Hornets

di KUBA
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II-III ***
Capitolo 3: *** IV ***
Capitolo 4: *** V ***
Capitolo 5: *** VI ***
Capitolo 6: *** VII ***



Capitolo 1
*** I ***


È notte fonda. La luna brilla nel cielo. Insieme a lei, un gruppo di sparute stelle.
Che belle, le stelle. Sono così libere e così lontane che, forse, a furia di guardarle, finirò per odiarle. Maledette bastarde, non prendetevi gioco di me.
Merda, è successo di nuovo. Di questo passo non distinguerò più il reale dall’illusione, ma alla fine non me ne frega un cazzo.
Mi accenderò una sigaretta – l’ennesima di questa giornata – una Merit, per l’esattezza, una dolce, velenosa Merit; nel mentre vi parlerò di me.
Sono un avvocato, probabilmente non merito questa qualifica, ma per la legge lo sono; ho frequentato l’università (che anni infami quelli), poi ho svolto il tirocinio e, infine, mi sono iscritto all’albo. Da mesi, forse anni, non ho un caso decente.
Per qualche anno ho lavorato presso un grande studio legale, sapete no, quelli stile serie tv americane, guadagnavo bene – e grazie a Dio, altrimenti ora sarei già stecchito – ma mi sono licenziato e ho aperto uno studio, non faceva proprio per me… voglio dire: volevo essere libero, cazzo, che male c’è nel voler essere libero? Nulla, direte, ma ora pago le conseguenze della mia scelta. Eccome se le pago. Inspiro un altro po’ di catrame.
Dicevo, non mi capita tra le mani un caso decente. Mi trovo a difendere persone in cause del cazzo: contravvenzioni, risse tra ragazzi e querele… insomma, una marea di banalità. Non è per questo che ho preso l’abilitazione. Io volevo esprimermi, diventare un volto noto e difendere la gente importante; volevo dare il mio contributo al mondo, ma l’unica cosa che lascerò sarà un corpo senza vita e senza storia.
Ma voi non sapete neanche chi state ascoltando.
Mi chiamo James, Jim per gli amici, e ho 48 anni. Vivo in Italia da quando ero un bambino, mia madre era americana, proveniva dal Texas, era una donna forte; forse, più di me. Mio padre? Era un uomo tutto d’un pezzo, ma forse, visto chi sono, non era il mio vero padre.
Credo che il mio nome esprima in pieno chi sono: una banalità tra gli americani, uno stereotipo tra gli italiani.
Come trascorro le giornate? Beh, compiendo azioni futili.
Stanotte sono andato in un pub vicino casa mia, ho speso un sacco di soldi in alcool di scarsa qualità, ma non pensate che io sia un alcolizzato: non amo bere, io amo soffrire.
Mi sto dilungando troppo, è tardi, me ne vado a dormire.
Domani sarà una giornata importante.

