Canone inverso - jenseits des moralischen Gewissens (INTERROTTA)

di Duncneyforever
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** jenseits von Tod - oltre la morte ***
Capitolo 2: *** Geschichte - storia ***
Capitolo 3: *** Lebensborn - sorgente di vita ***
Capitolo 4: *** Pein - pena ***
Capitolo 5: *** Bruch - rottura ***
Capitolo 6: *** Abschied - addio ***
Capitolo 7: *** Rückkehr - ritorno ***
Capitolo 8: *** Sehnsucht - nostalgia ***
Capitolo 9: *** Wahl - scelta ***
Capitolo 10: *** Al di là del bene e del male ***
Capitolo 11: *** Schema ***
Capitolo 12: *** AVVISO ***



Capitolo 1
*** jenseits von Tod - oltre la morte ***


 

 

 

Angolo autrice: 

Buon giorno/sera/notte popolo di EFP! Dopo attente riflessioni, ho finalmente deciso di tornare con il seguito di quello che per me è un po' come un " Orlando furioso ", l'opera più amata che, nel mio caso, non verrà mai pubblicata, anche perché presumo sia pressoché invendibile... perciò non pubblico allo scopo di raggiungere il " successo editoriale " ma, più che altro, per gratificazione personale e, se la mia storia avrà appassionato qualche anima all'infuori di me, anche per loro. Credo sia ingiusto lasciarla incompleta e, per questo, mi impegnerò ad ultimarlaPubblicherò più frequentemente, senza far attendere periodi lunghi quanto una crociera che fa tratta dall'Europa fino all'America, a costo di scrivere capitoli - molto - brevi. Approfitto dell’occasione per annunciare che la prima parte è stata sottoposta ad una " restaurazione " intensiva ed è a questa che mi sono dedicata nel tempo in cui sono " scomparsa " dalla circolazione. 

Sperando di potervi tenere compagnia in questi periodi bui, buona lettura! Come al solito, pareri, critiche sono sempre ben accetti/e.






 

Così, la mia vita si interrompeva. 

Ho visto il mio cadavere steso al suolo, con un foro da proiettile sulla tempia e gli occhi vacui.

Per una frazione di secondi, il mio cuore aveva smesso di battere. 

Ero morta e lui era così convinto che non avrei reagito, che nel veder deviare il proiettile ad un millimetro dal mio cranio, non ha avuto alcuna reazione. Non volevo morire, così, un secondo prima che partisse il colpo, ho spinto la testa in avanti con tutta la forza che avevo, sbattendo contro il suo petto.

Sfinita, crollo sulle ginocchia, rannicchiandomi per terra. Mi stringo nelle spalle, singhiozzando, e inspiro tutta l'aria che mi era mancata in quello che credevo essere l'ultimo istante della mia esistenza. 

Non scappo per paura che lui possa corrermi appresso e spararmi alla schiena. Una sorte indegna, più della morte che mi sarebbe spettata. 

Lui fa un passo indietro, si asciuga le lacrime con un gesto secco della mano e si schiaffeggia la coscia, cercando di pulirsi. Niente più sembra turbare il colonnello, come se quell'unico accenno di debolezza dovesse esser dimenticato al più presto. 

- E tu osi mandare a morte chi è meno pazzo di te? Coloro che sono stati colpiti dalla vostra " Aktion T4 " non avrebbero mai fatto ciò che tu stai facendo a me! - Strillo, in preda ad un'emicrania per il troppo piangere. Lui mi rivolge uno sguardo impietoso, ma scarico di qualunque forma di disprezzo. A cosa pensa, in quella testa marcia... Che ha da guardare, se nemmeno trova il coraggio di esprimere a voce alta ciò che sente. - Miserère... - Ricordo il giorno in cui lo udii recitare questa preghiera; non era mia intenzione spiarlo, ma mi sbattè la porta in faccia per timore di venir giudicato. 

" Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia;
nella tua grande bontà cancella il mio peccato.
Lavami da tutte le mie colpe,
mondami dal mio peccato. " 

So che Hoffmann sta tornando, trascinandosi appresso il corpo del prigioniero che ancora si dibatte. 

Non ho interesse nel mostrarmi combattiva ora, che ho quasi perso la vita; è lui il fautore delle mie lacrime, ma non se ne compiace. Lo addolorano e gli puntano contro il dito, biasimandolo per ciò che ha fatto. 

Pur annacquato, il mio sguardo fisso nel suo lo scombussola ancora e non riesce a reggerlo. 

Il capitano spalanca la porta, gettando la sagoma sanguinolenta sul pavimento . 

- Abbi pietà... - Ripeto, prima di vedermi completamente ignorata. 

Cosa non gli fanno... 

Pretendono da lui una confessione falsa, che testimoni il mio coinvolgimento nell'attentato: ogni volta che lui nega, riceve un altro colpo, una manganellata sulle costole, poi mi capita di posar gli occhi su qualcosa che, in vita mia, non avevo mai visto, se non nella finzione; Hoffmann consegna al colonnello una pressa, costituta da due placche metalliche e una valvola rotante, dopodiché afferra il polso dell'uomo per introdurre la sua mano tra le piastre, all'altezza del metacarpo e quando il meccanismo viene messo in azione, non importa quanto siano violente le urla... l'agghiacciante rumore delle ossa che si frantumano rimane perfettamente udibile. Dopo averlo liberato, senza aver ottenuto alcunché, la mano sembra aver perso consistenza. Lui cade a terra agonizzante, finché non lo costringono a rialzarsi, a sedersi di nuovo su quella sedia, a spingersi su con le gambe storpie anche dieci volte e solo per il loro diletto. 

Perché non cede? Mi fa gridare, come una forsennata, senza che io possa ostacolarli. Mi permette di vedere il suo stomaco pungolato dalla punta lucida dei loro stivali, proprio nel punto in cui Hoffmann lo aveva già ferito. La mano, innaturalmente ripiegata su se stessa, come quella di un modellino per bambini, subisce l'ennesima violenza. 

E Schneider, con il pugno ancora gocciolante, viene a fermarmi.

Viaggio tra le loro braccia come una bambola: è il turno del capitano e spetta al rosso il compito di impedirmi di intervenire. 

Pongono a me delle domande; io, codarda, nego, perché la paura mi fa tacere, perché so che, se deponessi il falso, firmerei la mia condanna a morte. 

L'uomo non mi vende, non apre bocca, subisce pur di risparmiarmi la sua stessa sorte. 

- Ti prego, basta! Lasciatelo stare, vi ho detto che non lo conosco! Non lo conosco! - 

- Doch, du kannst mit ihr tun, alles was du magst. Sie ist nichts für mich. / No, puoi farle tutto ciò che ti aggrada. Lei non è niente per me. - Il colonnello risponde alla precedente domanda dell'amico che, acchiappandomi direttamente per la gola, mi costringe a guardare la terribile scena. 

Rüdiger inizia a riempire d'acqua quella che, a primo impatto, mi era sembrata una mangiatoia e, una volta piena, dopo averlo trascinato con una violenza belluina, gli afferra la nuca, immergendogli la testa all'interno, fino alla base del collo. 

Il bordo bianco della " vasca " prende il colore di un banco di macelleria; dalle ferite fresche, il sangue scivola lungo la parete esterna, rimescolandosi con l'acqua. 

- Hat sie euch geholfen? / Vi ha aiutato lei? - Domanda, dopo averlo tirato fuori dal lavatoio. - Du solltest besser reden, oder ich schwöre, ich werde dich wie einen Hund verrecken lassen. Lohnt es wirklich, dich für eine wertlose kleine Göre zu opfern? / Ti conviene parlare, o giuro che ti lascerò crepare come un cane. Vale davvero la pena sacrificarti per una mocciosa senza valore? - 

- Rüdiger... - Biascico, sforzandomi di allentare la presa del capitano sulla gola. - Lo stai uccidendo... - Persino lui, che ha in sé il gusto per la tortura, riconosce di avere per le mani una risorsa preziosa e decide di risparmiarlo, almeno per il momento. 

- Ach, Rudi! Wo ist der Spaß? / Eddai, Rudi! Dov'è il divertimento? - L'uomo, libero dalla presa del rosso, ricade per terra; tossisce violentemente, ma anche dopo aver rigettato l'ingorgo di acqua e sangue che gli ostruiva la trachea, respira a malapena. 

Piango violentemente nel vederlo in fin di vita, ma senza riuscire ad attribuirmene la colpa. 

- Oh, mach dich darüber keine Sorgen... Es gibt das ganze Sonderkommando zu liquidieren. / Oh, non ti preoccupare per questo... C'è tutto il Sonderkommando da liquidare. -

- Und das Mädchen? - Hoffmann mi infila l'avambraccio sotto la mandibola, stringendo tanto da farmi scrocchiare le vertebre. 

Aria! Aria! Nemmeno a scorticargli il braccio con le unghie sembra dar segni di cedimento. 

- Von Zeit zu Zeit. Ich kann sie ohne Beweisen nicht berühren, oder der Prinzchen wird kommen, um sie zu fordern. Er ist nah, ich fühle es. / Tempo al tempo. Non posso toccarla in assenza di prove, o il principino verrà a reclamarla. È vicino, lo sento. -

- Diese kleine Hure wird dich deines Leben kosten, mein Freund, du wirst sehen. Von Hebel ist ein sehr mächtiger Mann... Unantastbar. / Questa puttanella ti costerà la vita, amico mio, vedrai. Von Hebel è un uomo molto potente... intoccabile. - Asserisce, appoggiandosi sulla mia testa. - Ja, natürlich ist es ein schönes Tier, aber immer noch ein Tier. Lass mich sie für dich beseitigen, damit ich dich von diesem Gewicht befreien konnen. / Che poi è un bell'animale sì, ma pur sempre un animale. Lascia che la elimini io per te, così da poterti liberare da questo peso. - 

- Sie ist mein. / È mia. - Una risposta spiccia, soffocata forse dal fastidio che la proposta di Peter gli aveva recato, nel profondo del cuore. 

In questo momento lui mi odia anche di più, lo avverto, perché per la prima volta si trova in disaccordo con il suo più intimo confidente e, cosa che gli è inaccettabile, a causa di una " subumana ". Sente di averlo tradito, di aver sbagliato ad obiettare. 

E Peter, dopo avermi lasciata respirare, lo guarda stranito, proprio come il giorno in cui il rosso si attaccò con il comandante.

I due non escono insieme: Rüdiger resta fermo a guardare; si passa un dito sulle labbra, riassaporando il bacio che avrebbe dovuto suggellare la nostra fine. Indugia nel ripercorrere gli eventi che avevano preceduto quell'istante e, sembrerebbe, anche i momenti di trascurabile serenità che abbiamo vissuto. 

- Non sei niente per me. - Si schiarisce la voce, però non si rivolge direttamente a me, come se se stesse parlando da solo. - Du hast meine Kraft gestohlen, du hast mich getötet... Was willst du noch?/ Mi hai rubato la forza, mi hai ucciso... Cosa vuoi ancora?- 

- Voglio vederti morire, come tu hai voluto veder morire me. - Sono stanca, così stanca da non riuscire a riflettere prima di aprire bocca. So solo che vorrei riversare su di lui tutta la rabbia che ho in corpo, divorarlo per il gusto di vederlo soffrire poco alla volta, e che importa dell'orrore! Impossibile che non abbia notato con quanto veleno ho osato sfidarlo. Non ho avuto bisogno di gridare; il tono calmo, inflessibile, quasi distaccato con il quale ho replicato, lo ha costretto a fare un passo indietro. 

Non appena lo vedo uscire ( perché se n'è scappato, quel bastardo! ), mi precipito verso il corpo inerme, quasi cadavere, del mio salvatore. 

- Das hättest du nicht tun sollen. / Non avresti dovuto farlo. - Ho così paura di arrecargli ulteriore dolore che sospendo la mano ad un centimetro dalla sua spalla, evitando di toccarlo direttamente. - Warum... - Singhiozzo piano per non disturbarlo, ripentendo quella domanda, " perché ", senza aspettarmi una vera risposta. 

- Du bist wichtig. / Sei importante. - Comprendo l'ultima parola solo dopo essermi chinata verso il pavimento, dove ha schiacciato il viso e sotto il quale si è formata una chiazza liquida, che ho terrore nel guardare. 

Prima di poterlo rassicurare, mi tiro indietro... Dottore? Ma quale dottore! verrà lasciato morire! Nessuno lo assisterà. Io sola mi sono arrogata un diritto che non ho, quello di poter decidere della sua sorte. 

Eppure, come ogni altra volta, sono impotente di fronte alle sofferenze altrui. 

Pur di non lasciarlo solo, mi siedo a terra accanto a lui, vegliando su ciò che sembrerebbe già essere la sua tomba. 

Sono sul punto di addormentarmi per la stanchezza, quando sento dei rumori provenire dall'esterno, urla maschili, di rabbia, che riesco a ricondurre subito a lui. 

Sollevo lentamente la testa dalle ginocchia, rivolgendo uno sguardo all'uomo, che ancora respira. 

Mi accorgo di avere gli occhi pieni di lacrime, di gioia e di dolore, nel momento in cui la porta viene spalancata e, finalmente, lo rivedo. 

- Non ho fatto niente... - Già in altre circostanze avevo cercato di giustificarmi, ma lui oggi non pretende nulla da me, anzi, ha in volto un'espressione di colpevolezza e di sincero pentimento, tanto che i suoi occhi, lucidi, stentano a restare asciutti. 

- Lo so. - Dice, stringendomi a sé. Tra le sue braccia, lo sento tremare ed io, invece che dimostrarmi più adulta, mi sciolgo in lacrime, nascondendo il viso tra le pieghe della sua giacca. - Non ti lascerò mai più sola, mai, mai più. - 

- Lui mi ha salvata... Se solo avessi visto cosa si è riversato su di lui: nessuno avrebbe resistito! - Avverto le sue dita percorrermi la guancia, asciugarmi delicatamente le lacrime. Il suo tocco mi ricorda quel che avrei potuto perdere e, per quanto mi senta rincuorata, non riesco a smettere di pensarci. 

- Non devi temere più niente, amore mio. Ho provveduto io a te. - Tiro su col naso, distanziandomi da lui per guardarlo negli occhi. - Appena ho saputo dove ti avevano condotta, ho predisposto l'evacuazione del Sonderkommando. Non avrei permesso a nessuno di condannarti... - 

Devo ripetermi queste parole nella mente per assicurarmi di non aver capito male. 

Si è macchiato di un crimine orribile, per me, soltanto per difendere me. 

Il pensiero di esser stata il suo movente è alienante, come se finora avessi ignorato ciò che Reiner aveva promesso. Eppure mi sento un mostro e, proprio il fatto di non riuscire ad attribuirmi alcuna responsabilità, mi fa sentire colpevole. Io, in buona fede, avevo tentato di avvertirli, sapendo fin troppo bene come sarebbe andata a finire, poi sono stata catturata perché ritenuta responsabile della rivolta, ed ho percepito la loro stessa paura quando mi è stata puntata la pistola alla tempia, per ripicca. 

E cosa dire di Reiner... Ha agito tempestivamente per evitarmi di soffrire, negando anche a loro, involontariamente, di finire torturati e impiccati come Rüdiger avrebbe predisposto. 

Ma ciò che lui ha fatto, è davvero paragonabile ad un crimine? Oppure mi devo considerare complice del massacro... 

Ecco che, in questo frangente, riesco a comprendere meno approssimativamente la concezione che Nietzsche aveva dell'amore: ciò che viene fatto per la persona amata, è egoistico e amorale, ma egli forse non contemplava l'idea che potesse esserci qualcosa di " puro " oltre l'immoralità di certe azioni...

Non posso pensare che il nostro legame non sia eterno dopo tutto ciò che abbiamo modificato, di noi stessi, per poterci avvicinare l'un l'altra. 

- Grazie... - mormoro, infine, rincorrendo il filo rosso del destino, invece che spezzarlo. 

- Devo fare ancora una cosa prima di portarti via, ma non ti piacerà. - Capisco al volo dove voglia andare a parare e... 

- No... non farlo... - Non è giusto! colui che mi ha salvata così coraggiosamente non può sparire così, senza lasciar traccia. Ha patito le pene dell'inferno per me, che ero una sconosciuta per lui e, nemmeno dopo aver sentito il rumore sordo delle sue ossa rotte, ha avuto cuore di vendermi. No io... Non lo accetto, non lo accetto! 

Mi sostengo il volto con le mani, scuotendo vigorosamente la testa. La luce calda del tardo pomeriggio fa scintillare il caricatore metallico della sua Walther. L'aveva già estratta dalla fondina, anche se non completamente, per non turbarmi fino all'istante in cui l'avrebbe brandita. 

- Non impedirmelo, piccola, ti prego, non fare così... Rifletti sul fatto che gli risparmieresti altro dolore. Schneider non si arrenderà mai. - Un lieve tremito nervoso smuove la mia manina, avvolta sulla sua e quindi anche sulla pistola. 

- Lassen Sie ihn es tun. / Lasciateglielo fare. - Dove ha trovato la forza di parlare? Ha visto tutto? 

- Ich kann nicht. / Non posso. - Rispondo, cercando di nascondere l'arma alla sua vista. 

- Ich bitte Ihnen. Lassen Sie mich sterben. / Vi scongiuro. Lasciatemi morire. - Vedo nei suoi occhi il desiderio di addormentarsi e non svegliarsi più. Mi rammarica così tanto non riuscire a cogliere in lui la benché minima forma di resistenza o di paura nei confronti della morte che, inevitabilmente, mi faccio da parte. 

Non ho il coraggio di guardare e mi volto di spalle: lui si era messo seduto ( un ultimo sforzo, per conservare la dignità ) e, attraverso le sue ferite, ho scorto la sua forza, il significato di " sacrificio " spinto fino al martirio per salvaguardare ciò in cui credeva... Me. 

- Wie heißt du... - Lui non replica subito, ma ho tempo... Ho tutto il tempo del mondo. 

- Ich werde dich nie vergessen, Michael. / Non ti dimenticherò mai, Michael. - 

Spero che lui mi capisca e mi perdoni. 

Non ce l'ho fatta. Sono corsa via, in lacrime, ma nemmeno il tonfo dei miei passi e il battito accelerato del mio cuore, mi hanno impedito di sentire lo sparo. 

- Che cazzo avete da guardare?! Vigliacchi! - Sbotto, imprecando contro i nazisti che bivaccano all'esterno della struttura. Uno di loro, è quello che mi ha condotta qui; il soldato che era rimasto muto, pur non condividendo l'iniziativa dell'altro. 

Dev'esser stato lui ad aver cantato. 

Recupero quelle che ormai sono diventate calze, tirandole di nuovo su fino al ginocchio e poco più in alto. Stringo con forza i lembi della maglietta, mordendomi il labbro per non gridare. Ne esce uno strano gorgoglio, condito dal sottofondo delle cuciture che saltano. 

Lo aspetto una manciata di minuti Reiner, non più, ma quel poco si rivela essere decisamente troppo. 

Paziento giusto il tempo di salire in macchina, poi scavalco il sedile, gettandomi piangente su di lui. 

- È stato così orribile... povero Michael! - Esclamo, boccheggiando all'altezza del suo collo, così vicina da poter sentire in bocca il gusto delle mie stesse lacrime. - Perdonami, ho voluto fare di testa mia ed ora guarda cos'è successo! - 

- Avrei dovuto impedirtelo. Mi sono fidato di te, com'è giusto che sia, ma non ho pensato che ti saresti potuta trovare coinvolta in un qualcosa di più grande di te. - Lo osservo, senza distogliere lo sguardo, nemmeno per un secondo; lui capisce che, in questo momento, non ho bisogno di un uomo forte che mi rassicuri, ma del mio fidanzato. Si china verso di me, dolce, fragile quasi, lasciandomi un candido bacio sulla fronte. - Se ti avessi persa, non sarebbero bastate le urla di mia madre, il dolore di mio fratello o il richiamo della patria a dissuadermi dal raggiungerti... -

- Questo non devi dirlo mai. - Dopo aver rizzato la schiena, lo rimiro con gli stessi suoi occhi tersi, scossa dal magone. - Morirei due volte se scoprissi di aver ucciso te, amore mio. - 

Se solo lui sapesse cos'è realmente accaduto là dentro...

Non ho più potuto contenere ciò che ormai da tempo stentavo a nascondere ( a me stessa anzitutto ) e, in un fiume di parole all'apparenza sconnesse, mi dichiaro, rivelandogli i miei veri sentimenti.

È un lutto troppo gravoso il mio, destinato a non perdurare nel tempo. Viviamo il nostro amore nella disgrazia e all'ombra della tragedia che verrà: nei suoi occhi ho scorto una sorgente di miele e non ho avuto alcuna remora nell'impossessarmi delle sue labbra, disperata, ma ricolma di quell'emotività che non avevo mai saputo contraccambiare. 

Reiner, che sul momento ne era rimasto meravigliato, mi raccoglie il viso tra le mani, riservando al solo sguardo il sorriso che, inevitabilmente, gli avrebbe scoperto tutta la dentatura. 

Ha rispetto del mio dolore e non vuol spingermi avanti prima del dovuto. 

Guardo ciò che ho lasciato alle spalle e vedo una scia di sangue: non sono pronta a relegare quelle morti al mio passato, esattamente come non potrei dimenticarmi dei miei amici e di mamma e papà. 

- Voglio conoscere la tua famiglia. - Il ricordo della mia è nostalgico e penoso ed è forse per questo che tengo tanto ad essere accettata da loro. Non potrei mai rimpiazzarli, ma l'idea di potermi ritrovare di nuovo in un piacevole contesto familiare, circondata da persone che mi vogliono bene, mi fa sperare in un futuro diverso, migliore di quello che mi è stato destinato. 

- Presto ti porterò a Dresda, Prinzessin. Molto presto. - Come vuole l'etichetta, si appresta ad aprirmi la porta, tuttavia, il mio corpo ha sviluppato come una repulsione verso questa casa ed entrare mi mette angoscia. Allora mi chiede cosa sia successo all'interno della Kommandartur ed io, per paura di confessare il vero, occulto l'implicazione personale che aveva preceduto l'interrogatorio di Michael. Naturalmente non mi crede, fa domande e, sapendolo così in apprensione per me, confesso ogni cosa. 

- Questa volta il proiettile è partito... Rüdiger ha sofferto troppo nel premere il grilletto e non ci riproverà. - Reiner era rimasto immobile, aveva gli occhi sbarrati, come quelli di un cadavere. Ho avuto l'impressione che avesse ascoltato tutto, ma che, al contempo, stesse architettando la sua vendetta. Ho provato a scuoterlo, pregandolo di non agire d'istinto, di prevedere le conseguenze che, a lungo andare, potrebbero ripercuotersi su di noi. La rabbia si manifesta come un fulmine, all'improvviso. Le sue grida, come posso immaginarmi quelle di Achille alla morte dell'amato Patroclo, fanno affacciare Ariel dalla finestra, che mi rivolge un'occhiata ansiosa. 

Reiner ha una pelle così chiara, una tela bianca che, per lo sforzo, è diventata di un colore che Rosso Fiorentino gli avrebbe invidiato. 

Resto in disparte, indecisa se lasciarlo sfogare in questo modo o impedire con tutti i mezzi che risalga su quell'auto e uccida il suo rivale. 

Ne sarebbe capace e ne sembra anche propenso; non è di lui che ho paura, tuttavia, lo raggiro con cautela, andando ad incasellarmi tra le sue braccia. Il suo cuore è come impazzito e temo per la sua salute nel sentirlo in affanno. 

- Ti metterò al dito l'anello di mia madre, ufficializzerò la nostra unione... - Vorrebbe parlarmi in tedesco ma, sapendo che non potrei capire tutto, si sforza di usare la mia lingua, pur perdendo per strada la pronuncia che, di solito, è quasi perfetta. Procede spedito, infervorandosi, reclamando un diritto di superbia che gli pare lecito vantare: - io sono figlio della nuova ideologia, l'eroe, il favorito; io sono il riscatto della nobiltà strozzata dalla Rivoluzione, l'ideale di purezza perseguito dai genetisti, il vessillo della propaganda. Non mi verrà negato il piacere di sgozzare un infante instabile, che sarebbe stato relegato alla brigata Dirlewanger se non fosse stato per il prestigio della sua famiglia. Ora che ha tentato di assassinare la futura madre del mio erede, innocente e non imputabile per alcun capo d'accusa, la procedura richiederà sicuramente meno ricorsi burocratici. - Mi restituisce la daga che mi era stata sottratta al campo, accarezzandomi distrattamente una guancia. 

L'omicidio del rosso lo avevo confinato al mondo onirico, senza che avessi realmente contemplato la sua realizzazione. La vista del sangue mi aveva disgustata; avevo cercato in ogni modo di evitare che il rancore e la sete di vendetta mi trasformassero in un mostro, accantonando le immagini più crude che la mia mente era riuscita a creare. Ora ho chi sarebbe disposto a sporcarsi le mani per me, ma sono proprio queste due parole a renderlo ancora più sbagliato ai miei occhi. Lui diverrebbe il mio sicario e sarei di fatto io la mandante della sua morte, oltre che il movente. 

Sarebbe inaccettabile; me lo dicono le lezioni di catechismo, l'insegnamento scolastico e il comune buon senso.

- Non voglio macchiarmi di alcun crimine, o avrò la coscienza sporca per l'eternità - esordisco, preoccupata, cercando di dissuaderlo. - Rüdiger è un uomo spregevole, ma non deve morire a causa del suo attaccamento a me. È come se fossi io a sottrargli la vita, non posso! Semplicemente non posso... - 

- Non tollero più che respiri dopo ciò che ha fatto a te, però comprendo il tuo punto di vista. Non desidero altro che vederti felice e, se c'è qualcosa che posso fare... - 

- Voglio solo che tu rimanga con me. - Smette i panni del feroce inquisitore per indossare quelli dell'uomo comune, che si rammarica nel vedermi triste. 

- Vieni, su, non vuoi vedere cosa ho conservato per te? - Con una premessa simile, la paura passa in fretta e mi lascio condurre nella stanza da bagno, per rinfrescarci e, successivamente, nella sua camera, dove aveva nascosto un piccolo cofanetto di velluto blu. Sorrido nel veder sbucare quella scatolina dal cassetto della biancheria ma, una volta aperta, quella stessa smorfia divertita si tramuta in un sussulto di stupore. 

Oddio. 

Mi aveva abituata alle sorprese, ma questo è esattamente ciò che mi aveva promesso: un anello, e non un anello qualsiasi, bensì quello della sua famiglia, di quelli che vengono tramandati di secolo in secolo, eredità di un'epoca passata che non è andata perduta nel tempo. Resto incantata ad ammirare la fascia semplice in oro puro in stile bizantino e quel cristallo prodigioso che vi è incassato sulla spalletta, contornato da piccoli e luminosi trifogli in oro e diamantini. Osservo quella gemma, rotonda, paragonandola ai suoi occhi in penombra. 

