato quello debole, emotivo, incapace di reagire ad una situazione che non sapevo come accettare.
Questo era stato fino a quel momento, questo era quello che mi aspettavo ancora, e invece no, quella volta successe una cosa strana.
Lo vidi che improvvisamente si scagliò contro il camino, diede pugni sulla pietra, si mise ad urlare ed imprecare, prese a calci violentemente gli alari, poi la griglia e infine se la prese con il parascintille.
Improvvisamente nella stanza volarono pinza, attizzatoio, paletta, spazzola, soffietto, tutto con una violenza che spaventò persino me. Le scenate violente e incontrollate erano sempre state il mio pane quotidiano, c’ ero assolutamente abituato, eppure mi agitai molto assistendo alla scena.
Dopo alcuni momenti di sorpresa, provai ad avvicinarmi per calmarlo, ma lui mi strattonò.
“Dove l’ha portata? Dove l’ha portata ora? Perché ce la porta via? Cosa c’entra lui con noi? Noi tre siamo insieme fin da bambini, non può portarci via Bella, non può farlo per davvero.”
Rimasi spiazzato da quelle parole, da quel legame che lui descriveva come così solido e naturale.
“Rabastan, è lei la prima che vuole andare con lui.”
Non mi era facile dire quelle cose, ma mio fratello sembrava sconvolto, tutta la sua calma e consapevolezza sembravano sparite nel giro di un attimo.
Per tutta risposta mi attaccò senza pietà.
“No, sei tu che la lasci andare, è colpa tua, tu non la ami abbastanza, te la dovevi tenere stretta, sei suo marito, la dovevi tenere solo per te! Sei uno schifoso fallito.”
Quelle parole mi colpirono dentro, non riuscii a difendermi, sapevo di averla persa, sapevo anche che non era del tutto colpa mia, ma lo sapevo razionalmente, farlo capire al mio cuore era un’altra cosa. 
Rimasi zitto a guardarlo, senza riuscire a rispondere o controbattere.
“Dovevi tenertela, dovevi amarla, dovevi capirla e legarla a te! Non hai fatto nulla, non hai fatto nulla di buono, certo che poi ti è scappata, io ti odio fratello, ti ho sempre odiato e ora ti odio più di prima.”
A quel punto mi stancai.
“Lo so, me le hai già dette queste cose, è da quando sei nato che mi dici quanto mi odi!”
Rabastan sentendo quelle parole si avvicinò di più a me, non so se volesse picchiarmi, comunque non lo fece, si trattenne forse a fatica e andò invece avanti a ferirmi dentro.
“Ti era capitata la fortuna che lei ti amasse, tu non hai saputo apprezzarla, sei un egoista sconsiderato, te la sei goduta senza preservare il suo amore, te la sei lasciata prendere dal primo venuto, il primo psicopatico, drogato, assassino pericoloso, te l’hanno presa tutti sai? Te l’ho presa persino io! Da sotto il naso, solo che io non sono riuscito a portartela via, come invece ha fatto lui.”
Lo guardai inferocito, lo interrogai con gli occhi.
“Sì, è vero, sono stato con lei, il pomeriggio del fidanzamento, ricordi? Era sola, nel giardino, era triste, distrutta, non per te, ma per quell’altro, quello che la avvelena tutta e le fa del male. Allora c’ero io a consolarla, a sostenerla, ad aiutarla, a curare le sue fragilità. Siamo stati insieme non una, ma due volte! Tutto sotto il tuo naso, mentre tu ti occupavi delle tue scemenze di non so quale tipo.”
Stavolta rimasi per un attimo senza fiato. Anche questa dovevo sentire: anche lui mi aveva tradito. Non solo Bella mi aveva trattato come un estraneo di cui non le importava, ma anche il mio fratello sfigato. 
Sapevo da sempre che la voleva, che viveva nella mia ombra per stare vicino a Bella, ma credevo non avrebbe mai davvero concluso nulla con lei.
Lei era mia, questo avevo sempre pensato.
E avevo sempre sbagliato.
Mi fidavo di lei.
E mi fidavo anche di Rabastan.
Che idiota.
Dopo quegli istanti di sbandamento iniziai io ad insultarlo come meritava.
“Tu! Sei tu lo psicopatico! Tu sei malato, Rabastan! Sei stato sempre dietro a noi, in mezzo a noi fin da ragazzini. Nel tentativo disperato di farti vedere, di avere le sue attenzioni e il suo amore. Mi hai sempre invidiato, da sempre, ti sei innamorato della stessa ragazza di cui mi sono innamorato io, hai sempre desiderato togliermela, non solo perché la amavi, ma anche per fare del male a me, per surclassarmi, per dimostrare che non sei il fratello venuto male, che hai anche tu la tua ragione di stare al mondo.”
Lo guardai ancora, la rabbia non si placava, anzi aumentava al solo pensiero che si era portato davvero a letto Bella.
Scelsi di andare a colpire la sua ferita mai rimarginata.
“Invece lo sai che non dovevi stare al mondo, che nostra madre è morta a causa tua, che nostro padre ti odia. Abbiamo sofferto tutti a causa solo tua. Dovresti sparire, nessuno ti vuole, meno che mai Bella. Io ero l’unico a sopportarti, ti volevo anche bene in un certo modo, perché sei mio fratello. Nonostante la tua cattiveria, la tua invidia, la tua mostruosità e la tua debolezza. Ora non ti è rimasto proprio nessuno, adesso davvero ti odio anche io, sarebbe davvero meglio tu morissi.”
Afferrai la bacchetta e gliela puntai addosso avanzando verso di lui, non so nemmeno io cosa gli volessi fare davvero.
Lui, però, fu più veloce. In men che non si dica mi vidi addosso un fascio di luce, non potei nemmeno schermarlo. 
Il braccio destro era lento, mi doleva nei repentini movimenti, non fui pronto e il lampo mi colpì in pieno petto.
Caddi, forse svenni, non saprei dire. 
Non so quanto tempo passò, prima che riaprissi gli occhi.
Lentamente vidi la luce che mi fece leggermente male, mi trovavo sul pavimento, ancora indolenzito, ma stavo bene, mi misi a sedere.
Accanto a me c’era mio fratello, silenzioso e preoccupato.
Lo guardai afflitto, la rabbia e l’odio erano spariti, oppure solo momentaneamente dimenticati, come succedeva sempre tra noi.
Fu lui il primo a parlare, anche nella sua voce era scomparsa la rabbia, restava solo molta tristezza.
“Pensavo ti difendessi, mi schermassi, non volevo farti così male, fratello.”
Non risposi, dovevo riprendermi un pochino.
“Ma stai bene. Cosa ti succede?”
Rab mi aiutò ad alzarmi, ancora infermo sulle gambe mi feci accompagnare sul divano. Mi sedetti e sentii man a mano il corpo che si riprendeva, ritrovavo lucidità ed energia, ovunque, meno che al braccio. Non era stato tanto l’incantesimo di attacco di Rab a provocare l’incidente, ma l’altro incantesimo, uno ben più potente e oscuro.
Quel braccio non voleva tornare a posto, mi spiegai con mio fratello che, naturalmente, non sapeva nulla dell’accaduto.
“Non ti preoccupare, ora sto bene, mi sto riprendendo.”
Sospirai, ci guardammo negli occhi attentamente e lungamente.
“Non è che non volessi difendermi, Rab, è che non riesco più a controllare il braccio come si deve, non è più come prima, sembra sia distrutto.”
Mi guardò sgranando gli occhi. Ovviamente non poteva capire.
“Cioè? Spiegati, cos’hai al braccio che non va?”
Riflettei per un attimo sul da farsi. Poi con calma, senza parlare, mi tolsi la camicia scoprendo il petto e le braccia: tutto l’avambraccio era ancora rosso scuro, tendente al viola, fino ad arrivare più su, fino quasi alla spalla.
“Vedi? Se anche non è più dolorante, non riesco a muoverlo come prima, lo percepisco a fatica e anche quando mi sforzo di usarlo, è molto debole.”
Mio fratello era sconcertato, osservava il mio arto inorridito, solo dopo alcuni istanti provò a toccarlo delicatamente, forse con paura di farmi male, ma io non sentii molto.
Mi rimisi la camicia.
“Sapevo di avere dei problemi, ma me ne sono reso conto davvero solo nell’ultima missione, quella da cui siamo tornati poco fa, non so come fare purtroppo. Ho qualche problema anche al petto, dove mi sento dolorante, ma non sembra grave come il braccio.”
“Fratello, ma cosa ti è successo, come hai fatto a ridurti così?”
Tornai a guardare Rab dopo essermi riallacciato la camicia, non ero sicuro di volerglielo dire, non ero certo di svelare l’avvenimento, ma vedendo i suoi occhi preoccupati, sempre tanto ingenui nonostante tutto, decisi di parlare.
“È stata Bella.”
Lui rimase zitto, quasi a bocca aperta, non riuscì a dire una parola, allora continuai.
“Abbiamo avuto una discussione grave, io ho offeso il suo maestro…”
Sgranò gli occhi.
“Sì l’ho offeso, perché anche io sono geloso e soffro, fratello! Io molto più di te! Perché è vero che era mia… e non sai come sia stare davvero con lei… è un fuoco che ti travolge, un’onda che ti porta via, perdi tutti i tuoi punti di riferimento, improvvisamente c’è solo lei. Lei con la sua forza, la sua bellezza e il suo egoismo. Improvvisamente ci sono solo i suoi occhi a guidarti, il suo sguardo scuro e magnetico, le sue labbra affamate di sesso e sangue, la sua passione che ti brucia dentro. Ogni giorno insieme a lei è un inferno e un paradiso di cui non puoi più fare a meno, perché ti fa sentire vivo come non mai.”
Rabastan mi guardava, ascoltava in silenzio.
“L’ho fatta arrabbiare parlandole male del suo maestro e lei mi ha fatto questo.”
Mi toccai il braccio senza percepirlo appieno.
“Non sento quasi nulla. È magia oscura, è questo quello che impara ogni giorno, non so cosa succederà, perché non conosco quasi nulla di questi incantesimi e, a dire la verità, ho paura.”
Rimasi zitto, con lo sguardo tetro verso il mio stesso braccio.
“No, fratello, non è stata lei, non è fatta così, lei ci vuole bene.”
Sorrisi.
“Lei è fatta così, io lo so, solo io la conosco fino in fondo. Bella è crudele ed è senza pietà… e lo è con tutti meno che con una persona sola sulla faccia della terra.”
Feci una pausa eloquente, poi mi decisi ad aggiungere la conclusione della frase ad effetto.
“E quella persona non sono io e nemmeno tu…”
Provò a scuotere la testa, ma neanche lui credeva alle sue rimostranze.
“Rab, stavolta sei tu che non accetti la realtà, mi hai sempre preso in giro perché non accettavo che fosse innamorata di Lord Voldemort, adesso sei tu a non accettare che lei sia tale quale a lui. Sono opposti, ma uguali, due facce della stessa medaglia, la stessa cattiveria che si esprime in due modi completamente differenti.”
Mi guardava in maniera disperata. Tornò quel bambino spaurito che avevo accanto quando restammo soli, in un castello gigantesco, quando anche nostro padre decise di abbandonarci, non per morire, come la mamma, ma per andarsene a fare la sua vita in Francia. 
Ecco, Rab, in quel momento, sembrava tornato il bambino di quei tempi, solo e sperduto.
“Non voglio dire che non ci voglia bene, Rab. Anzi, a te vuol bene anche in maniera speciale, anche se non ne capisco il motivo. Però anche tu conosci la sua crudeltà, è capace di passare sul cadavere di chiunque, fare qualsiasi cosa, pur di fare piacere al suo maestro, al suo Signore.”
Abbassò lo sguardo.
“Accettalo, Rab, perché è così purtroppo, non esiterebbe un solo istante ad ucciderci se lo ritenesse giusto, o necessario, gliel’ho letto negli occhi quando mi ha fatto questo, e i suoi occhi non mentono.”
Rab mi alzò di nuovo la manica della camicia: tesi il braccio verso di lui, si vedeva bene come l’arto tremava leggermente, se lo lascivo teso e anche sotto un lievissimo sforzo. Mio fratello passò la mano sulla mia pelle, cercando di essere delicato, ne guardava il colore rosso scuro, quasi viola.
“Sembra avvelenato…”
Disse queste parole quasi in un sospiro, restò pensieroso.
“È il suo veleno, fratello, ci sta prendendo tutti lentamente.”
 

Dal grimorio di Bellatrix : “Ovunque volesse”




Mi ero seduta per terra, come sempre vicino al fuoco, iniziava a fare sempre più freddo e il tepore del mio elemento mi faceva sentire bene. Da qualche giorno il mio maestro era impegnato con altri Mangiamorte in affari che non mi riguardavano, che non amavo nemmeno seguire, per cui mi ero concentrata sullo studio degli elementi, anzi del suo elemento. 
Ugualmente sentivo molto la sua mancanza e l’inattività spesso mi annoiava. 
Ero sola senza le sue battute fredde e taglienti, senza i suoi sguardi di fuoco, le sue polemiche e provocazioni nei miei confronti. Mi mancava lui, il suo corpo accanto al mio, il fremito di paura e piacere che mi provocava. 
Guardai fuori, si stava facendo buio. 
Strinsi la maglia sulle spalle e tornai ad esaminare il libro.
Con le dita sfiorai il disegno dorato del simbolo dell’aria: un triangolo equilatero col vertice rivolto verso l’alto. La figura geometrica era attraversata da un tratto orizzontale che la divideva in due parti. 
Lessi poco più in basso che la rappresentazione simbolica esprimeva l’arresto del moto unicamente ascensionale tipico solo del fuoco, il mio elemento.
Quindi era come se fossimo divisi da una barra, lui ed io, pensai tra me e me. Non mi riuscivo a concentrare molto e, nella calma di quel momento, tendevo a fantasticare. 
Pensavo spesso a cosa ancora ci dividesse, ma non c’era nulla di reale, solo il suo carattere, il suo modo di essere, lui che non voleva mai legarsi veramente a nessuno. 
Io non facevo eccezione.
Era palese ormai che con me era diverso, che mi considerava speciale rispetto a tutti e mi trattava in maniera esclusiva. 
Fino ad un certo punto però, non era mai diverso fino in fondo. C’ era come un muro di ghiaccio attorno al suo animo più profondo, che non era superabile nemmeno da me, non potevo scioglierlo nemmeno col mio fuoco.
Provai a tornare alla realtà, lessi ancora il libro, compresi da quelle poche righe che la linea orizzontale nel simbolo rappresentava il punto di incontro tra il fisico e il metafisico, ma cosa volesse dire questo non mi entrava in testa. 
Passai oltre, mi soffermai su concetti più semplici: “è un elemento maschile, emblema del sapere, della conoscenza e dell’intelletto”.
Sorrisi mentre continuavo la lettura: questa caratteristica gli si addiceva perfettamente.
“Tra tutti gli elementi è quello più sottile, in quanto invisibile, non può essere afferrata e trattenuta. L’aria è lo spazio intangibile che avvolge e permea l’intero universo, l’invisibile che respiriamo, perciò è l’energia vitale senza la quale non ci sarebbe la vita”.
Tutte queste descrizioni mi facevano pensare a lui per mille sue caratteristiche e modi di essere, l’ultimissima frase, quell’invisibile che respiriamo, più che l’energia vitale, come indicava il libro, mi faceva pensare a quel veleno, il suo veleno invisibile che respiriamo e senza il quale per me non ci sarebbe vita.
Mi rendevo conto che non potevo più vivere senza quel suo dolore e quel suo veleno che erano indissolubilmente legati a lui, e di cui il mio amore non poteva fare a meno.
Diedi una letta veloce al resto della pagina, ma proprio non riuscivo a concentrarmi, chiusi il libro e lo adagiai sulle mia gambe nervosamente.
Non feci in tempo a decidere cosa fare al posto di studiare la magia, che la sua magia arrivò prepotentemente dentro di me: il Marchio Nero si mise a bruciare prima lentamente, per diventare poi sempre più forte.
Indugiai qualche istante, restai seduta alla luce delle fiamme e mi scostai la manica per illuminare per bene il Marchio sull’avambraccio. Quando lo volsi lentamente verso l’alto, per ammirarlo oltre che sentirlo, vidi una luce argentea che rischiarò il mio sguardo, non lo aveva mai fatto prima, era un effetto strano e del tutto nuovo.
Solo per me.
Sorrisi e lo ammirai ancora, il bruciare aumentava e mi faceva male nella carne, ma restavo ancora lì. 
Ancora qualche istante.
Mentre mi attardavo, sentii come un lieve soffio d’aria provenire ancora dal Marchio. Fu una carezza leggera sul mio viso, che smosse appena i miei capelli. Portava l’odore della natura selvaggia, della pioggia nel bosco. Impalpabile e fugace.
Sarei stata ancora molto lì ferma, ad assaporare quella forma di lui. Volevo mantenermi nella splendida attesa di vederlo, sentirlo, parlargli, ma non potevo aspettare tanto, non volevo si adirasse, dunque mi alzai in piedi, spensi il fuoco in un attimo, misi il mantello sulle spalle e andai dal mio maestro.
Quando giunsi da lui tramite materializzazione, mi avvicinai cauta, senza dire nulla. Anche la stanza dove mi attendeva era al buio come era la mia di poco prima, illuminata solo dalla luce del fuoco.
Era appoggiato con un gomito al camino e guardava fissamente le fiamme all’interno. 
Tutta la sua figura si confondeva col buio e l’oscurità attorno. Il suo viso era pallido, forse più del solito, era illuminato e scaldato dal fuoco. Era quasi immobile, soprappensiero, solo la mano sinistra si muoveva leggermente, illuminata anch’essa dal fuoco. Stringeva distrattamente un oggetto argentato, lo rigirava nervosamente e abilmente tra le sue dita sottili e pallide. 
Era troppo pensieroso e concentrato, restai nel buio e nel silenzio non volendolo disturbare. O forse preferii guardarlo da lontano per cercare di capirlo, ma non ci riuscii.
Mi stupii quando lo vidi portarsi quell’oggetto alle labbra, suonarlo per qualche istante, con calma, gli occhi semichiusi sembravano guardare altrove, molto lontano. 
Uscirono poche note lugubri e tristi. 
Poi si fermò di nuovo, riprendendo a rigirare tra le dita quel piccolo strumento argentato. Dopo pochi secondi lo vidi brillare, volando, per poi finire dritto tra le fiamme. 
Lui non fece una piega, continuando a guardare il fuoco impassibile. Solo quando si accorse che mi ero avvicinata allora si voltò verso di me, avanzando anche lui in silenzio.
Mi tolse il mantello di dosso senza dire nulla e, sempre senza dire nulla, mi baciò il collo con ardore, stringendomi forte in vita.
Come sempre il mio corpo si riempiva di brividi, la pelle e i pori si sollevavano reagendo come antenne al suo tocco, i capezzoli mi si ingrossavano rapidamente ad ogni bacio, o morso. Eppure continuavo a pensare a quel piccolo strumento argentato che bruciava nel fuoco, mentre mi abbandonavo a lui totalmente, senza parlare e senza reagire, guardavo quel piccolo oggetto scomparire, sciogliersi, carbonizzarsi. Non sapevo per quale motivo, ma mi scesero copiose lacrime.
Facemmo l’amore così, in silenzio, lui con rabbia e io con tutto l’abbandono che conoscevo, nel bene e nel male.
Solo dopo avere goduto riuscimmo a parlare.
“Mio Signore, perché mi avevate chiamata prima?”
Lui si voltò verso di me, mi guardò come se si fosse ricordato solo in quel momento che mi aveva chiesto lui di andare lì.
“Avevo intenzione di riprendere le lezioni, ma ora non mi va più, lo faremo un’altra volta.”
Annuii, dopotutto nemmeno io avrei avuto la minima voglia, ora che eravamo lì insieme, dopo aver fatto l’amore.
Mi sorpresi a pensare, forse a torto, che in realtà mi avesse chiamata a sé perché sentiva il bisogno di avermi vicina.
Sicuramente sbagliavo, ma era bello crederlo.
“Posso chiedervi un’altra cosa?”
Sorrise con sufficienza, ma non rispose nulla. Io chiesi ugualmente senza paura di adirarlo: avevo imparato a capire quando i suoi silenzi erano taciti assensi e quando invece quei silenzi fossero rabbiosi, quando era più consigliabile lasciarlo in pace.
“Perché avete bruciato quella cosa d’argento?”
Mi guardò per un attimo, poi si rabbuiò e tacque. Capii che forse avevo toccato un argomento ostico.
“Quella cosa, forse non la conosci, era un’armonica, uno strumento babbano. Inoltre non era d’argento.”
Rimanemmo in silenzio, io lo guardai attentamente, ma aspettai che fosse lui, eventualmente, ad aggiungere qualcosa.
Restò zitto e dunque nemmeno io aggiunsi altro. 
Io stessa mi ero stupita del mio interessamento e della mia reazione. Avevo pianto senza capire il motivo di quelle lacrime, lo avevo fatto per un oggetto senza apparente importanza. Avrei però voluto sapere cosa significasse per lui, ma non ne venni mai a conoscenza, aggiunse infatti solo poche parole che non spiegarono molto.
“Ho raccolto tanti oggetti nella mia vita, tanti simboli. Alcuni hanno ragione di esistere ancora, altri semplicemente no.”
Mentre terminava la frase si allontanò, si rimise in piedi sistemandosi i vestiti. Feci la stessa cosa anche io senza battere ciglio, perché forse era di cattivo umore.
Poi però, poco dopo, quando ormai stavo per chiedere se voleva restare solo, sembrò cambiare idea all’improvviso.
Parlò con calma, come se le idee si elaborassero con lentezza anche nella sua mente.
“A pensarci meglio, però, qualche minuto per anticipare le nostre lezioni pratiche sul nuovo elemento, lo possiamo spendere.”
Fui felice che in tutta la distanza palpabile che era intercorsa tra noi in quei momenti, arrivasse uno spiraglio di connessione con lui, gli sorrisi e mi avvicinai.
“Sono pronta, mio maestro, quando volete.”
Mi travolse con quello sguardo rosso e penetrante, in quel momento ancora più rosso del solito, che mi toglieva il respiro e mi eccitava sempre.
Sì avvicinò a me e mi prese velocemente, stringendomi forte, come se volesse baciarmi, farmi sua: mi piaceva quel modo che aveva di smaterializzarci insieme. Una di quelle cose repentine e passionali che non ti aspetti da lui e che invece, proprio lui, sa fare così bene.
Prima di scomparire dalla stanza buia, sempre stretti in quell’abbraccio, mi sussurrò in modo suadente e sibilante una frase.
“Ora avrai un assaggio del mio mondo.”
Non mi fece paura, mi sentivo totalmente sicura in balia delle sue braccia e mi feci portare via da lui. 
Ovunque volesse.