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Capitolo 2
*** II-III ***


II

6.30. Suona la sveglia.
Cristo, di già?
Mi alzo dal letto, ho ancora i postumi della sera precedente.
Devo farmi una doccia, non posso uscire di casa con questo odore di alcol. Impiego circa venti minuti per lavarmi e asciugarmi. Il vantaggio di avere i capelli corti è che si asciugano in poco tempo.
Decido di accendermi una sigaretta, mi aiuta a pensare e ora devo capire cosa mangiare per colazione, una scelta decisamente importante. Inspiro, sento un bruciore in gola, un delizioso fastidio mattutino.
Ho deciso cosa mangiare: uova strapazzate e bacon. Un piatto decisamente grasso, ma tanto la linea è andata a puttane da molto tempo. Insieme mi bevo un caffè bollente, senza zucchero, perché così la vita mi sembra meno amara. Terminata la colazione mi lavo i denti e mi rado la barba.
Ora mi devo vestire. Opto per il mio completo migliore: un abito tre pezzi grigio fumo di Londra. Lo abbino ad una camicia bianca con colletto francese – il mio preferito – e una bella cravatta regimental nera e grigia. Oggi è un giorno importante, quindi occorre vestirsi in modo appropriato.
7.45. Sono in perfetto orario.
Esco di casa. Mi dirigo a piedi a lavoro. Gran bella comodità quella di avere lo studio a pochi minuti di strada, non trovate? Nel tragitto mi fumo un’altra sigaretta e mi fermo a comprare il giornale.
8.10. Apro la porta dell’ufficio.
Davide, il mio segretario, è già arrivato. Cristo, quanto è efficiente sto ragazzo!
Gli chiedo se sono arrivate delle chiamate, mi risponde di no.
Accendo il computer, nella speranza che siano arrivate delle e-mail. Ovviamente no.
Porca puttana, di sto passo non riuscirò a pagare l’affitto questo mese.
Mi guardo intorno, mi piace osservare il posto in cui lavoro. Non è molto grande, ma, del resto, con i miei introiti non posso permettermi uno spazio più ampio, però è ben curato.
Passo quasi tutta la mattina a girarmi i pollici. Non so cosa pensare.
11.00. Sento Davide aprire la porta.
“Mi scusi signore, c’è un cliente per lei”
“Finalmente una buona notizia! Presto, fallo entrare”.
Sento l’eccitazione, finalmente un caso.
Vedo un ragazzotto, sui diciotto anni, varcare la porta del mio studio.
Merda, sarà un altro caso del cazzo?
“Buongiorno avvocato.”
“Buongiorno a te. Prego, accomodati.”
Il giovane non si fa pregare e si avvicina alla scrivania.
“Allora, come ti chiami?”
“Valerio, signore”
“Dimmi, Valerio, come mai ti trovi qui?”
“Non so come iniziare…”
“Prenditi il tempo di cui hai bisogno, io non scappo mica. Qualunque cosa tu abbia fatto, ti prometto che resterò al tuo fianco”.
Nel mentre, comincio a pensare a quale bagatella possa aver commesso.
“Vede… ho commesso un errore e ora sono in un mare di guai!”
“Dimmi tutto, ti ascolto.”
“Sono uno spacciatore. Ieri notte ero di turno con mio fratello e la polizia ci ha fermati. Ci siamo messi a correre, ma ad un tratto lui è caduto e lo hanno arrestato. La prego, lo deve tirare fuori.”
“Va bene, però mi servono più dettagli. Che tipo di droga, in che quantità e cose simili”.
“Vendevamo cocaina, non avevamo tanti grammi a testa. Noi siamo piccoli spacciatori, là fuori non contiamo quasi nulla.”
“Allora il caso non è molto complicato. Rientra nella competenza del Tribunale in composizione monocratica e, visto che il fatto è di lieve entità, dovrei poter richiedere il patteggiamento. In questo modo dovrebbe risolversi in fretta. Adesso passiamo alla questione economica. Per un caso del genere la mia parcella è di circa 800 euro, compreso di studio e istruttoria. La tua famiglia può permettersi questa spesa?”
“Io e mio fratello siamo orfani, ma i soldi non sono un problema. Siamo membri degli Hornets, quindi pagheremo tutto, glielo prometto.”
Gli Hornets? Dove ho già sentito questo nome?
Comincio a battere ritmicamente le dita su una cartella, comincio a sentirmi particolarmente nervoso.
“Molto bene, allora direi che posso cominciare a lavorare. Davide, accompagna il ragazzo all’uscita.”
La mia voce sta tremando. Ma che cazzo succede?
“Grazie mille signor avvocato, spero che riesca a tirare mio fratello fuori di prigione.”
I due escono e li guardo allontanarsi.
Ho bisogno di bere qualcosa. Vado al bar. Ordino un negroni sbagliato, mi aiuta a calmarmi. Mi fumo una sigaretta prima di rientrare in ufficio. Sono ancora scosso.
Il resto della giornata trascorre tra la noia e l’attesa.
19.00 Finalmente posso staccare dal lavoro. Ora inizia la parte interessante della giornata.
Vi ho detto che oggi sarebbe stata una giornata importante, no? Il motivo è che ho un appuntamento con una mia vecchia fiamma. Non che mi importi di lei, ma non vado a segno da diverso tempo e oggi finalmente ho un’occasione. Penserete che io sia meschino e, forse, avete ragione, ma un uomo che non scopa è sicuramente un uomo frustrato. Non ci vediamo dall’università e da allora non ci siamo più sentiti, quindi non sa che sono un fallito.
Torno a casa per prendere le chiavi della macchina e per darmi una rinfrescata. Metto il deodorante e mi spruzzo il mio profumo preferito, “Terre d’Hermès”. Cristo! Sta finendo. Non potrò ricomprarlo per un po’.
Alle 19.30 sono sotto casa di Sara, le do un colpo di telefono per avvisarla che sono arrivato.
Dopo pochi minuti scende, è una vera gnocca. Indossa un vestito davvero sexy, chissà forse la serata finirà ancora meglio del previsto. Entra in macchina e andiamo al ristorante.
Passiamo la cena a parlare di noi, quei classici discorsi inutili, ma utili per portarti a letto una donna come lei. Per riuscire a resistere a quella tortura ordino un paio di bottiglie di vino. Mi racconta del suo lavoro, del suo ultimo fidanzato e di come si sente in questo momento. Che palle, cazzo!
Per buona parte della conversazione faccio solo finta di essere interessato – limitandomi a sorridere – prestando attenzione solo all’ultima frase, che poi ripeto per farle credere di aver ascoltato tutto il suo discorso. Chiacchieriamo un po’ del mio lavoro e fingo spudoratamente di stare bene. In realtà, non vedo l’ora di andare a casa e concludere. Continuo a bere, mi aiuta a sopportarla. Probabilmente sono ubriaco.
Finalmente arriva il momento di pagare e guardo il conto… Mi aspettavo di peggio sinceramente. Meno male, almeno riesco a risparmiare qualcosa.
Le apro la portiera. Una volta in macchina comincia a baciarmi con ardore. Finalmente arriva la parte che mi piace. Guido con una certa fretta, voglio arrivare velocemente a casa.
Apro la porta, siamo talmente ubriachi ed eccitati che non facciamo nemmeno caso al disordine. Ci lasciamo trasportare dal desiderio. Ci andiamo pesanti per tutta la notte.

III
Ho trascorso tutta la notte a scopare con Sara.
Oggi non ho voglia di fare un cazzo. Da domani comincerò a lavorare sul caso.


 