- Uno zaffiro, dalle ghiaie di Ratnapura... - Mi prende la mano con delicatezza, infilandomelo nell'anulare. 

- Reiner, non posso accettare. - È troppo per me, mi conosce da relativamente poco e non è ancora detto che i suoi mi accolgano con favore. Custodire un gioiello così prezioso è uno status e un privilegio ed io non so se sono abbastanza matura per farmi carico di una simile responsabilità. 

- Tu per me vali molto più di questa gemma. Nessuna più di te ne sarebbe degna e certamente non vorrei nessun'altra al mio fianco. Con questo anello io ti consacro a me... - Il mio cuore fa una capriola. Tra le mani rigiro la scatolina su cui ho versato lacrime di gioia. Sento le guance così calde, mi basta un solo suo sguardo per alzarmi sulle punte e andare incontro alle sue labbra. - La mia vita è tua. - Un inaspettato calore mi travolge il bassoventre, facendo sì che debba stringere vergognosamente le cosce per contenerne il formicolio. Reiner mi ha insegnato ad amarmi di nuovo, ad apprezzarmi come facevo da bambina, quando non rinunciavo a scoprire lo stomaco, neppure con la pancetta rotonda che tanto orripilava le mie compagne. Ora sono cresciuta e il mio corpo non mi repelle, tanto più che lui risponde agli stimoli che tacitamente gli ho inviato. Socchiudo la bocca, scorrendo le dita sulla stoffa candida che malcela i muscoli dell'addome. Il mio nome sguscia fuori dalle sue labbra tra gli spasmi; ci freghiamo contro, l'un l'altra, gli occhi acquosi offuscati dal piacere nello sfilarci reciprocamente gli asciugamani, sotto i quali non vi è che un unico strato di stoffa a coprire la pelle. Troppo a lungo ci siamo trattenuti per essere dolci come dovremmo: piccola come sono, mi appoggia alla cassettiera, sbilanciandosi per permettermi di baciargli il viso e il collo. 

- Insegnami - cinguetto, sobbalzando nel sentirmi sfiorata nell'intimità. Testarda come un mulo, non voglio cedergli l'assoluto controllo della situazione: un morso sulla spalla lo fa mugugnare; la mano che, incerta, va esplorando le sue parti più nascoste, gli fa ansimare ben altro in confronto a ciò che attendevo, qualcosa di più sporco, oltre la razionale compostezza. Quella premura mancata sopraggiunge alle mie orecchie un secondo dopo, come il canto di un angelo; un brivido mi traversa il corpo fino alla punta della lingua che, licenziosamente, si faceva carezzare dalla sua. Il desiderio si risveglia in lui che, per paura di intimorirmi, aveva tenuto a debita distanza l'eccitazione repressa. Non potrebbe mai apparirmi più bello di quanto lo sia ora: il petto nudo ansante, il volto basso, quel manto azzurro imperlato, volto a me e solo a me, come se non ci fosse altro mondo al di là dei miei occhi. - Ti voglio, Reiner. - Il sesso orgogliosamente ritto scalpita al di sotto dei calzoncini, sbattendo contro un velo umidiccio. Reclino di più la schiena, accogliendolo tra i gemiti più indecorosi.

È come fluttuare, immersa nello specchio d'acqua che separa due emisferi adiacenti. Una dimensione a sé stante nella quale si è discosti dal cielo come dalla terra, crudele culla di tutti gli esseri. Nei suoi baci c'è la fame d'amarmi e d'esser amato da me e le sue attenzioni sono un potente analgesico contro il dolore, la fatica e il mal di vivere.

Distesa sul letto, a pancia in su, avvolgo tra le dita i fili d'oro che mi solleticano il mento. 

- La senti? - 

- Cosa? - Sorride lui, carezzandomi con le labbra il seno nudo. 

- Schubert, la Serenata. - La mia bocca s'increspa gioiosamente, mentre la mente ripercorre le note sfumate, quasi malinconiche di quella che mi è sempre parsa la più bella delle dichiarazioni. 

- Sì - ammette, dopo aver chiuso gli occhi, come avevo fatto io. - La sento ed è magnifica. - Si lascia cadere al mio fianco, così che possa addormentarmi al caldo contro di lui. Rimiro il viso composto, sorridendo deliziata nel ricordarlo rosso, con quella sua bella bocca oscenamente contorta e gli occhi sgranati. Picchietto l'indice sul labbro, rimembrando quel sapore intenso e particolare, l'espressione estasiata che mi aveva fatto bramare l'interezza del suo splendido corpo. Ma io desideravo qualcosa di meglio per noi: è nella camera da letto che affaccia sul meleto, nel palazzo ducale di Dresda, che avremmo consumato il nostro amore e non in un orrido campo di sterminio. È stata una pena doverci allontanare, tuttavia, so che quest'attesa renderà i suoi frutti e che il piacere che ne trarremo sarà doppio. 

Stropiccio gli occhi nel momento in cui il tepore dei suoi muscoli, che mi aveva fatta addormentare così serenamente, viene a mancare. 

Credevo che non sarebbe più successo e invece... 

E invece niente; possibile che abbia ancora queste paranoie? 

Sono una stupida. 

Reiner avrebbe riso se mi avesse sentita, perché mi è bastato voltarmi dall'altra parte per vederlo.

Oh. 

Lui è ritto in fronte allo specchio e indossa l'uniforme, ma non la solita nera, bensì quella dell'esercito regolare, di un meno sgargiante grigio tortora. Ha appoggiato il berretto sul comò, giusto il tempo di sistemarsi il colletto sul quale non ha appuntato alcuna medaglia ( perché sul campo le avrebbe rimosse, perché il loro tintinnio avrebbe attirato su di lui il fuoco nemico ); è fiero della sua casacca neutra, che ne esalta la perfezione fisica e lo sguardo combattivo. Ma gli stessi occhi che avevano bruciato d'ardore sul campo di battaglia, sono ora ricolmi di nostalgia e mi ritengo abbastanza acuta da aver capito le sue motivazioni. Per quanto sia temerario, anche lui aveva temuto l'assalto avversario, l'esplosione delle granate, il martellare dei colpi alle spalle; aveva pianto i compagni caduti, le cui carni dilaniate ancora infestano la solitudine della notte ma, nonostante tutto, non si è mai pentito d'aver intrapreso la carriera militare, tutt'altro: gli manca la vita che aveva scelto, il legame fraterno che s'instaura tra commilitoni, così diverso dalle sordide ambizioni delle SS, l'odore della terra bagnata e della morfina, il colore nero del fumo che si addensa al sudore della fronte, il cuore che palpita incalzato dal boato degli spari e dal crepitio delle mitragliatrici. E perché sopportare questo dolore, sapendo di poter soccombere da un momento all'altro? Per lui la risposta è semplice e categorica: per il benestare del popolo e della Germania, e per lui non c'è riconoscimento più grande degli onori che ne derivano. 

- Questa la porti meglio - intervengo, coricandomi sul lato e poggiandomi sul palmo. - Ti preferisco così. - 

- Anche io ti preferisco così - scherza, ridacchiando nel vedermi portare al seno il lenzuolo. Sorrido precocemente e l'ormai ex espressione scandalizzata perde credibilità. - Sì e se potessi ritrattare l'incarico a Buchenwald, lo farei. Quel giorno non potei rifiutare; mi dissero che sarei stato più utile in patria, dal momento che avevo reso un servizio più che pregevole al mio Paese. - 

- Raccontami - lo prego, tornando su un vecchio discorso, nonché una mia curiosità. - Voglio sapere come hai ottenuto la Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia e Spade. - 

- Potresti odiarmi meno. - Il suo cappello mi ricade sulla fronte, troppo largo per potermi cadere bene. Io, dal canto mio, gli strizzo un occhio, schiacciando il berretto sulla nuca in modo da avere libera la visuale. 

- Quindi amarti di più? - 








 

Avviso: 

Siccome al principio il titolo della storia lo scopiazzai facendo un collage tra " Canone inverso - Making love " e " Behind enemy lines - oltre le linee nemiche " ( due film che mi piacquero e che consiglio ) è probabile che lo modificherò, giusto per non dare l'impressione di non avere fantasia. Il " sottotitolo " attuale, ossia " jenseits des moralischen Gewissens " significa " al di là della coscienza morale ".  






 

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Capitolo 2
*** Geschichte - storia ***


 

 

 

Reiner si rassetta l'uniforme, ammirando l'immagine riflessa dell'uomo che era stato. 

Piccolo principe... 

È finito il tempo degli onori, in cui ancora potevi vantare di essere un paladino della patria. 

Lui si raccoglie un istante; inspira l'odore della terra, si riempie le orecchie delle sirene degli Stuka, annunciatrici di morte e gli occhi delle scie luminose generate dalla detonazione dei mortai. 

- Era marzo del quaranta; io ed il mio reparto avevamo attraversato le Ardenne, una zona boschiva senza strade, accidentata, che pareva esser ostile persino ai cingoli dei nostri Panzer. I francesi non si aspettavano il nostro arrivo; avevano concentrato il grosso delle loro truppe a nord, verso Liegi, così che a difesa della zona rimasero solo dei cacciatori belgi che non avevano ricevuto l'ordine di ritirarsi... dei veri ossi duri, sai? I francesi, nel frattempo, si occuparono di far saltare i ponti sulla Mosa e si riorganizzarono. Noi della 10. Panzer Division, che avremmo dovuto sfondare a Sedan, passammo la frontiera il dieci, ritrovandoci a combattere contro la 2º divisione di cavalleria leggera. - 

- La decima... il fianco sinistro del 19º Panzerkorps, quello di Guderian! - Conosco due generali tedeschi che presero parte alla Seconda Guerra Mondiale; uno è l'ormai celeberrimo Rommel e il secondo è proprio Guderian, coloro che disubbidirono agli ordini diretti dell'Alto comando tedesco, rischiando di farsi revocare il comando. Mi emoziona, perché ho sempre ammirato la loro prontezza nel raggirare gli ostacoli, la loro astuzia nel congeniare brillanti strategie di attacco. 

- Ti vedo informata. - Asserisce, stirando la bocca in un sorriso d'orgoglio. Io annuisco frettolosamente e scarico il peso sui gomiti, con la stessa espressione curiosa e innocente dei puttini ritratti da Raffaello. Lui si perde a guardarmi, fisso, nella luce scintillante che pare accendermi lo sguardo. 

- E poi? Cos'è successo dopo? - Lo incalzo, attendendo di scoprire dove e quando sia avvenuto il suddetto atto di eroismo. 

- Quando cadde Sedan, ci muovemmo verso Stonne per supportare la 1. e la 2. divisione. - Si interrompe un secondo. Sorride. - Iniziai la campagna di Polonia come ufficiale di fanteria, poi fui mandato lungo la linea Maginot, dove il corpo a piedi era praticamente inesistente. Mi posero a capo di una Schütz-Brigade, che oggi rientra nella Panzergrenadier, come supporto alla divisione corazzata e finii per improvvisarmi carrista. L'anno prossimo farò domanda presso la Luftwaffe, così potrò dire di non essermi fatto mancare nulla. - Rido alla sua battuta, pur sapendo che ne sarebbe persino capace. 

- Quindi lo sai guidare un carro armato... - Intuisco che è esattamente qui che voleva arrivare; è in questo frangente che si è distinto tra gli altri, altrimenti che ulteriore motivo avrebbe avuto di slittare da un reparto all'altro... 

Il suo viso, nel ricordare quelle giornate, s'adombra e scatta qualcosa nella tranquillità dei suoi occhi, un dolore che riesce a perforare la dura corazza di soldato. 

- A Stomme ebbe luogo una battaglia tra carri e fanteria, una battaglia lunga e sanguinosa, in cui perdemmo molti uomini valorosi... La difesa francese a guardia del bosco di Raucourt si rivelò più strenua del previsto. Io e la mia brigata eravamo in prima linea... fu terribile. Ci imbrattammo il volto di fango per renderci meno visibili, ma non avemmo neppure il tempo di scavare buche nelle quali nasconderci. Procedemmo quasi alla cieca... strisciavo come un verme per non farmi localizzare e poi, non appena anima viva si approssimava sufficientemente alla linea di fuoco, urlavo ai miei uomini di sparare a raffica, fin quando non avessi avuto libera la visuale. Non gli chiesi di mirare al cuore o alla testa, perché in quel caos infernale era impossibile. - Si pizzica tra le dita l'attaccatura del naso, serrando violentemente le palpebre. Io aspetto, perché so che è questo che vuole, così come so che ha bisogno di confidarsi a mente lucida, senza venir distratto dal ricordo di quel che ha vissuto sul fronte occidentale. Schiaccio il suo berretto sulla fronte, assicurandomi che non mi caschi nel piegarmi sul materasso. 

Non dico nulla per non mettergli fretta, tuttavia, distendo il braccio, accarezzandogli il retro della coscia. 

- Il suolo era ricoperto di schegge di legno, tronchi spezzati dai cingoli e sangue, pozze vermiglie che si mescolavano col terriccio, in cui erano immersi arti mozzati e viscere. L'ultima volta che mi voltai, Adelbrecht correva all'impazzata tra i boati delle granate che piovevano ad un palmo dai suoi piedi; era un mio compagno d'arme, quello a me più caro. Aveva lasciato la sua posizione, perché voleva distruggere l'autoblindo che ci aveva sotto tiro. Quando il suo corpo cadde a terra, lui era ancora vivo e agonizzava senza possibilità di venir recuperato dai soccorritori. L'ultimo colpo fu mio... - La sua gola si contrae per il magone, anche se i suoi occhi liquidi non si sciolgono del tutto. 

Il senso d'impotenza, la disperazione... Sono emozioni che conosco bene, sebbene io, in un certo senso, sia stata graziata: Fried mi ha abbandonata lontano dal mio sguardo, per mano sua e non per mano mia. 

E se avessi dovuto sferrargli io il fendente mortale, sarei morta prima di poterlo fare. 

- Ero sicura che avessi sofferto anche tu... non sapevo quanto. - " Mi dispiace ", parole vuote di finta compassione. Non avrebbero alcun valore e, per questo, le taccio. - Posso aspettare domani, o quando vorrai. - 

- Mi fa bene parlarne e mi fa star bene ricordare. - Ritratta, facendomi ritendere l'orecchio in ascolto. - Stonne si può equiparare a Verdun; ci fu un imponente dispiegamento di carri, da entrambe le parti. Furono loro i veri protagonisti, che si affrontarono in campo aperto. La nostra artiglieria era appostata sulla linea di cresta; cannoni controcarro, mitragliatrici, obici, mortai... Nuvole di fumo nero si nobilitavano dai mezzi abbattuti dai cannoni: il rumore era assordante; ogni metro conquistato su quel terreno era un miracolo... L'infanterie Großdeutschland era il reparto più esposto e subì perdite massicce; noi, più lontani, eravamo bersaglio dell'artiglieria nemica, ma avevamo la possibilità di ripiegare nel bosco, qualora lo avessimo ritenuto necessario. C'era un carro a quattrocento metri, uno dei nostri Panzer IV... - Mi alzo sui gomiti, scalpitando per conoscere il seguito. Quasi simultaneamente, lui sospende la narrazione e si umetta le labbra, cadendo preda delle sue pulsioni. 

- Qualcosa ti distrae? - Chioso, fingendo di non sapere dove sia ricaduto il suo sguardo. - Va bene, mi rimetto giù. Come continua la storia? Ti prego, sai quanto sono curiosa! - Lui, che pare essersi risvegliato da un sogno, riprende il filo, anticipandomi che ciò che lo spinse ad agire in un determinato modo fu genuino senso di responsabilità, che nulla aveva a che fare con il desiderio di primeggiare. 

- ...Era stato colpito al fianco destro; io, che avevo a tiro un cacciatore, vidi la vedetta fuoriuscire dal portello e gettarsi giù dal carro; agitava le braccia e si rotolava nell'erba per estinguere le fiamme che gli avevano intaccato la divisa. Il Panzer fumava, emetteva una sorta di brontolio metallico che non era che un ronzio fastidioso, a confronto. Restai pietrificato, con il dito ancora poggiato sul grilletto dopo aver sparato a casaccio; poi mi dissi che quel ragazzo era vivo, che a casa aveva anche lui una famiglia ad attenderlo e, così come avrei cercato di salvare Johann, avrei dovuto soccorrere quel ragazzino. Era piccolo, più giovane di me e lo stavo guardando bruciare. - Il lenzuolo si imbeve di lacrime evanescenti. Alzo gli occhi verso di lui, che a sua volta mi guarda, come in un cenno d'inconsapevole complicità. 

Ecco perché non osò rimproverarmi il giorno in cui per poco non sacrificai la vita nella vana speranza di salvarne un'altra... Perché lui, molto prima di me, aveva fatto lo stesso; si era immedesimato in me, ritrovando il suo stesso pensiero nel mio e, nonostante avessi gettato fango sulla sua reputazione per un prigioniero già condannato a morte, non mi diede addosso. Mi raccolse da terra come un uccellino ferito e mi sciacquò il viso cinereo. 

Tacque. 

- Abbandonai il fucile e corsi, tra il fischio dei proiettili perforanti che s'infrangevano brutalmente contro il metallo e il ruggito dei carri; zompavo come una ghiandaia da una parte all'altra per evitare di saltare per aria. Quasi volai per cercare di attraversare quella sorta di " Terra di Nessuno ", ma sopravvissi anche per merito dei miei compagni, che mi fornirono fuoco di copertura. Quando gli fui abbastanza vicino, lui si trovava all'ombra del carro immobile, sdraiato per terra; il fuoco era spento, ma si era ferito ad una gamba lanciandosi dalla torretta: gli feci passare il braccio sulle mie spalle, attorno al collo, così da poter sostenere il suo peso e gli chiesi di farsi forza sulla gamba buona per aiutarmi... Da quei secondi sarebbe dipesa la nostra vita. - Si rigira tra le dita la croce di ferro, come se la vedesse per la prima volta. La rimira attraverso lo specchio, stoico come un soldatino di piombo. Io, nel venire a conoscenza di questa sua impresa, me ne sento attratta, ma non solo fisicamente, perché ciò non è dovuto alla sua bella divisa, ma in una maniera del tutto nuova, frutto della suggestione. 

Come una falena che si approssima ad una lucerna e, al contempo, mantiene le distanze, per non rischiare di venir accecata dalla sua luce. 

 - Tre carristi che vi erano all'interno, temendo di venir annientati da una seconda esplosione, tentarono di uscire sui lati, venendo falcidiati dalle mitragliatrici. Piovvero corpi tutt'intorno a noi: erano nel panico; li avvisai, ma non mi diedero ascolto. Quello che mi caricai in spalla, riuscii a trarlo in salvo e a portarlo dietro la nostra linea, tuttavia, sapevo che il mio compito non era ancora giunto al termine. Ce n'era un altro; me ne resi conto quando sentii un rumore provenire del Panzer, danneggiato, ma ancora in funzione. - 

- Sei tornato... - La mia voce è un soffio dolce, che racchiude tutta la mia ammirazione. 

- Sì, quel fortunato figlio di puttana ne era uscito praticamente indenne. - Capisco che quell'appellativo sia giocoso quando lo vedo ridere a fior di labbra. - Io, per entrare in quel buco, per poco non ci rimisi il cranio. Il colpo mi sfiorò appena, ecco da dove salta fuori la cicatrice sopra all'orecchio. - 

Pensare che, a primo acchito, mi era sembrata una sforbiciata andata male...  

- E dopo? Come avete fatto ad uscire? - 

- Non siamo potuti uscire; sapevamo entrambi che, presto, ci avrebbero inflitto il colpo di grazia. Non so chi tra loro ebbe l'accortezza di portarsi due sacchi di sabbia a bordo ma, quando scesi, lui mi urlò di prendere postazione e caricare il cannone. Faceva caldo, caldissimo; più che nel nord nella Francia pareva di trovarsi nel mezzo del deserto del Sahara: bruciavano gli occhi per la fumaglia che si era andata a creare, ma la sua frenesia nel gettare secchiellate di sabbia sull'incendio ci concesse una manciata di minuti vitali. - Replica, suscitandomi stupore e meraviglia. 

- Come hanno fatto a non colpirvi? Ne avete abbattuto qualcuno? - 

- Quello che ci stava alle calcagna, più altri due; lui prese il posto del pilota e ci andò di fortuna: in due, in condizioni di semi-mobilità, con un rogo non del tutto domato a roderci il didietro... non fu affatto male come risultato. Dopo averlo intaccato, dovemmo darci alla fuga per non arrostire. Quando tornammo in patria, ricevette anche lui un riconoscimento, mentre la mia medaglia, la Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia e Spade, mi venne assegnata in base ai meriti che mi furono attribuiti nel corso dell'intera campagna. -  

Non fu affatto male? Vuole scherzare, spero. È incredibile... E lui è un eroe a pieno titolo. Non credo di averlo mai pensato fino in fondo, ma oggi mi ha dato un motivo per essere orgogliosa di lui, sì, proprio lui, che ora porta la divisa da parata e firma condanne a morte dietro ad una scrivania. Era stato un uomo virtuoso, un uomo d'onore e le circostanze lo hanno condotto qui; per questo, mi rincuora almeno un po' sapere che lui, tuttora, preferirebbe trovarsi in mezzo a quel marasma che è la guerra " calda ", piuttosto che in un campo di lavoro. 

- Sì, dovresti darti all'aviazione - scherzo, una volta avutolo di fronte. - Sono così contenta... - Fremo contro il suo stomaco, arricciandomi come un tenero animaletto. 

- Il giorno in cui annunciarono il mio ritiro dalle armi, la considerai una degradazione, ma se c'è una cosa per cui non maledico quest'incarico, è l'aver conosciuto te. - 

A quale prezzo... Il nostro amore è la sola cosa che salverei, se potessi cancellare tutto il resto. 

- Dimmi che resti - il cielo notturno è terso, meravigliosamente stellato. Non voglio neppure che scenda le scale per paura che possa incontrare Schneider; ho fiducia nelle sue capacità, dopotutto è nato per guerreggiare, ma ho avuto modo di constatare sulla mia stessa pelle quanto il rosso sia furbo e rapido nel muoversi, oltre ad avere un occhio fino, in grado di cogliere ogni minuzia. 

- Non hai fame? - 

- Potrei mangiare te. - Sulle sue labbra si apre un sorriso malizioso e retrocede, colpito, poiché non si sarebbe mai aspettato una simile provocazione da parte mia. 

Ma io non sono un tenero " fiorellino ", così come mi aveva soprannominata Rüdiger, ma una donna fatta di carne che vuol essere trattata al pari delle altre, anche se con quel pizzico di sentimento in più, che renderebbe unico un atto di per sé istintivo. Non è mia intenzione raggiungere la catarsi, né negarmi a lui, se non sarà questo che mi comanderà il cuore. Ed è per questo che traggo piacere nel vederlo positivamente sorpreso. 

- Mi piace come idea. - Se questo basta per tenerlo legato a me, senza causare ulteriori danni a noi o ai ragazzi, sarei più che felice di soppiantare il Conte Dracula e morderlo giocosamente. 

- Torna qui allora, anche con l'uniforme, non fa niente. - La croce di ferro viene riposta sul comodino, il paio di galoche ai piedi del letto; lui sale sul materasso a gattoni e si sfila il cinturone con la fondina, vuota, che ricade sul pavimento con un tonfo. Subito mi rannicchio al suo fianco, indagando il tessuto grigio con i polpastrelli. - L'altra è più morbida... ironico. - Commento, trovandolo sensato, ma contraddittorio: la divisa di un ufficiale delle SS è scenografica, incute terrore ed è di ottima manifattura, griffata persino, dal momento che fu partorita dalla mente di Hugo Boss, il noto stilista. La divisa nera è sempre immacolata a contrario di quella dell'esercito regolare, perché i suoi componenti non sanguinano, non si rotolano nella polvere né annaspano nella terra bagnata dalla pioggia. - Loro sono al sicuro? - 

La sua mano, prima stretta in una carezza sulla curva dolce del fianco, ritorna sul materasso, dove incontra la mia.  

- Per come lo conosco io, non credo che gli nuocerà ora che lo hai reso nervoso. Non uccide con questo umore, di solito. - 

Confortante! Adesso sì che sono preoccupata, visto che finora non ha quasi mai attuato secondo le mie previsioni. È una persona imprevedibile; aveva giurato che non mi avrebbe uccisa e, invece, il grilletto lo ha premuto lo stesso.  Sarei morta, se non mi fossi spostata. 

- L'ungherese è tornato a Birkenau. - Sac... Perché? Di nuovo in balìa di quei mostri che lo vogliono distruggere, oltre che dei prigionieri stessi, che lo reputano un traditore e vorrebbero vedere la sua testa in un nodo scorsoio... Che ha fatto mai quel ragazzo per meritare una sorte così avversa? 

- È stato lui o sei stato tu? - Il dubbio mi fa prendere le distanze, rendendomi apatica anche di fronte alla sua indignazione. 

- Sapevo che, se lo avessi allontanato io, tu avresti reagito così... ed è per questo che non l'ho fatto. - Ribatte, innervosendosi. - Vieni qui. - Solo dopo aver capito che la sua reazione non avrebbe portato a nulla, se non a farmi spaurare, abbassa i toni, addolcendosi. - Per favore. - 

- Guardami. Non è sufficiente a farti capire quanto io ti adori? - 

- Tutti ti amano e tu ami loro, ma io vorrei il tuo amore per me soltanto. - Si giustifica, scostando il lenzuolo e stringendosi al ventre scoperto, valle tenera in cui maturerà il frutto della nostra unione. 

- Non essere sciocco, lo sai. - Lo ammonisco, stringendogli i capelli tra le dita, che dapprima mi sfiorano le costole, poi la pancia. - Reiner... - 

- Domani a pranzo ci abbufferemo, promesso. - 

Eppure io non avvertivo fame, né sete, né tantomeno sonno, perché tutto ciò di cui avevo bisogno era là ed è qui ancora adesso che mi sono svegliata. È un evento raro che io mi sia alzata prima di lui. Il mio soldato riposa sereno; il petto si solleva ad intervalli regolari, l'aria incanalata fuoriesce dalle narici come uno sbuffo. Mi è andata bene che lui non russi, ma spesso, quando riposa supino, respira in modo buffo: inspira con una certa avidità, come se gli mancasse il fiato. Non so a cosa sia dovuto; a quanto mi ha detto, non soffre di alcuna patologia, per cui posso solo ipotizzare che abbia inalato tanto di quel pulviscolo e polvere pirica da convincersi inconsciamente di poter soffocare, qualora non immagazzinasse abbastanza ossigeno. 

Non appena sento bussare, la mia colonna vertebrale fa un guizzo, scrocchiando sinistramente. Io arretro, rivolgendo alla porta chiusa uno sguardo di puro terrore. 