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Capitolo 26
*** Piacevole ossessione ***


Lord Voldemort : “Piacevole ossessione”


Non volevo portarla davvero nel mio mondo, quello no, le avrei concesso solamente un pochino della mia essenza privata e preziosa.
Solo questo intendevo fare.
Mi materializzai ancora là dunque, in quel posto speciale, sulla scogliera a picco sul mare, dove il vento soffiava sempre forte, tanto da far sbattere le onde contro gli scogli, separare l’acqua dal sale e farlo salire in alto, fino a toccarti e bruciarti la pelle.
Mi piaceva veramente molto, quando ero bambino, sentire il sapore del sale sulla pelle.
Mi materializzai lì con lei, esattamente sul dirupo a picco sul mare, ma così tanto a picco, che sotto i nostri piedi si notava solo il bianco della spuma di mare, si sentiva solo il rumore delle onde che si infrangevano sugli scogli, sembrava di essere sospesi in aria.
Mi materializzai proprio lì, entrambi con lo sguardo di fronte al mare, a pochi centimetri dal vuoto, e lo feci di proposito, perché mi piaceva spaventarla. Era diventato un gioco divertente.
Bella subito lanciò un grido e si aggrappò stretta alle mia braccia.
Sorrisi.
Mi venne da sorridere alla sua paura, a come si lasciasse fare tutto da me, anche quando sentiva il terrore sotto la pelle e nel cuore, anche quando il suo istinto di sopravvivenza le gridava di scappare via, lontano da me. 
Pensava che avrei potuto semplicemente lasciarla cadere, vederla morire. 
Mi piaceva che lo pensasse e per un attimo la guardai, lasciandola come sospesa nell’incertezza, la lasciai lì nella sua paura. 
Poi la strinsi forte. Io ero ben saldo sulla roccia, ma lei non sapeva se l’avrei tenuta stretta a me o no.
La afferrai così forte da farle sicuramente male.
Per caso affondai il mio viso fra i suoi capelli lunghi che volavano liberi al vento, sentii quel profumo di rosa inebriante e vellutato che, per un attimo, per un solo istante, mi incantò. 
Bella, in un certo senso, mi entrava nei pensieri e non mi era facile mandarla via, non mi lasciava stare.
Mentre la tenevo ancora stretta sentivo il suo cuore battere velocemente.
“Hai avuto paura?”
Non si mosse, non si voltò verso di me, rimase di spalle, impietrita.
“Certo, mio Signore, molta.”
Sorrisi senza che mi vedesse, ancora nascosto tra i suoi capelli profumati.
“Hai ancora paura?”
La sentii respirare sotto la stretta delle mie braccia, le sue dita erano saldamente strette ai miei polsi.
“Sì, mio Signore, ho ancora paura…”
Percepii che le spiaceva dirmi così, sembrava si dispiacesse per me, perché non voleva che immaginassi che non si fidava. 
“Ti ho già detto che non ti faccio del male, sei la mia strega più potente. Ricordi?”
La sentii annuire muovendo il capo.
Sorrisi di nuovo, ma non mi mossi.
“Guarda giù.”
Lei mosse appena lo sguardo, lo fece per farmi contento, poi tornò a stringersi totalmente a me.
“Vedi laggiù la spiaggetta? Ora è quasi completamente invasa dall’acqua, ma d’estate si libera e si può accedere facilmente da una stradellina. Quando ero bambino, ci portavano spesso laggiù, questo è diventato quindi un posto speciale per me.”
Feci una breve pausa, lei mi ascoltava silenziosa.
“Forse il mio preferito.”
Mi fermai, sentii che si sporgeva leggermente, con cautela, per osservare meglio. Fui contento che si interessasse.
“Era un posto che sentivo mio, sembrava un normale luogo di mare, ma se lo scrutavi per bene, in tutti i suoi anfratti e nascondigli, ne scoprivi il lato selvaggio, pericoloso. Se poi ti ci avventuravi nelle stagioni giuste, potevi sentire tutta la potenza del vento, oltre che del mare.”
Ci allontanammo leggermente dal picco, Bella si rilassò appena, fece per voltarsi, ma la fermai.
“Resta ferma così, continua a sentire il vento, devi ascoltarlo, altrimenti non lo conoscerai mai.”
Continuavo a stringerla da dietro, ci capivamo benissimo, senza necessità di guardarsi negli occhi.
“Io ho imparato qui a comandare il vento, il mio elemento, venivo qui scappando per stare solo, non avevo nemmeno dieci anni.”
Fece ancora per voltarsi, ma la bloccai ancora in una stretta più potente. Non ci provò più e si fece attenta agli elementi.
“Mio Signore, come avete fatto? Eravate così piccolo?”
Allentai la presa.
“Mi piaceva andarmene dal luogo dove vivevo, lo facevo tutte le volte che potevo, mi piaceva stare solo, scoprire posti nuovi, selvaggi, che mi si confacevano.”
Lei taceva e mi ascoltava. Forse era il motivo per il quale diventava facile, con lei, parlare, diventava quasi un monologo dove io ero il protagonista.
“Non sapevo, allora, di essere un mago. Le cose però mi venivano straordinariamente semplici e naturali. Amavo il vento e imparai a comandarlo, fu come un gioco.”
Questa volta Bella si voltò verso di me, allora la lasciai dalla stretta.
“Come un gioco, mio maestro?”
“Ero un bambino… il vento era il mio compagno di giochi in quel momento e mi piaceva comandarlo, fargli fare ciò che volevo, piegarlo al mio volere. Lui mi seguiva. Non fu difficile.”
Bella sorrise scuotendo il capo.
Allora la volli far arrabbiare.
“Un giorno portai qui con me una bambina, una compagna dell’orfanotrofio…”
Mi fece ridere per come mi guardò angosciata: avevo imparato a prenderla in giro spesso per le sue sciocche gelosie.
Le sfiorai le labbra con le dita, attesi che si adirasse ancora di più, prima di tranquillizzarla.
“Non si mostrò minimamente all’altezza, rimase impaurita e traumatizzata per anni, una sciocca.”
Bella continuava a guardarmi sconcertata, ma io tornai serio.
“Ora basta, però, stiamo perdendo tempo, concentrati sul vento. Devi imparare a percepirlo, sentirlo sulla pelle e anche a prevederlo, se vuoi capire come comandarlo.”
Restammo in silenzio a lungo, mi allontanai, le lasciai il tempo di acuire i suoi sensi e i suoi poteri, la osservavo e mi accertavo che la sua consapevolezza e la sua capacità di approcciarsi alla magia oscura facesse i dovuti miglioramenti.
E mi accorgevo che li faceva molto velocemente.
Molte questioni di potere spingevano perché io mi dedicassi anche ad altro che non fosse la magia oscura, molti dei miei Mangiamorte insistevano in tal senso, ma io non mi decidevo. Traevo troppo piacere in questa pratica, sarei andato avanti finché l’avessi ritenuto utile e necessario. Il mio scopo primario era sempre stato quello di diventare il mago oscuro più potente della storia, colui che sbaraglia tutti i confini della magia consentita, nessuno mi sarebbe mai stato al pari. 
Non solo, più andavo avanti nell’insegnamento, più notavo che i poteri di Bella erano straordinariamente forti e per questo mi sarebbero tornati molto utili, era un ottimo investimento per me.
“Mio Signore…”
La voce di Bella mi distrasse, ma avevo già pensato al seguito.
“Non abbiamo finito, Bella, oggi voglio mostrarti un’altra cosa.”
Mi era sembrata molto ricettiva, aveva davvero voglia di scoprire il vento e ne approfittai. Di nuovo la afferrai velocemente e ci materializzammo in mezzo alla brughiera.
Ci staccammo in fretta, qui non c’erano scogliere a picco sul mare, gli spazi erano ampi, il profumo di erica e brugo arrivarono subito a solleticare le narici. 
Ci guardammo attorno per alcuni istanti, il posto era isolato e silenzioso, mi parve ottimale.
“Il vento qui non arriva potente e dirompente dal mare, arriva veloce, mutevole, sferzante da ogni direzione.”
Bella restava zitta, si guardava intorno, il vestito e i capelli volavano ad ogni corrente. Era arrivato il momento di iniziare con qualcosa di più pratico e dinamico, dovevo metterla alla prova.
Sfoderai la bacchetta e la guardai fissa. Lei subito prese posizione di difesa.
“Prova a fermare il vento con la tua magia, vediamo cosa riesci a fare come primo allenamento.”
Raccolsi le mie energie e iniziai gli attacchi, speravo riuscisse subito a bloccare e controllare almeno in parte l’elemento. Purtroppo dopo un inizio promettente rimase totalmente in balia di folate improvvise ed inaspettate, nonostante io non avessi mai esagerato con potenza e violenza. Capii subito che le era difficoltoso prevedere le raffiche, non si aspettava nemmeno la loro esistenza e destabilizzazione.
Anche la vegetazione le frustava le gambe, il vento sferzante le irritava gli occhi, così facendo potevo insistere e confonderla ancora di più. Andammo comunque avanti molto perché non voleva arrendersi, ma alla fine si piegò a terra e lì rimase finché non mi avvicinai.
“Che succede?”
“Mio Signore, un po’ di pausa, non ce la faccio più, siete troppo più forte di me.”
“Non ho forzato minimamente…” 
Le dissi così pur sapendo che non era del tutto vero. Quando la vidi afflitta e umiliata mi ammorbidii.
“Non sei andata poi così male, era solo l’inizio.”
Si mise a sedere per terra restando zitta, lisciandosi pensierosa i capelli arruffati dall’allenamento.
“Allora, pensi di riuscire a comprendere come muoverti?”
Lentamente si mise in piedi davanti a me, scorsi alcuni graffi sulle braccia nude, probabilmente dovuti alla vegetazione che le era schizzata addosso trasportata, con violenza, dal vento. 
Sembrava non curarsene: apprezzavo molto questo suo lato guerriero, questo suo non avere mai paura delle battaglie, non arrendersi e non far caso alle avversità sul suo corpo.
“Non riesco ancora nemmeno a schermare il vento, mio Signore.”
Sembrava molto avvilita e mi fece ridere, le pulii rudemente un po’ di sangue dal viso, anche sulla guancia sinistra si era aperto un graffio superficiale.
“Non riesci perché non ti sei applicata nello studio quando potevi… devi prestare attenzione alle raffiche, come sono improvvise, come cambiano direzione, devi prevederle, essere pronta, sapere come muoverti. Rimettiti a studiare, preparati meglio, presto torneremo ad allenarci insieme.”
Lei annuì ubbidiente.
“Tornerò a leggere meglio l’argomento sui libri, mi sono concentrata su altro, non avevo capito. Mi ero applicata su caratteristiche e significati dell’aria.”
Alzai gli occhi al cielo.
“Sono cose interessanti, ma che nella pratica non ti servono, ormai dovresti saperlo, Bella.”
“Sì, maestro, ma se devo essere sincera, volevo conoscere i significati per capire meglio voi.”
Mal sopportavo questi atteggiamenti sentimentali che Bella mostrava ogni tanto, era giovane, ma doveva davvero smettere di sognare come una ragazzina.
“Finiscila con queste perdite di tempo, non è possibile che ogni volta devi farmi adirare per queste sciocchezze.”
“Scusatemi, mio maestro, non si ripeterà.”
Dopo una breve pausa la sentii esprimere l’ennesima curiosità.
“Anche qui venivate? È un posto importante come l’altro?”
Ci pensai un pochino, mi guardai intorno e ascoltai i rumori della natura portati fino a noi dal vento. Non ero più molto in animo di rispondere, ma lo feci ugualmente.
“Sì anche questo è un posto importante per me, sono molti i luoghi a cui do un’importanza speciale, simbolica.”
Mi ascoltò attenta, iniziò a guardarsi attorno, ancora una volta sentiva gli elementi, perciò la lasciai fare senza aggiungere altro, le diedi il tempo di concentrarsi.
Vidi che si mosse lentamente, mi scostai da lei, si voltò nello spazio attorno, sempre con calma, nel silenzio e per svariati momenti, poi tornò a concentrarsi su di me.
“E perché proprio qui, mio Signore?”
Riflettei per un attimo sulla domanda, ma le parole vennero presto spontanee, mescolate ai ricordi. Iniziai a camminare e lei mi venne dietro.
“Perché qui si sente la voce del vento, ma non solo, si sentono anche la voci degli animali selvatici, qui ho conosciuto i serpenti, ho parlato con loro, loro mi cercavano, mi trovavano, mi parlavano.”
Mi guardava attenta, senza aggiungere parola.
“Loro erano i miei veri amici, mi volevano, mi ubbidivano e mi erano fedeli. Vedevo come cercassero me e le mie parole. Piano piano mi accorsi come potevo rivolgermi a tutti gli animali, mi ubbidivano, potevo far fare loro ciò che volevo, talvolta bastava uno sguardo, un pensiero.”
Ricordai tra me come tante magie fossero iniziate per caso, da bambino, durante una gita, una scampagnata, una fuga dall’orfanotrofio. Fuori da quel posto la mia magia si liberava con più forza, soprattutto all’inizio.
“Era un gioco per me, era divertente. Solo io avevo quel potere, solo io potevo fare tutte quelle cose straordinarie.”
Mi voltai a guardare Bella, vidi che mi guardava rapita dalle mie parole.
“Anche questa cosa straordinaria era un gioco, mio Signore?”
Sorrisi compiaciuto, notava lei stessa come mi venisse tutto straordinariamente facile e naturale. Non aggiunsi altro.
“Mio Signore, non mi parlate mai di quando avete lasciato la scuola, di cosa avete fatto, dove avete vissuto.”
“In un altro momento, ora non mi va, adesso devo fare ritorno al Quartier Generale, ci sono ancora molte cose da definire con altri Mangiamorte.”
Rimase zitta e distolse lo sguardo, il vento si mosse veloce e improvviso.
“Cosa c’ è? Non ti va di essere messa in disparte per loro? Non ti sembra di avere ricevuto attenzione a sufficienza per oggi, Bella?”
La presi ancora un pochino in giro, ma vidi che lei restava sulle sue, non si scherniva come al solito, non finiva per prendersela, così la interrogai più seriamente.
“No, mio Signore, non è per questo… è che molti dei Mangiamorte non mi convincono, non sono fedeli come dovrebbero, non sono davvero pronti a rischiare tutto per voi. Ricordate quante polemiche nascoste? Le alleanze contrarie e i malcontenti non saranno sicuramente ancora finiti.”
Scossi la mano e la zittii.
“Lo so benissimo, Bella, lo vedo anche io e lo sento dai discorsi, ma non possiamo fare a meno di loro, per ampliare il nostro progetto di egemonia sul mondo magico, c’ è bisogno anche di loro.”
Non era convinta, attesi che parlasse, le sue idee erano sempre logiche e analitiche, oltre che molto intuitive, non sarebbe stato saggio prenderla alla leggera.
“È assolutamente necessario espandere la vostra egemonia sul mondo magico? Non sarebbe più conveniente impegnarsi solo sulla magia e non su questi giochi politici?”
Rimasi un attimo zitto a riflettere: il suo pensiero non mi era nuovo, diverse volte ci avevo pensato io stesso.
La guardai attentamente e lei ricambiò lo sguardo, era ferma e decisa.
Eppure dentro di me c’era la voglia di andare ancora oltre, non fermarmi solo alla magia, sentivo il desiderio di far dilagare la mia forza su tutto, distruggere tutti i confini, togliere ogni freno. Era un bisogno che non si placava mai, anzi richiedeva sempre più di andare oltre.
“Sì, Bella, è assolutamente necessario.”
La vidi sospirare, pensierosa e seria, poi lentamente annuì, guardandomi negli occhi con quello sguardo che nessuno aveva mai nei miei confronti.
Non era paura, non era terrore, non era compiacimento, non era nemmeno solo ammirazione, o solo preoccupazione, non era semplice adorazione e neanche esclusivamente passione.
Non sapevo definirlo, ma mi piaceva molto quello sguardo che riservava solo a me, solo lei sapeva guardarmi così.
Le restituii lo sguardo per lungo tempo.
“Va bene allora, mio Signore, promettetemi di stare attento.”
“Che sciocchezza, non c’è bisogno di prometterti nulla, io sono attento, so bene come devo comportarmi.”
Mentre le rispondevo la vidi sorridere, non feci quasi in tempo a terminare la frase che si avvicinò, mi accarezzò il collo, con le sue dita morbide, poi inaspettatamente strinse più forte, accostandosi a me e mi baciò. Quel bacio rubato, fugace e allo stesso tempo appassionato non mi dispiacque, non mi dispiacevano le sue labbra calde sulle mie e il trasporto che ci metteva. 
Mi scostai di lato, restando a pochi centimetri da lei, dalle sue labbra e dai suoi occhi. La guardai senza parlare, vidi che ricambiava l’occhiata con un certo timore. Aveva paura di avere azzardato troppo a prendere quell’iniziativa.
Non mi mossi, lei fece per scostarsi e invece no, non la lasciai scappare. Non dopo aver fatto il danno, dopo avermi provocato.
La tenni stretta per la vita, le affondai le dita tra i capelli che ancora profumavano di rosa, ma aveva lasciato il posto anche a quel profumo di vento e dei sapori della brughiera.
Strinsi i suoi capelli neri e folti con violenza, la costrinsi a guardarmi.
“Ti permetti di baciarmi, così? E volevi scappare senza avere la giusta punizione?”
La strinsi ancora forte. Lei gemendo chiuse gli occhi.
Mi mostrò il collo, come gli animali selvatici, in segno di resa. Silenziosa, languida. Le veniva straordinariamente naturale essere così sensuale.
“Che ossessione sei, Bella.”
Riusciva a farmi eccitare sempre, se prima l’avevo posseduta per stemperare la tensione, ora mi faceva sentire il sangue di fuoco scorrere nelle vene. 
Bastavano le sue provocazioni e le sue rese repentine, bastavano quegli occhi scuri che mi mostravano sguardi di passione e si chiudevano nel momento del desiderio più forte. 
Bastavano quelle labbra che si schiudevano in un sorriso sia di vittoria che di resa, entrambi nello stesso istante. 
Quando si inginocchiò davanti a me, perché aveva sentito quanto mi stava facendo eccitare e voleva continuare a farlo, non mi accontentai solo delle sue mani, o della sua bocca calda e accogliente. 
No, non mi riuscivo ad accontentare: la sbattei a terra in mezzo agli arbusti irti e pungenti della brughiera.
Ci graffiammo entrambi sotto la violenza della passione. Lei, sotto di me, ancora di più, cosa che mi diede ancora più piacere. La vedevo vicina che mi sorrideva, sorrideva in quel modo provocante, malato e perverso che mi entrava nella testa e me la faceva desiderare ogni volta di più. 
La volevo tutta, la volevo ovunque, desideravo possederla dove più mi piacesse, quanto più mi piacesse. Aspettavo di sentire le sue grida e i suoi gemiti eccitati, i suoi sguardi spregiudicati e le sue parole sempre più ardite.
Solo quando la sentivo venire sotto la mia forza, quando la inondavo dove più mi piacesse farlo, allora per qualche tempo la allontanavo dalla mente, ormai appagato.
Dopo poco però tornava lì. Insistentemente lei e insistentemente il pensiero di lei.
Era una prepotente, fastidiosa e piacevole ossessione.



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Capitolo 27
*** La custode dell’anima ***


Lord Voldemort : “La custode dell’anima”