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Capitolo 3
*** IV ***


6.30. Porca troia! La sveglia continua a strillare. Ho capito, ho capito basta.
Anche oggi è arrivata l’ora di alzarsi, che palle! Sarei rimasto a dormire fino a tardi.
Puzzo da far schifo, meglio farsi una doccia.
6.50. Ora mi sento molto meglio e posso pensare a cosa prendere per colazione.
Mi accendo una sigaretta – ormai non dovrei neanche più dirvelo – ma mi aiuta a riflettere, capite?
Cazzo, ho quasi finito il pacchetto. Devo passare dal tabacchino e comprare una stecca.
Torniamo alla colazione. Preparo un caffè, che berrò come sempre senza zucchero né latte. Non so cosa mangiare. Accendo un’altra sigaretta – sono molto nervoso – oggi devo incontrare il mio cliente nella casa circondariale in cui è stato condotto dopo l’arresto.
Gli Hornets, perché cazzo continuano a venirmi i brividi?
A furia di pensare, mi scordo il caffè sul fuoco. Ma porca puttana! Si è bruciato. Vabbè, ci metto un filo di zucchero e me lo faccio andare bene. Lo bevo tutto d’un sorso. Merda fa schifo!
Speriamo di trovare qualcosa di buono da mangiare almeno. Prendo delle fette biscottate, del burro e della marmellata ai frutti di bosco. Un pasto mediocre, ma almeno mi dà l’energia per affrontare la giornata.
Vado a lavarmi i denti. Sono gialli, fanno schifo. Dovrei smettere di fumare e andare dal dentista, solo che non ho nessuna voglia di farlo, cioè sono altri soldi da spendere e io non vivo certo nell’oro.
Mi guardo allo specchio. Che desolazione! Ho delle occhiaie immonde, la pelle rovinata dal fumo e la pancia si fa sempre più gonfia. Cazzo! Quando ero giovane ero veramente figo. Come sono riuscito a rovinarmi così? Bah, meglio non pensarci va.
Passiamo all’abito. Oggi prendo il completo blu navy gessato chalk stripe. Abbino una camicia bianca con colletto italiano e una cravatta color grigio ghiaccio, con nodo mezzo windsor. Completo il look con una cintura e un paio di stringate nere in pelle lucida.
Oggi devo apparire autorevole.
7.55. Sono in ritardo. Esco di casa di corsa e salgo in auto. Mi accendo una sigaretta. Fumare mentre guido mi piace molto, sapete? Mi dà una sensazione di trasgressione e menefreghismo.
Arrivo alla casa circondariale. Vengo accolto da un agente di polizia penitenziaria.
“Buongiorno.”
“Buongiorno a lei, agente. Sono l’avvocato James Barbero. Sono qui per conferire con il mio cliente, il signor Fabrizio Ricci.”
“Mi può mostrare un documento, per cortesia?”
“Certo, ecco qui.” Tiro fuori la mia carta d’identità e il tesserino da avvocato.
“Perfetto, mi segua.”
Entro nella stanza, Fabrizio ancora non è arrivato. Dopo pochi minuti, il ragazzo oltrepassa la soglia.
“Buongiorno, Fabrizio.”
“Buongiorno, signor avvocato.”
“Chiamami pure Jim, non servono troppe formalità. Allora, raccontami tutto.”
“Credo che mio fratello le abbia già raccontato tutto. Non ho altro da aggiungere.”
Il suo tono di voce mi infastidisce parecchio, è troppo tranquillo e arrogante per essere in stato di arresto.
“Sì, ma ho bisogno di un racconto più dettagliato, di trovare qualche appiglio per appellarmi ai sentimenti del giudice quando farò la richiesta di patteggiamento, capisci?”
“Va bene, va bene. Allora, tre giorni fa, io e mio fratello Valerio abbiamo ricevuto l’incarico di spacciare cocaina in Santa Giulia...”
“Da chi avete ricevuto l’incarico?”
“Questo non lo posso dire.”
“Come sarebbe che non me lo puoi dire? Sono il tuo avvocato, se non mi dici le cose come faccio ad aiutarti?”
“Non lo posso dire perché non so il suo nome. So solo che era un ordine degli Hornets…”
Il cuore comincia a battermi forte, ogni volta che sento quel nome mi viene l’angoscia.
“… e quando gli Hornets danno un incarico, bisogna solo accettare. Comunque sia, quella sera stavamo svolgendo il nostro compito, quando, all’improvviso, una volante della polizia si è fermata davanti a noi. Siamo scappati, ma gli agenti ci hanno inseguiti. Io sono inciampato e sono stato catturato.”
“Mi sai dire quanti grammi avevi?”
“Pochi, solo 4 o 5, per fortuna siamo riusciti a venderne parecchia quella sera.”
“Ti hanno trovato con molti soldi in tasca?”
“Assolutamente no, noi facciamo le cose per bene.”
“D’accordo, allora essendo un reato di lieve entità dovrei riuscire a patteggiare e a sostituire la pena detentiva con una meramente pecuniaria. Se poi ti asterrai dal compiere altri reati della stessa indole per cinque anni, il reato sarà considerato estinto, quindi come se non fosse mai avvenuto.”
“Per me va bene, tanto non verrò più beccato.”
“Questo non lo voglio sapere. Una raccomandazione: tra poco verrà qui un pubblico ministero per svolgere l’interrogatorio di garanzia. Tu non dire nulla, non rispondere alle domande che riguardano il fatto e, ovviamente, non dire che c’era anche tuo fratello.”