Reiner continua a dormire; mugugna qualcosa nel sonno, ma gli occhi non li dischiude. 

- Aprite signorina, sono io. Vi porto la colazione. - Oddio, Ariel! Posso tirare un sospiro di sollievo... 

- Arrivo! - Ma dove accidenti sono finiti i miei vestiti... guarda qua che casino! Sono le sue mutande quelle che pendono dalla maniglia? O prendo in prestito qualcosa di suo o sradico il lenzuolo e mi ci copro alla buona. Sinceramente, non mi sento di svegliarlo in un modo così " brutale ", per cui mi metto addosso la sua camicia e vado ad aprire. C'è un leggero imbarazzo tra noi: mi sono rimboccata le maniche per non scomparire in quello che, dal mio punto di vista, è un vestito troppo largo, mentre Ariel, che attraverso lo spicchio visibile di stanza, è riuscito ad intravedere le beltà esposte del comandante, è arrossito ed ha chinato il capo con fare colpevole. 

- Non è come sembra. Ecco... noi non abbiamo... insomma... - 

- Non vi dovete giustificare. - Risponde lui, attaccandosi il vassoio al petto e facendo tintinnare le tazzine con il caffellatte e il piatto di bomboloni farciti. 

Hanno un aspetto squisito.   

- Non ti faccio schifo? - Mi devo asciugare in fretta il viso per ripulirlo da quelle che, in fondo, sono lacrime di vergogna. 

Ariel subito spalanca gli occhi, incredulo, ma poi mormora qualcosa di rassicurante, senza utilizzare l'impersonale formula di cortesia. Egli, infatti, mi ha detto che non dovrei piangere su ciò che mi rende felice in nome di una credenza, che non c'è nulla che si possa definire " immorale " in me, addirittura, che non ho colpa. 

Al sentirlo, la voglia di abbracciarlo è tale che, dopo avergli sfilato il vassoio dalle mani e averlo poggiato a terra, mi decido a cingergli la vita magra e ad accostarmi sul suo petto. È spigoloso, come se avessi premuto la testa contro il suo scheletro e non contro la carne. 

Dopo un attimo di impaccio, ricambia anche lui, pur mantenendosi distaccato, come lo ritiene consono. 

- Ti faranno bene un po' di zuccheri. - Statuisco, facendogli capire di dover prendere un dolce. - E a pranzo conservami una seconda porzione; la lascerò a te. - 

Ho generato un tale fracasso con tutte queste stoviglie, che mi stupisce il fatto che Reiner non si sia ancora svegliato. Doveva essere stanco; non so cos'abbia dovuto fare per cercarmi, ma quello sforzo deve avergli richiesto molte energie, per aver ridotto così uno che è sempre scattante, in piedi fin dalle prime ore dell'alba... 

Adagio delicatamente il plateau sul comò, ridacchiando nel sentirlo borbottare di nuovo. Mi sistemo una ciocca dietro all'orecchio, avvicinandomi al letto e cercando di far passare una gambe oltre al suo bacino, così da potermi sedere a cavalcioni. Prima di poterlo fare, però, mi ci vedo trascinata da lui, che sorride sornione. Ho trattenuto un gridolino, ma gli ho comunque tirato un pugno sulla spalla per ripicca. 

- Stronzo! - Lo apostrofo, incrociando le braccia. - Da quanto sei sveglio? Hai sentito la conversazione, immagino. - 

- Non credevo che cercassi la loro approvazione. - Diventa serio per un istante, accarezzandomi la guancia con il dorso della mano. 

- Non influenza quel che provo per te, solo la considerazione che ho di me. - Sarei voluta ricadere sul suo petto per non farmi vedere, però lui ha voluto diversamente: mi ha spinta all'indietro, riportandomi nella posizione iniziale. 

- Ti sto facendo del male standoti accanto? - Ma che dice... È stata la sua costante presenza ad impedirmi di impazzire; è stato lui ad avermi offerto una seconda possibilità di essere felice, lui ad avermi fatto da " maestro di vita ". 

Prendo il suo viso tra le mani, come un calice e lo bacio teneramente. Temendo che non mi renda il bacio, resto incollata alle sue labbra e gli artiglio le spalle nude, singhiozzando; lui non ricambia subito, mi tortura, facendomi morire sulla sua bocca nell'attesa di una reazione. Tremo con gli occhi sigillati, ansimando nel sentire il suo corpo aderire pian piano al mio: il mio stomaco si dibatte affannosamente contro i muscoli addominali, come un pesce sottratto al mare, fin quando una carezza non ne affievolisce il tremolio. 

- Vuoi sentirmi dire che ti amo? - I suoi occhi guizzano nei miei, esposti ad una luce che li rende d'oro; rassomigliano alla terra spaccata dal sole, che sboccia per pochi e da frutti dal sapore di miele. 

- Sarebbe carino. - 

- Io odio i nazisti; per me potete crepare, pure oggi! tant'è che vi odio tutti quanti, tutti a parte te e solo perché non riesco a fare a meno di amarti. Per cui sì, ti amo oltre ogni umana razionalità. - Volevo punirlo per quello " sgarro " e la sua espressione sbigottita mi ha ripagata della durezza con la quale mi sono rivolta a lui... È anche vero, però, che le parole che gli ho dedicato erano sì aspre, ma anche sincere e profonde e lui non è riuscito ad offendersi. 

- Aspetta di prendere un Krapfen e vedrai come ti riduco quel musetto impertinente. - Su entrambi i nostri volti si dipinge un sorriso di sfida, con il risultato di esserci quasi ammazzati per prendere quei dolci, finendo per cospargerci di crema, olio di frittura e zucchero. 

- Oh mamma! Potevi versarmi addosso anche il latte, già che c'eri. - Passo le mani sulle braccia, trovandole cosparse di glassa appiccicosa. 

- Dai, che ti ho fatta sorridere! Quel disastro li vale tutti... - 

 

 

 

 

 

Angolino autrice: 

Eccomi tornata, come promesso, con un giorno di anticipo. Pubblicherò regolarmente, una volta a settimana o meno. Ringrazio già da ora tutti coloro che hanno continuato a seguirmi e supportarmi. Alla fine della storia, elargirò biscotti al burro telematici a tutti i miei lettori e lettrici ^^. 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Lebensborn - sorgente di vita ***


 

 

 

La colazione è veramente il pasto più importante della giornata, così importante da averci spinto nella doccia per liberarci da un altrettanto importante strato di untura zuccherosa. 

Chiunque ci avesse visti, l'avrebbe considerata una cosa rivoltante, ma pur di non sprecare nulla, io mi sono divertita ad usare il suo stomaco come piatto e tavolino, mentre lui si raccoglieva sulle dita la crema che ancora mi colava lungo il collo. 

- Facciamo schifo - enfatizzo, strofinandogli i capelli impastati. 

- Avresti preferito deprimerti tutto il giorno? Già dovrò trattenermi quando incrocerò quella faccia di cazzo! - Stressato, batte un pugno contro la parete, ringhiando qualche altro sproloquio dialettale. 

- Sì, forse è stato meglio così. - Convengo, continuando a tenere d'occhio l'anello di fidanzamento poggiato sul lavandino. - Sembra bizantino. - 

- Lo è l'originale... La mia famiglia ne ha commissionato una copia intorno al seicento o settecento, perché non si usurasse. Forma parte del nostro patrimonio, è al sicuro in una cassaforte. - 

Più parla della sua famiglia, della residenza ducale di Dresda e dei suoi possedimenti e più mi sento indegna di lui, socialmente parlando. Contadinella, plebea, zotica... Persino Rüdiger, quando ancora mostrava un accenno di affetto nei miei riguardi, mi considerava figlia di nessuno, nonostante lui, oltre al denaro, non avesse nulla da rivendicare. Reiner può vantare i gradi di colonnello, la posizione all'interno dell'alta società, l'appartenenza ad uno dei pochi rami non decaduti della nobiltà; la sua famiglia ha accresciuto il suo potere sfruttando le nuove politiche economiche importate dall'oltreoceano e il sistema capitalistico in sé, che ha facilitato la loro transizione da proprietari terrieri a industriali. La capacità di vedere oltre, di evolversi a costo di rinunciare agli antichi privilegi, gli ha consentito di sopravvivere e riconfermarsi " Signori " in mezzo a schiere di aristocratici caduti in disgrazia. Il suo odio nei confronti del comunismo non è cieco: la Rivoluzione Russa non solo ha portato ad una dittatura del proletariato, ma ha fatto sì che la classe dominante venisse espropriata dei suoi beni e costretta all'esilio. Particolarmente sanguinosa, fu poi la vicenda dei Romanov, che vide il massacro dell'intera famiglia regnante. Tuttavia, il nuovo ordine sociale non si scagliò solo contro i nobili, ma anche contro i " contadini " ricchi, i cosiddetti kulaki, che furono tra i primi ad essere internati nei gulag. 

Fin qui ci sono. Ha anche senso se messa in questi termini, ma gli ebrei? Il motivo di tanto disprezzo mi è tuttora oscuro. 

Ho sempre la testa tra le nuvole; il più delle volte, lui se ne accorge e si mette ad agitarmi una mano davanti agli occhi... oggi no, oggi ha ben deciso di farmi sobbalzare. 

Brucia, brucia! 

Lui mi prende pure in giro, ma sul mio fondoschiena non tarderanno a comparire le sagome di tutte e cinque le dita che adesso gli coprono la bocca, piegata in un riso beffardo. Ride ride e come ride! Non il soffio d'una boccata d'aria ad interrompere questa sua ilarità e lui si sganascia, fino a quando non gli sibila il respiro. 

- Scemo! mi hai fatto malissimo! - Se proprio avesse voluto marchiarmi, avrebbe potuto fare più piano! L'impatto avrà ucciso almeno un milione delle mie cellule cutanee. 

- Prinzessin, hai proprio una voce dolcissima ma, quando urli in quel modo, sembri un gattino a cui è stata pestata la coda. - Oh, gli posso garantire che tra un minuto non riderà più così tanto... Addolcisco lo sguardo solo in facciata, per poi avventarmi contro di lui, o meglio, contro le sue parti basse, come la più spietata delle creature che popolano Sumatra. Un ululo acuto da parte sua si eleva ben oltre il mio precedente gridolino, facendomi gongolare come un cattivo dei cinecomics. 

- Tra ieri ed oggi i " gioielli di famiglia " sono un tema ricorrente, eh? - Solo a vederci, si direbbe impensabile che io possa prevalere su di lui a livello fisico ( e la prima a dirlo, di solito, sono proprio io ) ma adesso è lui ad essere vulnerabile, strepitante, e posso tranquillamente dire che i ruoli si siano invertiti. 

Peccato che non sia sadica... mi sarei potuta divertire per un altro po'. 

Allento la presa man mano, osservando con interesse i mutamenti sul suo viso, i muscoli che si rilassano, la bocca che si distende. 

- Mi hai ferito. - Mormora, finalmente libero dalla mia morsa. 

- Beh, che ti aspettavi? " Pan per focaccia " si dice da noi. A proposito... Devi fare qualcosa oggi? - Il suo prender tempo mi fa intuire quale sia la risposta e non mi piace. Da quando mi ha raccontato la sua storia, lo avevo guardato come un soldato, un soldato nemico sì, ma pur sempre un uomo con dei principi, che combatteva per uno scopo nobile. Il nazista lo avevo accantonato, come se fosse un lato repellente, dal quale mi estraniavo e dal quale volevo che lui si estraniasse. 

- Avevo promesso che non ti avrei lasciata più sola, ma nel luogo in cui dovrò andare io, tu non ci vorrai nemmeno metter piede. - 

E dove allora? Nella camera a gas? Perché se pensa che me ne starò buona e tranquilla pur dovendo sentire le loro urla dall'altra parte, si sbaglia di grosso. 

Resto in ascolto, asciugandomi i capelli con un panno. 

- Tra un'ora è previsto l'arrivo di un convoglio dalla Francia. Dovrò assistere al processo di selezione, almeno una parte. - 

- Sei uscito mentre dormivo, vero? Ti è stato chiesto di sostituire il rosso - ipotizzo, non trovando altre ragioni. 

Non è possibile che non me ne accorga, ma quanto è pesante il mio sonno? Da quando sono qui, collasso, poco importa se ho dormito due, sei o quindici ore. Alla sera sono stanca e, se non ci fosse Reiner a tenermi sveglia, mi addormenterei subito. Il mondo dei sogni è un ottimo rifugio, fin quando non si infesta di incubi, spesso troppo reali, tanto da potersi definire ricordi, piuttosto che incubiStanotte ho visto una successione di immagini orribili, che ho visto realizzarsi in concreto. Non sono nemmeno più sogni, il lager mi ha privato anche di questi. 

- Ti posso affidare a qualcun altro, se preferisci. Dammi solo il tempo di trovare una soluzione. - 

- No, sai che Schneider troverebbe il modo di intromettersi. Tu sei l'unico suo parigrado, teme solo te e può sottostare solo a te, per via della tua posizione. - Neanche lui sembra entusiasta all'idea di portarmi con sé, ma non abbiamo alternative: finché vivremo, o sopravvivremo, ad Auschwitz, dovremo dormire con gli occhi aperti ed io dovrò camminare con il paraocchi come i cavalli per non soffermarmi dove il cuore lo richiederebbe. 

Ed oggi... Oggi lo richiede anche più di altre volte. 

I vagoni trasportavano centinaia di civili, tra cui donne e tanti, tantissimi bambini. 

Nel vedere come venissero tirati giù, come bestie da soma, mi sono indignata profondamente, e non perché non avessi mai visto scene simili, bensì per il fatto che anche contro i bimbi più piccoli venissero aizzati i cani e che non gli fosse concesso nemmeno un ultimo atto di pietà, prima che venissero inevitabilmente scartati alla selezione. Stavo e tuttora sto guardando uno sciame di disperati, che ancora non sa d'esser destinato a bruciare di qui a poche ore nelle fosse comuni. Io, invece, sarei rimasta in vita e avrei visto le loro ceneri fioccare sul terreno come neve estiva. 

Sento di poter svenire, devo ricacciare in gola l'amaro per non dar l'impressione di star piangendo le loro sciagure: mi era sempre parso giusto rassicurarli, mentirgli per non infrangere per sempre i loro sogni, eppure ora come ora non ne sono più sicura. È un'ipocrisia inutile, che potremmo risparmiarci... Un inganno, proprio come quella scritta, "il lavoro rende liberi ". Non è una bella morte quella che li attende; non è dolce come tutti si aspetterebbero considerando un'intossicazione da monossido di carbonio. Queste persone non hanno dimenticato di chiudere la manopola del gas, non stanno dormendo. Saranno compressi in uno spazio irrisorio, insieme, lucidi soprattutto. Lo Zyklon B compromette ogni funzionalità del nostro corpo, ci fa soffocare uccidendoci nella miseria, immersi nei fluidi corporei di quelle centinaia che non sono più in grado di controllarsi. Da quella porta escono cadaveri rossi, gonfi o con gli occhi fuori dalle orbite, solo per poi subire l'ennesima degradazione, anche da morti. 

Reiner sta analizzando la situazione con occhi vigili, scorrendo in mezzo a quella lunghissima fiumana fino al primo, in coda davanti al medico che stabilità il suo destino. Tra la vita e la morte, vi è soltanto un suo gesto della mano e quell'uomo in camice, in questo momento, risulta essere quanto di più prossimo ad una concezione blasfema di " dio ". 

Non vi è alcuna mutazione nello sguardo di Reiner, del mio Reiner, che nel sentir piangere intere famiglie non si scompone, sorvolando quelle scene strazianti con la stessa leggerezza di chi osserva degli scarafaggi impagliati in un espositore. 

Tanto sono già morti, quello che si dicono tutti ammirando le teche collocate negli zoo e nei musei, quello che probabilmente sta pensando anche lui. 

Si accorge del mio sguardo amareggiato e si piega dinnanzi alla mia disapprovazione, come se fosse stato quello a fargli aprire gli occhi, a fargli capire d'esser diventato qualcos'altro al di fuori di sé. 

- Aspetta, quel ragazzino... - Il giovanissimo ragazzo in questione, è lì da più tempo di quanto avrebbe dovuto sostarci e il medico gli sta ponendo delle domande per capire se sia idoneo o meno. 

Wie alt bist du? 

Il ragazzo non parla tedesco; si volta indietro per ricevere un suggerimento, ma è solo, nessuno risponde. 

- Sechszehn. Mir scheint, dass er sechszehn Jahre alt ist. / Sedici. A me sembra che lui abbia sedici anni. - Intervengo, cercando di mettere una buona parola affinché venga lasciato vivere. Naturalmente non è vero; non ha i miei stessi anni, ma quindici, quattordici forse. È ben piazzato però, anche più di un ragazzo della sua età, e gli va data questa possibilità, una possibilità di salvarsi, cosa che al fratellino di Isaac era stata negata. 

Questo è per Yonathan. 

Non è sufficiente che una ragazzina si opponga per poter scongiurare un omicidio. La presa di posizione del comandante si rivela cruciale. Egli, che dovrebbe prender nota delle diverse fasi della selezione e di come queste vengano organizzate, fa presente al dottore che il ragazzo sia effettivamente abile al lavoro e che sarebbe più conveniente graziarlo ora, che è ancora sano e forte. 

Una strategia quasi sempre vincente la mia, quella di affidarmi a lui. Il ragazzo supera il controllo e viene indirizzato verso il gruppo di futuri prigionieri. 

- Ti ringrazio - mi appoggio al suo braccio e immergo il viso nella sua divisa, sperando che anche lui, per oggi, ne abbia avuto a sufficienza. 

Ora è il turno di una giovane donna, che si fa avanti con un fagotto di stoffa premuto sul seno. Dalla bandana che le oscura il volto, emergono due occhi che mi paiono scuri, rivolti a me e non al dottore che dovrebbe esaminarla. Qui s'incontra lo sguardo mio e di Reiner, in simultanea, e la donna stessa, sfidando le guardie e i loro cani da pastore, cammina a passo svelto verso di me. Impartisco un ordine per la prima volta ( in pubblico si intende ) e, stranamente, mi viene dato ascolto: la ragazza si può avvicinare. Lei mi guarda dritto negli occhi e mi consegna il bozzolo, affidandomelo. 

- W imię Boga, ratujesz go. / In nome di Dio, salvatelo. - Non saprò parlare la sua lingua, ma posso immaginare cosa mi abbia chiesto: il gigantesco baco da seta scalcia, il che dimostra che non è una creatura morta che avrebbe la pretesa di sembrar viva, ma un essere vivente in piena regola. Un neonato. Nonostante mi tremino le mani per lo shock e non sappia come tenerlo, non oso restituirglielo, soprattutto, per paura di cosa potrebbe accadergli. 

Lei fa un passo indietro, Reiner uno avanti per assicurarsi di non esser stato vittima di una qualche allucinazione. 

Il bambino continua a riposare, placido tra le mie braccia. Un lembo della copertina con cui era stato avvolto gli scopre un ciuffetto di capelli biondi, come quelli di sua madre; istintivamente, mi viene da ripararlo con la mano, per impedire che la brezza fredda dell'est gli sferzi sul viso, facendolo ammalare. 

Un tedesco si fa avanti con aria minacciosa, per sottrarmelo, ma il piccolo non si agita, non si sveglia neppure. Corro all'indietro per sfuggire al nazista eppure, a discapito della turbolenza, nulla, neanche un lamento. 

- Halt! Du wirst kein Kind vor ihr töten. Wir sind Soldaten, keine verfluchten Metzger. / Fermo! Non ucciderai un bambino davanti a lei. Siamo soldati, non fottuti macellai. - Lo riprende Reiner, dopo essersi voltato ed aver visto due grossi goccioloni defluirmi lungo le guance. Lui è costretto a retrocedere, non senza polemiche. - Überlasse es ihr, ich regle das. / Lasciaglielo, ci penso io. - 

Che cosa avrebbe voluto fare, eh? Quella donna è qui... avrebbe avuto il coraggio di prenderlo, lanciarlo in aria e sparargli, come avevo letto in certi reportage di guerra? 

Mai finché avrò vita. Tuo figlio non verrà straziato, non verrà usato come bersaglio per il tiro al piattello. 

- Salvala. Ora che non deve più occuparsi di lui, falla passare a destra. È giovane, sembra robusta... può lavorare. - Mi sono sempre rivolta alla creatura come fosse un lui, dando per scontato che sia maschio, pur senza averne l'assoluta certezza. Non so, me lo sento nella pancia... E mi sento legata a questo bambino; avverto un bisogno quasi ancestrale di proteggerlo. 

Reiner assente quasi subito, perché lo giudica sensato o per pura commiserazione. Lei invece, che si inserisce nella fila dei salvati, ha gli occhi lucidi, certamente per il dolore della separazione, ma credo anche per la gioia d'avere almeno la speranza che il figlioletto si salvi. 

È rimasta in silenzio fin quando non è scomparsa in mezzo agli altri.

Non mi ha comunicato neanche il suo nome. 

- Che intendi fare con questo bambino? Non vorrai portartelo in casa. A casa di Schneider, mi correggo. - 

- Tu invece? Che vuoi fare? Non ti permetterò di soffocarlo... - Chiarisco fin da subito, ricordando il modo in cui aveva giustiziato Michael. - Non te lo perdonerei mai. - 

- Lo so. - Reclina il capo all'indietro, passandosi una mano sul viso. - Forza, torniamo in macchina. Un'ora mi è più che sufficiente per giudicare. - Sento i loro occhi sulle mie spalle, sulla creatura che cullo tra le braccia come fosse mia... avvoltoi, che non accettano la sovranità del nuovo predatore, il leone di Buchenwald. 

- Ci affideremo al progetto Lebensborn. - Enuncio, dopo aver appoggiato la schiena al sedile. Lui, che stava esaminando il bambino con glaciale serietà, batte le ciglia come stordito, balbettando per la prima volta da quando l'ho conosciuto. - So che stai pensando: " come fa a sapere ", ma ti posso assicurare che tu non sia l'unico ad essere ben informato. Me ne aveva parlato Friederick; una sua amica era stata selezionata per dare alla luce un figlio " puro ". - Ho guardato negli occhi il mio amore e gli ho mentito. Mi sento un verme per averlo fatto. Ho appreso da Rüdiger uno dei suoi trucchi: mi sono focalizzata su un punto indefinito, sulle sue nere pupille, lasciando navigare la mente altrove, così da riuscire a non deviare lo sguardo e a risultare comunque convincente. Reiner mi conosce bene ormai e forse riesce comunque a decifrare la menzogna oltre alla sicurezza costruita attorno a quel muro di carta, ma lo ignora, colpito dalla mia ferrea volontà di infrangere la barriera dell'impossibile. 

- Continua. - 

- Guarda com'è biondo! Se avrà anche gli occhi di sua madre, non avremo difficoltà nell'incaricare una di quelle cliniche della sua custodia. Verrà affidato ad una famiglia tedesca, allevato come un tedesco in tutto e per tutto; non saprà mai chi era, da dove proveniva e di chi era figlio... Non farti strane idee, commetteremmo un crimine orribile nel privarlo della sua identità, ma non vedo altro modo per poterlo salvare. - Il bimbo emette un vagito, emergendo dalla copertina. Sonnecchia ancora, abbastanza insonnolito da permetterci di proseguire senza venir gravati da quell'ulteriore peso. 

- Di solito non vengono pescati dai campi di concentramento. - Obietta, contrariato, ricordandomi la sua provenienza. 

- Potrebbe esser figlio tuo. È carino. - Ammetto, accarezzandogli la testolina bionda, della stessa gradazione di quelli di Reiner e del pargolo che ho immaginato come nostro. Per quanto sappia che, per norma igienica, non si dovrebbe toccare il viso di un bambino, infrango la regola, sfiorandogli una guancia paffuta. Non ho toccato nulla di sporco e, per di più, nel tempo in cui mi trovo ora, si era molto meno attenti a queste cose. Chiaramente, tutto ciò va sommato al fatto che la donna abbia viaggiato in un vagone per bestiame, un luogo che pullula di microbi. 

Lui sbuffa, roteando gli occhi in segno di fastidio. 

- Come no... -

 Non saprei descrivere esattamente la reazione che ebbe Ariel quando facemmo ritorno con il bambino. Stava spazzando per terra in quel momento ma, quando si rese conto di cosa fosse quel fagotto, gli sfuggì la scopa dalle mani, complici le proteste di Reiner e il suo continuo barbottolare rivolto alla mia " deplorevole " condotta e sensibilità. 

Non l'ho più visto per almeno un'ora, durante la quale evidentemente si era ritirato in camera sua per macinare sull'ennesimo oltraggio. Non riusciva a smaltire l'idea che mi fossi andata a cercare un'altra " distrazione " e quando mi ha ritrovata in camera con la canottiera calata sotto le costole, per poco non gli è venuto un infarto. 

È lì in piedi da più di un minuto, in cui non ha proferito parola e si è limitato a riservare un'occhiata atroce al piccolo polacco, che comunque, troppo piccino e inconsapevole, mi ha appoggiato una manina sul seno, approssimandosi a ciò che crede essere un biberon. 

- Smettila, ma cosa fai?! Non farlo attaccare! - Bercia, gesticolando all'italiana. 

- Ha bisogno di mangiare... Non potrò sfamarlo io, ma forse si calmerà in questo modo. Piangeva, cos'avrei dovuto fare? - 

- Qualunque altra cosa! Non voglio che un moccioso ebreo poggi la bocca dove la poggio io... Quella è mia! - 

- Tua - ripeto, inarcando un sopracciglio. - Ad ogni modo non è ebreo; sua madre non aveva alcuna stella appuntata al petto e Ariel dice che non è circonciso. - 

- Non ce lo voglio qui. - 

- Allora va. Trovagli una sistemazione, una nuova casa, una nuova famiglia. - Propongo, sussultando nel sentirmi tirare in quella zona così sensibile. 

- Seduta stante! - Ma lui non si è mosso di un millimetro: mi guarda mentre, intenerita, lo cullo tra le braccia, raggiante in volto per via di questa nuova e bellissima sensazione. 

- Hai visto? - 

- Sì, è carino... sono sicuro che saresti un'ottima madre. - Chiosa, imbarazzandosi per la precedente scenata di gelosia nei confronti di un cucciolo innocente. 

Fregato. 

 

 

 

 

 

Angolo autrice: 

Sono riuscita ad essere puntuale questa volta. Mi raccomando, fatemi sapere la vostra opinione a riguardo, eventuali errori, critiche, perplessità. 

Alla prossima settimana con il seguito! 