Il tempo passava lento quella notte, nel silenzio della stanza ero fermo a pensare, tenevo gli occhi aperti e il mio sguardo fissava il buio attorno.
Sentivo, quasi inconsapevolmente, che la mia mente stava lavorando a qualcosa, le lasciavo il tempo di elaborarla.
Improvvisamente ebbi un’idea, fu un lampo, come un’ispirazione. Lo sapevo che sarebbe arrivata, lo sentivo.
Senza muovermi, senza pensare ulteriormente, sorrisi nell’oscurità.
All’improvviso, il progetto era definito, tutti i particolari e tutti i significati erano splendidamente legati, era così che la mia mente lavorava. Lentamente, senza accorgermene il cervello analizzava, ragionava e infine il tutto si figurava dentro di me già completo, senza sforzo, senza fretta, ma perfetto.
Non dovevo attendere altro, era già tutto definito nei miei pensieri.
Mi alzai dal letto, con calma, mettendomi una veste addosso, senza cura, mi serviva che semplicemente mi coprisse; poi con un cenno della bacchetta ravviai il fuoco nel camino, accesi le candele sul tavolo della grande stanza attigua.
Dovevo lavorare.
Facendo attenzione a non fare rumore, andai alla libreria e presi il quaderno con gli Horcrux, la matita, il temperino e appoggiai tutto sul tavolo, accanto alle candele.
Prima di sedermi mi avvicinai alle finestre: il buio fuori era quasi totale, il silenzio rotto solamente da gufi e civette che emettevano i loro richiami. La luna era alta in cielo, dunque era ancora notte fonda. 
Aprii leggermente le finestre per assaporare il profumo della notte, poi mi misi al tavolo e studiai di nuovo il quaderno degli Horcrux, dopo tanto tempo.
Tutto ormai era compiuto, sfogliai le pagine e riguardai ogni oggetto e ogni appunto su di essi, andai avanti fissandoli uno dopo l’altro, tutti quelli già creati, fino all’ultima pagina, dove trovai quello ancora mancante.
La coppa.
Lei era l’unica non ancora terminata, ma finalmente si era palesato nella mia mente il momento, il luogo, il simbolo, l’incanto e il susseguirsi delle magie, il custode.
Finalmente avevo il quadro completo, l’ispirazione.
Scrissi tutto di getto, senza fermarmi un attimo, se avevo bisogno di riflettere e creare la visione nella mia testa, allora variavo leggermente l’impugnatura della matita e mi dedicavo alla decorazione del disegno, aggiungevo ombreggiature e arricchivo di particolari alcune parti, poi, appena ero pronto, riprendevo a scrivere veloce.
Non staccai praticamente mai la matita della foglio dunque, nemmeno quando pensavo e riflettevo.
Conoscevo perfettamente il mio modo di creare incantesimi e piani d’azione, era sempre lo stesso da quando ero bambino, dovevo solo assecondare la visione che nasceva nel mio cervello, lasciarla uscire.
Sempre da bambino, collezionavo anche disegni, immagini e oggetti. Ho sempre avuto una memoria visiva molto spiccata, spirito di osservazione e grande manualità nel disegnare tutto ciò che mi interessava.
Non avevo perso quell’abitudine.
Quando fu tutto scritto e l’immagine terminata, aggiunsi un piccolo vezzo, quasi un rebus collegato al custode dell’Horcrux. Disegnai la figura stilizzata dell’uomo, esattamente come viene rappresentata sui libri di astronomia: il braccio, l’arco tirato, poi ad ogni vertice disegnai le stelle.
Mi stupivo di quanta cura e precisione mettessi in quello sciocco modo di indicare il custode del mio frammento di anima, avrei dovuto essere più sbrigativo. 
Molto più sbrigativo.
Quindi, come per negare la mia propensione a pensare e soffermarmi su di lei, il mio desiderio di mettere cura nell’indicare lei, scrissi velocemente il nome della costellazione appena creata: Orione.
Mi staccai dal foglio per la prima volta e osservai.
Ero soddisfatto, però non potei fare a meno di aggiungere un particolare ancora, dedicare al nome di quella stella, al suo nome, una cura meticolosa, quasi dovessi creare una miniatura.
Quando ebbi finito guardai ancora il foglio, compiaciuto della brillantezza che sembrava emanare il disegno con a fianco il nome di Bellatrix.
Pensai che le sarebbe sicuramente piaciuto, ma ovviamente non lo vedrà mai. 
Guardai ancora fuori verso la luce della luna.
Era la prima volta che decidevo di lasciare il mio Horcrux in custodia a qualcuno e pensai che sarebbe stata anche l’unica e la sola volta che lo facevo.
Mi scostai i capelli dal viso, drizzandomi sulla sedia e stirandomi per rilassarmi. 
Guardai ancora una volta l’opera in tutta la sua interezza, la analizzai con pazienza, facendomi scivolare più volte la matita tra le dita, passandola su e giù: anche questo un gioco che facevo fin da bambino. 
Usavo sempre la matita, mai la piuma, mi infastidiva molto, ma il mio meglio lo davo con quell’attrezzo babbano che impugnavo da sempre, lo avevo accettato già molto tempo prima.
Mi sentii soddisfatto dell’opera: nessun ritocco, nessun ripensamento, nessuna aggiustatura, era perfetto così.
Chiusi il quaderno, feci l’incantesimo per nascondere gli scritti, lo riposi al suo posto nella libreria.
Dopo aver sfiorato la copertina con le dita, mi allontanai silenziosamente e tornai accanto al letto.
Mi fermai a guardarla piegando la testa di lato, come per avere un’altra prospettiva di osservazione.
Eccola lì lei, pronta per me.
Sfrontatamente addormentata nel mio letto, avvolta da lenzuola nere come la notte.
I capelli scuri si perdevano e confondevano sul cuscino, mentre la pelle chiara faceva un bel contrasto.
La osservai a lungo: era bella, aveva il fascino della forza e della passione, ero fortunato che fosse proprio lei a servirmi così tanto e così bene. 
Anche a letto.
Allungai il braccio dall’alto per sfiorarle il viso con la punta delle dita, con le unghie, ma non si svegliò.
O finse di non svegliarsi.
Aveva avuto molto tempo per studiare ed allenarsi col mio elemento, ormai speravo fosse possibile iniziare con l’ultimo dei quattro: la terra, l’elemento madre, da cui tutto nasce e rinasce.
La coppa.
Mi concentrai per richiamare il vento dalla finestra aperta, una brezza e poi più forte, leggero e poi più intenso, allora la vidi aprire gli occhi in un istante.
Lo sapevo che fingeva di dormire.
Alzò lentamente lo sguardo verso di me, attenta, vigile.
“Mi avete chiamata, mio maestro? Il vento mi ha chiamata?”
Sorrisi nell’oscurità: aveva davvero fatto grandi progressi.
“Devi farmi vedere cosa hai imparato del vento, voglio insegnarti altro, è tempo di passare avanti.”
Mi guardò fissamente, quindi si alzò lentamente a sedere sul letto, io restavo in piedi accanto a lei.
“Proprio ora, mio Signore?”
Era ancora nuda come l’avevo lasciata poco prima, dopo averla posseduta incessantemente. Le labbra e il viso erano un pochino arrossati dalla foga appena passata e la rendevano più sensuale e attraente.
“Proprio ora, mia Bella.”
Vidi che anche lei mi osservava, mi guardava negli occhi silenziosamente.
“Voi, dormite nei momenti più strani e mai la notte.”
Non le risposi, attesi che si alzasse.
Invece prese lentamente la mia mano fra le sue, non capivo cosa volesse fare, la stavo per allontanare quando vidi che si accostò a me e le sue labbra si posarono lentamente sul mio avambraccio.
“Va bene, come volete, mio Signore, sono pronta per voi.”
Fra una parola e l’altra mi accarezzò e baciò il livido sull’avambraccio, le punture, sembrava volesse curarmi le ferite. 
La guardai a lungo senza reagire, questo gesto mi fece scaturire una grossa fitta allo stomaco e alla testa, quasi come se mi stessi strappando l’anima per creare un Horcrux.
Sapevo bene che Bella voleva solo farmi piacere, ma non si doveva permettere di prendersi cura delle mie debolezze. 
L’avevo messa io a conoscenza di certi miei segreti, ma non doveva approfittarne.
Mi ero ripromesso di interrompere di prendere il laudano e la morfina già dopo la trasformazione del medaglione, invece non lo avevo fatto.
Che lei se ne fosse accorta lo sapevo già da tempo, mi stava accanto e mi era di grande utilità, ma che ora mi baciasse le punture, quello non era minimamente ammissibile, lo odiai.
Scansai malamente il braccio e la esortai a darsi una mossa, il sentimento di astio mi cresceva dentro e tutta quella rabbia l’avrei usata poi, per metterla alla prova con la magia.
Ci cambiammo in fretta, nel silenzio e nel buio, solo la luce del camino illuminava pacatamente la stanza, ogni volta che mi vedeva arrabbiato non si agitava più, mi lasciava stare e attendeva che mi passasse.
Intanto si prendeva i suoi spazi, si avvicinava.  
Si avvicinava tanto che, senza quasi rendermene conto, era diventata davvero preziosa, era sempre accanto a me.
Cercai di non pensarci, non avevo tempo né voglia di pensare a queste cose. Bella aveva il grande difetto di suscitarmi pensieri e riflessioni scomode, cose che non volevo né pensare né provare.
Molto velocemente fummo pronti anche per la materializzazione, vidi però che non era certa di avvicinarsi a me, sempre per via della mia seccatura e del mio fastidio di poco prima. 
La afferrai per un braccio io stavolta, la tirai stretta a me, stringendo forte i capelli scuri, fino a farle male.
“Cosa succede? Hai paura adesso?”
Rimase per un attimo in silenzio poi scosse la testa lentamente, titubante disse di no.
Era fatta così Bella, prima scatenava la mia rabbia, poi le venivano le remore e tentennava. La strinsi violentemente e ci materializzammo sulla solita scogliera accanto al mare.
“Dovresti aver capito ormai come il mio umore muta col vento, mentre il veleno è invece perenne dentro di me.”
Rimase ferma stretta tra le mie braccia, sembrava non volersi staccare.
Poi si allontanò di un passo e afferrò la sua bacchetta.
“Sì, mio Signore, l’ho capito, ho capito come siete fatto voi e soprattutto ho capito come è fatto il vento. Adesso ve lo dimostro.”
Pensai che era tanto brava con la magia quanto incauta coi sentimenti, avventata e appassionata come il fuoco. Estrassi anche io la bacchetta e iniziammo un combattimento feroce e serrato, non le risparmiai nulla, le scagliai addosso qualsiasi incantesimo conoscessi che fosse legato al mio elemento, con una violenza che fu quasi al limite delle mie energie.
Quasi al limite, non la volevo rovinare.
La vidi molte volte in difficoltà, confusa, raggirata e spaventata, ma non si arrese mai, continuò a parare colpo su colpo, aveva imparato anche ad usare lei stessa il vento per frenare e attutire i miei attacchi.
La vidi cadere, ferirsi, le vidi le lacrime agli occhi che si asciugava col dorso delle mani sporche, rovinandosi tutto il viso, mi faceva ridere e insistei senza alcuna pietà.
Negli allenamenti passati, le davo sempre qualche suggerimento, o aiuto, questa volta non dissi mai nulla, fui freddo e spietato.
Ero arrabbiato con lei e sfogavo la mia violenza così, ma non era solo questo.
Probabilmente la stavo mettendo alla prova non soltanto per l’elemento, ma anche per qualcosa di ancora più importante: la coppa. 
Doveva mostrarsi all’altezza di essere una vera e capace custode.
Dopotutto avevo intenzione di affidarle un frammento della mia anima, di farle custodire la mia occasione di rinascere, non era certamente cosa da poco. Per quanto mi fidassi di lei, non era mai abbastanza ciò che mi doveva dimostrare per meritarsi questo.
Dal canto suo, Bella non cedette mai una volta, ma non mi bastò e andai avanti a lungo.
Conosceva tutto, capiva le raffiche, ne intuiva l’arrivo e la direzione, sapeva vedere gli spostamenti del vento, i bruschi cambi repentini, ne riconosceva l’intensità, quando affrontarlo e quando cercare di schermarlo. Resisteva persino al disagio del vento gelato, o al contrario troppo caldo. 
Sapeva che il vento non lo poteva fermare in nessun modo, con nessun incantesimo. Quindi fece una mossa che non mi aspettavo.
Quando, dopo ore di lotta e battaglia, la vidi concentrarsi per raccogliere tutte le sue energie, le lasciai qualche istante di respiro, volli darle il tempo di preparare quello che avrebbe fatto di lì a pochi attimi.
Poco dopo mossi una massa d’aria nella sua direzione, la vidi attendere di esserne completamente investita, osservai quel suo modo così perfetto di creare il fuoco attorno, di sfruttare il vento per crearlo forte e distruttivo, di dominarlo in ogni suo aspetto. 
La vidi prendere qualche attimo, fece sì che il vento alimentasse quel fuoco sempre di più, non potendo sconfiggerlo se lo fece alleato per la sua magia e me lo rimandò indietro con un incantesimo intensissimo, che sommava la forza dei due elementi.
Notevole.
Dovetti impegnarmi a schermarlo e a disperderlo.
Mi fermai, lei ansimava e mi guardava, pronta per un nuovo attacco da parte mia, invece io mi sentii finalmente soddisfatto.
Tutto ebbe termine in un istante, scese un silenzio e una pace profonda tutto attorno a noi, solamente il mare rumoreggiava in basso, contro la scogliera. 
Bella crollò sulle ginocchia esausta, ma teneva ancora ben salda la bacchetta nella mano, pensai che fosse pronta a ricominciare, se solo io avessi voluto.
Invece mi avvicinai e mi accostai a lei lentamente. La guardai dall’alto, mentre era a terra esausta, ma contenta.
“Sei stata brava, hai davvero capito anche questo elemento, ora lo puoi dominare come più desideri.”
Si rimise in piedi senza rispondere, era piena di graffi, spettinata e sporca, ma aveva quello sguardo fiero e indomito che la rende ossessivamente affascinante ai miei occhi.
Annuì.
“Come più desidero per servire voi, mio maestro.”
Mi voltai a guardarla.
Le sfiorai il mento con le dita, alzandolo verso il mio sguardo.
“Esattamente.”
Le baciai il collo con passione, afferrandole forte quei capelli tutti spettinati e selvaggi.
La sentii gemere con languore profondo. 
Mi fermai un attimo. Mi fermai prima di desiderarla troppo per poterle parlare.
“Ora manca l’ultimo elemento, la terra. Devi prestare attenzione, è molto profondo e complicato, difficile da comprendere. Quando sarai pronta, ti assegnerò un compito molto importante, che solo tu puoi portare a termine.”
Sorrise guardandomi negli occhi. Eravamo così vicini che potevo sentire il suo calore. Odiavo la vicinanza con le persone, ma lei aveva un calore magnetico, un fuoco che voleva essere alimentato continuamente. Avrei voluto sottometterla lì in quell’istante, violarla, sbranarla, farla bruciare dalla passione.
“Tutto quello che volete, mio maestro.”
Quando sentii quelle parole la guardai negli occhi sorpreso: per la prima volta non mi era chiaro se avesse risposto semplicemente alle mie parole di prima, oppure se mi avesse letto nella mente tutto il sesso violento e perverso che mi stava ispirando in quel momento.
 
 

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Capitolo 28
*** I bambini sperduti ***


Dal grimorio di Bellatrix : “I bambini sperduti”


L’ultima prova era dura, l’allenamento difficile ed estenuante, capire l’elemento terra, come mi aveva anticipato il mio maestro, era davvero più complicato del previsto.
Passavano i mesi e nulla cambiava, era sempre faticoso e difficile per me non soddisfarlo nei suoi desideri, ma non potevo fare altrimenti.
Ogni cosa pareva procedere con incredibile lentezza.
Questa immobilità riguardava anche il mio maestro, notavo che il miglioramento che solitamente seguiva ai suoi esprimenti di magia oscura più importanti stavolta tardava ad arrivare, anzi posso dire che non arrivava proprio.
Era sempre molto magro e pallido, distante e scostante con tutti. 
Con tutti, meno che con me. 
I Mangiamorte sembravano più scontenti, alcuni si allontanavano intimoriti. Per me erano solo vigliacchi, ma vedevo come lui ne soffriva, anche se naturalmente non lo dimostrava: con loro era anzi più duro e inflessibile.
Con me era diverso. 
Alternava momenti di fragilità e vaga dolcezza, a momenti di scontrosa ironia, notavo un certo egoismo e una possessione ossessiva nei miei confronti che non poteva comunque che farmi piacere.
Dovevo mantenere i freni e un certo equilibrio io per lui… io che non sono mai stata brava in questo.
Non so se ci riuscii molto bene.
I primi segni di cambiamento a questa immobilità si verificarono nel momento in cui, una sera, ancora molto presto, Rod venne a farmi visita nei sotterranei del nostro castello.
L’azione dei Mangiamorte, l’uso della magia oscura da parte del Signore Oscuro non era più un segreto per il mondo magico che si era dunque avviato verso una lieve, ma pericolosa repressione.
Avevo quindi dovuto iniziare a prendere alcune precauzioni per non rendere pubblica a chiunque la mia attività. 
Mi servivo dei sotterranei per lo studio e le prove di magia oscura.
Mio marito lo sapeva ovviamente e quando aveva bisogno mi cercava lì, oppure lui stesso faceva uso di quei locali per allenarsi nei duelli.
Quando sentii i grandi portoni cigolare per aprirsi, misi da parte bacchetta e grandi tomi, sistemai velocemente qualche pozione e mi avvicinai alla porta.
Rod entrò velocemente e mi trovò ad attenderlo, ci salutammo sorridendoci: avevamo trovato un certo equilibrio anche Rod e io, avevamo smesso, a tratti, di farci la guerra e di farci del male. Anche se, appena questo equilibrio si incrinava leggermente, ecco che la rabbia, la passione, il rancore e l’amore sopito, tornavano fuori a creare epiche litigate.
Rod avanzò lentamente verso di me, vidi che alzò il braccio con una leggera incertezza, forse un impercettibile tremore, mi sfiorò una ciocca di capelli osservandoli.
“Ti sono ricresciuti molto, sono belli.”
Annuii silenziosamente, poi aggiunsi che avrei dovuto accorciarli di nuovo molto preso. Infine gli presi il braccio, allontanandolo dai miei capelli, tastando i muscoli leggermente indeboliti.
“Il tuo braccio invece come va?”
Non mi sentivo in colpa di avergli provocato quella rottura a causa di quello che aveva detto, ma ero preoccupata di come potesse stare ora, non avevo mai chiesto a fondo bene che menomazione gli avevo procurato.
Vidi che silenziosamente si accarezzò il braccio.
“Va meglio, ormai.”
Lo guardai negli occhi. Volevo capire se mi stava dicendo la verità.
“C’è voluto praticamente un anno, il muscolo lentamente si è di nuovo rinforzato e direi che muovo tutto abbastanza bene, la violenza della mia magia però si è comunque impercettibilmente indebolita.”
Restammo in silenzio.
“Gli altri non lo notano, per fortuna, ma io sì.”
Feci per parlare, ma lui mi fermò.
“Non sono comunque venuto qui per parlarti di me, anzi. Ricordi che ti avevo promesso di riferirti ogni mossa e ogni azione dei Mangiamorte sospettati di congiura?”
Annuii e mi feci più attenta.
“Farò molto di più, sono finalmente pronto a dirti i nomi di chi fa parte di questo complotto.”
Mentre parlava si mise a girare attorno a me, sfiorando delicatamente i miei tomi, poi il paiolo delle pozioni e infine mi tornò vicino, lo sentii alle mie spalle.
Si muoveva lento e guardingo, proprio come un lupo, sempre nell’ombra.
Il mio maestro mi aveva insegnato a non farmi trovare mai impreparata quando qualcuno si posizionava alle mie spalle, amico o nemico che fosse, non faceva alcuna differenza.
Perciò, appena lo sentii, mi voltai di scatto, altrettanto fulminea.  Mi trovai davanti il suo petto muscoloso, accogliente, aveva le spalle larghe, sul viso la barba era cresciuta, ordinata, ma piuttosto lunga.
Non me n’ero mai accorta, ma mentre io ero impegnata ad imparare la magia oscura, lui era diventato un uomo fatto e forte, duro e taciturno, con grandi occhi scuri, in un certo modo incredibilmente dolci e tristi.
Restammo fermi, leggermente imbarazzati, era difficile affrontare di nuovo i momenti di intimità, non sapevamo più come comportarci. 
Fu lui il primo a rompere il silenzio.
“Non ti faccio niente, Bella. Se anche mi metto alle tue spalle, il peggio che posso fare è abbracciarti stringendoti forte. Non devi sempre comportarti come una bestia diffidente e feroce.”
Mi rilassai.
“Questo è quello che mi ha insegnato lui.”
Rod rise ironicamente.
“Lo so molto bene.”
Poi fece una pausa.
“Ora veniamo a lui, appunto. Concedimi pochi minuti e ti dirò quello che ho saputo della congiura, nomi e cognomi, mentre di piani precisi ancora non ne hanno, ma ci stanno lavorando alacremente, ormai sono convinti e preparati. Tienilo presente.”
Lo ascoltai con attenzione, notai la sua precisione e dovizia di particolari, la sua durezza e la rassegnazione nel capire perfettamente che, nel darmi quelle informazioni, mi riconosceva in tutto e per tutto l’unica davvero vicina al Signore Oscuro. L’unica ad avere la sua piena fiducia, l’unica che lui ritenesse all’altezza di stargli a fianco.
Rappresentavo il solo vero legame tra tutti i Mangiamorte, Rod compreso, e l’ormai inarrivabile Lord Voldemort.
 
Non impiegai molto per recarmi al Quartier Generale, mi cambiai velocemente d’abito, sistemai i capelli allo specchio e, sempre mentre mi guardavo allo specchio, sfiorai il Marchio Nero con le labbra, come per dargli un bacio, quindi mi calmai e rimasi in attesa della sua chiamata per ricongiungermi a lui. 
Avevo intenzione di parlargli subito, ma come spesso accade quando mi trovo al suo cospetto, altre priorità si palesarono tra me e i miei intenti.
Quando mi materializzai nelle sue stanze, lo trovai intento a leggere un piccolo libretto: con quell’oggettino che chiamava matita, stava sottolineando alcune frasi e passaggi di quelle pagine scritte a mano.
Credo che la sua distrazione più grande nella vita fosse la lettura, lo trovavo spessissimo intento a leggere, o studiare, era affascinante per me immaginare quante cose doveva conoscere e quanto la sua curiosità doveva essere immensa.
Mi avvicinai osservandolo, evitando di fare rumore. Sbirciai il libretto, riconobbi subito che la scrittura non era la sua, ma era molto intento nell’analizzare ciò che vi era scritto. 
Chiesi se potevo sedermi accanto a lui.
Non rispose subito e dunque attesi diversi istanti ferma accanto al tavolo, finché non sentii la sua risposta affermativa.
Lui chiuse il quaderno lentamente, rivolgendomi qualche spiegazione.
“Ho trovato informazioni interessanti a proposito di un incantesimo importante. Le ho cercate a lungo, ma finalmente la mia fatica è stata ripagata.”
Cercai di capire il suo umore del momento. Di solito quando si dedicava alle sue ricerche era ben disposto, più rilassato, ma non era una regola generale. 
Mi guardò negli occhi e mise da parte il quaderno facendolo librare nell’aria, fino a riporlo al sicuro nella libreria.
“A che punto sei con l’ultimo elemento?”
Mi sentii inquieta, se cominciava a pressarmi voleva dire che aveva fretta di concludere il suo intento, voleva i miei servigi e io non mi sentivo pronta.
“Non è semplice conoscere e capire la terra, mio maestro, so che mi avevate avvisato, sto facendo del mio meglio… ma…”
Non riuscii a capire bene la sua reazione alle mie parole: fu un misto di sollievo e di disappunto. Pensai che non fosse soddisfatto a causa di questo contrattempo, ma che infondo si sentisse contento di non dover compiere l’incantesimo nell’immediato e che fosse soddisfatto di poter imputare a me la responsabilità del ritardo.
Dal canto mio, avevo intuito molte cose di lui e del rapporto con quell’incantesimo che si apprestava a compiere: era dello stesso tipo di quello effettuato con il medaglione, per cui il più complicato e pericoloso; attendeva che io fossi pronta per fare qualcosa, ma non voleva chiarirmi cosa; si trattava di un incantesimo vitale per lui, ma che gli toglieva, allo stesso tempo, parte della sua essenza e della sua vita normale.
Non volli mai sapere che incantesimo fosse, lui non desiderava che io venissi a conoscenza di questa cosa, ma questi particolari che lo riguardavano non potevo non capirli e non rifletterci sopra.
Soffriva molto per le conseguenze dell’incanto, sia dal punto di vista fisico, sia da quello psicologico. Di conseguenza, se stava bene, inconsciamente preferiva rimandarlo. Consciamente invece insisteva facendo forza su se stesso per farlo al più presto, pretendendo da me che fossi pronta per questo scopo.
Questi contrasti continui dentro di lui deterioravano il suo stato, tutto sommato fui dunque felice di dargli un motivo per rimandare.
“Ti devi dare una mossa, sei su quell’elemento da molti mesi ormai.”
Annuii senza alcuna convinzione, mi presi la colpa del ritardo con grande contentezza. 
Dentro di me avrei fatto comunque di tutto pur di non rivederlo sofferente come dopo l’avventura del medaglione, dal quale, almeno a parer mio, non si era ancora ripreso del tutto e al quale, sempre dal mio punto di vista, davo ogni colpa del su uso e abuso di sostanze.
Il problema, in realtà, stava molto più a monte, ormai lo capivo bene e presto mi sarei dovuta rassegnare e accettare questo aspetto della sua personalità.
Probabilmente l’origine di tutto stava nella sua infanzia, nella sua sofferenza mai espressa allora e che continuava, senza sosta alcuna, anche nella sua vita attuale.
Non mi illudevo minimamente di poterlo risolvere questo problema, inoltre, a me, lui piaceva così com’era.
Mentre pensavo tutto questo, notai che si accorse che ero soprappensiero, attese poco, poi mi riportò alla realtà.
“Se hai bisogno di tempo ancora, io mi allontanerò per alcune ricerche, ma non starò via molto, cerca di essere pronta al mio ritorno.”
Rimasi a guardarlo in silenzio, anche lui face una pausa piuttosto lunga, poi si alzò allontanandosi da me, sempre senza parlare.
“Farò del mio meglio, maestro, non è facile, voi lo sapete meglio di me.”
Senza staccarmi gli occhi di dosso prese il bicchiere sul tavolino dei medicinali e mi rispose lentamente, fra un sorso e l’altro.
“Lo so bene… ma devi muoverti.”
Mi alzai anche io, avvicinandomi a lui.
“Voglio terminare questa faccenda al più presto e mi servi proprio tu.”
Terminò il sorso finale  dell’acqua col laudano restando per alcuni attimi con la testa reclinata all’indietro. Non pensai volesse sentire altre scuse, era distratto da chissà quali immagini e pensieri.
Vidi il suo respiro rallentare, i muscoli tirati rilassarsi velocemente.
Mi misi davanti a lui e solo quando tornò a guardarmi gli parlai di nuovo.
“Siete certo di volervi allontanare ancora?”
Era il momento peggiore per prendere e andarsene dietro alla magia oscura, per altro ero andata da lui per dirgli di quella specie di congiura dei Mangiamorte.
Me ne ero completamente dimenticata persino io.
Mi resi conto che si sforzò di concentrarsi sulle mie parole, era il momento giusto per farmi ascoltare.
“Perché me lo domandi? Devi dirmi qualcosa?”
Mi conosceva bene e aveva intuito che dovessi comunicargli qualcosa di importante.
“Sì, mio Signore, dovrei parlarvi, ci possiamo rimettere seduti?”
Tornammo a sederci sul divano, uno di fronte all’altro. Era pallido, ma bello. Sentivo il suo profumo che mi inebriava sempre, mi faceva impazzire. Non riuscivo a capire cosa usasse, il dopobarba probabilmente, o forse qualche magia. 
Qualunque cosa fosse quel suo profumo, per me era ipnotico.
Mi avvicinai per baciarlo, stavo quasi per sentire il tepore lieve delle sue labbra, ma lui mi fermò. 
“Di cosa devi parlarmi?”
Non era semplice distrarlo, mi riportò velocemente alla realtà, mi sforzai di non pensare di fare l’amore con lui, ma di parlargli seriamente. 
Non fu semplice.
“Volevo dire, mio Signore, che ho notizie dei Mangiamorte, o meglio, alcuni di loro: i congiuranti sembrano perseverare con i loro propositi di scissione, o di congiura appunto.”
Lo guardai in attesa di risposta, ma non disse nulla, rimase pensieroso.
“Per cui mi chiedevo se fosse il caso di allontanarvi proprio ora… sarebbe come provocarli, o anche dargli l’occasione di agire in qualche maniera.”
Piegò la testa di lato, guardandomi assorto.
“Non posso certo stare dietro alle rimostranze di un paio di compagni, ho cose più importanti da portare a compimento.”
Lo guardai negli occhi.
“Sono ben più di un paio, mio Signore.”
A quelle parole rimase male: fu impercettibile, una piccola ombra nello sguardo, un moto leggero delle labbra.
“Tu sai già chi sono vero, Bella?”
Annuii solamente senza aggiungere i nomi, non l’avrei fatto fino al momento in cui lui non me lo avesse chiesto lui esplicitamente.
Non lo fece, rimase in silenzio, seguendo di nuovo i suoi pensieri.
Appoggiò la testa sullo schienale del divano, languido e lento.
“I miei bambini sperduti mi si rivoltano contro…”
Lo guardai attentamente avvicinandomi a lui. Non li aveva mai chiamati così, sapevo che noi eravamo la sua famiglia, molte volte me lo aveva detto, ordinandomi di non litigare tra di noi.
Capii che per lui doveva essere un dolore diverso dal mio: io avevo provato solo rabbia, lui invece prima di tutto ne soffriva, la rabbia sarebbe arrivata solo dopo, e ben più forte e vendicativa della mia.
Fu in quel momento, mentre pensavo tutte quelle cose nel silenzio della stanza, che fece un gesto talmente speciale e inaspettato, che tutto il modo attorno si cancellò completamente in un istante.
Alzò le dita verso di me e mi accarezzò delicatamente la guancia.
Il mio cuore iniziò a battere all’impazzata a quel tocco freddo e deciso, lento e sensuale.
“Tu sei la mia bambina sperduta.”
Quelle parole mi ipnotizzarono, i suoi occhi legarono i miei in uno sguardo fugace e penetrante.
“L’unica davvero fedele.”
Annuii lentamente, socchiudendo gli occhi, poi appoggiai la mia guancia sulla sua mano, sentendo le sue dita sul mio viso, fredde e morbide. Non feci quasi in tempo ad assaporarne il contatto che subito sentii quella mano sulla spalla pronta a farmi scendere il vestito e scoprirmi il seno.
Mi accarezzò lievemente, finché non sentì tutta la mia eccitazione, cresciuta agli apici in pochi attimi.
Continuava a sfiorarmi il seno come se trastullasse me e, allo stesso tempo, i suoi pensieri.
“L’unica che non mi tradirà mai.”
Annuii ancora, con un tono che forse era più un gemito di piacere che una risposta alle sue parole.
Allora iniziò a toccarmi con più decisione e passione, io mi sentivo già completamente bagnata, lo desideravo da morire.
Io, del resto, lo desideravo sempre.
Lentamente, quasi con timore, si avvicinò al mio seno con le labbra, baciandolo e soprattuto succhiandolo avidamente e a lungo.
Attesi così beata il passare del tempo, continuava in quel modo senza sosta alcuna.
Provai una sensazione così intensa che non potei fare a meno di passare le mie dita fra i suoi capelli e stringerlo poi a me, delicatamente, con le braccia attorno al suo capo. 
Non fece caso a quel gesto plateale di affetto misto a passione, mi lasciò fare continuando a succhiare e leccare i miei capezzoli con passione, solo dopo molto tempo cambiò lentamente il ritmo e mi leccò in maniera così sublime e così celestiale, da farmi venire immediatamente, senza che fosse necessario fare null’altro.
Gemetti violentemente e lungamente, mi godevo tutto il piacere che sapeva darmi, mi presi tempo e ancora tempo, solo quando il piacere iniziò lentamente a calare e affievolirsi mi calmai, respirai piano aprii lentamente gli occhi e lo guardai.
Si era fermato, lo avevo sciolto dal mio abbraccio maldestro, languidamente anche lui mi guardava, era così vicino che potevo sentire il suo respiro, potevo vedere il nero profondo dei suoi occhi, perdermi nella sua espressione misteriosa, rimanere in silenzio davanti a quelle screziature rosse che brillavano sfrontatamente, sentivo il tepore del suo corpo, fu un attimo di intimità intensa ed improvvisa quanto fugace e veloce. 
Ansimavo ancora quando lo vidi ridere sfrontatamente.
“Sei proprio una bambina, sei venuta solo per un mio tocco.”
Gli sorrisi ancora, persa nel mio piacere.
Non che volesse umiliarmi, era solo il suo modo di sentirsi potente. 
Era così raro vederlo ridere, mi piacque tanto quanto l’orgasmo che mi aveva fatto provare.
“Sì, mio Signore, solo per un vostro tocco, ma è un tocco di serpente.”
Si allontanò di nuovo accostandosi al cuscino.
“Il tocco del serpente è veleno, tu lo sai.”
Scossi la testa e mi avvicinai a lui, strusciando il mio corpo contro al suo, aprendogli quei pantaloni che seguitava a portare. Era un indumento sconosciuto per me, abituata alle vesti da mago. Questa cosa, stranamente, invece di disturbarmi, mi eccitava. Scesi lenta, sinuosa, fino a calare con il viso sul suo inguine.
“Lo so, mio Signore, ma io adoro il vostro veleno.”
Mi sorrise, reclinando poi la testa all’indietro. Non per l’effetto del laudano questa volta, ma per la mia bocca e la mia lingua che gli procurarono piacere ad ondate violente, andai avanti a lungo, fino a che non mi sentii inondata del suo caldo e abbondante sperma, da quel veleno che non mi dava tregua che mi piaceva da impazzire.
Mi eccitava sentirlo in bocca, mi dava la sensazione di avere il mio Signore solo per me e solo dentro di me, di sentire i suoi segreti, di possedere la sua parte più intima e potente.