“Va bene avvocato.”
“Perfetto, qui abbiamo finito. Ora ci penso io.”
Mi alzo dalla sedia ed esco dalla porta. Faccio un cenno alle guardie per indicare che il mio colloquio è terminato. Mi dirigo verso l’uscita per andare a fumare una sigaretta. È stata una conversazione molto strana. Che cazzo. Ma come faceva a essere così tranquillo?
Mentre sono assorto nei miei pensieri, un signore, probabilmente anziano, mi sfiora.
“Ho molta fiducia nelle sue capacità, avvocato Barbero.”
Mi cade la sigaretta. Merda, mi sta tremando la mano. Anzi, sta tremando tutto il mio corpo.
Lo cerco con lo sguardo. Svanito. Sento il sudore bagnare il mio viso.
Chi cazzo è? Che cazzo vuole? Come cazzo fa a conoscere il mio nome?
Non trovo risposte. All’improvviso, la mia ansia è interrotta dalla suoneria del cellulare.
“Pronto?”
“Signor avvocato sono Davide, qui in ufficio c’è una persona che chiede di lei.”
“Chi è questo signore?” – Merda sarà un’altra figura losca?
“Dice di essere un pubblico ministero.”
“Ah ok, allora digli di ripassare oggi pomeriggio dopo pranzo, adesso devo incontrare un cliente” – Non è vero, ma non posso permettere al mio rivale di vedermi in queste condizioni.
“Va bene, lo comunico immediatamente.”
“Grazie, Davide.”
Riattacco il telefono, senza neanche attendere il saluto del mio segretario.
Sono le 10 del mattino. Ho qualche ora a disposizione per far placare la mia angoscia.
Trascorro il resto della mattinata in un bar squallido, dove bevo e fumo fino a dimenticare il motivo della mia preoccupazione.
Dopo pranzo mi dirigo verso lo studio.
15.00 Un uomo, sulla quarantina, oltrepassa la soglia del mio ufficio.
“Buongiorno avvocato Barbero, il mio nome è Federico Trevisan. Sono il pubblico ministero che indaga sul caso Ricci.”
“Buongiorno a lei signor Trevisan, sono stato avvertito stamane della sua visita, ma, sfortunatamente, ero impegnato in altre faccende. Mi scuso per l’inconveniente.”
“Si figuri, sono io a non aver dato preavviso. Passiamo al caso: come ben sa, il reato non è di grave entità e noi procuratori non possiamo perdere troppo tempo con questi pesci piccoli. Mi dica subito se è munito di una procura speciale così mi può presentare direttamente le richieste.”
“Sì, sono munito della procura. Intendiamo patteggiare e, dal nostro punto di vista, si può optare per una sostituzione della pena detentiva con una pecuniaria. Mi dica se le condizioni sono di suo gradimento.”
“Come dicevo pocanzi, siamo molto impegnati, quindi, sebbene la richiesta sia svantaggiosa, mi trovo costretto ad accettare. Domani in tribunale presenteremo il progetto al giudice.”
“Perfetto, la ringrazio per la disponibilità.”
“Grazie a lei, mi fa risparmiare tempo per svolgere indagini più accurate.”
Vedo il magistrato affrettarsi verso l’uscita. Ma che cazzo ha questo? Perché è così di corsa? Non può vivere in tranquillità? Bah, io sta gente così presa dal lavoro non la capisco proprio.
“Signor avvocato” mi dice girandosi
“Sì?
“Faccia attenzione agli Hornets.”
Che cazzo. Pure un magistrato mi dice di fare attenzione. Ho di nuovo i brividi.
Porca puttana, deve andare via sta cazzo di sensazione.
Devo fare chiarezza. Devo capire con chi ho a che fare.
Passo il pomeriggio a fare ricerche, ma nulla, non trovo nessun documento, nessuna informazione e nessuna traccia di questi fantomatici Hornets, sembra quasi che non esistano.
19.30. Oggi sono uscito mezzora dopo da lavoro.
Sono molto incazzato. Ho ottenuto un accordo molto vantaggioso – potrei dire di aver vinto – è vero, ma questo mistero non mi piace. Odio essere all’oscuro delle cose.
Mi butto sul letto. Accendo una sigaretta. Inspiro. Sento il rumore della combustione. Quanto mi piace! Il fumo scende giù per la mia gola e raggiunge i polmoni. Espiro. Guardo il fumo uscire tra le mie labbra.
Quella nuvola, quella dannata nuvola è come la mia vita. Effimera, breve, inconsistente. Appena emessa appare fitta e decisa, di un bel grigio scuro, ma dopo pochi secondi svanisce nel silenzio. Ecco. Questo sono io. Un uomo di scarso successo, che finirà nel dimenticatoio. Cazzo, che vita di merda.
A voi non capita mai di sentirvi così? Cioè, non vi sentite mai schiacciati da qualcosa? Qualcosa che non riuscite a definire, qualcosa di enormemente superiore a voi che vi fa sentire impotenti e incapaci di reagire? Io lo avverto, percepisco che qualcosa di grande mi guarda, mi osserva dall’alto e si diverte nel vedermi incassare un colpo dopo l’altro. Che grandissima puttana dev’essere.
Bah. Non sono in grado neanche di fare filosofia spiccia.
Ho bisogno di parlare con qualcuno. Chiamerò Paolo, il mio migliore amico. Vediamo se risponde.
Paolo. Paolo. Perché continuo a pensare al suo nome?
Compongo il numero. Il telefono squilla.
“Pronto?”
Mi cade il telefono.
Gli Hornets. Ora ricordo chi sono!