 

 

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Capitolo 4
*** Pein - pena ***


 

 

 

- Smettila - protesto, in tono giocoso, vedendolo imbambolato a guardare il bimbo, che si è aggrappato al seno in cerca di latte; - povero cucciolo affamato - commento, delusa nel non poter provvedere ai suoi bisogni. - Tu lo sai come si fa il latte in polvere? - 

- Chi io? - Domanda, cadendo dalle nubi. - Ma come faccio a saperlo, piccola... Hai provato a chiedere ad Ariel? - 

- E come fa a saperlo lui? Se non lo sai tu... - Ridacchio, riprendendolo. Il bambino inizia a gemere, visibilmente irritato. - Oh mi spiace, ma io figli non ne ho - mi giustifico, avvolgendo le mani attorno al suo corpicino e sollevandolo, solo per vedere il suo viso buffamente corrucciato. - Potresti andare a vedere se qualche donna ha allattato di recente, al campo. Deduco che la madre, per prudenza, non voglia più vederlo. - 

- E una volta che l'avrò trovata? Non potrei portarla qui in ogni caso. No, dobbiamo sbarazzarcene subito. - Afferma, correggendosi in seconda battuta. - Non intendevo in quel senso; intendevo dire che non è sicuro tenerlo, né per noi, né per lui. - Ahimè, devo convenire con lui questa volta. È stato un rischio salvarlo e, sebbene non sia ebreo, potremmo avere comunque delle rogne, se qualcuno segnalasse la sua presenza a Rüdiger o ad un'altra autorità. Reiner potrebbe scaricare la colpa su di me; potrebbe dire che io sia poco più che una ragazzina, altruista quanto sprovveduta, che non è riuscita a tacere dopo aver visto una donna, con un neonato per le mani, incunearsi nella fila per la selezione. In qualunque caso, dubito che gli basterebbe scrollarsi di dosso la responsabilità... 

- Dov'è il "centro di raccolta" più vicino? - 

- Cracovia - 

- beh, che stiamo aspettando? Andiamo! - Lo sorpasso con in braccio il bimbo scalciante, che si placa solo dopo aver appoggiato il suo musetto sulla spalla. Sembra volerlo prendere in giro; le labbra di Reiner non sono mai state più spalancate per lo sconcerto. 

- Piccolo viziato - commenta, soffiandosi infantilmente un ciuffo di capelli dal viso. La brillantina, per soddisfare i miei desideri, non gli impiastriccia i capelli; almeno per oggi, non gli ho certo chiesto la Luna... 

- Avvolgilo in una coperta. Non puoi uscire di casa con un moccioso non tuo. - Scuoto la testa, meravigliandomi nel riscoprire la sua parte più fanciullesca, nel bene o nel male. Ha soltanto venticinque anni, eppure è già intrappolato in un ruolo che lo sta lentamente soffocando. Quando se ne libera, il risultato è proprio questo: un impulsivo, geloso bambino cresciuto troppo in fretta. Ho imparato ad amare anche questa sua sfaccettatura, preferendola di gran lunga all'intransigenza da fervente nazista. 

Imbacucco il pargolo come mi aveva consigliato, assicurandomi che abbia sufficiente spazio per respirare. 

- Buono piccolino... - Il pianto dei bambini mi aveva sempre lasciata indifferente, tediata se il loro strillare fosse persistito a lungo, ma adesso, oltre ad aver bisogno del suo silenzio per cause di forza maggiore, mi sento smossa in qualche modo, come se il mio istinto materno si fosse improvvisamente acuito.  

Lo faccio ondeggiare dolcemente ed egli viene cullato dalle mie braccia inesperte, come le onde del fiume che trasportarono Mosè ancora in fasce, salvandolo dall'infanticidio voluto dal faraone. 

Anche lui vivrà. Crescerà lontano dal luogo che gli ha dato i natali, ignaro d'esser stato strappato via dall'amore di sua madre. Ma vivrà ed è lei che lo ha voluto; il desiderio che ha espresso senza dargli voce, lasciandomi suo figlio come testamento ed eredità. 

- Sei pronta? - La creatura è in pace, accarezzata dai miei lisci e teneri polpastrelli. È giunta l'ora. 

Ci defiliamo, scappando via come ladri, trasportando la prova della nostra colpa e del suo tradimento. Lui non mi ha accusata; sostiene di non aver accantonato i suoi ideali, in realtà, di aver dato ascolto al buon senso e al codice cavalleresco e che lui, in ogni caso, avrebbe giudicato quell'atto empio e indegno di sé. 

Quando il Castello di Wawel si prospetta all'orizzonte, maestoso ed imponente sull'omonimo colle, mi pare quasi che il peggio sia ormai passato. Non abbiamo riscontrato la presenza di alcuna pattuglia lungo la strada e Reiner si è risparmiato un'ulteriore inutile giustificazione da annoverare tra le tante che, fondamentalmente, mi hanno permesso di sopravvivere. 

- Come fai a sapere dove si trovi? - È una domanda legittima la mia; il posto sembra essere dislocato al di fuori della città, verso la campagna. Il progetto Lebensborn, per quanto ne sappia, fu uno degli esperimenti più abbietti condotti dai nazisti: bambini rubati a genitori spesso deportati o uccisi, giovani ragazze persuase all'idea di accettare la poligamia, di riprodursi a comando come in un allevamento di purosangue inglesi e di battezzare i loro nascituri razzialmente "perfetti" alla Nazione, offrendoli alla Patria affinché diventassero soldati, reclute con le quali rinfoltire le fila dell'esercito. 

- Mi avevano chiesto di farne parte, ma non ho aderito all'iniziativa. Non mi allettava l'idea di disseminare figli bastardi solo perché questi nuovi nati " ariani " potessero germanizzare i più " impuri " tedeschi meridionali. Se avessi concepito un figlio, lo avrei fatto per amore di una donna, anche se all'epoca ero portato ad escludere quest'ipotesi. Poi ho conosciuto te e mi sono ricreduto... Mi sono innamorato. - Gocce di gioia piovono dalle ciglia spioventi, come rugiada rilucente alle prime luci dell'aurora. Mi sono lasciata trafiggere dalla freccia di Amore, senza più opporre resistenza dopo aver ascoltato la sua dichiarazione appassionata. Mi ostinavo a fingere di non ricambiare, mi illudevo che non avrei ricambiato mai, eppure alla fine sono caduta, annegando i miei dubbi tra le sue labbra, che ancora sussurravano promesse di felicità. 

Amore mio... mi hai reso la tua principessa, ma tu non potrai essere il mio principe. Il segreto mi strugge giorno dopo giorno, sempre più; ti vorrei avvertire riguardo al futuro che non vedremo insieme, che ti porterà via da me. Sarei egoista se sfidassi la sorte per inseguire il mio sogno; il nostro sogno... ma quale sacrificio esige la storia, pur di non alterare il suo corso! Mi chiede di lasciarlo morire, a me, che potrei tentare di tutto pur di impedirlo e che ho già visto sfumare il sogno di poter rivedere le persone a me care. Questo viaggio ha richiesto le mie lacrime, il mio sudore, il mio sangue; ora, vuol sfilarmi l'anima. 

- Qualcosa ti turba. - 

Mi conosce troppo bene. Una domanda simile me l'aspettavo.

- Niente di importante. - Mento sapendo di star mentendo; è un dolore che non riesco più a sopportare. - Dai, siamo arrivati mi sa. Dev'essere quella. - 

Il bambino si agita, senza neppure aver visto la clinica. Il bello, o il brutto forse, è che non mi trasmette sensazioni negative. Sembra una baita, come quelle in cui ci rifugiavamo io e la mia famiglia nelle notti invernali, quando andavamo a trovare gli zii in Südtirol. 

- Secondo te lui sa? - Domando, provando a calmarlo. 

- No, non farti strane paranoie. Sai che lo stiamo facendo soltanto per il suo bene. - Assento con fare grave, mordendomi il labbro alla vista dei suoi occhietti rossi di pianto. Sono azzurri, l'incarnato diafano... non c'è motivo per il quale non dovrebbero accollarselo. Che poi, non sono nemmeno sicura che gli dispiacerebbe così tanto. - Resta qui. - 

- No, io voglio venire. Non lo senti poverino? - 

- Sarà più difficile - mi avverte, aprendomi lo sportello. 

Come se non lo sapessi. 

Il " centro di raccoglimento " ha un giardino antistante, curato, addobbato di fiori che ne occultano l'intento diabolico. Un'infermiera che deve aver sentito sbattere le portiere viene ad accoglierci, sorridendo in modo cordiale, ma inquietante secondo i miei canoni. Si comporta come un'allegra apicoltrice, quando in concreto traffica esseri umani, cancellando la loro identità. 

Reiner spiega subito il motivo della nostra visita, accennando al piccolo polacco e sostenendo di aver riscontrato in lui un " eccezionale valore razziale ". 

- Meine feste Freundin und ich würden uns darum kümmern, aber wir würden es vorziehen, eigene Kinder zu haben, da wir fruchtbar sind. Sie verstehen... meine Position erfordert, dass ich sie von mir habe, nicht sie zu adoptieren. / Ce ne occuperemmo io e la mia fidanzata, ma preferiremmo avere dei figli nostri, dal momento che siamo fertili. Voi comprendete... la mia posizione mi impone di averne da me, non di adottarne. - Specifica, stringendomi una spalla. 

La ragazza osserva incredula le stellette sulla sua divisa, confrontandole con la pelle tesissima da venticinquenne. 

Reiner aggiunge che il bimbo sia un trovatello, omettendo di averlo recuperato in un campo di sterminio, un'informazione che comunque sarebbe dovuta rimanere segreta. Dovrebbe essere una specie di orfanotrofio, ma la risata dei bambini non colora le sue bianche pareti asettiche, né il pianto dei più piccoli ne rompe il silenzio tombale. 

Dove sono i bambini? 

- Sie schlafen gerade. / Stanno dormendo. - Replica la giovane donna, tendendo le mani per sottrarmi il bimbo. Sono reticente nell’affidarglielo; so che con noi non potrebbe vivere una vita dignitosa e che il fardello d’essermi legata ad un nazista debba ricadere unicamente su di me e non su un’anima pia, che meriterebbe solo affetto dalla nuova famiglia. Ha già patito troppo, inconsapevolmente. 

Non so neppure se lo scoprirà mai. 

- Tesoro, dovresti lasciarlo adesso - mi avverte Reiner, non senza manifestare una certa insofferenza nel vedermi così abbattuta, di nuovo, per uno di loro. 

Saluto il piccolo un’ultima volta, sapendo che mai potrebbe ricordarsi di me e che io, al contrario, faticherò a dimenticarlo. 

La sua manina si stringe attorno alle mie dita mentre mi viene portato via ed io mi sento vuota, come se mi stessero privando del frutto del mio grembo, piuttosto che di quello di un’altra. 

- Haben Sie ihn einen Name gefunden? / Gli avete trovato un nome? - Guardo l’infermiera con occhi persi, titubante. 

- Reiner. Er heißt Reiner. - Ribatto, aggiungendo in italiano, per lui soltanto: - come l’uomo che gli donato il regalo più bello... La vita. - Lui si commuove pur senza darlo a vedere, dovendosi voltare dall’altra parte per non rendere partecipe anche lei del suo coinvolgimento emotivo. 

- Was für einen schönen Name. / Che bel nome. - 

Sí, meraviglioso. 

- Andiamo - me lo lascio alle spalle, perché devo e non perché voglio, ritrovandomi in auto a rimuginare su quanto ho pensato prima, su quanto ho pensato in queste settimane. 

Piango, inevitabilmente, sotto il suo sguardo puro e preoccupato. 

- Reiner ti devo dire una cosa... ma non mi crederai. - 

Sto per commettere un errore, un grande, grandissimo errore. Per amore. 

 

 

 

 

 

Angolo autrice: 

eccomi qui, con un capitolo cortino, ma strabordante - o così spero - di emozioni. 

Ringrazio tutt* coloro che mi supportano, le leggono la mia storia o che l’hanno posta in elenco ^-^ grazie, senza di voi non potrei farcela. 

Fatemi sapere cosa ne pensate, cosa dovrebbe fare, secondo voi, la “ povera crista “ vittima di un amore che va “ oltre la coscienza morale “. 

Alla prossima!  

 

 

 

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Capitolo 5
*** Bruch - rottura ***


 

 

Non riesco a guardarlo negli occhi per quanta vergogna provo in questo momento. Lui, vedendomi così agitata, mi ha appoggiato la mano sul viso, chiedendomi di cosa si tratti, con la sua solita pacatezza. 

Se solo sapesse cosa gli sto nascondendo, quale dolore mi son portata nel petto fin adesso. E, se con ciò che ho intenzione di confessargli, lo allontanassi da me? Mi crederebbe, se glielo dicessi? È da pazzi! Pazza di sicuro è ciò che penserebbe di me, una volta liberatami da questo fardello. 

Lui si può ancora salvare; non è come gli altri... è stato un uomo con dei principi saldi, fino al giorno in cui è stato costretto ad accantonarli in favore di una causa sbagliata, a cui, però, ha giurato fedeltà assoluta. Questi pochi mesi di servizio presso le SS hanno insozzato il suo onore ed hanno innestato in lui un meccanismo che gli era estraneo, una sregolatezza che non aveva nello sguardo e nel cuore, ferito dall'umiliazione di vedersi ritirare dal fronte, un'esibizione di codardia per lui, che si era sempre spinto in prima linea, contravvenendo ai suoi doveri di ufficiale. 

Eppure ho l'impressione che sarebbe sbagliato interferire con una volontà superiore, oppormi ad un destino già prestabilito. Ho la sensazione di star tradendo tutto ciò in cui credo per il solo fatto d'aver messo in discussione l'operato della Giustizia. Ho anteposto i miei desideri al bene comune... per amore di uomo, di un nazista. 

Cosa ho fatto... 

- Piccola, che hai? - Le sue dita sfiorano una superficie bagnata e scivolosa, che mostra i segni di un martirio interiore. 

- Non posso - blatero, dando voce ai pensieri di una mente interrotta, in lotta con l'organo pulsante su cui lui ha inciso il suo nome. Reiner non tradirà mai il suo Paese per fuggire insieme e, in questo, è meno abbietto di me, che ho sacrificato tutto pur di vedere ancora il suo viso baciato dalle stelle. 

- Hai paura che io ti venga portato via, non è così? - Mortificata dalla gentilezza con cui ha portato alla luce le mie angustie più atroci, taccio, annuendo a testa basta. - Non posso assicurarti niente, anche se vorrei. So che mi vorresti in salvo, piuttosto che in balia degli eventi, ma la mia priorità sei tu. Se la situazione dovesse volgere al peggio, mi assicurerei la tua salvezza; ti affiderei alla mia famiglia, che porterei al sicuro in una residenza di campagna e farei di tutto per raggiungerti. - 

- Reiner tu lo sai, che se la Germania perdesse, non avrebbero pietà di te. - Ammetto, asciugandomi furiosamente le lacrime. - Non torneresti più. - Anche lui si commuove e mi raccoglie da terra, facendomi adagiare il viso sulla sua spalla. 

- Ho prestato un giuramento, non posso infrangerlo. - Statuisce, stringendomi come se fosse l'ultima volta. - Io credo nel nazionalsocialismo. Io sono nazionalsocialista. - 

- Ti uccideranno. - Non trovo il coraggio di ammettere che è esattamente questo che succederà... Deve suonargli come un presentimento o una di quelle predizioni funeste da "uccellaccio del malaugurio", ma non saprei come comunicarglielo altrimenti. - Me lo sento, tutti lo sentono che tu morirai. Nessuno si cura di me, quando danno voce ai loro pensieri... Dicono che la guerra ci dividerà. - In realtà, è la storia che lo dice e il corso degli eventi non tollera sviste... Ma io sia dannata se non metterei a repentaglio la segretezza delle mie conoscenze per lui. - Promettimi che non sarai crudele con loro, così che non possano riconoscerti alcuna colpa se non quella di aver eseguito ordini. Oppure... oppure potresti rifare domanda presso l'Heer, magari... sì, magari riconosceranno di aver bisogno delle tue capacità, che potresti tornargli utile. Tu sei forte e sarò forte anche io; sopporterei il dolore della separazione pur di riaverti con me quando la guerra sarà finita. - Scarto il busto di scatto e lo bacio, tenendogli il viso tra le mani, soffocando l'aura di disfattismo che sarebbe potuta trapelare dalle mie parole. Lui mi guarda fisso, contemplando la pienezza delle mie guance arrossate e gli occhi tremolanti, compatendo il nostro amore sfortunato, che ci sfinisce. 

- Farò come desideri, dove e quando mi sarà possibile accontentarti. Cerca di non pensarci ora, non voglio vederti così. Fammi un sorriso dai, sai che ho la pellaccia dura. - Bacia anche lui le mie labbra, senza l'urgenza e la disperazione col quale avevo caricato il mio. È la sua leggerezza a farmi sorridere, cosa che rallegra entrambi. 

Mi riporta ad Auschwitz, nonostante questo posto non lo volessi nemmeno più sentire nominare. Mi viene mal di testa, male allo stomaco, nelle ossa persino; un malessere generale che si palesa ogni qual volta vi metto piede. 

È ormai sera e, una volta rientrati, incontriamo Rüdiger in cucina, dove ci stava aspettando e dove Reiner si era diretto per prendere qualcosa da mettere sotto i denti. 

- Ma servitevi pure... - prorompe, con il solito tono di scherno. 

- Chiudi quella fogna, Schneider. È la mia promessa e presto lo sarà anche legalmente, non puoi più toccarla. Che non ti venga in mente di raggirarla, come hai già tentato di fare, perché ti sparerò in bocca. - Ribatte, parandosi davanti a me, minaccioso. 

- Oh, che bel brillante - commenta, alludendo all'anello regalatomi da Reiner. - Auguri e figli maschi. Che razza bastarda verrà fuori, concesso che l'Ufficio Centrale della Razza ti permetta di mescolarti con quella... - In sprezzo alle minacce del suo rivale, decide comunque di avvilirmi, auspicando l'arenarsi dei nostri sogni di fronte alla legge. 

- Come osi tu, figlio d'un cane, chiamare illegittimi i nostri figli venturi?! - Ignorando le mie suppliche, si fa avanti, stirando le braccia rigide ai lati del corpo. Rüdiger resta impassibile, il che mi fa temere che stia escogitando qualcos'altro di terribile. Raggiungo Reiner, spaventata da questa possibilità ed invito entrambi a desistere, appellandomi a quel frammento di lucidità e buon senso che il rosso ancora conserva dentro di lui. 

- Vi prego, ponete fine a quest'assurda guerra! La storia e la letteratura ci hanno insegnato che queste scaramucce insignificanti finiscono per essere soffocate nel sangue; basta! Non ne posso più! Vogliamo davvero morire per questa rivalità? Io ne ho già avuto un assaggio... - Rüdiger, avvertendolo come un richiamo all'avvenimento di ieri, si rifiuta di ricambiare il mio sguardo, deviandolo altrove. 

Sono stanca di combatterlo, stanca di questo conflitto che ci sta consumando, che lo ha depredato di ogni forma di umanità e che sta trasformando il mio soldato in un mostro. Al di là di questa villa, i miei amici; i prigionieri che soffrono per la sua malvagità. 

Il rosso sembra voler passare oltre, almeno per oggi, e ci lascia prendere ciò che vogliamo dalla dispensa, non senza avermi afferrato il braccio per una frazione di secondi, come a volermi ricordare che il conto sia ancora in sospeso. Rincorro Reiner, qualche passo più in avanti di me, con l'ansia della fine della tregua ad agitarmi le membra. 

- Reiner, domani devo assolutamente accertarmi della salute di Maxim. - Gli faccio, ricordandomi della promessa fatta ad Ariel. - E vedere Isaac. - Lui si arresta nel mezzo delle scale, voltandosi di tre quarti, interdetto. 

- Perché... perché non impari mai dagli errori del passato? - È immobile, eppure quell'unica pupilla visibile saetta nella mia direzione, rievocandomi l'immagine di uno squalo che, durante una gita alle scuole medie, d'un tratto, si mise a guardarmi oltre il vetro, intimorendomi. 

- Verresti anche tu; qual'è il problema? Ti sei alterato solo dopo che ho menzionato Isaac. - 

- Vi ho visto molto uniti. Troppo uniti. Non andare a comprometterti ulteriormente. Lui è dannoso per la tua vita. - Non ci posso credere che siamo ritornati a questo punto... Mi era sembrato d'esser riuscita ad ammorbidirlo ma, a quanto pare, la mia era una presunzione clamorosa.   

Lo odia e lo odierà sempre, con o senza il mio intervento. 

- C'è altro? - Domanda, certo che abbia omesso qualcosa. 

- Quando ero lì, a Birkenau, si sono avvicinate due donne a me, che mi hanno chiesto dei favori. Una voleva che le rintracciassi il marito, una cosa fattibile... l'altra mi ha chiesto qualcosa di più complesso; mi ha detto che sua figlia è stata stuprata da un tedesco, una guardia e... ecco, me lo ha descritto, sono riuscita ad identificarlo. Si chiama Felix Runge. Ha detto che va avanti da un po', Reiner, era una madre disperata, cosa avrei dovuto fare? - Lui, invece che far roteare gli occhi, inclina tutto il capo verso l'alto, passandosi entrambe le mani sul viso. 

- Tu mi farai diventare pazzo. - 

- Se non mi vuoi aiutare, lo farò da sola. - So di essere dura con lui, ma non tollero le ingiustizie e non riesco a vivere nell'indifferenza, a contrario di molti.  

- Ich habe es nicht gesagt, Scheiß verdammt! / Non ho detto questo, porca troia! - Non è raro sentirlo alzare la voce ma, a questo giro, è diverso... è esasperato. E mi dispiace di non poter fare nulla per impedirlo. 

Andiamo a dormire, sempre nello stesso letto, eppure, in un certo senso, distanti. 

Quando riapro gli occhi, lui mi sta guardando, chinato sulla sedia, con le mani congiunte. Pare riflettere per qualche istante, poi si alza, inginocchiandosi dalla parte del materasso su cui dormo e su cui ora giaccio, sul fianco. 

- Mi vuoi chiedere scusa? - Allungo la mano sui suoi capelli, giocandoci come mi piace fare quando sono ancora umidi. 

- Sei odiosa e saccente e impertinente e... - 

- Mi ami. - Concludo io al posto suo, per tirarla breve. Lui, che all'inizio ne è indispettito, balza sul letto, svettando su di me con la sua mole imponente. - Chi è il gradasso adesso? - Lo rimbecco, mugugnando nel sentir risalire le sue mani sui fianchi, lussureggianti pianure rosee che, stanotte, ha potuto ammirare da lontano; un miraggio, nel deserto arido delle sue convinzioni. 

Nel pomeriggio mi porta alla miniera di carbone, come pattuito, sapendo che vi avrei trovato Maxim...sempre se sia rimasto in vita. 

Vengo pervasa da brividi, immaginando di dover dare una notizia simile ad Ariel. Non potrei sopportare di veder soffrire una delle persone a me più care. 

- Aspetta qui, devo inventarmi una scusa per poterlo prelevare. Ricordi quei prigionieri russi a cui ti avevo accennato? Ecco, è ora di approfittarne. - Non mi entusiasma... Ho assistito all'interrogatorio di Michael, di Samuele prima di lui e non so se Maxim potrebbe reggere alla pressione. Lo rovinerebbe. 

- Non li uccidere, soprattutto di fronte a lui. Ti chiederei anche di non fargli del male, ma so come risponderesti. -  

- Loro non hanno pietà di noi... Ci impalano come animali - statuisce, infatti, rifacendosi a eventi sporadici, ma realmente accaduti. 

- Ti prego solo di non farti prendere dalla frenesia. Non infierire. - Sembra disposto al compromesso e voglio fidarmi. Del resto, sarebbero soldati, come lui... potrebbe capire la loro reticenza. Tollerare, me lo auguro, fino ad un certo punto. 

Mi distendo sul cruscotto incandescente, sopportando la calura pur di appoggiarmici su. 

Due figure il lontananza mi fanno ben sperare; è lui, deve essere lui... 

Sorrido, scartandomi di scatto e precipitandomi fuori, impaziente di vederlo. 

- Maxim! - Il braccio di Reiner frena il mio entusiasmo, impedendomi di abbracciarlo. È vero, è sporco di fuliggine, goccioloni di sudore dovuti alla fatica gli percorrono le tempie annerite, imperlandogli le ciglia. Ma l'odore forte non mi disturba, tanto più dopo ciò che il mio naso ha dovuto fiutare nei pressi delle fosse comuni, né la sporcizia incrostata che nasconde i suoi tratti. È stremato, ma vivo, non ancora deperito. 

- Ariel farà salti di gioia. Parla sempre di te, niente lo renderebbe più felice che saperti in salute. - "In salute" è un'esagerazione bella e buona; Max non presta attenzione alla mia scelta lessicale però; è contento di vedermi, perché sa che porto notizie di suo fratello. 

- Ariel, come sta? - 

- Basta ora, volete forse farvi scoprire? - Ci interrompe Reiner, andando a far chiamare una guardia, un ufficiale. - Vi parlerete a tempo debito. - Quando sopraggiunge il graduato, questi si stava stirando la divisa con le mani e gonfiando il petto per impressionare il suo giovane superiore. A Reiner queste frivolezze non importano, richiede obbedienza cieca, null'altro. Rispetta gli uomini silenziosi, che fanno poche domande, senza dubitare della sua fedeltà verso il Reich. 

È l'unica cosa che non devono temere... Persino io, la sua vita, il suo amore, devo sottostare a quella presenza astratta e opprimente. 

Maxim rientra in miniera; mi viene sottratto, con l'impegno da parte dell'ufficiale di condurlo in un luogo che Reiner stesso gli indicherà, in serata, dopo la fine del turno. Ha disposto che venisse sottoposto alla disinfestazione, prima di averlo indietro. Evidentemente, non vuole che io lo tocchi così com'è. 

- Isaac invece? Non è qui anche lui? - Gli rode il fegato nel sentirlo nominare; si rifiuta categoricamente di darmi ascolto.  

- No, non è qui. Verrà qui domani. - Sputa, esasperato, precludendomi altre informazioni. - Lui non mi è utile; non te lo posso far recapitare come un pacco. Smettila di insistere. - 

- Quel ragazzo è in pericolo, me lo sento. È vessato da tutti, persino dai prigionieri, che lo accusano di essere la " puttana dei nazisti ". Se gli avessero fatto del male? Ti ho pregato di inserirlo nella lista di Buchenwald per potergli dare una possibilità di riscatto. Qui lui è bruciato, non ha il sostegno di nessuno. - Gli spiego, sottacendo i sentimenti puri che a lui mi legano. - Portami a Birkenau e, se proprio il suo viso ti ripugna, lasciami sola a scambiare qualche chiacchiera con lui. Dopo che avrà contestato ad alcune domande, tornerò da te. - 

- Va bene, a queste condizioni. Ti accompagnerò nel settore e dirai di volerlo sentire cantare, stratagemma che hai saputo sfruttare sapientemente in passato, dopodiché ti ritirerai. Io sarò nei dintorni. - 

Forte del suo permesso, mi sono aggirata tra i Blocks, scoccando un'occhiataccia ad uno dei tedeschi che mi aveva sequestrata insieme a Michael, sul cui labbro risalta una spaccatura, forse risalente proprio alla colluttazione con Reiner. È stata un'impresa stanare Isaac ma, alla fine, sono riuscita a trovarlo - ironicamente - in casa di Schneider, dopo che avevo già versato lacrime amare nel credere di essere arrivata troppo tardi. 