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Capitolo 29
*** Rivale ***


Dal grimorio di Bellatrix : “Rivale”


Forse per distrazione, o forse per sua volontà precisa, non tornammo più sull’argomento dei Mangiamorte congiuranti.
Era chiaro che non avesse preso bene la notizia, ma non mi era altrettanto chiaro se avesse voluto pensarci lui, oppure se il suo silenzio significasse che dovevo occuparmene io.
L’opzione di non intervenire era da escludere.
Presi qualche giorno di tempo per capire, poi, quando mi lasciò sola per intraprendere le sue ricerche, senza proferire parola sull’argomento, scelsi la seconda ipotesi.
Non ero certa della mia decisione, ma lui era lontano e non potevo far finta che il problema non esistesse. Mi aveva scelta come sua allieva e migliore Mangiamorte, non potevo certo non essere all’altezza delle sue aspettative.
Il fatto che se ne andasse così frequentemente solo e lontano, in luoghi sconosciuti, per i suoi viaggi e le sue ricerche, all’inizio mi indispettiva e anche molto. 
Ci restavo male, mi sentivo sola.
Stavo però iniziando a comprendere il suo modo di essere: soprattutto lo studio dell’ultimo elemento, la terra, mi stava lentamente facendo capire come guardare la persona che amavo, come poterla aiutare, sostenere e accogliere. 
Non me ne resi subito conto, ma il cambiamento in me stava avvenendo lentamente, ma progressivamente.
Imparavo a capire quanto amasse viaggiare, conoscere, scoprire, vedere posti nuovi, venire a conoscenza di cose nuove, mai viste e mai scoperte.
Non aveva altro modo se non quello di andare a fare ricerche per la sua magia, in realtà ricercava la scoperta e l’avventura, la conoscenza di ogni cosa. 
In tutto questo voleva essere solo con se stesso.
Capirlo così tanto aveva placato quasi completamente il mio astio verso i suoi viaggi misteriosi, mi limitavo a condurre la mia vita, in sua assenza e ad aspettarlo quando avesse avuto voglia di tornare.
Quella volta però, non potei limitarmi a fare la mia vita, dovetti affrontare e risolvere la storia dei Mangiamorte una volta per tutte, era una situazione scottante, scomoda e antipatica che non sopportavo più.
Una mattina mi alzai di buon ora e raggiunsi i due fratelli per la colazione.
“Buongiorno a tutti e due.”
Fui gentile e sorridente, loro mi guardarono stupiti, muti: non erano abituati ad avermi lì con loro, nonostante quella fosse casa mia, dopotutto.
Mi accomodai versandomi della tisana alla malva preparata dagli elfi e presi qualche biscotto.
In tavola c’era di tutto, dalle uova ai succhi di zucca, ma non avevo molta fame, lo stomaco mi si era chiuso per la tensione.
Rab mi guardava senza parlare. Ero scesa con la sottoveste nera, scollata, avevo solo una maglia di lana anch’essa nera che mi compariva le spalle e mi teneva caldo. Avevo smesso di curare ogni piccolo particolare di me, sapevo già di essere bella e sensuale senza bisogno di fare chissà cosa. Per questo sapevo bene che per lui ero, già così, una visione splendida.
Rod sorrise, ormai rassegnato all’amore del fratello per me, che ero sua moglie e al mio per il Signore Oscuro: eravamo uno strano trio di assurdi sentimenti e amori irrealizzabili.
“Come mai qui, mia Bella?”
L’unica rivincita che continuava a prendersi nei miei confronti era quel “mia Bella”: lo ripeteva spesso, era diventata un’abitudine per lui, scimiottava il modo di chiamarmi del mio maestro.
Entrambi sapevamo benissimo che quel modo di dire era lo stesso che usava il mio Signore in certe intime ed esplicite situazioni. 
Rod voleva solo continuare ad evidenziare il fatto che lui glielo aveva raccontato, parlando di me nelle loro scorribande di soli uomini. Era un modo per colpire me, per sminuire ciò che c’era tra me e il Signore Oscuro.
Lo accettavo senza prendermela più ormai, non avevo voglia di altri litigi.
Mentre intingevo il biscotto nella tisana chiarii loro il mio intento.
“Vorrei mettere fine alla storia dei traditori, volevo avvisarvi che agirò entro questa notte.”
Rab si accomodò meglio sulla sedia.
“Cosa hai intenzione di fare?”
Io gli sorrisi, rimaneva sempre un pochino ingenuo a modo suo. Rod invece rise apertamente.
“Fratello, dai svegliati, ma non cambi proprio mai, resti sempre tonto. Cosa vuoi che abbia intenzione di fare?”
Fece un segno eloquente che indicava morte istantanea.
Io annuii guardano Rab, mordendo sensuale l’altro biscotto, lo stavamo prendendo un pochino in giro. In realtà Rab aveva capito, ma era andato oltre: fece subito venir fuori la questione che ancora era rimasta in sospeso.
“Te lo ha detto il Signore Oscuro? Ne hai parlato con lui?”
Rimasi ferma e lo guardai scuotendo la testa.
“Sei pazza? Agire così senza il suo permesso?”
Rimasi zitta guardandolo attentamente: sapevo che aveva pienamente ragione, eppure il mio intuito mi diceva di agire.
Fu Rod che invece, stranamente, mi venne in aiuto.
A suo modo.
“Cosa dici, Rab? Non lo sai che ormai loro sono una coppia? Lui si fida completamente di ciò che fa e pensa lei. Anche se non lo ammetterà magari mai, è così già da tempo. Bella ha carta bianca su tutto e tutti.”
Erano parole lusinghiere, dette in tono ironico e rancoroso, né Rab né io rispondemmo alla provocazione.
Rod si preparò in silenzio un caffè istantaneo in acqua fumante, rovesciandoci dentro una dose generosa di acqua viola.
Rab ed io lo guardammo.
“Di prima mattina?”
Fui io a domandare, più curiosa che preoccupata a dire il vero. Rod ha un fisico forte, non risente di un po’ di acqua viola la mattina, ma ero curiosa di capire a cosa gli servisse.
“Zitta, bisogna chiarire meglio tutta la situazione, prima che tu agisca. Voglio chiarirti dei particolari.”
Si mise seduto sorseggiando il caffè e spiegando la sua idea.
“Ricordi quando ti feci i nomi di tutti i congiuranti?”
Annuii.
“Ecco, ricordo che feci tutto d’impulso, venni a conoscenza dei nomi e te li dissi subito, senza pensare.”
Smisi di mangiare e prestai più attenzione.
“Pensandoci ora, però, con calma, capisco che fu molto facile per me avere quei nomi. Capisci, Bella, non è molto credibile che degli uomini furbi e scafati come i nostri compagni Mangiamorte, facciano conoscere così palesemente i loro propositi.”
Nella stanza si fece silenzio. Avrei voluto dire qualcosa, qualcosa sul fatto che se congiuravano contro il Signore Oscuro, allora voleva dire che non erano poi così furbi e scafati, ma intervenne Rab per primo.
“Scusa, fratello, ma come li avresti saputi, questi nomi?”
Rod non fece una piega alla domanda, anzi forse non aspettava altro.
“Ero a letto con una strega… di quelle con cui un po’ tutti noi Mangiamorte siamo stati a letto. Era in vena di confidenze, lei le cose le sa, sa praticamente tutto perché gli uomini, a letto, dopo aver fatto l’amore, fanno confidenze molto più volentieri che in altri momenti…”
Si fermò un attimo a guardarmi. Anche io lo guardai, aspettai la stoccata che si stava preparando a fare. Infatti arrivò puntuale.
“No, Bella, il tuo maestro non fa confidenze, me lo ha assicurato questa strega. A lei non ne ha mai fatte almeno. A te invece le fa, vero? Dopo l’orgasmo dico… Un grande onore, non credi?”
Non era la prima volta che mi veniva detto che il Signore Oscuro andava con altre, ma ogni volta era lo stesso intenso dolore della prima volta. Non mi importava che Rod praticamente mi desse della puttana, mi restavano solo in mente le parole in cui diceva che l’Oscuro Signore andava con altre. Non potevo che sperare non lo facesse più da tempo, ma non mi era concesso saperlo.
Trattenni lacrime e rabbia.
Rab se ne accorse subito.
“Potresti evitare ed andare avanti, fratello?”
Lui mi sorrise cattivo, poi riprese.
“Volevo solo dire che ora, ripensandoci, mi sembra molto strano, mi sembra tutto troppo facile. Purtroppo non so dire di più, i nomi li hai, sono certo che siano questi, ma rifletti bene su ciò che devi fare.”
Sentivo rabbia e dubbi crescermi dentro, allungai la mano a sfiorare le dita di Rod, mi guardò stupito, ma contento.
Fui io a sorridergli stavolta, a beffarlo delle sue sciocche illusioni: il mio infatti non era un gesto di affetto, semplicemente gli presi la tazza dalle mani e terminai con una smorfia il caffè con l’acqua viola.
Mi diede un calore enorme che si irradiò velocemente dallo stomaco al resto del corpo.
“Non sono mai stata brava a riflettere.”
Dopo una breve pausa silenziosa mi alzai e andai a vestirmi.
I fratelli insisterono per venire insieme a me, ma risposi che era una cosa che dovevo fare io sola.
Infondo Rod aveva ragione. Il mio maestro si fidava di me e nel caso avessi sbagliato, o avessi fatto una cosa che lui non desiderava facessi, con me sarebbe stato meno terribile nella sua punizione.
Con loro sarebbe stato molto più crudele.
Li avevo fatti sempre soffrire, Rod e Rab, in qualche modo dovevo proteggerli.
Attesi del tempo prima di materializzarmi al quartier generale e, prima di giungere là, mi abbigliai come se dovessi andare in missione: mantello nero lungo, cappuccio in testa e la maschera no, quella la lascio sempre a casa. Non ho mai paura che la gente mi riconosca, vado sempre troppo orgogliosa di quello che faccio per nascondere il volto.
Quando arrivai nell’entrata, vidi che le lanterne erano spente, segno che il Signore Oscuro non era ancora tornato dal suo viaggio e non era nel palazzo. 
Quindi lentamente cercai nelle stanze.
Tra un chiacchiericcio e un fragore di risate non mi fu difficile trovare la stanza dove erano raccolti i Mangiamorte che cercavo. Erano tutti lì, insieme, fermi in una stanza a giocare tranquillamente a carte magiche.
Attorno non c’era nessuno, nessuno degli altri compagni fedeli al Signore Oscuro. 
Solo loro.
Quando entrai nella stanza mi guardarono tutti come a domandarmi cosa volessi, rimasi ferma e zitta qualche secondo. 
Aveva ragione Rod: era troppo semplice.
Quel pensiero mi mise mille dubbi, dovevo controllare, cercare una prova qualsiasi della loro colpevolezza senza però scoprirmi, ma come ho più volte dimostrato, la riflessione e la ponderatezza non sono mai state il mio forte.
Entrai nella stanza abbassando il cappuccio, li guardai uno per uno lentamente, soffermandomi sui loro sguardi. 
L’unica prova che potevo avere era leggere loro la mente, uno per uno, con forza e abilità.
Iniziai con calma, cercando di interrompermi il meno possibile.
“Cosa vuoi, Bellatrix?”
Il tono era ostile, io dal canto mio non mi mostrai amichevole, volevo solo farli scoprire: non risposi e continuai a scrutarli, loro non capivano, ma stavo sondando la loro mente. 
“Allora, ci rispondi? Chi pensi di essere? Entri qui non invitata, ti poniamo delle domande non rispondi… esci, non sei gradita.”
Li lasciai parlare.
Scandagliavo ogni loro pensiero e segreto, usavo una potenza magica che non immaginavano neppure.
L’allenamento continuo a cui mi aveva sottoposto il mio maestro per leggere la sua di mente, ora mi rendeva più facile il compito con dei maghi mediocri come loro.
“Guarda che ci stai stancando, oggi non avrai la protezione del tuo amante se ci farai arrabbiare, non sai che fine puoi fare.”
Mi venne da ridere, uno scoppio di risa che li indispettì ancora di più, ma non potei trattenermi.
Volevano intimidirmi mentre sentivo palesemente i dubbi e le paure che stavano nascendo e crescendo dentro di loro. Più io restavo lì in silenzio, più le loro anime si allertavano, la mente si scopriva.
Mancava davvero poco, dovevo solo forzare un po’ la mano.
“Non ho paura di voi, sono anzi qui per voi.”
Dissi queste parole lentamente e quasi istantaneamente percepii il pensiero che cercavo, un paio di loro ebbero subito il terrore che fossi venuta a cercarli per vendicare il mio amante, il mio Signore.
In molti conoscevano il mio potere e lo temevano.
“Sei solo una piccola puttanella, l’ultima arrivata che si è ingraziata un mago potente.”
Uno di loro lentamente si alzò dalla sedia e si avvicinò a me.
“Non durerà ancora a lungo, vedrai.”
Fu una prova ulteriore, non avevo più bisogno di altro. Afferrai e alzai la bacchetta, quello nemmeno se ne accorse che era già morto.
Non dissi una parola mentre mi voltai verso gli altri.
Feci qualcosa di fulmineo, qualcuno provò a difendersi , qualcun altro tentò la fuga, ma in pochi attimi li avevo sterminati tutti. Erano tutti ai miei piedi, fermi con gli occhi sbarrati.
Un lavoro veloce e pulito, durò veramente poco. Mi richiusi la porta alle spalle pensando che avrei dovuto avvisare qualcuno di fare pulizia.
Non feci quasi in tempo a riporre la bacchetta nel fodero che mi trovai davanti agli occhi Alecto.
La cosa dapprima mi stupì.
Ci guardammo silenziosamente.
Poi un dubbio mi si insinuò nella mente. 
Mi fece un ghigno soddisfatto.
Allora iniziai a intuire.
In pochi attimi iniziai a collegare tutti i piccoli indizi che mi erano stati davanti per tanto tempo. 
Quell’inutile essere aveva osato mettere gli occhi su di lui…
Fu lei a parlare per prima.
“Sei stata brava, come sempre del resto, sei tu la più potente, sei tu la più bella, la preferita.”
Continuai a guardarla senza proferire parola. Eravamo sole una davanti all’altra, nel buio. 
“Sì, cara… stai capendo vero? Sono stata io a scoprire per prima chi facesse parte della congiura, mentre tu eri impegnata a divertirti nel suo letto. Io mi sono mostrata accomodante con loro, ho finto di essere indecisa, li ho studiati e capiti per prima. Ne avevo accennato anche al Signore Oscuro.”
Fece un gesto di stizza.
“Ma lui di me non si fida, non mi ascolta quanto ascolta te, non mi guarda come guarda te. Non mi tiene in considerazione. Sei solo tu la sua maledetta puttana.”
Sorrisi: non mi offendeva con le sue parole, mi piaceva la sua invidia.
“Infatti da te è venuto, con te si è consultato. Anche tu avevi intuito tutto, ma eri troppo impegnata a scopartelo per pensare a convincerlo a fare qualcosa.”
Che sciocca pensai: come se non conoscesse l’Oscuro Signore, come se non sapesse che non è possibile convincerlo a fare qualcosa, se lui stesso non vuole farla.
Lei però andò avanti, interrompendo i miei pensieri.
“Allora decisi di sfruttare questa situazione, ho impiegato tempo e impegno, mi sono assicurata con mille attenzioni che Rodolphus venisse a sapere chi stava dietro alla congiura, perché sapevo che lui, il tuo cagnolino fedele, te lo sarebbe venuto a dire sicuramente.”
La guardavo ancora senza parlare, ammettevo con lo sguardo che era stata brava.
“Non avresti impiegato molto a venire qui e con la tua patetica irruenza, con la tua smania di proteggerlo e amarlo, avresti ucciso tutti i congiuranti. Ero sicura lo avresti fatto, ho solo dovuto pazientare in tua attesa, infatti eccoti qui.”
Annuii.
“Già eccomi qui, ho fatto quello che volevi io facessi.”
Si fece più vicina: la fiamma delle lanterne si illuminò, segno che il Signore Oscuro era tornato, e illuminò il suo volto diabolico.
“Esattamente. Lo hai fatto perché lo ami e lo vuoi proteggere?”
Scossi la testa sorridendo. Patetica.
“L’ho fatto perché lo amo e non volevo dovesse farlo lui. Non voleva farlo, loro erano la sua famiglia. Lui non ha bisogno di essere protetto, non è uno stupido.”
Il suo viso si deformò in una maschera di rabbia.
“Smetti di parlare come se lo conoscessi, come se lo capissi solo tu!”
Allora la attaccai io.
“Certo… perché non sono solo io ad amarlo, vero? Lo ami anche tu!”
Rimase zitta.
“Tu, piccola inutile creatura, sciocca ignorante e stupida, come puoi solo pensare di mettere i tuoi occhi sul mio maestro?”
La mia gelosia esplose in quell’istante. Non mi importava fosse brutta e non arrivasse nemmeno alla metà della mia sensualità e del mio potere. Il solo pensiero che lei lo guardasse con certi occhi, mi faceva impazzire di gelosia.
“Il tuo maestro, il tuo Signore… non è solo tuo, stupida bambina viziata.”
Tornammo a guardarci in silenzio, la fiamma della lanterna dondolava al muoversi dell’aria nella stanza. Percepii il vento. 
Il fuoco giocava coi miei pensieri. Mi portava il vento accanto, sapevo che sarebbe arrivato di lì a poco.
“Sei caduta nella trappola, mia cara Bellatrix. Oppure come ti chiama lui? Bella.”
Sputò per terra pronunciando il mio nome.
“Bella. Non sopporto quel nomignolo affettuoso che non usa con nessuno, meno che con te. Non sopporto te!”
Fece una breve pausa.
“Ma ora cosa pensi che farà dopo quello che hai fatto? Se non odiarti?”
Le sue parole di rabbia non facevano che fortificarmi, le trovavo interessanti, ma quando disse che poteva anche odiarmi, allora ebbi paura.
Il cuore iniziò a battermi più forte, sentii un grosso vuoto allo stomaco, sapevo che poteva anche avere ragione e tutto dentro di me tremava dal terrore di ciò. Avevo corso un bel rischio, ora avrei dovuto affrontare la sua reazione è non ero certa fosse positiva come speravo.
Avevo pensato al massimo mi avrebbe punita, ma non odiata, ora invece quel dubbio mi si insinuava nella mente.
“Ricordi cosa mi dicesti molto tempo fa? Io non l’ho più scordato e l’ho usato contro di te, era l’unico modo che che potevo provare ad usare per farti odiare da lui.”
La guardai torva, ormai avevo capito, ma non dissi nulla comunque.
“Sì certo che ti ricordi… non volevi litigassimo perché te lo aveva chiesto il tuo maestro, lui non sopportava che i suoi Mangiamorte, la sua famiglia, si mettessero a litigare come facevamo tu ed io. Non solo, tu eri pronta a perdere contro di me pur di far piacere a lui. Significava che era una faccenda molto importante e delicata.”
Abbassai lo sguardo.
“Sì, infatti lo è.”
Stavolta fu lei a sorridere.
“Infatti, immagina come ci resterà non appena saprà che tu gli hai ammazzato a sangue freddo ben sei Mangiamorte. Gli hai eliminato parte di ciò che lui considerava la sua famiglia.”
Mi morsi le labbra.
“Ti odierà. Finalmente ti odierà e io avrò vinto. La sua Bella, la sua allieva, la strega più dotata e potente, colei che vuole sempre al suo fianco, senza nemmeno rendersene conto, lei, finalmente, lo deluderà a tal punto da farsi odiare.”
Restammo zitte.
“La tua bellezza, il tuo sangue, il tuo potere, quegli occhi da gatta in amore non ti salveranno stavolta, mia cara.”
Arrivate a quel punto avrei davvero preso volentieri in mano la bacchetta per ucciderla, o farle molto male, ma a cosa sarebbe servito?
Forse a peggiorare ulteriormente la mia posizione.
Alecto ed io ci odiavamo molto, lei era stata sempre invidiosa, io non l’ho mai sopportata, mi dava fastidio. Ora capivo perché. 
Amavamo entrambe il Signore Oscuro.
Avevo sempre pensato lei fosse innamorata di Rab, che ce l’avesse con me perché gelosa di lui. Invece quelli erano giochi di ragazze, per entrambe.
Il vero amore era lui, l’Oscuro Signore.
Quell’amore l’aveva resa più cattiva e allo stesso tempo più intelligente, si era insinuato in lei lentamente e aveva dato i suoi effetti. 
Era il veleno del serpente.
Osservai ancora il fuoco della lanterna accanto a me, chiusi gli occhi incurante di ciò che mi circondava, lasciai che il mio elemento mi parlasse. 
Il vento era giunto fino al fuoco. 
“Devo andare ora, lui è tornato, mi vuole vedere.”
Scosse la testa.
“E tu come lo sai? Non è qui.”
Le sorrisi, i miei occhi l’avrebbero volentieri incenerita.
“Lo so perché lui è il mio maestro, la nostra magia è una sola.”
La scansai e me ne andai.
Ora dovevo affrontare lui e non sapevo come avrebbe reagito alle novità.