 

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Capitolo 4
*** V ***


6.00 Non ho quasi dormito stanotte.
Finalmente mi sono ricordato chi cazzo sono gli Hornets, ma, forse, era meglio continuare a vivere nell’ignoranza. Spesso è meglio non sapere niente, piuttosto che sapere tutto.
Non so come non mi sia venuto in mente prima, alla fine, è dai tempi della facoltà di giurisprudenza che si parla, o meglio, si fanno teorie su di loro. Gli Hornets. Un’organizzazione criminale di cui si parla poco, perché nessuno conosce con esattezza chi siano. Sappiamo che tutto il mondo occidentale, Italia compresa, è sotto il loro controllo. Tutto ciò in modo velato, oscuro e non facilmente comprensibile. Girano voci che l’omicidio del presidente degli Stati Uniti sia il risultato di un loro piano. Anche le recenti guerre civili in Africa, in realtà, derivano da un loro desiderio di espansione nell’area subsahariana.
Gli Hornets, il loro nome dice tutto. I calabroni attaccano spesso gli alveari e le arnie, trucidando le api e nutrendosi di loro, privandoci di una fonte essenziale per la nostra vita; allo stesso modo, questi criminali attaccano le basi della nostra società, succhiandone via la linfa vitale, per distruggere il mondo e assoggettarlo alla loro volontà.
Pezzi di merda. Sto pure difendendo uno di loro. Mi faccio schifo.
Mi alzo dal letto, è inutile restare qui sdraiati a fare nulla, meglio andare a lavarsi.
Oggi non sono di buon umore, quindi eviterò di raccontarvi nei dettagli cosa mangerò e come mi vestirò. Non ne vale la pena. Mi limito a dire che il completo sarà nero e la cravatta grigia.
Sono le dieci del mattino, tra poco inizia la discussione in tribunale. Dovremmo sbrigarcela in poco tempo, per fortuna. Ecco, ci stanno chiamando.
Come avevamo previsto, il giudice accoglie la richiesta senza troppi fronzoli. Fabrizio dovrà pagare una pena pari a 5000 euro, ma non dovrà scontare neanche un giorno in carcere. Sono in conflitto con me stesso: da un lato, sono contento che un ragazzo, probabilmente vittima di qualcosa più grande di lui, non debba scontare una pena detentiva; dall’altro, odio vedere un criminale in libertà.
Esco dall’aula. Mi levo la toga, oggi non ho meritato di indossarla.
Fumo una sigaretta, oggi ho portato all’esasperazione il mio tabagismo, ma dovete capire quando una persona è di pessimo umore ed evitare di rompere i coglioni.
Ad un tratto, due uomini mi si avvicinano. Cristo, chi sono questi? Come fanno sempre a sapere dove mi trovo? In che cazzo di situazione son finito?
“Buongiorno avvocato…”
Riconosco la voce, è quella dell’uomo misterioso. Merda, non riesco a vederlo. Questi due armadi lo coprono.
“… ha svolto egregiamente il suo lavoro oggi. Ci riteniamo molto soddisfatti.”
“Mi fa piacere.” – cerco di tagliare corto.
“Anche noi, mi creda. Per questo mi trovo qui. Noi crediamo fortemente nel suo talento e siamo molto dispiaciuti nel vedere una persona del suo livello ansimare per arrivare a fine mese. Non è questo il mondo che vogliamo creare! Che ne direbbe di lavorare per noi? La pagheremmo bene!”
Ma che cazzo sta dicendo questo? Io lavorare per questi folli? Non scherziamo.
“Non ci penso nemmeno. Io sono un avvocato che ha un’etica ben precisa. Non potrei mai lavorare per voi, per nessuna cifra al mondo!”
“Io credo che lei presto accetterà la nostra offerta, signor avvocato.”
“Ne dubito fortemente.”
“Le lascio il mio contatto, questa sera mi richiami se cambia idea.” – una delle guardie mi porge un biglietto con il numero di telefono. Meglio tenerlo, per evitare guai.
Alzo lo sguardo. I tre sono già scomparsi. Non riesco a capire in che direzione sono andati. Merda.
No! No! No! NO!
Che cazzo. Mi gira la testa. Vomito per l’ansia. Tutto ciò non ha senso: ho sempre vissuto nella mediocrità, perché cazzo dovrei essere contattato da chi ha in mano le redini del mondo? Io non valgo niente. Niente. Niente.
Spengo il telefono. Non voglio avere contatti con nessuno.
Salgo in auto, voglio allontanarmi per un po’ e cercare di smaltire quello che sta accadendo. Mi dirigo in un luogo a me caro, certo è un po’ lontano, ma ne vale sempre la pena.
Eccolo. Il mare. Sempre così calmo, sempre così loquace.
Parcheggio davanti alla spiaggia. Mi sfilo le stringate e le calze, amo sentire la sabbia sotto i piedi ed essere accarezzato da quella brezza salmastra che ti scompiglia i capelli. Poso il telo e mi siedo davanti a quell’immensa distesa azzurra. Mi stanno tornando alla mente molti ricordi.
Bei tempi quelli. Ero un ancora giovane studente di giurisprudenza la prima volta che ho visto questo posto. Volevo diventare un grande avvocato per cambiare il mondo, farlo diventare migliore e per dare alle future generazioni una vita più tranquilla – sappiamo tutti poi com’è finita, ma questo è un altro discorso. All’epoca, nessuno pensava che gli Hornets avrebbero raggiunto una simile espansione, anzi, ricordo che spesso scherzavo con i miei compagni di corso e ironizzavo sulla loro sorte. Mannaggia a me, dovevo starmene zitto!
Era stata Lucrezia, la mia ragazza dell’epoca, a portarmi qui dopo una bocciatura all’esame di procedura civile. Ero disperato, non riuscivo proprio a riprendermi e poi lei, di punto in bianco, mi aveva preso la mano e mi aveva costretto a salire in macchina – non vi dico quanto fossi contrariato dalla sua decisione. Mi parlava, sorridendo, di quanto io fossi una brava persona e che dovevo smettere di non aver fiducia in me stesso, ma, anzi, continuare a credere nel mio talento.
Dio quanto sapeva tirarmi su il morale. Ero giovane, ma ambizioso e lei sapeva come spronarmi a dare sempre il meglio. Era una ragazza meravigliosa, forse, se lei fosse rimasta con me, la mia vita ora sarebbe diversa.
Purtroppo, però, lei non tornerà. Non tornerà mai più. E no, non parlo di un litigio o di una rottura dolorosa. Lei non tornerà perché è partita pochi mesi dopo la nostra chiacchierata in spiaggia e non si è mai più fatta sentire. Non so più nulla di lei.
Non voglio turbarvi raccontandovi di lei, se avrò modo, ve ne parlerò in un’altra occasione.
Ora mi ritrovo qui, davanti al mare e gli racconto della mia situazione. Sono felice, insomma, voglio dire… lui non giudica, non giudica mai nessuno, ti ascolta per ore, senza farti mai sentire a disagio; e poi ha davvero tante cose da dire, e quando parla rimani ammaliato, perché lo fa in un modo così soave e così delicato che spesso può risultare complesso recepire la sua spiegazione, ma quando comprendi il senso delle sue parole il cuore si illumina e l’anima trova un conforto. Sembra banale, forse lo è, non mi interessa. Io mi sento esattamente così.
La pace dei sensi, la ritrovo esattamente qui. Amo guardare l’eternità davanti a me, il silenzio è scalfito solo dal dondolare delle sue onde che si infrangono contro gli scogli e si disperdono in mille frammenti di schiuma.

Son seduto
a guardare il mare.
Il mare.
Com’è calmo il mare.
Ha un vezzo:
ondeggiando
sembra volersi avvicinare,
ma poi,
se guardato troppo a lungo,
si ritira cautamente.
Com’è timido il mare.
La schiuma si infrange
contro i miei pantaloni.
In questa quiete,
il fumo,
danzando con la brezza,
segue il ritmo
dei flutti,
creando una coreografia
per questa sinfonia salmastra.
Il sole è alto nel cielo.
Sarà mezzogiorno,
lo capisco dall’ombra dei miei compagni.
Mi lascio cullare,
placidamente,
dalla ninna nanna marina.
Che pace!
Ho sempre ammirato il mare,
così vasto, così imponente,
ma così umile,
se fosse una persona,
sarebbe davvero perfetta.
Chiudo gli occhi.
Sento le ali dei miei compagni sbattere.
Torneranno, forse.
Resto a guardare.
Quanto durerà questa deriva?

Mi sdraio, voglio godermi questa pace ancora un po’.
18.00. Risalgo in macchina, è giunta l’ora di tornare a casa.  
20.00. Devo passare per lo studio, devo recuperare il dossier del caso di Fabrizio per studiarlo a fondo e cercare di carpire qualche informazione in più su di lui e sui suoi superiori.
Parcheggio l’auto proprio davanti all’ingresso. La luce è accesa. Molto strano, Davide non si è mai dimenticato di spegnerla. Apro la porta – merda, spero con tutto me stesso che non ci sia niente di stra…NO! NO! NON POSSO CREDERCI. NON PUÒ ESSERE VERO.
Davanti a me c’è l’inferno. Sangue ovunque. Davide è steso per terra, esanime. Gli hanno sparato in pieno petto, ma l’orrore non è finito: gli hanno cavato gli occhi, disegnando delle lacrime con il suo sangue e hanno conficcato due spille a forma di calabrone nelle cavità oculari. Le sue mani sono intrecciate e stringono un biglietto. Lo apro, il messaggio dice:
“Azrael non si fermerà mai, vorrà sempre più sangue. Il tempo stringe, Avvocato.”
Dentro di me qualcosa sta cambiando. Scoppio a piangere, poi, d’un tratto comincio a ridere. Rido, di gusto. Prendo il cellulare e lo accendo. Ignoro i messaggi e le chiamate, compongo il numero e chiamo.