Ma chi ce lo aveva condotto? Una curiosità che mi avrebbe portata ad una scoperta sconcertante. 

La porta del ripostiglio, che funge da sistemazione per la servitù, ha cigolato appena, non abbastanza per destare il sospetto nelle due persone che vi avrei trovato all'interno. Il cuore mi scoppiava nel petto per la contentezza d'aver riconosciuto la sua voce, ma nel sentire cosa si stessero dicendo, lui e quell'altra figura nascosta nella penombra, sono raggelata. 

- Non farti venire il sangue amaro per questa faccenda. Non ne vale la pena. - La voce tranquilla e sensuale dell'uomo mi riportano l'ufficiale dagli occhi pervinca, che era stato invitato alla festa di Hoffman e che noi avevamo conosciuto. 

Che cosa significa? Che c'entra lui con Sac? 

- Tu non capisci. Lui l'ha traviata, le ha fatto vedere ciò che gli faceva comodo e se l'è accaparrata lo stesso. Lui, quel mostro, non la merita. - Ingoio un agglomerato di saliva, spaventata da ciò che potrebbe seguire. 

Il mio Reiner, che cosa mi ha tenuto nascosto? 

- Un giorno pagherà per tutto il dolore che ti ha causato. Ancora stento a credere che uno come il comandante, schizzinoso com'è... - 

Mi sento mancare; precipito sulle ginocchia, tappandomi la bocca con tutte le forze per non strillare. Il dolore delle ginocchia che si schiantano a terra, come a volersi frantumare, non è minimamente paragonabile alla voragine sanguinolenta che si è aperta nel mio petto isterilito. 

L'amore mi aveva accecata a tal punto da impedirmi di vedere oltre le apparenze, oltre le giustificazioni che Reiner puntualmente accampava per impedirmi di vederlo. 

Mi sento così stupida, così dannatamente idiota... 

Commetto un’ulteriore violenza contro me stessa, drizzando le orecchie per coglierne qualche altro particolare. 

- Non lo ha fatto per il suo piacere... Lo ha fatto per umiliarmi. - Un ulteriore crimine si aggiunge a quello già terribile che la mia mente non era riuscita a cogliere. Ma questo... questo mi è inaccettabile e non riesco a trattenere i singhiozzi. Mi accascio contro la porta, sentendomi violata nell'intimità dall’uomo che amavo. Sono riuscita a sentire qualcos’altro, qualcosa che riguardava la morte di Yonathan, di cui, evidentemente, Reiner era responsabile, dopodiché la porta si è aperta e mi hanno vista in queste condizioni, con la voce ignara di Reiner in sottofondo, che ora mi pare disgustosamente dolce. Mi copro il viso con le braccia, piangendo come una bambina.

 Il rumore del mio pianto va coprire il suono del cuore ammalato, che emette un gemito strozzato prima di appassire, nella sofferenza, così com’era sbocciato. 

 

 

 

 

Angolo autrice: 

Ero molto combattuta riguardo al postare questo capitolo o meno, ma questa, in fondo, era l’idea originale e mi sono sentita di seguirla lo stesso. 

Nel prossimo capitolo, il legame tra Sara e Reiner si spezzerà... Forse per sempre. 

 

 

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Capitolo 6
*** Abschied - addio ***


 

 

I due aprono la porta di scatto, scioccati dal ritrovamento pietoso. Sono così disperata, che nemmeno i loro contorni mi appaiono nitidi, ma riesco ad intuire quale espressione abbiano in volto dal tono della voce, rotto, col quale tentano di spiegarsi. 

- È vero? - Il loro esitare mi fa alterare ancora di più; mi rivolgo verso la mia destra, dove avevo sentito arrivare la voce di Reiner e urlo la medesima domanda, come impazzita. Mi asciugo furiosamente le lacrime per poterlo guardare in volto, dritto in quella maschera che avevo baciato e amato. - Sei sempre stato tu...- mormoro, distrutta dal suo silenzio eloquente. - Io te l'ho fatto accogliere, andavo a lamentarmi con te della sua infelicità, quando alla fonte dei suoi problemi e delle sue disgrazie c'eri proprio tu. Ma come hai potuto... come! - 

- Piccola, ti posso spiegare... - Mette subito le mani avanti in sua discolpa, ma non voglio sentire ragioni. 

Ha confermato, Dio, ogni singola parola era vera... 

Pur nel dolore, riesce ad intercettare gli occhi di coloro che, non sapendo di essere ascoltati, hanno rovinato la nostra relazione e, di conseguenza, la mia vita. 

Ma la rabbia si dissolve presto nell'accorgersi di quali occhi abbia io in questo momento, ricolmi di odio, al pari dei suoi nel rivolgersi a loro. Cerca di avvicinarsi, di chiarire, come se ancora ci fosse qualcosa da chiarire! fin quando un grido, violento, che ho spinto su a costo di infiammarmi la gola, lo ha costretto ad arretrare. 

- Non mi toccare cazzo! - Lui, infatti, era riuscito a sfiorarmi il braccio, in un tempo così breve a cui, se solo non fossi stata in collera con lui, nemmeno avrei dato peso. Ora no, ora le sua mani mi ripugnano, perché so che sono quelle di un bugiardo, ipocrita e di un assassino. Sono come quelle di Rüdiger. - Che cosa ti ha fatto? Ripetilo! - Isaac è innocente in tutto questo, tuttavia, ciò che fuoriesce dalla mia bocca ora non è che un sputo sanguigno e velenoso. 

L'ufficiale al suo fianco scuote la testa, tradendo il sentimento che mi è più odioso in queste circostanze: la pietà. 

Lui mi ha umiliata, proprio lui che avrebbe voluto e dovuto proteggermi. 

- Ho dovuto farlo. Tu non avresti mai capito... non puoi capire. - Risponde, facendo così ricadere la colpa su qualcun altro o, forse sulla sua stessa ideologia, meno che a sé stesso. 

- Cosa c'è da capire? Avresti dovuto provare a "spiegarti" prima, non ti pare?! Avevi una scelta ed hai scelto, di tua spontanea volontà, di mentirmi! - 

- Tu non mi avresti mai voluto! Io ti amo, Sara... era vero, ciò che provo per te è reale. Ho avuto paura di perderti. - Rido, una risata amara, spezzata dai singhiozzi, che avrebbe voluto essere di scherno e che, invece, racchiude la mia delusione, la pena che ho di me stessa. 

- E tu, tu non dici niente? - Sac non sapendo cosa dire, né cosa fare, né tantomeno dove guardare, si rifugia nel mutismo più assoluto, affidandosi al tedesco che gli è complice. 

- Allora parlerò io per te. Perché lo hai fatto? - Il carnefice, la vittima, l'altro, tutti e tre i volti, cinerei, per diverse ragioni. Uno spettacolo inquietate, che tradisce un circolo vizioso di omertà e segreti inconfessabili. 

- Non penserai che a me lui... che mi piacciano gli uomini. - Reiner, indignato dall'unica accusa che non gli ho mosso, replica con un'incredulità che non tollero. Isaac storce la bocca, maledicendolo a denti stretti, ricordando forse il momento in cui è stato violato. 

Non mi resta che fissare l'ufficiale, i cui occhi azzurri, quasi violacei mi rivelano le sue, di inclinazioni. 

- Non è questo il fottuto problema! Sarebbe stato meglio, mille volte meglio se lo avessi fatto per sfogare un istinto represso, piuttosto che... perché lo hai fatto! Come hai potuto umiliarti fino a questo punto e perché? Per un gioco perverso?! Dimmelo tu, perché non lo capisco! E credo che anche qualcun altro sarebbe interessato qui, o no? - Una fitta dolorosa mi ha pervaso il petto e lo stomaco, messo in subbuglio da un orrore inconcepibile. Mi lascerei morire, se questo comportasse la fine di tanta inutile sofferenza. 

- Per me non significava niente. Non me ne vergognavo, perché non l'ho mai percepito come una persona. È stato come insinuarmi in un giocattolo... non ho provato niente. Volevo che lui soffrisse, perché si rifiutava di arrendersi; io solo l'ho fatto prostrare dinnanzi a me. Lo ritengo un aborto; un Untermesch con delle doti speciali non dovrebbe esistere; va contro tutto ciò per cui abbiamo messo in moto questa macchina... Lo sterminio non è attuabile, se chi dovrebbe contribuirvi si facesse intenerire da qualche nota melensa. - Finisco con la schiena contro il muro, sbigottita dal suo ragionamento. 

No, non può essere... mi sono innamorata di un tale mostro, senza neppure averne il sospetto. Che cosa mi è successo? Il sentimento mi ha del tutto irretita, mi ha fatta ammalare... 

Ricerco gli occhi di Isaac, freddi e bui come la morte. 

Quell'alito di vita, in lui, sembra essersi rarefatto in contiguità con la putredine più nera, fuoriuscita dall'anima di Reiner. 

L'altro, a cui il riccio probabilmente piace (e non solo in senso platonico), è trasalito, impotente dinnanzi alla paura di quali potrebbero essere le conseguenze se si esponesse troppo. Vorrebbe farlo però; lo ucciderebbe con le sue stesse mani, se potesse. 

- È successo prima di incontrare te. Io non l'ho più toccato, te lo giuro. Non ho più infierito su nessuno di loro. - 

- Sei un mostro - statuisco, graffiandomi la pelle in modo selvaggio, decisa a volermi strappare di dosso il suo odore. 

- Ferma - mi implora, tenendomi ferme le braccia con la forza. - L'ho taciuto per amore, non sarebbe mai venuto alla luce se non fosse stato per quei... - dal tono lamentoso, elegiaco è passato ad un ringhio, che ha dovuto smorzare per non distrarsi dal suo obiettivo principale. 

- Lasciami - scatto, scatenando tutta la mia furia su di lui, adesso che ce l'ho a tiro. - Ti ho detto di lasciarmi! - Affondo il ginocchio proprio lì, dove ad un uomo fa più male e lui, tra gli spasmi, sopporta, pregandomi di ascoltarlo. - Mi fai schifo. Vorrei che tu morissi. - Sibilo, mortalmente seria, tanto da indurlo a liberarmi. Le fessure azzurrine della maschera lacrimano davanti alla mia indifferenza, riflesso dell'amore che io, per lui, non provo più. 

Di nuovo Isaac abbassa lo sguardo, questa volta, per esprimere tutt'altro sentimento: dispiacere. Ha ammirato il frutto dei suoi innumerevoli quanto taciuti tentativi di mettermi in guardia, ma esso è un frutto amaro, bagnato del mio pianto che sa di innocenza perduta e di sogni infranti brutalmente contro una scogliera rocciosa. 

Siamo uguali adesso; non abbiamo niente e, ciò che avevamo, ci è stato portato via. Eppure lui sembra rimpiangere di aver trattenuto dentro di sé quel segreto, di averlo fatto scorrere in un flusso di pensieri, senza appurarsi nemmeno che non ci fosse nessuno, oltre al tedesco, a sentire i suoi lamenti. 

- Ti prego, chiedimi ciò che vuoi... ti darò tutto quello che desideri. - Reiner è quasi irriconoscibile; si abbassa a questo livello abbietto, alla corruzione vera e propria, ormai privo di ogni appiglio che possa favorire la sua risalita verso il mio cuore. 

- Voglio vedere Zeno. Accompagnami nei pressi della Kommandantur, dopodiché sparisci. E non ti azzardare a fargli del male, Reiner. È colpa tua, di nessun altro. - Mi sfilo l'anello dall'anulare, infilandoglielo malamente nella tasca della divisa, insieme alla croce di ferro. Li ho gettati, perché non voglio più avere nessun ricordo di lui, nemmeno un oggetto che possa riportarmi alla sua immagine. 

Deve partire per Buchenwald e non deve tornare più. 

Io non ho bisogno di lui.

Sulla soglia della porta mi volto: il tedesco, che aveva spinto a Sac dietro di sé, come una chioccia con il suo pulcino, si scosta appena, permettendogli di vedermi. 

Siamo le creature di Reiner; gemelli diversi, l'una allattata con amore e benevolenza, l'altro nato sotto una cattiva stella, nutrito del sangue racimolato dalle sue ferite. 

Ariel, che si era affacciato dalla cucina, ha stretto lo strofinaccio al petto, addolorato. Anche lui aveva conosciuto il lato più umano di Reiner; non si aspettava che una soffiata sulla sua condotta mi avrebbe fatta precipitare nel baratro. 

Nessuno avrebbe potuto immaginarlo. 

Ogni passo al fianco del nazista, una volta usciti, pesa sulla mia coscienza, rinfacciandomi ogni volta del peccato commesso. 

- Non una parola - lo avverto, fregando le cosce l'una contro l'altra, colpevole di averlo accolto, promettendogli che sarei stata sua... che gli avrei dato un figlio. 

Rüdiger aveva ragione, non avrei mai pensato di poterlo dire, ma nel chiamarlo " ipocrita " ci aveva visto da lontano, pur senza conoscere con esattezza l'entità dei suoi crimini. Tuttavia, mi vedo obbligata ad infrangere il giuramento che avevo siglato con me stessa, quando un nuovo, torbido, particolare affiora alla mia mente. 

- In che modo sei convolto nella morte di Yonathan? - 

- Mi occupai io della selezione quel giorno. Non era capitato prima e non capitò più da allora. - Risponde, avendo ormai capito quanto fosse inutile continuare a mentirmi. 

- Lo hai mandato a morte tu - esalo, rassegnata. Chiudo gli occhi, cancellando rapidamente la ricostruzione dei fatti che macchinava in me: dalla testimonianza di Isaac, che aveva indicato la zona nei pressi del Bunker 2, fino al montaggio finale di quelle scene terribili (che, grazie alle sue memorie, ero riuscita a vivere).

- Era malato. Non sarebbe sopravvissuto una settimana - ribatte, asciutto, utilizzando poche parole per compensare la secchezza del palato e delle labbra, che si umetta in continuazione. 

- Lui avrebbe combattuto contro il tempo, la fame e la fatica per regalargli anche solo un giorno in più. L'ho letto nei suoi occhi. - 

- Non posso vivere senza di te - mi rinnova le sue promesse, che ora più che mai mi paiono quelle di un folle, vuote. 

- Sposa una donna tedesca, una nazista che approvi le tue idee e i tuoi metodi malati. - Lui mi corre dietro anche dopo che ho sbattuto la portiera, maneggiandomi come una bambola. 

- Ho sbagliato, ho sbagliato! Ma che altro avrei potuto fare, eh?! Tu mi conosci, mi ami, lo so. Sono stato tuo dal primo istante in cui ho incontrato i tuoi occhi rivoltosi; ho lottato per te, per veder comparire un sorriso sulle tue dolci labbra in mezzo a questa miseria. Sono lo stesso uomo che ha dormito con te ogni notte, che ti ha protetta, che ti ha resa felice. Noi siamo figli di Amore, che ci ha fatto incontrare nonostante le divergenze e che ci ha visti barricati in quella stanza, di nascosto, a consumare un sentimento puro, che ci è stato invidiato. Non chiedermi di lasciarti andare, perché non ne sono capace. - Il suo discorso smuove qualcosa in me, ma non ciò che lui si aspetterebbe. Non rabbia, né odio; nostalgia di quei momenti spensierati, in cui il mondo pareva rischiarato dalla luce eterna del nostro amore. Rimpianto, per essermi fatta abbindolare. 

Ricaccio indietro le lacrime, sgusciando via dalle sue braccia, sfuggendogli, come fossi stata plasmata nella nebbia. 

- Saresti dovuto restarmi lontano. Fagli aprire il cancello. - A discapito delle pressioni, ancora non si muove. - Ora! - 

Non mi volto indietro mentre mi addentro in caserma, ormai al sicuro, e senza l'aiuto della sua croce. Picchio alla porta della stanza, sapendo di potervi ritrovare Zohan, in base al suo orario di "lavoro". 

- Wer fick... oddei, ma che ti è successo? - Domanda, raccogliendomi dal pavimento sul quale mi ero afflosciata. 

- Oh Zeno, ho scoperto una cosa orribile - sussurro, sfogandomi contro la sua giacca. - Reiner, lui... - 

- Aspetta, vieni dentro. - Mi dice, mettendomi un braccio attorno alle spalle per sostenermi. 

Gli racconto tutto, per filo e per segno, stendendomi sulle sue gambe. Singhiozzo, artigliando il tessuto dei pantaloni. Zohan, comprensivo, fa scorrere le dita tra i miei capelli, propenso a lasciarmi sfogare. 

- Povera stella... hai preso un'altra cantonata! Sembra quasi che la feccia ti corra incontro. Non mi sono mai fidato di lui; ho sempre creduto che non fosse degno di te. Non devi sentirti in colpa per quel ragazzo, tu che ne potevi sapere? - 

- Io dovevo prevederlo... era così chiaro! Così chiaro! Isaac ha sbagliato; non è lui che mi ha traviata, sono io che mi sono lasciata traviare. - 

- Non così chiaro evidentemente. Non per niente è un colonnello delle SS. - Lui, più di chiunque altro, sa cosa si prova ad essere soli al mondo e, proprio questa sua sensibilità verso questa condizione autoimposta, mi fa sentire meno sola. 

I miei genitori, perlomeno, sono vivi e vegeti, sebbene io non li possa più vedere. E conoscevo Friederick da relativamente poco, rispetto a lui che ci aveva condiviso la prigionia, ancor prima di poterlo ritrovare qui. 

- Che cosa faccio adesso? Io mi ero affidata a lui... - 

- Non lo so, piccola. Potresti trasferirti qui da me, dormire nel letto di Fried. Tutto andrà bene. - Le lenzuola sono ancora sfatte, tali e quali all’ultimo giorno in cui l’ho visto. Ogni più piccola piega richiama un eterno ritorno, come se lui fosse qui con noi e fossimo noi a non riuscire a incrociarlo, a causa della fuggevolezza del suo spirito. 

Ora sì, ora si può davvero parlare di "spirito".

Mi tuffo tra quelle coperte, inalando il loro odore neutro, che pian piano inizia ad arricchirsi nella mia mente, a profumarsi di colonia e shampoo al limone. Riaffiorano occhi azzurri sporcati da minuscole pagliuzze nere ed il volto di un uomo appena sbocciato, imberbe, che non diverrà mai adulto. 

Avevo dimenticato cosa si provasse a non averti più accanto. 

Perdonami, Fried. 

 

 

 

 

Angolo autrice: 

Allora, in questo capitolo si ha una panoramica complessiva di ciò che è accaduto, con la separazione tra Sara e Reiner e la ricomparsa di Zohan. Sconvolti/e dalla piega degli eventi, o ve lo aspettavate? Accetto opinioni a riguardo ahah 

 

 

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Capitolo 7
*** Rückkehr - ritorno ***


 

 

Sono sdraiata nel letto di Fried da quattro giorni, sempre nella stessa posizione. Zohan mi allunga del cibo ogni volta che rientra dal suo turno; è gentile con me, mi porta sempre un bicchiere di sidro di mele, del pane, della zuppa. Ieri ha appoggiato sul comodino persino un tortino al cioccolato. Me li serve su di un vassoio e li lascia lì, sperando e pregando che io trovi la forza di nutrirmi. 

Non potrei mai sprecare del cibo quando milioni di persone soffrono la fame, decine di migliaia appena al di là del vetro, una barriera immaginaria contro la guerra e la barbarie, inutile, ma sufficiente a illudermi. 

Distendo il braccio ogni tanto, quando il brontolio è troppo forte da non poter essere più ignorato. Nemmeno il mio cuore spezzato, che affama volutamente lo stomaco, non può nulla contro uno degli istinti naturali dell'uomo. Allo stesso modo, mi sono trascinata nella tinozza per lavarmi... Zohan si era preso la briga di portarmela, affinché non fossi costretta a farmi la doccia nel bagno in comune. Il bello, è che al bagno ci devo andare comunque, ma appena metto piede nelle latrine, mi evitano come la peste, ancora terrorizzati da Rüdiger e da Reiner. 

Lui si è presentato più volte, bussando alla porta e richiamandomi con quel tono lamentoso, tuttavia, non volendo più vedere il suo viso traditore, gli ho sbarrato la strada, trascinando davanti alla porta tutti i mobili che sono riuscita a spostare con i miei muscoli molli. Ho urlato, tappandomi le orecchie, comprimendomi il cervello in quella morsa di carne pur di sentirlo stare zitto. Non ha avuto vergogna di niente, nemmeno questa volta. Uno stupido spudorato che si è presentato da me; povero illuso, non ha capito che voglio vederlo spompato, morto, non un singolo alito di vita a fuoriuscirgli dalla bocca. Voglio vedere i suoi bellissimi occhi spenti, come un lago d'invero.

Zohan non sa più come consolarmi; ha provato ad imboccarmi, sostenendo che avessi buttato giù bocconi troppo piccoli. Ora resta più a lungo, per assicurarsi che non spilucchi il cibo, perdendo tempo giusto per fargli vedere che non mi sto lasciando morire. 

Ha paura di perdere anche me. Io mangio, bevo quasi regolarmente, ma lui non si fida, quasi avesse bisogno di rimpinzarmi come un porcellino da latte per potersi allontanare. 

Si infila nel mio letto, anteponendo una mano davanti alle mie narici per assicurarsi che respiri e piange contro la mia schiena, quando è convinto io stia dormendo ormai da ore. 

Piango anche io per lui; lo compatisco perché non voglio che il mio malessere gli causi sofferenza. Non posso fare di più, non ci riesco. 

- Zohan, m'hai fatto paura. Perché non hai bussato? - Domando, fissando ossessivamente la parete bianca. 

- Non sono Zohan. -Una folata gelida, immaginaria, mi raggela i polpacci scoperti, infiltrandosi oltre i vestiti, percorrendomi la pelle. - Ciao, piccola Italienerin. - Una lacrima corre obliqua lungo il setto nasale, mentre mi rannicchio, facendomi piccola piccola. 

- Che cosa vuoi da me? Che vuoi farmi ancora? - Le assi scricchiolano sotto il suo peso; la sua mano mi accarezza i capelli dolcemente; scivola lungo il viso, sulle labbra da cui era trapelata rassegnazione. Mi volta supina, obbligandomi a guardare ancora una volta i suoi occhi cobalto. - Non ti era forse sempre piaciuto vedermi piangere? -

- Non per un uomo - mi dice, redarguendomi. - Dov'è finita la mia tigre? - La sua retorica mi fa scattare. Ma come si permette?! Come osa dar fiato alla bocca proprio lui che mi ha quasi assassinata? 

- È morta, non esiste più. Voi l'avete uccisa. - Lui, imperterrito, punta i suoi occhi nei miei, assistendo al loro totale squarciamento. Quasi come se si fossero rotti, scheggiati come biglie, lasciano fuoriuscire frammenti di una vita distrutta pian piano, sogni infranti, sorrisi annegati nelle lacrime, sentimenti vergini che sono stati corrosi. Io, che ero un puntino bianco mi sono ingrigita, lasciandomi corrompere dall'amore. Il ricordo dei primi giorni, pressoché spensierati a confronto, affluisce in un getto copioso, che mi fa contorcere la bocca in una smorfia orribile, gocciolare il naso senza alcuna paura di come potrei apparire. 

Sono così stanca, così stanca... 

Lui mi aveva vista piangere spesso, ma nulla aveva a che fare con il pianto di oggi. Reagisce umanamente, raccogliendomi il volto con le mani, stendendosi al mio fianco.

Non riesco a mandarlo via; gli spasmi più potenti mi mozzano il fiato. 

- Respira. - Lui lancia lontano gli stivali e si sbilancia verso di me, cercando di regolarizzare i miei battiti. Io annaspo, come se stessi annegando, e non mi interessa nemmeno sapere chi ha intenzione di riportarmi in superficie, perché se fosse per me, quel dolore a Friederick e Zohan lo darei. Mi dibatto ferocemente contro le sue ginocchia, colpendolo con pugni che non gli causano che un sussulto. 

Lui mi ha ferita più di ogni altro, ma moralmente... moralmente Reiner ha gettato l'onta su di me, spazzando via ogni forma d'amore, anche verso la vita. 

Ho patito tanto, troppo, eppure nulla in confronto alle persone che avrei voluto aiutare. Ho permesso a Reiner di convivere con una delle sue vittime, quella su cui si è accanito con più foga. 

Non ci posso pensare. 

- Come ti abbiamo ridotta. - Questa minuscola variazione nel suo solito sermone, mi fa sollevare la testa, colpita. - Abbiamo preso una bambina che non aveva mai conosciuto il dolore e l'abbiamo annichilita. Questi begli occhi d'oro li abbiamo accecati, per paura che potessero soffermarsi su qualcun altro. -

- Non voglio le tue scuse false - sibilo, inacidita, indignandomi dinanzi alla sua ipocrisia.

- Mi dispiace, piccola. Mi dispiace di farti male - la mia voce tremava, ma la sua no. È ancora ferma, mentre ripassa il contorno della guancia, stringendosi al mio corpo. - Sei così fredda - mi dice, raccogliendo il lenzuolo di Fried e coprendoci, fino alle spalle. 

- Non le devi toccare le sue cose. Non sei degno. - Cerco di sfuggirgli, attaccandomi alla parete con le mani, come a volerle chiedere aiuto. 

- Quando lui ripartirà, saremo di nuovo noi due soli. Il dolore finirà. - Gli credo questa volta, perché mi conviene crederlo e, di conseguenza, mi arrendo alle sue braccia. Il lenzuolo mi tocca la fronte, contornandomi il viso lontano dalla sua pienezza. 

L'incarnato del colonnello mi è sembrato ineguagliabile fin quando, l'altro giorno, non mi sono guardata allo specchio. 

Imbellettato di cipria non lo era di certo, ma era bianco, cadaverico. 

- Ti odio, Rüdiger Schneider. - Scivolo in un sonno istantaneo; il mio respiro armonizzato dal suo... il mio corpo riscaldato dal suo.

Quando mi rialzo, lui è ancora al mio fianco, ma è un altro paio d'occhi, fissi su di noi, a destabilizzarmi. 

- Zohan - pigolo, spingendo Rüdiger ad alzarsi con una gomitata decisa. Rüdiger ha meno nemici di quel che dovrebbe, ma sicuramente Zeno rientra tra quei pochi. È stato accusato di aver fornito l'esplosivo ai ribelli del Sonderkommando, sebbene l'accusa sia caduta per la totale mancanza di prove. Evidentemente, il fatto che sia un Mischling non è sufficiente, essendo stato decorato con una medaglia al valore militare. Di nuovo è riuscito a salvarsi, un'indecenza secondo il colonnello. 