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Capitolo 30
*** Quel dolore ***


Lord Voldemort : “Quel dolore”


“Fammi vedere i tuoi occhi.”
La accolsi così quando entrò nella stanza, non la salutai e la incatenai subito al mio sguardo, senza più parole. Avevo già capito che era successo qualcosa, lo percepivo nell’aria tesa e fredda dei corridoi. Non avevo nessuna voglia di sentire lunghe e dettagliate spiegazioni, non avevo voglia di ascoltare e di capire. 
Peggio ancora, non mi andava di sopportare le sue scuse petulanti.
Meglio leggerle la mente: metodo più veloce e doloroso, soprattutto per chi lo subisce da me, che so come sondare in profondità facendo male al cervello.
Bella aveva timore, lo vidi subito dalla sua espressione, dalla posa del suo corpo, ma non mi importava. Le afferrai forte il mento fra le mie dita e le alzai lo sguardo verso il mio.
La tenevo in una stretta forte, anche se non si ribellava, i suoi occhi erano sfuggenti, titubanti. Volli insistere, ma senza costringerla completamente.
“Avanti, cosa vuoi che succeda?”
Allora si decise, puntò i suoi occhi neri nei miei e abbandonò ogni difesa.
Guardai tutto lentamente, usando forza ed energia, lasciandola stare male, sondai immagine dopo immagine, pensiero dopo pensiero, ogni più piccolo sentimento chiuso nella sua mente.
Vidi tutto: i miei Mangiamorte pronti a tradire, il viso di Bella quando entrò nella stanza, osservai attentamente ciò che lei aveva fatto loro, infine l’arrivo di Alecto Carrow e i loro sciocchi discorsi.
Alecto era stata furba, aveva fatto un buon lavoro.
Invece Bella…
Torsi leggermente il polso, con forza, la pressione delle mie dita sulle sue guance le fecero impallidire, piegò il viso, si abbandonò a me con occhi ormai lucidi. Le penetrai ancora di più la mente, andai nei meandri del cervello, dove fa più male, dove il male fisico si mescola a quello psicologico: è lì che mi piace di più. Indugiai lì a sentire i pensieri, a nutrirmi del suo dolore.
Indugia fino a sconvolgere la mente a invaderla senza più ostacoli.
Quindi allentai lentamente la presa, senza lasciarla.
Dicevo… Alecto era stata furba, invece Bella…
Lei era stata sublime…
Mi fece ridere il fatto che non volesse le lèggessi la mente non per ciò che era successo poco prima, ma per evitare che venissi a conoscenza del presunto amore della Carrow.
Quante assurdità: se sapesse invece che piacere avevo provato con lei per quegli istanti in cui sono entrato nel suo cervello, le ho fatto male, l’ho invasa, le nostre menti sono diventate una, una sola unita per sempre. Solo lei sopporta tutto questo mio piacere e suo dolore come se fosse assolutamente normale, non capisce quanto invece sia speciale.
Lei pensa ai sentimenti come fossero importanti. Che idiozia. 
Le lasciai malamente il viso con una spinta: quanto mi irritava. 
Forse usai troppa forza, lei accusò talmente il colpo che finì per sbattere contro la porta.
La guardai ancora.
“Quante sciocchezze.”
Restò per un attimo ferma, umiliata, con il viso girato di lato e lo sguardo abbassato.
Poi si voltò verso di me.
“Come dite, mio Signore?”
Alzai gli occhi al cielo.
“Dico: quante sciocchezze ho dovuto vedere, prima, nella tua mente.”
Mi allontanai, andai verso il camino per accenderlo. Il viaggio mi aveva messo di buon umore, il ritorno invece molto meno.
Tutti quei problemi e sentimenti che si intrecciavano, mi rendevano nervoso.
“Non siete arrabbiato, mio Signore?”
Rimasi accanto al fuoco che cresceva lento nel camino.
“Avvicinati.”
La guardai togliersi il mantello con una sensualità che non aveva pari. Osservai la pelle del collo, giù fino al seno, lo osservai bene, per quel che si poteva vedere. Seguii ogni respiro, dal seno fino alla bocca, le labbra. 
Labbra titubanti, ma sempre belle, invitanti, calde.
La guardai sempre, ad ogni passo, finché non mi fu davanti. Finché non sentii anche il suo corpo che emanava calore. 
“Sei la mia ossessione, Bella.”
Un sorriso splendido le irradiò lo sguardo.
Mi era mancato il suo seno, la sua vagina avvolgente, la sua bocca e le sue labbra, per non parlare di quel sapore di sangue caldo e puro che avrei voluto sentire dentro di me, sempre.
Frenai ogni desiderio. Non era il momento.
“Mio Signore?”
Voleva una risposta, voleva sempre parole, spiegazioni, non si accontentava mai di un silenzio, a mio parere invece molto più eloquente.
Cercai dunque di concentrarmi sul motivo per cui era qui.
“Non era possibile fare altro. Non ho ragione di essere arrabbiato.”
La vidi rilassarsi, la tensione scemò.
“Mio Signore, grazie di avere capito, erano i vostri Mangiamorte, ma appunto…”
La interruppi.
“Non insistere a parlare, ho capito la situazione, ne ero già a conoscenza. Hai fatto bene ad intervenire. Stai comprendendo il significato del nuovo elemento, anche se non te ne rendi conto.”
Mi guardò in maniera interrogativa. Certe cose proprio non le capiva, forse perché è tanto giovane, o chissà perché. 
Mi vidi costretto a spiegarlo, volevo entrasse meglio nell’ottica dell’elemento.
“Lo hai detto tu stessa prima ad Alecto Carrow. Hai fatto una cosa per evitarla a me, dato che non mi sarebbe piaciuto farlo, è un segno che stai capendo l’elemento. Presto lo padroneggerai e io non posso che rallegrarmene perché mi sarai indispensabile nel prossimo incantesimo, lo sai.”
Sapevo che le mancava ancora una parte importante da capire: la nascita e la rinascita, ma un incoraggiamento, forse, le sarebbe stato d’aiuto.
Se ne avessi notato il bisogno, avrei poi forzato la mano perché arrivasse a comprendere tutto in velocità.
“Grazie, mio maestro.”
Il discorso sembrava chiarito, desideravo chiudere tutta quella faccenda e non parlarne più. 
Guardai il fuoco, crepitava allegro a pochissima distanza, eppure io sentivo il gelo dentro di me.
Non mi accorsi che si notasse, ma vidi bella puntare gli occhi sul camino e far crescere le fiamme. Poi si voltò di nuovo verso di me.
“Mio Signore, il vostro viaggio è andato bene?”
Annuii e provai a distrarmi raccontando qualcosa.
“È andato bene, credo che più informazioni di quelle che ho raccolto in questi anni, compreso quest’ultima trasferta, non si possano raccogliere. Per il momento mi fermerò.”
Si mise accanto a me e continuò il discorso, ben presto però mi distrassi di nuovo.
Nonostante fossimo nella stanza in penombra, gli unici colori che si potevano notare iniziarono a farmi dolore agli occhi, non li potevo sopportare più.
Bella si rese perfettamente conto che qualcosa non andava e mi prese la mano.
Solo quando sentii il tocco della sua pelle sulla mia, mi accorsi che avevo il palmo completamente madido di sudore.
Si portò la mano alle labbra mi baciò il dorso e il polso, non riuscii ad allontanarla anche se non volevo lo facesse, dentro di me sentivo sempre di più il gelo e quel maledetto fastidio agli occhi.
“Avete bisogno di me, mio Signore?”
Alzai lo sguardo per risponderle, ma sentii solo una fitta nella testa.
“Non ho bisogno di nessuno, mai.”
Non aggiunsi altro e non riuscii a mandarla via. Forse non la volli mandare via.
Fu lei a capire da sola. 
Si allontanò per un attimo, prese un bicchiere con un po’ d’acqua, ci mise dentro alcune gocce di laudano e mi porse il tutto.
Quando afferrai il bicchiere, l’acqua si mosse subito vistosamente, le mani mi tremavano, non sentivo più nulla al tatto, le dita erano gelate.
Lei mi guardava.
La guardai anche io mentre portavo il bicchiere alle labbra, avrei voluto sapere cosa stava pensando, ma non ero in grado di leggere la mente in quel momento.
Bastarono pochi sorsi e qualche attimo e le fitte si placarono del tutto, i colori tornarono normali, il tremore terminò di colpo e la normale sensazione di calore e benessere si espanse potente in tutto il mio corpo.
Appoggiai il bicchiere e la guardai silenzioso: non riuscivo a tenerla lontana.
Lei mi sorrise.
“Vieni, siediti accanto a me.”
Mi sedetti sulla poltrona davanti al fuoco, invitandola a sedere ai miei piedi. Solitamente lei si sedeva e appoggiava sempre la testa sulle mie ginocchia, così mi parlava.
Fece lo stesso anche quella volta.
Non potevo sempre ignorare l’argomento, fui io il primo a introdurlo, quella sera.
“Sei stata brava prima, sei attenta.”
Lei diventò seria.
“Mio Signore, dopo l’ultimo incantesimo, quando siete stato male, sono stata più attenta a quello che fate, così… nel caso aveste bisogno.”
Mi spazientii.
“Ti ho già detto più volte che faccio benissimo da solo.”
Si accomodò meglio sul tappeto, forse per cercare le parole giuste.
“Lo so, mio maestro, ma io vorrei servirvi comunque al meglio. Voi state per compiere un altro di quegli incantesimi, vero?”
Annuii.
“Se mi chiederete di essere al vostro fianco come mi avete chiesto la volta scorsa, non vorrei lasciare le cose al caso. Intuisco che sia un incantesimo potente e distruttivo, per cui, quando mi ordinerete qualcosa, qualsiasi cosa, io sarò pronta e lo farò.”
Appoggiai la testa sullo schienale della poltrona, senza risponderle nulla: il laudano iniziava a fare effetto, le sue parole si mischiavano al crepitio del fuoco.
“Posso chiedervi una cosa, mio maestro?”
Aprii gli occhi per guardarla, in segno di assenso.
“È un incantesimo così doloroso?”
Annuii. 
Normalmente non mi piaceva ricordare quel dolore tanto intenso e tanto profondo che scaturiva da dentro l’anima quando creavo un Horcrux, non mi piaceva nemmeno pensarci proprio poco prima di compierlo di nuovo. 
Ma con l’effetto del laudano appena preso, non mi dava fastidio.
“È un dolore intensissimo e improvviso che dal petto si irradia per tutto il corpo, fino ad arrivare al cervello. Lì esplode completamente, come se me lo aprissero in due. Una cosa mai provata prima, ad ogni incantesimo di quel genere si intensifica sempre più.”
Lei ascoltava attenta.
Le afferrai una ciocca dei capelli tra una frase e l’altra, erano lunghi e lisci, mi misi a giocarci lentamente, intrecciandola tra le dita.
Mi rilassava.
“È un dolore denso e pesante, che si attenua poco e imperversa nel corpo per giorni, ci vuole tempo prima che scompaia. Inoltre, man mano che ripeto l’incantesimo, oltre ad intensificarsi, come dicevo prima, questo dura più a lungo nel tempo.”
Feci una pausa, presi un’altra ciocca di capelli, lei si lasciava fare, le piaceva sicuramente.
“Questo significa che la prossima volta sarà peggio della precedente, cioè quella che hai visto anche tu, Bella. È un’informazione di cui tenere conto.”
Rimase pensierosa per molti istanti. Non che volessi spaventarla, ma tanto valeva sapere la verità.
“Dovete proprio rifarlo, maestro?”
Annuii di nuovo, ma senza guardarla.
Dopo qualche attimo parlai di nuovo.
“Non posso fermare la mia magia, devo andare oltre, vedere cosa c’è oltre il limite, avere potere su tutto.”
Tacqui.
Stavolta fu lei ad annuire.
“Posso fare qualcosa per placare quel dolore? Una magia? Chiedetemi qualsiasi cosa!”
Rimasi a riflettere per un attimo, ma non c’era modo che io conoscessi.
“No, Bella, è così e basta.”
Lei si alzò sulle ginocchia e mi prese la mano con cui le tenevo i capelli.
“Posso, mio Signore?”
La guardai perplesso, ma annuii.
Alzò delicatamente la manica della camicia scoprendo l’avambraccio destro. Già una volta aveva baciato le mie punture sulla pelle, mi augurai non lo facesse di nuovo.
La guardai.
“Riuscite a placare il dolore in questo modo?”
Annuii.
Rimase zitta, stava di nuovo soppesando le parole, pensai mi volesse domandare ancora del laudano, così la anticipai.
“Le punture sono di morfina, quando il laudano non è sufficiente.”
Mi guardò, ma continuò a soppesare le parole.
“E con la morfina riuscite a placare il dolore completamente?”
Annuii di nuovo, ma capii che voleva chiedere anche altro.
“Cosa vuoi sapere esattamente?”
Tentennò per ancora qualche istante, poi finalmente si decise.
“Riuscite a placare anche l’altro dolore?”
La guardai socchiudendo gli occhi, la trapassai con lo sguardo.
L’altro dolore, il peggiore di tutti.
Compresi benissimo cosa voleva dire con quelle parole, cosa aveva capito: ciò che era più nascosto e meglio celato.
Tutto il mio dolore e la sofferenza per la mia nascita e della mia infanzia. Glielo lèssi nello sguardo e nella voce, non avevo alcun bisogno di leggerle la mente.
“Mio Signore, non volevo dire… volevo sapere se…”
Non volevo sentire altro, non doveva osare. Ciò che aveva chiesto non doveva esistere.
“Stai zitta, io non sento nessun altro dolore, sia ben chiaro.”
Le avevo stretto i capelli, fece un gemito di dolore, ma non la lasciai finché non sentii che mi chiedeva scusa e affermava di aver capito.
Feci un respiro profondo e mi calmai subito, il laudano lavorava bene: fu una fortuna per lei.
Chiusi di nuovo gli occhi, respirai lentamente. Tornò il silenzio totale. Sentii che mi abbassava di nuovo la manica sul braccio, mi baciava entrambe le mani e taceva.
Finalmente aveva smesso di fare inutili domande.
Il fuoco nel camino parlava per lei, era tutto più chiaro quando sentivo la sua magia: gli elementi si mescolavano e si alimentavano a vicenda.
Cercava di occuparsi di me, anche se io non volevo. Nonostante tutto volevo allontanarla e tenerla a distanza. Eppure non ci riuscivo, non del tutto: era lì accanto a me, ai miei piedi, sulle mie ginocchia.
Le avrei dato la coppa di lì a poco tempo, le avrei affidato un frammento di anima. Una parte della mia immortalità.
Infondo mi faceva piacere si preoccupasse per me, era segno che si sarebbe occupata per bene della coppa.
L’avevo scelta per questo, ero stato bravo, come sempre.
Sorrisi tra me e me nel silenzio.
Questi pensieri fluivano nella mia mente a ondate regolari, rassicuranti e potenti.
Persi la cognizione del tempo: potevano essere passati in quel modo minuti, o ore. Poi sentii che mi sussurrava piano qualcosa.
“Mio Signore, se volete vi lascio solo a riposare.”
Allora aprii gli occhi lentamente.
Si era alzata in ginocchio, il suo viso era accanto al mio, mi sussurrava le parole all’orecchio.
Sentii il calore delle sue labbra e il suo odore inebriante fin troppo avvolgente.
Non era ancora l’alba, tutto era scuro attorno a noi, non avevo nulla di urgente da fare.
Mi sentivo meglio, forse si poteva impiegare per bene il tempo rimasto prima del sorgere del sole. 
La afferrai per la vita e la portai seduta sopra di me, fui veloce e violento e lei non se lo aspettava, quasi perse l’equilibrio, ma la tenni stretta come un serpente fa con la sua preda. 
Seduta avvinghiata dalle mia braccia mi dava le spalle, mi accostai per un attimo alle sue spalle, sulla schiena: potevo sentire tutto il profumo dei suoi lunghi capelli.
Profumavano di rosa, come sempre.
Si voltò a guardarmi: era contenta e iniziava ad eccitarsi, la strinsi ancora di più con le braccia, mentre con le mani mi insinuavo fra le vesti, sulla pelle, nella carne.
“Dove vuoi andare, mia Bella? Devo ancora punirti per la tua irriverenza.”
Rise forte. 
“Per cosa, mio Signore?”
Giocava.
La presi e la portai sul pavimento, sempre davanti al fuoco.
Non si aspettava la punissi davvero e io infatti non lo feci, ma quella volta le entrai dietro, dove fa più male, ma anche più bene, dove era stretta, una vergine immacolata. 
Fui violento, come sono solito essere, come mi viene spontaneo, come so che non scorderà più.
La presi così perché mi piaceva da impazzire l’idea e la fantasia di farlo a lei. Mi fece avere un orgasmo così forte e così violento e intenso, che quando la vidi ansimare e gridare con me, desiderai tenerla sotto di me sempre, continuamente. 
Le rimasi accanto qualche istante, senza spostarci: io sopra, lei sotto.
Riprendemmo fiato nel calore e nel sudore dell’amplesso.
Le scostai poi leggermente i capelli dall’orecchio, la mia voce fu un sussurro, un sibilo accanto al suo viso.
“Sei davvero la mia ossessione, tu sei l’unica che attenua quel dolore. E lo fai ogni volta che mi fai venire in modo così bello ed estremo.”
 

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Capitolo 31
*** Dammi il tuo sangue ***


Dal grimorio di Bellatrix : “Dammi il tuo sangue”