 

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Capitolo 5
*** VI ***


Poesia che profuma di morte
In questo mare cremisi,
vaga una zattera
di cadaveri,
che porta con sé
quel che resta della mia umanità.
Le urla strazianti
sono le mie uniche compagne,
qui,
in questo viaggio
in cui finisce il mondo,
e in cui finisce la mia vita.
Io non sono nulla
se non l’oblio.
 
 
 
Durante la notte la città si veste di malvagità. La nebbia la abbraccia, donandole una tetra atmosfera sinistra e in questo orribile panorama la vita scivola via.
Lo scorrere delle lancette mi inquieta, mi ricorda ogni secondo che il mio cuore sta ancora pulsando, ma un giorno le batterie si scaricheranno e il tic-tac cesserà e con lui anche i miei battiti.
Non so quanto io possa ancora definirmi vivo.
Guardo l’ora. Sono le 3.27 del mattino.
Porca puttana, un’altra notte insonne, come se potessi concedermi il lusso di stare a casa domani e non andare a lavoro. Vaffanculo, cazzo! Sarà una settimana che non riesco a chiudere occhio. Mi sento nervoso, isterico, agitato.
Mi alzo dal letto, tanto a cosa può servire restare sdraiato, rischio solo di aumentare ancor di più il mio scazzo e stando in piedi patisco meno l’insonnia. Vado in cucina, prendo un bicchiere di Macallan Amber, un whiskey scozzese dal gusto rotondo, morbido, elegante e leggermente vanigliato, una prelibatezza per il palato. Sento ardere la mia gola, sento il gusto e il calore dell’alcool pervadere il mio corpo e rimango quasi estasiato da questa sensazione così dolce, così amara, così dolorosa. Ho voglia di fumare, che strano, alla fine non sono un grande fumatore.
Torno in camera, sopra il comodino dovrei aver lasciato il pacchetto di Merit – sì perché alle Merit soltanto va la mia fedeltà. Ecco, ti pareva. Sono finite. Cristo, adesso non vorrete dirmi che devo uscire, andare dal tabaccaio più vicino, sperare che abbia un distributore automatico, infilare la tessera sanitaria, i soldi, poi, dal momento che non ho spiccioli, ma solo banconote, non potrò ricevere il resto, quindi, per questo motivo, dovrò prendere lo scontrino e domattina dovrò ritornare per farmi dare il mio fottutissimo resto? Prima che mi rispondiate, sappiate che sono già uscito di casa e mi sto dirigendo a passo lesto verso la mia meta. Non posso stare senza sigarette, non in questo periodo del cazzo.
Un gelo misterioso si insinua tra i peli ispidi della mia barba, domani potrebbe venirmi un’irritazione e cammino quasi per inerzia, ma per le sigarette questo e altro. Quanto è strana la vita: un giorno dici di voler fare una cosa e l’indomani ti ritrovi a fare esattamente l’opposto. Ho sempre visto in questo principio – se così possiamo chiamarlo – qualcosa di estremamente ironico, divertente oserei dire. Viviamo in questa situazione farisaica, quasi come se la nostra stessa esistenza fosse permeata da una ineluttabile incoerenza a cui l’essere umano, in un modo o nell’altro, tende. Un eterno conflitto tra ciò che siamo e chi dobbiamo essere.
Divertente, davvero divertente.
Siamo esseri che si dichiarano superiori alle altre specie animali, ma viviamo nell’ignominia più miserabile. Mi viene in mente una frase di un libro che ho letto parecchi anni fa, però devo dire che calza perfettamente con questa mia riflessione notturna.
“Uccidersi, in un certo senso e come nel melodramma, è confessare: confessare che si è superati dalla vita o che non la si è compresa” [1].
Camus, mio maître a penser, la verità trasuda da questa tua laconica frase, che, si parva licet, oserei paragonare al mio stesso modo di vedere la vita, vita che non sono in grado di portare avanti e che spero possa terminare in fretta, senza dolore. Sono quasi giunto al tabaccaio.
Questo posto, di notte, è davvero squallido, persino i reprobi dell’inferno rifiuterebbero di viverci.
Questo grigio così spento, così sofferente, così annoiato è lo specchio delle persone che ci abitano.
Questo odore, o meglio, questo miasma che si respira è insostenibile, penso che non stia entrando aria nei miei polmoni, ma tossine, come se il fumo non fosse già abbastanza incisivo sulla salute dei miei bronchi. Si vede che sono in periferia. Comunque sia, sono finalmente arrivato.
Inserisco la mia tessera sanitaria, inserisco la mia banconota da 20 euro, clicco il pulsante associato alle Merit, erogazione in corso, ritirare il prodotto, ritirare lo scontrino, “Grazie e arrivederci” a cui segue un sonoro “li mortacci tua”. Tutto nella norma direi. Mentre poso le sigarette nella tasca del cappotto, mi accorgo, tastando bene il taschino superiore, che avevo già comperato un pacchetto di Merit. Bestemmio ad alta voce, qualcuno mi manda a fanculo da una casa non ben identificata. Sono proprio un coglione. Sono andato giusto ieri notte a comprarle. Questa fottuta insonnia mi sta distruggendo le sinapsi. Sarà meglio tornare a casa e domani chiamare un dottore per farmi prescrivere un sonnifero. Non posso continuare a restare sveglio per l’eternità, Dio, se davvero esisti e mi vuoi bene in quanto figlio, ascoltami: non continuare a tormentarmi, lascia che io possa godere di quell’effimero piacere che chiamiamo sonno.
I miei discorsi trascendentali vengono bruscamente interrotti da un’esplosione. Per un qualche motivo non preciso, mi butto per terra, come fossi stato investito dall’onda d’urto.