- Non credo sarebbe opportuno portarla via, signore - sentenzia, spregiudicato, ammonendolo tacitamente. - È chiaro che qui si trovi meglio. Mangia, riposa tranquilla. Non ci sono distrazioni, solo bei ricordi. - Lo infastidisce vedere Rüdiger nel letto dell'amico defunto e lo vorrebbe sfrattare quanto prima. Sta contaminando le sue lenzuola candide, sta coprendo l'odore che, ormai, sentiamo solo noi. Sta infastidendo me, con la sua presenza molesta. 

- Vedo che ti sei affezionato molto a lei, come chiunque in questo posto - si guarda intorno, affibbiando una connotazione ironica alla sua constatazione. - Ma lo stabilisco io cosa fare. - 

- Non siete padrone della sua vita. Fatevi avanti da uomo, se volete sottrarla alla mia custodia. Sappiate che non ho niente da perdere. - Piomba un silenzio inquietate, scandito dai palpiti del mio cuore, che non sono udibili all'esterno e che, perciò, non possono interrompere il loro gioco di sguardi. Rüdiger si rimette in sesto, iniziando a battere le mani. 

Zohan, messo in guardia da quella strana reazione, si sbottona i polsini, pronto per un'eventuale lotta con il suo comandante. È un atto di insubordinazione in piena regola, che potrebbe costargli l'internamento. 

Sono sconvolta; ha sempre ammesso di essere un codardo, ma si è messo in assetto da battaglia per me, tirando fuori la grinta da chissà quale serbatoio. È stata la morte di Fried ad aver condizionato così tanto il suo atteggiamento? 

- Davvero ammirevole - è serio o, almeno, pare impressionato dalla tenacia del subordinato. Si avvicina a lui, impettito; la carotide di Zeno pulsa visibilmente sotto pelle, avvertendo il rivale dell'agitazione che imperversa in lui, a discapito delle intenzioni. 

- Smettila Rudy. - Rivedo nei suoi occhi la stessa scintilla di pazzia che lo aveva spinto ad aggredirmi, fisicamente o psicologicamente che fosse, dapprima con Friederick, poi con Andrea e infine con Reiner. 

Non è cambiato da allora, se non che adesso sembra disposto a darmi ascolto. Non c'è più niente da scoprire, le sue carte le ha già rivelate. 

- Vieni con me? - Chiede, con quel suo imperterrito sorrisetto di sfida, di chi sa già di avere la risposta in tasca. Zohan non accetta di piegarsi alla sconfitta e passa all'azione vera e propria. Lo colpisce in viso, a tradimento, scagliandosi contro il suo stomaco con tutto il suo peso, buttandolo giù. 

Ma sta facendo?! Che diavolo sta facendo! 

Si avvinghiano a tal punto da rendermi impossibile un accesso intermedio, che possa separarli l'uno dall'altro. Rüdiger, intontito, si è tamponato il naso sanguinante, dopo averlo allontanato con un calcio ben assestato sul ginocchio. 

- Non rialzarti - indugio su Zohan, con la gamba intaccata ripiegata malamente sotto la coscia. Il rosso, però, non contento, si butta si di lui, ruzzolando a terra e facendo del pavimento un ring di bassa lega. Sono animali; è un groviglio di corpi indistinguibile, in cui il colonnello concentra la sua potenza muscolare sulle costole del povero Zeno che, per difendersi, gli ha sferrato un paio di pugni ravvicinati all'altezza dei reni. Ognuno dei due si dibatte come un pesce fuor d'acqua, avvertendo il respiro affannoso dall'altro sulla pelle. 

Non so che fare, non riesco neppure ad avvicinarmi. 

- Basta, vi prego! Ho detto che verrò con te! - Rüdiger è un uomo folle, l'ho sempre saputo, ma nel vederlo tirare una poderosa testata sulla fronte di Zohan, a costo di farsi venire un ematoma violaceo, ho urlato. Il moro si è scansato in fretta, coprendosi il volto con le braccia per il gran male. - Oh mio Dio, perché? Non avresti dovuto! - Già Michael si è immolato per me; non sono un angelo, non è stato consacrato a me alcun altare, com'è giusto che sia per un'insulsa mortale, e non richiedo alcun sacrificio. 

Perché scomodarsi per me? Che cosa sono io, all'infuori di una ragazzina italiana? Dicono un simbolo, un'allegoria della tolleranza e della libertà, anche se personalmente mi considero una piaga virulenta, che abbatte chiunque entri in contatto con me. 

Il rosso si rialza ammaccato e tronfio; quasi un ossimoro e mi offre la possibilità di incamminarmi sulle mie gambe. 

- Zohan - accarezzo la fronte pulsante, dove presto si estenderà una prateria verdognola, baciando una grinza con amore. I suoi occhi sono come due colpi in canna; belli e letali, nei quali vi riverso tutta la mia gratitudine. - Sei stato molto coraggioso. - Medierò per lui, affinché non venga incarcerato per il reato commesso, ma dentro me ne sento orgogliosa, perché ho compreso che "coraggioso" era davvero quello che avrebbe voluto sentirsi dire. 

- Non andare - sussurra, vincolandomi alla promessa che gli feci dopo la morte di Fried. 

- Tornerò, Zohan, perché il nostro legame è più forte di ogni cosa. - Si rialza con una spinta, guardando il rosso di sbieco. 

- Hai poco da condannarmi tu. Sarei autorizzato a giustiziarti seduta stante. - Distende il collo a mostrargli la cicatrice che gli avevo procurato io, rinnovando un gusto per la violenza fuori dal comune. Non soffre per il setto nasale, né per le botte date e ricevute; lascia colare il naso, incantato dal deflusso di sangue rosso e denso, che rimira sulle sue dita in un secondo momento. 

Farebbe raccapricciare chiunque, meno che me. 

Zohan lo fissa orripilato, facendo sfoggio di un’ultima smorfia prima di vedermi trascinare i piedi fuori dalla porta. 

- La tua parola non conta niente, ma promettimi lo stesso che non ci saranno ripercussioni. - 

- Perchè? Un mezzo ebreo mi ha solo spaccato la faccia - risponde, pettinandomi i capelli doviziosamente. 

- Promettilo! - Mi aggrappo nel punto in cui ha incassato più colpi, spingendo le dita nelle cavità dolenti del costato. Lui si ferma, ridacchiando meschino come al solito. Avverte una certa ostilità, una sorta di vendetta riflessa, diversa dai dissidi infantili dei primi tempi. 

- Che bastarda - commenta, assottigliando gli occhi. 

- Solo il peggio per te. - 

 

 

 

 

Angolo autrice: 

Eccomi qui! Per non farvi attendere troppo, ho deciso di spezzare questo capitolo in due parti, in cui il coprotagonista sarà di nuovo il nostro Malpelo. 

Che cosa succederà nel prossimo capitolo? Via alle speculazioni! 

P.S a titolo informativo, ho deciso di ristrutturare questa storia su Wattpad, dove sto riscrivendo quasi da capo i primi 33/34 capitoli (alcuni gli ho addirittura raggruppati a tre per ottimizzare lo spazio e arricchire ogni singolo capitolo). La storia è postata sul mio profilo: 

@Souvenirdeprimtemps, pubblicata col medesimo titolo. Potrete trovare altre One-shots, tra cui “Schmerz ist für alle gleich” pubblicata anche qui. Naturalmente, posterò i capitoli rivisitati anche su EFP, non appena avrò raggiunto i capitoli che rivedrò meno. Perché dovreste farci un salto? Per vedere i miei capolavori di grafica! No... scherzo, anche se mi ci sono applicata xD. Forse, per scoprire nuovi dettagli su Sara; udite udite, il suo cognome e per rivedere Fried in una nuova veste... povero angioletto. 

 

 

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Capitolo 8
*** Sehnsucht - nostalgia ***


 

Sola con Rüdiger, non mi resta che seguirlo. Sono troppo debole per potermi opporre; cammino impettita, trattenendo dentro un dolore grande. Non è rimasto nulla della tigre volitiva che aveva incusso timore negli animi dei nazisti più spietati. Mi sono afflosciata sul sedile della sua auto, come un cadavere mutilato, che perde lacrime, piuttosto che sangue. 

- Lui dov'è - chiedo, mogia, ripercorrendo la strada che mi riporterà nella casa del colonnello, ironicamente, quella in cui io e Reiner ci siamo conosciuti e giurati amore eterno. 

Come ha potuto fare una cosa simile? Ancora non me ne capacito. Un uomo come lui, così orgoglioso, così sofisticato, ha stuprato un ragazzino per spregio, senza neppure pentirsene. 

Mi risale un groppone di rigurgito tutte le volte che provo a visualizzare la scena: che schifo, che orrore! E io che mi ero piegata tra le sue gambe, trovandolo piacevole! 

Le mie dita cercano di comprimere la trachea; stringo, stringo, così tanto da indurmi il vomito, ma Rüdiger mi allontana la mano poco prima di riuscirci. 

- Non ti azzardare a sporcarmi il tappetino, Sara. - Mi ammonisce, severo, mentre il mio stomaco in fermento, che fagocitava la colpa che avrei voluto  espellere, azzera il processo innaturale che avevo messo in moto, con una brutalità che mi porta alle lacrime. Di nuovo la calma piatta; quel peso tirato giù che, prima o poi, mi farà sprofondare. - Von Hebel è tornato nel bosco, tra quelle bestie sue simili. - Questa notizia mi dona conforto e non è più necessario parlare per distrarmi: lui non è lì ad aspettarmi e tanto mi basta. 

Una volta in salotto vengo travolta da un odore dolciastro di fiori, di rose e limoni; la fragranza d'estate, che richiama i fine settimana trascorsi in Sicilia, tra gli alberi di gaggie e il rumore delle onde che s'infrangevano sulle scogliere. C'è profumo di vita, di Sole, che oltrepassa il sottile specchio delle porte-vetro, riversandosi sulle pareti chiare; permeando fin nelle viscere. 

Lo avverto sulla pelle, insieme alla manica morbida della sua divisa, che mi accarezza il collo. 

- Ti piace? Ho pensato che un cambio d'aria ti avrebbe fatto bene. - Mi tiene per i fianchi, immerge il viso tra i miei capelli, vaporosi, inspirandone il profumo. Socchiudo gli occhi, esausta, mugugnando nel vedere Samuele inginocchiato sul pavimento, intento a passare lo strofinaccio imbevuto di quel liquido melenso. 

Mi guarda, sottomessa come lui, senza mai staccare gli occhi dalle piastrelle. Eppure so che mi ha guardata, perché ha cambiato espressione nel sapermi allo sfacelo. 

Dov'è finita la mia dignità? 

- Ti vedo timida oggi - asserisce, schioccandomi un bacio rumoroso sul collo. - Che ne dici se...? - 

So a cosa allude e lo sa anche Samuele, che drizza la schiena, abbattuto dallo stesso sentimento di sconfitta che sciaborda dai miei occhi legnosi.  

Mi avvio per le scale, incontrando lo sguardo pietoso di Ariel, che stava portando i panni in lavanderia, e di Naomi, con la bacinella più piccola per la biancheria tra le mani. 

Da un lato sono contenta che lei stia bene, che Rüdiger non sia stato così vile da abusare di lei in mia assenza; dall'altro so già cosa mi attende, che la moneta di scambio per questa sua "gentilezza" sia io. 

Il rosso chiude la porta dietro di sé, palesemente eccitato, e si tuffa su di me come un lupo. 

- Non combatti? - Soffia al mio orecchio, mordicchiandolo. Spinta contro la parete, sono completamente irretita; mi disgustano le sue mani, da sempre, tanto più ora, che ha approfittato della mia debolezza per intrufolarsi di nuovo tra le mie gambe. 

Codardo; non avrebbe avuto la stoffa per il militare. 

- A che scopo? È sempre stata una tua perversione. Se lo avessi voluto davvero, lo avresti fatto molto tempo fa, senza riempirmi inutilmente di lividi. - 

- È vero - mugugna, ripercorrendo il versante del fianco destro, fino alla candida sommità. - Ma diventi ogni giorno più bella, Italienerin. Una notte in tua compagnia, a ridosso del tuo splendido corpicino, mi ha fatto rivalutare le mie precedenti posizioni. - Scosta una ciocca di capelli dalla clavicola, strusciandosi contro il mio fondoschiena come un dannato, spinto nella bocca dell'inferno per un peccato di lussuria. Un corpo estraneo fa capolino nel mio campo visivo, dopo che avevo avuto l'ardire di guardare giù. - Lo vedi come mi hai ridotto? Riesci a sentirlo? - 

- È giunto il momento? - Sussurro, aderendo maggiormente alla parete per evitare quel contatto ripugnante. 

- Non sei nelle condizioni per quello. Ma voglio ciò che ha avuto lui; so che ti ha toccata. - Schiaccio la guancia contro la parete, vittima di una gelosia cieca e ingiustificata. Non prova amore per me, non ha a cuore nemmeno i miei sentimenti; mi ferisce sempre, mi addossa colpe inconsistenti e io, puntualmente, mi ritrovo tra le sue mani voraci; questa volta sola, senza possibilità di risalita. 

È la morte del mio onore, eppure non mi sottraggo... nemmeno quando preme la bocca sulla mia, uccidendo quel briciolo di amor proprio che gli era rimasto. Mi ha ruotato il collo con uno scatto violento, che mi ha fatto scricchiolare le vertebre, ma si è adagiato sulle mie labbra, dolce e languido, come se non aspettasse altro nella vita. 

Sono rimasta basita. 

Mi getta sul letto impaziente, spogliandosi del tutto. 

Il mattino dopo, il risveglio è devastante. Rotolo tra le lenzuola ancora bianche e pure, sentendomi imputridita da quanto accaduto questa notte. Rüdiger, per esacerbare ancora di più la mia condizione di solitudine, è scomparso immediatamente dopo aver ottenuto ciò che sperava, facendomi intendere di essersi "accontentato" per oggi. 

Avrei preferito che lui restasse, almeno per non farmi sentire un oggetto che, dopo esser stato usato, va buttato via. 

Io non sono senza valore... 

Le parole edulcorate di Reiner fanno da eco ai grugniti animaleschi di Rüdiger che, sopraffatto dal piacere, ha persino dimenticato cosa avesse sempre preteso da me: una sfida. 

Ha lasciato il letto rilassato, ebbro di una sensazione di benessere provata solo da lui. Mi ha accarezzato la nuca come avrebbe fatto con un cane e mi ha lasciata qui, scordandosi di rinfacciarmi il fatto d'esser stata passiva. 

Mi manca il sentirmi amata; il giacere beata tra le braccia di un uomo e addormentarmi tranquilla, sapendo che avrebbe dato la vita per proteggermi. Più di tutto, però, mi manca la libertà d'azione, la libertà di poter scegliere da me il mio partner, cosa che mi è stata negata fin da subito. 

I raggi del Sole fan luce sul peccato commesso e io lancio via le coperte impiastricciate, schermandomi con le braccia. 

Sarei scesa al piano di sotto molto dopo, quando sarei stata sicura della sua lontananza. 

Mi tremano le gambe nude nello scendere le scale, colta da improvvisi brividi di freddo, mescolati al sudore della vergogna. Ho le guance così calde che non le sento più; la testa mi gira vorticosamente, tanto da rendermi cieca, non abbastanza a lungo da farmi precipitare per le scale e battere la testa. 

In cucina, mi aspettano tutti: Ariel, Federico, Samuele, Naomi, ma non Isaac. I loro occhi puntati riaprono il rubinetto che ha gocciolato tutta la notte, impedendomi di dormire. Singhiozzo, con un nugolo di lava che, di nuovo, mi offusca la vista. 

- Piccola, che ti ha fatto? - Ariel è sempre il più disponibile, il più premuroso e comprensivo. - Non mi dire che... - 

- No, però... - non riesco a terminare la frase, sopraffatta dalle braccine esili di Naomi, che mi circumnavigano da parte a parte. 

- Mi dispiace, Sara. Mi dispiace così tanto. - Oltre le sue spalle, Federico e Samuele la appoggiano, riservandomi una parola gentile, di conforto. 

- Sei una ragazza coraggiosa. Ti saremmo sembrati degli ingrati, ma abbiamo capito che, in ogni caso, la crudeltà di Herr Kommandant non ci avrebbe dato scampo. Tu ci hai offerto una seconda possibilità e, nonostante tutti gli ostacoli che ci erano parsi insormontabili, siamo ancora vivi e insieme. È un merito che non ti abbiamo mai riconosciuto, ma che ti spetta. Ti ricordo bambina, a Roma, mentre ora ti vedo adulta, perché costretta dalle circostanze. Grazie, Sara. - Il discorso sentito di Federico mi consola almeno un po'; in facciata, certo, perché la mia interiorità sta marcendo lentamente e non vede altra via se non un passaggio per l'aldilà. 

- Vi prego, ragazzi, lasciatemi solo con lei, prima che faccia ritorno la governante. Ho bisogno di parlarle privatamente. - I tre, che si erano avvicinati per sincerarsi della mia salute, ritornano alle rispettive mansioni, lasciandoci soli.

- Tu ancora ti poni come intermediario? Come puoi voler patteggiare per lui? - Domando, affondando il cucchiaio nei profiteroles al cioccolato. 

- Lo so che cosa pensi del colonnello von Hebel, ma quell'avvenimento spiacevole non deve distorcere la realtà che conosci. Quell'uomo ti ama, è innegabile. Non puoi accettare di venir seviziata per un fatto di cui egli stesso si pente e che ha smesso di sussistere nel momento in cui ti ha incontrata. - 

Non capisco, davvero non capisco perché insista su questo punto. E al povero Isaac non pensa? Non è forse ebreo anche lui? 

- Che differenza c'è tra lui e Schneider? - Ariel scuote vigorosamente la testa, fermo nella sua tesi. 

- Lo sai bene, Sara. È un errore madornale. Tu eri felice con lui, risplendevi di una luce quasi divina quando lo guardavi e anche il comandante ti trattava con ogni riguardo. Avevi un fortissimo ascendente su di lui; riuscivi a renderlo migliore. - Affogo il dolore e la nostalgia nella pallina di cioccolata, scoppiando a piangere da un momento all'altro, rischiando di strozzarmi. - Piccolina... - ripete, battendomi sulla schiena per liberarmi dall'ostruzione di bignè. 

- Io non posso perdonarlo - farfuglio, con la bocca tutta sporca di crema. - Dov'è Isaac? Che cosa gli ha fatto?! - 

- È tornato al campo. - Si affretta a rispondere, non mancando di specificare che, senza il permesso di Rüdiger o di Reiner, l'ingresso al lager mi sia del tutto precluso. - Lui non si arrenderà mai. Se proprio tieni a vedere Isaac, è al comandante che devi chiedere. Ripasserà questo pomeriggio... Dio solo sa cosa farà, quando vedrà che occhi hai. - Rafforzo la presa sulle posate, ingoiando un boccone dolce, ma anche (e soprattutto) amaro. 

Non era mia intenzione rivederlo e ora mi si dice che, per forza di cose, dovrò averci a che fare un'altra volta. In verità, ho una paura dannata... non so se il mio spirito sarà più forte della carne e del cuore che, inevitabilmente, si agita ancora per lui. L'ho amato tanto da aver desiderato un figlio con i suoi capelli biondi e la sua spregiudicatezza. Sarebbe una menzogna bella e buona, se mi dichiarassi insensibile all'inflessione calda della sua voce o alla lucentezza rivelatrice dei suoi occhi azzurri. Sono ancora malleabile, predisposta naturalmente ad essere plagiata secondo i suoi desideri e i suoi progetti. 

Non va bene ed è per questo che mi sono tenuta lontano finora. 

Ariel mi becca a esorcizzare le mie stesse emozioni, il disagio suscitatomi dalla mia debolezza. Mi rimira disincantato, spingendomi di nuovo, involontariamente, verso la libertà. Accarezzo il suo braccio, il mio tronco di quercia, cercando consiglio. 

- Fa la scelta giusta, sorellina. - Conclude, ritraendosi appena in tempo, prima dell'arrivo di Erika. 

Guarda con interesse il mio piatto, sostanzioso e invitante, sedendosi a tavola senza fiatare. 

Mi ritrovo la sua mano ossuta nello stesso punto in cui l'aveva poggiata Ariel; - brutta giornata? - 

- Ti avrei ceduto il mio posto - asserisco, sorpresa dalla totale assenza di ostilità tra noi. 

- Lo so - risponde, scuotendomi leggermente. - Sono stata perfida con te, non lo meritavi. - 

- Rüdiger è una persona malvagia... che cosa ti ha portata a innamorarti di lui? - Questa domanda la spiazza completamente, perché si aspettava una contestazione da parte mia, il mio perdono forse, ma non una frecciata così intima e diretta. 

- Lui non mi aveva mai maltrattata prima del tuo arrivo. Credevo che il problema fossi tu, quando, invece, era la sua natura. Andavamo a scuola insieme, per un periodo ci siamo frequentati, quasi come una coppia... certo, se non fosse stato per la sua infedeltà. Ma lui era un libertino, sapevo bene di non poterlo ingabbiare, perciò ho tollerato, per anni e anni, pregando che un giorno potesse finalmente accorgersi di me. Ero affascinata da lui; era così intelligente, così impulsivo e passionale. Mi ha stregata. - 

- So quello che provi - la interrompo, offrendole un trespolo sul quale aggrapparsi. - Ad amare una persona che non merita di essere amata. - 

- Ma lui ricambia il tuo amore, almeno. - Ribatte, non potendo capire l'origine del nostro dissidio, per via dell'ideologia che ella stessa approva e sostiene. 

- Accetto le tue scuse, Erika. - Prendo il mio profiterole, optando per un luogo più appartato nel quale consumare la colazione. 

Non volevo parlare con una nazista di un concetto che non potrebbe afferrare a prescindere e che avrebbe aperto un dibattito ideologico. 

Mi distendo sul letto, nel mio letto, ricordandomi del libro che Reiner aveva nascosto sotto al materasso: "der Kapital" di Karl Marx. 

Mi aveva sempre incuriosita e, finalmente, avendo affinato le mie conoscenze in tedesco, posso leggerlo nella sua lingua madre, senza dover continuamente consultare il dizionario. 

Dopo qualche pagina, però, il sonno sottrattomi da Rüdiger inizia a farmi chiudere le palpebre, a scatti, segno che farei meglio a rimetterlo al suo posto. 

Crollo tempo due minuti, nientedimeno. 

Avrei riposato più a lungo, se non avessi avvertito la sgradevole sensazione che si ha, quando si è osservati. Stropiccio gli occhi, attardandomi nel riaprirli. 

Non lo avessi mai fatto. 

Una carezza tenera mi ha arrossato il viso e l'ho riconosciuta subito come una delle sue. 

- Ti ha fatto entrare Ariel, vero? O Erika? Sono tutti in combutta. - Lo rimbrotto, scansandolo in malo modo. 

- Ariel, perché ti vuole bene. - Replica, rialzando col dorso dell'indice le ciglia ricurve, distese, a contrasto con le palpebre contratte, le sopracciglia vicine e infastidite. - So che cosa provi. - 

- Ah sì? Lo sai? - Ironica e tagliente, come non lo sono stata con Rüdiger. Era un bel po' di tempo che non mi inacidivo tanto. 

Schau mich an. Te ne prego. Io ti... - 

- Smettila di dire che mi ami! Non sono né sorda e né scema! - La rabbia, maledetta, me li ha fatti aprire. Ciò che vedo, però, non è ciò che ricordavo: non mi era mai capitato di vederlo con la barba, né con spesse occhiaie nere a sottolineare quanto poco abbia dormito. 

La bellezza sciupata, come quella di un fiore reciso, mi fa esitare. 

- Sembri un barbone - commento, scioccata dalla sua trasformazione. Lui si gratta il capo, scompigliandone i ciuffi già spettinati. 

- Fossi stato un senzatetto avrei potuto conservare il tuo affetto per me. Ho cercato di proteggerci dal mio passato; non ci sono riuscito. - Mi libera il collo dalla cascata di capelli mori, con la quale mi riparavo dai brividi di freddo. - Dimmi che non è successo quello che penso... - una rabbia velata gli intinge le labbra dischiuse, tremanti; al mio silenzio, vomita un coagulo di bestemmie, rompendo in un pianto furioso. - Mein Gott... - 

- Non quello che pensi. Si è preso quello che abbiamo vissuto insieme; pareva che fosse presente... sapeva dove, come persino. - Addento l'interno delle guance, squarciando il sottile strato di pelle. Devo mostrarmi impenetrabile dopo aver subito violenza; non è umano quel che sto facendo. Da donna, da ragazza ferita, dovrei chiedere aiuto, rifugio, o pretendere vendetta. Lo sgozzerebbe come un maiale, nulla che potrebbe rendermi più felice, contando quel che il colonnello mi ha costretta a fargli. 

Un'oscenità indicibile; il tatto di Reiner non era che un lontano ricordo. 

- È colpa mia - uggiola, aggrappandosi alle lenzuola. 

- Tu hai molte colpe, ma non questa. - Porto la mano su uno dei succhiotti più evidenti, rimpiangendo di non aver almeno provato a impedirglielo. - Se vuoi fare qualcosa per me, lascia che io lo veda. - 

- Puoi anche uccidermi; non me ne andrò mai. Dovessi anche trascinarti a Dresda con la forza, non sarai schiava di nessuno. - Soffia i ciuffi biondi che gli ricadono sulla fronte, scrutandomi come un cane randagio, figlio della rabbia eroica dei suoi antenati. 

- Lui non lo permetterà mai e io non voglio sporcarmi le mani, né col sangue tuo, né col suo, né con quello degli innocenti dall'altra parte del filo spinato. Anche se lo credi un incapace non vuol dire che lo sia e, qualora tu fallissi e restassi ucciso, saremmo noi a rimetterci. - Non sono più una sua responsabilità; non si deve intromettere. So bene quel che faccio e, se ho scelto di sacrificarmi, è a fin di bene. Lui non ha fatto altro che darmi un incentivo, perché in fondo ho sempre saputo che sbarazzarmi di Schneider sarebbe stato più arduo di quanto non lo facesse sembrare. - Portami da quel ragazzo, Reiner. Che cosa devo fare per avere un passaggio, eh? Vuoi anche tu un lavoro di bocca? - S'infila le dita all'interno del colletto sgualcito, slargandolo ulteriormente. 

Quella richiesta ironica lo ha fatto inorridire. 

- Ti ci porto, se deciderai di seguirmi senza fare storie. - Allora non ha ascoltato proprio niente di quello che ho detto! Me lo vedo a un palmo dal naso, ma mi tappa la bocca prima ancora che possa urlargli di andarsene. Ha le labbra ancora morbide, considerando come si sia trascurato negli ultimi giorni: aspettava quel contatto; si era preparato per me, conoscendo il mio punto debole. Nonostante la corta peluria che gliele contorna, pizzicandomi la pelle, è ancora piacevole... ma quanto vorrei che non lo fosse! 