Nonostante gli ultimi accadimenti mi avessero fatto capire qualcosa di più sull’ultimo e più difficile elemento, non mi sentivo pronta.
Ormai conoscevo tutto, sapevo i suoi significati e come pormi per controllare la terra, eppure, nel momento più importante, quella non mi ubbidiva.
Era frustrante per me che ero sempre stata piuttosto talentosa e apprendevo tutto abbastanza velocemente, ma non potevo che prendere atto della mia impotenza: forse mi sfuggiva qualcosa.
Lo confidai al mio maestro con molta modestia, quella che di solito non possedevo, ma davanti a lui tutto mi veniva più spontaneo.
Contrariamente a quanto immaginavo, non lo tenne in conto, voleva procedere con il suo incantesimo e non sentiva ragioni. Quando era così testardamente convinto, non c’era modo di farlo riflettere, o di indurlo a rallentare, si doveva fare a modo suo e basta.
Mi rassegnai alle sue decisioni. Non che fossi d’accordo, ma non potevo fare diversamente.
Se io non ero pronta, lui lo era ancora di meno. 
Almeno così mi sembrava.
Era ancora provato dai continui esperimenti con la magia oscura, il suo fisico ne risentiva e anche il suo umore. 
Questi continui sbalzi di umore, soprattutto, mettevano a dura prova la psiche e la logica ferrea da cui si era sempre fatto guidare.
Non solo: anche il fatto di andare sempre oltre ogni sua possibilità e distruggere sempre di più quel suo corpo tanto bello, sembrava essere diventata una fonte di piacere per lui.
Quasi un bisogno. Tanto che, quando accennavo, seppur vagamente, alla cosa, rispondeva che il benessere che provocava il superare sempre ogni limite era troppo grande per poterci rinunciare.
Se da un lato la cosa mi preoccupava, dall’altro mi eccitava in maniera fortissima.
Il suo spirito irrefrenabile e distruttivo non lo si poteva comunque in nessun modo frenare.
Soltanto poco prima di compiere l’incantesimo più distruttivo, potevo notare qualche tentennamento.
Anche dopo l’ultima volta che avevamo fatto l’amore insieme era diventato più difficile pensare di dover affrontare di nuovo l’esperienza terribile di quell’incantesimo.
Anche per lui era cambiato qualcosa. Era stato tutto così violento e intenso, che non solo io ne ero rimasta scossa e segnata, lo stesso valeva anche per lui, ne ero certa.
Era stato un altro tipo di orgasmo, era esploso forte, violento, doloroso e stupendo, ci ripensavo spesso e sorridevo tra me e me.
Ci aveva in un certo modo unito di più.
Al solo pensarci mi tornava voglia di stare con lui, il desiderio mi assaliva del basso ventre e si irradiava velocemente in ogni parte del mio corpo.
Lo stavo attendendo già da tempo nella sua stanza, da sola, persa tra i miei pensieri e le le mie riflessioni. Era difficile stare lì senza provare il desiderio di fare l’amore con lui in quel modo e in mille altri modi.
Tentai di ingannare il tempo e il desiderio guardandomi attorno: non ero mai stata lì da sola, invitata da lui, con la possibilità di osservare le sue cose.
Approfittai.
Vidi subito che non aveva molto, feci presto a curiosare. 
Guardai la libreria: vi erano molti libri antichi, molti quaderni, forse grimori e qualche disegno fatto da lui. I disegni mi interessarono subito, semplicemente perché erano suoi. 
I temi erano ricorrenti, quasi ossessivi. 
In molti c’era il mare, sempre agitato, in tempesta, con nuvole scure nel cielo. In altri c’erano delle scogliere, sempre a picco sull’onnipresente mare in tempesta. Si ripetevano anche disegni di onde e insenature nella roccia, poi, meno frequenti vi erano foreste più o meno fitte e radure nella notte.
Li guardai uno per uno quei disegni, sfiorai i tratti su cui si era impegnato, cercai di imprimere nella memoria quei posti che aveva disegnato sulla carta, posti evidentemente importanti e significativi per lui.
Non mi parlava mai di questo, i suoi gusti, la sua anima più intima era un dilemma per me.
Andai avanti a guardare, provando a conoscerlo meglio, per quanto mi era permesso.
Ammucchiava cartoline di luoghi lontani, a me totalmente sconosciuti. Molte carte da viaggio, percorsi segnati, luoghi che sembravano impervi, appunti scritti a mano su quelle carte.
Annotava lì sopra paesi dai nomi stranieri, montagne e vallate, era tutto un mondo particolare e originale, era il suo mondo segreto, ciò che nascondeva a tutti, ma che aveva probabilmente sempre fatto parte di lui.
Le carte raffiguravano tutta l’Europa, posti lontani che io non avevo nemmeno mai osato immaginare. I pochi appunti che prendeva erano scritti con la sua calligrafia penetrante, non bella ma chiara, un po’ contorta.
Non usava mai la piuma, non so perché, amava usare un coltellino per appuntire un oggetto con cui poi scriveva e disegnava. Faceva tutto nel più totale silenzio, talvolta lo osservavo senza disturbarlo.
Mi affascinava ogni cosa che faceva e pensava.
Mi allontanai dalla libreria, volevo fare un giro nella stanza a fianco, ma rimasi colpita da un oggetto bellissimo, che brillava dentro un piccolo armadio.
Non potei fare a meno di aprire del tutto l’anta per ammirarlo: la coppa.
Rimasi ferma impalata. Quella coppa l’avevo vista in tanti libri mentre studiavo l’elemento terra. L’avevo vista anche in alcune immagini e quadri a casa mia, la ricordavo abbastanza bene.
Mi accucciai davanti all’armadio per poterla vedere meglio. Non avevo il suo permesso, per cui non osai toccarla, mi limitai a guardarla da poco lontano.
Era proprio lei, ero certa. 
Era piena di simboli magici e trasudava magia da tutti i pori, aveva persino aperto l’anta per farsi trovare. Sono certa che fosse stato il potere magico di quell’oggetto. Percepivo la magia antica e simbolica, mi era famigliare proprio perché in casa mia eravamo pieni di questi oggetti provenienti da un glorioso passato.
“L’hai trovata dunque.”
Sentii la sua voce, non mi fu chiaro se mi avesse parlato nella mente, o nella realtà.
Alzai lo sguardo e mi guardai attorno: lo vidi apparire in una nuvola nera. 
Era finalmente arrivato da me.
Avvolto nel suo mantello nero e con il cappuccio calato era sempre affascinante.
“Mio Signore…” 
Mi inchinai a lui e poi mi alzai.
“Ti ho fatta aspettare molto, lo so, sto preparandomi per il rito magico, il giorno che ho stabilito si sta avvicinando.”
Sapevo che non potevo proprio più fermarlo, volli dunque sapere quando aveva stabilito di compiere l’incantesimo.
“Sarà la notte di Beltane, approfittiamo di questa notte propizia, simbolo di rinascita, che sta arrivando.”
Non replicai, era un dato di fatto, aveva già deciso.
Mi avvicinai e con molta lentezza lo sfiorai, mettendomi in punta di piedi per baciarlo nell’angolo della bocca.
“Ben arrivato, mio Signore.”
Mi lasciò fare tranquillamente. Era di buon umore quella sera.
Si tolse il mantello e lo lasciò cadere su una sedia.
“Hai visto la coppa, dunque?”
Annuii. La coppa continuava a brillare dal suo angolo nell’oscurità.
La guardai.
“Mi ha come chiamato lei per farsi ammirare, deve essere magia antica.”
Si voltò verso di me incuriosito.
“Ti ha chiamato lei?”
Annuii.
Restammo in silenzio, sembrava riflettere su qualcosa, ma io cambiai discorso.
“Mi avete fatta venire per questo, mio Signore? Per qualcosa che riguarda questa coppa?”
Avanzò lentamente con le mani nelle tasche, si fermò silenzioso, in piedi davanti al fuoco.
“Sai cosa rappresenta la coppa, vero?”
“Certo, mio Signore, so anche che la simbologia è legata alla madre terra…”
Non mi fece finire.
“L’elemento che stai studiando.”
Annuimmo all’unisono.
Lo guardai a lungo, era pensieroso, sembrava assorto e più cupo e taciturno di poco prima. 
Attesi le sue parole.
Improvvisamente sentii le fiamme nel camino che prendevano forza e vigore, sfuggivano anche al mio controllo. Non aveva mai comandato il fuoco in mia presenza, lo aveva fatto sempre fare a me.
La sua immagine nera davanti al rosso delle fiamme prese un che di demoniaco, mi parve quasi che i suoi occhi brillassero di un rosso cupo, sanguigno, un colore irreale.
Non potevo distogliere il mio sguardo da lui, era splendidamente bello e affascinante, tolse le mani dalle tasche e le incrociò sul petto, col suo solito modo di osservare, piegando leggermente la testa di lato.
“Dopo Beltane quella coppa la darò a te.”
Sgranai gli occhi, il cuore perse vari colpi, ma sentii ugualmente il sangue pulsare forte e veloce, scaldare la pelle del volto, infuocare tutto il mio viso.
“A me, mio maestro?”
Mosse appena la testa in segno di assenso.
“Per questo ho atteso che comprendessi il significato dell’ultimo elemento: tutto sta nella terra, la morte e la rigenerazione, la rinascita e il ritorno alla vita.”
Fece una pausa.
“Dopo Beltane, dopo l’incantesimo che farò, tutto questo starà nelle tue mani, Bella.”
Mi venne una paura immensa di non essere in grado di capire e di non riuscire ad essere all’altezza di quel dono. Poi questa paura fu sommersa dalla gioia senza freni per ciò che mi aveva appena detto. Non riuscivo nemmeno a parlare.
“Spero di aver riposto bene la mia fiducia…”
La sua voce era lievemente incrinata, non doveva essere facile per lui questo gesto, anzi era forse il più difficile della sua vita e lo faceva a me.
Dal canto mio, non riuscivo nemmeno a trovare le parole per esprimere ciò che sentivo.
“Mio Signore, mio maestro, sapete che farei di tutto per voi, la mia vita è vostra, potete fidarvi di me. Non sono solo parole, ve l’ho sempre dimostrato coi fatti.”
Mi penterò con lo sguardo.
“Non devi convincermi, Bella, sono già convinto di quello che sto per fare.”
Non volevo convincerlo in realtà, volevo soltanto rassicurarlo. Non glielo dissi ovviamente.
Ero comunque talmente emozionata che mi sarebbe andato bene tutto.
“Mio maestro, avete bisogno dei miei servigi durante l’incantesimo di Beltane?”
Scosse la testa e rimase zitto.
Mi sedetti vicino al tavolo piuttosto delusa. Ci rimasi male, avrei voluto assisterlo come l’ultima volta, mi preoccupavo perché sapevo abbastanza bene a cosa stava andando incontro, ma sembrava convinto di fare tutto da solo.
“Non potrò nemmeno assistervi, maestro?”
Si scostò dal camino e venne lentamente nella mia direzione, sempre in silenzio, senza parlare. Altrettanto lentamente si mise alle mie spalle.
“No, non voglio nessuno, farò bene da solo.”
Improvvisamente ci fu silenzio.
“Non ricordi cosa ti ho detto su chi ti si mette alle spalle, Bella?”
Alzai lo guardò voltandomi verso di lui.
“Certo che lo ricordo, maestro, ma voi potete farmi tutto ciò che volete, soprattutto da dietro.”
Scoppiò a ridere forte, evidentemente il mio riferimento all’ultimo incontro sessuale che abbiamo avuto era più che chiaro.
Era strano vederlo ridere, eppure negli ultimi tempi, sempre coi suoi sbalzi repentini di umore, lo vedevo ridere spesso ed era una delle mie gioie più grandi.
Si avvicinò subito, appoggiò le mani sulle mia spalle e accostò la bocca al mio orecchio.
“Lo terrò ben presente, mia Bella.”
Sorrisi senza guardarlo, lo sentivo accanto a me e mi bastava. Avrei voluto rimanere così per sempre.
“Non ti voglio con me durante l’incantesimo, ma dovrai essere qui al mio ritorno, perché ti affiderò subito la coppa.”
Mi strinse forte le dita sulle spalle, molto vicino al collo, sentii male, ma non glielo feci notare.
“Saprai custodirla in modo impeccabile vero, Bella?”
Era più una minaccia che una domanda. Le sue dita mi stringevano fino quasi a soffocarmi. Potevo percepire tutta la sua paura, i suoi dubbi e timori. Tutti sentimenti che non avrebbe ovviamente mai ammesso.
Non aveva bisogno di minacciare, avrei tenuto la sua anima con tutto l’amore e l’adorazione di cui ero capace.
Sapevo bene che era la sua anima, ma non glielo dissi mai.
“Terrò la coppa con tutta la cura e l’adorazione di cui sono capace e che vi meritate, mio maestro. Non abbiate pensieri per questo.”
Sentii la stretta allentarsi lievemente, d’istinto appoggiai le mie mani sulle sue e gliele strinsi. 
“Fidatevi di me, mio Signore, non vi deluderò.”
Sembrò più convinto e rassicurato. Però non perse ugualmente tempo, tornò velocemente a darmi delle indicazioni sul da farsi.
“Non appena te l’avrò consegnata, la dovrai mettere in sicurezza. È un oggetto di magia oscura ed è molto prezioso, va protetto e non deve essere rintracciabile.”
Lo ascoltavo e tacevo, sapevo che aveva già pensato a tutto per cui mi limitai ad annuire ad ogni cosa.
“Tu hai libero accesso alla Gringott, vero Bella?”
Anche su questo punto annuii.
“Tu e la tua famiglia avete diverse camere blindate, sarei onorato che la mia coppa andasse a dimorare lì, insieme ad oggetti di grande valore magico e simbolico, non potrei pensare a nulla di più adatto.”
Le mie dita erano ancora strette alle sue, non era più una minaccia, ma restavamo ancora fermi così. Legati da quel segreto.
Cercai di concentrarmi. Pensai per un attimo alle camere blindate.
“Va bene, mio Signore, credo sceglierò la camera blindata dei Lestrange, così sarò certa di potervi accedere solamente io. E anche mio marito.”
Feci una pausa, poi mi decisi a spiegare meglio quella decisione.
“Eviterò le camere blindate della mia famiglia natale. I Black… diciamo che non tutti i Black sono affidabili come un tempo e come dovrebbe essere. Non voglio correre rischi.”
Mi guardò attento, non gli sfuggì il mio imbarazzo mentre parlavo della mia famiglia.
“Noto che tutti hanno degli scheletri nell’armadio, Bella, anche la più nobile e antica delle casate. Siamo qui anche per questo, non temere, riporterai la tua famiglia al passato splendore.”
Mi alzai e lo guardai con calma.
“Non mancherò di sistemare anche i miei problemi familiari, questo è sicuro, ma quello che mi preme di più, mio maestro, è servire voi, lo sapete.”
Sembrò soddisfatto. Poco prima avevo percepito un’attrazione forte, forse anche perversa, fra lui e il mio status, la mia famiglia, o ancora meglio, fra lui e il mio sangue.
Gli piaceva da morire.
Improvvisamente, quasi come un fulmine, un’idea mi esplose nella mente. Un’idea malata, cattiva, macabra.
Un guizzo nel suo sguardo mi fece intuire che in un istante l’aveva vista anche lui, chiara e fulgida, nei miei occhi.
Mi si avvicinò con bramosia, con una luce febbrile nello sguardo.
“Mi piace la tua idea, mia Bella.”
Gli sorrisi complice.
“Abbiamo molte settimane prima del sabba di Beltane, vediamo di impiegare il tempo in maniera interessante.”
In quel momento ebbi un fremito di paura, un fremito di buon senso che si affacciava nella mia mente e cercava di fermarmi.
Restai infatti ferma immobile a guardarlo, stregata dal desiderio che si faceva strada sempre più violentemente nel mio ventre, tra le gambe, nella carne, che mi faceva provare brividi di delirante follia.
Allo stesso tempo una timida sensazione di paura si affacciava nella mente, si soffermava sul male e sul dolore che si prospettava in quella pratica pazzesca.
Il suo sguardo quasi scarlatto mi fece capire che non avrei comunque più potuto fermarlo, avrebbe fatto tutto ciò che io avevo solo vagamente immaginato e lo avrebbe portato all’estremo.
Si avvicinò a me stringendomi e assaporando il mio odore, sfiorando col suo viso il mio seno, poi il collo e il viso. Sentiva l’odore del mio sangue che scorreva impazzito sotto la pelle.
Deglutii vistosamente.
Senti la sua lingua calda sulla pelle.
Tremai di mille brividi di piacere, assaporavamo entrambi l’idea nella mente. Fu lui a staccarsi per un attimo, desideroso di andare oltre.
“Lo porti sempre con te, se non sbaglio, vero?”
Annuii senza riuscire a parlare, tanto mi leggeva la mente, parlavamo col pensiero. Lo guardavo solamente,  ancora in bilico tra la voglia di provare subito e la paura del dolore.
Mi baciò con estrema passione, mi morse le labbra, sentimmo un certo sapore ferroso insinuarsi nelle nostre lingue, fra le labbra e in bocca.
Con le sue dita sottili e forti mi prese la guancia, appoggiai il viso, i capelli si intrecciarono alle sue dita, restammo a baciarci a lungo, finché il sangue non smise di bagnare le labbra.
Scese dunque a baciarmi il collo, lento e vorace.
La mia mente già non ragionava più, la voglia di lui aveva travalicato ogni cosa. Lo spinsi con dolcezza più giù sui capezzoli turgidi, amai la sua lingua, il suo succhiarli con desiderio e bramosia.
Abbassò il vestito, accarezzandomi i fianchi fino alla cintura, indugiò per qualche attimo ancora poi lo afferrò.
Me lo sentii sfilare lentamente dal fodero e poi, altrettanto lentamente, lo portò all’altezza del nostro viso, ne vidi, con la coda dell’occhio, il manico scuro, con gli smeraldi attorno.
Subito dopo lo portò sul mio viso, sentivo la punta della lama scorrermi sulla guancia, sfiorandomi delicatamente. 
Il cuore mi batteva forte.
“Hai ancora voglia di farlo, adesso che lo senti sulla pelle?”
Annuii. Mi importava solo di avere lui e di averlo in quel modo nuovo ed eccitante che non avevo mai provato prima.
Lentamente portò la lama fra le nostre labbra, quelle di entrambi. Questa volta la girò appena: bastava un respiro, un movimento impercettibile e ci saremmo tagliati. 
La lama fredda mi gelò la pelle. Il desiderio era di baciarlo, ma mi avrebbe lacerato le labbra.
Ci guardammo fissi, occhi negli occhi, il suo sguardo instabile e perverso che si era acceso pochi attimi prima, mi ipnotizzava completamente.
“Hai paura di me?”
Non mosse la lama.
Inevitabilmente a quelle parole le sue labbra si coprirono di sangue caldo e denso. Lo assaporai dal momento che mi entrò sotto la pelle, ne sentii subito dopo l’odore pungente. Era la prima volta che mi mostrava la sua essenza.
Se avevo paura di lui?
Annuii. 
Certo che avevo paura, mi faceva paura il suo desiderio ossessivo del mio sangue e ancora di più il suo innato e irrefrenabile sadismo.
Mi guardava, giocava con la lama, la toccava con la lingua, quegli occhi avevano una luce febbrile, malata: non avrei mai saputo dir loro di no.
Si allontanò leggermente.
Mi prese con forza e mi portò nel letto.
Nel suo letto.
Mi sbatté sulle lenzuola scure, fredde e morbide. Mi leccai le labbra osservandolo, eccitata da mille sentimenti contrastanti.
Lo guardavo dal basso in alto, le gambe piegate e leggermente divaricate, pronte ad accoglierlo, mentre lui mi guardava dall’alto, con il mio coltello nella mano sinistra.
Accarezzava il coltello con le sue dita sottili, sensuali.
Si avvicinò a me lentamente, scivolando fra le mie gambe, insinuandosi accanto a me.
Mi arresi completamente a lui, chinai il capo all’indietro, lo attesi lasciandogli campo libero sul mio corpo. La fiducia più totale.
Le sue labbra rosse e insanguinate si piegarono in un sorriso di piacere.
“Fammi sentire il tuo sapore, dammi il tuo sangue.”

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Capitolo 32
*** Edipo re ***


Dal grimorio di Bellatrix : “Edipo re”


I giorni passavano, ma quasi non me ne accorgevo. Il tempo era scandito solo dal sole che sorgeva e illuminava la stanza attraverso finestre semichiuse e la notte che poi arrivava, lasciando entrare il buio e il silenzio totale. 
Noi stavamo quasi sempre nel letto e facevamo l’amore ripetutamente.
Mi sentivo assolutamente bene fra le sue lenzuola, avvolta dal suo profumo, nell’odore del sangue che in quelle giornate accompagnava ogni attimo della nostra vita lì.
Avevo sofferto, ma era tutto perfettamente mescolato nella passione e nell’eccitazione. La notte il dolore e l’amore prendevano il sopravvento, di giorno mi addormentavo in una pace irreale, una sorta di abbandono che rasentava la perdita dei sensi e solo quando mi svegliavo realizzavo meglio la presenza delle ferite sulla pelle, le macchie di sangue sulle lenzuola.
Di momenti di passione ricordavo soprattutto la presenza del sangue che si espandeva ovunque accanto a noi e alla potenza di quegli orgasmi macabri. Ripensavo alla sua bocca, la lingua calda sulle mie ferite, il bruciore che mi provocava il suo tocco, era sempre veleno, puro e potente.
Naturalmente più passavano i giorni, più procedevamo in quelle pratiche, più mi sentivo debole e stanca.
Talvolta, nonostante questo stato di totale spossatezza, ero così presa dalla frenesia da non sentire la stanchezza, ma poi dimenticavo i particolari, mi sfuggivano dei momenti, non riuscivo a trattenerli nella memoria.
Il corpo cominciava a cedere, non resisteva più alle continue perdite di sangue.
Lo intuii una mattina in particolare, probabilmente perché la notte prima avevamo rallentato il tenore di quelle pratiche e quindi mi sentivo più lucida. Forse avevo anche dormito più del solito ed ero più riposata.
Guardai la luce fuori dalle imposte: era già alta. 
Decisi di alzarmi dal letto dopo vari giorni che non mi spostavo da lì, feci un bagno veloce e mi rilassai nell’acqua calda. Osservai bene le ferite: non erano brutte e profonde, il mio maestro ci era stato attento, ma erano tante.
Davvero troppe. 
Il sangue perso era tanto e infatti mi sentivo molto debole. Uscendo dalla vasca mi guardai allo specchio e mi vidi davvero molto pallida, con le occhiaie.
Dovevamo davvero smetterla, almeno per un certo tempo.
Presi un accappatoio e mi ci avvolsi dentro, qualche ferita si aprì nuovamente, ma niente di preoccupante.
Tamponai i tagli con garbo e rimasi avvolta in quel morbido calore.
Mi asciugai i capelli davanti al fuoco e tornai a letto, da lui.
Silenziosamente mi rimisi accanto al mio maestro e lo osservai: incredibilmente era calmo, dormiva. Vidi dei segni anche sulla sua pelle, pochi, ma profondi, avevano un brutto aspetto e stentavano a rimarginarsi.
Pensavo volesse solo avere il mio sangue, non pensavo volesse quasi privarsi del suo. 
Avrei dovuto immaginare, in realtà, che si sarebbe fatto male anche lui, che sarebbe stato estremo, come sempre.
Lo guardai ancora.
Gli accarezzai i capelli con lo sguardo, poi il viso.
Mi fece male il suo pallore eccessivo.
Sono stata sciocca a proporre questo gioco, lui è bravissimo a farsi del male. Quale occasione migliore di questa per portare il dolore all’estremo, vicino alla rovina e all’apice, mescolarlo poi col piacere.
Ci eravamo divertiti, non si poteva negare.
Mi venne un impulso forte di abbracciarlo, ma mi trattenni.
Sembrava volesse morire e rinascere grazie al mio sangue, sembrava volesse sostituirlo al suo.
Improvvisamente pensai di nuovo, dopo molto tempo, alla coppa, al nuovo elemento, la terra. La nascita e la rinascita.
Era questo che doveva fare con quella coppa: rinascere. 
Voleva sempre rinascere ad ogni incantesimo, diventare diverso, più forte ancora e più potente. 
E dire che a me piaceva tanto già così.
Intuii, anche se non in maniera precisa, il significato che mi mancava dell’elemento terra: la morte e la rinascita successiva, ciò che avveniva in natura grazie alla terra.
Per un istante lo avevo capito, poi era di nuovo sfumato.
Comunque qualcosa avevo colto e me lo feci bastare.
Ora però non potevamo continuare in quel modo, il mio Signore sarebbe diventato troppo debole. Avrebbe dovuto affrontare un incantesimo distruttivo di lì a poco tempo e non potevo lasciare che si rovinasse ancora di più.
Probabilmente lui sfidava le sue capacità, ma io dovevo essere più razionale, sapevo che era arrivato il momento di fermarci.
Non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, era tanto bello, quasi perfetto. 
Mi chiesi, guardandolo, se si rendeva conto del suo stato, della sua debolezza e se si ricordasse dell’incantesimo a Beltane.
Non era certo tipo da scordare le cose, lo avrebbe fatto sicuramente lo stesso l’incantesimo e, se gli avessi detto qualcosa del mio pensiero, probabilmente si sarebbe innervosito perché, a detta sua, non gli riconoscevo la sua grandezza ed estremo potere.
Non era affatto così, naturalmente, mi preoccupavo perché lo amavo, nient’altro.
Lo guardavo ancora, ero come ipnotizzata da lui, non riuscivo a staccarmi, ad allontanarmi da lì. 
Eppure bisognava fare qualcosa, subito.
Mi alzai da letto e mi misi una sottoveste leggera, aumentai il fuoco nei camini e mi recai nella stanza adiacente.
Mi sforzai di pensare agli ingredienti di una pozione adatta. Cercai le boccette e trovai velocemente l’occorrente.
Mescolai tutto portando a volume con un pochino di acqua distillata e agitai: la pozione era pronta.
Presi dell’ovatta e la provai sulle mie ferite.
In pochi attimi il rossore diminuiva, la pelle cicatrizzava velocemente: mi sembrò riuscita bene.
Tornai in camera in silenzio e mi misi accanto a lui. Impregnai ancora l’ovatta nel liquido e mi fermai un istante: non volevo svegliarlo per cui prima scaldai la pozione con le mie mani e poi gliela misi, delicatamente, su uno dei suoi tagli.
Li osservai bene: tagli profondi, precisi e netti, fatti senza esitazione, che stentavano a rimarginarsi. 
Guardai lui ancora, era difficile per me accettare il suo irrefrenabile potere autodistruttivo, mi sforzai di non pensarci, misi il batuffolo sul braccio e attesi.
Il sangue si fermò subito, la ferita prendeva un aspetto più bello, lentamente si rimarginava. Ne fui contenta, ma non feci in tempo a spostare il batuffolo che lui aprì gli occhi, mi guardò cupo e si allontanò palesemente contrariato. 
“Scusatemi, maestro, ma volevo solo…”
Era duro, arrabbiato.
“Come osi? Come ti viene in mente?”
Tentennai. Erano le cose che più lo facevano innervosire quelle e lo sapevo molto bene, ma ero convinta che bisognasse agire per limitare i danni.
“Scusatemi, mio Signore, non mi permetto più.”
Gli porsi la pozione con l’ovatta.
“Fatelo voi però. Sono giorni che andiamo avanti così e ne stiamo risentendo. Mio Signore, non per me, non perché non continuerei ad esaudire i vostri desideri, ma perché dovete fare un incantesimo potente, avrete bisogno di tutta la vostra energia. Invece in questo modo potreste indebolirvi.”
Il mio era un eufemismo, in verità io ero debolissima, lui palesemente era distrutto.
Restammo fermi a valutarci e studiarci.
Ritenevo quantomeno strano che da me si facesse toccare, baciare, leccare, che facessimo l’amore insieme e che ormai conoscessi tutto il suo corpo, ma che non potessi mettergli una pozione su una ferita, o fargli una carezza sui capelli e altre cose di questo genere. 
Eppure era fatto così e c’era poco da pretendere.
“Non ne ho bisogno.”
La sua ostinazione era esasperante, non sapevo come fare per convincerlo, provai dunque a fare l’opposto.
“Scusatemi, volevo semplicemente servirvi al meglio. La pozione la riprendo e la getto via se non vi aggrada, non volevo in nessun modo contrariarvi, mio Signore.”
Allora, senza dire una parola, mi prese l’ovatta dalle mani e la appoggiò sulla pelle, tamponando le cicatrici senza molta cura.
Finito di rimarginare i tagli, lo vidi sdraiarsi di nuovo sul letto, lentamente e stancamente. Sembrava anche  un pochino sofferente. Era infatti solito fare così quando era stanco, o dolorante.
Si coprì gli occhi col braccio e rimase per qualche istante zitto e fermo in quella posizione.
Io rimasi a lungo ferma a guardarlo, fu lui ad interrompere il silenzio.
“Il tuo sangue è caldo, Bella.”
Mi avvicinai a lui nel letto, posai la pozione sul pavimento per non rovesciare tutto.
“Come dite, mio Signore?”
Mi misi accanto a lui.
“Dico ciò che percepisco. Dopo questi giorni di frenesia, di amplessi sanguinosi, sento il sangue più caldo nelle vene, si è mescolato al tuo. Il mio sangue è freddo, congelato, il tuo è fuoco.”
Sorrisi a quelle parole. Gli risposi quasi scherzando.
“Mio Signore, il mio sangue è uguale al vostro non noto questa differenza…”
Non feci quasi in tempo a terminare la frase che mi afferrò il braccio in modo fulmineo, violento. Mi fece male, stringeva in maniera inumana. Mi guardò così malamente che fui costretta a gemere dal dolore e dalla paura di quegli occhi.
Cosa mai avevo detto di tanto sbagliato?
“Non osare prendermi in giro, il tuo sangue non è uguale al mio, come anche tu ben sai.”
Solo allora capii. 
Ero stata ingenua: io a quella cosa che riguarda le sue origini non ci penso mai, per me non esiste. Per lui invece sì. 
Me lo ha dimostrato in ogni modo il problema insormontabile che sente, eppure io ho commesso ancora una volta una imperdonabile leggerezza.
Avevo detto quelle parole quasi per scherzo, per ribattere alla sua frase. Invece, molto scioccamente, avevo toccato un punto molto dolente.
Mi venne quasi da piangere: intuivo il suo dolore, ma non lo sapevo capire e comprendere fino in fondo.
“Scusatemi, mio Signore, sono costernata, continuo a non essere alla vostra altezza.”
Mi guardò, continuava a stringere il mio braccio, dovetti andare avanti.
“Vorrei servirvi, starvi accanto, meritare tutto ciò che mi concedete, ma ancora certe cose di voi non le so capire.”
Lo guardai: non sapevo che reazione avrebbe avuto, se cattiva o violenta, oppure mi avrebbe ignorata, allontanata e schifata.
Invece la conversazione prese tutto un altro tono.
“Non potrai mai capire. Non potrai mai capirmi. Eppure è tutto molto semplice, lineare e logico, quasi elementare.”
Mi lasciò lentamente il braccio, restammo vicini, ci guardammo silenziosi.
“Il motivo per cui io voglio stare da solo è perché sono solo, se ti tengo a distanza è perché siamo distanti.”
Non osai proferire parola: per quanto quelle frasi mi sembrassero dure e mi ferissero, sentivo di dover lasciare spazio a lui. Percepivo che, in fondo, quello che stava dicendo era niente più che la cruda realtà.
Eravamo all’apice di un momento molto particolare, ci trovavamo in un equilibrio instabile fra le sue rivelazioni, o una totale ennesima chiusura. 
Se avessi sbagliato una sola impercettibile azione, avrei dovuto rinunciare per sempre ad un momento di confidenze da parte sua, a cui, invece, tenevo molto.
Restai zitta, ma mi mostrai attenta, disponibile. Dopo un lungo silenzio si aprì in un racconto spezzato, tortuoso e sofferto.
“Non è solo questione di sangue, sai? La purezza, il sangue magico. Non è tutto lì.”
Lo ascoltai come incantata dalle sue parole.
Non volava una mosca in quelle ore mattutine in cui la luce, seppur resa fioca dalla nebbia e dalle nuvole fuori, penetrava le imposte e rischiarava la stanza.
Prese di nuovo l’ovatta e, quasi per distrarsi, tornò a tamponare i tagli che ormai erano quasi completamente rimarginati.
Non mi guardava, osservava la sua pelle ritornare integra.
“Nel mio mondo, nel mondo reale, è la sofferenza che conta, non il sangue puro. È la sofferenza che ti segna, già nel momento in cui nasci. Non solo, la senti probabilmente anche prima di nascere e rimane incastrata dentro di te, non te ne liberi più. La rabbia è l’unica possibilità di vita insieme all’istinto, la bestia dentro di te. Un odio freddo e spietato è l’unica reazione possibile, altrimenti non si sopravvive.”
Io ascoltavo attentamente, ma non era facile capire, parlava seguendo le sue idee, le sue esperienze a me sconosciute.
Posò la pozione e riprese a guardarmi fissamente.
“Il sangue puro, o non puro è solo un simbolo, niente di più.”
Si fece silenzio, attesi alcuni istanti, poi provai a parlare lentamente, con tatto.
“Un simbolo di cosa, mio Signore?”
“Un simbolo dell’odio che ho per mio padre. Del rifiuto, della rabbia che sento nei suoi confronti.”
Si appoggiò al cuscino, sullo schienale del letto, parlava mostrando noncuranza, ma dietro la facciata percepivo la fatica per dire poche frasi, vedevo le espressioni terribili dei suoi occhi, i muscoli tirati delle sue mani e sulle braccia nude.
Non mi aveva mai detto quelle cose, non so se le avesse mai dette a nessuno.
Cosa voleva dire quando affermava che il sangue era solo un simbolo? Non lo capivo. 
Il mio mondo era sempre girato attorno al sangue puro, al sangue magico. 
Nella mia famiglia contava solo il toujour pur, per lui era ovviamente molto diverso.
Immaginai che il padre fosse quello senza sangue magico, la madre invece, doveva essere la purosangue. Non mi parlò di lei però, non capii che fine avesse fatto, né perché lui odiasse così tanto suo padre.
Era cresciuto in un posto di quelli che ospitano bambini senza genitori, sapevo solo questo. Dove fossero i genitori quando lui era un bambino, come fossero andate le cose non mi era chiaro. 
“Com’eri tu a sedici anni?”
La domanda mi stupì e mi riportò alla realtà. Mi venne d’impulso di rispondere subito, così da sentire altro dei suoi racconti, capire perché mi aveva chiesto quella cosa. Provai a ricordare quell’età e descriverla in poche parole.
“Ero già brava con la magia, mio Signore, leggevo molto di voi sul giornale, vi cercavo già da allora. Andavo a scuola e andavo bene, ero dotata, ma stavo in una banda di ragazzi con cui facevamo molti guai, non avevo nessun fidanzato. A casa stavo con le mie sorelle e ridevamo tutto il tempo. Cose così, sciocchezze...”
Mi guardava con sguardo enigmatico, forse distante, si scosse i capelli con le dita, ma quelli gli ricadevano comunque sulla fronte scompigliandosi.
“Io a sedici anni viaggiavo da solo nel mondo. A sedici anni ho cercato mio padre e l’ho ammazzato a sangue freddo. Poi ho fatto lo stesso con chi restava della mia famiglia.”
Rimasi a guardarlo, fredda come il ghiaccio.
“Feci una strage, nessuno se ne accorse, fui bravo a non farmi scoprire, ebbi una fredda determinazione ad uccidere e una fredda razionalità ad incolpare chi mi faceva comodo. Mi divertii a vedere come la facevo franca con poco.”
Continuai a tacere e ascoltare, non mi stupì di cosa fosse stato capace, mi stupì quanto fosse fuori dall’ordinario e che me lo stesse raccontando come una semplice chiacchierata.
“Questa cosa mi indusse a capire che potevo fare tutto, bastava solamente che lo volessi.”
Lo guardavo negli occhi scuri e penetranti, riuscivo solo a pensare che mentre io giocavo con la magia, lui la usava per uccidere i genitori, tutto questo a sedici anni.
Quel pensiero, nel profondo del mio animo, mi faceva impazzire dall’eccitazione e dal desiderio.
Lui alzò lo sguardo, incrociò i miei occhi e sorrise, mi sembrò fossimo assolutamente complici in quel momento.
Amavo quel sorriso che mi regalava, così freddo e malato, senza gioia e pieno di passione.
“Ti piace, vero? Ti piace questa cosa che ho fatto e ti ho raccontato? Ti piace e ti eccita quello che sono stato capace di fare quando ero ancora un ragazzino.”
Gli sorrisi, non trovai le parole giuste per dirgli quanto avesse ragione, quanto desideravo averlo dentro di me, quanto volevo mi facesse del male con le sue spinte violente e incessanti. Volevo vedere e sentire la sua violenza.
Mi piaceva da morire quando mi diceva queste cose, si apriva a me e mi raccontava di quanto fosse straordinario.
“Sai cosa mi viene in mente ora?”
Iniziò a parlare con maggiore leggerezza, sembrava leggermente più rilassato.
“Ditemi, mio Signore.”
“Durante le vacanze di Natale di quell’anno, poco prima di compiere sedici anni, appunto, avevo letto un libro: L’Edipo re. Sai bene anche tu che amo molto leggere e quella tragedia, in particolare, mi colpì molto. 
lo rilessi varie volte, volevo capire. Forse è da lì che ho preso l’idea.”
Lo guardai in maniera interrogativa, ogni tanto citava cose che io non conoscevo, faceva forse riferimenti al mondo babbano che per me era completamente sconosciuto. 
La sua vita invece ne era intrisa completamente, questo per me avrebbe dovuto essere motivo di astio, di sdegno, mentre, in verità, diventava motivo di estremo fascino. 
Non capii mai perché, ma mi venne assolutamente spontaneo trovare totalmente affascinante in lui, ciò che odiavo negli altri.
Mi accorsi che mi guardava attento. 
Ricambiai quindi la sua occhiata. Il suo sguardo era diventato più vivace, quasi scherzoso.
“Non lo conosci vero, ragazzina purosangue? Non hai mai sentito parlare di Edipo, tu.”
Scossi la testa un pochino mortificata, ma lui non se ne curò affatto, mi guardava in modo strano, possessivo, quasi maniacale.
“Uccidi il padre, scopa la madre… uccidi il padre, scopa la madre… uccidi il padre, scopa la madre.”
Mentre ripeteva incessantemente quelle poche parole, iniziò ad avvicinarsi a me molto lentamente. Iniziò a battermi forte il cuore solo guardando i suoi occhi e sentendo la sua voce.
“Uccidi il padre, scopa la madre. Era diventato un mantra per me, durò mesi.”
Non avevo la minima idea di cosa stesse parlando, il libro, il mantra, era tutto sconosciuto ai miei occhi. 
Sentivo solo quelle frasi ripetute ossessivamente, con quella voce cupa, profonda e oscura. I suoi occhi ipnotici che si avvicinavano ai miei, sembrava di incrociare lo sguardo di un serpente selvaggio.
Ero così presa da quello sguardo che parlavo senza occuparmi del senso delle mie frasi, distratta da quegli occhi che mi prendevano e mi avvelenavano.
“Mio Signore, avevate promesso che non mi avreste più chiamato ragazzina…”
Piagnucolai un pochino, tornai ai tempi in cui potevo fare la ragazzina coccolata dal maestro, più forte e maturo. 
Lui poteva farmi tutto, solo così mi sentivo davvero viva.
“Tu non conosci la sofferenza e tantomeno la tragedia, vero ragazzina?”
Si prendeva gioco di me, mi faceva arrabbiare di proposito. Era tornato allegro, aveva cambiato umore di nuovo, come cambia il vento: in un istante.
“Mio Signore, ancora con questo ragazzina?”
Insistei a piagnucolare ancora un po’.
“Taci, Bella. Ti chiamo come mi pare. Non solo, ti prendo come mi piace e quando mi piace: sei mia, solo mia, completamente.”
Non potevo resistere a quelle parole, al suo richiamo di possesso. Smisi subito con le lamentele, mi avvicinai a lui scompigliando le lenzuola ancora macchiate, avrei voluto cingerlo tra le mie braccia e offrirmi a lui, ma sarebbe stato troppo.
Mi fermai accanto il suo corpo, ne assaporai l’odore, ne potevo sentire il calore, feci scendere la sottoveste restando quasi completamente nuda.
“Sì, mio Signore, completamente vostra. Il mio corpo, il mio sangue, fatemi male ancora, vi prego.”
I suoi occhi mandarono un particolare bagliore rosso non appena vide il mio seno alzarsi e abbassarsi per i sospiri, per il desiderio di lui.
“Chiedimelo ancora, pregami, se vuoi che ti faccia male.”
Sorrisi a quelle parole, lui mi guardava e non si muoveva, non mi concedeva nulla. Lo pregai nei modi più perversi che conoscevo.
Lo volevo troppo.
“Di più, molto di più. Implorami.”
Si prese tutto il tempo per ascoltare ogni mia singola parola, preghiera e implorazione, per godersi tutto fino in fondo.
Non gli feci mancare nulla.
Lentamente cercò il coltello tra le lenzuola e con esso mi strappò, lentamente, tutta la sottoveste. La fece a brandelli davanti ai miei occhi desiderosi di lui, guardavo la lama e non desideravo altro se non che strappasse via tutto, volevo solo sui sopra di me e lui dentro di me.
La lama era macchiata del nostro sangue incrostato da giorni e giorni di sesso perverso.
Sentii di nuovo la sua pelle sulla mia e i suoi sussurri, le sue frasi viziose che mi davano brividi di piacere.
“Brava, implora. Ti faccio male quante volte vuoi, dammi il tuo sangue, io ti do il mio veleno, ti invado tutta, ti riempio, tu soffoco, tu sei solo mia.”
Entrò velocemente dentro di me. Fu violento, come sempre, non aspettava mai che io fossi bagnata per bene, lo faceva di proposito così il dolore fra le gambe era intenso e profondo proprio come una lama.
Poi solo sangue e piacere.
 