Riapro gli occhi. Il mio sistema cervello-mente credo non si sia ancora ripreso del tutto da quel boato, ma mi alzo e con la vista ancora appannata, probabilmente un effetto psicosomatico legato all’insonnia, mi dirigo verso il luogo del misfatto. Impiego pochi minuti ad arrivare. La scena è apocalittica: macchine e motociclette distrutte, alberi che bruciano, cadaveri carbonizzati e case devastate dal nero dell’esplosione. In piedi, in mezzo alla strada, un uomo, ben vestito, capelli medio-lunghi ricci, dal colore nero, con un lieve nastro d’argento – così amo chiamare le persone che mostrano i primi segni della brizzolatura – e fisico prestante.
Ma porca puttana – penso – Signore fai che non sia lui.
L’uomo si gira, mi guarda con il suo tipico sguardo da nevrotico e mi sorride.
“Oh salve signor Avvocato. Che ci fa qui, tutto solo, nel cuore della notte? Pensavo di venire da lei domattina” – mi dice con tutta la tranquillità del mondo.
“Ma che cazzo hai combinato? Sei uscito di senno?” – gli grido con tutta la disperazione in corpo
“Ordini degli Hornets, signore. Stia tranquillo, loro si fidano di lei.”
In piedi, davanti a me, sta sogghignando divertito, proprio il peggiore fra tutti loro: Azrael.



Nota dell'autore: Buonasera a tutti! Volevo innanzitutto scusarmi per aver lasciato trascorrere così tanto tempo dall'ultimo capitolo, purtroppo ho avuto molti impegni in questo periodo tra esami e ricerca per la tesi, aggiungiamo anche un po' di indecisione su come portare avanti la narrazione e il brodo è fatto. Tuttaviam eccomi qui, spero che il capitolo vi piaccia, come potrete notare è un capitolo un po' diverso dai precedenti, ma è importante cogliere tutti i passaggi e le espressioni usate da Jim, per comprendere meglio i suoi pensieri e la sua vita.
La poesia è un piccolo regalo per l'attesa, l'ha scritta Jim personalmente! Consiglio inoltre a tutti di leggere il libro di Camus, perchè fa bene all'anima! Ahah 
A presto (spero)!
KUBA
[1] Albert Camus - “Il mito di Sisifo”