- Dimmi che non hai provato niente ed eviterò di caricarti in auto come se dovessi sequestrarti. - Batto le palpebre umidicce, incapace di mentire a una distanza così ravvicinata. - Dov'è Schneider? - Mi ritraggo a una carezza troppo avventata, impastandomi la bocca, smaltendo il sapore che vi era rimasto impresso. 

- Non al campo. Non aveva addosso la divisa quand'è uscito, o non te lo avrei neppure proposto. - 

- Vedrai il tuo ungherese. - Il suo tono superbo mi colpisce più forte di un potente manrovescio, mandandomi al tappeto. Ripongo la mia avversione in uno scompartimento ben sigillato, in modo che non possa compromettere il suo umore. Era un filo sottile a tenerci legati, ma sufficientemente robusto da ricucirsi da sé ogni volta che le nostre idee, agli antipodi, riuscivano a troncarlo. Ora quella cordicella è minacciata da uno strappo all’apparenza irreparabile e il più piccolo movimento da parte nostra potrebbe reciderlo per sempre. - Heimtückischer Bastard / infimo bastardo - aggiunge, a bassa voce, dandogli addosso per il fatto d’esser nato ebreo, d’esser bello, d’essermi simpatico, d’aver rotto il nostro fidanzamento, l’unica certezza che avevamo nella vita. 

Mi ha spinto l’anello nella tasca, credendo di poter passare inosservato... 

Lui ancora non sa come la prenderò e, il bello, è che non lo so neanche io. 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Wahl - scelta ***


 

Reiner è stato di parola. Ha fatto in modo che lo vedessi, anche se abbiamo dovuto allontanarlo dai suoi compagni, così come avevamo fatto con Maxim. Sac era uscito fuori dalla cava, stordito, e si era schermato gli occhi con la mano per non restare abbagliato dalla luce. Ha occhieggiato Reiner con l'angoscia che si deve a un prigioniero di lager, ma con uno scintillio acuminato nelle iridi d'ematite, un fiotto di paura di cui soltanto noi conosciamo l'origine. 

Ma Reiner era completamente disinteressato a lui; per quanto odi quel ragazzo, più di chiunque altro (meno che di Schneider), l'odio che nutre verso quel ragazzo è infinitesimo, uno spruzzo rapido e di piccola portata, in confronto all'amore che, in quell'azzurro, scorre a fiumi. 

Cerca di incontrare la terra dura dei miei occhi, sfiancata dalle picconate, tentando di ficcarsi tra le crepe di mio cuore, riempirmi di nuovo come un tempo che già mi appare lontano. 

Non ha stretto la mia mano, ma mi ha accarezzato gentilmente le dita, facendosi da parte con tutto il dolore che quel distacco gli ha scatenato dentro; un misto di inquietudine, rabbia e disperazione. 

Ci ha dato cinque minuti, poco più del tempo che Isaac avrebbe impiegato per cantarmi una di quelle litanie dolci, proprie del folklore ungherese. 

Eppure deve cantare in ogni caso, per non destare sospetto. Io non lo voglio vedere, lo voglio sentire... è l'unica giustificazione che avrebbe Reiner per tirarlo via dalle sue mansioni. 

Lo ascolto; lui, che ancora non ha capito cosa voglia comunicargli, dischiude le labbra rosee, risparmiate dalla fuliggine, e canta con una grinza importante a screziargli la fronte. Non era una delle mie priorità, ma la sua voce armoniosa è l'anello mancante tra uomo e divino. Anche così, insozzato da raggrumi di particelle nere e polverose, sprigiona la luce di un angelo, calato dal cielo per liberarci dal male di cui egli stesso è vittima. 

Questo, il motivo per cui Reiner desiderava ardentemente eliminarlo. 

Un sorriso tiepido modella le labbra mute e tese in ascolto. Timido e dolce e anche il suo sguardo si fa meno fosco, facendoli rifulgere come piccoli diamanti neri. 

Un attimo di estasi suprema, quasi mistica, solleva entrambi dai dispiaceri della vita mortale e Reiner, una figura ombrosa sulla linea dell'orizzonte, ci volge le spalle. Io so perché; lui non vuole che lo acclami, che gli dedichi attenzione, che elargisca anche a lui una parte di quell'amore puro che non sapevo di possedere. 

- Mi sei mancato, Sac - cinguetto, emozionata. Lui, riposate a dovere le corde vocali, riprenderà a parlarmi, ma per il momento ricambia quell'entusiasmo, sorridendo con gli occhi. Mi sembra di vedere del rossore sulle sua guance sporche, tuttavia, non saprei dire se sia imbarazzo sul viso di una persona umile o un più greve senso di vergogna, in relazione agli ultimi avvenimenti. - Volevo dirti che mi dispiace... avrei dovuto aprire gli occhi, accorgermi di quello che stavi passando e per mano di chi; la verità è che ero troppo innamorata di lui per dar peso alle briciole che stava seminando. - 

- No, è a me che dispiace. Non l'avevo taciuto per paura di quello che avrebbe potuto farmi. Certo, mi aveva intimato il silenzio, ma sappi che in ogni caso non avrei aperto bocca, né l'avrei messa tra voi. - Le sue parole non mi lasciano indifferente, tutt'altro. Ero venuta qui per porgergli le mie scuse, non potendo sperare in quelle di Reiner, mentre ora è proprio lui a farmi vacillare. - All'inizio non ci volevo credere; venivo sopraffatto dall'indignazione ogni volta che lo vedevo appoggiare le sue mani, quelle stesse mani che mi avevano percosso, sul tuo corpo; per me era blasfemia. Non era degno... tu, così bella, così buona meritavi qualcuno di migliore... tutti ti amano, Sara. Al campo si sono rivoltati contro di me, sostenendo che non avrei dovuto allontanarti da lui. Dicono che hai domato la bestia, che sei riuscita a piegarlo al tuo volere. - 

- Sac... - Mentre mi riportava le parole dei suoi compagni, qualcosa in lui si è spezzato. Un'ombra scura, che poco ha a che vedere con la cenere di cui è ricoperto, gli scurisce il bel volto, accartocciandolo in una morsa violenta, che lo porta a lacrimare. 

- Ho taciuto perché potessi preservarti da ciò che ho subito io. Non volevo che Schneider ti facesse del male, così ho ricacciato dentro quel segreto che da troppo tempo mi premeva, affinché lo esternassi. Ma non è servito a nulla... perdonami, ti prego. - Lo ha visto, quel livido scuro che ho nascosto sotto i capelli; il prezzo che ho pagato per le nostre colpe. Strofino quell'area contaminata, quella macchia scura che intacca il mio incarnato bianchissimo ma, ancor più in profondità, la mia purezza. Come le pareti candide che diventano azzurrognole nel teatro di Lorca, anche io mi sono ingrigita. Sono approdata in quest'epoca che non conoscevo nulla, una bambina sperduta che mendicava sogni e condivideva le sue speranze con chi le avrebbe stracciate, senza pietà alcuna. Ho incontrato loro ed entrambi mi hanno rovinata, uno in un modo più spregevole dell'altro. Lo strappo più dolente mi è stato dato dalle mani di Reiner però, che mi aveva persuasa ad accettarlo così com'era, pur senza approvarne l'ideologia, le idee, o gli scossoni violenti coi quali si sforza di rianimare ciò che è già appassito. 

- Io non ti avevo imputato colpe. Io sono stata cieca; forse non lo avrei mai scoperto, ma era certamente giusto e importante che venissi a sapere con che razza di individuo vivessi. - Sbatto le ciglia, perplessa, dinanzi alla sua ritrosia. 

- Ora basta - interviene Reiner, secco, trucidandolo con una sola occhiata. - Torna al lavoro - continua, grugnendo furiosamente, come un cinghiale femmina che avverte l'incombere di una minaccia per i suoi piccoli. - Sono trascorsi ben più di cinque minuti. - 

- Lo so - sbotto, mentre il profilo di Isaac scompare all'orizzonte; una chiazza nera e bianca, la schiena nuda di un ragazzo in salute, livellata, la cui pelle non si tuffa nelle costole. Quando ha voltato il viso, i suoi occhi neri sono emersi comunque dalla coltre di nero; due spilli di luce in cui ho letto altro, non solo preoccupazione. 

- Sali in auto - mi ordina, con quell'austerità regale che lo ha sempre contraddistinto in questi frangenti. 

- Che cos'era? - Lui stava tendendo il braccio, ma si è ritratto non appena ho aperto bocca. 

Tesoro, tu vedi ogni cosa dove non dovresti e nulla di quello che invece avresti paura di scoprire. - Parole criptiche, che per me sono vuote. O parla o parla; di misteri ce ne sono stati fin troppi e ancora un paio sono rimasti irrisolti. Giro in tondo in un dedalo fitto fitto, costruito di carta ma protetto da una cinta muraria di omertà, favori reciproci scambiati tra nemici e rivali; chi lo sa il perché! 

- Sii più specifico. - Gli ingiungo, sporgendomi verso destra per confrontarmi direttamente con lui. 

- È innamorato di te, Sara. Come hai fatto a non accorgertene? - Su di me cade un catino d'acqua gelida, con tanto di catino picchiato sulla testa. 

Non può essere... lui... 

Mi stropiccio gli occhi con le dita, fregandomi la faccia; un affondo d'unghie sotto le palpebre e quel fastidioso pizzicore riprende a tormentarmi. 

Che sciocca che sono stata; lui soffriva in silenzio e io come una cretina che non davo peso a tutti i segnali che mi aveva mandato, e che avevo ricevuto persino. 

Per me era un fratello, un amico, un confidente, ma mai mi aveva sfiorato la mente il pensiero che potesse provare ben più che del semplice affetto. 

E Reiner aveva capito, aveva capito e lo aveva cacciato; non solo per tappargli la bocca. 

- Perché non me lo hai detto tu? - 

- Che importanza ha?! - Sbotta, rosso in viso, inchiodando sul colpo. Sono scattata nel momento stesso in cui ho intravisto la carotide oltre la pelle chiara del collo. Il colorito purpureo, così improvviso, ha intaccato anche gli occhi, provati dal sovraccarico di insofferenza repressa. 

- Certo che ha importanza! Io avevo diritto di sapere! - Sprezzante del pericolo, non rifuggo da lui, anzi, accetto lo scontro frontale. 

Non ho niente da perdere; tanto vale che mi batta per i miei diritti. 

- Tu mi amavi e vivevi per essere amata da me. Che impatto avrebbe avuto quella confessione sulla tua vita, sulla nostra relazione?! Mi avresti ripudiato per lui? - Non lo riconosco più; è un folle a parlare! 

- Ma che stai dicendo! - Ribatto, indignata, infiammandomi tanto quanto lui. - Io non desideravo altro che averti accanto, sull'altare persino; il coronamento dei nostri voti e delle nostre promesse. - Vengo risucchiata dalle sue braccia possenti; le mie labbra inghiottite dalle sue con famelica decisione. Gli artiglio le spalle, scioccata; schiaffeggio i deltoidi guizzanti sotto il velo leggero della camicia; più e più volte ho avuto il coraggio di mordere Schneider, eppure con lui non mi riesce. Massaggia la mia boccuccia screpolata, umettandola di baci rudi o soffici. 

Mi stringe in un abbraccio scomodo, maleducato, schiantandomi contro gli addominali rigidi come una maglia d'acciaio. 

Piccola, piccola e morbida. 

Adorava far scontrare i nostri corpi; mi aveva offerto un nido caldo e accogliente in cui, però, non trovo più ricetto. Non è un riparo: io freddo cadavere e lui sarcofago ornamentale. 

- Che fai?! - Lo redarguisco, dopo esser riuscita a scollarmelo di dosso. - Assomigli sempre più a Schneider. - 

- Mi uccidi quando ti comporti così. - Risponde, impedendomi di rialzarmi dal suo bacino. Mi trattiene dal retro delle ginocchia, sprofondando di dita nel golfo molle del cavo popliteo. - Ferma... - 

- Ti odio, ti odio, ti odio - ripeto, correndo a tappare quelle fessure umide che avrebbero rivelato tutta la mia debolezza. - Riportami da lui. Quello impazzisce senza di me. - Lo prego, temendo le conseguenze del mio ritardo. 

Non deve rientrare prima di me... non deve sapere che sono stata con Reiner. 

- No. - Asserisce, spingendosi in avanti per sentire il tepore del mio corpo sulla pelle. - Anche se il mondo intero ti odiasse, io rimarrei comunque al tuo fianco. - 

Una promessa rimasta immutata, a discapito degli eventi che hanno attentato al nostro personalissimo Eden, esiliandoci dal paradiso terreno che noi stessi avevamo costruito; un isolotto felice in mezzo a questo mare di male. 

- Lo devi fare! Ho detto che verrò, ma ho bisogno di tenermelo buono. - 

- No, tu non vuoi lasciarlo andare perché vuoi sapere che cosa lo affligge. È diverso. - 

 

 

 

 

Angolo autrice: 

Mi scuso per il mega ritardo, ma davvero ho avuto un sacco di impegni... spero riuscirò a pubblicare la seconda parte entro una settimana, per rimediare ^^. Non ho mai tirato fuori commenti con le pinze, ma ho davvero, davvero bisogno di un consiglio: come vi sembra la storia fin qui? La scrivo da cinque anni praticamente e mi sta venendo il dubbio che, forse, abbia preso una piega fin troppo romantica. Per cui... preferireste vedere più azione o comunque vi piacciono i drammi e i feels da tragedia greca? Sarebbe davvero importante per me saperlo, così da regolarmi in futuro. 

Alla prossima! 

 

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Capitolo 10
*** Al di là del bene e del male ***


 

 

Achtung!: il capitolo in questione contiene tematiche delicate, violenza (presente ma, di fatto, accennata), linguaggio scurrile per un preciso motivo. Se ve la sentite comunque di leggere, fatevi avanti, coraggiosi e coraggiose! 

 

 

 

 

- Torni sempre da lui. - 

Mi muove un'accusa pesante, senza neppure saperlo. Che cosa sta insinuando, di preciso? Che gli copra le spalle, che nutra per Rüdiger una sorta di affettuosa comprensione che mi induce a perdonargli tutto? 

Non si tratta di questo. Schneider sarà anche un mostro, ma condividiamo lo stesso brutto carattere. Saprei come prenderlo, se solo lui me ne concedesse la possibilità; potrei impedirgli di sfogare la tensione su Ariel o su chiunque altro. 

Siamo due metà della stessa medaglia; devo solamente impedirgli di distruggere me, l'unica debolezza, un male che ritiene estirpabile. 

Come un'erbaccia, come un'edera velenosa, che ha preso possesso dell'unico anfratto rimasto incontaminato. 

- Smettila di fare la buona samaritana. Non ti voglio sapere nel suo letto... qualunque uomo non lo tollererebbe. -

- Io non sono debole. Non ho bisogno di te per sopravvivere. - Ed è vero; ne ho passate di tutti i colori da quando sono qui ed ero sempre riuscita a cavarmela, fin quando Erika, quel giorno, non mi ha posto un limite invalicabile, che ha richiesto per forza l'intervento di qualcun altro, di più forte, di più potente. E da quel momento la mia vita è dipesa da quella di un uomo. Mi ero dimenticata di quanto fossi stata coraggiosa; incosciente il più delle volte, ma anche libera e indipendente. 

Forse è questa sensazione di languore e debolezza, frutto dell'amore o della passione, che il rosso ripudia fermamente. È la sua impostazione sentimentale, le sue conseguenze che violano i confini di qualunque credenza implichi la violenza e la brutalità, che glielo rendono odioso. 

- Non l'ho mai pensato, questo. - Il viale attende il mio passo leggero; è a un metro da me, eppure non riesco ad aprire la portiera. La sua mano, stretta attorno alla maniglia, prolunga la mia pena e la mia angoscia. 

- Ma che cosa vuoi? Eh? Mi intralci soltanto. - Lo guardo dritto in quegli occhi infuocati, facendo pressione sul suo braccio, affinché mi lasci uscire. 

- Che cosa intralcio? La tua giustizia? La violenza che subirai da parte di Schneider? - È la sua risposta, caustica, che corrode ben più che la mia pelle; mi perfora i polmoni, il cuore, raggiungendo quell'entità misteriosa e spirituale che in esso risiede. 

Non posso, mi suggeriscono quegli stessi occhi, macchie di colore su carta bianca. Non c'è solo azzurro; c'è anche dell'ambra che s'incorpora nella tavolozza variopinta della luce, che a specchio riflette nell'uno i colori dell'altra. E sono occhi di nuovo lucidi, dita che si sfiorano, labbra che si cercano, nell'oscurità turpe del nostro peccato. 

Un errore esecrabile quanto irresistibile, che cancella ogni razionalità. Agguanto la sua mandibola, ridisegnando il contorno della sua bocca con pennellate intense d'un amore corrotto. 

La dannazione incombe su di me; non la parola di Dio, ma il ricordo della schiena bianca di Isaac rovinata dalle cicatrici e della polvere di stelle; uno strato lucido come la luce del giorno, immerso nella notte più nera delle sue iridi, così belle, così addolorate. 

Mi sgancio da lui di colpo, come se mi avessero dato una schioppettata sulle natiche e colgo l'occasione per correre fuori. Sfreccio lungo il viale alzando nuvolette di polvere e mi getto sulla porta, intrufolandomi all'interno prima che possa raggiungermi. 

- Sbarrala! - Grido, armeggiando con la serratura in gran fretta. Ariel, dalla cucina, viene a vedere cos'abbia tanto da urlare ma, quando si accorge da chi, in realtà, vorrei che mi proteggesse, non muove un solo passo in mia direzione.  Al che mi volto di nuovo verso la porta, assalita dal panico. Poi, il suo odore mi pervade le narici; lui mi sovrasta, appoggia la mano sulla tavola liscia, annullando quello spiraglio di luce con una spallata decisa. Appoggia la mano fredda alla mia, compiendo per me quei giri di volta che mi mancavano per barricarmi dentro in sicurezza. 

Sicurezza... questo è il posto meno sicuro al mondo, per me. 

- Vattene via! Sparisci! - Ribadisco, poggiando la guancia sull'uscio indolente. - Sparisci - un sussurro così lieve non avrebbe mai potuto bucare il legno, ma raggiunge comunque le orecchie di Rüdiger, che mi è anche troppo vicino. Lo oltrepasso senza guardarlo negli occhi, mangiandomi le scale, schizzando per il corridoio dalle pareti sanguigne. Mi ritrovo in camera sua, piegata sul letto in preghiera, nello stesso punto in cui, inginocchiato, lo avevo scorto con le mani intrecciate e tremanti, il "Miserere" a mezza bocca in un sospiro pesante. 

Amo ancora l'uomo che ha annientato i Lebrac, che ha mandato a morte Yonathan, che ha stuprato e torturato un ragazzino... un ragazzino innamorato di me. 

Mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati; le ciglia abbracciano involontariamente le palpebre, sorelle di cui troppe cose sono state complici; omertose nei confronti dei loro fratelli, si sono rifiutate di donar loro il conforto del buio, dandogli libero accesso per il crimine di cui poi si sono macchiati. Hanno idolatrato un nazista dalle sembianze di un angelo: solidi pilastri, un tempio di marmo il suo corpo, il viso di una tale fotonica bellezza da non lasciarli indifferenti. Era un tempio pagano però, inavvicinabile per tutti, tranne che per loro. Perché peccando ho meritato i tuoi castighi; hanno abusato di quel dono strabiliante, la vista, permettendogli di insinuarsi oltre le retine, nell'oracolo di ogni uman sentimento. Allora mi sono ingrigita, ho scartato quella moralità che avevo tutelato con ogni respiro, perché fuorviata dal movimento sensuale delle sue labbra, dalla solerzia della carne calda e guizzante che mi faceva ansimare. 

Peccato, peccato, peccato. Azzanno la lingua con ferocia, scartavetrandomi le pelle delle gambe, su cui è impresso il suo marchio. 

Tuttavia, non è stata la carne a farmi cedere; lo devo riconoscere. Sono state le note di pianoforte, gli spruzzi di colore sulle sue belle mani dopo che aveva trascorso ore davanti al cavalletto, a dipingermi; è stato il suo sorriso gioviale, la fierezza dei più grandi conquistatori che sprizzava da ogni poro, la decisione che io non avevo mai avuto. 

Liberaci dal male; salto da una preghiera all'altra, mentre la suola crocchiante dei suoi anfibi calpesta il tratto di corridoio percorso dalle mie All-stars taroccate, prive di scritte. 

Si avvicina con una lentezza inesorabile perché, evidentemente, non aveva fretta di inseguirmi. 

Si inginocchia accanto a me e ci ritroviamo spalla contro spalla; lui così ripiegato su se stesso da apparire in uno stato di prostrazione. Coi gomiti appoggiati sul letto, compie l'ennesimo sacrilegio. Con la croce di ferro affissa al collo, si rivolge all'unica croce non uncinata della casa, congiungendo le mani. 

- Hai visto che cosa ti fa, l'amore? - Taccio nella consapevolezza che, in fondo, la vittoria sia sua stavolta. Una vittoria senza gloria. - So di cosa sono infestati i tuoi incubi. - Aggiunge, pilotandomi verso di lui. - Apri gli occhi. - Quasi come se nemmeno loro volessero racchiudere la sua immagine, restano serrati, compressi così tanto da far dolere le palpebre. Poi ancora la sua acqua di colonia, che mi travolge come un onda e un refolo caldo: il suo respiro, a un soffio dal mio. 

La mia manata lo raggiunge, prima che riesca a riaprirli. 

- Non toccarmi - scandisco, al ricordo dei suoi baci velenosi. 

 - Davanti al Signore mi respingi così? - È ironico, perché ha sorriso candidamente, palesemente soddisfatto. - Mi fa piacere che tu abbia riacquistato dignità. - Lo guardo in tralice, irreprensibile al cospetto dell'ennesima offesa. 

- Lasciami in pace. Non vedi che mi stai uccidendo? - Lo rimprovero, mentre lui, voltato e votato alla preghiera, non accenna la benché minima reazione. 

- Te l'ho detto, piccola. Mi dispiace di farti male. - Il materasso sotto di noi si incurva sotto il suo peso; il rosso s'incunea, si distende, infossando il volto tra i palmi rigidi. Era sentito... chissà se era un avvertimento o una scusante. - Sono marcio. - Ruota il collo, tendendolo in modo tale che il mento gli gravi sulla spalla, e sospira.

Ride sbuffando, immensamente triste. È uno squarcio lancinante e lui si ritrova con gli occhi liquidi, rossi, come quelli di Lucifero nel quadro di Cabanel. 

L'angelo caduto, esiliato dal cielo non per la sua malvagità, ma per un atto di superbia nei confronti del suo creatore. 

- Perché preghi? - Lo sguardo che mi rivolge, furente di rabbia e di dolore, le ciocche di capelli di un rosso surreale, morbide, adagiate sulle sopracciglia aggrottate, mi rimandano all'iconografia del diavolo. 

Evito di essere discreta, mostrandogli la mia inquietudine nello stargli accanto. 

- Prego per quello che sto per fare, perché ti farà soffrire. - Con un colpo di reni si rimette in piedi, assistendo al mio sconcerto, al sollevamento del mio lato più combattivo che si premura subito di intralciare. - Ho affidato i due cugini a Peter. Si prenderà cura di loro fin quando non sarà tutto finito. - Mi paralizza alla sua maniera, mentre quella nebbiolina leggera che gli avevo visto di sfuggita nello sguardo, sopraffa anche me. 

"Non toccarla", il pensiero mi corre subito a Naomi, indifesa e inconsapevole, oltre che sola dinanzi alla vita bastarda e a un predatore invitto, che non ha pietà né per la sua verginità, né tantomeno per lei. 

- Non ti azzardare. Prendi ciò che vuoi da me, ma lascia stare lei. - È una preghiera e una minaccia e lui la recepisce, forte e chiara. 

- Tu non hai colpa - tiene a specificare, come se potesse importarmi in un momento simile. - Lo devo fare. L'ho già toccata, che ne sarebbe della mia purezza? - Mi sfiora il labbro tremolante con il pollice, tenendomi inchiodata alla parete. - L'ebrea deve morire. - Mi spinge all'indietro, facendomi ricadere sul tappeto, intontita. Gattono fino alla porta; gli occhi calamitati verso i suoi crateri scuri, incastonati nel pallore lunare, di spettro. - Mi dispiace di farti male. - Pronuncia un'ultima volta, chiudendomi dentro, affinché non presenzi all'esecuzione brutale di quella ragazza che ho conosciuto, che mi ha accolta e benvoluta... che io ho consolato e che ha consolato me. 

Strilli forsennati li levano al cielo, in contingenza con il battito cardiaco incrementato vertiginosamente e il picchiare sordo delle mie nocche, lo scontro delle spalle indolenzite contro l'ostacolo inarrivabile. Un crocchiare sinistro mi induce a smettere di torturarmi inutilmente. Mi graffio la cute nello stringere tra le dita fili sottili e bruni come...  come una forcina! È questo che mi serve! Una forcina! 

Pensa Sara, pensa in fretta. Fai presto. O il lupo banchetterà con l'agnello. 

Erika è stata qui molte volte... si sarà sciolta i capelli; avrà riposto da qualche parte alcune delle forcine che le servono per ottenere una crocchia perfetta. Mi piego per terra, dove i primi rumori, di mobili messi a soqquadro e urla disperate, mi straziano l'anima, sebbene siano tanto ovattate da essere recepite a malapena. Striscio sul pavimento, controllando ovunque. 

Sono braccia, gambe che nuotano in frenesia, alla ricerca di un qualunque tintinnio, di un "sassolino" duro che possa ferirle. 

Il pavimento liscio, pulito e profumato sembra sgombro. 

No no, fermo! Ti prego, non farlo! Le mie mani si immergono nei cassetti, gettano all'aria tutto, in contemporanea col probabile affondo del suo arnese nell'intimità inviolata di una ragazzina, poco più grande di me. Impedisco alle lacrime di privarmi dell'unica risorsa che ho, risucchiandole indietro. 

No no, non è possibile! Non posso consentire che accada. No! 

Picchio forte sui cassetti con i pugni chiusi, spolmonandomi. 

- Erika! - Chiamo colei che avrebbe voluto uccidermi, sperando che la sua gelosia possa salvarla. - Erika, dove sei, maledizione! Fanculo, fanculo, fanculo! - Sempre più intensi sono gli schiamazzi provenienti dal piano di sotto. 

E Reiner? Sarà ancora fuori dalla porta? Riconoscerà che non si tratti della mia voce? 

Ma certo... e perché dovrebbe arrischiarsi ad aiutarla? Gli è sufficiente che il colonnello non faccia del male a me! 