 

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Capitolo 33
*** L’ultimo incantesimo ***


Dal grimorio di Bellatrix : “L’ultimo incantesimo”


Andammo avanti a quel modo fino all’ultimo, il mio timido tentativo di essere saggia e di frenare la sua sfrenata vena distruttiva, ovviamente, fu vano. La mattina del 30 aprile di nuovo mi svegliai fra le lenzuola imbrattate di sangue. 
Il mio e il suo. 
Ero sola nel letto, ma assaporai ancora una volta il suo odore sulle lenzuola, mi crogiolai in quella macabra beatitudine che era diventato un rito di accoppiamento esaltante e piacevole.
Rimasi lì a lungo, poi lentamente decisi di alzarmi.
Lui, il mio maestro, come era prevedibile, quella mattina non era lì nel letto con me. Ormai era giunto il giorno che precedeva la notte di Beltane, la notte del suo rito, i nostri incontri sessuali continui e ripetuti, per quel momento, volgevano al termine.
Quella volta, dunque, non mi preoccupai di usare la pozione sulle ferite: sapevo bene che quell’avventura era finita e volevo tenerne i segni in ricordo di quei momenti, il più a lungo possibile.
Quel giorno mi attendeva una dura prova: avrei dovuto vederlo stare male e questo cancellava tutta la gioia di avere l’onore di ricevere la coppa contenente la sua preziosa anima.
Eppure, dovevo affrontare quel momento, non potevo evitarlo, perché così voleva lui.
Sospirai e mi feci forza.
Appena alzata da letto, presi una giacchetta e vagai per le stanze a cercarlo.
Lo trovai velocemente, era intento a lavarsi il viso, lo guardai in silenzio, mi appoggiai allo stipite della porta senza entrare per non disturbarlo.
Era rimasto a petto nudo e non vi era più traccia dei segni del coltello, i pantaloni gli si appoggiavano morbidi sui fianchi magri, scendevano anche leggermente sulla vita, lasciando vedere bene le ossa del bacino che sporgevano leggermente sul ventre piatto. 
Vederlo così mi faceva venire ancora voglia di sesso, voglia di lui.
Non mi bastava mai.
Mentre si tamponava il viso con l’asciugamano, si voltò verso di me.
“Buongiorno, mio Signore.”
Attesi, nessuna risposta.
Lo fissai nei suoi begli occhi, erano normali, non aveva preso ancora nulla e ne fui contenta: volevo stare accanto a lui, volevo mi concedesse ancora qualche istante solo nostro, prima di perderlo di nuovo per quella mania di essere immortale.
Sapevo bene che poco dopo quei momenti insieme, sarebbe ritornato l’inferno. Lo sapeva anche lui infondo, ma era fatto così e io lo amavo lo stesso.
Non mi salutò, non disse nulla, si avvicinò lentamente ed io alzai lo sguardo non appena mi fu vicinissimo: alto e magro mi sovrastava totalmente.
Sempre silenziosamente, mise il braccio attorno alle mie spalle, stringendomi molto, così tanto che mi fece male, ma non ci badai. 
Sembrava un abbraccio, ma senza affetto, più un segno di possesso e mi piacque moltissimo.
Restammo così a lungo, il mio cuore batteva così forte che immaginai lo sentisse anche lui. Le guance mi divennero calde come il fuoco.
Poi, dopo diversi momenti, sempre senza separarci, ci spostammo nel piccolo salotto.
Lì lentamente e si allontanò da me, si mise di fronte e mi guardò serio.
“Sai già cosa devi fare quando ti porterò la coppa, vero?”
Annuii.
“Potete stare certo, mio Signore.”
Lo rassicurai subito, avevo pensato a tutto, gli avevo già spiegato tutto, ma volli ripeterlo ancora una volta, non volevo avesse dubbi, o pensieri per ciò che riguardava la mia parte del piano.
Avrei voluto restare con lui non appena fosse tornato, ma mi avrebbe sicuramente detto di no, dunque avevo preparato una buona scusa.
“Dato che compirete il rito questa notte, custodirò nelle mie mani la coppa fino al termine dei festeggiamenti di Beltane. Quando poi la Gringott riaprirà i battenti, gliela porterò io stessa e verrà custodita là, mio Signore, esattamente come mi avete chiesto voi.”
Feci una pausa e lo guardai attentamente negli occhi.
“Può andarvi bene?”
Lui mi guardò a lungo, poi annuì.
Vidi che iniziò a sistemarsi per uscire, dunque mi rivestii anche io, ripresi il coltello e notai che era ancora sporco di sangue. 
Sorrisi guardandolo, ripensai a quei momenti di passione e dolore che ne avevano macchiato la lama e mi resi conto che mi mancavano già. Impiegai del tempo, ma poi mi decisi a lavarlo e sistemarlo nel suo fodero. 
Mi ravviai i capelli  e sistemai come potevo il trucco sugli occhi. Non mi truccavo da giorni, ma dopo aver fatto l’amore tutte quelle volte, mi sentivo più bella e radiosa che mai. 
Prima di uscire insieme dalla porta di quella stanza, non potei fare a meno di fermarlo per un attimo ancora.
“Mio Signore, fate attenzione…”
Non mi rispose: sapevo che erano le classiche frasi che non sopportava, ma insistetti lo stesso.
“Aspetterò che mi chiamiate attraverso il Marchio, questa notte, come mi avete detto voi.”
Mi guardò fissamente, con un’espressione tra il divertito e lo spazientito.
“Ti ho già detto che lo farò. Ora lasciami fare e goditi la festa.”
Restai zitta, la sua voce, se anche voleva sembrare distaccata e perentoria, risultava tesa e stanca, mi costrinsi a lasciarlo andare, tanto non avrei potuto fare altrimenti: era fatto così.
Uscimmo insieme dalla stanza e davanti a noi ci trovammo, come se si fossero dati tutti un appuntamento simultaneo, vari Mangiamorte in trepidante attesa.
Ci squadrarono entrambi dalla testa ai piedi e ne seguì un lungo silenzio di attesa. 
Approfittai per guardare anche io il mio maestro. 
Era perfetto, a parte il pallore e un’ombra di occhiaie sul viso, appariva come tutti gli altri giorni. Al contrario, io portavo i segni dei suoi tagli orgogliosamente sul mio corpo, probabilmente erano già stati notati da tutti i presenti.
Non potei evitare di pensare, per un attimo, che lui ne andasse orgoglioso tanto quanto me e forse anche di più.
Fu Dolohov a reagire per primo a quel momento di generale attesa e smarrimento, lo prese accanto e si allontanò con lui, a breve distanza li seguirono gli altri Mangiamorte. 
Accanto a me restarono i pochi interessati solo alla mia persona: Rod, Rab e Alecto.
Quest’ultima era stravolta, guardava i miei tagli con gli occhi fuori dalle orbite, non osava chiedere, ma immaginava tutto.
Le puntai lo sguardo addosso.
Abbassai il vestito sulle spalle per mostrarle i segni.
“Hai visto? Non mi odia. Il tuo sciocco piano ha fallito miseramente.”
Sorrisi malignamente e non aggiunsi altro.
Lei non parlava, quasi balbettava.
Mi sfiorò il polso con le dita fredde e tremanti, lì vide altri tagli.
“È stato lui? Lo avete fatto insieme?”
Non le risposi, ma il mio ghigno soddisfatto fu abbastanza eloquente.
Vidi che si tratteneva dal piangere e strepitare. 
Non infierii, mi allontanai e la lasciai cuocere nel suo brodo.
Rimase sola e la incontrai soltanto dopo lungo tempo, non riuscii mai a capire se si fosse rassegnata, ma il solo pensiero che anche lei lo amasse, mi bastava per essere gelosa e crudele, quel sentimento non mi abbandonò più.
Rab quella sera di festa era silenzioso e distante, molto triste.
Non voleva accettare la mia relazione con il Signore Oscuro. Era curioso come avesse accettato il mio amore per il mio maestro, ma ora non voleva piegarsi al fatto che avessimo davvero una relazione.
In quel particolare momento, non provai nemmeno ad avvicinarlo, probabilmente avrei fatto solamente peggio.
Volsi lo sguardo a Rod, che mi guardava beffardamente. 
Non mi stupì quel suo sorriso sfrontato e dolce.
Sapeva bene, evidentemente, che in fin dei conti solo lui era in grado di sopportare il mio carattere e i miei sentimenti e di uscirne a modo suo vincitore.
Gli sorrisi di rimando.
“Signora Lestrange, ce ne andiamo a goderci la festa di Beltane?”
Non ebbi bisogno di rispondere, mi porse il braccio e lentamente ci incamminammo verso il villaggio magico. 
Alla fine, il matrimonio non lo avevamo sciolto, né lui né io ne avevamo più parlato.
Vivevamo a modo nostro in quel rapporto libero e malato, senza volerlo sciogliere del tutto, lasciandolo vivere di alti e bassi continui.
Non volli mai soffermarmi a capire se fosse per noi una comoda facciata, o più probabilmente, qualche sentimento nascosto ci tenesse ancora legati.
 