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Capitolo 6
*** VII ***


VII

Io sono un membro degli Hornets. Da ormai diverse settimane mi sono unito a questa associazione, non certo per scelta, non certo per credo, non certo per desiderio, ma, alla fine della fiera, io sono un membro, e questo comporta, in quanto avvocato, una serie di obblighi e di impegni, primo fra tutti: quello di essere sempre reperibile, ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette. Forse, ma non sono così sicuro di quello che vi sto dicendo, questo è uno dei motivi per cui ho smesso di dormire, per cui ormai la mia essenza è quella di un essere infimo, codardo e maledetto.
Ho ottenuto tutto quello che desideravo: un mucchio di soldi, alcolici pregiati, vestiti firmati, un sacco di sesso e il potere. Non mi manca niente, direte voi. Beh, vi sbagliate, eccome se vi sbagliate. Il prezzo da pagare è altissimo: la mia intera anima. Io non sono più nulla.
8.00 A.M. Suona la sveglia. Ma a cosa mi serve una sveglia in questo periodo? Ah quanto mi piace essere così incoerente, non dormo ma lascio che una stupida suoneria scandisca l’inizio della mia giornata, però, forse, riflettendoci meglio non è poi una cattiva idea, del resto per non impazzire del tutto ho ancora bisogno di poter scindere la notte dal giorno, non lasciare che si uniscano in un amplesso che li confonda e non mi permetta più di distinguerli. Oh cazzo, ma cosa sto dicendo? Lasciamo perdere e prendiamo un caffè. Probabilmente – e su questo punto sono più serio che mai – la mia vita finirà quando smetteranno di produrre caffè, cioè io dico: ma chi è quel pazzo scriteriato che vive senza introdurre nel suo corpo quella fantastica droga chiamata caffeina?
Oggi non vi descriverò più tutto quello che faccio, vi dico solo che oggi ho optato per un look formale: abito blue navy di Tom Ford, camicia bianca, con impercettibili linee azzurre, realizzata su misura da Ermenegildo Zegna, ove ho acquistato anche i bellissimi gemelli in oro che indosso oggi, una cravatta blu di Brioni e delle scarpe in pelle nera lucida, che non ricordo dove ho comprato, ormai ho talmente tante scarpe che ricordarsi tutti i luoghi in cui le compro è diventata un’impresa.
Detto questo, passiamo alle cose serie. Ho comprato anche una di quelle fiaschette da whisky, che sanno molto di film, tanto la mia vita è talmente finta che mi fa bene pensare di essere in un set hollywoodiano. La riempio con un whiskey molto particolare, è un whiskey giapponese, la bottiglia non costa troppo, si aggira sugli 80 euro, ma è uno dei miei preferiti ed è quello che preferisco quando devo preparare un old fashioned. Sto parlando del Mars Shinshu Iwai e di quell’ibrido di sapori che ti permea il palato ad ogni assaggio, la quercia, la vaniglia e la cannella, a cui poi si aggiunge per concludere con una straordinaria bellezza quella nota cremosa di mais. Tutti nella vita dovrebbero assaggiare questo liquore straordinario per vivere un’esperienza estatica.
Posso uscire di casa, il mio autista mi starà già aspettando.
Arrivo in ufficio, Azrael è già lì che mi aspetta. Che palle! Da quando lo conosco non l’ho mai visto arrivare in ritardo, chissà come fa.
“Azrael – esordisco – che piacere vederti qui! Non mi aspettavo di trovarti già a quest’ora.”
“Jim, Jim – risponde lui – sei sempre il solito, ci conosciamo da tanto tempo e ancora ti stupisci della mia puntualità? Dovresti saperlo, io arrivo sempre in orario, qualunque sia il mio compito.”
Un ghigno malsano gli scappa sul viso ed ecco che la sento. Dal nero del mio cuore, emerge a passo lento, ma deciso, l’ansia, pronta ad accogliermi in un altro momento di folle intimità. Mi abbraccia, come la più dolce delle madri, ma poi stringe, stringe, stringe, fino a soffocarmi, non posso urlare, non posso piangere, non posso morire.
“Conosco quel sudore, Jim – mi sussurra Azrael – dovresti andare in bagno e riprenderti, abbiamo cose importanti da fare, lo sai”
“Sì. Sì. Lo so. Adesso vado, mi sciacquo e torno, tu non preoccuparti e aspettami qui, Pao… Azrael”
Cazzo. Cazzo. Spero non se ne sia accorto, ne va della mia vita.
Mi lavo la faccia, devo sciacquar via ogni angoscia. Via maledetta, sparisci. Mi colpisco in faccia, mi prendo a schiaffi, sempre più forte, fino a ferirmi il labbro, sino a gustare il sapore del sangue nelle mie papille gustative. Ora sono ritornato in me, posso gestire il caso.
Torno dal mio cliente. È incredibile come non si sia mosso di un millimetro, è ancora nella stessa identica posizione di prima, con lo stesso identico ghigno perverso. Quest’uomo è la mia rovina.
“Dimmi, Azrael – affermo – cosa ci facevi ieri sera in mezzo alla strada nel bel mezzo di una esplosione?
“Cosa vuole che stessi facendo – mi risponde scimmiottando – sono corso in strada subito dopo l’esplosione, perché mi ha svegliato nel cuore della notte ed ero molto spaventato, mi deve credere”
Odio quando fa così, pretende serietà e mi risponde come fossi un deficiente.
“Certo… peccato che casa tua sia esattamente dall’altro lato della città, non mi sembra un movente valido.”
“Mio simpatico avvocato, ma perché si preoccupa di queste facezie? Sono qui perché dobbiamo affrontare una questione ben più importante. Come ben sa, gli Hornets stanno espandendo il loro campo, adesso vogliono acquistare una delle aziende più importanti del paese, la Nazional, l’emittente televisiva più importante del nostro amato paese. Non serve perdere tempo in spiegazioni giusto? Ma a me divertono le perdite di tempo, quindi, stia bene ad ascoltare: come può immaginare, non è opportuno che passino troppi messaggi riguardanti le nostre attività, quiiiindi per proteggerci meglio – perché noi siamo una povera e indifesa associazione che agisce solo ed esclusivamente pro bono – abbiamo pensato di acquistare l’ente principale in materia di informazioni televisive, così da avere un po’ di privacy in più. Dopotutto, anche noi onesti criminali abbiamo bisogno di essere tutelati nella nostra sfera intima e privata, non trova? Poi, una volta che avremo completato questo passaggio, passeremo ad acquisire le emittenti radio e le restanti società in materia di – aspetti che prendo il foglio in cui mi sono scritto la definizione, ecco qui – produzione e distribuzione televisiva. Che ne pensa? Non è tutto così meraviglioso? Ma aspetti! Ancora non le ho detto la parte migliore: sarà proprio lei, mio fantastico avvocato, a vestire i panni del negoziatore con i proprietari della Nazional. Ma ci pensa? In questo momento, lei ha in mano le sorti di uno dei più importanti affari per la nostra organizzazione!”
Ah. Questa poi, non me la aspettavo. E adesso cosa faccio? Non è minimamente il mio campo quello della negoziazione, io mi occupo di diritto penale, ma che cazzo sarà saltato in mente ai superiori?
Prima che io potessi dire qualcosa, però, Azrael conclude il suo monologo.
“Non faccia quella faccia, signor Rabotto, o scusi, volevo dire Jim, i miei superiori sanno che lei non è così negato in materia di negoziazione, del resto all’università ha seguito un corso sul tema, giusto? E poi stia tranquillo, non sarà così complicato, si ricordi che può avvalersi di tutti i mezzi che preferisce, legali e non.”
Termina con una risata dal sapore isterico, poi si alza e va verso la porta. Meno male, cazzo. Questo incubo è finito, odio avere a che fare con uno psicopatico del genere.
Oh merda sta tornando indietro, ma che cosa vuole ancora?
“Ah già dimenticavo – afferma ridacchiando – dobbiamo ancora discutere la mia difesa per la questione di ieri notte. Non penso che ci metteranno molto ad arrestarmi – ma tanto che differenza fa? A me diverte essere arrestato, mi dà quell’ebbrezza che neanche il più forte degli alcolici potrebbe darmi – e dovrà essere lei a tirarmi fuori di prigione. Ma non ho voglia di ascoltare la sua pappardella, tanto so già che mi tutelerà egregiamente, non è vero? Dunque, per una causa di questo tipo potrei offrirle, mmh vediamo, sì: che ne dice di una somma pari a 20000 euro per la fase di studio e di istruzione? Dovrebbero bastare, no?”
Cosa? 20000 euro? Ma è una cifra abnorme rispetto ai parametri ordinari per una causa del genere in primo grado!
“Ah, un’ultima cosa, Jim. Se ti scappa ancora una volta il mio vero nome, giuro sul mio stesso nome, che non mi farò scrupoli nel ritinteggiare questo studio con il tuo fottuto sangue. Intesi?”
Il suo sguardo gelido e privo di qualsiasi emozione umana è l’ultima cosa che voglio ricordare di questo dannato incontro.
Ho bisogno di sfogarmi, mi finisco la fialetta mentre fumo una dozzina di sigarette consecutive. Vediamo chi posso chiamare? Ah sì, Federica, una delle donne più belle che io conosca. Vediamo quali sono i suoi impegni per oggi.
“Pronto, Federica? Ciao, sono Jim, come va? Tutto bene grazie, senti ma oggi hai impegni? No, perfetto, allora sappi che tra un quarto d’ora sarò da te e che sarai mia fino a domani.”
Riaggancio. Mi precipito in macchina e ordino all’autista di lasciarmi da lei.
Penso di essermi meritato una giornata da dedicare al sesso e alla droga.




Angolo dell'autore: Salve a tutti! Eccoci qui con un nuovo capitolo della serie, sfortunatamente il file con il testo si è danneggiato e io ho recuperato quello di ieri sera, quindi, anche se l'ho riletto, eventuali errori o espressioni ridondanti potrebbero essere presenti, se ci fate caso per favore ditemelo che provvederò a correggere! 
Dal prossimo capitolo, ve lo prometto, si entrerà nel vivo della storia e ci sarà più azione. Quindi, un po' di pazienza e vedret dove andrà a parare il nostro povero avvocato.

Buona lettura!

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