Quanto tempo è passato? Dieci minuti forse? Un quarto d'ora? La camera è inguardabile; ho scandagliato ogni angolo in una furia cieca; sono ricoperta di tagli, di botte che presto diverranno lividi. 

Il finimondo al piano terra. Lei grida, inveisce, piange in un modo convulso e raccapricciante. Finché non la sento: Sara, Sara... quattro misere lettere che mi perseguitano, violentandomi l'udito. 

Trattengo il fiato, rovescio il materasso, fin quando la mia attenzione non viene attirata da una capocchia nera oltre le sbarre. Mi scartavetro il braccio per raggiungere la forcina; non perdo un singolo istante per guardare in che stato sia ridotto. La inserisco nella toppa, armeggiando inesperta. 

Uno sparo, un unico boato della durata di un attimo, fende l'aria, facendomi cadere l'oggettino dalle mani delicate e sanguinanti. Una testata contro la porta, urli di animale imbizzarrito da parte mia e il dolore originato dalle unghie spezzate e dalle sbucciature scompare. 

Il fallimento brucia più della scarne squarciata; il rimorso, fedele compagno di viaggio, si intensifica, raggiungendo livelli che porterebbero un qualunque essere umano al suicidio o alla pazzia. 

Cado sul tappeto o, forse, mi lascio cadere, tra boccette di profumo infrante e cianfrusaglie tirate all'aria, inutili.

Come me. 

Non sono riuscita a salvarla. Di nuovo impotente dinanzi alla tragedia. 

Come farò... con che coraggio mi presenterò al cospetto dei Costa, viva, per comunicargli della morte violenta della figlia, della sorella, della nipote... Dio, pietà! Abbi pietà di me! 

E se non fosse morta? E se fosse sopravvissuta?! Devo sapere! Devo correre, correre, correre! 

Reinfilo la forcina e scendo di sotto a rotta di collo. "Naomi, Naomi!" Schneider esce dalla porta di casa, tranquillo; vedo scomparire la sua schiena, risucchiata in un bagliore di luce. Scansa Reiner, ad un passo dalla soglia, sgusciando fuori senza neppure calcolarlo; senza ombra di rimpianto. 

Reiner aveva una scelta davanti a sé; consumare la sua vendetta o restarmi accanto. Lo ha seguito con lo sguardo, poi lo stivale ha oltrepassato lo zerbino e ho capito che ha scelto me. 

Sembra passata un'eternità, ma è la quiete assordante, il martellare di qualcosa di rotto nel mio petto ad avermi dato l'impressione che quel dolore non finisse più. 

Mi ero detta di correre, eppure resto ferma. 

Perché combattere? È tardi, troppo tardi. Non si sente piangere, né singhiozzare. Non si sentono urla. 

È morta. 

Non voglio vedere il suo corpo senza vita. 

Non voglio... non posso... 

- Reiner - immergo il viso tra le pieghe della sua camicia, singhiozzando disperata. - L'ha ammazzata, quell'animale... ho cercato di evadere dalla stanza, ma non ho fatto in tempo. - Lui mi stringe a sé, in silenzio, massaggiandomi le nocche livide. - La devo vedere in quello stato... - 

- No, è meglio di no. - Consiglia, tamponandomi gli squarci con un fazzoletto. - Hai sofferto già molto per Friederick. Me ne occupo io. - 

- Lei non vorrebbe questo - statuisco, facendomi forza. Non sarà un nazista a portarla via... devo perlomeno assicurarmi che la tratti bene, almeno nella morte. 

La ritroviamo in una pozza di sangue; il vestito strappato in più punti, le gambe  molli, piegate in una posa innaturale. Invece che coprirmi la bocca, mi copro gli occhi; scuoto la testa con vigore, orrore al di là delle dita serrate. Le lacrime defluiscono dal mio viso come sangue, che si propaga sotto un corpo ancora tiepido. Le sfioro un piede, accarezzandone il dorso in un inutile tentativo di riscaldarla. 

Mi avevi accolta, anche quando gli altri non avrebbero voluto. Sei andata contro la tua stessa famiglia per me. 

Un rantolo strano fuoriesce dalla mia gola, mentre le copro il seno nudo con i lunghi capelli neri. Il viso ancora bello, ricaduto di lato, la fa assomigliare a un manichino difettoso dagli occhi di vetro. 

La pelle olivastra si asciuga lentamente; il colorito luminoso e bronzeo lascia spazio a un secco caramello. Una chiazza scura sul fianco vomita un fiotto liquido e vermiglio, sempre più esiguo man mano che metabolizzo l'immagine. 

Il tintinnare di un secchio mi distoglie dal cadavere: è Ariel, che nel vederla in questo stato se lo lascia scivolare a terra. Il secchio pieno d'acqua ricade con un botto cupo. Il sangue, più denso dell'acqua, non viene trascinato via dallo spruzzo stillato da quella caduta. 

Strizza gli occhi anche lui, trafficando con un cencio imbevuto, che non riesce a posare sul pavimento. Pallido, gli viene da rimettere, ma si trattiene, cercando il mio supporto. 

- La voglio lavare. Io non vorrei mai che m trovassero così... - enuncio, togliendogli il panno dalle mani e poggiandolo tra le sue gambe, con delicatezza, dove un rivolo scarlatto discende da una ferita invisibile. - Perdonami. Perdonami. - Strizzo il tessuto rosato ed è una colata di sangue e umori, disgustosa. 

Mi ritraggo affaticata, assegnando il compito ingrato a qualcun altro.

- È troppo... - lamento, immergendo le braccia nel secchiello fino ai gomiti, sciacquandomi ossessivamente le mani. Le sue guance sono già di un pallore mortale, le iridi di un grigio scuro... grigie, quando dovrebbero essere più scure del carbone. - Cosa racconterò a Federico e Samuele? E ai suoi genitori? Io... - 

- Niente. Cercherebbero di uccidere Schneider, una follia che, come minimo, costerà le loro, di vite. Sono giovani, in salute, non permettergli di buttare via un dono come questo. - Afferma il comandante, risoluto, tempestandomi la pelle di brividi. Propone una scappatoia; mi chiede di mentire per una "buona" causa. 

Vuol farmi diventare come lui; una bugiarda. 

- Cosa dici! - Lo rimbecco, sconcertata, abbassando di nuovo lo sguardo verso di lei. 

- È andata, Sara. Se vuoi che la sua dipartita non trascini nel baratro anche la sua famiglia, mi devi necessariamente tenere il gioco. Diremo loro che è stata trasferita a Ravensbrück, nel campo femminile. Non sapranno mai come realmente sono andate le cose. Avanti Ariel, cerca di farla ragionare tu! - Nel sentirsi chiamare per nome, rialza la testa e allontana la mano da quella di Naomi, come scottato. 

- Sì, Standartenführer. Avete ragione, trovo anche io che sarebbe il male minore, far loro credere che non sia... - Deglutisce in impaccio, dopo gli ho menzionato Maxim.

- Bisogna bruciare il corpo. Per cancellare ogni traccia. - Con che coraggio, davanti a me, ad Ariel, a Naomi, osa avanzare una proposta del genere. 

Mai. Mi rifiuto di farla sparire come se non fosse mai esistita; di far finta di niente, addirittura. Mi oppongo, no... non può divenire cenere, lei che è così bella, così pura, così gentile. 

Era bella, pura e gentile. Come Friederick, che almeno ha avuto una degna sepoltura. 

- È l’unico modo, Sara - fa eco, Ariel, tentando di persuadermi. - È meglio per tutti, credimi. Loro non devono sapere. - 

Vogliono la mia autorizzazione, non la mia comprensione. 

Non pretendono neppure che io accetti l’idea, pur richiedendomi implicitamente di prenderne parte. 

"È per il loro bene" mi dicono, con lo sguardo di lei, vacuo, che pare accusarci per il trattamento a dir poco sacrilego che vorrebbero riservare alle sue esequie. 

Non posso permettergli di sacrificarsi inutilmente. Sarebbe un errore. 

Mi rimetto alla mia coscienza per ciò che sto per fare, ma il bene collettivo, da un po’ di tempo a questa parte, è la mia assoluta priorità. 

La scelta è sofferta, perché la vergogna non è prerogativa dei morti, ma di coloro che alla sciagura vi sopravvivono. 

 

 

Angolo autrice: 

Eccomi tornata con questo capitolo cringissimo... ahimè, la guerra è guerra e non bisogna dimenticare il contesto in cui ho deciso di ambientare la storia. Mi rendo conto d’aver utilizzato termini al limite del tollerabile ma, trattandosi di una violenza barbara, ho preferito non risparmiarmi. 

Che ne pensate del comportamento dei vari personaggi? Qualcuno era bianco, qualcuno era nero... adesso sono quasi tutti “grigi”, al di là di Rüdiger che è sempre stato nero. 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Schema ***


 

Reiner la prende tra le braccia; il corpo molle e rigido oscilla tra i muscoli che sono stati il mio nido d'amore, come un polpo che è stato sbattuto sugli scogli. Il viso contratto scivola oltre l'avambraccio, incagliandosi oscenamente nella piega del gomito...

Una scena così raccapricciante, con quei suoi occhi vitrei fissi su di noi, su me e Ariel, che questi si è dovuto voltare dall'altra parte per riprendere fiato. 

Anche io sono costretta a strizzare gli occhi un paio di volte, contrariamente a Reiner, che non patisce per la visione - tanto quanto, visto che ne è abituato -, bensì per me, per quella smorfia di puro orrore che ha preso possesso del mio viso contrito. 

Come potrebbe essere altrimenti? È morta, è morta cazzo e io ne sono responsabile

- Non è vero, non pensarlo nemmeno - mi sovviene Ariel, avendo intuito il principale motivo del mio turbamento. 

- "Angelo" mi chiamano - specifico, disgustata dal suono di quella parola, che per me ha assunto un significato atroce, il peso di una responsabilità troppo grande che mi sta spezzando le ginocchia. 

Sono in pezzi, annientata; riconosco di non essere nemmeno l'ombra della persona che ero stata. 

La mia stessa natura si è ammutinata, ritorcendosi a mio sfavore. 

- Aprimi la porta - si schermisce Reiner, con il freddo cadavere afflosciato contro il petto. Non oserebbe riferirsi a me con quel tono, tantomeno chiedermi un favore simile. 

Neanche Ariel tiene a farlo e scuote vigorosamente la testa, forte, pur nella debolezza degradante della sottomissione. È la prima volta che si nega, ma Reiner non è in vena di riconoscergli alcun diritto. Allora ritenta e, di nuovo, ottiene un secco rifiuto. 

- Non puoi chiedergli di assisterti. È disumano - intervengo, scossa dai singhiozzi. - Perché non possiamo seppellirla? Potremo andare lontano e... -

- E cosa?! Se qualcuno ci vedesse, lo sai cosa accadrebbe, vero? Ci fucilerebbero tutti! Volete davvero rischiare la vita per un'ebrea? È andata, gestorben! - Queste sue parole, pur dure, sono trascurabili; dentro di me so che lo sono, ma non voglio perdonargliele. 

- Permettici di darle una degna sepoltura; farò qualunque cosa tu voglia. - Devo insistere, guardare la bocca scarlatta di Naomi contorta in un ultimo grido, soffocato dal dissanguamento, e dire "no" a colui che nel lager è quanto di più vicino alla definizione di "dio". - Ariel, tu lo sai il kaddish? - Il ragazzo, all'udire il nome di quella preghiera, propria delle cerimonie funebri nel rito ebraico, ha uno spasmo repentino, che interpreto per assenso. - Tu gli consentirai di recitarlo e noi ci metteremo in disparte per la cremazione. - 

Soltanto estinguendo i nostri diverbi ideologici, riusciamo a metterci finalmente d'accordo. 

Reiner non ne era entusiasta, perché avrebbe saputo come spiegare il fatto di star bruciando un cadavere scomodo, ma non il resto. Per convincerlo, gli ho garantito che Ariel ci avrebbe impiegato poco e che avrebbe recitato i passi più importanti, senza trattenersi oltre. 

"E il fumo?" gli ho chiesto; "non sarebbe meglio seppellirla, a questo punto?" 

Un ultimo disperato tentativo da parte mia, represso con una freddezza che mi ha offesa e turbata. Poi ha ammesso che avevo ragione, che sarebbe stato poco pratico caricarsi me e Ariel in auto e mostruoso costringerci a condividere quello stesso spazio con una salma. 

Ci siamo recati nel bosco, in una zona limitrofa alla radura nella quale mi aveva condotta per vedere il tramonto. 

Lui procedeva spedito, deciso a volersi sbarazzare del corpo il prima possibile, mentre noi camminavamo indietro, lenti e timorosi, come se ci stesse conducendo alla gogna. 

Ariel ha portato una zappa presa dal capanno degli attrezzi, ma è stato Reiner a scavare la buca di buona lena, conscio che essendo il più forte ci avrebbe impiegato di meno. 

Sotto il mio sguardo impietrito, da timorata di Dio, ha adagiato il cadavere nella fossa, domandandomi se per caso mi avrebbe fatto piacere salutarla per un'ultima volta. 

Proprio in quel momento sono crollata. Mi sono sciolta, non ci sono termini migliori per descrivere le vertigini, il senso di nausea, la perdita di equilibrio e infine il tonfo del mio corpo pulsante di vita, gravido di morte, che cadeva a terra inerme. 

Voci, voci; quella di mia madre, della mia migliore amica, di Friederick, quella dolce e vivace di Naomi che mi assillavano, forzandomi a tappare le orecchie per non sentire il suono che proveniva da dentro, dalla mia testa sfrigolante, e non da fuori. 

Avrei voluto urlare; cordicelle di saliva si sono appicciate al terriccio, mentre con la bocca spalancata e la gola muta, in silenzio, sfogavo il mio dolore. 

Reiner non poteva toccarmi, così ci ha pensato Ariel a frapporre la sua mano tra me e il fogliame e lasciarmi gridare senza dovermi curare delle conseguenze. Mi sono ripiegata sulle sue gambe fasciate dalla fantasia a righe, macabra, e ho pianto tutte le lacrime che avevo imprigionato troppo a lungo. 

- Amore mio... - mi si spezza il cuore nel sentirmi chiamare in quel modo, tuttavia mi esimo dal voltarmi e dal proferire parola. 

- Non pensare a me. Fai quel che devi; io non posso vederla tra quelle mura terrose - replico, scomparendo tra le mani amorevoli di Ariel. - Mi rialzerò quando la buca sarà colma, per onorare il suo vissuto. - 

Reiner rallenta il suo operato, anche nell'agitazione del momento, e mi regala un attimo di tranquillità, ancora un po', prima di vederla chiusa là sotto, privata del compianto dei parenti. 

Mi tocca ora; mi trovo davanti a quel punto che Reiner ha ricoperto di foglie. Ariel non è un rabbino, non sarebbe certamente valido per i loro canoni, ma si presta volentieri per recitare il kaddishReiner non lo aveva mai sentito; lo guarda con la coda dell'occhio, in un crescendo di imbarazzo, e tira indietro le braccia, torturandosi le dita incrociate. 

Non ho mai assistito a un funerale in vita mia e sono sicura di non volerci tornare. 

È una lode a Dio, non è una cattiva idea appellarsi a qualcosa di più grande in questa circostanza. 

- ... daamiran be'alma ve'imru amen. - Conclude, raddrizzando il busto. 

- Amen - gli vengo dietro, - e che riposi in pace. - 

- Dobbiamo andare, Sara. - Mi stringe a sé, da dietro, massaggiandomi le spalle, come se volesse riattivarmi la circolazione. - Andiamo. - 

No, ancora una cosa, ancora un attimo. Devo raccogliere una pietra dal terreno e appoggiarla sulla sua "tomba", come da rituale. Lo supplico senza parlare, girando in tondo vorticosamente alla pazza ricerca di una roccia grande a sufficienza. Sondo il terreno con le mani, tremando di gioia nel trovare un sassetto sferico, quasi perfetto, che mi porto al cuore prima di disporlo dove dovrebbe essere sepolto il suo. 

- Sei una brava ragazza - commenta Ariel, osservando indiscreto la camicia di Reiner, chiazzata orribilmente. 

La dovrà buttare, dovrà farsi anche una doccia per rimuovere ogni scia permeata oltre il lino bianco. 

Rientriamo a casa, suddividendoci tra le varie stanze: Ariel in soggiorno, a strofinare lo straccio su quella pozza sanguigna, noi al piano di sopra, dopo avergli lasciato in custodia i suoi vestiti. 

- Accendi un fuoco nel bidone di latta e bruciali. Posaci su il coperchio per non far diffondere il fumo. -

Il sangue è un liquido così invasivo che ha dovuto lasciargli tutto, anche i calzoni. Nudo ha salito le scale, è entrato nel bagno, convinto che lo avrei seguito. 

Non posso dire che avesse torto; ho bisogno di parlargli, urgentemente. 

- Sam e Fede? Li molliamo là, da Peter "il macellaio"? - Spaventata, mi approssimo alla doccia dov'è già entrato. I piedi sguazzano in un'acqua torbida, rossastra, dalla quale distolgo lo sguardo. 

- Lo sai che è impossibile. Non posso piombare lì pretendendo che mi consegni due ebrei italiani. Devi aspettare, prega Dio piuttosto. Non me. - 

- Viviamo in questa casa, la casa di quel mostro... - Spalla al pannello per reggermi in piedi, mi sento comunque mancare... e vado giù, più morta che viva.  

- Vuole salvare le apparenze. Per tutti loro sono più importanti della sostanza. - Si sporge per sorreggermi, infradiciandomi gli abiti dopo avermi stretta a sé. - Vieni, ti farebbe bene. Sei troppo ansiosa, sai che è dannosa per la tua salute. -  

- Sbrigati ad asciugarti e vieni di sotto. Dobbiamo discutere, tu io e Ariel. - Mi sottraggo a una sua carezza, come se non avessi saputo che non si sarebbe mai permesso di trarre profitto dalla mia debolezza. 

Più tardi, seduta al tavolo, con carta e stilografica in mano, scrivo i nomi di coloro che mi sono più cari, ciascuno su un rettangolino diverso, disponendoli, per il momento, in ordine casuale. 

Attendo che Ariel finisca di affumicare quegli avanzi di macelleria e che Reiner si rivesta, così da poterci raggiungere. 

La gola mi pizzica; sposto la stilografica da un punto all'altro, raddrizzo continuamente quei cartellini presa dal nervosismo, talvolta scambiandoli di posto, talvolta girandoli e rigirandoli tra i polpastrelli affettati dalla frenesia. 

Ariel è il primo a palesarsi; gli faccio segno di sedersi e lui esamina scrupolosamente i pezzi di carta, dove salta fuori il suo nome e quello di suo fratello. Dice di non capire, una reazione logica, ma devo per forza aspettare Reiner prima di iniziare a discorrere su quanto formulato. 

I capelli biondi gli ricadono sulla fronte, appiccicati alla pelle; scuote la testa, interdetto, accomodandosi al mio fianco. 

- Dubito che Schneider si fermerà. Ha ucciso Naomi, ha vessato te Ariel, ha tentato di eliminarvi tutti - bevo un sorso d'acqua, in evidente difficoltà; le parole fuoriescono con uno sbuffo, strascicate sulla lingua in panne. - Sono certa che abbia un piano, o meglio, che segua uno schema. - Reiner, da buon stratega militare, veterano dell'esercito regolare, non ne sembra sorpreso, ma Ariel... Ariel allunga il collo, strepitando per acciuffare il bigliettino che gli sguscia via dalle mani tremolanti, quello su cui ho scritto: "Maxim". 

- Ma ma... come fa a sapere che ho un fratello? - Domanda, con l'ingenuità di un bambino. 

- Siete stati schedati. Lui può spulciare tra gli elenchi, può vedere tutto. - Come se qualcuno gli stesse scorticando le retine, i suoi occhi si tramutano in due pozze di lacrime; le guance gli si incavano fin quasi a scomparire nella bocca, segno che buona parte del loro interno sia finito sotto i denti. 

Non so che cosa fare, non saprei neppure che cosa dire per tirarlo su. 

Non ho una risposta e mi appello a Reiner perché gliene fornisca una palliativa. 

- La Morte segue uno schema, basterà capire in quale ordine ha intenzione di ucciderli - esordisce, in un tono ben poco rassicurante. 

- Esattamente. - Spremo le meningi, ricordando i ragionamenti che mi avevano portata a determinate ipotesi. Sposto i cartellini con una lentezza inquietante, avendo persino paura nel disporli in un modo preciso... 

È irrazionale, ma proprio quella parte irrazionale mi suggerisce che non dovrei giocare in questo modo con le loro vite, che muovere quei dannati foglietti come se fossi una burattinaia mi rende altrettanto colpevole. 

E se mi sbagliassi? E se perdessimo tempo ad inseguire una pista sbagliata? 

Mi spingo indietro con la schiena, permettendo loro di dargli un'occhiata. La sequenza vede Naomi per prima, su cui ho tracciato una diagonale nera, scartandola dal resto delle potenziali vittime, poi Federico, Samuele, Maxim, Isaac e infine Ariel. 

Ariel, a rigor di logica essendone direttamente coinvolto, ricade impietrito sulla sedia, abbandonandosi ad una morte interiore, più lenta e più straziante di quella che lo attenderebbe. Lui, secondo i miei calcoli, è l'ultimo e sarebbe destinato ad apprendere della morte di suo fratello, prima di poterlo raggiungere.  

- In base a quale criterio? - Reiner interrompe il suo pianto disperato, alquanto freddo, rispetto all’interesse che, invece, credevo avrebbe manifestato. 

Se non ha alcun problema con lui, se può comprenderlo essendo anch’egli un fratello maggiore, allora perché si mostra tanto apatico? 

- Naomi era per lui la scelta più ovvia... una ragazza ebrea, carina per di più, non ce l’avrebbe mai fatta a resistergli e lui, che è convinto della purezza del suo sangue, non l’avrebbe mai lasciata vivere dopo aver abusato di lei. Federico è la preda più facile; è scostante, più debole fisicamente rispetto a Samuele, per cui eliminerebbe Federico e subito dopo Samuele, affinché non possa creargli problemi. - Ariel, a questo punto, ha smesso di respirare. Ora viene la parte più difficile. 

- E suo fratello? - Mi sprona l’ufficiale, trovandosi d’accordo con quanto avevo concepito. 

- L’ordine sarebbe dovuto essere questo - affermo, facendo scorrere il cartellino di Isaac sotto quello di Ariel, così che possa slittare all'ultimo posto. -  Rüdiger è un gran bastardo... ti colpisce dove sa di farti più male, portandoti via tutti coloro che ami. Ariel, tu sei la persona che ammiro di più, ma all'inizio non ti avevo collocato all’ultimo posto, perché lui sa perfettamente che... - Sto raschiando il fondo della bottiglia, riportando in superficie ferite fresche e dolori che avrei voluto seppellire sotto una coltre di sabbia. Reiner è ancora l’uomo che amo, ma non appena sente quel nome, lui torna ad essere il crudele persecutore dal quale vorrei tenermi alla larga. 

- Che? - Interloquisce, con una punta di sarcasmo pungente. 

- Lo sai. E lo sa anche Rüdiger che se tu non ci fossi io, probabilmente, mi sarei dedicata a lui. - Quello sguardo mi avvelena il cuore, tuttavia devo sorvolare, perché non è di noi che si sta parlando; è di loro e io farei qualunque cosa per i miei amici. - Ariel, dicevo che ho rivisto la mia posizione perché... ecco... perché Maxim e Isaac lavorano entrambi alla cava di carbone e potrebbe farne sparire due in un colpo solo, per ottimizzare i tempi. - 

Cala il silenzio tra noi; ho chiaramente sganciato una bomba che nessuno, tantomeno lui, sarebbe stato in grado di disinnescare. 

L’unica nostra speranza è Reiner... 

Ma lui non sembra propenso a volerci aiutare. 

 

 

 

 

Angolo autrice: 

Mi scuso per la lunga attesa, ma ho preferito non scrivere per inerzia, ma solo dopo aver trovato un’idea che mi coinvolgesse a sufficienza. 

Non vi ho abbandonati fanciulli e fanciulle; il tempo che riservo alla scrittura è suddiviso tra la continuazione di questo "sequel" e la revisione su Wattpad, dove sto praticamente riscrivendo i capitoli per rendere la storia migliore. 

Non chiederei nulla se non volessi davvero coinvolgervi, ma per me il vostro parere è essenziale, per cui se qualcuno avesse consigli, cose che non vi sono piaciute nei capitoli scorsi (tutti, dall’inizio a questo), cose che avreste voluto fossero andate diversamente, carenze di qualcosa (azione ad esempio), non siate timidi ahah accetto consigli per migliorarla ^^. 

Alla prossima! 

 

 

 

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Capitolo 12
*** AVVISO ***





Buon giorno *schiva pomodori*... no, non sono morta, né ho intenzione di interrompere la storia. 
So che è passato molto tempo, non mi stupirei se non ritrovassi più nessuno a seguire Canone inverso, ma mi trovo di fronte a un dilemma non da poco che non ho ancora capito come poter risolvere. 
Mi spiego meglio... 
Tempo fa avevo deciso di postare anche su Wattpad, ovvero di pubblicare i capitoli così come li avevo scritti ma, rileggendoli, mi sono resa conto che avrei potuto scriverli in modo diverso, migliore, riadattandoli al mio stile attuale, perciò pian piano ho iniziato ad aggiustare qualcosina qui e là, nulla di rilevante che avrei potuto benissimo rettificare anche qui. Poi però, mi sono accorta che alcune cose che avevo scritto, così come le avevo scritte, non mi andavano più bene... c’erano sicuramente molte ingenuità da parte mia, fattori che ho bypassato come se non fossero rilevanti, per cui ho iniziato a cambiare dei particolari, aggiungere parti, rimuoverne altre. Ho modificato leggermente anche il carattere dei personaggi; ad esempio l’idea che avevo in mente di Rüdiger credo fosse molto più complessa di quella che ho effettivamente reso, così come il suo rapporto con Sara. Già, nella riscrittura c’è un coinvolgimento di più. Credo di aver inavvertitamente sprecato il loro effettivo potenziale...
Ora; non sta a me obbligare qualcuno a risolvermi il problema, perbacco, non mi permetterei mai, ma anche lo svolgimento e il finale che avevo pensato potrebbero essere alterati dalle modifiche che ho apportato. Per questo motivo, non so se riuscirei a scrivere un capitolo seguendo il filo logico di questo seguito... Mea culpa.
Potrei postare per intero la versione rimasterizzata, oppure tentare comunque di finire la storia sapendo però che dall’altra parte andrebbe diversamente. 
Ovviamente accetto consigli; sono molto in crisi riguardo a questo punto e non so come uscirne. Tengo a tutti voi, scrivo per questo, perciò anche la vostra opinione è molto importante per me. 






 

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