*** 
 
La giornata passò lenta nonostante i festeggiamenti.
Mentre i riti magici iniziarono già al calar del sole, la mia mente era fissa sul mio maestro e su cosa stesse facendo in quel momento. 
Alle prime luci del tramonto immaginai lui stesse preparando il suo rito privato.
Mi guardai intorno: la notte sarebbe passata così, in mezzo ai fuochi di maggio, tra danze, rituali e accoppiamenti, tra gente che avrebbe raccolto erbe prima del sorgere del sole e gente che avrebbe preso la prima rugiada di maggio.
Durante quelle ore così ricche di energia, avrei potuto usare la magia oscura per accrescere i miei poteri, ma non lo feci, non ci riuscii. 
Non feci assolutamente niente, per la prima volta nella mia vita, di tutta quella notte non mi interessava nulla, non attendevo altro che il bruciore del Marchio sul mio braccio. 
Volevo tornare da lui. Non volevo restasse solo.
Rod lo avevo perso poco tempo prima che iniziasse il vero caos dei riti, forse aveva trovato qualcuna con cui passare la notte.
Camminavo da sola in silenzio, coperta dal mantello e dal cappuccio, così nessuno mi avrebbe riconosciuta né dato noia.
Nell’aria bruciava di tutto, gli odori erano i più svariati, ma li conoscevo perfettamente. Improvvisamente mi venne un’idea: mi avvicinai ad un falò e respirai a pieni polmoni quel fumo denso, più e più volte. Era un trucco che usavamo da ragazzi, serviva per stravolgermi un po’.
Bighellonai senza meta a lungo, ma il tempo effettivamente passò prima.
Appena ravvisai che la notte stava per terminare, guardai verso il primo falò accanto a me, cercavo il fuoco e volevo che mi parlasse.
Il mio elemento non sbagliava mai, mi disse subito che dovevo tornare al Quartier Generale.
Sentii una rabbia pazzesca crescermi dentro: non mi aveva ancora chiamata, ma il suo rito lo aveva terminato. 
Lo avevo letto nelle fiamme, la nostra magia si parlava sempre.
Non capivo perché dovesse essere sempre così cocciutamente convinto di dover stare solo, aveva provato a spiegarmelo in quei folli giorni passati a letto insieme, ma io non lo accettavo.
Aveva me, potevo stargli vicino, non lo avrei mai lasciato solo. Potevo anche non capire il suo dolore più profondo, ma non lo avrei comunque abbandonato.
Giunsi al Quartier Generale, mi feci coraggio e scelsi di bussare alla porta, dopo alcuni istanti di attesa, questa mi si spalancò davanti autonomamente: aveva usato la magia per farmi entrare.
Feci alcuni passi e richiusi, poi mi avvicinai a lui.
Era accanto alla finestra socchiusa, sembrava stesse guardando l’alba ormai imminente.
Mi rassicurai vedendolo in piedi, non sofferente, ma mi dava le spalle, non lo potevo vedere e non si voltava.
Era strano.
“Stavo aspettando per vedere quanto avresti atteso prima di arrivare dal tuo Signore.”
Rimasi stupita, ovviamente mi arrabbiai anche, ma non lo feci notare.
“Mio Signore, mi avete detto voi di attendere il vostro richiamo, io ho aspettato finché ho potuto, poi il fuoco mi ha detto di venire da voi ugualmente e...”
Mi interruppe subito.
“Vorresti dire che è colpa mia se ti ho dovuta attendere?”
Certo che era colpa sua, fosse stato per me non lo avrei lasciato solo un singolo attimo.
“No, mio Signore, certo che no, la colpa è mia che non ho inteso appieno il vostro volere.”
Parlai in tono sommesso, ero comunque desolata di non riuscire mai a capire ciò che lui segretamente vuole da me, ma forse questo non lo sa nemmeno lui.
Si calmò subito, quando si voltò era tranquillo e annuì lentamente.
“Va bene, ora che sei arrivata ascoltami, la coppa è lì, avvolta nel mio mantello, la devi tenere con la massima cura.”
Volsi l’attenzione verso il mantello sulla poltrona, annuii, poi tornai con lo sguardo verso di lui. 
La prima luce del sole gli illuminava un viso stravolto, ciò che di delicato aveva dei lineamenti lasciava lentamente il posto ad un’espressione dura, selvaggia, distante.
Gli occhi erano completamente assenti, le pupille sparivano nelle iridi scure, rosse, inespressive. Era totalmente fatto, ecco perché, nonostante il rito, in quel momento non stava male.
Non sapevo cosa aspettarmi in seguito, non avevo sinceramente idea di cosa fare, ma sapevo che potevo stargli accanto e lo potevo fare solo io.
“L’incantesimo ha funzionato? Siete soddisfatto?”
Non rispose, ma fece cenno di sì.
“Ha provocato i soliti dolori?”
Restò zitto. 
Allora mi avvicinai lentamente, gli presi la mano: era fredda come il ghiaccio.
“Avete freddo?”
Non rispose nemmeno a quello.
Eravamo ormai così vicini da poterci sfiorare, ma non osai.
“Mio Signore, potete parlarmi? L’incantesimo ha già fatto il suo effetto distruttivo, oppure no? Così posso aiutarvi.”
Allora avvicinò le sue labbra al mio orecchio, per sussurrarmi la solita sua frase.
“Ti ho detto tante volte che non ho bisogno di nessuno, neanche di te.”
Dopo di che appoggiò lentamente la sua tempia sulla mia e chiuse gli occhi. 
Mi fece ridere, lui pensava una cosa, ma il suo corpo ne chiedeva palesemente un’altra.
Restammo così per qualche momento, zitti e fermi, sentivo il suo respiro lento sulla mia pelle. 
Chiusi anche io gli occhi, ferma insieme a lui in quell’attimo meraviglioso e tragico.
Solo dopo parecchio tempo lo baciai alla base del collo, sulla pelle lasciata scoperta dalla maglia, respiravo piano e sentivo il suo profumo freddo, inebriante.
Dopo quei lunghi momenti però mi fermai: quella sua calma totale mi faceva paura, era tremendamente innaturale.
“Mio Signore, state bene?”
Allora sentii che rialzava la testa con fatica e si allontanava leggermente.
Mi sorrise. 
Era tranquillo.
Il tempo si era come fermato, ogni cosa andava a rallentatore, aspettavo a lungo una sua minima reazione, mi adeguavo ai tempi indotti da una sostanza che non conoscevo e non comprendevo appieno.
“Non riesci proprio mai a non farmi domande e a non parlare, vero Bella?”
Sorrisi a quelle parole, mi venne spontaneo: si era sforzato di rimproverarmi e questo mi rincuorò parecchio.
“No, mio Signore, in effetti non riesco.”
Si scostò leggermente, sentii il vuoto accanto a me. 
“Non hai ancora guardato la coppa.”
Voltai lo sguardo verso di essa, in effetti non mi interessava affatto sapere che là c’era l’origine di tutti i suoi guai, di tutti i dolori e delle mie preoccupazioni.
Per farlo contento, comunque, mi avvicinai, la guardai e la riposi nel mobile dove l’avevo vista per la prima volta.
“L’ho messa a posto, mio Signore, la porterò al sicuro al più presto.”
Mi guardò ancora una volta, poi si sdraiò sul divano.
“Non mi hai detto nemmeno se ti piace.”
Sul momento non capii, la coppa mi sembrava tale quale all’ultima volta, mi piaceva, ma non immaginavo fosse importante.
Poi forse colsi il significato di quella domanda. Dopotutto entrambi ormai sapevamo che in quella coppa c’era la sua anima, voleva essere certo che avessi capito anche io l’importanza di quell’oggetto.
Cercai di dirglielo, ma senza dirglielo nello specifico, per non contrariarlo.
“Certo, mio Signore, non potevate farmi un dono più grande. Non trovo le parole per esprimere quello che sento davvero per l’onore che mi avete fatto. Custodirò quell’oggetto come se fosse parte di voi.”
Mentre rispondevo così mi inginocchiai accanto a lui, appoggiando il gomito sul divano per ammirarlo come mi piaceva fare sempre.
Vidi che sorrideva alle mie parole. Era soddisfatto.
“L’incantesimo non mi ha fatto male, ho preso la morfina per cui non ho sentito molto. Appena terminerà l’effetto, però, quasi certamente il dolore arriverà tutto in un colpo.”
Fece silenzio.
Non riusciva proprio a dirla quella frase, non riusciva a dire che aveva bisogno di me.
Allora lo tolsi dall’imbarazzo.
“In quel caso, mio Signore, poterei servirvi io.”
Piegò la testa per guardarmi.
“Devi prepararmi quello che ti chiederò, inoltre devi tenermi lontani gli altri Mangiamorte. Non riuscirei a gestirli ora.”
Mi voltai velocemente, guardai verso l’armadietto delle pozioni dove erano sparse boccette, siringhe, ovatta.
“Sempre la morfina, mio Signore?”
Lui annuì.
“Ricordati i Mangiamorte. Non li voglio vedere.”
“Certo, mio maestro, ci penserò io. In ogni caso il problema non si porrà: hanno passato la notte ai falò di Beltane, non credo vi verranno a disturbare all’alba.”
Restammo in silenzio ancora per diversi istanti. Io lo guardavo sempre, mi abituavo a quel nuovo aspetto, sempre più selvatico e crudo.
Mi resi conto però che il nostro rapporto non era cambiato dopo il rito, quel rompersi dentro non aveva intaccato minimamente il suo atteggiamento nei miei confronti. 
Ne fui veramente sollevata: non sempre era stato così.
Allungò la mano sui miei capelli, ne afferrò una ciocca e si mise a giocare con essa, come ormai era solito fare in quei momenti.
“E tu non sei stanca, Bella?”
Scossi la testa.
“Sto benissimo qui con voi, mio maestro.”
Si tirò sui gomiti con fatica e mi guardò fissamente. Gli occhi erano sempre strafatti, le pupille quasi invisibili.
“Quello di stanotte è stato l’ultimo rito di questo tipo, almeno per molto tempo a questa parte. Il mio corpo non li regge più, devo fermarmi, altrimenti rischio di fare peggio.”
Annuii, fui veramente contenta di quella decisione. 
Mi resi conto che talvolta sembrava più lucido e razionale in quello stato, rispetto a quando era totalmente pulito dalla morfina, o dal laudano.
Quando non era fatto, la sua smania di potere e rovina lo portava spesso ad eccessi incomprensibili e controproducenti.
Abbassò di nuovo i gomiti e tornò a sdraiarsi.
“Ci concentreremo su altro.”
Riprese a giocherellare con la mia ciocca di capelli.
“Come volete, mio Signore, qualsiasi cosa desideriate fare voi, potete chiedermela e la avrete.”
Mi guardò ancora a lungo.
“Bene, sei sempre la migliore, mia Bella.”
Si avvicinò piano e improvvisamente mi tirò a sé, approfittando dei capelli che teneva ancora saldi nella mano.
Gridai leggermente, perché mi faceva male, lui invece si mise a ridere. Tutta quella strana e particolare intimità mi piaceva.
Non potei evitare di ridere anche io con lui.
Mi baciò lungamente e languidamente, senza il fuoco della solita passione, poi tornò a sdraiarsi e non mi parlò più.
Restammo così ore, il sole era già alto quando ci addormentammo, probabilmente entrambi, in attesa degli eventi.
 

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Capitolo 34
*** Non innamorarsi mai ***


Lord Voldemort : “Non innamorarsi mai”


Alzai gli occhi e la guardai fissamente, senza che lei se ne accorgesse. 
Mi soffermai qualche istante a godere del suo fascino misterioso, a tratti malato, totalmente dipendente da me, a compiacermi di quanto fosse sensuale e bella.  
Poi, con lentezza tornai a parlarle.
“Ora che il mio incantesimo è terminato, dovremmo approfittare dell’energia di Beltane. Devi accrescere i tuoi poteri di fuoco, io farò lo stesso per rigenerarmi.”
Mi sentivo meglio ed ero pronto a riprendere l’uso della magia.
Mi ero fatto portare anche il quaderno degli Horcrux, lo sfogliavo, mi accingevo ad appuntare le ultime cose per poi chiuderlo per sempre. 
Oppure, se non proprio per sempre, per un bel po’ di tempo.
Lei mi guardò incerta. Tentennò per un attimo, poi mi rispose con gentilezza.
“Mio Signore, Beltane è passato da un po’. Siamo al tramonto, ma del due di maggio. Ormai non si fa più in tempo a fare nulla.”
Rimasi stupito e riflettei per un momento. 
Quella volta Bella mi aveva fatto una puntura che mi aveva mandato in paradiso per ore ed ore, ma non immaginavo di aver perso così tanto la cognizione del tempo, addirittura un giorno. 
Le avevo indicato io le dosi, ero consapevole di avere esagerato, ma l’avevo fatto di proposito. Sapevo che tanto lei era lì accanto e mi fidai, fu una decisione presa d’istinto. Mi ero fidato lasciandole la coppa, potevo fare lo stesso anche su questo.
Sfidai dunque anche in quell’occasione tutte le mie capacità di resistenza.
Non riuscivo più a fermarmi, superare ogni possibilità e ogni limite era diventata una mania, un modo per misurare la mia forza e la mia potenza.
Non ho mai fallito e questa consapevolezza mi spingeva sempre più oltre.
Da tutta quella roba che avevo preso, mi stavo riprendendo lentamente in quei momenti. Se mi guardavo allo specchio vedevo ancora bene le mie pupille strette come spilli. 
Però avevo perso molto più del tempo da me previsto e questo non mi piacque.
Restammo per un attimo zitti, la guardai a lungo, decisi di non dare importanza all’accaduto.
“Siamo al due di maggio? Non mangio da giorni, allora.”
Mi sorrise, si mise quasi a ridere.
Mi piaceva come reagiva e seguiva sempre le mie parole, i miei malumori, le mie proposte di ogni genere. Sapeva perfettamente come comportarsi con me, al centro del suo mondo c’ero sempre e solo io, qualsiasi cosa succedesse.
Ogni volta che mi era accanto, cercavo un modo per torturarla, provocarla e farle del male, la mettevo alla prova con le cattiverie più sottili e dolorose, giusto per vedere come lei rispondeva, per capire se mi restava vicina.
“Mio Signore, volete qualcosa da mangiare? Siete tanto magro.”
Era vero, le siringhe di morfina mi toglievano tutto: fame, sete, voglia di sesso, non sentivo più nulla. Non mangiavo quasi mai.
Mi sforzai di pensare a qualcosa.
“Vorrei dello yogurt, portami dello yogurt.”
“Dello yogurt, mio Signore?”
Le sorrisi.
“Sì, dello yogurt! Non ne hai mai sentito parlare? È l’unica cosa che posso pensare di mangiar e ora.”
Si alzò dal divano e scomparve dalla stanza velocemente.
“Vedrò di trovarlo, mio Signore.”
La guardai uscire.
Poi sorrisi.
Cosa poteva trovarci di strano in questo alimento che avevo chiesto non mi era chiaro, eppure aveva sempre quella capacità di cambiare il mio umore in meglio anziché in peggio, succedeva anche per queste cose così sciocche.
Appoggiai la testa sul divano e tentai di concentrarmi, i pensieri fluivano da soli, tranquilli, senza il minimo controllo, cercai di riprenderne le fila.
Decisi di approfittare della solitudine per provare a concludere il quaderno. Lo sfogliai lentamente e mi fermai sull’ultima pagina, quella della coppa.
Anche quell’Horcrux era compiuto, dovevo solo precisare alcuni appunti e poco altro.
Rimasi per un po’ fermo con la pagina bianca davanti, senza riuscire a scrivere. 
Riflettevo.
Mi ero già deciso a non compiere più riti, questo mi dispiaceva non poco, perché ogni volta che spezzavo la mia anima sentivo come una liberazione dal dolore della mia nascita. Il male fisico immediato era talmente forte da sovrastare, per qualche attimo, un male che non riuscivo a comprendere, ma che era sempre presente dentro di me.
Il sacrificio di morte che necessitava la creazione di un Horcrux, era per me come poter uccidere mio padre ogni volta, più e più volte e ne provavo un grande piacere e un’enorme soddisfazione.
Questo, oltre alla sicurezza dell’immortalità, era il bello degli Horcrux.
Però il mio corpo non resisteva più, il dolore generato dalla rottura dell’anima si allungava sempre più nel tempo e nei giorni successivi, inoltre il male originario che mi portavo dentro tornava subito dopo e restava lì.
Il mio corpo, il mio viso sembravano disfarsi sempre di più.
Dovevo davvero fermarmi. 
Misi da parte tutti quei pensieri e mi concentrai a scrivere ciò che era accaduto, ciò che era successo al mio organismo e alla mia mente. 
Poi appuntai chi fosse la custode della coppa e il luogo dove questa era stata nascosta.
Misi un punto e mi fermai lì.
Guardai ancora il quaderno, fermo sulle mie ginocchia, piegai la testa di lato, iniziai a pensare, riflettere, cominciai a picchiettare con la matita sulle pagine appena scritte.
Improvvisamente, invece di chiudere tutto, voltai la pagina e di nuovo la mia mente tornò a vagare da sola, senza che io potessi farci nulla.
Anche la mia mano sinistra seguiva quei pensieri, sembrava tutto esterno al mio volere, era l’effetto della morfina, forse.
Lasciai fare tutto al mio istinto.
Passai la matita tra le dita, come per connettere atti e riflessioni.
Pensai di nuovo allo stato che seguiva ogni mio rito: ad ogni Horcrux che creavo, qualcosa di me cambiava, non solo fisicamente, anche mentalmente, anche il mio atteggiamento nei confronti del resto del mondo cambiava.
Piano piano tutto ciò che mi circondava diventava nulla più che preda o predatore, le paure aumentavano, la razionalità diminuiva, le reazioni istintive di rabbia, o piacere, prendevano man mano il sopravvento su pensieri e valutazioni.
Un tipo di sesso selvaggio e cruento diventava parte importante della mia vita.
I pensieri più istintivi che avevo, erano formulati a livello mentale quasi esclusivamente in serpentese, mi dovevo poi sforzare di tradurli in lingua comprensibile per comunicare.
Mentre pensavo a tutte queste cose, ecco che la mia mano iniziò a disegnare una forma sinuosa sulla pagina bianca. Man mano che passava il tempo abbandonavo i pensieri e disegnavo. Passavano dalla mente direttamente sulla carta. 
Disegnai prima gli occhi, il corpo poi la coda, mi soffermai sulla posa e le sfumature, poi le ombre accanto.
Era la cosa che mi piaceva di più: concentrarmi sui particolari, eliminare tutto il resto.
Togliere spazi bianchi e vuoti. Delineare l’essenza col potere di matita: era tutto in mano mia.
Disegnavo le scaglie, le onde, la pelle. Soprattutto mi attraevano gli occhi, li riempivo di particolari. Cristallini, attenti, intelligenti.
I movimenti fulminei non li potevo riportare sulla pagina, ma i muscoli tesi, pronti all’attacco quelli sì.
Venne benissimo.
Venne un serpente scattante e attento.
I denti pieni di veleno li disegnai per ultimi, aguzzi, minacciosi, perfetti nella loro letalità.
Mi ero immerso totalmente in quello schizzo, non mi ricordavo nemmeno cosa stesse accadendo attorno a me.
Stavo ancora perfezionando il tutto quando Bella mi riapparve davanti: aveva trovato lo yogurt.
“Eccolo pronto per voi, mio Signore.”
Mi sorrise soddisfatta del suo operato.
Sospirai, preferivo stare solo a finire il disegno, ma quella volta volli farla contenta, per cui appoggiai il quaderno di lato e mi misi a mangiare lentamente.
Vidi che guardava interessata verso il quaderno.
“Che bel disegno, mio Signore, è proprio perfetto, sembra vero.”
Spostò lo sguardo verso di me, ammaliata da quella nuova scoperta. 
Normalmente mi sarei indispettito, avrei voluto tenere il disegno solo per i miei occhi, ma con lei non mi successe. Anzi fui contento delle parole di ammirazione.
“È solo uno schizzo, lo devo terminare.”
Si avvicinò al quaderno con molta deferenza e chiese se poteva prenderlo in mano. Io prima la guardai attentamente, poi annuii.
Restò zitta a lungo ad osservare la pagina e poi guardò di nuovo me.
“Vi arrabbiate, mio Signore, se vi dico una cosa?”
Continuai a mangiare il mio yogurt senza guardarla.
“Dipende da cosa mi dici, ovviamente.”
Allora tacque.
“Su, avanti, parla! Parli sempre, anche a sproposito, figuriamoci se stavolta resti zitta.”
Tentennò ancora, sembrava voler pesare le parole, ma alla fine parlò di getto.
“Siete voi…”
La guardai in maniera interrogativa.
“Questo disegno vi assomiglia.”
Insisteva, sembrava proprio mi stesse dicendo una cosa seria.
Posai lo yogurt e mi appoggiai allo schienale. Le presi il mento tra le mani e la avvicinai a me. Ci guardammo negli occhi a lungo, me la portai vicina fin quasi a sfiorarle il viso con le labbra.
“Appena mi sentirò meglio, ti farò tanto male, mia Bella, ti farò pentire di queste tue prese in giro nei confronti del tuo Signore. Ti farò così tanto penare che sarai costretta a chiedere pietà. Mi implorerai di smettere di scoparti perché ti sentirai devastata ovunque, aperta in ogni dove, rischierai di morire di piacere e di dolore, te lo prometto.”
Mi sorrise con una gioia inaspettata, vidi tutta la sua felicità sulle sue labbra e negli occhi sorridenti. 
“Mio Signore, sarei davvero felice di questa punizione, ma io non volevo certo prendervi in giro.”
Lasciai il suo viso e le presi di mano il quaderno, ma lei insistette.
“Avete disegnato la vostra essenza, il vostro io più profondo, basta guardare il disegno, si vede benissimo, vi assicuro.”
Era davvero seria, la guardai a lungo.
“Ti ascolto.”
Si mise comoda sul divano, si avvicinò a me con calma.
“I serpenti, mio Signore, sono come voi: ammalianti, ipnotici, affascinanti. Sono anche estremamente sensibili e schivi e infatti hanno bisogno di tranquillità e di sentirsi al sicuro.”
Guardò il disegno che tenevo in mano, lo accarezzò lentamente con le dita.
“Quando deve attaccare, o si deve difendere è spietato e crudele, ha un istinto fortissimo ed è selvaggio e imperscrutabile, proprio come voi.”
Restò zitta per un attimo e io pensai che aveva ragione: ogni momento di più il mio istinto mi diceva di morderla e non di baciarla, di stringerla fino a soffocarla e non di abbracciarla.
“Sono contenta che abbiate deciso di non ripetere più questi riti così devastanti, mio Signore, ma vi conosco, so che non vi fermerete mai davvero…”
Tacque ancora per un attimo, mi studiò con attenzione. Io non mi mossi, la guardavo negli occhi senza darle tregua.
“Se un giorno doveste decidere di fare un altro rito… allora…”
Fece una lunga pausa, era un pochino titubante.
Le feci cenno di proseguire.
“Allora penso che dovreste sciogliere la vostra anima in un serpente, nel suo veleno, diventerebbero una cosa sola, entrerebbero in risonanza, si esprimerebbero all’unisono, perché, come vi dicevo prima, è parte della vostra essenza e il veleno è parte di voi, scorre anche nel vostro sangue, sempre.”
Rimasi stupito, quella volta mi lasciò senza parole.
Avrei dovuto pensarci io, per primo e subito. Invece l’intuizione era stata sua.
Come faceva a conoscermi così bene?
Cosa aveva, lei, di così maniacalmente speciale?
Era così vicina a me che mi venne naturale passarle un braccio attorno alle spalle e stringerla. 
“Taci, parli sempre troppo.”
La baciai, lungo, con durezza, l’avrei voluta mordere, scoparla a sangue: tutto pur di farla tacere.
Tutto pur di non ammettere che aveva ragione.
La baciai e ribaciai, tenendola in una stretta soffocante, con il braccio che mi doleva a per le punture, ma non mi importava, mi bastava sapere che stavo facendo male anche a lei.
La mia mente tornò a quando era iniziato tutto, proprio con un bacio, uno sciocco bacio dato alla mia allieva giovane e bella. 
Avevo voluto solo sfidarla, allora, era solo un prova per farla diventare una di noi, per marchiarla di me.
In quel momento, invece, il mio veleno le era già entrato dentro completamente, l’aveva ormai pervasa tutta, era completamente mia, avevo ottenuto ciò che desideravo.
Eppure era non successo solo quello, si era verificato anche altro, molto altro. 
Qualcosa che proprio non avevo previsto, era sfuggito al mio controllo: anche lei mi era entrata nella mente, era una continua ossessione che mi pervadeva sempre di più.
Una terribile ossessione di cui non potevo e non volevo liberarmi.
Allentai la stretta e iniziai a baciarle il collo, a morderlo, sentivo il suo sangue pulsare caldo e veloce. Mi beavo di quel calore che percepivo sulle labbra.
Intanto i miei pensieri si allacciarono ai momenti passati.
Le avevo dato delle regole, allora, le avremmo portate avanti assieme, erano fondamentali.

Impegnarsi sempre fino in fondo, al limite delle proprie capacità, per imparare tutti gli insegnamenti delle arti oscure.

Era la prima che le avevo insegnato: aveva appreso tutto, non aveva mancato in nulla. Il suo potere era straordinario, ben oltre le mie aspettative. 
Sorrisi tra me e me, mi insinuai a succhiare la sua carne ai lati del collo, sentivo il profumo dei capelli, le afferravo e stringevo i capelli con forza.

Non aver mai paura di oltrepassare, anzi, sbaragliare i limiti imposti alla magia normale.

La seconda: non aveva mai avuto paura di nulla, nemmeno di me e della mia follia distruttiva, nemmeno dell’oscurità più profonda e devastante in cui l’avevo spinta. Non aveva avuto paura del mio umore, delle mie crudeltà e del mio potere su di lei. 
Era stata perfetta.
Mi staccai un attimo dalla sua pelle morbida per guardarla negli occhi, poi tornai a baciarle la base del collo, l’incubo delle scapole, le lasciavo grossi lividi accanto alle ossa, dove la carne e poca.

Non innamorarsi mai…

La terza regola, la più importante. Era vero che non si era innamorata di me? Mi aveva ubbidito sul serio e fino in fondo?
La nostra magia oscura parlava, il vento e il fuoco si mescolavano l’uno con l’altro continuamente, senza sosta. 
Esattamente come noi, incessantemente e carnalmente. Non ero affatto certo che mi avesse ubbidito.
Scesi più in basso seguendo il fremito delle sue vene, mi soffermai a leccare dove queste si diramavano nel petto, le morsi le scapole, poi le spalle, abbassandole appena il vestito. Sentivo i suoi gemiti di dolore e desiderio.

Non innamorarsi mai… 

No, non poteva amarmi, era troppo il dolore che le procuravo, troppi i tormenti che le davo. Solo una folle potrebbe innamorarsi così, di tutto questo, solo una folle potrebbe disubbidirmi proprio su un tema come l’amore. 
Le scostai leggermente i capelli e le sfiorai il seno con le labbra. Respirai lentamente il profumo della sua pelle.

Non innamorarsi mai…

Aveva un profumo inebriante, morbido e vellutato, al quale non sapevo resistere, aveva un seno così perfetto, caldo, saporito, accogliente.
Le leccai i capezzoli, desideravo solo sentirla godere. Spegnere con le sue grida i miei pensieri, frenare quest’ossessione che ho per lei che non si appaga mai, non si ferma mai, ma cresce sempre, cresce in continuazione.

Non innamorarsi mai. 

Ma io? Io mi ero innamorato di lei?
Lei, la mia ossessione…
Quell’idea mi trapassò la mente come un lampo doloroso e violento. Per un attimo tutto mi fu chiaro, come un fulmine che illumina il cielo in una notte di tempesta.
Trattenni il respiro, alzai lo sguardo e la osservai con attenzione, senza mai allontanarmi dal suo seno, sentivo il calore della sua pelle su quella del mio viso.
Per un attimo lo pensai davvero.
Passavano gli istanti, lenti, uno dopo l’altro, fatti solo dell’oscurità dei nostri occhi.
Ci scambiammo uno sguardo di fuoco, pieno di parole non dette. Impronunciabili.
Poi, come il fulmine si eclissa nella tempesta, anche quell’idea assurda e malsana scomparve dalla mia mente.
Ero di nuovo il suo padrone, potente e forte.
Le sorrisi, sempre senza parlare. 
Forse accennò ad accarezzarmi i capelli, ma io la presi freneticamente e violentemente, senza lasciarle alcuno spazio.
Sentii subito che era già completamente bagnata. Quel suo calore mi eccitò ancora di più, le venni dentro molto velocemente, non prima comunque di aver sentito le sue grida di piacere. 
La guardai sempre, mentre veniva, mentre urlava, mentre era persa nelle sue voglie, mentre mi lasciava fare tutto ciò che desideravo.
La mia Bella.
No, certo che non la amavo, ma lei era mia fino in fondo, l’unica, la sola con cui avrei mai condiviso tutto il veleno che sentivo nel corpo.
L’unica a cui il mio veleno piaceva davvero.
 
 

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